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PURGATORIO, CANTO III

Argomento del Canto

Ancora sulla spiaggia del Purgatorio. Discorso di Virgilio sulla giustizia divina. Incontro con le
anime dei contumaci. Colloquio con Manfredi di Svevia.
È la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, alle sette.

Ripresa del cammino (1-18)


Dopo i rimproveri di Catone e la fuga precipitosa delle anime verso la montagna, Dante si stringe
a Virgilio, senza la cui guida fidata non potrebbe certo proseguire il viaggio. Il maestro sembra
essere punto dalla propria coscienza, così monda e dignitosa che anche il più piccolo errore le
provoca un forte rimorso. Quando Virgilio prende a camminare senza la fretta che toglie decoro a
ogni gesto, Dante inizia a guardarsi attorno e osserva la montagna, che si erge verso il cielo più
alta di qualunque altra. Il sole brilla rossastro dietro di lui e proietta l'ombra davanti, dal momento
che Dante ne scherma i raggi col proprio corpo.
Paura di Dante e rimprovero di Virgilio (19-45)

Dante vede all'improvviso che c'è solo la sua ombra sul terreno e non quella di Virgilio, quindi si
volta a lato col terrore di essere abbandonato: il maestro ovviamente è lì e lo rimprovera perché
continua a diffidare e non crede che sia accanto a lui per guidarlo. Virgilio spiega che il corpo
mortale nel quale lui faceva ombra riposa a Napoli, dove fu traslato da Brindisi e dove adesso è già
sera, quindi Dante non deve stupirsi che la sua anima non proietti un'ombra proprio come i cieli
non fanno schermo al passaggio della luce. La giustizia divina fa in modo che i corpi inconsistenti
delle anime soffrano tormenti fisici, in un modo che non vuole che si sveli agli uomini, per cui è
folle chi spera con la sola ragione umana di poter capire i misteri della fede. La gente deve
accontentarsi di ciò che è stato rivelato, perché se avesse potuto veder tutto non sarebbe stato
necessario che Gesù nascesse. Grandi filosofi hanno desiderato vanamente di conoscere questi
misteri, e il loro ingegno glielo avrebbe permesso se ciò fosse stato possibile, mentre ora tale
desiderio è la loro pena. Virgilio parla di Aristotele, di Platone e molti altri; poi resta in silenzio,
china la fronte e rimane turbato.
Incontro coi contumaci (46-102)
I due poeti intanto sono giunti ai piedi del monte: la parete è così ripida che è impossibile scalarla,
tanto che la roccia più impervia della Liguria sarebbe un'agevole scala al confronto. Virgilio si
ferma e si chiede da quale parte ci sia un accesso più facile al monte; e mentre lui riflette
guardando a terra, e Dante osserva in alto la montagna, da sinistra appare un gruppo di anime che
si muovono lentissime verso di loro. Virgilio esorta il discepolo ad andare verso di esse poiché si
muovono piano, e lo invita a rafforzare la speranza poiché saranno loro a fornire indicazioni. Dopo
mille passi le anime sono ancora molto lontane, quando esse si accorgono dei due poeti e si
stringono alla roccia. Virgilio chiede loro dove sia l'accesso al monte, dal momento che essi non
vogliono perdere tempo. Le anime iniziano ad avanzare, simili alle pecorelle che escono dal
recinto una dietro l'altra senza sapere dove vanno e perché, poi le prime vedono che Dante
proietta l'ombra e si arrestano, tirandosi indietro e inducendo le altre a fare lo stesso. Virgilio le
rassicura dicendo che Dante è effettivamente vivo, ma non è certo contro il volere divino che egli
cerca di scalare il monte. I penitenti fanno cenno con le mani di tornare indietro e procedere nella
loro stessa direzione.

Incontro con Manfredi (103-145)

Una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo ha mai visto sulla Terra.
Il poeta lo osserva e lo guarda con attenzione, vedendo che è biondo, bello e di nobile aspetto, e
ha uno dei sopraccigli diviso da un colpo. Dopo che il poeta gli ha risposto di non averlo mai visto,
il penitente gli mostra una piaga che gli attraversa la parte alta del petto, quindi di presenta
come Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla. Egli prega Dante, quando
sarà tornato nel mondo, di dire a sua figlia Costanza la verità sul suo stato ultraterreno. Manfredi
racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, piangendo si pentì dei
suoi peccati e nonostante le sue colpe fossero gravissime fu perdonato dalla grazia divina. Male
fece il vescovo di Cosenza, istigato da papa Clemente IV, a far disseppellire il suo corpo che
giaceva sotto un mucchio di pietre vicino a un ponte e a farlo trasportare a lume spento fuori dai
confini del regno di Napoli, lungo il fiume Liri. La scomunica della Chiesa infatti non impedisce di
salvarsi finché c'è un po' di speranza, anche se chi muore in contumacia deve poi attendere
nell'Antipurgatorio un tempo superiore trenta volte al periodo trascorso come scomunicato, a meno
che qualcuno con le sue preghiere non accorci questo periodo. Manfredi prega dunque Dante di
rivelare tutto questo alla figlia Costanza, perché lei con le sue preghiere abbrevi la sua
permanenza nell'Antipurgatorio.

Interpretazione complessiva

Il Canto si divide strutturalmente in tre parti, che corrispondono al rimprovero di Virgilio a Dante
(1-45), all'incontro con le anime dei contumaci (46-102) e al colloquio col protagonista
dell'episodio, Manfredi di Svevia (103-145). I tre momenti sono strettamente legati dal punto di
vista tematico, perché ruotano intorno al complesso e delicato problema della grazia e della
giustizia divina imperscrutabile: la paura di Dante che crede di essere abbandonato poiché non
vede l'ombra di Virgilio accanto alla sua (una situazione che non poteva presentarsi all'Inferno, nel
buio delle viscere della Terra) provoca il rimprovero di Virgilio che spiega il carattere inconsistente
e umbratile delle anime, sottolineando però il fatto che la volontà divina fa in modo che questi corpi
aerei possano subire pene e tormenti fisici. Come ciò possa avvenire è inspiegabile con la sola
ragione umana, il che dà modo al maestro di pronunciare un duro rimprovero a tutti coloro che
hanno la folle pretesa di svelare i misteri della fede con l'ausilio del solo intelletto. È un tema
centrale nel poema, già affrontato nell'episodio di Ulisse (il cui folle volo oltre le colonne
d'Ercole costituiva il superamento dei limiti della ragione umana, peccaminoso e punito con la
morte) e alla base probabilmente del «traviamento» che ha condotto Dante nella selva: la ragione
può condurci alla sola felicità terrena, al possesso delle virtù cardinali che non assicurano la
salvezza eterna per la quale è indispensabile la grazia divina. Nello sfogo di Virgilio c'è anche il
suo dramma personale, di un uomo saggio che è vissuto in modo retto ma non ha conosciuto Dio
ed è quindi relegato per sempre nel Limbo senza alcuna possibilità di redenzione; gli uomini non
possono conoscere tutto e per le questioni di fede devono accontentarsi del quia, di ciò che è stato
rivelato, senza la pretesa di spiegare con l'intelletto ciò che non è razionalmente spiegabile (come
cercarono di fare i filosofi pagani, tra i quali Virgilio include forse anche se stesso, esclusi per
sempre dalla redenzione in base al giudizio divino che è appunto imperscrutabile, inesplicabile col
solo ausilio della ragione).
La giustizia divina ha invece salvato il gruppo di anime che i due poeti incontrano
successivamente, dopo essersi fermati di fronte alla parete scoscesa e inaccessibile del monte
che sembra invalicabile a chi va sanz'ala: sono le anime dei contumaci, di coloro che sono morti
dopo essere stati scomunicati dalla Chiesa e devono trascorrere un tempo lunghissimo
nell'Antipurgatorio prima di poter accedere alle Cornici (fra loro Dante incontrerà Manfredi).
L'episodio è come un intermezzo narrativo posto tra la parte iniziale, molto sostenuta
stilisticamente, e il successivo colloquio col re di Sicilia, caratterizzato dall'estrema lentezza con
cui si muovono le anime e dalla similitudine delle pecorelle che escono dal recinto una dietro
l'altra, senza sapere dove vanno e perché. È stato osservato che questo paragone non è casuale,
sia perché la pecora è animale simbolo di mansuetudine ed è spesso citato nei Vangeli come
immagine del buon fedele cristiano, sia soprattutto perché l'attitudine di queste anime (il fatto di
muoversi senza opporre resistenza, senza sapere dove vanno) è la traduzione visiva del discorso
fatto prima da Virgilio, del dovere del cristiano di accontentarsi del quia lasciandosi guidare dai
ministri della Chiesa verso la salvezza, senza avere la pretesa intellettuale di veder tutto (al
contrario della capra, animale anch'esso citato spesso nei Vangeli come l'esempio opposto e
caratterizzato da riottosità e selvatichezza, immagine del cattivo fedele che si ribella all'autorità
della Chiesa: cfr. XXVII, 76 ss., dove le capre sono definite rapide e proterve / sovra le cime). Il
paragone acquista ancor più significato se si pensa che queste sono appunto le anime degli
scomunicati, che per motivi giusti o sbagliati si sono ribellati all'autorità della Chiesa e non hanno
certo dimostrato mansuetudine quand'erano in vita.
Tra loro c'è anche Manfredi e il suo personaggio consente a Dante di fare un importante discorso
intorno alla salvezza e alla giustizia divina, che opera una sintesi tra la prima e la seconda parte
del Canto. Da un lato, infatti, il re svevo è il cattivo cristiano che si è mostrato riottoso all'autorità
ecclesiastica e che per motivi politici si è attirato la punizione della Chiesa (questo
indipendentemente dal giudizio che Dante può dare sulla sua vicenda), ma al tempo stesso è salvo
in Purgatorio e rappresenta dunque un esempio clamoroso e inatteso di come la grazia divina
possa beneficare anche un personaggio che con la sua fama è stato posto fuori dalla comunità del
fedeli. Manfredi rappresenta un vero e proprio «scandalo», ben più di Catone in quanto il sovrano
era un protagonista della storia recente dell'Italia di Dante: morto violentemente a Benevento,
scomunicato dalla Chiesa come ribelle all'autorità papale, colpito dalla durissima pubblicistica
guelfa che lo dipingeva come una specie di Anticristo (essendo anche figlio illegittimo di Federico
II), tutto lasciava presupporre che fosse dannato all'Inferno, mentre il suo sincero pentimento in
punto di morte gli ha guadagnato la salvezza e lo colloca tra le anime del Purgatorio. Dante vuole
affermare che la giustizia divina si muove secondo criteri che non sono sempre evidenti al mondo
e che il destino ultraterreno degli uomini dipende non solo dalle loro azioni terrene (i peccati di
Manfredi erano stati, per sua stessa ammissione, orrendi), ma soprattutto dalla sincerità del loro
pentimento che solo Dio può leggere nel profondo del cuore (è il caso opposto a quello di Guido da
Montefeltro, che tutti credevano salvo perché fattosi francescano, ma che invece è dannato perché
il suo pentimento non era sincero). La polemica di Dante è quindi rivolta contro le istituzioni
ecclestiastiche corrotte, che si arrogano il diritto di stabilire in modo irrevocabile il destino
ultraterreno dei loro nemici, mentre solo Dio può sapere con certezza se uno, dopo la morte, sia
salvo o dannato: le parole di Manfredi sono rivolte soprattutto alla figlia Costanza, che sapendo
della sua salvezza può pregare per lui e accorciare il periodo di attesa nell'Antipurgatorio (il che è
un'ulteriore polemica contro la Chiesa che lucrava sulle preghiere per i defunti, che invece sono
demandate alla fede dei congiunti rimasti in vita). Lo «scandalo» di Manfredi riafferma dunque il
discorso di Virgilio in apertura di Canto, ovvero il fatto che l'uomo non può sapere tutto e che c'è un
limite alla ragione umana, per cui la giustizia divina non è sempre spiegabile razionalmente o alla
luce soltanto delle azioni pubbliche di un personaggio: occorre l'umiltà, anche da parte di papi e
vescovi, di rimettersi al giudizio divino, come ha fatto Manfredi che non ha parole astiose nei
confronti di chi (come papa Clemente IV o il vescovo di Cosenza) ha disseppellito i suoi resti e li ha
dispersi come si usava fare con gli scomunicati. Il tema della giustizia divina è ovviamente al
centro del poema e presenterà altri esempi di salvezze inattese, come quella di Bonconte da
Montefeltro o di Rifeo e Traiano in Paradiso, ed è parte della durissima polemica contro le
istituzioni della Chiesa corrotte che grande spazio avrà specie nella III Cantica, in particolare nei
Canti XIX-XX che si svolgeranno nel Cielo di Giove dove si manifestano gli spiriti che hanno
operato in nome della giustizia.

Note e passi controversi

L'onestade citata al v. 11 è il decoro dei comportamenti esteriori, che la fretta dismaga,


«sminuisce» (cfr. il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, ma anche oltre il v. 87: pudica in
faccia e ne l'andare onesta, che è anche un chiasmo).
Il verbo dislaga (v. 15), che vuol dire «esce di lago» (quindi si erge dal mare) è invenzione
dantesca.
Il v. 25 intende dire che se nel Purgatorio è appena spuntato il sole e sono circa le 8 del mattino, in
Italia (posta a 45° da Gerusalemme, agli antipodi del Purgatorio) sono circa le 18 e quindi è
il Vespero.
Il v. 27 allude al fatto che Virgilio fu sepolto a Brindisi, dove morì, quindi Augusto fece traslare i suoi
resti a Napoli, sulla via di Pozzuoli.
La particella quia (v. 37) nel latino medievale introduceva una proposizione dichiarativa, quindi
equivaleva al nostro che: Virgilio intende dire che gli uomini devono accontentarsi di sapere ciò
che è stato loro dichiarato nelle Sacre Scritture (cfr. Dante, Quaestio de aqua et terra: Desinant
ergo, desinant homines querere que supra eos sunt, et querant usque eo possunt,
cioè: «Smettano dunque gli uomini di indagare quelle cose che sono al di sopra di loro, e
indaghino su quelle che sono alla loro portata»).
Il v. 49 indica con Lerice e Turbia gli estremi a oriente e a occidente della Liguria, che al tempo di
Dante era di difficile accesso per via delle sue scogliere impervie (Lerici è vicino alla Spezia, La
Turbie è nei pressi di Nizza).
La figlia di Manfredi, Costanza, è detta da lui genitrice / de l'onor di Cicilia e d'Aragona (vv.
115-116) in quanto sposa di Pietro III d'Aragona e madre di Giacomo e Federico, sovrani
rispettivamente di Aragona e di Sicilia. Onor significa «dinastia», «corona» e non ha valore
elogiativo (Dante del resto giudicava severamente entrambi i re).
La grave mora del v. 129 è un mucchio di sassi, sotto la quale Manfredi sarebbe stato sepolto
dopo la sua morte a Benevento, presso la testa (in co) di un ponte. La traslazione dei suoi resti a
lume spento, come per gli scomunicati e gli eretici, e la loro dispersione lungo il fiume Liri fuori dal
regno di Napoli (per ordine di papa Clemente IV) è un fatto di cui non ci sono documenti.
Il v. 135 (mentre che la speranza ha fior del verde) è stato ripreso dallo scrittore statunitense
Robert Penn Warren nel romanzo All the King's Men («Tutti gli uomini del re», 1946) che in
epigrafe recita «As long as hope still has its bit of green».
Contumacia (v. 136) vale «disobbedienza» (i contumaci erano gli scomunicati che si erano ostinati
a disobbedire alla Chiesa).

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