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IEROBOTANICA RITUALE
E FITONIMIE SACRE GRECO-ITALICHE
di Mario Giannitrapani*
Gli alberi sono santuari (H. Hesse)
Lalbero carico di forze sacre, dice linsigne storico delle religioni, Mircea
Eliade perch verticale, cresce, perde le foglie e le ricupera, e di conse-
guenza si rigenera perch manifesta una realt extra-umana (1). Latto stes-
so della fumigazione rituale quindi, anche per analogia con la immobile ver-
ticalit dellarbusto, rappresenta da sempre un veicolo diretto, verticale e
prioritario della comunicazione divina e dellofferta sacrale. Grandi alberi,
boschi e foreste insieme ad altri elementi naturali quali sorgenti, laghi, fiumi,
grotte ed alture, furono appunto tra i primi e pi importanti luoghi di culto,
come diverse indagini archeologiche hanno da tempo verificato (2). Unanti-
ca preghiera lituana infatti cos recita: [...] Concedimi di piantare sempre
alberi, perch gli Di guardano con benevolenza coloro che piantano alberi
lungo le strade, in casa, nei luoghi sacri, agli incroci [...].
A tree is laden with sacred forces, says Mircea Eliade, a distinguished historian of reli-
gions, "because it is vertical, it grows, it sheds its leaves and recovers them, and thus rege-
nerates, so unfolding an extra-human reality" (1). Also in analogy with the immovable
verticality of the bush, therefore, the same action of ritual fumigation has since ever repre-
sented a direct, vertical and stronger medium of divine communication and sacred offer.
Large trees, woods and forests along with other natural elements such as springs, lakes,
rivers, caves and mountains, were in fact among the first and most important places of
worship, as several archaeological investigations have from time proved (2). An ancient
Lithuanian prayer in fact says: []Allow me to plant more trees, because Gods look kindly
upon those who plant trees along roads, at home, in holy places, at the crossroads [].
U
n rapporto molto intenso esistito tra le divinit elleni-
che (soprattutto Zeus, Apollo, Dioniso, Artemide, Cibe-
le), le vette montane ed i luoghi caratterizzati da intensa
vegetazione: a Creta, i primi templi, come furono proba-
bilmente situati sulla cima delle montagne divinizzate, ossia i
* Archeologo Istituto italiano di Preistoria e Protostoria
Venere, la pianta sacra, lHerba Veneris per eccellenza, con cui sin-
ghirlandavano gli stessi sacerdoti Feziali, mentre per altri letimo
deriverebbe dal celtico ferfaen (fer > portar via, faen > pietra) (3). Gli
antichi arcadi inoltre ritenevano essere stati un tempo querce,
come nei boschi di querce, sacri a Giunone, viveva selvaggiamen-
te un popolo forte nato appunto dai tronchi di rovere duro (Virg.,
Aen. VIII, 314-318; 347-354). Dal frassino si credeva esser nata inve-
ce la terza stirpe di mortali, quella di bronzo, per Esiodo (Opere e i
Giorni, 143-156). Sono state poi numerose le varie corone auree le
cui iconografie ripetono foglie di vari alberi, tra cui proprio la quer-
cia, lulivo, ledera, lalloro ed il mirto, che rimasero indubbiamen-
te tra le piante pi rappresentate. Ai tempi di Romolo infatti le
prime corone civiche si fecero proprio con le foglie del leccio (Quer-
cus ilex) o elce (Plin., N.H, XVI, 11); impiegate nella sfera cultuale,
militare, civica e funeraria, le corone sottendono difatti la centralit
e lenorme rilievo che gli alberi ebbero in ogni aspetto della vita
delluomo antico: una recente indagine ne ha pertanto contestua-
lizzato le specifiche divinit di appartenenza nel mondo etrusco,
anche in virt delle singole foglie rappresentate (4). Inghirlandati
con foglie di tasso (Taxus baccata), erano i tori neri sacrificati ad
Ecate: un albero dallindubbia valenza infera, con cui, tuttavia -
forse proprio per alludere al duplice simbolismo morte/immorta-
lit si cingevano le tempie i sacerdoti ad Eleusi; nel suo legno
erano spesso intagliate le tavolette desecrazione, i simulacri e i
bastoni dei Druidi. Due re celti degli Eburones (= uomini del tasso),
secondo Cesare, si diedero la morte infatti avvelenandosi proprio
con lalcaloide diterpenico di questalbero, la tassina, contenuto
nelle foglie e nei semi con cui, probabilmente gli stessi Galli, per
Strabone, avevano labitudine di avvelenare le loro frecce. Anche i
toponimi antichi, come noto, riflettono lenorme importanza sacra-
le che gli alberi hanno sempre rivestito nellantica geografia del
paesaggio: il mons ed il lucus Larum Querquetulanus, il bosco sacro
dei Lari dei querceti, la porta Querquetulana, i Querquetulani, dalla
quercia; il Fagutal, dai faggi, lAesculetum, dagli ischi/querce, la val-
lis Myrtea, dai mirti; Laurentum, i Laureta/Loreta dellAventino, i Lau-
rentes, la silua e la palus Laurentina, dal lauro, cos come Ficulea e
Ficana, dai fichi e Pometia, forse, dal melograno o dal melo, come
lElicona, per alcuni etimologisti, presunto monte delledera (Hede-
cipressi di Ebe a Fliunte (II, 13, 3), del bosco sacro alle Eumenidi
sulle rive dellAsopo (II, 11, 4), nonch i platani della tomba di
Diomede alle Tremiti e quelli di Delfi (Plin., N.H. XVI, 238). Il
giardino di Calipso (Od. V, 57), quello dei Feaci (Od. VII, 112) il
frutteto mistico di Alcinoo e di Laerte (Od. XXIV, 220; poi in
Verg., Buc. I, 2, IV, 3, VI, 2, VII, 65; Geor. IV, 329), quello di Athe-
na (Od. VI, 291) e di Itaca (Od. XVII, 205), sono quasi delle vere e
proprie siluae, per alcuni studiosi dei veri boschi sacri ameni,
sicuramente anche il risultato di elevate creazioni letterarie ed
artistiche, da annoverare quindi tra le prime espressioni elleni-
che della bellezza di una natura libera, ma luoghi carichi
anchessi di ierofania squisitamente elladica (18), tuttaltro che
gradita a certa cristiana patrologia greca. Tuttavia, ben diversa-
mente dal mondo latino, lidea di bosco sacro che si pu desu-
mere dalla letteratura greca, pi orientata verso una specifica
forma di santuario urbano o extra-urbano, con recinti sacri e
regolamenti cultuali ben precisi (es. la sospensione di offerte ai
rami degli alberi), luoghi sicuramente profumati, ombrosi, rin-
frescanti e terapeutici, ma che richiamano e suggeriscono pi li-
dea di una cornice paesaggistica e letteraria, che non quella di
una presenza divina, numinosa e totalizzante appunto, pi li-
dea di un decoro vegetale che non quella di un luogo sacraliz-
zato dalla sua stessa intima essenza, ossia da quel sentimento
dellignoto, da quel quid numinoso che possibile desumere
anche dalle variegate rappresentazioni rimasteci dei boschi lati-
no-italici. Gli scavi nellAgor di Atene hanno infatti da tempo
rilevato la presenza di un bosco sacro di olivi, allori e platani
(Plut., Cim. 13, 7, 487c) che delimitava larea del Tempio di Ares,
cos come pioppi bianchi e neri erano presenti vicino lOdeion di
Agrippa; gli scavi nello stesso giardino di Efesto intorno allE-
leusnion, hanno a loro volta individuato due file di appezza-
menti rettangolari tagliati e scavati nella roccia poi riempiti di
terra, ove erano ubicate le radici di numerose viti rampicanti e
melograni, distribuiti come le colonne di un tempio, costituenti
un recinto sacro sul declivio di un colle. Questo giardino sacro,
creato con buona probabilit nel V sec. a.C., rimase in vita alme-
no fino ad et augustea (19). I frammenti letterari tardo-ellenisti-
ci poi, detti kpk, una sorta di filiazione delle pk non
Pisonis (Cic., ad Quinct. II, 3), e della Deae Satrianae (CIL VI, 114).
Di almeno 24 di questi boschi, lo Stara-Tedde ne propone una
ubicazione esatta o per lo meno approssimativa, ricordan-
doci inoltre che proprio per i tempi pi antichi, accanto ad ogni
sacello bisogna immaginare un boschetto - da non confondere
con i semplici giardini che pur non mancavano nellantica citt
cos istituendo quella relazione luogo di culto-bosco sacro di-
naudita importanza per comprendere bene nelle sue squisite
radici dendrofaniche il mos maiorum romano-italico.
Di recente inoltre, sembrano aver avuto un certo incremento tra
gli epigrafisti le interpretazioni di alcuni testi come vere e pro-
prie leges lucorum, analogamente alla legislazione sacra delle due
celebri epigrafi di Spoleto. Questi documenti reinterpretati,
diversi anche per datazione, sono la lex sacra del Cippo del Foro
(Palmer), di fine VI sec. (Quoi hon[ce louquom violasit]/ [...]), la lex
luci Lucerina (Panciera) del 300-250 a.C. (il cui incipit, In hoce lou-
carid [...], ci suggerisce Loucar/lucar per lucus), la lex della Tabula
Veliterna (Rix) del 300 a.C. (relativa ad un bosco sacro, non men-
zionato tuttavia, della Dea Declona/Diana ?), la lex Furfensis del
58 a.C. e la lex osca della Tabula Bantina. Sono tutti testi, come
fatto notare, che si illuminano a vicenda proprio sulla natura di
atti che, se ritenuti leciti in un nemus o in una silva (es. portare via
frasche, rami secchi, tronchi caduti), non lo sono affatto in un
lucus (da cui nulla poteva essere portato via), costituendo infatti
violazione, profanazione ed espiazione con sacrifici che siano
preventivi, pacificatori (piacula) o a posteriori. Un confronto tra i
pi eloquenti del resto quello relativo ad uno dei testi degli Atti
degli Arvali (a. 14 d.C.) inerenti il celebre lucus Deae Diae, san-
tuario di confine, sulla via Campana: ...[cum arbo]r vetustate in
luco deae Diae cecidisse, ut / [in luc]o ad sacrificium consumeretur,
neve quid / [ligni] exportaretur. Anche questo lucus gi esistente
in et repubblicana (Varro, L.L., V, 22), potrebbe risalire perfino
ad et romulea (Plin., N.H., XVIII, 6; Gell., VII, 7, 8), sebbene il
culto della Dea Dia sia attestato dallet augustea (24). Di fatto,
per lucus, dunque possibile intendere uno spazio costituito sia
da un vero e proprio bosco sia da pochi alberi intorno ad un tem-
pio: cintato e dotato dingresso, presso questultimo o lungo la
sua delimitazione, si potevano trovare cippi epigrafici plurimi
con il medesimo testo della lex Spoletina che allude appunto alla
inviolabilit del bosco sacro Honce loucom nequis violatod (I-II)
ed al divieto rigoroso di asportazione di alcunch che appar-
tiene al bosco stesso quod louci siet (IV-V) ad eccezione del
giorno in cui sar fatto il sacrificio annuo nesei quo die res
de(v)ina anua fiet (VI-VII). Altre epigrafi inoltre ci informano
anche sullesistenza di sacerdozi specifici connessi ai boschi sacri
quali il Flamen lucularis (C.I.L, XI 5215 = I.L.S 2650), nonch il
Sacerdos trium lucorum (C.I.L, XI 1941 = I.L.S 6615): sono proba-
bilmente questi sacerdoti che, secondo Plinio (N.H., XVI, 249),
[...] roborum eligunt lucos nec ulla sacra sine ea fronde conficiunt.
tuti nel 665 d.C. dai cristiani. Sotto il regno di Costante II, nel VII
sec. d.C., viene poi fatto sradicare dal nefasto vescovo Barbato, il
celebre noce di Benevento (Vita Barbati, 1-7). Non sorprende per-
tanto di trovare una recente e doviziosa sistematizzazione di tre
tipi di atteggiamenti dei monolatri paleocristiani, desunti da
fonti letterarie patrologiche ed agiografiche, riconducibili in tre
sezioni che non siano da intendersi per come fasi cronologi-
che distinte e successive - della ampia e variegata casistica di
aneddoti relativi allateismo con cui la furia galilea si manife-
st nei confronti del nostro patrimonio pi sacro, ineffabile, cor-
ruscante e numinoso. appunto linsigne storico medioevista
Cardini, ispirandosi allancor pi celebre studioso Le Goff - in
merito alla pluralit di tattiche acculturative adottate dalla Chie-
sa latina - che cos ci ragguaglia: A) santi che distruggono alberi
isolati (di solito mediante abbattimento), tra cui Martino di
Tours, Barbato e Bonifacio, cui sono da aggiungere Amando epi-
scopo, Amatore vescovo di Auxerre, Anselmo e Giovanni I,
vescovi; B) santi che distruggono boschi (di solito bruciandoli),
tra cui Giulio, Giuliano e Maurilio, vescovo di Angers; C) santi
che nei boschi, sacri per i pagani, si insediano, tra cui Alveo di
Sens, Amanzio eremita e Ilario. Si tratta quindi per lo pi di due
grandi cicli inerenti la distruzione-obliterazione e la sostituzio-
ne-prosecuzione con pronunziato carattere acculturativo. Lo
stesso papa Gregorio (Dialog., III) cos si esprimeva a proposito
del montis quod Casinus dicitur ([...]) ubi vetustissimum fanum fuit,
in quo ex antiquorum more gentilium ab stulto rusticorum populo
Apollo colebatur ([...]) in cultu daemonum luci succreverat ([...]) infi-
delium insana moltitudo sacrificiis sacrilegis insudabat ([...]) vir Dei
(= il Benedictus di Norcia, n.d.A) contrivit idolum, subvertit aram,
succidit lucos [...], rendendoci pi eloquente e meno edulcorato
lapproccio genuino che questi fautori del deserto di Galilea,
seppero applicare a silvae, nemora e luci greco-italici (26). Tutti
questi apostoli della fede, scrive lo studioso Lieutaghi, si die-
dero da fare a dimostrare ai loro catecumeni e nuovi battezzati,
che le divinit degli alberi non erano altro che demoni [...], si
piantavano delle croci sulle Querce; santi e madonne sostituiva-
no, nelle cavit dei tronchi, le divinit silvane buone e cattive.
del resto il profeta Isaia (Is., LVII, 5) che strepita contro i riti
pagani degli alberi: voi che vi eccitate [...] sotto un albero ver-
deggiante, il profeta Osea (Os., IV, 12-13) che sindigna verso
coloro che fanno sacrifici in cima alle montagne, bruciano offer-
te sulle colline, sotto le Querce, i Pioppi, i Terebinti, ed il pro-
feta Ezechiele che si scaglia contro il culto sumero-accadico di
Tammuz (Ez., 16), dio morente della vegetazione - equivalente
allellenistico Adone - cui erano strettamente legati i boschi sacri,
connesso appunto ai giardini funebri di primavera. il mes-
saggio yahwista, acutamente indagato e ben compreso dal
Cardini il profeta Elia massacra 450 profeti di Baal del Carme-
lo (I Reg., 18-19), dediti al culto presso alture, ossia montagne
coronate di boschi sacri - che viene pertanto doviziosamente
recepito ed attuato dai paleocristiani. Ma il simbolismo mitico-
rituale che alberi e boschi sacri ebbero in particolare nellanti-
chit greco-romana e celto-germanica, fu talmente preponderan-
te da non poter esser certo dimenticato e cancellato nellet
medioevale: la polarit vita-morte, benefico-malefico, fasto-nefa-
sto rispetto al singolo albero ed al suo legno, ritorna e sembra
perfino accentuarsi, connotandosi di nuove sfumature semanti-
che tra le diverse culture medioevali, ponendo tuttavia, sotto il
dominio diabolico e maligno-infernale, tutto ci che era
appunto in odore di negativit, ossia di paganit (27). Nono-
stante ci, lantico vocabolario latino del bosco sopravvive, ripe-
tuto da testo a testo, ma termini quali silva, nemus, lucus sono
oramai privati di quellarcaica valenza cultuale e sacrale che ne
permeava il genuino senso semantico. Letimologista Isidoro
infatti, riferendosi al lessema aviaria (bosco popolato da uccelli)
ripete appunto Virgilio, Aviaria secreta nemora dicta quod ibi aves
frequentant (Etym., XVII, 6, 9), e non dimentica tuttavia che
Nemus a numinibus nuncupatum, quia pagani ibi idola constitue-
bant (Etym., VI, 6). Cos Rabano Mauro usa come sinonimi sal-
tus vel silva, come Bartolomeo Anglico dice et est idem silva,
nemus et lucus. Luso indiscriminato e indifferenziato della ter-
minologia classica depone quindi inevitabilmente a favore di
uno svuotamento di significato simbolico-rituale; i boschi
insomma rimangono esclusivamente nella categoria dellutile,
legna da ardere o da lavorare per fini profani: non dimenticando
ovviamente lambientazione silvestre di parte dei principali cicli
Pal. VI, 35; 57; 96; 106; 110; 168; 221; 255; 262; 331) che in quelle
artistiche. Allelenco - fin qui gi abbastanza significativo per
evincere uno specifico culto di singoli alberi sacri - c da aggiun-
gere lalbero di Atedio Meliore nel suo giardino sul Celio, lar-
caico mons Querquetulanus, ricco di querce, che f indubbiamen-
te un albero sacro per com descritto e celebrato mitologica-
mente (Stazio, Silv. II, 3): la sua forma bizzarra infatti era dovu-
ta al suo tronco che, incurvato fino a toccare il livello dellacqua
del laghetto sottostante, si raddrizzava e puntava sino al cielo,
somigliante appunto al salice ripaiolo, spesso presente sulla
sponda di fiumi e laghi. Nel nemus consacrato al Dio Fauno, in
prossimit di una grotta, era poi noto un altro celebre faggio su
cui furono letti, nel I sec. d.C., dei versi a carattere profetico,
secondo il poeta Calpurnio Siculo: Qui iuga, qui silvas tueor,
satus Aethere Faunus/ haec populis ventura cano; iuvat arbore sacra/
laeta patefactis incidere carmina fatis (Egloga I, 43-45). Esisteva
anche un altro faggio sacro e venerato, fino allet di Plinio,
accanto al celebre tempio di Juppiter Facutalis. Nella Creta pre-
ellenica ci f inoltre proprio un Dio-albero, per alcuni studiosi,
presunto predecessore di Zeus; questultimo poi, sullIda e sul
Ditte veneratissimo, come noto, fu anche un Dio della quercia
sacra e della vegetazione, giovane e mortale, la cui culla era
appesa ad un salice davanti alla grotta sacra dellIda, ad ogni
momento della commemorazione della sua nascita. Proprio
allinterno di un platano a foglie perenni, a Gortina, Zeus si un
con Europa. Altri alberi oracolari erano poi presenti a Page, ove
si consultava un pioppo nero (Populus nigra) sacro ad Era, e ad
Egira in Acaia, dove cera un altro pioppo nero sacro a Persefo-
ne; a Roma invece questalbero era sacro al Dio Sabazio, divinit
della terra, i cui rami aspersi con acqua lustrale erano portati in
processione nella sua festa. Lo stesso Eracle si cinge il capo con
una corona di foglie di pioppo nero quando scese nellAde e,
sempre in questa pianta, furono mutate le Eliadi, sorelle di
Fetonte, una delle Esperidi e la mortale Leuce, per volere di Ade:
una polarit antitetica, elisia, ebbe invece il pioppo bianco (Popu-
lus alba) nella mitologia classica. Anche il Bosso (Buxus sempervi-
rens), originario del Ponto Eusino, per il De Gubernatis, dal
fogliame eterno e scuro, in Grecia antica era un arbusto sacro a
NOTE BIBLIOGRAFICHE
(Ierobotanica rituale e fitonimie greco-italiche)
peiana antica, Napoli 2007, in part. pp. 17-26, 31-35, nonch Ead.,
Elementi vegetali nell iconografia pompeiana, Roma 2006, ed anche
O. Comes, Illustrazione delle piante rappresentate nei dipinti pom-
peiani, in Pompei e la regione sotterrata nel 79, Napoli 1879, pp. 177-
250. Sulla flora dei monumenti romani e del corrispettivo censi-
mento eseguito da G. Boni, cfr. M. de Vico Fallani, I Parchi archeo-
logici di Roma, Roma 1988, in part. note 28, p. 38 e 46, pp. 52-53.
Su olivo e noce cfr., A. Cattabiani, Florario cit., pp. 74-83, 390-397,
P. Lieutaghi, Il libro cit., pp. 516-517, 525-526, pp. 537-538. Sulla
palma, H. Danthine, Le palmier-dattier et les arbres sacrs dans l ico-
nographie de l Asie occidentale ancienne, voll. I-II, Paris 1937.