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A.A.

2019/2020
Corso di Storia della scienza
prof. Marco Beretta

Fino al Settecento l’alchimia, ovvero la fede nella trasmutazione dei metalli vili in oro e la
ricerca dell’elisir di lunga vita, era inclusa a pieno titolo nel corpo dello scibile, anche contro
ogni evidenza di cui oggi possiamo godere. Fu Antoine Laurent Lavoisier a imprimere una
svolta nella storia della chimica e della scienza a cui fu successivamente dato il nome di
Rivoluzione chimica. Nel 1962 Thomas Kuhn pubblica La struttura delle rivoluzioni
scientifiche. Secondo lui la scienza si evolve in ambiti dottrinali all’interno dei quali gli
scienziati riescono ad adattare le loro scoperte: quando si accumulano anomalie nel processo
di adattamento delle scoperte alla dottrina in corso, occorre cambiare il contesto dottrinale.
Va precisato che la scienza si è fin dall’inizio presentata come terreno di competizione tra
idee, quindi anche come una promozione di istituti democratici. Non è quindi vero quello che
dice Roberto Burioni che la scienza non è democratica. La scienza non è un’opinione ma non è
vero che non è democratica: in presenza di una convenzione scientifica errata spetta allo
scienziato persuadere della sua erroneità, non censurarla. Lo scienziato ha il dovere di
giustificare le credenze scientifiche, non di difenderle come verità rivelata.
Gli uomini sentono di mala voglia che alcuno s’innalzi troppo sopra di loro: quindi fanno tutti gli sforzi
per deprimere il genio, od almeno per offuscarne i pregevoli ritrovamenti. Bastar dovrebbe ai perfidiosi
che accusano di perniciose conseguenze il vaccino, rinfacciar loro più di un milione e mezzo di vaccinati,
dei quali sarebbe certo perita una decima parte per vajuolo, ed un’altra rimasta malconcia ed offesa: ma
neppur questo è sufficiente. E come mai persuadere chi non vuol essere persuaso? Nulla di meno volendo
io trattare compiutamente la dottrina del vaccino, mi credo in dovere di richiamare ad esame
scrupolosissimo tanto quelle obbiezioni, chela prudente e fredda ragione al nascere dalla scoperta ha
messo in campo, siccome quelle che ha fabbricato la malvagità di taluni, le quali poi spacciate dai
ciarlatani e dagl’impostori, hanno sedotto la classe meno istruita della società.
Luigi Sacco, Trattato di vaccinazione

La storia dell’alchimia
L’alchimia è un antico sistema filosofico esoterico che combina elementi di chimica, fisica,
astrologia, arti, metallurgia, misticismo e religione. Gli obiettivi sono a metà strada tra
speculazione e tecnologia: la purificazione dell’anima, la panacea universale per curare tutte
le malattie e allungare indefinitamente la vita e la trasmutazione di tutti i metalli vili in oro. È
per questo motivo che anche la corporazione dei distillatori era permeata di alchimia. Si pensi
al nome eau de vie: il significato che si voleva attribuire attraverso questo nome era quello di
un sollievo e una guarigione che coinvolgeva la totalità della vita umana. Tuttavia, non si
potevano fare passare i distillati come dei rimedi poiché in questo caso i distillatori sarebbero
entrati in conflitto con la corporazione dei farmacisti.
Il termine ‘alchimia’ proviene dall’arabo sembra riferirsi direttamente alla pietra filosofale.
Sembra esserci un collegamento con il termine greco kymeia che significa fusione. Un’altra
etimologia la collega con la parola Al Kemi che rimanda all’arte egizia: gli egiziani erano infatti
considerati come potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe derivare anche
da kim-iya, termine cinese che significa «succo per fare l’oro».
La trasmutazione dei metalli di base in oro, ad esempio con la pietra filosofale, simboleggia un
tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza. Gli alchimisti
credevano che l’intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l’oro, per la
sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la sostanza che più vi si avvicinava.
Svelando il segreto dell’immutabilità dell’oro si sarebbe potuto, secondo la credenza, vincere
le malattie e il decadimento organico. Il magnus opus per ottenere la pietra filosofale avveniva
mediante sette procedimenti: putrefazione, calcinazione, distillazione, sublimazione,
soluzione, coagulazione e tintura. I tre stadi fondamentali si distinguono per il colore
ottenuto: nigredo quando la materia si dissolve, albedo quando si purifica, rubedo quando si
ricompone. Essi potevano aumentare fino a dodici e il loro numero era collegato ad un
significato magico.
Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l’origine della loro arte all’antico Egitto.
Metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme nel mondo antico, in cui una
cosa come la trasformazione dell’oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un
atto governato da regole misteriose. La città di Alessandria fu un centro di conoscenza
alchemica ma sfortunatamente non esisto documenti originali egizi sull’alchimia. Il Papirus
Holmiensis graecus è un papiro del III secolo d.C. che è uno dei più antichi ricettari alchemici. È
nota l’esotericità dell’alchimia, ovvero il suo ricorso al segreto e ciò ha certamente contribuito
alla mancanza di documenti. La leggenda vuole che il fondatore dell’alchimia egiziana fosse il
dio Thot, chiamato Ermes Trismegisto dai Greci, il protettore delle arti. Egli avrebbe scritto
libri che coprivano tutto il campo dello scibile. Il suo simbolo era il caduceo che divenne il
simbolo dell’alchimia. È nel campo dell’alchimia che nasce la corrispondenza tra microcosmo
e macrocosmo tra terra e cielo: nella Tavola smeraldina, attribuita a Ermes Trismegisto, sta
scritto che «ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in
basso». Ci sono stati autori molto importanti che attestano un carattere tipico della cultura
araba. A partire dall’VIII e IX secolo gli arabi assimilano la cultura medica ed è dovuta a loro
l’opera di sistematizzazione della cultura alchemica. Jabir ibn Hayyan, naturalizzato Geber,
nacque nell’813 e a lui è dovuta l’invenzione di molti strumenti di laboratorio, l’introduzione
della distillazione per la purificazione dell’acqua e l’identificazione di numerosi elementi. A
partire dal XII secolo molti testi vengono tradotti in latino, proprio nel clima filosofico della
scolastica, periodo in cui nacquero le università. San Tommaso d’Aquino, Sant’Alberto Magno
e Ruggero Bacone scrissero opere di alchimia.
Nella lavorazione del vetro, un composto molto ambigui, è possibile intravedere la diatriba
presente in tutte le scienze tra artificio e natura intrinsecamente presente nella cultura
alchemica. Plinio il Vecchio, autore dell’enciclopedia di scienze naturali Historia naturalis,
racconta la storia del vetro. Il suo intento è di fare vedere come l’uomo può sì produrre un
artefatto ma che in realtà quello che semplicemente fa è assistere o al massimo agevolare i
processi della natura. In ambito alchemico questa credenza viene ribaltata: il prodotto
artificiale diventa equivalente se non migliore del prodotto naturale. Quando si riuscì a
riprodurre in maniera artificiale il lapislazzulo, processo molto simile alla lavorazione del
vetro, il traguardo raggiunto era tale da fare pensare ai contemporanei dell’epoca che il
lapislazzulo artificiale fosse uguale al lapislazzulo naturale: è presente in questo caso una
contaminazione tra natura e cultura. Un altro esempio sono i filamenti blu del sarcofago di
Tutankamon che sono ricavati da una lavorazione vitrea molto simile a lapislazzulo: i
contemporanei dell’epoca ritenevano questa materia un vero lapislazzulo, non un’imitazione.
Ciò fa comprendere la cognizione che della chimica è stata fatta nel passato, ovvero l’analogia
tra prodotto naturale e prodotto artificiale. Proprio per tale motivo, la lavorazione del vetro
divenne molto ricercata e per questo gli artigiani, che custodivano segretamente le tecniche di
lavorazione, venivano cooptati dalle corti europee. Questa dinamica avveniva anche nel
mondo antico. La stessa tecnica della soffiatura del vetro, inventata a Roma in età
repubblicana, ebbe un impatto economico e sociale notevole. Da quel momento, il vetro venne
da subito usato per conservare i farmaci poiché si scoprì che a contatto con liquidi non rilascia
alcun materiale. Lo sviluppo tecnologico attorno al vetro non lascia indifferenti i filosofi e gli
alchimisti. Anche la trasformazione del vetro, infatti, era considerata come procedimento
alchemico1 attraverso il quale la materia potesse raggiungere un grado maggiore di nobiltà
rispetto a quello che ha in natura. Viene ribaltata la dottrina aristotelica secondo la quale
l’artigiano non può nemmeno imitare la natura: l’artigiano può persino fare meglio della
natura.
Nel Rinascimento le arti chimiche e alchemiche riacquisiscono vigore in quanto esprimono
l’intento umano di controllare e superare il corso della natura: si tratta qui di un ribaltamento
della filosofia aristotelica. È l’uomo che diventa artefice della natura e la sottopone ai suoi
bisogni. È in questa temperie culturale che viene costruita la cupola del Brunelleschi. Anche
l’astrologia esprime una fiducia sconfinata nelle capacità umane di predizione. Mentre
nell’inferno dantesco la volontà di trasformare i metalli vili in oro veniva tacciata di cupidigia,
ora l’alchimia viene valorizzata. Leonardo da Vinci non esita a dire che l’uomo è superiore alla
natura e di come le sue produzioni possano essere considerata una «seconda natura» poiché
esse sono state create da quella natura che è l’uomo. Sono nozioni in nuce di quello che oggi
viene chiamato antropocene. Egli insiste su come l’uomo possa manipolare la natura, sebbene
egli non riesca a riprodurre gli elementi a partire dai quali potere operare. Per questo motivo
egli deplora la ricerca di produrre oro da una materia che non è oro.
Paracelso, autore del De medicina, fu il primo medico a sottolineare l’importanza della
sperimentazione attraverso il ricorso al concetto di dose. Egli riuscì ad utilizzare il mercurio,
una sostanza apparentemente letale, per la cura della sifilide. Nella sua dottrina egli recuperò
anche la correlazione tra microcosmo e macrocosmo, ovvero la credenza che i movimenti
degli astri potessero influenzare il funzionamento biologico dell’uomo, inserendola in un
sistema completamente nuovo centrato sulla sperimentazione. All’epoca, le uniche opere
scientifiche messe all’indice erano quelle di Paracelso proprio perché contenevano l’invito ad
una conoscenza diretta della natura. La tecnica entra comunque nella letteratura2.
In questa temperie culturale, nonostante alcuni ostacoli, l’alchimia diventa la scienza più
importante. Lo studiolo di Francesco I a Firenze contiene le rappresentazioni di tutte le fasi
dell’opus magnus. Rodolfo II di Praga favorì lo sviluppo della disciplina dell’alchimia come
anche la regina d’Inghilterra Elisabetta I che finanziò gli esperimenti alchemici di John Dee.

1 Come ogni procedimento alchemico, anche la lavorazione del vetro era tenuta in grande segretezza. Ne è un

esempio il fatto che nel Seicento Wedgwood, conoscitore di chimica, non riuscì a riprodurre un antico vaso
ritrovato a Portland in cui la ceramica è fusa con il vetro.
2 Il trattato di pirotecnica di Vannoccio Biringuccio ne è un esempio.
Cristina di Svezia invitò alla sua corte numerosi personaggi importanti, tra cui Cartesio, e la
sua conversione al cattolicesimo la portò ad intraprendere un lungo viaggio verso Roma dove
farà costruire una distilleria alchemica. Lo stesso Parmigianino ebbe interesse alchemici che, a
parere del Vasari, lo allontanarono dalla pittura: il leitmotiv dell’ossessione dell’alchimista per
la ricerca della pietra filosofale lo dipingeva come colui che perde tutto.
Nell’ambito della ricerca alchemica, proprio per la centralità ricoperta dalla pratica della
sperimentazione, acquistò importanza il ruolo del laboratorio. Andrea Libavius rappresentò
un laboratorio alchemico molto dettagliato e riflettuto: ad esempio, la stanza dove si operava
con il fuoco la posizionò vicino al corso di un fiume per prevenire eventuali incendi. Anche
Tycho Brahe nel suo castello di Uraniaborg, un osservatorio astronomico, inserisce una stanza
dedicata alle sperimentazioni alchemiche. È possibile notare come la disciplina dell’alchimia
avesse potuto rappresentare un’istanza di unificazione tra teoria e prassi all’interno degli
studi scientifici3. Proprio per questa ragione, un altro aspetto molto interessante che gli studi
alchemici favorirono fu quello di una trasmissione visiva della conoscenza. L’importanza data
alla cultura visiva destituì di autorità la scrittura.
Nel settore farmaceutico l’uso dell’alchimia veniva regolato dalla rispettiva corporazione e
una gran parte dei rimedi introdotti nel Settecento concernevano la cura delle malattie
mentali. La farmacia diventa così un luogo di laboratorio strettamente legato al tessuto
urbano: neanche l’osservatorio astronomico, che generalmente era privato, raggiungeva un
tale ruolo. Esse assolvevano anche la funzione aggregativa arricchendo la vita culturale: un
esempio al riguardo era la preparazione della teriaca, un composto ritenuto in grado di
ottenere sollievo. Si diffondono anche i primi trattati, il De materia medica di Dioscoride fu il
primo, anche se comunque la conoscenza farmacologica era prevalentemente di natura
pratica. Il farmacista doveva essere sia in grado di intercettare le mode sia di verificare
l’efficacia dei rimedi: la farmacia era allo stesso tempo un’impresa commerciale e scientifica e
la chimica moderna nascerà proprio dalle farmacie. Spesso accadeva che le vedove di un
farmacista esercitassero abusivamente la professione di farmacista, assumendo un
portanome, proprio perché era un’attività altamente redditizia.
Francis Bacon, uno dei primi filosofi inglesi del Seicento, fu il primo a legittimare l’alchimia.
Egli scrisse il Novum organum scientiarum (1620) in esplicita contrapposizione all’Organum
aristotelico. Secondo lui, il nuovo metodo che le scienze avrebbero dovuto adottare sarebbe
stato quello degli alchimisti. Gli alchimisti sbagliano ad essere dominati dalla fissazione
dell’idea della trasmutazione dei metalli vili in oro e dell’elisir di lunga vita. Tuttavia, la
manipolazione sperimentale della materia che gli alchimisti praticano rende il loro metodo
molto efficace agli occhi di Bacon. Bacon fu, per l’appunto, l’inventore del metodo
sperimentale. Al contrario, agli occhi di Descartes gli alchimisti erano senza metodo perché
sperimentavano su cose impossibili. Rudolph Glauber, un famoso chimico olandese, divenne
un chimico molto famoso in quanto inventò nuovi strumenti sperimentali e di grandi
dimensioni. Egli riteneva inutile, sebbene possibile, ricercare la possibilità della
trasmutazione dei metalli vili in oro.

3 L’alchimia, proprio per la sua natura doppia, metafisica da un lato e pratica dall’altro, e per la sua ripetitività

sisifica, richiama secondo Jung degli archetipi che rientrerebbero nel patrimonio della psiche umana, in
particolare della religiosità propria dell’uomo.
Sono stati scoperti degli scritti che testimoniano di sperimentazioni alchemiche di Newton: ai
suoi occhi gli esperimenti alchemici offrivano un esteso campo dove sarebbe stato possibile
indagare la materia. William R. Newman ha proprio indagato il ruolo dell’alchimia negli studi
di Newton. Tuttavia, Newton non ha mai pubblicato i suoi scritti alchemici: questo ci interroga
sulle caratteristiche dell’alchimista, il quale più che interessato a scoprire qualcosa di nuovo,
sembra essere interessato la comprensione di come si comporti la materia.

I dotti e i non dotti


Per Aristotele naturale era ciò che aveva il principio di movimento o di cambiamento in se
stesso e artificiale ciò che traeva questo principio fuori di sé. Da questa distinzione ne nacque
una ulteriore distinzione tra arti perfettive, cioè quelle che erano in grado di perfezionare la
natura, e arti imitative, cioè quelle in grado di imitare artificialmente la natura. Col tempo
emerse la convinzione che i confini tra naturale e artificiale potessero essere messi in
discussione. Francis Bacon incarnò questa convinzione e la sua distinzione tra i possibili studi
della natura mostra ciò e recuperò una famosa citazione del Corpus hermeticum: «le cose
artificiali sono diverse da quelle naturali non per essenza, ma solo per il modo in cui
funzionano». La natura poteva, secondo lui, essere studiata nel suo stato normale (natura in
cursu), nelle sue condizioni accidentali e singolari e come sottomessa (natura errans),
assoggettata e costretta dalle mani e dall’ingegno umano (natura vexata).
L’intervento chirurgico dell’innesto, praticato fino agli anni Quaranta del secolo scorso, è un
esempio al riguardo. Esso venne inventato osservando le pratiche agricole4: vi era dunque
un’idea di continuità tra mondo vegetale e mondo umano. È per questo motivo che Gaspare
Tagliacozzo, celebre medico bolognese, riteneva che «se la corteccia di un albero può fondersi
con quella di un altro albero, come nel caso dell’inoculazione, non c’è ragione per dubitare che
la pelle, che è l’analogo della corteccia, possa essere congiunta ad altre parti dello stesso
corpo». Tra Cinquecento e Seicento nascono gli orti botanici, dove viene fatto grande uso di
questa tecnica, ed essi hanno un impatto forte a livello culturale proprio per l’interazione tra
arte e natura che essi sembravano incarnare.
Quivi sono senza fine gl’ingegnosi innesti che con si gran meraviglia al mondo mostrano, quanto sia
l’industria d’un accorto giardiniero che incorporando l’arte con la natura fa, che d’amendue ne riesce una
terza natura, la qual causa, che i frutti sieno quivi più saporiti, che altrove
Bartolomeo Taegio, La villa

Gli alchimisti spinsero ancora più in là l’equivalenza tra il naturale e l’artificiale, fino a
sgretolarne i confini. L’idea era che la natura andasse soggiogata e perfino violentata affinché
parli e riveli i suoi segreti. Vi erano due raffigurazioni: da un lato una natura personificata e
creativa, la dea Iside, e dall’altro lato una natura impersonale che consiste in un insieme di
leggi regolari che, se conosciute, avrebbero permesso di manipolare la natura stessa. È la
seconda raffigurazione quella che è prevalsa fino ad oggi.
Il formaggio acquista importanza in questo contesto. Nel Settecento esso era un bene di lusso
venduto in tutto il mondo. William Marshall in The Rural Economy of Gloucestershire (1789)

4 Va ricordato che, in ambito agricolo, il risultato dell’innesto attraverso la fusione di parti vegetali in una

pianta produce un’unica vera e propria pianta.


descrisse l’operato di alcune donne che lavoravano il latte (dairywomen) come una arte
imperfetta, una pratica avvolta nel mistero e oscura al pubblico. Si trattava di un pratica
estremamente manuale. L’Académie des Sciences di Parigi si interessò fin dalla sua nascita al
processo di trasformazione del latte in formaggio: si trattava, infatti, di un processo sotto gli
occhi di tutti ma che all’occhio del filosofo rivelava grandi meraviglie. Il sapere sul latte che
erano in vigore nel Cinquecento proveniva dalla tradizione aristotelica, non quella accademica
bensì quella più sperimentale e quindi anche più popolare. Aristotele aveva scritto un libro sui
processi metereologici e in cui descriveva il processo della cottura: il calore naturale fungeva,
per Aristotele, da innesto per creare il caglio. La meraviglia che suscitava la lavorazione del
formaggio era proprio dovuta all’interazione tra natura ed artificio che entrava in gioco.

L’Illuminismo
L’Illuminismo rappresentò un’istanza importante ma allo stesso tempo ambigua per lo
sviluppo dell’alchimia. Etienne François Geoffroy studiò per un breve periodo in Inghilterra e
fu autore di un testo farmacologico. Nel 1718 presenta a Parigi una «tavola delle affinità» nella
quale adatta al mondo microscopico la legge di attrazione universale di Isaac Newton.
Quest’opera ebbe un grande successo per tutto il secolo successivo tanto da ispirare l’opera di
Goethe Le affinità elettive. Essa offrì un’immagine della chimica come di una scienza
sperimentale. Nel 1722 scrive una memoria contro l’alchimia denunciandola come una forma
di superstizione illegittima. Tuttavia, l’opera è molto ambigua: sulle prime sembra un attacco
all’alchimia ma lascia intendere una benevolenza in sottofondo. Nel 1777, dopo la sua morte,
viene pubblicato nel Journal de Paris, primo quotidiano al mondo e diretto da un farmacista ce
però non è membro dell’Académie des sciences, l’elenco degli oggetti rinvenuti nella sua
officina e tra di esse vi è un metallo trasmutato in argento. Viene fatto notare da un membro
dell’Académie des sciences che lo stesso Geoffroy aveva negato nei propri scritti la possibilità
della trasmutazione. Entra nel dibattito una questione di autorità, in particolare l’autorità
derivante dall’appartenenza all’Académie des sciences.
Il celebre medico tedesco Georg Ernst Stahl, quasi contemporaneo di Geoffroy, riteneva la
chimica una disciplina molto importante per lo studio della medicina. Egli insegnava ad Halle
che era una località in prossimità di un distretto minerario e le conoscenze chimiche erano
importanti al riguardo: per questo motivo istituisce una cattedra di chimica diretta da lui. Egli
riteneva che tutte le sostanze che bruciano contengono flogisto, un ente metafisico, che unito
all’ossido fornisce un metallo. Stahl elabora la sua teoria a partire da quella di Johann Joachim
Becher il quale, ispirandosi alla dottrina della materia di Empedocle e Paracelso, considerava
la materia chiamata terra come un composto di tre elementi: terra lapidea, terra pinguis e
terra fluida. La terra pinguis, che presentava caratteristiche ignee, venne ridenominata da
Stahl ‘flogisto’ con l’intento di identificare in esso il principio di combustibilità della materia.
Pur essendo errata, la teoria stahliana è analoga a quella attuale dell’ossidoriduzione: invece
che togliere flogisto basta aggiungere l’ossigeno ed ecco che si ottiene la teoria corretta.
Consapevole della complessità della materia, Stahl adotta una terminologia adeguatamente
complessa. La sua intuizione che rimase nella storia fu che la materia è composta da più parti,
in particolare da principi chimicamente attivabili grazie all’azione del fuoco. Dopo Stahl si
diffonde lo studio della chimica nelle università: i manuali di studio, cosa alquanto inedita,
sono scritti in lingua vernacolare, con una terminologia nuova e a più mani5. La teoria del
flogisto di Stahl e la sua filosofia della materia di carattere puramente qualitativo non
escludono concettualmente la possibilità della trasmutazione dei metalli vili in oro. Solo con
Lavoisier la chimica acquisterà un carattere quantitativo e la trasmutazione dei metalli verrà
sconfessata.
Guillaume François Rouelle fu anche lui professore di chimica nel Settecento, in un’epoca in
cui essi erano ridotti allo stato di dimostranti dei professori di medicina. Diderot considerava
Rouelle come il fondatore della chimica. La sua fama fu dovuta alla grande sagacia con cui
proponeva esperimenti chimici spettacolari al Jardin des plantes a Parigi. Diderot riporta che
Rouelle nutrive dei dubbi riguardo alla trasmutazione dei metalli vili in oro nonostante ci
fossero testimonianze autorevoli che ne confermavano l’effettività. Nasce una grande
discussione sulla credibilità di quello che Diderot dice su Rouelle e per la prima volta il
dibattito sull’alchimi va a indagare l’autorità dei testimoni.

La chimica dell’Encyclopédie
La chimica ricevette una trattazione eminente nell’Encyclopédie. Gli autori dell’Encyclopédie,
Diderot e D’Alembert, si allontanarono l’uno dall’altro per una divergenza riguardo
all’impronta da dare all’opera: il primo voleva dare un’impronta più umanista mentre il
secondo una più improntata alle scienze esatte. Diderot scrive che «la chimica è imitatrice e
rivale della natura» e che «il suo oggetto è quasi tanto esteso quanto quello della natura», anzi
«essa o decompone gli enti o li fa rivivere o li trasforma». Non si tratta quindi di una scienza
meramente descrittiva o esplicativa ma di una scienza in grado di agire sulla natura. È per
questo motivo che le voci della chimica e dell’alchimia, considerate come alleate della riforma
del sapere filosofico e scientifico, sono quelle più estese nell’Encyclopédie. L’intento di Diderot
era quello di rispondere alle sollecitazioni filosofiche e ideologiche che avevano ispirato
l’opera e che possono essere riassunte in tre punti fondamentali:
 dare un fondamento anti-metafisico alla scienza,
 ottenere prodotti identici a quelli naturali aprendo così la strada ad un dominio sulla natura,
 coinvolgere in maniera diretta le scienze nella trasformazione materiale ed economica del
mondo.
Occorreva un autore in grado di rispondere a questo intento di Diderot. Nella prima edizione
venne affidata la redazione della voce ‘alchimia’ a Paul Jacques Malouin ma questi non riuscì
bene nel rispondere a tale intento. Contemporaneamente alla redazione dell’Encyclopédie,
Diderot si dedica ad alcune opere filosofiche nelle quali egli definisce le sue priorità: tra
queste opere ci sono anche i Pensieri sull’interpretazione della natura (1754). Emerge qui la
visione di Diderot secondo la quale le scienze sperimentali sono il tessuto dello scibile in
generale6. In esso è contenuto un attacco diretto alla matematica e alla geometria accusate di
basarsi su principi astratti. Per ottemperare all’intento originario, Diderot decise di sostituire
Malouin con Gabriel François Venel, allievo di Rouelle. Nel 1753 avviene la stesura
dell’articolo dedicato alla chimica scritto da Rouelle. In esso si trovano una rivoluzione

5 Occorre ricordare qui Hermann Boerhaave, professore di medicina a Leida, che istituì una cattedra di chimica

e scrisse un trattato che ebbe un grande successo.


6 Nello stesso periodo esce il Sistema della natura di D’Holbach in cui viene esplicitato il più estremo

materialismo filosofico: tutti i fenomeni naturali e psichici vengono ricondotti a movimenti della materia.
dell’assetto tradizionale della chimica accanto ad una posizione ambigua nei confronti
dell’alchimia, in accordo con quanto Diderot aveva appreso e riportato da Rouelle. In sintonia
con questa posizione nel 1720 Pierre-Joseph Macquer sosterrà la compatibilità della
trasmutazione dei metalli con le più recenti scoperte della chimica.
Occorre precisare che alla fine del Settecento si afferma a Parigi una temperie culturale molto
favorevole alla diffusione di nuove idee filosofiche anche molto ambigue: ciò non è
inspiegabile in un contesto in cui i saperi non sono ancora codificati e definiti. Il caso di
Calliostro, una persona semianalfabeta che riesce ad ottenere un successo enorme, è eclatante
in questo senso. Un altro caso notevole è quello di Franz Mesmer che ottiene numerosi
successi grazie ad una terapia basata sul flusso di fluidi imponderabili, tra cui un presunto
fluido magnetico. Si tratta di idee che non hanno basi sperimentali e che per questo motivo
l’Académie des sciences, dopo alcune ricerche, ostacolerà. Quello che è possibile osservare è
che vari tipi di idee si verificano a vicenda e questo proprio grazie ad un’autorevolezza del
sapere scientifico in continua discussione.
L’articolo di Venel inizia con una breve disamina della storia della chimica: la funzione di
questa trattazione era altamente ideologica, volta a dare una identità alla disciplina in
questione. Viene anche operata una netta distinzione tra la chimica e la fisica di fronte ad una
grave confusione tra le due discipline fra le persone poco edotte. Venel denunciata la
mancanza di esperienza fondata fra vari studiosi che si sono occupati di chimica: esistono dei
trattati su come svolgere alcune operazioni ma non vengono date alcune spiegazioni
filosofiche. Un'altra preoccupazione di Venel è la trascuratezza dello studio della fisica da
parte di chi si occupa di chimica. L’orgoglio del chimico ingaggia una lotta contro la fisica.
Occorre qualcuno che ponga la chimica accanto alla fisica, pur tenendo queste due discipline
distinte. È qui che Venel invoca un «nuovo Paracelso» che faccia leva su di una filosofia
empirica che non si occupi solo di speculazioni bensì anche di fatti empirici.
Venel distingue tre mutamenti operati nei corpi sia naturalmente sia artificialmente: il
passaggio da non organico a inorganico, l’unione o la separazione dei principi costituenti e il
passaggio dal riposo al movimento. Si tratta di proprietà esteriori imposte ai corpi. Esistono
invece proprietà interiori inerenti a ciascun corpo. Il fisico vede masse, forze e qualità mentre
il chimico vede corpuscoli, rapporti e principi. Lo scopo della chimica è di capire di come sono
fatti i corpi e per questo li separa in corpuscoli. Separazione e unione dei principi sono le due
operazioni chimiche immediate: esse sono chiamate anche diacresi e sincresi, o analisi e
sintesi. Tali operazioni sono molto pericolose e Venel sottolinea l’audacia che deve avere il
chimico nel compierle, perciò il chimico viene considerato come un lavoratore vero e proprio.

La scoperta della natura dei gas


Stephen Hales scrisse nel 1727 una Statica dei vegetali: egli osservò che le piante assorbono
dall’aria una grande quantità d’acqua. Quest’opera trova collocazione tra i seguaci della
filosofia naturale di Newton e non viene catalogata come trattato di chimica. Prima che essa
susciti interesse in ambito chimico occorreranno trent’anni. Fino alla metà del Settecento,
infatti, la maggior parte dei chimici e dei medici continuò ad aderire alla teoria aristotelica dei
quattro elementi, pensando l’aria come una sostanza semplice. Tra il 1753 e il 1755 Joseph
Black7 presentò una tesi sull’uso del carbonato di magnesio per curare l’acidità di stomaco.
Egli aveva lavorato con dei sali con proprietà caustiche ritenute tali da scogliere le impurità
contenute nel corpo umano. Comprende che l’aria non è un elemento semplice e che alcune
parti di essa possono entrare nei corpi solidi andandone così a costituire la composizione
chimica. Nel 1766 Henry Cavendish riesce ad isolare dell’idrogeno che chiamerà «aria
infiammabile» e presenta questa scoperta alla Royal Society. Se la teoria dei quattro elementi
di Aristotele, inglobata sia nel sistema di Paracelso sia in quello di Stahl, vedeva l’aria come
elemento semplice, ora questa viene messa in discussione. Nel 1772 Joseph Priestley,
impegnato in esperimenti sulla natura dell’eletticità, scopre diversi elementi gassosi tra i quali
l’anidride carbonica utile per imitare alcune acque che hanno una natura effervescente. Le
scoperte di Priestley vennero commentate anche da Alessandro Volta, il quale eseguì lui
stesso degli esperimenti metereologici. Tra i fenomeni che ispirarono la sua ricercaci furono
le esalazioni gassose che provengono dalla terra, soprattutto dalle paludi comasche nelle quali
lui stesso abitava. Ciò che è importante notare è che, all’eccezione di Black, che infatti non
approfondisce più di tanto le sue ricerche, coloro che indagano la natura complessa dell’aria
sono tutti fisici. Lo stesso Venel critica la messa in discussione della natura semplice dell’aria e
questo mostra la resistenza che i chimici hanno nei confronti della fisica sperimentale. La
familiarità con gli strumenti scientifici era fino ad allora appannaggio unico dei chimici.
Torbern Bergmann venne nominato professore di chimica ad Uppsala nel 1768, dopo il
pensionamento del professore Wallerius. Quest’ultimo venne accusato di un approccio troppo
speculativo e la nomina di Bergmann voleva proprio contrastare tale approccio: occorreva
una personalità innovativa, giovane e promettente. Tra i crediti di Bergman vi è il
perfezionamento di uno strumento semplice ma abbastanza sofisticato, il cannello
ferruminatorio, che permetteva di scoprire un cospicuo numero di minerali dirigendo su di
essi una fiamma con l’ausilio di un soffio umano. Fu grazie a questo strumento che vennero
rinvenute rocce vesuviane dell’epoca della distruzione di Pompei. Uno dei contributi più
importanti che Bgman diede al rinnovamento della metodologia chimica fu quello di adottare
un approccio matematico e quantitativo nell’indagine dei fenomeni naturali. Egli propose
anche una riforma della nomenclatura che, pur non avendo avuto successo, rappresentò un
prodromo a quella operata da Lavoisier. Molti strumenti da lui utilizzati li mutuò dalla fisica
sperimentale. Questo ebbe un importanza notevole per lo studio del comportamento dei gas
per il quale, tra l’altro, costruì un laboratorio dedicato.
Carl Wilhelm Scheele fu un collaboratore di Bergman che lavorò nel laboratorio di Bergmann.
Questi scoprì e informò Lavoisier di un metodo sperimentale basato sull’uso del mercurio che
permetteva di isolare l’ossigeno. Pubblicò anche un’opera nella quale mirava a ridefinire i
confini che Venel aveva attribuito alla chimica. L’approccio metodologico risultava molto più
avanzato nella direzione di una maggiore quantificazione, rigore, precisione e
sperimentazione. La chimica venne definita come quella disciplina che ricerca le cause delle
proprietà dei corpo ed essa è inserita in una gradazione delle conoscenze di cui rappresenta la
base. Essa, quindi, non può essere isolata dalle altre discipline ma ne rappresenta una

7 Professore di chimica a Edimburgo dove esisteva una scuola medica molto importante e sulla quale si ispirò

l’insegnamento di Boerhaave.
gradazione diversa nell’approfondimento dell’indagine della materia 8 . La definizione
aristotelica di elemento o quella paracelsiana di principio viene integrata dalla definizione di
parti costituenti: questo per porre come dato di fatto la complessità della materia. Nonostante
ciò, in Bergmann era ancora presente la teoria del flogisto di Stahl.
Maurizio Landriani alla fine del Settecento introduce uno strumento per la misurazione
dell’ossigeno nell’aria chiamato eudiometro. Venne compresa per la prima volta l’importanza
di cambiare aria per migliorare la salubrità degli ambienti e conseguentemente la salute di chi
li occupa. Landriani credeva che questo dispositivo misurasse anche la salubrità dell’aria ma
Volta lo criticò su questo facendogli notare come il suo strumento si limitasse alla misurazione
dell’ossigeno nell’aria. Comunque, la scoperta di Landriani si inserì in un contesto di studi
sulla natura dei gas che era sempre in aumento. Un altro episodio importante per la storia
della chimica quello avvenuto nel 1783 quando avvenne il primo volo con umani a bordo su
iniziativa dei fratelli Montgolfier: si trattava del primo pallone aerostatico alimentato
interamente a idrogeno. I gas che compongono l’atmosfera diventano oggetto di studio
sistematico in varie discipline. Fu a partire da questio episodio che a Lavoisier venne l’idea di
lavorare sulla combustione dei gas infiammabili sui quali, tra l’altro, si era già imbattuto
Alessandro Volta, con il quale Lavoisier ebbe dei contatti.

Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794)


La figura di Lavoisier emerse in un contesto in cui la chimica era molto alla moda e stava
progredendo molto velocemente, tuttavia essa mancava di precisione. Il suo compito, agli
occhi di Lavoisier, era quello di penetrare i meandri più reconditi della materia e andare al di
là delle apparenze superficiali dei corpi, a cui la meccanica e la fisica erano invece costrette.
Come Tornbern Bergman la sua formazione fu molto peculiare. Nato nel 1743 in una ricca
famiglia borghese, questo fatto gli permise di essere accolto in ambienti altolocati, vivaci,
attivi e dove si potevano trovare grandi risorse economiche. Il padre lo iscrisse al collegio
Mazzarino poiché voleva per il figlio un’istituzione che non prevedesse un’educazione
religiosa troppo invadente. Inoltre, questa istituzione prevedeva la possibilità di una
frequentazione non residenziale e il padre, che voleva che il figlio vivesse con lui, preferì
questa opzione. Nel collegio Mazzarino era molto diffuso lo studio delle scienze e lì vi
insegnava Nicolas Louis de la Caille, autore di numerosi manuali di scienze naturali. A partire
dal 1762, Lavoisier ebbe come maestro Jean Nollet, famoso scienziato a cui è dovuta
l’introduzione della fisica sperimentale in Francia. Nollet costruì molti strumenti per
riprodurre leggi fisiche e riuscì perfino a costruire la prima macchina elettrica. Alessandro
Volta si ispirò profondamente a Nollet per la sua ricerca scientifica. Uscito dal collegio
Mazzarino, Lavoisier si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza alla Sorbona. Tuttavia, rimase in
Lavoisier un’attrazione verso la chimica. Jean Etienne Guettard, un chimico che operava
presso la residenza del duca di Orléans il quale voleva ottenere per riproduzione la porcellana
cinese, prese sotto di sé, tra il 1763 e il 1767, la formazione chimica di Lavoisier su invito di
Nollet. Fu Guettard a imprimere in Lavoisier l’attenzione al rigore metodologico-sperimentale.

8 È in base a questa diversa gradazione che viene operata una distinzione tra chimica volgare, che si occupa

degli elementi più grossolani, e chimica trascendente, che indaga gli elementi di più fina tessitura.
Una delle prime occasioni che Lavoisier ebbe per distinguersi, in vista di un’entrata
nell’Académie des sciences, fu un concorso organizzato dall’Académie stessa, su invito della
polizia parigina, per la risoluzione del problema dell’illuminazione delle strade di Parigi. I
giudici che valutano le opere giunte al concorso rimasero talmente stupiti dal risultato di
Lavoisier che questi riuscì perfino ad ottenere una medaglia regale. Tra gli altri studi
scientifici a cui si dedicò Lavoisier ci fu l’analisi del gesso. Nel 1767 compì con Guettard un
viaggio in Alsazia per andare a vedere delle basi minerarie: scoprì il fatto che l’analisi degli
strati di roccia poteva aiutare a comprendere i processi geologici. Queste esperienze mostrano
la versatilità dell’approccio di Lavoisier e la perspicacia che aveva nel trovare soluzioni
all’avanguardia. La curiosità molto vasta di Lavoisier è sempre stata dominata da
un’attenzione agli strumenti scientifici: in questo si rivela la sua eredità di Nollet.
Parallelamente alla sua entrata nell’Académie des sciences, Lavoisier entrò a fare parte della
Ferme générale, un’istituzione che operava sotto l’egida della corona per la riscossione delle
tasse e i cui componenti compravano l’incarico, considerato come un titolo molto prestigioso.
Tale incarico consentiva a Lavoisier di acquisire una notevole ricchezza in poco tempo. La
maggior parte del tempo veniva dedicato da Lavoisier alla professione di fermier e solo la
mattina presto e la domenica si dedicava alle scienza. Queste condizioni erano condivise con
anche altri scienziati che coltivavano la scienza in una situazione molto precaria. Lavoisier fu
uno dei primi scienziati ad attuare la prassi del protocollo di laboratorio per registrare i dati
della sperimentazione, sia in caso di successo che di fallimento. Su questo atteggiamento ha
sicuramente influito il suo ruolo da fermier che prevedeva di tenere conto delle tasse versate.
Nel 1768 Lavoisier si dedicherà alla scoperta di Lazzaro Spallanzani riguardo la riproduzione
autogena della testa delle lumache, un fatto che aveva aperto una discussione in ambito
filosofico contrapponendo i materialisti agli anti-materialisti. Pubblicherà al riguardo sulla
celebre rivista L’«Avantcoureur», una rivista scientifica molto celebre a Parigi e che
rappresentava un terreno fertile per la rinascita dell’alchimia. Lavoisier, consapevole di
utilizzare canali di comunicazione autorevoli per mettersi in vista, dedicò attenzione ad essa.
Nello stesso anno, discuterà all’Académie la possibile conversione o trasmutazione dell’acqua
in terra. L’ipotesi di questo esperimento era dovuta all’opera di un alchimista olandese del
1648, Joan Baptista van Helmont. Un membro della sezione di fisica dell’Académie, Le Roy,
aveva messo in discussione questo esperimento e i chimici si sentirono per questo offesi nella
loro autorità da qualcuno che non era chimico. Sullo sfondo di questa diatriba Lavoisier opera
un esperimento della durata di cento giorni in cui vede smentiti i risultati di van Helmont.
Van Helmont sosteneva la sua tesi della trasmutazione di acqua in tessa mostrando che alcune
piante fatte crescere in sola acqua aumentavano di peso. Lavoisier adotta un approccio
completamente diverso, mostrando come già nell’acqua fossero presenti elementi solidi: per
fare ciò compì un processo di distillazione dell’acqua in cui isolò, attraverso uno strumento
chiamato pellicano, l’acqua dagli elementi salini e minerali. Egli introduce nuovi strumenti, tra
cui l’idrometro per determinare il peso specifico delle soluzioni saline, e adotta una nuova
metodologia. L’ipotesi che elabora Lavoisier è che la materia sì si trasforma ma che la
trasmutazione di materia complessa in altra materia complessa non è possibile: nel caso
dell’esperimento di van Helmont, non vi era stata alcuna trasmutazione, ma solo un normale
fenomeno di dissoluzione. L’analisi quantitativa della materia, favorita dall’uso sistematico di
strumenti di precisione, poteva così condurre a risultati originali.
Nel 1772 Lavoisier comprende l’importanza di sperimentare sulla natura dei gas: dal
momento che l’aria è presente in tutti i corpi, essa assume un’importanza centrale. La stessa
distinzione tra i tre stati in cui la materia si può trovare, solido, liquido e gassoso, è dovuta a
Lavoisier. Lavoisier fece una nota sigillata9 su un esperimento da lui compiuto e in grado,
secondo lui, di mettere in discussione la teoria di Stahl. L’attenzione adottata da Lavoisier era
squisitamente quantitativa: non era più possibile guardare le reazioni chimiche da un punto di
vista qualitativo. Nel 1774 Lavoisier pubblica gli Opuscules physiques e chimiques in cui espone
tutte le dottrine di chi ha operato esperimenti sull’aria, in particolare quelle di Black, Priesley
e Cavendish. Tuttavia, non emergono ancora gli elementi di una vera e propria rivoluzione.
Nel suo intento, l’opera si sarebbe dovuta dividere in due tomi ma lui ne scrisse solo uno. Il
tassello mancante in quest’opera era la scoperta dell’ossigeno. Fu Carl Wihlem Scheele che nel
settembre del 1774 comunicò a Lavoisier il modo in cui era possibile isolare l’ossigeno
attraverso il mercurio ma che lui non poteva mettere in atto in mancanza di fondi per
acquistare il mercurio. Egli chiamò l’aria che scoprì «aria infiammabile», laddove Priestley
utilizzò l’espressione «aria deflogisticata». Fu Lavoisier a utilizzare per la prima volta il nome
‘ossigeno’. Questi considerava la sostanza da lui scoperta come la parte più pura dell’aria che,
combinandosi con i metalli, passa allo stato di solidità, calcifica questi e ne aumenta il peso.
Nel 1775 Lavoisier venne incaricato dal ministro delle finanze Turgot10 di costruire un
laboratorio presso l’Arsenal di Parigi per produrre la polvere da sparo. Lavoisier finanziò un
premio per la produzione di una polvere da sparo economica e di alta qualità. Il premio non lo
vinse nessuno ma questa iniziativa sollecitò l’intervento di diversi scienziati da tutto il paese.
In tutte queste fasi, fu costante l’approccio analitico di Lavoisier: tutto doveva essere
misurabile e quantificabile e per questo motivo vennero introdotti nuovi strumenti di
misurazione. Trent’anni dopo l’opera di Diderot, viene pubblicata l’Encyclopédie méthodique,
un’opera in cui ciascuna scienza veniva trattata in un volume a sé stante. L’immagine della
scienza è quella di una disciplina che deve rifarsi a criteri rigorosi di verifica sperimentale.
Il contributo che Lavoisier ha dato alla chimica è analogo a quello che Galileo ha dato alla
fisica: entrambe sono consistiti in un abbandono di un’attenzione qualitativa per una di tipo
quantitativo. Attorno a Lavoisier si riunisce un gruppo di persone autorevoli, quali ad esempio
Monge e Laplace, che propongono un’immagine nuova della chimica. L’Arsenale dove si è
installato Diderot diventa, in questo senso, un luogo favorevole per la collaborazione di gruppi
di ricerca e questa caratteristica verrà recuperata dopo la Rivoluzione. Quello della collegialità
della ricerca scientifica è un ulteriore cambio di paradigma rispetto al passato e necessaria
per il carattere sperimentale che la chimica sta assumendo.
Nella seconda metà degli anni Settanta, Lavoisier conclude che l’ossigeno è presente negli
acidi e ipotizza che l’ossigeno sia il principio acidificante. Nasce da qui il nome ‘ossigeno’ dal
greco oxys che significa acidità e geinomai generatore. Tuttavia si tratta di un errore: infatti, si

9 Gli accademici avevano la possibilità di fare una nota sigillata, una procedura simile all’odierno diritto

d’autore, tramite un segretario.


10 Era un illuminista che sosteneva che per dare prosperità alla Francia in un contesto di grande decadenza

occorreva valorizzare l’intraprendenza della borghesia.


è scoperto successivamente che ci sono acidi, come l’acido cloridrico, che non contengono
ossigeno. Attraverso la scoperta della natura dell’ossigeno, Lavoisier impresse una
rivoluzione nella concezione della materia. C’era un problema psicologico che frenò
l’accettazione della natura composta dell’acqua: come può essere l’acqua composta da dei
gas? Come fa un liquido ad essere il prodotto di gas? Tuttavia Lavoisier mostrò lo stesso che
l’acqua è composta da idrogeno e ossigeno. Per arrivare anche solo a tale ipotesi, Lavoisier
dovette adottare una concezione della materia come composta e dotata di un calore specifico
che, se modificato, porta ad una modifica dello stato stesso della materia. Si trattava, per
Lavosier, di attuare una vera e propria conversione attraverso la quale abbandonare la teoria
del flogisto di Stahl. Nel 1777 Lavoisier pubblica delle riflessioni sul flogisto dove in gioco non
era solo la sua effettiva esistenza quanto il metodo stesso e lo statuto epistemologico della
chimica. La teoria del flogisto, infatti, nacque attraverso un approccio radicalmente anti-
newtoniano11: la sua esistenza era stata congetturata ad hoc per dare conto di una serie di
dati osservativi altrimenti incomprensibili; si trattava dunque di una congettura. Ora, anche la
chimica viene entra in quel processo di rielaborazione contenutistica meglio conosciuta con il
nome di Rivoluzione scientifica. In risposta a queste riflessioni, alcuni tentarono di adattare la
teoria del flogisto ai nuovi fenomeni scoperti, fino ad ipotizzare, per spiegare la perdita di
peso della calce di mercurio rispetto al mercurio iniziale, che il flogisto fosse una sostanza con
un peso negativo.
Lavoisier affrontò, tra l’altro, il problema della nomenclatura: egli notava che i nomi utilizzati
per individuare i vari elementi erano del tutto inadeguati. Per elaborare una filosofia del
linguaggio chimico, egli si ispirò a Condillac, un seguace sensista e materialista di Locke. Carl
von Linné aveva pubblicato quarant’anni prima il Systemae naturae per classificare i vari
viventi ed aveva individuato nelle varie tipologie riproduttive il criterio per attuare tale
classificazione. Nel 1787 Lavoisier pubblica il Metodo di nomenclatura chimica. In quest’opera
viene citato esplicitamente Condillac che sosteneva che le lingue avevano un ruolo attivo nello
sviluppo del proprio pensiero: era quindi necessario perfezionare il fondamento linguistico
della chimica. La lingua, inoltre, grazie alla sua natura analitica, permette di mettere alla prova
la nostra immaginazione e serve per conservare una funzione di verificabilità dell’intuizione
con la realtà. Lavoisier accusò Stahl e Boerhaave per avere sfigurato il linguaggio della chimica
mostrando come per essi la scienza fosse ridotta alla loro immaginazione. Proprio a suggello
della connessione alla realtà, per Lavoisier i nomi devono evocare delle reali proprietà degli
elementi. L’intento di Lavoisier era che attraverso l’introduzione della sua nomenclatura
potesse essere divulgata la sua teoria della materia. Cartesio è stato il sostrato filosofico della
rivoluzione chimica: è la quantificazione dei fenomeni che emancipa la scienza e che la porta
ad un grado di oggettività notevole.
Il Trattato elementare di chimica è un’opera del 1789 in cui Lavoisier espose tutte le sue
scoperte, sconvolgendo l’ordine classico di esposizione. Parte dall’esame del mondo minerale

11La teoria del flogisto, infatti, nacque con un approccio radicalmente anti-newtoniano11. Newton adottò un
approcciò induzionistico, ovvero dal particolare al generale, in modo da non dovere elaborare alcuna ipotesi pre-
esperienziale (hypotheses non fingo). Al contrario, l’esistenza del flogisto era stata congetturata ad hoc per dare
conto di una serie di dati osservativi altrimenti incomprensibili: si trattava dunque di una congettura. Ora, con la
smentita della teoria del flogisto, anche la chimica viene entra in quel processo di rielaborazione contenutistica
meglio conosciuta con il nome di Rivoluzione scientifica.
a partire dalle determinazioni più semplici, si passa alla classificazione delle sostanze, poi
viene trattato il mondo organico e infine vengono esaminati gli strumenti. La trattazione
procede quindi dal semplice, il mondo inorganico, al complesso, il mondo organico. Questo
trattato contiene la legge di Lavoisier, quella sulla conservazione della massa: si tratta di una
legge fondante della sperimentazione chimica. L’esposizione di questa legge è contenuta nella
parte consacrata agli strumenti sperimentali. Questa legge ha dato vita alla celebre
espressione: «nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma». In generale, l’immagine
della chimica che emerge da questo trattato risulta completamente differente rispetto al
passato: essa viene presentata come una scienza rigorosa e ancorata ai metodi e agli
strumenti di precisione, che non concedeva nulla alle vecchie teorie qualitative e che,
pertanto, aveva espunto qualsiasi riferimento teorico e sperimentale all’alchimia.
L’eredità che la chimica deve a Lavoisier è enorme. Tuttavia, l’autorità del metodo scientifico
era ancora insidiata dalla popolarità di metodi alternativi e non era facile liquidare le
credenze alchemiche. Fu per questo motivo che, anche dopo la scomparsa di Lavoisier,
continuarono a espandersi teorie alchemiche. Le più celebri furono quelle di Hufeland e du
Busquet. Quest’ultimo ebbe perfino l’ambizione di adattare l’alchimia ai principi e alle
scoperte di Lavoisier, individuando nell’ossigeno, essenziale per la respirazione umana, il
principio dell’elisir di lunga vita.

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