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M.M.

Massimiliano Savelli Palombara


Marchese di Pietraforte

Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte, nacque a Roma il 14 dicembre


1614 da Oddo V marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli, pressoché assenti notizie sulla sua
giovinezza e formazione, si sa della sua vita pubblica, che ricoprì la carica di conservatore
in Campidoglio per due volte, nel 1651 e nel 1677.

Nel 1648 fu protagonista di alcune disavventure, dapprima unitosi quale capitano di


ventura nell’esercito francese che si trovava in Abruzzo, con lettere false fu messo in cattiva
luce dei francesi che lo imprigionarono, scoperta la verità lo allontanarono. Tornando a
Roma, fu quindi catturato in località Borghetto dal brigante Giulio Pezzola, capitano degli
spagnoli, che lo tenne in prigione a ferreo regime; poi, ottenuto il riscatto, lo trasferì nella
fortezza di Pescara, da dove il Palombara riuscì a fuggire tornando a Roma dopo altre
peripezie.

Il marchese fu devoto gentiluomo di Cristina di Svezia fin dal primo soggiorno romano della
regina nel 1655-56. Il suo testamento, redatto il 26 marzo 1680, conteneva la seguente
supplica, nel caso alla sua morte i figli non fossero stati ancora maggiorenni: “Chiedo la
maestà della Regina di Svezia mia benignissima Signora e Padrona a degnarsi continuare la
protezione della mia casa e descendenza, et avere particolare protezione di mia moglie, e
de’ figlioli piccoli, sperando per la servitù prestata alla Maestà sua di ottenere questa grazia”
(Roma, Arch. Massimo, Prot. I, 1).
La salda e durevole relazione con la regina era dovuta alla comune passione per l’Alchimia.
Palombara disponeva di un laboratorio, nel pianterreno di un suo Casino sull’Esquilino
(secondo lo storico romano Cancellieri, fonte principe di tutte le indagini successive perché
riporta trascrizioni di epigrafi e di simboli poi perduti), mentre la sovrana ne aveva allestito
uno in palazzo Riario, gestito dall’alchimista bolognese Pietro Antonio Bandiera.
Il rapporto è documentato anche dai manoscritti di poesie alchimiche di Palombara
posseduti dalla regina e oggi custoditi presso la Biblioteca apostolica Vaticana. La
frequentazione di Cristina fu occasione di incontri importanti per le sue ricerche sulla
creazione artificiale dell’oro, così come per la sua produzione poetica.

Assidui della corte della sovrana erano infatti scienziati, artisti, letterati e personaggi illustri
come il gesuita Atanasius Kircher, autore di pagine sull’antica simbologia geroglifica ed
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alchimica egizia; due famosi alchimisti, il medico e mistico milanese Giuseppe Francesco
Borri e il poeta pesarese Francesco Maria Santinelli, nominato da Cristina cameriere
maggiore. A Santinelli si deve la Lux Obnubilata suapte natura refulgens (Venezia 1666),
probabilmente il più noto e celebrato poema alchemico del Seicento, ristampato e tradotto
più volte.

Tra le relazioni di Palombara fu anche quella con un non meglio identificato poeta dal nome
anagrammato di Lesbio Lintuatici, vicino agli ambienti della compagnia teatrale dei
Confederati (Raccolta di poesie volgari, e latine in vita, e morte della signora Eularia de’
Bianchi comica Confederata, Padova – 1628 - p. 43). A costui, “suo caro amico”, Palombara
scrive di avere confidato su ispirazione divina e “per la sua bontà di vita e modestia” quanto
sapeva della “professione del lapis”; riporta inoltre, nell’opera La Bugia del 1656, un sonetto
di Lesbio sulle qualità della pietra filosofale.

Prospero Mandosio, famoso erudito, descrive il Palombara come dotato di non comune
ingegno e versato nelle lettere, specialmente nella poesia. Egli fu indubbiamente dotato di
talento, compose in italiano e latino, evidenziando una vena bucolica così come una
singolare capacità di inventare giochi di parole, anagrammi ed enigmi in versi. Coltivò
interessi lessicali ed etimologici che, come documentano alcune sue annotazioni, spaziavano
dallo studio delle opere del lessicografo e grammatico cinquecentesco Francesco Alunno
(Francesco Del Bailo) alla lingua artificiosa dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco
Colonna, edita nel 1499. Scrisse poesie di contenuto amoroso e faceto, ma soprattutto
alchemico e filosofico-ermetico, rimaste perlopiù manoscritte.

La fortuna e la fama del Palombara si devono però alle sue imprese alchimiche e in
particolare alle scritte e ai simboli misteriosi che egli fece scolpire nel 1680 su alcune epigrafi,
perdute, che ornavano la sua villa romana sull’Esquilino (talune ancora in loco fino ai primi
decenni dell’Ottocento) e sulla cosiddetta Porta Magica, situata oggi nell’angolo
settentrionale dei giardini di piazza Vittorio Emanuele II.
Secondo una leggenda, su cui in seguito verrà dato un approfondimento, tale manufatto
testimonierebbe la celebrazione di una riuscita trasmutazione alchimica.

La collocazione originaria del monumento è incerta. Le testimonianze ottocentesche, anche


fotografiche, la vogliono addossata al muro di cinta della villa, di fronte alla chiesa di S.
Eusebio, lungo la via che conduceva da S. Maria Maggiore a S. Giovanni in Laterano.

Tuttavia, il simbolismo iniziatico rappresentato richiederebbe la riservatezza più volte


sostenuta dallo stesso Palombara suggerendone una primitiva e più discreta posizione,
probabilmente nei giardini della villa e non su una pubblica strada.

Nel 1873, nell’ambito della sistemazione urbanistica postunitaria della capitale, la Porta fu
smontata e ricostruita nel 1888 all’interno dei giardini della piazza, su un vecchio muro
perimetrale della chiesa di S. Eusebio.

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Alcune delle epigrafi, le poesie e altri scritti di Palombara magnificavano gli horti della villa,
descrivendoli come un locus amoenus, propiziatore di benessere materiale e spirituale, e
ricettacolo del mitico vello d’oro di Giasone. Così recitava un’epigrafe posta su uno dei
portoni esterni della villa, per come trasmessaci dal da Cancellieri (1806): VILLAE IANUAM
/ TRANANDO / RECLUDENS IASON / OBTINET LOCUPLES / VELLUS MEDEAE /
1680, ovverossia: “Oltrepassando la porta della Villa Giasone scopre e ottiene il ricco vello
di Medea 1680”. Il dato è assolutamente in linea con gli studi ermetico-alchimici del
Marchese, ricchi di riferimenti arcadici, idilliaci e mitologici.

Secondo una tradizione trasmessa da alcuni testi tradizionali, specialmente dalla Suda, il
lessico bizantino del X secolo ben noto nel Rinascimento, si credeva che il leggendario vello
d’oro fosse una pergamena o un libro pergamenaceo contenete i segreti dell’arte di
fabbricare l’oro. Il fatto che Palombara si dichiarasse in varie occasioni possessore, quasi
nuovo Giasone, di quel vello o libro iniziatico, pare evidenziare qualcosa di più del favoloso
riferimento, ovvero che nel suo giardino egli si dedicasse, oltre che alla prediletta
chrysopoeia, anche a un’ampia ricerca naturalistica e metallurgica, rivivendo e
sperimentando una sapienza degna di quel mito.
Infatti nei suoi horti pare si applicasse, oltre alle pratiche alchimiche metallurgiche, a
spagiriche e metodiche investigazioni su erbe, piante officinali e sulle virtù delle pietre e dei
minerali, come documenta il ms. 1346 della Biblioteca Angelica di Roma, autografo di
Palombara, che riporta numerosi passi di Dioscoride (nella versione di Pietro Andrea
Mattioli), di Plinio il Vecchio, di Giovanni Maria Bonardo, autore del trattato Le ricchezze
dell’agricoltura del 1589, e del medico e scienziato Gabriele Falloppio.

Pochi anni dopo la realizzazione della Porta, il 16 luglio 1685, Palombara morì a Roma, nel
proprio palazzo in Monte Citorio.

Dal matrimonio con Cassandra Mattei aveva avuto otto figli; dal secondo matrimonio, nel
1662, con Costanza Baldinotti altri tre maschi e due femmine.

La Porta Magica costituisce una testimonianza architettonica più unica che rara nel contesto
della tradizione magico-alchimica occidentale, che grande diffusione e importanza culturale
ebbe in Europa fin dal Medioevo.
La prima documentazione della Porta e delle epigrafi di villa Palombara, lasciata
dall’archeologo e storico romano Francesco Cancellieri nel 1806, è una accurata descrizione
di tali reperti e delle vicende che ne ispirarono la realizzazione, pur se non priva di una certa
ironia, poiché l’autore definisce “arte chimerica” gli studi del marchese.

L’attenzione per il monumento riprese tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, con le
prime, sommarie interpretazioni a opera di storici della scienza, vedasi il Carrington Bolton,
nel 1895 e di personaggi legati all’esoterismo e all’ermetismo quali il Pietro Bornia, nel 1915,

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esegesi poi proseguite più tardi anche da Eugene Canseliet e dal Pirrotta. In seguito vi fece
cenno anche l’autorevole storico della chimica e della farmacia Carbonelli.

Nel 1983 furono pubblicati brani in prosa e rime tratti dal ms. Reg. Lat. 1521 della Biblioteca
apostolica Vaticana e dal ms. Prot. 35 dell’Archivio Massimo di Roma, unitamente ad alcune
liriche ermetiche (La Bugia – Rime ermetiche e altri scritti. Da un Codice Reginense del sec.
XVII, a cura di A.M. Partini, Roma. Nel 1986 fu scoperto ed edito (in M. Gabriele, 1986, pp.
77-153) l’autografo de La Bugia. Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera Pietra
dei sapienti 1656, illustrato con dieci disegni simbolici a penna: si tratta di una prima
versione de La Bugia, diversa da quella contenuta nel ms. Reg. Lat. 1521. Da quest’opera –
un racconto allegorico in prosa sull’alchimia, comprendente due sonetti ermetici e anche
riferimenti biografici – emerge l’adesione ideale di Palombara ai Rosacroce, di cui egli
afferma di avere solo sentito parlare: parrebbe quindi una sintonia perlopiù spirituali e di
condivisione di intenti.

Invero i simboli della Porta Magica risultano fedelmente copiati da testi alchemici
rosacrociani pubblicati in tedesco e in latino, più in particolare dalla:

Commentatio de Pharmaco Catholico di Johannes de Monte-Snyder, apparsa quasi certamente


a Francoforte nel 1662 e più volte ristampata,

e dal:

Aureum seculum redivivum di Henricus Madathanus (pseudonimo di Adrian Mynsich,


medico e alchimista paracelsiano) edito nel 1621 [s.l.] e a Francoforte nel 1625 e nel 1677.
Quest’ultimo viene espressamente citato da Palombara in La Bugia (Gabriele, 1986, pp. 89
s.).

L’interesse del marchese Palombara per l’alchimia nacque dagli eruditi studi degli antichi
testi e indubbiamente divenne preminente anche per la sua frequentazione sin dal 1656,
della corte romana della regina Cristina di Svezia, a Palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini)
sulle pendici del colle Gianicolo oggi sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
La regina dopo aver scelto il cattolicesimo, abdicò al trono di Svezia e passò gran parte del
resto della sua vita esule a Roma, dal 1655 fino alla sua morte avvenuta nel 1689.
Ella era così appassionata all’alchimia ed alle scienze (in cui venne istruita da Cartesio) da
possedere uno dei più avanzati laboratori romani gestito dall’alchimista Pietro Antonio
Bandiera.
Il marchese dedicò a Cristina di Svezia il suo poema rosicruciano La Bugia redatto nel 1656.

Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall’erudito Francesco Girolamo Cancellieri, uno
stibeum pellegrino fu ospitato nella villa per una notte. Tale personaggio, per alcuni, invero
un po’ azzardatamente, identificabile con il sopra citato Francesco Giuseppe Borri, dimorò
per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre

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l’oro, il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro
alcune pagliuzze del metallo del Sole frutto di una riuscita trasmutazione alchimica, oltre a
un misterioso foglio pieno di enigmatici e simbolici glifi magico-alchimici, in esso il segreto
della pietra filosofale.

Il marchese fece incidere, sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione, il
contenuto del manoscritto coi simboli e gli enigmi, nella speranza che un giorno qualcuno
fosse riuscito a decifrarli.
Alcuni riconnettono l’enigmatica carta, per concordanze storiche e geografiche e per il
passaggio tra le mani di alcuni appartenenti al circolo alchemico di villa Palombara, persino
al misterioso manoscritto Voynich, che faceva parte della collezione di testi alchimici
appartenuti al re Rodolfo II di Boemia e donati da Cristina di Svezia al suo libraio Isaac
Vossius, e finì nelle mani del saggio gesuita Kircher, a suo tempo insegnante al collegio
proprio del Borri.

Il Borri nel 1659 fu accusato dalla Santa Inquisizione di eresia e veneficio. Datosi alla fuga,
dopo una vita avventurosa passata in varie città d’Europa dove esercitò la professione
medica, fu arrestato e restò recluso a Roma nelle carceri di Castel Sant’Angelo tra il 1671 e
il 1677. Ottenne la semilibertà nel 1678 e riprese a frequentare il suo vecchio amico
Palombara che lo ospitò, in diversi momenti, nella sua villa negli anni successivi fino alla
sua morte avvenuta nel 1680.
E’ ragionevole per alcuni pensare che tra gli anni 1678 e 1680 Borri e Palombara fecero le
iscrizioni enigmatiche, di certo si sa che almeno una scritta della villa, quella apposta sopra
l’arco della porta in via Merulana, risale al 1680.

Il Borri finì in seguito nuovamente ristretto nelle carceri di Castel Sant’Angelo dal 1691 dove
morì nel 1695.

Opportunamente sottolineiamo quella dai più ritenuta una coincidenza, la asserita nascita
nel 1698 di uno dei più misteriosi personaggi del settecento: il Conte di San Germano o
Saint Germain, un leggendario alchimista che avrebbe trovato il segreto dell’Elisir di Lunga
Vita e la cui esistenza si sovrappone in parte con quelle del mago Cagliostro che a sua volta
dichiarava di essere vissuto ben più di quanto anagraficamente riportato.

Indubbiamente il confronto tra i ritratti di Francesco Giuseppe Borri e del Conte di San
Germano, pur separati da circa un secolo, mostrano secondo alcuni lineamenti comuni e di
ampia somiglianza.

Approfondimento sulla Porta Magica-Alchimica

La Porta Alchimica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli, è un
monumento edificato tra il 1655 e il 1680 da Massimiliano Palombara marchese di

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Pietraforte nella sua residenza romana sull’Esquilino, villa Palombara, in posizione quasi
corrispondente all’odierna piazza Vittorio, dove oggi è stata ricollocata.

Originariamente dovevano esservi ben cinque porte similari in detta villa, la Porta
Alchimica è la sola superstite. Sull’arco della porta perduta ubicata sul lato opposto vi era
un’iscrizione che la datava al 1680; inoltre vi erano anche quattro iscrizioni perdute sui muri
della palazzina all’interno della villa.

La ubicazione attuale della Porta, nell’angolo settentrionale dei giardini all’interno di piazza
Vittorio Emanuele II, la posiziona a circa settanta metri dall’ubicazione originaria verso
l’incrocio delle attuali via Carlo Alberto e via di San Vito. A suo tempo vi era lungo un muro
perimetrale che fronteggiava la Strada Felice e villa Palombara era proprio situata tra le
antiche Strada Felice e Strada Gregoriana (attuale via Merulana). La Strada Felice era un
rettilineo fatto costruire da papa Sisto V nel 1588, partiva da Trinità dei Monti passava per
Santa Maria Maggiore e proseguiva fino a piazza Santa Croce in Gerusalemme.
Nel 1873 la Porta Magica fu smontata e ricostruita nel 1888, in occasione della vasta
ristrutturazione edile del piano cittadino, all’interno dei giardini di piazza Vittorio, su un
vecchio muro perimetrale della chiesa di S. Eusebio, accanto furono aggiunte due statue del
dio Bes, rinvenute originariamente nei giardini del Palazzo del Quirinale.

I simboli incisi sulla porta alchemica possono essere rintracciati tra le illustrazioni dei libri
di alchimia e filosofia esoterica che circolavano verso la seconda metà del Seicento, che
indubbiamente circolavano nel circolo di amicizie frequentate dal marchese Palombara.

In particolare il disegno sul frontone della Porta Alchemica, recante i due triangoli
sovrapposti e le iscrizioni in latino, compare quasi esattamente uguale sul frontespizio del
sopramenzionato libro alchimico Aureum seculum redivivum edizione postuma del 1677 del
Madatanus. Per inciso il frontespizio della prima edizione del 1621 è invece molto diverso.
Analiticamente il frontone della Porta è costituito da un rilievo con il sigillo di Davide
circoscritto da un cerchio con iscrizioni in latino, il vertice superiore occupato da una croce
collegata ad un cerchio interno e con il vertice inferiore dell’esagramma occupato da un
cerchio più piccolo: il simbolo alchemico del sole e dell’oro.

Il fregio è chiaramente ricollegabile all’ambito dei Rosa Croce e ricorda anche il più recente
emblema piramidale che compare sulle banconote statunitensi da un dollaro, unitamente
alla scritta Novus Ordo Seclorum che ricorda la scritta sul frontone Aureum Seculum
Redivivum.

In dettaglio la piramide utilizzata nella banconota ha diretta ascendenza con una figura
tratta dalla Pyramidographia, opera di John Greaves e stampata in Londra nel 1646 di ritorno
da un viaggio in Egitto.
Tale simbologia fu adottata dagli Illuminati di Baviera, ordine in forma massonica che nacque
circa cento anni dopo la pubblicazione del testo esoterico in Germania del 1677.

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Le simbologie archetipiche tornano ricorrentemente nell’arco dell’evoluzione storica
ovviamente declinate secondo le diverse inclinazioni dei tempi.

I simboli lungo gli stipiti della porta seguono la sequenza dei pianeti astrologicamente
associati ai corrispondenti metalli: Saturno-piombo, Giove-stagno, Marte-ferro, Venere-
rame, Luna-argento, Mercurio-mercurio.
La sequenza tradizionale era in quegli anni riscontrabile nel testo Commentatio de Pharmaco
Catholico pubblicato nel Chymica Vannus del 1666.
Per ogni pianeta viene indicato un motto ermetico, riportato nell’analisi a seguire secondo
il percorso indicato nella fotografia dalla freccia rossa, dal basso a destra, in senso
sinistrorso, per arrivare dall’altro lato in basso a sinistra, sull’architrave al centro è riportati
in caratteri ebraici Ruach Elohim.

Il percorso indica, tra l’altro, le fasi realizzative della Grande Opera.

Schema dei simboli

Simbolo sulla
titolatura
dell’opera
Aureum Seculum
Redivivum

Edizione 1677

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La Porta Magica

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La Porta magica – fotografia con numerazione analitica numerata

Descrizione analitica del manufatto

Sopra la porta è affisso un grosso disco (1) con un doppio triangolo a forma di stella a sei
punte del re Salomone, contornato dal motto TRIA SVNT MIRABILIA DEVS ET HOMO
MATER ET VIRGO TRINVS ET VNVS, tre sono le cose mirabili: Dio e l’uomo, la madre
e la vergine, l’uno e il trino.
Un cerchio sormontato da una croce è sovrapposto alla stella e reca un altro motto,
CENTRVM IN TRIGONO CENTRI il centro è nel triangolo del centro.

Nella parte più alta dello stipite, una scritta in ebraico (2) recita RUACH ELOHIM, Spirito
Divino; subito sotto (3) vi è un riferimento mitologico a Giasone: HORTI MAGICI
INGRESSVM HESPERIVS CVSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS
DELICIAS NON GVSTASSET IASON il drago delle Esperidi custodisce l’ingresso
dell’orto magico e senza Ercole Giasone non avrebbe assaggiato le delizie della Colchide.
Gli alchimisti identificavano il Vello d’Oro cercato da Giasone nell’antico mito degli
Argonauti con la Pietra Filosofale, uno dei massimi conseguimenti della Grande Opera.

Quindi partendo (4) dal basso a destra in senso sinistrorso e risalendo i riportati simboli e
motti:

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Magus Mizar ~ 11 ~
In basso al centro la Quinta essenza (5)

Bibliografia sul marchese e la Porta Magica di Roma

Marchese Massimiliano Palombara, La Bugia: Rime ermetiche e altri scritti. Da un Codice


Reginense del sec. XVII, a cura di Anna Maria Partini, Roma, ed. Mediterranee, 1983.

Il giardino di Hermes: Massimiliano Palombara alchimista e rosacroce nella Roma del Seicento.
Con la prima edizione del codice autografo della Bugia, 1656, Mino Gabriele, Roma, editrice
Ianua, 1986.

The Porta Magica - Rome. The Journal of American Folk-Lore 8 (28): pp. 73-78. Henry
Carrington Bolton (gennaio-marzo 1895, è il primo studio moderno sul monumento, con diverse
imprecisioni nella trascrizione e traduzione delle iscrizioni.La Porta Magica di Roma: studio
storico, Pietro Bornia, dapprima pubblicato nella rivista di studi metapsichici ed esoterici Luce
ed Ombra (1915), successivamente pubblicato come estratto e più volte ristampato.

Il Segno del Messia: l’enigma svelato – L’Olismo Originario, la Porta Alchemica e


l’archeoastronomia, Teodoro Brescia, Battaglia Terme (Padova), Nexus, 2012. ISBN 88-8998-
324-8

Deux logis alchimiques en marge de la science et de l'histoire, Eugène Canseliet, Paris, Jean
Schemit, 1945.

Magus Mizar ~ 12 ~
La Porta Ermetica, Luciano Pirrotta, Roma, Athanor, 1979.

La Porta Magica. Luoghi e memorie nel giardino di piazza Vittorio, Nicoletta Cardano (a cura
di), Roma, Palombi Editori, 1990.

Magus Mizar ~ 13 ~

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