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Il Training Autogeno
Ricerca e Sintesi a cura di Claudio Bux
Indice
Introduzione e storia...............................................................................................................2
Scopi ed aree di effetto...........................................................................................................2
Metodologia del Training Autogeno.........................................................................................3
Come e quando praticare il training........................................................................................4
Cenni di istologia ed anatomia................................................................................................6
Gli esercizi del training autogeno............................................................................................9
L’esercizio del peso............................................................................................................................
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Esercizio del calore..............................................................................................................
...............10
Esercizio del respiro ed esercizio del cuore...................................................................................... ..11
Esercizio del plesso solare..................................................................................................................12
Esercizio della fronte fresca................................................................................................................13
Piano d'allenamento e pratica...............................................................................................14
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Training Autogeno Claudio Bux
Introduzione e storia
Il Training Autogeno è una tecnica scientifica di rilassamento nata nel 1932, sperimentata dal
neurologo di Berlino J.H.Shultz. Questa disciplina si compone di una totalità di esercizi, che hanno
come finalità l'eliminazione dello stress, dell'ansia, della tensione e il recupero delle energie assorbite
dalla routine quotidiana.
Gli studi di Shultz furono riuniti in “Das Autogene Training” nello stesso anno di nascita della
disciplina, la cui divulgazione fu particolarmente rapida. Shultz, un medico specializzato in
psicoanalisi e psichiatria, innestò i suoi studi in un periodo in cui le tecniche di psicoterapia dinamica
lasciavano il posto a nuovi sistemi completamente nuovi nati dal pensiero di Charcot, Janet e Freud. Il
Training Autogeno scaturisce dai suoi approfonditi studi sull’ipnosi, ed è di per sé una tecnica
ipnotica: Shultz in numerosi esperimenti rilevò che suggerendo al paziente stati di calma e di
benessere, affioravano sensazioni autoindotte, quali leggero calore diffuso per il corpo e pesantezza
agli arti. Ecco quindi emergere la teoria del Training Autogeno: educando una persona ad immergersi
in uno stato di distensione e di tranquillità, questa dovrebbe percepire le stesse sensazioni “spontanee”
percepite con l’ipnosi. Si sottolinea quindi che l’obiettivo del Training è di fornire la capacità di
raggiungere rilassamento muscolare e calma psichica, sviluppare le nostre potenzialità indirizzandole
verso la pace interiore.
Scopi ed aree di effetto
Che cosa serve il training? Perché si pratica? Se da una parte la pratica superficiale del training porta
solamente a danni, una pratica corretta può portare a salute e cura. Come la ginnastica fisica, il
training è utile per mantenere sana una persona sana, liberandola dallo stress e dalla fatica della vita
quotidiana, oppure può essere d’ausilio per chi ha malformazioni muscolari, difetti di sviluppo o vizi
di portamento ma non solo: se si considera il training anche come una ginnastica sia fisica che
mentale, la pratica risulta utile per la prevenzione e per la cura di alcune patologie mentali e disturbi
psicosomatici o nevrotici, nonché concorre al mantenimento dell’equilibrio psicofisico.
Il training provoca la modificazione di funzioni psichiche e somatiche tra cui il tono muscolare, la
funzionalità cardiovascolare, l’attività polmonare, e lo stato di coscienza.
Si ottengono modificazioni in senso opposto a quelle provocate da uno stato di tensione, di ansia e di
stress, quindi il training si rivolge a tutti coloro che sostengono un tenore di vita elevato e che hanno
bisogno di alleviare le proprie tensioni emotive che sono somatizzate nei seguenti disturbi più o meno
diffusi:
● Disturbi del sonno
● Ansia diffusa
● Minor resa sul lavoro e nello studio
● Miglioramento delle funzioni mentali
● Cefalee mal di testa
● Tensione (psichica e muscolare)
● Disturbi gastrointestinali
● Attacchi di panico
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● Disturbi della sfera sessuale
● Difficoltà di concentrazione
● Difficoltà nei rapporti affettivi
● Asma disturbi respiratori
● Stanchezza
● Disturbi alimentari
● Paure
Il training rende il riposto più profondo e più rapido, ed elimina i momenti di stanchezza che possono
assalire durante la giornata; migliora le prestazioni dell’individuo in generale nelle attività intellettive,
lavorative e scolastiche e sportive; amplifica e migliora funzioni mentali quali la creatività, la capacità
mnemonica e concentrativa e l’elimina pensieri fuorvianti e stimoli nocivi provenienti dal mondo
esterno. Il training comporta anche analgesia dei disturbi cronici quali pruriti o dolori diffusi e
sviluppa l’autocritica e l’autocontrollo con un duro lavoro di introspezione.
Nell’ambito sportivo il Training viene usato per:
● Contrastare l’ansia e la tensione preagonistica
(che aumenta notevolmente dalla notte prima della competizione fino all’inizio della gara)
● Aumentare la consapevolezza e la sicurezza dell’atleta
● Diminuire le risorse/energie perse a causa di tensioni muscolari incontrollate
L’ultimo punto è di fondamentale importanza, sia negli sport di resistenza che non: un velocista che
corre con i pugni serrati sottrae preziose energie alle gambe con una contrazione non utile alla
prestazione, indipendentemente dal fatto che la contrazione non necessaria sia scaturita da tensione o
da abitudine.
Metodologia del Training Autogeno
L’etimologia stessa della parola ne rivela la modalità di studio: “Training” significa allenamento, ossia
un apprendimento graduale di esercizi appositamente studiati per raggiungere l’equilibrio
neurovegetativo; gli esercizi possono essere ripartiti in due gruppi, gli esercizi che costituiscono il
“ciclo inferiore” o “somatico”, prevalentemente orientati verso il corpo, ed il “ciclo superiore” o
“psichico”, indirizzati ad agire sulla mente e sullo spirito. In entrambi i cicli sono presenti entrambe le
componenti, semplicemente nel primo ciclo prevale l’approccio fisico all’esercizio, nel secondo
quello mentale; tuttavia una componente non esclude l’altra: se nei primi esercizi prevale la fisicità,
per ottenere i risultati sperati è necessario l’intervento della mente, attraverso la quale si manifestano
tutte le sensazioni scaturite dalla pratica; il secondo gruppo di esercizi invece può essere praticato
solamente da chi è in grado di dialogare col proprio corpo e di percepirlo in ogni sua parte.
“Autogeno” significa “che genera da sé”, per indicare che la messa in pratica della tecnica venga
generata dal soggetto stesso in modo autonomo, adattandola alle proprie esigenze.
Il paziente diviene quindi diretto artefice della propria terapia, educazione e salute. Infatti, a
differenza dell’ipnosi, il training gioca su un rapporto “monadico” (non “diadico” dell’ipnosi) con sé
stessi: venendo a mancare la presenza dell’ipnotista, elemento di disturbo per la filosofia del training,
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il praticante potrà focalizzare tutta la sua attenzione e disponibilità verso sé stesso come se la
mostrasse verso l’ipnotista.
In questo rapporto di esclusività con il proprio io si avrà una liberazione dal condizionamento esterno,
ed una passività dell’esecutore. La passività del training autogeno non è da confondere per abulia o
per indolenza, ma è un atteggiamento mentale liberatorio di abbandono: è uno stato di
contemplazione dei propri fenomeni corporei e psichici chiamato “Concentrazione Passiva”.
L’imperturbabilità che questa “concentrazione” apre il dialogo con sé stessi e permette il rilassamento;
è grazie a questa imperturbabilità che alcuni praticanti vedono il Training Autogeno come un’isola
deserta in cui ognuno di noi si può rifugiare nei momenti di maggiore stress e tensione.
Come e quando praticare il training
Essendo il training una tecnica “liberatoria”, non può sottostare ad imposizioni di alcun genere,
pertanto prima di iniziare al praticare gli esercizi bisogna sempre effettuare una verifica interiore della
propria disponibilità al rilassamento. Obbligarsi all’esercizio quotidiano senza reale motivazione è
sbagliato, l’allenamento senza motivazione è completamente inutile, se non dannoso. Interrogarsi è
semplice: basta sdraiarsi in posizione comoda e chiedere a sé stessi se il desiderio di fare esercizio è
razionale o se è un’imposizione al corpo; se il corpo è rilassato e c’è disponibilità allora è possibile
proseguire, se invece il corpo “si ribella” e mantiene rigidità, oppure se il praticante stesso dimostra
un attaccamento morboso al proprio stato di tensione, è preferibile rinunciare e riprovare in un
secondo momento. Se si è pronti al dialogo con sé stessi si è pronti all’esercizio, che viene sempre
accompagnato da “frasiguida” simili ai Mantra dello yoga, che servono per catalizzare la buona
riuscita dell’esercizio. La persuasione verbale è molto importante nel training, perché sostituisce
quell’induzione trasmessa dall’ipnotista (si ricorda che il training rimane sempre una forma di ipnosi).
Le frasi abbassano le difese mentali del soggetto e lo preparano all’esercizio, infondendo nel corpo
sensazioni di abbandono e di quiete interiore. Ad esempio, durante l’esercizio del peso, si usa ripetere
frasi come “Le mie braccia sono pesanti”.
La formula può essere ripetuta a voce o mentalmente, ma mai in modo ossessivo poiché diverrebbe
elemento di disturbo; la fraseguida serve per avviare la concentrazione passiva dalla quale scaturirà,
in questo caso, la sensazione di pesantezza agli arti. Le frasi guida possono anche essere sostituite da
immagini mentali, come per esempio l’immagine di una forza che spinga le braccia contro il suolo, e
che il suolo si incurvi e si deformi per l’eccessiva pesantezza degli arti.
L’effetto sortito è il medesimo. Anche l’induzione subliminale dell’ambiente circostante è di
fondamentale importanza: bisogna assecondare l’introspezione eliminando qualsiasi forma di
disturbo. Le stimolazioni acustiche e visive devono essere ridotte ai minimi termini (rumori, oggetti o
arredamento dai colori appariscenti, tv e radio accese…), così come il disturbo derivante dalla
temperatura; la camera in cui ci si esercita deve essere silenziosa, isolata dagli sbalzi di temperatura e
in penombra. L’abbigliamento non è importante, ci si può vestire in qualsiasi modo, è sufficiente che
questi non diano impedimenti. Evitare quindi nodi alle cravatte, colletti stretti, cinture, scarpe, occhiali
o lenti a contatto, in pratica tutto ciò che può essere scomodo o fastidioso.
Per praticare è anche necessario assumere posizioni corrette che favoriscano il rilassamento; Shultz ne
aveva individuate tre: la posizione “supina”, la posizione “in poltrona” e la posizione “sullo sgabello”.
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Posizione supina: E’ la posizione più semplice tra quelle usate per la pratica; è sufficiente sdraiarsi a
terra, possibilmente su un materassino per non stare scomodi, e poi incominciare l’ispezione di tutti i
segmenti del corpo per verificare che la posizione sia corretta. Si parte dal controllo del capo, bisogna
verificare che sia rilassato, che la mandibola sia “cascante” e non serrata o in tensione. Se risulta
difficile rilassare i muscoli del collo è possibile utilizzare un cuscino sottile per eliminare la tensione;
mentre gli occhi sono aperti. Si passa a controllare in seguito gli arti: le spalle devono essere sciolte
così come il resto della cintura scapoloomerale; per facilitare il rilassamento delle spalle, le braccia
vanno tenute distese lungo i fianchi orizzontalmente e dirette verso i piedi, i gomiti leggermente
flessi, le dita rilassate e leggermente incurvate. Le gambe sono tese in avanti, le ginocchia rilassate, i
talloni non uniti e le punte dei piedi divaricate. Un volta in posizione, si procede con la sintesi
corporea, ossia un’ulteriore verifica della posizione: basta chiudere gli occhi e scandagliare col
pensiero il proprio corpo, per verificare che non ci siano ancora parti in tensione.
Se non ce ne sono si può procedere con l’esercizio.
Posizione in poltrona: Per utilizzare questa posizione bisogna disporre di una poltrona con lo
schienale alto ed il sedile profondo. In questa posizione ci si abbandona completamente alla poltrona,
la testa è appoggiata allo schienale cosi come la colonna vertebrale che deve adagiarsi e modellarsi
lungo la spalliera. Le braccia assecondano la forma del bracciolo, le dita delle mani sono rilassate; le
gambe non devono scivolare, perciò devono essere sostenute dalle ginocchia (per questo è necessario
disporre di una poltrona la cui profondità sia pari alla lunghezza delle nostre cosce) che restano
divaricate. Le piante dei piedi appoggiano per terra; dopo la sintesi corporea è possibile praticare.
Posizione sullo sgabello: Questa posizione viene anche detta posizione del cocchiere perché
assomiglia molto alla posizione di riposo che i cocchieri assumevano durante una corsa e l’altra. Il
soggetto qui è seduto su uno sgabello, il tronco è sostenuto e il capo è rilassato in avanti tra le spalle.
La colonna deve essere leggermente incurvata in avanti, i muscoli intercostali rilassati e la testa a
ciondoloni mentre le spalle sono cadenti in avanti. Gli avambracci sono rilassati e poggiano sulla
coscia, le mani sono cascanti e pendono verso la parte interna delle gambe, che sono divaricate; i
piedi sono leggermente più in avanti rispetto alle ginocchia. Ancora si procede con la sintesi corporea
e quindi con l’esercizio.
Nell’assumere le posizioni elencate non bisogna essere perfezionisti o fiscali, non serve a nulla
controllare al centimetro la posizione degli arti, ciò che importa è trovare la posizione più consona a
sé, il training è un metodo che ogni praticante deve adattare alle proprie potenzialità e caratteristiche:
le indicazioni sulle posizioni vanno assunte con elasticità, come linee guida non come dogmi. Il
training almeno per i primi tempi va praticato abbastanza frequentemente, Shultz raccomandava di
esercitarsi per tre volte al giorno, ma mantenere una tale frequenza può risultare difficile. Una o due
volte al giorno può essere sufficiente. La scelta del momento per praticare va fatta in base alla propria
giornata, si sconsigliano però le ore tarde, e le ore dopo i pasti perché si può entrare in uno stato di
sonnolenza, e gli impegni tra un buco e l’altro perché portano solamente a stati di ansietà. La
frequenza quotidiana è quindi importante, ma non va mai dimenticata la buona disponibilità verso sé
stessi, necessaria per praticare.
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Cenni di istologia ed anatomia
E’ bene tenere presente le funzioni del corpo nel suo complesso prima di affrontare gli esercizi, in
modo da trarre maggior beneficio dalla pratica. Inoltre conoscere il corpo umano aiuta nella
visualizzazione della parte del corpo su cui si lavorerà negli esercizi, rendendo più rapida ed
immediata l’esecuzione.
Per procedere alla pratica del training è bene conoscere il tessuto muscolare e il
meccanismo di contrazione. Il tessuto muscolare è costituito da elementi in grado di
contrarsi, più specificatamente da due tipi di proteine, l’Actina e la Miosina, e da cellule
muscolari.
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la fase sistolica, contro la regione toracica con cui sono in contatto: lo “scontrarsi” dei
due tessuti provoca il rumore del battito, e nelle persone molto magre è addirittura
possibile assistere ad un sollevamento dell’area colpita. Il sangue è costituito da plasma,
proteine, sali minerali e sostanze nutritizie; nel sangue sono presenti anche alcune
cellule prodotte dal midollo osseo e dalla milza, come gli eritrociti (globuli rossi)
responsabili del trasporto dell’ossigeno, i leucociti responsabili della risposta immunitaria
e le piastrine che rivestono un ruolo fondamentale nella coagulazione. Il sangue scorre
nei vasi sanguigni che sono di tre tipi: le arterie trasportano il sangue dal cuore alle zone
periferiche del corpo; le pareti delle arterie sono costituite da tre tuniche, di cui la media
è formata da muscolatura involontaria liscia, che facilita lo scorrimento del sangue; le
pareti delle arterie sono molto elastiche. Le vene sono costituite anch’esse da tre
tuniche, ma sono meno elastiche e portano il sangue dalle parti più distali del corpo al
cuore. I capillari sono vasi di piccolissimo calibro che formano fitte reti di vasi, costituiti
da pareti sottilissime che fanno di loro l’elemento di transizione tra tessuti, vene ed
arterie per eccellenza. Ciò che permette gli scambi gassosi tra l’apparato circolatorio e
l’esterno è l’apparato respiratorio, i cui componenti principali sono i polmoni due organi
spugnosi posti nella cavità toracica e rivestiti da due membrane dette pleure. Il processo
di ventilazione si compone di due momenti: l’Inspirazione e l’Espirazione.
Nell’ispirazione, il diaframma (muscolo che separa il torace dall’addome) si abbassa e i
muscoli intercostali si contraggono, provocando l’allargamento della cassa toracica e
l’espansione dei polmoni; l’aria viene quindi richiamata all’interno, passa dalle narici e
fluisce nelle cavità nasali dove viene riscaldata e filtrata. Passa dalla faringe, dalla
laringe e dalla trachea che si divide in due bronchi: uno diretto al polmone destro ed un
altro al polmone sinistro. I bronchi si dividono in bronchioli, che a loro volta sono
suddivisi in alveoli circondati da capillari, a livello dei quali avviene lo scambio gassoso
tra polmoni e sistema circolatorio per diffusione. Durante l’espirazione, il diaframma ed i
muscoli intercostali si rilassano, e l’aria viene espulsa passivamente, anche se una certa
quantità d’aria, detta aria residua viene sempre trattenuta. In un uomo i polmoni
possono assorbire 7500 ml di aria al minuto, e in ogni minuto avvengono 13-16 atti
respiratori (21 nella donna). La ventilazione è controllata dai neuroni dei centri
respiratori localizzati nel midollo allungato, le cui scariche stimolano i muscoli intercostali
e il diaframma a contrarsi. Il centro respiratorio è sensibile alla presenza di anidride
carbonica nel sangue: se ve n’è troppa regola la frequenza respiratoria. Se trattiene il
fiato troppo a lungo, il centro respiratorio obbliga il diaframma a contrarsi e a rilassarsi
freneticamente obbligandoci a respirare contro la nostra volontà. La frequenza
respiratoria viene anche alterata dalle emozioni e dagli stati d’animo. Gli organi e
apparati citati sopra sono controllati dal sistema nervoso centrale, e i tessuti che li
costituiscono sono innervati, ossia sono intrecciati a tessuto nervoso. L’unita di base del
tessuto nervoso è il neurone, una cellula dotata di due importanti proprietà: l’eccitabilità,
ossia la capacità di ricevere vari stimoli e di trasformarli in impulsi nervosi, e la
conducibilità, ossia la capacità di condurre e portare gli impulsi nervosi ad altre cellule. Il
neurone è formato da un corpo centrale detto pirenoforo, da cui partono varie
ramificazioni dette dendriti che trasmettono gli impulsi dall’esterno al corpo cellulare, e
un prolungamento più pronunciato detto assone che trasmette gli impulsi verso
l’esterno. Questi assoni riuniti in fasci e vascolarizzati sono meglio conosciuti come nervi
che mettono in comunicazione il sistema nervoso centrale con il resto del corpo; i
neuroni sono cellule perenni, ossia senza la capacità di riprodursi. Il sistema nervoso è
organizzato in due parti: il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico. Il
sistema nervoso centrale è formato dall’encefalo, cervelletto e dal midollo spinale, ed ha
il compito di recepire le informazioni raccolte dagli organi di senso, e di rielaborare le
risposte adatte. Il sistema nervoso periferico invece è costituito da una serie di nervi che
portano le informazioni dai recettori di senso al sistema nervoso centrale, e porta gli
stimoli provenienti dall’encefalo alle ghiandole ed ai muscoli. Le vie motorie
comprendono una componente somatica che innerva la muscolatura volontaria, ed una
componente vegetativa che innerva la muscolatura involontaria (cuore, esofago,
stomaco…). Quest’ultima componente è detta sistema nervoso neurovegetativo, ed è
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Gli esercizi del training autogeno
Posti questi presupposti anatomici, è possibile iniziare con la pratica del Training, che si compone di
vari esercizi.
L’esercizio del peso
Questo esercizio consente al soggetto di percepire sensazioni di pesantezza (o di leggerezza, a seconda
del praticante) verso le zone del corpo su cui si concentra; la muscolatura volontaria per effetto della
distensione da l’impressione di sciogliersi, questa sensazione è causata dal rilassamento muscolare
che si è raggiunto. Nella maggior parte dei casi la sensazione percepita è di pesantezza agli arti, ma
non bisogna spaventarsi se si percepisce, al contrario, leggerezza e per nessun motivo bisogna cercare
di percepire qualche cosa d’altro: le sensazioni percepite con gli esercizi vanno assecondate e non
imposte. Lo scopo di questo esercizio è di stabilire un dialogo con la parte del sistema muscolare
legata alla volontà.
L’esecuzione dell’esercizio del peso può essere scomposta in tre stadi, cui come tempi di esecuzione
si possono far corrispondere una settimana ciascuno.
Primo Stadio: Il primo stadio serve ancora per prendere confidenza col metodo e con l’esercizio
stesso, pertanto l’esecuzione sarà legata solo agli arti superiori del corpo. Prima di cominciare
bisogna scegliere una delle posizioni elencate e verificare la propria disponibilità alla pratica.
Inspirare profondamente e calmarsi, utilizzando la fraseguida “sono perfettamente calmo e disteso”
per due o tre volte; una volta raggiunta la distensione desiderata si procede con la ripetizione di
un’altra frase guida per sei volte. La frase cambia a seconda se si è mancini o destrorsi e sarà “il mio
braccio destro (sinistro) è pesante”, mentre non farà alcuna differenza nel caso di ambidestria;
terminata la ripetizione della frase va pronunciata di nuovo per due o tre volte la frase “sono
perfettamente calmo e disteso” per poi di nuovo ripetere per sei volte la formula della pesantezza
rivolta all’altro braccio “il mio braccio sinistro (destro) è pesante”. Prima di procedere con la Ripresa
è necessario ripetere nuovamente due o tre volte “sono perfettamente calmo e disteso” ; le ripetizioni
delle frasiguida possono sembrare molte e forse eccessive ma sono necessarie per inibire il corpo
all’esercizio e per percepire la sensazione di pesantezza tipica dell’esercizio.
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Secondo Stadio: Nel secondo stadio si estende l’esercizio agli arti inferiori, modificando leggermente
la fraseguida senza però fare distinzioni tra gamba destra o sinistra; per il resto si procede
esattamente come per il primo stadio. La fraseguida da ripetere sei volte e da alternare alla frase
guida della calma è “le mie gambe sono pesanti”.
Terzo Stadio: Il terzo stadio abbraccia finalmente ogni parte del corpo: mantenendo invariata
l’esecuzione si modifica la fraseguida, che diventa “le mie braccia e le mie gambe sono pesanti”,
oppure “tutto il mio corpo è pesante”.
La Ripresa: La ripresa è una fase che si compone di una serie di movimenti che permettono di
ritornare dalla condizione di profondo rilassamento allo stato originario: come non è immediato il
passaggio dallo stato originale a quello autogeno non lo neanche l’uscita, l’organismo deve transitare
da una fase all’altra agiatamente e non bruscamente. La ripresa consiste nella flessione degli arti,
prima superiori ed infine inferiori intrecciata ad una inspirazione profonda e diaframmatici; terminata
la ripresa è possibile riaprire gli occhi e terminare la pratica. La ripresa va sempre e comunque
eseguita, anche se l’esercizio non ha portato a buon esito o se viene interrotto bruscamente da rumori
improvvisi, o da altri elementi di disturbo.
Per aiutarsi nel rilassamento preesercizio si può utilizzare la “Respirazione Diaframmatica” condotta
in modo profondo e con l’addome, migliore rispetto alla respirazione toracica perché permette di
immagazzinare più aria ed esercita un benefico massaggio viscerale, che stimola il funzionamento
degli organi interni. Questo tipo di respirazione è tipico di molte discipline sportive, tra cui le arti
marziali, e del canto; prima di ogni esercizio è quindi consigliabile procedere nel seguente modo:
1)Inspirare profondamente per circa sei secondi, con lentezza, riempiendo prima l’addome e via via la
parte media e alta del torace: l’addome e lo sterno si sollevano e i polmoni si riempiono di aria.
2)Rimanere in apnea per tre secondi.
3)Espellere l’aria lentamente in sei secondi, partendo con l’espulsione prima dal torace e poi
dall’addome, lo sterno e l’addome si abbassa e le costole si chiudono.
4)Rimanere senz’aria per tre secondi, e poi ripetere il ciclo per altre cinque o sei volte mantenendo
sempre il medesimo rapporto in secondi tra un passaggio e l’altro.
Ci sono anche alcuni artifici pratici per facilitare la percezione delle sensazioni, cui ricorrere nel caso
ci fosse difficoltà a farle emergere. Le difficoltà esistono per la voglia di strafare ed ottenere risultati
troppo presto, per una sbagliata impostazione mentale, e per rappresentazioni mentali opprimenti e
angoscianti; nell’esercizio del peso può essere utile porre sugli arti un peso di qualsiasi tipo, come una
coperta o un giornale. Qualcosa che dia la sensazione di pressione agli arti. Come rappresentazione
mentale può essere utile immaginare gli arti ricoperti di fango o di sabbia bagnata, e se la
rappresentazione è ambientata in ambiente esterno è meglio immaginare il corpo posto al sole e la
testa all’ombra.
Esercizio del calore
L’esercizio del calore, assieme all’esercizio del peso, è un esercizio fondamentale, poiché sta alla base
degli esercizi successivi. Ottenuto quindi, con l’esercizio del peso, il rilassamento della muscolatura
striata, ora si passa alla distensione vascolare. Con questo esercizio è possibile quindi portare sotto
parziale controllo della volontà una delle parti del corpo che per definizione è autonoma. Al
rilassamento muscolare si aggiunge il rilassamento della muscolatura liscia delle pareti arteriose,
meglio conosciuta come vasodilatazione. Ci sarà un maggiore afflusso di sangue, che darà una
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sensazione di calore. Questa volta però, al contrario di quanto accadeva con la sensazione di
pesantezza, la sensazione del calore è reale: è stato infatti possibile misurare l’aumento di temperatura
di un grado centigrado in seguito a vasodilatazione. Uno sciatore travolto da una valanga riuscì
addirittura ad evitare il congelamento dei piedi usando questo esercizio.
Anche l’esercizio del calore può essere ripartito in tre stadi, adoperando in esse la segmentazione del
corpo. Nel primo stadio si procede esattamente come nell’esercizio del peso, alterando
opportunamente le frasi guida. Va ripetuta per sei volte la frase “il mio braccio destro (sinistro) è
leggermente caldo”, e in seguito va ripetuta di nuovo per sei volte la frase riferita all’altro braccio,
ossia “il mio braccio sinistro (destro) è leggermente caldo”.
Nel secondo stadio, si estenderà di nuovo l’esercizio agli arti inferiori, attraverso la frase “le mie
gambe sono leggermente calde”. Infine nel terzo stadio, l’esercizio coinvolgerà tutto il corpo, e le
frasi diverranno “braccia e gambe sono leggermente calde” e “il corpo è lievemente caldo”.
Si noti che nelle formule guida è stato aggiunto l’avverbio “leggermente” e “lievemente”, questo per
attenuare il senso di calore che scaturisce dall’esercizio: infatti una stimolazione eccessiva sulla parete
delle arterie comporterebbero a scompensi all’organismo e a risposte disarmoniche e scorrette. Il
senso di tepore deve essere leggero e piacevole, e per nessun motivo bisogna imporsi di sentire caldo;
se la sensazione non si manifesta, per nessun motivo bisogna modificare le formule guida per forzarne
la fuoriuscita, perciò è bene evitare di dare ai propri arti aggettivi come “bollenti” o “caldissimi”.
L’esercizio del peso e l’esercizio del calore sono strettamente legati, e spesso vengono eseguiti uno di
seguito all’altro. Terminata la pratica non bisogna mai dimenticarsi la ripresa, identica in tutti gli
esercizi. Per aiutarsi nella percezione della sensazione, si potrebbe porre ai lati del materassino su cui
ci si sdraia due bacinelle piene di acqua tiepida (non bollente) in cui immergervi le mani durante
l’esercizio. Oppure più semplicemente si può riscaldare i muscoli prima di iniziare l’esercizio, o
ricoprirli con guanti e calze di lana o con una coperta. Una visualizzazione mentale efficace è quella
di immaginarsi immersi in una vasca di acqua tiepida, con la testa fuori, al fresco.
Esercizio del respiro ed esercizio del cuore
Nell’esercizio del respiro è fondamentale prendere la consapevolezza che la respirazione non dipende
dalla nostra volontà; una cosa giusta da fare è porre la propria concentrazione sul movimento della
respirazione, ossia l’estendersi ed il restringersi della cassa toracica. La finalità dell’esercizio è quella
di vivere la respirazione in stato autogeno: il corpo respira da solo, senza il bisogno del nostro
intervento; è un atto necessario per la nostra sopravvivenza ma che al contempo non ci appartiene. Un
altra consapevole che dobbiamo ottenere è quella della differenza tra il respiro in stato di veglia e il
respiro di quando ci si addormenta. Durante lo stato di veglia la fase espiratoria risulta più prolungata,
quando si è a riposo il rapporto tra espirazione ed inspirazione si mantiene costante, ma quando si
dorme (o quando si è estremamente rilassati) l’ispirazione è più duratura rispetto all’espirazione, ed è
il tipo di respirazione che si cerca di raggiungere con l’esercizio. Come di consueto l’esecuzione
dell’esercizio deve essere il più naturale possibile, e non ci si deve costringere a prolungare
l’inspirazione: è fondamentale mantenere un atteggiamento di passività, anche perché un tipo di
respirazione forzata ed artificiale, la si può mantenere per un periodo di tempo estremamente limitato.
La frase guida da utilizzare è “Il mio respiro è calmo e regolare” da ripetere sei volte dopo le frasi del
peso e del calore. La respirazione è sempre estremamente importante, basti sapere che si può giungere
al rilassamento di tutto il corpo solamente grazie ad una respirazione spontanea e regolare, anche in
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assenza delle altre sensazioni. Al contrario una respirazione disarmonica e irregolare porta alla
tensione.
Terminato l’esercizio e la pronunziazione delle frasi guida, bisogna procedere sempre con gli esercizi
di ripresa.
L’esercizio del cuore è assolutamente analogo all’esercizio precedente: il cuore batte da solo, senza
l’intervento della nostra volontà. E’ importante stabilire un dialogo col proprio cuore, interiorizzare la
frequenza del battito cardiaco, e visualizzarlo nella propria mente, visualizzare la contrazione sistolica
ed il rilassamento diastolico. Non è facile, ma la conoscenza di quest’organo da un punto di vista
scientifico può aiutare nell’intento.
Quindi esattamente come per la respirazione, bisogna vivere il battito cardiaco in modo autogeno,
sempre ripetendo la formula guida, e concentrarsi sul movimento del cuore. Come di consueto la
formula va ripetuta sei volte, e diventa “il mio cuore pulsa calmo e regolare”. Dopo l’esecuzione
bisogna procedere con la ripresa, ossia con la flessione degli arti, l’inspirazione e l’apertura degli
occhi. Per l’esercizio della respirazione, un aiuto alla percezione delle sensazioni è la pratica profonde
inspirazioni volontarie, o immaginare di essere sdraiati su un materassino gonfiabile o sul fondo di
una barca, cullati dalle onde, onde che seguono il ritmo del vostro respiro. Per l’esercizio del cuore si
può ricorrere anche ad un fonendoscopio per avvertire in modo diretto e preciso le proprie pulsazioni,
oppure porre la propria mano sul petto per ascoltare il battito, appoggiando il proprio gomito ad un
sostegno per evitare di lasciare il braccio in tensione. Si può immaginare il proprio cuore come una
pompa che distribuisce aritmicamente il sangue a tutto il corpo.
Esercizio del plesso solare
Il plesso solare è la zona del nostro addome compresa tra lo sterno e l’ombelico. Questo esercizio (ed
il training in generale) si propone di ristabilire l’equilibrio tra l’azione del sistema parasimpatico e del
sistema simpatico, senza far sì che l’uno prevalga sull’altro. Il training in generale ha come obiettivo il
rilassamento, e l’eliminazione dello stress, e nel fare questo è necessario aumentare i processi
anabolici del sistema parasimpatico e diminuire i processi catabolici del simpatico per riportare
all’equilibrio i due sistemi. La concentrazione passiva sul plesso solare aiuta in questo: determina un
rilascio viscerale, vasodilatazione e conseguente senso di calore. Il plesso solare è in stretto contatto
con le fibre nervose simpatiche, quindi andando ad agire su di esse si andrà a ristabilire l’equilibrio tra
i due sistemi. L’esecuzione è del tutto simile alle precedenti, e consiste nel concentrarsi passivamente
sul flesso, ripetendo per sei volte la formula guida “il mio plesso è piacevolmente caldo” oppure “il
mio plesso irradia calore”. Un’altra formula guida efficace è la seguente: “Io sono calmo..., calmo...,
perfettamente calmo... Il mio plesso solare è caldo..., molto caldo... Il mio plesso solare è caldo e
irradia calore...”.
Un’ottima visualizzazione mentale per facilitare l’esercizio è quella di un piccolo sole posto
nell’addome che diffonde calore per tutto il corpo, oppure un flusso di sangue che irrora il plesso,
portando energia vitale e calore che scioglie la tensione; anche il tenere una mano sul plesso può
aiutare la percezione della sensazione di calore.
Al termine dell’esercizio va eseguita la ripresa, flettendo gli arti, inspirando ed aprendo gli occhi.
Per aiutare la percezione della sensazione si può ricorrere a un piccolo peso, come una moneta (anche
riscaldata) o un pacchetto di fazzoletti, da porre nella zona della cintura. Poi immaginare i propri
visceri che si dilatano, che dilatano tutto il corpo e che si riscaldano. Oppure immaginare un fascio di
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luce calda che viene proiettata sull’addome e che lo riscalda, o un nucleo di energia posto all’interno
dell’addome che irradia calore.
Esercizio della fronte fresca
L’esercizio della fronte fresca è considerato l’esercizio ultimo del training, ed offre l’ultima e più
significativa rappresentazione del metodo, ossia la contrapposizione tra mente e corpo. Con la
concentrazione passiva sulla fronte, si arriverà a percepire una lieve sensazione di freschezza alla
fronte. Durante tutto gli esercizi del training ci si è esercitati a percepire il calore del corpo, mentre
ora a questo calore si contrappone la freschezza del viso: la mente distesa e rilassata osserva
distaccata il resto del corpo. Il fenomeno può essere visto più semplicemente in chiave scientifica;
logicamente in uno stato di rilassamento profondo, quando il corpo è caldo intenso vi è una maggiore
irrorazione sanguigna del tronco e degli arti, e una conseguente diminuzione di afflusso di sangue alla
testa. Spesso la sensazione percepita non è il fresco, ma una sensazione di meno caldo.
La frase guida da ripetere (sempre sei volte) durante la concentrazione passiva è “la mia fronte è
piacevolmente fresca”. Un utile rappresentazione mentale per facilitare la riuscita dell’esercizio è
quella di immaginarsi sdraiati su un prato o su una spiaggia, e mentre il sole scalda il vostro corpo, la
testa si trova all’ombra, ed è sfiorata da una leggera brezza. Per amplificare la percezione delle
sensazioni si può inumidire la fronte prima dell’esercizio, o addirittura passarsi una soluzione alcolica
(come ad esempio acqua di colonia) sulla fronte con un batuffolo di cotone. La soluzione evaporando
dovrebbe dare una sensazione di freschezza.
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Piano d'allenamento e pratica.
Il piano di allenamento ideale è quello suddiviso in dieci settimane, che possono anche essere ridotte
nel caso in cui la generalizzazione delle sensazioni si manifesti più velocemente. Il precoce insorgere
delle sensazioni è vantaggioso ma non va mai cercato.
Solitamente durante le prime tre settimane si procede con l’esercizio del peso, segmentandolo per le
varie specifiche parti del corpo: si incomincerà dalle braccia, per poi passare alle gambe ed in seguito
al resto del corpo. La quarta, la quinta e la sesta settimana sono dedicate all’esercizio del calore, che
va sempre spezzato tra arti e tronco, senza perdere la sensazione di pesantezza acquisita nell’esercizio
precedente. La settima settimana è quella dell’esercizio del respiro, nell’ottava si procede con
l’esercizio del cuore, nella nona con l’esercizio del plesso solare, e nella decima si procede con la
fronte fresca. Ogni esercizio successivo ingloba il precedente, ed è importante non perdere durante il
percorso le sensazioni acquisite negli esercizi precedenti.
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