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CRONACA DI AKAKOR

Mito e saga di un antico popolo dell'Amazzonia

INTRODUZIONE:
L'Amazzonia comincia a Santa Maria di Belém, a centoventi chilometri dalla costa
dell'Oceano Atlantico. Nell'Anno 1616 - quando duecento portoghesi, sotto la guida di
Francisco Castello Branco, misero piede su questo suolo nel nome di Sua Maestà il Re di
Spagna e Portogallo - il loro cronista descriveva questo luogo come una terra di
giganteschi alberi, gentile ed accogliente.
Oggi Belém è una città moderna di seicentotrentamila abitanti con grattacieli e ingorghi di
traffico. È il punto di partenza della civilizzazione bianca nella sua conquista della foresta
vergine amazzonica.
Da più di quattrocento anni, la città ha conservato le vestigia del suo passato eroico e
mistico. Palazzi in stile coloniale per metà andati in rovina, altri tutti rivestiti di "azulejos"
(caratteristiche mattonelle di colore azzurro), con enormi portali in ferro, testimoniano la
famosa "Era del caucciù". Fu la scoperta del processo di vulcanizzazione che portò Belém
sul livello delle metropoli europee.
A quell'epoca risale anche il grande mercato coperto a due piani, dove si può trovare
semplicemente di tutto: enormi pesci del Rio delle Amazzoni e dell'Oceano, profumati
frutti tropicali, erbe medicinali, radici, bulbi, fiori, denti di coccodrillo per amuleti
d'amore, e rosari di terracotta.
Santa Maria di Belém è una città di contrasti. Nel centro larghe, chiassose strade di
commercio e ad appena due ore di barca risalendo il Grande Fiume, la giungla dell'isola di
Marajò.
Sull'isola viveva uno dei popoli indigeni di grande cultura, che ha tentato di conquistare
l'Amazzonia.
Secondo la storiografia tradizionale, i Marajoaras sono giunti sull'isola intorno al 1100
d.C., al culmine della loro civiltà.
All'arrivo dei conquistatori europei, questo popolo era già in decadenza. L'unica
testimonianza del loro passaggio è una stupenda ceramica con figure stilizzate aventi
espressioni di gioia, di dolore, di sogno. Sembrano voler raccontare una storia. Ma quale?
In vista dell'isola di Marajò, il Rio delle Amazzoni forma un intricato labirinto di canali,
lagune e bracci secondari, quando ha già percorso una distanza di più di seimila
chilometri dalla sorgente.
La sua corsa comincia in Perù, precipita giù dalle cataratte colombiane cambiando nome
via via che si avvicina al mare. Dall'Apurimac all'Ucayali, al Maranon, al Solimôes, esso
scorre già nel Brasile, attraverso una vasta pianura. Arrivato all'isola di Marajò, il Rio delle
Amazzoni è il fiume più ricco d'acqua del mondo.
Da Belém fino a Santarém, maggiore insediamento umano che s'incontra, s'impiegano tre
giorni in motozattera: l'unico mezzo di trasporto in Amazzonia.
Forse è impossibile capire il Grande Fiume senza essere vissuto su questi battelli. In
misure e forme diverse, essi personificano il concetto amazzonico del tempo, della vita e
delle distanze. Scendendo sul fiume sino a centocinquanta chilometri al giorno, si mangia,
si beve, si sogna e si ama su queste barche.
Santarém si trova sulla riva destra del fiume, allo sbocco del Rio Tapajòs. I suoi
trecentocinquantamila abitanti stanno vivendo giorni di speranza. La città è il punto finale
della Transamazzonica, meta dei "Garimpeiros" (cercatori di oro), dei contrabbandieri e di
ogni sorta di avventurieri. Qui viveva anche una delle più antiche civiltà dell'Amazzonia,
il popolo dei Tapajòs. Probabilmente è stata la più grande Tribù della foresta amazzonica.
Lo storico contemporaneo Heriarte, affermò che i Tapajòs avrebbero potuto organizzare
fino a cinquantamila arcieri. Anche se tale stima è esagerata, erano comunque tanto
numerosi da poter rifornire per più di ottanta anni i mercati di schiavi dei Portoghesi.
Oggi, di quella orgogliosa tribù, sono rimasti solo dei resti archeologici, ed il fiume al
quale hanno dato il loro nome.
Navigando da Santarém a Manaus, si passa tra villaggi e leggende del mondo
amazzonico. Allo sbocco del fiume Nhamunda, l'avventuriero spagnolo Francisco
Orellana affermò di aver combattuto le leggendarie "Amazzoni".
Sulla sua riva destra, in prossimità del villaggio Faro, si trova il lago Jacy, "specchio della
Luna". Alla luna piena, cosi racconta la leggenda, le Amazzoni scendevano dalle montagne
intorno al lago e lì erano ad aspettarle i loro amanti. S'immergevano nello "specchio della
Luna", raccogliendo nell'acqua delle pietre strane, che sott'acqua si lasciavano plasmare
come pane. Però fuori dall'acqua, queste pietre diventavano dure come diamanti. Le
Amazzoni le chiamavano "Muiraquita" e le davano in regalo ai loro amanti.
Gli scienziati parlano di queste pietre come un miracolo archeologico. Sono dure come
diamanti e plasmate artisticamente, sebbene sia provato che i Tapajòs non possedessero
nessun attrezzo per lavorare un tale materiale.
Il vero Rio delle Amazzoni nasce dalla confluenza del Rio Solimoes con il Rio Negro,
quando i due possenti fiumi uniscono le loro acque. Di qui a venti minuti di barca si trova
Manaus, circondata da un mondo verde e senza strade che portino alla costa atlantica.
Lì, a Manaus, ho conosciuto Tatunca Nara.
Era il 3 marzo 1972. L'ufficiale M., comandante del Contingente Forestale Brasiliano a
Manaus, mi combinò l'incontro. Nel Bar "Graças a Deus", mi trovai per la prima volta di
fronte al capo tribù indio.
Era molto alto, i capelli lunghi e scuri ed i lineamenti delicati. I suoi occhi tradivano la
diffidenza del meticcio. Tatunca Nara portava una sbiadita uniforme tropicale, un regalo
di alcuni ufficiali suoi amici, come più tardi lui stesso mi avrebbe spiegato.
Portava un'alta cintura di cuoio con una grossa fibbia d'argento. I primi minuti della
nostra conversazione furono difficili. Tatunca Nara iniziò a raccontare, piuttosto
controvoglia ed in un tedesco approssimativo, le sue impressioni sulle città dei bianchi,
degli innumerevoli uomini, del loro correre ed affrettarsi nelle strade, delle casa alte e del
chiasso a lui insopportabile. Solo dopo che ebbe superato la sua riservatezza e la sua
iniziale diffidenza, mi narrò la più straordinaria storia che io abbia mai ascoltato.
Tatunca Nara mi narrò della tribù degli Ugha Mongulala, un popolo che fu l'eletto degli
Dèi, quindicimila anni fa.
Mi descrisse due enormi catastrofi che devastarono la terra, il dominio sul continente
sudamericano di un figlio degli Dèi, che egli chiamò Lhasa, e dei suoi intensi rapporti con
gli Egiziani, l'origine del Popolo degli Incas, l'arrivo dei Goti e l'unione con i soldati
tedeschi.
Mi parlò delle immense città di pietra e delle abitazioni sotterranee degli Antenati Divini.
Mi disse che tutti questi avvenimenti, sono messi per iscritto in un libro sacro: "La Cronaca
di Akakor".
La maggior parte della sua storia parlava della lotta contro i bianchi: Spagnoli e
Portoghesi, cercatori di caucciù, coloni, avventurieri e soldati peruviani.
Essi cacciavano e spingevano gli Ugha Mongulala, dei quali egli diceva di essere il
Principe, sempre più verso le catene delle Ande, forzandoli a nascondersi nelle loro
abitazioni sotterranee. L'imminente sterminio del suo popolo era la ragione del suo
avvicinamento ai bianchi. Voleva chiedere aiuto ai suoi nemici più feroci!
Già prima di me, Tatunca Nara ha rivelato la sua storia a molti alti funzionari del "Servizio
Brasiliano per la Protezione dell'Indio" FUNAI. Ma senza alcun esito. Questa era
comunque la sua storia. Dovevo credervi o no?
Nel caldo afoso del Bar "Graças a Deus" mi fu rivelato un mondo sconosciuto che, se
realmente esisteva, avrebbe trasformato in storie vere le leggende degli Incas e dei Maya!
Il secondo e terzo incontro con Tatunca Nara, li ebbi nel mio albergo ad aria condizionata.
Di nuovo mi descrisse, in un monologo sommesso ed interminabile, interrotto solo dal
cambio del nastro nel registratore, la storia degli Ugha Mongulala e delle tribù alleate,
dall'Anno Zero fino all'anno 12453: cioè, dall'anno 10481 a.C. fino all'anno 1972 d.C.
secondo la cronologia della civiltà bianca.
Però il mio entusiasmo stava svanendo. La storia mi sembrava troppo straordinaria.
Sembrava un'altra di quelle leggende della foresta vergine, nate nel calore tropicale e sotto
l'influenza mistica dell'impenetrabile giungla.
Poi, Tatunca Nara terminò la sua storia ed io mi ritrovai in possesso di dodici nastri incisi
da una favola fantastica.
Fu solo dopo essermi incontrato di nuovo con il mio amico, l'ufficiale M., che la storia del
"cacique" indio cominciò ad assumere parvenza di realtà.
M. apparteneva al Servizio Segreto Brasiliano, conosceva Tatunca Nara già da quattro anni
e mi confermò la veridicità almeno della parte finale della sua singolare storia.
Il "cacique" indio aveva salvato la vita a dodici ufficiali brasiliani, dopo che il loro aereo
era precipitato nel territorio dell'Acre, e li aveva riportati in zona civilizzata.
Fra le tribù degli Yaminaua e Kaxinawa, Tatunca Nara era considerato come un capo tribù,
benché non appartenesse a loro. Questi erano fatti documentati anche negli archivi del
Servizio Segreto Brasiliano.
Così, infine, mi decisi ad esaminare con attenzione la storia registrata in mio possesso.
Le mie ricerche a Rio de Janeiro, a Brasilia, a Manaus e Rio Branco portarono a dei risultati
sorprendenti. Negli archivi della civiltà bianca, la storia di Tatunca Nara risultava
documentata dal 1968. In quell'anno apparve per la prima volta la figura di un capo tribù
indio di pelle chiara, che salvò la vita a dodici ufficiali brasiliani, precipitati con l'aereo nel
territorio dell'Acre. Li liberò dalla prigionia degli indios Haischa e li condusse a Manaus.
Tramite l'intervento di quegli ufficiali, Tatunca Nara ebbe un libretto di lavoro brasiliano
con il numero 1918900 ed una carta d'identità brasiliana con il numero V-4333.
Secondo attendibili testimonianze, il misterioso capo tribù parlava un tedesco
approssimativo e capiva solo alcune parole di portoghese. Era, però, padrone di vari
idiomi degli Indios del corso superiore del Rio delle Amazzoni.
Dopo alcune settimane dal suo arrivo, Tatunca Nara sparì improvvisamente da Manaus,
senza lasciare traccia.
Nel 1969, si verificarono duri combattimenti alla frontiera peruviana nella provincia
Madre de Dios, fra tribù selvagge di Indios e coloni bianchi.
Madre de Dios è un luogo miserabile, abbandonato da Dio, sul versante orientale delle
Ande. La vecchia storia dell'Amazzonia si ripeteva: rivolta degli oppressi contro gli
oppressori, e vittoria degli "eternamente vincenti" bianchi.
Il capo degli Indios, un fantomatico capo-guerriglia comunista, conosciuto secondo notizie
dei giornali peruviani sotto il nome di Tatunca, Grande Serpente d'Acqua, fuggì dopo la
sconfitta, in territorio brasiliano. Il governo peruviano mandò una richiesta di estradizione
al Brasile. Per ragioni inspiegabili le autorità brasiliane rifiutarono ogni collaborazione.
Nel 1970 e 1971 cessarono i combattimenti nella provincia di frontiera di Madre de Dios.
Le tribù selvagge fuggirono nelle foreste difficilmente accessibili delle regioni della
sorgente del Rio Yaku. Ancora una volta, Tatunca Nara sparì senza lasciar traccia.
Il Perù chiuse le frontiere con il Brasile ed iniziò un sistematico disboscamento della
foresta vergine. Secondo testimonianze oculari, gli Indios peruviani subirono lo stesso
destino dei loro fratelli brasiliani. O venivano uccisi o morivano a causa delle malattie
contagiate loro dai bianchi.
Il 1972 è l'anno del destino di Tatunca Nara. Egli ritornò nella civiltà bianca e, nella città di
Rio Branco, prese contatto con il vescovo cattolico Grotti. Insieme chiesero l'elemosina
nelle chiese della capitale dell'Acre, per raccogliere fondi per portare aiuto agli indios sul
Rio Yaku. Ma la provincia dell'Acre era dichiarata priva di Indios dallo Stato, ed il vescovo
non ricevette nessuna sovvenzione governativa. Tre mesi dopo, Monsignor Grotti perì in
una misteriosa sciagura aerea.
Tatunca Nara, però, non si arrese. Con l'aiuto dei dodici ufficiali ai quali aveva salvato la
vita, prese contatto con il Servizio Segreto Brasiliano e tentò di convincerli della sua vera
identità. Allo stesso tempo si rivolse al Servizio per la Protezione dell'Indio, il FUNAI.
Raccontò, poi, al segretario dell'ambasciata tedesca N., dei duemila soldati germanici che
erano sbarcati durante la seconda guerra mondiale in Brasile, e che vivono ancora oggi ad
Akakor, la capitale del suo popolo. N. rifiutò di accettare la storia come credibile, e proibì a
Tatunca Nara l'accesso all'Ambasciata.
Solo quando, nell'estate del 1972, molte delle dichiarazioni di Tatunca Nara, riguardanti
l'esistenza di tribù indios sconosciute in Amazzonia, vennero confermate, il FUNAI si
dichiarò pronto alla collaborazione. Si decise cosi una spedizione per prendere contatto
con il misterioso popolo degli Ugha Mongulala, e Tatunca Nara venne incaricato dei
preparativi.
L'impresa però naufragò a causa della resistenza delle autorità del territorio dell'Acre. Su
diretto ordine dell'allora prefetto Wanderlei Dantas, Tatunca Nara venne arrestato. Ma
poco prima della sua estradizione, venne liberato dalla prigione di Rio Branco dai suoi
amici ufficiali che lo portarono a Manaus.
Qui perciò ho incontrato di nuovo Tatunca Nara. Questa volta l'incontro con il capo della
"Tribù degli Eletti", si svolse differentemente. Mi ero profondamente occupato della sua
storia, confrontando le registrazioni sui nastri con materiale d'archivio e rapporti di storici
contemporanei. Molto di quanto mi era stato dettato, risultò vero. Molto però mi sembrava
ancora totalmente parto della fantasia dell'Indio, come le città sotterranee e lo sbarco dei
duemila soldati tedeschi in Brasile.
Però la storia non poteva essere totalmente inventata. A suo favore parlavano le
informazioni dell'Ufficiale M. e lo stesso Tatunca Nara, un Indio di pelle chiara che parlava
tedesco.
Nel corso di questo nuovo incontro, Tatunca Nara ripeté la sua storia ancora una volta,
cronologicamente ordinata ed in tutti i suoi particolari. Per convincermi, mi indicò su una
carta geografica l'approssimativa posizione di Akakor, mi descrisse inoltre il cammino dei
soldati tedeschi da Marsiglia fino al Rio Purus, mi dette i nomi di alcuni dei loro
comandanti.
Disegnò alcuni simboli della scrittura degli Dèi, con la quale sarebbe stata compilata tutta
la "Cronaca di Akakot": Ritornò sempre sui misteriosi Antenati, il cui ricordo era così
inestinguibilmente impresso nella memoria del suo popolo.
Il mio secondo soggiorno a Manaus passò velocemente. Cominciai a credere in una storia
la cui incredibilità mi appariva come una sfida. Quando Tatunca Nara mi offrì di
accompagnarlo ad Akakor, accettai perciò la sua proposta.
Tatunca Nara, il fotografo brasiliano J. ed io, lasciammo Manaus il 25 settembre 1972. Il
nostro piano era questo: viaggio su una motozattera noleggiata fino al corso superiore del
Rio Purus, cambio su di una canoa con motore di poppa, trainata fin lì da noi, e avanzare
nel territorio della sorgente del Rio Yaku, alla frontiera tra Brasile e Perù. Poi marcia a
piedi oltre il promontorio delle Ande fino ad Akakor. Durata della spedizione: sei
settimane. Ritorno previsto: agli inizi di novembre.
Il nostro equipaggiamento si componeva di amache, zanzariere contro gli insetti,
provviste, i soliti abiti da clima tropicale e materiale sanitario. Eravamo armati con un
Winchester 44/40, due revolver, un fucile da caccia e dei grandi machete. A questo si
aggiunse il materiale per filmare, due registratori ed apparecchi fotografici.
I primi giorni passarono totalmente diversi da come ci aspettavamo. Niente mosquitos,
niente piranha, niente serpenti d'acqua. Il Rio Negro è come un lago senza rive. La foresta
vergine si intravedeva appena all'orizzonte, i suoi segreti erano celati dietro una parete di
verde.
La prima città sul nostro cammino era Sena Madureira, l'ultimo notevole insediamento
umano, prima delle inesplorate regioni di frontiera tra il Brasile e il Perù. È un centro
tipico di tutta l'Amazzonia: strade sporche di fango, case cadenti, l'odore penetrante di
acqua stagnante, marcia. Di dieci abitanti, otto soffrono di beri-beri, malaria e lebbra. La
cronica sottoalimentazione produce negli uomini una stolida rassegnazione.
Circondati dalla brutalità della selva ed isolati dalla civiltà, l'unico mezzo di evasione da
questa sconsolante realtà è la "Cachaça", acquavite di canna da zucchero, che è anche il più
importante alimento.
Nel misero "armazen", completammo i nostri viveri. In un "botequim" (bar) brindammo al
nostro addio al mondo civile. Qui incontrammo un uomo che disse di conoscere il corso
superiore del Rio Purus. Come "Garimpeiro" (cercatore d'oro) era caduto prigioniero degli
Indios Haischa, una tribù in parte civilizzata, nella regione della sorgente del Rio Yaku. Il
suo racconto era scoraggiante: parlò di rituali cannibaleschi e frecce avvelenate.
Il 5 ottobre, alla "Cachoeira Inglesa", sbarcammo per continuare il nostro viaggio in canoa.
La nostra motozattera ritornò a Manaus. Da questo momento dipendevamo da Tatunca
Nara.
Il percorso del Rio Yaku è indicato solo approssimativamente sulle mappe militari. Le
tribù Indios che abitano in queste regioni non hanno ancora avuto alcun contatto con i
bianchi. J. si sentiva insicuro ed anche io avevo uno strano presentimento: esisteva
realmente questa città di Akakor? Potevamo fidarci di Tatunca Nara? Il senso
dell'avventura fu più forte della nostra paura.
Dodici giorni dopo la nostra partenza da Manaus, il paesaggio fluviale cominciò a
trasformarsi. Se prima il fiume sembrava un mare color terra senza rive, adesso la nostra
canoa guidata da Tatunca Nara scivola tra liane ed enormi alberi pendenti. Dopo una
curva del fiume ci imbattemmo in un gruppo di Garimpeiros. Gli uomini avevano
costruito sul fiume un primitivo impianto di lavaggio e setacciavano la sabbia granulosa.
Ci accolsero con gentilezza e ci invitarono per il pernottamento. La sera ci raccontarono di
Indios dai capelli rossi, dipinti di rosso e blu e armati con frecce avvelenate.
Il viaggio stava diventando una spedizione contro i nostri dubbi. Eravamo appena a dieci
giorni di distanza dalla nostra presunta meta, ed il cibo monotono, le fatiche fisiche, la
paura dell'ignoto ci straziavano. La nostra canoa era continuamente circondata da una
nube di mosquitos.
Quello che a Manaus ci sembrava un'avventura fantastica, stava diventando un incubo
soffocante. Saremmo tornati volentieri indietro, dimenticando Akakor, prima che fosse
troppo tardi.
Fino ad allora non avevamo ancora visto un Indio. All'orizzonte s'innalzavano le prime
montagne nevose delle Ande. Dietro a noi s'estendeva il mare verde della pianura basso-
amazzonica.
Tatunca Nara si preparava per il ritorno al suo popolo. Con una strana cerimonia si
dipinse il corpo: la faccia con delle strisce rosse, il torace e le gambe con un giallo scuro.
I suoi capelli sciolti li raccolse con un nastro di cuoio intorno alla fronte. Il nastro portava
dei simboli strani, i segni degli Ugha Mongulala, come ci spiegò.
Il 13 ottobre dovemmo tornare indietro. Dopo una pericolosa corsa attraverso parecchie
rapide, la nostra canoa incappò in un vortice e si rovesciò. Il nostro equipaggiamento
cinematografico imballato in scatole di Isopor, venne sospinto sotto la fitta vegetazione
delle rive. Anche la metà dei viveri e medicinali andò perduta. In questa situazione senza
uscita, decidemmo di sospendere la spedizione e di tornare a Manaus. Tatunca Nara reagì
molto irritato e deluso. L'indomani J. ed io levammo il nostro ultimo campo comune.
Tatunca Nara, con le pitture di guerriero del suo popolo e solo vestito del tanga ritornò via
terra alla sua gente.
Questo è stato il mio ultimo contatto con il capo degli Ugha Mongulala. Dopo il mio
ritorno a Rio de Janeiro, nell'ottobre del 1972, tentai di dimenticare Tatunca Nara, Akakor e
gli Dèi. Solo nell'estate del 1973 i ricordi tornarono: il Brasile aveva iniziato una sistematica
invasione dell'Amazzonia, dodicimila operai iniziarono a costruire due strade attraverso
l'ancora inesplorata foresta, per una lunghezza di 7.000 chilometri: trentamila indios
pensarono che i buldozer erano dei tapiri giganti e si rifugiarono nella foresta.
Era cominciato l'ultima offensiva all'Amazzonia.
Con essa tornarono anche le vecchie leggende, cosi affascinanti e mitiche come prima.
Nell'aprile del 1973 la FUNAI scoprì una tribù di indios bianchi nella parte superiore del
fiume Xingu, cosa di cui Tatunca Nara mi aveva parlato un anno prima.
In maggio durante i lavori di rilevamento nella zona del "Pico de Neblina", le guardie di
frontiera brasiliana entrarono in contatto con degli indios che erano comandati da donne.
Anche questi mi erano stati descritti da Tatunca Nara.
Infine, nel giugno del 1973, varie tribù indie furono individuate nella regione dell'Acre,
che fino ad allora era ritenuta "libera da indios".
Akakor esiste veramente? Forse non sarà esattamente nel modo come Tatunca Nara l'ha
descritta, ma la città, senza dubbio, è una realtà. Dopo aver di nuovo ascoltato le incisioni
di Tatunca Nara, ,decisi di scrivere la sua storia "con esatte parole e scrittura chiara" come
dice la "Cronaca".
Questo libro, la "Cronaca di Akakor", è diviso in cinque parti. Il "Libro del Giaguaro" si
occupa della colonizzazione della terra da parte degli Dèi e si estende fino al periodo della
seconda catastrofe mondiale. Il "Libro dell'Aquila" comprende il periodo tra il seimila e
l'undicimila, secondo il suo calendario, e descrive l'arrivo dei Goti. Il terzo libro, il "Libro
della Formica" ci parla delle lotte contro i colonizzatori portoghesi e spagnoli, dopo che
sbarcarono in Perù ed in Brasile. Il quarto ed ultimo libro il "Libro del Serpente d'Acqua"
descrive l'arrivo dei duemila soldati tedeschi ad Akakor e la loro integrazione nel popolo
degli Ugha Mongulala; inoltre annuncia una terza grande catastrofe. Nella appendice ho
fatto il compendio dei risultati delle mie ricerche negli archivi brasiliani e tedeschi.
La maggior parte di questo libro, l'attuale "Cronaca di Akakor", segue rigorosamente il
racconto di Tatunca Nara. Ho cercato di riportarla il più possibile alla lettera, anche
quando sembra che contraddica la storiografia tradizionale. Ciò vale anche per le mappe
ed i disegni, elaborati dai dati fornitimi da Tatunca Nara. Gli scritti furono eseguiti da
Tatunca Nara a Manaus. Ogni capitolo è preceduto da un corto sommario della storia
tradizionale, per dare al lettore una base di comparazione; ma si limita agli eventi più
importanti della storia dell'America Latina. La tavola cronologica, che si trova alla fine del
libro, fornisce la comparazione tra il calendario di Akakor e quello della storia
tradizionale. In un altro quadro mi riferisco ai nomi probabili, dati dalla civiltà bianca alle
varie tribù indicate nel testo.
Le citazioni della "Cronaca di Akakor" inserite nel testo, mi furono raccontate da Tatunca
Nara che le conosceva a memoria. Secondo lui la "Cronaca" vera e propria è stata scritta su
legno, poi su pelle e successivamente anche su pergamena, ed è conservata dai sacerdoti
nel Tempio del Sole, come la più importante eredità degli Ugha Mongulala.
Il Vescovo M. Grotti è stato l'unico uomo bianco a vederla e ha riportato con sé vari
appunti. Dopo la sua morte misteriosa tali documenti sparirono. Tatunca Nara pensa che il
Vescovo li abbia nascosti o che siano conservati negli archivi del Vaticano.
Ho verificato il più scrupolosamente possibile tutte le notizie dell'introduzione e
dell'appendice per quello che riguarda la loro veridicità.
Le citazioni degli storici contemporanei provengono da fonti spagnole che io ho tradotto.
Ho solo aggiunto delle considerazioni personali nell'Appendice per facilitare la
comprensione. Volutamente non mi sono rifatto alle teorie che riferiscono di astronauti o
esseri divini come possibili antenati della civiltà umana, quindi vengono menzionati solo
marginalmente.
Il fascino di questo libro sta nella narrazione della storia e della civiltà degli Ugha
Mongulala in contrapposizione a quella dei barbari bianchi.
Akakor è esistita veramente? Esiste veramente una storia scritta dagli Ugha Mongulala? I
miei dubbi mi obbligano a dividere questo libro in due parti. Nella "Cronaca di Akakor"
riporto esclusivamente il racconto di Tatunca Nara. L'appendice invece contiene il
materiale che sono andato a ricercare nelle rispettive fonti.
Il mio contributo in questo senso è ben poco, comparato alla storia di un popolo
misterioso; con padri primigeni, leggi divine, città sotterranee e tante altre cose grandiose
e sconosciute.
Questa è una storia che potrebbe aver avuto origine da una leggenda ma che tuttavia viene
raggiunta dalla realtà e da essa confermata. Il lettore stesso deve decidere tra un racconto
abilmente artefatto ed inventato, basato sulle lacune di una storiografia approssimativa... o
un pezzo di storia autentica, raccontata con buone parole e scrittura chiara.
Karl Brugger
Rio de Janeiro, 8 maggio 1975

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