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APPUNTI

DI

ELETTRONICA

(Prof. G.V. Pallottino)

A.A. 2004-2005

DIPARTIMENTO DI FISICA

UNIVERSITA’ LA SAPIENZA

ROMA
APPUNTI DI ELETTRONICA

INDICE

INTRODUZIONE ALL'ELETTRONICA

PARTE I SEGNALI E SISTEMI


1. Alcuni esempi introduttivi
I SEGNALI
2. Segnali analogici e digitali
3. Segnali a tempo continuo e a tempo discreto
4. Funzioni sinusoidali
5. Funzioni periodiche
6. La famiglia delle funzioni impulsive
I SISTEMI
7. Sistemi e modelli
8. Sistemi statici e sistemi dinamici
9. Sistemi lineari e sistemi nonlineari
10. Sistemi stazionari e sistemi non stazionari
RISPOSTE CARATTERISTICHE
11. Risposta libera e risposta forzata
12. Risposta in regime permanente sinusoidale
13. Le risposte indici
14. Relazioni fra risposte indici e risposta in frequenza
15. Calcolo della risposta a una eccitazione qualsiasi con le risposte indici
16. Integrale di convoluzione e risposta impulsiva
17. Risposta in frequenza e risposta impulsiva
18. Risposta impulsiva e stabilità
SCHEMI A BLOCCHI E GRAFI DI FLUSSO
17. Schemi a blocchi
20. Grafi di flusso

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 1


PARTE II CIRCUITI ELETTRICI ED ELEMENTI IDEALI
1. Introduzione ai circuiti
2. I bipoli
3. Le leggi di Kirchhoff
4. Elementi a più terminali, reti a due porte
PROPRIETA' GENERALI DEGLI ELEMENTI E DEI CIRCUITI
5. Passività
6. Reciprocità
ELEMENTI IDEALI DEI CIRCUITI - Elementi ideali bipolari fondamentali
7. Resistore
8. Condensatore
9. Induttore
10. Circuiti equivalenti dei bipoli passivi reali
11. Rappresentazione delle dissipazioni degli elementi reattivi reali
12. Generatori indipendenti ideali
Elementi ideali a due porte
13. Induttori accoppiati
14. Trasformatore ideale
15. Circuito equivalente degli elementi induttivi a due porte reali
16. Giratore
17. Generatori controllati ed altri elementi attivi ideali a due porte
18. Circuito comprendente un transistore bipolare: circuito equivalente per piccoli segnali

PARTE III ANALISI DEI CIRCUITI


TOPOLOGIA DEI CIRCUITI
1. Il grafo di un circuito
2. Tagli e maglie
3. Alberi e coalberi
METODI DI ANALISI: MAGLIE E NODI
4. Il metodo delle maglie
5. Analisi in regime sinusoidale permanente
6. Il metodo dei nodi
DUALITA' E ANALOGIE
7. Dualità e circuiti duali
8. Il metodo delle analogie
ANALISI DEI CIRCUITI STATICI E DINAMICI
9. Analisi dei circuiti statici
10. Analisi dei circuiti dinamici
11. Soluzione numerica delle equazioni dei circuiti dinamici

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 2


PARTE IV IL METODO DELLA TRASFORMATA DI LAPLACE
1. La trasformata di Fourier
2. Introduzione alla trasformata di Laplace
3. I teoremi fondamentali
4. Trasformate di funzioni impulsive ed esponenziali
5. Impiego della trasformata di Laplace nei circuiti
6. Poli e zeri delle funzioni di s
METODI DI ANTITRASFORMAZIONE
7. Il metodo dei residui
8. Il metodo dello sviluppo in frazioni parziali
10. Alcune note su zeri e poli

PARTE V FUNZIONI DI RETE, RETI DUE PORTE


1. Funzioni di rete e funzioni di trasferimento
2. Risposta in frequenza
RISPOSTE CARATTERISTICHE
3. Le risposte caratteristiche
4. I circuiti RC
5. Il circuito RLC serie
6. Il circuito RLC parallelo
RETI DUE PORTE
7. Rappresentazione delle reti due porte
8. Amplificazioni, impedenze e impedenze caratteristiche
9. Reti in cascata
CONDIZIONI DI NON DISTORSIONE E SFASAMENTI
10. Condizioni di non distorsione
11. Relazioni fra ampiezza e fase
12. Il problema della fase
LINEE DI TRASMISSIONE (vedi capitoli 1 e 2 del testo Alberigi-Rispoli, Elettronica)

PARTE VI PER ORA MANCA

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 3


PARTE VII AMPLIFICATORI LINEARI
1. Generalità
RISPOSTA AI TEMPI BREVI
2. Calcolo dei tempi caratteristici
3. Amplificatori a larga banda
4. Composizione dei tempi caratteristici
5. La larghezza di banda
RISPOSTA AI TEMPI LUNGHI
6. La pendenza iniziale della risposta indiciale
7. Composizione delle pendenze iniziali
CENNI SUGLI AMPLIFICATORI PER GRANDI SEGNALI
8. Generalità sugli amplificatori per grandi segnali
9. Classi di funzionamento

PARTE VIII LA CONTROREAZIONE


1. Introduzione alla controreazione
GLI EFFETTI DELLA CONTROREAZIONE
2. La desensibilizzazione
3. La linearizzazione
4. L'effetto sui disturbi
5. Gli effetti sulla risposta dinamica
6. La risposta dinamica nel dominio del tempo
UNO SCHEMA PIU' GENERALE PER GLI AMPLIFICATORI A CONTROREAZIONE
7. Un modello più generale
8. Classificazione e proprietà degli amplificatori reazionati
9. L’effetto della reazione sulle impedenze d’ingresso e d’uscita
GLI AMPLIFICATORI OPERAZIONALI
10. Gli amplificatori operazionali
11. Analisi semplificata nell'approssimazione di guadagno infinito
12. Realizzazione di funzioni di trasferimento prefissate
13. Analisi tenendo conto del guadagno finito dell'amplificatore
CENNI SUGLI OSCILLATORI
14. Introduzione agli oscillatori
15. Oscillatori a resistenza negativa
16. Oscillatori a reazione positiva

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 4


PARTE IX IL RUMORE
1. Introduzione al rumore
2. Aspetti matematici del rumore
3. Il rumore termico
4. Il teorema di Nyquist e la sua generalizzazione
5. Il rumore shot
6. Il rumore 1/f e altri tipi di rumore
7. Rappresentazione del rumore nelle reti elettriche
8. Fattore di rumore e temperatura di rumore
9. Cenni sul rumore dei dispositivi
10. Cenni sulla progettazione a basso rumore

APPENDICE A I TEOREMI DEI CIRCUITI


1. Teorema del massimo trasferimento di potenza
2. Teorema di Helmholtz-Thévenin
3. Teorema di Norton
4. Teorema di Millman
5. Teorema di Miller

APPENDICE B I DIAGRAMMI DI BODE


1. La rappresentazione grafica delle funzioni dei sistemi nel dominio della frequenza
2. I diagrammi di Bode dei fattori standard
3. La composizione dei diagrammi di Bode

APPENDICE C L'AFFIDABILITA'
1. Cenni sull’affidabilità
2. I criteri per ottenere elevata affidabilità

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 5


TESTI CONSIGLIATI

A.Alberigi Quaranta, B.Rispoli Elettronica Zanichelli, 1960


per il materiale sulle linee di trasmissione (capitoli 1 e 2)

J.Millman, C.C.Halkias Microelettronica Boringhieri, 1978


per il materiale sui semiconduttori (capitoli 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 19)

S.M. Sze Semiconductor Devices, Physics and Technology John Wiley, 1985
per il materiale sui dispositivi

S.Cantarano, G.V.Pallottino Elettronica Integrata, Circuiti e sistemi analogici Etas Libri, 2a


edizione, Milano, 1985

G.Martinelli, M.Salerno Fondamenti di Elettrotecnica Siderea, 1986

C.J.Savant, M.S.Roden, G.L.Carpenter Electronic Design, Circuits and Systems


Benjamin/Cummings, 1991

J.Millman, A.Grabel Microelectronics McGraw Hill, 1988

P.U.Calzolari, S.Graffi Elementi di Elettronica Zanichelli, Bologna, 1984

P.Horowitz, W.Hill The Art of Electronics Cambridge University Press, 2a edizione, 1989

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 6


INTRODUZIONE ALL'ELETTRONICA

In passato, si datava la nascita dell'elettronica (questo termine si è diffuso a partire


dagli anni Trenta del secolo scorso) con la scoperta dell'elettrone (1897) e con l'invenzione di
vari dispositivi basati sul moto di cariche elettriche nel vuoto, come il tubo a raggi catodici, il
diodo, il triodo e gli altri tubi elettronici che furono introdotti nei primi decenni del
Novecento. L'elettronica si configurava dunque come la scienza e la tecnica dei dispositivi
elettronici propriamente detti, che trovavano impiego, sopratutto, nella trasmissione di
informazioni, con la radio e la telefonia a grande distanza. Inoltre, poichè le intensità di
corrente usate in questi dispositivi erano generalmente assai inferiori a quelle impiegate nelle
altre, e più antiche, applicazioni dell'elettricità, l'elettronica era intesa come tecnica delle
"correnti deboli" per distinguerla dalla tecnica delle "correnti forti" o elettrotecnica1, che
riguardava invece le applicazioni in cui l'energia ha un ruolo essenziale (macchine e impianti
per la produzione, la trasmissione a distanza e l'utilizzazione pratica dell'energia elettrica).

Nel medesimo quadro si collocava, dopo l'invenzione del transistore (1947), la


diffusione di una estesa varietà di nuovi dispositivi, che differivano da quelli precedenti2
perchè il moto delle cariche aveva luogo in corpi solidi, anzichè nel vuoto (o in un gas), e il
loro impiego in una molteplicità di applicazioni.

Nello stesso tempo, però, il dominio di attenzione dell'elettronica si era allargato a


coprire nuovi settori di applicazioni, che andavano via via sviluppandosi, e si erano arricchiti
grandemente anche gli sviluppi di natura teorica e formale che si erano resi necessari. Al
settore tradizionale della trasmissione dell'informazione (cioè delle "comunicazioni", in cui
rientra assai bene anche tutta la problematica delle misure fisiche) si erano aggiunti infatti i
nuovi campi della elaborazione dell'informazione: cioè quello dei sistemi di controllo e quello
dei calcolatori.

1
Oggi il termine elettrotecnica è usato spesso con il significato di teoria dei circuiti elettrici.
2
Ricordiamo peraltro che le prime scoperte, e le prime applicazioni, dei dispositivi a stato solido hanno
preceduto quelle dell'elettronica dei dispositivi a vuoto. La scoperta, per esempio, dell'effetto Hall era avvenuta
già nel 1880. I primi "diodi" (i raddrizzatori a baffo di gatto, basati sulle proprietà di un contatto metallo-
semiconduttore) erano stati costruiti da F. Braun nel 1874 e furono usati largamente ai primordi della radio. Ma
a quel tempo non si disponeva ancora delle basi teoriche della fisica dei solidi (in particolare della meccanica
quantistica) e questo impedì ulteriori progressi. Tuttavia, vari tipi di raddrizzatori a stato solido (selenio, ossido
di rame) furono sviluppati su basi empiriche e usati comunemente fino a qualche decennio addietro.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 7


Il dominio di interesse dell'elettronica, così, mutava grandemente rispetto a quello
tradizionale: dal punto di vista delle applicazioni l'elettronica diventava sinonimo di 3C
(comunicazioni, controlli e calcolatori), mentre la definizione di tale disciplina veniva ad
essere, secondo un Autore (W.L. Everitt, 1952): "la scienza e la tecnica che tratta
principalmente dell'ausilio ai sensi dell'uomo e al suo potere cerebrale per mezzo di
dispositivi che raccolgono ed elaborano l'informazione". In realtà, la discussione sulla
definizione dell'elettronica è tutt'altro che conclusa ed è anzi destinata a continue revisioni per
la continua crescita di nuovi sviluppi, teorici e sperimentali, e di nuove applicazioni pratiche.

Questa differenza fondamentale rispetto al passato per ciò che s’intende per
elettronica è segnata anche da una tendenza continua di questa disciplina verso la
"dematerializzazione", come avviene del resto anche in altri settori. Sebbene la parte fisica e
materiale dell'elettronica (l'hardware) abbia sempre grandissima importanza, con la continua
introduzione di nuove tecnologie e la loro diffusione in ogni ambito della società unama,
vogliamo sottolineare l'evoluzione che si è svolta nei decenni trascorsi, conducendo
l'elettronica, inizialmente intesa soltanto come scienza e tecnica dei dispositivi, ad estendere i
suoi contenuti in un quadro più generale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti formali
e metodologici. Questi hanno avuto origine, sopratutto, dall'esigenza importantissima di
modellizzare in modo significativo, e al stesso tempo efficiente, gli oggetti fisici (dispositivi,
circuiti e sistemi) di interesse per l'elettronica, di analizzarne il comportamento e di
progettarli efficacemente, in relazione alle loro applicazioni. E sono proprio questi aspetti
formali e metodologici dell’elettronica, in buona misura indipendenti dalle tecnologie e dai
loro sviluppi nel tempo, che vengono privilegiati nella formazione universitaria, mirata a
fornire all’allievo le basi più durevoli.

Ai contenuti e al quadro concettuale dell'elettronica, pertanto, contribuiscono varie


discipline sia prettamente fisiche (in particolare l'elettromagnetismo e la fisica dello stato
solido), che forniscono le basi, teoriche e sperimentali, per la comprensione dei dispositivi già
noti e per la creazione di nuovi dispositivi, sia fisico-matematiche, con cui si costruiscono i
modelli dei dispositivi, dei circuiti e dei sistemi da essi costituiti, e dei segnali che vengono
usati per rappresentare l'informazione.

Esemplare, a questo riguardo, è la vicenda della "teoria dei circuiti", che tratta dei
metodi di rappresentazione, di analisi e di sintesi dei circuiti elettrici. Questa teoria avrebbe
potuto svilupparsi, attraverso opportune specializzazioni ed approssimazioni, a partire dal

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 8


quadro generale riassunto dalle equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo. E' accaduto,
invece, che lo sviluppo della teoria dei circuiti sia avvenuto sulla base di definizioni formali,
assunte come principi, per il comportamento di elementi idealizzati (come il resistore, il
condensatore e l'induttore) e di altre definizioni formali, costituite essenzialmente dalle leggi
di Kirchhoff (assunte come principi, anzichè come conseguenze particolari delle equazioni di
Maxwell), per trattare le interconnessioni degli elementi idealizzati che costituiscono i
circuiti.

Bisogna dire che questo modo di procedere ha condotto a risultati assai fecondi:
l'eleganza e la semplicità del quadro teorico così costruito e delle metodologie che sono state
sviluppate a tale proposito, è venuto a costituire, addirittura, un paradigma per la trattazione
di argomenti anche assai lontani da quello dell'elettricità. La teoria dei circuiti ha trovato
infatti molteplici applicazioni, che si estendono, per esempio, dallo studio di sistemi biologici
all'analisi del comportamento dinamico di strutture meccaniche e di sistemi termici.

Consideriamo ora un aspetto essenziale nella considerazione del ruolo attuale


dell'elettronica. Questo riguarda gli importantissimi e molteplici effetti dell'introduzione
(1958) dei circuiti integrati monolitici, cioè di circuiti realizzati entro un solido
semiconduttore, la cui complessità sta crescendo da decenni con legge esponenziale (legge di
Moore): oggi si costruiscono moduli integrati contenenti anche centinaia di milioni di
transistori. A questo proposito ricordiamo che l'inventore del circuito integrato, l’ingegnere
americano Jack St.Clair Kilby, ha ricevuto il premio Nobel per la Fisica nel 2000, e
ricordiamo anche il contributo essenziale del fisico italiano Federico Faggin all’invenzione
del microprocessore.

Ciò che più importa è che il perfezionamento dei processi di fabbricazione, e in


particolare l'impiego dell'automazione, hanno consentito di realizzare dispositivi, anche di
notevole complessità, a costi straordinariamente inferiori a quelli del passato (quando i
circuiti corrispondenti venivano realizzati "a componenti discreti") e con affidabilità assai
maggiore. Proprio la larga disponibilità a basso costo di potenti dispositivi di elaborazione
elettronica ha rappresentato un elemento decisivo nel decollo delle cosiddetta "rivoluzione
dell'informazione" (o seconda rivoluzione industriale) che stiamo vivendo oggi. Per
comprenderlo, basta pensare anche soltanto ai recenti sviluppi nel campo dei calcolatori e
delle loro applicazioni, e al ruolo di questa tecnologia nella società d'oggi.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 9


Ma gli sviluppi dell'elettronica integrata hanno anche avuto profondi effetti nel quadro
dell'elettronica stessa: da un lato spostando l'attenzione dall'analisi e dal progetto dei circuiti e
dei sistemi mediante componenti discreti verso una visione sistemistica, cioè basata su un
largo, e talvolta addirittura esclusivo, impiego di moduli funzionali integrati, dall'altro
accentuando ancore l'attenzione verso gli aspetti più direttamente rivolti all'elaborazione dei
segnali intesi come supporto dell'informazione.

Sotto questo punto di vista, che si ricollega alla tendenza verso la dematerializzazione
accennata prima, i dispositivi, non più necessariamente soltanto di tipo elettrico, vengono ad
assumere solo il ruolo di mezzi fisici per la realizzazione di opportune funzioni di
elaborazione. Già oggi, in elettronica, non mancano esempi d'impiego di dispositivi non
elettrici (risonatori meccanici di vario tipo, dispositivi a onde acustiche superficiali,
dispositivi "fotonici" per sistemi di trasmissione basati su impulsi di luce che viaggiano in
fibre ottiche). E del resto la nuova tecnologia fotonica ha già soppiantato quella elettronica in
senso stretto in parecchi settori delle telecomunicazioni. Ma anche a questa nuova tecnologia
è l'elettronica a fornire tutto il necessario quadro metodologico, analitico e progettuale, come
infatti si verifica a proposito dei sistemi di trasmissione di tipo ottico.

Notiamo infine, per concludere, che l'elettronica gioca un ruolo essenziale nella
formazione culturale di un fisico, anche a prescindere dai vari sbocchi professionali diversi da
quelli tradizionali della ricerca scientifica e industriale, sotto due distinti punti di vista:

1) l'elettronica costituisce attualmente la tecnologia essenziale per la realizzazione degli


apparati sperimentali;

2) le metodologie dell'elettronica costituiscono un potente ausilio nello studio, in


particolare nella modellizzazione e nell'analisi dinamica, dei sistemi fisici di qualsiasi
natura, e nella elaborazione e nell'analisi dei dati sperimentali, che costituisce oggi un
aspetto di importanza primaria nella ricerca fisica.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - Introduzione pag. 10


PARTE I
SEGNALI E SISTEMI

1. Alcuni esempi introduttivi


Gli schemi illustrati nella figura rappresentano quattro tipici sistemi elettronici, che
discuteremo brevemente allo scopo di fornire una introduzione esemplificativa ai sistemi, ai
segnali e ai problemi di interesse nel campo dell'elettronica.

Il primo esempio riguarda un sistema di acquisizione. Il trasduttore1 T fornisce il

1
Per trasduttore s'intende un dispositivo che trasferisce un segnale da una grandezza di supporto a un'altra, di
differente natura fisica; per esempio da una grandezza non elettrica a una elettrica e in tal caso chiamato anche
sensore.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 1


segnale x(t), che contiene sia l'informazione relativa all'andamento temporale della grandezza
non elettrica misurata sia un disturbo (rumore additivo). Si tratta di un segnale a basso livello,
che l'amplificatore A amplifica riproducendolo fedelmente e che il filtro F provvede a filtrare
per migliorare il rapporto segnale/rumore. Il convertitore A/D (analogico/digitale) trasforma
infine il segnale analogico in forma digitale permettendone la lettura da parte di un
calcolatore.
Il secondo esempio riguarda un sistema di trasmissione di dati. Qui il segnale x(t)
consiste in una sequenza di impulsi a due livelli, che vengono trasmessi a distanza attraverso
un canale (per esempio una linea telefonica). All'uscita dal canale, il segnale y(t) è deformato,
rispetto a quello d'ingresso, sia dal rumore che dall'effetto della risposta del canale.
L'equalizzatore E (un particolare tipo di filtro) provvede a compensare gli effetti della risposta
del canale e a ridurre il rumore. Il rigeneratore RI (un discriminatore di segno) ritrasforma
infine il segnale nella forma iniziale di impulsi a due livelli.
Il terzo esempio riguarda il sistema di controllo del processo P (che consiste, per
esempio, nell'azionamento di un asse da parte di un motore). Qui si utilizza il principio della
reazione negativa in modo che l'uscita del processo (la posizione angolare dell'asse) segua il
riferimento x(t) e in particolare approssimi, sia pure con un piccolo ritardo, un segnale a
gradino. A questo provvedono il blocco di reazione H e il blocco di compensazione W,
generando il segnale di comando m(t).
L'ultimo esempio riguarda un sistema di alimentazione in continua. La corrente
alternata della rete viene prima rettificata dal raddrizzatore RA, poi filtrata e infine applicata
al regolatore RE che ne stabilizza il valore della tensione. Quest'ultimo dispositivo funziona in
base al principio della reazione negativa, cioè in modo simile a quello del sistema di controllo,
ma utilizzando un riferimento interno costante per produrre un'uscita costante.
Qui richiamiamo l'attenzione sulla natura dei segnali in gioco e sulle funzioni di
elaborazione dei segnali che i vari blocchi sono chiamati a compiere (amplificare fedelmente
un segnale, trasmettere solo certe frequenze e non altre, rettificare un'onda sinusoidale, ecc.)
negli esempi precedenti.

Accenniamo ora brevemente al progetto dei sistemi elettronici. Il progetto di un


sistema, in generale, ha inizio attraverso la stesura delle specifiche, che ne stabiliscono le
prestazioni essenziali in relazioni agli obiettivi prefissati (un sistema di alimentazione, per
esempio, deve fornire corrente al carico collegato all'uscita mantenendo costante la tensione
d'uscita entro limiti prefissati e con un residuo di alternata inferiore a un valore prefissato, per
gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 2
variazioni date della tensione alternata d'ingresso, del carico e della temperatura).
Sulla base delle specifiche, che riguardano generalmente anche l'affidabilità (cioè la
probabilità che il sistema funzioni correttamente su un tempo prefissato in condizioni
ambientali prefissate → Appendice C) e la spesa ammissibile, viene scelta la struttura
generale del sistema, tenendo conto delle tecnologie disponibili anche in relazione ai costi e al
numero di apparati che si intendono realizzare.
Si procede quindi al progetto di massima delle varie parti del sistema e poi al progetto
dettagliato dei circuiti che le costituiscono, sempre tenendo condo della componentistica
disponibile e dei costi relativi. In questa fase ci si avvale a volte di procedimenti basati su
criteri di sintesi, ma più spesso si procede invece per tentativi, cioè analizzando le prestazioni
ottenibili con una data struttura per verificare se sono accettabili, altrimenti esaminando altre
soluzioni.
Notiamo, per concludere, che nella progettazione giocano tre fattori essenziali: la
conoscenza delle tecnologie realizzative disponibili, la conoscenza delle metodologie di
progetto, in particolare di analisi e di calcolo, e l'esperienza.

I SEGNALI

Come mostrano gli esempi fatti prima, la funzione essenziale dei sistemi, in
elettronica, è quella di elaborare segnali, intesi come grandezze fisiche variabili nel tempo che
costituiscono generalmente il supporto di informazioni. In quanto segue esamineremo prima
alcune caratteristiche generali dei segnali e poi alcune famiglie di segnali che si usano più di
frequente.

2. Segnali analogici e digitali


Una distinzione fondamentale fra i segnali è quella che li suddivide in analogici e
digitali. I primi possono assumere qualsiasi valore in un intervallo prefissato, chiamato
"gamma dinamica" (per esempio è un segnale analogico una tensione variabile fra -15 e +15
volt). I segnali analogici sono dunque grandezze reali. I segnali digitali (o numerici), invece,
possono assumere solo valori discreti appartenenti a un insieme finito; spesso si tratta di
grandezze a due valori, cioè binarie.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 3


La teoria dell'informazione stabilisce che l'informazione associata a un campione di un
segnale, misurata in bit, è data dal logaritmo in base due del numero dei diversi valori
possibili che il segnale stesso può assumere (se sono tutti equiprobabili). L'informazione, a un
dato istante, relativa a un segnale digitale binario è dunque 1 bit (3,322 bit nel caso di un
segnale digitale decimale). L'informazione associata a un segnale analogico non è invece
infinita, come potrebbe sembrare. Il fatto è che gli infiniti valori che un segnale analogico può
assumere non sono, in realtà, tutti distinguibili fra loro a causa dei disturbi che sono sempre
presenti in un sistema fisico reale (fra cui, inevitabile, il rumore di fondo, che discende da
proprietà fondamentali della materia, come l'agitazione termica e la quantizzazione della
carica elettrica). Si conclude pertanto che l'informazione associata a un segnale analogico, a
un dato istante, è log2 N, dove N è il numero di livelli effettivamente distinguibili, esprimibile
come ∆V/δV, dove ∆V è la gamma dinamica e δV è la fascia d'incertezza dovuta al rumore.

3. Segnali a tempo continuo e a tempo discreto


Un'altra distinzione fondamentale riguarda gli istanti di tempo a cui i segnali sono
definiti. I segnali a tempo continuo sono rappresentati da funzioni il cui dominio è costituito
da tutti gli istanti contenuti in un intervallo di tempo (o su tutto l'asse dei tempi): qui il tempo
è una grandezza reale. Il dominio dei segnali a tempo discreto è invece costituito da un
insieme discreto di istanti, che nella maggior parte dei casi sono fra loro equispaziati di un
intervallo Tc detto passo di campionamento. La tabella seguente raccoglie le denominazioni
usate per designare i segnali in relazione alle due suddivisioni che abbiamo considerato.

tempo discreto reale


ampiezza
reale segnali campionati segnali analogici (a tempo continuo)
discreta segnali digitali (non usati)

Per chiarire quanto è stato esposto, facciamo un esempio considerando il sistema


mostrato nella figura, che provvede alla conversione di un segnale dalla forma analogica a
quella digitale (convertitore A/D).
Nel campionatore CA il segnale analogico d'ingresso x(t) viene campionato, cioè
quantizzato secondo l'asse dei tempi agli istanti definiti dagli impulsi forniti dall'orologio O (il
campionatore può essere immaginato, per semplicità, come un moltiplicatore che fornisce in
uscita il prodotto fra il segnale x(t) e gli impulsi di campionamento, intesi di durata brevissima
e di ampiezza unitaria). Si ottiene così il segnale campionato y(kTc), costituito da una

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 4


sequenza di impulsi (di ampiezza reale) a istanti discreti di tempo. Questo viene applicato al
quantizzatore Q, che produce in uscita il segnale digitale z(kTc) associando ad ogni
determinato intervallo di valori di y il corrispondente valore di z (per esempio, z è uguale alla
parte intera di y). Il segnale z(kTc) viene poi rappresentato mediante un codice opportuno,
usando più sequenze di impulsi binari zi(kTc) in parallelo, ciascuna delle quali rappresenta un
bit della parola di codice. A quest'ultima operazione provvede il codificatore CO.
E' importante notare che l'operazione di quantizzazione di ampiezza non è reversibile
(non esiste, cioè, una corrispondente operazione inversa che permetta di ricostruire il segnale
di partenza); essa conduce pertanto a perdita d'informazione. L'operazione di quantizzazione

temporale, cioè il campionamento, può, invece, essere resa reversibile scegliendo il passo di
campionamento opportunamente piccolo rispetto alla velocità di variazione del segnale. Il
teorema del campionamento stabilisce, più precisamente, che un segnale x(t) a banda limitata,
cioè il cui contenuto spettrale svanisce al di sopra di una data frequenza fM, può essere
ricostruito esattamente quando si conoscano i suoi campioni, se questi sono equispaziati con
passo:

(1) Tc ≤ 1/2fM

cioè se la frequenza di campionamento 1/Tc è maggiore o uguale della frequenza 2fM, detta
frequenza di Nyquist. La formula di ricostruzione è la seguente:

sin(ω M (t − kTc ))
(2) x(t ) = ∑ x(kTc )
k ω M (t − kTc )

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 5


Spesso, nella pratica, il segnale viene campionato a una frequenza maggiore di 2fM e
diventa possibile usare formule di ricostruzione approssimata più semplici della (2). Si usano,
per esempio, tecniche di interpolazione, la più semplice delle quali è quella di ordine zero
(campionamento e tenuta, sample and hold): in tal caso il segnale analogico ricostruito ha
valore costante, pari a quello dell'ultimo campione, durante ciascun intervallo Tc.

Le tensioni, le correnti e tutte le altre grandezze fisiche variabili sono segnali analogici, in quanto
funzioni reali della variabile reale tempo. Notiamo che di solito anche le grandezze che costituiscono il supporto
dei segnali digitali sono, in realtà analogiche anch'esse (per convincersi di questo, basta osservare
all'oscilloscopio l'andamento temporale della forma d'onda di un segnale in un circuito logico). Si parla, però, di
segnali campionati se si considera significativo il valore della grandezza fisica di supporto (che può essere una
sequenza di impulsi più o meno stretti) solo a determinati valori discreti del tempo; si parla poi di segnali digitali
solo se, oltre a restringere l'attenzione a determinati istanti (come prima), si considerano significative solo
determinate fasce di valori della grandezza fisica (per esempio, all'uscita di un circuito logico si considerano
usualmente "0" tutti i valori fra 0 e 0,6 volt, "1" tutti i valori fra 3, 2 e 5 volt; il significato di queste due fasce di
valori viene poi riconosciuto correttamente quando il segnale viene applicato all'ingresso di un altro circuito
logico appartenente alla stessa "famiglia" del primo).

In quanto segue ci occuperemo degli andamenti temporali dei segnali, in particolare


analogici, considerando le funzioni che si usano più di frequente. Restringeremo così la nostra
attenzione ai soli segnali deterministici, che sono descritti da funzioni matematiche, a
differenza dei segnali casuali (o stocastici o aleatori) che sono invece descrivibili solo in
termini delle loro proprietà statistiche. I segnali casuali sono infatti associati a fenomeni, come
le fluttuazioni (il rumore), di natura intrinsecamente statistica.

4. Funzioni sinusoidali
La famiglia delle funzioni sinusoidali presenta particolare interesse in elettronica, sia
perchè il teorema di Fourier permette di scomporre in funzioni sinusoidali elementari tutte le
funzioni periodiche di interesse pratico (e l'integrale di Fourier compie analoga operazione su
un'ampia classe di funzioni aperiodiche) sia per altri motivi che vedremo. Rappresentiamo le
funzioni sinusoidali, cioè la classe dei seni e dei coseni, nella forma generale:

(3) x(t) = A sin (ωt + φ)

dove A rappresenta l'ampiezza (valore di picco); ω = 2πf rappresenta la pulsazione o


frequenza angolare, che si misura in radianti/secondo (rad/s), mentre la frequenza f si misura

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 6


in hertz (Hz); φ rappresenta la fase, che si misura in radianti (o in gradi). Sono dunque
sufficienti i valori di tre parametri reali: A, ω e φ, per determinare tutto l'andamento temporale
di una sinusoide.
Il valore efficace (root mean square, r.m.s.) della sinusoide (3) è

1 T 2 A
(4) xeff =
T ∫0
x (t ) dt =
2

Le funzioni sinusoidali sono periodiche2 con periodo T = 1/f = 2π/ω. Derivando o


integrando una sinusoide rispetto al tempo, quante volte si vuole, si ottiene ancora una
sinusoide della stessa frequenza. Sommando assieme due sinusoidi, esse mantengono la
propria identità, in particolare le loro frequenze. Il prodotto di due sinusoidi conduce invece a
una somma di sinusoidi con frequenze diverse da quelle di partenza.
Più in generale, si dimostra facilmente che eseguendo operazioni lineari (algebriche o
differenziali) su una combinazione lineare di sinusoidi di frequenze qualsiasi, si ottiene ancora
una combinazione lineare di sinusoidi delle stesse frequenze; eseguendo invece operazioni
nonlineari si ottengono anche sinusoidi a frequenze diverse di quelle di partenza, in
particolare alle cosidette frequenze di combinazione:

(5) fnmp... = ± nf1 ± mf2 ± pf3 ..... con n, m, p, ... interi

dove fi sono le frequenze delle sinusoidi che interagiscono.

Esercizio. Determinare il contenuto in sinusoidi elementari del segnale x(t) = (cosω1t + cosω2t)3.

Quelle considerate sinora sono funzioni sinusoidali armoniche pure, che si estendono
sull'asse dei tempi da -∞ a +∞. Oltre ad esse si considerano spesso sinusoidi che si estendono
solo sulla parte positiva dell'asse dei tempi e anche "pacchetti d'onda", cioè sinusoidi che
assumono valori diversi da zero solo in un determinato intervallo; queste ultime costituiscono
un esempio di segnale transitorio, cioè dotato di supporto temporale limitato.
Mediante l'integrale di Fourier si rileva che il contenuto spettrale di un pacchetto
d'onda di frequenza f non è una riga alla frequenza f (come nel caso armonico), ma costituisce
uno spettro continuo, tanto più esteso attorno a f quanto più breve è la durata del pacchetto.

2
Non sono periodiche, in generale, le funzioni sinusoidali a tempo discreto del tipo x(kTc)=sin(wkTc+f), mentre
è sempre periodico il loro inviluppo.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 7


5. Funzioni periodiche
Fra le funzioni periodiche più usate in pratica consideriamo le onde quadre e le onde
triangolari. L'onda quadra simmetrica unitaria si può rappresentare nella forma

(6) x(t) = sgn(sin(ωt + φ))

dove si è usata la funzione segno, che rappresenta appunto il segno del suo argomento
(sgn(x)=1 se x>0, sgn(x)=-1 se x<0). Le onde quadre presentano in ciascun periodo soltanto
due discontinuità, in corrispondenza alle transizioni di livello, sicchè sono sviluppabili in serie
di Fourier.
Sviluppando l'onda quadra mostrata nella figura, cioè A sgn(cos ωt), si ottiene:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 8


4A  cos ( 3ω t ) cos ( 5ω t ) 
(7) x (t ) = cos ω t − + − ...
π  3 5 

Queste onde, oltre alla fondamentale, contengono dunque solo le armoniche dispari,
pesate secondo l'inverso dell'ordine armonico.
Sviluppando in serie l'onda triangolare mostrata nella figura si ottiene:

8A  cos ( 3ω t ) cos ( 5ω t ) 
(8) x (t ) = 2 
cos ω t + + + ...
π  9 25 

Le onde triangolari hanno dunque lo stesso contenuto spettrale delle onde quadre, ma
pesato diversamente, cioè secondo l'inverso del quadrato dell'ordine armonico. Questo
risultato è in accordo col fatto che un'onda triangolare costituisce l'integrale nel tempo
dell'onda quadra della stessa frequenza.
La definizione di valore efficace (4) può essere applicata alle onde quadre (xeff=A), alle
onde triangolari (xeff=A/√3) e a qualsiasi altro segnale periodico. Per questi segnali si
definisce anche il fattore di picco (o di cresta), dato dal rapporto fra l'ampiezza (valore di
picco) e il valore efficace.
Spesso il valore efficace di un segnale periodico si determina integrando il quadrato
del segnale su un intervallo più lungo del periodo ed estraendo poi la radice quadrata. Il
risultato di questa operazione è esatto (cioè coincide con quello dato dalla (4)) solo se la
durata dell'intervallo d'integrazione è un multiplo del periodo; altrimenti si commette un
errore che, in generale, si riduce al crescere del rapporto fra la durata dell'intervallo e il
periodo del segnale. Quanto si è detto conduce alla seguente definizione alternativa di valore
efficace:

lim 1 To
(9) xeff =
To → ∞ 2To ∫ − To
x 2 (t ) dt

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 9


dove 2To è il tempo di osservazione su cui si esegue l'integrazione (operando su tempo
finito si ottiene una stima di xeff, la cui precisione dipende dalla durata del tempo di
osservazione). Un importantissimo vantaggio della definizione (9) è che essa può essere
applicata anche a segnali non periodici, per esempio casuali, purchè stazionari, cioè con
proprietà statistiche indipendenti dal tempo. Per un segnale a valor medio nullo il valore
efficace definito dalla (9) coincide con la deviazione standard σ.

6. La famiglia delle funzioni impulsive


Un'altra importante famiglia di funzioni è costituita dalla funzione impulsiva, o delta
di Dirac, e dai suoi integrali successivi. Notiamo che non si tratta di funzioni ordinarie, ma di
"funzioni generalizzate", che si introducono nell'ambito della teoria delle distribuzioni3.
La funzione impulsiva unitaria, indicata con δ(t), è una funzione di area unitaria che
assume valore nullo ovunque eccetto l'origine e gode della proprietà integrale:


(10) ∫ δ ( t ) dt = 1 con δ(t) = 0 per qualsiasi t≠0
−∞

Si noti che tale funzione ha dimensioni fisiche pari all'inverso di quelle della variabile
d'integrazione (cioè hertz, nel caso della (10)). Con la notazione Aδ(t-t0) si indica una delta di
area (o, come si dice abitualmente, di intensità) A al tempo
A
t0. Le funzioni impulsive si rappresentano graficamente con
una freccia verticale al tempo di occorrenza, di lunghezza
proporzionale all'area. to t

La funzione delta è pari: infatti δ(t-to) = δ(to-t). Essa gode inoltre della seguente
proprietà, detta di "campionamento":


(11) ∫ x ( t ) δ ( t − t ) dt = x ( t )
−∞ o o

La funzione impulsiva unitaria δ(t) viene spesso introdotta intuitivamente come il


limite di una sequenza di impulsi rettangolari la cui durata venga fatta tendere a zero e la cui
ampiezza, contemporaneamente, venga fatta tendere all'infinito, col vincolo che l'area si
mantenga unitaria.

3
Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al corso di Metodi matematici.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 10


L'impulso rettangolare a) è la derivata temporale del segnale b). Quando ε tende a zero, i
due segnali tendono, rispettivamente, all'impulso unitario e al gradino unitario.

Una definizione più rigorosa della funzione delta di Dirac è quella


in termini di una opportuna sequenza "regolare" di funzioni "buone"4
lim ∞
f n ( t ) x ( t ) dt
n →∞∫
fn(t), tale cioè che il limite esiste e vale
−∞

precisamente x(0). E' da questa proprietà che derivano la (10) e la (11). Due esempi di
sequenze siffatte, costituite dunque da funzioni ordinarie (in particolare prive di
discontinuità), sono i seguenti:
fn(t) = (n/π)1/2 exp(-nt2) ; gn(t) = sin(nt)/πt
Nessuna grandezza fisica, in realtà, può
assumere valore infinito. E' dunque evidente che la 1.493
1.5
n=7

funzione δ(t) rappresenta solo un modello per la f ( t , 1) 1

rappresentazione di segnali, comunque variabili, f ( t , 4)

f ( t , 7) 0.5
che però hanno durata brevissima e ampiezza n=1

grandissima (come quando si considera il teorema 0 0


2 0 2
dell'impulso in meccanica). Questo modello è − 2.5 t 2.5

estremamente utile ed efficace, non tanto per descrivere il segnale stesso, ma, sopratutto, per
studiare gli effetti che esso determina quando viene applicato a un sistema.

Quando in elettrostatica si parla di "carica puntiforme", in un punto Po, si utilizza implicitamente il


concetto di funzione delta: la carica puntiforme infatti una delta di densità di carica, nel cui argomento figurano
le tre coordinate spaziali (xo,yo,zo) del punto Po: δ(x-xo,y-yo,z-zo). Sebbene una densità di carica infinita non
abbia senso, il concetto di carica puntiforme si rivela utilissimo (per esempio per calcolare il potenziale in un
punto P diverso da Po).

L'integrale della δ(t) prende il nome di funzione gradino unitario (unit step function) e
si indica con la notazione u(t) (oppure 1(t) o δ-1(t)):

t 0 per t < 0
(12) u ( t ) = ∫ δ (τ )dτ =
−∞ 1 per t < 0

4
Per funzioni “buone” s’intendono quelle che sono derivabili dovunque un numero qualsiasi di volte e che,
quando il loro argomento x tende all’infinito, tendono a zero, assieme a tutte le loro derivate, più rapidamente di
|x|-n per qualsiasi n.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 11


Si tratta anche qui di una funzione generalizzata, che secondo la visione intuitiva
accennata prima, presenta una discontinuità all'origine, dove il suo valore non è definito. Un
gradino di ampiezza A, con discontinuità al tempo to, si indica con la notazione Au(t-to).

A
A u(t-to)

to
Anche la funzione gradino unitario, come la delta, può essere considerata come il
limite di una sequenza di opportune funzioni.

Mediante successive integrazioni si ottengono altre funzioni usate in elettronica: la


rampa unitaria r(t)= t u(t),
la parabola unitaria p(t) = ½
t² u(t), e così via.
Usando opportune
combinazioni di queste
funzioni si possono
rappresentare molti segnali
di interesse pratico. Per
esempio, un impulso
rettangolare di ampiezza
unitaria nell'intervallo fra t1
e t2, si indicherà con
x(t)=u(t-t1)-u(t-t2).

Esercizio. Rappresentare in termini di rampe e gradini un impulso trapezoidale di ampiezza A, che ha inizio al
tempo t1 e termina al tempo t4, assumendo valore costante (A) fra t2 e t3.

Le funzioni che abbiamo considerato ora rappresentano soltanto dei modelli dei
segnali reali. Infatti, non sono realizzabili nè impulsi di durata nulla e di ampiezza infinita, nè
segnali che impieghino un tempo nullo per portarsi da un livello a un altro (gradini ideali). In
particolare è ragionevole approssimare con una funzione delta un impulso reale, come quello
mostrato nella figura seguente, soltanto se la sua durata è significativamente inferiore al
tempo caratteristico di risposta del sistema a cui viene applicato per studiarne l'effetto (e allora
la risposta alla delta non differisce apprezzabilmente da quella all’impulso reale).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 12


Un impulso che duri 1 microsecondo, per esempio, è bene approssimabile con una
delta quando venga applicato a un amplificatore per audiofrequenze, ma non così se
costituisce l'ingresso a un amplificatore con banda passante più estesa, con tempi caratteristici
di risposta nella regione del µs o ancora più brevi. In quest'ultimo caso, sarà necessario
rappresentare con maggior dettaglio l'andamento temporale dell'impulso per determinare più
realisticamente il suo effetto.
Per caratterizzare un impulso reale x(t), XM
0,9
che abbia supporto temporale nell'intervallo t1, t2,
si usano vari parametri: l'ampiezza massima xM, 0,5 T
l'area
0,1
(13) | tr | | tf | t
t2
A = ∫ x ( t )dt
t1

la cosidetta "energia"5.
t2
(14) E = ∫ x 2 ( t )dt
t1

la durata T, definita come la distanza fra i due istanti dove il segnale assume valore pari alla
metà dell'ampiezza massima, e i due tempi di transizione. Questi sono il tempo di salita (rise
time) tr, definito come la distanza fra i due istanti in cui, nel fronte d'onda iniziale, il segnale
assume valore pari al 10% e al 90% del massimo6, e il tempo di discesa (fall time) tf, definito
allo stesso modo del precedente, ma per il fronte d'onda finale.
Le definizioni dei tempi di transizione date sopra sono dette "empiriche" perchè sono
rivolte a facilitare la misura di tali grandezze (per esempio, attraverso l'osservazione
all'oscilloscopio). Vedremo in seguito anche altre definizioni.

5
Le dimensioni fisiche di questa grandezza non sono, in generale, quelli di un’energia. Tuttavia, se il segnale
x(t) rappresenta una corrente elettrica (una tensione), la grandezza E ha lo stesso valore numerico dell’energia
dissipata in un resistore unitario attraversato dalla corrente (ai terminali del quale sia applicata la tensione).
6
Questa particolare convenzione ha lo scopo pratico di facilitare la misura dei tempi di transizione nelle
osservazioni all’oscilloscopio.

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I SISTEMI

7. Sistemi e modelli
Il temine sistema viene usato comunemente con uno spettro molto vasto di significati.
Noi lo useremo per indicare sia i sistemi fisici, naturali o artificiali, costituiti da un aggregato
di più elementi (o anche da un solo elemento), sia i modelli matematici che li rappresentano
formalmente. Il termine sistema può essere anche usato, a un livello ancora più astratto, per
indicare una relazione fra due funzioni del tempo, definita dall'operatore che, applicato alla
prima, fornisce la seconda7.
L'aspetto modellistico ha un ruolo essenziale nella trattazione dei sistemi: dei
molteplici aspetti di un dato sistema fisico, un modello permette infatti di evidenziare solo
quelli che hanno rilevanza rispetto a un determinato punto di vista. Ne consegue che, a
seconda dei casi, si potranno considerare per un medesimo sistema modelli anche assai diversi
fra loro. Nella modellizzazione dei sistemi, poi, l'economia ha un ruolo essenziale: non
soltanto occorre tener conto al meglio di tutti gli aspetti che si considerano importanti ai fini
che interessano, ma è opportuno limitarsi solo ad essi. Si cerca sempre, infatti, di arrivare a
una rappresentazione che sia, al tempo stesso, adeguatamente significativa ma anche
sufficientemente semplice.

Facciamo un esempio considerando un dispositivo, il resistore, che, solo in apparenza, si presenta come
semplicissimo e di ovvia rappresentazione. Il resistore può essere descritto in termini essenziali mediante la legge
di Ohm, se il punto di vista è puramente elettrico; dal punto di vista termico, d'altra parte, esso costituisce una
sorgente di calore e altri punti di vista ancora possono essere presi come base per la costruzione di altri modelli
del resistore (trave sospesa agli estremi, ...). Ciascuno di questi modelli, poi, può venire raffinato per rendere
meglio conto del comportamento del dispositivo: nel caso elettrico potremo tener conto della sua induttanza e
capacità parassita; nel caso termico, della sua capacità termica e della resistenza termica che incontra lo
smaltimento verso l'esterno del calore prodotto; e così via. Può anche essere necessario tenere conto
dell'interazione fra diversi punti di vista; per esempio, volendo tener conto della dipendenza dalla temperatura
della conducibilità elettrica del materiale che costituisce il resistore, occorrerà utilizzare un modello del
dispositivo che ne consideri, al tempo stesso, gli effetti elettrici e termici.

Il modello matematico di un sistema fisico è costituito da un insieme di variabili,


ciascuna delle quali rappresenta una determinata grandezza fisica del sistema, e da un insieme

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 14


di relazioni matematiche fra le variabili. Il modello stabilisce così in modo formale il
comportamento del sistema
A seconda dei casi, ci si può limitare a considerare le sole variabili di ingresso e di
uscita, attraverso le quali il sistema considerato interagisce con l'esterno, oppure anche
variabili interne al sistema stesso (alcune di queste, come vedremo, giocano un ruolo
importantissimo). Nei sistemi artificiali, costruiti per un determinato scopo, è generalmente
semplice stabilire quali variabili costituiscono gli ingressi e quali le uscite. Nei sistemi
naturali questo, invece, non è affatto ovvio; la scelta, tuttavia, è certamente guidata dagli
obiettivi specifici che ciò si prefigge nella costruzione del modello, oltre che dall'intuizione
fisica. Lo scopo, generalmente, è quello di giungere a una rappresentazione ingresso-uscita,
che permetta di esprimere le grandezze d'uscita del sistema come variabili dipendenti di
opportune relazioni espresse in termini di variabili indipendenti costituite dalle grandezze
d'ingresso.
Così procedendo, l'elaborazione compiuta dal sistema viene ad essere caratterizzata da
un insieme di operatori Γk, uno per ciascuna variabile d'uscita, che fanno corrispondere in
modo univoco gli andamenti temporali di ciascuna delle uscite yk(t) a quelli dell'insieme degli
ingressi xh(t). Nel caso di un solo ingresso e di una sola uscita si ha:
x(t) {Γ} y(t)

(15) y(t) = {Γ} x(t)

La natura di questi operatori dipende dalla natura dei modelli con cui si rappresentano
i sistemi. Il caso che considereremo più spesso è quello di operatori lineari integro-
differenziali.
Facciamo un esempio relativo ad un circuito
RLC serie, in cui assumiamo come ingresso l'intensità
i(t) della corrente che lo attraversa e come uscita la
tensione v(t) ai suoi terminali.
L'equazione del circuito è:

di (t ) 1 t
(16) L + R i (t ) + ∫ i (τ ) dτ = v(t )
dt C −∞

7 Non è affatto detto, in generale, che a un "sistema" descritto da un dato operatore corrisponda un sistema fisico
che realizzi tale operazione. La stessa considerazione, d'altronde, si applica anche al caso dei modelli dei sistemi
fisici.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 15


{Γ} =  L 
d 1 t
e si ha dunque + R + ∫ dτ 
 dt C −∞

Una prima distinzione fra i sistemi va fatta in relazione al tipo dei segnali in gioco:
analogici o digitali, a tempo continuo o a tempo discreto. Qualsiasi circuito elettrico è
evidentemente un sistema analogico; un calcolatore elettronico, d'altra parte, sebbene sia
anch'esso un sistema analogico, viene rappresentato assai più efficacemente come un sistema
digitale (generalmente, infatti, non ci interessa il dettaglio fine del comportamento dei suoi
circuiti, mentre ci interessano i segnali digitali che esso presenta in uscita, a determinati istanti
di tempo, in relazione agli ingressi digitali ad esso applicati).
Consideriamo ora alcune proprietà fondamentali dei sistemi che riguardano più
direttamente il loro comportamento, in relazione alla natura delle elaborazioni che essi
compiono sui segnali.

8. Sistemi statici e sistemi dinamici


Un sistema si dice statico (privo di memoria o istantaneo) quando le sue variabili
d'uscita, a qualsiasi istante, dipendono solo dai valori degli ingressi a quello stesso istante. Ciò
significa che le equazioni del sistema sono di tipo algebrico. Un sistema si dice invece
dinamico (dotato di memoria o non istantaneo) quando, a un istante qualsiasi, le sue variabili
d'uscita dipendono anche dai valori degli ingressi a tempi precedenti. Ciò significa che le
equazioni del sistema sono di tipo differenziale (oppure, nel caso dei sistemi a tempo discreto,
si tratta di equazioni alle differenze).
Questa distinzione si applica sia ai sistemi analogici che a quelli digitali: questi ultimi
sono spesso chiamati combinatori se statici, sequenziali se dinamici (una porta logica è un
elemento statico, un flip-flop un elemento dinamico). Il fatto fisico essenziale che distingue i
sistemi dinamici da quelli statici è la presenza di elementi immagazzinatori di energia
(condensatori, induttori, capacità termiche, masse, molle, ...), da cui consegue la capacità di
memorizzare informazioni.
In un sistema dinamico, la memoria del passato è associata proprio a questi elementi.
La conseguenza è che l'andamento temporale delle variabili interne e d'uscita di un sistema, a
partire da un dato istante, dipende solo dagli ingressi applicati a partire da quell'istante e
dall'insieme dei valori (a quello stesso istante) delle variabili associate agli elementi
immagazzinatori di energia. Questi valori, che costituiscono una sintesi essenziale dell'effetto
degli ingressi applicati da -∞ all'istante considerato, rappresentano l'insieme delle condizioni

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 16


iniziali per le equazioni differenziali (o alle differenze) del sistema. Per tale motivo esse sono
chiamate variabili di stato. L'insieme dei valori di queste variabili, a ciascun istante,
rappresenta lo stato del sistema. Per esempio, le variabili di stato del circuito RLC considerato
prima sono la tensione del condensatore e la corrente attraverso l'induttore.
L'elaborazione dinamica di un sistema riguarda solamente la dipendenza delle variabili
di stato dall'ingresso. L'uscita, infatti, dipende dallo stato (ed eventualmente anche
dall'ingresso) attraverso relazioni algebriche. Questa è la rappresentazione ingresso-stato-
uscita, che è schematizzata nella figura (dove lo stato è rappresentato con il vettore s(t), le cui
componenti sono le variabili di stato): il
blocco A è un sistema dinamico, il blocco B
A B
un sistema statico. x(t) y(t)
s(t)

Un caso importante è quello dei sistemi descritti da equazioni differenziali alle


derivate parziali, in cui ha interesse la distribuzione dell'energia nello spazio, oltre che il suo
andamento nel tempo. Questo è quanto riguarda, per esempio, le vibrazioni di una sbarra
metallica o il campo elettromagnetico in una cavità risonante. Qui il numero delle variabili di
stato è evidentemente infinito. Gli spostamenti dei punti della sbarra e le intensità dei campi
sono infatti funzioni delle coordinate spaziali, oltre che del tempo. Di solito è possibile
ricondurre questi problemi in termini di una molteplicità di equazioni differenziali ordinarie,
con la tecnica dello sviluppo in modi normali.

Assumere un modello statico significa ignorare gli effetti di inerzia (di varia natura) che sono peraltro
sempre presenti in un sistema fisico reale, ammettendo così che l'uscita risponda istantaneamente all'ingresso e,
in particolare, che la risposta a una eccitazione sinusoidale sia sempre la stessa, per qualunque frequenza, anche
se elevatissima. Sebbene ciò sia certamente sbagliato in linea di principio, è evidente l'utilità di un modello
statico per rappresentare i fenomeni in cui gli effetti d'inerzia siano trascurabili sulla scala dei tempi (o delle
frequenze) che interessa.

9. Sistemi lineari e sistemi nonlineari


Dal punto di vista formale, un sistema è lineare se tali sono le equazioni che ne
costituiscono il modello, altrimenti è nonlineare. Dal punto di vista fisico è più significativo
definire lineari i sistemi che verificano il principio di sovrapposizione degli effetti. Questo
principio stabilisce che in un sistema lineare, applicando al quale (separatamente) gli ingressi
x1(t) e x2(t) si ottengono rispettivamente le risposte y1(t) e y2(t), l'applicazione di una
combinazione lineare degli ingressi x(t)=ax1(t)+bx2(t) provoca la risposta y(t)=ay1(t)+by2(t)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 17


(per qualunque valore dei coefficienti a e b, e per qualunque coppia di segnali d'ingresso x1(t)
e x2(t)). Tutto ciò va considerato al netto dell'effetto delle condizioni iniziali: pertanto, prima
dell'applicazione dei vari ingressi, il sistema si deve trovare nello stato di riposo, cioè con
tutte le variabili di stato uguali a zero.
Il principio di sovrapposizione è evidentemente verificato dai sistemi descritti da
equazioni lineari. Esso presenta grande interesse anche dal punto di vista pratico dato che può
essere utilizzato come test sperimentale della linearità di un sistema.

Facciamo un esempio, per mostrare che la proporzionalità tra causa ed effetto (chiamata "omogeneità")
non è sufficiente a determinare la linearità di un sistema, perchè occorre che sia verificata anche l'”additività”,
richiesta appunto dal principio di sovrapposizione degli effetti. Consideriamo un circuito che, quando la variabile
d'ingresso attraversa lo zero, produce in uscita un impulso di ampiezza pari alla derivata dell'ingresso a
quell'istante. L'effetto è proporzionale alla causa sicchè il sistema è omogeneo; esso, però, non è additivo
(applicando all’ingresso la somma di due segnali, gli attraversamenti dello zero della somma si verificano a
istanti diversi rispetto a quelli di ciascun segnale) e quindi non è lineare.

L'importanza dei sistemi lineari è duplice: da un lato un gran numero di fenomeni


fisici è descritto da equazioni lineari e un modello lineare è dunque appropriato per i
dispositivi basati su questi effetti, dall'altro si tende ad usare modelli lineari anche per sistemi
che tali non sono, dal momento che la trattazione matematica dei sistemi nonlineari è
generalmente assai più complessa di quella dei sistemi lineari (per questi ultimi esistono
metodi di analisi che sono applicabili in generale, non così per i sistemi nonlineari).
D'altra parte, l'interesse per i sistemi nonlineari deriva da almeno tre motivi:
1) molti fenomeni fisici sono intrinsecamente nonlineari, in particolare quelli su cui si
basa il funzionamento di dispositivi elettronici assai importanti;
2) i sistemi fisici reali sono lineari solo in prima approssimazione; generalmente,
infatti, la linearità è verificata accuratamente solo su un intervallo limitato dei valori delle
variabili: quando questi diventano troppo piccoli entrano in gioco effetti di quantizzazione;
quando diventano troppo grandi, effetti di rottura;
3) l'elaborazione dei segnali richiede, in molti casi assai importanti, la disponibilità di
funzioni nonlineari, che si realizzano mediante appositi dispositivi e circuiti (raddrizzatori,
discriminatori, circuiti logici, ecc...).
A ciò si aggiunge l'interesse legato alla eccezionale varietà e ricchezza di
comportamenti dei sistemi nonlineari, nel quadro degli studi sulla dinamica nonlineare che
sono attualmente in vivace sviluppo, e anche l'ovvia considerazione che, sia pure da un punto

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 18


di vista puramente matematico, la classe dei sistemi nonlineari è straordinariamente più vasta
di quelli lineari.

Esempi di blocchi funzionali nonlineari usati in elettronica.

Qui non consideriamo i metodi che sono stati introdotti per l'analisi dei sistemi
nonlineari (in realtà solo per alcune particolari classi di tali sistemi). Accenniamo, invece, a
due metodi di linearizzazione dei sistemi nonlineari statici, che sono usati per ricondurne
l'analisi nel quadro di quelli lineari. Entrambi i metodi, ma sopratutto il primo, sono molto
usati nella trattazione dei dispositivi elettronici a semiconduttori.
Consideriamo un sistema descritto dalla relazione ingresso-uscita:

(17) y = f(x)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 19


che supponiamo derivabile, con derivata continua. Poichè si tratta di una relazione algebrica,
il sistema è considerato statico ed è allora possibile tracciarne8 la curva caratteristica, cioè
l'uscita in funzione dell'ingresso.

Il primo metodo, detto di linearizzazione per piccoli segnali, consiste nello sviluppare
in serie l'equazione (17) attorno a un determinato valore xo della variabile d'ingresso, che
stabilisce il punto di lavoro del sistema, allo scopo di individuare una relazione lineare fra le
variazioni delle due variabili x e y (anzichè fra le variabili stesse) rispetto ai valori (xo e yo)
corrispondenti al punto di lavoro.
Si ottiene così: y = f(xo) + (x-xo) [f’(x)]x=xo+ ...
da cui, trascurando gli altri termini dello sviluppo, si ottiene:

δ x x − xo
(18) = ≈ f ' ( x ) x= x
δ y y − yo o

dove l'approssimazione è tanto migliore quanto più piccole sono le variazioni dei segnali.
Questo metodo è applicabile anche quando una variabile d'uscita dipende da più
variabili d'ingresso x1, x2, ... . Qui il punto di lavoro è stabilito da un opportuno insieme di
valori x1o, x2o, ... La variazione dell'uscita rispetto al valore yo corrispondente al punto di
lavoro si esprime allora nella forma:

(19) δy ≈ f’x1 δx1 + f’x2 δx2 + ...

dove intervengono le derivate parziali della funzione, tutte calcolate nel punto di lavoro.

Il secondo metodo di linearizzazione consiste invece nell'approssimare la relazione


ingresso-uscita con una caratteristica lineare a tratti, cioè suddividendo il dominio della
funzione in intervalli in cui questa possa essere approssimata con un andamento lineare.
Fintanto che il segnale d'ingresso si mantiene entro uno di questi intervalli, il sistema si
comporta linearmente.
Applichiamo questi metodi di linearizzazione a un diodo a giunzione pn, descritto
dall'equazione i = a(e(v/b)-1), dove le variabili i e v sono l'intensità della corrente che attraversa
il diodo e la differenza di potenziale fra i suoi terminali; a e b sono due costanti. Assumiamo
come ingresso la tensione v e come uscita la corrente i.

8
Questo non è possible nel caso dei sistemi dinamici, perchè l'uscita a un dato istante non dipende soltanto
dall'ingresso allo stesso istante.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 20


Il primo metodo fornisce la relazione

δ i a vo / b io + a
= e =
δv b b

dove abbiamo indicato con i0 e v0 i valori delle variabili nel punto di lavoro. Notiamo che il
rapporto così ottenuto ha le dimensioni fisiche di una conduttanza; esso prende il nome di
conduttanza differenziale del diodo. Come mostra la figura, questo metodo consiste
nell'approssimare la curva caratteristica del dispositivo con la retta ad essa tangente nel punto
di lavoro.

Linearizzazione della curva


caratteristica di un diodo a
giunzione pn:
a) mediante la tangente nel
punto di lavoro;
b) con una approssimazione
lineare a tratti

Applicando il secondo metodo, scegliamo di suddividere l'asse v in due parti,


introducendo una tensione di soglia V*: nella prima parte (cioè per v<V*) la corrente i viene
considerata nulla; nella seconda (cioè per v>V* ) la corrente viene espressa dalla relazione
i = G (v-V*), dove la grandezza G rappresenta una conduttanza di valore opportuno. E'
evidente dall'esempio che la scelta del punto di soglia e, più in generale, la scelta del numero
di intervalli in cui suddividere l'asse della variabile d'ingresso è largamente arbitraria; in
pratica queste scelte saranno guidate da criteri di utilità pratica.

10. Sistemi stazionari e sistemi non stazionari


Un sistema si dice stazionario (invariante nel tempo o permanente) quando la sua
risposta a una eccitazione non dipende dal tempo a cui essa viene applicata: se l'ingresso x(t)
provoca la risposta y(t), allora l'ingresso x(t-T) causerà9 la risposta y(t-T), per qualsiasi
valore di T e per qualsiasi funzione x(t). Altrimenti si dice non stazionario (variabile nel
tempo).
I coefficienti che intervengono nelle equazioni di un sistema stazionario debbono
essere dunque indipendenti dal tempo, altrimenti il sistema non è stazionario. Un caso
particolare di sistemi non stazionari è quello dei sistemi probabilistici, in cui i coefficienti

9
Il sistema, all'atto dell'applicazione dei segnali x(t) e x(t-T), si deve trovare evidentemente nello stesso stato.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 21


delle equazioni variano con legge casuale e sono pertanto descritti in termini statistici.
Un criterio di approssimazione dei sistemi non stazionari in termini di sistemi
stazionari consiste nel supporre che le variazioni dei coefficienti avvengano molto lentamente,
cioè su una scala temporale assai più estesa di quella che riguarda gli andamenti dei segnali.
Si può allora suddividere l'asse dei tempi in più intervalli, in ciascuno dei quali i coefficienti
siano approssimativamente costanti.
Nel seguito ammetteremo sempre che l'ipotesi di stazionarietà sia verificata, salvo
contraria esplicita indicazione.

Esempio. Un problema di classificazione


Consideriamo il modulatore d'ampiezza, apparecchio usato nelle radiocomunicazioni per variare nel
tempo l'ampiezza di un'onda sinusoidale di alta frequenza (l'onda portante) secondo l'andamento di un segnale di
bassa frequenza (onda modulante) che si vuole trasmettere a distanza. L'uscita del modulatore è un'onda
modulata, che viene poi irradiata da un'antenna.
Chiamando m(t) il segnale modulante, che contiene l'informazione, e p(t) = cos ωpt l'onda portante,
l'uscita del modulatore è data dall'espressione:

y(t) = p(t) (1 + m(t)) = cos ωpt + m(t) cos ωpt

Si tratta, chiaramente, di un sistema statico, che si può classificare come nonlineare oppure come non
stazionario. Se l'onda portante p(t) viene considerata come un segnale d'ingresso, il sistema è evidentemente
nonlineare (e stazionario). Ma se l'onda portante non viene considerata come un ingresso e il suo effetto viene
rappresentato mediante un coefficiente variabile nel tempo (cos ωpt), il sistema allora è non stazionario (e
lineare).
Questi due diversi punti di vista sono rappresentati nei due schemi a blocchi qui sotto.

m(t) MODULATORE MODULATORE


D’AMPIEZZA D’AMPIEZZA
p(t) y(t) m(t) y(t)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 22


RISPOSTE CARATTERISTICHE

11. Risposta libera e risposta forzata


Consideriamo l'andamento temporale del segnale d'uscita y(t) di un sistema a partire
da un istante generico, che assumiamo come origine dell'asse dei tempi, senza perdita di
generalità. Se da t=0 in poi l'ingresso x(t) è nullo, l'uscita è determinata unicamente dallo stato
del sistema all'istante iniziale e prende il nome di risposta libera o evoluzione libera.
I sistemi fisici sono dotati generalmente di memoria finita: onnipresenti effetti di
dissipazione fanno sì che l'energia in essi immagazzinata subisca trasformazioni irreversibili e
venga dissipata. Ne consegue che la risposta libera tende a zero al tendere del tempo
all'infinito. In altre parole, tutte le variabili di stato vanno ad assumere valori trascurabili dopo
un tempo sufficientemente lungo durante il quale gli ingressi siano identicamente nulli.
Quando, invece, a t=0 il sistema si trova in riposo (stato zero) ed è soggetto a una
eccitazione x(t) (diversa da zero da t=0 in poi), l'uscita è determinata unicamente dall'ingresso
e prende il nome di risposta forzata.
Nel caso generale, cioè quando si applica l'eccitazione a un sistema che non si trova a
riposo, il segnale d'uscita dipende sia dall'eccitazione sia dallo stato al tempo t=0. In tal caso
se il sistema è lineare, e allora è verificato il principio di sovrapposizione degli effetti, la
risposta complessiva è costituita dalla somma dell'evoluzione libera e della risposta forzata.
La risposta di un sistema lineare, che al tempo t=0 si trova in uno stato determinato,
all'ingresso x(t) si può dunque esprimere nella forma:

(20) y(t) = yl(t) + yf(t)

dove yl(t) rappresenta l'evoluzione libera a partire dallo stato iniziale (a t=0) ed yf(t)
rappresenta la risposta forzata all'eccitazione x(t) applicata da t=0 in poi.
Si capisce, per quanto detto, che il ruolo dello stato iniziale è simile a quello
dell'eccitazione esterna, nel senso che concorrono entrambi a determinare l'andamento del
segnale d'uscita del sistema. Stato iniziale ed ingresso a partire dall'istante iniziale in poi
costituiscono assieme l'eccitazione generalizzata.

Nei sistemi a memoria finita, quando i segnali d'ingresso si estendono da un istante


iniziale all'infinito, con andamento costante o periodico, diventa significativo anche un altro

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 23


modo di decomporre la risposta complessiva y(t). In questo caso ai tempi lunghi, quando si
sono certamente esauriti sia l'evoluzione libera sia l'effetto della brusca applicazione del
segnale d'ingresso, la risposta assume un andamento caratteristico, costante o periodico, che
dipende solo dall'eccitazione e prende il nome di risposta forzata in regime permanente o
risposta permanente yp(t). Il segnale di uscita allora, sempre se nell’ipotesi di linearità del
sistema, si può allora decomporre come segue:

(21) y(t) = yp(t) + yt(t) per t > 0

dove il termine yt(t), chiamato


risposta transitoria, che si
ottiene sottraendo la risposta
permanente da quella totale, si
estende soltanto sul tempo finito
di memoria del sistema.

12. Risposta in regime permanente sinusoidale

Nello studio dei sistemi, in particolare di quelli lineari, presenta particolare interesse la
risposta in regime permanente a una eccitazione sinusoidale (che si suppone dunque applicata
a partire da t = -∞). Questa, infatti, proprio e soltanto nel caso dei sistemi lineari e stazionari,
è costituita ancora da una sinusoide della stessa frequenza di quella applicata in ingresso.

A una data frequenza, dunque, un sistema lineare e stazionario è completamente


caratterizzato dal valore del rapporto fra l'ampiezza della sinusoide d'uscita e di quella
d'ingresso, e dalla differenza fra la fase della sinusoide d'uscita e di quella d'ingresso. Al
variare della frequenza, poi, il rapporto d'ampiezza e la differenza di fase vengono a costituire
due funzioni reali della frequenza: la cosidetta risposta in frequenza (frequency response)
del sistema.

Esaminiamo brevemente come si determinano queste due funzioni, quando si conosca


l'equazione ingresso-uscita di un sistema, usando il metodo simbolico di C. P. Steinmetz.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 24


Rappresentiamo l'ingresso e l'uscita con le forme simboliche10:

(22) x(t) = X cos ωt ←→ X ejωt = X ejωt


y(t) = Y cos (ωt+φ) ←→ Y ej(ωt+φ) = Y ejωt

dove la generica grandezza simbolica è costituita dal prodotto di una corrispondente


grandezza complessa indipendente dal tempo (indicata con sottolineatura per evitare
ambiguità di simboli) per il fattore ejωt. Sostituendo le grandezze simboliche nell'equazione
differenziale del sistema ed eseguendo le necessarie operazioni di derivazione e integrazione,
si ottiene una equazione algebrica con variabili complesse; da questa si ricava il rapporto fra
le due grandezze simboliche, che coincide evidentemente con quello fra le grandezze
complesse Y e X:

Ye (
j ω t +ϕ )
Y
(23) H= =
Xe jωt X

Il rapporto H, che è un numero complesso, permette poi di calcolare Y e ϕ conoscendo


X, cioè di determinare compiutamente la sinusoide d'uscita alla frequenza angolare ω. Questo
rapporto dipende in generale dalla frequenza che si considera. Si dimostra facilmente che se i
coefficienti dell'equazione differenziale del sistema sono reali (sistemi fisici) allora H è una
funzione complessa di ω, ma una funzione reale di jω. Conviene dunque esplicitare questa
dipendenza nel simbolo del rapporto H, che pertanto indicheremo d'ora in poi con H(jω).
Questa funzione, chiamata funzione di trasferimento in regime permanente sinusoidale, si
può porre in generale nella forma polare oppure in quella rettangolare:

(24) H(jω) = |H(jω)| e jϕ(ω) = Re[H] + j Im[H]

dove spesso la fase di H(jω) si indica col simbolo /H(jω). Qui il modulo |H(jω)|, che
rappresenta il rapporto fra le ampiezze Y e X, e la fase ϕ(ω), che rappresenta lo sfasamento
della sinusoide d'uscita rispetto a quella d'ingresso, sono le due funzioni reali che
costituiscono la risposta in frequenza, chiamate rispettivamente caratteristica di ampiezza e
caratteristica di fase.

10
In questa rappresentazione i segnali si ottengono prendendo la parte reale delle corrispondenti grandezze
simboliche (si può, tuttavia, anche scegliere una diversa convenzione).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 25


Dalla caratteristica di fase si ricavano altre due grandezze: la prima è il ritardo della
sinusoide d'uscita rispetto a quella d'ingresso

(25) T(ω) = ϕ(ω) / ω

la seconda è il ritardo di gruppo

d ϕ (ω )
(25') Tg (ω ) =

cioè il ritardo subito da un pacchetto d'onda di frequenza angolare ω applicato all'ingresso del
sistema11.
Quando la funzione H(jω) esprime il rapporto fra la tensione e la corrente (simboliche)
ai morsetti di un circuito in regime sinusoidale permanente, essa prende il nome di impedenza
e si indica col simbolo Z:

(26) Z(jω) = R(ω) + j X(ω)

dove R(ω) si chiama resistenza, X(ω) reattanza. Quando H(jω) rappresenta il rapporto fra la
corrente e la tensione (simboliche) prende il nome di ammettenza e si indica col simbolo Y:

(27) Y(jω) = G(ω) + j B(ω)

dove G(ω) si chiama conduttanza, B(ω) suscettanza.


Facciamo un esempio, applicando il metodo simbolico al circuito RLC serie, già
considerato prima. Sostituendo v(t) e i(t) nell'equazione (16) con le grandezze simboliche
corrispondenti, V ejωt e I ejωt, e semplificando si ottiene
V = jωLI + RI + I / jωC
da cui l'ammettenza
I 1
Y ( jω ) = =
V jω L + R + 1 jω C

11
Consideriamo il segnale costituito dalla somma di due sinusoidi di ampiezza unitaria e frequenze angolari
ω − ∆ω, ω + ∆ω. Il battimento fra queste crea una serie di pacchetti d'onda con inviluppo 2cos ∆ωt. All'uscita del
sistema, l'inviluppo dei pacchetti d'onda è 2 cos(∆ωt+dφ(ω)/dt), cioè essi subiscono il ritardo dφ(ω)/dt.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 26


Di quest'ultima si ottengono il modulo e la fase:

1  ω L − 1 ωC 
Y ( jω ) = / Y ( jω ) = −arctang  
( ω L − 1 ωC )
2
+ R2  R

Si noti che |Y(jω)| presenta un massimo


per ω=ωo, dove ωo=(LC)-½. Alla stessa
frequenza, la derivata della fase è massima.
Nella figura sono rappresentati i grafici
dell'ammettenza in regime sinusoidale del
circuito RLC espressi in forma normalizzata,
cioè in termini del rapporto ω/ωo e del
parametro Q=ωoL/R, avendo scelto R = 1 Ω . Il
modulo è espresso in decibel. Si nota, per Q>1,
il fenomeno della risonanza.

Esprimere in decibel (dB) una grandezza reale x


significa trasformarla mediante la formula

(28) 20 log10(x)
Questa rappresentazione è molto usata in
elettronica per esprimere sia valori di ampiezza che,
sopratutto, rapporti di ampiezza, e questo per vari motivi.
In particolare, è molto più agevole tracciare i
grafici di grandezze espresse in decibel, quando esse
assumono valori che differiscono di molti ordini di
grandezza; inoltre, i rapporti di ampiezza determinati dal
modulo delle funzioni di trasferimento usuali si prestano bene a una rappresentazione approssimata (diagrammi
di Bode) del tipo lineare a tratti (cioè mediante spezzate) in funzione del logaritmo della frequenza. E' poi
evidente che il prodotto (il rapporto) di due grandezze espresse in decibel è dato semplicemente dalla somma
(dalla sottrazione) dei loro valori. Questo risulta assai comodo quando più sistemi lineari sono collegati in
cascata (l'uscita del primo costituisce l'ingresso del secondo, e così via) e si debba determinare la risposta
complessiva in regime sinusoidale permanente come prodotto delle risposte dei vari sistemi.
Come si è detto, la formula (28) si usa per esprimere in decibel valori di ampiezza o di rapporti di
ampiezza. Nel caso di una grandezza p che rappresenti il quadrato di una ampiezza, cioè sia proporzionale alla
potenza, oppure il rapporto fra quadrati di ampiezze, si usa invece la formula:

(28’) 10 log10(p)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 27


Il valore in decibel dato dalla (28') coincide evidentemente con quello dato dalla (28) se p = x².
Osserviamo che basta ricordare anche solo alcuni dati della tabella qui sotto per poter determinare a
mente, sia pure approssimativamente, il valore in decibel di qualsiasi numero.

x xdB x xdB
6
10 120 1 0
3
10 60 0,9 -0,9152.. ≈ -1
2
10 40 0,8 -1,938.. ≈ -2
10 20 1/√2 ≈ 0,707.. -3,010.. ≈ -3
9 19,08.. ≈ 19 0,5 -6,021.. ≈ -6
8 18,06.. ≈ 18 0,4 -7,959.. ≈ -8
10/√2=7,071.. 16,99.. ≈ 17 1/√10 ≈ 0,3162.. -10
5 13.98.. ≈ 14 0,2 -13,98.. ≈ -14
4 12,04.. ≈ 12 √2/10 ≈ 0,141.. -16,99.. ≈ -17
√10=3,162.. 10 0,1 -20
2 6,021.. ≈ 6 0,01 -40
-3
√2=1,414.. 3,010.. ≈ 3 10 -60
1 0 10-6 -120

L'andamento del modulo di H(jω) con la frequenza, cioè la caratteristica di ampiezza,


stabilisce le proprietà filtranti di un sistema. Sotto questo punto di vista, i sistemi si possono
comportare come passabasso, che trasmettono tutte le frequenze dalla continua fino a un
limite superiore; passabanda, che trasmettono solo le frequenze comprese in un intervallo;
passaalto, che trasmettono solo le frequenze oltre un limite inferiore, ed eliminabanda, che
trasmettono solo al di fuori di un dato intervallo. Una distinzione assai importante è poi quella
fra i sistemi che trasmettono
anche segnali costanti,
ovvero la componente
continua dei segnali, e quelli
che trasmettono solo segnali
variabili, ovvero la
componente variabile del
segnale (chiamata spesso,
anche se impropriamente,

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 28


"componente alternata"). I primi, detti anche sistemi in continua, hanno evidentemente
|H(j0)|≠0, mentre i secondi, detti sistemi in alternata, hanno H(j0)=0.

L'ammettenza del circuito RLC che abbiamo considerato prima è una funzione
continua della frequenza; di questa proprietà godono tutte le funzioni H(jω) dei sistemi che ci
interessano. Le bande di frequenza trasmesse non presentano pertanto limiti netti. I limiti delle
bande di frequenza vengono espressi di solito in termini di frequenze di taglio (cutoff
frequencies) che sono definite come quelle frequenze a cui il modulo della risposta si riduce a
1√2 = 0,707.. (cioè -3 dB) di quello nella banda trasmessa uniformemente (o del massimo in
banda), ossia la risposta in potenza si dimezza.

Esercizio. Determinare analiticamente le due frequenze di taglio, f1 ed f2, e la larghezza di banda f2-f1 per
l'ammettenza del circuito RLC considerato prima.

La risposta in frequenza di un sistema lineare può essere determinata


sperimentalmente12 eseguendo misure a più frequenze (di solito, a spaziatura uniforme su
scala logaritmica) nell'intervallo che interessa. In questo caso, ovviamente, il segnale
d'ingresso non è armonico puro, perchè viene applicato solo a partire da un certo istante. A
noi, d'altra parte, interessa la risposta permanente, sicchè dovremo attendere, per ciascuna
misura, l'esaurimento della fase transitoria iniziale, prima di registrare i valori del rapporto
delle ampiezze e dello sfasamento. La durata di questo intervallo è dominata dalla costante di
tempo più lunga del sistema in esame.

Ai sistemi nonlineari il concetto di risposta in frequenza non è applicabile, dal


momento che l'uscita corrispondente a un ingresso sinusoidale contiene sinusoidi di altre
frequenze, generalmente armoniche di quella d'ingresso (e la frequenza d’ingresso, in certi
casi particolari, può addirittura essere assente in uscita!).
Nel caso dei sistemi solo debolmente nonlineari la risposta in regime permanente
sinusoidale è costituita da una sinusoide distorta, che si può rappresentare come somma di una
sinusoide della stessa frequenza di quella d'ingresso e di varie armoniche di questa. Il rapporto
fra il valore efficace complessivo di queste ultime e quello della fondamentale è usato per
caratterizzare la distorsione d'ampiezza che si verifica in questi sistemi (un caso tipico è
quello di un amplificatore di potenza, vedi parte VII). Notiamo che questo rapporto dipende

12
La possibilità di ricostruire le caratteristiche di ampiezza e di fase interpolando i risultati sperimentali ottenuti
soltanto a un insieme di valori discreti della frequenza deriva dalla già menzionata proprietà di continuità di
queste funzioni.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 29


dal livello del segnale applicato: di solito (ma non sempre) la distorsione nonlineare aumenta,
prima debolmente e poi più fortemente, al crescere dell'ampiezza dell'ingresso.
Per questi sistemi il rapporto fra l'ampiezza della fondamentale in uscita e l'ampiezza
dell'ingresso non è costante, ma dipende dall'ampiezza dell'ingresso, perchè non vi è
proporzionalità fra causa ed effetto. Questo rapporto d'altra parte può essere usato per
caratterizzare la risposta in frequenza dei sistemi debolmente nonlineari. Si introduce così la
funzione descrittiva:

Y1 (ω , X )
(29) H d ( jω , X ) =
X (ω )

dove Y1(ω, X) indica l'ampiezza della fondamentale (o prima armonica) in uscita, X


l'ampiezza della sinusoide d'ingresso; questa funzione dipende sia dalla frequenza che
dall'ampiezza dell'eccitazione. La caratterizzazione in termini di funzione descrittiva è usata
anche per i sistemi statici, nel qual caso la funzione dipende solo dall'ampiezza e non dalla
frequenza.

Esercizio. Determinare analiticamente la funzione descrittiva di un limitatore simmetrico (Æ figura a pag.19).

13. Le risposte indici


Un'altra caratterizzazione dinamica dei sistemi, che è molto usata per la sua diretta
applicazione allo studio dei fenomeni transitori e che presenta assai maggiore generalità in
quanto applicabile (con opportune modifiche rispetto alla trattazione che segue) anche a
sistemi nonlineari e/o non stazionari), è costituita dalle cosidette risposte indici. Queste sono
la risposta all'impulso unitario e la risposta al gradino unitario.
La prima è la
risposta impulsiva
(impulse response), che
indicheremo con h(t); la
seconda è la risposta
indiciale o risposta al
gradino (step response), che indicheremo con hu(t). Nel caso dei sistemi lineari la risposta
indiciale è l'integrale della risposta impulsiva:
t
(30) hu ( t ) = ∫ h (τ )dτ
−∞

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 30


Infatti, se h(t) rappresenta la soluzione di un'equazione differenziale lineare con
termine noto δ(t), è evidente che la soluzione della stessa equazione con termine noto u(t),
cioè costituito dall'integrale di δ(t), coincide con l'integrale di h(t), espresso dalla (30).
Per il principio di causalità13 gli andamenti delle risposte indici sono identicamente
nulli per t<0. Per t che tende all'infinito, la risposta impulsiva (nei sistemi a memoria finita)
tende a zero, mentre la risposta indiciale tende a un valore finito nei sistemi che trasmettono la
componente continua dei segnali (H(j0)≠0), e tende a zero in quelli che trasmettono solo le
componenti variabili (H(j0)=0).

Il principio di causalità pone il vincolo h(t)=0 per t<0 per i sistemi fisicamente realizzabili. Questo
principio tuttavia non si applica ai sistemi usati per analizzare una sequenza temporale di dati, dopo che essa sia
stata registrata. Questo è il caso degli algoritmi che si applicano a dati registrati su nastro magnetico, mediante un
programma su calcolatore, avendo quindi a disposizione l'andamento sia passato che futuro del segnale. Un
esempio molto semplice è quello di un filtro a media mobile, che assegna all'uscita, a ciascun istante di tempo, il
valor medio dell'ingresso in un intervallo T centrato in t, eseguendo l’operazione:
1 t +T / 2
y (t ) = x (τ )dτ
T ∫t −T / 2

tale filtro ha risposta impulsiva: h(t) = [u(t+T/2) – u(t-T/2)]/T.


Nella risposta impulsiva del filtro a media mobile, come in quella di tutti i sistemi non realizzabili
fisicamente, si distinguono la parte causale (per t<0) e la parte anticausale (per t<0).

Sappiamo che l'uscita di un sistema statico a un dato istante dipende solo dal valore
dell'ingresso allo stesso istante. Si conclude pertanto che le risposte indici di un sistema
lineare statico14 coincidono, rispettivamente, con un una funzione delta e con una funzione a
gradino, aventi un medesimo coefficiente di ampiezza.
Il calcolo delle risposte indici di un sistema può essere eseguito risolvendone
l'equazione differenziale ingresso-uscita. Più spesso, in pratica, si preferisce usare il metodo
della trasformazione di Laplace, che conduce più agevolmente al risultato: di questo ci
occuperemo nella III parte del corso. Qui ci limitiamo a illustrare brevemente il calcolo delle
risposte indici attraverso la soluzione diretta dell'equazione, nel caso di un sistema descritto da

13
Tutti i sistemi fisici reali verificano evidentemente questo principio. La condizione che l’effetto segua e non
preceda la causa è chiamata anche condizione di “realizzabilità fisica”.
14
Nel caso dei sistemi nonlineari, le risposte indici usuali (a eccitazione unitaria) perdono significato; occorre
infatti usare funzioni indici dipendenti da due argomenti, il tempo e l'ampiezza dell'eccitazione. Anche nel caso
dei sistemi non stazionari (supposti lineari) occorre usare funzioni indici dipendenti da due argomenti: il tempo a
cui si considera la risposta e l'istante di applicazione del segnale di eccitazione).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 31


un'equazione differenziale del primo ordine: il circuito RC passabasso. I risultati che
otterremo sono del tutto
generali, perchè applicabili
a qualunque sistema, di
qualsiasi natura, che sia
descritto dalla stessa
equazione.
Indicando con x(t) la tensione d'ingresso e con y(t) quella d'uscita si ha:
1 t 1 t
x ( t ) = Ri ( t ) + i (τ )dτ y (t ) = i (τ )dτ
C ∫−∞ C ∫−∞
;

da cui l'equazione ingresso-uscita15, dove τ = RC indica la costante di tempo del circuito:

(31) x(t) = τ y’(t) + y(t)

Calcoliamo la risposta indiciale del sistema, assumendo quindi x(t)=u(t), con la


condizione iniziale y(0)=0. L'integrale generale dell'equazione omogenea associata alla (31) è
evidentemente yg(t)=Ae-t/τ. In questo caso semplice, poi, l'integrale particolare relativo al
termine noto si determina facilmente: yp(t)=1. Specializzando rispetto alla condizione iniziale
assegnata la soluzione complessiva y(t) = 1+ Ae-t/τ si ottiene A= -1. La risposta indiciale è
dunque:
(32) hu(t) = [1 - exp(-t/τ)] u(t)

Derivando rispetto al tempo si ottiene quindi la risposta impulsiva:


exp ( − t τ )
(33) h (t ) = u (t )
τ

Questa si poteva ottenere direttamente dall'equazione del sistema, specializzando la


soluzione dell'omogenea associata alla condizione iniziale ricavata integrando ambo i membri
della (31) fra 0- e 0+: τ (y(0+)-y(0-))=1, da cui A=1/τ.

Esercizio. Decomporre la (32) nei due termini che costituiscono la risposta transitoria e la risposta permanente.

15
In questo caso particolare l'equazione ingresso-uscita coincide con l'equazione ingresso-stato del sistema, dal
momento che l'uscita coincide con l'unica variabile di stato del sistema.

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14. Relazioni fra risposte indici e risposta in frequenza
Completiamo l'analisi del sistema descritto dalla (31) determinandone la risposta in
frequenza con il metodo simbolico. Sostituendo nella (31) le grandezze simboliche si ottiene:

1
(34) H ( jω ) =
1 + jωτ

1
(35) H ( jω ) = ; /H ( jω ) = −arctang (ωτ )
1 + ω 2τ 2

La forma della (34) (e della (35)) permette di verificare che si tratta effettivamente di
un sistema passabasso, in particolare con risposta unitaria a frequenza zero, in accordo col
fatto che il valore asintotico della risposta indiciale (32) è unitario. Uguagliando la (35) a
1/√2, si ottiene la frequenza limite superiore (frequenza di taglio) del sistema:

1 0,16
(36) f1 = ≈
2πτ τ

Nella risposta
indiciale di un sistema si
distinguono i seguenti
parametri caratteristici:
tempo di salita tr (già
definito trattando l'impulso
reale), ritardo (delay time)
td, definito dal tempo a cui
la risposta raggiunge il
50% del valore massimo
(o del valore asintotico ai
tempi lunghi) e tempo di assestamento (settling time) ts. Quest'ultimo rappresenta il tempo
(misurato dall'applicazione del gradino) a partire dal quale la risposta normalizzata si
mantiene definitamente entro la fascia 1-∆, 1+∆, per un valore prefissato16 di ∆.
A volte, come nel caso rappresentato nella figura, la risposta indiciale presenta un

16
La scelta di questo valore dipende dal caso che si considera. Per esempio, se il circuito costituisce il filtro che
precede un convertitore A/D, il valore di ∆ sarà ragionevolmente riferito all’ampiezza del quanto di conversione.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 33


picco isolato oppure una serie di oscillazioni smorzate. Si considerano allora anche altri
parametri: sovraelongazione (overshot) s, cioè ampiezza del picco o della prima oscillazione,
periodo T delle oscillazioni, ecc.
Applicando le definizioni precedenti alla risposta indiciale di un filtro RC (32) si
ottengono i seguenti risultati:

(37) tr = 2,1972... τ ≈ 2,2 τ


(38) td = 0,6931... τ ≈ 0,69 τ
(39) ts = 6,9078... τ ≈ 7,0 τ

avendo scelto ∆ = 10-3 nel calcolo del tempo di assestamento.


Sostituendo nella (37) l'espressione (36) della frequenza di taglio, che indichiamo qui
con B nel significato di banda passante, si ottiene la seguente relazione, assai importante e
utile, fra la la risposta nel dominio del tempo e quella nel dominio della frequenza:

(40) B tr = 0,3497... ≈ 0,35

Ricordiamo che tutti i risultati precedenti, dalla (32) alla (40), sono validi per qualsiasi
sistema descritto dall'equazione differenziale (31) e non soltanto per il circuito RC. Si può
dimostrare poi che i risultati (37), (38) e (40) sono validi con ottima approssimazione anche
per i sistemi passabanda che hanno ad alta frequenza lo stesso andamento dei sistemi
passabasso descritti dalla (34), purchè la loro frequenza limite inferiore sia molto minore della
frequenza limite superiore (questo si verifica di solito in molti amplificatori, per esempio in
quelli che coprono la banda audio oppure quella video). Infine, la relazione (40), che presenta
grandissima utilità pratica, risulta valida, sia pure approssimativamente, anche per una classe
più estesa di sistemi, descritti da equazioni differenziali di grado superiore al primo (di solito,
il prodotto B tr assume valori fra ~0,3 e ~0,45).
Le precedenti definizioni del tempo di salita tr e del ritardo td sono dette pratiche o
empiriche, perchè intese a facilitarne la determinazione sperimentale. Per queste stesse
grandezze si usano anche delle diverse definizioni, dette analitiche, che indicheremo con
simboli diversi per evitare ambiguità. Tali definizioni si applicano soltanto ai sistemi
passabasso, la cui risposta indiciale tende, ai tempi lunghi, a un valore asintotico costante non
nullo, purchè questa presenti un andamento monotono crescente (almeno
approssimativamente).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 34


Nelle definizioni analitiche interviene la risposta impulsiva normalizzata

hn(t) = h(t)/hu(∝)

cioè divisa per il valore asintotico della risposta indiciale (che rappresenta l'area della h(t)). Il
ritardo ρ e il tempo di salita σ e sono così definiti:


(41) ρ = ∫ thn ( t )dt
0


σ = 2π ∫ ( t − ρ ) hn ( t )dt
2
(42)
0

dove la costante 2π è stata scelta in modo che il tempo di salita σ coincida con il tempo di
salita tr nel caso particolare dei sistemi con risposta impulsiva Gaussiana. Svolgendo il
quadrato che figura nella (42) e utilizzando la (41) si ottiene:

σ = 2π  ∫ t 2 hn ( t )dt − ρ 2 

(43)
 0 

Applicando le definizioni analitiche al caso del sistema descritto dalla (31) si ottiene:

ρ =τ ; σ = 2π τ ≈ 2, 05066τ

Le definizioni precedenti si possono usare anche per caratterizzare il ritardo e il tempo


di salita di un generico segnale f(t) (che non costituisca, cioè, la risposta indiciale di un
sistema) rispetto a un istante di tempo di riferimento, purchè la funzione f(t) soddisfi le
condizioni date sopra (abbia andamento monotono crescente fra zero e un valore asintotico
non nullo). In questo caso si utilizzerà nelle formule la derivata normalizzata fn'(t) = f'(t)/f(∝)
della funzione f(t).

15. Calcolo della risposta a una eccitazione qualsiasi con le risposte indici
L’importanza delle funzioni indice sta nel fatto che esse consentono, sempre nel caso
dei soli sistemi lineari e stazionari, di calcolare la risposta forzata a una eccitazione di forma
qualsiasi.
Supponiamo che l'ingresso x(t) sia costituito dalla somma di tre impulsi rettangolari di

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 35


durata ε, come mostrato nella figura:
1 3
→ε ←
x(t) = x1(t) + x2(t) + x3(t). 0 1 2 3 4 t
-2
Questi impulsi, se ε è sufficientemente piccolo
rispetto ai tempi caratteristici del sistema a cui sono applicati, possono essere approssimati
con tre funzioni delta, nel senso che l'effetto di ciascuno di essi è approssimativamente uguale
all'effetto di una corrispondente funzione impulsiva:

x(t) ≈ ε δ(t) – 2 ε δ(t-1) + 3 ε δ(t-3)

Dal momento che, per l'ipotesi di stazionarietà, se la risposta a δ(t) è h(t) quella a δ(t-
T) sarà h(t-T), si conclude, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, che la risposta
di un sistema con risposta impulsiva h(t) all’eccitazione x(t) data sopra è:

y(t) ≈ ε h(t) - 2 ε h(t-1) + 3 ε h(t-3)

Esercizio. Tracciare il grafico del segnale d'uscita di un circuito RC passabasso con τ = 1 s, al quale è applicato
l'ingresso x(t) considerato sopra con ε = 0,25 s: a) ricavandolo in modo esatto, b) ricavandolo approssimando gli
impulsi mediante funzioni delta.

Supponiamo ora che x(t) sia un segnale di forma arbitraria. Suddividendo l'asse dei
tempi in intervalli di durata ∆τ, possiamo esprimere x(t) nella forma della somma seguente:

(44) x(t) = x1(t) + x2(t) + ...

dove ciascuna componente xk(t) coincide con x(t) nel corrispondente intervallo τk, τk+∆τ ed è
nulla altrove. Se ∆τ è sufficientemente piccolo, ciascuna componente elementare xk(t) può
essere approssimata con una funzione delta di area x(tk) ∆τ applicata al tempo tk, contribuendo
così alla risposta con il termine elementare corrispondente:

(45) yk(t) ≈ x(τk) h(t-τk) ∆τ

Sommando tutti questi contributi si ha:

(46) y(t) ≈ Σk yk(t) = Σk x(τk) h(t-τk) ∆τ

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 36


dove l'errore di approssimazione tende a zero quando ∆τ tende a zero. In tal caso la
sommatoria si trasforma nel seguente integrale, detto di convoluzione:

t
(47) y ( t ) = ∫ x (τ )h ( t − τ )dτ
0

dove il limite inferiore d'integrazione rappresenta l'istante t=0 a partire dal quale consideriamo
la risposta forzata del sistema (che si suppone trovarsi nello stato zero) e il limite superiore t è
fissato dal principio di causalità (l'uscita al tempo t non è influenzata dai valori dell'ingresso a
tempi successivi).
L'integrale di convoluzione (47) si scrive anche nella seguente forma equivalente:

t
(48) y ( t ) = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ
0

dove l'integrazione si svolge nello stesso intervallo di prima, ma secondo un asse diretto in
verso opposto al precedente: con l'origine τ=0 all’istante t e l'estremo superiore è τ=t, dove si
ha t-τ=0. Le due forme (47) e (48) dell'integrale di
convoluzione possono essere interpretate graficamente
come è mostrato nella figura.

In alto. Calcolo del contributo elementare dell'ingresso al tempo τ'


all'uscita al tempo t' con l'integrale di convoluzione (47)

In basso. Calcolo con l'integrale di convoluzione (48)

La parte in alto suggerisce un metodo grafico per la


valutazione approssimata della risposta y(t') all’istante
t', applicando la (46) ai campioni delle funzioni x(τ) e
h(t'-τ) che si trovano sulla stessa verticale.

Qualche considerazione sui limiti d'integrazione usati nelle due espressioni (47) e (48) dell'integrale di
convoluzione. Essi derivano dal fatto che abbiamo scelto di occuparci della risposta forzata, considerando quindi
soltanto gli effetti dell'ingresso a partire da un istante determinato (t=0) fino al tempo t al quale calcoliamo la
risposta (per l'ipotesi di causalità). Decidendo di calcolare l'effetto di un ingresso applicato a partire da un
generico istante to (che può anche assumere il valore to=-∝) scriveremo:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 37


t t − t0
(49) y ( t ) = ∫ x (τ )h ( t − τ )dτ = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ
t0 0

Nel caso dei sistemi non fisicamente realizzabili, come quelli usati per elaborare dati già registrati in
precedenza, cade il vincolo posto dalla causalità e si ha in generale:

∞ ∞
(50) y ( t ) = ∫ x (τ )h ( t − τ )dτ = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ
−∞ −∞

Notiamo infine che ad espressioni analoghe alle (47) e (48) si perviene anche decomponendo il segnale
d’ingresso in funzioni a gradino elementari, anzichè in funzioni impulsive. In tal caso l'ingresso viene
rappresentato dalla somma della funzione a gradino x(0)u(t) e di una sequenza di funzioni a gradino elementari,
applicate agli istanti tk, con coefficiente x(tk)-x(tk-∆τ). Ciascuna di queste contribuisce all'uscita y(t) con il
termine elementare (x(τk)-x(τk-1)) hu(t-τk) ∆τ.

16. Integrale di convoluzione e risposta impulsiva


L'integrale di convoluzione nella sua forma generale


(51) f (t ) = ∫ f1 (τ ) f 2 ( t − τ ) dτ
−∞

definisce un'operazione binaria fra due funzioni. Nell'insieme delle funzioni ordinarie non
esiste l'elemento identità per tale operazione, cioè una funzione f2(t) che introdotta nella (51)
dia f(t) = f1(t). Questo elemento esiste solo se estendiamo l'insieme delle funzioni considerate
a comprendere anche la funzione impulsiva δ(t), tale che, per qualsiasi funzione ordinaria f(t),
sia

(52) f (t ) = ∫ f (τ ) δ ( t − τ ) dτ
−∞

La (52) può essere assunta come definizione della funzione delta.

17. Risposta in frequenza e risposta impulsiva


Consideriamo un sistema lineare e stazionario, non necessariamente fisicamente realizzabile e quindi
con risposta impulsiva h(t) che può dunque assumere valori diversi da zero anche per t<0. Calcoliamone la
risposta al segnale armonico complesso x(t)=X exp(jωt) applicato a partire da -∝ utilizzando l'integrale di
convoluzione nella forma generale (50):

∞ ∞
(53) y ( t ) = X ∫ exp  jω ( t − τ )  h (τ ) dτ = X exp ( jω t ) ∫ exp ( − jωτ ) h (τ ) dτ
−∞ −∞

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 38


Sappiamo già, d'altra parte, che in questo caso si ha y(t)=X exp(jωt) H(jω). Si conclude pertanto che la
la funzione di trasferimento di un sistema coincide con la trasformata di Fourier della sua risposta impulsiva


(54) H ( jω ) = ∫ exp ( − jω t ) h ( t ) dt
−∞

18. Risposta impulsiva e stabilità


Studiando il sistema descritto dalla equazione (31) si è trovato che la risposta impulsiva altro
non è che una particolare specializzazione della risposta libera alle condizioni iniziali stabilite
a t=0+ dall'effetto di una funzione delta unitaria applicata all'ingresso. Questo risultato è
generale: la risposta impulsiva è costituita dai termini che compaiono nell'integrale generale
dell'equazione omogenea associata a quella del sistema. Nel caso dei sistemi differenziali
questi termini sono determinati dalle radici dell'equazione caratteristica. A ciascuna delle
radici distinte pi corrisponde un esponenziale, reale o complesso,

Ai exp(pit)

mentre in presenza di una radice p con molteplicità m la risposta contiene gli m termini

M0 exp(pt), M1 t exp(pt), ............ Mm-1 tm-1 exp(pt)

Ne consegue che l'andamento asintotico della risposta impulsiva per t che tende
all'infinito è comunque determinato dai termini esponenziali, più precisamente dal valore delle
radici reali, o delle parti reali delle eventuali radici complesse, dell'equazione caratteristica. Se
anche uno soltanto di questi è positivo, allora la risposta impulsiva diverge all'infinito,
indicando che il sistema è instabile. D'altra parte, perchè sia h(∝)=0 occorre che tutti questi
valori abbiano segno negativo.
Una condizione di stabilità usata spesso in elettronica è quella denominata stabilità
b.i.b.o. (bounded input-bounded output, ingresso limitato-uscita limitata). Questa condizione
di stabilità richiede che a un ingresso x(t) limitato corrisponda sempre un'uscita y(t) anch'essa
limitata. Più precisamente si richiede che valga la seguente condizione per qualsiasi ingresso
x(t):

se |x(t)| ≤ X per qualsiasi t, allora |y(t)| ≤ Y per X e Y finiti e per qualsiasi t

Questa particolare condizione di stabilità può essere espressa in termini della risposta
impulsiva ed equivale allora alla condizione di integrabilità assoluta di tale funzione:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 39



(55) I= ∫ h ( t ) dt < ∞
-∞

Infatti se la (55) è verificata, allora, per qualsiasi x(t) limitata, si ha

∞ ∞ ∞
y (t ) = ∫ x ( t − τ ) h (τ ) dτ ≤ ∫ x ( t − τ ) h (τ )dt ≤ X I∫ h (τ ) dt = X I
-∞ -∞ -∞

Oltre che condizione sufficiente, la (55) è anche necessaria. Scegliendo infatti h(t)=sin
ωot (corrispondente a una coppia di radici coniugate immaginarie) si ha evidentemente I=∞. E
allora se l'ingresso è x(t)=sin ωot si ha:

∞ ∞
y ( 0) = ∫ x (τ ) h ( −τ ) dτ = ∫ sin 2 (ω oτ ) dτ = ∞
-∞ -∞

19. Schemi a blocchi


In quanto precede abbiamo spesso rappresentato graficamente i sistemi mediante
schemi a blocchi. In questa rappresentazione, assai intuitiva, un sistema viene indicato con un
rettangolo, le variabili d'ingresso con frecce entranti nel rettangolo, le variabili d'uscita con
frecce uscenti; alllo stesso modo si indicano le varie parti, o sottosistemi, di sistemi complessi,
e le loro interconnessioni.
Gli schemi a blocchi sono molto usati perchè evidenziano efficacemente come i vari
sottosistemi sono collegati fra loro e perchè permettono di seguire il flusso dei segnali in un
sistema, individuando le elaborazioni compiute dai sottosistemi che essi attraversano. E'
importante osservare che la schematizzazione dei sistemi, e dei sottosistemi, in termini di
schemi a blocchi deriva evidentemente dalla loro rappresentazione mediante relazioni
ingresso-uscita.
Alla base della rappresentazione mediante schemi a blocchi vi sono però due ipotesi
semplificatrici, che non sono quasi mai verificate rigorosamente e che vogliamo qui
evidenziare.
La prima è che la trasmissione dei segnali attraverso i sistemi avvenga in modo
unilaterale, cioè soltanto dall'ingresso verso l'uscita e non viceversa; e cio’ non accade
certamente nel caso di reti passive, come ad esempio un partitore resistivo.
La seconda ipotesi è che un segnale non subisca alcuna modifica quando venga
applicato all'ingresso di un sistema. Si ammette, in particolare, che il segnale d'uscita di un

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 40


sistema resti inalterato anche quando venga a costituire l'ingresso di un altro sistema. Questo
può verificarsi soltanto approssimativamente, dal momento che il secondo sistema deve
comunque assorbire energia dal primo perchè avvenga il trasferimento dell'informazione.
L'approssimazione, d'altra parte, è tanto migliore quanto maggiore è il rapporto fra l'energia
disponibile all'uscita del primo sistema e quella assorbita all'ingresso del secondo. Nel caso
dei sistemi lineari e stazionari, per cui si può utilizzare il concetto di impedenza, questa
approssimazione è tanto migliore quanto maggiore è il rapporto fra l'impedenza d'ingresso del
secondo sistema e l'impedenza d'uscita del primo.

Entrambe le ipotesi precedenti non sono più necessarie quando i sistemi vengano rappresentati mediante
circuiti, ossia come interconnessione di una molteplicità di componenti elementari. Ciascun tipo di questi
elementi viene descritto da determinate equazioni, mentre altre equazioni descrivono come i vari elementi sono
collegati assieme. La rappresentazione circuitale, di cui ci occuperemo nelle parti seguenti del corso, tiene conto
infatti, in modo naturale e diretto, sia delle modifiche che il segnale all'uscita di un sistema subisce quando viene
applicato all'ingresso di un altro sistema, sia dell'eventuale flusso inverso dei segnali, dall'uscita verso l'ingresso.
Questo richiede però una maggiore complessità nella rappresentazione dei sistemi: nella descrizione circuitale,
infatti, all'ingresso e all'uscita dei sistemi, non è più sufficiente considerare una sola grandezza fisica, ma ne
occorrono due (tensione e corrente nei sistemi elettrici, forza e spostamento nei sistemi meccanici, temperatura e
quantità di calore nei sistemi termici, ecc.).

Qui vogliamo sottolineare una importantissima differenza nel comportamento dei


sistemi costituiti dal collegamento in cascata di due o più sottosistemi, a seconda che tutti i
sottosistemi costituenti siano lineari oppure uno (o più) di essi sia nonlineare, supponendo qui
che le due ipotesi precedenti (trasmissione unilaterale e interazione energetica trascurabile)
siano entrambe verificate.
Nel primo caso il sistema complessivo è lineare e gode della importante proprietà che
il suo comportamento ingresso-uscita è invariante rispetto all'ordine con cui i sottosistemi
vengono collegati. Questo si dimostra immediatamente nel caso della risposta in regime
sinusoidale permanente: la funzione di trasferimento complessiva è data evidentemente dal
prodotto delle funzioni dei sottosistemi costituenti, sicchè non dipende dall'ordine con cui essi
si susseguono.

In pratica, tuttavia, occorre spesso tener conto anche di altre considerazioni. Per esempio, è certamente
vero che la funzione di trasferimento del sistema ottenuto collegando in cascata un preamplificatore a basso
rumore e un amplificatore di potenza rimane la stessa anche quando si inverte l'ordine con cui si collegano i due
sottosistemi. Però le prestazioni delle due configurazioni saranno assai diverse sia per quanto riguarda il rumore
che la potenza disponibile in uscita.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 41


Nel secondo caso, invece, cioè quando anche un solo sottosistema è nonlineare, il
sistema complessivo è nonlineare a sua volta e il suo comportamento ingresso-uscita dipende
dalla disposizione dei sottosistemi (questa dipendenza può essere rilevantissima: si rifletta, per
esempio, al caso in cui il filtro di livellamento preceda, anzichè seguire, il circuito rettificatore
di un alimentatore).

Esercizio. Determinare l'equazione differenziale ingresso-uscita e la risposta in frequenza dei due sistemi nella
figura qui sotto, se i sottosistemi sono governati dalle seguenti equazioni, dove x indica l’ingresso e y l’uscita:
A y' = a y + b x
B y' = c y + d x
A B

B A

Esercizio. Calcolare la risposta a un inpulso rettangolare, con ampiezza di 10 V e durata di 100 ms, del sistema
costituito da un limitatore simmetrico (pag.19), con guadagno 2 nella zona lineare e livelli di limitazione in
uscita di 0,5 V, e da un circuito RC passabasso, con R=1 MΩ e C=1µF:
a) se il limitatore precede il filtro, b) se il filtro precede il limitatore.

20. Grafi di flusso


Una rappresentazione simile a quella degli schemi a blocchi stata formalizzata da
S.J.Mason nel 1953, col nome di grafi di flusso (signal flow graphs), per la rappresentazione
e l'analisi del flusso dei segnali attraverso i sistemi lineari. Un vantaggio di questo metodo che
esso è utilizzabile anche quando i sistemi sono rappresentati in termini circuitali.
In termini matematici, i grafi di flusso costituiscono un metodo per rappresentare
efficacemente e risolvere sistemi di equazioni algebriche lineari.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica – Parte I pag. 42


PARTE II

CIRCUITI ELETTRICI ED ELEMENTI IDEALI

1. Introduzione ai circuiti
I circuiti elettrici di cui ci occupiamo, e gli elementi che li costituiscono, vengono
caratterizzati in termini delle due seguenti grandezze fisiche, che indicheremo nel seguito
come grandezze elettriche:
- differenza di potenziale o tensione, una grandezza del tipo "agli estremi", che si
misura collegando uno strumento (voltmetro) tra due punti di un circuito;
- intensità di corrente elettrica o corrente, una grandezza del tipo "attraverso", che si
misura inserendo uno strumento (amperometro) in un punto del circuito.
Tensioni e correnti sono grandezze reali, in generale dipendenti dal tempo.

I circuiti sono costituiti dall'interconnessione di elementi idealizzati, che sono descritti


e definiti compiutamente dalle loro equazioni costitutive. Si considera un numero limitato di
tipi diversi di elementi, che costituiscono dei modelli degli elementi reali corrispondenti,
rappresentando, in modo sintetico, il comportamento fisico essenziale di ciascuno di essi.
Per esempio, in ciascuno dei tre elementi passivi fondamentali (R, C, L) si evidenzia e
si considera solo uno specifico effetto fisico, fra quelli descritti dalle equazioni di Maxwell.
Nel resistore, si considera solo la relazione fra densità di corrente e campo elettrico in una
regione di conducibilità elettrica γ finita (trascurando le correnti di spostamento e gli effetti di
induzione magnetica come se si avesse ε=0, µ=0); nel condensatore, solo la relazione fra
campo elettrico e corrente di spostamento in una regione di permeabilità elettrica ε finita
(come se si avesse γ=0, µ=0); nell'induttore, solo il fenomeno dell'autoinduzione in una zona
di permeabilità magnetica µ finita (come se fosse ε=0, γ=0)1.

1
Dal momento che, in realtà, µ ed ε hanno sempre valore finito, si può anche dire che nel resistore ideale si
considerano trascurabili l'energia magnetica e quella elettrostatica rispetto a quella dissipata per effetto Joule; nel
condensatore ideale si considerano trascurabili l'energia magnetica e quella dissipata per effetto Joule rispetto
all'energia elettrostatica; nell'induttore ideale ...

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 1


Per rendere conto del comportamento effettivo degli elementi reali di circuito si
possono, naturalmente, usare modelli più complessi, come vedremo fra breve, che però sono
sempre ottenuti collegando assieme degli elementi ideali. Per esempio, per rappresentare
l'effetto dell'autoinduzione in un resistore reale, si userà il modello costituito da un resistore
ideale e da un induttore ideale disposti in serie.

I vari elementi di circuito interagiscono fra loro solo in termini di tensioni e correnti,
cioè soltanto attraverso i conduttori metallici che li interconnettono, supposti a loro volta
ideali, nel senso di conduttori perfetti e privi inoltre di effetti capacitivi, induttivi e di
irraggiamento. Quanto detto significa che i campi elettrici e magnetici, da cui dipende il
funzionamento degli elementi di circuito, si suppongono strettamente confinati all'interno
degli elementi stessi. Notiamo anzi, a questo proposito, che non vi alcun elemento di circuito
che rappresenti il fenomeno dell'irraggiamento.
L'insieme delle interconnessioni tra gli elementi che costituiscono un circuito è
descritto, a sua volta, da altre equazioni, dette equazioni topologiche. Queste non dipendono
dalla natura degli elementi in gioco, ma solo dalla "topologia" dello schema di collegamento.
Le equazioni complete dei circuiti, infine, si ottengono combinando le equazioni costitutive
degli elementi con quelle topologiche che ne descrivono le interconnessioni (parte III).

Gli elementi dei circuiti sono di due tipi: a costanti distribuite e a costanti
concentrate. In questi ultimi non ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia, sicchè
essi si considerano puntiformi, privi di dimensioni fisiche. Il loro comportamento è descritto
da equazioni costitutive che sono equazioni differenziali alle derivate totali. Negli elementi a
costanti distribuite, invece, ha importanza la distribuzione spaziale dell'energia al loro interno,
sicchè non possiamo trascurarne le dimensioni (e la forma). Fra questi elementi, che sono
descritti da equazioni differenziali a derivate parziali (per tener conto delle dipendenze
spaziali, oltre che temporali, delle grandezze elettriche), rientrano le linee di trasmissione, che
considereremo in un'altra parte del corso.
Qui ci occupiamo solo dei circuiti usuali, costituiti da elementi a costanti concentrate.
Sottoliniamo che in questi circuiti l'ipotesi costanti concentrate assume un duplice significato:
quello già detto a proposito degli elementi che li costituiscono e quello relativo ai conduttori
di collegamento, ciascuno dei quali viene supposto equipotenziale a ogni istante di tempo. Per
la validità di quest’ultima ipotesi, che non sempre è verificata in pratica, occorre dunque che
le dimensioni del circuito siano sufficientemente piccole, rispetto alla lunghezza d'onda λ dei

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 2


segnali, in modo da poter trascurare i ritardi di propagazione. In altre parole, occorre che i
tempi di propagazione siano così brevi da essere trascurabili sulla scala dei tempi che ci
interessano. La dimensione L più estesa di un circuito a costanti concentrate in cui vi siano
segnali di frequenza massima fM dovrà dunque soddisfare la condizione:

(1) L << λmin = c / fM

dove c è la velocità della luce (ricordiamo che a 1 MHz la lunghezza d'onda nel vuoto è di 300
m; a 1 GHz di 30 cm). Per esempio, un circuito a microonde che lavori a 10 GHz e che si
estenda su 10 cm non è certamente rappresentabile come un circuito a costanti concentrate (e
allora potrà essere analizzato utilizzando la teoria delle linee di trasmissione oppure
risolvendo le equazioni del campo elettromagnetico).

2. I bipoli
I più semplici elementi di circuito sono i bipoli, cioè gli elementi dotati di due
terminali. Essi sono completamente caratterizzati dalla corrente i(t) che li attraversa e dalla
tensione v(t) che vi è fra i loro terminali2. Queste due grandezze sono legate da un'equazione
costitutiva, la cui forma è caratteristica del particolare tipo di bipolo:

(2) v(t) = {z(t)} i(t) ; i(t) = {y(t)} v(t)

dove {z(t)} e {y(t)} sono generalmente operatori integrodifferenziali, con {y}={z}-1. Queste
relazioni sono però valide soltanto per bipoli che non comprendono al loro interno dei
generatori. Altrimenti si ha:

(2a) v(t) = {z(t)} i(t) + vo(t) ; i(t) = {y(t)} v(t) + io(t)

I versi della corrente e della tensione possono essere assegnati arbitrariamente, ma di


solito vengono scelti coordinati in modo tale che il loro prodotto rappresenti la potenza
elettrica assorbita dal bipolo:
p(t) = v(t) i(t) i(t)

+ v(t) -
2
Non ha senso, in generale, chiedersi quale delle due grandezze elettriche rappresenti la causa e quale l'effetto.
Solo se il bipolo collegato a un generatore ideale di tensione, è la tensione che va intesa come causa, mentre la
corrente costituisce l'effetto (l'opposto, se l'elemento collegato a un generatore ideale di corrente). Altrimenti non
è possibile, e non ha senso, individuare a priori la causa (tensione o corrente) per determinare poi l'effetto
risultante (corrente o tensione).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 3


Prima di discuterli in dettaglio, è fisicamente significativo distinguere i vari tipi di
bipoli a seconda del loro comportamento energetico. Si può avere, più precisamente:
a) trasferimento irreversibile di energia (il bipolo assorbe energia elettrica dissipandola
poi in calore), che esce dal circuito definitivamente, come nel caso di un resistore;
b) trasferimento reversibile vincolato di energia (il bipolo assorbe energia dal resto del
circuito, a cui può restituirla; l'energia che esso possiede a ogni istante è ben definita e non
può mai diventare negativa), come nel caso di un condensatore;
c) trasferimento reversibile non vincolato di energia (il bipolo cede o assorbe energia
senza vincoli, cioè si comporta come un accumulatore di capacità infinita) fra il circuito e
un'altra struttura fisica, come nel caso di una pila reversibile.
Notiamo infine che in un circuito costituito da N bipoli la somma delle potenze
elettriche assorbite da ciascuno di essi è nulla a ogni istante

(3) Σk vk(t) ik(t) = 0


stabilendo così una relazione di ortogonalità fra il vettore costituito dalle tensioni e quello
costituito dalle correnti. La (3) è una conseguenza del principio di conservazione dell'energia:
ad ogni istante l'energia (con segno positivo secondo la nostra convenzione) assorbita da una
parte dei bipoli è esattamente uguale a quella (negativa) fornita dagli altri, dal momento che i
conduttori di collegamento sono supposti perfetti.

3. Le leggi di Kirchhoff
Le tensioni e le correnti di qualsiasi circuito debbono soddisfare le due leggi di
Kirchhoff, che nella teoria dei circuiti vengono assunte come postulati (è ben noto, d'altra
parte, che queste leggi derivano dalle equazioni di Maxwell).
La prima di esse, chiamata legge delle correnti (in inglese KCL) stabilisce che, a
qualsiasi istante di tempo, la corrente totale attraverso una qualsiasi superficie chiusa è nulla,
esprimendo così la conservazione della carica elettrica. Se la superficie chiusa viene fatta
passare attraverso i terminali degli elementi del circuito, si scriverà:
Σk ik(t) = 0
dove la sommatoria è estesa a tutte le correnti ik(t) che attraversano la superficie, per esempio
assegnando verso positivo alle correnti uscenti, negativo a quelle entranti. Se la superficie
considerata racchiude soltanto un bipolo, si conclude che la corrente che entra in un terminale
è uguale a quella che esce dall'altro.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 4


La seconda legge di Kirchhoff, o legge delle tensioni (in inglese KVL), stabilisce che,
a qualsiasi istante di tempo, la somma algebrica delle differenze di potenziale fra i terminali
degli elementi che costituiscono un circuito chiuso è nulla3:

(5) Σk vk(t) = 0

Per applicare questa legge, partiamo da un nodo del circuito e individuiamo un circuito
chiuso, costituito da una catena di k elementi collegati fra loro che ci riporti al punto di
partenza, e gli assegnamo un verso di percorrenza, arbitrariamente. Il segno da attribuire alle
tensioni vk degli elementi, che sommeremo assieme nella (5), sarà positivo per quelle concordi
col verso di percorrenza del circuito chiuso, negativo per le altre.

Esempio di applicazione delle leggi di Kirchhoff


KCL: -i1-i2+i4+i6=0
KVL: (vA-vB)+(vB-vC)+(vC-vA)=0
cioè: v2+v4-v5=0

E' chiaro che, generalmente, ciascuna delle due leggi può essere applicata più volte a
un dato circuito, ottenendo così più relazioni fre le grandezze elettriche; anticipiamo qui che
un punto chiave degli sviluppi successivi sarà quello di individuare, di queste relazioni, un
numero minimo, ma sufficiente a caratterizzare completamente il circuito.
Un'altra, essenziale, osservazione: le leggi di Kirchhoff sono costituite da equazioni
algebriche lineari omogenee nelle grandezze elettriche e non dipendono dalla natura fisica
degli elementi del circuito, ma solo dal loro numero e da come essi sono collegati, cioè
soltanto dalla "topologia del circuito".

E' interessante notare che la relazione (3), che avevamo stabilito in base al principio di conservazione
dell'energia, può essere dedotta direttamente dalle leggi di Kirchhoff, cioè senza richiedere considerazioni
energetiche. Consideriamo un circuito costituito da bipoli. Siano vk' e ik' le grandezze elettriche associate al
bipolo generico in una generica situazione (per esempio a un certo istante), tutte evidentemente compatibili con
le leggi di Kirchhoff. Siano vk" e ik" le stesse grandezze in un'altra situazione (per esempio a un altro istante). Si
dimostra che è sempre valida la seguente relazione, che prende il nome di teorema di Tellegen:

(6) Σk vk' ik" = 0

3
Questa legge esprime la conservatività del campo elettrico all'esterno degli elementi induttivi e dei generatori
di tensione, tenendo presente che le tensioni ai terminali di questi elementi sono determinate da opportune forze
elettromotrici e ricordando che i campi magnetici si suppongono confinati all'interno degli elementi induttivi.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 5


A questo risultato si arriva esprimendo nella (6) le tensioni fra le coppie dei morsetti dei bipoli come differenze
fra le tensioni dei due morsetti rispetto a un riferimento comune: vk = vk+ - vk-; e poi applicando la legge delle
correnti alle superfici chiuse che intersecano i bipoli collegati ai due morsetti di ciascuno degli elementi del
circuito. Per il morsetto generico, e quindi per tutti i morsetti, si ha allora Σi=0, per qualsiasi situazione elettrica
(in particolare Σi"=0), da cui segue la (6). Dalla (6), nel caso particolare vk"=vk' e ik"=ik', si riottiene la (3).

4. Elementi a più terminali, reti a due porte


Negli elementi che possiedono più di due terminali, chiamati multipolari, le leggi di
Kirchhoff stabiliscono dei vincoli fra le correnti e le tensioni. E' evidente che per un elemento
a n terminali sarà sufficiente conoscere le n-1 correnti che scorrono in n-1 terminali per
determinare univocamente la corrente nell'n-esimo, che si assumerà come "riferimento"
comune. Discorso analogo vale per le tensioni, quando se ne conoscano n-1 rispetto al
terminale comune, perchè allora saranno perfettamente individuate anche le differenze di
potenziale fra tutte le possibili coppie di terminali.
Anche qui conviene scegliere i versi delle tensioni e delle correnti in modo coordinato:
positive tutte le correnti entranti negli n-1 terminali diversi da quello di riferimento; positive
tutte le tensioni rispetto a quest'ultimo.
Certi elementi multipolari possiedono particolari coppie di terminali, che godono della
proprietà che la corrente che entra in un terminale è uguale a quella che esce dall'altro. In tal
caso la coppia di terminali prende il nome di porta. E qui notiamo che qualsiasi bipolo,
evidentemente, è una rete a una porta.
I quadrupoli che godono della proprietà anzidetta prendono il nome di reti due porte
o doppi bipoli: il numero totale delle grandezze elettriche che li caratterizza è quattro (anzichè
sei come nel caso di un quadrupolo generico). Qualsiasi quadrupolo, d'altra parte, può essere
sempre rappresentato come una rete a tre porte; un n-polo, come una rete a n-1 porte.

Il concetto di porta presenta particolare interesse ai fini della caratterizzazione esterna


di un circuito. Diventa così
possibile, infatti, rappresentare
sinteticamente (in termini delle
sole relazioni fra le grandezze
elettriche alle porte) circuiti
comunque complessi, che in tal
modo possono essere considerati come elementi funzionali che costituiscono a loro volta i
componenti di sistemi più complessi. In particolare, un circuito comunque complesso che sia

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 6


collegato ad altri elementi solo attraverso due dei suoi terminali, può essere rappresentato
molto semplicemente come una rete a una porta, cioè un bipolo.

PROPRIETA' GENERALI DEGLI ELEMENTI E DEI CIRCUITI

Per quanto riguarda le proprietà generali degli elementi e dei circuiti, che sono
evidentemente sistemi analogici a tempo continuo, rimandiamo a quanto detto nella prima
parte del corso. Ricordiamo in particolare le proprietà di stazionarietà (invarianza temporale) e
di linearità, che supponiamo possedute da tutti gli elementi e circuiti che consideriamo in
questa parte. Notiamo peraltro che le leggi generali di Kirchhoff (4) e (5), come pure la
conservazione dell'energia (3), sono valide comunque, anche per circuiti nonlineari e/o non
stazionari.
Accenniamo ora a due proprietà, passività e reciprocità, che hanno particolare interesse nei
circuiti.

5. Passività
Un bipolo si dice passivo se l'energia da esso assorbita dal tempo -∞ a un generico
istante t è non negativa, a qualunque circuito esso venga collegato:

t t
(7) ∫ p (τ ) dτ = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ ≥ 0
−∞ −∞

Ciò significa, in altre parole, che un bipolo passivo non è in grado di fornire energia a un
circuito esterno (a parte quella eventualmente assorbita e immagazzinata al suo interno).
Altrimenti il bipolo si dice attivo.
La stessa definizione può essere estesa a una rete a più terminali e in particolare a una
a più porte; in quest'ultimo caso la potenza p(t) sarà espressa dalla sommatoria dei prodotti
v(t)i(t) relativi alle porte del circuito (con l'avvertenza che i versi delle grandezze elettriche
siano definiti nel modo coordinato detto prima). Notiamo infine che è passivo solo un circuito
che sia costituito unicamente da elementi passivi.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 7


Una importante condizione di passività di una rete è che la parte reale dell’impedenza
(dell’ammettenza), fra due terminali qualsiasi della rete, sia positiva per qualsiasi frequenza.

Supponiamo che la tensione applicata da un generatore esterno a una porta di una rete sia v(t) = V cos(Ωt+ϕv) =
Re[V ejΩt], dove V=V ejϕv e V=|V|. La corrente che scorre nella porta in regime sinusoidale permanente sarà
evidentemente: i(t) = I cos(Ωt+ϕi) = Re[I ejΩt], dove I=I ejϕi e I=|I|. La potenza istantanea assorbita dalla rete è
allora: p(t) = v(t) i(t) = VI (Ωt+ϕv) cos(Ωt+ϕi) = ½ VI cos(ϕv - ϕi) + ½ VI cos(2Ωt+ϕv + ϕi)
Dato che il valor medio del secondo termine a destra è nullo, la potenza media assorbita in regime sinusoidale è:
Pm = ½ VI cos(ϕv - ϕi); in termini di valori efficaci si ha la formula di Galileo Ferraris Pm = Veff Ieff cos(ϕv - ϕi).
Si nota che l'argomento ϕv - ϕi è uguale all'angolo di fase dell'impedenza Z(jω) della rete alla frequenza angolare
Ω. Inoltre, dato che Z(jΩ) = V / I = (V/I) exp(j(ϕv - ϕi)), Y(jΩ)=1/Z(jΩ), si può esprimere la potenza media nelle
due forme seguenti:

Pm = ½ I2 Re[Z(jΩ)] = ½ V2 Re[Y(jΩ)]

Se una rete a una porta è passiva, la potenza media assorbita da essa deve essere non negativa a qualsiasi
frequenza, e allora, per quanto sopra, sia l'impedenza che l'ammettenza della rete devono avere parte reale non
negativa a qualsiasi frequenza, cioè deve essere:

(7a) Re[Z(jω)] ≥ 0 ; Re[Y(jΩ)] ≥ 0 per qualsiasi ω

D'altra parte, se vi è una frequenza a cui la (7a) non è verificata, allora la rete è attiva.

Notiamo infine che per quanto riguarda la potenza istantanea assorbita da una rete non vale
evidentemente il principio di sovrapposizione degli effetti. Questo è, invece, verificato per quanto riguarda la
potenza media nel caso di un circuito in regime permanente sinusoidale, quando l'ingresso sia costituito dalla
somma di più sinusoidi a frequenze diverse. La dimostrazione è basata sull'ortogonalità fra sinusoidi di frequenza
diversa.

6. Reciprocità
La reciprocità è una proprietà che stabilisce delle relazioni fra gli effetti di eccitazioni
applicate in punti diversi di un circuito.
Consideriamo una rete costituita da bipoli e da elementi a più porte, riconducibile
quindi a una rete di bipoli. Se in serie a un bipolo h disponiamo un generatore di tensione
vo(t), nel bipolo k scorrerà una corrente corrispondente, che indichiamo con ikh(t) (questa
corrente, per la linearità del circuito, si somma a quella determinata dalle altre eventuali
eccitazioni del circuito, di cui qui non ci occupiamo). Disponendo lo stesso generatore in serie
al bipolo k, nel bipolo h scorrerà la corrispondente corrente ihk(t).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 8


Allo stesso modo, se colleghiamo un generatore di corrente io(t) fra una coppia H di
terminali dei bipoli del circuito, fra la coppia K si stabilirà la tensione vKH(t) (anche qui, in
aggiunta a quella determinata da eventuali altre eccitazioni). Disponendo lo stesso generatore
in parallelo alla coppia di terminali K, fra la coppia H si stabilirà la tensione vHK(t).
Diciamo che il circuito o l'elemento è reciproco se

(8) ihk(t) = ikh(t) ; vHK(t) = vKH(t)

per tutte le coppie h e k di bipoli, e per tutte le coppie H e K di terminali del circuito.
Da quanto sopra consegue che in un circuito reciproco possibile scambiare fra loro di
posto un generatore di tensione (di corrente) e un amperometro (un voltmetro) senza che si
modifichi l'indicazione dello strumento. Il significato della reciprocità può essere dunque
interpretato così: l'effetto non si modifica se scambiamo fra loro la posizione della causa con
quella dell'effetto.
Chiariamo quanto detto con
1 2 3 1 2 3
l'esempio illustrato nella figura,
vo + i13 vo +
i31
relativo a una rete costituita da tre - -

resistori. Disponendo il generatore vo in serie al bipolo 1, nel bipolo 3 scorre la corrente i31.
Disponendo vo in serie al bipolo 3, nel bipolo 1 scorre la corrente i13. Si dimostra facilmente
che i31=i13, qualunque siano i valori dei tre resistori.

Notiamo che la reciprocità è una proprietà diversa dalla passività. Sebbene la quasi
totalità degli elementi passivi e delle reti passive da essi costituite goda della proprietà di
reciprocità, vi sono alcuni esempi di elementi reali passivi non reciproci (dispositivi a
microonde costituiti da strutture contenenti ferriti, dispositivi a effetto Hall). Si dimostra,
d'altra parte, che una rete costituita da bipoli passivi lineari stazionari è sempre reciproca.
Diverso è il caso delle reti contenenti elementi attivi, in particolare generatori
controllati, che sono certamente non reciproche; è evidente, per esempio, che l'effetto della
tensione d'ingresso di un amplificatore sulla corrente d'uscita è totalmente diverso da quello
della stessa tensione, applicata in uscita, sulla corrente d'ingresso del circuito.

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ELEMENTI IDEALI DEI CIRCUITI
ELEMENTI BIPOLARI

7. Resistore
Il resistore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:

(9) v(t) = R i(t) ovvero i(t) = G v(t)

dove G=1/R; la costante reale R, chiamata resistenza, si misura in ohm (Ω); la costante reale
G, chiamata conduttanza, si misura in siemens (S). Se la costante
R è positiva si ha il resistore passivo, che costituisce un ottimo
modello dei resistori reali; se è negativa, si ha il resistore attivo4;
i(t)
se è nulla, l'elemento degenera in un cortocircuito.
Dato che la (9) è un'equazione algebrica, il resistore è un dispositivo statico, privo di
memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le forme d'onda della
corrente e della tensione sono identiche, a parte il fattore di scala stabilito dalla (9).
In regime sinusoidale permanente l'impedenza del resistore è reale e indipendente dalla
frequenza:

(10) Z(jω) = R

sicchè la fase della corrente coincide con quella della tensione.


La funzione del resistore positivo è quella di puro assorbitore di energia. Quando viene
attraversato da una corrente i(t), esso assorbe, dissipandola in calore (effetto Joule), l'energia

t t
(11) E ( t ) = R ∫ i 2 (τ ) dτ = G ∫ v 2 (τ ) dτ
0 0

Si dimostra facilmente che disponendo in serie dei resistori Rk essi si comportano


come un unico resistore di resistenza R = Σk Rk. Analogamente, disponendo in parallelo dei
resistori di conduttanza Gk, essi si comportano come un unico resistore di conduttanza G = Σk
Gk. L'applicazione ripetuta delle due regole precedenti permette spesso di semplificare
l'analisi dei circuiti.

4
Questo costituisce un modello sia di vari dispositivi fisici (per esempio il diodo tunnel), sia di particolari
circuiti comprendenti elementi attivi.

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8. Condensatore
Il condensatore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:

dv ( t ) 1 t
i (t ) = C v (t ) = i (τ ) dτ + v ( 0 )
C ∫0
(12) ovvero
dt

dove la costante reale C, chiamata capacità, si misura in farad (F); v(0)


rappresenta la tensione del condensatore al tempo t=0. Se la costante C
è positiva si ha il condensatore passivo, che costituisce un buon
modello dei condensatori reali; se è negativa, si ha il condensatore
attivo5; se è nulla, l'elemento degenera in un circuito aperto.
La (12) è un'equazione differenziale (integrale) e pertanto il condensatore è un
dispositivo dinamico, dotato di memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili
nel tempo, le forme d'onda della corrente e della tensione sono diverse. Si nota, in particolare,
che l'andamento della corrente è soggetto a variazioni più rapide di quello della tensione (che
ne costituisce l'integrale). Si nota anche che se la tensione è costante, la corrente è nulla: nei
circuiti in continua, pertanto, un condensatore si comporta come un circuito aperto.
In regime sinusoidale permanente l'impedenza del condensatore è immaginaria e
inversamente proporzionale alla frequenza:

(13) Z(jω) = 1 / jωC

Si conclude dalla (13) che la fase della corrente è in anticipo di π/2 rispetto a quella della
tensione.
E' molto importante osservare che nessun condensatore reale ubbidisce effettivamente
alla (12), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (13) quando si
considerino frequenze sufficientemente basse. Infatti qualsiasi condensatore reale è
inevitabilmente soggetto a fenomeni di autoscarica a causa di vari effetti fisici, che si
manifestano in modo evidente quando l'elemento si trova a circuito aperto.
Introducendo nella (12) la carica elettrica q posseduta dal condensatore, si ottiene la
seguente relazione di proporzionalità diretta6 fra carica e tensione:

5
Questo costituisce un modello di particolari circuiti comprendenti elementi attivi.
6
Ciò significa che se avessimo definito come grandezze elettriche fondamentali la tensione e la carica, il
condensatore sarebbe un elemento statico (con questa definizione, d'altra parte, il resistore risulterebbe dotato di
memoria).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 11


t
q ( t ) = ∫ i (τ ) dτ = Cv ( t )
−∞

La funzione del condensatore positivo è quella di puro immagazzinatore di energia.


Questo elemento, collegato a un circuito, può infatti assorbire oppure cedere energia, col
vincolo però che l'energia ceduta sia minore o uguale a quella immagazzinata nell'elemento
(trasferimento vincolato di energia). L'energia immagazzinata in un condensatore a un dato
istante t dipende solo dalla tensione v(t) a quello stesso istante:

t t dv (τ ) C v2 (t )
(14) E ( t ) = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ = C ∫ v (τ ) dτ =
0 0 dτ 2

che rappresenta dunque lo stato dell'elemento.


La disposizione in serie di più condensatori equivale a un unico condensatore di
capacità pari all'inverso della somma degli inversi delle capacità di questi; la disposizione in
parallelo, a un condensatore di capacità pari alla somma delle capacità.
Un caso particolare interessante è quello dei circuiti costituiti esclusivamente da
condensatori. Le relazioni fra le tensioni che si stabiliscono in questi circuiti sono infatti di
natura algebrica e non differenziale. Un esempio semplicissimo è quello del partitore
capacitivo mostrato nella figura. Supponendo che le tensioni v1 e v2 siano determinate
dall'applicazione di un generatore ideale di tensione quando i
condensatori C1 e C2 si trovano nello stato di riposo, si ha:
C1
v2 ( t ) = v1 ( t )
C1 + C2

9. Induttore
L'induttore ideale è descritto dall'equazione costitutiva:

di ( t ) 1 t
v (t ) = L i (t ) = v (τ ) dτ + i ( 0 )
L ∫0
(15) ovvero
dt

dove la costante reale L, chiamata induttanza, si misura in henry (H);


i(0) rappresenta la corrente nell'induttore al tempo t=0. Se la costante
L è positiva si ha l'induttore passivo, che costituisce un modello per

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 12


gli induttori reali7; se è negativa, si ha l'induttore attivo (di interesse pratico trascurabile); se è
nulla, l'elemento degenera in un cortocircuito.
La (15) è un'equazione differenziale (integrale) e pertanto l'induttore è un dispositivo
dinamico, dotato di memoria; la conseguenza è che, nel caso di segnali variabili nel tempo, le
forme d'onda della corrente e della tensione sono diverse. Si nota, in particolare, che
l'andamento della tensione è soggetto a variazioni più rapide di quello della corrente (che ne
costituisce l'integrale). Si nota anche che se la corrente è costante, la tensione è nulla: nei
circuiti in continua, pertanto, un induttore si comporta come cortocircuito.
In regime sinusoidale permanente l'impedenza dell'induttore è immaginaria e
direttamente proporzionale alla frequenza:

(16) Z(jω) = jωL

Si conclude dalla (16) che la fase della corrente è in ritardo di π/2 rispetto a quella della
tensione.
E' importante osservare che nessun induttore reale (neanche gli induttori
superconduttori che presentano caratteristiche molto prossime a quelle ideali) ubbidisce
effettivamente alla (15), quando si considerino tempi sufficientemente lunghi, nè alla (16)
quando si considerino frequenze sufficientemente basse. Qualsiasi induttore è infatti
inevitabilmente soggetto a fenomeni di autoscarica a causa di vari di effetti fisici, che si
manifestano in modo particolarmente evidente quando l'elemento si trova in cortocircuito.
Introducendo nella (15) il flusso magnetico Φ(t) prodotto dalla corrente i(t) quando
attraversa l'induttore, si ottiene una relazione di proporzionalità diretta fra flusso e corrente:

t
Φ ( t ) = ∫ v (τ ) dτ = Li ( t )
−∞

La funzione dell'induttore positivo è quella di puro immagazzinatore di energia, con


comportamento energetico simile a quello del condensatore (trasferimento vincolato di
energia). L'energia immagazzinata in un induttore a un dato istante t dipende solo dalla
corrente i(t) a quello stesso istante:

t t di (τ ) L i2 (t )
(17) E ( t ) = ∫ v (τ ) i (τ ) dτ = L ∫ i (τ ) dτ =
0 0 dτ 2

7
Con l'eccezione degli induttori superconduttori, il comportamento degli induttori reali, realizzabili in pratica,
differisce da quello ideale ancor più che nel caso dei condensatori reali.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 13


che rappresenta dunque lo stato dell'elemento.
La disposizione in serie di più induttori equivale a un unico induttore di induttanza
pari alla somma delle induttanze di questi; la disposizione in parallelo, a un induttore di
induttanza pari all'inverso della somma degli inversi delle induttanze.
Anche nel caso dei circuiti costituiti esclusivamente da induttori si trovano relazioni di
natura algebrica e non differenziale, fra le correnti e i flussi magnetici. Ma si tratta di circuiti
di limitato interesse pratico.

10. Circuiti equivalenti dei bipoli passivi reali


I resistori sono disponibili con una gamma di valori che si estendono dai milliohm ai
teraohm (1 T = 1012); i valori delle serie più comuni sono compresi fra 10 Ω e 22 MΩ. I
resistori sono costruiti in vari modi: avvolgendo un filo conduttore su un supporto isolante
(resistori a filo), depositando un sottile strato di metallo o di altro materiale conduttore su un
supporto isolante (resistori a strato metallico e a strato di carbone), pressando ad alta
temperatura una miscela di carbone, legante e sostanze isolanti (resistori a impasto o a
composizione).
Qui occorre ricordare che in un conduttore metallico percorso da una corrente
variabile la distribuzione della corrente non è uniforme nella sua sezione, ma si addensa verso
la periferia (effetto pelle o effetto Kelvin) a causa delle correnti parassite autoindotte nel
metallo. Nel caso di una corrente alternata, la resistenza del conduttore aumenta dunque al
crescere della frequenza. Se questa è sufficientemente elevata, la corrente scorre quasi
esclusivamente nella periferia del conduttore, in uno straterello con spessore dell'ordine di
(µγω)-½, dove γ è la conducibilità elettrica. In queste condizioni, la resistenza di un conduttore
metallico cilindrico di diametro d e lunghezza l, è data dalla seguente formula di Lord Kelvin:

1 µω
(18) R (ω ) =
πd 2γ

Nel modello di un resistore reale, per tener conto dell'effetto di autoinduzione (che è
particolarmente rilevante nei resistori a filo, assai meno in quelli a composizione) si dispone
un induttore di valore opportuno in serie al resistore ideale; per tener conto delle capacità

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 14


parassite (fra cui, inevitabile, quella tra i
terminali), si dispone un condensatore
in parallelo al resistore ideale.
Circuito equivalente di un Circuito equivalente di un
resistore reale (a impasto) resistore reale (a filo)
Al crescere della frequenza, l'andamento
dell'impedenza è prima resistivo, poi induttivo oppure capacitivo (a seconda della struttura
dell'elemento) sino a che si verificano anche fenomeni di risonanza.

Esercizio 1. Tracciare i diagrammi del modulo dell'impedenza in funzione della frequenza per i due circuiti
equivalenti mostrati nella figura, assumendo in entrambi R=1000 Ω e C=1pF, nel primo L=1 µH, nel secondo
L=0.1 µH.
Esercizio 2. Individuare una geometria atta a minimizzare l’induttanza parassita di un resistore realizzato
usando un filo metallico di lunghezza data.

Nei resistori a impasto e in quelli a carbone di altissimo valore, oltre alle capacità
parassite fra i terminali (e fra l'elemento e massa), intervengono anche le capacità distribuite
interne fra le particelle conduttrici, separate da materiale isolante, che li costituiscono.
L'azione di queste capacità fa sì che il valore della resistenza diminuisca al crescere della
frequenza8: questo fenomeno è chiamato effetto Boella.
Anche i condensatori sono disponibili su una estesa gamma di valori, dal picofarad al
farad; nelle serie più comuni i valori sono compresi fra qualche pF e qualche centinaio di µF.
Le tecnologie realizzative sono molto varie, anche perchè si usa un'ampia varietà di geometrie
e di materiali dielettrici: aria, mica, materiali plastici, materiali ceramici. I valori maggiori di
capacità si ottengono nei condensatori realizzati con un procedimento elettrolitico (questi
ultimi, a differenza degli altri, hanno polarità definita), fra cui i cosidetti “supercondensatori”,
utilizzati in applicazioni di potenza, con capacità anche di alcuni farad.
Gli effetti dissipativi che si verificano nei conduttori (incluse le armature) si
rappresentano disponendo un resistore in serie al condensatore ideale; quelli che si verificano
nel dielettrico, disponendo un resistore in parallelo al condensatore ideale. L'autoinduzione,
infine, si rappresenta disponendo un induttore in serie
all'elemento ideale.

Circuito equivalente di un condensatore reale

8
Tipicamente, in un resistore da 1 MΩ l'effetto Boella si manifesta poco oltre 100 kHz; in un resistore da 10 GΩ
ad appena 1 kHz.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 15


Alle frequenze più basse un condensatore rappresentato dal modello in figura si
comporta come un resistore di altissimo valore. Poi c'è un'ampia regione di comportamento
capacitivo. Intervengono quindi effetti di risonanza e a frequenze ancora superiori l'elemento
reale si comporta come un induttore.
Nella maggior parte dei condensatori la carica elettrica non viene immagazzinata solo
sulle armature, ma anche, in piccola parte, nel dielettrico stesso, per un effetto chiamato di
assorbimento dielettrico9 (dielectric absorption, soaking). L'assorbimento e il rilascio delle
cariche nel dielettrico sono processi assai lenti, che vengono rappresentati con lo schema
equivalente di Dow: accanto alla capacità direttamente accessibile ai morsetti, vi è una
molteplicità di "capacità remote" collegate all'ingresso attraverso resistori di valore elevato.

a) modello di Dow per rappresentare il


fenomeno dell'assorbimento dielettrico
b) modello semplificato di un
condensatore in Mylar da 1 µF

Gli induttori sono disponibili con valori tipicamente compresi fra i microhenry e gli
henry. Una distinzione importante è fra quelli avvolti in aria (o su un supporto isolante) e
quelli avvolti su un nucleo di materiale ferromagnetico (che permette di ottenere induttanza
più elevata). Questi ultimi possono manifestare effetti nonlineari, dato che la caratteristica
flusso magnetico-corrente presenta sia saturazione che isteresi.
Gli effetti dissipativi che si verificano negli induttori si rappresentano disponendo un
resistore in serie all'induttore ideale; quelli che si verificano nell'eventuale nucleo
ferromagnetico (correnti parassite), disponendo un resistore in parallelo all'induttore ideale.
Le capacità parassite, infine, si rappresentano (in prima approssimazione, dato che si tratta di
capacità distribuite fra le spire) disponendo un condensatore in
parallelo.
Circuito equivalente di un induttore reale

Gli induttori reali sono soggetti a fenomeni di accoppiamento magnetico con l'esterno,
che sono particolarmenti rilevante nei dispositivi che non sono avvolti su un nucleo
ferromagnetico chiuso: non è trascurabile, in generale, nè il campo magnetico prodotto da un

9
Per osservare questo fenomeno basta caricare un condensatore, poi scaricarlo, cortocircuitandolo, e quindi
misurare la tensione ai suoi terminali con un voltmetro avente alta resistenza d'ingresso.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 16


induttore al suo esterno nè l'induzione prodotta nell'elemento stesso da un campo variabile
esterno10.
Negli elementi reali, in generale, i vari effetti parassiti sono via via più rilevanti
passando dai resistori (che meglio verificano il comportamento del modello idealizzato), ai
condensatori e poi agli induttori (che sono gli elementi passivi reali con comportamento più
lontano da quello dell'elemento ideale corrispondente). Generalmente, i parametri che
rappresentano effetti parassiti che dipendono solo dalla geometria dei dispositivi reali (per
esempio, le capacità elettrostatiche) sono costanti, indipendenti dalla frequenza. Altri
parametri, invece, presentano una sensibile dipendenza dalla frequenza (per esempio, quelli
che rappresentano le dissipazioni associate alla polarizzazione di un dielettrico oppure dovute
all'effetto pelle).

11. Rappresentazione delle dissipazioni degli elementi reattivi reali


Negli induttori e nei condensatori si usa spesso un solo parametro equivalente per
rappresentare globalmente tutti gli effetti dissipativi: una resistenza Rs disposta in serie
all'elemento ideale, chiamata resistenza serie equivalente (ESR, equivalent series resistance),
oppure una resistenza Rp disposta in parallelo. Queste grandezze si misurano, o si calcolano,
come parte reale dell’impedenza o dell’ammettenza dell’elemento reale. Esse hanno
generalmente valori dipendenti dalla frequenza.
Per lo stesso scopo si usa anche un parametro adimensionale, chiamato fattore di
merito (o fattore di qualità) Q, che è definito, a ciascuna frequenza, dal rapporto fra il modulo
della reattanza dell'elemento e la resistenza serie equivalente oppure, che è lo stesso, fra il
modulo della suscettanza B dell'elemento e l'inverso Gp della sua resistenza equivalente
parallelo:

X B
(19) Q= =
Rs Gp

Il fattore di merito ha un significato fisico diretto: essa esprime il rapporto, moltiplicato per
2π, fra l'energia massima immagazzinata dall'elemento reattivo e l'energia dissipata in un

10
Per minimizzare gli inconvenienti dovuti al fenomeno, gli induttori si possono schermare, ma questo
procedimento riduce l’induttanza (effetto prossimità) e introduce dissipazioni addizionali (per minimizzare
l’accoppiamento fra due bobine cilindriche, conviene disporle con gli assi perpendicolari fra loro). D'altra parte,
se si vogliono rappresentare in un circuito gli effetti dell'accoppiamento magnetico fra due induttori, si utilizza
un apposito elemento a due porte: gli induttori accoppiati.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 17


periodo, quando l'elemento reale si trova in regime sinusoidale permanente alla frequenza
considerata.
Per un induttore e per un condensatore si ha rispettivamente:

ωL Rp 1
(20) Q= = ; Q= = ω CR p
RS ωL ω CRS

Ma nel caso dei condensatori le dissipazioni si caratterizzano di solito con la grandezza


tangδ = 1/Q.
Il valori del fattore di merito sono generalmente compresi tra 100 e 10000 per i
condensatori, mentre superano difficilmente qualche centinaio per gli induttori. Questa
grandezza dipende dalla frequenza, ma la sua dipendenza è di solito più debole di quella che
presentano le resistenze equivalenti Rs ed Rp.
Nel caso particolare dei circuiti che presentano il fenomeno della risonanza (sia serie
che parallelo) il fattore di merito, di solito, viene specificato alla frequenza di risonanza. In tal
caso la reattanza che si considera nella (19) è quella della sola parte induttiva del circuito (o di
quella capacitiva, dato che sono uguali), mentre la resistenza Rs è data dalla somma delle
resistenze serie equivalenti dei due elementi reattivi.

Esercizio 1. Si consideri il modello di un condensatore reale, costituito da un resistore R1 in serie alla capacità C
e da un resistore R2 in parallelo ad essa, dove C, R1 e R2 sono grandezze indipendenti dalla frequenza. Ricavare
l'espressione dell'impedenza del circuito e individuarne la resistenza serie equivalente e la capacità equivalente.
Determinare i limiti per ω→0 e per ω→∞ dell'impedenza, della resistenza serie equivalente e della capacità
equivalente. Ricavare l'espressione della grandezza tangδ in funzione di ω e tracciarne un grafico. Esprimere
questa grandezza in funzione di tangδ1 (R1≠0, R2=∞) e di tangδ2 (R1=0, R2<∞).

Esercizio 2. Misurando con un ponte il fattore di merito tangδ di un condensatore da 10 nF a varie frequenze si
sono ottenuti i valori riportati nella tabella.

frequenza (kHz) 0.1 0.2 1 2 10 20 100


-4
tangδ (10 ) 11 5 1.2 0.8 2.2 4.1 21
Supponendo costante con la frequenza la capacità equivalente del condensatore, determinare, alle
frequenze considerate, i valori della resistenza serie equivalente e della resistenza parallelo equivalente. Usando
questi risultati, individuare un modello del condensatore con parametri indipendenti dalla frequenza.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 18


12. Generatori indipendenti ideali
I generatori indipendenti sono i bipoli che permettono di intervenire dall'esterno su un
circuito elettrico. Sono elementi attivi, che non dissipano nè accumulano energia, ma la
scambiano in modo reversibile e senza vincoli con un sistema fisico esterno (che non è
rappresentato nel circuito). Una pila, per esempio, scambia energia in modo, idealmente,
reversibile fra il circuito elettrico e un sistema elettrochimico.

Il generatore indipendente ideale di tensione è descritto dall'equazione costitutiva:

(21) v(t) = vo(t) per i(t) arbitraria

Esso impone dunque ai suoi terminali la tensione vo(t), con legge prestabilita,
indipendentemente dalla corrente che lo attraversa, e quindi dal circuito a cui esso è collegato.
Dipende invece dal circuito il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono
essere qualsiasi. Se vo(t)=0, l'elemento è disattivato e degenera in un cortocircuito11. Il
generatore indipendente ideale di tensione costituisce un buon modello di molti generatori
elettrici reali (pile, accumulatori, dinamo, alternatori, ecc.).

Simboli grafici dei generatori indipendenti ideali. La


convenzione dei segni usata di solito è opposta a quella
coordinata, in modo che il prodotto v(t) i(t) rappresenti la
potenza erogata da questi elementi.

Il generatore indipendente ideale di corrente è descritto dall'equazione costitutiva:

(22) i(t) = io(t) per v(t) arbitraria

Esso è dunque attraversato dalla corrente io(t), con legge prestabilita, indipendentemente dalla
tensione ai suoi morsetti, e quindi dal circuito a cui esso collegato. Dipende, invece, dal
circuito esterno il valore e il segno della potenza che esso fornisce, che possono essere
qualsiasi. Se io(t)=0, l'elemento è disattivato e degenera in un circuito aperto11. Il generatore
indipendente ideale di corrente costituisce un modello di vari circuiti contenenti elementi
attivi reali.

11
Si potrebbe, in alternativa, considerare il cortocircuito come un particolare generatore di tensione caratterizzato
da vo(t)=0 e, allo stesso modo, considerare il circuito aperto come un particolare generatore di corrente
caratterizzato da io(t)=0. Questi elementi sono, però, passivi.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 19


Le definizioni degli elementi ideali date sopra conducono a varie incongruenze. Per
esempio: quale tensione si stabilisce ai terminali di due generatori di tensione disposti in
parallelo? quale corrente attraversa due generatori di corrente disposti in serie? Per risolvere
tali incongruenze occorre fare riferimento a modelli più realistici, basati sul comportamento
fisico dei dispositivi reali di cui i generatori controllati costituiscono i modelli idealizzati. Nel
caso dei generatori di tensione si deve tener conto della resistenza, o dell'impedenza, interna
che è disposta in serie all'elemento ideale; nel caso dei generatori di corrente, invece, si deve
tener conto della conduttanza, o dell'ammettenza, interna che è disposta in parallelo
all'elemento ideale. E allora i modelli dei generatori
reali sono quelli mostrati nelle figure a fianco.
Collegando in cortocircuito i due generatori
reali così ottenuti, la corrente che scorre fra i loro
terminali è, nei due casi:

i(t) = {zo(t)}-1 vo(t) ; i(t) = io(t)

mentre lasciandoli a circuito aperto la tensione che si stabilisce ai loro terminali è, nei due
casi:

v(t) = vo(t) ; v(t) = {yo(t)}-1 io(t)

Si conclude allora che i due generatori reali sono equivalenti fra loro, nel senso che
l'uno può essere sostituito con l'altro, se sono verificate le condizioni:

(23) vo(t)={yo(t)}-1 io(t) (io(t)={zo(t)}-1 vo(t)) ; {yo(t)}={zo(t)}-1

In regime permanente sinusoidale si ha l'equivalenza se:

(23a) Vo = (Yo(jω))-1 Io (Io = (Zo(jω))-1Vo) ; Yo(jω) = 1/Zo(jω)

Se vale la (23a), infatti, collegando ai generatori reali un bipolo di impedenza arbitraria Z(jω),
la corrente che scorre in quest'ultimo è la stessa in entrambi i casi.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 20


ELEM ENTI A DUE PORTE IDEALI

Si considerano tre elementi passivi fondamentali a due porte, induttori accoppiati,


trasformatore ideale e giratore, e vari elementi attivi, fra i quali hanno particolare importanza i
generatori controllati.

13. Induttori accoppiati


L'elemento ideale induttori accoppiati è descritto dalle seguenti equazioni costitutive:

d i1 ( t ) d i (t ) d i1 ( t ) d i (t )
(24) v1 ( t ) = L1 +M 2 ; v2 ( t ) = M + L2 2
dt dt dt dt

Simbolo grafico dell'elemento induttori accoppiati. I pallini indicano il


segno della tensione indotta a una porta per effetto di una corrente
entrante nell'altra (se sono concordi M>0, se sono discordi M<0).

Si tratta di equazioni differenziali e pertanto l'elemento è


dinamico, dotato di memoria. Si nota che se le due correnti sono
costanti, le due tensioni sono nulle e allora svanisce l'accoppiamento fra le due porte, sicchè in
continua ciascuna delle due porte dell'elemento si comporta come un cortocircuito. In regime
permanente sinusoidale le equazioni costitutive assumono la forma:

(25) V1 = jωL1I1 + jωMI2 ; V2 = jωMI1 + jωL2I2

La passività dell'elemento impone le seguenti condizioni per i valori delle tre costanti reali che figurano nelle
equazioni costitutive:

(26) L1 ≥ 0 ; L2 ≥ 0 ; |M| ≤ √(L1L2)

Se, infatti, la porta 2 è aperta, e quindi i2=0, l'elemento si comporta alla porta 1 come un induttore di induttanza
L1, sicchè deve essere L1≥0 per la passività. Analogo discorso, scambiando fra loro le porte, conduce alla
condizione L2≥ 0. La condizione per M, infine, si ricava imponendo la passività dell'elemento quando si
considerino ambedue le porte percorse da corrente. Poichè la potenza assorbita è:
p(t) = v1(t) i1(t) + v2(t) i2(t) = L1i1di1/dt + M(i1di2/dt + i2di1/dt) + L2i2di2/dt
la condizione di passività (7), applicata alle due porte dell'elemento, diventa:
E(t) = ∫p(τ) dτ = ½ L1i1²(t) + Mi1(t)i2(t) + ½ L2i2²(t) ≥ 0
Che è verificata per qualunque valore delle due correnti all'istante generico t, e quindi per qualunque valore del
rapporto i1/i2, soltanto se M²-L1L2 ≤ 0, da cui deriva l'ultima delle condizioni (26).

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Il comportamento energetico dell'elemento induttori accoppiati è analogo a quello
dell'induttore (come mostra anche la precedente discussione sulla passività).
La costante M, il cui valore determina l'accoppiamento fra le due porte, si esprime
spesso nella forma normalizzata:

M
(27) K= 0≤K≤1
L1 L2

Le equazioni costitutive (24) indicano che lo stato del sistema è caratterizzato dalle
due variabili i1(t) e i2(t) (ma ne basta una sola se K=1). E' possibile invertire le equazioni
costitutive, esprimendo le correnti in funzione delle tensioni (e introducendo i termini che
rappresentano lo stato iniziale, come nella (15)), salvo quando si verifica K=1. Questo caso
particolare di accoppiamento totale viene rappresentato con un altro elemento: il trasformatore
ideale.
E' possibile generalizzare l'elemento induttori accoppiati da 2 a N porte. Le costanti che appaiono nelle
equazioni costitutive dovranno soddisfare condizioni analoghe alle (26): Lk ≥ 0, |Mhk| ≤ √(LhLk).

Esercizio. Determinare l'induttanza del circuito ottenuto collegando in serie le due porte dell'elemento induttori
accoppiati, in ciascuno dei due modi possibili. Nel primo si porrà: v = v1+v2, i1=i, i2=i; nel secondo, v = v1-v2,
i1=i, i2=-i.

Esercizio. Dimostrare che l'elemento induttori accoppiati è reciproco.

14. Trasformatore ideale

Il trasformatore ideale è descritto dalle seguenti equazioni costitutive:

(28) v1(t) = n v2(t) ; i1(t) = -i2(t) / n

dove n è una costante reale e il segno negativo che appare nella seconda equazione dipende
dalla scelta coordinata dei versi delle grandezze elettriche. Questo elemento costituisce un
modello dei trasformatori reali (il modulo del coefficiente n rappresenta il rapporto fra il
numero di spire dell'avvolgimento primario e quello del secondario).

Simbolo grafico del trasformatore ideale

Le (28) sono equazioni algebriche e pertanto il trasformatore


ideale è un elemento statico, privo di memoria. La conseguenza, nel

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 22


caso di segnali variabili nel tempo, è che le forme d'onda delle tensioni (delle correnti) alle
due porte sono identiche fra loro, a parte il fattore di scala n.
Calcolando la potenza totale assorbita dal trasformatore ideale p(t) = v1(t)i1(t) +
v2(t)i2(t), si conclude che è identicamente nulla a ogni istante di tempo. Si tratta dunque di un
elemento non energetico, che non assorbe nè cede energia, ma la trasferisce integralmente da
una porta all'altra.
La funzione del trasformatore ideale quella di alterare, secondo i rapporti n e 1/n, le
grandezze elettriche tensione e corrente alle due porte e quindi secondo il rapporto n2 i livelli
d'impedenza alle porte. Ciò ha conseguenze di grande importanza. Esaminiamo, in particolare,
quanto accade quando colleghiamo una porta del trasformatore, per esempio la porta 2, a un
resistore di resistenza R. Si ha i2=-v2/R, da cui i1=v2/nR. Poichè v2=v1/n, si conclude che la
corrente che fluisce nella porta 1 ha intensità: i1 = v1/n²R ossia il resistore viene visto,
attraverso il trasformatore, come se avesse resistenza n²R. Analogo discorso vale per un
induttore L, che sarà visto come se avesse induttanza n²L, e per un
condensatore, che sarà visto come se avesse capacità C/n².
v1 = n2 R i1

Inoltre la possibilità di alterare a piacimento il rapporto fra


tensione e corrente, idealmente senza perdite di energia (con dissipazioni relativamente
modeste nei trasformatori reali12), ha condotto nel secolo scorso, dopo l'invenzione del
trasformatore, a scegliere le correnti alternate, invece delle correnti continue, per la
trasmissione a distanza e la distribuzione dell'energia elettrica. Infatti, quando si collega un
generatore a un carico attraverso un linea di resistenza R data, la potenza dissipata nella linea
per effetto Joule è Ieff2R. Disponendo un trasformatore elevatore fra il generatore e la linea (e
uno riduttore fra la linea e il carico), la corrente sulla linea si riduce di un fattore n e la
potenza dissipata in R di n², a parità di potenza trasmessa (la tensione sulla linea, invece,
aumenta dello stesso fattore n, rendendo necessario affrontare i conseguenti problemi di
isolamento, per evitare scariche indesiderate).
Il modello ideale rappresentato dalle (28) conduce a una evidente incongruenza:
l'elemento ideale trasferisce anche segnali in continua, oltre che in alternata (sappiamo,
invece, che le correnti indotte nascono soltanto da variazioni di flusso magnetico). Per
risolvere questa incongruenza, occorre fare riferimento a un modello più realistico, basato sul

12
I trasformatori usati nelle applicazioni di potenza possono presentare rendimenti di oltre il 99%.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 23


comportamento fisico del trasformatore reale: per questo si introduce un induttore di valore
opportuno in parallelo alla porta 1 (oppure alla porta 2) dell'elemento ideale. L'induttanza di
questo induttore rappresenta quella dell'avvolgimento del trasformatore reale che corrisponde
alla porta 1 (alla porta 2), misurato a vuoto, cioè con l'altro avvolgimento a circuito aperto.

Osserviamo infine che il trasformatore ideale può essere ricavato con un passaggio al
limite dall'elemento ideale induttori accoppiati. Per questo occorrono due ipotesi. La prima è
che vi sia accoppiamento totale K=1, cioè M=(L1L2)½, da cui si ha: L1 = n²L, M = nL, L2 = L.
Sostituendo i coefficienti nelle equazioni costitutive (24) si ottiene: v1 = n v2. La seconda
ipotesi è che l'induttanza L abbia valore infinito. Ricavando dalla seconda delle (24) il
rapporto: (di1/dt)/(di2/dt) = (v2/nL)/(di2/dt) - 1/n Facendo tendere L all'infinito, si ottiene:
di1/dt = -(di2/dt)/n. Integrando da -∞ a t si ha infine: i1 = -i2 / n.
E' dunque chiaro che il trasformatore ideale e l'elemento induttori accoppiati sono due
modelli di uno stesso elemento reale, che viene realizzato con due bobine avvolte di solito su
un nucleo di materiale ferromagnetico. Usiamo pertanto un unico circuito equivalente per
rappresentare gli effetti parassiti dei due elementi ideali.

15. Circuito equivalente degli elementi induttivi a due porte reali

Circuito equivalente reale per gli induttori accoppiati e il


trasformatore ideale. La parte racchiusa dal tratteggio è
un trasformatore ideale con l’aggiunta dell’induttore Lp.

L'effetto di dispersione del flusso magnetico,


dovuto al fatto che il flusso prodotto in
ciascuno dei due avvolgimenti dell'elemento reale è solo parzialmente concatenato con l'altro
avvolgimento, cioè si ha K<1, è rappresentato dai due induttori Ls1 e Ls2 disposti in serie alle
due porte (che non sono accoppiati nè fra loro nè con gli altri induttori del circuito). Così la
rete compresa nel rettangolo tratteggiato gode di accoppiamento totale ed è rappresentata da
un trasformatore ideale con l'induttore Lp in parallelo. Si ha dunque L1=Ls1+Lp, L2=Ls2+Lp/n².
Nel caso in cui la dispersione del flusso sia della stessa entità nei due avvolgimenti, avremo
Ls1 = (1-K)L1, Ls2 = (1-K)L2, da cui si ricava, ponendo n=(L1/L2)½: Lp = K(L1L2) ½.
Il resistore Rp disposto in parallelo rappresenta le dissipazioni nel nucleo
ferromagnetico (dette perdite nel ferro); i resistori Rs1 e Rs2 disposti in serie, le dissipazioni
nei conduttori degli avvolgimenti (dette perdite nel rame). Le capacità Cp1 e Cp2

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 24


rappresentano le capacità elettrostatiche dei due avvolgimenti. Il circuito può essere
completato con l'aggiunta di altre capacità che tengano conto, per esempio,
dell'accoppiamento elettrostatico fra i due avvolgimenti (che in pratica si può minimizzare
inserendo fra essi uno schermo elettrostatico separatore).

Esercizio 1. Usiamo un trasformatore con rapporto spire n per collegare un carico di resistenza RL = 4 Ω alla
uscita di un amplificatore, che schematizziamo come un generatore di tensione alternata di valore efficace Vo =
10 volt con in serie una resistenza Ro = 1000 Ω. Calcolare, in funzione di n, la tensione efficace ai terminali del
carico, la corrente efficace che attraversa il carico e la potenza assorbita dal carico. Determinare il valore di n che
massimizza quest'ultima grandezza. Calcolare quindi l'induttanza L che deve avere il primario perchè il circuito
trasmetta la banda audio (entro -3 dB al limite inferiore della banda).

Esercizio 2. Abbiamo un amplificatore il cui stadio di uscita (supposto avente resistenza interna nulla) presenta
le seguenti caratteristiche: a) la sua tensione è compresa nell'intervallo -15, +15 V; b) la corrente che può erogare
è compresa tra -0,1 e +0,1 A. Vogliamo usarlo per alimentare un resistore di carico di 8 Ω, al quale si desidera
fornire la massima potenza massima in regime sinusoidale.
1) Calcolare la potenza ottenibile nel carico quando esso viene collegato direttamente all'amplificatore.
2) Calcolare la potenza nel carico quando esso viene collegato all'amplificatore tramite un trasformatore.
3) Determinare il valore del coefficiente n per cui la potenza nel carico è massima.

16. Giratore
La terza rete passiva a due porte, chiamata giratore, è l'unica che non sia reciproca. Le
sue equazioni costitutive sono:

(29) v1(t) = -R i2(t) ; v2(t) = R i1(t)

Simbolo grafico del giratore

dove la costante reale R prende il nome di costante di girazione. Si


tratta di equazioni algebriche e pertanto il giratore è un elemento statico, privo di memoria. Si
dimostra facilmente che si tratta di una rete passiva, più precisamente non energetica, come il
trasformatore ideale: la potenza assorbita p(t) è infatti identicamente nulla a ogni istante.
La caratteristica fondamentale del giratore costituita dallo scambio fra tensione e
corrente alle due porte; questo si traduce in particolare nel trasformare un induttore collegato a
una porta in un condensatore osservato all'altra porta (e viceversa).
Se chiudiamo una porta, per esempio la porta 2, di un giratore su un resistore di resistenza R',
alla porta 1 si ottiene: v1=(R²/R')i1. Se chiudiamo la porta 2 su un condensatore di capacità C,
alla porta 1 si ottiene:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 25


di1
v1 = R 2C
dt

cioè il condensatore viene visto come un induttore.


Notiamo che l'impiego di un giratore costituisce un mezzo per ottenere induttori con
caratteristiche più vicine a quelle ideali rispetto agli induttori fisici. Vi sono vari schemi per
realizzare giratori, usando circuiti attivi, e sono stati anche realizzati giratori nella forma di
moduli integrati.

17. Generatori controllati ed altri elementi attivi ideali a due porte


Nei generatori controllati si distingue una porta d'ingresso, dove si esercita il controllo,
e una d'uscita, dove è inserito un generatore (di tensione o di corrente). La grandezza elettrica
d'uscita associata al generatore è proporzionale, secondo una costante reale, che ne costituisce
il parametro di controllo, a una soltanto delle due grandezze elettriche della porta d'ingresso
(tensione o corrente). Si hanno così i seguenti quattro tipi di generatori controllati:

a) generatore di tensione controllato in tensione (amplificatore ideale di tensione o


convertitore tensione-tensione)

(30) v2(t) = av1(t) per i2(t) arbitraria ; i1(t) = 0

b) generatore di tensione controllato in corrente (amplificatore ideale a transimpedenza o


convertitore corrente-tensione)

(31) v2(t) = r i1(t) per i2(t) arbitraria ; v1(t) = 0

c) generatore di corrente controllato in corrente (amplificatore ideale di corrente o


convertitore corrente-corrente)

(32) i2(t) = k i1(t) per v2(t) arbitraria ; v1(t) = 0

d) generatore di corrente controllato in tensione (amplificatore ideale a transammettenza o


convertitore tensione-corrente)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 26


(33) i2(t) = g v1(t) per v2(t) arbitraria ; i1(t) = 0

dove i parametri di controllo a, r, k, g sono costanti reali; a e k sono adimensionali, r ha le


dimensioni di una resistenza, g quelle di una conduttanza.
I generatori controllati così definiti sono evidentemente degli elementi statici, attivi e
non reciproci. Essi possono essere trasformati in elementi dinamici, sostituendo le costanti a,
r, k, g con altrettanti operatori differenziali. Le loro proprietà di attività e di non reciprocità,
invece, sono intrinseche alla loro natura di generatori controllati.
I generatori controllati costituiscono modelli di vari tipi di componenti elettronici attivi
reali. In particolare, il generatore di corrente controllato in tensione è un modello per i tubi
elettronici dotati di griglia di controllo e per i transistori a effetto di campo; il generatore di
corrente controllato in corrente, per i transistori bipolari. Notiamo però che uno qualsiasi di
essi, con l'aggiunta di opportuni bipoli passivi, è sufficiente a realizzare il circuito equivalente
di qualsiasi componente elettronico attivo reale.
I generatori controllati sono usati anche come modelli di circuiti amplificatori
comprendenti uno o più elementi attivi, e la scelta fra l’uno o l’altro dipende sia dal tipo degli
elementi attivi sia dell'impedenza della sorgente e del carico. Più precisamente, si utilizza
come modello di un dato circuito amplificatore quel generatore controllato, fra i quattro
possibili, che meglio verifica la condizione che il relativo coefficiente di proporzionalità sia,
almeno approssimativamente, indipendente dai valori effettivi delle impedenze della sorgente
e del carico del circuito considerato. Si assume, per esempio, il modello (30) (amplificatore
ideale di tensione) quando l'impedenza d'ingresso del circuito è molto maggiore di quella della
sorgente e l'impedenza d'uscita molto minore di quella del carico.
Questi modelli, in pratica, vengono resi più realistici con l'aggiunta di opportuni
elementi passivi. Per esempio nel caso di un amplificatore di tensione una impedenza posta in
parallelo alla porta 1 rappresenterà l'impedenza d'ingresso dell'amplificatore reale; una
impedenza in serie alla porta 2 ne rappresenterà l'impedenza d'uscita. Notiamo poi che per un
medesimo circuito amplificatore il modello più conveniente potrà risultare diverso a seconda
dei valori delle impedenze della sorgente e del carico.
Per quanto riguarda l'impiego dei generatori controllati come modelli dei dispositivi
elettronici, è importante osservare che si tratta generalmente di "modelli linearizzati" di tipo
differenziale, chiamati circuiti equivalenti alle variazioni o per piccoli segnali. In questi
modelli si ammette che il dispositivo elettronico reale sia polarizzato, cioè percorso da
correnti elettriche di opportuna intensità, che ne stabiliscono il punto di lavoro e che ne

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 27


assicurano il funzionamento, le quali non sono rappresentate13 nel modello stesso. Questi
modelli, pertanto, rendono conto soltanto delle relazioni fra le variazioni delle grandezze
elettriche alle due porte (variazioni intese rispetto ai valori, costanti, associati a un
determinato punto di lavoro).
Notiamo poi che il modello differenziale di un "componente attivo" è certamente
attivo, ma il componente reale modellizzato non lo è, quando ad esso si applichi la definizione
(7) considerando le grandezze elettriche in toto e non soltanto le loro variazioni. L'energia che
il modello differenziale di un dispositivo attivo può fornire al circuito esterno (per esempio un
carico collegato alla porta d'uscita) non deriva infatti dal dispositivo stesso, ma dal generatore
che provvede all'alimentazione del circuito.
Chiariamo quanto è stato detto attraverso un esempio, considerando un transistore
bipolare inserito in un circuito nella connessione a emettitore comune.

18. Circuito comprendente un transistore bipolare: circuito equivalente per piccoli segnali
L'elettrodo
di base (B) del
transistore in figura
è polarizzato da un
apposito circuito,
che schematizziamo con un generatore ideale di corrente costante IB=60 µA; l'elettrodo di
collettore (C), dall'alimentatore (un generatore di tensione con vo=VCC=12 volt) attraverso il
resistore R=1 kΩ. Se il guadagno di corrente del transistore, in queste condizioni, è pari a 100,
la corrente continua che scorre nel collettore è IC=6 mA e la corrispondente tensione del
collettore, rispetto al riferimento comune di massa, è VC=VCC-ICR=6 volt. Calcolando la
potenza assorbita dai vari elementi, si ottiene: per il generatore di alimentazione pA=-72 mW
(esso, cioè, fornisce potenza), per il resistore pR=36 mW, per il transistore pT=36 mW
(trascurando la potenza dissipata nel circuito di base del transistore).
Quando all'ingresso del circuito viene applicato il generatore di corrente variabile ib(t),
questa corrente si sovrappone a quella di polarizzazione. Se l'eccitazione variabile segue la
legge ib(t)=Ibsenωot, con ampiezza Ib=10√2 µA, la corrente totale nella base del transistore
sarà iB(t)=IB+Ibsenωot; e quella totale nel collettore sarà iC(t)=IC+Icsenωot, con ampiezza

13
Le condizioni di polarizzazione stabiliscono peraltro il valore del parametro di controllo e delle altre costanti
che figurano eventualmente nel modello del dispositivo.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 28


Ic=√2 mA se il guadagno in corrente rispetto alle variazioni è uguale anch'esso a 100. La
tensione del collettore sarà allora: vC(t) = VCC − iC(t)R = VCC −ICR − IcRsenωot.
In queste condizioni, la potenza assorbita dall'alimentatore è pA(t) = −VCCiC(t), il cui
valor medio su un periodo è PA= −72 mW; la potenza assorbita dal resistore è iC2(t)R, con
valor medio PR = IC²R + ½Ic²R = 37 mW. La potenza assorbita dal transistore è vC(t)iC(t), con
valor medio PT = IC2R − ½Ic2R = 35 mW.
Il modello differenziale del circuito è quello di un generatore di corrente controllato in
corrente con k=100, comandato da un generatore esterno ib(t) alla porta d'ingresso, alla cui
porta d'uscita è collegato il resistore di carico R (il generatore VCC presenta infatti idealmente
resistenza interna nulla e tensione costante sicchè viene considerato come un cortocircuito nel
modello differenziale).
Calcolando le potenze assorbite in alternata dagli elementi del circuito equivalente
(sempre trascurando il circuito d'ingresso), si ottiene che la potenza media assorbita dal carico
è uguale a quella fornita dal generatore controllato: PR = −PGC = 1mW.
Ciò conferma quanto detto prima, ossia che il dispositivo elettronico "attivo" è
effettivamente attivo solo quando se ne considera il modello differenziale, mentre è passivo
quando si considerano i valori totali delle grandezze elettriche. Nel seguito, in accordo con
l'uso corrente, chiameremo attivi i dispositivi elettronici il cui modello o circuito equivalente
per piccoli segnali risulti attivo. Quello che si verifica, in tali dispositivi, è un fenomeno di
conversione di energia: più precisamente, parte dell'energia erogata dall'alimentatore viene
utilizzata per accrescere l'energia del segnale variabile (di solito l'alimentatore fornisce
energia in continua, ma questo non avviene sempre: negli amplificatori parametrici l'energia
viene fornita al circuito in alternata da una sorgente detta pompa).

Oltre ai generatori controllati si definiscono vari altri elementi attivi ideali a due porte. Tra questi ci
limitiamo a citare i convertitori di impedenza negativa (negative impedance converters, NIC), che cambiano da
passivo in attivo un elemento bipolare, oltre ad alterarne il valore.

VNIC v1 = -k1v2 ; i1 = -k2i2

INIC v1 = k1v2 ; i1 = k2i2

Collegando per esempio un resistore R alla porta 2 di un INIC, si ha: v2 = -i2 R. Si ha d'altra parte v1 =
k1 v2, da cui v1 = -k1 i2 R. Dividendo per i1 = k2 i2, si ottiene infine: v1/i1 = - (k1/k2) R.
Si conclude che il resistore R, osservato attraverso la porta 1 dell'INIC, viene trasformato da passivo in
attivo (o viceversa) e che il valore della resistenza viene mutato nel rapporto k1/k2.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Parte II pag. 29


PARTE III ANALISI DEI CIRCUITI

TOPOLOGIA DEI CIRCUITI

1. Il grafo di un circuito
Un circuito elettrico può essere sempre ricondotto all'interconnessione di r elementi
bipolari, in quanto costituito da bipoli e da elementi a più porte (o da elementi multipolari
riconducibili ai precedenti). Esso è dunque completamente determinato quando si conoscano
le r correnti e le r tensioni di tali elementi, cioè 2r grandezze elettriche. Queste devono
soddisfare al tempo stesso:
a) le relazioni costitutive degli elementi;
b) i vincoli topologici stabiliti dalle due leggi di Kirchhoff (equazioni algebriche lineari
omogenee nelle correnti e nelle tensioni).
L'insieme delle r correnti può essere sempre suddiviso in due sottoinsiemi tali che,
note le correnti del primo (sottoinsieme di correnti indipendenti), i vincoli topologici
determinino1 quelle del secondo (sottoinsieme delle correnti dipendenti). Analogo discorso
vale per le tensioni, che si possono anch'esse suddividere in un sottoinsieme di tensioni
indipendenti e in uno di tensioni dipendenti. Vi sono, generalmente, più modi di suddividere
le correnti (oppure le tensioni) in due sottoinsiemi con queste proprietà.
L'individuazione di questi sottoinsiemi è importante anche perchè costituisce un passo
obbligato verso la determinazione delle equazioni generali del circuito, che sono opportune
combinazioni delle equazioni costitutive degli elementi e delle leggi di Kirchhoff delle
correnti o delle tensioni. E qui notiamo che la suddivisione delle correnti (o delle tensioni) in
sottoinsiemi indipendenti e dipendenti non dipende dalla natura degli elementi del circuito, ma
solo da come essi sono collegati, cioè dalle proprietà topologiche del circuito (quelle che
rimangono invarianti sottoponendolo a deformazione).
Sotto questo punto di vista, le proprietà di un circuito che qui ci interessano sono
completamente descritte dal grafo ad esso associato, che si ottiene sostituendo a ciascun

1
E' immediato, per esempio, osservare che due bipoli collegati in serie sono attraversati dalla stessa corrente:
nota una di queste, l'altra è determinata. Analogo discorso vale per le tensioni di due bipoli disposti in parallelo.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 1


elemento bipolare un segmento detto ramo. Questi segmenti, di solito, vengono orientati
secondo il verso delle correnti che scorrono negli elementi, che si fissa arbitrariamente una
volta per tutte. E in tale caso, se i versi delle correnti e i segni delle tensioni degli elementi del
circuito sono stati scelti coordinati (cioè in modo che il loro prodotto rappresenti la potenza
assorbita da ciascun elemento), anche i segni delle tensioni dei rami sono determinati.
I segmenti che rappresentano i bipoli si incontrano nei nodi, che sono i punti
d'interconnessione fra i terminali degli elementi del circuito. Questi si possono distinguere in
nodi semplici (posti all'unione fra due elementi) e in nodi complessi (posti all'unione fra tre o
più elementi). Si usano i nodi complessi, anzichè quelli semplici, quando, ai fini dell'analisi,
s'intende considerare come un ramo unico ciascun insieme di rami disposti in serie (collegati
fra loro da nodi semplici), cioè come elemento unico l'insieme di più bipoli attraversati da una
medesima corrente.
Un grafo può essere, a sua volta, connesso oppure non connesso, cioè costituito da p
parti separabili che si influenzano fra loro (per esempio attraverso l'azione di induttori
accoppiati).

2. Tagli e maglie
Applicando a un circuito la prima legge di Kirchhoff, si utilizza una superficie chiusa
che ne interseca alcuni elementi, attraverso la quale la somma delle correnti è nulla. A
ciascuna di queste superfici (che sono linee chiuse se il circuito può essere disegnato su un
piano2) corrisponde un insieme di rami del grafo che vengono tagliati da essa. Questo insieme
prende il nome di taglio.
Applicando a un circuito la seconda legge di Kirchhoff, si utilizza una linea chiusa,
lungo la quale la somma delle differenze di potenziale è nulla. Una linea di questo tipo prende
il nome di maglia e comprende un insieme di rami del grafo ognuno dei quali ha un nodo in
comune con i due rami adiacenti.

3. Alberi e coalberi
Una importanza speciale hanno quei particolari insiemi di rami che collegano fra loro
tutti i nodi del grafo, ma senza formare percorsi chiusi (cioè maglie). Un insieme di tale tipo
prende il nome di albero. Nel caso di un grafo connesso, che abbia r rami ed n nodi, qualsiasi
albero è costituito da n-1 rami. Il primo ramo dell'albero, infatti, unisce due nodi. L'aggiunta

2
Questo non è sempre possibile.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 2


del secondo, che ha un nodo in comune col primo, porta ad unirne tre. Ciascun ramo
aggiuntivo collega un altro nodo ai precedenti, e così via fino all'ultimo ramo che collega
l'ultimo nodo (cioè l'ennesimo) agli altri.
Dato un albero, i rami rimanenti del grafo ne costituiscono il coalbero corrispondente.
Poichè qualunque albero comprende n-1 rami, un coalbero ne contiene r-(n-1), cioè r-n+1.
Dato un albero di un grafo, per creare una maglia basta aggiungere ad esso un altro
ramo, appartenente al coalbero corrispondente. Tutte le maglie così ottenute prendono il nome
di maglie fondamentali (associate all'albero considerato): il loro numero coincide
evidentemente con quelle dei rami del coalbero, cioè ve ne sono:

m=r-n+1

Notiamo che, dato un albero, ciascuna maglia fondamentale contiene un solo ramo del
coalbero e che ciascun ramo del coalbero appare in una sola maglia fondamentale.
Se il circuito non è connesso (cioè vi sono più parti che si influenzano a vicenda, per
esempio attraverso trasformatori) anche il grafo non è connesso ed è costituito allora da p parti
separabili. In tal caso il numero delle diverse maglie fondamentali è:

m = r - n + p.

Togliendo un ramo a un albero, i nodi del grafo restano suddivisi in due gruppi, non
più connessi fra loro. Si può quindi individuare un taglio costituito dal ramo che abbiamo tolto
all'albero e da altri (uno o più) rami del corrispondente coalbero. Un taglio siffatto si chiama
taglio fondamentale (associato all'albero considerato). Il numero di questi tagli è pari a
quello dei rami dell'albero (che possiamo togliere, separatamente, uno per volta). Di tagli
fondamentali, cioè, ve ne sono n-1.
Notiamo che, dato un albero, ciascun taglio fondamentale contiene un solo ramo
dell'albero e che ciascun ramo dell'albero appare in un solo taglio fondamentale.
Consideriamo le tensioni dei rami di un albero: esse costituiscono un insieme di
tensioni indipendenti. Infatti:
a) non esistono legami fra esse (perchè non vi sono maglie);
b) esse definiscono le tensioni di tutti gli n nodi del circuito, e quindi anche le differenze
di potenziale (esprimibili come differenze fra le tensioni dei nodi) di tutti i rami,
compresi quelli del coalbero.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 3


Consideriamo le correnti dei rami di un coalbero: esse costituiscono un insieme di
correnti indipendenti. Infatti:
a) non esistono legami fra esse (perchè non esiste un taglio costituito solamente da rami
del coalbero, dal momento che tutti i nodi del circuito sono collegati dai rami
dell'albero);
b) tutte le correnti dei rami dell'albero sono esprimibili in termini di quelle dei rami del
coalbero (questo si deduce applicando la prima legge di Kirchhoff a ciascuno dei tagli
fondamentali).

Riassumiamo brevemente quanto si è detto.


In un circuito rappresentato con un grafo connnesso che ha r rami ed n nodi, vi sono:

(1) m=r-n+1

maglie indipendenti. Applicando la seconda legge di Kirchhoff si possono perciò scrivere m


equazioni nelle tensioni degli elementi del circuito.
Nello stesso circuito vi sono:

(2) t=n-1

tagli indipendenti. Applicando la prima legge di Kirchhoff si possono perciò scrivere t


equazioni nelle correnti degli elementi del circuito. Nel caso di circuiti costituiti da p parti
separabili, le formule di sopra diventano le seguenti:

(3) m=r-n+p

(4) t=n-p

Per analizzare un circuito elettrico, si può scegliere, indifferentemente, l'uno o l'altro


sistema di equazioni. Tale scelta, che di solito è dettata da motivi di convenienza pratica (in
particolare mirando a minimizzare il numero di equazioni), conduce all'uno o all'altro dei due
metodi di analisi (maglie e nodi) che esamineremo in quanto segue.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 4


gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 5
METODI DI ANALISI: MAGLIE E NODI

4. Il metodo delle maglie


Nell'analisi su base maglie si impiegano le equazioni che derivano dall'equilibrio delle
tensioni in ciascuna delle maglie di uno fra i possibili insiemi di maglie indipendenti del
circuito. Il numero di queste equazioni è m, dato dalla (1) (o dalla (3)). Ciascuna di esse, se k
è il generico elemento inserito nella maglia considerata, ha la forma:

(5) ∑ k
vk(t) = 0

Per scrivere tali equazioni, si associa a ciascuna maglia una corrente, detta appunto
corrente di maglia, e se ne sceglie il verso arbitrariamente. Le correnti che scorrono nei vari
elementi del circuito si esprimono poi in termini delle correnti di maglia. La corrente di un
elemento che appartenga a una sola maglia sarà uguale alla corrente di tale maglia (presa con
segno positivo se il verso della corrente di maglia coincide con quello assegnato alla corrente
dell'elemento considerato, negativo nel caso opposto). La corrente di un elemento che
appartenga a più maglie sarà espressa come somma algebrica delle correnti delle maglie a cui
esso appartiene (con lo stesso criterio di prima per quanto riguarda i segni).
Notiamo che se il circuito comprende dei generatori di corrente il numero delle
equazioni (5) si riduce da m a:

(6) M = m - gi = r – n + p - g i

dove gi è il numero di generatori di corrente presenti nel circuito. Ciascuno di essi, infatti,
introduce una corrente di intensità nota, sicchè la corrente della maglia in cui il generatore è
inserito è nota a sua volta (oppure, nel caso di generatori controllati, è esprimibile in termini
di correnti di altre maglie). Questo si ottiene peraltro solo se si ha l'avvertenza di scegliere
l'albero in modo che ciascun generatore di corrente sia inserito in un ramo del coalbero
corrispondente3 (solo così la corrente di ciascun generatore coincide con una determinata
corrente di maglia).

3
Questo è sempre possibile con l'unica eccezione, di interesse pratico trascurabile, dei circuiti in cui vi sia un
taglio anomalo costituito da soli generatori di corrente. In questo caso notiamo che: a) il taglio anomalo deve
comunque verificare la prima legge di Kirchhoff; b) la soluzione del problema è indeterminata, ma solo per
quanto riguarda le tensioni fra i due gruppi di nodi nei quali il taglio suddivide il circuito.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 6


In ciascuna delle equazioni (5), si scriveranno al primo membro le tensioni degli
eventuali generatori di tensione indipendenti (inseriti nella maglia corrispondente), al secondo
membro le tensioni degli altri elementi della maglia, espresse, come si detto, in termini delle
varie correnti di maglia. Nella equazione corrispondente a una maglia figurerà pertanto una
sommatoria delle correnti delle varie maglie (più precisamente, di quelle che con essa hanno
elementi in comune o che determinano la tensione degli eventuali generatori controllati in essa
inseriti), a ciascuna delle quali viene applicato un opportuno operatore integrodifferenziale.
Per ottenere la soluzione completa del circuito, occorre precisare le condizioni iniziali
all'istante (per esempio, t=0) a cui ha inizio l'analisi: le tensioni ai terminali dei condensatori e
le correnti che scorrono negli induttori, cioè le grandezze che definiscono lo stato del circuito.
Le tensioni dei condensatori (all'istante iniziale) vengono rappresentate portandole al primo
membro: esse, assieme ai contributi dei generatori di tensione eventualmente inseriti nella
maglia, costituiscono l'eccitazione generalizzata di maglia. Le correnti degli induttori vanno
specificate a parte: il loro numero, peraltro, è sempre minore o uguale di quello (M) delle
equazioni, anche se il numero degli induttori è maggiore di M. Si capisce, infatti, che non è
possibile specificare indipendentemente le correnti di due induttori disposti in serie.

Esempio 1. Rete con una maglia


Consideriamo la rete costituita da una maglia comprendente un generatore di tensione
indipendente e i tre elementi passivi ideali fondamentali, e scegliamo il verso della corrente di
maglia i(t) come indicato nella figura. Se vR(t), vL(t) e vC(t) sono le tensioni ai terminali dei
tre elementi passivi e se vo(t) è la tensione
impressa dal generatore, scriveremo, applicando
la (5):

vR(t) + vL(t) + vC(t) - vo(t) = 0

dove i segni sono stati determinati in base ai criteri di concordanza (fra corrente di maglia e
correnti degli elementi) esposti prima. Introducendo nella precedente le relazioni costitutive
degli elementi abbiamo:

 d 1 
 R + + ∫ dt  i ( t ) − vo ( t ) = 0
 dt C 

dove appare l'operatore {z'(t)} = {R + Ld/dt + 1/C ∫dt}

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 7


Poichè di solito ha interesse analizzare il circuito a partire da un istante iniziale, che
qui scegliamo al tempo t=0, trasformiamo l'integrale indefinito in uno definito, fra 0 e t,
scrivendo:

 d 1 t 
 R + L + ∫0 dτ  i ( t ) + vC ( 0 ) − vo ( t ) = 0
 dt C 

Introducendo l'eccitazione generalizzata di maglia, somma algebrica della tensione del


generatore e della tensione iniziale del condensatore,

v(t) = vo(t) - vC(0)


 d 1 t 
e l'operatore integrodifferenziale z ( t ) =  R + L + ∫ dτ 
 dt C 0 
scriviamo infine l'equazione della maglia nella forma standard:

v(t) = {z(t)} i(t)

Questa può essere risolta solo se si completa la specificazione delle variabili di stato (che qui
sono due) all'istante iniziale, cioè assegnando un valore determinato alla corrente iL(0) che
scorre nell'induttore a t=0.

Esempio 2. Rete con due maglie


Consideriamo la rete mostrata nella
figura, comprendente 4 nodi e 5 rami e nessun
generatore di corrente; le variabili di stato sono
due. Applicando la (6) si conclude che il numero
di maglie indipendenti è M = 2, come è d'altronde evidente esaminando la figura. Scegliamo
le due maglie, fra i vari modi possibili, come è mostrato nella figura stessa, indicandone le
correnti con i1(t) e i2(t). (Abbiamo r=5, n=4, m=2, t=3, N=2).
Applicando la (5) scriviamo le due equazioni:

-vo(t) + vR1(t) + vC1(t) = 0 ; -vC1(t) + vR2(t) + vC2(t) = 0

Procedendo come nell'esempio precedente, determiniamo le eccitazioni generalizzate delle


due maglie:
v1(t) = vo(t) - vC1(0) ; v2(t) = vC1(0) - vC2(0)

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 8


Introducendo nelle due equazioni precedenti le relazioni costitutive degli elementi,
individuiamo gli operatori di maglia:
 1 t   1 t 1 t 
z11 ( t ) =  R1 + ∫ dτ  ; z22 ( t ) =  R2 + ∫ dτ + ∫ dτ 
 C1 0   C1 0 C2 0

   
{ z ( t )} = − C1 ∫ dτ  { z ( t )} = − C1 ∫ dτ 
t t
e gli operatori mutui: 12 ; 21
0 0
 1   1 

In ciascuno dei primi figurano tutti e soli gli operatori degli elementi della maglia
corrispondente; in ciascuno dei secondi gli operatori degli elementi in comune (in questo caso
soltanto C1) fra le due maglie. Il segno negativo di {z12(t)} deriva dal fatto che la corrente che
scorre nell'elemento comune, espressa in termini delle correnti di maglia è: iC1(t)=i1(t)-i2(t).
Gli operatori mutui, qui, sono uguali fra loro, esprimendo così la reciprocità del circuito
considerato (che deriva dall'assenza in esso di elementi non reciproci).
Possiamo ora scrivere le equazioni delle maglie nella seguente forma standard:

v1(t) = {z11(t)} i1(t) + {z12(t)} i2(t)


v2(t) = {z21(t)} i1(t) + {z22(t)} i2(t)

Queste possono essere risolte senza necessità di ulteriori specificazioni, dal momento
che i valori delle uniche due variabili di stato (le tensioni dei due condensatori) sono già stati
considerati nell'eccitazione generalizzata.

Caso generale
Generalizziamo i risultati illustrati nei due esempi precedenti, considerando il caso di
una rete con m maglie indipendenti, rappresentata da M equazioni.
Scegliamo, innanzitutto, un determinato insieme di maglie indipendenti (e qui
conviene di solito procedere in modo da minimizzare il numero dei termini che figureranno
nelle equazioni4) e assegnamo i versi di percorrenza delle M correnti di maglia ih(t). Per
quanto detto prima, conviene scegliere le maglie in modo che in ciascuno degli eventuali
generatori di corrente scorra una sola corrente di maglia (delle m-M), che risulterà quindi
determinata. Si può anche, in alternativa, trasformare i generatori di corrente in generatori di

4
Quando abbia particolare interesse determinare la tensione di uno specifico elemento (che rappresenta, per
esempio, la tensione d'uscita del circuito), converrà scegliere le maglie in modo che tale elemento sia attraversato
da una sola corrente di maglia.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 9


tensione usando il metodo discusso nella parte II.
A ciascuna maglia applichiamo la seconda legge di Kirchhoff, sostituendo poi la
tensione di ciascun elemento con quella ottenuta dalla corrispondente relazione costitutiva,
espressa in termini delle correnti di maglia che attraversano l'elemento (o che comunque ne
influenzano la tensione). In ciascuna delle equazioni così ottenute portiamo quindi al primo
membro la corrispondente eccitazione generalizzata vk(t), costituita dalla somma algebrica
delle tensioni voki(t) dei generatori di tensione indipendenti e delle tensioni iniziali vCkj(0) dei
condensatori inseriti nella maglia (anche qui i segni sono stabiliti in relazione alla
concordanza fra il verso della corrente della maglia e quello della corrente di ciascun
elemento considerato):

(7) vk(t) = Σ voki(t) + Σ vCkj(0)

Le M equazioni della rete, poste nella forma standard, sono dunque le seguenti:

(8) vk(t) = Σh {zkh(t)} ih(t) per k = 1, 2, ..., M

Ad esse vanno poi associate le condizioni iniziali relative alle correnti che scorrono negli
eventuali induttori delle maglie al tempo t=0, il cui numero è compreso fra 0 ed M. In molti
casi semplici le equazioni precedenti possono essere scritte direttamente, sempre a partire
dalle (5), individuando prima le eccitazioni generalizzate e poi gli operatori {zhk(t)} nel modo
seguente. Per ciascuna maglia il corrispondente operatore è:

 d 1 
{ z ( t )} =  R
t
(9) kk

k + Lk +
dt Ck ∫0 

dove Rk rappresenta la somma di tutte le resistenze, Lk la somma di tutte le induttanze, Ck


l'inverso della somma degli inversi di tutte le capacità degli elementi inseriti nella maglia k.
Per ciascuna coppia k,h di maglie tali che la seconda influenzi la prima (cioè abbiano
almeno un elemento in comune oppure nella prima vi sia un generatore di tensione controllato
dalla corrente che scorre nella seconda) l'operatore mutuo è:

 d 1 
{ z ( t )} =  R ∫ dτ  + { z ' ( t )}
t
(10) kh kh + Lkh + kh
 dt Ckh 0

dove le grandezze Rkh, Lkh, Ckh rappresentano la resistenza totale, l'induttanza totale (compreso

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 10


il contributo delle eventuali mutue induzioni Mkh) e la capacità totale (quest'ultima
determinata come prima) degli elementi in comune fra le due maglie, e dove l'operatore
{z'kh(t)}, se presente, rappresenta l'effetto della corrente ih(t) su un generatore di tensione
controllato inserito nella maglia k. Il segno delle grandezze Rkh, Lkh, Ckh è positivo se le due
correnti di maglia sono concordi negli elementi in comune, altrimenti è negativo.
Si noti che nei circuiti costituiti esclusivamente da resistori, condensatori, induttori
(compresi gli induttori accoppiati e i trasformatori ideali) e generatori indipendenti i termini
{z'kh(t)} sono assenti, sicchè la reciprocità si manifesta con l'uguaglianza

(11) {zkh(t)} = {zhk(t)}

5. Analisi in regime sinusoidale permanente


La risposta sinusoidale permanente di un circuito, determinata da generatori
indipendenti di tensione e corrente sinusoidale a una specifica frequenza, si ottiene
impiegando il metodo simbolico e procedendo in modo simile a quanto detto sopra. Ora le
tensioni che compaiono nelle equazioni dell'equilibrio delle maglie sono le tensioni
simboliche degli elementi, che vanno poi sostituite con le corrispondenti equazioni costitutive
in regime sinusoidale, espresse in termini delle correnti simboliche delle maglie. Le M
equazioni della rete nelle grandezze simboliche Vk e Ih assumeranno quindi la forma seguente:

(12) Vk = Σh Zkh(jω) Ih

dove nelle eccitazioni di maglia figurano solo i generatori di tensione indipendenti (perchè qui
le condizioni iniziali non interessano) e il significato delle impedenze Zkh(jω) dovrebbe essere
ovvio.

Esempio 1. Torniamo a considerare il circuito dell'Esempio 2 precedente, analizzandolo in


regime permanente sinusoidale per determinarne la funzione di trasferimento H(jω)=VC2/Vo.
Le equazioni in forma simbolica, ottenute da quelle trovate nell'Esempio 2, sono:
 1  I2 I1  1 1 
Vo =  R1 +  I1 − ; 0=− +  R2 + +  I2
 jω C1  jω C1 jω C1  jω C1 jω C2 

con determinante

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 11


2
 1  1 1   1 
D =  R1 +  R2 + + − 
 jω C1  jω C1 jω C2   jω C1 

Vo 1
Applicando il metodo di Cramer si ottiene: I2 =
jω C1 D

Dal momento che VC2 = I2 / (jωC2), si ottiene infine

VC 2 1
H ( jω ) = =
Vo 1 + jω ( R1C1 + R1C2 + R2C2 ) − ω 2 R1C1 R2C2

Esaminando l'andamento di |H(jω)| con la frequenza si conclude che si tratta di un


filtro passabasso. Si ha in particolare H(j0)=1, mentre per ω che tende all'infinito |H(jω)| tende
a zero come 1/ω2, /H(jω) tende a -π.

Esercizio. Il circuito considerato sopra è costituito da due filtri RC passabasso collegati in cascata, ciascuno dei
quali, preso separatamente, ha risposta in frequenza: Hi(jω) = 1/(1+jωRiCi).
Spiegare perchè H(jω) ≠ H1(jω) H2(jω), dove H(jω) è la risposta in frequenza trovata nell'esempio precedente.
Individuare sotto quali condizioni per i valori dei parametri si ha H(jω) ≈ H1(jω) H2(jω).

Esempio 2. Uso dei grafi di flusso


Il circuito cosiderato sopra può essere rappresentato con un grafo di flusso, da cui si
può ricavare direttamente la funzione di trasferimento H(jω). Per costruire il grafo assegnamo
un nodo a ciascuna delle variabili in gioco: un nodo sorgente all'ingresso Vo, un nodo pozzo
all'uscita VC2 e due nodi intermedi alle correnti di maglia I1 e I2. Per stabilire i rami che
collegano questi nodi, e per assegnare ad essi le trasferenze corrispondenti, scriviamo le
equazioni del sistema nella forma seguente

Z11I1 + Z12I2 = Vo; Z21I1 + Z22I2 = 0; VC2 = ZC2I2

Ricaviamo l'incognita I1 dalla prima equazione, l'incognita I2 dalla seconda:

I1 = Vo/Z11 – I2 Z12/Z11 ; I2 = – I1 Z21/Z22

Si ottiene così il grafo mostrato nella figura, da cui si ricava, applicando le regole
esposte nella I parte del corso:
− Z 21 Z 22 − Z 21Z C 2Vo
VC 2 = Vo ZC 2 =
1 − Z12 Z 21 Z11 Z 22 Z11Z 22 − Z12 Z 21

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 12


Sostituendo nella precedente le espressioni delle impedenze:

1 I2 1 1 I1
Z11 = R1 + ; Z12 = Z 21 = − ; Z 22 = R1 + + ; ZC =
jω C1 jω C1 jω C1 jω C2 jω C2

si ottiene infine il risultato già trovato nell'Esempio 2 precedente.

Esempio 3. Impiego del teorema di Helmholtz-Thévenin


Lo stesso circuito può essere analizzato e risolto mediante il teorema di Helmholtz-
Thévenin, che consente di trasformarlo in un circuito a una sola maglia. Tagliamo il circuito a
valle del condensatore C1 e determiniamo la tensione a vuoto Vo' e l'impedenza Z' del
generatore equivalente di Helmholtz-Thévenin del circuito a monte del taglio:

Vo R1
Vo ' = ; Z ' ( jω ) =
1 + jω R1C1 1 + jω R1C1

Applicando tale
generatore alla parte
del circuito a valle
si ha:

1 jω C2
VC 2 = Vo '
Z '+ R2 + 1 jω C2

E sostituendo nella precedente le espressioni di Vo' e Z' si riottiene infine quanto già trovato
nell'Esempio 1.

Esercizio. Risolvere il circuito precedente con il seguente metodo. Assumendo nota la tensione VC2, in tal caso
sarà nota anche la corrente che attraversa C2 e quindi si potrà calcolare VC1; e allora ....

6. Il metodo dei nodi


In una rete (connessa) con n nodi, tutte le tensioni (e quindi tutte le correnti) sono
determinate quando si conoscono i valori delle tensioni di n-1 nodi, rispetto a uno preso come
riferimento. Possiamo dire pertanto che in tale rete vi sono n-1 coppie di nodi indipendenti5.

5
A ciascuna di queste coppie di nodi corrisponde un taglio particolare: quello che isola il nodo "caldo" da tutti
gli altri (in ciascuna delle parti separabili del circuito). Ma questi tagli non si possono ottenere col metodo
descritto precedentemente: occorre modificare prima l'albero del circuito, introducendovi dei rami fittizi in modo
che tutte le coppie di nodi esistenti vengano ad essere collegate fra loro (questi rami corrisponderanno, per

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 13


Se la rete contiene p parti separabili, il numero di coppie di nodi indipendenti è evidentemente
n-p.
Nell'analisi su base nodi si impiegano le equazioni che derivano dall'equilibrio delle
correnti nel nodo "caldo" di ciascuna coppia di nodi indipendenti. Il numero di queste è t, dato
dalla (4). Ciascuna equazione, dove k è il generico elemento collegato al nodo considerato, ha
la forma:

(13) Σk ik(t) = 0

Per scrivere tali equazioni si sceglie un nodo del circuito come riferimento6 (o nodo di
massa) e poi si associa a ciascuno degli altri nodi una tensione, detta tensione di nodo, che
rappresenta la differenza di potenziale tra il nodo considerato e quello di riferimento. Le
correnti ik(t) che figurano nella (13) vengono quindi espresse, introducendo le relazioni
costitutive degli elementi, in termini delle tensioni nodali, che vengono a rappresentare le
incognite del sistema di equazioni del circuito.
Se il circuito contiene dei generatori di tensione, essi determinano le tensioni fra le
coppie di nodi a cui essi sono collegati, riducendo così il numero delle coppie di nodi
effettivamente indipendenti e il numero delle corrispondenti equazioni. Queste sono pertanto,
in un circuito con p parti separabili:

(14) N = t – gv = n - gv - p

dove gv è il numero dei generatori di tensione presenti nel circuito.


Ciascuna di queste equazioni rappresenta, ripetiamo, l'applicazione della prima legge
di Kirchhoff (equilibrio delle correnti) a un nodo del circuito (con esclusione di quello, o
quelli, preso come riferimento e di quelli le cui tensioni sono determinate, rispetto ad altri
nodi, dalla presenza di generatori di tensione), che viene separato da tutti gli altri mediante un
taglio opportuno.
In ciascuna delle N equazioni (13) si scrivono al primo membro le correnti degli
eventuali generatori di corrente indipendenti collegati al nodo che stiamo considerando, al
secondo membro le correnti che scorrono in tutti gli altri elementi collegati a tale nodo,

esempio, ad elementi di circuito fittizi, di resistenza infinita). Anche questi tagli particolari, naturalmente, sono in
numero di n-1 o n-p.
6
Uno per ciascuna delle p parti separabili del circuito.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 14


espresse in termini delle N tensioni nodali. Nell'equazione corrispondente a un dato nodo,
pertanto, figurerà un sommatoria delle tensioni dei vari nodi (più precisamente, di quelli che
hanno un elemento che li unisce al nodo considerato o che determinano la corrente di
eventuali generatori controllati collegati a tale nodo), a ciascuna delle quali viene applicato un
opportuno operatore integrodifferenziale.
Anche qui, per ottenere la soluzione completa del circuito occorre precisare le
condizioni iniziali all'istante a cui ha inizio l'analisi: le tensioni ai terminali dei condensatori e
le correnti che scorrono negli induttori, cioè le grandezze che definiscono lo stato del circuito.
Questa volta le correnti negli induttori (all'istante iniziale) vengono rappresentate portandole
al primo membro: esse, assieme ai contributi dei generatori di corrente indipendenti inseriti
nel nodo, costituiscono l'eccitazione generalizzata (di corrente) del nodo considerato. Le
tensioni iniziali dei condensatori, invece, si rappresentano specificandole a parte. Il loro
numero è minore o uguale a quello (N) delle equazioni.

Esempio 1. Rete con una coppia di nodi indipendenti


La rete mostrata in figura ha n=3 ed r=4, e si ha pertanto t=2. Si ha d'altra parte N=1
dalla (14) dal momento che la rete comprende un generatore di tensione. La rete in esame può
essere trasformata direttamente in una con n=2 applicando al generatore di tensione la
trasformazione illustrata nella parte II del corso, cioè ponendo

−1
 d 1 
io ( t ) =  L  vo ( t ) =  ∫ dt  vo ( t )
 dt  L 

Assumiamo i
versi indicati in figura
per le correnti e le
tensioni degli elementi.
Applicando la (13) al nodo "caldo" si ottiene:

iR(t) + iL(t) + iC(t) - io(t) = 0

dove i segni sono stati determinati in base ai criteri di concordanza (fra tensione di nodo e
tensioni degli elementi) esposti prima. Introducendo nella precedente le relazioni costitutive
degli elementi abbiamo:

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 15


1 d 1 
 + C + ∫ dt  v ( t ) − io ( t ) = 0
R dt L 

dove v(t) è la tensione incognita e dove appare l'operatore { y ' ( t )} =  R1 + C dtd + L1 ∫ dt 


 

Anche qui, volendo analizzare il circuito a partire da un istante iniziale (al tempo t=0),
trasformiamo l'integrale indefinito in uno definito, fra 0 e t, scrivendo:

1 d 1 t 
 + C + ∫0 dτ  v ( t ) + iL ( t ) − io ( t ) = 0
R dt L 

Introducendo l'eccitazione generalizzata di nodo, somma algebrica della corrente del


generatore e della corrente iniziale dell'induttore,

i(t) = io(t) - iL(0)

{ y ( t )} =  R1 + C dtd + L1 ∫ dτ 
t
e l'operatore integrodifferenziale
 0

scriviamo infine l'equazione nodale nella forma standard:

i(t) = {y(t)} v(t)

Questa può essere risolta solo se si completa la specificazione delle variabili di stato
(che in questo caso sono due) all'istante iniziale, cioè assegnando un valore determinato alla
tensione vC(0) del condensatore a t=0.

Esempio 2. Rete con due coppie di nodi indipendenti


Consideriamo la rete statica mostrata nella figura, che costituisce il modello per piccoli

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 16


segnali di un circuito amplificatore impiegante un dispositivo attivo. Quest'ultimo è
rappresentato da un generatore controllato al quale sono stati aggiunti altri elementi per tener
conto della resistenza d'ingresso (Rin) e di quella d'uscita (Ro) del dispositivo.
La rete comprende 6 elementi bipolari e un elemento a due porte, con 5 nodi e 7 rami.
Dato che la rete comprende due generatori di tensione, le coppie di nodi effettivamente
indipendenti sono 2, come si conclude in base alla (14).
Trasformiamo i generatori di tensione in generatori di corrente e scegliamo i due nodi
come mostrato nella figura, indicandone le tensioni con v1(t) e v2(t). Applicando la (13)
scriviamo le due equazioni del circuito:

iRs(t) + iRin(t) + iRf(t) - io1(t) = 0


-iRf(t) + iRo(t) + iRL(t) - io2(t) = 0

dove: io1(t) = vo(t)/Rs ; io2(t) = v1(t) a/Ro.

Procedendo come nell'esempio precedente, determiniamo le eccitazioni generalizzate


dei due nodi (questa volta non abbiamo variabili di stato da considerare):

i1(t) = io1(t) ; i2(t) = 0

Introducendo nelle equazioni del circuito le relazioni costitutive degli elementi


otteniamo le equazioni nodali.
 1 1 1  v2 ( t )
 + +  v1 ( t ) − − io1 ( t ) = 0
 Rs Rin R f  R f

 1 a   1 1 1 
 − −  v1 ( t ) +  + +  v2 ( t ) = 0
 R R RL 
 R f Ro   o f

In queste individuiamo gli operatori, che questa volta sono di natura algebrica, di nodo:
1 1  1 1 
{ y11} =  { y22 } = 
1 1
+ +  ; + + 
 Rs Rin R f   Ro R f RL 
e mutui:
   a 
{ y12 } = − { y21} = −
1 1
 ; − 
 R f   R f Ro 

In ciascuno dei primi figurano gli operatori degli elementi collegati al nodo

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 17


corrispondente; in ciascuno dei secondi, gli operatori che rappresentano come la tensione di
un nodo influenza l'equilibrio delle correnti nell'altro nodo (fra questi vi è l'operatore
dell'elemento Rf collegato fra i due nodi e quello relativo al generatore controllato). Gli
operatori mutui, qui, non sono uguali fra loro, esprimendo così la non reciprocità del circuito
considerato, che deriva dalla presenza in esso di un elemento non reciproco (il generatore
controllato).
Possiamo infine scrivere le equazioni dei nodi nella forma standard:

i1(t) = {y11(t)} v1(t) + {y12(t)} v2(t)


i2(t) = {y21(t)} v1(t) + {y22(t)} v2(t)

Queste possono essere risolte senza necessità di ulteriori specificazioni, dal momento che si
tratta di un circuito statico.

Esercizio. Calcolare la risposta ingresso-uscita del circuito, cioè il rapporto v2(t)/vo(t). Individuare per quali
scelte dei parametri questa coincide con la risposta di un amplificatore operazionale invertente (≈ –Rf/Rs).

Caso generale
Generalizziamo i risultati illustrati nei due esempi precedenti, considerando il caso di
una rete con n coppie di nodi indipendenti, rappresentata da N equazioni.
Se la rete comprende generatori di tensione, questi verranno trasformati in generatori
di corrente usando il metodo discusso nella parte II. Il procedimento è immediato se il
generatore è disposto in serie a un solo elemento (cioè se almeno uno dei due nodi fra cui esso
si trova è un nodo semplice);
altrimenti occorre prima
modificare la rete eliminando
il generatore e sostituendolo
con tanti generatori identici
disposti in serie a tutti gli
elementi collegati a uno dei due nodi fra cui esso era disposto, come è mostrato nella figura.
Si può anche analizzare la rete senza trasformare i generatori di tensione in generatori
di corrente. In tal caso gli N nodi per cui si scriveranno le N equazioni del circuito, allo scopo
di determinarne le tensioni, comprenderanno uno solo dei due nodi fra cui ciascuno dei
generatori di tensione è collegato (le tensioni dei t-N nodi restanti sono determinate dalla
conoscenza delle tensioni dei generatori e di quelle degli altri N nodi).

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 18


A ciascun nodo applichiamo la prima legge di Kirchhoff, sostituendo poi la corrente di
ciascun elemento con quella ottenuta dalla corrispondente relazione costitutiva, espressa in
termini delle tensioni dei nodi fra cui l'elemento è collegato (o che comunque ne influenzano
la corrente). In ciascuna delle equazioni così ottenute portiamo quindi al primo membro la
corrispondente eccitazione generalizzata ik(t), costituita dalla somma algebrica delle correnti
ioki(t) dei generatori di corrente indipendenti e delle correnti iniziali iLkj(0) degli induttori
collegati al nodo:

(15) ik(t) = Σ ioki(t) + Σ iLkj(0)

Le N equazioni della rete, poste nella forma standard, sono dunque le seguenti:

N
(16) ik ( t ) = ∑ { ykh ( t )}vh ( t ) per k = 1, 2, ..., N
h =1

Ad esse vanno poi associate le condizioni iniziali relative alle tensioni degli eventuali
condensatori.
In molti casi semplici le equazioni precedenti possono essere scritte direttamente,
sempre a partire dalle (13), individuando prima le eccitazioni generalizzate e poi gli operatori
{yhk(t)} nel modo seguente. Per ciascun nodo il corrispondente operatore è:
 
{ y ( t )} =  R1 d 1 t
(17) kk
 k
+ Ck +
dt Lk ∫ dτ 
0

dove Rk rappresenta l'inverso della somma degli inversi di tutte le resistenze, Lk l'inverso della
somma degli inversi di tutte le induttanze, Ck la somma di tutte le capacità degli elementi
collegati al nodo k.
Per ciascuna coppia k,h di nodi tali che il secondo influenzi il primo (cioè abbiano
almeno un elemento collegato fra essi oppure nel primo vi sia un generatore di corrente
controllato dalla tensione del secondo nodo) l'operatore mutuo è:

 1 d 1 
{ y ( t )} =  R ∫ dτ  + { y′ ( t )}
t
(18) kh + Ckh + kh
 kh dt Lkh 0

dove le grandezze Rkh, Lkh, Ckh rappresentano la resistenza totale, l'induttanza totale
(compreso il contributo delle eventuali mutue induzioni) e la capacità totale degli elementi
collegati fra i due nodi, e dove l'operatore {y'kh(t)}, se presente, rappresenta l'effetto della

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 19


tensione vh(t) del nodo h su un generatore di corrente controllato agente sul nodo k.
Si noti che nei circuiti costituiti esclusivamente da resistori, condensatori, induttori
(compresi gli induttori accoppiati e i trasformatori ideali) e generatori indipendenti i termini
{y'kh(t)} sono assenti, sicchè la reciprocità si manifesta con l'uguaglianza

(19) {ykh(t)} = {yhk(t)}

DUALITA' E ANALOGIE

7. Dualità e circuiti duali


Esaminando le forme standard delle equazioni (8) ottenute applicando il metodo delle
maglie e delle equazioni (16) ottenute applicando il metodo dei nodi si osserva che esse, dal
punto di vista formale, sono del tutto analoghe. Questa analogia può essere osservata a un
livello più dettagliato, quando si considerino, per esempio, i due circuiti, RLC serie e RLC
parallelo, mostrati nella figura. Questi sono descritti, rispettivamente, dalle seguenti equazioni
(una ricavata su base
nodi, l'altra su base
maglie),

 d 1  1 d 1 
vo ( t ) =  R + L + ∫ dt  i ( t ) ; io ( t ) =  + C ' + ∫ dt 
 dt C  R' dt L ' 

che hanno esattamente la medesima struttura e che vengono addirittura a coincidere se i valori
numerici dei coefficienti soddisfano le uguaglianze: R' = 1/R, L' = C, C' = L. Evidentemente,
poi, se io(t) = vo(t) le due soluzioni sono identiche a loro volta.
In generale si dicono duali due maglia indipendente coppia di nodi indipendente
circuiti che siano rappresentati dalle stesse corrente di maglia tensione di nodo
generatore di tensione generatore di corrente
equazioni, l'uno su base nodi, l'altro su base generatore di corrente generatore di tensione
elementi in serie elementi in parallelo
maglie. Fra due reti duali si può costruire la resistenza R resistenza R'=1/R
induttanza L capacità C'=L
tabella di corrispondenza qui a fianco.
capacità C induttanza L'=C

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 20


Data una rete, si può costruirne la rete duale corrispondente con il seguente
procedimento7:
a) al centro di ciascuna maglia della rete originaria si dispone un nodo della rete duale; il
nodo di riferimento si dispone all'esterno;
b) ciascun nodo si collega al nodo di riferimento con tutti e soli gli elementi duali degli
elementi della maglia corrispondente, che non siano comuni ad altre maglie;
c) ciascuna coppia di nodi interni alle maglie si collega con tutti e soli gli elementi duali
degli elementi comuni alle due maglie dove si trovano tali nodi.
Un caso particolare è
quello delle reti dette autoduali,
per le quali la rete duale coincide
con la rete originaria, che è
dunque la duale di se stessa.

8. Il metodo delle analogie


Il discorso delle analogie può essere esteso a considerare sistemi di diversa natura
fisica che siano governati dalle medesime equazioni (più precisamente, da equazioni aventi la
stessa struttura formale), secondo un criterio introdotto da J. Clerk Maxwell nell’Ottocento,
che trova oggi utile impiego nei campi più vari della fisica e delle sue applicazioni.
Riconosciamo, innanzitutto l'analogia fra il comportamento di un oscillatore elettrico8
(circuito risonante RLC serie) e di un oscillatore meccanico (oscillatore armonico), che sono
descritti rispettivamente dalle seguenti equazioni:
 d 1   d 
 L + R + ∫ dt  i ( t ) = v ( t ) ; m + β + k ∫ dt  u ( t ) = f ( t )
 dt C   dt 

Confrontando fra loro


queste equazioni, si osserva che la
massa m corrisponde all'induttanza
L, l'attrito β alla resistenza elettrica
R, la costante elastica k all'inverso della capacità C, la forza f(t) applicata all'oscillatore
meccanico alla tensione v(t) applicata al circuito elettrico, la velocità u(t)=dx(t)/dt (dove x(t) è

7
Questo non è sempre possibile, ma soltanto per le reti dette planari, che sono quelle che si possono disegnare
sul piano senza che due rami s'incrocino (cioè che non hanno elementi comuni a tre o più maglie).
8
Notiamo che in elettronica il termine oscillatore di solito non è usato per designare i circuiti risonanti ma solo i

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 21


lo spostamento) all'intensità della corrente elettrica i(t).
Questa analogia elettromeccanica consente di analizzare un sistema meccanico in
termini di un corrispondente circuito elettrico equivalente, potendo allora applicare
vantaggiosamente tutto l'insieme delle metodologie note a tale proposito. Nel caso
dell'oscillatore armonico, il circuito equivalente coincide evidentemente con quello del
circuito RLC serie.
Questa analogia stabilisce le corrispondenze elencate nella tabella seguente.
forza tensione induttanza massa
velocità corrente elettrica attrito resistenza elettrica
spostamento carica elettrica capacità elettrica elasticità

Notiamo che si può stabilire anche una seconda analogia elettromeccanica, duale della precedente, ottenuta
mediante le corrispondenze fra le grandezze meccaniche e le grandezze elettriche duali di quelle della tabella.

Esercizio. Determinare le equazioni


differenziali del sistema meccanico
descritto nella figura, costituito da due
oscillatori meccanici accoppiati,
nell'ipotesi che una forza esterna f(t) sia
applicata alla massa M. Ricavare e disegnare il circuito elettrico equivalente.

Il metodo delle analogie è usato anche per studiare i sistemi termici in termini di
circuiti elettrici equivalenti. Si tratta, naturalmente, di sistemi termici schematizzati in termini
di elementi concentrati e quindi descritti da equazioni differenziali ordinarie (intese come
approssimazione delle equazioni alle derivate parziali che descrivono il trasferimento del
calore per conduzione). In questo caso l'analogia usata più spesso è descritta dalla tabella
seguente, dove si nota l'assenza di elementi induttivi, in accordo con la forma delle equazioni
che descrivono i fenomeni termici.

temperatura tensione resistenza termica resistenza elettrica


potenza termica dQ/dt corrente elettrica capacità termica capacità elettrica
quantità di calore Q carica elettrica

Esempio 1. Si vuole determinare l'andamento temporale della temperatura T(t) di un ambiente


di capacità termica Ct quando in esso si trova una sorgente di calore di potenza pt(t) ed è nota

circuiti attivi in grado di generare oscillazioni.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 22


la resistenza termica totale Rt fra l'ambiente e l'esterno, che si trova a una temperatura fissa To.
Utilizzando le corrispondenze della tabella, schematizziamo il sistema termico mediante il
circuito elettrico equivalente mostrato a fianco, che è
descritto dall’equazione differenziale:

dT ( t ) To T ( t )
Ct = p (t ) + −
dt Rt Rt

Esempio 2. Vogliamo studiare l'andamento della temperatura T(t) nella regione attiva di un
transistore conoscendo l'andamento temporale della potenza elettrica dissipata nel dispositivo
p(t) ≈ v(t) i(t), la capacità termica CJ della giunzione, la resistenza termica RJC fra la regione
attiva e il contenitore del dispositivo, la capacità termica CC del contenitore e la resistenza
termica RC fra il contenitore e l'ambiente esterno, che si suppone trovarsi alla temperatura
fissa To.
Questo circuito è usato in pratica
per scegliere i parametri del sistema in
modo che, anche nelle condizioni di
funzionamento più gravose, la temperatura
TJ della zona attiva del transistore non superi mai il valore oltre il quale il dispositivo si
guasta, non assuma valori tali da provocare il cattivo funzionamento del circuito per effetto
delle variazioni dei parametri che dipendono dalla temperatura (correnti di perdita, ecc.) e
mantenga comunque valori sufficientemente bassi da non peggiorare l’affidabilità.

Il metodo delle analogie trova impieghi importanti anche nello studio dei sistemi
elettromeccanici, che comprendono una parte costituita da elementi elettrici e una costituita da
elementi meccanici, che sono accoppiate fra loro in modo trasferimento di segnali dall'una
parte all'altra. Questo è il caso, per esempio, dei trasduttori (microfoni, altoparlanti, sensori di
vibrazioni, ecc.) dove l'accoppiamento elettromeccanico può derivare, a seconda dei casi, da
forze elettrostatiche, forze elettrodinamiche, effetti piezoelettrici.
Un caso di interesse diretto in elettronica è quello dei cristalli di quarzo. Tali
dispositivi sono degli oscillatori meccanici che vibrano a frequenze determinate dalla loro
geometria e che presentano dissipazioni generalmente molto basse, costituendo così dei
risonatori con valori molto alti del fattore di merito, vari ordini di grandezza maggiori di
quelli ottenibili da un circuito elettrico risonante. Essi sono costituiti da una lastrina di quarzo,
le cui facce vengono metallizzate e collegate ai due terminali del dispositivo. La parte

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 23


meccanica e quella elettrica sono accoppiate fra loro grazie alla piezoelettricità del materiale.
Il circuito equivalente elettrico mostrato nella
figura (che è valido nell'intorno di una determinata
frequenza di oscillazione meccanica) comprende gli
elementi R1, L1 e C1 , che rappresentano
rispettivamente l'attrito, l'inerzia e l'elasticità
dell'oscillatore meccanico, e l'elemento C2 che rappresenta la capacità elettrostatica del
dispositivo.
Studiando l’impedenza Z(jω) del circuito in funzione della frequenza (e tenendo conto
che in pratica C2>>C1), si trova prima la risonanza (meccanica) dovuta al circuito serie
R1L1C1 (più precisamente, si tratta di una antirisonanza a cui corrisponde un minimo di |Z|) e
poi la risonanza (a cui corrisponde un massimo di |Z|) del circuito complessivo, nella quale
interviene la capacità C2 (e qualsiasi altra capacità che si trovi in parallelo ai terminali del
quarzo). Fra le due risonanze, la più stabile, perchè indipendente dalle capacità esterne, è
quella puramente meccanica, che infatti viene più spesso utilizzata in pratica come frequenza
di riferimento in molte applicazioni.

Esercizio. Tracciare il grafico dell’impedenza di un cristallo di quarzo con C2=20 pF, C1=C2/103, Q meccanico
di 105 e risonanza serie fo=215 Hz.

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 24


ANALISI DEI CIRCUITI STATICI E DINAMICI

9. Analisi dei circuiti statici


Consideriamo ora i circuiti statici (senza memoria), cioè quelli che sono costituiti
esclusivamente da elementi statici. In questo caso si tratta di risolvere un sistema di N
equazioni lineari algebriche a coefficienti reali in N incognite, ottenuto usando il metodo delle
maglie o quello dei nodi.
Una importantissima proprietà della soluzione è la seguente: grazie alla linearità del
problema, tutte le incognite, cioè le grandezze elettriche (tensioni e correnti) che vengono
calcolate, sono lineari nei termini noti, cioè nelle eccitazioni. Se, in particolare, vi è una sola
eccitazione, tutte le grandezze elettriche sono proporzionali ad essa. E se questa varia nel
tempo con una certa legge, tutte le grandezze elettriche della rete seguiranno la stessa legge
temporale, qualunque sia la sua forma, con opportuni fattori di scala.
La soluzione analitica del sistema di equazioni è praticabile solo se N è relativamente
piccolo, altrimenti si userà il calcolatore. In questo caso occorre attenzione ai problemi posti
dalla rappresentazione nella macchina dei numeri che esprimono le grandezze in gioco: non
soltanto i coefficienti delle equazioni, i termini noti e le incognite, ma anche le grandezze che
rappresentano i risultati intermedi dei calcoli. Si tratta, ricordiamo, di una rappresentazione
discreta che si avvale di un numero limitato di cifre, sicchè tutti i numeri vengono quantizzati,
per troncamento o per arrotondamento.
Inoltre, anche usando una rappresentazione a virgola mobile (floating point), il
calcolatore non può rappresentare numeri più piccoli di un dato valore nè più grandi di un
altro: quando il risultato di una operazione di calcolo assume un valore al di fuori di questo
intervallo, si ha un errore (di underflow o di overflow). Gli errori numerici introdotti dalla
quantizzazione sono più insidiosi, perchè influenzano il risultato finale, anche pesantemente,
dato che essi si accumulano man mano che i calcoli procedono, senza però provocare
l'interruzione dell'elaborazione. Qui ci limitiamo ad osservare che l'entità di questi errori
cresce, in generale, al crescere del numero N delle equazioni, ma diventa particolarmente
rilevante quando la matrice dei coefficienti è mal condizionata (cioè i suoi autovalori
differiscono di parecchi ordini di grandezza).
La soluzione su calcolatore del sistema di equazioni viene eseguita spesso usando il
metodo di eliminazione di Gauss. Questo procedimento si articola nelle due fasi seguenti:

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 25


a) Dalla prima equazione si ricava la prima incognita, che viene sostituita nelle altre N-1:
si ottiene così un sistema di N-1 equazioni in N-1 incognite. Dalla prima equazione del
nuovo sistema (la seconda di quello iniziale) si ricava la seconda incognita,
procedendo come prima. Si ripete poi il procedimento, fino all'ultima equazione del
sistema.
b) Quest'ultima viene risolta direttamente nell'unica incognita che vi appare. Questa
incognita viene sostituita nella precedente equazione, per ottenere la penultima
incognita, e così via.
Si nota che in questo procedimento può capitare che si debbano eseguire divisioni per
termini molto piccoli, oppure differenze fra termini quasi uguali, tutte cause di errori numerici
(dovuti alla natura discreta della rappresentazione, cioè al numero finito di cifre che il
calcolatore utilizza per rappresentare i numeri). Per ridurne l'effetto sui risultati dei calcoli vi
sono varie vie: fra cui utilizzare il calcolatore in precisione multipla (a spese del tempo di
calcolo), e modificare l'ordine secondo il quale si risolvono le equazioni del sistema.
A questo proposito, si osserva che non è indifferente, ai fini della precisione dei
risultati dei calcoli, la scelta delle maglie nell'analisi di un circuito. Per rendersene conto
conviene svolgere l'esercizio seguente, dal quale si conclude che le scelte che hanno senso
fisico sono spesso preferibili rispetto ad altre.

Esercizio. Analizzare il circuito mostrato a fianco (con R=1 Ω, R’=1 GΩ,


Vo= 1 volt) usando il metodo delle maglie, con due scelte diverse delle
maglie indipendenti. Risolvere il sistema a) con il metodo di Cramer, b)
numericamente con il metodo di Gauss.

In quanto precede abbiamo sempre considerato il caso di circuiti lineari, cioè costituiti
esclusivamente dagli elementi ideali discussi nella parte II. Ha spesso interesse, d'altra parte,
l'analisi di circuiti comprendenti anche elementi nonlineari (diodi, transistori, ecc.), che non
s'intendano linearizzare. Limitandosi al caso statico, questi elementi saranno rappresentati
mediante opportuni modelli, espressi nella forma di relazioni nonlineari, algebriche,
polinomiali o trascendenti, nelle variabili elettriche. Qui, a differenza del caso lineare, sorge il
problema dell'esistenza e dell'unicità della soluzione delle equazioni del circuito. Mentre è
chiaro che il circuito fisico ammette sempre una soluzione (una o più di una), non è affatto
detto in generale che il modello (matematico) che si considera ammetta soluzione.
Nei problemi più semplici sono molto convenienti le tecniche di soluzione di tipo
grafico, che esamineremo in seguito a proposito dei diodi. Nei casi più complicati la soluzione

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 26


può essere ancora affidata al calcolatore (esistono vari programmi di soluzione di sistemi
algebrici nonlineari), ma in tal caso converrà esplorare se vi sono più soluzioni possibili,
variando opportunamente le condizioni d'innesco dei metodi numerici utilizzati.

10. Analisi dei circuiti dinamici


I circuiti comprendenti elementi dotati di memoria sono descritti da equazioni
integrodifferenziali. Se si tratta di elementi lineari la linearità è valida anche in questo caso (la
risposta a una combinazione lineare di eccitazioni è costituita dalla stessa combinazione
lineare delle risposte a ciascuna delle eccitazioni), ma ora, a differenza dei circuiti statici, le
grandezze elettriche non sono più proporzionali all'eccitazione, a causa degli effetti di
memoria.
I metodi di soluzione delle equazioni, ottenute con il metodo delle maglie o con quello
dei nodi, sono i seguenti:
a) soluzione analitica diretta delle equazioni differenziali;
b) soluzione mediante la trasformata di Laplace;
c) soluzione mediante simulazione analogica diretta;
d) soluzione numerica delle equazioni differenziali.
Del metodo a), che è relativamente poco usato in pratica, è stato fatto qualche cenno nella
parte I del corso, del metodo b) ci occuperemo in seguito, il metodo c) (calcolatori e
simulatori analogici) è usato oggi solo in casi molto particolari a fronte del diffuso impiego di
programmi di simulazione numerica su calcolatore digitale, mentre diamo ora qualche
indicazione a proposito del metodo d).

11. Soluzione numerica delle equazioni dei circuiti dinamici


Questo metodo presenta oggi particolare interesse grazie alla enorme capacità di
calcolo che in questi anni i calcolatori digitali, dai calcolatori personali ai supercalcolatori,
hanno messo a nostra disposizione. Tale metodo, in particolare, è alla base di tutti i
programmi commerciali usati per l'analisi dei circuiti e dei sistemi analogici (Spice, ecc.).
La soluzione numerica su calcolatore delle equazioni dei sistemi fisici rientra, più in
generale, nella problematica della simulazione dei sistemi, cioè di una metodologia che ha
assumento una grandissima importanza concettuale oltre che pratica. Ricordiamo a questo
proposito che molti ritengono oggi che la simulazione dei sistemi sia giunta addirittura a
costituire una nuova, e autonoma, metodologia d'indagine fisica, che complementa il metodo

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 27


deduttivo introdotto nell'antichità dai filosofi Greci e il metodo sperimentale introdotto nel
Rinascimento da Galileo.
I metodi usati per risolvere numericamente (o, come si dice, per "integrare") le
equazioni differenziali, sono trattati nei corsi di Analisi Numerica. Qui ci limiteremo a
considerare brevemente un metodo che consiste nel trasformare le equazioni differenziali dei
circuiti in corrispondenti equazioni alle differenze finite e poi nel risolvere quest'ultime con
tecniche di tipo iterativo o ricorsivo. E osserviamo subito che nella rappresentazione dei
circuiti mediante equazioni alle differenze le grandezze elettriche si considerano come definite
solo a istanti discreti di tempo, equispaziati secondo un passo temporale Tc. Ciò significa,
evidentemente, abbandonare la rappresentazione a tempo continuo per quella a tempo
discreto.
La trasformazione delle equazioni consiste nell'approssimare le derivate mediante
differenze finite su un intervallo Tc e nell'esprimere le grandezze incognite a un dato istante in
termini di grandezze note allo stesso istante e di grandezze incognite agli istanti precedenti
(che si suppongono già calcolate e quindi note anch'esse).
Illustriamo l'applicazione di questo metodo alla seguente equazione differenziale, che
rappresenta un circuito RC passabasso:

(1) v(t) = τ dvc/dt + vc(t)

dove v(t) è la tensione d'ingresso, τ=RC la costante di tempo del circuito, vc(t) la tensione del
condensatore (che coincide con l'uscita del circuito). Sebbene vi siano vari modi per
approssimare la derivata, useremo il seguente, detto algoritmo di Eulero inverso:

(2) dvc/dt ≈ [vc(t)-vc(t-Tc)]/Tc

Ponendo a=Tc/(Tc+τ), b=τ /(Tc+τ) e sostituendo nella (1) si ha: vc(t) ≈ av(t) + bvc(t-Tc).
La riscriviamo tenendo presente che nella rappresentazione a tempo discreto i valori che la
variabile tempo può assumere sono solo quelli appartenenti alla sequenza t=kTc, con k intero:

(3) vc(k) = av(k) + bvc(k-1)

Si tratta di un'equazione alle differenze finite, dove abbiamo sostituito il segno di


uguaglianza approssimata con quello di uguaglianza per indicare che essa rappresenta

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 28


esattamente un determinato modello a tempo discreto del circuito RC; tale modello, d'altra
parte, costituisce una rappresentazione approssimata del circuito considerato.
L'equazione (3) si presta bene al calcolo iterativo della risposta a un segnale di forma
qualsiasi, a partire da un valore assegnato della condizione iniziale vc(0).
E' chiaro che i risultati di questa analisi sono approssimati, ma l'approssimazione è
tanto migliore quanto minore si sceglie il valore di Tc (a spese, naturalmente, del tempo di
calcolo). Si sceglierà, comunque, Tc piccolo rispetto sia alla costante di tempo τ del circuito
(più in generale, rispetto alla più piccola fra le varie costanti di tempo) sia alla velocità di
variazione dei segnali in gioco. Nel caso di segnali sinusoidali, per esempio, Tc dovrà essere
assai minore del periodo del segnale.

Esercizio. Calcolare numericamente, utilizzando la (3), la risposta indiciale del modello discreto di un circuito
RC passabasso con τ = 1 s: a) scegliendo Tc = 0.2 s; b) scegliendo Tc = 0.05 s. Confrontare i risultati ottenuti con
quelli ricavati dall'analisi esatta del circuito.

Sulla base dell'algoritmo (2) considerato prima, si può assegnare al condensatore un


opportuno circuito equivalente per la rappresentazione a tempo discreto. Tale circuito, al
tempo t=kTc, è costituito da un resistore di resistenza Tc/C, disposto in serie a un generatore
ideale di tensione di valore vc(k-1) (che rappresenta la tensione all'istante discreto
immediatamente precedente). Estendendo tale rappresentazione agli induttori, si conclude che
il relativo circuito equivalente
(al tempo t) è costituito da un
resistore di resistenza L/Tc, al
quale è disposto in parallelo un
generatore ideale di corrente di
valore iL(k-1).
In generale, per applicare questo metodo al calcolo della risposta di un circuito,
conviene scriverne le equazioni nella forma di un sistema di equazioni differenziali del primo
ordine nelle variabili di stato, cioè in termini delle tensioni dei condensatori e delle correnti
negli induttori.

Questo metodo di analisi, chiamato spesso simulazione numerica, è estremamente


flessibile e presenta caratteristiche di generalità sotto diversi punti di vista. Esso, infatti,
permette di trattare anche il caso di segnali d'ingresso non rappresentabili in forma analitica

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 29


(espressi, per esempio, nella forma di una tabella di numeri e quindi anche il rumore, che
d'altra parte è facilmente simulabile su calcolatore). Tale metodo, inoltre, permette di trattare
anche i circuiti comprendenti elementi sia nonlineari che non stazionari. Si conclude che la
simulazione numerica offre possibilità di indagine che vanno ben oltre le limitazioni dei
metodi analitici tradizionali, che tipicamente permettono di affrontare l'analisi dei soli sistemi
lineari e stazionari e soltanto per segnali d'ingresso esprimibili analiticamente.
Due osservazioni per concludere questo argomento. La prima per ricordare che la
soluzione numerica delle equazioni differenziali dei circuiti, che passa attraverso la loro
rappresentazione in termini di un modello a tempo discreto, è sempre approssimata: non
esiste, infatti, un modello a tempo discreto che rappresenti esattamente un sistema a tempo
continuo. La seconda, collegata alla precedente, è che il criterio di simulazione descritto sopra
non è l'unico (e non soltanto per quanto riguarda l'algoritmo di approssimazione delle
derivate). Si usano, infatti, anche vari altri criteri per individuare un'equazione alle differenze
finite che approssimi l'equazione differenziale di un sistema a tempo continuo: si può, ad
esempio, imporre che il modello a tempo discreto abbia la stessa risposta impulsiva del
sistema agli istanti kTc, oppure che esso abbia la stessa risposta in frequenza (questa
condizione può essere verificata esattamente solo se la risposta in frequenza del sistema a
tempo continuo è nulla per ω > π/Tc).

gvp – 23 agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte III pag. 30


PARTE IV

IL METODO DELLA TRASFORMATA DI LAPLACE

Per facilitare la risoluzione delle equazioni differenziali dei circuiti e dei sistemi
lineari e stazionari, riconducendole a equazioni algebriche mediante opportune
trasformazioni, sono stati introdotti vari metodi, chiamati spesso metodi operazionali.
Utilizzando questi metodi il segnale d'ingresso viene decomposto esprimendolo come
somma o integrale di determinate funzioni base, le equazioni (trasformate in algebriche)
vengono risolte per queste funzioni e la soluzione ottenuta viene poi ricondotta (mediante
antitrasformazione) a rappresentare il segnale d'uscita nel dominio del tempo.
I vari metodi differiscono per i tipi di funzioni base impiegate, e quindi dei segnali ai
quali essi possono venire applicati:
ƒ sinusoidi pure di frequenza data metodo simbolico
ƒ sinusoidi con frequenze multiple di una data serie di Fourier
ƒ esponenziali complessi trasformata di Fourier
ƒ esponenziali complessi (nulli per t<0) trasformata di Laplace

1. La trasformata di Fourier
Uno dei metodi operazionali più importanti è il metodo della trasformata di Fourier,
che è basato sui due seguenti integrali:

(1) F (ω ) = ∫ f ( t ) exp ( − jω t ) dt
−∞

1 ∞
(2) f (t ) = ∫ F (ω ) exp ( jω t ) dω
2π −∞

Il primo, chiamato integrale di Fourier o trasformata diretta di Fourier, rappresenta la


trasformazione nel dominio della frequenza della funzione f(t) definita nel dominio del
tempo. Il secondo integrale esprime invece la trasformazione inversa, cioè il passaggio dalla
rappresentazione nel dominio della frequenza a quello del tempo. Entrambi sono operatori
lineari.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 1


E' importante osservare che non tutte le funzioni del tempo sono trasformabili
secondo Fourier: l'esistenza dell'integrale diretto è garantita infatti soltanto per le funzioni
sommabili, per cui si ha


(3) ∫ f ( t ) dt < ∞
−∞

Questa condizione non è verificata per molte funzioni di notevole interesse, fra cui tutte le
funzioni periodiche, mentre lo è certamente per le funzioni limitate dotate di supporto
temporale limitato (identicamente nulle al di fuori di un dato intervallo t1, t2), che
rappresentano segnali transitori.
La proprietà essenziale della trasformata di Fourier, che la rende particolarmente
appropriata allo studio dei circuiti dinamici è la seguente: la trasformata della derivata
temporale di una funzione del tempo è data dal prodotto di jω per la trasformata della
funzione considerata, la trasformata dell'integrale di una funzione è data dal rapporto fra la
trasformata della funzione e jω. Applicando la trasformazione di Fourier a una equazione
integrodifferenziale, questa si riduce pertanto a una equazione algebrica nelle trasformate di
Fourier dei segnali.

Alcuni segnali
esponenziali.

Cosideriamo il segnale rappresentato nella parte a) della figura

(4) f(t) = ½ α exp(-α|t|)

che verifica la condizione (3), dato che ha area finita (in particolare unitaria). Utilizzando la
(1) si ottiene la corrispondente trasformata

α 0 α ∞ 1 α 1 α α2
F (ω ) = exp ( − jω t + α t ) dt + exp ( − jω t − α t ) dt =
2 ∫−∞ 2 ∫0
+ = 2
2 α − jω 2 α + jω α + ω 2

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 2


che è una funzione reale della variabile ω. Ricordiamo che questa è una proprietà generale
delle trasformate di Fourier di funzioni pari del tempo.
La trasformata dell'esponenziale troncato f(t)=u(t) exp(-α|t|) (parte b) della figura) si
ottiene immediatamente dal secondo degli integrali calcolati sopra: F(ω)=α/(α+jω). Questa
volta la trasformata di Fourier è una funzione complessa di ω (reale di jω), che è il caso più
frequente in pratica.
Consideriamo infine la funzione mostrata nella parte c) della figura:

(5) f(t) = ½ u(-t) exp(αt) + ½ u(t) exp(-αt)

Anche la sua trasformata si ottiene immediatamente utilizzando i calcoli svolti prima:


F (ω ) =
α +ω2
2

F(ω) è una funzione immaginaria della variabile ω. Ricordiamo anche che questa è una
proprietà generale delle trasformate di Fourier delle funzioni dispari del tempo.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 3


LA TRASFORMATA DI LAPLACE

2. Introduzione alla trasformata di Laplace

Il metodo operazionale più usato in elettronica è quello della trasformata di Laplace,


del quale ci occupiamo brevemente in quanto segue, rimandando ai testi di Analisi
Matematica per una discussione più approfondita. Nella trasformata di Laplace la
convergenza dell'integrale diretto viene assicurata anche per molte funzioni che non
verificano la condizione (3), modificando l'integrale di Fourier con l'introduzione di un
opportuno fattore (detto di convergenza) exp(-σt) e prendendo come estremo inferiore
d'integrazione l'origine anzichè -∞. Così facendo, la frequenza angolare complessa

(7) s = σ + jω

viene a sostituire la frequenza angolare ω come variabile da cui dipendono le funzioni


trasformate. L'integrale diretto e quello inverso si esprimono nella forma:


(8) F ( s ) = L  f ( t )  = ∫ f ( t ) exp ( − st ) dt
0

1 σ + j∞
f ( t ) = L−1  F ( s )  = F ( s ) exp ( st ) ds
2π j ∫σ
(9)
− j∞

Nell'integrale (9) si considera σ > σo, dove σo


(ascissa di convergenza) è il minimo valore σ che assicura
la convergenza dell'integrale diretto, e l'integrazione ha
luogo come indicato nella figura.
La trasformata di Laplace di una funzione del
tempo è una funzione analitica reale della variabile
complessa s nel dominio di definizione Re[s]>σo, che può
essere estesa a tutto il piano s eccettuati i punti di singolarità. Per esempio dalla funzione et si
ricava F(s) = 1/(s-1), Re[s]>1, che è analitica dovunque salvo che per s=1.
Si considerano generalmente le trasformate di funzioni che rappresentano segnali
applicati a partire da t=0 in poi, dato che l'integrale di Laplace (8) ha l'estremo inferiore
d'integrazione all'origine. Notiamo che queste funzioni, qualora soddisfino inoltre la

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 4


condizione (3), hanno trasformata di Fourier che coincide con la trasformata di Laplace per
s=jω.
In generale, la trasformata di Laplace di una funzione f(t) non dipende dai valori che
tale funzione assume per t<0. Questo non crea inconvenienti quando si utilizza la trasformata
di Laplace per determinare la risposta di un circuito o di un sistema lineare e stazionario da
t=0 in poi.
Notiamo infine che non sono trasformabili le funzioni per cui non esiste alcun valore
al finito dell'ascissa di convergenza σo che garantisca la convergenza dell'integrale diretto: un
esempio è costituito dalle funzioni del tipo exp(tρ) con ρ>1. Sono però trasformabili quasi
tutte le funzioni di interesse pratico nello studio dei circuiti e dei sistemi.

3. I teoremi fondamentali

Fra i teoremi più importanti ricordiamo i seguenti, dove assumiamo che le funzioni
del tempo f(t) siano trasformabili con trasformata F(s) e indichiamo la corrispondenza tra una
funzione e la sua trasformata con la notazione: f(t) ↔ F(s).

1) Linearità. Se f1(t) ↔ F1(s) e f2(t) ↔ F2(s), allora si ha

(10) αf1(t) + βf2(t) ↔ αF1(s) + βF2(s)

per qualsiasi valore di α e di β.


Si tratta di una conseguenza immediata della linearità dell'integrale di Laplace.

2) Derivazione rispetto al tempo.

(11) L[df/dt] = sF(s) - f(0+)

Si dimostra integrando per parti l'espressione L[df/dt].

3) Integrazione rispetto al tempo.

F (s)
L  ∫ f ( t ' ) dt ' =
t
(12)
 0  s

Si dimostra applicando il teorema 2 all'integrale della funzione f(t).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 5


4) Valore iniziale.
lim lim
(13) f (t ) = sF ( s )
t→0 s→∞

5) Valore finale.
lim lim
(14) f (t ) = sF ( s )
t→∞ s→0

6) Traslazione nel dominio del tempo.

(15) L[f(t-T)] = e-sT F(s) ; T>0

7) Cambiamento di scala.

(16) L[f(t/T)] = T F(Ts)

8) Traslazione nel campo complesso.

(17) L[exp(γt) f(t)] = F(s-γ)

9) Convoluzione. Riguarda la convoluzione di due funzioni del tempo fra 0 e t:

L  ∫ f1 (τ ) f 2 ( t − τ )dτ  = F1 ( s ) F2 ( s )
t
(18)
 0 

I primi tre teoremi sono quelli che permettono di trasformare in algebrica


un'equazione integrodifferenziale. I teoremi del valore iniziale e del valore finale sono utili
per una valutazione immediata dei valori1 di una funzione f(t) a t=0 e a t=∞, quando se ne
conosca la trasformata F(s), senza che sia necessario antitrasformarla. Gli altri teoremi sono
utili invece sopratutto nel calcolo di trasformate di funzioni del tempo e di antitrasformate di
funzioni della variabile s. L'ultimo teorema, infine, trova impiego nel calcolo della risposta di
un circuito a una eccitazione data (per esempio, una delle due funzioni del tempo rappresenta
l’eccitazione, l’altra la risposta impulsiva).

1
Attenzione: si ottengono così i valori asintotici, non gli andamenti asintotici, della funzione.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 6


4. Trasformate di funzioni impulsive ed esponenziali

La trasformata della funzione impulsiva unitaria si ottiene immediatamente dalla


definizione dell'integrale di Laplace:


(19) δ ( t ) ↔ ∫ δ ( t ) exp ( − st )dt = exp ( − st )  t =0 = 1
0

Da questo risultato, usando il teorema d'integrazione (12), si ricavano le trasformate delle


funzioni che costituiscono gli integrali successivi della funzione delta, cioè il gradino
unitario, la rampa, la parabola, ecc.

(20) gradino u(t) ↔ 1/s

(21) rampa r(t) = tu(t) ↔ 1/s²

(22) parabola p(t) = t²u(t) ↔ 2/s3

(23) in generale tnu(t) ↔ n!/sn+1

Con questi risultati, usando anche il teorema di traslazione nel dominio del tempo
(15), si ottengono le trasformate di molti segnali usati in elettronica. Nel caso, per esempio, di
un impulso rettangolare di durata T si ha:

(20a) u(t) - u(t-T) ↔ (1-e-sT)/s

La trasformata della funzione esponenziale exp(γt) si ottiene applicando il teorema di


traslazione nel campo complesso (17), oppure direttamente dall'integrale di Laplace

∞ 1 ∞ 1
(24) exp ( γ t ) ↔ ∫ exp ( γ − s ) t  dt = ∫ exp ( γ − s ) t  d ( γ − s ) t =
0 γ −s 0 s −γ

con ascissa di convergenza Re[γ]. Da questo risultato si ricavano le trasformate relative ai


seguenti importanti casi particolari.
a) Se γ = 0 si ha il risultato già trovato prima: u(t) ↔ 1/s
b) Se γ = -α (con α reale e positivo) si ha
1
(25) u ( t ) exp ( −α t ) ↔
s +α

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 7


c) Se γ = jβ (γ immaginario, β reale) si ha

1
(26) u ( t ) exp ( j β t ) ↔
s − jβ

da cui si ricavano le trasformate delle funzioni

exp ( j β t ) − exp ( − j β t ) β
(27) u ( t ) sin ( β t ) = ↔ 2
2j s + β2
exp ( j β t ) + exp ( − j β t ) s
(28) u ( t ) cos ( β t ) = ↔ 2
2 s + β2

d) Se γ = -α+jβ si ha u(t) exp(-αt+jβt) ↔ 1/(s+α−jβ), da cui si ricavano le ulteriore


espressioni

exp ( j β t ) − exp ( − j β t ) β
(29) u ( t ) exp ( −α t ) sin ( β t ) = u (t ) exp ( −α t ) ↔
(s + α )
2
2j + β2

exp ( j β t ) + exp ( − j β t ) s +α
(29a) u ( t ) exp ( −α t ) cos ( β t ) = u (t ) exp ( −α t ) ↔
(s + α )
2
2 + β2

5. Impiego della trasformata di Laplace nei circuiti

La trasformazione delle equazioni dei circuiti e dei sistemi si esegue direttamente


utilizzando, come si è già accennato, i teoremi di linearità, di derivazione e d'integrazione.
Considerando per semplicità il caso di circuiti a un solo ingresso e a una sola uscita, si ottiene
così un'equazione algebrica nelle variabili trasformate, che si risolve esprimendo la grandezza
incognita, cioè la trasformata dell'uscita, in termini dei parametri del circuito e della
grandezza nota, cioè la trasformata dell'ingresso.
Nell'espressione della trasformata della grandezza incognita figureranno,
generalmente, i valori iniziali che derivano dall'applicazione del teorema di derivazione. La
trasformata dell'uscita si può pertanto esprimere in generale come somma di due termini: il
primo relativo all'azione della sola grandezza d'ingresso, che rappresenta dunque la
trasformata della risposta forzata, il secondo relativo all'azione delle sole condizioni iniziali,
che rappresenta la trasformata della risposta libera.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 8


L'espressione della risposta nel dominio del tempo si ottiene infine antitrasformando
la funzione d'uscita espressa nel dominio di s. Dei metodi di antitrasformazione ci
occuperemo in seguito, ma notiamo subito che spesso questa operazione si può eseguire
immediatamente utilizzando le coppie trasformata-antitrasformata delle funzioni più comuni
che sono state ricavate in quanto precede, ricorrendo eventualmente all'impiego di teoremi
appropriati.
Il rapporto fra le trasformate della risposta forzata e dell'eccitazione presenta
particolare interesse in quanto costituisce l'espressione di una immettenza o di una funzione
di trasferimento nel dominio di s. In particolare, il rapporto fra le trasformate della tensione
(forzata, cioè al netto delle condizioni iniziali) e della corrente a una porta di una rete,
rappresenta l'impedenza Z(s) della porta espressa nel dominio di s; il rapporto fra le
trasformate della tensione a una porta (forzata, cioè al netto delle condizioni iniziali) e della
tensione applicata a un'altra porta di una rete, rappresenta la funzione di trasferimento H(s)
fra le due porte.
Chiamando X(s) la trasformata della grandezza d'ingresso e Y(s) la trasformata della
grandezza d'uscita (e occupandoci qui soltanto della risposta forzata), si ha in generale:

(30) Y(s) = F(s)X(s)

Si conclude che la risposta forzata nel dominio di s è sempre espressa dal prodotto fra la
trasformata del segnale d'ingresso e una funzione che esprime le proprietà del circuito
considerato. A seconda dei casi - tensioni relative a due porte di un circuito, correnti e
tensioni relative a una stessa porta o a due porte diverse - avremo dunque

(30a) V2(s) = H(s)V1(s) ; I(s) = Y(s)V(s) ; V(s) = Z(s)I(s)

Per chiarire quanto detto applichiamo la trasformazione di Laplace a un circuito RC


passabasso, occupandoci della relazione fra la tensione d'ingresso v1(t) e la tensione d'uscita
v2(t). Chiamando τ il prodotto RC, si ha l'equazione differenziale:

(31) v1(t) = τ dv2/dt + v2(t)

Applicando la trasformazione di Laplace alla (31) si ottiene la seguente equazione algebrica


nelle grandezze trasformate

(32) V1(s) = τsV2(s) - τv2(0+) + V2(s)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 9


che risolviamo ricavando la trasformata della tensione d'uscita:

V1 ( s ) τ v2 ( 0 )
+

(33) V2 ( s ) = +
1+τ s 1+τ s

dove il primo termine a destra rappresenta la risposta forzata del circuito V2f(s), dovuta
all'effetto della tensione d'ingresso, mentre il secondo rappresenta invece la risposta libera
V2l(s), determinata dallo stato iniziale.
L'antitrasformazione del termine relativo alla risposta libera è immediata: utilizzando
la (25) si ha infatti, v2l(t) = v2(0+) u(t)e-t/τ. Il termine relativo alla risposta forzata è dato dal
prodotto fra la trasformata della funzione d'ingresso e una funzione che rappresenta le
proprietà del circuito considerato: in questo caso la funzione di trasferimento del circuito
dalla porta d'ingresso a quella d'uscita espressa nel dominio della variabile s. Si ha dunque

V2 f ( s ) 1
(34) H (s) = =
V1 ( s ) 1+τ s

Se l'ingresso è un'impulso unitario, l'uscita è la risposta impulsiva del circuito:

(35) v1(t) = δ(t) ; v2(t) = h(t)

Le corrispondenti grandezze trasformate, dato che la funzione delta ha trasformata unitaria


(19) e che V2(s)=V1(s)H(s), sono pertanto

(36) V1(s) = 1 ; V2(s) = H(s)

Si conclude che la funzione di trasferimento coincide in generale con la trasformata della


risposta impulsiva e, inoltre, che nel caso di eccitazione impulsiva unitaria la trasformata
dell'uscita coincide con la funzione di trasferimento.
Il calcolo della risposta impulsiva si esegue antitrasformando la funzione di
trasferimento, che in questo caso è data dalla (34). Utilizzando la (25), con α=-1/τ, si ha:

 1  exp ( −t / τ )
(37) h ( t ) = L−1   = u (t )
1 + τ s  τ

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 10


Se l'ingresso è un gradino unitario, l'uscita è la risposta indiciale del circuito:

(38) v1(t) = u(t) ; v2(t) = hu(t)

Le corrispondenti grandezze trasformate, dato che la funzione gradino unitario ha trasformata


1/s (20) e che V2(s)=V1(s)H(s), sono pertanto

(39) V1(s) = 1/s ; V2(s) = Hu(s) = H(s)/s

Si conclude che in
generale che la funzione H(s)/s
coincide con la trasformata della
risposta indiciale e, inoltre, che
nel caso di eccitazione a gradino unitario la trasformata dell'uscita coincide con H(s)/s.
Il calcolo della risposta indiciale si esegue antitrasformando la funzione Hu(s)= H(s)/s,
che nel nostro caso non è esprimibile direttamente in termini delle funzioni considerate in
precedenza. Ad esse però può essere ricondotta mediante sviluppo in frazioni parziali.
Utilizzando la (34) e ponendo

H (s) 1 A B
(40) = = +
s s (1 + τ s ) s 1 + τ s

si ricava infatti A=1, B=-τ. Ricordando la (25) si ha allora:

 H (s)  −1  1 τ 
(41) hu ( t ) = L−1  =L  − = u ( t ) (1 − exp ( −t / τ ) )
 s   s 1 + τ s 

Ma di solito, nell'analisi di un circuito con la trasformata di Laplace, anzichè scriverne


le equazioni nel dominio del tempo per poi trasformarle, si scrivono direttamente le equazioni
in forma trasformata, come si fa d'altronde usando il metodo simbolico. E allora occorre
disporre delle equazioni costitutive degli elementi di circuito espresse nel dominio di s.
Nel caso di un condensatore le relazioni costitutive in s assumono le forme seguenti,
corrispondenti ai circuiti equivalenti mostrati nella figura

1 t v (0) I ( s )
(42) v (t ) = v (0) + ∫ i ( t ' ) dt ' ↔ V ( s ) = +
C 0 s sC

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 11


(43) i(t) = Cdv/dt ↔ I(s) = sCV(s) - Cv(0)

dove le condizioni
iniziali sono
rappresentate, nei
due casi, nella
forma di un
gradino di tensione di ampiezza v(0) e di un impulso di corrente di intensità Cv(0)
(corrispondente alla carica Q=Cv(0)).
Analogamente, per un induttore L si ha

1 t i ( 0) V ( s )
i (t ) = i (0) + ( ) ( )
L ∫0
(44) v t ' dt ' ↔ I s = +
s sL
(45) v(t) = Ldi/dt ↔ V(s) = sLI(s) - Li(0)

dove le condizioni iniziali sono rappresentate, nei due casi, nella forma di un gradino di
corrente di ampiezza i(0) e di un impulso di tensione Li(0) (corrispondente al flusso φ=Li(0)).
Così procedendo, possiamo scrivere direttamente l'equazione trasformata del circuito
RLC mostrato in figura nella forma

(46) Vo(s) = RI(s) + sLI(s) - Li(0) + I(s)/sC + vC(0)/s

che riscriviamo più compattamente come segue

(47) V(s) = Z(s)I(s)

dove Z(s) è l'impedenza del circuito nel dominio di s e V(s) è l'eccitazione generalizzata.

(48) Z(s) = R + sL + 1/sC


(49) V(s) = Vo(s) + Li(0) - vC(0)/s

Procedendo allo stesso modo le equazioni delle maglie e dei nodi di un circuito si
scriveranno nelle forme seguenti:

(50) Vk(s) = Σh Zkh(s)Ih(s)


(51) Ik(s) = Σh Ykh(s)Vh(s)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 12


6. Poli e zeri delle funzioni di s

Le funzioni di s di nostro interesse, che rappresentano impedenze, funzioni di


trasferimento e segnali, sono generalmente funzioni razionali fratte della variabile complessa.
Tali sono infatti, come abbiamo visto, le trasformate di molti segnali usati comunemente. Tali
sono anche le funzioni relative ai circuiti a costanti concentrate, in quanto ottenute mediante
trasformazione di equazioni integrodifferenziali. E tali sono allora, per quanto si è detto
prima (30), anche le funzioni di s che rappresentano segnali d'uscita.
Rappresentiamo una generica funzione razionale fratta della variabile complessa s
nella forma seguente:
m

N (s)
∑b s j
j

(52) F (s) = = j =0

D (s) n

∑a s
i =0
i
i

dove il numeratore è un polinomiale di grado m in s, il denominatore di grado n. Le m radici


del numeratore prendono il nome di zeri e si indicano con z, le n radici del denominatore il
nome di poli e si indicano con p. Se i coefficienti ai e bj sono tutti reali2, allora i poli e gli zeri
sono o reali oppure complessi coniugati. Fattorizzando i polinomiali N(s) e D(s), la funzione
si scrive nella forma seguente:

N ( s ) bm ( s − z1 )( s − z2 ) ... ( s − zm )
(53) F (s) = =
D ( s ) an ( s − p1 )( s − p2 ) ... ( s − pn )

Si conclude che una funzione razionale fratta è completamente determinata quando se


ne conoscono gli zeri e i poli, che come vedremo ne determinano le proprietà essenziali (e
quindi la forma dell'andamento temporale della corrispondente funzione antitrasformata), e la
costante bm/an.
Il grafico che rappresenta le posizioni dei poli e degli zeri di una funzione nel piano
complesso s = σ + jω ne evidenzia dunque le proprietà essenziali. Nella figura è mostrato
come esempio il grafico poli-zeri della funzione
F(s) = (s-1)(s-2j+2)(s+2j+2)/s(s+3)(s-3j+1)(s+3j+1)

2
Questo è quanto si verifica nello studio dei circuiti elettrici: i coefficienti ai e bj sono tutti reali perchè tali sono
i coefficienti delle equazioni differenziali, nelle cui espressioni figurano i parametri dei circuiti (R, L, C, ecc.).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 13


METODI DI ANTITRASFORMAZIONE

Dal momento che l'impiego della formula (9) per l'antitrasformazione è generalmente
tutt'altro che agevole, i metodi di antitrasformazione più usati in pratica sono i seguenti:
a) uso di tabelle3 con eventuale impiego di appropriati teoremi;
b) metodo dei residui;
c) sviluppo in frazioni parziali;
d) metodi numerici;
e) uso del calcolatore (con metodi numerici o programmi simbolici).

7. Il metodo dei residui

La formula (9) non è del tutto inutile. Da essa deriva infatti un metodo di
antitrasformazione (metodo dei residui) per le funzioni razionali fratte di s. E qui ricordiamo
che le funzioni impedenza, ammettenza e di trasferimento dei circuiti a costanti concentrate
sono appunto funzioni razionali fratte di s (ma non è detto però che tali siano anche le
trasformate di Laplace dei segnali d'ingresso che, nell'espressione dei segnali d'uscita che
occorre antitrasformare, vanno a moltiplicare le funzioni caratteristiche dei circuiti).

3
Le coppie trasformata-antitrasformata riportate in quanto precede già costituiscono una tabella sufficiente a
trattare molti casi. Tabelle molto più estese sono raccolte in vari testi. Fra questi citiamo i seguenti:
J. G. Holbrook Laplace Transforms for Electronic Engineers Pergamon Press, Londra, 1959
F. E. Nixon Handbook of Laplace Transformation Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1960

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 14


Consideriamo una funzione razionale fratta di s con coefficienti reali costanti, con m
zeri ed n poli
m

N (s)
∑b s j
j

F (s) =
j =0
(54) =
D (s) n

∑a s
i =0
i
i

Se m<n la F(s) assume evidentemente valore nullo all'infinito.


In tal caso il cammino d'integrazione per il calcolo della f(t)
mediante la (9) può essere chiuso all'infinito (dove F(s)=0),
come mostrato nella figura, trasformando così la (9) nella

1
f ( t ) = L−1  F ( s )  = F ( s ) exp ( st ) ds
2π j v∫ C
(55)

Dal momento che il cammino chiuso C racchiude tutti i poli della funzione integranda,
l'integrale può essere espresso in termini della sommatoria

(56) f(t) = Σi Ri i=1,2,..,n

dove i residui Ri, se la funzione F(s) non possiede poli multipli, si calcolano con la formula

(57) Ri = [(s-pi)F(s)exp(st)]s=p
i

Si può dunque esprimere la funzione antitrasformata nella forma

(58) f(t) = Σi Ui exp(pit) i=1,2,..,n

con i coefficienti (reali o complessi coniugati) dati dalla formula

(59) Ui = [(s-pi)F(s)] s=p


i

Si conclude in generale che l'antitrasformata f(t) di una funzione razionale fratta F(s),
che sia una frazione propria e abbia tutti i poli distinti, è una sommatoria di prodotti fra un
coefficiente indipendente dal tempo e un fattore exp(pit) dipendente dal tempo, il cui
andamento temporale è pertanto determinato dai poli della funzione.
Se la funzione F(s) possiede poli multipli, l'espressione dei residui corrispondenti ha
una forma diversa dalla (57), contenendo anche prodotti di potenze di t per gli esponenziali.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 15


Ma anche in questo caso l'andamento asintotico della funzione antitrasformata f(t) per t che
tende all'infinito dipende soltanto dagli esponenziali exp(pit).
Se poi la funzione F(s) non è una frazione propria, cioè il numero dei suoi zeri non è
minore di quello dei poli, essa può essere ricondotta al caso precedente mediante divisione fra
il polinomiale a numeratore e quello a denominatore. Consideriamo, per esempio, il caso in
cui sia n=m. Se la funzione è espressa dalla (54), eseguendo la divisione fra N(s) e D(s)
avremo:

bm b
(60) F ( s) = + G ( s ) ↔ f ( t ) = m δ ( t ) + L−1 G ( s ) 
an an

dove G(s) è evidentemente una frazione propria e, ricordando la (19), l'antitrasformata del
termine costante è una funzione delta.
Di particolare importanza è l'andamento asintotico di una funzione antitrasformata per
t che tende all'infinito. La (58), in particolare, mostra che la funzione f(t) converge a zero
soltanto se tutti i poli della F(s) possiedono parte reale negativa. Questo ha importanti
conseguenze ai fini della stabilità di un circuito, in relazione a quanto detto a pag. 39 della
Parte I, quando la F(s) è una funzione di trasferimento e la corrispondente antitrasformata è
allora una risposta impulsiva: un circuito è stabile (nel senso b.i.b.o.) soltanto se la sua
funzione di trasferimento non possiede alcun polo con parte reale nulla o positiva.

Esempio. Un amplificatore con taglio alle basse e alle alte frequenze.


Consideriamo il circuito mostrato nella figura, comprendente una cella CR passaalto, e una
RC passabasso, che sono disaccoppiate mediante un amplificatore ideale di guadagno A (per
ideale intendiamo qui un amplificatore dotato di
guadagno reale indipendente dalla frequenza,
impedenza d'ingresso infinita e impedenza
d'uscita nulla). Questo circuito rappresenta un
modello approssimato per molti amplificatori che
presentano un taglio sia alle basse che alle alte
frequenze.
Dato che le due celle sono disaccoppiate, la funzione di trasferimento del circuito è
data dal prodotto delle funzioni delle due celle, che si ottengono, considerandole come

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 16


partitori, nella forma seguente: H1(s) = τ1s/(1+τ1s), H2(s) = 1/(1+τ2s), avendo posto τ1 = R1C1,
τ2 = R2C2 (generalmente con τ1>>τ2). Si ha pertanto

τ 1s A s
(61) H (s) = A =
(1 + τ1s )(1 + τ 2 s ) τ 2 ( s − p1 )( s − p2 )
dove i poli sono

(62) p1 = -1/τ1 ; p2 = -1/τ2

La risposta indiciale si ottiene antitrasformando la funzione

H (s) A 1
(63) Hu ( s ) = =
s τ 2 ( s − p1 )( s − p2 )
e dunque in base alla (58) si ha

(64) hu(t) = (U1 exp(p1t) + U2 exp(p2t)) u(t)

Applicando alla (63) i teoremi del valore iniziale e del valore finale si ricava che hu(0) e hu(∞)
sono nulli entrambi, in accordo col fatto che il circuito non trasmette nè la continua nè le
frequenze più alte.
Calcoliamo i coefficienti U1 e U2 usando la formula (59)

A 1  Aτ 1
(65) U1 = ( s − p1 ) H u ( s )  s = p =   =
1
τ 2 ( s − p2 )  s = p1 τ1 − τ 2

A 1  Aτ 1
(66) U 2 = ( s − p2 ) H u ( s )  s = p =   =
2
τ 2 ( s − p1 )  s = p2 τ 2 − τ 1

Sostituendo nella (64) si ha infine:

τ1
(67) hu ( t ) = A exp ( −t / τ 1 ) − exp ( −t / τ 2 )  u ( t )
τ1 − τ 2 

La risposta in regime sinusoidale permanente si ottiene sostituendo s con jω nella


funzione di trasferimento del circuito

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 17


jωτ 1
(68) H ( jω ) = A
(1 + jωτ1 )(1 + jωτ 2 )

Si ha evidentemente H(0)=0, H(∞)=0, con il massimo di |H(jω)| a una frequenza


intermedia o in tutta una regione di frequenze intermedie
(dove allora |H(jω)|≈A) se τ1>>τ2, come nel caso
considerato nella figura. In queste condizioni le
frequenze di taglio inferiore f1 e superiore f2 sono date
dalle semplici espressioni

(69) f1 = 1/2πτ1 ; f2 = 1/2 πτ2

Dalla (68) si ricava inoltre che in continua lo sfasamento è +π/2 (in anticipo), a frequenza
infinita -π/2 (in ritardo).

8. Il metodo dello sviluppo in frazioni parziali

Un diverso approccio all'antitrasformazione di una funzione razionale fratta di s


consiste nello svilupparla preliminarmente in frazioni parziali, ottenendo così termini
direttamente antitrasformabili. Se i poli della funzione sono tutti distinti si ha

N ( s ) n Ui
(71) F (s) = =∑
D ( s ) i =1 s − pi

dove i coefficienti Ui (reali o complessi coniugati) si determinano imponendo l'eguaglianza


fra i due membri della (71) per qualsiasi valore di s. Si ottiene così un sistema di n equazioni
algebriche, ciascuna corrispondente a una diversa potenza di s, risolvendo il quale si ricavano
appunto i coefficienti Ui.
Si può, in alternativa, calcolare i coefficienti Ui utilizzando la formula (59).
Moltiplicando infatti la F(s) per il generico fattore (s-pi), dalla (71) si ha:

N ( s )( s − pi ) ( s − pi ) + ... + U ... + U ( s − pi )
(72) F ( s )( s − pi ) = = U1
D (s) ( s − p1 ) ( s − pn )
i n

e ponendo infine s = pi si ottiene la (59).

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 18


Esempio. Il partitore RC.

Il circuito mostrato nella figura prende il nome di partitore RC. Vogliamo calcolarne
la risposta indiciale. Ponendo τ=RC e chiamando

αR R
(73) Z1 ( s ) = ; Z2 ( s ) =
1 + αβτ s 1+τ s

le impedenze dei due rami, la funzione di trasferimento è

Z2 ( s ) 1 1 + αβτ s
(74) H (s) = =
Z1 ( s ) + Z 2 ( s ) 1 + α 1 + ατ s (1 + β ) / (1 + α )

Tale espressione possiede un


polo e uno zero, entrambi
reali. In essa individuiamo
due costanti di tempo: la
prima è τz = αβτ, relativa allo
zero z = -1/αβτ; la seconda è
τp = α(1+β)τ/(1+α), relativa al polo p = -(1+α)/α(1+β)τ.
Dato che l'eccitazione è V1 = 1/s, la trasformata dell'uscita corrispondente, cioè la
risposta indiciale del circuito, è

H (s) 1 1+τ zs
(76) V2 ( s ) = H u ( s ) = =
s 1 + α s (1 + τ p s )

Questa funzione, in aggiunta alle singolarità relative alla funzione di trasferimento del
circuito, possiede un polo reale all'origine, relativo al segnale d'ingresso: si tratta di una
frazione propria con m=1 e n=2. Riscrivendola in termini di poli e zeri, con

(77)
1 1 1 1+α
z=− =− ; p1 = 0 ; p2 = − =−
τz αβτ τp α (1 + β )τ

si ha
β s−z U1 U2
(78) Hu ( s ) = = +
1 + β ( s − p1 )( s − p2 ) s − p1 s − p2

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 19


che rappresentiamo graficamente come mostrato nella figura.
Calcoliamo innanzitutto il valore iniziale e quello finale
della risposta indiciale, applicando i teoremi (13) e (14).

lim lim β lim lim 1


hu ( t ) = H (s) = ; hu ( t ) = H (s) =
t→0 s→∞ 1+ β t→∞ s→0 1+α

Questi risultati s'interpretano considerando che la risposta del partitore ai tempi brevi (alle
alte frequenze) è determinata dai condensatori, come se si avesse un partitore puramente
capacitivo; mentre quella ai tempi lunghi (alle basse frequenze) è determinata invece dai
resistori, come se si avesse un partitore puramente resistivo.
La (78) mostra che la funzione antitrasformata ha la forma

(79) hu(t) = u(t)[U1 exp(p1t) + U2 exp(p2t)]

dove i coefficienti U1 e U2 si ottengono usando la formula (59) oppure risolvendo il sistema


che si ottiene dalla (78). In quest'ultimo caso, moltiplicando ambo i membri della (78) per
(s - p1)(s - p2), si ha l'uguaglianza

β(s - z) = (1 + β)[U1(s - p2) + U2(s - p1)]

che deve essere verificata per qualsiasi valore di s. Sviluppandola, si ottiene

βs - βz = (1 + β)(U1s - U1p2 + U2s - U2p1)

per cui devono essere simultaneamente verificate le due uguaglianze

βs = (1 + β)(U1s + U2s) ; βz = (1 + β)(U1p2 + U2p1)

dalle quali si ricava

1 αβ − 1
(80) U1 = ; U2 =
1+α (1 + α )(1 + β )

Sostituendo nella (79) si ottiene infine l'espressione della risposta indiciale del partitore:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 20


(81)

1  αβ − 1  (1 + α ) t  
hu ( t ) = 1 + exp    u (t )
1+α  (1 + β ) α (1 + β )τ  
Questa funzione ha andamento esponenziale, che
raccorda i valori iniziale e finale determinati prima. La
sua forma, come è mostrato nella figura, dipende in
modo sostanziale dai valori dei parametri del circuito,
cioè a seconda che il prodotto αβ sia maggiore, uguale o
minore dell'unità (e conseguentemente il valore iniziale
della funzione sia maggiore, uguale o minore di quello
finale).
Un caso particolare molto interessante è quello per cui αβ=1 e quindi la risposta
indiciale è un gradino di tensione, cioè ha la stessa forma dell'eccitazione: conseguenza
importantissima è che la risposta a qualsiasi segnale d'ingresso ne ha la stessa forma, a parte
un fattore di scala. Il partitore RC si comporta allora come un circuito statico, sebbene
contenga dei condensatori, cioè elementi dotati di memoria. In questo caso, infatti, si verifica
il fenomeno della cancellazione polo-zero: dato che il polo p2 e lo zero z assumono lo stesso
valore, i termini che li rappresentano si elidono nella funzione di trasferimento H(s) che
diventa indipendente da s, come in un circuito statico. Il circuito, in queste condizioni, prende
il nome di partitore compensato.

Il partitore RC contiene due condensatori, e dunque in linea di principio ha due variabili di stato. Nel
circuito considerato, tuttavia, queste due variabili, cioè le tensioni dei due condensatori, non sono controllabili
indipendentemente da parte dell'ingresso, per come sono disposti i due elementi (essi sono in serie fra loro
rispetto all'ingresso). Questo spiega perchè nella relazione ingresso-uscita figura una sola variabile di stato. La
conseguenza è che l'equazione differenziale del circuito è del primo ordine e corrispondentemente la sua
funzione di trasferimento ha un solo polo. Quando poi αβ=1, e allora i fattori di partizione del partitore
capacitivo (β/(1+β)) e di quello resistivo (1/(1+α)) diventano uguali fra loro, anche questa variabile di stato
svanisce (e si ha formalmente il fenomeno della cancellazione polo-zero) nel senso che non vi sono effetti di
memoria in quanto la risposta ai tempi lunghi coincide con quella ai tempi brevi.

Esercizio. Il partitore RC esaminato nell'Esempio precedente trova numerosi impieghi ed è usato fra l'altro nelle
sonde degli oscilloscopi. Queste sonde si usano per osservare un segnale perturbando il meno possibile la
sorgente, cioè presentando ad essa elevata impedenza e in particolare bassa capacità: alquanto inferiore a quella
che vedrebbe la sorgente se l'ingresso dell'oscilloscopio venisse collegato direttamente ad essa (qualche decina

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 21


di picofarad più la capacità del cavo di collegamento, cioè almeno altrettanto). Una tipica sonda attenuatrice,
realizzata secondo il principio dell'attenuatore RC compensato, presenta un fattore di attenuazione pari a 1:10 e
bassa capacità d'ingresso. La sonda comprende un resistore fisso e un condensatore regolabile (trimmer):
quest'ultimo viene aggiustato in modo che un segnale a onda quadra
applicato alla sonda venga osservato come tale sullo schermo
dell'oscilloscopio. Lo schema del circuito è mostrato nella figura.
Progettare una sonda attenuatrice ad alta impedenza per un
oscilloscopio con resistenza d'ingresso R = 1 MΩ e capacità
d'ingresso totale (inclusa quella del cavo di collegamento alla sonda)
compresa fra 60 e 80 pF, individuando i valori del resistore e del
trimmer capacitivo.

Consideriamo infine le funzioni che possiedono poli multipli, esaminando per


semplicità il caso di una funzione con un solo polo multiplo pi, di molteplicità r. Lo sviluppo
in frazioni parziali è il seguente, dove abbiamo trascurato i termini relativi agli altri poli:

U i1 Ui2 U ir
(82) F ( s ) = ... + + + ... + r + ...
( s − pi ) ( s − pi ) 2
( s − pi )

Anche in questo caso i coefficienti Ui1,...,Uir si calcolano risolvendo il sistema di


equazioni che si ottiene moltiplicando ambo i membri della (82) per (s-pi)r e imponendo poi
l'uguaglianza per qualsiasi valore di s. Se la F(s) possiede un solo polo, che ha molteplicità r,
si ottengono r equazioni negli r coefficienti incogniti (la prima relativa ai termini in s0, la
seconda a quelli in s, l'ultima relativa a quelli in sr-1).

Esempio. Risposta indiciale di due celle RC disaccoppiate.

Consideriamo il circuito mostrato nella figura,


costituito da due celle RC passabasso che supponiamo
identiche fra loro e disaccoppiate da un amplificatore
ideale con guadagno unitario (per ideale intendiamo
qui un amplificatore dotato di guadagno reale indipendente dalla frequenza, impedenza
d'ingresso infinita e impedenza d'uscita nulla). Calcoliamo la risposta indiciale del circuito.
Dal momento che le due celle sono disaccoppiate, la funzione di trasferimento del
circuito è data dal prodotto delle funzioni delle celle. Essendo queste uguali si ha, ponendo
RC=τ, H(s) = 1/(1+τs)². La risposta indiciale si ottiene pertanto antitrasformando la funzione:

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 22


H (s) 1 1 1
(83) Hu ( s ) = = = 2
s (1 + τ s ) τ s ( s − p )
2 2
s

che è caratterizzata dall'assenza di zeri, e dalla presenza di un polo all'origine, relativo al


gradino d'ingresso, e di un polo doppio con

(84) p = -1/τ

Calcoliamo l'antitrasformata della (83) usando il metodo dello sviluppo in frazioni


parziali. Sviluppandola si ha

U1 U12 U 22
(85) Hu ( s ) = + +
s ( s − p ) ( s − p )2

L'antitrasformazione dei primi due termini è immediata; quella del terzo si ottiene ricordando
la coppia (21), relativa a una rampa, e usando il teorema di traslazione nel campo complesso
(17). Il risultato è

(86) hu(t) = [U1 + U12 exp(pt) + U22 t exp(pt)]u(t)

Moltiplicando per s(s-p)2 ambo i membri della (85) si ha

(87) 1 = τ²[U1p2 + s(-2U1p – U12p +U22) + s²(U1 + U12)

da cui si ottengono le seguenti tre equazioni nei coefficienti incogniti

(88) τ²U1p² = 1 ; -2U1p – U12p +U22 = 0 ; U1 + U12 = 0

Questi si ricavano risolvendole:

(89) U1 = 1 ; U12 = -1 ; U22 = p = -1/τ

Sostituendo nella (86) si ha pertanto

(90) hu(t) = [1 - exp(-t/τ) - (t/τ)exp(-t/τ)]u(t)

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 23


il cui grafico è mostrato nella figura. Notiamo che sviluppando in serie tale espressione per
t<<τ si ottiene: hu(t) ≈ t²/τ². Ai tempi brevi il circuito si comporta infatti come un doppio
integratore.

La risposta in regime sinusoidale permanente del circuito è H(jω)=1/(1+jωτ)². Si tratta


dunque di un filtro passabasso con risposta unitaria in continua e modulo decrescente con la
frequenza, nel diagramma di Bode, ma con pendenza doppia rispetto al caso di una sola cella
RC: -40 dB/decade. La frequenza di taglio a –3 dB si trova imponendo |H(jω1)| =
|H(j0)|/√2=1/√2: f1=0.102.../τ. Lo sfasamento in continua è nullo; quello all'infinito -π, cioè
doppio rispetto a quello di una sola cella RC.

10. Alcune note su zeri e poli

Dal momento che l'andamento temporale di una funzione del tempo dipende
essenzialmente dalla natura dei poli della corrispondente funzione di s, ci può chiedere quale
sia il ruolo svolto dagli zeri. La risposta è che essi influenzano fortemente i coefficienti (Ui)
dei fattori esponenziali la cui sommatoria costituisce la funzione f(t).
Si nota, in particolare, che quando uno zero ha valore prossimo a quello di un polo, il
coefficiente relativo a quel polo assume valori tanto più piccoli quanto minore è la distanza
fra le due singolarità. Quanto si è detto è presto verificato esaminando la funzione

F(s) = (s-z)/(s-p)

Trattandosi di una frazione impropria, esprimiamo la F(s) nella forma

F(s) = 1 + (p-z)/(s-p)

la cui antitrasformata mostra appunto che l'ampiezza del termine esponenziale dipende dalla
differenza (p-z)

f(t) = δ(t) + (p-z) exp(pt)

Nel caso particolare in cui z = p si ha il fenomeno della cancellazione polo-zero. E’


chiaro che in un circuito fisico reale la cancellazione non si può mai verificare esattamente,
ma è pure evidente che anche se l'uguaglianza fra il valore di un polo e di uno zero è

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 24


verificata soltanto approssimativamente si manifesta un effetto di quasi annullamento (forte
riduzione) dell'ampiezza del coefficiente del polo.

Un caso interessante è quello degli zeri che si trovano sull'asse immaginario. In questo
caso la funzione, considerata nel dominio di ω, presenta antirisonanza alla frequenza degli
zeri, con il risultato, se si tratta di una funzione di trasferimento, che a quella frequenza la
trasmissione si annulla (filtro eliminafrequenza o filtro notch); tali zeri si chiamano per
questo "zeri di trasmissione".

Un altro problema riguarda la profonda diversità della forma delle funzioni del tempo corrispondenti a
funzioni di s con poli distinti e poli multipli (e anche in questo caso è chiaro che in nessun circuito fisico reale i
valori dei parametri potranno essere tali che due poli coincidano esattamente).
Considerando funzioni con due poli, nei due casi si ha infatti:

1
F (s) = ↔ f ( t ) = t exp ( pt )
(s − p)
2

1 exp ( p1t ) exp ( p2t )


F '( s) = ↔ f '(t ) = +
( s − p1 )( s − p2 ) p1 − p2 p2 − p1

Esaminiamo cosa avviene quando i due poli sono assai prossimi fra loro, ponendo p1=p(1+ε) e p2=p(1-ε) nella
F'(s). Sostituendo p1 e p2 nella espressione della f'(t) e sviluppando in serie gli esponenziali si ha:

exp ( pt ) exp ( pt )
f '( t ) = exp ( ε pt ) − exp ( −ε pt )  ≈ (1 + ε pt ) − (1 − ε pt )  = t exp ( pt )
2ε p 2ε p 

La f'(t) è dunque approssimativamente uguale alla f(t), a cui diventa uguale quando ε tende a zero.

gvp – 25 Agosto 2004 Appunti di Elettronica parte IV pag. 25


PARTE V

RISPOSTE CARATTERISTICHE, RETI DUE PORTE

1. Funzioni di rete e funzioni di trasferimento

I rapporti tra le trasformate di due grandezze elettriche (tensioni e correnti) di un


circuito prendono in generale il nome di funzioni di rete. Queste si distinguono in funzioni
immettenza e in funzioni di trasferimento. Le prime rappresentano rapporti fra trasformate di
grandezze elettriche che sono entrambe relative a una stessa porta di una rete (si tratta perciò
di ammettenze o di impedenze d'ingresso, da cui il nome immettenza). Le seconde
rappresentano invece rapporti fra grandezze elettriche relative a due porte diverse. Queste
ultime si distinguono in impedenze e ammettenze di trasferimento, e in funzioni prive di
dimensioni (rapporti fra le trasformate di due tensioni oppure di due correnti).

Tutte queste funzioni, definite come rapporti fra trasformate di grandezze elettriche,
possono essere interpretate in vari modi. La prima interpretazione è quella di risposta, nel
dominio di s, a una eccitazione impulsiva, ossia di trasformata di una risposta impulsiva.
Consideriamo per esempio la funzione di trasferimento H(s), definita dal rapporto fra le
trasformate della tensione alla porta 2 e di quella alla porta 1 di una rete:

V2 ( s )
H (s) =
V1 ( s )

E' evidente che quando v1(t)=δ(t) la V2(s) coincide con H(s), che quindi rappresenta la
trasformata della risposta impulsiva h(t) della rete.

2. Risposta in frequenza

Una seconda, importantissima, interpretazione delle funzioni di rete, e in particolare


delle funzioni di trasferimento, riguarda la risposta in frequenza, cioè la relazione fra
l'ampiezza e la fase del segnale d'uscita e le corrispondenti grandezze del segnale d'ingresso,
quando quest'ultimo sia costituito da un segnale sinusoidale di frequenza fissa.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 1


Qui ricordiamo una proprietà fondamentale dei sistemi lineari e stazionari: se eccitati
con un segnale sinusoidale, la loro risposta non può che essere sinusoidale, della stessa
frequenza. Tant'è vero che ogni deviazione dell'uscita dalla legge sinusoidale può essere
assunta come una efficace misura della nonlinearità (o della non stazionarietà) del sistema
(infatti, per determinare la nonlinearità di un amplificatore si applica di solito al suo ingresso
una sinusoide e si osserva il contenuto di armoniche presente all'uscita: questo rappresenta la
così detta distorsione dell'amplificatore, più precisamente la distorsione nonlineare).

In generale, data una funzione di rete (e in particolare una funzione di trasferimento)


espressa in funzione della variabile complessa s = σ + jω, la corrispondente risposta in
frequenza si ottiene semplicemente ponendo σ = 0, ossia s = jω.

Questo si dimostra come segue. Consideriamo la funzione di trasferimento di un


sistema all'ingresso del quale è applicato un segnale esponenziale complesso:

(1) v1(t) = V exp(jωt)

con trasformata di Laplace

V
(2) V1 ( s ) =
s − jω

La risposta sarà evidentemente:

V
(3) V2 ( s ) = H (s)
s − jω

con antitrasformata

(4) v2(t) = V[U0exp(jωt) + Σi Uiexp(pit)]

dove la sommatoria è estesa a tutti i poli pi della funzione di trasferimento (supposti distinti,
per semplicità). Se il sistema è stabile, cioè le parti reali di tutti i suoi poli sono negative,
allora a tempi sufficientemente lunghi i termini relativi alla sommatoria sono tutti destinati a
svanire, mentre sopravviverà solo il primo termine. Il coefficiente di quest'ultimo, calcolato al
solito modo, vale

(5) U0 = [H(s)]s=jω = H(jω)

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 2


sicchè per t→∞ la tensione d'uscita, espressa nel dominio del tempo, assume la forma

(6) v2(t) = VH(jω) exp(jωt) = V |H(jω)| exp(j ⁄H(jω)) exp(jωt)

Si conclude che l'ampiezza e lo sfasamento della sinusoide d'uscita, rispetto ai


corrispondenti valori della sinusoide d'ingresso alla frequenza angolare ω, sono determinati
dal valore (complesso) della funzione di trasferimento calcolata per s=jω. Più precisamente, il
modulo dell'amplificazione è dato dal modulo della H(jω), lo sfasamento è dato dalla fase
della stessa funzione.

Si potrebbe pensare di calcolare la risposta in regime sinusoidale di una rete di cui sia nota la funzione
di trasferimento H(s) antitrasformando il prodotto di tale funzione per la trasformata di Laplace di una sinusoide
ωo/(s²+ωo²). Va notato tuttavia che il segnale così ottenuto rappresenta la risposta desiderata (cioè la risposta in
regime permanente sinusoidale) soltanto dopo un certo tempo. Il motivo è che la "sinusoide" così applicata non
è un segnale armonico puro, ma il prodotto di un segnale armonico per un gradino unitario a t=0, a cui è
associata una risposta transitoria che si esaurisce soltanto dopo un tempo sufficientemente lungo (3-5 volte, in
pratica) rispetto alla più lunga delle costanti di tempo in gioco (determinate dalle parti reali dei poli della
funzione di trasferimento).

Si noti che il fenomeno è del tutto analogo a quanto si verifica nelle misure di risposta in frequenza,
l’esecuzione di ciascuna delle quali, come è noto, richiede un certo tempo (con particolare riferimento ai sistemi
risonanti ad altissimo Q e ai sistemi “lenti”, come quelli termici). E del resto al tempo t dopo l’applicazione
della “sinusoide” il segnale effettivamente applicato al sistema non è altro che un pacchetto d’onda di durata t, il
cui contenuto spettrale non è certamente una riga.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 3


RISPOSTE CARATTERISTICHE DEI CIRCUITI

3. Le risposte caratteristiche

Per quanto si è detto in quanto precede la caratterizzazione della risposta di un


circuito può essere rappresentata in termini:

A) delle funzioni di rete (funzioni di trasferimento o funzioni immettenza) espresse


come funzioni reali della variabile s o come funzioni complesse della variabile ω
(intese in tal caso come risposte in regime permanente sinusoidale);

B) delle risposte indici nel dominio del tempo (risposte impulsive o risposte indiciali),
calcolate risolvendo le equazioni del circuito oppure, più spesso, mediante
antitrasformazione delle corrispondenti funzioni di rete:

risposta impulsiva: h(t) = L-1[H(s)] risposta indiciale: hu(t) = L-1[H(s)/s]

impedenza impulsiva: z(t) = L-1[Z(s)] impedenza indiciale: zu(t) = L-1[Z(s)/s]

ammettenza impulsiva: y(t) = L-1[Y(s)] ammettenza indiciale: yu(t) = L-1[Y(s)/s]

Notiamo che queste due caratterizzazioni sono formalmente equivalenti, dal momento
che è sempre possibile passare dall'una all'altra mediante trasformazione o
antitrasformazione. Ma non sempre, in pratica, il passaggio dall'una all'altra è immediato, in
particolare quando la caratterizzazione del circuito (nel dominio del tempo o in quello della
frequenza) è stata eseguita sperimentalmente e i dati sono allora disponibili in forma di
grafici o tabelle, e non in forma analitica.

La forma delle funzioni di rete, che sono sempre funzioni reali della variabile s,
dipende dalla natura dei circuiti. Nel caso dei circuiti a costanti concentrate esse sono
funzioni razionali fratte di s, a coefficienti costanti reali1; nel caso dei circuiti a costanti
distribuite, funzioni trascendenti di s.

Nel primo caso, che è quello di cui ci occupiamo in quanto segue, il numero di
singolarità (poli e zeri) è finito, nel secondo, invece, generalmente infinito (il numero di

1
I coefficienti sono costanti dato che i circuiti sono stazionari (ricordiamo che le funzioni di rete sono definite
soltanto per circuiti lineari e stazionari). I coefficienti sono reali dato che sono reali i parametri (R, C, L, ecc.)
degli elementi che costituiscono i circuiti.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 4


variabili di stato è infatti infinito dal momento che tale è il numero degli elementi in grado di
immagazzinare energia). Queste singolarità possono, in generale, trovarsi in qualsiasi
posizione del piano complesso, ma già sappiamo che la stabilità impone che i poli si trovino
esclusivamente nel semipiano di sinistra.

Dalle posizioni dei


poli delle funzioni di rete
dipende in modo decisivo la
forma delle risposte indici,
come illustrato nella figura
per la risposta impulsiva:

• a poli reali corrispondono


andamenti esponenziali,

• a coppie di poli
complessi corrispondono
andamenti oscillanti,

mentre dal valore della parte


reale dei poli dipende la
convergenza (se negativo), la
costanza nel tempo (se nullo)
o la divergenza (se positivo) degli andamenti anzidetti.

Qui notiamo che le funzioni di trasferimento relative alle reti passive possono avere
soltanto poli con parte reale negativa o nulla, ma i poli con parte reale nulla derivano dalla
presenza di elementi reattivi ideali (senza dissipazioni) e pertanto nei circuiti passivi reali i
poli hanno sempre parte reale negativa. Soltanto le reti attive possono avere anche poli con
parte reale positiva (e in tal caso sono instabili).

4. I circuiti RC

Cominciamo a considerare il circuito costituito dalla disposizione in serie di un


resistore R e di un condensatore C. Esso presenta impedenza

(7) Z(s) = R + 1/sC

e ammettenza, avendo posto τ=RC:

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 5


1 sC 1 τs
(8) Y (s) = = =
R + 1/ sC 1 + sRC R 1 + τ s

L'ammettenza
indiciale, cioè la
corrente che scorre
nel circuito quando
esso è eccitato da una
tensione a gradino unitario, è

Y ( s )  −1  1 τ 
(9) yu ( t ) = L−1  =L 
 s   R 1 + sτ 

Il valore iniziale e il valore finale si ottengono immediatamente applicando i teoremi


del valore iniziale e del valore finale:

lim lim
(10) yu ( 0 ) = Y (s) = 1 R ; yu ( ∞ ) = Y (s) = 0
s→∞ s→0

All'atto dell'applicazione del gradino il condensatore si comporta infatti come un


cortocircuito sicchè la corrente è 1/R (per un gradino unitario). Ai tempi lunghi, invece, il
condensatore si comporta come un circuito aperto e la corrente pertanto si annulla.

L'espressione completa dell'ammettenza indiciale, ottenuta antitrasformando la (9), è

Y ( s )  u (t )
(10) yu ( t ) = L−1  = exp ( − t τ )
 s  R

L'ammettenza impulsiva y(t), cioè la corrente che scorre nel circuito quando esso è eccitato
da una tensione impulsiva unitaria, si può ottenere antitrasformando la Y(s) oppure derivando
rispetto al tempo l'ammettenza indiciale:

δ ( t ) u ( t ) exp ( − t τ )
(11) y (t ) = −
R R τ

Questo andamento si
spiega come segue. La
tensione impulsiva
unitaria d'ingresso

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 6


provoca il passaggio di una corrente anch'essa impulsiva che carica positivamente il
condensatore; successivamente l'ingresso si porta a zero e allora il condensatore si scarica
esponenzialmente a zero attraverso il resistore, con una corrente di segno opposto a quella
iniziale.

Il circuito CR si
ottiene dal circuito
precedente disponendolo
come mostrato nella
figura, realizzando così
una rete a due porte. La funzione di trasferimento è la seguente

τs
(12) H ( s ) = RY ( s ) =
1+τ s

Si noti che per |s|<<1/τ (cioè ai tempi lunghi) tale funzione si può approssimare con τs, che
rappresenta la funzione di trasferimento di un derivatore. Per questo il circuito CR viene
anche denominato "quasi derivatore".

La risposta impulsiva e quella indiciale si ottengono moltiplicando per R le


corrispondenti funzioni y(t) e yu(t) trovate prima:

u ( t ) exp ( − t τ )
(13) h ( t ) = Ry ( t ) = δ ( t ) −
τ

(14) hu ( t ) = R yu ( t ) = u ( t ) exp ( − t τ )

Esaminando la risposta
impulsiva, si nota che
inizialmente l'uscita
riproduce la funzione
impulsiva d'ingresso
mentre la corrente impulsiva carica istantaneamente il condensatore, portando a tensione
negativa l'armatura collegata al nodo d'uscita; successivamente, di conseguenza, l'uscita

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 7


assume valore negativo tendendo poi esponenzialmente a zero. Esaminando la risposta
indiciale si nota che ai tempi lunghi essa tende ad annullarsi, pertanto approssimando bene la
derivata temporale del gradino d'ingresso.

La risposta in regime sinusoidale permanente si ottiene dalla (12) ponendo s=jω:

jωτ
(15) H ( jω ) =
1 + jωτ

ωτ π
(16) H ( jω ) = ; ∠H ( jω ) = − arctan (ωτ )
1+ ω τ 2 2 2

La risposta in ampiezza si annulla in continua, dove il circuito presenta un anticipo di


fase di π/2; mentre ad alta frequenza la risposta in ampiezza è unitaria e lo sfasamento si
annulla. Il circuito si comporta come "passaalto".

Scambiando fra loro il resistore e il condensatore si ottiene il circuito RC passabasso,


già considerato più volte in precedenza. La funzione di trasferimento si ottiene moltiplicando
per 1/sC l'ammettenza Y(s) del bipolo RC

1 1
(17) H (s) = Y (s) =
sC 1+τ s

Si noti che per |s|>>1/τ (cioè ai tempi brevi) tale funzione si può approssimare con 1/τs, che
rappresenta la funzione di trasferimento di un integratore. Per questo il circuito RC viene
anche denominato "quasi
integratore".

La risposta impulsiva
e quella indiciale si ottengono
dalla (17) mediante
antitrasformazione:

u ( t ) exp ( − t τ )
(18) h ( t ) = L−1  H ( s )  =
τ

 H (s) 
(19) hu ( t ) = L−1   = u ( t ) (1 − exp ( − t τ ) )
 s 

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 8


Sviluppando in serie per t<<τ gli esponenziali nella (18) e nella (19) si trova che ai tempi
brevi la risposta impulsiva approssima bene l'integrale nel tempo dell'impulso d'ingresso,
mentre la risposta indiciale approssima bene l'integrale del gradino d'ingresso, come risulta
anche dai grafici delle funzioni.

La risposta in regime sinusoidale permanente si ottiene dalla (17) ponendo s=jω:

1
(20) H ( jω ) =
1 + jωτ

1
(21) H ( jω ) = ; ∠H ( jω ) = − arctan (ωτ )
1 + ω 2τ 2

La risposta in ampiezza assume il valore massimo, unitario, in continua, dove il


circuito presenta sfasamento nullo; mentre ad alta frequenza la risposta in ampiezza si annulla
e lo sfasamento tende a -π/2. Il circuito si comporta come "passabasso".

5. Il circuito RLC serie

Il bipolo in figura rappresenta il circuito RLC


serie, ottenuto disponendo in serie i tre elementi
passivi fondamentali. Esso presenta impedenza Z(s) =
sL + R +1/sC e ammettenza

1 sC 1 s
(22) Y (s) = = =
Z ( s ) 1 + sRC + s LC L 1 LC + sR L + s 2
2

con uno zero all'origine e due poli

(23) p1,2 = - R/2L ± ½[R2/L2 - 4/LC]½

Notiamo subito che i poli dell'ammettenza Y(s) sono anche i poli dei circuiti che si
ottengono disponendo i tre elementi in modo da realizzare una rete a due porte, come negli
esempi mostrati nella figura a pagina seguente: un filtro passabasso, un passabanda e un
passaalto. Le funzioni di trasferimento dei tre circuiti sono date infatti dal prodotto di Y(s)
per l'impedenza del ramo trasversale. Si trova poi che quando il fattore di merito del circuito

ωo L 1 L
(24) Q= =
R R C

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 9


è molto maggiore
dell'unità, la risposta in
frequenza di tutti e tre
i circuiti considerati
sopra presenta un
picco attorno alla
frequenza angolare

(25) ωo = 1/√(LC)

con larghezza di banda ωo/Q (fo/Q, esprimendo la banda in hertz). Essi si comportano cioè
come passabanda attorno a ωo, pur presentando, per ω che tende a zero e all'infinito, le
proprietà loro caratteristiche (rispettivamente, passabasso, passabanda e passaalto).

Fissiamo ora l'attenzione sul denominatore della funzione (22) Y(s), che costituisce un
funzione del secondo ordine in s. Questo, oltre che nella forma fattorizzata

(s-p1)(s-p2) (A)

viene espresso di solito nell'una o nell'altra delle due forme standard

(26) s2 + ωos/Q + ωo² (B)

(27) s2 + 2ξωos + ωo² (C)

dove si è introdotto il fattore di smorzamento

(28) ξ = 1/2Q

I poli si esprimono come segue in termini dei parametri ωo, Q e ξ:

ωo
(29) p1,2 = − ± 1 − 1 4Q 2 = −ξωo ± ωo 1 − ξ 2
2Q

e sono dunque

reali distinti se R2 > 4L/C Q < 0.5 ξ>1

reali coincidenti se R2 = 4L/C Q = 0.5 ξ=1

complessi coniugati se R2 < 4L/C Q > 0.5 ξ<1

Quando i poli sono complessi, si può esprimerli in termini delle loro parti reale α e
immaginaria β:

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 10


(30) p1,2 = α ± jβ

Sviluppando il prodotto (s-p1)(s-p2), si ottiene una terza forma standard:

(31) s2 – 2αs + α2 + β2 (D)

Uguagliandola alle precedenti, si ottengono le seguenti relazioni fra i parametri:

(31a) ωo2 = α2 + β2

(32) α = -ωo/2Q = - ξωo

(33) β = ωo (1 - 1/4Q²)1/2 = ωo (1 - ξ²)1/2

Se il circuito RLC è costituito da elementi passivi, esso è sicuramente stabile e ne


consegue che deve essere α<0, e quindi anche Q>0, ξ>0.

E' interessante esaminare come si spostano nel piano complesso i poli al variare del
parametro Q (e del parametro ξ), utilizzando le relazioni (32) e (33). Il grafico nella figura,
tracciato assumendo ωo costante, mostra che, al crescere di Q, i poli (supposti reali e distinti)
inizialmente si spostano sull'asse reale, avvicinandosi fino a coincidere; successivamente essi
si allontanano
spostandosi sulla
circonferenza di raggio
ωo, fino a raggiungere,
quando Q assume
valore infinito, l'asse
immaginario. Il
prolungamento delle
traiettorie nel
semipiano di destra
(che rappresenta il caso
di una rete attiva
sempre più fortemente
instabile) corrisponde a
valori negativi di Q, di
valore crescente (decrescente in modulo) a partire da -∞ (l'attraversamento dell'asse
immaginario corrisponde infatti a una discontinuità di Q da +∞ a -∞).

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 11


6. Il circuito RLC parallelo

Il bipolo in figura, ottenuto disponendo in parallelo i tre


elementi passivi fondamentali, rappresenta il circuito RLC
parallelo, che costituisce il circuito duale di quello esaminato
prima. Esso presenta ammettenza Y(s) = sC + 1/R + 1/sL e
impedenza Z(s) = 1/Y(s) con uno zero all'origine e due poli.
Esprimiamo l'impedenza nella forma standard più usuale:

sL 1 s 1 s
(34) Z (s) = = =
1 + sL R + s LC C 1 LC + s RC + s
2 2
C s + ωo s Q + ωo2
2

dove la frequenza angolare caratteristica è data ancora dalla (25), mentre il fattore di merito, a
differenza di prima, è dato dall'espressione

R
(35) Q = ω o RC =
ωo L

Si noti che in questo circuito (sempre quando Q > 0,5) è l'impedenza, e non l'ammettenza,
che presenta risonanza, anche qui con larghezza di banda ωo/Q.

In pratica, nei circuiti reali, il valore della resistenza R non è una costante, ma dipende
dalla frequenza. Tale resistenza, infatti, non rappresenta soltanto quella del resistore in
parallelo (che spesso è addirittura assente), ma anche e sopratutto le dissipazioni associate
agli elementi L e C, che dipendono dalla frequenza. Spesso la resistenza parallelo R dipende
soltanto dalle perdite dell’induttore, che si rappresentano, come sappiamo, con una resistenza
serie RL a cui corrisponde il fattore di merito QL=ωL/RL. Uguagliando a QL il fattore di
merito espresso dalla (35), si ricava la seguente utile relazione fra R ed RL

(35a) R = Q 2R L

Esempio. Esaminiamo l'effetto delle dissipazioni associate ai tre elementi sul fattore di
merito complessivo di un circuito RLC parallelo reale.

Rappresentiamo le dissipazioni degli elementi reattivi con resistenze disposte in serie


ad essi: RL e RC. Nella approssimazione di alto Q, chiamando V l'ampiezza della tensione
oscillante ai capi del circuito alla frequenza di risonanza, le correnti che scorrono attraverso i
tre elementi hanno intensità (valori di picco): IR = V/R, IL = V/ωoL, IC = VωoC = V/ωoL. La
potenza dissipata nel circuito è dunque:

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 12


I R 2 R I L 2 R I C 2 R V 2 V 2 RL V 2 RC
P = PR + PL + PC = + + = + +
2 2 2 2 R 2ω o 2 L2 2ω o 2 L2

Attribuendo tutte le dissipazioni a un'unica resistenza equivalente Req in parallelo a elementi


ideali, dalla precedente espressione si ricava:

1 1 R R
= + 2L 2 + 2C 2
Req R ωo L ωo L

Utilizzando la precedente, il fattore di merito complessivo Q = Req/ωoL può essere espresso


nella forma seguente, nella quale si individuano i contributi dei fattori di merito associati ai
tre elementi reali

1 ω o L ω o L RL R 1 1 1
= = + + C = + +
Q Req R ω o L ω o L QR QL QC

Questo risultato, assai importante, può essere generalizzato a) a un risonatore di qualsiasi


natura fisica, b) al caso di accoppiamenti “parziali” di elementi dissipativi a un risonatore
principale, in tal caso pesando nell’espressione precedente i fattori di merito di tali elementi
con dei fattori di accoppiamento energetico di valore opportuno (inferiori all’unità). Per
esempio, nel caso di un cristallo di quarzo (pag.23, parte III), chiamando QM il fattore di
merito della parte meccanica e QE quello della parte elettrica (dissipazioni associate alla
capacità C2), si ha 1/Q = 1/QM + β/QE, dove il fattore d’accoppiamento è β=C1/(C1+C2).
Tale espressione vale anche nel caso di un’antenna gravitazionale risonante, rappresentando
la dipendenza del Q del modo meccanico dalle dissipazioni elettriche.

Ricaviamo in quanto segue una espressione approssimata per l'impedenza del circuito RLC parallelo
nell'intorno della frequenza angolare di risonanza ωo. Nella (34), espressa in funzione di jω, sostituiamo ω con
ωo + ∆ω. Sviluppando i calcoli nella approssimazione ∆ω<<ωo si ottiene:

ω oQL R
(36) Z ( j ∆ω ) ≈ =
1 + 2 j ∆ω Q ω o 1 + j ∆ωτ

con τ=2Q/ωo. Questa espressione approssimata risulta assai utile grazie alla sua semplicità. Calcoliamo, per
esempio, la risposta normalizzata in regime sinusoidale di un circuito RLC con Q=50, che risuona a 1 MHz. In
questo caso la larghezza di banda totale è 1 MHz/50 = 20 kHz, la semilarghezza 10 kHz (data da 1/2πτ). Di
conseguenza alla frequenza di 1010 kHz (e di 990 kHz) la risposta si riduce di -3 dB, alla frequenza di 1100 kHz
(e di 900 kHz) si riduce di -20 dB. Ma perchè eseguendo calcolando la risposta a 2 MHz otterremmo un risultato
insensato?

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 13


RETI DUE PORTE

Ci occupiamo qui delle reti due porte (vedi Parte II) lineari e stazionarie,
considerandole come scatole nere, cioè prescindendo dalla loro costituzione interna, dal
momento che le grandezze elettriche accessibili sono esclusivamente quelle relative alle porte
attraverso cui queste reti possono interagire con altri circuiti. L'obiettivo è quello di
rappresentarle mediante equazioni e circuiti equivalenti, ricavare espressioni per le loro
funzioni di rete, individuarne certe proprietà interessanti ed esaminare alcuni casi particolari.

In quanto segue trascureremo quasi sempre, per semplicità, di indicare esplicitamente


la dipendenza dalla variabile complessa s (o dalla frequenza angolare complessa jω) delle
grandezze elettriche, delle funzioni di rete e dei parametri caratteristici delle reti. In altre
parole, invece di scrivere, per esempio, Z(jω) o Z(s) scriveremo semplicemente Z.

I1 I2
+ +
V1 porta 1 RETE porta 2 V2
- DUE PORTE -

7. Rappresentazione delle reti due porte

Nella caratterizzazione delle reti a due porte si individuano quattro grandezze


elettriche, cioè quattro variabili: le due tensioni e le due correnti relative alle due porte.
Perchè queste grandezze variabili siano tutte determinate, occorre stabilire due relazioni2,
evidentemente lineari e a coefficienti costanti, fra due coppie di esse, esprimendo cioè due
grandezze, scelte come variabili dipendenti, in termini delle due restanti, scelte come variabili
indipendenti; e individuando di conseguenza i quattro coefficienti a ciò necessari. Questo si
può fare in sei possibili modi diversi3, a ciascuno dei quali corrisponde un diverso sistema di
equazioni e conseguentemente un diverso insieme di parametri caratteristici della rete.

2
Per determinare quattro variabili occorrono quattro equazioni indipendenti fra esse. Alle due equazioni che
rappresentano la rete si aggiungono infatti le due equazioni che ne descrivono le condizioni di terminazione,
mettendo così in relazione fra loro la corrente e la tensione a ciascuna delle due porte o stabilendone altrimenti i
valori.
3
Oltre alle sei rappresentazioni fondamentali se ne usano anche altre. La più diffusa fra queste è quella detta in
base S, (basata sulla matrice di diffusione o di scattering), che tratta le grandezze elettriche in termini di onde.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 14


Le rappresentazioni più usate in pratica sono le tre seguenti, dove si considerano come
variabili indipendenti, rispettivamente, le correnti di porta, le tensioni di porta, la corrente
della porta 1 e la tensione alla porta 2:

(37) V1 = Z11 I1 + Z12 I2 ; V2 = Z21 I1 + Z22 I2

(38) I1 = Y11 V1 + Y12 V2 ; I2 = Y21 V1 + Y22 V2

(39) V1 = H11 I1 + H12 V2 ; I2 = H21 I1 + H22 V2

Nelle (37) i parametri hanno tutti le dimensioni di un’impedenza (rappresentazione in base


Z), nelle (38) di un’ammettenza (base Y); nelle (39) (base H) si parla di parametri ibridi, dato
che uno dei parametri è un'impedenza, un altro un'ammettenza e gli altri due sono
adimensionali.

La scelta fra le diverse rappresentazioni dipende da varie considerazioni. Per esempio, se alle porte
della rete sono collegati dei bipoli in parallelo, può essere conveniente la rappresentazione Y; se i bipoli sono
collegati in serie, la rappresentazione in base Z. Un altro aspetto riguarda il comportamento naturale della rete,
che può essere tale che in una rappresentazione occorra tener conto di tutti e quattro i parametri, mentre in
un'altra può bastarne un numero minore. Questo è il caso della rappresentazione linearizzata dei transistori
bipolari: qui, in prima approssimazione, è sufficiente considerare solo uno o due parametri, ma soltanto nella
rappresentazione in base H (H21, che rappresenta il guadagno in corrente, e subordinatamente l’impedenza H11).

Per quanto detto la caratterizzazione completa di una rete due porte richiede in
generale la conoscenza di quattro parametri, più precisamente di quattro funzioni di s o di jω,
dato che in generale i parametri saranno funzioni della frequenza, oppure di quattro operatori
integrodifferenziali (esprimendo nel dominio del tempo le relazioni (37), (38), (39)).

Notiamo innanzitutto che, salvo particolari casi degeneri, quando si conoscono i


parametri relativi a una certa
rappresentazione è sempre
possibile calcolare quelli relativi
a un'altra, con opportune
trasformazioni. Ma notiamo
anche che non tutte le reti due

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 15


porte possiedono tutte e sei le rappresentazioni fondamentali. Questo è quanto si verifica, ad
esempio, per il trasformatore ideale e per i generatori controllati ideali, e in tutti i casi in cui
la rete due porte degenera in un bipolo.

A ogni sistema di equazioni corrisponde


un determinato circuito equivalente, che si ricava
immediatamente da esse. Nelle figure a destra
sono mostrati i tre circuiti equivalenti relativi alle
tre rappresentazioni su base Z, Y e H.

Esaminando le equazioni, o i
corrispondenti schemi equivalenti, è immediato
stabilire il significato fisico dei parametri. Per
esempio Z11 rappresenta l'impedenza della rete
alla porta 1 quando la porta 2 viene lasciata
aperta: infatti quando I2=0 la prima equazione si riduce a V1 = Z11 I1 e si ha quindi Z11 =
V1/I1. Ragionando similmente si trova che Y11 rappresenta l'ammettenza della rete alla porta 1
quando la porta 2 si trova in cortocircuito (e questo chiarisce che Z11 è cosa ben diversa da
1/Y11).

Questi stessi ragionamenti sono utilizzati anche per stabilire le modalità di misura per
determinare sperimentalmente i valori dei parametri di una rete due porte. Per esempio,
volendo misurare la transimpedenza Z21, che in base alla seconda delle equazioni (37) è
definita dal rapporto V2/I1 quando I2=0, si disporrà un generatore di corrente alla porta 1 e si
collegherà un voltmetro alla porta 2.

Notiamo poi che se la funzione della rete è quella di trasmettere segnali da una porta
all'altra, per esempio dalla 1 alla 2, è evidente che rivestono particolare importanza i
parametri con indici 21, che determinano appunto come il circuito in cui è inserita la porta 1
influenza quello collegato alla 2.

Notiamo infine che è molto diffusa anche una diversa notazione per gli indici dei
parametri, sopratutto per quanto riguarda i modelli linearizzati dei dispositivi attivi.
Considerando la porta 1 come ingresso e la 2 come uscita, si usa spesso l'indice i (input,
ingresso) al posto di 11, l'indice o (output, uscita) al posto di 22, l'indice f (forward, diretto) al
posto di 21 e l'indice r (reverse, inverso) al posto di 12. Per esempio, H12 si indica con Hfe.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 16


Il numero di parametri (generalmente funzioni della frequenza) necessari a
caratterizzare una rete due porte è minore di quattro per reti dotate di proprietà particolari.

Nelle reti reciproche il numero di parametri essenziali si riduce a tre, dal momento
che, evidentemente, si ha Z12=Z21 (e Y12=Y21). Il numero dei parametri si riduce poi a due nel
caso delle reti simmetriche, nelle quali le due porte sono indistinguibili fra loro: si ha allora
Z11=Z22, oltre che Z12=Z21.

Il caso delle reti reciproche è piuttosto importante, dal momento che tali sono tutte le
reti passive, escluse quelle contenenti giratori, cioè le reti costituite dagli elementi passivi
usuali: resistori, condensatori, induttori e trasformatori (e induttori accoppiati). Ne consegue
che queste reti si possono rappresentare con schemi equivalenti più semplici, in cui
intervengono soltanto tre elementi, come è mostrato negli esempi della figura qui sotto che
illustrano i due modelli detti a T e a π (che sono fra loro duali), chiamati rispettivamente
stella e triangolo dagli elettrotecnici . I parametri Z si esprimono assai semplicemente in
termini dei parametri del modello a T, nel modo seguente:

(40) Z11 = Z1T + Z2T ; Z12 = Z21 = Z2T ; Z22 = Z2T + Z3T

Analogamente, i parametri Y si esprimono così in termini dei parametri del modello a π:

(41) Y11 = Y1π + Y2π ; Y12 = Y21 = -Y2π ; Y22 = Y2π + Y3π

Gli schemi qui sopra illustrano invece, anzichè modelli, alcune particolari strutture
circuitali interne usate nella realizzazione delle reti a due porte.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 17


Esercizio. Ricavare le espressioni necessarie per eseguire la trasformazione dei parametri del modello a T in
quello a π. Calcolare quindi i valori dei parametri del modello a π di una rete che nel modello a T presenta i
seguenti valori dei parametri: R1T=10 Ω, R2T=100 Ω, R3T=1000 Ω.

8. Amplificazioni, impedenze e impedenze caratteristiche

Consideriamo una rete due porte generica, per


calcolarne le amplificazioni fra le porte e le impedenze
offerte alle porte utilizzando la rappresentazione a
parametri Z. A una porta (1) colleghiamo un generatore
di tensione ideale e all'altra (2) un carico ZL, che sarà
descritto dall'equazione V2 = -ZLI2. In queste condizioni
la tensione V1 risulta nota e le altre tre grandezze (V2, I1, I2) si possono calcolare dal
momento che disponiamo di tre equazioni.

Sostituendo nella seconda delle (37) l'espressione di V2 ottenuta dall'equazione del


carico si ha:

(42) - ZLI2 = Z21I1 + Z22I2

da cui si ricava immediatamente il rapporto fra le correnti alle due porte, cioè l'amplificazione
di corrente Ai:

I2 − Z 21
(43) Ai = =
I1 Z 22 + Z L

Notiamo subito che il "motore" del funzionamento della rete è costituito dalla
transimpedenza diretta Z21. Notiamo poi che il segno meno deriva dalla definizione del
guadagno di corrente come rapporto fra le due correnti di porta (entranti per convenzione); il
segno sarebbe infatti positivo se definissimo il guadagno come rapporto fra la corrente nel
carico (IL = -I2) e quella della porta 1.

Ricavando I2 dalla (43) e sostituendo nella prima delle equazioni (37) si ha:

V1 = Z11 I1 - (Z12Z21/(Z22+ZL)) I1

da cui si ricava la seguente espressione per l'impedenza d'ingresso alla porta 1:

V1 Z Z
(44) Z in = = Z11 − 12 21
I1 Z 22 + Z L

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 18


E' interessante esaminare la dipendenza di Zin dal carico ZL. I due casi limite si hanno per
ZL=0, quando Zin = Z11 - Z12Z21/Z22, e per ZL=∞, quando, come già sappiamo, Zin = Z11.

Una situazione particolare assai interessante si verifica quando l'impedenza di carico è


tale che l'impedenza d'ingresso viene ad eguagliarla. Questa particolare impedenza prende il
nome di impedenza caratteristica e si indica di solito con il simbolo Zo. Si noti peraltro che
per una rete due porte si definiscono in generale due
impedenze caratteristiche, corrispondenti alle due porte.
Queste sono: Zo1, che è l'impedenza di carico ZL alla porta 2
per cui alla porta 1 si ha Zin1=ZL=Zo1, e Zo2, che è il valore
dell'impedenza di carico Zs (che generalmente ha il ruolo di
impedenza di sorgente) collegata alla porta 1 per cui
l'impedenza offerta dalla porta 2 verifica l'uguaglianza
Zin2=Zs=Zo2.

L'impedenza caratteristica Zo1 si calcola sostituendo


nella (44) sia ZL che Zin con Zo1 e risolvendo l'equazione quadratica

Zo12 + Zo1(Z22 - Z11) = Z11Z22 - Z12Z21

Da questa si ottiene

( Z11 − Z 22 ) ± ( Z11 + Z 22 )
2
− 4 Z12 Z 21
(45) Z o1 =
2

che per le reti simmetriche (Z11=Z22, Z12=Z21) si riduce a

(46) Z o1 = ± Z112 − Z12 2

(e in questo caso, evidentemente, si ha Zo1 = Zo2). Entrambe le soluzioni della (45), in


generale, presentano significato fisico.

Quando l'impedenza di carico è uguale all'impedenza caratteristica Zo1 si dice che la


rete è adattata in uscita; quando l'impedenza di sorgente è uguale all'impedenza caratteristica
Zo2 si dice che la rete è adattata in ingresso; si dice poi che la rete adattata quando entrambe
le condizioni sono verificate.

Esercizio. Considerate la rete resistiva simmetrica che nel modello a T ha i seguenti valori dei parametri:
R1T=100 Ω, R2T= 400 Ω. Calcolate i valori dell'impedenza caratteristica, discutendo i risultati ottenuti.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 19


L'amplificazione di tensione di una rete due porte (cioè la funzione di trasferimento
per la tensione dalla porta 1 alla porta 2) si ricava usando l'equazione del carico per esprimere
la tensione V2 e scrivendo la tensione V1 come prodotto di I1 per l'impedenza d'ingresso
(utilizzando le espressioni (43) e (44) per il guadagno di corrente e l'impedenza d'ingresso):

V2 − Z L I 2 −Z L Z 21Z L
(47) Av = = = − Ai =
V1 Z in I1 Z in Z11Z 22 + Z11Z L − Z12 Z 21

Anche qui è interessante esaminare l'andamento in funzione di ZL. Quando ZL=0 si ha


evidentemente Av=0, mentre quando ZL=∞ si ha Av=Z21/Z11, che rappresenta il guadagno
massimo ottenibile dalla rete (con la porta 2 aperta). Se poi la rete è adattata in uscita, cioè si
ha ZL=Zo1 e quindi Zin=Zo1=ZL, si trova che

(48) Av = -Ai

cioè l'amplificazione di tensione è uguale all'amplificazione di corrente cambiata di segno.

Si usa spesso anche un'altra definizione


dell'amplificazione di tensione, diversa dalla (47), cioè
l'amplificazione Avs fra la sorgente e l'uscita. Questa
amplificazione si calcola assai semplicemente
sostituendo nella (47) Vs al posto di V1. Dato che

(49) Vs = ZSI1 + V1 = (Zs + Zin)I1

si ricava

V2 −Z L I 2 −Z L Z 21Z L
(50) Av = = = − Ai =
Vs ( Z in + Z s ) I1 Z in + Z s ( Z11 + Z s )( Z 22 + Z L ) − Z12 Z 21

Allo stesso risultato si arriva semplicemente sostituendo Z11 con Zs+Z11 nell'espressione finale della
(47). Infatti, sostituendo la rete originale con una che inglobi l’elemento Zs, i parametri Z restano immutati ad
eccezione di Z11, a cui si somma Zs. E se la (47) fosse stata espressa in termini di parametri Y?

9. Reti in cascata

Molti sistemi elettronici sono realizzati collegando in cascata, fra una sorgente e un
carico, un certo numero di reti due porte (amplificatori, attenuatori, linee di trasmissione,
ecc.), che vengono così a costituire un'unica rete due porte. I parametri di questa rete, per

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 20


esempio l'amplificazione e l'impedenza d'ingresso, non si ottengono di solito in modo
semplice in funzione dei parametri delle singole reti. In particolare, se l'amplificazione di
tensione complessiva è certamente pari al prodotto delle amplificazioni, ciascuna di queste
dipende però dall'impedenza di carico, che è costituita dall'impedenza d'ingresso della rete
che segue, che può dipendere a sua volta dal carico finale della rete complessiva.

Questa situazione si semplifica grandemente quando tutte le reti che costituiscono il


sistema presentano alta impedenza d'ingresso e bassa impedenza d'uscita, con valori tali che
l'amplificazione complessiva sia semplicemente il prodotto delle amplificazioni a vuoto delle
reti costituenti (condizione difficilmente verificata in presenza di reti di tipo passivo
(attenuatori, linee di trasmissione, ecc.)). Oppure quando tutte le reti costituenti presentano la
stessa impedenza caratteristica.

In quest’ultimo caso l'insieme delle reti in cascata si presenta come un'unica rete due
porte con impedenza caratteristica data da quella delle reti costituenti e con amplificazione di
tensione (in condizioni di adattamento) pari al prodotto delle amplificazioni (sempre in
condizioni di adattamento) delle singole reti costituenti. Questo criterio trova numerose
applicazioni pratiche, come nei sistemi a 600 Ω usati in telefonia e nei sistemi a 50 Ω usati
sia a radiofrequenza (antenna TV, preamplificatore, cavo di discesa) sia nella strumentazione
fisica per l'elaborazione di segnali veloci.

CONDIZIONI DI NON DISTORSIONE E SFASAMENTI

10. Condizioni di non distorsione

Per distorsione si intendono in generale le modifiche che subiscono le forme dei


segnali quando attraversano un sistema. Queste possono essere dovute all’effetto di
nonlinearità (provocando, per esempio, l’insorgere di armoniche di un segnale sinusoidale)
oppure, come vogliamo considerare qui, a effetti puramente lineari, provocati dalla
dipendenza dalla frequenza della risposta del sistema.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 21


Occupandoci della distorsione “lineare”, diciamo allora che un sistema con funzione
di trasferimento H(s) fornisce una risposta “fedele”, cioè indistorta, se l’uscita y(t) ha la
stessa forma dell’ingresso, ammettendo naturalmente un fattore di scala per le ampiezze
(amplificazione o attenuazione) e anche una possibile traslazione nel tempo (evidentemente
in ritardo), per qualsiasi segnale d’ingresso x(t). Ciò detto, si conclude che le condizioni di
non distorsione possone essere così formulate:

(a) |H(jω)| = Ho (b) /H(jω) = −ωΤ

con Ho e T≥0 reali e costanti. In tal caso si ha infatti: y(t) = Ho x(t-T). La funzione di
trasferimento deve dunque avere la forma: H(jω) = Ho exp(-jωT).

Le condizioni precedenti risultano verificate solo nei seguenti due casi: a) sistemi
statici (con H(jω) = Ho e T=0), b) elementi di ritardo puro (con |H(jω)| = Ho e T>0). E
soltanto per sistemi ideali, dato che sappiamo che ad alta frequenza qualsiasi oggetto reale
introduce attenuazione e sfasamento.

Le condizioni di non distorsione, in particolare, non sono mai verificate esattamente


per i sistemi dinamici a costanti concentrate. Esse possono essere tuttavia verificate
approssimativamente in determinati intervalli di frequenza. Prendiamo, ad esempio, la
funzione H(jω) = 1/(1 + jωτ). Si osserva immediatamente che per ω << 1/τ si ha: |H| ≈ 1,
/H(jω) = - arctang(ωτ) ≈ -ωτ.

11. Relazioni fra ampiezza e fase

Senza in alcun modo approfondire l’argomento, va detto qui che per una certa classe
di funzioni di trasferimento vi sono delle relazioni fra l’andamento del modulo in funzione
della frequenza e quello della fase. Per esempio, negli intervalli di frequenza dove il modulo
è costante la fase è nulla; dove il modulo ha una data pendenza, la fase assume un valore
costante (cioè a una pendenza di 20 dB/dec nel diagramma di Bode corrisponde una fase di
π/2, ecc.).

Ma questo si verifica soltanto per le funzioni di trasferimento razionali fratte in s, che


rappresentano sistemi a costanti concentrate, quando sono prive di zeri con parte reale
positiva (attenzione: nulla a che vedere con la stabilità, che riguarda invece la presenza di poli
con parte reale positiva). Tali funzioni si chiamano a minimo sfasamento, perchè sono quelle

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 22


che, a ogni frequenza, presentano il minimo sfasamento fra tutte le possibili funzioni di
trasferimento che hanno lo stesso andamento del modulo in funzione della frequenza. Due
esempi di funzioni a sfasamento non minimo sono le seguenti: a) H(jω) = (1 - jωτz )/(1 +
jωτp), con τz e τp > 0, cioè una funzione che possiede uno zero con parte reale positiva, b)
H(jω) = Ho exp(-jωT), cioè una fuzione trascendente di jω.

12. Il problema della fase

La fase di un numero complesso è definita usualmente nell’intervallo -π, π. Ma molte


funzioni di trasferimento presentano sfasamenti che eccedono tale intervallo. Questo avviene,
per esempio, per le funzioni exp(-jωT) e 1/(1 + jωτ)3, la cui fase, raggiunto -π, non ridiventa
certamente positiva, ma continua a crescere in valore assoluto, tendendo all’infinito negativo
per la prima, a –3π/2 per la seconda.

L’impiego della funzione arcotangente per determinare la fase di un numero


complesso z = x + jy, inoltre, aggrava il problema, dato che l’ arcotangente funziona soltanto
nell’intervallo -π/2, π/2 (assegnando così, per esempio, la stessa fase ai numeri 1+j e –1-j).
All’intervallo -π, π si ritorna utilizzando funzioni a due argomenti che sono disponibili in
certi linguaggi di programmazione. Nel Fortran, per esempio, oltre alla funzione arcotangente
standard (ATAN(y/x), che ha un solo argomento), c’è la funzione ATAN2(y,x), che ha due
argomenti e fornisce quindi la fase giusta nell’intervallo -π, π.

Resta il problema, utilizzando il calcolatore, di determinare correttamente la fase in


funzione della frequenza per una generica funzione di trasferimento. Per quanto detto,
evidentemente, ciò non si può ottenere quando la funzione è espressa nella forma di rapporto
di polinomiali in jω con grado maggiore di 2. In tali casi occorre fattorizzare la funzione,
esprimendola cioè come prodotto di più funzioni, ciascuna costituita da polinomiali di grado
minore o uguale a 2. Calcolando separatamente la fase per ciascuna funzione e poi
sommando.

Lo stesso problema sorge nell’impiego dell’analizzatore di spettro per visualizzare la caratteristica di


fase della funzione di trasferimento di un circuito o di un sistema. Puo’ darsi, infatti, che la fase ecceda
l’intervallo -π, π e quindi, per esempio, superata la frequenza a cui vale -π, essa presenti una apparente
discontinuità assumendo il valore π. Sicchè tali grafici vanno interpretati con la dovuta attenzione.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte V pag. 23


PARTE VII

AMPLIFICATORI LINEARI

1. Generalità

I parametri fondamentali di un amplificatore sono il guadagno in tensione (cioè la


funzione di trasferimento), che qui indichiamo con il simbolo A(s), l'impedenza d'ingresso
Zin(s) e l'impedenza d'uscita Zo(s). Nel caso degli amplificatori, infatti, si considerano
generalmente solo tre parametri, dei quattro necessari a caratterizzare compiutamente una rete
due porte (vedi Parte V), dal momento che assai spesso l'influenza del circuito d'uscita su
quello d'ingresso può
venire trascurata1. E
quindi l'impedenza
d'ingresso si assume
in genere indipendente da quella del carico, l'impedenza d'uscita da quella della sorgente1.

Il modello di un amplificatore ideale si riduce a un generatore controllato ideale: un


generatore di tensione controllato in tensione, dato che ci stiamo occupando di amplificatori
di tensione. Questo significa assumere che il guadagno sia una costante reale (indipendente
dalla frequenza), che l'impedenza d'ingresso sia infinita e che l'impedenza d'uscita sia nulla:
tutte condizioni certamente irrealizzabili.

Ai fini pratici risulta peraltro soddisfacente, come ottima approssimazione di un


amplificatore ideale, un amplificatore che abbia guadagno indipendente dalla frequenza nella
regione delle frequenze di interesse, impedenza d'ingresso molto più alta di quella delle
sorgenti che si prevede di utilizzare e impedenza d'uscita molto più bassa di quella dei carichi
a cui s'intende collegarlo.

Dei tre parametri menzionati prima, il più importante è evidentemente


l'amplificazione, d’altronde essenziale perchè un amplificatore possa venir chiamato tale. In
ordine d'importanza (cioè di attenzione) segue poi l'impedenza d'ingresso, anche perchè

1
Queste assunzioni, naturalmente, non sempre sono ben verificate. Esse non sono valide in molti amplificatori a
un solo stadio (un esempio immediato è il circuito inseguitore d'emettitore). Ma anche nel caso degli
amplificatori a più stadi può essere necessario impiegare cautela. Si pensi all'effetto di una capacità parassita,
anche di valore molto piccolo, fra l'ingresso e l'uscita di un amplificatore ad alto guadagno.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 1


generalmente risulta più difficile ottenere che essa sia molto maggiore dell'impedenza della
sorgente (che può essere costituita da un rivelatore o da un trasduttore di caratteristiche
particolari) di quanto non sia invece ottenere che l'impedenza d'uscita risulti trascurabile
rispetto a quella del carico (che può essere scelto con un maggiore libertà).

Si verifica spesso in pratica, sopratutto negli amplificatori dotati di banda passante


relativamente estesa, che l'amplificazione possa venire espressa nella forma seguente:

(1) A(s) = Ao B(s) L(s)

decomponendola cioè nel prodotto di una costante reale Ao che rappresenta il guadagno (per
esempio, a centrobanda), e di due funzioni di s espresse in forma normalizzata: B(s), che
caratterizza la risposta dell'amplificatore ai tempi brevi (alte frequenze), ed L(s) che ne
caratterizza la risposta ai tempi lunghi (basse frequenze). Si noti peraltro che negli
amplificatori "in continua", che non presentano tagli a bassa frequenza, si ha L(s)=1. In

pratica la decomposizione (1) è significativa soltanto se i poli e gli zeri della A(s) possono
venire raggruppati nel piano complesso in due "nuvole" ben separate fra loro: una prossima
all'origine e una ben distante da essa, come mostrato nella figura. Questo discorso
corrisponde alla nozione intuitiva di un amplificatore che ha guadagno costante in una estesa
regione di frequenza, presentando poi tagli sia alle basse che alle alte frequenze (vedi
Esempio a pag. 16 della Parte IV, nel caso in cui si ha τ1>>τ2).

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 2


Notiamo che quanto più distano fra loro le due "nuvole" di singolarità, tanto più la
decomposizione (1) è significativa nel senso che la risposta ai tempi brevi è determinata
soltanto dalla B(s) (cioè la L(s) ha effetto trascurabile su essa) mentre la risposta ai tempi
lunghi è determinata soltanto dalla L(s) (cioè la B(s) ha effetto trascurabile su essa).

RISPOSTA AI TEMPI BREVI

2. Calcolo dei tempi caratteristici

Come si è detto, la risposta ai tempi brevi (ad alta frequenza) di un amplificatore è


determinata essenzialmente dalla funzione B(s). Da essa si ricavano la risposta impulsiva e la
risposta indiciale corrispondenti:

b(t)=L-1[B(s)] ; bu(t)=L-1[B(s)/s]

Ma per caratterizzare la risposta ai tempi brevi di un amplificatore è spesso sufficiente


calcolarne il tempo di salita e il ritardo, in alternativa alla determinazione degli andamenti
dettagliati delle risposte nel dominio del tempo, che richiedono calcoli di antitrasformazione.

Vogliamo ricavare pertanto delle relazioni generali, sebbene approssimate, che


permettano di calcolare i tempi caratteristici della risposta indiciale quando si conosca la
funzione B(s)2. Consideriamo più precisamente il ritardo ρ e il tempo di salita σ, espressi in
forma analitica, che abbiamo introdotto nella Parte II e che richiamiamo qui con riferimento
alla risposta impulsiva b(t)

(2) ρ = ∫ tb ( t )dt
0

(3) σ = 2π ( ∫ t b (t )dt − ρ )

0
2 2

2
Ricordiamo che nella Parte II è stata ricavata la seguente relazione esatta fra il tempo di salita empirico tr e la
larghezza di banda B (a -3 dB) per un sistema del primo ordine: B tr = 0,3497... ≈ 0,35. Abbiamo visto anche
che questa relazione è valida, in prima approssimazione, anche per altri tipi di sistemi, con valori del prodotto
B tr che sono generalmente compresi fra 0,3 e 0,45.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 3


Ricordiamo che queste espressioni sono valide soltanto se la risposta impulsiva b(t) è
espressa in forma normalizzata, come è certamente vero per la b(t) per come la B(s) è stata
definita nella (1), e se la risposta indiciale bu(t) presenta andamento monotono crescente
(almeno approssimativamente).

Esprimiamo la B(s) nella seguente forma approssimata

∞ ∞ ∞ s2 ∞
(4) B ( s ) = ∫ exp ( − st )b ( t )dt ≈ ∫ b ( t )dt − s ∫ tb ( t )dt + ∫ t 2 b ( t )dt
0 0 0 2 0

ottenuta sviluppando in serie il fattore esponenziale e arrestando lo sviluppo al termine di


secondo grado in s. Questa, utilizzando le espressioni (2) e (3), assume la forma:

s2  2 σ 2 
(5) B ( s) ≈ 1− sρ + ρ + 
2 2π 

Consideriamo ora la B(s), espressa come rapporto di polinomi in s, approssimandola


arrestandoci ai termini di secondo grado in s

1 + λ1s + λ2 s 2 + " 1 + λ1s + λ2 s 2


(6) B (s) = ≈
1 + µ1s + µ 2 s 2 + " 1 + µ1s + µ 2 s 2

Da questa, usando l'ulteriore approssimazione 1/(1+ε) ≈ 1 - ε + ε2, si ottiene la seguente


espressione approssimata di B(s):

(7) B(s) ≈ 1+(λ1 - µ1)s +(λ2 - λ1 µ1 + µ12 - µ2)s2

Le relazioni desiderate fra i tempi caratteristici e i coefficienti della B(s) si ottengono infine
uguagliando le due espressioni (5) e (7):

(8) ρ ≈ µ1 − λ1

(9) σ ≈ 2π ( µ12 − λ12 ) + 2 ( λ2 − µ2 ) 

Si nota che queste relazioni, che non sono esatte, vanno utilizzate con attenzione, dato che
sono state ottenute attraverso numerose approssimazioni.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 4


Esempio 1. Circuito passabasso del primo ordine.

Essendo B(s)=1/(1+τs), i coefficienti valgono:

λ1=0 ; λ2=0 ; µ1=t ; µ2=0

Si ha pertanto: ρ=τ ; σ = τ (2π)1/2

Esempio 2. Circuito passabasso del secondo ordine, con poli reali.

1 1
Qui abbiamo B (s) = =
(1 + τ1s )(1 + τ 2 s ) 1 + (τ 1 + τ 2 ) s + τ 1τ 2 s 2

e i coefficienti valgono

λ1=0 ; λ2=0 ; µ1=τ1+τ2 ; µ2= τ1τ2

Si ha pertanto: ρ = τ1 + τ2 ; σ = [2π(τ12+τ22)]1/2

Confrontando i risultati dei due Esempi si osserva subito che i ritardi si compongono
linearmente, mentre i tempi di salita si compongono quadraticamente.

Esempio 3. Circuito passabasso RC, con induttore L in serie al resistore per allargare la
banda.
1 + γτ s
Ponendo γ=L/R²C, abbiamo la funzione B (s) =
1 + τ s + γτ 2 s 2
e i coefficienti valgono

λ1=γτ ; λ2=0 ; µ1=τ ; µ2= γτ2

Si ha pertanto: ρ = τ(1-γ) ; σ= [2π(1-2γ-γ²)]½

Notiamo che, al crescere di γ, entrambi i parametri vengono ad assumere valori


negativi, che è evidentemente assurdo. Il fatto è che in questo circuito al crescere di γ (cioè
dell'induttanza L) la risposta indiciale diviene oscillante e allora le definizioni (2) e (3) non
sono più applicabili3 (il limite si ha per γ=0.25).

3
Precisiamo ancora che il calcolo presentato nell’Esempio è comunque approssimato. L’analisi esatta va svolta
antitrasformando la funzione B(s)/s e studiando i parametri caratteristici (tempo di salita, ritardo e
sovraelongazione) della risposta indiciale nel dominio del tempo al variare del parametro γ.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 5


Esempio 4. Circuito con un polo e uno zero reali.

1 + ατ s
Consideriamo la funzione B (s) =
1+τ s
con α<1, per cui i coefficienti valgono:

λ1=ατ ; λ2=0 ; µ1=τ ; µ2=0

Si ha pertanto: ρ = (1-α)τ ; σ = τ[2π(1-α)]½

I tempi caratteristici diminuiscono all'aumentare di α, fino ad annullarsi per α=1, cioè quando
lo zero cancella il polo e B(s)=1.

Esempio 5. Circuito passabasso del secondo ordine: funzione espressa nella forma
standard dei sistemi risonanti.

Consideriamo la funzione (diversa da quella dell’Esempio 2 perchè i poli possono essere


1
complessi): B (s) =
1 + s ω o Q + s 2 ω o 2Q 2
I coefficienti valgono

λ1=0 ; λ2=0 ; µ1=1/ωoQ ; µ2=1/ωo²

Si ha pertanto: ρ = 1/ωoQ ; σ = [2π(1/Q²-2)]½/ωo

I tempi caratteristici diminuiscono all'aumentare di Q, ma, come nell'Esempio 3, non possono


ridursi oltre un certo limite, che è fissato dal massimo valore di Q oltre il quale la risposta
indiciale diviene oscillante.

Esercizio 1. Ricavare le espressioni della risposta impulsiva e della risposta indiciale del circuito considerato
nell’Esempio 4. Calcolare il ritardo ρ, per τ=1 s e per i seguenti valori di α: 0, 0.1, 0.2, 0.5, a) utilizzando la
relazione esatta (2); b) utilizzando la relazione approssimata (8). Ripetere i calcoli precedenti utilizzando la
definizione empirica del ritardo td (50% del valore finale della risposta indiciale), supponendo che questa
grandezza dipenda da α allo stesso modo di ρ. Presentare i risultati in una tabella.

Esercizio 2. Spiegare per quale motivo nell’Esempio 4 non avrebbe senso considerare il caso α<1.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 6


3. Amplificatori a larga banda

Uno stadio amplificatore di tensione è costituito essenzialmente da un dispositivo


attivo e dal carico. Molti dispositivi attivi (ma i transistori bipolari solo in prima
approssimazione) sono riconducibili in modo significativo al modello (per piccoli segnali)
rappresentato da un generatore ideale di corrente, controllato dalla tensione d'ingresso,
mentre il carico (al quale generalmente contribuisce anche
l'impedenza d'ingresso dello stadio successivo) è costituito da
una opportuna impedenza Z, in parallelo alla quale vi è però
sempre una capacità C (capacità d'uscita del dispositivo,
capacità parassite, ecc.).

Se il carico è resistivo (Z=R) si ha evidentemente |Ao|=gmR, mentre la costante di


tempo τ=RC determina la velocità di risposta e la banda passante (B=1/2πτ). Si conclude che
il prodotto banda-guadagno

(10) AoB = gm/2πC

è indipendente dalla resistenza R e dipende soltanto dal rapporto fra la transconduttanza gm e


la capacità C. Il rapporto gm/C costituisce dunque una figura di merito assai significativa per
le prestazioni di uno stadio amplificatore (o di un dispositivo), che rappresenta la variazione
della tensione d'uscita nell'unità di tempo per una variazione unitaria a gradino della tensione
d'ingresso.

Idealmente, al fine di massimizzare la velocità di risposta, l'impedenza indiciale del


carico dovrebbe assumere valore infinito ai tempi brevi, in modo che la corrente fornita dal
generatore possa caricare la capacità C più rapidamente possibile, per assumere poi un valore
finito costante allo scopo di definire il guadagno. Questa condizione è ben approssimata
usando un'impedenza di carico costituita da un resistore con un induttore in serie.

Disponendo più elementi amplificatori in parallelo, la situazione non si modifica, se il


contributo dominante alla capacità C è costituito dalla capacità d'uscita (incluse le capacità
parassite) di ciascun elemento.

La figura di merito resta infatti invariata dal momento che sia la transconduttanza che
la capacità aumentano dello stesso fattore.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 7


Una soluzione assai efficace è costituita dagli amplificatori distribuiti, dove in ciascun stadio si usano
più dispositivi amplificatori che sono "in parallelo" dal punto di vista del guadagno, ma le cui capacità vengono
separate inserendole in linee di trasmissione a elementi concentrati, secondo lo schema di principio illustrato
nella figura qui sotto (le capacità C1 e C2 conglobano le capacità, rispettivamente d’ingresso e d’uscita, dei
transistori).

Le due linee, quella alimentata dal segnale d'ingresso e quella dove si raccoglie il segnale d'uscita, sono
entrambe adattate, allo scopo
di evitare riflessioni, e sono
realizzate con uguale ritardo
per cella, in modo che su
entrambe i segnali si
propaghino in fase. Se
l'ingresso, in particolare, è un
gradino di tensione, il fronte
d'onda del segnale amplificato
dal primo transistore
raggiungerà l'uscita del
secondo allo stesso istante in
cui il fronte d'onda amplificato da quest'ultimo verrà ad eccitare la linea d'uscita, e così via.

Se il segnale d'ingresso è V1, a ciascuna delle basi viene applicato V1/2 trattandosi di una linea adattata.
Se la transconduttanza di ciascun transistore è gm, ciascun collettore contribuirà all'uscita con una corrente di
intensità gmV1/2, che nella linea d'uscita si suddividerà in parti uguali fra le due onde che viaggiano verso le
resistenze di terminazione. Di conseguenza la corrente totale fornita al carico dagli n transistori sarà ngmV1/4. Si
conclude che l'amplificazione statica totale, dalla sorgente al carico, è

(11) Ao = -ngmRo2/4

Non ci occupiamo qui del calcolo del tempo di salita, che è generalmente piuttosto laborioso perchè
dipende dalle caratteristiche sia delle linee che dei dispositivi amplificatori. In prima approssimazione si ha:

σ ≈ Ro2(C1+C2).

4. Composizione dei tempi caratteristici

Studiamo ora come si compongono i tempi caratteristici di più stadi amplificatori


collegati in cascata, esaminando il caso di due stadi con funzioni di trasferimento ai tempi
brevi B1(s) e B2(s); i risultati saranno immediatamente generalizzabili al caso di un numero
arbitrario di stadi in cascata. Scriviamo il prodotto B(s)=B1(s)B2(s) esprimendo le due
funzioni nella forma approssimata (5):

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 8


 s2  σ 2   s2  σ 2 
(12) B ( s ) ≈ 1 − s ρ1 +  ρ12 + 1   1 − s ρ 2 +  ρ 2 2 + 2  
 2 2π    2 2π  

Sviluppando il prodotto e trascurando i termini in s di grado superiore al secondo si ottiene

s2  σ 12 + σ 2 2 
B ( s ) ≈ 1 − s ( ρ1 − ρ 2 ) + ( )
2
(13)  1 ρ + ρ + 
2π 
2
2

da cui si deduce che ρ = ρ1 + ρ2 e σ2 = σ12 + σ22. Nel caso di n stadi in cascata si ha pertanto:

(14) ρ = Σρi ; σ2 = Σσi2

Si conclude che i ritardi di più stadi in cascata si compongono linearmente, mentre i


tempi di salita si compongono quadraticamente (sempre per risposte indiciali non oscillanti).
Questo stesso risultato vale anche per i tempi caratteristici definiti empiricamente (ritardo td
al 50% e tempo di salita tr fra il 10% e il 90% del valore finale della risposta indiciale).

Esercizio. Calcolare il tempo di salita di un impulso con tempo di salita di 10 ns, amplificato da un circuito con
tempo di salita di 50 ns, quale viene osservato a un oscilloscopio il cui amplificatore ha, con buona
approssimazione, funzione di trasferimento del primo ordine, con larghezza di banda B=100 MHz.

5. La larghezza di banda

Consideriamo ora la risposta in regime sinusoidale permanente di un amplificatore per


cui la decomposizione (1) sia significativa. In tal caso la risposta nella regione delle alte
frequenze si ottiene sostituendo s con jω nella funzione B(s). La larghezza di banda B, o
frequenza di taglio superiore, come già abbiamo visto nella Parte I, è definita come la
frequenza a cui il modulo della funzione si riduce a 1/√2=0,707... (-3 dB). Nel caso
particolare in cui la B(s) possiede un solo polo con costante di tempo τ, sappiamo già che
B=1/2πτ. Nel caso generale la larghezza di banda B, che qui indicheremo con F per evitare
ambiguità di simboli, si ricava risolvendo l'equazione

(15) |B(2πjF)| = 1/√2

Quando la funzione B(s) risulta dal prodotto di più funzioni, di ciascuna delle quali è
nota la larghezza di banda Fi, il calcolo della larghezza di banda F della B(s) in funzione delle
Fi non è affatto immediato. Per questo ci limitiamo a considerare il caso in cui la B(s) abbia
soltanto poli reali, cioè sia costituita dal prodotto di n funzioni, ciascuna con una sola

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 9


costante di tempo e caratterizzata dunque dalla banda Fi=1/2πτi. In tal caso si ha
B(s)=1/Π(1+τis) e dalla (15) si ottiene:

∏ 1 + ( 2π Fτ i )2  = ∏ n 1 + ( F Fi )2  = 2
n
(16) i =1   i =1  

Nel caso particolare in cui tutte le Fi sono uguali fra loro (cioè i poli della B(s) sono
tutti coincidenti) si ha

(17) [1 + (F/Fi)²]n = 2

e si ricava allora

(18) F = Fi(21/n - 1)½

Se le funzioni Bi non sono uguali, ma hanno tutte larghezze di banda molto maggiori di F,
allora si può sviluppare la (16) nella forma seguente

(19) ∏
n
1 + ( F Fi )2  ≈ 1 + F 2 ∑ n (1 Fi )2 = 2
i =1   i =1

da cui si ricava infine l'espressione approssimata:

∑ (1 F )
n 2
(20) F ≈ 1/ i =1 i

RISPOSTA AI TEMPI LUNGHI

6. La pendenza iniziale della risposta indiciale

La risposta di un amplificatore ai tempi lunghi (alle basse frequenze) è determinata


dai tagli a bassa frequenza introdotti dalle capacità di disaccoppiamento che separano i vari
stadi, da eventuali trasformatori e via dicendo. Se L(s) è la funzione di trasferimento
normalizzata che, in base alla decomposizione (1), caratterizza la risposta ai tempi lunghi la
corrispondente risposta indiciale lu(t)=L-1[L(s)/s] presenta valore unitario per t=0 e si annulla
per t che tende all'infinito. L’esempio più semplice è quello del circuito CR passaalto, per cui
si ha L(s) = τs/(1+τs) con risposta indiciale lu(t) = exp(-t/τ) u(t).

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 10


La risposta ai tempi lunghi viene spesso caratterizzata globalmente considerando
come parametro la pendenza iniziale della risposta indiciale normalizzata:

 d lu ( t ) 
(21) µ= 
 dt  t =0

Applicando questa definizione al caso del circuito CR considerato prima si ha: µ = -1/τ. Si
può interpretare dunque µ come il negativo del reciproco della costante di tempo equivalente
dominante alle basse frequenze.

Dal valore di
questo parametro
dipende la forma della
risposta agli impulsi
reali, come mostra la
figura, che rappresenta la
risposta di un circuito
CR a un gradino unitario
e a un impulso unitario
di durata fissa T per
valori decrescenti di τ. Si
nota in particolare che
alla risposta a un impulso è sempre associata una "coda", la cui presenza può falsare la misura
dell'ampiezza dell'impulso seguente (ciò non si verifica negli amplificatori in continua).

Esercizio. Calcolare l'ampiezza V' che viene misurata


osservando il secondo impulso mostrato nella figura. I valori
dei parametri sono: V = 1 volt, T = 1 µs, T' = 0.7 µs, τ = 2
µs.

Quando, come accade di frequente negli amplificatori, alla funzione L(s) sono
associate più costanti di tempo (per esempio quando essa possiede più zeri all'origine e
altrettanti poli reali) può darsi che la corrispondente risposta indiciale non decada
monotonicamente a zero, presentando dunque delle oscillazioni. Ciò si verifica in particolare
quando vi sono più costanti di tempo uguali o poco diverse fra loro. Pertanto quando si

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 11


desidera un decadimento monotono della lu(t) conviene fare in modo che una delle costanti di
tempo sia dominante, cioè assai più breve di tutte le altre.

Esercizio. Calcolare e graficare la risposta indiciale per le funzioni L(s) = (τs/(1+τs))², L'(s) = (τs/(1+τs))3.

Tutti questi fenomeni che, come si è detto, conducono a errori anche rilevanti nella
misura dell'ampiezza degli impulsi, possono essere eliminati alla radice ricorrendo ad
amplificatori in continua, oppure ridotti grandemente utilizzando
circuiti nonlineari, generalmente impieganti diodi. Dopo un circuito
di accoppiamento CR, per esempio, si può collegare un diodo verso
massa in modo da evitare che la tensione d’uscita abbia escursioni
negative (o positive, a seconda del verso con cui viene disposto).

7. Composizione delle pendenze iniziali

Disponendo più stadi in cascata, ciascuno con risposta indiciale con pendenza iniziale
µi, la pendenza iniziale della risposta complessiva risulta pari alla somma delle pendenze
iniziali dei singoli stadi:

(22) µ = Σ µi

Questo risultato si dimostra immediatamente nel caso di due blocchi in cascata con
pendenze iniziali µ1=-1/τ1 e µ2=-1/τ2. Se la funzione complessiva è
L(s)=τ1τ2s²/(1+τ1s)(1+τ2s), la risposta indiciale è lu(t)=[ τ2exp(-t/τ1)- τ1exp(-t/τ2)]/(τ2-τ1).
Derivando rispetto al tempo e ponendo t=0, si ottiene infatti µ = -(1/τ1+1/τ2) = µ1 + µ2.

Il risultato espresso dalla (22) può essere interpretato come segue: un sistema che
possiede una molteplicità di costanti di tempo a bassa frequenza è equivalente (per quanto
riguarda la pendenza iniziale della risposta indiciale), a un sistema con una sola costante di
tempo, il cui inverso è pari alla somma degli inversi di tutte le costanti di tempo del primo
sistema.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 12


CENNI SUGLI AMPLIFICATORI PER GRANDI SEGNALI

8. Generalità sugli amplificatori per grandi segnali

Consideriamo qui brevemente gli amplificatori per grandi segnali, dove le ampiezze
dei segnali in gioco - tensioni negli amplificatori di tensione, tensioni e correnti negli
amplificatori di potenza - sono tali che i modelli linearizzati per piccoli segnali non sono più
applicabili o richiedono cautela. In questi circuiti l'attenzione è rivolta sopratutto ad ottenere
determinate prestazioni (escursione di tensione sul carico, potenza fornita al carico, efficienza
energetica, ecc.), non superando i limiti di tensione, corrente e potenza, oltre i quali i
dispositivi si danneggiano, e assicurando, quando ciò risulta possibile, una buona linearità
alla relazione ingresso-uscita.

A questo riguardo sottolineiamo subito una importante proprietà dei transistori


bipolari, della quale si deve tener conto: la relazione fra corrente di collettore e corrente di
base presenta un assai maggior grado di linearità (il guadagno β ο hfe dipende relativamente
poco dalla corrente al variare di questa su un intervallo relativamente esteso) della relazione
fra corrente di collettore e tensione base-emettitore (dove entra in gioco la caratteristica
esponenziale d'ingresso). Ricordiamo anche che nei transistori FET di potenza si ha invece
ottima linearità nella relazione fra la corrente di drain e la tensione fra porta e source (in
questo caso è la transconduttanza che dipende relativamente poco dalla corrente d'uscita).

Facendo riferimento proprio ai transistori bipolari - per fissare le idee, ma le


considerazioni che seguono sono del tutto generali - a una tensione d'ingresso sinusoidale
vb(t)=Vbcos(ωt) corrisponderà la tensione d'uscita:

(23) vc(t) = Vc1 cos(ωt) + Vc2 cos(2ωt) + Vc3 cos(3ωt) + ...

dove il primo termine rappresenta l'armonica fondamentale e i successivi le armoniche


superiori, generalmente indesiderate. Si definisce distorsione totale (total harmonic distortion,
THD) la grandezza normalizzata, espressa generalmente in percentuale

Vc 2 2 + Vc 32 + ...
(24) D=
Vc1

Per un dato circuito, l'entità della distorsione dipende sia dal punto di lavoro prescelto
che dall'ampiezza dei segnali. Essa aumenta, in genere più che proporzionalmente, al crescere

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 13


dell'ampiezza dei segnali, ed assume valori particolarmente elevati quando il dispositivo
viene portato in condizioni di saturazione o d'interdizione (cioè la nonlinearità diventa
violenta).

Negli amplificatori di potenza la grandezza essenziale è la potenza PL fornita al


carico, generalmente specificata in regime sinusoidale per un dato valore di distorsione (per
esempio, 10 W con distorsione dell'1%, 20 W con distorsione del 5%). Ma ha grande
importanza il rendimento, cioè il rapporto

(25) η = PL / Pal

fra la potenza fornita al carico e quella (Pal) erogata in continua dall'alimentatore, anche in
relazione alla potenza dissipata nei dispositivi amplificatori, che li riscalda innalzandone la
temperatura. Sono i limiti per quest'ultima grandezza, infatti, che stabiliscono in genere il
limite pratico alla potenza massima che può essere fornita al carico. Poichè d'altra parte la
potenza erogata dall'alimentatore è pari alla somma della potenza fornita al carico e di tutte le
dissipazioni nel circuito (incluse quelle nei dispositivi, che generalmente sono dominanti) si
comprende come il rendimento rappresenti una importante figura di merito di un
amplificatore di potenza.

9. Classi di funzionamento

Negli amplificatori di potenza si distinguono varie classi di funzionamento a seconda


della frazione di periodo, con riferimento a segnali sinusoidali, durante la quale i dispositivi si
trovano in conduzione.

Negli amplificatori in classe A i dispositivi si trovano in conduzione, in una regione


di funzionamento almeno approssimativamente lineare, durante tutto il periodo. Di
conseguenza la linearità è relativamente buona (e può venire migliorata ulteriormente
utilizzando lo schema a controfase, di cui ci occuperemo fra breve, che riduce nel carico
l'effetto delle distorsioni di ordine pari).

La figura
mostra che la
potenza massima
(prodotto dei
valori efficaci

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 14


della tensione e della corrente del segnale) che può essere fornita al carico

(26) PL = (Vmax - Vmin)(Imax - Imin)/8

è determinata dall'estensione della zona approssimativamente lineare delle curve


caratteristiche attorno al punto di lavoro, mentre la potenza media erogata dall'alimentatore è
Pal=VCCIC, dove IC è la corrente di polarizzazione (costante) nel punto di lavoro prescelto. Il
rendimento dipende dunque dall'ampiezza del segnale.

In prima approssimazione, supponendo lineare tutta la caratteristica d'uscita del


transistore, si conclude che la potenza massima fornita al carico è un quarto di quella
assorbita dall'alimentatore e pertanto il rendimento limite è η = 25% (ciò si ottiene ponendo
Vmax=VCC, Vmin=0, Imax=VCC/RL, IC= Imax/2, Imin=0).

In pratica il carico può


venire collegato al dispositivo
amplificatore anche in altri
modi, cioè mediante
accoppiamento induttivo oppure
a trasformatore, come è
mostrato negli schemi a fianco.
In questi circuiti occorre
distinguere fra la retta di carico in continua, la cui pendenza è determinata dalla resistenza (generalmente assai
modesta) dell'induttore o del primario del trasformatore, e la retta di carico in alternata. Quest'ultima passa
attraverso il punto di polarizzazione a riposo del collettore (VC ≈ VCC, IC, trascurando la caduta ohmica
sull'induttore o sul trasformatore) con pendenza determinata dalla resistenza del carico (attraverso il rapporto di
trasformazione, nel caso di accoppiamento a trasformatore).

In presenza di segnale la tensione di collettore, in questi circuiti, varia attorno a VC ≈ VCC con una
escursione massima totale approssimativamente doppia rispetto al caso del circuito con carico resistivo visto
prima. Il rendimento limite corrispondente al caso di linearizzazione totale è dunque η = 50% (ciò si ottiene
ponendo nella (26) Vmax=2VCC, Vmin=0, Imax=2IC, Imin=0, e considerando che Pal=VCCIC).

Negli amplificatori in classe B i dispositivi si trovano in conduzione soltanto durante


metà del periodo, e sono dunque polarizzati all'estremo della caratteristica, con corrente di
riposo trascurabile. In questi amplificatori si usa il circuito detto a controfase, che comprende
due dispositivi di polarità opposta (per esempio un transistore NPN e uno PNP), all'ingresso
dei quali è applicato il medesimo segnale, ma disposti in modo che nel carico fluisca la
differenza fra le due correnti d'uscita.

In questo circuito, a differenza di quelli in classe A, la potenza erogata

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 15


dall'alimentatore varia con l'ampiezza del
segnale. In prima approssimazione, la corrente
dell'alimentatore è il valor medio di una sinusoide
rettificata. Pertanto, nell'approssimazione di
linearizzazione totale della caratteristica, la
potenza massima erogata dall'alimentatore è
Pal=2VCC²/πRL, mentre la potenza fornita al
carico è PL=VCC²/2RL; il rendimento limite è
dunque η=π/4=78.5%, cioè assai maggiore che in classe A. Di conseguenza anche la potenza
dissipata nei dispositivi, a parità di potenza d'uscita, è assai minore che in classe A.

La distorsione, d'altra parte, può essere rilevante, dal momento che i dispositivi,
interdetti a riposo, vengono portati in conduzione dal segnale e si muovono dunque,
sopratutto nella fase iniziale, in una regione fortemente nonlineare della caratteristica. Si
dimostra però che se i due dispositivi usati nello schema a controfase hanno caratteristiche
molto simili, le armoniche di ordine pari generate da ciascuno di essi si cancellano fra loro
nel segnale d'uscita.

Negli amplificatori in classe AB i dispositivi si trovano in conduzione durante una


frazione di periodo fra π e 2π. Questo consente di ridurre la distorsione rispetto alla classe B,
ma di ottenere nel contempo un rendimento maggiore che in classe A, anche se inferiore alla
classe B. Anche negli amplificatori in classe AB si adottano schemi a controfase. Lo schema
di principio è anzi lo stesso mostrato a proposito degli amplificatori in classe B. La differenza
sta nella diversa polarizzazione dei transistori in condizioni di riposo, che ora sono accesi
mentre in classe B erano al limite dell'interdizione.

Negli amplificatori in classe C, infine, i dispositivi si trovano in conduzione solo


durante meno della metà del periodo. Essi, in condizioni di
riposo, sono dunque più o meno fortemente interdetti (la
tensione VBB è nulla o negativa per il transistore NPN in figura)
e si accendono solo quando il segnale d’ingresso assume
ampiezza sufficiente. Il comportamento è dunque
violentemente nonlineare, come mostra la forma d'onda della
corrente d'uscita nello schema illustrato nella figura. Ma
siccome il carico è costituito da un circuito accordato alla

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 16


frequenza del segnale, le armoniche di corrente danno un contributo trascurabile alla tensione
d'uscita (perchè l'impedenza che il carico presenta per le armoniche è assai minore di quella
presentata alla fondamentale, a cui è accordato).

Resta il fatto che l'ampiezza della sinusoide d'uscita non è proporzionale all'ampiezza
di quella d'ingresso. Gli amplificatori in classe C sono dunque utilizzabili per amplificare
sinusoidi di ampiezza costante (per esempio un'onda portante in un sistema a radiofrequenza,
ma non un segnale modulato in ampiezza).

Il vantaggio della classe C riguarda il rendimento, generalmente assai elevato, ancora


maggiore che in classe B. Il motivo può essere compreso in termini qualitativi considerando
la dissipazione nel transistore dello schema in figura: quando la tensione d'uscita è elevata, il
dispositivo è interdetto e dunque non dissipa; quando il dispositivo conduce corrente, invece,
la tensione d'uscita, cioè la tensione di collettore, assume i valori più bassi. Di conseguenza il
prodotto vCEiC, che è quello che conta, è sempre o nullo o relativamente basso.

L'esigenza di migliorare il rendimento degli amplificatori di potenza, che assume


particolare rilievo negli apparati di grande e grandissima potenza, ha condotto a introdurre
altre classi di funzionamento oltre a quelle tradizionali di cui si è fatto cenno finora,
rivolgendo l'attenzione proprio a minimizzare la caduta di tensione sui dispositivi quando
questi si trovano in conduzione. Un esempio interessante sono gli amplificatori in classe D, in
cui questo concetto viene spinto all'estremo facendo lavorare i dispositivi come interruttori.
Così si ha dissipazione di potenza solo quando i dispositivi sono accesi, ma essa è comunque
molto bassa, essendo data dal prodotto di una corrente anche molto elevata per una tensione
molto bassa, la tensione di saturazione VCEsat.

In questi amplificatori, che hanno rendimenti assai elevati, prossimi all'unità, occorre
però un apposito circuito (modulatore d'impulsi) che provveda a convertire il segnale
analogico d'ingresso nel segnale impulsivo che comanda gli interruttori che ne costituiscono
lo stadio finale di potenza. E occorre anche un circuito di filtraggio, simbolizzato
dall'induttore L nello
schema in figura, che
riconverta in forma
analogica gli impulsi
di corrente generati
dagli interruttori.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - parte VII pag. 17


PARTE VIII

LA CONTROREAZIONE

1. Introduzione alla controreazione

Molti circuiti elettronici analogici, in particolare gli amplificatori, vengono realizzati


usando schemi a controreazione allo scopo di ottenere buone prestazioni, migliori che in
assenza di reazione. Oltre che negli amplificatori, di cui ci occuperemo in quanto segue, la
controreazione trova largo impiego nella strumentazione fisica e nei sistemi di controllo.
Sebbene il principio della reazione negativa (negative feedback) fosse noto già da tempo1
(un esempio classico è il regolatore di Watt), la sua introduzione esplicita e la sua
formalizzazione viene attribuita all'ingegnere americano Harold S. Black2, che negli anni '20
lo utilizzò per risolvere i problemi di stabilità del guadagno e di distorsione negli
amplificatori a tubi elettronici per telefonia a
grandi distanze3.

Lo schema fondamentale della


connessione a controreazione è illustrato nella
figura. Qui il segnale Ve applicato figura 1
all'amplificatore A non è il segnale d'ingresso
Vi, ma la differenza fra questo e una frazione β del segnale d'uscita Vo. Questo schema gode
di proprietà estremamente interessanti, che esamineremo nel seguito e che sono assai diverse
da quelle delle sue parti costituenti: l'amplificatore A, che costituisce il blocco diretto, e il
circuito β (realizzato generalmente con elementi passivi), che costituisce il blocco di

1
Secondo l’ingegnere americano Robert A. Pease, progettista di circuiti integrati e studioso della
controreazione, le prime applicazioni del principio della reazione negativa sono antichissime. Egli cita a questo
riguardo l'anello che viene posto al naso dei buoi da tiro. Tirando l'anello con una corda ed esercitando una forza
anche assai debole, si riesce infatti a persuadere l'animale a muoversi trainando un carico pesante. Si tratta,
evidentemente, di un sistema "inseguitore di posizione" (→ pag.4) a reazione negativa.
2
H.S. Black Stabilized Feed-Back Amplifiers Electrical Engineering, gennaio 1934, pp.114-120, ristampato in
Proc. IEEE, vol.72, giugno 1984, pp.716-722; H.S. Black Inventing the negative-feedback amplifier IEEE
Spectrum, vol.14, pp.54-60, dicembre 1977.
3
L'attenuazione introdotta dalle linee di trasmissione nelle comunicazioni telefoniche a grandi distanze viene
compensata disponendo amplificatori (detti ripetitori) a intervalli regolari lungo le linee. Si ha così un gran
numero di amplificatori in cascata, la cui distorsione può sommarsi fino a rendere inaccettabile la trasmissione
dei segnali. Usando tubi elettronici come elementi attivi, il fenomeno è aggravato dalle variazioni del guadagno
dei dispositivi (la corrente emessa da un catodo, e quindi la transconduttanza di un tubo elettronico, si riduce
gradualmente man mano che il catodo, al passare del tempo, si deteriora).

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 1


reazione. Anticipiamo subito che la proprietà fondamentale di questo schema consiste nella
"desensibilizzazione" della relazione ingresso-uscita rispetto alle variazioni dei parametri del
blocco diretto. Qualsiasi variazione dell'uscita, dovuta a una variazione del guadagno di A o
ad altre cause, si traduce infatti in una corrispondente variazione del segnale Ve, che a sua
volta tende a compensarla, producendo una variazione del segnale d'uscita di segno opposto.

Il segnale Ve(s) applicato all'amplificatore, chiamato generalmente segnale d'errore, è


dato dall'espressione

(1) Ve(s) = Vi(s) - β(s)Vo(s)

dove ß(s) rappresenta la funzione di trasferimento del blocco di reazione; il segnale Vo


all'uscita dell'amplificatore, che ha funzione di trasferimento A(s), è

(2) Vo(s) = A(s)Ve(s)

Dalle equazioni (1) e (2) si ricava la seguente espressione per la funzione di


trasferimento complessiva ingresso-uscita in presenza di reazione, chiamata funzione di
trasferimento a ciclo chiuso o ad anello chiuso (closed loop transfer function):

Vo ( s ) A( s)
(3) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1 + A ( s ) β ( s )

Tale espressione indica che quando |1+A(s)β(s)|>1, e allora si ha reazione negativa, il


guadagno a ciclo chiuso è minore di quello del blocco diretto. Questo è il prezzo dei vantaggi
che offre la controreazione; ma ciò in pratica non costituisce un problema dato che si può
facilmente riportare il guadagno al valore desiderato introducendo altri stadi di
amplificazione (con costi oggi modestissimi).

Facciamo un semplice esempio, assumendo A e β costanti e reali: A=1000, β=0,099. Si ha dunque


Aβ=99 e AF=1000/(1+99)=10. Se il segnale d'ingresso è Vi=10 mV, quello d'uscita sarà Vo=100 mV, quello
d'errore Ve=Vi-βVo=10 mV - 0,099 × 100 mV = 0,1 mV. Si noti che il segnale d'errore, cioè quello
effettivamente applicato all’ingresso dell’amplificatore, è 1+Aβ volte più piccolo di quello d'ingresso.

In un sistema reazionato ha un ruolo essenziale la funzione -A(s)β(s), chiamata


funzione di trasferimento a ciclo aperto o ad anello aperto (open loop transfer function), che
rappresenta appunto la trasmissione del segnale attraverso tutto il ciclo di reazione quando
s'immagina di interromperlo in un punto qualsiasi:

(4) L(s) = -A(s) β(s)

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 2


(il segno negativo rappresenta l'operazione di differenza espressa dalla (1)). La funzione al
denominatore della (3) prende il nome di fattore di reazione (o anche di "differenza di
ritorno") e ha grande importanza dato che, come vedremo, essa esprime in termini
quantitativi l'entità della reazione

(5) D(s) = 1 + A(s)β(s)

Esaminando la (3) si osserva immediatamente che quando è verificata la condizione

(6) |D(s)| = |1 + A(s)β(s)| >> 1

cioè il modulo del fattore di reazione è molto maggiore dell'unità, allora la funzione AF(s)
viene a dipendere esclusivamente da quella del blocco di reazione

(7) AF(s) ≈ 1/β(s)

(e in tal caso l'ampiezza del segnale d'errore diventa trascurabile rispetto a quella del segnale
d'ingresso). Per questo la condizione (6) viene detta di desensibilizzazione totale, nel senso
che quando è verificata la funzione a ciclo chiuso AF(s) viene ad essere totalmente
indipendente dalla funzione A(s) del blocco diretto4. Un'estesa classe di circuiti, in particolare
la maggior parte di quelli impieganti amplificatori operazionali, sfrutta proprio questa
condizione per realizzare funzioni di varia natura (amplificazione, integrazione nel tempo,
filtraggio, ecc.) con grandissima precisione, dipendente quasi esclusivamente dalla precisione
degli elementi passivi che costituiscono il blocco di reazione.

Quanto espresso dalla (7), naturalmente, riguarda anche la dipendenza dalla frequenza
e la risposta temporale, che vengono mutate profondamente rispetto a quelle del circuito non
reazionato.

Nel caso particolare, realizzato spesso in pratica, in cui il blocco di reazione sia
costituito esclusivamente da elementi resistivi e quindi β(s) sia costante, la funzione a ciclo
chiuso viene ad essere a sua volta indipendente da s, per tutti i valori di questa variabile per
cui è verificata la (6). Da ciò deriva in genere un allargamento della banda passante e una
corrispondente riduzione dei tempi caratteristici della risposta temporale. Ma questo sarà
precisato meglio nel seguito.

4
Si noti però che nella condizione (6) interviene la variabile s. Pertanto, dato che a frequenze sufficientemente
alte il guadagno di qualsiasi amplificatore tende inevitabilmente a ridursi, la relazione (6) può essere verificata
soltanto in un intervallo di frequenze limitato superiormente.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 3


Un caso limite assai interessante in pratica è quello della controreazione unitaria, che
si ha quando β=1. In tal caso il segnale d'uscita tende a una replica fedele di quello d'ingresso,
cioè "lo insegue". Di qui la denominazione di "inseguitore" (follower) per i circuiti dove
questo si verifica (emitter follower, source follower, voltage follower). Il segnale d'errore, in
questi circuiti, viene ad assumere pienamente il significato di scarto fra il segnale
effettivamente presente in uscita e quello ideale (qui costituito dal segnale d'ingresso).

In generale in un circuito reazionato si ha reazione negativa quando

(8) |D(s)| = |1 + A(s)β(s)| > 1

mentre si ha invece reazione positiva quando

(9) |D(s)| = |1 + A(s)β(s)| < 1

cioè quando il segnale di reazione -βVo si trova in fase, anzichè in opposizione di fase,
rispetto a quello d'ingresso.

Nel primo caso l'amplificazione a ciclo chiuso è minore in modulo di quella del
blocco diretto, nel secondo l'amplificazione è maggiore (dato che il segnale di reazione si
somma, anzichè sottrarsi, a quello d'ingresso). Inoltre nel primo caso (reazione negativa) la
funzione di trasferimento a ciclo chiuso è soggetta agli effetti di desensibilizzazione rispetto
ai parametri del blocco diretto e di minore dipendenza dalla variabile s rispetto alla funzione
A(s); nel secondo (reazione positiva) si hanno invece effetti opposti, generalmente
indesiderati. Il caso limite della reazione positiva si verifica quando |D(s)| tende a zero. In tal
caso si ha instabilità e il circuito diventa sede di oscillazioni indesiderate che ne stravolgono
il funzionamento.

Qui è importante osservare che può darsi che per determinati valori di frequenza si
abbia reazione negativa mentre per altri si abbia invece reazione positiva. Questo può
succedere quando la funzione di trasferimento a ciclo aperto ha due o più poli (due o più zeri
a bassa frequenza, tipicamente all’origine), in modo che alle alte frequenze (alle basse
frequenze) si abbia una rotazione di fase complessiva equivalente ad una inversione di segno,
e sopratutto quando possiede degli elementi di ritardo puro (e-sT), che introducono sfasamento
continuamente crescente con la frequenza.

Torniamo ora ad esaminare lo schema di figura 1 per trarne alcune osservazioni. La


prima riguarda il segno della reazione, che in questa rappresentazione è stato esplicitato come

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 4


negativo5 con la presenza di un circuito sottrattore (che esegue l'operazione espressa dalla
(1)). Ciò significa, perchè si abbia reazione negativa, assumere che nella regione delle
frequenze di interesse il blocco diretto e quello di reazione non diano luogo a inversione di
segno e quindi, in pratica, che il numero di stadi di amplificazione che introducono inversione
di segno sia pari (e sia invece dispari qualora il segnale di reazione venga sommato a quello
d’ingresso).

Un'altra osservazione riguarda le ipotesi che sono alla base dello schema di figura 1 e
che solo di rado sono esattamente verificate in pratica, dato che stiamo rappresentando dei
circuiti elettrici usando uno schema a blocchi (→ pag. 40, parte II). Oltre a supporre che le
impedenze d'ingresso dei due blocchi siano molto maggiori di quelle dei circuiti che li
alimentano e che le loro impedenze d'uscita siano molto minori di quelle dei circuiti che ne
costituiscono il carico, si deve ammettere che in ciascun blocco la trasmissione del segnale
avvenga solamente dall'ingresso verso l'uscita, cioè che essi siano unilaterali. Quest'ultima
ipotesi è ben verificata, di solito, per quanto riguarda il blocco diretto, ma non per il blocco di
reazione, che normalmente è realizzato con elementi passivi (come resistori e condensatori) e
dunque non è unilaterale.

Un'ultima osservazione riguarda l'individuazione del blocco diretto e di quello di


reazione quando si esamina lo schema elettrico di un circuito reazionato. Questa può risultare
infatti tutt'altro che immediata e, a volte, anche poco significativa. In questi casi l'analisi del
circuito, per determinarne la funzione di trasferimento ingresso-uscita a ciclo chiuso, andrà
condotta con i metodi usuali di (nodi o maglie). Solo successivamente si cercherà di
individuare separatemente il blocco diretto e quello di reazione, riconducendo la funzione
così ottenuta alla forma espressa dalla (3), per determinare poi la funzione di trasferimento a
ciclo aperto e il fattore di reazione. Ma anche questo procedimento potrà, a volte, ridursi a un
esercizio formale. Può darsi, infatti, che per un medesimo circuito si possano trovare più
rappresentazioni alternative, cioè mediante blocchi (diretto e di reazione) differenti e può
anche darsi che un medesimo parametro intervenga nelle espressioni di entrambe le funzioni
A(s) e β(s) e quindi la schematizzazione così ottenuta non sia esattamente riconducibile al
modello di fig.1.

5
Si sarebbe potuto, come in altre trattazioni, considerare in ingresso un circuito sommatore anzichè sottrattore
(assumendo allora implicitamente, per avere reazione negativa, che nella regione delle frequenze di interesse il
blocco diretto e quello di reazione diano luogo complessivamente a inversione di segno). In questo caso si
scriverebbe AF = A/(1-Aß), con L=Aß e D=1-Aß).

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Esempio. Amplificatore a emettitore comune con resistore in serie all'emettitore

L'espressione del guadagno di questo circuito è: -hfeRL/(hie+hfeRE), avendo trascurato i parametri hr e ho


del circuito equivalente del transistore e assunto hfe>>1. Questa espressione, dividendo numeratore e
denominatore per hie, può essere posta in una forma corrispondente alla (3). Si individua allora -hfeRL/hie come
guadagno del blocco diretto e -RE/RL come guadagno del blocco di reazione. Il fattore di reazione del circuito è
dunque 1+hfeRE/hie.

Allo stesso risultato si può giungere anche attraverso l'esame dello schema
del circuito, individuando il segnale di reazione βVo nella tensione d'emettitore, che
si sottrae a quella d'ingresso per determinare il segnale d'errore (Vbe=Vi-βVo)
effettivamente applicato al blocco diretto. Assumendo la corrente d'emettitore
uguale a quella di collettore (hfe>>1), si ricava β = -RE/RL. Il blocco diretto,
costituito dal transistore non reazionato, ha poi evidentemente guadagno -hfeRL/hie.

Qui l'interpretazione del circuito in termini dello schema di figura 1 è


immediata, ma dà luogo a un problema: il parametro RL figura nelle espressioni di entrambi i blocchi, che non
sono dunque indipendenti fra loro.

Il fatto è che la controreazione costituisce essenzialmente un punto di vista,


estremamente fecondo in molti casi, ma poco significativo altre volte. Per esempio, anche un
partitore resistivo può essere ricondotto allo schema di figura 1. Lasciamo al lettore questo
esercizio e, sopratutto, la valutazione dell'opportunità di adottare questo punto di vista in casi
di tal genere.

Notiamo infine che il punto di vista della reazione, che si rivela di grande utilità
quando è usato con fini intenzionali nel progetto di circuiti, strumenti e sistemi di controllo,
può anche costituire un prezioso "schema interpretativo” nello studio di sistemi della natura
più varia, naturali come artificiali. A modelli a controreazione, infatti, si può infatti assai
utilmente ricondurre il comportamento di molti sistemi fisici, biologici, sociali. In particolare,
si possono interpretare come basati sulla reazione i meccanismi di funzionamento di vari
fenomeni e dispositivi fisici. Un esempio è la relazione fra guadagno in corrente a emettitore
comune e a base comune per un transistore bipolare. Un altro riguarda l’interpretazione della
legge di Moore.

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GLI EFFETTI DELLA CONTROREAZIONE

Esaminiamo ora i principali effetti della reazione negativa. Ci occupiamo in


particolare degli effetti di desensibilizzazione e di linearizzazione del blocco diretto, degli
effetti sull'azione dei disturbi, e delle modifiche che subisce la risposta dinamica, lasciando
invece al seguito l'esame delle modifiche che subiscono le impedenze d'ingresso e d'uscita.

Tutti questi effetti, come si è già detto, hanno un'origine comune nell'azione di
compensazione automatica che ha luogo nei sistemi a reazione negativa: qualsiasi variazione
della grandezza d'uscita, comunque provocata, si traduce in una corrispondente variazione del
segnale d'errore e dunque in una azione correttiva di segno opposto. Questa azione è tanto più
efficace quanto maggiore è il modulo del fattore di reazione, fino al caso limite espresso dalla
(6) (desensibilizzazione totale) quando la relazione fra ingresso e uscita può essere posta
nella forma:

(10) Vo(s) = Vi(s)/β(s)

2. La desensibilizzazione

Per desensibilizzazione si intende la riduzione della dipendenza della funzione di


trasferimento a ciclo chiuso dai parametri del blocco diretto (guadagno, costanti di tempo,
ecc.) rispetto a quella della funzione di trasferimento in assenza di reazione. La dipendenza di
una funzione di trasferimento H da un generico parametro k che interviene nell'espressione
della funzione è espressa in generale dalla cosiddetta sensibilità SkH, definita come rapporto
fra la variazione relativa della funzione e la variazione relativa del parametro che la provoca:

∆H H
(11) S kH =
∆k k

Quando ∆k/k<<1 si utilizza la corrispondente definizione differenziale

dH H
(12) skH =
dk k

Un valore di sensibilità molto minore (maggiore) dell'unità indica che la funzione H è


praticamente insensibile (fortemente sensibile) alle variazioni del parametro; si ha poi
sensibilità unitaria se la funzione è direttamente o inversamente proporzionale al parametro.

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Consideriamo ora le variazioni della funzione di trasferimento di un sistema
reazionato AF dovute a un parametro k che interviene nell'espressione della funzione di
trasferimento del blocco diretto A. In questo caso si trova che la sensibilità della funzione
ingresso-uscita rispetto a tale parametro è data dall’espressione

skA
(13) skAF =
D

dove skA rappresenta la sensibilità rispetto a k della funzione A. La sensibilità viene dunque
ridotta all'aumentare del fattore di reazione (e ciò non si verifica per la sensibilità rispetto ai
parametri del blocco di reazione); mentre nel caso della reazione positiva si ha esaltazione,
anzichè riduzione, della sensibilità.

L’aspetto più importante riguarda le variazioni del guadagno del blocco diretto, per
esempio dovute a effetti di temperatura oppure all'invecchiamento o alla sostituzione di
componenti, che possono essere rese trascurabili ai fini pratici scegliendo un valore
opportuno del fattore di reazione. Se il guadagno A è soggetto a una variazione ∆A, il
guadagno a ciclo chiuso è soggetto a sua volta alla corrispondente variazione

A + ∆A A ∆A
∆AF = − =
1 + ( A + ∆A ) β 1 + Aβ (1 + ( A + ∆A ) β ) (1 + Aβ )

Dividendo per AF si ha

∆AF ∆A 1
(14) =
AF A 1 + ( A + ∆A ) β

da cui si ottiene l'espressione desiderata della sensibilità

1
(15) S AAF =
1 + ( A + ∆A ) β

che per ∆A<<A si riduce alla (13), essendo evidentemente sAA =1. Per esempio, se si vuole
ottenere un guadagno preciso all'1% usando un amplificatore che è soggetto a variazioni di
guadagno del 10%, si conclude, usando la (13), che occorre controreazionarlo in modo da
avere |D|>10 a tutte le frequenze che interessano.

Notiamo che, in pratica, quando le variazioni dei parametri sono rilevanti non
conviene usare le espressioni differenziali della sensibilità, ma quelle in termini di differenze
finite. Come illustra l’esempio seguente.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 8


Esempio. Variazioni del guadagno di un amplificatore a emettitore comune

Consideriamo il circuito esaminato nell'esempio precedente, assumendo i seguenti valori dei parametri:
hie=2,5 kΩ, hfe=100, RL=2,5 kΩ, RE=475 Ω. Usando le formule ricavate nell'esempio si ha: A=-hfeRL/hie=
-100*2500/2500=-100, β=-RE/RL=-475/2500=-0,19. Pertanto il fattore di reazione è D=1+Aβ=1+19=20 e il
guadagno a ciclo chiuso AF=-100/20=-5. Se il guadagno del transistore si raddoppia, si ha: ∆A=-100, ∆A/A=1 e
1+(A+∆A)β=39. Usando la (14) si ha pertanto ∆AF/AF=1/39 ≈ 2,6%. Se il guadagno del transistore si dimezza,
si ha: ∆A = 50, ∆A/A = -0,5 e 1+(A+∆A)ß = 10,5. Usando la (14) si ha in tal caso ∆AF/AF = -0,5/10,5 ≈ -4,8%.
Utilizzando la definizione differenziale (13) si avrebbe invece, nei due casi, ...

Il caso limite è evidentemente quello, già considerato, della desensibilizzazione totale


quando, grazie a un valore molto alto del fattore di reazione (e allora è verificata la
condizione (6)), la sensibilità della funzione di trasferimento a ciclo chiuso rispetto ai
parametri del blocco diretto diventa trascurabile.

3. La linearizzazione

In tutta la discussione condotta sinora abbiamo sempre assunto implicitamente la


linearità dei circuiti. Questa ipotesi è generalmente corretta per quanto riguarda il blocco di
reazione, ma non per il blocco diretto, che comprende gli elementi attivi necessari per
amplificare i segnali. Gli effetti della nonlinearità, d'altra parte, dipendono generalmente dal
livello dei segnali: quanto maggiore è la loro ampiezza tanto più ci si allontana dalla
condizione di funzionamento per piccoli segnali. E questo si verifica sopratutto nello stadio
d'uscita di un amplificatore, dove di solito si osserva distorsione.

La controreazione, come vedremo subito, permette di linearizzare efficacemente la


risposta del blocco diretto e, conseguentemente, di ridurre la distorsione. Per trattare il
problema in modo semplice assumiamo in quanto segue che i circuiti del blocco diretto e di
quello di reazione siano statici: il guadagno del blocco di reazione è allora una costante β,
mentre rappresentiamo la caratteristica nonlineare dell'amplificatore che costituisce il blocco
diretto con l'espressione

(15) vo = f(v)

assumendo la funzione f(v) monotona crescente e derivabile nell'intervallo di valori di v che


corrispondono alla gamma dinamica dell'uscita. In ciascun punto della caratteristica la
variazione dell'uscita è dunque dvo=(df/dv)dv, dove la nonlinearità si manifesta nel fatto che
il "guadagno differenziale" df/dv non è costante nell'intervallo considerato.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 9


In presenza di reazione, l'ingresso v dell'amplificatore è costituito dal segnale d'errore
e si ha dunque v=ve=vi-βvo. In questo caso la variazione dell'uscita è

df
(16) dvo = ( dvi − β dvo )
dv

da cui si ottiene l'importante risultato

dvo df dv
(17) =
dvi 1 + β df dv

Si conclude che in presenza di reazione negativa le variazioni del guadagno


differenziale nell'intervallo considerato vengono ridotte; più precisamente, il guadagno
differenziale viene attenuato maggiormente laddove è più elevato, in minor misura dove è più
basso. E questo si traduce in una linearizzazione della caratteristica. Nel caso limite di
guadagno d'anello differenziale molto grande rispetto all'unità, corrispondente alla condizione
di desensibilizzazione totale, la caratteristica del blocco diretto viene linearizzata totalmente
essendo dvo/dvi=1/β su tutto l'intervallo. Sempre dalla (17) si ricava poi che in presenza di
reazione positiva, invece, la nonlinearità della caratteristica viene esaltata.

Qui notiamo che ricavare analiticamente la funzione linearizzata in presenza di


reazione vo=fF(vi) dalla conoscenza della funzione vo=f(v) non è generalmente possibile. Si
può invece ottenerla numericamente, cioè risolvendo l'equazione nonlineare vo=f(vi-βvo) in
modo numerico, direttamente oppure usando il metodo implicito illustrato in quanto segue.

Per illustrare quanto detto consideriamo l'amplificatore con la caratteristica nonlineare


mostrata nella parte a) della figura, espressa dalla relazione

(18) vo = 10 sin(10 v) -π/20 < v < π/20

e rappresentata nelle prime due righe della tabella 1 (dove si riportano soltanto i valori
positivi di v dato che la caratteristica è simmetrica rispetto all'origine). Il guadagno
differenziale nell'origine evidentemente è (df/dv)o=100.

Tabella 1 Caratteristica nonlineare vo=f(v) di un amplificatore e caratteristica linearizzata vo=f(vi)


controreazionando con β=0,09.
vo (volt) 0 1,494 2,955 4,35 5,646 6,816 7,833 8,674 9,320 9,757 9,975
v (volt) 0 0,015 0,03 0,045 0,06 0,075 0,09 0,105 0,12 0,135 0,15
vi (volt) 0 0,149 0,296 0,436 0,568 0,688 0,795 0,886 0,959 1,013 1,048

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 10


Linearizziamo l'amplificatore reazionandolo con β=0,09. Il guadagno differenziale
nell'origine, usando la (17), è (df/dvi)o=10. Dato che il segnale applicato all'amplificatore è
v=ve=vi-βvo, possiamo calcolare il valore della tensione d'ingresso vi corrispondente a ciascun
valore dell'uscita. Dato vo, si ha infatti vi=v+βvo. I risultati del calcolo sono riportati
nell'ultima riga della tabella e rappresentati nella parte b) della figura. Il confronto fra le due
curve mostra chiaramente l'effetto di linearizzazione della controreazione (si noti però
l’effetto della reazione sulla saturazione, che da graduale diventa netta).

Si noti che per compensare la riduzione del guadagno dovuta alla reazione negativa
occorre introdurre nel blocco diretto ulteriori stadi di amplificazione. Questi non dovranno
introdurre distorsione a loro volta, ma tale requisito è facile da soddisfare dato che devono
trattare segnali di minore ampiezza. L'efficacia della reazione negativa per ridurre la
distorsione è ben dimostrata in un vasto campo di applicazioni, fra cui gli amplificatori usati
per la riproduzione dei suoni dove si richiede bassa distorsione a elevati livelli di potenza.

Ci si può chiedere come sia possibile che un amplificatore con caratteristica nonlineare, nella
connessione a controreazione, produca un segnale d'uscita che, invece, è in relazione approssimativamente
lineare rispetto a quello d'ingresso. La spiegazione, al di là della trattazione formale, si trova nel meccanismo
della controreazione. Quando il fattore di reazione è molto elevato, se l’amplificatore è lineare, il segnale
d'errore è corrispondentemente piccolo, e nel caso statico è una copia fedele dell’ingresso. Se l’amplificatore è
nonlineare, il segnale d’errore, proveniendo dal confronto fra l'ingresso e l'uscita, è costituito quasi
esclusivamente dalla distorsione presente in uscita, con la conseguenza che il legame fra ingresso e segnale
d'errore tende alla relazione nonlineare inversa di quella dell'amplificatore. La conclusione è che in un
amplificatore nonlineare non reazionato l'uscita è distorta rispetto all'ingresso, mentre in uno linearizzato dalla
controreazione l'uscita è approssimativamente lineare rispetto all'ingresso, mentre è fortemente distorto invece il
segnale d'errore.

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Esercizio 1. Tracciare il grafico della relazione nonlineare ve=g(vi), fra il segnale d’ingresso e il segnale
d’errore, utilizzando i dati della tabella 1. Verificare che la caratteristica così ottenuta corrisponde
approssimativamente alla funzione inversa di quella espressa dalla (18).

Esercizio 2. Simulare su calcolatore l'amplificatore con caratteristica nonlineare espressa dalla (18),
controreazionato con β=0,09, applicando in ingresso una sinusoide tale che l'uscita abbia 9 volt di ampiezza
(valore di picco). Tracciare i grafici dei segnali: d'ingresso, d'errore e d'uscita.

4. L'effetto sui disturbi

Esaminiamo ora l'effetto della controreazione sui disturbi, cioè sui segnali indesiderati
(rumore, distorsione, residuo di alternata dell'alimentazione, effetti di campi elettromagnetici
esterni, ecc.) che si sommano al segnale utile nelle varie parti del circuito. Facciamo
riferimento allo schema in figura,
supponendo per semplicità che i
due blocchi siano caratterizzati
dalle costanti reali A e β.

Qui ni rappresenta il
rumore prodotto nei circuiti
d'ingresso del blocco diretto (ed
eventualmente anche il rumore
associato al segnale d'ingresso vi); no rappresenta i disturbi agenti all'uscita del blocco diretto
(in particolare, gli effetti di distorsione dovuti a eventuali nonlinearità, che qui si
manifestano); nβ rappresenta infine i disturbi agenti sul blocco di reazione (incluso il rumore
ivi generato).

Il segnale d'errore è dato dall'espressione

(19) ve = vi + ni - β(vo + nβ)

da cui, utilizzando la (2), si ricava la seguente espressione dell'uscita6

A 1 Aβ
(20) vo = ( vi + ni ) + no − nβ
1 + Aβ 1 + Aβ 1 + Aβ

6
Il segno negativo dell'ultimo termine significa semplicemente che il contributo di nß all'uscita ha segno
opposto a quello di nß stesso.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 12


Si osserva immediatamente che il disturbo ni subisce le stesse vicende del segnale vi,
da cui si presenta come indistinguibile, e dunque la controreazione non ha effetto su esso7.

La (20) indica poi che il contributo del disturbo no agente in uscita viene ridotto dalla
controreazione, tanto più quanto è maggiore il fattore di reazione. Questo risultato è dunque
in accordo con quanto si era trovato prima esaminando l'azione della controreazione sulla
distorsione del blocco diretto. D'altra parte per ridurre il contributo di questo disturbo rispetto
a quello del segnale è necessario aumentare il guadagno A del blocco diretto.

La reazione negativa, infine, è del tutto inefficace nei confronti del disturbo nβ, la cui
azione consiste infatti nell'alterare l'informazione che viene riportata in ingresso, inceppando
così il meccanismo della controreazione, con effetto particolarmente insidioso nei sistemi di
controllo. Negli amplificatori ad alto guadagno fortemente controreazionati può risultare
rilevante il contributo del rumore degli elementi che costituiscono la rete di reazione.

5. Gli effetti sulla risposta dinamica

L'applicazione della reazione negativa a un circuito ne modifica profondamente la


risposta dinamica, come indica la (3) che qui riportiamo per comodità

A( s)
(3) AF ( s ) =
1+ A( s) β ( s)

alterando in particolare la posizione dei poli e degli zeri. Questi, all'aumentare del guadagno
d'anello, si spostano nel piano s dalla loro posizione iniziale (poli e zeri della funzione A(s))
fino a tendere asintoticamente, nella condizione di desensibilizzazione totale, alla posizione
dei poli e degli zeri della funzione 1/β(s). Sebbene questo si traduca generalmente in un
allargamento della banda passante e in una corrispondente riduzione dei tempi caratteristici,
vi è la possibilità che i poli vengano ad avvicinarsi all'asse immaginario, e allora la risposta
temporale avrà carattere oscillatorio poco smorzato, o addirittura lo attraversino, assumendo
così parte reale positiva e dando luogo all'instabilità del circuito.

Il caso più semplice è quello in cui il blocco diretto è un sistema del primo ordine e il
blocco di reazione un sistema statico (e quindi la funzione a ciclo aperto ha un solo polo).

7
Il contributo di ni all'uscita (misurato in termini di valore efficace totale) può essere ridotto, rispetto a quello
del segnale, soltanto se il suo spettro è diverso da quello del segnale. Per esempio, se il rumore ha spettro
costante mentre lo spettro del segnale è confinato in un determinato intervallo di frequenze, converrà che la
risposta a ciclo chiuso abbia caratteristiche filtranti atte a trasmettere soltanto le frequenze del segnale.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 13


Ao
(21) A(s) =
1 + sτ

Sostituendo la (21) nella (3) si ottiene

AFo
(22) AF ( s ) =
1 + sτ F

dove
Ao τ
(23) AFo = ; τF =
1 + Ao β 1 + Ao β

Sia la costante di tempo (e quindi anche tutti i tempi caratteristici della risposta
temporale) che il guadagno del circuito reazionato vengono dunque ridotti nella stessa
misura, secondo il fattore di reazione calcolato in continua, mentre la banda passante viene
allargata corrispondentemente. Questa, che in assenza di reazione vale B=1/2πτ, assume ora
infatti il valore

(24) BF = 1/2 πτF

Dai risultati precedenti si ricava anche che il prodotto


banda-guadagno resta costante.

(25) AoB = AFoBF

Questo è mostrato nella figura, dove si nota anche che


il modulo della funzione di trasferimento reazionata
AF non eccede mai quello della funzione non
reazionata A (rappresentato dalla curva indicata con β=0). Il risultato espresso dalla (25) vale
anche quando la reazione è positiva (cioè quando Aoβ<0) e allora il guadagno aumenta e la
banda passante si restringe. Tutto ciò, peraltro, soltanto nel caso che abbiamo qui considerato
(polo reale singolo).

La banda si allarga anche quando il blocco diretto presenta un taglio a bassa


frequenza, con funzione di trasferimento


(26) A ( s ) = Ao
(1 + sτ )
dove ora Ao rappresenta il guadagno alle frequenze molto maggiori di quella di taglio, sempre
nell'ipotesi di β reale. Questa volta la banda si allarga verso le basse frequenze.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 14


Sostituendo la (26) nella (3) si trova infatti che la costante di tempo viene aumentata

(27) τF = τ (1 + Aoβ)

mentre il guadagno viene ridotto della stessa misura, come espresso dalla (23).

Un caso di notevole interesse pratico è quello in cui l'amplificatore presenta un taglio


sia a bassa che ad alta frequenza, con funzione di trasferimento

sτ 1
(28) A ( s ) = Ao
(1 + sτ1 )(1 + sτ 2 )

In questo caso, in presenza di reazione negativa8, la costante di tempo τ1, che determina la
frequenza di taglio inferiore, aumenta come stabilito dalla (27), mentre la costante di tempo
τ2, che determina la frequenza di taglio superiore, diminuisce come espresso dalla (23). La
banda passante viene dunque allargata sia alle alte che alle basse frequenze. Sostituendo la
(28) nella (3), e assumendo al solito β reale, si potrà verificare quanto si appena detto, ma si
osserverà anche che i risultati espressi dalla (23) e dalla (27) ora sono validi solo
approssimativamente, con approssimazione tanto migliore quanto maggiore è il rapporto τ1/τ2
fra le due costanti di tempo.

Tutte le volte, infatti, che la funzione di trasferimento del blocco diretto presenta due
o più poli i risultati trovati nel caso di un solo polo risultano validi solo approssimativamente
oppure vengono a cadere del tutto. In particolare, il modulo della funzione di trasferimento
reazionata può eccedere quello della funzione non reazionata (effetto di reazione positiva).

Esaminiamo, in particolare, il caso in cui la funzione di trasferimento del blocco


diretto presenta due poli reali, l'uno a -1/τ e l'altro a -k/τ

Ao
A(s) =
(29) (1 + sτ )(1 + s τ k )

Sostituendo nella (3), e assumendo ancora β reale, si ha

AFo
AF ( s ) =
1 + sτ (1 + 1 k ) Do + s 2τ 2 kDo
(30)

8
Qui il fattore di reazione Do si calcola a centro banda, cioè nella regione di frequenza in cui A(s) è reale e
assume valore Ao.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 15


dove il guadagno AFo espresso dalla (23) e Do rappresenta il fattore di reazione in continua.

Ricavando dal denominatore della (30) l'espressione dei poli a ciclo chiuso, si trova
che se i due poli del blocco diretto sono molto distanti fra loro (k molto diverso dall'unità), e
dunque vi è un polo dominante che determina la banda passante, valori moderati del fattore di
reazione conducono effettivamente a uno spostamento del primo polo e dunque a un
allargamento della banda come nel caso del polo semplice che abbiamo considerato prima.

Tuttavia, al crescere del valore del fattore di reazione, per qualsiasi posizione iniziale
dei poli della (29), i poli della funzione di trasferimento a ciclo chiuso (30) diventano
complessi coniugati, con parte reale negativa costante e parte immaginaria via via crescente.
In queste condizioni il circuito viene ad
assumere un comportamento risonante del tutto
equivalente a quello di un circuito RLC, con un
picco nella risposta in frequenza (vedi figura 5
b) e risposta temporale di tipo oscillante. I
parametri caratteristici della corrispondente
funzione del secondo ordine si determinano
uguagliando il denominatore della (30) con
l'espressione standard 1+2ξs/ωo + (s/ωo)².

Si ottengono così le relazioni

k 1+1 k
(31) ωo = kDo τ ; ξ=
Do 2

che mostrano che al crescere del fattore di reazione Do il coefficiente di smorzamento tende a
zero mentre tendono all'infinito la pulsazione di risonanza ωo e il fattore di merito (Q=1/2ξ).
La seconda delle (31) permette, in fase di progetto, di stabilire l'entità di controreazione
ammissibile perchè il coefficiente di smorzamento ξ resti maggiore di un valore prefissato.

Questo comportamento imprevisto, per cui il circuito controreazionato diventa un


filtro a banda stretta, deriva dal fatto che ora ad alta frequenza9 si ha reazione positiva,
anzichè negativa, a causa della rotazione di fase introdotta dai due poli, che tende

9
Reazione positiva può aversi anche a bassa frequenza, quando la funzione di trasferimento del blocco diretto
presenta due o più zeri a bassa frequenza (tipicamente nell'origine). In tali casi lo sfasamento sarà in anticipo,
anzichè in ritardo, ma il suo effetto è il medesimo.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 16


asintoticamente a -π (valore corrispondente a una inversione di segno della funzione di
trasferimento a ciclo aperto). L'instabilità non si raggiunge10 proprio perchè la fase, che non
può (ma solo in assenza di altri effetti) eccedere -π, raggiunge tale valore a frequenza infinita,
dove il modulo della funzione di trasferimento a ciclo aperto si annulla.

L'instabilità, invece, si può certamente raggiungere quando la funzione di


trasferimento a ciclo aperto possiede tre o più poli, e allora la fase asintotica eccede il limite
di -π. In questi casi diventa necessaria una analisi dettagliata, che va oltre i limiti di questa
trattazione; qui ci limitiamo a fornire due indicazioni di natura pratica. La prima è che,
reazionando circuiti con più poli, il problema della stabilità è tanto più gravoso quanto più
prossime fra loro sono le costanti di tempo, in particolare le due più lunghe. La seconda è che
il comportamento dei circuiti con più di due poli, per valori moderati del fattore di reazione,
può essere approssimato con quello di un circuito a due poli (corrispondenti alle due costanti
di tempo dominanti); sicchè in prima approssimazione si possono usare le relazioni (31).

Nella precedente discussione sui possibili effetti di reazione positiva, e sul rischio di
instabilità, abbiamo sempre considerato, per semplicità, funzioni a ciclo aperto con poli reali,
ma prive di zeri. La presenza di zeri, ovviamente, modifica il quadro grazie all’anticipo di
fase che questi introducono, con uno sfasamento asintotico ad alta frequenza che è dato da
-π/2(n-m), dove n è il numero dei poli e m quello degli zeri. Si capisce, allora, che la presenza
di zeri, eventualmente introdotti ad hoc, può alleviare notevolmente il problema della
reazione positiva e dell’instabilità.

Per studiare la stabilità di un sistema caratterizzato da un data funzione di


trasferimento a ciclo aperto, di solito si tracciano i diagrammi di Bode del modulo e della fase
della funzione e si controlla che alla frequenza a cui il modulo assume valore unitario (0 dB)
la fase non ecceda -π. Dove infatti si avesse |Aβ|=1 e ⁄-Aβ = -π, sarebbe |D|=0 e si avrebbe
quindi l’instabilità.

6. La risposta dinamica nel dominio del tempo

L'esame nel dominio del tempo della risposta dinamica degli amplificatori reazionati
presenta notevole interesse, sia per una miglior comprensione dell'effetto della reazione
negativa sia per lo studio dei fenomeni di distorsione che possono verificarsi nel transitorio.

10
Anche circuiti con due poli, in pratica, possono dar luogo a instabilità: il valore di -π, infatti, può venire

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 17


Per fissare le idee, consideriamo un amplificatore con un solo polo reale, descritto
dalla (21), con Ao=100, τ=1µs e β=0,09. Il fattore di reazione in continua è dunque Do=10 e
usando le (23) si ha AFo=10, τF=0.1 µs. La risposta al gradino unitario dell'amplificatore non
reazionato è hu(t)=Ao(1-exp(-t/τ))u(t), quella dell'amplificatore reazionato

huF(t)=AFo(1-exp(t/τF))u(t).

Nel grafico a) sono


tracciate le due risposte a un
gradino di ampiezza 0,1 volt.
Si noterà che la parte iniziale
delle risposte è la medesima; in
particolare, la velocità di salita
iniziale dell'uscita è identica
nei due casi e non dunque influenzata in alcun modo dalla controreazione. Il motivo è
semplice: il segnale di reazione βVo è evidentemente nullo all'istante di applicazione del
gradino ed è comunque piccolo (rispetto al valore che assumerà a regime) durante la fase
iniziale del transitorio, quando il segnale d'uscita è ancora lontano dal suo valore asintotico.
Di conseguenza in questa fase, il segnale d'errore coincide praticamente con il gradino
d'ingresso (come mostra la parte b)), l'uscita con quella che si avrebbe in assenza di reazione.

Ciò pone in rilievo un aspetto della reazione negativa a cui non sempre si pone la
debita attenzione: cioè la presenza di un ritardo lungo l'anello di reazione, dal segnale d'errore
Ve al segnale di reazione βVo, che dipende dalla funzione di trasferimento a ciclo aperto.

Una importante conseguenza è che, in presenza di variazioni a gradino dell'ingresso, il


segnale d'errore è sempre soggetto a sua volta a variazioni a gradino della stessa ampiezza, la
quale può essere anche assai maggiore di quella che si raggiungerà al termine del transitorio.
In tali condizioni, se la dinamica del circuito d'ingresso dell'amplificatore non è sufficiente,
può darsi che esso esca dalla linearità, provocando quindi distorsioni nonlineari. Questo
fenomeno prende il nome di distorsione transitoria, dato che si estingue al termine della fase
iniziale della risposta transitoria dell'amplificatore. Tutto il transitorio, d'altra parte, proprio
per l'effetto di distorsione, può subire un notevole allungamento rispetto a quanto si avrebbe
in condizioni di linearità: il caso limite è quello in cui la saturazione del primo stadio porta

raggiunto a causa dello sfasamento associato a ritardi non rappresentati nel modello a due poli.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 18


l'uscita ad assumere la forma di una rampa, con velocità di salita approssimativamente
costante (fenomeno rappresentato dalla grandezza chiamata "slew rate").

Nella parte b) della figura è tracciato il grafico dell'andamento del segnale d'errore
nell'amplificatore, ottenuto ricavando la funzione

Ve ( s ) 1 1 1 + sτ
Ae ( s ) = = =
Vi ( s ) 1 + Ao β (1 + sτ ) 1 + Ao β 1 + sτ (1 + Ao β )

e poi antitrasformando il prodotto di tale funzione per la trasformata del gradino d'ingresso
Vi(s)=0,1/s. Mentre lasciamo al lettore il calcolo come esercizio, notiamo subito che il valore
iniziale del segnale d'errore, applicando il teorema del valore iniziale, è

lim 0,1
s Ae ( s ) = 0,1 V come previsto in base alle considerazioni precedenti.
s→∞ s

L'analisi nel dominio del tempo illumina anche altri aspetti delle proprietà della risposta dinamica dei
sistemi reazionati. Per esempio, il fatto che generalmente i problemi della stabilità diventino via via più gravosi
all'aumentare del numero di poli della funzione di trasferimento a ciclo aperto deriva dal diverso modo con cui i
due tempi caratteristici fondamentali, tempo di salita e ritardo, dipendono dal numero e dai valori delle costanti
di tempo del circuito. Infatti, al crescere del numero delle costanti di tempo in gioco, il ritardo lungo l'anello di
reazione, che interviene a determinare i fenomeni di reazione positiva e di instabilità, cresce più rapidamente del
tempo di salita, che determina invece la velocità con cui cresce l'ampiezza dell’uscita e conseguentemente del
segnale di reazione in modo che esso possa esercitare la sua azione correttiva (sappiamo infatti che se n è il
numero delle costanti di tempo, supposte tutte uguali fra loro, il tempo di salita è proporzionale a √n, il ritardo a
n).

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 19


UN MODELLO PIU' GENERALE PER GLI AMPLIFICATORI A
CONTROREAZIONE

7. Un modello più generale

La rappresentazione dei circuiti a controreazione in termini di due blocchi unilaterali,


indipendenti e non interagenti fra loro, secondo lo schema di pagina 1, sebbene utilissima per
la comprensione e l'analisi delle proprietà fondamentali della controreazione, non è
certamente di natura generale. Una trattazione generale della controreazione, d'altra parte,
richiede un approccio assai diverso11 nel quale si viene però a perdere il significato intuitivo
delle grandezze fondamentali della controreazione.

In quanto segue, per trattare più in dettaglio gli amplificatori a controreazione,


mantenendo però la discussione a un livello sufficientemente intuitivo, non utilizzeremo
l'approccio generale di Bode, facendo tuttavia riferimento a un modello più generale di quello
considerato finora, che rappresenta efficacemente la maggior parte dei circuiti di interesse
pratico. Questo ci permetterà di stabilire un criterio di classificazione degli amplificatori
reazionati e di studiare l'effetto della reazione sulle impedenze d'ingresso e d'uscita.

Il modello che
consideriamo qui,
mostrato nella figura,
rappresenta la struttura
di un amplificatore a
controreazione dotato
di un solo anello di
reazione12. Le parti
essenziali del modello
sono l'amplificatore
base, la rete di reazione, il circuito di confronto e il circuito di prelievo.

11
Quello introdotto da H.W.Bode nel testo "Network Analysis and Feedback Amplifier Design", Van Nostrand,
Princeton, 1945).
12
Si considerano a un solo anello di reazione anche gli amplificatori in cui sono presenti anelli di reazione
locale nei circuiti che li costituiscono (per esempio, uno stadio a emettitore comune con una resistenza
d’emettitore).

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 20


Rappresentiamo l'amplificatore base con il circuito
equivalente mostrato nella figura a fianco, costituito da una
sorgente reale di tensione controllata in tensione, dove è
implicita l'ipotesi di unilateralità, che per questo oggetto è
generalmente ben verificata in pratica. Già sappiamo (vedi
parte II) che a tale modello è riconducibile qualsiasi altro tipo
di amplificatore (amplificatori a transimpedenza e a transammettenza, amplificatori di
corrente) mediante opportune scelte dei valori dei parametri.

Per tener conto della non unilateralità della rete di reazione13, che si traduce nella
trasmissione di segnale fra ingresso e uscita anche quando la sorgente controllata
dell'amplificatore viene disattivata, introduciamo la funzione γ(s), scrivendo l'uscita nella
forma seguente

(32) Vo(s) = A(s)Ve(s) + γ(s)Vi(s)

dove la funzione A(s) (generalmente diversa da quella A'(s) associata alla sorgente controllata
dell'amplificatore) tiene conto della presenza dei carichi collegati all'uscita dell'amplificatore.

Il circuito di confronto provvede alla generazione del segnale d'errore applicato


all'amplificatore, attraverso la seguente combinazione lineare del segnale d'ingresso e di
quello di reazione

(33) Ve(s) = α(s)Vi(s) - Vf(s)

dove α(s) rappresenta l'attenuazione


del segnale d'ingresso
(eventualmente introdotta dal
circuito di confronto oppure
dall'interazione fra l'impedenza
della sorgente e l'ingresso
dell'amplificatore) e il segnale di
reazione è

(34) Vf(s) = β(s)Vo(s)

13
Perchè realizzata usualmente con elementi passivi reciproci.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 21


La natura del circuito di confronto stabilisce come tale confronto avviene
effettivamente. Si ha reazione di tipo serie (fig. a in alto a pagina precedente) oppure di tipo
parallelo (fig. b in alto), a seconda che il segnale di reazione sia applicato in serie oppure in
parallelo, rispetto al segnale d'ingresso, all'ingresso dell'amplificatore. Nella reazione serie il
segnale d'errore deriva da un confronto diretto fra tensioni, nella reazione parallelo è invece
un confronto fra correnti (Ii e If in figura) che lo determina.

Questa differenza ha importanti conseguenze per quanto riguarda l'impedenza


d'ingresso dell'amplificatore reazionato: la reazione serie tende ad innalzarla, quella parallelo
a diminuirla, rispetto a quella che si ha in assenza di reazione.

Il circuito di prelievo (o di campionamento) stabilisce se il segnale riportato in


ingresso è proporzionale alla tensione d'uscita Vo oppure alla corrente d'uscita, intesa come la
corrente che scorre nel carico. Nel primo caso si parla di reazione di tensione: l'ingresso della
rete di reazione è collegato in parallelo all'uscita dell'amplificatore (fig. a in basso a pagina
precedente). Nel secondo si parla di reazione di corrente: la porta d'ingresso della rete di
reazione è disposta in serie al carico, in modo da essere attraversata dalla stessa corrente (fig.
b in basso).

Questa differenza ha importanti conseguenze per quanto riguarda l'impedenza d'uscita


dell'amplificatore reazionato: la reazione di corrente tende ad innalzarla, quella di tensione a
diminuirla, rispetto a quella che si ha in assenza di reazione.

L'espressione della funzione di trasferimento a ciclo chiuso dell'amplificatore


reazionato si ricava dalle (32) e (33) nella forma seguente:

Vo ( s ) α ( s ) A ( s ) + γ ( s )
(35) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1+ A( s) β ( s)

che rappresentiamo nel grafo mostrato a fianco.

In molti casi pratici, in realtà, il contributo di


γ(s) è trascurabile. Si può dire comunque che la
trasmissione diretta fra ingresso e uscita attraverso la
rete di reazione diventa apprezzabile quando l'impedenza d'uscita dell'amplificatore interno
non è trascurabile rispetto al carico complessivo.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 22


Notiamo infine che anche nel modello che abbiamo introdotto qui le proprietà
fondamentali della reazione negativa esaminate in precedenza dipendono dalle funzioni L(s)
e D(s), che restano definite dalle espressioni (4) e (5).

8. Classificazione e proprietà degli amplificatori reazionati

La possibilità di individuare due diversi tipi di circuiti di confronto e due diversi tipi
di circuiti di prelievo consente di classificare gli amplificatori a controreazione in quattro
classi14, ciascuna delle quali gode di particolari proprietà circa l'effetto della reazione sulla
relazione ingresso-uscita sia sulle impedenze d'ingresso e di uscita del circuito complessivo:

ƒ amplificatori a reazione di tensione in serie;

ƒ amplificatori a reazione di tensione in parallelo;

ƒ amplificatori a reazione di corrente in serie;

ƒ amplificatori a reazione di corrente in parallelo.

La connessione più classica ed elementare è evidentemente quella dell'amplificatore a


reazione di tensione in serie, che meglio corrisponde allo schema semplificato di pag. 1. Qui
il segnale di reazione a) è direttamente proporzionale alla tensione d'uscita, b) viene
confrontato direttamente con la tensione d'ingresso per generare il segnale d'errore applicato
all'amplificatore. Si comprende immediatamente che l'effetto della reazione consiste nello
stabilizzare la relazione fra tensione d'ingresso e tensione d'uscita: ne consegue che al
crescere del fattore di reazione il comportamento globale del circuito tende a quello di un
generatore ideale di tensione controllato in tensione. E quindi l'impedenza d'ingresso aumenta
rispetto a quella in assenza di reazione, l'impedenza d'uscita diminuisce.

Analoghi ragionamenti, applicati alle altre tre classi di amplificatori a reazione,


consentono di individuarne le proprietà essenziali, che sono raccolte nella tabella a pagina
seguente. (Naturalmente nel caso di reazione positiva anzichè negativa, le cose vanno
diversamente: le impedenze d'ingresso e d'uscita, in particolare, variano in senso opposto a
quanto stabilito dalla tabella.)

14
Deve essere chiaro tuttavia che non tutti gli amplificatori a controreazione rientrano in questa classificazione:
si possono, infatti realizzare schemi in cui sia il confronto che il prelievo possono essere di tipo misto, schemi
con più cicli di reazione, a reazione negativa e positiva, ecc.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 23


Tabella. Proprietà degli amplificatori a reazione negativa

classe di amplificatore a la reazione stabilizza rispetto al circuito non modello ideale


reazione negativa la relazione ingresso- reazionato l'impedenza
uscita d’ingresso d’uscita
reazione di tensione in serie tensione-tensione aumenta diminuisce ampl. di tensione
reazione di tensione in parallelo corrente-tensione diminuisce diminuisce ampl. a transimpedenza
reazione di corrente in serie tensione-corrente aumenta aumenta ampl. a transconduttanza
reazione di corrente in parallelo corrente-corrente diminuisce aumenta ampl. di corrente

Nella figura sono mostrati


(attenzione: a titolo puramente
esemplificativo) gli schemi dei
quattro tipi di amplificatori a
reazione negativa realizzati usando
come amplificatore un singolo
transistore bipolare (e pertanto con
inversione di segno quando il
carico è disposto nel circuito del
collettore). Ma solo i due schemi a
reazione in serie (inseguitore
d'emettitore e amplificatore con
reazione d'emettitore) sono usati in
pratica come amplificatori di
segnale; gli altri due sono usati a
volte nella polarizzazione dei
transistori.

Esempio. Amplificatore a reazione a due stadi con transistori bipolari.

Lo schema mostrato nella figura rappresenta un


amplificatore a reazione di tensione in serie a due stadi. La rete
di reazione è costituita dal partitore R1, R2, con β≈R1/R2
essendo R2>>R1. L'amplificatore interno è costituito da due
transistori (il primo NPN, il secondo PNP) accoppiati in
continua. Nella regione di frequenza dove possiamo considerare
trascurabili le impedenze dei condensatori, supponendo inoltre

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 24


hie2<<RC1, il guadagno a ciclo aperto è A ≈ hfe1hfe2(R2/hie1). Introducendo i valori numerici si
ha β=0.01, A≈104×103/103=104, D≈Aβ≈100, AF≈1/β≈100.

Esercizio. Scegliere i valori dei componenti dell’amplificatore discusso nell’Esempio precedente in mod che
funzioni correttamente, assumendo VBE=0.7 volt e hfe=100. Analizzare in continua il circuito, determinando le
tensioni dei nodi e le correnti di polarizzazione dei dispositivi. Utilizzando questi risultati (e assumendo per i
due transistori rbb'=100 Ω e η=1) calcolare il guadagno dell'amplificatore interno e dell'amplificatore reazionato
e verificare la validità delle approssimazioni fatte nell'Esempio precedente.

9. L’effetto della reazione sulle impedenze d’ingresso e d’uscita

Torniamo ora a considerare l'amplificatore a reazione di tensione in serie, per


determinare quantitativamente l'effetto della reazione sulle impedenze d'ingresso e d'uscita.
Notiamo innanzitutto che in assenza di reazione queste impedenze coincidono con quelle
dell'amplificatore base (figura a pag. 21).

L'impedenza d'ingresso si ricava esaminando lo schema nella figura a in alto a pag. 21:

(36) ZinF = (Ve + Vf) / Ii

dove Ii è la corrente che scorre attraverso l'impedenza Zin dell'amplificatore, e in assenza di


reazione, cioè quando β=0 e Vf =0, si ha evidentemente Ve/Ii = Zin. Sostituendo nella
precedente Vf = AβVe (trascurando γ(s)15) si ha:

(37) ZinF = Zin (1 + Vf / Ve)=Zin (1 + Aß)

Notiamo che questo risultato vale per tutti gli amplificatori a reazione serie (sia di
tensione che di corrente). Negli amplificatori a reazione parallelo, invece, la reazione
negativa riduce l'impedenza d'ingresso dello stesso fattore 1+βA; questo caso, data la sua
grande importanza pratica, lo esamineremo in maggior dettaglio nel seguito, occupandoci
degli amplificatori operazionali.

L'impedenza d'uscita di un amplificatore a reazione di tensione si può ricavare


immaginando di applicare un generatore di corrente I in parallelo all'uscita del circuito,
rappresentando l'amplificatore interno come indicato a pag. 20. In assenza di reazione (β=0)

15
E' utile osservare che l'effetto della reazione negativa sull'impedenza d'ingresso non si manifesta,
evidentemente, per quanto riguarda il circuito di polarizzazione. Nello schema in basso a pag. 24, per esempio,
l'innalzamento dell'impedenza d'ingresso riguarda quella vista guardando nella base del primo transistore, ma
non il contributo della rete di polarizzazione.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 25


la tensione d'uscita Vo(I) sarà determinata esclusivamente dalla caduta sull'impedenza Zo:
Vo(I) = ZoI. In presenza di reazione, d'altra parte, a questa caduta si sommerà il contributo del
generatore controllato. Questo, se la tensione d'uscita è Vo(I) e il corrispondente segnale
d'errore Ve=-βVo(I), è βA' Vo(I). La tensione d'uscita complessiva è dunque

(38) Vo(I) = Zo(I)I - βA'Vo(I)

Da questa espressione si ricava Vo(I) e dal rapporto Vo(I)/I l'impedenza d'uscita:

(39) Zof = Zo / (1 + ßA')

che viene ridotta dalla reazione di tensione, in accordo col fatto che il comportamento
dell’amplificatore, al crescere del fattore di reazione, tende a quello di un generatore ideale
di tensione.

Si noti che questo calcolo è stato eseguito in assenza di carico esterno, sicchè nella
(39) figura il guadagno a circuito aperto A'. Ma allo stesso risultato si arriva anche tenendo
conto del carico. In tal caso, usando la seguente espressione della funzione di trasferimento
del blocco diretto in termini dei parametri dell'amplificatore e del carico A(s) = A'(s) ZL/(ZL +
Zo), e sostituendo la (33) e la (34) nella (32) (trascurando ancora γ(s)), si ottiene

α A ' Z L ( Z L + Zo ) α A' ZL
(40) AF = =
1 + β A ' Z L ( Z L + Z o ) 1 + β A ' Z L + Z o (1 + β A ' )

Esaminando tale espressione si trova che l'impedenza d'uscita in presenza di reazione è quella
già trovata prima.

Questi risultati, per come sono stati ottenuti, sono evidentemente validi per qualsiasi
amplificatore a reazione di tensione (sia in serie che in parallelo). Negli amplificatori a
reazione di corrente, dove il segnale di reazione è proporzionale alla corrente che scorre nel
carico, la reazione negativa innalza, anzichè ridurre, l'impedenza d'uscita. Nel caso estremo di
desensibilizzazione totale, in particolare, il segnale d'ingresso determina la corrente d'uscita,
che scorre nel carico esterno, indipendentemente dal valore del carico.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 26


GLI AMPLIFICATORI OPERAZIONALI

10. Gli amplificatori operazionali

Gli amplificatori a reazione di tensione in parallelo presentano, come si è già


accennato, una particolare importanza dal punto di vista pratico. Tale configurazione è usata
infatti per realizzare gli amplificatori operazionali (operational amplifiers), che sono
costituiti da un amplificatore di tensione invertente (generalmente costruito in forma
integrata) ad altissimo guadagno (tipicamente fra 104 e 107) e da opportuni componenti
esterni.

Questi circuiti trovano oggi larghissimo impiego in quanto costituiscono il modulo


elementare fondamentale dell'elettronica analogica usato per realizzare amplificatori, filtri e
una estesa varietà di altri circuiti, lineari e nonlineari. L'introduzione dei circuiti operazionali
risale agli anni '40 quando vennero utilizzati per realizzare le operazioni matematiche
fondamentali (da cui il nome) dei calcolatori analogici: inversione di segno, addizione,
integrazione rispetto al tempo. I primi operazionali vennero costruiti usando tubi elettronici
ed erano dunque costosi e ingombranti, mentre i dispositivi integrati usati oggi sono assai
economici, occupano spazi ridottissimi e richiedono una bassissima potenza di alimentazione.

Dato l'altissimo guadagno dell'amplificatore base, i circuiti operazionali lavorano


generalmente in condizioni di desensibilizzazione pressochè totale: il loro comportamento è
allora determinato essenzialmente dai componenti discreti esterni usati nella rete di confronto
e di reazione. In questa approssimazione l'analisi e il progetto dei circuiti diventano assai
agevoli.

11. Analisi semplificata nell'approssimazione di guadagno infinito

Consideriamo lo schema fondamentale di un amplificatore operazionale (invertente)


mostrato in figura. Se il guadagno dell'amplificatore
interno è così elevato da poter trascurare l'ampiezza del
segnale d'errore applicato all'amplificatore rispetto a
quella dei segnali d'ingresso e d'uscita del circuito, la
corrente nell'impedenza ZS sarà IS=Vin/ZS, quella
nell'impedenza ZF sarà IF=Vo/ZF. Dato che la tensione

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 27


Ve fra i terminali d'ingresso dell'amplificatore è trascurabile rispetto sia a Vi che a Vo, la
corrente che scorre attraverso la sua impedenza d'ingresso sarà a sua volta trascurabile
rispetto sia a IS che a IF. Applicando la prima legge di Kirchoff si conclude pertanto che IS +
IF=0, da cui si ottiene la nota relazione16

(42) AF = Vo/Vi = -ZF/ZS

Il nodo d'ingresso dell'amplificatore, in questa configurazione, è chiamato terra


virtuale: "terra" perchè la sua tensione coincide praticamente con quella del riferimento di
massa in quanto trascurabile17 rispetto alle tensioni d'ingresso e d'uscita, ma "virtuale" perchè
fra tale nodo e massa non scorre corrente apprezzabile, a differenza di una massa reale.

Notiamo che l'espressione (42) è esatta solo nell'ipotesi irrealistica di guadagno


infinito dell'amplificatore. Si tratta dunque di un'espressione approssimata, dove
l'approssimazione è però ottima nella maggior parte dei casi di interesse pratico. D'altra parte
il guadagno di un tipico operazionale integrato, sebbene altissimo alle basse frequenze, è una
grandezza complessa dipendente dalla frequenza: il suo modulo è pressochè costante dalla
continua fino alla frequenza di taglio, che si trova generalmente nella regione delle decine di
hertz, e poi diminuisce, tipicamente con pendenza di -20 dB/decade. Ne consegue che
l'approssimazione di guadagno altissimo è effettivamente valida solo in una regione di
frequenze limitata superiormente.

Un criterio pratico per garantire che l'approssimazione di guadagno infinito sia ben
verificata, e di conseguenza i circuiti si trovino in condizioni di desensibilizzazione pressochè
totale, può essere basato sulla seguente considerazione: il modulo |AF| della funzione di
trasferimento a ciclo chiuso non può mai eccedere, in un amplificatore a reazione negativa, il
modulo |A| del guadagno dell'amplificatore interno, e deve essere anzi minore di |A| secondo
il modulo |D| del fattore di reazione. La conoscenza della caratteristica d'ampiezza
dell'amplificatore in funzione della frequenza consente dunque di scegliere, sempre in
funzione della frequenza, il massimo valore del modulo del rapporto d'impedenza che, in base
alla (42), determina la funzione AF. Questo dovrà evidentemente sempre soddisfare la

16
Questa mostra che l'amplificatore operazionale invertente si comporta in modo simile a una leva, con il fulcro
disposto nel punto corrispondente all'ingresso dell'amplificatore e i bracci di lunghezza proporzionale ai moduli
delle due impedenze.
17
Il motivo di ciò è assai semplice: la tensione d’ingresso è quella d’uscita divisa per il guadagno a ciclo
aperto, che è generalmente altissimo.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 28


condizione |ZF/ZS|<|A|/|D|, per cui si sceglierà per |D| un valore (102 - 103) adeguato al grado
di desensibilizzazione, e dunque di precisione, che si desidera ottenere.

Esempio. Errore dell'approssimazione di guadagno infinito.

Consideriamo il circuito in figura a pag. 26 con ZS=1000 Ω e ZF=100 kΩ, realizzato


usando un amplificatore con |A|=106, frequenza di taglio fA=10 Hz, e Rin=100 kΩ. Nella
approssimazione di guadagno infinito si ha AF = -100 kΩ/1000 Ω = -100. Valutiamo l'errore
commesso con tale approssimazione: il segnale sulla terra virtuale è |Ve|≈|Vo/106|≈|Vi/104|, e
dunque la corrente che scorre attraverso la resistenza d'ingresso dell'amplificatore è
Iin=Ve/Rin≈|Vo/1011|. Questa va confrontata con le correnti IS≈IF≈Vo/105, che sono 106 volte
più intense. Ma l'errore dominante della approssimazione di guadagno infinito è quello che
interviene nel calcolo di IS (cioè trascurando Ve rispetto a Vin), che qui è dell'ordine di 10-3. E'
evidente d'altra parte che alla frequenza di 1
kHz, dove il guadagno dell'amplificatore si
riduce a 104, l'errore che si commette è
dell'ordine del 10% ed è quindi tutt'altro che
trascurabile.

Nella figura sono mostrati alcuni schemi


elementari d'impiego degli amplificatori
operazionali. Il primo realizza un amplificatore
di tensione (che come tutti questi circuiti
presenta inversione di segno). Il guadagno
ingresso-uscita è stabilito semplicemente dal
rapporto fra la resistenza di reazione e quella
d'ingresso:

(43) AF ≈ -RF/RS

dove evidentemente l'approssimazione è buona


soltanto finchè il guadagno dell'amplificatore
interno è molto maggiore di quello stabilito dal
rapporto delle resistenze. Se i due resistori

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 29


hanno lo stesso valore, allora il circuito inverte semplicemente il segno del segnale.

Il secondo circuito realizza idealmente la funzione di sommatore, fornendo in uscita


un segnale proporzionale alla somma pesata dei segnali d'ingresso. Seguendo gli stessi
ragionamenti usati per ricavare la (42) si ha infatti

(44) Vo ≈ - RF Σi Vii / RSi

Il terzo circuito realizza idealmente la funzione di integratore (detto anche integratore


puro per distinguerlo da quelli realizzati mediante circuiti RC). Dalla (42) si ha infatti

(45) AF ≈ -1/sRSCF

Si noti peraltro che questa espressione perde senso alle bassissime frequenze (cioè ai tempi
molto lunghi) e in particolare in continua, dove |AF| dovrebbe assumere valore infinito,
mentre il guadagno dell'amplificatore interno è finito e anche il modulo dell'impedenza di
reazione è finito in pratica, a causa della resistenza di perdita parallelo del condensatore.
Comunque la funzione espressa dalla (45) può essere ben realizzata in pratica con ottima
approssimazione in una banda di frequenze limitata sia inferiormente che superiormente.

Il quarto circuito realizza idealmente la funzione di derivatore (detto anche derivatore


puro per distinguerlo da quelli realizzati mediante circuiti CR). Dalla (42) si ha infatti

(46) AF ≈ -sRFCS

E' evidente che tale espressione perde senso alle alte frequenze (cioè ai tempi brevi), dato che
|AF| dovrebbe tendere all'infinito con la frequenza. Tuttavia è possibile realizzare derivatori
che funzionano ragionevolmente bene in una regione di frequenze limitata superiormente.

L'ultimo schema, infine, rappresenta un amplificatore con taglio sia alle basse che alle
alte frequenze. Dalla (42) si ha infatti

ZF RF 1 R sRS CS
(47) AF = − =− =− F
ZS 1 + sRF CF RS + 1 sCS RS (1 + sRF CF )(1 + sRS CS )

Se CFRF<<CSRS allora la frequenza di taglio inferiore è f1≈1/(2πCSRS), la frequenza di taglio


superiore è f2≈1/(2πCFRF) e il guadagno nella regione delle frequenze intermedie è -RF/RS.

Tutti gli schemi considerati finora, come si è già detto, invertono il segno del segnale
e sono chiamati quindi di tipo invertente. Gli amplificatori operazionali si usano
peròpossono nella configurazione detta non invertente, mostrata nella figura a pag. 31. In

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 30


tale configurazione si richiede un amplificatore di
tipo differenziale, cioè dotato di due ingressi,
invertente e non invertente, con l'uscita proporzionale
alla differenza fra i segnali applicati ai due ingressi
(tutti gli operazionali integrati usati normalmente
sono peraltro di tipo differenziale).

L'analisi semplificata dello schema non invertente nella approssimazione di guadagno


infinito conduce a imporre l'uguaglianza fra i segnali presenti ai due ingressi
dell'amplificatore, da cui si ottiene l'espressione

(48) AF = 1 + ZF/ZS

Quando ZF=0 e ZS=∞ si ha AF = 1: questo circuito prende il nome di inseguitore di


tensione (voltage follower) perchè la tensione d'uscita "insegue" quella d'ingresso. Qui la
denominazione di “tensione d'errore” appare particolarmente significativa.

12. Realizzazione di funzioni di trasferimento prefissate

Le espressioni (42) e (48), in particolare la prima, mostrano la possibilità di realizzare


un'ampia varietà di funzioni di trasferimento, attraverso una opportuna scelta delle impedenze
ZS e ZF. Queste impedenze sono generalmente costituite da elementi R e C, date le mediocri
caratteristiche degli induttori reali.

Occorre però tenere presente che le funzioni immettenza (impedenza e ammettenza)


dei bipoli costituiti esclusivamente da elementi R e C passivi hanno poli e zeri che si possono
trovare solamente sull'asse reale. Questo si traduce in una corrispondente limitazione per le
funzioni di trasferimento che si possono realizzare utilizzando questi bipoli nel circuito
d’ingresso e di reazione di un’operazionale.

Diverso è invece il comportamento delle reti a due porte costituite da elementi R e C,


per quanto ne riguarda la transammettenza (ammettenza di trasferimento): i poli di tale
funzione si possono trovare solamente sull'asse reale (esclusa l'origine), ma gli zeri si
possono trovare in qualsiasi punto del piano complesso. Diventa allora possibile, almeno
idealmente, realizzare qualsiasi funzione di trasferimento, con poli e zeri in posizione
arbitraria nel piano complesso (evidentemente con il vincolo della stabilità, cioè con poli a

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 31


parte reale negativa). Si possono
realizzare perciò anche funzioni del
secondo ordine (risonanti), come quelle
che si ottengono con i circuiti passivi
RLC.

A tal fine si utilizza lo schema


in figura, dove la rete di ingresso e quella di reazione sono appunto reti a due porte RC
passive. Imponendo al solito modo l'equilibrio delle correnti nella terra virtuale nella
approssimazione di guadagno infinito, si ottiene la seguente espressione per la funzione di
trasferimento del circuito:

(49) AF ≈ -Y21S / Y21F

dove con Y21 intendiamo la transammettenza fra la porta 1 e la porta 2 delle reti due porte. In
vari testi si trovano tabelle che forniscono le transammettenze di una estesa varietà di reti RC
a due porte, che possono essere usate per progettare questi circuiti,

Notiamo tuttavia che vi sono varie altre soluzioni, oltre a quella appena esaminata, per
ottenere caratteristiche filtranti di forma generale usando esclusivamente reti RC: circuiti con
un operazionale a più cicli di reazione, circuiti impieganti più operazionali (come i filtri a
variabili di stato), ecc.

13. Analisi tenendo conto del guadagno finito dell'amplificatore

Torniamo a considerare lo schema base del circuito invertente per analizzarlo tenendo
conto del guadagno finito dell'amplificatore interno, che rappresentiamo come in figura, cioè
con impedenza d'ingresso Zin finita, guadagno A finito, ma impedenza d'uscita nulla
(quest'ultima assunzione conduce ad annullare la trasmissione diretta ingresso-uscita γ(s)).

Dato che in questo schema il segnale di


reazione si somma a quello d'ingresso,
scriveremo il segnale d'errore nella forma

(50) Ve = αVi + βVo

dove ora le funzioni α e β sono così definite:

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 32


(51) α = Ve/Vi|Vo=0 ; β = Ve/Vo|Vi=0

Sostituendo Vo=AVe nella (50) si ottiene la seguente espressione per la funzione di


trasferimento ingresso-uscita di un amplificatore a reazione di tensione in parallelo con reti
bipolari d'ingresso e di reazione:

Vo ( s ) α ( s) A( s)
(52) AF ( s ) = =
Vi ( s ) 1 − β ( s ) A ( s )

Si noti che, a differenza di quanto considerato in precedenza, la definizione (51) di β tiene


conto esplicitamente del fatto che in questo schema non vi è un circuito sottrattore che inverta
il segno del segnale di reazione; d’altra parte l’amplificatore è usato nella configurazione
invertente e quindi il guadagno A ha segno negativo, compensando pertanto il segno negativo
che appare nel denominatore della (52). In altre parole, dato che A(0)<0 ed essendo β>0, si
ha -βA(0) >0 e quindi D(0)>0.

Per esprimere la funzione AF in termini delle grandezze che caratterizzano il circuito


ricaviamo innanzitutto le funzioni α e β, tenendo presente che si tratta di considerare due
partitori (il primo dall'ingresso alla terra virtuale, il secondo dall'uscita alla terra virtuale):

YS YF
(53) α= ; β=
YS + YF + Yin YS + YF + Yin

Sostituendo le precedenti nella (52) si ottiene

YS A
(54) AF =
YS + Yin + YF (1 − A )

che nella approssimazione di guadagno infinito si riduce all'espressione (42) già trovata.

Spesso la funzione di trasferimento AF viene posta nella forma seguente

ZF  1  Z F Z F 
(55) AF ≈ − 1 +  1 + + 
ZS  A  Z S Z in  

che si ottiene dividendo per A il numeratore e il denominatore della (54) e utilizzando poi
lapprossimazione 1/(1+ε) ≈ 1−ε. Tale espression è di grande utilità pratica per valutare
l'errore che si commette nella approssimazione di guadagno infinito.

Esaminando la (55) si comprende anche il diverso livello d'importanza, ai fini della


precisione della risposta di un amplificatore operazionale, del guadagno A e dell'impedenza

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 33


d'ingresso Zin dell'amplificatore interno: un alto guadagno è essenziale, una elevata
impedenza d'ingresso è soltanto importante. Questo è un punto delicato, che a volte viene
ignorato o, addirittura, discusso in modo non corretto.

Esempio. Il guadagno è più importante dell’impedenza d’ingresso.

Utilizziamo la (55) per valutare l'errore che si commette usando l’espressione


approssimata (42). Consideriamo un caso tipico con i seguenti valori dei parametri: A=-106,
Rin=1 MΩ, RS=1 kΩ, RF=100 kΩ. Si ha evidentemente AF ≈ −100. L'errore relativo di questa
approssimazione si ottiene calcolando lo scarto rispetto all'unità dell'espressione fra parentesi
quadre nella (55): −10-6(1+100+0.1) ≈ −10-4. Si conclude che l'approssimazione è assai buona.

Consideriamo poi il caso in cui la resistenza d'ingresso presenti un valore


particolarmente basso, diminuendo di un fattore 105 il suo valore: Rin=10 Ω (immaginando,
per esempio, di aver disposto un resistore da 10 Ω in parallelo all'ingresso dell'amplificatore,
oppure di averne degradato l’impedenza d’ingresso con una manovra oltremodo malaccorta).
In questo caso l'errore relativo assume il valore -10-6 (1+100+104) ≈ -10-2 , che in alcuni casi è
ancora accettabile. Se, invece, manteniamo la resistenza d'ingresso a un valore elevato (Rin=1
MΩ), ma riduciamo di un fattore 103 il guadagno, le prestazioni del circuito diventano
inaccettabili. L'errore relativo, infatti, assume il valore –10-3 (1+100+0.1) ≈ -0.1

Esercizio. Ripetere i calcoli dell'esempio precedente alla frequenza di 1000 Hz, nel caso in cui la funzione di
trasferimento dell'amplificatore possieda un polo reale a 10 Hz.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 34


CENNI SUGLI OSCILLATORI

14. Introduzione agli oscillatori

In elettronica si chiamano oscillatori i circuiti che generano autonomamente segnali


variabili nel tempo con andamento periodico. Gli oscillatori si suddividono generalmente in
oscillatori a rilassamento e in oscillatori lineari. I primi generano tipicamente segnali ricchi
di armoniche (onde quadre, triangolari, a denti di sega, sequenze di impulsi, ecc.) e nel loro
funzionamento impiegano dispositivi che funzionano in regime decisamente nonlineare (fra
gli oscillatori nonlineari rientrano, per esempio, i multivibratori astabili18). Gli oscillatori
lineari, dei quali ci vogliamo occupare brevemente in quanto segue, generano invece
tipicamente segnali sinusoidali con distorsione relativamente bassa, dal momento che nel loro
funzionamento i dispositivi lavorano in regime lineare o approssimativamente lineare.

In generale, in un circuito insorgono oscillazioni quando questo ha una risposta libera


che contiene almeno un termine sinusoidale non smorzato, più precisamente del tipo
sin(ωot)exp(αt) con α>0, dovuto alla presenza, in una funzione di rete, di poli complessi con
parte reale positiva. In tal caso, anche se la parte reale α è molto piccola rispetto alla parte
immaginaria, l'oscillazione s'innesca comunque (a causa del transitorio derivante dal
collegamento del circuito all'alimentazione, a causa del rumore di fondo che è sempre
presente, ecc.) e la sua ampiezza cresce gradualmente fino a raggiungere, per effetto delle
nonlinearità che si manifestano corrispondentemente riducendo il guadagno, un valore di
regime di ampiezza idealmente costante. Questo avviene quando il coefficiente α si annulla.

Gli oscillatori lineari vengono suddivisi di solito fra oscillatori a resistenza (o a


conduttanza) negativa, il cui funzionamento è basato sulla presenza di un dispositivo dotato
di resistenza (o conduttanza) differenziale negativa, o di un circuito realizzato in modo da
presentare tale caratteristica, e oscillatori a reazione positiva, dove è presente appunto un
ciclo di reazione positiva portato al limite dell'instabilità. Osserviamo però subito che questa
classificazione, sebbene utile sia ai fini esplicativi che a quelli realizzativi, non regge a una

18
La tipica realizzazione di un multivibratore astabile consiste di due stadi amplificatori a emettitore comune
con accoppiamento capacitivo incrociato, nei quali i transistori commutano periodicamente e alternativamente
fra lo stato di saturazione e quello di interdizione.

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 35


analisi più attenta: a) in qualsiasi circuito a reazione positiva portato all'instabilità si ha
almeno una porta con impedenza avente parte reale negativa, b) qualsiasi fenomeno di
resistenza negativa può essere ricondotto all'azione di un ciclo di reazione positiva portato
all'instabilità.

15. Oscillatori a resistenza negativa

Consideriamo il modello mostrato nella figura, dove una rete attiva, opportunamente
polarizzata, manifesta a una sua porta una impedenza con parte reale negativa RN e parte
immaginaria X; a questa porta si collega un bipolo passivo
selettivo in frequenza, che nella figura è costituito da un circuito
accordato RLC serie. Il circuito oscilla alla frequenza angolare
ωo quando sono verificate le due condizioni:

(56) jωoL + 1/jωoC + jX(ωo) = 0

R(ωo) + RN(ωo) = 0

dove la resistenza equivalente serie R(ωo) del circuito RLC ne rappresenta tutte le
dissipazioni a ωo. Naturalmente, perchè si abbia l'innesco dell'oscillazione dovrà aversi
inizialmente G+GN<0.

16. Oscillatori a reazione positiva

Il modello che si considera per discutere gli oscillatori a


reazione positiva è rappresentato a destra. Si tratta di un sistema
reazionato che oscilla alla frequenza angolare ωo quando è
verificata la condizione seguente, detta criterio di Barkhausen:

(57) A(jωo) β(jωo) = 1

sicchè il circuito si trova in reazione positiva e con fattore di reazione nullo alla frequenza
angolare ωo (cioè D(ω0)=0). Naturalmente, perchè si abbia l'innesco dell'oscillazione dovrà
aversi inizialmente Aβ>1.

E' importante osservare che l'espressione precedente esprime in realtà due condizioni
scalari alla frequenza angolare ωo. La prima è che il guadagno complessivo lungo il ciclo di

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 36


reazione abbia valore esattamente unitario, la seconda è che lo sfasamento lungo il ciclo di
reazione abbia valore nullo o pari a un multiplo intero di 2π19.

Esiste una estesa varietà di oscillatori a reazione positiva20, realizzati utilizzando nella
rete di reazione dei circuiti RC oppure LC (come nei classici oscillatori di Colpitts e di
Hartley), o anche linee di ritardo, cristalli di quarzo, ...

Un tipico esempio di oscillatore a reazione positiva è costituito dall'oscillatore a


sfasamento RC mostrato a fianco. Il guadagno A dell'amplificatore, che supponiamo per
semplicità indipendente dalla frequenza,
compensa l'attenuazione della rete RC alla
frequenza di oscillazione in modo che sia
verificata la condizione di oscillazione per
quanto riguarda il guadagno. Alla stessa
frequenza la rete RC deve introdurre uno
sfasamento di −π e allora è verificata anche la condizione di oscillazione relativa alla fase
dato che il guadagno ha segno negativo e quindi lo sfasamento totale è nullo.

Analizzando la rete RC a tre celle si ricava la seguente espressione per la sua funzione
di trasferimento

1
(58) β (s) =
1 + 6τ s + 5τ 2 s 2 + τ 3 s 3

che rappresenta anche quella della rete di reazione dell'oscillatore se l'impedenza d'uscita
dell'amplificatore è trascurabile rispetto all'impedenza d'ingresso della rete e se l'impedenza
d'uscita della rete è trascurabile rispetto all'impedenza d'ingresso dell'amplificatore.

La frequenza di oscillazione si determina imponendo che β(s) sia reale e abbia segno
negativo, cioè annullandone la parte immaginaria e scegliendo la radice positiva non nulla

ωo = √6 / τ

19
Per comprendere il significato di queste due condizioni si può immaginare di interrompere il collegamento fra
la rete di reazione e l'ingresso dell'amplificatore, applicando a quest'ultimo il segnale v(t)=Vsin(ωot). Soltanto se
le due condizioni anzidette sono entrambe verificate all'uscita della rete di reazione si avrà un segnale identico a
v(t). In tal caso, rimuovendo il segnale esterno e chiudendo l'anello di reazione, il circuito si manterrà in
oscillazione.
20
J.Millman, A.Grabel Microelectronics McGraw-Hill, 1988, capitolo 15

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 37


A questa frequenza si ha β = 1/(1-5τ²ωo²) = −1/29, da cui si ricava il guadagno che deve avere
l'amplificatore: A = −29. In pratica si sceglierà un valore leggermente maggiore (5÷10% in
eccesso) allo scopo di garantire l'innesco delle oscillazioni (e di tener conto delle tolleranze
dei componenti della rete RC). Al crescere dell'ampiezza delle oscillazioni si raggiungerà poi
una condizione di equilibrio determinata dalle nonlinearità dell'amplificatore, il cui
comportamento tende gradualmente a quello di un limitatore); più precisamente, questa
condizione si raggiunge per quel valore di ampiezza a cui corrisponde guadagno unitario per
la funzione descrittiva dell'anello di reazione.

Per ottenere una buona stabilità d'ampiezza, migliore di quella ottenibile sfruttando la
riduzione di guadagno che accompagna il manifestarsi delle nonlinearità del circuito, si
possono usare vari accorgimenti: rettificare il segnale d'uscita per ricavarne un segnale in
continua che modifichi lo stato di polarizzazione dell'amplificatore riducendone il guadagno,
inserire nel circuito elementi che presentino resistenza variabile in funzione dell'ampiezza del
segnale (diodi, termistori, lampadine21) disposti in modo da ridurre il guadagno
dell'amplificatore, ecc.

Ma di solito, più della stabilità d'ampiezza, ha importanza la stabilità di frequenza


delle oscillazioni. Questa si determina calcolando la derivata della frequenza di oscillazione
rispetto alla fase (che costituisce una misura della variazione di frequenza che verrebbe
causata dalla presenza di uno sfasamento addizionale lungo l'anello di reazione, provocato da
variazioni di temperatura o da qualsiasi altra causa). Per quanto riguarda l'oscillatore RC a
sfasamento questa grandezza vale 12√6/29=1.01... Valori più bassi si ottengono usando nella
rete di reazione circuiti LC anzichè RC; tanto minori quanto più elevato ne è il fattore di
merito Q. Ottima stabilità di frequenza offrono, in particolare, gli oscillatori a quarzo, dove la
risonanza è affidata a un oscillatore meccanico che presenta piccolissimo smorzamento e
quindi altissimi valori (103-105) del fattore di merito (pag. 23, parte III).

21
Una lampadinetta fu usata a questo scopo nell’oscillatore RC costruito da William Hewlett e David Packard
(sviluppando il lavoro di tesi svolto all’università di Stanford), che fu utilizzato per la colonna sonora del film
Fantasia di Walt Disney e poi costituì il primo prodotto commerciale della società Hewlett-Packard (attualmente
denominata Agilent).

gvp – 8 settembre 2004 Appunti di Elettronica - parte VIII pag. 38


PARTE IX

IL RUMORE

1. Introduzione al rumore

La precisione delle misure fisiche, come è noto, trova il suo limite negli errori di
misura: questi sono una manifestazione del rumore (noise), in cui rientrano anche gli effetti di
deriva (drift) che sono dovuti alle componenti del rumore a bassissima frequenza. E’, ancora,
il rumore, che limita le prestazioni dei sistemi di comunicazione: nei sistemi telefonici e
radiofonici questo fenomeno si manifesta con un caratteristico soffio o fruscio, da cui derivò
appunto, all’inizio del secolo scorso, la denominazione di “rumore”. E fu proprio nei
laboratori di ricerca della Bell Telephone, con J.B. Johnson e H. Nyquist, che furono svolti
studi essenziali sul rumore elettrico derivante da fluttuazioni di natura fondamentale in
condizioni di equilibrio termodinamico (rumore termico).

Ricordiamo a questo proposito che la quantità d’informazione (a volte chiamata


entropia) H associata a un campione (cioè il valore assunto a un dato istante) di un segnale è
dato dalla formula di Hartley H=log2 n, dove n è il numero dei diversi valori che il campione
può assumere, nell’ipotesi che tali valori siano equiprobabili1. Ne consegue che la quantità
d’informazione di un segnale diminuisce all’aumentare del rumore, che riduce il numero di
valori effettivamente distinguibili: ciò spiega l’importanza del rumore nei problemi di
comunicazione e in generale di elaborazione dell’informazione.

Va ricordato tuttavia che lo studio delle fluttuazioni di grandezze fisiche non


elettriche basato sugli sviluppi della meccanica statistica ha preceduto lo studio del rumore
elettrico. Si deve a un fondamentale lavoro di Einstein del 1905, in particolare, la spiegazione
del fenomeno del moto browniano, che era stato osservato dal botanico Robert Brown nel
1827.

1
La generalizzazione al caso di valori non equiprobabili, dovuta a Claude E. Shannon, è la seguente:
H = -Σi pi log2 pi, dove pi è la probabilità del generico valore che può assumere il segnale.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 1


Il rumore, del quale ci occupiamo per la sua importanza centrale in elettronica e in
tutta la fisica sperimentale, consiste di fluttuazioni dovute a proprietà fondamentali della
materia e in quanto tali di origine “interna” e ineliminabili in linea di principio: fluttuazioni di
natura spontanea (rumore termico) oppure associate a flussi di oggetti quantizzati (rumore
shot). Queste fluttuazioni, che si osservano a livello macroscopico, costituiscono una finestra
aperta sul mondo microscopico in quanto derivano da fluttuazioni di grandezze
microscopiche. Esse si manifestano nella forma di segnali casuali, il cui andamento nel tempo
non è descrivibile analiticamente ma soltanto in termini statistici e il cui spettro non è
costituito da righe ma è di tipo continuo, cioè si estende su una regione di frequenze più o
meno vasta.

Le proprietà precedenti distinguono il rumore propriamente detto dai disturbi, cioè dai
segnali di origine esterna rispetto ai sistemi considerati (interferenze radio, rete elettrica e sue
armoniche, effetti atmosferici, vibrazioni meccaniche che producono il cosiddetto rumore
“microfonico”, ecc.). Questi disturbi, infatti, si possono considerare, almeno in linea di
principio, eliminabili con opportune tecniche di filtraggio o di schermaggio e spesso il loro
spettro non è di tipo continuo, ma è costituito da
righe. 2

Nello studio del rumore, di solito, più che il


0

suo valore in termini assoluti, ha importanza la sua


entità rispetto al segnale, che è rappresentata 2
0 20 40 60 80 100

usualmente dal rapporto segnale/rumore (signal-to- t

noise ratio) SNR, definito2 come rapporto fra il


valore quadratico medio del segnale e quello del 0

rumore (un concetto analogo a quello di errore


5
relativo nelle misure): 0 20 40 60 80 100
t

(1) SNR = <s2(t)>/<n2(t)>

La figura rappresenta la somma di una sinusoide e di rumore


gaussiano per tre diversi valori del rapporto segnale/rumore:
√10 in alto, 1 al centro, √0.1 in basso. 0 20 40 60 80 100
t

2
Ingrediente essenziale di questa definizione è la banda di frequenza di osservazione, dato che le distribuzioni
spettrali del segnale e del rumore sono generalmente assai diverse. Sicchè, modificando la banda, il rapporto
SNR può cambiare a sua volta (come avverrebbe nel caso rappresentato in figura).

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 2


Nella maggior parte dei casi di interesse pratico il rumore si combina linearmente con
il segnale (rumore additivo), cioè vale il principio di sovrapposizione degli effetti. Non
mancano però casi in cui il rumore interviene attraverso fluttuazioni dei parametri del sistema
considerato, che introducono quindi effetti di modulazione del segnale e si parla allora di
rumore moltiplicativo. Questo si verifica, ad esempio, a proposito dell’evanescenza (fading)
nella ricezione di segnali radio, che è dovuta a fluttuazioni della costante di propagazione.

Notiamo per concludere che sebbene il rumore costituisca generalmente, per quanto
detto sopra, un fattore indesiderato, non mancano esempi di sue applicazioni utili3. Citiamo
fra queste, perché di particolare rilievo in fisica, la misura di talune costanti fondamentali (fra
cui la costante di Boltzmann e la carica dell’elettrone) e di determinate grandezze fisiche (fra
cui la temperatura). Menzioniamo anche l’impiego del rumore come segnale a larga banda
nella misura della caratteristica di risposta di circuiti e sistemi (eccitandone l’ingresso con
rumore a larga banda, dallo spettro d’uscita se ne ricava la funzione di trasferimento) e i
molteplici impieghi di “rumore artificiale” nelle telecomunicazioni (sistemi a spettro disperso
o spread spectrum e tecniche di codificazione).

2. Aspetti matematici del rumore

Dal punto di vista matematico il rumore viene rappresentato e caratterizzato dalle sue
proprietà statistiche, utilizzando la teoria dei processi stocastici4 (per processo stocastico
s’intende una famiglia di funzioni del tempo, dette realizzazioni del processo, alle quali sono
associate delle distribuzioni di probabilità). In particolare si assume di solito che il rumore sia
rappresentato mediante un processo stazionario, cioè con proprietà statistiche invarianti
rispetto a traslazione temporale, ed ergodico, cioè tale che tutte le proprietà del processo
(proprietà d’insieme) siano estraibili dall’osservazione di una singola realizzazione.

La caratterizzazione completa di un processo stocastico, in generale, richiede di


conoscere un insieme infinito di funzioni di distribuzione o di densità di probabilità. Se
tuttavia, come spesso avviene, il rumore è “gaussiano”, il processo stocastico x(t) che lo
rappresenta è completamente caratterizzato qualora se ne conosca una funzione statistica del

3
M.S. Gupta Applications of Electrical Noise Proc. IEEE, vol. 63, pp. 996-1010, luglio 1975
S. Engelberg, Y. Bendelac Measurement of physical constants using noise IEEE Instrumentation &
Measurement Magazine, vol. 6, dic. 2003, pp. 49-52
4
A. Papoulis Probability, Random Variables, and Stochastic Processes McGraw-Hill, 3a Edizione, 1991

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 3


primo ordine5, per esempio la funzione densità di probabilità fx(x), che nel caso stazionario
non dipende dal tempo:

1  − ( x − η )2 
(2) fx ( x) = exp  
2πσ  2σ 2 
 
dove η rappresenta il valor medio e σ la deviazione standard (entrambi costanti nel tempo se
il processo è stazionario), e una funzione statistica del secondo ordine, per esempio la
funzione di autocorrelazione, che è così definita:

(3) Rxx(τ) = E[x(t+τ) x(t)]

dove E[ ] è l’operatore di aspettazione (media d'insieme) e τ è il ritardo fra due campioni del
processo. Nel caso dei processi stazionari ergodici la precedente media d’insieme può essere
sostituita con una media temporale su una realizzazione e allora l’autocorrelazione assume la
forma seguente:
lim 1 T
(4) Rxx (τ ) = ∫ x ( t + τ )x ( t ) dt
T → ∞ 2T −T

La funzione di autocorrelazione rappresenta la dipendenza statistica, cioè il grado di


correlazione, fra due campioni del processo a distanza τ. Questa correlazione6 è
evidentemente massima per ritardo zero (τ=0), per cui la funzione di autocorrelazione
rappresenta il valore quadratico medio7 del processo: Rxx(0) = E{x2(t)} = η2 + σ2. Per ritardi
diversi da zero, si può interpretare l’autocorrelazione di un processo stocastico come il grado
di prevedibilità di una realizzazione al tempo t+τ (o t-τ) quando se ne conosca il valore
assunto al tempo t. La prevedibilità totale, naturalmente, si ha quando l’autocorrelazione è
una costante, indipendente da τ: in tal caso anche il processo presenta valore costante nel
tempo. La massima imprevedibilità si ha invece quando l’autocorrelazione è rappresentata da
una delta di Dirac nell’origine (δ(τ)); in tal caso la conoscenza del valore del processo a un
certo istante non consente alcuna previsione sui valori assunti agli altri istanti perché
l’autocorrelazione è nulla per qualsiasi τ≠0.

5
Per ordine di una funzione statistica s’intende il numero di diversi istanti di tempo ai quali è necessario
considerare il processo per poterla calcolare.
6
La correlazione normalizzata nell’intervallo –1,1 si ottiene dividendo l’autocorrelazione per il suo valore a
ritardo zero: ρxx(τ) = Rxx(τ)/Rxx(0).
7
Il valore quadratico medio si riduce alla varianza σ2 quando il processo ha valor medio nullo, come nel caso
del rumore.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 4


La distribuzione dell’energia di un processo stocastico sull’asse delle frequenze è
rappresentata dal suo spettro di potenza o densità spettrale (power spectrum, power spectral
density). Si può immaginare di ottenere questa funzione applicando il processo all’ingresso di
un filtro passabanda ideale con banda passante unitaria e frequenza centrale variabile e
misurando la varianza all’uscita del filtro in funzione della frequenza (e questo è ciò che
fanno gli analizzatori di spettro, operando peraltro contemporaneamente a una molteplicità di
frequenze). Nei calcoli analitici si utilizzano le relazioni di Wiener-Kintchin per cui lo spettro
di potenza di un processo x(t) è dato dalla trasformata di Fourier dell’autocorrelazione:

(5) SxxB(ω) = F[Rxx(τ)] ; Rxx(τ) = F-1[SxxB(ω)]

Dato che l'autocorrelazione è una funzione pari del suo argomento τ, lo spettro di
potenza è reale e a sua volta pari nel suo argomento ω: esso ha dunque lo stesso valore a ω e
a -ω, per qualsiasi ω. Si noti che nella definizione precedente l’integrale di Fourier si estende
da -∞ a +∞ e pertanto lo spettro,
che nelle formule precedenti
abbiamo indicato con SB(ω) è
definito per frequenze sia positive
sia negative (spettro bilatero,
two-sided spectrum).

Figura – Autocorrelazione e spettro di


potenza bilatero di processi stocastici.
Gli spettri unilateri usati correntemente
sono nulli per frequenze negative e
hanno ampiezza doppia per frequenze
positive.

Ma nel seguito, come si fa usualmente, considereremo spettri unilateri (one-sided


spectra), cioè definiti soltanto per frequenze non negative, per cui le relazioni di Wiener-
Kintchin assumono la forma seguente:

∞ 1 ∞
(6) S xx (ω ) = 2 ∫ Rxx (τ ) exp ( − jωτ ) dτ u (ω ) ; Rxx (τ ) = ∫ S xx (ω ) exp ( jωτ ) dω
−∞ 2π 0

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 5


L’unità di misura degli spettri di potenza è quella della grandezza fisica elevata al
quadrato e divisa per hertz; perciò lo spettro di potenza di una tensione si misura in V2/Hz,
quello di una corrente in A2/Hz.

Assai spesso, nella pratica, sono usati gli spettri di ampiezza dei segnali stocastici. Lo
spettro di ampiezza di un dato segnale è definito come la radice quadrata dello spettro di
potenza unilatero del segnale. Ne consegue che lo spettro di ampiezza di una tensione, che
indichiamo con Vn(ω) = √Svv(ω), si misura in V/√Hz; quello di una corrente in A/√Hz. Per
calcolare il valore efficace in una banda ∆f utilizzando gli spettri di ampiezza (supposti
costanti nella banda) si deve moltiplicare lo spettro per la radice quadrata della banda:

(7) Vn eff = Vn(f) √∆f

Lo spettro costante di un processo stocastico totalmente imprevedibile, rappresentato


nella parte in alto della figura alla pagina precedente viene usualmente chiamato spettro
bianco ricorrendo a un’analogia, corretta solo qualitativamente, con la luce bianca. Ma spesso
si dice anche che uno spettro è “bianco” in un dato intervallo di frequenze se ivi è costante.
Allo stesso modo si parla anche di spettri rosa, violetti o di altri colori, a seconda della forma
del loro andamento in funzione della frequenza.

Come si modifica lo spettro di potenza di un segnale stocastico quando questo


attraversa un sistema lineare e stazionario? Esprimendo la relazione ingresso-uscita del
sistema nel dominio del tempo mediante l’integrale di convoluzione, utilizzando la
definizione (3) di autocorrelazione e la prima relazione di Wiener-Kintchin (5), si dimostra il
teorema

(8) Syy(ω) = Sxx(ω) |H(jω)|2

che presenta grande utilità, come vedremo in seguito.

Se lo spettro d’ingresso Sxx è costante con la frequenza, il calcolo del valore


Sxx ∞
H ( jω ) dω ,
2
quadratico medio all’uscita del sistema si riduce all’integrale <y 2 > =
2π ∫
0

che dipende dal valore massimo HM di |H(jω)| e dalla forma della funzione di trasferimento.
Normalizzando rispetto ad HM si definisce banda equivalente di rumore del sistema H(jω)
la costante

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 6


1 ∞
H ( jω ) dω
2
(9) Bn =
2π H M
2 ∫
0

che rappresenta la banda passante di un filtro ideale rettangolare equivalente al sistema in


termini di valore quadratico medio in uscita per ingresso bianco. E quindi per ottenere il
valore quadratico medio del rumore in uscita basterà moltiplicare lo spettro d'ingresso per la
banda equivalente di rumore:

(10) <y2> = Sxx Bn

Nel caso di una funzione di trasferimento del primo ordine con frequenza di taglio
fo = 1/2πτ si ha:

1 ∞ 1   ω  ω πf
(10) Bn = ∫ dω = ωo arctan    = o = o

( ω)  ωo   0
2
0 4 2
1+ ω 
o

cioè la banda equivalente di rumore è π/2 volte maggiore della banda a –3dB. Tuttavia questo
rapporto si riduce, tendendo all’unità, all’aumentare della pendenza del filtro.

Il calcolo della banda equivalente di rumore per funzioni di ordine superiore richiede
l’esecuzione di integrali non banali, ma il compito è facilitato da apposite tabelle8. Per
esempio, nel caso della funzione

c1s + c0
(11) H (s) =
d 2 s + d1 s + d 0
2

la banda equivalente fornita dalle tabelle è

c12d 0 + c02 d 2
(12) Bn =
4d 0d1d 2

Esempio. La banda equivalente di rumore di un sistema con due costanti di tempo.


Riconducendo alla (11) la funzione 1/(1 + τ1s)(1 + τ2s), si ha: co = 1, c1 = 0, do = 1, d1 =
(τ1+τ2), d2 = τ1τ2. Utilizzando la (12) otteniamo pertanto: Bn = 1/4τ1τ2.

Esercizio. Calcolare la banda equivalente di rumore Bn per la seguente funzione di trasferimento risonante:
H(s) = (s/ωoQ)/(1 + s/ωoQ + s2/ωo2) e confrontarla con la banda a -3 dB (B=fo/Q).

8
G.C. Newton, L.A. Gould, J.F. Kaiser Design of Linear Feedback Controls John Wiley, 1961

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3. Il rumore termico

Il rumore termico (thermal noise) è la sorgente di rumore più comune, dato che
agisce in ogni sistema fisico dissipativo (che si trovi a temperatura diversa dallo zero
assoluto, dove peraltro si manifesta una componente non termica dovuta alle fluttuazioni di
punto zero). La funzione densità di probabilità del rumore termico è una gaussiana con valor
medio nullo, come si comprende facilmente alla luce del teorema del limite centrale9, dato
che questo rumore proviene dalla somma di un numero enorme di contributi elementari
indipendenti incoerenti.

In particolare il rumore termico elettrico, o rumore Johnson, rappresenta la


manifestazione a livello macroscopico del moto casuale dei portatori di carica in un corpo
conduttore. Ai terminali di un resistore a circuito aperto, nel quale dunque non scorre
corrente, si osserva infatti una tensione vn(t) variabile nel tempo con andamento irregolare;
cortocircuitando i terminali del resistore, in assenza dunque di una tensione esterna, si
osserva una corrente di intensità in(t)=vn(t)/R, dove R è la resistenza dell'elemento. Questo
effetto fu messo in evidenza sperimentalmente da J.B. Johnson e spiegato teoricamente da H.
Nyquist in due lavori paralleli pubblicati nel 192810.

Consideriamo la tensione di rumore vn(t) di un resistore a circuito aperto: il suo valore


quadratico medio (quadrato del valore efficace, essendo nullo il valor medio) per unità di
frequenza è proporzionale alla temperatura assoluta T a cui si trova il resistore e alla
resistenza R del resistore. Più precisamente, come trovato sperimentalmente11 da Johnson e
interpretato da Nyquist in base a considerazioni termodinamiche, in una banda di
osservazione ∆f si ha:

(13) <vn²> = Vneff2 = 4kTR∆f

dove k=1.38 10-23 J/K è la costante di Boltzmann, e quindi lo spettro di potenza (unilatero)
del rumore di tensione vn(t) è dato dall'espressione:

9
Il teorema del limite centrale stabilisce che, in condizioni piuttosto generali, la densità di probabilità della
somma di un gran numero di grandezze casuali indipendenti, comunque distribuite, tende alla legge normale di
Gauss, con valor medio dato dalla somma dei valori medi delle grandezze componenti e varianza pari alla
somma delle loro varianze.
10
J.B. Johnson Thermal agitation of electricy in conductors Physical Review, vol. 32, pp. 97-109, 1928
H. Nyquist Thermal agitation of electric charge in conductors Physical Review, vol. 32, pp. 110-113, 1928
11
Johnson dimostrò che la (14) non dipende né dal tipo di resistore (utilizzando resistori realizzati con i più
vari materiali) né dal valore della resistenza, ed è valida su un esteso intervallo di frequenze.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 8


(14) Svv(ω) = 4kTR

Corrispondentemente, lo spettro di potenza della corrente di rumore di un resistore di


resistenza R collegato in cortocircuito è:

(15) Sii(ω) = 4kT/R.

Una importante conseguenza della (13) è che la potenza di rumore massima che un
resistore può erogare a un carico adattato (chiamata potenza disponibile) non dipende dal
valore della resistenza ma soltanto dalla sua temperatura. Si ha infatti, in una banda ∆f:
Pdisp = Vneff2/4R = kT∆f; in particolare a temperatura ambiente (290 K), nella banda di 1 Hz,
Pdisp =2.62 ×10-21 W.

Esempio 1. Il rumore di due resistori disposti in parallelo.

Vogliamo calcolare il rumore termico a circuito aperto di due resistori R1 e R2 disposti in


parallelo. Rappresentiamo il rumore degli elementi con un generatore di tensione (vn1(t) e
vn2(t)) in serie a ciascuno di essi. La tensione di rumore totale è dunque:

vn(t) = vn1(t) R2/(R1+R2) + vn2(t) R1/(R1+R2).

Per ottenere il valore quadratico medio della tensione di rumore totale, i due contributi,
trattandosi di segnali incoerenti, vanno sommati in energia cioè quadraticamente. Si ottiene
così:
2 2
2 Vn1eff R22 + Vn 2 eff R12
(16) Vn eff =
( R1 + R2 )
2

Sostituendo nella precedente le espressioni del valore quadratico medio del rumore
dei due resistori ottenute dalla (13) si ricava:

2 ∆f ( 4kT1 R1 R22 + 4kT2 R2 R12 ) R1 R2 (T1 R2 + T2 R1 )


Vn eff = = 4kT ∆f
( R1 + R2 ) ( R1 + R2 )
2 2

Questa, nel caso in cui i due resistori si trovino a una stessa temperatura T, si riduce
2 R1 R2
all’espressione Vn eff = 4kT ∆f che si sarebbe potuta ottenere immediatamente
R1 + R2
considerando il bipolo costituito dai due resistori come un unico resistore di resistenza R1//R2.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 9


Dalla (16) dell’esempio precedente, riguardante due resistori disposti in parallelo, si può ricavare la
potenza di rumore P21 che il resistore R1 eroga al resistore R2 e la potenza P12 che il resistore R2 eroga al
resistore R1. Se i due resistori si trovano a una stessa temperatura T, queste potenze devono essere uguali
altrimenti uno di essi si riscalderebbe e l’altro si raffredderebbe, violando così il secondo principio della
termodinamica. Dall’uguaglianza fra le potenze P21 e P12 deriva la necessità che il valore quadratico medio della
tensione di rumore di un resistore sia direttamente proporzionale alla sua resistenza. Si noterà poi che quando i
due resistori si trovano a temperature diverse, le due potenze saranno diverse, in modo che il più caldo dei due
ceda energia all’altro.

L’espressione (13) indica che il valore quadratico medio del rumore termico tende
all’infinito all’aumentare della banda di osservazione, e ad analoga conclusione conduce la
(14) quando la si utilizza per calcolare l’autocorrelazione a ritardo zero, che rappresenta
appunto il valore quadratico medio del processo. Ma chiaramente questa divergenza non ha
senso fisico.
L’incongruenza si risolve a due livelli. In termini classici, considerando che in
parallelo a qualsiasi resistore reale si trova sempre una capacità parassita, che limita dunque
la banda passante (vedi Esempio nel paragrafo seguente); in termini quantistici, tenendo
presente che gli stati di energia non sono continui ma quantizzati sicché la formula (14), in
particolare, non è esatta, ma costituisce un’approssimazione dell’espressione più generale

4hω R 1
(17) Svv (ω ) =
2π   hω  
 exp  2π kT  − 1
   
dove h = 6.63×10-34 J/s è la costante di Planck. La (14) si ottiene dalla precedente espressione
esatta quando kT >> h/2π, cioè per T/f >> k/h = 2.08×1010 K/Hz; a temperatura ambiente
questa condizione è soddisfatta fino a frequenze di 1012 Hz.

La tabella che segue rappresenta il rumore termico, a temperatura ambiente e alla


temperatura di ebollizione dell’elio a pressione ordinaria, espresso nelle unità usate
comunemente, per alcuni valori di resistenza. Il valore efficace del rumore in una banda ∆f si
ottiene moltiplicando il valore dello spettro d’ampiezza per la radice quadrata della banda.

spettro di ampiezza della tensione di spettro di ampiezza della corrente di rumore


rumore termico in unità di nV/√Hz termico in unità di fA/√Hz

resistenza 1 Ω 10 Ω 100 Ω 1 kΩ 10 kΩ 100 MΩ 1 GΩ 10 GΩ 100 GΩ 1 TΩ


T = 293 K 0.127 0.402 1.27 4.02 12.71 12.7 4.02 1.27 0.402 0.127
T = 4.2 K 0.015 0.048 0.152 0.481 1.523 1.52 0.481 0.152 0.048 0.015

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4. Il teorema di Nyquist e la sua generalizzazione

Lo spettro di potenza della tensione di rumore termico a circuito aperto per un bipolo passivo
di impedenza Z(jω) è data dal seguente teorema, dovuto a H. Nyquist, che si dimostra
esprimendo l’impedenza come somma delle sue parti reale e immaginaria, e attribuendo
quindi l’effetto di generazione del rumore alla parte reale:

(18) Svv(ω) = 4kT Re[Z(jω)]

Per lo spettro di potenza della corrente di rumore in cortocircuito si trova analogamente:

(19) Sii(ω) = 4kT Re[Y(jω)]

Le relazioni precedenti sono valide per un bipolo (o una porta di una rete elettrica) qualsiasi
purché "strettamente passivo", cioè costituito esclusivamente da elementi passivi (R, L e C,
induttori accoppiati e trasformatori), e soltanto se gli elementi dissipativi si trovano tutti a una
stessa temperatura12.

Utilizziamo il teorema di Nyquist (17) per calcolare il rumore termico del circuito
costituito dalla disposizione in parallelo di un resistore e di un condensatore. Dato che il
bipolo ha impedenza Z(jω)=R/(1+jωRC), lo spettro di potenza del rumore di tensione è

4kTR
(19) Svv (ω ) = 4kT Re  Z ( jω ) =
1 + ω 2 R 2C 2

A questo stesso risultato, naturalmente, si arriva anche considerando separatamente il


resistore, a cui si attribuisce lo spettro 4kTR, e il condensatore, che idealmente non
contribuisce al rumore, ma esercita un’azione di filtraggio sul rumore fra il resistore e i
terminali del circuito con funzione di trasferimento H(jω) = 1/(1+jωRC), e applicando poi il
teorema (8).

Questa volta la distribuzione spettrale del rumore non è uniforme: lo spettro si annulla
infatti a frequenza infinita. Dato che lo spettro non è costante con la frequenza, non si può
evidentemente usare la (13) per calcolare il valore quadratico medio della tensione di rumore

12
Altrimenti si dovranno considerare separatamente gli elementi dissipativi che costituiscono il bipolo,
assegnare a ciascuno di essi lo spettro appropriato, determinare la funzione di trasferimento fra ciascun elemento
e i terminali del bipolo, applicare il teorema (8) per calcolare il contributo allo spettro d’uscita e poi sommare i
singoli contributi.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 11


del bipolo. Questo si ottiene integrando lo spettro (19) da 0 a ∞ per ottenere il valore
dell'autocorrelazione per τ=0. Così procedendo si ha:

1 ∞ 1 ∞ 4kTR kT
(21) Vn2eff = Rvv ( 0 ) = ∫ Svv (ω ) dω = ∫ dω =
2π 0 2π 0 1+ω R C
2 2 2
C

in accordo con il principio di equipartizione dell'energia (l'energia media di fluttuazione del


condensatore è infatti ½CVneff²=½kT).

Dal risultato precedente segue che il valore quadratico medio Vneff2 del rumore non
dipende dal valore della resistenza R. Da R dipende però la distribuzione spettrale del
rumore, espressa dalla (19): al crescere di R, in particolare, aumenta il valore dello spettro a
bassa frequenza, ma si restringe la regione in cui esso è approssimativamente bianco. La
funzione di autocorrelazione, che si ottiene antitrasformando lo spettro, segue la legge
esponenziale (Æ figura a pag. 5): Rvv(τ) = (kT/C) exp(-|τ|/RC), con costante di decadimento
data da RC, che assume il significato di “tempo di correlazione”.

La relazione fondamentale che esiste fra rumore termico, dissipazioni e temperatura,


non riguarda soltanto i circuiti elettrici. In effetti il teorema di Nyquist è stato generalizzato
da Callen e Welton nel teorema fluttuazione-dissipazione13, che si applica a qualsiasi sistema
fisico (meccanico, termico, ecc.) purché lineare e stazionario, e dunque tale da ammettere una
rappresentazione in termini di impedenza, e purché passivo.

Consideriamo un oscillatore armonico meccanico smorzato, governato dall’equazione


{md/dt + β + k∫dτ}u(t) = f(t), cioè [ms + βs +k/s]U(s) = F(s). L’impedenza meccanica,
definita come rapporto fra le trasformate della velocità U(s) e della forza F(s), è: ZM(s) = ms
+ β + k/s, dove β rappresenta l’attrito; ponendo s=jω si ha: ZM(jω) = β(1 + jQ(ω/ωο − ωο/ω).
Applicando il teorema fluttuazione-dissipazione lo spettro della forza di rumore termico
agente sull’oscillatore si ricava dalla (18) analogamente al caso elettrico : Sff(ω) = 4kT
Re[ZM(jω)] = 2kTβ. Ciò consente, per esempio, di ricavare lo spettro di potenza della
velocità utilizzando il teorema (8): Suu(ω) = Sff(ω)/|ZM(jω)|2 = 4kT/β|(1 + jQ(ω/ωο − ωο/ω)|2.

13
H.B. Callen, T.A. Welton Irreversibility and generalized noise Physical Review, vol. 83, pp.34-30, 1951.

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5. Il rumore shot
Il primo studio sul rumore shot (in tedesco schrot) fu svolto da W. Schottky nel 1918
considerando le fluttuazioni della corrente nei tubi elettronici a vuoto (diodi, triodi, ecc.).
Questo tipo di rumore, infatti, si manifesta quando una corrente elettrica, cioè un flusso di
portatori di carica, attraversa una barriera di potenziale, come nei tubi a vuoto o nelle
giunzioni p-n. Esso deriva dalla natura discreta della carica elettrica e dall’indipendenza
statistica dei singoli eventi di attraversamento da parte di ciascuna carica elementare e per
questo è chiamato anche rumore granulare.

La corrente i(t) può essere rappresentata come un processo stocastico di Poisson con
valor medio I = λqe, dove λ è la frequenza media di attraversamento della barriera e qe è la
carica dell’elettrone. Calcolando la funzione di autocorrelazione della corrente si ottiene:

(22) Rii(τ) = λqe2δ(τ) + λ2qe2

dove il primo termine rappresenta le fluttuazioni, il secondo il quadrato della corrente media
(la corrente continua): I = λqe. Considerando soltanto le fluttuazioni e utilizzando la prima
relazione di Wiener-Kintchin (6), si ottiene lo spettro di potenza (unilatero) del rumore shot
nella forma:

(23) Sii(ω) = 2λqe2 = 2Ιqe

Questo spettro è bianco perché è stato spettro di ampiezza della corrente di rumore shot in
unità di fA/√Hz per alcuni valori di corrente continua
ricavato nell’ipotesi che la corrente sia
1 pA 10 pA 100 pA 1 nA 10 nA
costituita da una sequenza di funzioni delta di 0.566 1.79 5.66 17.9 56.6
Dirac, ciascuna corrispondente al passaggio istantaneo di una carica elementare. Se si tiene
conto del tempo di transito delle cariche attraverso la barriera di potenziale, rappresentandone
il passaggio con un impulsetto di durata finita, e la formula (22) viene modificata
corrispondentemente, si trova che lo spettro tende a zero al crescere della frequenza oltre
l’inverso del tempo di transito.

E’ importante notare che quando il flusso della corrente viene regolarizzato in qualche
modo (per esempio, nei tubi a vuoto, da effetti di carica spaziale) allora il rumore shot diventa
inferiore a quello calcolato sopra, detto full shot noise. Deboli effetti di regolarizzazione sono
frequenti; un caso estremo è quello del passaggio della corrente attraverso un conduttore
metallico, dove non si considera il rumore shot perché non si manifesta apprezzabilmente; il

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 13


motivo è che il moto degli elettroni è soggetto a correlazioni a distanza che lo regolarizzano
fortemente.

Quando si impiegano le formule precedenti nel calcolo del rumore shot nei dispositivi
elettronici occorre attenzione nell’attribuire il corretto valore alla corrente a cui è associato il
rumore, cioè che determina lo spettro in base alla (23). Consideriamo per esempio un diodo a
giunzione, governato dalla legge di Shockley I = Io(exp(V/VT - 1), polarizzato con V=0.
Applicando la legge precedente si trova che in tale caso I = 0 e pertanto si potrebbe
concludere pedissequamente che non si ha rumore. E invece si deve notare che la corrente
totale è nulla perché consiste nella differenza fra due correnti che hanno uguale intensità Io
ma sono dirette in versi opposti; ciascuna di queste produce rumore shot sicché lo spettro
totale14 è Sii(ω) = 4Ιοqe e il corrispondente spettro di ampiezza è √Sii(ω) = 2√(Ιοqe). Con Io=10
pA si avrebbe √Sii(ω) = 2.5 fA/√Hz.

Considerazioni simili vanno fatte anche nel caso della corrente di perdita IG che
attraversa la porta di un transistore FET a giunzione, che a volte viene misurata (in continua)
per stabilire il rumore di corrente all’ingresso del dispositivo15. Anche tale corrente ha origine
dalla differenza di correnti dirette in versi opposti sicché il rumore effettivo può risultare
maggiore di quello calcolato utilizzando il valore misurato di IG.

Notiamo infine che il rumore shot, in sostanza, rappresenta un effetto di “fluttuazione


di numero”, lo stesso che si manifesta nel conteggio di eventi casuali che seguono la statistica
di Poisson. Esso perciò è generalizzabile anche a sistemi fisici diversi da quelli elettrici.

6. Il rumore 1/f e altri tipi di rumore


Vi sono numerosi altri tipi di rumore, far cui menzioniamo il rumore di “generazione e
ricombinazione”, che si verifica nei semiconduttori quando si crea una coppia elettrone
libero-lacuna (generazione) o quando un elettrone libero viene catturato da un atomo del
reticolo (ricombinazione), il rumore di “partizione”, che si verifica nei tubi a vuoto con più di
due elettrodi quando il flusso di elettroni proveniente dal catodo si suddivide per raggiungere

14
Si noti che allo stesso risultato si arriva considerando il rumore termico associato alla resistenza differenziale
del diodo, che in condizioni di polarizzazione nulla vale rd = VT/Io. Si ha infatti, ricordando che VT = kT/qe:
Sii(ω) = 4kT/rd = 4Ioqe.
15
Questo metodo viene impiegato in alternativa alla misura diretta del rumore di corrente, che è assai delicata
dato il valore assai basso di tale grandezza rispetto alla sensibilità degli strumenti di misura.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 14


due diversi elettrodi, e il rumore derivante dal principio di indeterminazione, del quale
daremo un breve cenno a proposito del rumore negli amplificatori.

Vi è poi il cosiddetto rumore 1/f, chiamato anche rumore flicker (tremolio) oppure
rumore di eccesso (excess noise), che si manifesta con uno spettro di potenza che segue, su
un’estesa gamma di frequenze, una legge del tipo 1/fα, dove α è un parametro prossimo
all’unità (generalmente compreso fra 0.8 e 1.3), e quindi è un rumore “rosa”. Fluttuazioni con
andamento spettrale di questo tipo non si osservano soltanto nei dispositivi elettronici “attivi”
e nei resistori percorsi da corrente (cioè in condizioni di non equilibrio termodinamico), ma
anche in una estesa varietà di fenomeni16. Fra questi, le fluttuazioni di frequenza dei campioni
di frequenza, il rumore nelle membrane biologiche, e le fluttuazioni dell’intensità del traffico
sulle autostrade, delle piene del fiume Nilo, dell’intensità dei suoni che costituiscono un
brano musicale, dell’attività solare...

Non si dispone di una teoria generale del rumore 1/f, che ne giustifichi la presenza in
ambiti così diversi: l’ipotesi più accettata è che questo rumore sia la risposta a una
eccitazione bianca e gaussiana da parte di sistemi caratterizzati dalla presenza di un gran
numero di costanti di tempo con determinate caratteristiche. Un buon esempio a tale riguardo,
dovuto a V. Radeka17, è costituito da una linea di trasmissione RC, che presenta impedenza
caratteristica Zo(s) = 1/(sRC)1/2, dove R e C sono la resistenza e la capacità della linea per
unità di lunghezza: se la linea è alimentata da uno spettro bianco di rumore di tensione, lo
spettro della corrente che la attraversa seguirà la legge 1/f.

Assumendo un modello con spettro di potenza 1/f, si osserva che la potenza del
rumore è la medesima in ogni decade di frequenza, con conseguente divergenza a bassa
frequenza. Per questi processi non è dunque possibile definire un valore quadratico medio.
Per evitare la divergenza lo spettro dovrebbe tendere a un valore finito quando la frequenza
tende a zero; tuttavia, in vari casi, le osservazioni sperimentali mostrano che, anche a
frequenze molto basse, fino al limite pratico determinato dall’inverso del tempo di
osservazione, lo spettro mantiene l’andamento 1/f.

16
M. Gardner Musica bianca, musica scura, curve fratte e fluttuazioni uno-su-effe Le Scienze, n.120, agosto
1978.
E. Milotti Il rumore 1/f Le Scienze, n.334, pp. 74-79, giugno 1996.
17
V. Radeka 1/f Noise in Physical Measurements IEEE Trans. Nucl. Sci., vol. NS-16, pp.17-35, ottobre 1969.

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Rumore di tipo 1/f, in eccesso a quello termico (da cui la denominazione menzionata
sopra), si manifesta generalmente nei resistori percorsi da una corrente continua I, con spettro
di ampiezza del rumore di tensione descritto dalla legge empirica

(24) √Svv(f) = mIR/√f

dove il parametro m dipende dal materiale e dalla tecnologia costruttiva, che si interpreta in
termini di fluttuazioni relative della resistenza. I valori piú bassi di m, per cui l’eccesso 1/f è
trascurabile rispetto al rumore termico si hanno per i resistori a filo metallico; valori più
elevati si hanno, nell’ordine, per i resistori a strato metallico, per quelli a carbone e per quelli
a impasto o a composizione (m ~ 10-6÷10-7), indicando una palese dipendenza dal grado di
uniformità del materiale. In alternativa, il rumore dei resistori si caratterizza con l’indice di
rumore (noise index) in termini di µVeff di
rumore in una decade di frequenza per volt in
continua ai capi del resistore: per un resistore
a impasto questa grandezza ha valori
tipicamente compresi fra 0.3 e 3 µVeff/IR.

Figura – Spettro d’ampiezza del rumore di tensione di


un resistore, in unità di dB rispetto al rumore termico.

La figura precedente mostra lo spettro d’ampiezza del rumore di tensione di un


resistore: il contributo 1/f prevale fino alla frequenza d’incrocio oltre la quale domina invece
il rumore termico.

Esercizio. Calcolare il rumore 1/f nel caso in cui un resistore di resistenza R attraversato da una corrente
continua I venga sostituito con n resistori di resistenza R/n, se il rumore 1/f dei resistori segue la legge (24).

Andamento analogo presenta generalmente il rumore di tensione e di corrente dei


transistori e degli amplificatori, il cui spettro di potenza viene per questo espresso di solito
nella forma:

(24) S(f) = Sbianco(1 +fo/f)

dove fo è la frequenza d’incrocio del rumore 1/f. I valori della frequenza d’incrocio sono
generalmente compresi fra 1 Hz e 1 MHz, a seconda del tipo di dispositivo.

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Si capisce che il rumore 1/f, praticamente onnipresente, costituisce generalmente il
limite alla sensibilità delle misure alle frequenze più basse. Si noti in particolare che le
tecniche per ridurre le fluttuazioni basate su medie temporali, che sono efficaci nel caso di
rumore con andamento spettrale bianco o approssimativamente tale, non sono applicabili nel
caso del rumore 1/f.

Menzioniamo infine un altro tipo di rumore, il rumore di quantizzazione, dovuto


appunto all'incertezza introdotta dalla quantizzazione in ampiezza di un segnale, per esempio
quando esso viene convertito dalla forma analogica a quella digitale, utilizzando, di necessità,
un numero finito di bit. Chiamando q il quanto di conversione, che nel caso di un convertitore
a n bit con dinamica d’ingresso fra 0 e VM vale q = VM/(2n-1), osserviamo che un campione
digitale di valore V può provenire da un campione analogico avente qualsiasi valore
nell’intervallo V-q/2, V+q/2. L’effetto della quantizzazione, pertanto, è equivalente a un
rumore additivo a media nulla con densità di probabilità uniforme fra –q/2 e +q/2. A un
rumore siffatto, che di solito si può considerare approssimativamente bianco, compete
deviazione standard σ = q/√12 ≅ 0.289 q. E quindi il valore quadratico medio del rumore di
quantizzazione è

(26) σ2 = q2/12

Esercizio. Il foglio tecnico dell’amplificatore AD8510 fornisce i seguenti valori tipici del rumore di tensione:
34 nV/√Hz a 10 Hz, 12 nV/√Hz a 100 Hz, 8 nV/√Hz a 1 kHz, 7.6 nV/√Hz a 10 kHz. Ricavare graficamente la
frequenza d’incrocio 1/f.

Esercizio. Il rapporto segnale/rumore di un convertitore A/D. Ricavare una espressione in unità di decibel
per il rapporto segnale/rumore di un convertitore analogico-digitale in funzione del numero n di bit,
considerando il rapporto fra il valore efficace della sinusoide di massima ampiezza che rientra nella dinamica
del convertitore e il valore efficace del rumore di quantizzazione.

7. Rappresentazione del rumore nelle reti elettriche.


Se la rete elettrica è costituita da elementi strettamente passivi, che si trovano tutti alla stessa
temperatura e che non manifestano eccessi di rumore, il calcolo del rumore a una porta della
rete può farsi in modo immediato, come già detto, impiegando il teorema di Nyquist (18). Nel
caso più generale, invece, si dovrà assegnare a ogni elemento rumoroso il generatore di
rumore che gli compete, per esempio di tensione con spettro Sk(ω), stabilire le funzioni di

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 17


trasferimento Hk(jω) fra ciascun elemento e la porta e calcolare infine lo spettro totale18 nella
forma:

(27) S(ω) = Σk Sk(ω)|Hk(jω)|2

A questo punto si può applicare il teorema di Nyquist per individuare la temperatura


equivalente della rete, attribuendo il rumore calcolato sopra (o misurato) a rumore Johnson di
opportuna temperatura. Se la parte reale dell’impedenza alla porta è Re[Z(jω)], questa
temperatura è

(28) TEQ = S(ω)/4k Re[Z(jω)].

E’ importante osservare che la temperatura equivalente a una porta di una rete può essere
minore della temperatura termodinamica a cui questa si trova effettivamente. Ciò può
verificarsi, come vedremo successivamente, in presenza di reazione negativa.

Nel seguito ci occupiamo della caratterizzazione esterna delle reti elettriche,


considerando in particolare bipoli e reti a due porte.

La tensione v(t) ai terminali di un bipolo nel quale vi siano


sorgenti di rumore additivo è data dalla somma della tensione che
si avrebbe in assenza di rumore e di quella di un opportuno
generatore di tensione vn(t) che ne rappresenta complessivamente
il rumore. Ne consegue che un bipolo rumoroso può essere
rappresentato con la disposizione in serie del bipolo privo di rumore con il generatore
equivalente vn(t). Utilizzando il teorema di Norton, si ottiene una rappresentazione
equivalente in termini di un bipolo non rumoroso disposto in parallelo a un generatore di
corrente di rumore in(t)={z(t)}-1 vn(t), dove z(t) è l’operatore caratteristico del bipolo.

Questi generatori di rumore saranno specificati mediante i relativi spettri di potenza o


di ampiezza. Nel seguito indicheremo gli spettri di ampiezza con simboli maiuscoli, come
nella figura, considerandoli, per comodità, come se si trattasse di grandezze sinusoidali
rappresentate nel dominio della frequenza. Precisando tuttavia, quando è necessario, i limiti
di validità di questa rappresentazione.
Nel caso delle reti a due porte, rappresentate da due equazioni, è necessario
considerare due generatori di rumore, specificando separatamente due spettri di rumore e

18
Ammettendo che tutti i generatori di rumore siano scorrelati fra loro.

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l’eventuale correlazione esistente fra essi. Secondo la teoria dei processi stocastici ciò
richiede in generale di specificare quattro funzioni della frequenza: due spettri reali e la parte
reale e quella immaginaria dello spettro incrociato, antitrasformata di Fourier della funzione
di correlazione incrociata Rxy(τ) = E{x(t+τ)y(t)} fra le due grandezze.

La rappresentazione usuale19 del rumore


consiste nel riportare il rumore in ingresso,
impiegando un generatore di tensione in serie alla
porta d’ingresso della rete (rumore serie) e un
generatore di corrente in parallelo (rumore parallelo), come mostrato nella figura sopra.

Con questo modello il calcolo dello


spettro totale di rumore totale St(ω) all’ingresso
della rete non rumorosa è particolarmente
agevole. Se la porta d’ingresso della rete è
terminata su un’impedenza di sorgente Zs=Rs+jXs, considerando il rumore termico della
sorgente, trascurando la correlazione fra i generatori e applicando al solito il teorema (8), si
ottiene20:

(29) St(ω) = 4kTRs + Vn2(ω) + In2(ω)|Zs(jω)|2

Conoscendo la funzione di trasferimento fra la porta d’ingresso e quella d’uscita, si potrà poi
calcolare lo spettro del rumore alla porta d’uscita. La forma della (29) mostra che si possono
generalmente distinguere tre diverse regioni di funzionamento al crescere del modulo
dell’impedenza della sorgente. Per bassi valori di |Zs| domina il rumore di tensione, poi
interviene il rumore termico della sorgente e infine domina l’effetto del rumore di corrente.

E’ importante osservare che il rumore di corrente In attraversa la sorgente


“riscaldandola”. Questo effetto è particolarmente vistoso nel caso di una sorgente di alta
impedenza, in particolare per una sorgente risonante ad alto Q.

19
Non è detto che questa sia la rappresentazione migliore dal punto di vista del calcolo del rumore. La
rappresentazione più conveniente sotto questo punto di vista è infatti quella per cui i due generatori di rumore
non sono correlati o presentano minima correlazione. Nel caso dei dispositivi elettronici, ciò dipende dalla fisica
del dispositivo, per cui, ad esempio, i due generatori di rumore non correlati potrebbero essere due generatori di
corrente disposti in parallelo alle due porte.
20
In questo calcolo si è supposta infinita l’impedenza della porta della rete. In realtà questa non sarà infinita e
quindi introdurrà un fattore di attenuazione; questo però sarà il medesimo, a ogni frequenza, per i diversi
contributi al rumore come pure per l’eventuale segnale proveniente dalla sorgente.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 19


Esempio 1. L’effetto di “riscaldamento” di una sorgente ad alto Q da parte del rumore
di corrente. Consideriamo un circuito risonante RLC parallelo che si trova a T = 4.2 K (la
temperatura di ebollizione dell’elio a pressione ordinaria), rappresentandone il rumore
termico con un generatore di corrente disposto in parallelo con spettro di potenza Sii = 4kT/R.
Lo spettro della tensione ai capi del circuito sarà evidentemente Svv(ω) = Sii |Z(jω)|2 , con
andamento risonante e valor massimo, alla frequenza di risonanza: Svv(ωo) = 4kTR. Quando
questo circuito, per esempio per osservarne il rumore, viene collegato a un amplificatore, esso
sarà attraversato dalla corrente di rumore con spettro In2, che supponiamo bianco. Alla
risonanza, ora, lo spettro del rumore di tensione sarà: Svv’(ωo) = (4kT/R + In2)R2 = 4kTEQR,
dove TEQ = T + In2R/2k. Se In = 100 fA/√Hz e R = 20 kΩ si ha TEQ = 4.2 + 7,8 = 12 K.

Esempio 2. Un resistore “freddo” ottenuto mediante la controreazione. Consideriamo il


rumore alla porta della rete attiva21 in figura, costituita da un amplificatore invertente di
guadagno A controreazionato con un resistore RF. Qui la resistenza, applicando il teorema di
Miller e trascurando l’impedenza d’ingresso
dell’amplificatore è: R = RF/(1+A). Lo spettro del rumore
alla porta si ottiene considerando separatamente, e poi
sommandoli, i contributi dei tre generatori di rumore:

Svv = 4kTRF/(1+A)2 + A2Vn2/(1+A)2 + RF2In2/(1+A)2

La temperatura equivalente della rete, impiegando la (28), è:

TE Q = Svv/4kR = T/(1+A) + (A2Vn2/RF + RFIn2)/((4k(1+A))

Esercizio 1. Analizzare il circuito per ricavare l’espressione dello spettro Svv data sopra.

Esercizio 2. Calcolare il valore del resistore di reazione che rende minima la temperatura equivalente e trovare
una espressione per tale grandezza.

21
M.J.Buckingham, E.A. Faulkner The principles of pulse signal recovery from gravitational antennas Radio
Electronic Engineer, vol. 42, pp. 163-171, aprile 1972.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 20


8. Fattore di rumore e temperatura di rumore

Le prestazioni di rumore delle reti a due porte, e in particolare degli amplificatori, vengono
generalmente caratterizzate in base al rapporto F fra il rumore totale e il rumore termico della
sorgente, chiamato fattore di rumore (noise factor). In questa definizione, naturalmente,
occorre assegnare alla sorgente una data temperatura22, che per convenzione si sceglie pari a
T=290 K. Si noti inoltre che questa definizione non ha senso nel caso di una sorgente con
impedenza zero oppure puramente reattiva. Utilizzando la (29) si ha:

(30) F = St(ω)/4kTRs = 1 + Vn2(ω)/4kTRs + In2(ω)|Zs(jω)|2/4kTRs

che nel caso in cui la sorgente è resistiva assume la forma

(31) F = 1 + Vn2(ω)/4kTRs + In2(ω)Rs/4kT.

Il fattore di rumore ha dunque valore unitario per un amplificatore privo di rumore e valori
via via crescenti al crescere della sua rumorosità. Più spesso si utilizza in pratica la figura di
rumore (noise figure) NF, cioè il fattore di rumore espresso in decibel:

(32) NF = 10 log10 F

Il fattore di rumore rappresenta l’incremento del rumore, introdotto dalla rete, rispetto
al rumore termico della sorgente; ma può anche interpretarsi come rapporto fra il rapporto
segnale/rumore all’ingresso della rete rumorosa e quello alla sua uscita. Si tratta,
naturalmente, di rapporti spettrali, a differenza di quello definito dalla (1).

La formula (30) mostra che per bassi valori dell’impedenza di sorgente il fattore di
rumore è dominato dall’effetto del rumore di tensione, per alti valori di Zs da quello del
rumore di corrente, e che in una regione intermedia si ha un minimo. Ricercando il minimo
rispetto all’impedenza della sorgente, cioè uguagliando a zero le derivate del fattore di
rumore rispetto a Rs e a Xs, si trovano le seguenti condizioni:

(33) Rs = Rn = (Vn2(ω)/In2(ω))1/2 ; Xs = 0

22
Ovvia, ma indesiderabile, conseguenza di questa definizione è che essa perde significato fisico quando la
sorgente si trova a temperatura diversa da 290 K. Si definisce anche un fattore di rumore “operativo” in cui si
come temperatura di riferimento si considera quella effettiva della sorgente; ma in tal caso un dato
amplificatore, con date caratteristiche di rumore, presenterà valori diversi del fattore di rumore a seconda della
temperatura della sorgente.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 21


Queste costituiscono una particolare condizione di adattamento (noise matching) che non è
sempre facile ottenere in pratica23. Si noti che la resistenza ottima coincide con il rapporto
Rn, chiamato resistenza di rumore, fra lo spettro del rumore di tensione e quello di corrente
della rete. Il fattore di rumore minimo si ottiene sostituendo le condizioni (33) nella (30):

(34) Fmin = 1 + (Vn2(ω)In2(ω))1/2/2kT

La figura seguente mostra che quando il fattore di rumore minimo è relativamente


alto, cioè alquanto maggiore dell’unità, il minimo rispetto a Rs è piuttosto pronunciato,
mentre quando è relativamente basso, cioè poco maggiore dell’unità, esso mantiene
approssimativamente questo valore per un esteso intervallo dei valori della resistenza di
sorgente.

12
Grafico delle figura di rumore,
9 in unità di decibel, in funzione
della resistenza di sorgente.
6
s In basso per Vn=10 nV/√Hz e
3 In = 10 fA/√Hz (Tn=3.6 K).
In alto per Vn=100 nV/√Hz e
0 In = 100 fA/√Hz (Tn=360 K).
3 4 5 6 7 8 9 10
100 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 1 .10 In entrambi i casi si ha Rn=1MΩ.
Rs

Per esempio, nel caso rappresentato dalla curva in basso nella figura sopra, questo
intervallo si estende da poco meno di 10 kΩ fino oltre 100 MΩ, fissando a 3 dB i valori
massimi accettabili per la figura di rumore. Una situazione di questo tipo è certamente
vantaggiosa nel caso di uno strumento di impiego generale. Per caratterizzare il rumore di
questi strumenti, tenendo presente che il fattore di rumore definito dalla (30) dipende dalla
frequenza, si utilizzano di solito i cosiddetti contorni di rumore (noise contours) che
rappresentano nel piano frequenza, resistenza di sorgente le curve costituite dai punti per cui
la figura di rumore è costante.

Ma spesso si preferisce svincolare la rappresentazione del rumore di un circuito dalle


caratteristiche della sorgente e dal valore della temperatura a cui questa si trova. A questo
scopo si utilizza una grandezza molto significativa, chiamata temperatura di rumore (noise

23
Sia i trasformatori sia i componenti reattivi reali presentano infatti dissipazioni che costituiscono ulteriori
sorgenti di rumore termico. A radiofrequenza, d’altra parte, l’adattamento può essere realizzato con uno
spezzone di linea di trasmissione, ma soltanto a banda stretta.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 22


temperature) Tn, che esprime in unità di kelvin l’energia di fluttuazione all’ingresso del
circuito, tipicamente all’ingresso di un dispositivo o di un amplificatore, ed è data dal
prodotto degli spettri di rumore:

Vn2 I n2
(35) Tn =
2k

cioè, esprimendo gli spettri di ampiezza nelle unità pratiche usuali (nV/Hz e fA/Hz):

(36) Tn = 36.2 Vn In millikelvin

Questa grandezza può essere interpretata come la temperatura a cui va portata la sorgente,
quando siano verificate le condizioni di adattamento (33), perché lo spettro del rumore totale
si raddoppi rispetto al caso in cui la sorgente si trova allo zero assoluto.

Sostituendo la definizione di temperatura di rumore nell’espressione del fattore di


rumore minimo (34), si ricava la seguente relazione fra le due grandezze:

(37) Fmin = 1 + Tn/T

dove ricordiamo che T = 290 K è la temperatura di riferimento usata nella definizione del
fattore di rumore.

La temperatura di rumore non può mai annullarsi per l’intervento del rumore dovuto
al principio di indeterminazione di W. Heisenberg; il limite inferiore per questa grandezza è
stato trovato da H. Heffner24:


(38) Tmin =
2π k ln 2

Si noti che il limite di Heffner dipende dalla frequenza: a 1 kHz si ha Tmin = 3.3 ×10-8 K.

Un caso particolare è costituito dai cosiddetti amplificatori di carica, cioè gli


amplificatori con reazione capacitiva (Æ Appendice A), che sono usati per misurare, di solito
in regime impulsivo25, la quantità di carica elettrica rilasciata da un trasduttore che presenta

24
H. Heffner The fundamental noise limit of linear amplifier Proc. IRE, vol. 70, pp. 1604-1608, 1962.
Si noti che il limite di Heffner riguarda gli amplificatori lineari, ma non le tecniche di “evasione quantistica” che
consentono di eseguire misure estremamente precise di un grandezza a spese di una maggiore incertezza sulla
grandezza coniugata.
25
Non lavorano in regime impulsivo gli amplificatori di carica utilizzati nella misura delle vibrazioni
meccaniche, perchè la loro funzione è quella di convertire in una tensione la carica elettrica, funzione del tempo,
generata da un trasduttore piezoelettrico in risposta alle vibrazioni a cui è soggetto.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 23


impedenza di natura essenzialmente capacitiva. In questi strumenti il rumore viene infatti
caratterizzato in termini del valore efficace della carica equivalente al loro ingresso dovuta al
rumore, chiamata equivalent noise charge ENC. Un impiego tipico degli amplificatori di
carica consiste nel misurare la carica generata da un rivelatore a giunzione, che è
proporzionale all’energia persa da una particella ionizzante quando attraversa la regione
attiva del rivelatore.

Il sistema di misura della carica consiste nell’amplificatore di carica, che ha il


compito di integrare l’impulso di corrente d’ingresso, molto breve (alcuni nanosecondi), che
rappresentiamo con i(t) = Qδ(t), producendo un gradino di tensione proporzionale alla carica,
e in un circuito formatore (shaper). Quest’ultimo provvede a trasformare il fronte del gradino
in un impulso di tensione con durata dell’ordine dei microsecondi (allo scopo di evitare la
sovrapposizione fra le risposte prodotte da impulsi d’ingresso che si susseguono a breve
distanza, per poter misurare correttamente la carica associata a ciascun evento).

Chiamando Ct la somma della capacità del rivelatore e della capacità d’ingresso


dell’amplificatore, e C la capacità totale del nodo d’ingresso (C = Ct + CF), la risposta al
segnale all’uscita dell’amplificatore di carica (quando il suo guadagno è molto maggiore
dell'unità) è un gradino di ampiezza Q/C. Calcolando l’uscita del formatore, la cui funzione di
trasferimento è H(s) = τs/(1+τs)2, si trova un impulso di ampiezza Q/eC (dove e = 2.718...).

Figura - Il generatore di rumore In congloba tutto il


rumore di corrente nel nodo d’ingresso (rumore shot
del rivelatore, rumore dell’amplificatore, ...)

Lo spettro del rumore all’uscita dell’amplificatore è S(ω) = In2/ω2CF2 + Vn2C2/CF2


e il corrispondente valore quadratico medio all’uscita del formatore si calcola utilizzando il
metodo della banda equivalente di rumore trattato nel paragrafo 2, applicandolo
separatamente ai due contributi dello spettro (a cui competono due diverse funzioni di
trasferimento). Si ottiene così: Vn eff2 = (1/8CF2)[τ In2 + Vn2C2/τ]

che per τ = C (Vn2/In2)1/2 = CRn presenta il minimo Vn eff2 = (1/8CF2) (Vn2In2C).

Imponendo l’uguaglianza del valore efficace del rumore Vn eff e dell’ampiezza del segnale
Q/eC, si ricava infine la carica equivalente di rumore in ingresso:

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 24


eC3/2 eC3/2
(39) ENC = Vn2 I n2 = kTn
2C F 2C F

che dipende dalle capacità del circuito e dalla temperatura di rumore dell'amplificatore. La
carica ENC può essere espressa in unità di carica elementare, dividendola per qe, oppure in
energia, ricordando che la rottura di un legame covalente nel silicio richiede circa 3.6 eV.

9. Cenni sul rumore dei dispositivi

Tutti i dispositivi a giunzione pn sono evidentemente soggetti a rumore shot in relazione alle
correnti che ne attraversano le giunzioni. Allo stesso modo tutti i dispositivi nei quali sia
presente una resistenza sono soggetti a rumore termico.

In generale gli spettri di rumore dei dispositivi elettronici sono approssimativamente


costanti in una regione di frequenza che è più o meno estesa a seconda del tipo di dispositivo,
con particolare riguardo alle tecnologie realizzative26. In questa regione il rumore è dominato
dagli effetti fondamentali anzidetti; a frequenze inferiori si manifesta l’eccesso 1/f; a
frequenze superiori gli spettri dei generatori riportati in ingresso tendono ad aumentare sia a
causa di accoppiamenti capacitivi sia per l’inevitabile riduzione del guadagno, e si
manifestano inoltre effetti di correlazione fra gli spettri di rumore di tensione e di corrente.

Nel caso dei transistori a giunzione, nella connessione a emettitore comune l’effetto
shot si manifesta indipendentemente all’ingresso (corrente di base IB) e all’uscita (corrente di
collettore IC) e si può rappresentare pertanto con due generatori di rumore di corrente disposti
rispettivamente fra base ed emettitore e fra collettore ed emettitore. Ma si deve anche
considerare il rumore termico della resistenza di base rbb’, che si rappresenta con un
generatore di rumore di tensione disposto in serie alla base.

Volendo porre il rumore nella forma standard occorre riportare in ingresso il rumore
shot d’uscita, dividendolo per la transconduttanza del dispositivo: gm ≅ 1/re, dove re ≅ VT/IC =
kT/qeIC è la resistenza dinamica della giunzione base-emettitore. Gli spettri di potenza dei due
generatori in ingresso sono pertanto:

26
Queste tecnologie possono essere diverse anche per dispositivi con la stessa sigla, ma per esempio
provengono da costruttori diversi.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 25


(40) In2 = 2qeIB

(41) Vn2 = 4kTrbb’ + 2qeIC/gm2 = 4kTrbb’ + 2k2T2/qeIC

dove il contributo shot allo spettro di tensione, inversamente proporzionale a IC, domina a
basse correnti di collettore mentre a correnti più elevate (IC > kT/2qerbb’) domina il contributo
termico di rbb’. Si noti però che le espressioni date sopra forniscono soltanto dei limiti
inferiori per il rumore, dato che in pratica esso è soggetto anche a contributi di tipo 1/f (fra
cui l’effetto della corrente di base che attraversa la resistenza rbb’).

Nel caso dei transistori FET a giunzione, il rumore shot all’ingresso è assai minore
rispetto ai BJT, dato che riguarda la corrente IG di una giunzione polarizzata inversamente
(sia pure con le cautele menzionate a pag. 14). Il rumore termico del canale, che si manifesta
all’uscita del dispositivo con spettro di potenza dato approssimativamente27 da 4kT(2gm/3),
può essere riportato in ingresso, anche in questo caso dividendolo per la transconduttanza del
dispositivo. Gli spettri di potenza dei due generatori in ingresso sono pertanto:

(42) In2 = 2qeIG

(43) Vn2 = 4kT (2/3gm)

dove si ricorda che la transconduttanza aumenta con la corrente di polarizzazione di drain


proporzionalmente a √ID e si nota che al rumore di corrente, al di sopra di una frequenza
dell’ordine di 10 kHz, va aggiunto un contributo (dovuto all’accoppiamento capacitivo fra
drain e gate) che presenta correlazione con il rumore di tensione. In questi dispositivi
l’eccesso 1/f si manifesta nel rumore di tensione, con frequenze d’incrocio tipicamente fra 1 e
100 Hz, mentre è generalmente trascurabile nel rumore di corrente. Quest’ultimo, peraltro,
dipende assai vivacemente dalla temperatura. Si noti anche che nei transistori MOS il rumore
1/f domina fino a frequenze relativamente elevate (100 kHz – 1 MHz), tanto maggiori quando
minori sono le dimensioni della regione attiva dei dispositivi.

Le prestazioni di rumore dei dispositivi possono essere migliorate raffreddandoli: in


tal modo, naturalmente, si riduce il rumore di origine termica ma non il rumore shot, se non
indirettamente. La tecnica del raffreddamento, in effetti, presenta scarsa utilità nel caso dei
transistori bipolari, perché il guadagno di corrente diminuisce abbastanza rapidamente al
calare della temperatura. Più vantaggiosa si presenta invece questa tecnica nel caso dei FET.

27
Il fattore 2/3 deriva dalla natura distribuita del canale dei dispositivi a effetto di campo.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 26


Riducendone la temperatura, infatti, non solo diminuisce il rumore termico del canale ma si
ha anche un aumento della mobilità dei portatori e quindi della transconduttanza. E
diminuisce anche il rumore shot associato alla corrente di gate, perché questa corrente si
riduce fortemente al diminuire della temperatura. Per questi dispositivi si ha una condizione
di ottimo attorno a 130-150 K.

Dato che nelle due famiglie di dispositivi le tensioni di rumore sono dello stesso
ordine di grandezza, ma nei FET le correnti di rumore sono assai minori, ne consegue che
questi ultimi presentano le temperature di rumore più basse e le resistenze di sorgente ottimali
più alte, come mostrato nella tabella a pagina seguente.

Notiamo infine che per ottenere prestazioni di rumore decisamente migliori rispetto a
quelle dei dispositivi usuali occorre utilizzare i dispositivi elettronici superconduttori basati
sull’effetto Josephson. Gli SQUID a radiofrequenza (rf SQUID), in particolare hanno
temperature di rumore attorno a 10-3 K, mentre gli SQUID in continua (dc SQUID)
consentono di arrivare fino a 10-5÷10-6 K.

Valori indicativi approssimati del rumore a 1 kHz di alcuni dispositivi elettronici


Dispositivo spettro d’ampiezza del spettro d’ampiezza del Temperatura Resistenza
rumore di tensione rumore di corrente di rumore di rumore
[nV/√Hz] [fA/√Hz] [K] [Ω]
BJT, IC=0.2 mA 1.8 600 40 3k
BJT, IC=1 µA 12 60 25 200 k
LM394, IC=1 µA
BJT superbeta 2.5 160 15 15 k
FET 5 10 2 500 k
FET a basso rumore 0.5 3 0.05 200 k
FET raffreddato 0.9 0.5 0.015 2M
ampl. op. 741 24 800 700 30 k
ampl. op. OP-27 2.8 400 40 7k
ampl. op. OPA-111 6 0.4 0.09 15000
ampl. EL2125 0.83 2400 72 0.35

9. Cenni sulla progettazione a basso rumore.

I criteri generali per la progettazione di amplificatori a basso rumore consistono innanzitutto


nella scelta del dispositivo amplificatore d'ingresso più adatto all’applicazione considerata,
definita dalla regione di frequenza di interesse e dal valore dell’impedenza della sorgente del

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 27


segnale, e poi nell’adozione di scelte circuitali mirate a degradare il meno possibile le
prestazioni di rumore del dispositivo. Un indice assai efficace della qualità di un progetto è
infatti il rapporto fra la temperatura di rumore del dispositivo e quella complessiva del
circuito.

Ciò significa in primo luogo assegnare allo stadio d’ingresso un guadagno tale da
poter trascurare il rumore degli stadi successivi. In secondo luogo è necessario curare con
estrema attenzione il circuito d’ingresso, nella scelta dei valori e dei tipi di componenti,
analizzando per ciascuno il contributo al rumore totale. Particolarmente insidiosa a tale
proposito può risultare la scelta dei condensatori.

Esercizio. Il contributo di rumore di un condensatore. All’ingresso di un amplificatore con rumore di


tensione di 1 nV/√Hz viene disposto in serie un condensatore da 10 nF con tangδ = 10-3. Calcolare il rumore di
tensione complessivo Vn del circuito alla frequenza di 100 Hz.

Nel caso di sorgenti di impedenza relativamente bassa (approssimativamente fino a 10


kΩ), nel circuito si potrà utilizzare un transistore bipolare, polarizzato a correnti tali da
rendere trascurabile l’effetto shot dovuto alla corrente di collettore e scelto fra i dispositivi
che presentano basso valore di rbb’.

Nel caso di impedenze di sorgente più elevate converrà invece utilizzare un transistore
a effetto di campo. Per ottenere un basso valore del rumore di tensione si sceglierà un
dispositivo con elevata transconduttanza, polarizzandolo a corrente di drain prossima a quella
di saturazione (IDSS), ma con basso valore di caduta VDS, in modo da ridurre la dissipazione di
potenza e quindi il riscaldamento del FET, che presenta, per quanto detto sopra, varie
conseguenze negative ai fini del rumore. Per ottenere un basso valore del rumore di corrente
si sceglierà un FET con basso valore di IG, ma occorrerà attenzione al resistore di
polarizzazione della porta, che dovrà presentare un elevato valore di resistenza effettiva alle
frequenze di interesse anche tenendo conto dell’effetto Boella (Æ parte II, pag. 15).

Una soluzione spesso adottata per ridurre il rumore di tensione (tecnica di Faulkner)
consiste nel disporre in parallelo N dispositivi. Si dimostra facilmente che se questi hanno
tutti lo stesso rumore di tensione Vn e di corrente In, e la stessa transconduttanza, il rumore di
tensione complessivo è Vn/√N e il rumore di corrente è In√N, mantenendo quindi costante il
valore della temperatura di rumore, ma alterando, in modo simile a un trasformatore, il valore

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 28


dell’impedenza di rumore. C’è, tuttavia, un prezzo da pagare: la capacità d’ingresso aumenta
corrispondentemente.

Poichè, in generale, l’impedenza della sorgente di segnale è data a priori, può darsi
che si ponga il problema di realizzare il corretto adattamento d’impedenza fra la sorgente e la
resistenza di rumore del dispositivo prescelto, più precisamente quella dello stadio
d’ingresso. I trasformatori offrono grande flessibilità di adattamento, ma limitano la banda,
introducono a loro volta rumore e possono anche creare problemi di captazione di disturbi. In
alternativa, quando è possibile, conviene utilizzare la tecnica di Faulker, che è assai meno
flessibile ma fornisce ottime prestazioni.

gvp – 8 Settembre 2004 Appunti di Elettronica - Parte IX pag. 29


APPENDICE A

TEOREMI DEI CIRCUITI

1. Teorema del massimo trasferimento di potenza

Il teorema del massimo trasferimento di potenza stabilisce le condizioni che


massimizzano la potenza ceduta da una sorgente sinusoidale a un carico, nell'ipotesi che i
circuiti considerati operino in condizioni di linearità e in regime sinusoidale permanente. In
questo caso la sorgente è completamente caratterizzata quando se ne conosce la tensione
d'uscita a circuito aperto e l'impedenza d'uscita ZS = RS + jXS; il carico è completamente
caratterizzato quando se ne conosce l'impedenza ZL = RL + jXL.

Indicando con v(t)=V cos(ωt) la tensione della sorgente a circuito aperto, la corrente
che scorre nel carico sarà i(t)=I cos(ωt+φ) con I=V/|ZS+ZL|. Pertanto la potenza assorbita dal
carico è

I 2 RL V 2 RL
(1) P= =
2 2 ( RS + RL ) + ( X S + X L )2
2

Il massimo di questa grandezza si ottiene eguagliando a zero le sue derivate rispetto a


RL e XL. Si ottengono così le due condizioni

(2) RLo = RS ; XLo = -XS

per cui si ha il massimo trasferimento di potenza dalla sorgente al carico (si noti che la
seconda corrisponde a imporre la risonanza del circuito). Tali condizioni si possono
esprimere nella forma più compatta

(3) ZLo = ZS*

che stabilisce che l'impedenza del carico deve essere uguale alla coniugata dell'impedenza
della sorgente. Quando ciò si verifica, e in tal caso si dice che il carico è adattato alla
sorgente, la potenza assorbita dal carico assume il valore massimo

V2
(4) P=
8 RL

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 1


Quando, come avviene spesso in pratica, occorre realizzare l'adattamento d'impedenza
(impedance matching) tra una sorgente e un carico che abbiano entrambi impedenze fissate a
priori, cioè non modificabili, si interpone fra la sorgente e il carico una rete detta di
adattamento.

Se le impedenze della sorgente e del carico sono ambedue reali, la rete di adattamento
sarà costituita da un trasformatore1. E occorre allora valutare attentamente gli effetti dei
parametri parassiti di questo componente: a bassa frequenza l'effetto dell'induttanza parallelo,
ad alta frequenza quello delle induttanze disperse e delle capacità parassite.

Se una delle due impedenze (o entrambi) non è reale, la rete di adattamento dovrà
contenere elementi atti a realizzare, oltre alla prima, anche la seconda condizione di
adattamento. Se è sufficiente ottenere l'adattamento soltanto a una frequenza ben determinata,
la soluzione è immediata: basta disporre in serie2 al carico (o alla sorgente) un elemento
reattivo (condensatore o induttore) di reattanza tale da soddisfare la condizione anzidetta. In
tal caso, supponendo per semplicità che si abbia RL = RS, l'elemento di adattamento dovrà
avere reattanza XA tale da verificare, alla frequenza considerata, la condizione:

(5) XS + XL + X A = 0

Assai più complesso è il problema dell'adattamento quando esso debba essere


verificato su una banda di frequenze, dal momento che le reattanze (della sorgente, del carico
e della rete di adattamento) sono in generale funzioni della frequenza. Tale problema
(broadband matching) può essere risolto solo approssimativamente.

1
Questa non è l'unica soluzione: in determinate condizioni (se è sufficiente realizzare l'adattamento soltanto
nell'intorno di una determinata frequenza) si possono utilizzare schemi basati sull'impiego di circuiti risonanti
(sfruttando le proprietà di due o più oscillatori accoppiati) oppure, ad alta frequenza, si può usare un tratto di
linea di trasmissione di lunghezza opportuna.
2
L'adattamento si può realizzare anche disponendo l'elemento di adattamento in parallelo alla sorgente e al
carico, in tal caso la sua suscettanza dovrà esser tale da annullare la suscettanza totale.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 2


Esempio. Vogliamo realizzare l'adattamento d'impedenza alla frequenza di 1000 Hz fra una
sorgente resistiva con RS=1000 Ω e un carico costituito da un induttore di 10 mH in serie a un
resistore da 10 Ω. La prima condizione è verificata utilizzando un trasformatore con rapporto
spire n = (1000/10)½ = 10. La seconda condizione richiede l'inserimento di un elemento
reattivo, che nel nostro caso sarà evidentemente un condensatore. La capacità CA di tale
condensatore sarà diversa a seconda che lo si disponga in serie alla sorgente oppure al carico.
In quest'ultimo caso esso dovrà avere reattanza -1/(2π1000CA)= −2π1000×0.01, cioè capacità
CA=2.53 µF. Altrimenti la sua capacità sarà n²=100 volte minore.

2. Teorema di Helmholtz-Thévenin

Il teorema di Helmholtz-Thévenin3 fornisce una descrizione sintetica del


comportamento di una rete lineare attiva vista a una sua porta. Tale descrizione riguarda
esclusivamente il comportamento esterno della rete, rappresentata come un bipolo attivo,
quando ad essa si collega un carico di impedenza arbitraria.

Il teorema stabilisce che qualsiasi rete lineare attiva a una porta è equivalente al
circuito costituito da un generatore di tensione ideale Vo(s) disposto in serie a una impedenza
Zo(s), dove

ƒ Vo(s) rappresenta la trasformata della tensione che si osserva alla porta della rete in
assenza di carico esterno (tensione a vuoto);

ƒ Zo(s) rappresenta l'impedenza della porta (impedenza d'uscita).

Quest'ultima grandezza richiede una precisazione: essa s'intende definita quando tutti
i generatori indipendenti contenuti nella rete sono disattivati (cortocircuitando i generatori di
tensione ed eliminando i generatori di corrente), mentre restano invece attivi tutti i generatori
controllati4.

Quanto detto sopra fornisce utili indicazioni per l'esecuzione di misure atte a
determinare sperimentalmente i parametri Vo(s) e Zo(s) di una rete attiva. Ma in queste

3
Questo teorema è comunemente attribuito all'ingegnere telegrafico belga Leon Charles Thévenin che lo
presentò nel 1883, in un lavoro pubblicato nei rendiconti dell'Accademia Francese delle Scienze. In realtà il
teorema venne introdotto per la prima volta dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz nel 1853, in un lavoro
concernente l'elettricità animale (J.E. Brittain Thévenin's theorem IEEE Spectrum, marzo 1990, pag. 42).
4
Si tratta di un punto importante, dato che l'impedenza d'uscita di un circuito reazionato (amplificatori a
controreazione, regolatori di tensione, ecc.) dipende in modo essenziale dall'azione dei generatori controllati
presenti nel circuito stesso.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 3


misure è spesso necessaria una particolare attenzione per evitare l'insorgere di fenomeni di
nonlinearità (per esempio, per determinare l'impedenza d'uscita di una rete a bassa
impedenza5 è consigliabile applicare un generatore di corrente e misurare la tensione che si
stabilisce alla porta della rete, invece di applicare un generatore di tensione e misurare la
corrente che scorre nella rete).

Usando la descrizione di Helmholtz-Thévenin, si conclude che quando la rete è


collegata a un carico di impedenza Z(s) la corrente che scorre dalla rete al carico è

(6) I(s) = Vo(s)/(Zo(s)+Z(s))

Questa, in condizioni di cortocircuito (ammesso che in tal


caso la linearità della rete sia ancora verificata), assume il valore

Io(s) = Vo(s)/Zo(s)

3. Teorema di Norton

Questo teorema costituisce il duale del teorema di


Helmholtz-Thévenin. Qui la rete lineare attiva a una porta viene
descritta in termini di un circuito equivalente costituito da un
generatore ideale di corrente Io(s) disposto in parallelo a una
ammettenza Yo(s), dove

ƒ Io(s) rappresenta la trasformata della corrente che si


osserva cortocircuitando la porta della rete (corrente di cortocircuito);

ƒ Yo(s) rappresenta l'ammettenza della porta (ammettenza d'uscita);

e si ha evidentemente:

(7) Yo(s) = 1/Zo(s) ; Io(s) = Yo(s) Vo(s)

Anche per il teorema di Norton valgono le precisazioni e le considerazioni fatte prima


a proposito del teorema di Helmholtz-Thévenin.

5
Si può usare questo metodo, per esempio, per misurare l’impedenza d’uscita di un alimentatore stabilizzato in
funzione della frequenza.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 4


4. Teorema di Millman
Il teorema di Millman stabilisce che, disponendo in parallelo n bipoli lineari attivi,
con tensione a vuoto Vi(s) e impedenza d'uscita Zi(s), la tensione risultante è:

(8) V (s) =
∑ V ( s )Y ( s ) = ∑ V ( s ) Z ( s )
i i i i i i

∑ Y (s) i i ∑ 1 Z (s) i i

e l'impedenza d'uscita è data dal parallelo delle impedenze Zi. A questo risultato si arriva
utilizzando il teorema di Norton e il principio di sovrapposizione degli effetti.

5. Teorema di Miller

Il teorema di Miller6 riguarda quelle reti lineari attive in cui la tensione di un nodo
determina univocamente la tensione di un altro nodo

(9) V2(s) = K(s) V1(s)

per esempio grazie all'azione di un generatore controllato.

Il teorema stabilisce che un'impedenza Z(s) che sia collegata fra i due nodi può essere
eliminata sostituendola con due impedenze: Z'(s) collegata fra il primo nodo e il riferimento
di massa, Z"(s) collegata fra il secondo e massa, dove

Z (s) K (s) Z (s)


(10) Z′(s) = ; Z ′′ ( s ) =
1− K (s) K ( s ) −1

La rete così ottenuta è equivalente alla prima per quanto riguarda i valori delle
tensioni ai nodi e il comportamento esterno.

6
Nel 1919 il fisico americano John Milton Miller osservò che la capacità d'ingresso di un triodo subiva un forte
aumento quando questo funzionava come amplificatore. Studiando il fenomeno (chiamato oggi effetto Miller, in
qualsiasi tipo di dispositivo amplificatore si verifichi), egli trovò che era dovuto all'azione del guadagno del
dispositivo sulla capacità elettrostatica fra l'elettrodo d'ingresso (griglia) e quello d'uscita (anodo) del triodo.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 5


Il teorema si dimostra come segue. Se V1(s) e V2(s) sono le tensioni dei due nodi, la
corrente che scorre
attraverso l'impedenza nel
verso diretto dal secondo
nodo al primo è

V2 ( s ) − V1 ( s )
(11) IZ ( s ) =
Z (s)

La corrente entrante nel primo nodo è allora

V1 ( s ) − V2 ( s ) V1 ( s ) (1 − K ( s ) )
(12) I1 ( s ) = − I Z ( s ) = =
Z (s) Z (s)

e quella entrante nel secondo

V2 ( s ) − V1 ( s ) V2 ( s ) (1 − 1 K ( s ) )
I2 ( s ) = IZ ( s ) = =
Z (s) Z (s)

esattamente come se fra il primo nodo e massa e fra il secondo e massa fossero collegate,
rispettivamente, le impedenze Z'(s) e Z"(s) date dalla (10).

Esempio 1. Effetto Miller con impedenza resistiva.

Consideriamo un amplificatore di guadagno A reale con un


resistore R disposto fra l'ingresso e l'uscita. Applicando il teorema
di Miller (e trascurando l'impedenza d'ingresso dell'amplificatore)
si conclude che l'impedenza vista sul nodo d'ingresso è R/(1-A). Questa resistenza d'ingresso
è negativa se il guadagno è positivo, con modulo maggiore dell'unità, altrimenti è positiva.
Quando il guadagno ha segno negativo ed è molto elevato (come nel caso degli operazionali),
la resistenza d'ingresso R’ può assumere valori molto bassi (per esempio con A=-105 e R=100
kΩ si ha R'=1 Ω) e in tal caso si dice che il nodo d'ingresso si comporta come una "terra
virtuale" (pag. 39, parte VIII).

Esercizio. Calcolare l'impedenza d'ingresso, e individuarne la natura, di un amplificatore con funzione di


trasferimento A(s)=Ao/(1+τs) (Ao= −1000 e τ =1 ms) con un resistore R=10 kΩ disposto fra l'ingresso e l'uscita.
Il calcolo va eseguito approssimando 1-A(s) con -A(s) (e valutando poi il limite di frequenza entro cui tale
approssimazione è soddisfacente).

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 6


Esempio 2. Effetto Miller con impedenza capacitiva.

Consideriamo un amplificatore di guadagno A reale con un


condensatore C disposto fra l'ingresso e l'uscita. Applicando il
teorema di Miller (e trascurando la capacità d'ingresso
dell'amplificatore) si conclude che la capacità C’ che si manifesta
sul nodo d'ingresso è

C' = C(1-A)

Questa capacità è negativa se il guadagno è positivo, con modulo maggiore dell'unità,


mentre quando il guadagno è negativo C’ è positiva (e allora il circuito si comporta come
"moltiplicatore di capacità").

Il caso di guadagno positivo con A>1 presenta un certo interesse perchè permette di
realizzare una porta dotata di capacità negativa. A circuito aperto questo circuito è instabile,
mentre è stabile, e può risultare assai utile, quando quando ad esso venga collegata una
capacità (positiva) esterna che sia maggiore, in valore assoluto, di quella negativa.

Esercizio. Si abbia una sorgente di segnale a gradino che sia osservabile attraverso un circuito RC con RS=10
kΩ (in serie alla sorgente) e CS=100 pF (rispetto a massa). All'uscita del circuito RC si colleghi un amplificatore
ideale con guadagno A=10 e capacità C=10 pF fra ingresso e uscita. Calcolare la capacità negativa introdotta
dall'amplificatore, la capacità totale sul nodo d'ingresso dell'amplificatore e il tempo di salita del segnale,
confrontando quest'ultimo risultato con quello relativo al caso in cui si impieghi un amplificatore usuale.

Esempio 3. Effetto Miller in un amplificatore a emettitore comune.

Utilizziamo il teorema di Miller per analizzare il comportamento a piccoli segnali


dell'amplificatore a emettitore
comune mostrato nella figura,
sapendo che il transistore presenta
guadagno in corrente hfe=100 e
supponendo di aver già calcolato
la corrente di polarizzazione del
dispositivo (IC ≈ 3 mA, con 10 V
di alimentazione). Notiamo innanzitutto che il guadagno fra base e collettore è determinato

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 7


approssimativamente dal rapporto fra il resistore di collettore e quello d'emettitore: A ≈ −10.
Utilizzando le formule (10) si hanno i seguenti valori per le due resistenze equivalenti in
parallelo all'ingresso e all'uscita:

R' ≈ 100 kΩ/(1-A) ≈ 9.1 kΩ

R" ≈ 100 kΩ × A/(A-1) ≈ 91 kΩ

La resistenza d'ingresso totale Rin, fra base e massa, è data dal parallelo di R' e della
resistenza d'ingresso del transistore (approssimativamente pari a hfeRE ≈ 22 kΩ) e si ha
pertanto Rin ≈ 6.4 kΩ. Questo ci permette di calcolare l'attenuazione fra la sorgente di segnale
e la base del transistore (trascurando l'impedenza del condensatore di accoppiamento):
Rin/(Rin+RS) ≈ 0.39. L'amplificazione totale Avs del circuito, fra la sorgente e l'uscita, vale
pertanto ≈ - 3.9.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 8


APPENDICE B

I DIAGRAMMI DI BODE

1. La rappresentazione grafica delle funzioni dei sistemi nel dominio della frequenza

Le rappresentazioni grafiche delle funzioni di rete e in generale delle funzioni di


trasferimento dei sistemi maggiormente usate sono i diagrammi di Bode (Bode plots) e i
diagrammi di Nyquist. I primi rappresentano in funzione della frequenza il modulo e la fase, i
secondi la parte reale e immaginaria in forma polare.

Il diagramma di Nyquist di una funzione F(s), posto


s=jω, è costituito dal luogo dei punti, al variare di ω, che
hanno per ascissa la parte reale della funzione e come ordinata
la parte immaginaria. Questo grafico si traccia di solito per
ω da 0 a ∞, ma a volte lo si completa chiudendolo, cioè
considerando anche i valori di ω fra -∞ e 0, come mostrato in figura per la funzione
passabasso F(s)|s=jω = 1/(1+jω). Sebbene assai compatta, oltre che molto efficace ai fini
dell’immediata visualizzazione degli andamenti asintotici del modulo e della fase, la
rappresentazione di Nyquist presenta vari inconvenienti. Infatti non è affatto immediato
tracciare questi diagrammi e sopratutto modificarli (per esempio quando si voglia cambiare il
valore di un parametro oppure considerare il prodotto della funzione graficata per una
seconda, volendo considerare un secondo sistema disposto in cascata al primo). I diagrammi
di Nyquist, inoltre, sono scarsamente leggibili nel caso delle funzioni il cui modulo presenta
variazioni di ordini di grandezza nel campo di frequenze di interesse.

Questi inconvenienti sono largamente superati quando si utilizzano i diagrammi di


Bode, grazie all’impiego di scale logaritmiche per la frequenza e per il modulo. Si perde,
tuttavia, in compattezza dato che questa rappresentazione richiede due grafici distinti.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 9


I diagrammi di Bode di una funzione ne rappresentano separatamente il modulo
espresso in decibel (Æ parte II) e la fase in funzione del logaritmo della frequenza. Questo è
il motivo per cui tali grafici consentono un esame globale dell’andamento di una funzione
anche su una gamma di frequenze molto estesa e nello stesso tempo garantiscono un buona
risoluzione di lettura anche in presenza di grandi variazioni del modulo della funzione. Un
altro pregio essenziale di questa rappresentazione sta nella facilità con cui si tracciano i
diagrammi in forma approssimata (diagrammi asintotici) delle funzioni e con cui si ottengono
i diagrammi del prodotto di due funzioni, che consistono semplicemente nella somma dei
diagrammi, rispettivamente del modulo e della fase, delle due funzioni.

2. I diagrammi di Bode dei fattori standard

Consideriamo una generica funzione di rete o di sistema F(s), rappresentata da una


funzione razionale fratta della variabile complessa s. Fattorizzando tale funzione e ponendo
s=jω, i termini che la costituiscono sono in generale una costante e una molteplicità di fattori
monomi, binomi e trinomi

(1) K ; (jω)±1 ; (1+jωτ)±1 ; (1+jω/Qωo-ω2/ωo2)±1

dei quali esaminiamo in quanto segue il tracciamento sui diagrammi di Bode.

Il termine costante K corrisponde alla costante 20 log K nel diagramma del modulo e
a fase nulla in quello della fase. Il fattore monomio (jω)±1, che a seconda del segno
dell’esponente corrisponde a un polo o a uno zero nell’origine, è rappresentato nel
diagramma del modulo da una retta con pendenza di ±20 dB/decade7 che attraversa l’asse
delle ascisse nel punto ω = 1, come
mostrato nella figura nel caso di uno
zero (esponente +1). La fase ha
valore costante, data dal prodotto
dell’esponente per π/2. Si ha infatti:

(2) 20 log |(jω)±1| = ±20 log ω ; /(jω)±1 = ±π/2

7
20 dB/decade è approssimativamente uguale a 6 dB/ottava. Ricordiamo che una decade rappresenta un
intervallo di frequenza i cui estremi sono in rapporto 10; un’ottava, un intervallo i cui estremi sono in rapporto
2.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 10


Per quanto riguarda il fattore binomio, che a seconda del segno dell’esponente
corrisponde a un polo o a uno zero8 alla pulsazione ω = 1/τ, si ha:

(3) 20 log |(1+jωτ)±1| = ± 20 log [1+ω2τ2]±1/2 ; /(1+jωτ)±1 = ±arctang(ωτ)

Cioè nel caso di un polo, al crescere di ω, l’ampiezza prima è costante (0 dB) poi diminuisce
tendendo ad annullarsi, mentre la fase prima è nulla e poi tende a -π/2; nel caso di uno zero,
l’ampiezza prima è costante (0 dB) e poi aumenta tendendo all’infinito, mentre la fase prima
è nulla e poi tende a π/2. Alla pulsazione caratteristica (ω=1/τ), in particolare, il modulo vale
±3 dB e lo fase ±π/4.

Dalla (3) si ricava che il diagramma del modulo presenta due asintoti. Il primo, per
ω<<1/τ, è una retta orizzontale coincidente con l’asse delle ascisse; il secondo, per ω>>1/τ,
con equazione ±20log ωτ, è una retta con pendenza ± 20 dB, che attraversa le ascisse
(incrociando il primo) nel punto ω=1/τ corrispondente alla pulsazione di taglio. Tracciando il
primo asintoto da -∞ a 1/τ e il secondo da 1/τ e +∞ si ottiene il diagramma asintotico,
mostrato a tratto pieno nella figura, che costituisce una rappresentazione approssimata ma
spesso sufficiente. Lo scarto massimo fra il diagramma asintotico e quello esatto, mostrato a
tratteggio, è infatti di 3 dB. Più precisamente, lo scarto è di 3 dB alla pulsazione ω=1/τ, e di 1
dB un’ottava sotto e una sopra, come si ricava dalla (3).

Figura. Diagrammi di Bode


esatti (a tratteggio) e
approssimati (a tratto pieno)
per la funzione 1/(1+jωτ).

Anche per la fase si può utilizzare una rappresentazione approssimata,


considerandola nulla fino a una decade sotto la pulsazione di taglio (1/10τ) e pari al valore
asintotico (±π/2) oltre una decade sopra (10τ), e raccordando le due semirette con un
segmento. In questa approssimazione lo scarto massimo, arctang(0.1) = 5.7°, si ha nei due
punti di raccordo, cioè per ω = 1/10τ e ω = 10/τ.

8
Un caso particolare, sebbene poco frequente in pratica, si ha quando la parte reale dello zero è positiva; in tal
caso lo sfasamento è in ritardo, anzichè in anticipo, variando fra 0 e -π/2 al crescere di ω.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 11


Consideriamo infine il fattore trinomio, che rappresenta una risonanza (più
precisamente una risonanza quando l’esponente vale –1, un’antirisonanza quando vale +1) ed
è caratterizzato dalla pulsazione ωo e dal fattore di merito Q9. Le espressioni esatte sono le
seguenti:

(4) ±20 log [(1 - ω2/ωo2)2 + (ω/ωoQ)2]½

(4a) ±arctang [(ω/ωoQ)/( 1 - ω2/ωo2)]

Il diagramma del modulo presenta due asintoti, come nel caso del fattore binomio, che si
incrociano nel punto ω =ωo: uno orizzontale e l’altro inclinato, ma con pendenza doppia (±40
dB/decade). Ma qui lo scarto fra i diagrammi asintotici e quelli esatti dipende dal valore del
fattore di merito Q (o dello smorzamento ξ, ricordando che ξ=1/2Q). Se Q =½ (vedi nota 9),
lo scarto massimo è 6 dB a ω = ωo. Al crescere di Q lo scarto massimo tende a 20 log Q,
come è mostrato nella figura a sinistra che rappresenta il diagramma del modulo per vari
valori di Q nel caso di esponente –1 (due poli complessi coniugati).

ω/ωo

Anche il diagramma della fase dipende fortemente dal fattore di merito, come mostra la
figura a destra: si nota in particolare che al crescere del fattore di merito la variazione della
fase diventa sempre più rapida in prossimità della frequenza caratteristica, dove peraltro ha
sempre valore costante ±π/2.

9
Si noti che per valori di Q<½ il fattore trinomio degenera nel prodotto di due fattori binomi (corrispondenti a
due poli reali distinti); per Q=½, nel quadrato di un fattore binomio con τ = 1/ωo.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 12


Consideriamo infine la presenza nella funzione F(s) di un fattore di ritardo exp(-sT):
questo termine può rappresentare un ritardo effettivo oppure l’effetto di poli e zeri non
modellizzati nella funzione, perchè intervengono a frequenze più alte della regione che si
intende considerare, ma che offrono contributi non trascurabili alla fase in tale regione10. In
particolare, la fase dovuta a poli e zeri reali non modellizzati può essere rappresentata
approssimativamente così: [Πj (1+τzjs)/Πi (1+τpis)]≈exp(-Στpis +Στzjs) = exp(-Ts).

Il termine di ritardo exp(-Ts) presenta modulo unitario (0 dB) e ritardo di fase


linearmente crescente con ω, cioè con andamento esponenziale nel diagramma della fase.

3. La composizione dei diagrammi di Bode

L’esame preliminare di una funzione F(s) consente di stabilirne i valori asintotici del modulo
e della fase per ωÆ0 e per ωÆ∞, e di verificare che i diagrammi rispettino queste condizioni
limite. Scrivendo la funzione nella forma generale
m

N (s)
∑b s j
j

F (s) =
j =0
(5) =
D (s) n

∑a s
i =0
i
i

il limite per ωÆ∞ del modulo di F(jω) è (bm/an)ωm-n, a cui corrisponde nel diagramma di
Bode un asintoto ad alta frequenza con pendenza 20(m-n) dB/decade; il limite della fase è
costante e vale (m-n)π/2.

Se la funzione non possiede poli o zeri all’origine, e allora i coefficienti ao e bo sono


entrambi diversi da zero, il limite per ωÆ0 del modulo di F(jω) è costante, di valore (bo/ao), e
la fase è nulla. Se la funzione possiede p poli o z zeri all’origine (e allora saranno
corrispondentemente nulli certi coefficienti del denominatore o del numeratore), il limite per
ωÆ0 del modulo della funzione è proporzionale a ω-p oppure a ωz, a cui corrisponde nel
diagramma del modulo un asintoto a bassa frequenza con pendenza -p oppure +z; il limite
della fase è costante e vale –pπ/2 oppure +zπ/2.

I diagrammi di Bode della funzione scritta in forma fattorizzata si ottengono


tracciando i diagrammi asintotici di tutti i fattori che la costituiscono e sommandone i
contributi. Se lo si ritiene necessario, si apporteranno le correzioni: per i fattori binomi, 3 dB

10
Abbiamo visto che un polo reale ritarda la fase di ≈0.1 rad ≈5.7° una decade sotto la frequenza di taglio.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 13


alla frequenza di taglio e 1 dB un’ottava sotto e un’ottava sopra; per i fattori trinomi,
utilizzando l’espressione esatta (4) oppure i grafici riportati in vari testi11.

Esempio 1. Si considera la funzione F(s)=10s/(1+s/102)(1+s/104)(1+s/3*104), con uno zero


nell’origine e tre poli reali. La figura a sinistra, che rappresenta i moduli, mostra i diagrammi

asintotici dei termini che costituiscono la funzione e il diagramma asintotico complessivo, in


tratto spesso, costruito sommandoli. La figura a destra, costruita analogamente, rappresenta la
fase.

Esempio 2. Si considera la funzione F(s) =(1+s/10)/(1+s/100)(1+s/1000), con due poli e uno


zero reale. Qui al diagramma asintotico del modulo (tratto grosso) sono state apportate le
correzioni per ottenere il diagramma esatto (tratto sottile).

11
Per esempio in Savant, Roden, Carpenter Electronic Design-Circuits and Systems Benjamin/Cummings,
Redwood City, 1991, pag. A50; G.V. Pallottino Cibernetica La Goliardica, Roma, 1969, pag. 80

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Esercizio 1. Tracciare i diagrammi di Bode della funzione di trasferimento di una rete “anticipatrice di fase”:
H(s) = 0.1(1+104s)/(1+103s). Disegnare un circuito che realizza tale funzione: a) usando elementi passivi R e C,
b) usando un amplificatore operazionale ed elementi passivi R e C.

Esercizio 2. Tracciare i diagrammi di Bode della funzione di trasferimento di una rete “ritardatrice di fase”:
H(s) = 0.5(1+103s)/(1+104s). Disegnare un circuito che realizza tale funzione: a) usando elementi passivi R e C,
b) usando un amplificatore operazionale ed elementi passivi R e C.

Esercizio 3. Un amplificatore con guadagno 106 viene impiegato in un circuito a controreazione con funzione di
trasferimento ad anello aperto12 L(s) = -106β/(1+s/2π10)(1+s/2π103)(1+s/2π104). Tracciare i diagrammi di Bode
della funzione per stabilire il valore del parametro β per cui l’amplificatore reazionato diventa instabile, cioè vi è
una frequenza a cui la fase di L(jω) assume il valore -2π e il modulo è unitario (0 dB).

Osservazione finale: qualora per tracciare i diagrammi di Bode si ricorra al


calcolatore, occorre fare attenzione alla corretta determinazione della fase per evitare i
problemi menzionati a pag. 23 della parte V.

12
vedi pag. 3 parte VIII

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APPENDICE C

L’AFFIDABILITA’

1. Cenni sull’affidabilità

L’affidabilità (reliability) R(t) di un oggetto (elemento, circuito o sistema)


rappresenta la sua probabilità di sopravvivenza funzionale in condizioni operative specificate
(per esempio la temperatura) dopo un tempo t dalla sua messa in funzione13.Questa funzione
può essere stimata sperimentalmente mettendo in funzione N(0) oggetti a un dato istante
(t=0) e determinando quanti di essi N(t) sopravvivono in funzione del tempo trascorso t. Si
ottiene così la stima (funzione del tempo):

(1) R(t) = N(t)/N(0)

Il complemento all’unità dell’affidabilità è la probabilità di guasto F(t) o


inaffidabilità:

F(t) = 1 – R(t)

Derivando la (1) rispetto al tempo si ha: dR/dt = (1/N(0))dN/dt. Dividendo membro a


membro per la (1) si ricava: (1/N(t)) dN/dt = (1/R(t)) dR/dt , che rappresenta la variazione
relativa degli oggetti nel tempuscolo dt. Questa grandezza, cambiata di segno, prende il nome
di tasso di guasto (failure rate):

1 dN 1 dR
(2) λ (t ) = − =−
N (t ) dt R(t ) dt

Integrando la precedente e tenendo conto che R=1 per t=0, si ricava infine:

 t 
(3) R(t ) = exp  − ∫ λ (τ )dτ 
 0 

Se il tasso di guasto λ non dipende dal tempo, allora si trova che l’affidabilità segue la
legge di decadimento esponenziale:

13
I. Bazovsky Principi e metodi dell’affidabilità Etas Kompass, Milano, 1969

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 16


(4) R(t) = exp (-λt)

Il reciproco di λ prende il nome di tempo medio fra i guasti MTBF (mean time
beween failures): MTBF = 1/λ. Questa grandezza viene misurata in pratica come il valor
medio degli intervalli di tempo fra un guasto e l’altro di un apparato in prova.

In generale il tasso di guasto λ non è costante nel ciclo di vita dell’oggetto


considerato. In molti casi di interesse pratico l’andamento è quello a forma di vasca da bagno
(bathtube), mostrato nella figura. La parte iniziale della curva (mortalità infantile) dipende da
difetti di fabbricazione o di montaggio che si manifestano nel primo periodo di
funzionamento (circa 1 anno per i circuiti integrati). La parte successiva, che dipende dai
guasti casuali (random failures), si estende su tempi assai più lunghi (in particolare, per i
componenti elettronici). La parte finale, con una crescita lenta e graduale di λ, rappresenta
l’invecchiamento o il deterioramento dei componenti.

λ(t) invecchiamento
mortalità
infantile

tempo
L’affidabilità R(t) di un sistema costituito da più componenti, ciascuno dei quali sia
essenziale per il suo funzionamento (in tal caso si dice che tali componenti sono “in serie” dal
punto di vista affidabilistico) è data dal prodotto delle affidabilità Ri(t) di ciascuno di questi:
R(t) = Π Ri(t). Nel caso di guasti casuali (λi = cost) si ha:

(5) R(t) = Π Ri(t) = Π exp (-λit) = exp (-λt)

dove il tasso di guasto complessivo è λ = Σλi

Ne consegue che l’affidabilità di un sistema costituito da più parti componenti


diminuisce assai rapidamente al crescere del numero di queste. E qui sono evidenti i vantaggi
offerti dall’elettronica integrata: un singolo circuito integrato, che può comprendere un
numero anche assai elevato di elementi, ma che costituisce un unico oggetto fisico, ha

Theory of Reliability a cura di A.Serra e R.E.Barlow, Atti della scuola internazionale di fisica Enrico Fermi
(1986), North Holland, Amsterdam, 1986

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affidabilità assai maggiore di quella di una realizzazione in forma “discreta”, cioè ottenuta
mettendo assieme i singoli elementi (pensiamo soltanto al numero delle saldature necessarie).

2. I criteri per ottenere elevata affidabilità

I criteri seguiti nella progettazione dei sistemi allo scopo di ottenere elevata
affidabilità consistono in generale: a) nell’impiego di componenti di alta affidabilità (ottenuti
anche mediante tecniche di scelta o vagliatura (screening) dei componenti); b) nel prevedere
che i componenti siano impiegati a livelli di sollecitazione (elettrici, termici, meccanici, ecc.)
inferiori a quelli per cui essi sono stati progettati); c) nell’uso di tecniche di ridondanza o
tolleranza ai guasti (fault tolerance).

Il criterio della ridondanza consiste nel far sì che il funzionamento di un sistema non
dipenda criticamente dal funzionamento di tutti i suoi componenti. Si dice, in tal caso, che i
componenti dal punto di vista affidabilistico non sono disposti “in serie” (in tal caso il guasto
di uno di essi produrrebbe il guasto dell’intero sistema), ma “in parallelo” (e allora il sistema
è soggetto a guasto solo quando si sono guastati tutti i componenti disposti “in parallelo”).
Questo criterio consente di migliorare notevolmente l’affidabilità. Per esempio, ponendo “in
parallelo” due elementi con probabilità di guasto F1 = 1 - R1 ed F2 = 1 - R2, la probabilità di
guasto del loro insieme diventa F = F1 F2, sicchè l’affidabilità complessiva è R = 1 - F = 1 -
F1 F2 = R1+R2 - R1R2, cioè assai maggiore di quella dell’uno o dell’altro dei due componenti.

Questa soluzione può essere adottata anche a livello del singolo componente
impiegando la configurazione denominata quad. Cioè sostituendo il componente (per
esempio un condensatore di filtraggio di un alimentatore) con quattro identici collegati
circuitalmente in serie-parallelo come indicato sotto.

Esercizio. Calcolare la probabilità di guasto F del quad, in funzione delle probabilità


di guasto del singolo componente (fc per il guasto in corto ed fa per il guasto a circuito
aperto), considerando separatamente la probabilità di guasto per cortocircuito e per circuito
aperto. Valutare, a seconda del rapporto fra le probabilità di guasto per cortocircuito e per
circuito aperto del componente, l’opportunità di mantenere o eliminare il collegamento (al
centro dello schema) indicato con tratto più marcato.

gvp – 27 Agosto 2004 Appunti di Elettronica - Appendici pag. 18


La ridondanza viene attuata di solito, più significativamente, a livello di sottosistema.
Per esempio disponendo “in parallelo” due amplificatori e utilizzando poi un deviatore (che
ovviamente deve essere assai più affidabile del resto) per scegliere quale di questi utilizzare
effettivamente. O addirittura (criterio di riconfigurabilità) affidando al software di un sistema
digitale il compito di utilizzare l’uno o l’altro sottosistema (per esempio un banco di memoria
o un microprocessore) a seconda del suo stato di funzionalità.

Per disporre di componenti di elevata affidabilità si seguono varie strade, in ogni caso,
ovviamente, utilizzando oggetti già rodati, cioè che abbiano già “vissuto” a sufficienza,
superando la fase della mortalità infantile. Una di queste consiste nell’utilizzare dispositivi
(evidentemente assai più costosi del normale) costruiti in condizioni controllate, in linee di
produzione speciali per le esigenze del mercato militare e spaziale. Un’altra consiste nel
“qualificare”14 i componenti, eseguendo su di essi varie prove (cicli termici ripetuti,
vibrazioni meccaniche, prove radiografiche, prove di rumore, ecc.). Queste prove sono mirate
sia a scoprire difetti (contaminazioni superficiali, difetti strutturali, ecc.) che si sarebbero
potuti manifestare in tempi successivi, sia a verificare il comportamento dei dispositivi in
condizioni di elevate sollecitazioni.

Un altro criterio consiste nel prevedere che i componenti siano impiegati in condizioni
di sollecitazione (elettrica, termica, meccanica, ecc.) decisamente inferiori a quelle per cui
essi sono stati progettati. Il motivo è che, in generale, l’affidabilità dipende dal livello di
sollecitazione in condizioni di esercizio. Essa, in particolare, diminuisce all’aumentare della
temperatura (del resto è ben noto che un resistore che “scalda troppo” finisce male presto!)
sicchè conviene “deratare”, cioè, tutte le volte che è possibile, scegliere componenti più
“robusti” rispetto a quanto strettamente necessario. Per esempio, scegliere un resistore da 1
W e non da 250 mW quando la dissipazione prevista è di 100 mW; usare un transistore con
tensione limite inversa di almeno 100 V quando si prevede che esso sarà soggetto a non più
di 30 V; ecc.

In particolare, il fatto che l’affidabilità diminuisce all’aumentare della temperatura


viene sfruttato nelle prove di vita accelerate a caldo (burn in) a cui si sottopongono talvolta i
componenti, prima di impiegarli, allo scopo di fargli attraversare più rapidamente il periodo
iniziale caratterizzato da alto tasso di guasto. Notiamo anche che la dipendenza

14
In realtà quello che si qualifica è il lotto o la linea di produzione, non il singolo componente maltrattato dalle
prove.

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dell’affidabilità dalla temperatura viene posta spesso in relazione con la legge di Arrhenius
(la velocità delle reazioni chimiche in soluzione raddoppia per ogni aumento di 10 K della
temperatura), attribuendogli dunque una dipendenza esponenziale dalla temperatura. Si
considera allora il modello

(6) R(T ) = R (To ) exp  − kEa


 ( 1
T )
− T1o 

dove k è la costante di Boltzmann, Ea l’energia di attivazione caratteristica del processo di


degradazione (con valori tipici di una frazione di eV).

Notiamo infine che i calcoli di affidabilità sono spesso poco affidabili in assoluto e
dunque solamente indicativi (in pratica sono verificati sperimentalmente entro mezzo ordine
di grandezza), sopratutto per la difficoltà di procurare dati di affidabilità sui componenti, che
siano a loro volta sufficientemente affidabili. Ma questi calcoli sono certamente utili nel
confronto fra diverse soluzioni di progetto.

Nei calcoli di affidabilità si usa impiegare opportuni fattori, per esempio relativi alla
effettiva temperatura di lavoro dei componenti e al livello delle sollecitazioni ambientali, che
vanno a moltiplicare i valori di λ. Valori approssimati di questi coefficienti sono i seguenti.

Per la temperatura 0-20 40 60 80 100 120


T (°C)
1 1,3 2 4 10 30
Per le sollecitazioni ambientali
apparati fissi di terra 1 apparati mobili 4 apparati su missili 10

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