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1. Introduzione 5
6. Tavole 337
8. Bibliografia 505
1. INTRODUZIONE
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deciso di prestare attenzione ad alcune di queste personalità, approfondendo le
dinamiche del mondo degli stampatori e dell’industria libraria. Le prime imprese
editoriali sono state messe in relazione con le parallele strategie dispiegate dalla
Serenissima per il controllo e il monopolio della produzione culturale ed economica del
libro a stampa, che trovano applicazione nel sistema dei privilegi per la tutela dei diritti
commerciali e intellettuali. Il mercato del libro prese dunque forma attraverso l’attività
di intraprendenti tipografi e della loro rete di agenti e distributori. La vasta letteratura
che si fonda sulle indagini di Pastorello (1924, 1933), Norton (1958) e Zorzi (1986,
1990) ha fatto emergere un clima culturale in fermento, dal quale si è tentato di
ricavare l’equivalente in campo incisorio. La mancanza di testimonianze antiche ha
ostacolato la restituzione della reale portata del primo collezionismo di stampe, più
documentato dalla metà del secolo e reso noto soprattutto grazie alle ricerche di Bury
(1985), Borea (1979), Landau e Parhall (1994). Si è cercato di rintracciare la
consistenza del precoce intesse per la raccolta di stampe mettendo a frutto la
pubblicazione dell’inventario di Fernando Colombo curata da Marc McDonald nel
2004. Con i suoi esemplari, raccolti tutti entro il 1520 e il 1522, questo si configura
come la prima collezione sistematica di stampe del XVI secolo. La lettura attenta
dell’inventario, con l’ausilio dei repertori sui privilegi di stampa editi da Rinaldo Fulin
(1882) e Christopher Witcombe (2004), ha incoraggiato a portare ulteriori precisazioni
sulla genesi di alcune delle più note xilografie monumentali realizzate a Venezia,
argomentando un deciso affondo sulla xilografia del Trionfo di Cristo di Tiziano.
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secolo che ha portato alla definizione della vita e dell’opera di Albrecht Dürer contiene
numerose contraddizioni interne. Non si tratta di una storia lineare che assomma
conoscenze, ma di una storia frammentaria che si ripiega costantemente su se stessa.
Giovanni Maria Fara (2007) l’ha definita la storia di un fraintendimento. Per affrontare
l’influenza düreriana sull’arte veneziana si è dovuta maneggiare la vasta bibliografia,
portando all’emersione alcune lacune nella ricostruzione operata dalla critica, in troppi
casi priva di riferimenti alle fonti più antiche e poco portata a riflettere sui testi
pittorici e grafici. Si è ritenuto pertanto necessario riepilogare i problemi storiografici
dei due soggiorni, chiaroscurando contraddizioni, incertezze, errori e ambiguità e
cercando di precisare cronologia, motivazioni e ripercussioni artistiche. L’attenzione è
stata posta in particolare sugli acquerelli di paesaggio, con l’intenzione di motivare la
postdatazione di alcuni fogli suggerita da Alessandro Ballarin. Sono stati dunque
riesaminati testi poco segnalati, l’intervento di Beenken del 1936 e quello di Kristina
Hermann Fiore del 1972, che avevano prospettato la possibilità di creare delle
distinzioni cronologiche all’interno degli acquerelli, trattati tradizionalmente come un
gruppo omogeno da datare al 1494-1495, secondo l’autorevole interpretazione di
Winkler (1936-1939) e Koschatcky (1971).
In questo stesso capitolo si sono investigati gli spostamenti minori del pittore,
a Padova, Bologna, Ferrara e la questione del viaggio a Roma, concentrando infine
l’attenzione sui rapporti tra l’artista e l’ambiente lombardo. La relazione tra Dürer e
Leonardo è un soggetto cardine della letteratura critica, declinato però principalmente
sul piano delle affinità teoriche tra i due artisti. Mettendo a frutto gli indirizzi
d’indagine emersi in occasione della pubblicazione dei volumi del 2010 a cura di
Alessandro Ballarin, si è sviluppata una ricerca atta a scoprire le affinità tra l’opera
düreriana e quella leonardesca dall’anno 1503, sfruttando gli intramontabili stimoli di
Erwin Panofsky (1943) e quelli recenti dei contributi di Giovanni Maria Fara (2012) e
Simone Ferrari (2013), che hanno riportato l’attenzione sul possibile viaggio di Dürer
in Lombardia.
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nacque alla sua epoca come prodotto dell’umanesimo tedesco, fu alimentato attraverso
il fenomeno della Dürerrenaissance e trovò nuova consistenza con il nazionalismo degli
inizi del XX secolo. Nell’ultimo capitolo, l’analisi dei testi figurativi è dunque
preceduta da un’ampia discussione critica volta a raffrontare il versante tedesco e
quello italiano della storiografia artistica. Tale disamina si è dimostrata necessaria per
la costatazione di una ricerca che appare essersi arenata: tutti sembrano riconoscere
l’influenza, limitandosi a citarla. Essa non è mai stata scandagliata in maniera
approfondita, soprattutto in ambito pittorico, privilegiando i confronti con la grafica. Si
è dunque sviluppato un riepilogo critico attorno al concetto di “deutsche Element”,
coniato dagli storici dell’arte tedeschi agli inizi del Novecento, ripercorrendo le
principali tappe dello studio dell’influenza düreriana dal XVI secolo a oggi. Allo stesso
modo, per afferrare la complessità del rapporto tra Venezia e la Germania, sono stati
indagati gli aggiornamenti che investirono la pittura nordica, tesa verso la
maturazione di un Rinascimento propriamente tedesco. Questa doverosa analisi ha
gettato le premesse per giungere a comprendere con quali modelli e prototipi della
“maniera tedesca” i pittori veneziani si confrontassero. Sono state considerate alcune
fonti in grado di riportare il gusto e l’immagine che i pittori italiani avevano dell’arte
nordica, associata alla rappresentazione paesaggistica, a un ritratto individualizzato e
concreto, a una forte espressività del segno.
Sullo sfondo di queste riflessioni sono stati scelti tre grandi ambiti di ricerca
selezionati per la loro capacità di restituire in modo significante le declinazioni del
dialogo tra Nord e Sud: paesaggio, ritratto e colore. Queste aree sono quelle che hanno
visto attivi i maggiori protagonisti, Giorgione, Tiziano e Lorenzo Lotto, impegnati a
offrire una personale risposta alle sollecitazioni nordiche. La prima sezione sul
paesaggio ha dimostrato come un nuovo interesse per questo genere sia stato stimolato
dall’incontro con l’arte tedesca. Per la prima volta il paesaggio acquistò un ruolo di
primo piano nella pittura veneziana e assunse carattere di forte protagonismo negli
eventi rappresentati, oltre a segnalare veri e propri prestiti dal repertorio. La
riflessione ha ruotato intorno alla Fuga in Egitto di Tiziano, recentemente restaurata e
riconsegnata agli studi attraverso due mostre a Londra e a Venezia. L’altro dipinto al
centro della discussione è stato il san Girolamo di Lorenzo Lotto del Louvre, la cui
problematica iscrizione lo rende un testo particolarmente rilevante per l’evoluzione
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paesaggistica veneziana, rischiando di fare di Lotto, qualora si accetti la data 1500, un
comprimario di Giorgione. La nascita del ritratto moderno veneziano è stata
raccontata a confronto con la ritrattistica düreriana, che suggerì ai pittori veneti di
orientare i propri stilemi formali verso una connotazione realistica, più individuale e
indagata psicologicamente, dove i moti dell’animo emergono in una resa somatica
incisa e non più idealizzata. Infine, si è messa a confronto l’immediata risposta
coloristica di Giorgione, Tiziano e Lotto all’apparizione della Festa del Rosario
sull’altare di san Bartolomeo che, per l’ esplosione dei colori, costrinse questi artisti ad
accelerare le proprie sperimentazioni cromatiche.
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