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Il manuale dell'oro
Youcanprint Self‐Publishing
Titolo | Il manuale dell’oro
Autore | Matteo Oberto
ISBN | 9788827847107
Prima edizione digitale: 2018
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
info@youcanprint.it
www.youcanprint.it
Prima dei ringraziamenti alle persone che hanno collaborato direttamente all’opera
stessa vorrei donare un particolare ringraziamento alla mia cara nonna Giuseppina
F., la quale insieme a mio nonno Silvano G., ha sempre creduto fermamente nella
mia istruzione e in questi miei studi paralleli all’attività accademica, anche quanto mi
portavano via molto tempo, il quale avrebbe dovuto essere dedicato allo studio.
Durante tutta la durata della stesura dell’opera sono stato affrancato dalla volontà
incrollabile di proseguire donata da Chiara R., frammento fondamentale della mia
vita passata e futura.
Un ulteriore ringraziamento è dovuto ai colleghi universitari, in particolare a Giai M.,
i quali mi hanno sostenuto nella realizzazione del seguente scritto, specialmente, chi
interessato in maniera genuina, mi ha fornito consigli ed ulteriori spunti.
Si ringrazia inoltre tutto il corpo docenti appartenenti al dipartimento di Scienze
Geologiche dell’Università degli Studi di Torino che mi ha introdotto alla passione
della ricerca dell’oro per queste materie ed in particolare a Rossetti P., Carosi R. e
Gianotti F.
Un ringraziamento particolare va a Pipino G., autore delle principali opere dedicate
all’argomento aurifero piemontese ed italiano; i suoi scritti sono fonte inesauribile
di conoscenza e un faro in tutti questi anni. Sono stati consultati e letti più volte
avidamente e sempre con piacere.
Si ringraziano tutte le persone che hanno collaborato alla stesura del seguente testo,
sia impegnando il loro tempo nel fornire contenuti di qualità (testuali e fotografici),
sia aiutando l’autore nella scrittura di alcuni paragrafi. In particolare, si ringraziano i
principali fornitori dei contenuti fotografici, fondamentali per la genuinità e
specificità dei contenuti trattati:
‐ Rizzi G. (GR), per la notevole mole di informazioni e contenuti fotografici e la
disponibilità nella divulgazione delle sue opere; ha inoltre fornito buona
parte dei contenuti del capitolo dedicato ai tutorial per la costruzione e
l’utilizzo degli strumenti per la ricerca dell’oro.
‐ Calabrese L., per la stesura delle pagine dedicate all’utilizzo del metal
detector in contesti di ricerca dell’oro;
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‐ Gli altri autori delle fotografie con le seguenti sigle: Baron P. (BP), Cirillo S.
(SC), Castellacci A. (AC), Amelio A. (AA), Migliore C. (CM), Rizzi G. (GR).
‐ Bianco S. per l’aiuto nell’apprendimento sulle tematiche relative la
prospezione aurifera amatoriale.
Si ringraziano in particolare per aver fornito le immagini presenti in copertina del
libro Rizzi G. e Carenzo G.
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Prefazione dell’autore
Il seguente libro nasce con l’intento di riunire in una raccolta alcuni miei appunti,
schemi, idee, opinioni e consigli sugli argomenti della ricerca aurifera.
È idea fondante dell’opera il futuro aggiornamento e correzione nel susseguirsi delle
diverse edizioni, sia andando a correggere alcune criticità evidenziate dai lettori, sia
aggiungendo contenuti, con l’obiettivo di fornire un testo di riferimento sempre più
corposo ed interessante al pubblico italiano ed estero.
Molte sono state le sfide intercorse durante la stesura delle seguenti pagine, infatti il
libro è stato elaborato durante gli anni dedicati alla laurea in Scienze Geologiche
dell’autore. Tra un esame e l’altro, tra una lezione e la successiva è stato possibile,
con sacrificio, dedicare del tempo a questa opera e nell’arco di 5 anni si è giunti ad
una prima tappa fondamentale.
Commento dell’autore:
È argomento di discussione tra gli autori il tempismo di pubblicazione con i seguenti
quesiti:” Sarà pronto?” oppure:” Conterrà errori tali da esser criticato?”.
Le realtà, secondo me, è che nessuna opera è completamente corretta ma può essere
man mano rifinita ed ottimizzata, fino a risultare in un’opera letteraria eccellente. Un
secondo quesito importante è che molti autori, nel momento che redigono opere
letterarie tendono ad avere una età avanzata, in modo che tale libro o raccolta possa
riassumere le loro esperienze maturate durante gli anni di vita vissuti. Io sono il caso
opposto, avendo venticinque anni al momento della prima edizione, ho solo la
conoscenza fornitami dalla passione e di relativamente pochi anni di esperienza sul
campo. Conscio di questa lacuna pratica, ho elaborato la seguente opera come punto
di partenza per poter raggruppare le mie esperienze future, ma anche come sussidio
pratico per il mio lavoro futuro.
Il mio sogno nel cassetto sarebbe nel prossimo futuro, avere la possibilità di
approfondire gli argomenti legati alla prospezione e ricerca mineraria di depositi
auriferi, primari o secondari, sia dal punto di vista accademico che lavorativo.
Nell’arco dei miei studi e della stesura del libro, ho letto con attenzione innumerevoli
testi e pubblicazioni estere ed italiane riguardanti la ricerca dell’oro e tutti gli
argomenti che concernono. Ho sempre trovato che molti concetti, semplici per chi
conoscesse l’argomento e la lingua, di solito inglese, sono poco trattati in Italia, paese
che ha donato grandi frammenti alla storia per quanto riguarda la raccolta dell’oro
nei secoli, fin dai tempi dei romani.
Ho voluto in questa opera porre l’attenzione dei lettori su alcune considerazioni
concernenti la geochimica dell’oro, il suo legame con la storia umana, il complesso
mondo dei depositi auriferi primari e di quelli secondari e raccontare in sintesi le
diverse fasi e strumenti di cui un prospettore basa la sua ricerca. Lungi dall’essere
completo, la prima edizione di questo libro vuole essere un primo mattone per
costruire un riferimento letterario, il quale negli anni sarà corretto ed aggiornato fino
a proporre al pubblico un testo il più completo ed interessante possibile.
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Concludo questa prefazione con una frase a me cara che rivolgo a tutti i cercatori
d’oro amatoriali:
“Il cercatore d’oro dovrebbe avere a cuore la natura che lo circonda, sentirsi riempito
da essa e rispettarla. L’estrazione dell’oro deve essere eseguita nel modo più
consono possibile nel rispetto delle leggi e della natura”.
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L’autore
Oberto Matteo, nasce nel 21 febbraio del 1993 a Pinerolo, in provincia di Torino e
cresce con la famiglia a Roletto. Durante la giovinezza si scopre sempre più
appassionato alle materie scientifiche superando l’esame di stato presso il liceo
scientifico tecnologico con punteggio di 88/100.
A 19 anni, si iscrive all’Università degli studi di Torino, presso il dipartimento di
Scienze della Natura nel ramo delle scienze geologiche. Qui riceve un’istruzione
scientifica di alto livello, simbolo della professionalità nell’ambito delle georisorse,
del rilevamento geologico e della petrografia. Ottiene la laurea triennale con
punteggio di 99/110 con tesi petrografica legata ad uno studio dell’orogene
himalayano. Collabora nella realizzazione della tesi triennale di un collega nel
rilevamento del placer aurifero di Villareggia e Mazzè, affacciato sul F. Dora Baltea.
A 23 anni incomincia la laurea specialistica nella medesima università con finalità
nell’ambito industriale ‐minerario. L’apprendimento dell’inglese e la sua pratica
sono molto importanti per l’autore, quale chiave del lavoro all’estero nel periodo
successivo alla laurea.
L’autore iniziò ad interessarsi alla ricerca aurifera nel dicembre del 2012, a 18 anni.
Curioso dell’ambiente circostante, incontrò negli anni successivi sempre più realtà
amatoriali e professionali sul suo percorso. Attraverso l’università ed alcuni professori
di spicco, ottenne una mole di informazioni scientifiche relative alla prospezione e
processamento aurifero notevoli ma avidamente le assorbì giorno dopo giorno. Qui
le sue conoscenze hanno base e fondamento e sono continuamente in sviluppo, con
particolare attenzione alla divulgazione scientifica, specialmente estera australiana e
canadese.
Nel novembre del 2016 prende piede nella mente dell’autore l’idea di formare un
canale telematico‐multimediale online, finalizzato a creare un ponte con il pubblico
amatoriale e professionale a livello internazionale. Utilizzando piattaforme online
social, quali Facebook e Youtube ottiene i primi riscontri, sempre in crescita, fino ad
arrivare a contare centinaia di iscritti sia italiani che esteri.
Dopo una prima fase di crescita mediatica a livello italiano nel 2016, inizia a divulgare
le proprie conoscenze principalmente ad un pubblico estero nel 2017, contando
molti amici e conoscenti in paesi quali Germania, Francia, Spagna, U.S.A, Inghilterra,
Svezia, Africa ed Australia. Nel febbraio 2017 si amplia l’offerta formativa con altri
canali web, quali Instagram, Google+ oltre che esser citato in forum, blog nostrani,
esteri, siti Internet.
Nella seconda metà del 2017 inizia la collaborazione con designer e tester francesi,
con i quali si sono disegnati e testati sul campo modelli di tappetini in gomma
siliconica, finalizzati alla raccolta di oro alluvionale, con prototipi stampati con la
moderna tecnologia della stampa 3D. L’obiettivo primario è quello di conseguire
risultati sempre più apprezzabili per quanto riguarda il recupero gravitativo di oro
fine ed ultrafine.
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Nell’arco della primavera 2018, ha luogo la stesura e redazione della prima guida
fotografica:” Introduzione alla ricerca aurifera” in italiano ed in inglese. Presso la
rivista estera CMJ's Prospecting and Mining Journal, l’autore ha pubblicato il suo
primo articolo con il titolo: Gold placers in Italy in data 26‐7‐2018.
Il suo spirito creativo, divulgativo e trasparente viene preso sempre di più come
esempio e sentiero da molti amatori nuovi ed anziani che si approcciano con
passione alla ricerca dell’oro e ne prendono parte entusiasti. L’autore mira in un
futuro a poter offrire le proprie conoscenze a realtà di prospezione e ricerca
mineraria.
Contatti
Ho voluto rendere un servizio alla moltitudine di persone che mi segue, mi chiede
continuamente quesiti e domande per via telematica, di questa opera, nel tentativo
di approfondire ulteriormente le loro conoscenze.
Per qualsiasi domanda, quesito, richiesta, dubbio e perplessità l’autore è contattabile
presso:
Linkedin: Matteo Oberto
E‐mail: Oberto.matteo@libero.it
Youtube channel: matteo oberto
Instagram: oberto_matteo
Facebook page: Trainingforgoldprospector
Per ulteriori eventi, mostre, collaborazioni e conferenze, l’autore rimane aperto al
coinvolgimento. Per ogni domanda, curiosità dubbio ed approfondimento si consiglia
di contattare l’autore tramite i diversi contatti telematici sopracitati.
L’autore declina ogni responsabilità per l’utilizzo dei contenuti seguenti. Alcune sono
opinioni ed idee maturate nel corso dell’attività e degli studi e per tanto alcune di
esse sono sotto verifica e in sviluppo al momento della stesura. I contenuti seguenti
sono protetti da copyright e non divulgabili senza permesso dell’autore stesso.
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Introduzione
L’oro è un metallo di transizione tra l’argento e il roentgenio, posto nella tavola
periodica degli elementi. Il suo numero atomico è il 79, con una massa atomica di
196,96655 g/mol e possiede un unico isotopo, il numero 197. L’isotopo dell’oro è
utilizzato nei trattamenti per la cura del cancro e possiede un tempo di
dimezzamento di 2,7 giorni.
L’oro è un metallo prezioso ed al suo valore sono attribuiti i simboli di ricchezza e
longevita. Ha proprietà importanti nella stabilità chimica, conduzione elettrica,
malleabilità e duttilità; alcune di queste conosciute fino dagli albori della società
umana.
In tempi antichi e moderni, è fonte di ricchezza ed attribuito all’ambito monetario,
dapprima in forma fisica tangibile (monete) per poi successivamente venir attribuito
ad un valore virtuale (banconota) fino a non riscontrare più una reale conversione
economica diretta. Il termine inglese storico “oro” (Gold) deriva da “geolo”, per il
colore giallo tipico e il simbolo chimico Au, dal latino invece “aurum”.
L’oro e la genesi stellare
Gli elementi chimici che ritroviamo sulla terra sono stati prodotti attraverso l’attività
di vecchie stelle. Grazie alla fusione nucleare attiva all’interno della stella, si sono
generati elementi via via più pesanti da quelli più leggeri. A tali condizioni di
temperatura e pressione vi sono condizioni molto particolari e gli elementi più
pesanti, tra cui l’oro, tendono a formarsi solo nelle ultime fasi della vita stellare. Gli
elementi più leggeri e la loro produzione avvengono per la maggior parte della vita
della stella.
Gli elementi pesanti e molto pesanti vengono generati solo in alcune occasioni
particolari: quando la stella diventa una gigante rossa o una supernova. Una gigante
rossa perde la maggior parte della sua massa nello spazio alla fine del suo ciclo vitale.
Una supernova, invece, esplode rilasciando la sua massa anch’essa nello spazio
circostante, ma riuscendo ad arrivare a produrre elementi più pesanti rispetto la
controparte. Gli elementi chimici prodotti nelle stelle vengono dispersi sotto forma
di polvere o frammenti che viaggiano nell’universo.
La forza gravitazionale permette di riunire la polvere stellare in frammenti di svariate
dimensioni. Durante la vita della stella, la forza gravitazionale permette di
mantenere nel nucleo condizioni termiche e bariche eccezionali ma essa è la forza
attrattiva che permette alla materia di aggregarsi e produrre sempre più grandi corpi
fisici, ad esempio asteroidi, planetoidi fino ai pianeti.
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Questi orbitano intorno ad una stella locale nel caso più semplice, sempre attirati
per attrazione gravitazionale. I pianeti e gli altri corpi minori si muovono lungo delle
orbite, le quali variano nel tempo e nello spazio. La stessa velocità di movimento
lungo l’orbita è in continuo mutamento, tendendo ad aumentare quando il corpo si
avvicina alla stella e diminuendo quando è più lontano.
I planetoidi attirano a loro volta altre masse di materia via via più lontane e di
maggiori dimensioni, (ad esempio asteroidi ed altri planetoidi). Intanto il pianeta
muta, ed in uno stato ancora con atmosfera assente o molto sottile si presenta
sterile, senza vita o acqua liquida, ghiacciato dal gelo cosmico.
Nelle profondità del pianeta primordiale, gli elementi chimici pesanti tendono a
muoversi molto lentamente nel tempo e nell’arco di centinaia di milioni di anni si
spostano verso il nucleo, lasciando il posto in superficie agli elementi leggeri. A
seguito dei moti convettivi, legati fondamentalmente alla differenza di densità e
calore, simili a quelli visibili nell’acqua in bollitura, dove l’acqua sul fondo scaldandosi
varia il suo volume, quindi essendo meno densa risale, in parte diventa bolle di
vapore, anch’esse a minor densità risalgono. L’acqua superficiale, raffreddata,
diventa più densa e sprofonda. Ciò è possibile nel caso il nucleo emetta calore, il
quale è generato a sua volta dal decadimento radioattivo degli elementi instabili al
suo interno. Senza il calore i moti convettivi non sarebbero così pervasivi ed
importanti come quelli presenti sulla Terra.
Nella Terra gli elementi pesanti procedono naturalmente verso il nucleo, il punto più
profondo del pianeta, invece i magmi e le risalite mantelliche generano l’effetto
opposto ma solo localmente. L’oro è un elemento pesante ed insieme all’uranio, al
nichel, al platino e molti altri presenti nelle porzioni più profonde del nostro pianeta.
L’oro si ritrova in superficie in piccole proporzioni rispetto a quello che risiede ancora
in profondità.
Gli elementi radioattivi presenti nel nucleo generano calore grazie ai processi di
fissione nucleare. Essi sono sottoposti, infatti, ad una pressione altissima, data dal
peso di tutto il materiale soprastante. Il nucleo della terra genera enormi quantità di
calore ma la pressione è tale che non può fondersi, rimanendo solido. La prima
porzione rocciosa terrestre a fondere viene indicata come nucleo esterno; le rocce
sono fuse in tale involucro concentrico e si muovono nel tempo grazie a moti
convettivi. Allontanandosi dal nucleo esterno, la temperatura diminuisce fino a
ritrovare rocce solide o solo più parzialmente fuse tipiche del mantello. I minerali nel
mantello sono composti da magnesio e ferro e sono ossidi o silicati (presenza di silice
in bassa percentuale rispetto la crosta). La struttura cristallina di questi minerali varia
con la profondità adattandosi alle diverse pressioni e temperature ma rimane solida
con solo locali fusioni. Procedendo verso la crosta, nella porzione superiore del
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mantello, le rocce sono parzialmente fuse. Ciò rende svincolata la crosta sovrastante
rendendo possibile la genesi ed il movimento delle placche tettoniche. La crosta è
ricca di elementi leggeri, in quanto il mantello e poi il nucleo lo sono di materiali
pesanti ma a seguito di processi metallogenici, idrotermali, concentratori possono
esistere anomalie di arricchimento, denominate depositi o giacimenti.
L’oro presente nelle porzioni superficiali della Terra è ipotizzato essere anche un
prodotto del bombardamento degli asteroidi. Gli asteroidi, attirati dalla forza
gravitazione della terra, hanno impattato sulla crosta terreste e localmente il
materiale mantellico ha avuto modo di risalire.
L’oro presente in questi asteroidi, anch’essi generati dalle stelle moltissimo tempo
prima potrebbe essere il progenitore dell’oro che noi ora ritroviamo. Il processo che
ha permesso in tempi successivi all’oro dallo schianto alla vena idrotermale aurifera
è tutto un altro argomento. Lo stesso oro presente nelle porzioni superficiali e
profonde del mentello potrebbe essere riportato nelle porzioni superiori attraverso
altri processi di risalita profonda (plumes), un argomento ancora dibattuto e che da
sempre attira curiosi.
L’oro e le sue proprietà fisiche e chimiche
Le seguenti proprietà fisiche e chimiche dell’oro sono state misurate ad una
temperatura standard di 20°C a pressione di 1 atm se non indicato in modo
differente:
∙ Coefficiente di espansione termica lineare: ‐ 0.0000142 cm/cm/°C (0 °C);
∙ Conduttività: Elettrica: ± 0.452 x 106/cm x Ohm
Termica: ± 3.17 W/cm x K
∙ Riflettività: +/‐ oro con alto valore di purezza riflette fino al 99% i raggi infrarossi.
L’oro viene utilizzato come scudo contro le onde di questa tipologia nelle tute di
pompieri ed astronauti.
∙ Densità: ± 19.32 g/cm3 (puro al 100%);
∙ Punto di fusione: ± 1064.58 °C;
∙ Volume molare: ± 10.2 cm3/mole;
∙ Calore specifico: ± 0.128 J/g x K;
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∙ Malleabilità: ± può essere schiacciato in una lamina tanto fine che la luce può
passarci attraverso.
∙ Duttilità: ± possono essere prodotti fili di oro per una lunghezza circa di 5 miglia
(circa 8 km) con una oncia troy (31.10g).
∙ Durezza ± 2 ‐ 3 (rispetto la scala di Mohs: talco (1) ‐ diamante (10) (Dana, 1890))
∙ Sistema cristallino ‐ isometrico / cubico.
L’oro è un elemento raro nella crosta terrestre. Evolve come elemento siderofilo con
affinità Fe‐Ni rispetto il nucleo terrestre e si trova in maggiore percentuale presso
aree di dorsale oceanica in spreading, presente nei solfuri di ferro e nichel
preferenzialmente, oltre a porzioni più profonde mantelliche. Durante la fusione
parziale mantellica e la successiva risalita di magmi basaltici, l’oro viene incluso in
lega con composti solfurei, in percentuale minima. La successiva risalita verso la
superficie può avvenire sia in contesti di subduzione che di dorsale oceanica con
effusione di basalti.
Il ritrovamento di oro in superficie è correlato a processi tettonici e geologici, quali:
convezione, subduzione, fusione parziale, processi idrotermali, alterazione chimica,
erosione fisica e deposizione oltre che concentrazione attraverso diversi agenti
atmosferici, prima di ritornare in bacino (sedimenti marini e oro in soluzione in acque
marine). La genesi di giacimenti con un alto tenore di oro richiede la coincidenza di
più processi che esasperino la concentrazione locale del metallo prezioso. I fluidi, in
questi contesti, sono fondamentali per il trasporto e la precipitazione dell’oro, infatti
possono trasportare fino a 10 ppm per litro ed oltre in casi eccezionali. La loro
origine, efficienza nell’estrazione e trasporto sono ancora in fase di studio.
L’oro occorre principalmente allo stato nativo, spesso con elementi chimici associati
inclusi o in lega, quali: argento, rame, bismuto, mercurio, pge (platinoidi) e telluridi
oltre che selenidi. L’oro rispetto ai solfuri che gli assomigliano per abito cristallino e
colorazione (es. pirite, calcopirite, etc) è distinto per la sua forte lucentezza metallica
ed il tipico colore “oro” (giallo brillante e lucente), inoltre tende a non reagire con
l’ossigeno per formare composti più stabili (ossidi).
I principali stati di ossidazione sono 1+ e 3+. Il composto più comune è AuCl3 e l’acido
cloraurico HAuCl4. Entrambi derivano dallo ione Au3+.
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Le proprietà principali dell'oro
Simbolo chimico Au
Numero atomico 79
Peso atomico 197
Abito cristallino cubico
dorato / giallo / argenteo
Colore
/rossiccio
Punto di fusione 1064.43°C (1948°F)
Espansione termica 14.2 X 10‐6/°C
Riflettanza opaco
Suscettibilità magnetica bassa
Resistività 2,2 x 10‐8
Duttilità alta
Lucentezza metallica
Elasticità 138 Mpa
Abbondanza crostale 0,005 ppm
N.1 Schema riassuntivo delle principali caratteristiche chimico fisiche dell’oro.
Mineralogia dell’oro
Le risorse naturali di oro sono principalmente contenute nel minerale aurifero in
senso stretto (oro nativo) e nelle acque marine. Gli oceani sono il maggiore ritentore
di oro in soluzione a livello globale, le cui stime sono molto variabili e dipendono
dalle correnti e dalle posizioni fisiche indagate dai campioni, analizzati in laboratorio.
Appaiono valori inferiori a 0.1 fino 2.0 ppb in peso a litro. I vari tentativi finora
eseguiti per ricavare oro dagli oceani sono stati poco redditizi o fallimentari per la
richiesta a basso costo di movimentare enormi volumi di liquidi. I sali di magnesio e
litio, per esempio, sono ricavati tutt’ora con profitto dalle acque marine ma
l’estrazione dell’oro dovrebbe essere eseguita su una scala di portata maggiore.
L’associazione di elementi presenti con l’oro sono stati classificati sulla base chimica
per quanto concerne l’affinità tra i metalli, i solfuri, i silicati o le fasi gassose e sono
riferiti (tabella 2) come elementi: siderofili, calcofili, litofili ed atmosferofili
(Goldschmidt, 1922). Come si denota l’oro è associato a più categorie.
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Classificazione geochimica degli elementi di Goldschmidt
N.2 Schema riassuntivo dei principali elementi chimici i quali appartengono alla classificazione geochimica di
Goldschmidt.
Applicazioni commerciali
Le proprietà chimiche e fisiche dell’oro lo rendono un metallo importante in molti
settori, quali ad esempio quello industriale e gioielleristico. È molto affidabile nel
tempo e tende a non essere attaccato dagli acidi. Il metallo è totalmente riciclabile
ed il tempo vitale dei componenti in campo medico, industriale e elettronico è
tendenzialmente lungo. È uno dei metalli meno attivi dal punto di vista chimico, non
si ossida a contatto con l’aria e tende a variare minimamente il suo volume con la
variazione della temperatura. È inerte a contatto con soluzioni fortemente alcaline o
acidi puri, con l’eccezione dell’acido selenico. L’oro puro (100%) ha una densità di
19,3 volte quella dell’acqua ed ha una densità pari a 19,300 g/cm3 pari a 1200 lbs/ft3.
I composti a base di oro hanno applicazioni industriali nelle celle galvaniche, nella
granulazione e nel lamination pressing, per contenere i costi e produrre prodotti più
resistenti e durevoli nel tempo. La domanda maggiore del metallo prezioso proviene
dall’industria elettronica e bellica, oltre che l’industria aerospaziale, a dispetto della
idea generale al settore della gioielleria.
L’oro è resistente alla corrosione e grazie alla sua alta conduttività elettrica, è
intensamente utilizzato nel produrre conduttori, circuiti stampati, semiconduttori,
magneti, interruttori ed altri prodotti elettronici. È molto utilizzato come scudo per i
raggi infrarossi, vista la sua alta riflettività. È presente anche come metallo ritentore
in processi siderurgici. La sua riflettanza elevata lo rende un ottimo metallo di
copertura per mezzi spaziali, quali sonde, satelliti o space shuttle, prevenendo danni
arrecati dalle radiazioni solari agli operatori. Dal punto di vista medico, l’oro è
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sostanzialmente biologicamente inerte e sta diventando un elemento vitale nella
ricerca medica moderna. L’oro in minime percentuali è utilizzato come strumento
diagnostico per la ricerca del cancro alla prostata e durante il trattamento; composti
all’oro sono anche utilizzati in terapie contro le artriti per iniezione nei siti
infiammati. Alcuni composti sono assimilabili pure per via orale. L’isotopo oro (198)
è radioattivo, con tempo di dimezzamento di 2,7 giorni. Sta diventando sempre più
importante nella diagnostica medica e nella radioterapia, e come tracciante in
applicazioni industriali, ad esempio per monitorare il movimento di sedimenti
marini. L’oro è il più malleabile e duttile di tutti i metalli e può essere pressato fino a
formare un sottile foglio con uno spessore di 1/1'000’000 di pollice (un pollice è circa
2,54 cm) e creare filamenti con un peso complessivo di 0,5 mg/m. L’oro è un
elemento molto utilizzato nel campo della gioielleria, fino dalla remota antichità ma
ha anche valenza nel reparto elettronico, nel conio e per scopi industriali o
decorativi. Nel campo artistico è molto richiesto per l’utilizzo di fogli dorati, piuttosto
che venendo colato liquido per poi solidificarsi con una forma a piacimento imposta
(stampi). È importante nell’industria delle ceramiche. Italia, Stati Uniti, Germania e
Giappone sono i principali esportatori di gioielli a livelli mondiali, mentre la Cina e
l’India ricoprono i principali importatori. L’utilizzo dell’oro nella produzione di
monete di valore, piuttosto che di medaglie o medaglioni ha avuto un drastico calo
dopo il 1982 ed il mercato si è spostato nel Sud Africa, la quale è diventata la più
grande industria gioiellistica a livello mondiale. Nel settore della bigiotteria, il prezzo
dell’oro ricopre solo una percentuale del prezzo dell’oggetto finito. Il campo
attualmente in espansione, che si evince dalle ricerche del mercato, vede l’oro
sempre più richiesto in ambito industriale e medico, oltre che nel reparto tecnologico
d’avanguardia.
Geochimica dell’oro
Importanti aspetti della geochimica delle soluzioni liquide aurifere sono le proprietà
uniche della soluzione risultante (acidità, PH, potenziale di ossidazione, conduzione
elettrica). La salinità può aumentare a seguito di vari processi includendo
l’alterazione delle rocce e la dissoluzione di halite precedentemente depositata (ad
esempio nell’evaporazione delle acque marine). L’acidità, il potenziale di
ossidazione, il potenziale di riduzione e la salinità hanno effetti maggiori sulla
speciazione e sulla solubilità dell’oro. Ad esempio, se la conduzione elettrica vale
meno di 200 mV indica soluzioni riducenti, le quali tendono ad essere arricchite in
specie ridotte come Fe2+ o SH‐. Valori più maggiori di 500 mV indicano soluzioni
ossidanti, le quali generalmente contengono alte concentrazioni di specie ossidate
come ad esempio UO2, o AuCl4‐ (Gray, 1997a).
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L’ossidazione della pirite e di altri solfuri gioca un importante ruolo nella genesi di
ioni idrogeno, infleunzando l’acidità delle soluzioni, durante l’alterazione chimica
delle rocce. Alcune particolari reazioni chimiche ed anioni, oltre che soluzioni,
giocano un ruolo fondamentale per la genesi di mobilità nel sottosuolo, attraverso i
fluidi dell’oro. Differenti condizioni mostrano differenti comportamenti di
mobilizzazione e precipitazione (Gray (1997b) (tabella 3). Specifici complessi sono i
tiocomplessi, sostanze nelle quali l’ossigeno è stato parzialmente o totalmente
sostituito dagli atomi di zolfo. L’oro è molto suscettibile a legarsi con i tiocomplessi
se presenti le condizioni positive. Si evince che l’oro solido può essre dissolto in
soluzione e quindi subire un trasporto per via fluida, ponendo l’accento sulla
necessità delle condizioni di precipitazione per generare un futuro deposito aurifero
primario.
2‐
Au(OH) condizioni alcaline PH>8
2‐ 4‐
AuCl / AuCl condizioni acide e neutrali Acide / neutrale
Soluzioni riducenti nelle fasi
precoci di arricchimento Ridotte / neutrale
2‐
Au(HS) supergenico,
oppure da soluzioni riducenti Eh < ‐0,1 V; PH: 6‐9; solfuri
correlate a fluidi biologici. totali >0,02 M
3‐
Au(S2 O3 )2 Alterazione pirite aurifera in Alcaline a debolmente acide
soluzioni alcaline‐neutrali.
2‐
Au(CN) Interazione del cianuro con l'oro limitato a presenza di cianuri
Interazione dell'oro con fasi
incerto
Au – MO* organiche
Au colloidale Si forma durante la riduzione incerto
dell'oro da parte di sostanze
organiche.
N.3 Potenziali specie fluide aurifere (Gray, 1997b): schema riassuntivo delle principali specie fluide con presenza di
oro e delle loro caratteristiche fisico chimiche. *MO: sostanze organiche.
Analisi dei complessi fluidi e delle loro proprietà
I tiocomplessi:
I solfuri formano un numero di specie variabile rispetto al numero di ossidazione da
‐2 a +6. Dipendenti dalla concentrazione dei solfuri, le specie più importanti, per
quanto riguarda l’oro, sembrerebbero essere dallo stato a più basso numero di
ossidazione:
∙ gruppo solfidrico (SH‐);
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∙ tiosolfato (S2O3 2‐);
∙ solfito (SO3 2‐);
∙ solfato (SO4 2‐), (il quale non si lega con l’oro).
Le specie più importanti per la mobilizzazione dell’oro appaiono essere appartenenti
al gruppo solfidrico ed i tiosolfati. Il solfuro è ossidato a solfato in presenza
dell’ossigeno mentre Il tiosolfato potrebbe formarsi a seguito dell’ossidazione della
pirite in un ambiente di alterazione neutrale o alcalino.
Mann (1984a) calcolò che 400 ± 800 grammi di CaCO3 sono richiesti per ogni grammo
di FeS2 per mantenere le condizioni alcaline per la produzione del tiosolfato: ciò
significa che una quantità significante di oro necessita condizioni particolari per la
mobilitazione. In condizioni fortemente riducenti, il complesso Au(HS)2‐ è
particolarmente importante per il trasporto idrotermale (Seward, 1973, 1982; Boyle,
1979) ma ha solo restrizione per l’occorrenza in aree di arricchimento supergenico
secondo Gray (1997b). Nelle vicinanze di depositi solfurei, i minerali a zolfo possono
essere misurati in soluzione a 10 ± 1000 mg/L [Au(HS)2‐]. La solubilità è maggiore in
condizioni neutrali ‐ riducenti ed assume un totale dissolto di oro di 2x10‐6 M (700
mg/L) in ottime condizioni. Il totale dissolvibile si aggira intorno a 6x10‐6M (1200
microgrammi/L).
I complessi al cloro:
La dissoluzione di oro in composti al cloro (AuCl2) richiede ambienti ad elevata
acidità, salinità e condizioni ossidanti:
2 Au(s) + 4 Cl‐ + 0.5 O2 + 2H+ <‐‐> 2 AuCl2 + H2O
Simulazioni in laboratorio mostrano la presenza di diossidi di manganese nei processi
di alterazione delle rocce come agenti prevalenti. Essi hanno prodotto
concentrazioni di oro in soluzioni acide (PH < 4) e fortemente ossidanti (Eh > 680 mV)
di una mole/litro del composto AuCl2, circa il doppio della concentrazione presente
nelle acque marine (Cloke e Kelly, 1964; Lakin et al., 1974). In tali condizioni
ambientali il potenziale di ossidazione è controllato dal rapporto Mn2+/Mn. La coppia
di ossidazione è stata osservata in acqua, analizzata da un giacimento (Panglo) vicino
Kalgoorlie, Western Australia. Tale deposito possiede un Eh abbastanza alto. Un’altra
condizione possibile si ritrova nelle brine continentali (alta acidità, salinità e
condizioni ossidanti), la precipitazione avviene sotto condizioni riducenti, per
esempio con presenza di Fe2+, il quale riduce l’oro.
AuCl2‐ + Fe2+ + 3H2O = Au(s) + Fe(OH)3 + 3H+
Con la continua evaporazione, aumenta la salinità, il calcio è generalmente il primo
ione a precipitare sotto forma di calcite in condizioni neutrali‐leggermente ossidanti
17
o il gesso se vi è un eccesso di Ca e SO32‐. I precipitati salini in condizioni di alta salinità
sono stati osservati nelle “saline playas” o laghi salati, nei quali la fortissima
evaporazione superficiale li rende ambiente ostici per la vita umana ma molto
produttivi per ricavarne sali, altrimenti non concentrati e difficilmente estraibili.
I complessi organici:
I complessi basati su sostanze organiche sono importanti per la mobilizzazione
dell’oro nei suoli. Alcuni esempi possono essere i complessi a cianuro, complessi
organici e oro colloidale.
I complessi a cianuro:
I complessi organici capaci di mobilizzare l’oro nei suoli includono i complessi a
cianuro, ad esempio Au(CN)2‐. Un orizzonte particolarmente ricco in sostanza
organica può contenere un’alta concentrazione di cianuri e produrre una
mobilitazione delle particelle d’oro, le quali passando in soluzione possono viaggiare
per anche lunghe distanze per poi precipitare. Gray (1997b) elenca diversi autori,
incluso Watterson (1985), Korobushkina et al. (1974), Rogers & Knowels (1978), i
quali studi sulla influenza dei microrganismi sulla mobilitazione e precipitazione
dell’oro e sulla sua solubilità sono dipendenti dal rilascio e dalla decomposizione dei
cianuri con genesi di aminoacidi leganti. Questi, inoltre, possono anche avere un
valore nella prospezione ed esplorazione mineraria. La solubilità dei cianuri con l’oro
è limitata ovviamente alla disponibilità dei cianuri stessi, comunque alcune piante ed
organismi sono conosciute per il rilascio dei cianuri (Sneath, 1972) e possono quindi
accumulare quantità apprezzabili di oro. Batteri cianogenici sono frequentemente
associati a piante, suoli e materia organica in orizzonti, o nelle immediate vicinanze,
di fonti organiche quali ad esempio sistemi radicali (radici).
L’oro colloidale:
L’oro forma attivamente aggregazione molecolare fino a 5 micrometri in dimensione
(colloidi) e tali specie chimiche sono conosciute da secoli. Dove stabilizzato dalla
materia organica, l’oro colloidale è stato osservato in laboratorio (Goni et al., 1967,
Ong & Swanson 1969 e Fedoseyeva et al.,1983) ed è stato riconosciuto il suo
importante ruolo nei meccanismi per la mobilizzazione dell’oro. Essendo carichi
negativamente, questi colloidi possono essere mobili in suoli carichi negativamente.
Precipitano poi al contatto con gli orizzonti che contengono minerali carichi
positivamente come ad esempio il Fe2+. Tentativi per dimostrare la naturale
occorrenza di oro colloidale sono stati infruttuosi (Boyle 1979; Kolotov et al., 1980)
a causa di difficoltà tecniche legate alla bassissima concentrazione di oro. Gray
(1997b) suggerisce che l’oro nei suoli possa essere mobilitato solo in presenza di
materia organica. Alcune piante possono absorbire e accumulare l’oro ma anche
18
trasportarlo da aree profonde (radici) fino ad aree più superficiali (tronco, rami)
(Erdman e Olson, 1985). In alcuni casi si pensa che anche colonie di batteri presenti
al contatto con la regolite, cioè la porzione rocciosa degradata alla transizione tra il
substrato roccioso alterato ad il sovrastante suolo, possano svolgere un ruolo di
concentrazione in sub‐orizzonti. Alcune specie possono rilasciare o degradare i
cianuri (Smith & Hunt, 1985) andando ad interagire con la solubilità dell’oro
(Korobushkina et al., 1974).
19
Oro, leghe ed inclusi
L’oro è puro nel caso ideale ma raramente in quello reale. Le soluzioni idrotermali,
infatti, contengono anche altre sostanze che possono precipitare nello stesso
instante dell’oro e quindi venir incluse nella sua struttura cristallina (lega), piuttosto
che esser inclusi nel cristallo d’oro ma possedendo un reticolo cristallino proprio e
differente (minerali inclusi). Le principali leghe sono electrum (oro con argento),
amalgama (oro con mercurio) ed i telluridi (oro con tellurio).
Alcuni di questi elementi sono presenti solo in tracce e quindi in percentuale minima,
altri invece ricoprono una percentuale importante, come ad esempio l’argento o il
rame. La quantità di elementi aggiuntivi determina anche variazioni dimensionali e
morfologiche nell’oro rinvenibile. L’oro forma composti naturali con l’argento
(electrum), il rame, il mercurio (amalgama) ed il tellurio. Meno comunemente l’oro,
viene associato con il titanio, il bismuto, il palladio, il piombo e lo zinco.
L’associazione minerale correlata alle mineralizzazioni aurifere può essere un dato
importante per fornire una descrizione approfondita del deposito primario. Varietà
di depositi primari possono includere cuproaurite (oro con rame), porpezite (oro con
palladio) e bismutaurite (oro con bismuto). Mentre gli elementi chimici correlati
all’oro possono venire ritrovati parzialmente in un ambiente di tipo alluvionale, la
loro presenza nel deposito primario fornisce un indicatore geochimico importante e
caratteristico dell’oro presente, una sorta di “firma”, a volte unica, utile per
comprendere gli aspetti metallogenici.
L’oro ha un caratteristico colore giallo metallico chiaro, ma può essere leggermente
scuro nel caso sia molto fine. L’aggiunta di altri metalli all’oro può virare il colore
visibile:
‐ blu: +/‐ oro con ferro;
‐ verde: +/‐ oro con maggior argento rispetto rame;
‐ rosa o rosé: +/‐ 50% oro, 45% rame e 5% argento;
‐ bianco: +/‐ oro con nickel, zinco, rame e stagno;
‐ giallo: +/‐ 50% oro, 25% argento e 25% rame;
Note: le percentuali sono indicative.
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L’oro nativo
L’oro nativo è di per sé una lega; normalmente contiene una mistura isomorfa di oro
e argento nelle proporzioni che variano da 4 ‐ 15% in peso, raramente meno di 1% di
oro.
L’oro nel quale l’argento è maggiore del 15% e minore del 50% è classificato come
una lega denominata electrum.
L’electrum
Il termine deriva dal greco “elektron” (sostanza che genera elettricità sotto frizione).
Esso è un nome comune dato alla varietà intermedia della serie isomorfa Au‐Ag. Le
proprietà fisico‐chimiche dell’electrum variano con il contenuto di argento.
Visibilmente, con l’aumentare della percentuale di argento, il colore vira da un giallo
a un giallino‐bianco. Il metallo diventa meno denso complessivamente e diminuisce
da 800 a 550 la sua fineness (purezza). Chimicamente con l’aumentare dell’argento,
la dimensione dell’oro diventa meno stabile e vengono favorite taglie maggiori
rispetto alle fini, inoltre l’oro è più suscettibile all’alterazione chimica. L’electrum è
coperto alle volte da patine composte da alogeni e composti a zolfo.
L’amalgama
Il mercurio ha una forte affinità con l’oro e può essere ritrovato in natura sotto forma
di amalgama (Au2Hg3). L’amalgama è frequente nei distretti minerari ed è ritrovata
sotto forma di piccole sferule o corpi sferoidali di solito nelle tailings (scarti) o nei
corsi d’acqua che vanno a rielaborare le discariche minerarie. Ad esempio, Fricker
(1980) ha misurato che fino al 2% in mercurio è stato identificato in alcuni camponi
di oro del Sud Africa, il quale era già stato notato nei processi di lavaggio del
sedimento alluvionale. Gli impianti in Indonesia (Ampulit gold placer operations,
Kalimantan) hanno estratto un quantitativo di mercurio maggiore dai lavaggi che
quello impiegato per il recupero dell’oro. È da fare un appunto importante, infatti
non tutto il mercurio ritrovato sotto forma di amalgama è “naturale” in senso stretto,
piuttosto in senso lato ereditato da passate attività estrattive che ne facevano uso e
quindi di introduzione antropica, cioè disperso accidentalmente da attività umane
che ne hanno fatto uso. Il cinabro (HgS2) appartiene al tipo di mineralizzazione
tipicamente di bassa temperatura ed idrotermale. È più stabile in condizioni ossidanti
che la maggioranza dei minerali a zolfo; grazie alla sua elevata densità è spesso
ritrovato nel concentrato di attività di lavaggio all’interno di placer, associato con
l’oro. Meta cinnabarite e mercurio nativo vengono estratti a volte come
sottoprodotto, dove la loro concentrazione finale nel prodotto del processamento
ha un valore commerciale utile.
21
I telluridi
Misura della purezza dell’oro
La purezza dell’oro è misurata ii termini di fineness. L’oro è commercialmente
disponibile con una purezza del 99.999%. Vi sono due scale di misura principali di
fineness: i carati, indicati in “K” che variano in una scala da 0 a 24 o da 0 ‐ 1000. In
cui con il valore “0” si indica il caso di assenza di oro e con il termine massimo relativo
(24 o 1000 sulla base della scala scelta) il caso opposto.
Per carato (K) si intende la purezza dell’oro o altri metalli. Utilizzando la scala K
relativa al numero massimo 1000, la purezza risulta più apprezzabile in quanto
indicata da un maggior numero di cifre.
L’oro con una fineness di 1000K (detto 1000 fine) è oro puro ed è equivalente a 24K
(sistemi dei carati (K). Il carato (K) è utilizzato nella gioielleria, diverso dai carati (ct)
per i diamanti o pietre preziose, basati sul peso invece che la purezza, in cui 1ct
corrisponde a 0,2 grammi.
Una lega al 50% (500 fine) di oro è equivalente a 12K di oro; 18K sono equivalenti a
750 fine. Diversi esempi reali di misure della fineness sono riportati nella tabella 4. Si
noti come l’aggettivo “fine” nel contesto delle dimensioni fisiche dell’oro è correlato
alla unità di misura dimensionale, mentre nel contesto di misura della purezza, il
termine fine è utilizzato come aggettivo per quanto riguarda la fineness. Tale
significato che varia sulla base del contesto crea alle volte complicazioni e
incomprensioni.
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Il vantaggio dell’utilizzo della scala dei 1000 è l’annullamento nei valori decimali,
infatti si ottiene un valore unico intero. Quando l’oro ha una purezza del 94,4% è
designato come 944 fine oppure 22,656K. Il secondo sistema risulta più complesso
nella lettura e quindi è stato parzialmente sostituito.
La purezza è un fattore importante nell’analisi di un deposito aurifero che sia
primario che secondario. Nel primo caso, i depositi auriferi primari epitermali
mostrano una purezza dell’oro tendenzialmente minore rispetto a condizioni più
profonde ad esempio mesotermali. Alcuni fattori che vanno ad agire modificando il
valore finale della purezza possono essere:
‐ la proporzione dell’adsorbimento di metalli contaminanti, quali Ag e Cu durante il
flusso dei fluidi idrotermali e le condizioni chimiche sotto le quali essi sono
precipitati;
‐ multi‐stage chimico nella natura dei fluidi idrotermali circolanti nel tempo;
‐ interazione dei fluidi con la roccia circostante: in questo caso è importante lo stato
d’ossidazione dello zolfo e la presenza dell’idrogeno nei fluidi (PH);
‐ possibile interazione con attività batterica;
‐ possibile genesi di sistemi di vene multipli in diversi stadi temporali a distanza
variabile nel medesimo deposito aurifero primario.
Come si può notare dalla carrelata di fattori appena delineata, sono moltissime le
variabili che influiscono sulla fineness dell’oro analizzato. Alcune di queste saranno
discusse in modo più approfondito nei successivI capitoli. Un alto valore di purezza
dell’oro può occorrere in un range di casi ampio rispetto la litologia delle rocce
presenti: dalle rocce ultramafiche alle mafiche, piuttosto che nelle tipologie
magmatiche dioritiche o granitiche. Sono relazionati a sistemi porphyry e depositi
epitermali ad alto contenuto di solfuri. Ad esempio, l’oro presente in depositi
porphyry è spesso molto puro (Sillitoe, 1993) ma fine fino a 60 micrometri. Di
particolare importanza sono le gold‐bearing quartz veins (mother lodes), le quali
presentano l’oro anche in considerevoli quantità e purezza all’interno della matrice
23
quarzosa della vena stessa. Spesso sono ritrovate in sistemi fratturati a seguito della
messa in posto di granitoidi, i quali risalendo nella crosta generano enormi pressioni
e temperature risultando in cambiamenti notevoli nelle rocce circostanti (aureola
termo‐metamorfica). L’intrusione del plutone risulta non solo come catalizzatore
della fratturazione nelle rocce circostanti, dette incassanti, con preferenza alla
porzione superiore (più vicina alla superficie e con un minore carico litostatico) ma
anche come fonte di calore anomala, motore per gli adiacenti sistemi idrotermali.
Questi ultimi possono estrarre (leaching) alcuni elementi dalle rocce incassanti e
trasportarli, grazie ai fluidi presenti, anche a considerevoli distanze, per poi
precipitare quantità di oro variabili o altri minerali di valore al variare delle condizioni
geochimiche.
L’oro è ritrovato anche in vene associate ad aree a skarn, cioè porzioni adiacenti
all’intrusione di un plutone ma molto suscettibili dal punto di vista chimico ai fluidi
per via della presenza di carbonati o rocce contenenti gli stessi (marmi), ad esempio:
Suian District, Noth Korea (Watanabe, 1943).
Dal punto di vista della geologia regionale, alcuni autori ipotizzano che il basamento
offre un importante spunto sulla possibilità di formarsi di alcuni giacimenti o
depositi. I depositi che sono stati ritrovati in porzioni cratoniche in Guatemala ed
Honduras (America centrale) sono associati ad oro epitermale e sono
uniformemente ricche in argento. In Costa Rica, Panama e Nicaragua è presente oro
con assenza quasi di argento, queste aree non sono nelle condizioni dei distretti
sopra citati, ergo in un differente ambiente geochimico. Similarmente i depositi del
Nord America ad esempio in Nevada o Colorado, i quali si sono formati in una crosta
sialica, sono ricchi in argento (Hutchison, 1985) anche se le aree esterne al cratone
in California sono ricche di oro. L’argento è tipicamente continentale mentre l’oro
tende ad avere un’origine oceanica legata al mantello terrestre (rocce mafiche ed
ultramafiche).
Morfologia dei granuli d’oro
La morfologia di un granulo d’oro tende ad essere un’eredità del suo iniziale punto
di cristallizzazione. Le proprietà dell’oro nel deposito aurifero primario sono
parzialmente mantenute nel trasporto oppure via via obliterate specialmente in un
ambiente di tipo alluvionale. L’oro è uno degli ultimi minerali a cristallizzare in un
circuito idrotermale e tende ad essere ritrovato in posizioni interstiziali, cioè negli
spazi vuoti rispetto quelli adiacenti già occupati da altri minerali precipitati e
cristallizzati. Si ritrova in fratture della roccia, al cui interno percolavano fluidi, nei
quali l’oro era in soluzione. La morfologia del cristallo d’oro è legata allo spazio libero
al momento della crescita cristallina, nel caso lo spazio fosse misero o insufficiente il
campione visibile macroscopicamente apparirà amorfo anche se al microscopio
24
saranno visibili alcune facce cristalline. In tal caso il cristallo cresce nello spazio libero
che trova andandosi ad uniformare ad esso piuttosto che svilupparsi in maniera
isomorfa come il sistema cristallino imporrebbe. I granuli d’oro spesso includono al
loro interno cristalli di quarzo e sono a loro volta inclusi in altri minerali quali solfuri
o il quarzo stesso (vena di quarzo aurifero). Si noti che con il trasporto in ambiente
subaereo determina nel tempo un cambiamento sia morfologico che chimico dei
cristalli d’oro, i quali essendo molto malleabili tenderanno ad avere morfologie
appiattite, ricurve, mammellonari.
La pepita “Blanch‐Barkly” (1743 once, 49.41 kg) è stata ritrovata a Kingower, Victoria
(Australia) e conteneva 2 libre (0,9 kg) di quarzo, argilla e ossidi di ferro. Questi sono
il prodotto di processi di alterazione molto invasivi e duraturi; il quarzo e l’oro
risultano pressoché immuni ad essi, se non in particolari condizioni ambientali. Nella
penisola di Oso, in Costa Rica, Berrange (1987) descrive l’oro sotto forma di pagliuzze
(minori di 0,5 mm di diametro) contenenti inclusioni di quarzo, visibili ad occhio
nudo. Lui notò la presenza di quarzo sia come “patina” superficiale che nell’interno
delle pagliuzze. Il quarzo in posizione inclusa è considerato singenetico, cioè
precipitato nello stesso momento dell’oro, inoltre sono state osservate anche
calcite, epidoto, pirite, silicati di ferro e magnesio, oltre a spinello e limonite,
quest’ultima formata durante il trasporto dell’oro. Le microinclusioni, anche se
spesso composte da quarzo, possono essere composte anche da minerali pesanti, ad
esempio ilmenite e corindone. Alcune di queste inclusioni potrebbero apparire
cristalline e riconoscibili morfologicamente attraverso un’analisi al microscopio
ottico. Esse offrono un’importante opportunità per ottenere un’idea della
provenienza dell’oro o nella descrizione speditiva dello stesso. Ogni deposito
aurifero primario tende ad avere proprietà uniche che alcune volte si ritrovano
parzialmente nell’oro estratto nei depositi auriferi secondari. In tal caso, l’oro
ritrovato nel deposito aurifero secondario deriva da quel specifico giacimento di
origine. Nel caso non vi sia corrispondenza potrebbe essere stato presente un
deposito aurifero primario nel passato ed ora eroso, piuttosto che un giacimento non
ancora scoperto, oppure un deposito al momento sepolto. Ai fini nella ricerca
mineraria, l’oro secondario, ritrovabile in contesti di depositi auriferi secondari
possiede potenzialità per la ricostruzione ed il ritrovamento fisico di depositi auriferi
primari, posti a monte.
Le microinclusioni e l’oro tendono ad essere correlabili all’ambiente di formazione
ed alle sue peculiarità. Alcuni esemplari di oro sono unici come abito cristallino, per
forma e dimensioni. L’oro tende ad essere grossolano quando depositato lungo
trame di vene quarzifere. In particolare, il contenuto di solfuri risulta in alcuni casi
misero ma non è la norma. Nel caso di oro finemente disperso e con una dimensione
fine, viene osservata una maggior percentuale di solfuri presenti. L’oro in un
25
contesto alluvionale varia in pochi chilometri dal luogo del rilascio la sua morfologia,
adattandola all’ambiente ed allo stress che esso impone. L’oro può rimanere
pizzicato tra le rocce e nelle fessure del substrato roccioso (bedrock) subendo,
durante eventi di piena, un rigoroso processo di malleazione e nel tempo di
alterazione chimica, perdendo per esempio l’argento dai livelli più esterni, località
più ravvicinate all’interfaccia di reazione acqua‐granulo. Essendo un metallo molto
malleabile tende ad appiattirsi piuttosto che suddividersi in porzioni sempre più fini
via via con il trasporto. Questo accade in linea di massima perchè possono esserci
controtendenze locali o legate a processi supergenici (figura 5).
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Irregolare, Irregolare, Appiattita,
Morfologia dei cristalli protuberanze arrotondata, Appiattita, Arrotondata,
granuli d'oro primari arrotondate ricristallizzato arrotondata spesso porosa
alle volte smussate, alcuni piegamenti,
preservati, cristalli primari deformazione ricristallizzazio
molte sono plastica ne,
cristalli
inclusioni ed preservati, spesso secondari
elementi in visibili cavità nel biogenici
metallo, principali ottaedrici sulla
lega inclusioni rimaste superficie
di quarzo
Effetto sui rims frequeni rims da porosi a compatti a
(livelli esterni) porosi compatti compatti compatti porosi
Abrasione moderata forte forte forte moderata
Dimensione
rappresentativa da ‐200 a ‐
(Mesh) 35 da ‐35 a +120 da ‐120 a +200 da ‐200 a ‐400 400
Sedimento
terrigeno clasti, ghiaie ciottoli, ghiaie,
correlato grossolane sabbie sabbie sabbie e limi limo e sabbie
Energia alta‐moderata alta‐moderata moderata moderata‐
dell'ambiente alta energia energia energia energia bassa energia
Metodi di sluicing/jiggin chimici e chimici e
processamento g/rocking meccanici e chimici meccanici e chimici meccanici meccanici
sluicing/jigging/tab
suggeriti panning ling/flottazione
Depositi Depositi auriferi
auriferi secondari a
secondari distanza
eluviali o
vicini alla variabile dalla
sorgente sorgente primaria
elevata
primaria minima distanza media distanza distanza molto elevata
N.5 Modello semplificato relativo alle caratteristiche morfologiche e chimiche di oro derivante da deposito aurifero
primario (deposito eluviale a deposito alluvionale). Si noti come le proprietà varino al variare della distanza e di
conseguenza i metodi di recovery o processamento adatti (Modifcato da Giusti, 1986) Note: il modello prende in
considerazione solo alcune morfologie aurifere: oro grossolano alla fonte.
L’agente esogeno (acqua, vento, ghiaccio, etc) che agisce sull’oro trasportato
generando una serie di variazioni morfologiche e chimiche. L’oro può mostrare
informazioni morfologiche, le quali sono una sommatoria dei processi esogeni subiti
nella fase di trasporto, tenendo conto che clcuni di essi potrebbero essere al
momento irriconoscibili a causa della loro obliterazione nel tempo. Alcune
microinclusioni possono venir alterate e rimosse piuttosto che frammentate nel
processo e quindi tali dati non sono saranno più ricavabili al momento del
ritrovamento. I livelli esterni tenderanno nel tempo in un ambiente superficiali
quindi a variare le proprie caratteristiche morfologiche, chimiche mentre le porzioni
centrali del granulo d’oro potranno conservare informazioni utili per quanto riguarda
27
la sorgente primaria (ad esempio la composizione chimica degli elementi in tracce).
L’oro nel trasporto viene appiattito, curvato, spezzato, tagliato, lobato oppure
allungato a formare filamenti. In alcuni casi sono riconoscibili diversi granuli o
pagliuzze d’oro “saldati” insieme, indice di processi supergenici di arricchimento
auriferi successivi (soluzione e precipitazione), piuttosto che legate alle forze di
attrazione debole (tabella 6). Questi processi epigenici possono avvenire sia in
contesti di deposito aurifero aurifero (supergenico in senso stretto) che secondario
(supergenico in senso lato).
Dimensioni
Origine dell'oro Tipologia di oro Morfologia dell'oro medie (Mesh) Note
Oro derivante angolare xenomorfico, allungato
dal substrato Hypogene equanto, segregazione laminare, 0.1‐200 grossolano
(deposito
aurifero cristalli epidiomorfi, crescite
roccioso primario) dendritiche
Supergenico spugnoso, articolato, superficie 0.1‐1000 fino a
Primario senso stretto aggrottata, escrescenza e 2000 o più granuli fini
proiezioni di forme irregolari, cristalli
ottaedrici ed intercrescite
Oro derivante da origine da piatto, precipitati, laminare allungato e 200‐500 granuli fini
da placer hypogene filiforme dominante dispersi o
2000‐3000 rare
e pepite agglomerati
da zone di equanto, spesse lamine con relitti di
Secondario ossidazione strutture spgnose raramente
strutture cristalline preservate
dendritico, corallinaceo, aggregati e precipitazione
Supergenico intercrescite di granuli delle taglie
simili di precipitazione superfice
ruvida. ultrafini
N.6 Morfologia e dimensione dell’oro rispetto la sua sorgente o origine (Modificato da Fedchuk et al., 1978).
Morfologia superficiale
Con tale termine si intendono le caratteristiche dinamiche e fisiche che sono
correlate ai processi elettrochimici, i quali controllano la genesi di patine primarie e
secondarie oltre che l’andamento stesso della superficie morfologica. Le patine
svolgono un ruolo utile nella protezione parziale o totale dalla lesione fisica esterna
ed alterazione chimica derivante dall’ambiente circostante, specialmente in
ambienti superficiali, o dal trasporto futuro. Le patine possono essere non solo
esterne ma essersi accresciute in fessure, fratture nel granulo e pagliuzza, sigillando
potenziali fratture future o giunture preferenziali di fratturazione, oppure agendo
nel senso opposto, aumentandone le dimensioni ed estensione. Nel caso siano
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parzialmente interne al granulo d’oro, possono essere corrodibili o meccanicamente
suscettibili, tanto da mostrare un carattere fragile nel tempo preferenziale. La
disposizione nello spazio fisico del granulo d’oro di localizzate zone di arricchimento
in elementi facilmente alterabili, microinclusioni, difetti reticolari e lacerazione,
fratturazioni genera preferenziali vie di alterazione chimica e suscettibilità
meccaniche che si potranno attivare nei giusti contesti. L’alterazione chimica gioca
un ruolo differenziale, infatti, in ambiente dove l’oro è stabile, potrebbero essere
instabili i minerali che esso contiene o che lo contengono. Se il minerale esterno è
stabile ad una certa condizione ambientale che l’oro non lo sarebbe funge da
“carapace protettivo”. Nel caso opposto le particolari condizioni esterne possono
alterare il minerale che contiene l’oro (ad esempio la pirite aurifera) e renderlo libero
(caso dell’oro ritrovato nei torrenti adiacenti a discariche minerarie di depositi
auriferi primari).
Ricapitolando, nel caso ideale la patina o minerale che ricopre interamente il granulo
e nel caso ci siano le condizioni particolari che l’oro passi in soluzione, esso non verrà
attaccato. Prima dovrà essere rimossa la patina protettiva fisicamente o
chimicamente per giungere ai minerali interni. Mentre i minerali inclusi cristallizzano
in tempi precedenti rispetto all’oro, in quanto l’oro li include, le patine si formano
successivamente. L’oro stesso potrebbe accrescersi in diversi episodi supergenici e
mostrare differenti contenuti minerali inclusi oppure bordi di crescita cristallina. Nel
caso estremo anche le patine che si sono formate tra i diversi step potrebbero venir
incluse dall’oro generato nei processi epigenetici. È fondamentale capire che tra i
dati ricavabili da casi reali e dalla teoria talvolta c’è un divario, infatti non tutti i
passaggi sono facilmente ricostruibili. Tutti questi dati citati sono fondamentali nella
ricostruzione dei processi giacimentologici, metallogenici e petrogenetici che
concernono il deposito o il distretto minerario preso in esame.
Come esempio dell’alterazione preferenziale di alcune patine o minerali, ci si rifà
all’esempio del contenuto di argento periferico, rispetto quello al nucleo.
Desborough (1970) analizzò alla microsonda granuli d’oro provenienti da 24 placer
presenti dagli Stati Uniti occidentali all’Alaska. Concluse che il basso contenuto
d’argento nei granuli nelle porzioni periferiche (rim) è legato all’apparente alta
solubilità e tendenza all’ossidazione preferenziale dell’argento presente nella lega
oro‐argento. Questa alterazione avviene maggiormente a bassa temperatura in un
ambiente di trasporto spesso ossidante e superficiale, tipico dei placer. La
deposizione del rim piuttosto che la sua genesi per alterazione parziale è ritenuta
anche una valida ipotesi ma meno accreditata. McDonald et al. (1990) esaminò i
meccanismi per la formazione dei rim auriferi, provenienti dalla Nuova Zelanda,
Australia, Alaska (tabella 7). I risultati da laboratorio suggeriscono che la formazione
dei rim stessi nei granuli con una percentuale di oro maggiore rispetto all’argento sia
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legata alla percentuale dell’argento stessa. L’alterazione chimica comporta una
diversa composizione finale, tipicamente a più alta purezza di oro (minore
percentuale di argento) tanto che il processo è pervasivo e temporalmente lungo. La
temperatura gioca un ruolo fondamentale, infatti ogni 10°C circa raddoppia la
velocità della reazione.
Numero del Localitù Composizione dei livelli al Composizione dei livelli
campione campionamento nucleo esterni
Au Ag Cu Tot Au Ag Cu Tot
1 Moliagul 95.6 2.91 0.03 98.5 98.5 0.37 0.00 98.9
2 Moliagul 96.1 3.41 0.02 99.5 99.8 0.59 0.02 100.4
3 Moliagul 94.4 3.29 0.00 97.7 96.5 0.68 0.00 97.2
4 Moliagul 94.9 3.42 0.03 98.3 98.3 0.31 0.00 98.6
5 Inglewood 90‐4 8.67 0.03 99.1 98.4 1.57 0.03 100.0
6 Inglewood 92.1 8.04 0.01 100.1 99.8 1.25 0.00 101.1
7 Majorca 94.6 3.77 0.00 98.4 96.1 3.69 0.00 99.8
8 Oberon 74.0 22.9 0.85 97.8 95.8 2.00 ‐ 99.2
9 Palmar R 85.3 10.8 0.11 96.2 97.9 0.04 0.00 97.9
10 Roc 96.8 2.09 ‐ 98.9 99.3 0.42 ‐ 99.7
11 Brighton terrace 90.7 5.43 0.00 96.1 93.2 3.76 0.41 97.4
12 Shemy River 90.3 6.13 0.62 97.1 93.6 0.11 0.29 94.9
13 Faith Creek 72.8 25.2 0.44 98.4 99.8 0.89 0.36 101.1
14 Faith Creek 72.6 23.9 0.16 96.7 97.2 1.25 0.45 98.9
15 Alaska 73.1 21.3 0.04 94.4 96.0 1.91 0.03 97.9
16 Alaska 88.4 9.05 ‐ 97.5 97.9 0.72 ‐ 98.6
17 Kaitura River 86.2 10.2 0.28 96.7 91.3 0.48 1.18 93.0
N.7 Composizione d’esempio per oro analizzato in porzioni prossime al nucleo dei granuli e marginali,
campionati nei pressi di depositi auriferi secondari. I numeri sono relativi alla percentuale in peso,
rispetto il totale (wt%). Note: la somma dei differenti elementi analizzati non sempre è 100% (caso
ideale) a causa di perdite di materia durante le analisi oppure per la non visualizzazione totale degli
elementi presenti e del loro peso, oltre che la sommatoria degli errori analitici. In presenza di “‐” si
intende l’assenza del valore o se la quantità è minore del limite visualizzabile dagli strumenti analitici. I
campioni analizzati provengono dal Canada, Australia, Nuova Zelanda (Macdonald et al., 1990).
Alcune patine possono generarsi nell’ambiente del placer, piuttosto che lungo il
tragitto fino ad esso. Alcuni di questi meccanismi sono stati osservati da Haslam et
al. (1990) per il caso di rim di platino su particelle di oro e da Leake et al. (1990) per
il palladio. Nell’esaminare la possibile utilità economica dell’arricchimento di oro
sulla superficie dei granuli di oro stesso, Bowles (1988) non trovò nessuna evidenza
che suggerisse la significatività dei rim dal punto di vista economico. Essi infatti
30
tendono ad essere con una maggiore purezza nei pressi del bordo‐granulo e
potrebbero essere fonte di estrazione, solo dal punto di vista ipotetico. Questo è
concorde con quanto disse Berrange (1987) e i suoi dati (relazione tra analisi chimica
dei granuli d’oro dal nucleo ai bordi). La purezza dei rim esterni è maggiore di quelli
interni ma non riflette un’importante variazione rispetto il contenuto di oro totale
del granulo medio. Nel caso invece della corrosione di alcuni elementi costituenti la
lega piuttosto che inclusi ed in contatto con l’ambiente esterno, la media dell’oro nel
granulo subisce una significativa variazione, tendendo il contenuto d’oro ad
aumentare passivamente. Si noti inoltre che il contenuto d’oro può aumentare
attivamente anche in depositi auriferi secondari attraverso processi supergenici
(bioaccumulo d’oro per esempio).
Le proprietà cristallografiche dell’oro cristallino
Di solito l’oro nativo cristallizzato si rinviene sotto forma cristallina di ottaedri più o
meno arrotondati, cubi, dodecaedri fino a 2 cm e oltre. Spesso i cristalli sono
allungati lungo la direzione [100] o [111], formando a volte geminazioni a osso‐
dendritiche. Si osserva anche sotto forma di facce triangolari e facce ottaedriche.
Raramente si rinvengono allungamenti sotto forma di filamenti [111]. Altre
morfologie osservate sono: dendritiche, arborescenti, filiformi, spugnose, massive e
granulari. Di seguito si analizzeranno alcune proprietà cristallografiche dell’oro:
Sistema cristallino: Isometrico;
Classe (H‐M): m3m (4/m 3 2/m) – Hexoctahedrale;
Gruppo spaziale Fm3m;
Parametri di cella: a = 4.0786 Å;
Volume di cella: V 67.85 ų;
Geminazione: è comune su (111) e genera geminazione a ginocchio.
31
N.8 Legenda degli abiti cristallini delineati:
a‐ Gold no.3 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Hauy 1823 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der Krystaliformen,
1913‐1923; località: Siedenburgen;
b‐ Gold no.1 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Hauy 1801 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der Krystaliformen,
1913‐1923;
c‐ Gold no.4 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Hauy 1823 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der Krystaliformen,
1913‐1923; Dufrenòy, 1856‐59. Località: Matto Grosso, Brasile;
d‐ Gold no.17 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Rose 1831 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der Krystaliformen,
1913‐1923; località: Katherinenburg, Siberia, Russia.
e‐ Gold no.46 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Kokscharow 1870 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der
Krystaliformen, 1913‐1923; località: Urali. Contatto di geminazione sulla [111].
f‐ Gold no.47 ‐ Goldschmidt (1913‐1926); Kokscharow 1870 et alii. V.M. Goldschmidt, Atlas der
Krystaliformen, 1913‐1923; località: Urali. Contatto di geminazione sulla [111].
Il ruolo dell’alterazione chimica e degradazione fisica
Avvengono preferenzialmente lungo discontinuità, piani di scorrimento, fratture o
piani identificati da difetti reticolari oppure nei pressi di microinclusioni o elementi
in lega suscettibili. Molte di questi potenziali volumi sono soggetti ad alterazione e
suscettibili all’azione degli agenti esogeni che trasportato l’oro per brevi o lunghi
tragitti (stress meccanici). L’effetto anodico che si sviluppa nelle fratture può essere
intenso a causa della natura variabile delle patine rispetto il granulo. In ambiente
superficiale ad alta energia, come ad esempio un ambiente fluviale, il quale svolge
un ruolo abrasivo, la genesi di fratture sono legate ai processi meccanici presenti,
infatti si generano dei micro‐crateri da impatto a causa della collisione tra le varie
particelle solide, pressate tra loro, ad esempio, lungo le embricature o nelle fratture
nel basamento roccioso. Fratture e strie possono risultare da un ambiente fluviale
ad alta energia e dall’attività glaciale. Il granulo non solo tenderà a deformarsi ma
32
anche a ridursi di dimensioni con il procedere di tali processi nel tempo. Porzioni
esterne alterate e corrose rendono esposte nuove superfici potenzialmente
corrodibili. Il processo può continuare diventando invadente piuttosto che
procedere con diversi stadi ad una precipitazione di oro o altri metalli sul granulo,
trasportati in soluzione dal fluido circostante. Si noti che l’alterazione chimica degli
elementi in lega lungo i livelli esterni dei granuli d’oro genera nel tempo un livello
esterno tipicamente arricchito in oro, il quale svolge anche il ruolo di “carapace”
all’alterazione chimica degli elementi suscettibili nei livelli più interni. La
deformazione del granulo stesso tende però a esporre diverse porzioni prima interne
in aree superficiali, quindi al momento in fase di alterazione chimica preferenziale.
Si sviluppano una serie di livelli esterni arricchiti passivamente in oro in più stati.
Giusti (1986) osservò nei suoi studi tre principali tipologie di oro, classificate dalla
loro morfologia. Gli studi sono relativi ai sedimenti auriferi del North Saskatchewan
e Athabasca Rivers, Alberta, Canada:
‐ oro primario, spesso visibile affiorante in pieghe nel granulo;
‐ oro secondario, relativo alla deposizione di nuovo oro nelle cavità libere del
granulo;
‐ oro secondario, relativo alla deformazione plastica ed alla ricristallizzazione interna.
I rims presenti su tutte e tre le categorie dei granuli hanno uno spessore che varia da
1 a 30 micrometri.
33
N.9 Dettaglio di un granulo d’oro posto su vetrino ed abraso fino a mostrare i differenti rim di cui è composto. Nel
granulo si denota la morfologia articolata e quattro principali porzioni: rim periferico (giallino), rim intermedio e rim
a nucleo (rossiccio). Nel caso invece si denoti che l’alterazione non è solo ubicata lungo i limiti esterni del nucleo, ciò
può essere sia legato ad un fenomeno di “agganciamento” tra granuli d’oro nell’ambiente alluvionale per formarne
uno unico, e quindi conservando parzialmente i rims precedenti. Iin ogni punto si otterranno diverse percentuali di
elementi chimici (analisi puntuale). Nella ipotesi il granulo sia agganciato ad un altro si potrebbero osservare due
valori analitici ai nuclei diversi. I granuli e pagliuzze d’oro possono variare la loro morfologia e composizione chimica
secondo alcuni modelli proposti e discussi in seguito denominati come modelli biotici (contributo dell’attività
batterica) ed abiotici (contributo principalmente di ambienti ad elevata energia). La figura rende l’idea di come un
singolo granulo d’oro possa essere composto da diverse porzioni di oro a composizione chimica differenti tenute
protette principalmente dal rim esterno ad alta purezza.
Alcune scuole di pensiero suggeriscono che la dissoluzione potrebbe essere in alcuni
casi di origine biochimica, in tale contesto le forme di vita batteriche sono
responsabili del biodissoluzione di oro e successivamente del bioaccumulo in altre
porzioni fisiche. La maggior parte dell’oro contenuto nei sedimenti terrazzati
piemontesi e lombardi è costituito, quanto a numero di presenze, da scagliette
piccole e sottili, denominate in inglese flakes. La loro forma e morfologia è molto
varia, da grossolanamente circa quadrangolare a circolare, ovale, stellata, raramente
allungata in forma di sottili pagliuzze. I bordi possono essere regolari o perlopiù
molto frastagliati, arrotondati o smussati, spesso con ripiegamenti più o meno
sviluppati ed evidenti, specialmente nelle porzioni più esterne delle pagliuzze
appiattite. Talora il ripiegamento riguarda gran parte o tutta la pagliuzza, generando
forme a sandwich o chips ed in qualche caso può essere anche multistadiale, cioè
ripetuto più volte in tempi differenti. Queste pagliuzze in sezione mostreranno il
proprio nucleo originale piegato ma nel caso ideale sarà continuativo nello spazio,
indicando che la pagliuzza ripiegata stessa è costituita da un solo elemento iniziale.
Le dimensioni variano da microscopiche a pluricentimetriche, con prevalenza di
34
polvere minuta, denominata in inglese flour gold, color. Sono presenti anche
elementi con diametro o massimo allungamento minore di 0.5 mm. Discretamente
abbondanti sono gli elementi con dimensioni variabili da 0.5 a 1 mm, frequenti i
granuli e pagliuzze d’oro con dimensioni da 1 a 2 millimetri, rare quelle maggiori,
denominate in gergo “vele”, a causa del loro effetto idrodinamico particolare in
contesti di ricerca fluviale, infatti esse tendono a non essere trattenute facilmente
dai sistemi di canalizzazione convensionali. Inoltre, le “vele” tendono a viaggiare
maggiormente durante episodi di piena lungo il percorso fluviale. A occhio nudo la
superficie delle pagliuzze appare liscia, ma al microscopio risulta essere perlopiù
bulbosa, martellata, talora con evidenti striature. Il ricoroscimento delle
caratteristiche morfologiche al microscopio ottico fornisce al prospettore alcune
indicazioni sia sui processi principali che ha subito il granulo o pagliuzza d’oro. Data
l’estrema duttilità del metallo e le inevitabili abrasioni dovute al trasporto, le
scagliette sono molto sottili in ambiente alluvionale, con spessore molto variabile,
da pochi micron a meno di un millimetro. Ciò determina una variabilità di peso
importante e, dato l’elevato peso specifico (16‐19 a seconda della purezza),
scagliette delle stesse dimensioni possono evidenziare pesi notevolmente differenti
per minime variazioni dello spessore, pur mantenendosi generalmente molto bassi.
Le scaglie con spessore maggiore cominciano ad assumere consistenza
granulometrica e, quindi, pesi assoluti di un certo rilievo (Pipino1).
35
N.10 Esempio di variazione della morfologia dei granuli d’oro con il progressivo trasporto. Il modello è semplificato
rispetto la realtà in quanto ogni agente esogeno tende ad obliterare i caratteri morfologici precedenti e imprimerne
di nuovi. Nel caso si evidenziano alcuni casi specifici della progressiva variazione morfologica in ambiente alluvionale.
La lettura si svolge da sinistra verso destra (senso delle frecce gialle), le lettere nei box indicano i vari stadi:
1‐ Oro cristallino nativo, morfologia ben conservata (emissione in ambiente alluvionale per frantumazione
roccia madre o conservazione semplice;
2a, 2b‐ Appiattimento generalizzato ma ancora visibili caratteri derivanti dallo stadio 1;
3‐ Appiattimento con obliterazione pressochè totale della morfologia originaria e imprinting dei nuovi caratteri
morfologici;
4a, 4b‐ Le pagliuzze possono venire piegate a causa degli stress imposti nell’ambiente alluvionale, specialmente
se rimesse in circolo durante piene eccezionali;
5‐ Concentrazione localizzata di innumerevoli pagliuzze che con la distanza tendono a diventare più fini, in un
agglomerato aurifero nuovo, di dimensioni anche cospicue (pepite) per processi abiotici ad alta energia. I
processi di concentrazione e genesi in questo caso sono discussi e variabili:
‐ Genesi gravitativa: a seguito di concentrazione localizzata per via della gravità e dei massi
(concentrazione per mezzo di vortici) lungo il letto fluviale, preferenzialmente nelle embricature. Le
particelle vengono a contatto e via via l’agglomerato aumenta di dimensioni. I clasti formanti le
embricature fluviali potrebbero durante le piene collidere tra di loro e quindi schiacciare insieme
diversi individui d’oro presenti tra un ciottolo e l’altro. Ciò si pensa possa aiutare notevolmente
“saldando” diversi granuli e pagliuzze d’oro insieme per formare pochi individui ma di dimensioni
maggiori.
‐ Genesi per fluidi a bassa temperatura: a seguito di formazione di un suolo in posizioni adiacenti e
venuta in contatto con fluidi organici percolanti, l’oro può dissolversi e spostarsi in soluzione per poi
precipitare successivamente su agglomerati presistenti o formarne di nuovi (detto modello biotico).
L’estrazione dell’oro fine
Per i minatori antichi e durante le prime corse all’oro, il metallo prezioso non era
facilmente recuperabile nelle operazioni di lavaggio utilizzate all’epoca. Veniva
perlopiù tralasciato e scartato. L’oro al di sotto dei 200 micrometri di diametro è
difficilmente estraibile senza un processamento chimico adeguato. Nella tipologia di
36
processamento moderna denominata “jigging” sono recuperabili taglie d’oro anche
inferiori a 150 micrometri (Nio, 1988) ed alcune schede tecniche sottolineano come
i 100 micrometri dovrebbero essere considerati come limite, sotto al quale, al
momento, non è economicamente valido il processamento, nemmeno con tali
macchinari. In laboratorio si riesce a suddividere l’oro dal sedimento circostante fino
alla taglia circa di 38 micrometri. Queste particelle di oro sono talmente fini che il
loro comportamento idraulico è differente., ad esempio, tendono ad aggregarsi tra
loro, oltre che risultare idrofobe e galleggiare facilmente. Le particelle idrofobe sono
di difficoltosa estrazione negli impianti convenzionali gravitativi o anche quelli
specializzati al momento. La tensione superficiale è tale da permettere il
galleggiamento in alcune occasioni, l’oro non verrà recuperato nelle canalette e
quindi verrà semplicemente scartato. Alcuni accorgimenti vengono eseguiti nella
recovery sel sedimento processato, ad esempio, alle volte esso viene considerato
ibrido in quanto vengono aggiunte alcune sostanze chimiche per diminuire la
tensione superficiale e permettere a tale oro di essere intrappolato, oppure lungo i
riffles viene aggiunto mercurio per trattenere meglio le particelle fini.
Stime composizionali visuali dell’oro
Il prospettore amatoriale ha a disposizione innumerevoli strumenti per la
comprensione morfologica e chimica dei granuli e pagliuzze d’oro trovati durante le
attività di ricerca sul campo. La morfologia può essere già apprezzata ad un
ingrandimento da 10X (tipica lente di ingrandimento). Ulteriori gradi di
ingrandimento con un range variabile dai 20X ai 80X possono essere raggiunti
attraverso l’utilizzo di stereo microscopi ottici. L’osservazione della morfologia
dell’oro fornisce all’operatore una indicazione importante della possibile distanza
del campione rinvenuto dalla sua sorgente. I colori osservabili, inoltre, possono
fornire una prima stima della composizione della lega, considerando però solo i primi
tre termini indicati: oro, argento e rame. Il diagramma ternario (N.11) aiuta il
prospettore a stimare in percentuale il contenuto dei diversi elementi chimici in lega
dalla colorazione dei granuli e pagliuzze d’oro. Bisogna però tenere ben conto dei
seguenti limiti:
37
N. 11 Diagramma ternario oro‐argento‐rame. Ai relativi vertici vi è il 100% di tale elemento chimico considerato e via
via allontanandosi lungo i cateti esso diminuisce mentre aumentano le percentuali degli altri elementi chimici.
38
Oro e storia
Introduzione
Nell’evoluzione scientifica a livello mondiale che ha portato allo stato tecnologico
attuale, è da notare quanti concetti siano stati introdotti da filosofi del passato. Nel
corso della storia, molte sono state le persone che si sono poste interrogativi
riguardo l’universo ed i suoi meccanismi. Gli antichi greci furono tra i primi ad
investigare l’evoluzione e la struttura terrestre. Successivamente furono i romani ad
organizzare distretti minerari in cui si estraevano i metalli preziosi, tra cui l’oro,
partendo da concetti primitivi di prospezione mineraria fino ad arrivare a complessi
sistemi di sfruttamento, sia dei depositi primari che secondari.
Gli scienziati asiatici furono in molteplici occasioni, più inventivi ed avanzati, rispetto
al livello tecnologico antico. Sicuramente la distanza fisica dai principali centri di
espansione scientifica dell’epoca imposero severe difficoltà alla condivisione di idee
e strumenti, colmate solo in tempi più moderni dalla globalizzazione. Significanti
scoperte vennero eseguite da scienziati cinesi, secoli prima rispetto i popoli europei.
Importanti osservazioni in fisica, matematica e medicina furono eseguite in Cina ed
India. Storicamente non vi furono limiti legati al colore della pelle, piuttosto che alla
religione praticante e dominante del momento. Queste ultime spesso furono in
contrasto con gli avanzamenti scientifici, a volte addirittura sopprimendoli con
diverse forme di censura o deformazione, altre invece li sostennero e finanziarono.
Alcuni concetti si evolsero in tempi successivi e vennero ripresi più volte da diversi
scienziati, questo processo è inevitabile, perché una opinione che diventi una ipotesi
necessita di prove riproducibili in situazioni controllate (esperimenti). Si sottolinea
inoltre come alcuni rami delle scienze fossero più in auge di altri per motivi economici
e quindi gli studiosi avevano il modo di approfondire le conoscenze purché utili ad
un particolare settore. Le scienze geologiche stesse nacquero nell’approfondimento
dello studio del territorio per la messa in opera di grandi costruzioni belliche e civili
e nello sviluppo della coltivazione delle risorse minerarie.
Lo studio del passato è inoltre importante per comprendere il presente, infatti nel
settore della ricerca aurifera è di primaria importanza l’ubicazione e la valutazione
qualitative e quantitativa delle risorse passate utilizzate ed estratte e quelle ancora
disponibili. È impossibile che un deposito si esaurisca completamente, infatti esisterà
sempre l’ennesima particella di oro non ancora estratta. Piuttosto quello che varia
nel tempo è il valore che l’uomo conferisce alla materia prima analizzata e gli
strumenti con i quali possa estrarla. Ecco che le innovazioni nelle conoscenze
giacimentologiche e tecnologiche possono rendere i depositi classificati come
39
esauriti di nuovo in esplorazione con metodi più moderni e vantaggiosi
economicamente. Gli stessi strumenti e la loro ottimizzazione sono una barriera nel
poter sfruttare un giacimento o meno. Una visuale riassuntiva della storia mondiale
riguardo l’umanità, è necessaria per comprendere l’evoluzione dell’idea che l’uomo
pone dell’oro. Questo metallo prezioso ha ricoperto diversi ruoli durante la storia
umana. In un primo momento fu utilizzato nella religiosità, quale metallo apprezzato
per la sua lucentezza e riflettanza elevata. Rispetto ad altri metalli è anche facilmente
malleabile per farne adornamenti. Proseguendo, l’uomo ha conferito all’oro il
significato di ricchezza: il conio di monete d’oro non solo valutava in un sistema
quantitativo gli averi ed il loro valore, ma era un mezzo avanzato rispetto la forma
antica di commercio del baratto. Di nuovo l’elevata malleabilità rese questo metallo
prezioso facilmente lavorabile. Continuò intanto l’utilizzo del settore decorativo e
religioso, tendendo a sovraimporsi come dominante. Successivamente al
Rinascimento, l’oro si impose sempre più nell’utilizzo industriale nell’elettronica e
nel settore aerospaziale. Al momento attuale, l’oro sotto forma di conio ha un valore
di bene rifugio. Le monete d’oro sono state sostituite dal denaro cartaceo e le
monete stesse sono fatte da metalli meno nobili. Il metallo giallo è custodito come
fonte di ricchezza e venduto in momenti propizi sul mercato al valore maggiore. Le
banche conservano una buona fetta dell’oro estratto fino ai giorni nostri nei più
controllati caveaux. Il futuro è ricco di spunti del resto, l’industria mineraria è in
espansione nel settore aurifero mondiale, anche se alcuni stimano che il picco
decrescente è imminente.
Preistoria, uomo ed oro
La popolazione umana, dall’Età della Pietra, iniziò a personalizzare i propri strumenti
ed armi con materiali naturali, circa 10000 anni fa, quando il riscaldamento
atmosferico, corrispondente alla fine dell’ultima era glaciale maggiore, fuse le
principali calotte ed apparvero le prime importanti concentrazioni aurifere
secondarie (placers). L’uomo preistorico, nelle sue campagne di caccia, si pensi alla
renna ad esempio, iniziò a migrare sia per motivi legati alle variazioni del clima,
ricercando quelle più favorevoli, sia per motivi legati alla migrazione dalle specie
cacciate. I principali nuclei di popolazione erano ubicati all’epoca in Africa, Asia ed
America. Gli utensili tipici dell’Età della Pietra, furono in poco tempo sostituiti da
strumenti più ottimizzati, composti in metalli nativi (principalmente rame e ferro), i
quali potevano essere malleati facilmente con strumenti artigianali per forgiare la
forma desiderata. L’oro era probabilmente già utilizzato come ornamento per le sue
caratteristiche, specialmente per il colore brillante, unico nel suo genere. Alcune
pepite sono state trovate in periodi poco più recenti (Smirnov, 1962), come
controprova della importanza già crescente dell’oro all’epoca. La prima evidenza di
fabbricazione a grande scala, utilizzando l’oro come componente primario è
40
testimoniata dalle scoperte archeologiche, le quali evidenziarono come strumenti
votivi artistici e gioielleria erano già utilizzati nella civiltà sumera (3000 B.C, Ur,
Mesopotamia). Dal 1200 B.C, la civiltà Chavin in Perù iniziò a fabbricare ornamenti
d’oro ed altri manufatti.
L’influenza sumera e le civiltà antiche
Le prime civiltà antiche, Sumeria e Babilonia, furono fondate tra i fiumi gemelli Tigri
ed Eufrate nella porzione inferiore della Mesopotamia a circa 4500 B.C. La pratica
dell’ingegneria era diretta inizialmente alla ottimizzazione delle invenzioni nel
settore agrario (Vargos & Gallegos, 1992). Le civiltà cinesi e indiane potrebbero
essersi sviluppate nello stesso periodo ma sono presenti solo flebili legami nella
storia a causa della distanza che ne creava un problema quasi insormontabile.
Questo fattore influenzò moltissimo gli avanzamenti tecnologici ma vi sono prove
che alcuni legami furono sviluppati nella civiltà sumera, rintracciabili nelle nuove
introduzioni agrarie. Le principali scoperte rivoluzionarie da parte del popolo sumero
inclusero la scoperta della ruota, la fabbricazione dei mattoni cotti e di aratri
primitivi. Inventando una prima forma di scrittura (pittografica con fino a 2000
simboli), introdussero il primo termine di conservazione delle informazioni che non
sia orale nella storia umana. Tra i 1900 e i 1800 B.C, i matematici mesopotamici
furono vicini alla scoperta del teorema, chiamato in futuro “Teorema di Pitagora”
(Pythagoras 580 B.C). Le tavole di moltiplicazione apparsero in Mesopotamia intorno
al 1750 B.C – 1600 B.C. Lo sviluppo ingegneristico ebbe una profonda influenza nello
sviluppo della tecnologia legata al processamento del sedimento aurifero. L’oro era
fuso in Egitto e Sumeria già intorno al 3500 B.C e 2500 B.C. Un’ulteriore passo si ebbe
a Ur, in Mesopotamia, dove l’oro veniva schiacciato per farne dei fogli molto sottili,
utilizzati successivamente per ricoprire oggetti votivi. La comprensione dei principi
idraulici rese possibile la costruzione di canali anche di lunga distanza, e il design dei
meccanismi di controllo e canalizzazione dell’acqua ottimizzarono via via l’ingegneria
correlata. Ad esempio, la cottura per l’irrobustimento dei mattoni, donò una
maggiore sicurezza e fattibilità all’utilizzo nei cantieri minerari e nell’edilizia civile.
Questo avanzamento è testimoniato dalla costruzione della zigurrat di Ur
(Mesopotamia), la quale è alta ben 12 metri. Intorno al 2000 B.C la precoce civiltà
Minoaca di Creta, divenne un centro fiorente, inferiore solo all’Egitto. Anche se le
risorse presenti sull’isola erano insufficienti, i minoici furono ottimi manifatturieri in
oggetti d’oro, con competenze avanzate sia per quanto concerne la fabbricazione
che il fattore artistico. Si pensa che la principale causa della devastazione dell’isola
di Creta fu l’eruzione vulcano Santorini (1645 +/‐ 1628 B.C). Dopo la ricostruzione, la
civiltà rifiorì in contemporanea con l‘isola gemella Thera. Una successiva eruzione
41
intorno al 1450 B.C è accreditata come la fine della civiltà minoica, l’apertura del Mar
Rosso e l’inabissamento dell’isola di Thera, conosciuta in tradizione come Atlantide.
L’avvento dell’Egitto: oro e religione
La popolazione del Nilo, comunemente conosciuta come egiziana, era composta da
una percentuale di metallurgisti molto competenti al tempo e l’Egitto fu
probabilmente una delle prime grandi potenze a contribuire all’oro presente sul
mercato mondiale dell’epoca. L’estrazione fu condotta in due principali aree. Una di
queste era ubicata lungo 2000 km di terrazzi auriferi del Nilo tra Luxor e Kartoum. I
metodi di processamento variavano da semplici a complessi. Si articolavano dalla
raccolta manuale dei granuli e piccole pepite di oro visibili (hand picking) fino
all’utilizzo di batee artigianali primitive in legno. Alcuni strumenti più avanzati
vedevano all’opera sluice artigianali composte da velli ovini, utilizzati come fondo
per trattenere le particelle aurifere più fini. L’attrito imposto dal pelo del vello,
utilizzato in “contropelo”, aiutava a trattenere l’oro che veniva dilavato dal
sedimento processato, con l’ausilio di acqua. Veniva successivamente lavato oppure
bruciato per recuperare il concentrato aurifero. Il grande passo avanti fu
l’interessamento all’oro di dimensioni minori (oro fine) rispetto alle dimensioni
tipiche delle pepite. Alcuni placer sono infatti ricchi di particolari taglie
granulometriche ma il problema principale risulta il metodo di processamento per
l’estrazione (problema ancora oggi aperto per quanto riguarda le taglie fini‐ultrafini
con metodi gravitativi, risolto in parte nei processamenti chimici). Il secondo
deposito principale era primario e consisteva in vene a quarzo aurifere, ubicate in
vecchi scisti e formazioni di rocce cristalline situate tra il Nilo e il Mar Rosso. Questi
depositi furono apparentemente esplorati intorno al 1250 B.C. Le tecniche di
processamento erano già descritte nei monumenti egizi, datati a circa 900 B.C. e sulle
pitture murali della ventesima dinastia, 200 B.C. Le tombe egizie antiche evidenziano
anche come l’oro venisse pesato con le bilance dell’epoca (figura semplificata 11).
L’estrazione aurifera su grande scala è anche documentata in Africa, India e la
porzione S della Russia. I fiumi della Turchia occidentale e i fiumi delle montagne
dell’Afghanistan erano detti esser ricchi di oro. Nel 2000 B.C, il commercio dell’oro
ebbe un picco nel mondo conosciuto dell’epoca. I miceni si stabilirono in Grecia,
attraverso gli altopiani anatolici (turchi) e fenici, supposti essere discendenti dei
Shem, figli di Noè. Questi popoli erano grandi navigatori e commercianti. Strabo (63
BC ‐ AD 24) viaggiò ampiamente nella sua vita, collezionando le informazioni nel suo
libro di viaggio chiamato “Geografia” (pubblicato intorno al 7 B.C), il quale comprese
diverse informazioni, tra le quali l’utilizzo in alcune aree di estrazione aurifera di
strumenti avanzati. Si riferì ad un primo metodo di sluicing (lavaggio del materiale
42
aurifero per mezzo di una sluice o canaletta), attribuito ai minatori di Saones, nelle
montagne Vooges. I principali fondali torrentizi erano coltivati in periodi di secca,
mentre i terrazzi in periodi umidi. Il metodo era già ampiamente conosciuto nella
regione Bosporous nel primo millennio B.C quando il processo si avvalse di altre
risorse simili all’attuale miner moss: velli ovini e caprini, radici o fibre fittamente
intrecciate. Le sabbie aurifere setacciate erano processate sopra tali strumenti, il cui
fondo era ricoperto dal metodo di recovery preferito. Poi venivano introdotte
quantità di acqua variabili che dilavavano le particelle leggere e quelle pesanti al
fondo venivano concentrate nel tempo, sotto forma di concentrato. Si sottolinea
inoltre che spesso era lo stesso canale naturale ad essere riutilizzato come sistema
di recovery, sistema poi utilizzato anche dai romani sotto forma di canali artificiali,
ma impostati secondo lo stesso principio. La leggenda del “vello d’oro” nasce dalla
storia di Jason nel “Argonauti”, i quali protagonisti ricercano durante la storia il
famoso oggetto ricco di oro, raffigurato spesso come composto addirittura di oro.
Facilmente si trattava di un tappetino arricchito a tal punto da risultare in una
leggenda. Le maggiori nazioni dell’era egiziana erano parte di un grande mercato
mediterraneo, fiorente grazie ai rapidi spostamenti per mezzo di imbarcazioni.
Infatti, buona parte dell’economia internazionale era fondata sul trasporto
marittimo, rapido e con ampi volumi di merci, rispetto a quello stradale. Le strade
anche se presenti erano disagevoli, spesso in pessime condizioni e legate fortemente
al clima e alle sue variazioni. Le montagne erano un ostacolo importante ai viaggi
commerciali, risultando spesso in guerre o schermaglie per il possesso di tali vie
commerciali, quando presenti. Le società antiche più che estrarre oro erano
implicate nel commercio dello stesso dal materiale grezzo rispetto a quello elaborato
(gioielli, icone sacre, vesti, rivestimenti, etc). La risorsa aurifera principale appare
essere primariamente ubicata in Egitto, anche se vene a quarzo aurifere furono
ritrovate a Krissites in Grecia, dove svolsero un importante ruolo nella economia
greca. Con lo sviluppo delle principali vie commerciali, l’oro iniziò a viaggiare ed
essere importato anche dalla Spagna, Africa e SE Asia. È qui che l’oro divenne un
mezzo di conversione del valore degli oggetti. Il baratto fino a quel punto utilizzato
in gran parte nelle trattative commerciali, fu pian piano sostituito dall’utilizzo di un
bene comunemente riconosciuto come prezioso e tramite del valore: l’oro. Il
medesimo concetto fu utilizzato con l’argento, il bronzo, l’ottone fino al ferro. Il
numero richiesto del conio aumentò nella storia umana per una maggiore domanda,
proporzionale alla popolazione in aumento.
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N. 11 Copia di un antico disegno, ritrovato su una tomba egizia. Si osservano degli uomini utilizzare una bilancia per
pesare l’oro (modificato Nolan, 1980).
Il passo successivo, avvenuto in tempi moderni, è stato dare un valore nominale al
conio invece che intrinseco. La banconota di carta ha un valore dichiarato ma non
intrinseco. Il valore è legato al mercato mondiale dell’oro, conservato nelle principali
banche mondiali. Tornando al discorso delle civiltà antiche, l’oro prima utilizzato
come ornamento e simbolo di ricchezza religiosa ed artistica diviene anche simbolo
monetario e di valore. Acquisisce quindi un nuovo campo di applicazione: il
commercio. Perché sia stato proprio l’oro piuttosto che altri metalli ad ottemperare
a tale ruolo rimane un mistero, diversi fattori hanno contribuito a tale evoluzione
storica, prima di tutti, l’utilizzo sempre maggiore dello stesso nei commerci. L’unità
di misura di riferimento era lo Shekel, corrispondente a 11.3 g di oro. Intorno al 1500
B.C, lo storico greco, Herodous (484+/‐424 B.C), spesso chiamato “padre della storia”
disse che Croesus, l’ultimo re della Lydia (W Turchia) in Mesopotamia, fissò il valore
dell’oro e dell’argento producendo le monete con una proporzione di 10 parti di
argento ed una di oro. Croesus fu famoso per la sua ricchezza (“ricco come Croesus”)
ed era anche un devoto dell’oracolo di Delphi.
Svolte scientifiche nell’antichità, il mondo ellenico
Nell’età antica, gli avanzamenti scientifici si svilupparono tendenzialmente a “balzi”.
Lo scienziato era multidisciplinare e spesso non solo in materie scientifiche ma anche
in rami della psicologia, religiosità e spiritualità. La conoscenza veniva tramandata in
piccole scuole da un maestro verso i suoi studenti. Ogni scuola poi era incline verso
una visione delle materie trattate, spesso la medesima del maestro. Alcuni studenti
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a loro volta erano inclini a continuare gli studi del maestro nella medesima scuola
oppure variare del tutto le teorie apprese verso frontiere differenti. Seguendo un
sistematico e formalizzato approccio agli studi, nell’ambiente matematico e fisico
iniziò una fioritura scientifica in Grecia nel sesto secolo B.C, quando i primi filosofi
ionici, Talete, Anassimandro e Anaximene videro nella natura alcuni principi naturali.
Talete (640+/‐546 B.C) era un cittadino di Miletus che considerò che le domande
relative alla natura del mondo non potessero essere spiegate con le teorie religiose.
Era restio a concepire che gli dei potessero governare il mondo conosciuto e i suoi
meccanismi naturali, differentemente dal pensiero generale dell’epoca. Per
esempio, i tuoni e i fulmini erano dovuti a fenomeni naturali e non alla rabbia di Zeus.
Come astronomo, Talete fu probabilmente tra i primi a determinare con precisione
solstizi ed equinozi, e la creazione del suo modello della Terra era basato sulle
osservazioni naturali. Talete è conosciuto come il primo autore di una carta
geografica ma non riuscì mai del tutto a sbarazzarsi delle antiche speculazioni e
tradizioni. Una difficoltà fu la spiegazione delle relazioni tra acqua ed aria. Secondo
l’autore, i sismi erano onde formate dal disturbo delle acque, un grande fiume che
circolava sulla superficie terrestre, il quale dava origine anche alle nubi ed era fonte
del loro movimento e circolazione. Anassimandro (610+/‐546 B.C), un pupillo di
Talete, condivise le sue teorie ma presto evidenziò una più sofisticata visione
personale del cosmo. Postulò l’esistenza dell’Apeiron (the boundless), il quale non
ha avuto un inizio e non avrà una fine ed i suoi principi base possono essere
paragonati al moderno “etere”. Per Anassimandro, l’Apeiron è sempre in moto, una
volta create qualità quali, caldo e freddo, umido e secco, luce ed oscurità iniziarono
a interagire tra di loro. Lo stesso autore sottolineò che la terra è finita in dimensione
e limitata nell’arco del tempo. Anassimandro propose anche una teoria
rivoluzionaria, sviluppata molto prima dell’avvento di Darwin, ragionando che le
precoci forme di vita, nate ed evolute sulla madre Terra primordiale, derivarono da
parenti anfibi. Le prime creature vissero nei mari, protette dalle loro conchiglie e
presto le forme di vita si espansero sulla terra ferma, mutando le loro qualità,
ottimizzandosi allo scopo di sopravvivere. Purtroppo, Anassimandro non raggiunse
un livello tale di comprensione da capire che i processi geologici attivi o avvenuti
sulla Terra, potessero avvenire in maniera simile nell’universo in senso lato.
Anaximene (570±500 BC) fu un pupillo a sua volta di Anassimandro ed ampliò la
concezione del maestro a proposito dell’universo e dei meccanismi terrestri.
Pitagora (570±490 BC) è conosciuto per la formulazione del teorema di Pitagora ma
è ora risaputo che abbia copiato l’idea dai testi babilonesi scritti nel “Millenium”.
Nonostante ciò, lui o piuttosto un suo studente scoprì le relazioni tra la lunghezza di
un filamento e le note musicali che produce a conseguenza delle vibrazioni imposte.
La sostanza con la quale è costituito il filo non cambia la nota musicale, bensì è la
lunghezza del filamento ad essere correlata. Le lunghezze in un rapporto di 2:1
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producono un’ottava, 3:2 una quinta, 4:3 una quarta e così procedendo. Questa
scoperta, fondamentale per il mondo musicale, aprì un’accesa discussione che sfociò
nell’evidenziare delle relazioni matematiche, applicabili all’universo ed ai suoi
meccanismi. Erodoto (484±425 BC) fu tra i primi grandi filosofi a riconoscere gli
effetti dei cambiamenti climatici e dei cambiamenti tettonici o tellurici. Egli
comprese che le terre alla foce del fiume Nilo si formarono grazie alle sabbie e fanghi
depositati dal fiume e proclamò l’Egitto come “il dono del Nilo”. Dalle osservazioni
delle conchiglie, ritrovabili sulle colline in Egitto, lui concluse che un tempo tali aree
dovevano essere coperte dal mare. Socrate (469±399 BC) disse che la vera
conoscenza emerge attraverso il dialogo e la sistematica domanda e curiosità.
Bisogna quindi tralasciare quei rami della conoscenza che si basano sul concetto
opposto: i dogmi. Ippocrate di Cos (460±370 BC) è colui al quale è attribuito il
“Hippocratic Oath” e Alcmaeon, fu colui il quale scoprì il nervo ottico ed altri fisici del
tempo, preponderarono l’importanza del rapporto paziente‐dottore e che la
moderazione nel mangiare e bere è salutare. Empedocle, nel 400 BC, pensò che le
profondità della Terra sono composte da liquidi caldi, dai quali tutte le strutture
terrestri derivano. Teofrasto, un pupillo di Empedocle, scrisse un piccolo testo sulle
rocce, nel quale elencò tutte le rocce e minerali conosciuti al tempo. Aristotele
(384+/‐322 B.C) lavorò in molti campi, tra i quali logica, fisica, astronomia,
meteorologia, biologia, psicologia, etica, politica e letteratura. La sua teoria
principale era che la struttura terrestre è in continuo mutamento. Lui notò che i fiumi
a seguito di piene di grande portata possono mutare in maniera considerevole il
proprio percorso e tipologia di sedimentazione.
All’avvento della teologia cristiana, molte delle idee di Socrate e Aristotele vennero
assorbite. Le stesse idee di Platone influenzarono in maniera considerevole la
nascente religione. Platone era un pupillo di Socrate ma la sua filosofia era
generalmente non coerente con la conoscenza empirica imposta dal maestro. Quindi
dopo un periodo di generale innovazione e scoperte scientifiche, ci fu un primo
grande rallentamento scientifico a favore della religione, della teologia e del
misticismo.
La libertà di pensiero e di parola fu via via resa sempre più difficoltosa e
compromessa man mano che la religione cristiana prendeva piede nel mondo
conosciuto, imponendo la sua visione del mondo. Il pensiero dominante del tempo
venne a tratti spinto verso la razionalità a grandi salti scientifici, e a volte verso la
religiosità e spiritualità. Dal 146 BC la Grecia venne conquistata da Roma e le sue
scoperte assimilate, ampliate ed in alcuni casi soppresse. Dall’avvento della
religiosità in avanti, le scoperte scientifiche avvennero con grandi sacrifici e difficoltà,
a volte addirittura nel segreto.
46
Roma: guerre e prospezioni minerarie
Roma divenne la nazione dominante del mondo conosciuto occidentale intorno al
200 BC come risultato della conquista della Macedonia, Tracia, Spagna, Francia ed
Egitto. Una vasta serie di giacimenti minerari passarono in loro dominio lungo la
storia di conquista. Essi erano una grande fonte di ricchezza e spesso obiettivo delle
conquiste stesse. Le classi patrizie ed in generale le famiglie ricche iniziarono ad
adornare le loro abitazioni, abbigliamenti e decorazioni di oggetti preziosi dal punto
di vista artistico utilizzando metalli preziosi. L’oro prese il sopravvento in oggetti di
decoro sia legati all’abbigliamento che all’abitazione, principalmente come leghe in
oro e argento. Gli orafi più bravi dell’epoca erano greci e in particolari provenienti da
Alessandria ed Antiochia. L’oro e l’argento erano inoltre metalli preziosi
fondamentali per lo sviluppo di opere civili e per sovvenzionare importanti e costose
campagne militari. Strabo (63 BC±AD 24), viaggiò a lungo nella sua vita e pensò che
il sollevamento ed inabissamento delle terre fosse legato alle eruzioni vulcaniche e
terremoti. Nel 60 AD, il filosofo Lucio Annea Seneca scrisse “quastiones naturales”,
tale opera racchiuse molte informazioni ed osservazioni per quanto concerne i sismi,
i vulcani e la superficie delle acque sotterranee. Il trentasettesimo volume delle
Historia Naturalis di Plinio il Vecchio (AD 23+/‐79) incluse tutta la conoscenza romana
dell’epoca a proposito di rocce, minerali e fossili. Il primo degli imperatori romani,
Augusto (63 BC+/‐ AD 14) stabilì la valuta aurifera di base conosciuta come “aureus”.
Importante tra queste riforme, il servizio militare diventò un mestiere e come tale
con doveri e benefici, oltre che uno stipendio. Tale sviluppo è notevole perchè portò
con sé l’avvento della prospezione mineraria, infatti gli ingegneri romani erano
inseriti nelle principali campagne militari e seguivano le legioni, in modo tale che
queste li proteggessero nel caso di prospezioni in luoghi pericolosi ed ostili. Gli stessi
obiettivi di conquista militare tendevano ad avere un valore critico per diverse
ragioni per l’impero, quale un giacimento aurifero di grandi dimensioni per esempio.
Gli stessi ingegneri erano fondamentali nell’allestimento di opere difensive e di
aggressione, quindi le loro conoscenze erano sviluppate in diversi campi ed erano
considerati una risorsa critica nelle operazioni per le loro conoscenze. Plinio (AD
23+/‐79) descrisse esempi di lunghi acquedotti per portare l’acqua anche da notevoli
distanze per essere utilizzate nei sistemi di lavaggio romani dei sedimenti auriferi.
Questo è un esempio di come conoscenze ingegneristiche civili venissero utilizzate
per gestire l’apparato di processamento dell’epoca. Gli acquedotti erano a volte
lunghi fino a 100 miglia ed alcuni le superavano abbondantemente.
Nel tratto del deposito aurifero secondario (placer) le tecniche utilizzate per smistare
l’acqua e processare il sedimento aurifero variarono nei secoli secondo sviluppi ed
innovazioni. Alcune volte si smistava l’acqua dal canale principale a differenti
sottocanali che correvano paralleli sulla superficie del placer, considerata ricca.
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Questi canali venivano allestiti in modo da imprigionare sul loro fondo l’oro
grossolano e via via allontanandosi dal punto di introduzione del sedimento aurifero
quello fine. L’oro fine ed ultrafine veniva perso nel corso dei lavaggi a causa delle
pressioni non controllabili nelle fasi di processamento e le correnti turbolente che
portavano lontano tali taglie di oro. L’oro che formava lamine piatte e larghe (vele)
erano anch’esse trasportate a grande distanza. La rielaborazione delle discariche
minerarie da parte di un locale corso d’acqua è una valida spiegazione della ricchezza
dei tratti successivi del corso d’acqua stesso. I fiumi piemontesi Elvo, Dora Baltea ed
innumerevoli altri sono ancora oggi ricchi in alcune località per via della
rielaborazione da parte del fiume locale, non solo di placer alluvionali non ancora
processati dai ed erosi a seguito di piene eccezionali, ma anche grazie alle discariche
minerarie rielaborate.
N.12 Quantità e dimensione di campioni auriferi ritrovati in campionamenti estensivi e talvolta solo puntuali di alcuni
depositi coltivati dai romani (modificato Sanchez‐Palencia, 1992).
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Le discariche minerarie, prodotte dal processamento dei sedimenti auriferi, erano
principalmente formate da sabbie e ghiaie. Invece per quanto riguardava i ciottoli,
essi venivano utilizzati per ampliare il canale o per formarne di nuovi; erano quindi
utilizzati come elemento strutturale. Inoltre, accadeva che i ciottoli venivano talvolta
prelevati ed utilizzati in edilizia o nella costruzione di strade. I ciottoli con una
composizione prevalente in quarzo (quarziti se rocce metamorfiche oppure quarzo
idrotermale) venivano estratti al fine della produzione del vetro. L’oro fine ed
ultrafine, oltre che alcune pagliuzze piatte, anche di grandi dimensioni, venivano
spazzati via e dispersi nella discarica stessa durante l’impetuosa energia nel
processamento. La stessa discarica mineraria formava una morfologia a conoide,
detta conoide antropico. Tale deposito tendeva ad essere diretto verso il corso
d’acqua più vicino come nel caso delle discariche della Bessa verso il torrente Elvo e
in quello delle aurifodine di Mazzè verso la Dora Baltea. Essendo poi poco
competenti e sciolti, i sedimenti stessi vennero rielaborati facilmente dal fiume
durante eventi di piena eccezionali, andando ad arricchire il corso d’acqua con
prevalente oro fine.
Il fondale del canale di lavaggio agiva come principale mezzo di trattenuta del
concentrato aurifero, esso era formato da ciottoli embricati che mimavano la
struttura del fondo d’alveo fluviale naturale. I romani utilizzarono il medesimo
principio per il quale un ciottolo embricato nel letto fluviale genera una turbolenza
prevalente nella area posteriore rispetto alla direzione della corrente, questa svolge
un ruolo di concentrazione ed il materiale pesante che fluisce sprofonda nella
depressione e vi si concentra, mentre quello leggero procede oltre. Nella fase di
processamento del sedimento aurifero, esso veniva introdotto nel canale dalla
manodopera locale, cercando di rimuovere i ciottoli presenti in una fase di
presetacciamento. Il canale era sede di un impetuoso corso d’acqua artificiale, il
quale concentrava lungo il fondo canale, preparato attentamente in fasi di secca
forzate, i minerali pesanti, tra cui l’oor. Nella fase successiva di pulizia, i minatori
deviavano l’acqua dal canale artificiale e rimuovevano prima i ciottoli introdotti nel
processo e poi quelli del fondale artificiale, quindi, si raccoglieva un concentrato
aurifero. Tale materiale era poi rifinito a mano secondo differenti metodi manuali
oppure con sistemi artigianali. Una successiva innovazione è rappresentata
dall’utilizzo di muschio locale posizionato nelle posizioni finali dei canali di trattenuta
tra i ciottoli embricati per ritrovare le particelle di oro fini. Questi muschi venivano
poi lavati e riutilizzati, piuttosto che essiccati e bruciati e l’oro recuperato. In altri casi
le opere di lavaggio erano precedute dalla rimozione di strati superiori a quelli
auriferi, ritenuti sterili in oro. Essi potevano essere rimossi a mano, oppure con
tecniche di lavaggio di massa: i canali costruiti venivano imposti versare l’acqua in
pressione sullo strato sterile che veniva eroso verso il fiume. I canali artificiali
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costruiti in Spagna dai romani variavano in larghezza dai 0.3 ai 1.5 metri ed erano
inclinati con un gradiente del 0.5%. La lunghezza invece era varia fino a migliaia di
metri in alcuni casi (Fernandez‐Posse & Sanchez‐Palencia, 1988). L’acqua utilizzata
era tratta da corsi d’acqua posti più a monte o dal corso d’acqua più vicino. In alcuni
casi le opere di presa erano ubicate a ridosso di un lago naturale o artificiali posto a
quota maggiore dei scavi minerari (Sanchez‐Palencia, 1992). Le operazioni di lavaggio
tendevano ad essere intermittenti a causa dei tempi di ricarica degli invasi artificiali,
gestiti attraverso dei sistemi di chiuse e secondo le differenti fasi del processamento.
La prospezione avveniva invece in diverse forme, ad esempio nella tecnica del
coyoting vengono scavati tunnel nei diversi terrazzi auriferi ai fini di poter saggiare
porzioni, altrimenti sepolte. Ovviamente oltre che essere una tecnica di prospezione
era anche in alcuni casi ritenuta primaria se redditizia abbastanza per giungere ai
livelli ritenuti più auriferi. In alcuni casi stati stranieri questa tecnica è ancora in uso.
I tunnel se impostati appositamente potevano poi essere riutilizzati con un secondo
fine, ciò essere allagati, in modo da eseguire un collasso idraulico del terrazzo stesso
verso la scarpata di terrazzo. Questi sedimenti erano poi processati o scartati sulla
base degli obiettivi. I tunnel erano costruiti a volte con il fine di rimuovere la porzione
fluviale desiderata. Non vi erano canali di raccolta ma semplicemente il deposito
fluviale sterile veniva rimosso per dilavamento superficiale oppure per la messa in
pressione di gallerie sapientemente scavate al suo interno (Pipino G.1‐12).
Notevoli ulteriori approfondimenti si possono ritrovare sia gratuitamente online che
attraverso pubblicazioni scientifiche (Pipino G.1‐10 & Gianotti F.1‐6 & Quaglino G.
(2017)).
Asia e Cina
Nel Sud‐Est asiatico ed in Cina la situazione fu diversa e già prima dell’Impero
Romano, i popoli che vi si stabilirono subirono un avanzamento scientifico e
tecnologico notevole. Nel 2400 BC gli scienziati cinesi inventarono un primo
prototipo di cannocchiale per osservare in maniera più sistematica e con maggiore
risoluzione i cieli e le stelle, un sistema innovativo che non arrivò in Europa prima del
sedicesimo secolo. La transizione dall’età della pietra all’età dei metalli avvenne in
maniera e tempi indipendenti rispetto al continente europeo (circa 3000 BC). Queste
scoperte mostrano alcuni aspetti dell’avanzamento delle scienze orientali e la
diacronia scientifica rispetto il vecchio continente. Scoperte di accessori fatti di oro
e leghe sono rari nel periodo intorno al 2000‐2700 BC ma alcuni utensili per la
lavorazione sono stati ritrovati e datati a questo periodo (Thorne & Raymond, 1989).
Intorno ai 1350 BC, i babilonesi introdussero i fondamenti dei saggi alla fiamma
moderni per determinare la purezza dell’oro. In Cina, piccoli parallelepipedi
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composti da oro diventarono una valuta di scambio e la prima moneta d’oro è
attestata a Lydia, un regno dell’Asia minore.
Il Medioevo in Europa
La caduta dell’Impero Romano nel 476 AD vide la fine virtuale dell’attività scientifica
in Europa. L’imperatore bizantino Giustiniano chiuse i grandi centri di
apprendimento, quali l’accademia e Lyceum ad Atene nel 529 e distrusse il museo di
Alessandria nel 641. Gli anni oscuri che seguirono e che continuarono fino al
dodicesimo secolo sono stati interpretati dagli storici esser seguiti ad eventi vulcanici
maggiori che a livello mondiale variarono il clima, peggiorandolo. Tali fenomeni
vulcanici avvennero nella cintura di fuoco, infatti un’intensa attività vulcanica ha in
un primo momento ridotto la temperatura globale (a causa delle ceneri) per poi aver
avuto un effetto opposto aumentandole (serra). Entrambi i casi generarono problemi
all’agricoltura, principale mezzo di sostentamento dell’epoca. L’eruzione del Vesuvio
vide la distruzione di Pompei e sommerse Ercolano nel 70 AD, come scritto dal nipote
di Plinio e Plinio il giovane. Plinio il vecchio morì nella ricerca disperata di salvare più
persone possibile nell’evacuazione. Gli storici correlano questa intensa produzione
vulcanica mondiale anche con l’eruzione di Mt Ilopango in centro America (260 AD),
la quale si crede aver guidato l’antica civiltà Maya ad emigrare in massa a centinaia
di chilometri di distanza. Essi dovettero abbandonare i loro principali accampamenti
e città per cause di forza maggiore ed andarono a diminuire in numero fino a
collassare nelle nuove aree che vi si stabilirono a causa di forti periodi di siccità e
carenza di cibo. Intorno al 330 AD, la capitale dell’Impero Romano fu trasferita a
Bisanzio, ubicata allo stretto del Bosforo da parte di Costantino il Grande, che la
rinominò Costantinopoli. I centri di commercio si trasferirono quindi verso Est alla
nuova nazione bizantina (AD 400‐1453) che divenne molto ricca. Quando il profeta
Maometto (AD 570+/‐632) fondò l’Islam, la distruzione di Bisanzio diventò un
importante obiettivo per l’impero religioso. Costantinopoli fu assediata
doppiamente dagli arabi (AD 673, 718). Siria, Egitto e Nord Africa caddero all’impero
durante il settimo e ottavo secolo ma sotto la dinastia macedone, l’impero bizantino
raggiunse il picco massimo della sua prosperità intorno al 1056. Lo stesso impero
cadde definitivamente durante il saccheggio perpetrato dalla quarta crociata nel
1204. Dal punto di vista delle scoperte scientifiche arabe, si ricordano alcuni scritti
dedicati all’erosione e alterazione superficiale, accreditati ad una piccola scuola di
pensiero, riferiti tra il quarto ed il dodicesimo secolo. Questa opera è racchiusa nei
“Discorsi” dei “Fratelli della purezza”, pubblicati tra i 941‐949 AD. Successivamente
un altro sapiente arabo, Ibn Sina (AD 980 +/‐ 1037) sottolineò alcuni aspetti
riguardanti il lasso di tempo necessario all’erosione, definendolo in tempi notevoli.
51
Definì le montagne come aree soggette ad innalzamenti e sede di terremoti. Secondo
lo stesso autore i fossili erano da considerare come tentativi mancati della natura e
conservati nelle rocce successivamente. Altre innovazioni tecnologiche avvennero a
seguito dello sviluppo agricolo. Prima di tutte, la costruzione ed utilizzo di canali ad
uso irriguo e di trasporto di acqua dolce anche da notevoli distanze. Tale progresso
già avviato in Mesopotamia agli albori dell’agricoltura, continuò con ottimizzazioni
nelle diverse parti del globo. In Cina si ricorda il “Grande canale”. L’utilizzo della
porcellana fornì un ottimo prospetto di come erano avanzate le conoscenze ed il
controllo delle temperature nei processi metallurgici.
Specialmente si nota una diacronia nei tempi di scoperta di alcune importanti
innovazioni tecnologiche tra le diverse parti del globo, ancora difficilmente in
comunicazione. Questo dato di fatto è confermato dallo scienziato Shen Kua (AD
1086), il quale delineò alcuni principi legati all’erosione, al sollevamento litostatico
ed alla sedimentazione nel suo saggio “Piscina dei sogni”, uno scritto di primordiale
geologia. In tale opera, l’autore spiega l’utilizzo del compasso magnetico o bussola,
chiave delle future scienze geologiche e nel primo momento della navigazione. La
prima bussola in Cina è datata a circa 2200 anni fa, quando in Europa le stime
accertano l’utilizzo intorno al dodicesimo secolo. Per ulteriori approfondimenti si
rimanda alla lettura di “Science and Civilisation in China” scritto da Sir Joseph
Needham, Cambridge University, e “Metallurgical Remains of Ancient China” di Noel
Barnard, Australian National University & Sato Tamotsu of Tokyo. Nel 1284, Venezia
introdusse il “Ducato” d’oro, il quale rimase la più popolare valuta nel mondo per
quasi cinque secoli. La maggiore valuta di valore fu il “Fiorino” seguito dal “Noble”,
“Angel” e “Guinea”. La diffusione della Peste, ridusse la popolazione mondiale del
vecchio continente di circa un terzo e portò l’Europa in un periodo di grande
recessione. Si può osservare come l’oro sia diventato in tale lasso di tempo un bene
di ricchezza oltre che dedito ai settori gioielleristici ed economici. L’uomo infatti
sempre più gli ha fornito un valore nei propri commerci attraverso la produzione di
valuta. La carenza del metallo prezioso portò alla ricerca di altri metalli di valore,
prima l’argento e successivamente altri di valore sempre più basso. La grande
differenza con il mondo attuale è che nell’antichità la valuta aveva un valore
intrinseco essendo composta da metalli preziosi. Ora la valuta in corso ha un valore
virtuale.
La scoperta del Nuovo Mondo ed il Rinascimento
Il Rinascimento europeo avvenne nel periodo storico tra il quattordicesimo e
diciassettesimo secolo e marcò la transizione dal Medioevo ai tempi moderni. Fu un
periodo di rinnovamento di interesse in molti campi scientifici, tra i quali la Geologia.
52
Esso iniziò come una reazione alla passata peste nera, la quale tante vite ha mietuto.
I sopravvissuti ricercarono nuove idee e vie per compensare la mancanza generale
di manodopera, allora necessaria per buona parte delle attività agricole e
manifatturiere. La ricerca di nuove risorse e lo sfruttamento migliorato di quelle già
scoperte furono altri ottimi spunti di incoraggiamento a questo rinnovamento
scientifico e culturale. Un caposaldo che marcò l’inizio del Rinascimento fu la caduta
definitiva di Costantinopoli nelle mani dei Turchi nel 1453. Colombo raggiunse
l’America nel 1492 e Vasco de Gama arrivò in India passando al Capo di Buona
Speranza nel 1498. Lutero diede luogo alla riforma protestante nel 1517,
appendendo le sue 95 tesi alla porta della chiesa di Wittenberg. L’esploratore
Cristoforo Colombo (1451 +/‐ 1506) fece quattro viaggi nel Nuovo Mondo, questi
aprirono enormi prospettive nel campo della ricerca geografica e quindi mineraria.
La scoperta di civiltà in tali aree geografiche e delle loro ricchezze generò una nuova
“febbre dell’oro” che divenne presto famosa come febbre di sangue, all’alba della
decimazione di tali popolazioni per via di malattie e vizi importanti dai coloni e
conquistatori europei. Ovviamente le ricchezze accumulate (oro, argento, etc)
furono estratte o saccheggiate e solo in un secondo momento coltivate dove
ritrovate. L’invasione spagnola iniziò nel sedicesimo secolo. Simbolicamente, nelle
civiltà Inca ed Azteche, il Dio Sole era creduto essere la fonte della luce e quindi della
vita. Era raffigurato in oro, per via della proprietà riflettente elevata del metallo
prezioso esposto alla luce del Sole. Il Tempio del Sole a Cusco, in Perù, era descritto
essere ricoperto interamente da fogli d’oro. Tale regione era famosa nell’ambito
minerario e relativamente ricca di depositi auriferi primari e secondari ai piedi delle
catene montuose. La maggior parte dell’oro aveva origine nelle aree adiacenti Corro
De Pasco (Nolan, 1980). La metallurgia nel Sud America ebbe un importante risultato
già in tempi antichi, prima della nascita di Cristo e poi le conoscenze vennero
divulgate ed arrivarono nei successivi 800 anni fino al Messico. Nel dodicesimo
secolo sono registrati i primi grandi lavori minerari dedicati all’estrazione di oro da
parte degli Incas ed Aztechi. L’invenzione della stampa (metà del quindicesimo
secolo) aiutò nello sviluppo e divulgazione delle nuove frontiere scientifiche in
Europa. Nel suo libro “On the Revolutions of the Heavenly”, l’astronomo polacco
Nicolaus Copernico spiegò che la Terra ruota sul suo stesso asse e la Luna ha un moto
intorno alla Terra. I pianeti del sistema Solare a loro volta hanno un moto di
rivoluzione rispetto il Sole, la nostra stella. Ciò era contrario al dogma religioso e nel
1552, l’arcivescovo James Ussher calcolò che l’origine della Terra era
approssimativamente 4004 BC basata sul Libro dei Numeri, relativo all’Antico
Testamento biblico. Tale calcolo ricevette anche l’approvazione accademica quattro
anni dopo la pubblicazione. John Lighfoot, studioso presso l’università di Cambridge,
scrisse che il Paradiso e la Terra, erano i centri di una circonferenza ed erano stati
generati nello stesso tempo. Le nubi composte d’acqua e l’uomo furono creati dalla
53
Trinità nella data del 26 ottobre, 4004 BC, alle 9 del mattino. Quando Giorgano Bruno
dichiarò che la Terra avesse un proprio moto intorno al Sole, fu accusato di eresia
dalla Chiesa Cattolica, come del resto molte altre teorie contrarie al credo religioso
dominante del tempo e bruciò al rogo a Roma nel 17 febbraio 1600. Galileo inventò
un telescopio astronomico e scoprì che la stessa accelerazione di gravità si applica
sia ad oggetti leggeri che pesanti. Leonardo da Vinci osservò la tensione superficiale
e l’effetto di risalita di liquidi in piccoli tubi capillari. Dal punto di vista ingegneristico,
Agricola (1556) (nome latino dello scrittore Georg Bauer) descrisse nei dettagli gli
aspetti basilari della metallurgia dell’oro e diede un contributo notevole alla scienza
e tecnologia con le sue descrizioni dei processi nei minimi dettagli nelle operazioni
minerarie e di processamento, relative al periodo del 1546 al 1556. Nel “Philosophia
Naturalis Principia Mathematica”, Isaac Newton nel 1687, fornisce un sostegno alle
emergenti materie fisiche e naturali. Altre scoperte comprendono il teorema
binomiale e calcoli dei differenziali e integrali, la terza legge del moto e la legge della
gravitazione universale. Esse formarono le basi della meccanica newtoniana, ancora
in uso oggi. Il suo concetto di “uniformitarianismo” suggerì che gli stessi tipi di
correnti fluviali potessero produrre nel passato le medesime strutture nei sedimenti.
La prima legge del moto di Newton è fondamentale per tutti gli aspetti della
sedimentazione, utilizzata ancora oggi negli strumenti industriali di processamento
gravitativi. Robert Hooke (1635+/‐1703) scrisse la legge di Hooke, la quale spiega che
la tensione di una molla è proporzionale alla sua estensione imposta. Le sue
invenzioni includono il sistema del telegrafo ed il barometro marino. Le scoperte del
medesimo inventore fornirono importanti miglioramenti alla manifattura di orologi,
che diventarono sempre più strumenti di precisione per la misurazione del tempo.
Alcune delle ipotesi relative al moto dei pianeti proseguirono fino ad arrivare a
concludere la presenza di orbite ellittiche e la presenza del Sole in uno dei due fuochi
dell’ellisse. Nel 1682 Edmond Halley osservò la “Grande Cometa”, la quale sarà
successivamente nominata la cometa di Halley, in suo onore.
La rivoluzione industriale
All’alba del diciottesimo secolo, alcune nazioni iniziarono ad utilizzare le macchine
come principale strumento di lavoro nelle varie attività prima industriali, poi
minerarie fino ad arrivare alla vita quotidiana. L’uomo nella storia è risaputo essere
un inventore arguto e ottimizzatore degli strumenti con l’obiettivo di aumentare il
proprio benessere. Il capitalismo aggiunse un guadagno a tutto questo processo. Le
scoperte avvenute nel periodo antecedente la rivoluzione industriale permisero il
grande passo: l’industrializzazione. Il settore minerario fu letteralmente travolto e
nei successivi secoli fu un continuo rinnovamento e ottimizzazione delle attrezzature
54
minerarie, dal processo di estrazione del minerale e del suo trasporto fino al suo
processamento e metallurgia annessa. I metalli divennero importanti risorse
economiche e materie grezze per le industrie produttrici di ghise, metalli e derivati.
Le cave e miniere di carbone divennero tristemente famose in Inghilterra per la loro
pericolosità intrinseca nei lavori (sacche di metano per esempio). Il carbone fu il
principale combustibile fossile agli albori della rivoluzione industriale, infatti arso in
appositi forni, produceva una grande quantità di calore, il quale portando ad
ebollizione l’acqua posta in contenitori adiacenti si trasformava in vapore (gas). Tale
componente veniva poi messa in pressione ed utilizzata come forza motore per
muovere ingranaggi e macchinari nei più svariati contesti. Nel passato la forza
dell’acqua veniva utilizzata attraverso sistemi di mulini, utilizzati ad esempio per
macinare il minerale o in alcuni casi anche per amalgamare la polvere aurifera con il
mercurio nelle fasi successiva. Non era una novità per l’uomo cercare una forza utile
per svolgere i lavori pesanti, altrimenti costosi dal punto di vista di tempo e risorse
umane. I mulini mossi da uomini, poi da animali da soma, vennero sostituiti
dall’utilizzo di mulini ad acqua e dove possibile a vento. Con l’avvento della
rivoluzione industriale, il carbone divenne un combustibile utilizzato a livello
industriale e quindi con conseguenti enormi richieste sul mercato. L’Inghilterra fu il
primo fulcro di questa rivoluzione ed ottimizzazione per tutta una serie di fattori: la
presenza di ottimi ingegneri e scienziati resero possibile questo grande passo, oltre
che un ottimo contributo fu fornito in quanto vi erano ricchi imprenditori e grandi
giacimenti di carbone. Nel 1807 la società geologica di Londra diventò la prima
società scientifica devota alle scienze della Terra. Durante lo stesso anno un chimico
svizzero, Berzelius, con i suoi studenti, sviluppò i principi della classificazione
mineralogica. Jakob Bernoulli (1654 +/‐ 1705) scoprì una serie di numeri complessi
usati in matematica successivamente, detti numeri di Bernoulli. Suo figlio Daniel
propose in tempi più moderni il principio di Bernoulli, il quale ricoprì un ruolo
notevole nell’analisi del flusso di fluidi. Questo principio consente di precisare che
l’energia totale in ogni punto di un percorso è costante in termini di densità di fluido,
velocità dello stesso, pressione totale locale ed elevazione.
Hutton promosse la Teoria della Terra nel (1788), presentando le evidenze del ciclo
sedimentario, dalla sedimentazione all’erosione. La sua visione del tempo geologico
su un prospetto temporale molto ampio (milioni di anni), permise di accedere ad un
nuovo modo di pensare. “Il presente è la chiave per capire il passato”, tale frase
rimase un caposaldo fino all’epoca moderna e per alcuni tratti è ancora vera
attualmente. Bisogna però tenere conto che alcuni processi avvenuti nel passato
geologico non sono più attuabili al momento attuale a causa di una variazione
importante di variabili chimico‐fisiche. L’orogenesi è il processo attraverso il quale si
genera un orogeno, ma più esso si innalza (uplift), più l’erosione sarà intensa. Questo
55
processo continua fino a generare intorno all’orogene vaste pianure alluvionali e
molto altro. Anche se nel primo 800’ la geologia si afferma come materia scientifica
di rilievo, le tesi di Hutton furono per lungo tempo incomprese e sottovalutate,
spesso derise dalle teorie più in voga in quel momento storico: i nettuniani e i
concetti plutonistici. Werner era uno scienziato tedesco e parte del movimento
scientifico del Nettunismo. Essi credevano che i vulcani erano locali fenomeni causati
dalla combustione di grandi quantità di carbone sotterraneo. Le rocce presenti sulla
Terra erano già state create nel passato e i continenti sarebbero nel futuro stati
sommersi dalle acque oceaniche. I Plutonisti erano rappresentati da alcune figure di
spicco, tra le quali lo stesso Hutton e credevano fermamente che il calore terrestre
permettesse ai sedimenti accumulati sui fondali marini di raggiungere aree
continentali asciutte. Nel 1788, Hutton indentificò alcune formazioni rocciose che
apparirono essere composte da rocce sedimentarie, le quali avevano subito un
fenomeno di riscaldamento. I semi della comprensione del mondo erano stati
seminati e quindi nel 1802, Playfair elaborò una espansione della ideologia di Hutton
che durante immensi periodi temporali, solo piccoli cambiamenti sarebbero
avvenuti. Nello stesso periodo, alcuni scienziati, tra cui il geologo francese Nicholas
Desmarest, mostrarono al mondo come le rocce basaltiche fossero frutto del
raffreddamento di lave, ciò nella regione di Auvergne (Francia). Tale modello di
“Località tipo”, cioè luoghi localizzati sulla crosta terrestre che vengono intesi come
esempi lampanti di un particolare fenomeno o formazione rocciosa sono ancora in
auge oggi. Dalla prova pratica molto studiata si ricercano quindi nel mondo altri
esempi, magari con maggiori difficoltà nello studio o comprensione. Nell’università
russa, il professore Shchurovsky (1803 +/‐ 1884) dedusse che le rocce plutoniche
degli Urali erano responsabili dell’arricchimento aurifero locale, le cui tracce erano
ritrovabili nelle sabbie alluvionali. Egli stesso riconobbe la lunghezza e complessità
dei processi magmatici associati all’orogenesi e alla formazione dei giacimenti. Nel
1829 vennero scoperte vaste aree alluvionali aurifere nel bacino Lena, nella Siberia
orientale che sono ancora in produzione in tempi attuali. William Smith, un
ingegnere civile inglese, è stato il primo ad utilizzare i fossili come marker
stratigrafici, cioè come strumento per datare relativamente le rocce tra di loro. Notò
che alcune rocce contenevano alcune tipologie di fossili ed altre no. Fu uno
strumento di discernimento che da quel momento divenne sempre più importante
nello studio delle Scienze Geologiche. Nel 1815 pubblicò la prima carta geologica
della porzione meridionale dell’Inghilterra.
Nel 1830, Charles Lyell completò il primo volume dei tre volumi del libro chiamato
“Principio di Geologia”. Egli iniziò uno studio che mostrò la Terra esser vecchia
almeno centinaia di milioni di anni e due anni dopo, identificò il tempo geologico
recente, il Pliocene, il Miocene e l’Eocene. Charles Darwin (1844) confermò la tesi di
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Lyell dalle osservazioni geologiche delle isole vulcaniche visitate. Ennesima tappa
fondamentale avvenne nel 1871 con Dmitri Mendeleev, egli asserì che “Le proprietà
degli elementi son dipendenti dal loro peso atomico” e pose le basi per la tavola
periodica, quale raccolta di tutti gli elementi chimici conosciuti.
Le grandi corse all’oro del diciannovesimo secolo
Dalla scoperta dell’America in avanti, l’uomo di spinse ad esplorare fino ai confini più
remoti del globo in cerca di fama e di risorse da sfruttare. Le tecnologie e gli
strumenti aumentarono in numero e in ottimizzazione fino a permettere ciò che
prima non era concepibile o troppo costoso.
N. 12 nell’immagine soprastante sono riconoscibili alcuni dei siti a livello mondiale scoperti in tempi storici o solo in
tempi moderni, sedi delle moderne corse all’oro, in particolare è importante citare: California, Klondyke, New South
Wales, Victoria, Otago, West Coast, Queensland, Western Australia, Transvaal (modificato Nolan, 1990).
Le più importanti corse all’oro avvennero prima negli attuali Stati Uniti d’America,
dove nel primo Ottocento i coloni sempre più numerosi si spinsero in aree selvagge
ed aride in cerca di una terra coltivabile dove insediarsi. Era inevitabile che
scoprissero grandi riserve aurifere, nel primo momento lungo le sponde fluviali sotto
forma di depositi auriferi secondari. Nel dicembre 1843, il presidente Polk riferì
dell’abbondanza dell’oro in California. Nel 1848, avvennero grandi flussi migratori
verso queste località con la promessa dell’arricchimento facile. Le stime parlano di
circa 50000 persone che viaggiarono attraverso il continente inseguendo questo
sogno. Pochi arrivarono e molti morirono di stenti, malattie, fame e combattendo gli
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indiani o i furfanti lungo il percorso. I più audaci presero scorciatoie presso le giungle
di Panama. Circa quindicimila persone attraversarono i rigori del “Horn” ed
arrivarono nei campi auriferi circa 8 mesi dopo la partenza. La “flotta dell’oro”
salpata dall’Australia portò circa 7000 cercatori. Nei primi quattro anni furono
trovate circa 18 milioni di once, ma delle 180000 persone totali nei primi sei mesi di
lavori ne morirono circa 18000 (un decimo!), principalmente per stenti. In Australia,
Edward Hargraves, di ritorno dalla California trovò l’oro nel South Wales nel 1850 e
la prima corsa dell’oro prese il via a Ophir nel 1851. I campi auriferi di Ballarat furono
scoperti qualche mese dopo e seguiti a loro volta da molteplici scoperte lungo la
catena vittoriana. Queste coltivazioni aurifere resero tanto oro quanto quelle
californiane negli anni successivi. Nel 1851, la popolazione del Victoria si aggirava
intorno ai 37300 uomini (12 anni in su). I dati registrati nel 1854 parlano di una
quadruplicazione dei numeri con circa 145000 maschi, di cui 66000 dedicati al
settore minerario aurifero. Entro il 1858, questo numero sali a 223000 di cui 10000
circa lasciarono l’area per prendere parte alla nuova corsa all’oro in atto in Nuova
Zelanda. I dati pervenuti riguardo la quantità di oro estratta non sono molto accurati
ma le stime si aggirano tra le 650‐800 tonnellate. Le scoperte in Nuova Zelanda
furono minori rispetto a quelle in Australia, si ricorda la scoperta in Otago (South
Island) (McLintoch, 1966). La produzione tra il 1857 e 1867 si aggirava con dati
intorno a 100 tonnellate di oro estratte. La prima processatrice a catena a tazze è
registrata ad Otago nel 1886. Questo avanzamento nell’ingegneria aurifera
rivoluzionerà il primo periodo a venire. Macchinari mastodontici ed autosufficienti
prenderanno parte alla coltivazione a grande scala e basso costo. Nel Nord America,
Henry Holt ottenne molto oro dai commerci con gli indiani, e portò il primo vero
campione di oro dallo Yukon. Il governo americano passò a rendere sicura la via
commerciale verso tale zona aurifera dalle scorribande indiane e di banditi. Le prime
prospezioni si svilupparono intorno al 1881, quando le prime vene aurifere furono
scoperte a Juneau nello Yukon. Il placer venne coltivato in maniera industriale presso
lo Stewart river, un tributario del fiume Yukon. Il secondo ad essere coltivato fu il
“Forty‐nine”. Le grandi corse all’oro dello Yukon avvennero nella prima decade del
1890, con tappe fondamentali nel “Rabbit Creek” (Ex Bonanza Creek) e “Eldorado”.
Lo Yukon fu l’ultima grande corsa all’oro dell’ottocento ma anche la più disastrosa
dal punto di vista umanitario e contò il maggior numero di vittime. L’oro rinvenuto
nelle corse all’oro era principalmente alluvionale e le tecniche erano primitive per
l’epoca. Alcuni rinnovamenti avvennero nei primi 5 anni di sfruttamento con
l’avvento di gruppi meccanizzati per i lavori. Tipico strumento di quegli anni erano le
canalette sospese. Queste erano parte di un intricato sistema di acqua canalizzata
dentro canali fatti in posto con assi di legno chiodate tra loro. Gli operatori potevano
inserire in diverse porzioni di questo sistema il materiale e rimuovere le porzioni più
grossolane manualmente. I riffles andavano a concentrare i minerali pesanti, tra cui
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l’oro. Venivano anche usati stracci e lenzuola per trattenere le porzioni di oro più fini
al fondo del canale. Entro la fine dell’ottocento, i grandi placer alluvionali americani
e australiani erano troppo sfruttati per essere ancora redditizi ma la richiesta a livello
globale dell’oro non faceva altro che aumentare.
La tecnologia fornì macchinari sempre più sofisticati nell’ottica di abbassare i costi di
produzione e poter raggiungere profondità di scavo maggiori, oltre che poter
processare maggiori quantità di sedimento alluvionale anche a tenore inferiore di
quello finora processato. Le prospezioni minerarie misero in evidenza anche molti
giacimenti primari che vennero presto messi in produzione. Il giacimento di
Comstock, in Nevada fu scoperto nel 1859, come risultato la stessa area venne
proclamata stato cinque anni dopo. La scoperta dei campi auriferi in Sud Africa
(Witwatersrand) nel 1866, aprì le porte allo sfruttamento della più grande
concentrazione di oro conosciuta nella storia dell’uomo. Il principale livello aurifero
è stato trovato apparentemente per un incidente, la domenica mattina da George
Harrison e George Walker. Entro una settimana esso fu riconosciuto come senza
precedenti. L’importanza dell’oro negli strati terrazzati di età quaternaria o terziaria,
anche se contenuto in maniera sporadica ed imprevedibile è alla base delle “corse”
storiche. Per quanto riguarda quelle americane della seconda metà dell’Ottocento,
sulle quali è possibile reperire una vasta letteratura, la coltivazione dei terrazzi
auriferi, con sistemi idraulici più o meno artigianali, ha fornito risultati variabili da 2
a qualche decina di grammi per metro cubo di sedimento, ma bisogna tener conto
che si tratta di dichiarazioni tesutali parziali, in quanto la produzione effettiva veniva
difficilmente dichiarata e che bastava il furto di poche pepite per fare una enorme
differenza nei conti finali, sempre che essi fossero riportati correttamente e
conservati fino ai giorni nostri. La sottrazione nei canali di lavaggio delle rare pepite,
da parte di operai, era considerato un fatto diffuso anche in Siberia orientale, e
quelle trafugate venivano poi facilmente vendute nella vicina Cina (Levat, 1897).
Dalle tabelle pubblicate nel Jervis (1881) si osserva come nei depositi della Carolina
e della California furono trovate pepite con peso variabile dai 3 ai 4.5 chili, da quelli
della Siberia dai 1.2 ai più di 10 chili e una, addirittura, di 36.02 Kg con 91.67% di oro
puro, da quelli dell’Australia, in particolare dallo stato di Vittoria, numerose di chili e
di decine di chili, fino alla welcome nugget di 68 chili, di cui circa 5 di quarzo. Fonti
più recenti aggiungono ritrovamenti di pepite di 10.39 Kg, 56.54, 59.71 e 72,78 Kg
per la California, di 72 Kg (Welcome Stranger) e 95 Kg (Molgavue) per lo stato di
Vittoria (Levat, 1905). In Australia, e precisamente da una miniera dell’Hill End fu
estratta la massa aurifera primaria più grande conosciuta (Beyers and Haltermann),
la quale pesava circa 350 chili e conteneva, secondo le stime, circa 150 chili d’oro.
Anche nello Yukon le produzioni furono enormi, pur non trovandosi pepite
eccezionali. Ne furono comunque trovate parecchie di centinaia di grammi e di
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qualche chilo, fino alla “Alaska Centennial Gold”, di circa 9 chili. Per il Klondike
abbiamo notizie dirette raccolte da uno staff di giornalisti del “Chicago Rekord” ad
un anno della scoperta. Dopo aver setacciato le acque dei torrenti Bonanza ed El
Dorado, i cercatori avevano cominciato a scavare pozzi sui terrazzi laterali ed
avevano raggiunto il bedrock a profondità variabili da meno di tre metri a più di sette
e mezzo. Vi avevano trovato, specie in quelli lungo il fiume El Dorado, una
stupefacente ricchezza in oro grossolano. Il sedimento estratto e lavato con la
padella (pan), dava oro per un valore variabile da 5 a 150 dollari a saggio. Si era in un
periodo in cui, col prezzo dell’oro a circa mezzo dollaro il grammo, il recupero di 10
centesimi a pan era ritenuto soddisfacente. Il piatto più ricco aveva dato 39 once
d’oro (più di un chilo e duecento grammi), per un valore di 495 dollari, e furono
trovate pepite contenenti oro per più di 235 dollari. Nei terrazzi del Bonanza l’oro
trovato era meno grossolano e solo eccezionalmente si raggiungevano valori intorno
ai 100 dollari per piatto. In totale, nel solo primo anno fu estratto oro per circa 10
milioni di dollari (quasi 25 tonnellate). Nella nave che riportava a casa i più fortunati,
tutti puntigliosamente indicati con nome, cognome e nazionalità, ce n’era uno con
circa tre quintali d’oro, uno con circa due quintali e mezzo, uno con circa due quintali,
una decina con circa un quintale ciascuno e molti altri con quantità inferiori. Negli
anni successivi il totale estratto raggiunse i 300 milioni di dollari. Dal 1885 al 1982 la
produzione d’oro dai giacimenti alluvionali dello Yukon ammonta di circa 348
tonnellate, in gran parte provenienti dai depositi del Klondike, dove la produzione
continua, al ritmo di circa due tonnellate l’anno. Depositi terrazzati simili sono molto
comuni, sono stati coltivati e sono ancora in coltivazione in varie parti del mondo. In
Sud Africa, ad esempio, nel 1873 i cercatori cominciarono a sfruttare quelli affioranti
nella valle del Pilgrim’s Creek, in particolare uno strato ricco in ciottoli di quarzo,
rocce carbonatiche e scisti metamorfici potente da 1 a 4 metri e coperto da uno
strato di terra argillosa spesso da 60 a 80 cm. Esso contiene oro fine piuttosto diffuso
ma solo vicino i massi più grossi furono trovate pepite di grosse dimensioni (500‐
1000 grammi) ed una di circa 10 chili (Bordeaux, 1898). Per i depositi dei Grandi Laghi
Africani è possibile osservare la documentazione fotografica di numerose “piccole”
pepite (da 3 a più di 81 grammi), di dodici esemplari più grossi (da uno a più di 8 chili)
e di uno, eccezionale, di 64.797 kg (Passau, 1945). Nella Cordigliera delle Ande gli
strati auriferi terrazzati più o meno profondi sono chiamati veneros e sono da secoli
oggetto di coltivazione artigianale. Le piccole pepite sono tipicamente coperte da
una sottile pellicola di amalgama, influenza dell’uso massiccio che si fa del mercurio
nel processamento. Nelle Ande peruviane, non lontano dal confine boliviano, nel
1730 fu trovata una pepita di 20 chili e 693 grammi (Levat, 1905) e che all’Esposizione
Mondiale di Londra del 1851 ne fu esposta una di circa 50 chili, trovata da una
compagnia inglese che operava in Cile. Per quanto riguarda l’Argentina, Novarese
(1890) descrive vari depositi osservati alla Puna di Jujuy, costituiti da depositi
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grossolani compatti, con spessore variabile da meno di un metro ai due metri,
contenenti alcuni grammi d’oro per metro cubo di sedimento, seppure in piccoli
granuli, raramente in pepite fino a un grammo (Pipino G.1).
L’epoca moderna e il prossimo futuro
Molti furono gli avanzamenti scientifici e tecnologici che avvennero nel Novecento,
la guerra nel suo insieme spinse l’umanità verso sempre una maggiore
ottimizzazione nel settore bellico fino a creare le prime armi a distruzioni di massa e
biologiche durante la Seconda guerra mondiale. Nel periodo antecedente alla Prima
Guerra Mondiale avvenne un gran balzo tecnologico a livello mondiale fino all’arrivo
della guerra. Le risorse e tutti gli sforzi erano diretti a tal proposito e molte miniere
chiusero in quanto i confini erano chiusi e senza mercato o manodopera. Altre invece
aprirono perché stimolate dalla richiesta del mercato interno. Ogni risorsa umana e
mineraria era convogliata al fronte. Il periodo successivo di pace fu un periodo
susseguito da molte crisi economiche ed in generale dalla ricostruzione, il quale ha
seguito un periodo di benessere e di grandi scoperte, fino alla Seconda Guerra
Mondiale. L’impatto bellico aprì una profonda ferita a livello Europeo che poi si
trascinò nella distruzione anche il sud‐est asiatico con la Guerra Pacifica. Una volta
finita la Seconda Guerra Mondiale, l’umanità iniziò un periodo di pace e prosperità
con eventi bellici relativamente minori rispetto i precedenti. Le tecnologie belliche
furono riconvertite, le conoscenze acquisite furono condivise e si vide l’inizio
dell’epoca mineraria moderna globalizzata. In America, il prezzo dell’oro venne
liberizzato, mentre prima possedeva un prezzo fisso imposto dallo stato. Il valore sul
mercato schizzo alle stelle ed ancora oggi è in generale leggero aumento tra alti e
bassi. Attualmente il mercato ricerca risorse minerarie sempre più coltivabili su vasta
scala in modo da ridurne di molto i costi. Sono opere maestose con un enorme
impatto economico ed ambientale. Spesso sono giacimenti di basso tenore, cioè
contengono pochissimo oro o altri metalli in percentuale allo sterile da mobilitare
ma vengono coltivati in tale quantità da ricavarne profitto. Il futuro che si profila
sembrerebbe essere lungo questa strada e ciò continuerà fino a quando l’umanità
non scoprirà nuove tipologie di giacimenti e un modo di sfruttarli a minor prezzo. I
viaggi all’interno dello spazio solare diventeranno realtà a breve, portando
l’esplorazione mineraria e scientifica verso nuovi orizzonti e prospettive.
61
I depositi auriferi primari
Introduzione alla geochimica dei depositi auriferi primari e degli arricchimenti
supergenici
L’oro è uno dei dieci elementi più rari della crosta terrestre con una concentrazione
media nei solidi di 5 ng/g (s) e una concentrazione media nei liquidi (acque naturali)
che varia da 0.01197 a 0.1977 µg/L (l) (Goldsmith, 1954). Comunque, l’oro non è
uniformemente distribuito e solo talvolta genera degli arricchimenti localizzati nello
spazio tali che il loro sfruttamento sia ritenuto economico. La deposizione dell’oro
nei depositi auriferi primari di solito occorre grazie al boiling e raffreddamento dei
fluidi idrotermali ricchi di metalli, i quali circolano in trame di fratture all’interno della
roccia. L’oro primario nativo è comunemente presente come una lega composta in
percentuali variabili da: Ag, Cu, Fe, Bi, Pb, Zn, Pd, Pt con una concentrazione dell’oro
variabile dal 50 al 80 wt% (Boyle, 1979). A causa della sua bassa solubilità in soluzioni
acquose, la speciazione dell’oro e la sua complessazione è comunemente dedotta da
calcoli termodinamici, modelli geochimici, studi di laboratorio e osservazioni sul
campo (Boyle, 1979; Gray, 1998). Nei fluidi idrotermali, l’oro è chimicamente mobile
sotto forma di complesso a zolfo (tiocomplessi), ad esempio: Au(HS2)‐ e Au2S22‐. La
precipitazione di queste soluzioni comporta la formazione dei minerali, tipicamente
solfurei contenenti in percentuale oro nativo. Il metallo prezioso può sia essere
presente in piccolissimi (µm‐nm) cristalli dispersi nella pirite aurifera, sia essere
concentrato in alcune porzioni preferenziali, sempre nel solfuro, generando delle
proprie inclusioni (mm‐ µm) (Boyle, 1979; King, 2002). La mobilità dell’oro nelle zone
supergeniche è correlata ai processi di alterazione chimica e disgregazione
meccanica dei minerali che contengono l’oro, i quali nel caso siano solfurei,
tenderanno ad alterarsi in breve tempo se esposti agli agenti esogeni ed alle reazioni
di ossidazione e complessazione (Boyle, 1979, Southam & Saunders, 2005).
L’ossidazione dei minerali solfurei, permette anche il rilascio nell’ambiente
circostante di altri elementi inclusi o parte della soluzione solida stessa che potranno
essere fonte di prospezione futura. La reazione dell’alterazione chimica
dell’arsenopirite in ambiente ossidante è la seguente:
2FeAsS(Au)[s]+ 7O2+ 2H2O + H2SO4 Fe2(SO4)3 + 2H3AsO4 + 2Au
In questo processo alcuni promotori dell’ossidazione dello zolfo e del ferro
potrebbero anche essere batterici (per esempio: A. thioparus, A. ferrooxidans), i
quali liberano tiosolfato ed in presenza di ossigeno (ambienti ossidanti ed ossici)
porta all’ossidazione dell’oro ed alla sua complessazione (Alymore & Muir, 2001)
come segue:
62
Au + 0.25O2 + H+ + 2S2O32‐ Au(S2O3)23‐[L]+ 0.5H2O
Nel caso in cui l’oro sia presente libero in una matrice quarzosa, essa tenderà a
liberare il metallo prezioso con un tragitto più lungo dal deposito aurifero primario,
in quanto, il quarzo è un minerale difficilmente alterabile chimicamente ma fragile a
seguito di urti e stress ad alta energia, tipici ad esempio in un ambiente alluvionale.
Una volta che l’oro sarà libero, potrà comunque mostrare porzioni quarzose, prova
della sua posizione ad involucro dei granuli d’oro primari. In condizioni di ambiente
superficiale (suoli), l’oro occorre in soluzioni acquose sotto forma di oro colloidale
(numero di ossidazione: 0) e complessi aurosi (+1) ed aurici (+3) a causa dei suoi
numeri di potenziale standard redox: Au+ (1.68 V) e Au3+ (1.50 V), i quali sono
maggiori dell’acqua (1.23 V). Tale peculiarità rende l’esistenza di ioni liberi di oro
termodinamicamente sfavorevole (Boyle, 1979). Osservando meglio i calcoli
termodinamici e la naturale abbondanza dei possibili ligandi a livello ambientale, le
soluzioni acquose aurifere complessate (Au+, Au3+) sotto forma di tiocomplessi
auriferi e a base di cloro appaiono essere le più importanti in contesti fluidi, i quali
sono più favorevoli nel caso in cui contengano una minima quantità di materia
organica al loro interno dissolta. Il tiosolfato è stato provato in laboratorio essere un
ottimo mezzo per solubilizzare l’oro ed il risultare tiocomplesso auroso Au(S2O3)23‐
risulta essere stabile in condizioni leggermente acide ad altamente alcaline (pH) e
condizioni moderatamente ossidanti a riducenti (Mineyev, 1976; Goldhaber, 1983;
Webster, 1986). Il tiosolfato è anche prodotto durante processi di (bio)ossidazione
dei minerali solfurei (biolisciviazione – bioleaching) e tende ad essere disponibile
preferenzialmente nelle porzioni di terreno adiacenti ai depositi primari ricchi di tali
minerali (Stoffregen, 1986). Le acque sotterranee ossidanti con un contenuto elevato
di cloro e composti correlati possono solubilizzare l’oro presente in climi
tendenzialmente aridi e semi‐aridi, portando alla formazione delle seguenti
soluzioni: AuCl2‐, AuCl4‐ (Krauskopf, 1951; Gray, 1998). Si noti che il primo composto
(AuCl2‐), il quale contiene Au+ non risulta essere stabile alle basse temperature (<100
°C) e in condizioni ossidanti (Farges et alii., 1991; Pan & Wood, 1991; Gammons et
alii., 1997). L’oro si lega anche a complessi organici, infatti una tipica caratteristica
dei metalli appartenenti al gruppo IB è la loro abilità di legarsi fortemente alla
materia organica se presente (Boyle, 1979). I fluidi auriferi organici possono risultare
importanti quindi per una futura concentrazione in ambienti porosi superficiali.
L’interazione dell’oro con la materia organica coinvolge molti elementi donatori di
elettroni, quali per esempio: N, O, S piuttosto che C (Housecroft, 1993, 1997).
Vlassopoulus et alii. (1990b) ha mostrato che in condizioni riducenti ed anossiche,
l’oro si lega preferenzialmente con lo zolfo formando tiocomplessi, mentre in
condizioni ossidanti ed ossiche al N ed O. L’oro può trovarsi anche in soluzioni
63
contenenti composti a cianuro (CN) come ad esempio Au(CN)2‐, Il quale risulta essere
stabile in un vasto range di condizioni Eh‐pH. La reazione chimica può risultare:
Au + 2CN‐ + 0.5 O2 + H2O Au(CN)2‐[L] + 2 OH‐
L’absorbimento dei complessi auriferi e colloidali dalla materia organica, dalle argille,
dai minerali di ferro (pirite sedimentaria) e manganese, piuttosto che dal
bioaccumulo può portare alla genesi di arricchimenti supergenici d’oro, i quali
tendono ad essere ritrovati nelle porzioni di terreno adiacenti al deposito aurifero
primario (Boyle, 1979, Goldhaber, 1983; Webster & Mann, 1984; Webster, 1986;
Lawrance & Griffin, 1994; Gray, 1998). L’oro secondario tende a risultare più puro
(fino a 99 wt%) rispetto a quello primario (50‐80 wt%), ma gli aggregati risultanti
possono essere di dimensioni e peso nettamente maggiori, fino a pepite
ragguardevoli (Wilson, 1984; Watterson, 1992; Mossman et alii., 1999). L’oro è
ricavato dai diversi depositi sia attraverso procedimenti fisici (gravitativi) che chimici
(reazioni chimiche), i quali partendo da un sedimento naturale, vagliato, selezionato
o prodotto dalla macinazione della mineralizzazione primaria che contiene una
quantità di oro già apprezzabile ed economica, lo concentrano in un volume minore.
Dal punto di vista economico, l’oro può svolgere un contributo economico primario
quando è l’obiettivo dell’operazione di estrazione mineraria oppure può svolgere un
ruolo di sottoprodotto nel caso vi sia un altro elemento che già la sua estrazione
copra riesce i costi di gestione dell’operazione. Nelle prossime pagine verranno
trattati alcuni aspetti dei processi esasperanti che possono portare alla genesi di
concentrazioni locali aurifere. Il loro studio ed individuazione è fondamentale al
momento attuale perché tendono a fornire anche quantità enormemente maggiori
di oro rispetto i depositi secondari (trattati nel capitolo successivo).
Definizioni: Depositi* auriferi primari e secondari
Le seguenti definizioni sono importanti per una migliore comprensione del contesto
e del significato adottato nel libro stesso ed in opere correlate, prodotte dal
medesimo autore.
Depositi* auriferi primari (*giacimenti se rientrano nei caratteri richiesti)
Per depositi auriferi primari (DAP) si intendono porzioni rocciose dove l’oro si
concentra a seguito di una serie di reazioni chimiche o altri processi di
concentrazione. In tale luogo fisico, a seguito di alcuni processi e in condizioni
favorevoli, vi è una grande concentrazione di oro e di altri elementi chimici, spesso
estratti in quanto utili dal punto di vista economico.
Depositi* auriferi secondari (*giacimenti se rientrano nei caratteri richiesti)
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Per depositi auriferi secondari (DAS) si intende una vasta categoria di località fisiche
nelle quali la concentrazione dell’oro deriva dal disfacimento, fisico‐meccanico e
l’alterazione chimica dei depositi auriferi primari e la successiva concentrazione del
metallo prezioso a seguito degli agenti esogeni prevalenti. I depositi auriferi
secondari possono anche generarsi a spese di precedenti depositi auriferi secondari.
I depositi auriferi primari nel caso vengano alterati chimicamente, disgregati
meccanicamente, frammentati e smantellati, rilasciano nell’ambiente circostante il
loro contenuto aurifero o i minerali che contengono oro. L’oro quindi può venire
concentrato da altri agenti, alcuni dei quali esogeni. Alcuni processi possono in
condizioni specifiche concentrare chimicamente l’oro secondario e generare
arricchimenti supergenici.
Per descrivere al meglio un deposito aurifero primario è necessario investigare i
seguenti campi di conoscenza attraverso una campagna di prospezione ed
eplorazione mineraria:
‐ Prima fase di raccolta bibliografica e di informazioni da lavori precedenti relativi al
deposito stesso o ad altri simili;
‐ Località fisiche di arricchimento e quindi la posizione nello spazio delle
mineralizzazioni; possibili legami con la geologia strutturale e con strutture
geologiche; rilevamento geologico;
‐ Acquisizione dati geochimici del deposito aurifero primario: gli elementi chimici
presenti in un deposito sono estrapolati dai minerali presenti. Quindi sapendo la
chimica presente in un dato deposito si possono ricavare informazioni riguardo la
sua metallogenesi;
‐ Ambiente di formazione del deposito: interpretazione delle modalità e tempistiche
dei processi di formazione dei depositi auriferi primari. Parametri utili per la
prospezione di dettaglio;
‐ Genesi dei depositi auriferi primari ed esempi: la comprensione dei processi
metallogenici che sono avvenuti può guidare le successive tappe dell’esplorazione
mineraria.
Queste sono solo alcune tappe del processo di prospezione, esplorazione e
valutazione di un deposito minerario. Tale settore è considerato spesso ad alto
rischio, infatti si necessitano di capitali non indifferenti per la ricerca e ingenti per la
costruzione degli impianti e l’inizio delle operazioni. È importante sottolineare come
nel settore minerario dell’estrazione dell’oro si preferisca tendenzialmente la
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coltivazione dei placer auriferi, in quanto si ha in generale un veloce guadagno e
talvolta molto valido con costi di ricerca, processamento e gestione più bassi rispetto
la controparte primaria. Ciò anche se su carta sembrerebbe un approccio valido,
spesso vengono sottovalutati molti aspetti critici, portando anche tale attività alla
chiusura a causa di mancanza di esperienza o di un’adeguata conoscenza delle
migliori tecniche per la prospezione del placer aurifero e la sua coltivazione e
processamento. Si pensi che gli impianti di lavaggio gravitativi industriali tendono ad
avere una recovery variabile dal 60 al 80% e si tende ad estrarre solo l’oro dalle
sabbie pesanti concentrate dai lavaggi. Per quanto riguarda l’estrazione dell’oro dai
depositi auriferi primari, spesso è necessaria un’approccio di coltivazione differente
ed in roccia. Bisogna aver conoscenze di ingegneria mineraria. La mineralizzazione
ritenuta economica viene quindi estratta, frantumata, macinata e poi l’oro viene
estratto tendenzialmente con processi chimici dopo una fase ulteriore di
concentrazione delle sabbie pesanti.
Il motore dei fluidi idrotermali
La superficie terrestre è composta principalmente da due tipologie di croste:
‐ La crosta continentale: costituisce gli attuali continenti ed è molto variegata
sia chimicamente che strutturalmente. Possiede una densità media minore
rispetto la crosta oceanica;
‐ La crosta oceanica: essa è molto giovane rispetto la crosta continentale. È in
continua formazione lungo le zone di risalita di materiale caldo mantellico,
dette dorsali oceaniche. Risulta poco spessa e di diversa natura chimica
rispetto la controparte. Risulta più pesante e densa.
La genesi continua di nuova crosta oceanica fa sì che quella già formata venga
allontanata per spinta verso aree più distali rispetto l’area di genesi. In alcuni casi i
continenti vengono spinti allontandosi (deriva dei continenti) oppure scontrandosi
(orogenesi). Alcune volte la crosta oceanica semplicemente si inabissa sotto la crosta
continentale (subduzione). Quest’ultima più leggera tende al galleggiamento e la
crosta oceanica in continua spinta semplicemente si inabissa. Scendendo in
profondità e seguendo la crosta oceanica in suduzione si generano profonde e lineari
depressioni (fosse oceaniche) circa parallele alla direzione del piano di subduzione,
colmate parzialmente da sedimenti marini di mare profondo. La caratteristica
interessante è il magmatismo: Le rocce, finora solide, andando in profondità
acquisiscono calore ed i lembi di sedimenti possedendo una frazione di acqua
interstiziale e nei cristalli di alcuni minerali (acqua reticolare), il materiale fonde
66
parzialmente e richiede una minore temperatura di fusione. L’acqua aiuta ad
abbassare la temperatura che si deve raggiungere per fondere un materiale roccioso.
Il primo a fondere è il materiale continentale a contatto con questi lembi della crosta
oceanica in subduzione, infatti richiede una temperatura di fusione minore la crosta
continentale rispetto la crosta oceanica. I magmi in risalita sono generati secondo
una fusione solo parziale (pochi punti percentuali del materiale roccioso di partenza).
Posseggono una minore densità del materiale vicino allo stato solido (infatti sono
fluidi ora) e tendono a risalire (come bolle di gas in un budino). Risalendo però
incontrano molti ostacoli, infatti le rocce con cui vengono a contatto si scaldano e
possono fondersi parzialmente oppure solo interagire con i magmi. Il risultato è che
il magma risalendo attraverso la crosta continentale varia la sua chimica originaria.
Il magma tende a risalire attraverso una serie di camere magmatiche ubicate a
diverse profondità e collegate tra loro. In ognuna di esse possono avvenire molti
processi di interazione chimica e procedendo nella risalita il prodotto fuso diventa
sempre più ricco in silice ed elementi incompatibili, infatti il magma risalendo si
arricchisce in alcuni elementi chimici preziosi e tende a concentrarli. Alcuni li ottiene
nel processo genetico di fusione iniziale, altri li ottiene durante il percorso per
interazione con le rocce circostanti. Questi elementi chimici non tendono a
cristallizzare cristalli propri piuttosto potrebbero essere inclusi in tracce in altri
cristalli. Il magma risale fin quando non riesce più a trovare una via preferenziale
oppure finchè la sua energia di risalita si annulla e cristallizza in milioni di anni dando
origine ad una roccia magmatica plutonica. Nel caso esso estruda arrivando alla
superficie terrestre si otterranno le rocce vulcaniche. La risalita dei magmi tende ad
essere veicolata da strutture geologiche preferenziali, ad esempio piani di
deformazione duttile (shear zones) nella crosta intermedia e profonda e piani di
deformazione fragile (faglie) nella crosta superiore. I magmi vi si infiltrano e risalgono
interagendo con le rocce circostanti. Il magmatismo si forma sia nella fase di
collisione tra placche che nella fase subito successiva (post‐orogenica). In tale fase i
magmi risalgono preferenzialmente lungo le strutture fragili dell’orogene (faglie o
contatti tettonici). I magmi ed i fluidi caldi correlati, fluidi idrotermali, i quali
generano circuiti convettivi nelle vie preferenziali anche a grande distanza dal
plutone, il quale fornisce il calore necessario per la mobilitazione, offrono vie
preferenziali di arricchimento e passaggio in soluzione di alcuni elementi preziosi ed
incompatibili. I magmi finali, cioè quelli che cristallizzano per ultimi, saranno molto
diversi da quelli primitivi a causa delle interazioni avvenute durante il percorso.
Possederanno elementi pesanti, importanti e preziosi che tendono a concentrarsi
nelle zone superficiali, dette apicali, altri invece verranno inclusi in alcuni minerali
che sono già cristallizzati in fasi precedenti. L’oro in questo contesto tende a
concentrarsi nei minerali accessori maggiormente che in quelli principali delle rocce
magmatiche.
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N.13 Esempio di collisione tra due placche tettoniche costituite da crosta continentale ai margini in sezione geologica:
vi è un generale ispessimento della catena orogenica risultante e genesi di magmi in profondità. Tali magmi caldi in
risalita tendono a intrudere lungo strutture duttili in profondità e successivamente fragili in superficie. La risalita di
tali magmi e la successiva messa in posto e cristallizzazione generano i cosidetti plutoni genera nel tempo circuiti
idrotermali nelle porzioni rocciose circostanti, preferenzialmente lungo altre strutture duttili‐fragili. Si noti che il
plutone stesso in risalita può generare al suo passaggio fratturazione e deformazione duttile nelle porzioni
circostanti. La presenza di oro è talvolta relazionabile all’intrusione nel passato geologico di uno o più corpi
magmatici (Es. plutone della Valle Cervo, plutone di Traversella & Brosso, plutone dell’Adamello, corpi magmatici
correlati al Lineamento Insubrico in senso lato, etc).
La comprensione della genesi dei magmi e della messa in posto dei plutoni è
importante per comprendere al meglio i processi idrotermali che hanno luogo grazie
a tale fonte di energia. Risulta semplice pensare ai magmi come motore principale
della circolazione idrotermale, la quale fornisce calore al sistema e genera i
movimenti convettivi, fondamentali per lisciviare il metallo prezioso da una vasta
porzione rocciosa incassante al sistema di fratture dove ha sede la circolazione e la
successiva precipitazione in un volume minimo, generando la mineralizzazione
aurifera. Il calore stesso influenza la cinetica delle reazioni geochimiche.
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N.14 Collisione di crosta oceanica (a sinistra) e crosta continentale (a destra) con subduzione della prima rispetto la
seconda in sezione geologica: durante l’orogenesi vi è un ispessimento della catena, la quale in profondità genera
magmi, i quali risalgono lungo strutture geologiche preferenziali. Gli stessi fluidi metamorfici tendono a risalire lungo
vie preferenziali (shear zones, faglie) oppure concentrarsi in rocce deformate, tipicamene nelle zone di cerniera, dove
la fratturazione e deformazione risulta maggiore (rappresentate nel disegno sovrastante con il color verde chiaro).
Alcune nozioni fondamentali in pillole:
Elementi incompatibili: hanno un raggio ionico o una carica con un valore troppo
elevati per entrare a far parte di strutture cristalline, quindi rimangono nel fuso o
fluido (raggio elevato: Rb, Cs, Sr, Ba, K; carica elevata: Zr, Hf, Ta, Nb, Th, U, Mo, W).
Elementi compatibili: essi tendono a far parte delle strutture cristalline dei minerali
sotto forma di tracce, piuttosto che formare nuovi minerali propri formando degli
inclusi nei cristalli adiacenti (esempi: Cr, V, Ni, Co, Ti).
69
sede principalmente nelle porzioni incassanti al plutone, nell’aureola
termometamorfica. I fluidi sono importanti perché forniscono il mezzo di
spostamento ad alcuni elementi chimici. Un esempio apprezzato è immaginare i
fluidi come un taxi, i clienti sono gli elementi chimici che per andare ad una festa
prenderanno lo stesso taxi in tempi diversi. Alla fine di tutti quei viaggi, il taxista,
oltre che essere ricco, avrà portato molte persone alla festa. Nel caso reale in una
porzione localizzata, detta deposito (il salone della festa) ci sarà una grande
concentrazione di elementi chimici utili, la mineralizzazione (persone alla festa).
L’assetto strutturale: Le rocce impilandosi o già nella loro genesi possono aver creato
o possedere microfratture o fratture (zone di fragilità) piuttosto che porzioni più
suscettibili alla deformazione duttile. Se soggette ad un regime di stress esterno, esse
tendono nel tempo a riattivarsi ed estendersi nello spazio. La risalita di un magma è
un fattore importante di stress, aumentando localmente sia la pressione che la
temperatura. Le rocce nei pressi si deformano, si fratturano e possono interagire con
il magma che si infiltra nelle fessure. La roccia che contiene il plutone è detta
incassante e l’aureola termo‐metamorfica è la porzione più soggetta a temperature
e pressioni imposte dal plutone. Alcune reazioni chimiche sono possibili proprio
grazie a tali condizioni e la roccia incassante iniziale potrebbe subire grandi variazioni
nella sua struttura e mineralogia. Essa può fondersi parzialmente producendo rocce
dette migmatiti, oppure cambiare chimicamente, ricercando una stabilità nelle
nuove condizioni di pressione e temperatura imposte dal plutone (metamorfismo di
contatto). Le rocce a contatto con il plutone possono cambiare notevolmente. I fluidi
meteorici discendono verso il plutone, si riscaldano grazie al calore che possiede e
rilascia, anche se già cristallizzato, e risalgono, formando un circuito convettivo. In
questo processo vengono a contatto con molte rocce e minerali, alcuni dei quali
instabili e suscettibili. Essi si disciolgono, passando in soluzione. I fluidi idrotermali
più sono reattivi chimicamente con la roccia incassante e più lisciviano minerali. Ad
un certo punto il fluido può diventare sovrasaturo rispetto le condizioni ambientali
locali e rilascia il suo carico. Precipitano minerali tra i quali anche piccoli cristalli di
oro. Anche altri minerali si formano nel medesimo momento. Essi possono fornire
indicazioni importanti e sono minerali indice nella prospezione mineraria. Un caso
degno di nota è l’ausilio dei complessi, infatti alcuni metalli o elementi chimici non
tendono ad essere lisciviati con facilità dalle rocce che li contengono, ma nel caso nel
fluido siano presenti dei complessi adatti essi facilmente si legano ad essi con legami
tipicamente covalenti. Nel momento che i complessi non sono più stabili nel fluido e
precipitano, anche gli elementi legati fanno lo stesso, questo è il motivo secondo il
quale di solito l’oro è nella pirite, detta pirite aurifera.
70
N.15 Migrazione di fluidi nella crosta lungo strutture preferenziali e canali deformativi in sezione geologica: le
mineralizzazioni aurifere si generano nel momento che il fluido idrotermale mineralizzante subisce una o più
condizioni geochimiche necessarie alla precipitazione del minerale in quantità economiche. Si noti come i fluidi
vengano veicolati in direzioni preferenziali e come i piegamenti siano importanti per la genesi di alcune tipologie di
mineralizzazioni. Tendenzialmente in questi contesti le mineralizzazioni si ritrovano lungo zone di cerniera. È inoltre
importante sottolineare come le rocce già presenti e deformate (rocce carbonatiche, ad esempio calcari ‐> marmi)
siano poi tendenzialmente sede preferenziale di reazioni mineralizzanti (ad esempio la skarnizzazione).
Tenore: grado di concentrazione di un minerale o un elemento in una roccia o
giacimento (wt %, ppm, g/t, V%).
Giacimento: porzione di crosta terrestre con un contenuto in minerale utile
economicamente sfruttabile e legalmente accessibile al momento attuale.
Cut‐off: il tenore minimo coltivabile in un giacimento. Cambia da situazione a
situazione e nel tempo a seconda di molteplici fattori (prezzo del mercato
internazionale o nazionale, domanda‐offerta, situazione logistica, costo
manodopera, costo brucatrico, etc.).
Ore body – corpo minerario: il volume di roccia che presenta un tenore pari o
superiore al cut‐off, il resto è considerato sterile (si noti come tale volume può
variare nel tempo a seguito delle variazioni del cut‐off).
Le risorse: sono concentrazioni di sostanze minerali (solide, liquide, gassose) con
caratteristiche tali che la loro estrazione economica è attualmente o potenzialmente
fattibile.
71
Le riserve: rappresentano quella parte delle risorse che può essere estratta
economicamente e legalmente in un certo momento.
Le “reserve base”: termine comprensivo per indicare le riserve in senso stretto e le
riserve sub‐economiche.
La circolazione idrotermale ed i fluidi idrotermali
Le cosiddette “vene” sono intese in senso lato per depositi che si sono formati entro
fratture preesistenti o in fratture generate sin‐riempimento stesso. La precipitazione
dei minerali nelle fratture è tipicamente correlata alla circolazione di fluidi acquosi.
Molti dei depositi auriferi primari di importanza economica occorrono in questa
situazione. I depositi idrotermali si sono formati grazie alla precipitazione dei
minerali da soluzioni acquose, spesso calde e che trasportavano alcuni elementi utili
attraverso la trama di fessure nella roccia incassante. Questi fluidi interagiscono con
le rocce incassanti e le possono alterare chimicamente (alterazione idrotermale),
variando sia la composizione chimica dei fluidi stessi che quella delle rocce. Possono
venire lisciviati alcuni elementi dalle rocce e concentrati nel fluido fessurale oppure
fissati altri elementi (trappola geochimica). La roccia incassante risulta alterata
idrotermalmente sulla base di questa tendenza o meno. È errato pensare che solo la
vena possa contenere oro, potrebbe risultare più arricchito l’incassante che la vena
talvolta. Inoltre, nella stessa vena vi possono essere zone più arricchite in minerali
utili ed altre completamente sterili. I fluidi idrotermali caldi sono derivati da
complessi plutonici profondi principalmente, i quali raffreddandosi rilasciano molto
calore. I fluidi in questo caso derivano sia dal plutone stesso (fluidi magmatici o
juvenili) che dalle reazioni metamorfiche nell’aureola termometamorfica (fluidi
metamorfici). I fluidi freddi infiltranti dalla superficie terrestre (fluidi meteorici)
possono risalire dal momento che raggiungono una termperatura tale da generare
un effetto convettivo efficace verso la superficie. Una volta che i fluidi risalgono,
tendono a raffreddarsi, ed al variare di alcune condizioni termodinamiche rilasciano
alcuni elementi precipitandoli. Ecco che precipita l’oro piuttosto che altri minerali.
Nel fluido però risulta una maggiore concentrazione dei rimanenti rispetto il totale
(in quanto sono stati rimossi quelli precipitati) procedendo alla soglia di saturazione
più facilmente e quindi ad una successiva precipitazione di altri minerali. Non solo
variano le condizioni ambientali locali favorendo o meno la precipitazione di oro
nativo o minerali che contengono oro in tracce incluso o nel reticolo cristallino, ma
anche la sua soglia di saturazione nella soluzione. La geochimica delle diverse
tipologie di fluidi e le condizioni termobariche sono fondamentali. Alcuni fluidi
percolanti verso il basso possono trasportare elementi estratti dalle rocce alterate
superficiali. Alcuni fluidi caldi in risalita convettiva dalle profondità vengono
considerati più efficienti nel lisciviare elementi dalle rocce incassanti il plutone o dal
72
plutone stesso cristallizzato o in cristallizzazione. Le rocce basiche ed ultrabasiche
non solo contengono tendenzialmente una maggiore percentuale di metalli pesanti
(tra cui l’oro) ma sono in genere molto reattive a fluidi con Ph acidi o leggermente
acidi e caldi. L’alterazione idrotermale è inoltre molto visibile, in quanto il
cromatismo di rocce incassanti la trama di vene idrotermali tende ad essere rossiccio
– marronino, mentre la roccia non coinvolta è verde scuro – nerastra.
N.16 Esempio della circolazione idrotermale correlata ad una intrusione magmatica in sezione geologica: si noti come
la presenza di deformazione duttile (pieghe antiformi) e di deformazione fragile (faglie – fault) tendono a veicolare
non solo i dicchi magmatici (dike) ma anche in posizioni più superficiali i fluidi caldi in risalita lungo tali tali strutture
geologiche. Questi fluidi caldi idrotermali risalendo a livelli crostali più superficiali andranno incontro a condizioni
geochimiche e termobariche tali da generare depositi economici. L’oro come minerale primario economico può essere
presente in diversi contesti crostali e in differenti tipologie di depositi auriferi primari.
73
I fluidi potrebbero anche precipitare minerali man mano che la frattura si
ingrandisce, in tal caso i minerali precipitati procederanno dall’interno verso
l’esterno. I minerali precipitati da fluidi caldi danno origine ai depositi idrotermali. La
roccia che contiene le fessure, detta incassante, può aiutare o contrastare i processi
genetici. Le rocce sono composte da minerali ed alcuni risultano molto reattivi ai
fluidi caldi a contatto. Queste rocce possono alterarsi o anche essere “divorate” dai
fluidi aumentando la trama di vene man mano che il fluido percola, aumentando il
grado di porosità e permeabilità efficace. Questo aspetto è tipico nelle rocce
carbonatiche. In questo caso si dice che il deposito idrotermale è uno skarn. Infatti,
esso si imposta al posto delle rocce incassanti carbonatiche, ora non più presenti in
quanto portate in soluzione dai fluidi. Bisogna tener conto inoltre che i fluidi,
essendo incomprimibili permettono la circolazione lungo le fratture anche in
profondità. Se ciò non fosse, le fratture si richiuderebbero in pochi istanti. Un ruolo
fondamentale è quello esumativo e del livello strutturale in cui il deposito si sviluppa.
Nel caso di giacimenti impostati in aree alto‐crostali, essi saranno suscettibili
all’erosione nel breve periodo, successiva all’esumazione. Nel caso di depositi
mesotermali e ipotermali, essi verranno esumati in tempi di solito successivi.
N.17 L’immagine mostra in maniera semplificata il percorso dei fluidi idrotermali. Essi vengono generati da un
serbatoio di fluidi e solo successivamente si arricchiscono di alcuni elementi, per esempio i metalli o l’oro, lisciviandoli
e rimuovendoli dalle rocce serbatoio. Quindi, a causa di una variazione repentina di alcuni parametri cedono
totalmente o parzialmente i metalli in soluzione, a seconda degli elementi non più in equilibrio e sulla base della loro
costante di solubilità ad esempio.
74
Classificazione dei sistemi idrotermali
La classificazione proposta di seguito si basa sui seguenti parametri: temperatura,
profondità e pressione. La mineralogia delle vene che sono ritrovabili nei differenti
depositi auriferi primari può variare notevolmente. Alcuni minerali precipitano a
determinati range di temperatura e pressione. Riconoscendo l’associazione minerale
associata al contesto di studio è possibile delinearne le condizioni termo‐bariche di
genesi.
Deposito epitermale (profondità minore di 3 Km)
Si formano a relative basse profondità, temperature e pressioni. La temperatura al
momento della formazione si aggira attorno ai 50‐200°C. Minerali comuni ritrovabili
in questo contesto idrotermale sono: quarzo, opale, calcedonio, calcite, aragonite,
dolomite; tra gli alogenuri: fluorite, cloro‐argite; tra i solfati la barite. L’oro rimane
un componente localmente importante. Tra i solfuri si possono riconoscere: realgar,
cinnabro, acantite, pirite, orpimento, stibnite, proustite e pirargite. I principali
metalli estratti sono: argento, oro e mercurio.
Deposito mesotermale (profondità intermedia tra 3 e 15 Km)
Si formano a profondità, temperature (1.5‐0.6 Kb) e pressioni intermedie. Il range
della temperatura di formazione si aggira attorno ai 200‐300°C. Quarzo e carbonati
sono minerali comuni, oltre a calcite, ancherite, siderite, dolomite e rodocrosite.
L’oro rimane è il principale minerale economico estratto in questo contesto e tra i
solfuri si riconoscono: galena, sfalerite, calcopirite, pirite, bornite, arsenopirite e
tetraedrite. Altri metalli economici sono rame, zinco, argento, oro e piombo. I
depositi auriferi primari mesotermali (mesotermal lode‐gold deposits) si possono
ritrovare in un contesto geodinamico orogenico. L’età riscontrata nei vari depositi
auriferi mondiali di questo tipo è tipicamente archeana‐terziaria. Dal punto di vista
delle quantità di oro estrabili, il valore varia da qualche decina di tonnellate a più di
100 tonnellate, inerenti ad un deposito singolo. Alcuni distretti minerari arrivano a
contare quantità maggiori di 1500 tonnellate di oro. I tenori sono molto variabili con
una media di 5‐25 g/t. Le rocce incassanti sono tipicamente associate a facies scisti
verdi‐anfibolitiche. La relazione con il plutonismo è variabile da possibile a probabile
‐ assente. Tendenzialmente è presente un forte legame con la tettonica fragile
(faglie). Rispetto all’orogenesi questi depositi si formano in un tempo di poco
successivo all’evento principale, quindi in tempi precoci delle fasi orogeniche tardive.
I corpi minerari sono impostati secondo vene di quarzo, sovente listate; zone
mineralizzate con forte continuità verticale. Le vene sono costituite tipicamente a
prevalente ganga quarzoso‐carbonatica. La mineralizzazione ad oro si mostra sotto
forma di oro nativo, in genere con un contenuto in argento relativamente basso
75
(Au/Ag > 1). La mineralogia tipica osservabile sui campioni di questo tipo di deposito
sono: quarzo, carbonati (Ca‐Mg‐Fe), arsenopirite, pirite, etc.
La percentuale di solfuri è estremamente variabile lungo queste vene, anche se sono
molto importanti e spesso indicano zone ad arricchimento aurifero vicine o negli
stessi agglomerati di solfuri. L’alterazione idrotermale è principalmente:
carbonatazione, sericitizzazione.
Deposito ipotermale (profondità maggiore di 15km)
Si forma a grande profondità ed elevate temperature (300‐500°C). Le vene sono
tipicamente a cassiterite, wolframite e molibdeno. Vi sono anche vene ad oro in
matrice quarzosa oppure a rame nativo ‐ tormalinite o piombo. Minerali che sono
ritrovati nei depositi ipotermali includono: quarzo, fluorite, tormalina e topazio.
Minerali importanti dal punto di vista economico sono: oro nativo e tra i solfuri:
galena, calcopirite, pirite, molibdenite, bismutite e arsenopirite. Tra gli ossidi
vengono riconosciuti: uraninite, cassiterite e magnetite. Si denota la presenza alle
volte di wolframite ricca in tungsteno (scheelite). I metalli estraibili con profitto dai
depositi ipotermali sono rame, molibdeno, stagno, tungsteno, oro e piombo.
N.18 Profilo geologico trasversale alla zona di deformazione analizzata. Si noti come l’associazione mineralogica
associata al deposito idrotermale (ipo‐meso‐epi) vari con le profondità e i valori termobarici associati. La tipologia di
deformazione prevalente al livello strutturale studiato influenza notevolmente il deposito aurifero primario al
momento della formazione e la successiva conservazione. I depositi auriferi primari epitermali tenderanno ad essere
76
erosi in breve tempo, mentre i corrispettivi mesotermali ed ipotermali richiederanno un maggior tempo per giungere
ad una esumazione subaerea e successiva erosione.
L’idrotermalismo
Con il termine idrotermalismo si intende la circolazione di un fluido caldo, in genere
prevalentemente acquoso. Le temperature possono essere estremamente variabili,
ma sensibilmente più alte dell’incassante. Si va da un minimo di 50‐60°C fino a 600°C.
La composizione dei fluidi è molto variegata: H2O, CO2, CH4, N2, H2S, HS, SO2, Si, Na,
Ca, K, Mg, Fe, Al, Cl, F, B. L’origine dei fluidi può essere prevalente oppure
sommatoria di differenti contributi: magmatici, meteorici, formazionali (connati),
metamorfici. Tali fluidi circolano tipicamente nelle porzioni della crosta permeabili,
ed in alcuni casi possono raggiungere la superficie terrestre (es. campi geotermici),
lungo zone permeabili (tipicamente sistemi di frattura o faglie). Possono dar luogo a
precipitazioni minerali (vene idrotermali, impregnazioni) sovente arricchiti in
minerali economici. La formazione di molti giacimenti metalliferi o di minerali
industriali passati ed attuali è legata a processi idrotermali.
Sistema idrotermale mineralizzato
È composto da:
‐ Sorgente dei fluidi: essi si originano in una porzione rocciosa a seguito di
infiltrazione e risalita per aumento T (ed aumento di volume, minore
densità), oppure a seguito di processi metamorfici per esempio. Si generano
con una certa composizione chimica e proprietà chimico‐fisiche (Eh‐pH). Tali
qualità tenderanno a variare lungo il percorso del sistema idrotermale. In
genere non contiene l’elemento poi ritrovato nella mineralizzazione;
‐ Sorgente delle sostanze disciolte (lisciviazione – leaching): si intendono le
rocce contenenti gli elementi chimici che verranno presi in carico dai fluidi
circolanti. L’alterazione idrotermale prodotta nelle rocce rocce incassanti a
contatto con i fluidi idrotermali può essere un’ottima fonte di lisciviazione
degli elementi economici ivi contenuti. La lisciviazione permette
l’arricchimento del fluido negli elementi economici;
‐ Percorso di migrazione: si intende il percorso tra la sorgente dei fluidi alla
località deputata alla precipitazione e la locale anomalia geochimica
(deposito – giacimento) associata. Nel percorso variano sia la chimica del
fluido che le condizioni P‐T, inoltre si ha un diverso rapporto con le rocce
incassanti, più o meno fratturate, più o meno alterabili;
77
‐ Fonte di energia per la migrazione (termica: plutoni, Hot spots, gradienti
geotermici anomali; meccanica: shear zones, faglie): è il motore che muove
i fluidi e rende possibile il corretto funzionamento del sistema idrotermale;
‐ Località di precipitazione e fattori chimico‐fisici associati: questi ultimi sono
fondamentali per l’arricchimento localizzato dell’elemento economico. Vi è
un forte controllo strutturale.
Per la formazione di depositi auriferi idrotermali, gli elementi economici che
formano la mineralizzazione devono essere prima disciolti e poi depositati. Si ha
dissoluzione nel caso il fluido sia sottosaturo in un certo minerale (lisciviazione),
deposizione nel caso il fluido risulti sovrasaturo. Almeno un parametro (pressione P,
temperatura T, composizione chimica X, pH, Eh) deve variare, in pratica i fluidi
idrotermali devono migrare per formare un deposito e trovarvi le giuste condizioni
per generarlo. Tipicamente i giacimenti risultano in fortissime anomalie geochimiche
molto localizzate rispetto i volumi rocciosi lisciviati e percorsi.
L’alterazione idrotermale
L’alterazione idrotermale può risultare volumetricamente maggiore rispetto le vene
mineralizzate adiacente; ciò dipende dalla tipologia di fluido circolante e dalla
reattività delle rocce incassanti, talvolta esse stesse risultano arricchite in elementi
economici rispetto alla vena per impregnazione. Di solito l’alterazione idrotermale
risulta un ottimo marker per l’esplorazione mineraria. Una caratteristica delle zone
interessate da circolazione di fluidi è la presenza, quasi ubiquitaria, di fenomeni di
alterazione idrotermale, la quale può essere spunto di indagini minerarie.
L’alterazione idrotermale deriva dal disequilibrio chimico e fisico, più o meno
marcato, pervasivo tra il fluido circolante e la roccia incassante. Sono variabili molto
importanti la natura chimica e l’evoluzione dei fluidi nel tempo e nello spazio, vi
possono inoltre essere notevoli conseguenze sulla precipitazione dei minerali. Sulle
miche e carbonati si possono eseguire anche datazioni assolute ma in generale
risulta difficile datare i depositi idrotermali. Nel diagramma sottostante (N.19) si
osservano le principali facies di alterazione. Il diagramma è calibrato per le rocce
quarzoso‐feldspatiche e per questo motivo è costruito sulla base dei campi di
stabilità di silicati di K, Al, (K‐feldspato, muscovite, caolinite, pirofillite), separati da
curve di reazione. A causa del carattere metasomatico (scambio di materia dal
sistema considerato) dell’alterazione idrotermale, le stesse facies di alterazione del
diagramma sono però comuni anche in rocce di diversa composizione.
Tendenzialmente un’alterazione idrotermale di alta temperatura genera minerali di
dimensioni maggiore (concetto applicabile anche al metamorfismo), mentre
un’acidità più sostenuta (pH bassi) tende a produrre solfuri invece che ossidi, oltre
78
ad un’alterazione idrotermale più pervasiva e marcata. Si ricorda anche che la
temperatura agisce velocizzando le reazioni. Le facies di alterazione idrotermale
conferiscono talvolta le uniche informazioni accessibili sul terreno in quanto la
struttura della roccia potrebbe essere stata obliterata.
N.19 Grafico riassuntivo per quanto riguarda i principali tipi di alterazione idrotermale in un sistema quarzoso –
feldspatico.
Questo grafico (N.19) funziona in linea di massima anche con altre rocce oltre che il
sistema quarzoso feldaspatico. Si passa ora all’analisi in dettaglio delle varie porzioni
in maniera schematica:
79
alterazione idrotermale sono anche ritrovabili nelle facies scisti verdi del
sistema basico. Alle volte è molto localizzata, altre molto invasiva rispetto il
volume roccioso. Rispetto il corpo minerario tende a generare una sorta di
carapace o copertura che è indicativa per indicare i limiti del corpo minerario
stesso. Si noti che l’alterazione propilitica è singenetica e potrebbe poi
seguire l’alterazione meteorica (epigenetica). È segnata dalla comparsa di:
clorite, epidoto, albite, carbonati (calcite, dolomia, ancherite), magnetite;
80
Introduzione di boro nel sistema, tipicamente in porzioni rocciose adiacenti a
plutoni. La tormalinizzazione tende essere tardo‐magmatica. La tormalina cresce in
siti ricchi in Al (miche per esempio o granati alluminiferi);
‐ Albitizzazione
Si sviluppa sotto forma di aggregati a grana medio‐grossa di albite, quarzo e clorite.
Risultano essere rocce utili per l’industria ceramica, specialmente se con un alto
contenuto in Na (basso fondenti);
Alcune considerazioni
Il trasporto dei metalli in soluzioni idrotermali
Vi sono diverse tipologie di trasporto idrotermale:
Il trasporto ionico
Risulta tecnicamente insufficiente nel generare depositi con un certo tenore e
cubatura. Il trasporto contemporaneo di Pb e H2S (per la genesi di galena) in quantità
tali da permettere la formazione di un giacimento è possibile solo per valori di pH
molto bassi (minori di 3), i quali risultano incompatibili con l’incassante carbonatico
(esempio degli MVT, giacimenti in unità carbonatiche, si pensa legati alla presenza di
livelli più ricchi in materia organica, i quali agiscono come trappola geochimica).
Il trasporto dei metalli come ioni complessi
Per ione complesso si intende uno ione metallico (metallo), il quale è legato
attraverso un legame covalente a delle molecole (neutre) o a ioni con carica negativa
(leganti).
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Ione complesso = metallo + legante
Il legante agisce influenzando talvolta pesantemente la solubilità del metallo,
altrimenti bassa. Quando il legante precipita anche la solubilità del metallo legato
varia e tende quindi a precipitare il metallo correlato nel medesimo momento
temporale e nello spazio a disposizione in quel momento. Principali leganti possono
essere: HS‐, H2S, Cl‐ [ambiente salino], OH‐, NH3, F‐, SO42‐ e leganti organici.
Principali tipi di complessi
‐ Complessi dello zolfo o tiocomplessi (HS‐, H2S) [ambiente acido];
‐ Complessi del cloro (Cl‐);
‐ Complessi dello zolfo (composti momentanei)
Sono stabili in soluzioni con alto contenuto in H2S e posseggono un’alta efficienza nel
trasporto dei metalli, ad esempio dell’oro. Secondo Seward (1982) sono molto
importanti come leganti dell’oro fino a temperature di circa 400°C. I tiocomplessi
auriferi più tipici sono: Au(HS)2‐, AuHS.
‐ Complessi del cloro (ambiente salino)
Il Pb invece tende ad essere mobilizzato secondo complessi al cloro. L’oro tende a
risultare in maggiore quantità in complessi a zolfo che a cloro. In generale, se la
soluzione risultasse salina, il trasporto dei metalli risulterebbe migliore (visibile
attraverso la chimica dei fluidi intrappolati). L’importanza dei complessi al cloro è
visibile in molti sistemi idrotermali in cui è suggerita la presenza di cristalli di NaCl e
molti altri fluidi e sali nelle inclusioni fluide. I complessi al cloro sembrano essere più
stabili dei complessi allo zolfo ad elevate temperature (>350°C). Alcuni esempi di oro
ed argento ritrovabili in complessi al cloro possono essere: AuCl2‐, AgCl. I complessi
al cloro risultano importanti per il trasporto di metalli base quali: Cu Pb Zn.
Deposizione dei metalli da soluzioni idrotermali
Avviene con la variazione di alcuni dei seguenti fattori, i quali agiscono come
determinanti alcune volte mentre altre sono contemporanei e concorrono insieme
nel processo di metallogenesi delle mineralizzazioni:
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‐ Variazione repentina del pH (trappola redox; orizzonti a differente pH);
‐ Mixing di fluidi con caratteri chimico‐fisici differenti (di solito mixing con
fluidi idrotermali e meteorici (forte differenza nella salinità; differente
temperature; diverso pH);
‐ Boiling: la decompressione rende il liquido in ebollizione con produzione di
gas, quindi alcuni metalli tenderanno a concentrarsi nel liquido piuttosto che
nel gas. È una reazione molto pervasiva e invasiva. Varia pesantemente la
solubilità;
‐ Reazioni con l’incassante e presenza di sostanze utili a prendere in carico
metalli nel fluido (lisciviazione) o viceversa (precipitazione). Si tratta di
orizzonti trappola, specialmente quando l’incassante varia litologicamente
in maniera repentina. Sono un esempio gli scisti neri, ricchi di materia
organica, oppure i livelli carbonatici (metamorfosati o non) a spese dei quali
si generano gli skarn e skarnoidi.
La formazione di una mineralizzazione è favorita da forti cambiamenti in un intervallo
temporale breve e spaziale relativamente ristretto, inoltre è preferibile una
concentrazione il più alta possibile in uno spazio minore possibile (alto tenore, bassa
cubatura). Per diluizione, alcune componenti del sistema potrebbero cambiare la
propria concentrazione, alcune volte andando a fornire reagenti che prima erano
considerati come limitanti ed in quel momento, presenti in grande quantità, rendono
possibile la precipitazione, i metalli legati a tali complessi variano in poco tempo la
loro solubilità e precipitano anch’essi.
Boiling ‐ ebollizione
All’entrata in ebollizione del liquido idrotermale, si separano due fasi tra loro
immiscibili a densità molto diversa: liquido e vapore. Gli elementi disciolti nel liquido
iniziale tenderanno a concentrarsi preferibilmente nella fase liquida o nella fase
vapore, che avranno in genere composizione molto diversa (tra loro e rispetto al
fluido di partenza).
83
N.20 Grafico che illustra l’immiscibilità di una soluzione acquosa al variare della temperatura a pressione costante.
Si noti come vi è un grande campo di coesistenza di due fluidi immiscibili (fase liquida e fase gassosa). I metalli in
soluzione come ioni o complessi tenderanno a concentrarsi nella fase liquida o nella fase vapore preferenzialmente.
Si noti che al di sopra di una certa pressione non vi è smescolamento, ergo oltre una
certa profondità vi è un unico fluido e poi con la decompressione (risalita nella
crosta) può avvenire il boiling una volta superato il valore di soglia.
La genesi di vapore influenza anche il contenuto salino del liquido rimasto, il quale
tenderà a mostrare un maggior contenuto rispetto lo stadio iniziale. Questi fenomeni
sono frequenti dove vi è una grande differenza di pressione, specialmente quando
diminuisce eccessivamente (decompressione veloce e repentina; possibile del
legame con i terremoti).
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N.21 Diagramma utile per capire lo stato di aggregazione nelle inclusioni fluide dei fluidi contenuti ed intrappolati
durante la cristallizzazione dei cristalli principali (quarzo ad esempio ed altri). Il diagramma è in funzione della
pressione e salinità. I cristalli di halite vengoni indicati con i quadrati blu, la fase gassosa con gli ellissi arancioni, la
fase liquida con il volume bianco rimanente nella inclusione fluida, i cui limiti sono evidenziati in nero.
Per il sistema acqua‐NaCl, l’ebollizione di un fluido a salinità del 20% genera un
liquido con salinità del 50% coesistente con vapore a salinità quasi nulla. Tutti questi
cambiamenti hanno forti conseguenze sulla solubilità dei metalli. Dalle inclusioni
fluide è possibile derivare se al momento della precipitazione del minerale vi era un
fluido solo o una coesistenza di una fase liquida ed una a vapore.
Ruolo delle diverse variabili nella metallogenesi delle mineralizzazioni
‐ Una repentina diminuzione della temperatura favorisce la precipitazione ma
non è sufficiente da sola per una concentrazione efficiente;
‐ Boiling e mixing risultano importanti in quanto sono fonti di profondi
cambiamenti nelle caratteristiche del fluido mineralizzante;
‐ Le reazioni con l’incassante sono molto importanti, soprattutto in sistemi di
circolazione “profonda” (ad esempio mesotermali ed ipotermali).
Ruolo dell’incassante nella genesi delle mineralizzazioni
85
prospezione aurifera sono ubicate dove una trama di vene idrotermali si imposta in
rocce incassanti ricche in materia organica (scisti neri) oppure rocce ricche in ferro.
Entrambi le situazioni favoriscono la deposizione di oro sia nell’incassante stesso
adiacente alla vena che nelle porzioni di vena. Nel caso di una roccia incassante ricca
in ferro, gli ossidi di ferro reagiranno generando pirite ed insieme a tale solfuro
precipita anche l’oro. È logico che tale risvolto risulti molto localizzato e
tendenzialmente quindi con tenore interessante. Nei giacimenti auriferi mesotermali
(archeani a fanerozoici) l’oro, che ricorre sia in vena sia nell’incassante alterato, è
mediamente più abbondante in settori in cui le vene idrotermali si impostano in
rocce più arricchite in ferro. Questo è dovuto al ruolo che ricopre l’alterazione
idrotermale sulla precipitazione dell’oro, infatti, in rocce arricchite in ferro (come
ossido di ferro, ma anche nei normali minerali femici) composti quali H2S e HS
reagiscono facilmente con produzione di pirite. Il locale impoverimento di H2S nel
fluido favorisce la precipitazione dell’oro per mancanza repentina del trasporto per
complesso di zolfo. In tale reazione la solubilità dell’oro varia repentinamente fino a
giungere alla saturazione in poche frazioni di secondo. Gli studi sui sistemi
idrotermali attuali e fossili dimostrano che un gran numero di reazioni tra fluidi e
roccia incassante può determinare o favorire la deposizione delle mineralizzazioni.
Esse dipendono naturalmente dai caratteri chimico‐fisici del fluido e dalla litologia e
reattività dell’incassante. L’importanza di tali reazioni è riscontrata soprattutto in
giacimenti idrotermali mesotermali ed ipotermali. In depositi auriferi primari
superficiali come quelli epitermali, almeno in parte, corrispondenti fossili degli
attuali campi geotermici, appaiono in genere più importanti i fenomeni di boiling e
mixing nella genesi delle mineralizzazioni.
Prospezione mineraria, fattori critici e chiavi di prospezione
La necessità di una classificazione univoca ma flessibile
Le classificazioni dei depositi minerari provvedono alle strategie di esplorazione
mineraria, nella valutazione dei progetti di prospezione e nelle tecniche di estrazione
o coltivazione durante il periodo di sfruttamento, oltre che nelle fasi di
processamento stesse. Una classificazione dei giacimenti auriferi primari è richiesta
per sopperire a tutti gli aspetti appena esaminati. Deve sostenere alcuni aspetti
considerati fondamentali, quali: la roccia incassante, l’ambiente geologico e le sue
qualità geochimiche, la natura della mineralizzazione e il pattern geochimico tipico,
etc. Questi caratteri sono per quanto possibile significativi per i diversi depositi
auriferi primari esaminati, classificati e provvedono ad una classificazione chiara e
semplice. Sono state evidenziate sedici principali categorie, alcune delle quali sono
86
prodotti da processi idrotermali a diverse profondità crostali e con differenti litologie
associate, talvolta ritenute critiche (Robert F. et alii, 1997). La classificazione dei
depositi auriferi primari deve provvedere ad essere riassuntiva ed essenziale, oltre
che chiarire le principali differenze critiche tra i diversi depositi auriferi primari
esaminati. È essenziale nella ricerca mineraria, specialmente nella determinazione di
obiettivi validi da investire le proprie risorse economiche nella ricerca sul terreno.
Una buona campagna di prospezione può essere positiva o negativa sulla base della
scelta dei target e successivamente nell’investimento delle risorse economiche nelle
ricerche ritenute più promettenti. Le classificazioni sono in continua evoluzione,
conseguenza del progresso tecnologico e scientifico. Sempre nuovi dati significativi
vengono aggiunti al quadro complessivo e vecchi modelli metallogenici vengono
modificati o completamente rivoluzionati. L’obiettivo principale nelle classificazioni
è quello di fornire alcuni parametri critici per ogni categoria di deposito aurifero
primario esaminato; questi preferenzialmente sono di competenza scientifica e
dovrebbero essere più univoci possibili ma anche flessibili (un giacimento non è mai
uguale all’altro ma possono avere elementi in comune). La geochimica è la materia
di studio sovrana della classificazione proposta, fornendo i parametri, evidenziabili
attraverso uno studio dettagliato dei campioni in laboratori equipaggiati con gli
strumenti analitici richiesti. La geologia strutturale, talvolta lasciata in disparte,
dovrebbe invece essere presa in grande considerazione. I diversi tentativi passati
sono quindi da intendersi ancora parzialmente validi (Emmons, 1937; Boyle, 1979;
Cox and Singer, 1986; Bache, 1987). Variegate sono le subclassificazioni per ogni
categoria, utili a suddividere i depositi, per alcune caratteristiche, lievemente
differenti ma ritenute importanti, ad esempio, relative ai depositi epitermali auriferi
primari (Heald et allii, 1987), intrusion‐related (Sillitoe, 1991), epigenetici archeani
(Gebre‐Mariam et al., 1995).
Bisogna comunque tener conto dei seguenti fattori che complicano ulteriormente i
termini classificativi:
‐ un numero significante di depositi auriferi primari sono generati da una sequenza
di processi genetici (polifasici) e non uno solo (monofasici). Tali depositi sono quindi
ibridi e non rientrerebbero solamente in una categoria (Sillitoe, 1994).
‐ gli ambienti geologici non sono sempre costanti nella genesi dei depositi ma
possono essere differenti nel tempo e fornire un diverso impatto di conseguenza, di
nuovo il fenomeno dei depositi ibridi è comprensibile.
87
N.22 Sezione geologica in cui è possibile osservare le sedici categorie di depositi auriferi primari proposte
successivamente. Si noti come la profondità e la geotermobarometria associata risulti fondamentale coerentemente
alla geochimiche presente. I termini classificativi non sono stati tradotti in generale per mantenere una ulteriore
coerenza con le informazioni utilizzate; inoltre alcuni termini classificativi non sono correttamente traducibili in lingua
italiana e perderebbero di significato.
La prospezione mineraria
La prospezione mineraria è una fase chiave nella delineazione di un nuovo deposito
piuttosto che nella rivalutazione economica di uno sfruttato parzialmente. Si deve
partire con il presupposto che raramente un deposito sfruttato è totalmente
esaurito. Economicamente parlando, i mercati sono in continua evoluzione e i
minerali anche solo anni fa scartati, al momento attuale potrebbero essere richiesti.
Ad esempio, al momento attuale vi sono discariche in Africa che stanno diventando
obiettivi moderni di prospezione, alla ricerca di metalli scartati nel passato e lo stesso
concetto si applica a discariche minerarie antiche, al momento attuale in fase di
studio o addirittura in processamento. La tecnologia avanza e con essa anche le
applicazioni ai metodi di processamento, essi rendono possibile l’estrazione di
minerali ed elementi chimici a prezzi concorrenziali, ciò permette che un deposito
classificato come “esaurito” ritorni in estrazione ed operativo. La domanda del
mercato e quindi il prezzo del prodotto influenzano moltissimo i target di ricerca.
Alcuni minerali venivano scartati in quanto non vi era domanda al tempo
88
dell’estrazione oppure non vi era la tecnica necessaria per il processamento. Nella
prospezione mineraria si fissano dei target, cioè degli obiettivi. Durante la prima fase
di ricerca mineraria vi è un importante lavoro di collezione ed elaborazione dei
documenti bibliografici relativi al caso di studio. Si ottiene tutta la bibliografia
disponibile dell’area bersaglio della prospezione e spesso si ottengono relazioni
precedenti, scritte da società di ricerca mineraria che vi erano insediate anche a
prezzi non propriamente bassi. L’aspetto strutturale, la presenza di una particolare
associazione mineralogica, il contesto geodinamico, le datazioni assolute, le
alterazioni idrotermali tipiche forniscono importanti spunti di ricerca per identificare
nell’area oggetto di prospezione alcune località dove imprendere le proprie risorse.
Una volta individuate le mineralizzazioni ritenute economiche si passa a sviluppare
uno studio di sostenibilità e successivamente alla fase di coltivazione e
processamento. Non tutte le prospezioni si evolvono in realtà estrattive per l’assenza
di un guadagno nell’immediato. Si potrebbero inoltre vendere i diritti acquisiti e
quindi sviluppare un mercato bibliografico sui dati di prospezione registrati piuttosto
che iniziare le attività estrattive durante una migliore condizione di mercato.
Classificazione dei depositi auriferi primari
La combinazione dell’ambiente geodinamico, della natura della mineralizzazione e
dell’alterazione idrotermale è unica per quasi ogni tipologia di deposito aurifero
primario illustrato nelle prossime pagine. Questi attributi geologici sono critici nella
classificazione proposta, infatti le differenti tipologie di depositi sono pensati essersi
formati in una varietà di differenti ambienti crostali, alcuni più superficiali ed altri
intermedi e profondi. Rispetto l’intrusione di magmi (plutoni) e l’estrusione (lave,
etc), vi sono aree distali (lontane) e prossimali (vicine), indicative per alcuni depositi
rispetto ad altri. La tettonica a placche gioca un ruolo fondamentale ponendo uno
sguardo all’ambiente geologico a livello regionale. I depositi formati a profondità
notevole sono ipotizzati esser legati ai margini convergenti e correlati al plutonismo.
Sono correlabili a convergenza, collisione ed accrezione (Kerrich & Cassidy, 1994;
Hodgson, 1993). Le principali categorie illustrate sono correlabili ad almeno un
giacimento‐tipo a livello mondiale contenente più di 100 t di oro, ed in alcuni casi,
tali giacimenti conferiscono il nome alla medesima classe (esempio: Carlin‐type o
Homestake‐type). Le seguenti pagine saranno dedicate ad approfondire gli aspetti
delle categorie citate con una breve descrizione delle stesse. La classificazione cita
inoltre una vasta bibliografia di studi sui singoli giacimenti, elencata man mano e
riassunta nelle tabelle esemplificative associate. L’età di tali depositi auriferi primari
e di quelli simili è riportata anch’essa nelle tabelle riassuntive. Alcuni casi, ritenuti
importanti dall’autore, sono seguiti da ulteriori approfondimenti. Nella
89
composizione delle classificazioni bisogna partire con il presupposto che essa è
necessaria per un avanzamento delle conoscenze complessive. Anche se non
aggiunge direttamente dati, una classificazione è importante per riordinare in un
quadro d’insieme i principali attributi dei fattori presi in esame fino a tale momento.
Bisogna però tener conto delle semplificazioni adottate. La realtà è infinitamente più
complessa e quando si parla di depositi, non vi è uno uguale all’altro, tanto che le
categorie si basano prettamente su tipologie di giacimenti‐tipo, cioè talmente
importanti a livello mondiale da esser presi come casi d’esempio. La classificazione
adottata è quella descritta da Robert & alii (1997). La classificazione nasce con l’idea
di un suo utilizzo futuro, in questo caso prettamente nello studio giacimentologico,
nel progresso delle conoscenze in tale ramo e nell’applicazione nella ricerca
mineraria. I fattori indicativi di ogni categoria forniscono importanti sviluppi e
obiettivi nelle campagne di prospezione e ricerca mineria.
90
Tipologie principali di depositi auriferi:
91
Riferimento Alterazione Associazione minerale Tipica dimensione e tenore Referenze bibliografiche
1 sericitizzazione Au > Ag; U comune 1‐100 Mt @ 1‐10 g/t Au Minter (1991)
silicizzazione Au:Ag 10:1 alcuni fino a 1000 t Au
2 sericitizzazione Ag, Au, Cu, metalli base; 1‐10 Mt @ 3‐10 g/t Au Poulsen & Hannington (1996)
silicizzazione Ag>Au 1‐5% metalli base
alterazione acido Al
3 silicizzazione Au, Ag, Hg, As, Sb, Ti <30 t Au; fino a 20 Mt @ 5 g/t Au
argillizzazione Ba; localmente W; Bonhan (1989)
adularia Ag>Au (zonazione verticale) Berger (1985)
4 sericite‐illite/ Au, Ag, As, Sb, Hg +/‐ Pb, <100 t Au ma alcuni >500 t Au; Heald et al. (1987)
sericite‐adularia Zn, Te; Au:Ag 1:10 a 1:25 @ 2‐70 g/t Au White & Hedenquist (1995)
silicizzazione (zonazione verticale)
alterazione propilitica
5 silicizzazione Au, Ag, As, Cu, Sb, Bi, 10‐150 t Au ma fino a 600 t Au Arribas (1995); Heald et al. (1987)
alunite Hg, Te, Sn, Pb; Au:Ag 1:2 a 1:10; @ 1‐8 g/t Au, con una media White & Hedenquist (1995)
(zonazione dei metalli) intorno ai 4‐5 g/t
6 K‐(+/‐Na) alterazione Au, Cu, Ag +/‐ Bi‐Te; 50‐100 t Au fino a 400 t Sillitoe (1991)
silicati, argillizzazione Au:Ag>1:1 @ 0.5‐2 g/t Au e <0.8% Cu
magnetite idrotermale
7 sericite‐carbonati Au, Ag, Pb, Cu, Zn; 6‐60 Mt @ 1‐2 g/t Au; Sillitoe (1991)
silicizzazione Au:Ag >1:1 alcuni fino a 100t Au
Paleoplacers (1)
I paleoplacers, come ad esempio quello del Witwatersrand, consistono in livelli
stratiformi (bankets) di conglomerati a ciottoli di quarzo ben arrotondati o quarzo‐
areniti, piuttosto che areniti a laminazioni oblique, con locali livelli fini carbonatici. I
depositi sono ritrovati all’interno di facies fluviali o delta‐mature in estensivi bacini
cratonici colmati. I più importanti depositi di questa tipologia occorrono nei bacini
sedimentari generati nel tardo Archeano e nel precoce Proterozoico, riflettendo il
fattore critico della scarsa concentrazione di ossigeno atmosferico (pirite
conservata). Il corpo minerario consiste in oro nativo e pirite aurifera, in alcuni casi
92
di origine detritica ed in altri idrotermale epigenetica per circolazione di fluidi, con
un possibile intervento batterico. Altri minerali pesanti ritrovati sono: magnetite,
uranite, ilmenite e localmente ematite. I giacimenti sono spesso ricchi in oro e minor
argento (Au:Ag 10:1; rapporto oro rispetto l’argento 10 a 1). L’alterazione
idrotermale, principalmente sotto forma di sericitizzazione e cloritizzazione, si
imposta sui depositi in un tempo successivo (epigenetica). La distribuzione primaria
dell’oro è controllata dalle facies sedimentarie che colmano il bacino e della loro
variazione laterale e verticale.
N.24 Modello semplificato tridimensionale del distratto minerario aurifero del Witwatersrand (Sud Africa). Il
puntinato nero indica le principali concentrazioni aurifere.
Submarine volcanic gold‐rich massive sulphide deposits (VMS): depositi di solfuri
massivi (Py, Pyr, Cpy, Cub, Cu, Zn, Pb, Au) (2)
Questi depositi consistono in lenti massive a solfuri stratificate o alternate, spesso
ritrovate vicino a zone di stockwork ma con importanti vene a solfuri sintettoniche,
presenti anche in contesti di deformazione e post‐metamorfici. I VMS sono ritrovabili
anche in contesti successivi ad orogenesi alpine (es: VMS Val di Viù e Val Fiorcia) e si
presentano deformate e metamorfosate. I depositi occorrono all’interfaccia tra
rocce oceaniche vulcaniche e i soprastanti sedimenti vulcanoclastici ‐ marini. Si
93
ritrovano anche nelle antiche greenstone belts, tipicamente deformate in facies
scisti verdi (retrocesse) a bassa facies anfibolitica. In alcuni depositi la percentuale di
oro è importante e supera in ppm altri metalli base. Si osservano sotto forma di corpi
ricchi di solfuri, da lenticolari a stratiformi, situati all’interfaccia tra unità vulcaniche
o a contatto tra vulcaniti e rocce sedimentarie di ambiente marino. Sono concordanti
con l’incassante e frequentemente si presentano listati. Sono fortemente arricchiti
in solfuri dei quali il più abbondante è la pirite (± pirrotina), con variabili quantità di
solfuri di Cu, Zn, Pb, Au e barite. Sovente presentano nella porzione rocciosa inferiore
una trama fitta di vene a quarzo e solfuri. Sono stati scoperti lungo sorgenti calde
(250‐350°C) sul fondo oceanico, a cui è legata la precipitazione di solfuri (“black
smokers”) durante le campagne oceanografiche a partire da metà degli anni ’60
(Glomar Challenger). Si ritrovano quindi In zone ad alto flusso di calore
(principalmente ambiente di dorsale oceanica). I fluidi circolanti sono acque
essenzialmente marine che entrano in profondità, si riscaldano, reagiscono con le
rocce incassanti e si arricchiscono in metalli (Cu, Zn ± Au). Risalgono quindi fino a
fuoriuscire sul fondale marino. La differenza di T e di pH (le soluzioni idrotermali sono
debolmente acide, le acque oceaniche alcaline) provocano la precipitazione dei
minerali. Questa variazione repentina delle condizioni appena citate svolge un ruolo
di “trappola” geochimica. Gli elementi prima trasportati in soluzione devono essere
rilasciati e precipitano in posto, in un’area molto localizzata. I VMS che si formano in
ambiente oceanico sono detti di “tipo Cipro” e tendenzialmente sono arricchiti in:
Cu (calcopirite), Zn (blenda) ed Au. I VMS che sono associati ad ambienti non oceanici
sono arricchiti invece in: Pb (galena), Zn (blenda), Cu (calcopirite), Au, Ag. È sempre
presente pirite e sovente la pirrotina, Fe1‐xS, ma non come minerali utili). Il ferro
viene estratto economicamente da altri tipi di giacimento a prezzi minori (BIF). A
seconda del tipo (e quindi del contesto geodinamico) cambia il tipo di vulcanismo e
di serie sedimentarie associate, infatti i VMS di tipo Cipro vengono suddivisi in: tipo
Besshi, tipo Kuroko e tipo primitivo. La mineralizzazione è composta principalmente
da pirite e da altri solfuri base, ma comunemente contiene minori fasi di bornite,
solfosali, arsenopirite e telluridi. I giacimenti hanno una percentuale non indifferente
di ferro, variabile rame, piombo e zinco con locali alte concentrazioni di arsenico,
antimonio e mercurio. L’argento è in genere più presente dell’oro in rapporto 2:1
(Au:Ag 1:2 fino a 1:10). I depositi sono contenuti principalmente in tufi vulcanici
mafici e i derivati scistogeni nel caso di metamorfismo, presso l’interfaccia tra basalti
e sequenze sedimentarie marine sovrastanti. Le rocce ospitanti (hostrocks) sono
tipicamente sericitizzate e cloritizzate.
Hot spring deposits (3)
I depositi legati alle hot springs, come per esempio McLaughlin, contengono silica
sinter e geuseriti formati alla paleosuperficie, durante l’attività vulcanica. Includono
94
anche aree adiacenti superficiali come brecce tettonizzate, sede di viadotti
idrotermali, piuttosto che stockwork a quarzo stretti e profondi. Il controllo
strutturale è un fattore critico: questi depositi si trovano in catene presso centri
vulcanici subaerei (preferenzialmente felsici) e nelle rocce adiacenti, come
nell’esempio di archi di subduzione. Sono riconosciuti principalmente in aree di
catene giovani ma sono stati analizzati alcuni anche molto antichi. Il problema
principale è la loro preservazione, di solito difficoltosa a causa dell’ambiente
superficiale in cui si generano (Cuneen & Sillitoe, 1989) e della conseguente facilitata
erosione e smantellamento. La mineralizzazione è composta da una trama fitta di
vene in cui i minerali sono interstiziali rispetto delle brecce generate a spese di
sequenze vulcanoclastiche o di rocce sedimentarie, piuttosto che nelle intrusioni
subvulcaniche‐porfiriche. La mineralizzazione consiste in oro di dimensione
micrometrica ed electrum in zone di preferenziale silicizzazione massiva, meno
comune si ritrova anche in quarzo listato, calcedonio +/‐ adularia e barite con vene
di carbonato (zone di stockwork). La mineralizzazione consiste preferenzialmente in
fino a 5% di pirite +/‐ marcasite, pirrotina, cinabro, stibnite, realgar o arsenopirite e
telluridi. Si denota anche una elevata concentrazione di Hg, As, Sb, Ti, Ba e
localmente Mo e W. Dal punto di vista della struttura, questa tipologia di deposito
tende a svilupparsi verticalmente in porzioni alto‐crostali‐subaeree con
arricchimenti in Au, Hg, Sb, Ti, e As con un aumento della concentrazione di Ag e Ba
con la profondità (Au:Ag da 1:1 vicino la superficie fino a 1:30 in profondità).
L’alterazione associata consiste in silicizzazione massiva ed adularizzazione nelle
zone brecciate con presenti zone ad elevata argillificazione e vene a preferenziale
adularizzazione (margini).
Adularia‐sericite epithermal deposits (4)
Alunite‐kaolinite epithermal deposits (5)
Questi depositi sono anche conosciuti come ad alta sulfidazione o come acid‐
sulphate deposits. Consistono in mineralizzazioni disseminate e di rimpiazzamento
in irregolari strata‐bound fino a forma di fungo, discondanti zone di rimpiazzamento
dei silicati e meno comunemente brecce idrotermali, stockwork e vene. Esse sono
associate con centri vulcaniti calcalcalini, andesiti e riodaciti, relativi ad intrusioni
porfiriche e correlati sedimenti vulcanoclastici, in archi vulcanici in margini
convergenti di età variabile. I depositi sono ospitati in complessi duomi vulcanici,
diatreme, maar e rocce clastiche sedimentarie associate, depositate sovrastanti le
rocce di basamento, o in litologie di basamento ma in zone strutturalmente
favorevoli, quali faglie transpressive o diatreme, piuttosto che ring fault. I depositi
sono perlopiù cenozoici con eccezioni di alcuni precambrici. La mineralizzazione
consiste in un’associazione ad high sulfidation, la quale include fasi come pirite,
enargite‐luzonite, calcopirite, tennantite‐tetraedrite e oro in ganga di silicati massivi
o quarzo +/ alunite in vene o brecce. L’alterazione agisce preferenzialmente in modo
zonale con silicizzazione, con un’alterazione avanzata argillitica in aree più
superficiali, le quali sono importanti come segnale distintivo di questa categoria e
nelle esplorazione mineraria. Il rapporto Au:Ag varia tra 1:2 a 1:10 e i metalli associati
includono As, Cu, Sb, Bi e localmente Hg, Pb, Te e Sn. Questi depositi sono limitati
verticalmente a massimo 500 m di profondità con una significativa mancanza di
zonazione verticale. Tipicamente sono ritrovati in aree superiori a sistemi porphyry
a Cu o Cu‐Au.
Porphyry gold deposits (6)
I depositi porphyry (Au e Au‐Cu) sono irregolari in zone a pipe fino a stockwork a
quarzo‐solfuri con associata disseminazione di solfuri, confinata alle intrusioni o le
rocce immediatamente incassanti. Essi occorrono in catene a rocce magmatiche
intrusive‐vulcaniche (oltre che greenstone belt) in archi magmatici continentali ed
oceanici, includendo una vasta gamma di litologie differenti di basamento. I depositi
sono associati con stocks compositi a rocce calcalcaline (diorite, granodiorite,
96
quarzo‐monzonite) ed alcaline (monzonite, quarzo‐sienite). I stockwork a quarzo
sono meno sviluppati rispetto altri depositi associati ad intrusioni alcaline. La pirite
è il solfuro dominante, la sua abbondanza varia da 1‐3% rispetto il volume fino a 5‐
10% nelle aree a maggior concentrazione. È accompagnata fino al 20% volume di
magnetite +/‐ ematite idrotermale, disseminata nelle aree incassanti e concentrata
in quelle del corpo minerario. Il corpo mineerario tende a contenere più argento che
oro (Au:Ag <1) e i metalli associati sono Cu, Bi, Te, +/‐ Mo. La mineralizzazione
coincide con aree ad alterazione di silicati di potassio, o albite ed alterazione di
calcsilicati in sistemi alcalini, in molti casi vi è zonazione. In alcuni depositi
l’alterazione argillosa è avanzata.
Breccia pipe deposits (7)
Tali depositi, come rappresentati da Kindston, consistono in strutture a pipe
mineralizzate, composte da corpi di brecce discordanti e zone a fratture piane in
ambienti vulcanici da mafici a felsici a chimismo calcalcalino. Tipicamente si ritrovano
in ambienti tettonici di arco vulcanico e greenstone belt. Essi sono controllati da
faglie tipo graben e complessi ad anello relativi allo sviluppo di caldere vulcaniche. Il
corpo minerario è contenuto in diverse varietà di brecce, incluse varietà affini
all’idrotermalismo, freato‐magmatismo e da collasso. Il cemento delle brecce
consiste in maniera dominante da quarzo, carbonati (calcite, ancherite, siderite), con
tormalina in alcuni depositi. Il corpo minerario contiene pirite, calcopirite, sfalerite,
galena e pirrotina, con minore molibdenite, bismutinite, telluro‐bismutite e
tetraedrite, che occorre sia nella matrice che nei frammenti componenti la breccia.
Il corpo minerario è ricco in argento (Au:Ag=1:10), con associato Pb, Zn, Cu, +/‐ Mo,
Mn, Bi, Te, W e una zonazione laterale di tipo concentrico in alcuni casi. l’alterazione
si esplica sotto forma di sericite e quarzo‐carbonati e la silicizzazione è coincidente
con la zonazione verso aree distali (alterazione propilitica). Uno stadio precoce di
alterazione dei silicati a K è presente in alcuni depositi. I depositi breccia pipe sono
comunemente associati a sistemi idrotermali, correlati ad intrusioni magmatiche.
Skarn gold deposits (Magn, Hem, W, Au, Solf (Cu, Pb, Zn) (8)
I skarn deposits consistono in corpi lenticolari da vene massive a disseminate in
sequenze prettamente di piattaforma carbonatica o derivate, sulle quali si è
sovraimposto un fenomeno di termometamorfismo legato all’intrusione adiacente
di corpi vulcanici o di fluidi caldi correlati. Sono ritrovabili in contesti di archi vulcanici
ed all’intrusione di plutoni. Critica è la presenza del chimismo adatto per la corretta
avvenuta della mineralizzazione. La mineralizzazione è associata alla comparsa locale
di pirosseni e granati ricchi in alluminio, i quali vanno a rimpiazzare il protolite
marnoso‐carbonatico. Si noti inoltre che il magmatismo precedente di tipologia
carbonatitica può subire gli stessi processi e quindi evolvere in uno skarn atipico e a
97
volte anche molto valido dal punto di vista giacimentologico (terre rare). Gli skarn
tendono ad essere associati preferenzialmente con intrusioni di tipologia mafica,
generando per esempio mineralizzazioni a porphyry Cu‐Mo. I corpi minerari sono
composti da pirite, pirrotina, arsenopirite e minori minerali tellurici. Tipicamente i
corpi minerari contengono localmente alte concentrazioni di: As, Bi, Te, e mostrano
ampie variazioni nel rateo Au:Ag = 1:10 a 10:1. La retrocessione dell’associazione
dello skarn è comune e la mineralizzazione aurifera è considerata essere relativa a
tale retrocessione.
Le mineralizzazioni negli “skarn” sono tipicamente legate a processi metasomatici al
contatto tra il corpo plutonico e le rocce incassanti molto “reattive”, quali ad
esempio rocce carbonatiche. Quando il magma risale lungo le fratture e fessure della
roccia, può venire in contatto con litologie contenenti elementi chimici molto
reattivi. Si tratta ad esempio di rocce carbonatiche che a contatto con fluidi molto
caldi (sia liquidi che magmi) possono variare in poco tempo le loro proprietà
strutturali e chimiche. Si passa dall’avere rocce carbonatiche a rocce di tutt’altro
genere e tutt’altra mineralogia. Spesso le stesse rocce passano in soluzione e
vengono trasportate o rimpiazzate totalmente piuttosto che parzialmente. Se vi sono
fluidi circolanti si parla di metasomatismo, altrimenti è un sistema isochimico con
scambi chimici solo localizzati. Nel caso di metasomastismo si ricava uno skarn in
senso stretto altrimenti uno skarnoide. Lo skarn non preserva più nessuna
caratteristica della roccia originaria, lo scambio che ha attuato con i fluidi circolanti
nei pori o nelle fratture è stato molto invasivo, fino ad obliterare le strutture
originarie. Lo skarnoide invece si ritrova in aree distali rispetto il complesso plutonico
e anche se presenta già caratteri tipici degli skarn, preserva ancora in parte la
struttura della roccia di partenza. I corpi minerari sono tipicamente irregolari e si
presentano associati a zone di locale fratturazione intensiva e preferenzialmente
distribuiti in aree ad alta circolazione di fluidi. Le mineralizzazioni che si ritrovano
sono a: Fe (magnetite, ematite), W (scheelite, CaWO4; wolframite, (Fe,Mn)WO4; Au;
solfuri di Cu, Pb, Zn).
Gli skarn possono formarsi nelle seguenti condizioni:
a) Metamorfismo di contatto isochimico (ricristallizzazione senza mass transfer);
b) “Reaction skarn”: mass transfer localizzato al contatto tra due litotipi di diversa
composizione (“bimetasomatismo”);
c) “Skarnoide”, derivante dal metamorfismo di litologie impure con un po’ di mass
transfer legato alla circolazione di fluidi a piccola scala;
d) Vero e proprio skarn controllato dai fluidi, con intenso metasomatismo. Lo skarn
è tipicamente a grana grossa e non riflette più composizione o struttura del protolite.
98
Stadi di evoluzione degli skarn:
a) L’intrusione dei magmi causa il metamorfismo di contatto (alta temperatura,
bassa pressione);
b) Locale metasomatismo e circolazione di fluidi consegue la formazione di reaction
skarn e skarnoidi a spese di litotipi carbonatici impuri, in zone di circolazione di fluidi.
Le trasformazioni sono più estese e di più alta T in profondità che in prossimità delle
parti apicali (distali) del plutone;
c) Sviluppo di skarn metasomatico controllato dai fluidi. Lo skarn in profondità è
piccolo rispetto alle dimensioni dell’aureola termometamorfica; inoltre ha
un’estensione principalmente in verticale, mentre lo skarn nella parte alta è molto
esteso lateralmente, localmente oltre l’aureola metamorfica;
d) Raffreddamento del plutone e circolazione di acque meteoriche più fredde
possono causare una alterazione retrograda di retrocessione delle paragenesi
metamorfiche e metasomatiche, più estesa a debole profondità. Le strutture fragili
che sviluppano in questa fase possono convogliare i fluidi idrotermali tardivi e
generare nuove mineralizzazioni.
Riassunto degli stadi di genesi di uno skarn:
1‐ Intrusione e metamorfismo di contatto;
2‐ Essoluzione dei volatili dal fuso;
3‐ Espulsione di fluidi dal plutone: primo stadio di formazione degli skarn anidri
(minerali senza acqua): sovente formazione di pirosseni, granato, olivina;
4‐ Coinvolgimento di fluidi meteorici (piogge infiltranti), in più stadi con progressiva
diminuzione della temperatura e formazione di minerali idrati (contenenti acqua) ad
esempio clorite, serpentino.
99
N.25 Metasomatismo nell’ambiente di skarn (modificato Meinert, 1989)
Nella prima figura in alto a sinistra si osservano le conseguenze del metamorfismo di contatto isochimico
(ricristallizzazione senza mass transfer); Accanto è riportato uno skarn controllato dai fluidi, con intenso
metasomatismo. Lo skarn è tipicamente a grana grossa e non riflette più composizione o strutture del protolite. Il
reaction reaction skarn possiede mass transfer localizzato al contatto tra litotipi di diversa composizione mentre lo
skarnoide deriva dal metasomatismo di litologie impure con un po’ di mass transfer legato alla circolazione di fluidi
a piccolo scala; in porzioni sottostanti sono riprodotti i cambiamenti a livello mineralogico delle principali litologie
presenti soggette al metasomatismo.
100
Carbonate replacement (manto) deposits (9)
I depositi carbonate replacement, come ad esempio Ruby Hill in Nevada, consistono
in strutture a pipe discordanti o corpi tabulari concordanti di solfuri massivi, i quali
vanno a rimpiazzare le marne o i corpi dolomitici presenti, comunemente intercalati
con porzioni calcaree, quarzitiche o fillitiche. Essi occorrono in piattaforme
carbonatiche e le successioni sedimentarie correlate, con una impronta importante
data dalla locale presenza di archi vulcanici ed intrusioni. Il deposito si ritrova in
prossimità di centri carbonatici ed intrusioni magmatiche, rappresentate da dioriti
sottoforma di sill e dicchi. In molti casi non sono correlate direttamente a rocce
intrusive. L’aspetto strutturale è critico, infatti questi depositi tendono a generarsi
dove importanti sistemi di strutture fragili si incontrano generando intersezioni, in
tali contesti potrebbero anche svilupparsi strutture a pipe. I corpi minerari sono
composti in gran parte da pirite e possono contenere un ammontare variabile di
pirrotina, galena, sfalerite, calcopirite, magnetite ed arsenopirite. I corpi minerari
sono tipicamente ricchi in argento (Au:Ag <1), con elevate concentrazioni di As, Bi,
Hg, e possono contenere importanti percentuali di Pb, Zn e Cu. L’alterazione
idrotermale associata è generalmente ristretta alle immediate vicinanze dei corpi
minerari e consiste nella silicizzazione delle rocce carbonatiche e sericitizzazione
delle rocce sedimentarie clastiche adiacenti.
Sediment‐hosted micron gold deposits (10)
Questi depositi, riferiti anche con il termine Carlin‐Type, sono spesso corpi
discordanti ed irregolari materializzati da brecce e strata‐bound concordanti, zone
disseminate e confinate a particolari unità stratigrafiche. Essi occorrono in facies
carbonatiche‐argillitiche di piattaforme continentali e piattaforme che sono state
coinvolte dalla tettonica sovrascorrente a scala regionale, tettonica estensiva o
plutonismo preferenziale felsico. Questa tipologia di depositi è ospitata in rocce
preferenzialmente paleozoiche, ma anche in sequenze sedimentarie clastiche,
greenstones e raramente stocks. Essi si trovano comunemente nei pressi di hornfels,
skarns o rocce calc‐silicatiche, ma tipicamente la prospezione è positiva nelle aree
limitrofe l’aureola termo‐metamorfica di plutoni. Coesistono dal punto di vista
regionale a porphyry a Cu/Mo, Cu o W‐Mo, skarn e vene a Ag‐Pb‐Zn e depositi manto
(9). La mineralizzazione consiste in pirite fine‐ultrafine disseminata, i quali rims
presentano concentrazioni di arsenico alternate e inclusioni di oro di dimensione
sub‐micrometrica. Minerali accessori che si possono trovare sono: orpimento,
realgar, cinabro e stibnite. Il rateo Au:Ag del deposito è variabile e contiene zonazioni
ad alta percentuale di As, Sb, Hg. Anche se l’oro è in una taglia invisibile all’occhio
umano, tendenzialmente il tenore è variabile da medio‐basso ad elevato.
Decalcificazione e silicizzazione delle rocce carbonatiche sono tipicamente associate
101
con questa categoria di depositi e si possono sviluppare anche zone ad alterazione
argillitica e sericitizzazione.
Categoria di giacimenti la cui origine è stata (ed in parte è ancora) molto dibattuta,
la quale possiede uno stretto legame spaziale con serie sedimentarie. In genere la
morfologia è stratiforme. Si ritrovano concentrazioni di solfuri di Cu, Ag, Pb, Zn,
solfati (barite), ossidi e vi è evidenza di circolazione idrotermale. Le principali
tipologie sono le seguenti:
‐ Depositi a solfuri massivi, o VMS (Volcanic associated Massive Sulphides);
‐ Depositi stratiformi a solfuri;
‐ Depositi SEDEX (Sedimentary‐Exhalative).
Depositi stratiformi a solfuri o SSC: (Cu, Ag, Co, Au, REE, Pb, Zn)
Si possono ritrovare queste tipologie di depositi in sedimenti di ambiente marino
(mare poco profondo, bacini intra‐continentali, sovente legati a rifting). La loro
posizione strutturale è tipicamente in corrispondenza dell’interfaccia tra arenarie
eoliche di ambiente desertico, ossidate, e sedimenti (soprattutto argilliti) ricchi di
materiale organico, a carattere riducente. Sono sovente legati alla porzione inferiore
di serie trasgressive (Kupferschiefer, Zambia). Tale orizzonte redox funge da trappola
geochimica, permettendo la precipitazione localizzata e l’arricchimento quindi in
elementi chimici lisciviati dai fluidi idrotermali reattivi che hanno attraversato le
unità grossolane, tipicamente permeabili. Le mineralizzazioni sono generalmente a
grana da fine a finissima con una età che varia dal Proterozoico al Terziario. Esempi
tipici possono essere: Kupferschiefer: Permiano, Zambian Copperbelt: Proterozoico.
I depositi del Kupferschiefer
102
sovente come sostituzione di cemento calcitico preesistente nel Kupfersch., ma
anche nel Rotliegende e nelle rocce carbonatiche dello Zechstein (Perm. sup.).
L’origine di tale deposito è ancora dibattuta:
‐ singenetica: apporto dei metalli dalle aree continentali (concentrazioni di rame
ossidato, “red beds”, sono frequenti nelle arenarie rosse) e precipitazione in bacini
con ambiente euxinico (no ossigeno, ambiente riducente);
‐ epigenetica: deposizione/rideposizione da fluidi diagenetici: circolazione di acque
connate saline (a T<100°C), relativamente ossidate, con pH grosso modo neutro, in
grado di lisciviare i metalli, in particolare Cu, dai minerali detritici presenti nelle
arenarie.
I metalli si depositano sotto forma di solfuri, all’interno di argilliti ricche di materiale
organico (e pirite). Il contatto tra arenarie rosse e argille rappresenta un “redox‐
front”, cioè una trappola geochimica.
Il trasporto dei metalli può esser avvenuto durante la diagenesi da parte di acque
connate, saline, che circolano nelle arenarie (fortemente permeabili) e lisciviano i
metalli da minerali detritici suscettibili (ad es. minerali femici), portandoli in
soluzione come complessi del cloro. La deposizione avviene in corrispondenza del
fronte redox tra rocce sedimentarie ossidate e ridotte: le acque connate, ossidate e
ricche di metalli, vengono a contatto, al di sopra o lateralmente, con rocce o fluidi in
equilibrio con esse di ambiente riducente. Non c’è nessun legame con il magmatismo
ma semplice lisciviazione, concentrazione e precipitazione. Un inciso: i “redox front”
costituiscono spesso “trappole” per i metalli. Un caso classico è rappresentato da
alcuni tipi di giacimenti di uranio.
Non‐carbonate stockwork‐disseminated gold deposits (11)
Questo gruppo di depositi, poveramente descritto, include i giacimenti di Porgera,
Muruntau e Hemlo. Consistono in discordanti strata‐bound e stockwork disseminati
da zone a solfuri lungo preferenziali faglie o unità permeabili o contatti stratigrafici
in sequenze silico‐clastiche o vulcaniche. I depositi sono ospitati in rocce alto‐crostali
ma in alcuni casi si visionano anche associati a sill felsici, dicchi e stock. I corpi
minerari si osservano anche lungo i contatti delle intrusioni. I solfuri disseminati sono
perlopiù composti da pirite (1‐20% rispetto il volume), e minori quantità di
calcopirite ed arsenopirite, accompagnati da ematite, magnetite, molibdenite,
telluridi ed anidrite in alcuni depositi. Gli ore hanno variabile composizione ma
tendenzialmente sono ricchi in oro (Au:Ag >1) e contengono elevate concentrazioni
di Cu, As, Bi, Te +/‐ W, F, B e localmente Mo, Sb e Ba. L’alterazione associata è
correlata al metasomatismo ricco in K (sericite, biotite o K‐feldspato) e a volte, ma
103
non sempre il metasomatismo ricco in Na (albite), accompagnata da carbonatazione
ed in alcuni depositi silicizzazione.
Au‐Cu sulphide‐rich vein deposits (12)
Questi depositi consistono in gruppi di vene ricche in solfuri (>20 % rispetto il
volume), con una estensione fino a centinaia di metri, preferenzialmente situate in
archi vulcano‐plutonici e greenstone belt. Come nel caso di Rossland, essi occorrono
in faglie o fratture ospitate in sequenze vulcaniche e plutoniche o nei pressi. Le vene
individuali comunemente seguono dicchi di composizione dioritica, tonalitica o
lamproitica. In molti casi, c’è un marcato controllo strutturale regionale. Le vene
sono composte in proporzione variabile da pirite, pirrotina, calcopirite e magnetite,
con quantità subordinate di sfalerite, galena e nella ganga sono presenti quarzo e
carbonati con minore clorite e sericite. L’oro si ritrova in rateo variabile (Au:Ag = 1:2
fino a 1:5) e 0.5‐3% di rame. L’alterazione idrotermale associata consiste in
cloritizzazione e sericitizzazione ed è generalmente ristretta alle immediate
vicinanze delle vene.
Batholith‐associated quartz ‐vein deposits (13)
Questi depositi includono Chenoan e Linglong e cosistono in vene quarzifere, situate
in faglie con comportamento da duttile a fragile con la roccia adiacente fratturata e
brecciata, oltre che alterata. Le zone a vene si impostano in zone tettonicamente in
sollevamento litostatico, tipicamente composte da basamento continentale
metamorfosato ed abbondanti rocce intrusive. I corpi minerari sono ospitati sia in
corpi batolitici che negli scisti o gneiss adiacenti con grado variabile di
metamorfismo. I depositi sono controllati dalla tettonica regionale e dalle faglie.
Localmente si ritrovano altre tipologie di depositi associati, quali porphyry ed
epitermali. Le vene sono composte da basse quantità di pirite e minori metalli base
e stibnite in alcuni casi, in ganga quarzifera e minore calcite. I corpi minerari
contengono oro e argento in rateo variabile (Au:Ag = 1:5 a 5:1) e localmente alte
concentrazioni di Cu, Pb, Zn. L’alterazione idrotermale consiste in sericitizzazione e
cloritizzazione delle rocce incassanti, generalmente sviluppata anche per diversi
metri dai set di vene.
Greenstone‐hosted quartz‐carbonate vein deposits (14)
I depositi di questo gruppo, identificati anche in Mother Lode e nella Grass Valley,
contengono importanti esempi precambrici. Principalmente si esplicano come vene
a quarzo e carbonati ubicate in zone di faglie transtensive con comportamento
duttile‐fragile o nei pressi. Sono comunemente distribuite lungo zone di faglie
maggliori nei terranes ospitanti greenstone belt. I set mineralizzati hanno anche
estensioni variabili da 100 a 1000 m, sia come singole associazioni che ibride. Sono
104
ospitate in litologie variabili ma spesso in talune specifiche. Le vene sono dominate
dalla presenza di quarzo e carbonati, con minore clorite, scheelite, tormalina e oro
nativo, calcopirite e pirrotina (minore del 10% rispetto il volume). I corpi minerari
sono ricchi in oro con ratei variabili (Au:Ag = 5:1 a 10:1) e posseggono elevate
concentrazioni di As, W, B, e Mo, e minori metalli base. Non sono generalmente
zonati lungo la loro estensione. Le rocce incassanti tendono invece a presentare
zonazioni di alterazione quali carbonatazione, sericitizzazione e piritizzazione. Questi
volumi sono variabili e dipendono principalmente dalle litologie che si presentano.
Turbidite‐hosted quartz‐carbonate vein deposits (15)
Questi depositi consistono in vene e giunti mineralizzati posizionati in pieghe (saddle
reefs), faglie e shear zones duttili, sviluppate in rocce correlate a sequenze
torbiditiche di età variabile. Esse tendono ad essere state deformate e
metamorfosate in facies scisti verdi. Gli scisti grafitici in queste sequenze sono
particolarmente favorevoli come ospiti della mineralizzazione e le rocce intrusive
sono generalmente mancanti entro e nelle immediate vicinanze dei depositi. I
depositi sono comunemente associati con strutture antiformi, a volte correlate alla
propagazione di sovrascorrimenti, come esemplificato a Bendigo e Ballarat. Le vene
consistono in quarzo e carbonati, con minori componenti in clorite e sericite,
arsenopirite e pirite, tipicamente comprese sotto al 10% in volume nelle vene. I corpi
minerari sono ricchi in oro (Au:Ag > 5) e contengono elevate concentrazioni di As e
W. L’alterazione delle rocce incassanti è sotto forma di sericitizzazione e alcune volte
silicizzazione, in generale, ristretta alle immediate vicinanze delle vene.
Iron‐formation‐hosted vein and disseminated deposits (16)
Questa classe di depositi consiste in strata‐bound disseminati a lenti di solfuri massivi
e discordanti vene quarzose in BIF deformati, comunemente detti anche Homestake‐
type. Essi si trovano in sequenze miste vulcaniche, vulcano‐clastiche e sedimentarie,
in greenstone belt di diverse età, tipicamente metamorfosate da facies scisti verdi
ad anfibolitica. Le rocce ospiti sono ossidi, carbonati e facies BIF, comunemente
ritrovate nei pressi di contatti tra le sequenze sedimentarie e vulcaniche. I depositi
sono correlati a BIF estesi a livello regionale in particolati siti in cui l’azione strutturale
ha un ruolo chiave nella concentrazione della mineralizzazione, ad esempio fold
hinges e shear zones discordanti. Le lenti a solfuri tengono ad essere strata‐bound e
consistono in pirite, pirrotina, arsenopirite ed oro nativo. L’oro è più abbondante che
l’argento (Au:Ag = 5:1 a 10:1) e tipicamente è correlato alla presenza dell’arsenico.
105
106
Condizioni d ambiente geologico Host rocks Struttura Particolarità geochimiche Tipologia di deposito Gruppo di appartenenza
N.26 Schema riassuntivo delle principali caratteristiche della classificazione dei depositi auriferi primari appena trattata. Lo schema concettuale si legge da
sinistra verso destra.
Tipica associazione degli elementi chimici Tipologia di deposito generale Esempi di località tipiche
(McQueen, 1997) o assocazioni
N.27 Tabella illustrativa delle associazioni chimiche dei depositi auriferi primari trattati nella classificazione e di altri depositi in cui è presente l’oro come
107
sottoprodotto o in tracce. Gli elementi chimici sono in ordine di abbondanza relativa.
Giacimenti ed ubicazione spaziale e temporale
Introduzione
N.28 Illustrazione sintetica in sezione geoologica delle relazioni tra tettonica locale e regionale e lo sviluppo dei
depositi auriferi primari.
109
In contrasto, i depositi primari auriferi orogenici sono tipicamente generati durante
eventi collisionali nella crosta intermedia e superiore (Groves et al.,1998). Come
prima delineata, la distinzione tra deposito aurifero primario orogenico ed i Carlin
types, rimane problematica. Definire dei parametri unici e critici è difficile e talvolta
vi sono troppe sfumature da considerare, inoltre la semplificazione non è sempre
possibile in quanto si perderebbero di vista alcuni fattori distintivi importanti.
I depositi primari auriferi orogenici sono suddivisi a loro volta in sottocategorie (e.g.,
Poulsen, 1996):
‐ Korean intrusion‐related (associati ad intrusioni magmatiche);
‐ Motherlode (associati a rocce vulcaniche come rocce adiacenti o incassanti,
ospitanti);
‐ Grass Valley (associati a rocce intrusive come rocce adiacenti o incassanti,
ospitanti);
‐ Bendigo (associati a rocce sedimentarie torbiditiche come rocce adiacenti o
incassanti, ospitanti);
‐ Homestake (associati ai BIF, banded iron formation).
Tali suddivisioni sono basate sulla litologia prevalente che contiene il giacimento
primario (host‐rocks) oppure a quelle correlabili nelle immediate vicinanze. A volte
può coincidere con la roccia madre, dalla quale deriva il fluido mineralizzante ma non
sempre (mother‐rock). In generale, se il sistema idrotermale riuscisse a venir in
contatto con una grande varietà di rocce differenti, esso tenderà a risultare
maggiormente favorevole nel generare un deposito primario aurifero idrotermale
economico. Ci saranno maggiori possibilità che i fluidi vengano in contatto con rocce
madri reattive e favorevoli a rilasciare il loro contenuto aurifero e trovare una futura
collocazione quando l’oro precipiterà, formando le mineralizzazioni. In tal caso, le
rocce circostanti o incassanti (host‐rocks) risulteranno un fattore critico per quanto
riguarda la genesi del giacimento ed una discriminante nella ricerca mineraria. Meyer
(1981) discusse nei suoi studi l’apparente mancanza di formazione di orogeni e
quindi di depositi auriferi primari orogenici tra i 2.4 e 0.3 Ga. Le vene aurifere (gold
bearing quartz veins) in Sud Africa sono risultate essere state generate infatti attorno
ai 3 Ga e in altre catene orogeniche intorno ai 2.5 Ga. Di seguito, alcuni di questi
distretti minerari sono stati protetti dall’erosione durante la stabilizzazione della
crosta precambrica. Meyer (1981) ipotizzò che il gap temporale di 2.1 Ga nella
formazione dei depositi auriferi primari possa esser stato legato alla generale
diminuzione del contenuto aurifero nelle rocce madri, piuttosto che la mancanza a
livello globale delle condizioni necessarie alla genesi di depositi di grandi dimensioni
e tenore (Proterozoico ed in alcune porzioni temporali del Fanerozoico). Queste
110
ipotesi possono essere ancora valide al momento ma bisogna far i conti con la
crescente comprensione scientifica dei depositi auriferi primari orogenici, la quale è
tutt’ora in espansione (Groves et al., 1998; Goldfarb et al., 1998). È possibile ad
esempio valutare un maggior numero di fattori: quali rocce ed in quali periodi storici
hanno avuto il ruolo di rocce madri (mother rocks) e quali altre di rocce incassanti o
ospitanti (host rocks) le mineralizzazioni (mineralisations)? Quali rocce invece hanno
avuto l’effetto opposto? Molte domande chiave riguardanti l’assetto tettonico, le
rocce madri, le condizioni termobariche ai tempi della metallogenesi, i sistemi
idrotermali e il loro sviluppo nel tempo, oltre che il ruolo dell’assetto strutturale,
devono ancora avere una comprensione univoca per giungere ad un’attendibile
distribuzione delle epoche metallogeniche per quanto riguarda la genesi dei depositi.
L’oro orogenico mostra in generale un’associazione spaziale con la tettonica
collisionale e la formazione di orogeni, nonostante ciò i processi collisionali
fanerozoici e l’assetto strutturale correlato non sono associabili direttamente ai
processi avvenuti in periodi temporali così antichi precambrici. Appartenenti
all’Archeano sono giacimenti auriferi primari enormi, mentre nel Proterozoico vi è
l’apparente assenza. Possibile che fossero sviluppati sistemi idrotermali a livello
regionale che rimossero i giacimenti localizzati nel loro percorso e li depositassero
altrove? Molti sono ancora gli interrogativi. È stato riconosciuto che la dissoluzione
dei solfuri e dell’oro nei fluidi associati alla genesi del giacimento minerario (Loucks
& Mavrogenes, 1999) ed il volume fisico di tali fluidi (Fyfe & Kerrich, 1984) sono critici
nella formazione di giacimenti auriferi primari orogenici. Può esser venuto a mancare
un ingrediente fondamentale nei processi metallogenici, tale la sua gravità che per
un periodo prolungato non vi siano creati nuovi depositi. Potrebbe essere cambiato
il gradiente termico, con ripercussioni sul cambiamento nei sistemi idrotermali.
Un’alternativa valida è che i depositi generati nel proterozoico non siano stati
conservati fino ai giorni nostri, rimossi ed erosi, quindi obliterati. Un’ultimo cenno
deve essere effettuato per quando riguarda il ruolo della biosfera nei processi
metallogenesi. Infatti, la formazione dei depositi potrebbe essere correlata
direttamente all’attività di colonie batteriche specializzate attive su un lungo arco di
tempo.
La geologia strutturale e i depositi auriferi primari
La deformazione delle rocce può avvenire principalmente secondo due regimi: il
regime duttile e quello fragile. Il regime fragile è prevalente nel settore di crosta
superiore e ha minor importanza nella crosta intermedie, le sue espressioni fisiche
sono sistemi di faglie (strutture fragili) sia normali che inverse, piuttosto che
trascorrenti o transtensive. La medesima faglia può essere influenzata da diversi
111
regimi durante lungo la sua evoluzione, a seconda della profondità in cui si sviluppa.
In una faglia normale il blocco di tetto scende rispetto a quello di letto (dip‐slip), al
contrario in quella inversa risale. Nelle faglie trascorrenti i due blocchi invece
tendono a scorrere l’uno rispetto l’altro lungo la direzione (strike‐slip). Tutte e tre le
tipologie tendono a veicolare fluidi dalle profondità alla superficie (magmatici,
connati, metamorfici, misti) e viceversa (meteorici). Nei punti in cui esse si
intersecano possono generare importanti depositi minerari, infatti molti esempi si
hanno in tutto il mondo. Le mineralizzazioni si generano a seguito di una variazione
importante e repentina delle condizioni di pressione (decompressione), temperatura
(raffreddamento), pH, Eh. Queste condizioni o una di esse può avvenire più
facilmente dove i fluidi, con differenti caratteristiche chimico‐fisiche, veicolati da
strutture geologiche (faglie ad esempio) si incontrano in una intersezione per
esempio. Anche se in un’area vi possono essere delle faglie principali bisogna
ragionare nell’ottica di un sistema strutturale complesso, composto da decine e
decine di faglie a diverse scale che interagiscono tra di loro in tempi differenti. Solo
alcune di esse veicolano i fluidi in maniera preferenziale e soprattutto efficace.
N.28 Una regola generale è di controllare le intersezioni tra le strutture fragili (faglie) di diverse generazioni, infatti i
fluidi mineralizzanti possono muoversi lungo orizzonti permeabili (per esempio faglie del set a) e quando incontrano
le faglie successive del set b, possono cambiare repentinamente le condizioni geochimiche e precipitare parte degli
elementi contenuti, generando localmente un arricchimento anomalo. È buona norma, una volta che si trovino tali
intersezioni geologiche affioranti oppure erose dal corso d’acqua locale, procedere con un campionamento dei
sedimenti adiacenti.
112
N.29 Le deformazioni duttili, in questo caso un sovrascorrimento, possono anch’esse generare durante la loro
evoluzione una circolazione locale di fluidi idrotermali, i quali possono, con le opportune condizioni, generare
localizzate mineralizzazioni e depositi minerari. Nel caso d’esempio la deformazione duttile procede negli stati A, B,
C, fino a D, dove passa ad essere prevalentemente fragile. Le mineralizzazioni che si generano durante i vari stadi
risultano essere strutturalmente controllate e anche il loro pattern geochimico tipico. L’impronta geochimica
d’esempio non è da considerare come assoluta ma relativa caso per caso d’esempio analizzato.
113
N.30 La messa in posto di un corpo plutonico profondo può permettere la genesi di una serie di circuiti idrotermali, i
quali fluidi tendono a circolare preferenzialmente lungo strutture geologiche fragili (faglie, fault). Si noti come lungo
tali faglie possono anche risalire fusi magmatici. I vari depositi auriferi primari sono ancora una volta strutturalmente
controllati e non in posizioni casuali. Le curve rosse indicano i piegamenti presenti prima della messa in posto del
corpo plutonico, le faglie sono riferite in blu.
N.31 Nell’esempio proposto vi sono le terminazioni in sezione rispettivamente a sinistra di una struttura a fiore
positiva (transpressiva) e a destra di una struttura a fiore negativa (transtensiva). Le faglie trascorrenti (strike‐slip)
tendono ad essere ottime strutture geologiche per la circolazioni di fluidi idrotermali ai diversi livelli strutturali. È
anche importante comprendere come esse siano limitate in estensione e che quindi le loro terminazioni possono
coinvolgere importanti settori rocciosi secondo l’esempio proposto e nelle modalità spiegate. Nelle faglie trascorrenti
vi possono essere componenti estensive o compressive, nel primo caso si tratta di strutture transpressive, nel secondo
transtensive. Un appunto è dovuto riguardo all’evoluzione nel tempo di queste terminazioni, infatti le strutture
transpressive tendono a subire esumazione ed erosione, mentre le transtensive estensione e colmamento detritico.
114
Oro ed orogenesi
Dagli anni 80’, uno dei principali avanzamenti nella conoscenza dell’oro orogenico e
dei correlati depositi auriferi primari è stato effettuato grazie all’abbondanza e bontà
dei dati geocronologici e gli studi associati.
N.32 Sezione geologica di un settore in convergenza in cui vi è un ispessimento della catena orogenica a sinistra e la
subduzione della crosta oceanica da sinistra verso destra sotto la crosta continentale in sollevamento. Si noti come i
corridoi deformativi, i quali tendono a veicolare la deformazione (shear zones, zone di taglio) ai diversi livelli
strutturali, sono canali di circolazione dei fluidi preferenziali. I principali contatti tettonici possono essere quindi fonte
di prospezione alla ricerca di mineralizzazioni, talvolta aurifere.
N.33 Sezione geologica con un dettaglio di un’unità tettonometamorfica, indicata in letteratura come un blocco
roccioso delimitato dagli altri da contatti tettonici. Si noti come all’interno vi possano essere strutture deformative
115
duttili (pieghe), le quali convogliano a loro volta i fluidi idrotermali in risalita (frecce azzurre). Le zone di cerniera delle
pieghe tendono ad essere in questo contesto luoghi preferenziali per la genesi di mineralizzazioni. Le porzioni
profonde dell’unità tettonometamorfica vengono nel tempo lisciviate dai fluidi circolanti e la precipitazione avviene
in livelli strutturali più superficiali.
Età delle principali orogenesi
È da sottolineare come solo i depositi auriferi primari detti orogenici siano correlati
intimamente alle orogenesi. L’oro è ritrovabile anche in molti altri contesti che
potrebbero non essere direttamente correlabili. È comunque importante avere uno
sguardo complessivo rispetto al tempo intercorso dalla genesi del nostro pianeta e
quante e quali orogenesi siano avvenute in tale lasso temporale.
N.34 Grafico riassuntivo del posizionamento temporale delle varie orogenesi finora riconosciute. Le sigle indicate
sono poi riprese nella legenda a lato, modificato B.C. Burchfied (1983). Si noti che l’evoluzione di un evento orogenico,
dall’ispessimento della catena al suo collasso gravitazionale tardivo, genera una serie di strutture geologiche, le quali
evolvono nei diversi stadi temporali e si possono espandere nello spazio o variare il loro comportamento
geomeccanico. In generale, tali strutture sono ottimi corridoi per la veicolazione di fluidi idrotermali e nelle località
opportune si generano depositi economici.
116
Uno sguardo ai depositi auriferi primari mondiali
È importante fornire al lettore un inquadramento per quanto possibile dettagliato
ed aggiornate delle stime delle risorse associate ai principali depositi auriferi primari
mondiali. Ciò per renderlo partecipe delle quantità di oro che ancora deve essere
estratto o che parzialmente è già stato sfruttato dai tempi storici antichi. Nei
paragrafi successivi, alcuni dei seguenti depositi saranno inquadrati dal punto di vista
geografico.
117
N.35 Risorse di oro in confronto all’età approssimata della formazione di depositi auriferi primari correlati, associati
agli orogeni precambrici. Per molte regioni, le quali comprendono i depositi auriferi primari, ci sono alcuni dati in
conflitto derivanti dall’utilizzo di differenti sistemi di datazione isotopica. I dati riportati sono i più precisi possibili ed
aggiornati, presi dagli articoli correlati da fonti affidabili e per quanto possibile definiti dal sistema tettonico presente
e rilevato. Una grande incertezza del dato relativo alla produzione di oro dal Kolar greenstone belt e dallo scudo
arabo‐nubiano riflette l’abbondante coltivazione in tempi antichi degli stessi, dati non oggi ottenibili e quindi perduti.
L’età per la porzione SW dei giacimenti siberiani è molto incerta e si aggira intorno i 200 Ma o più giovani (Goldfarb,
2001).
118
119
N.36 Risorse di oro rispetto l’età relativa della formazione dei sistemi di vene aurifere o altri depositi primari, correlate
agli orogeni fanerozoici. Grandi incertezze sulla produzione aurifera dell’europeo varisico riflette gli estensivi lavori
sui giacimenti primari e sui placers da parte dei romani specialmente in Italia, Spagna e Romania. Tali dati sono
Risorse aurifere
200 45
54
150 53
34
100 30
41
43
44
52 Legenda dei colori:
50 Risorse maggiori di 50 milioni di once
Legenda 46‐ NW North China
Risorse di oro (milioni di once)
Craton; Risorse maggiori di 15 milioni di once
55 generale: 47‐ New England Fold
30‐ Arabian‐Nubian Belt;
50 Shield; 48‐ Internal British Risorse maggiori di 5 milioni di once
31‐ Paterson Orogen; Columbia;
45
carenti in quanto è solo stimabile la quantità di oro estratta (Goldfarb, 2001).
32‐ Brasilia Fold Belt; 49‐ Klondike; Risorse minori di 5 milioni di once
33‐ Hoggar Shield; 50‐ Otago Region; 51
40 34‐ Lachlan Fold Belt; 51‐ Mongol‐Okhotsk;
35‐ Kazakstania 52‐ Eastern North
Microcontinent;
35 36‐ East Sayan;
China Craton;
53‐ Sierra Nevada
37‐ Thomson‐Hodgkinson 35
30 Foothills;
Fold Belt; 54‐ Russian Far East: 55
38‐ Caledonian Region; 55‐ Tombstone Belt;
25 39‐ Meguma Terrace; 56‐ Bridge River;
40‐ Westland Province; 57‐ Southern Alaska;
20 41‐ European Variscan; 58‐ SE Asia; 57
42‐ Blue Ridge Province; 59‐ European Alps; 49
15 43‐ Baikal;
40 46 50
44‐ Ural Mountains;
37
45‐ Central Asia Variscan;
10
3233 56
5 42
47 48 58
39 59
38
0 0.3 0.2 0.1
0.6 31 0.5 36 0.4
Miliardi di anni
L’arricchimento supergenico
L’oro potrebbe esser rimesso in circolo, ad esempio la frattura si riattiva, i cristalli si
fratturano e passa di nuovo altro fluido caldo che precipita nuovo minerale oppure
lo liscivia. L’oro potrebbe venir a contatto con un fluido reattivo ed essere di nuovo
preso in carico e trasportato lontano (lisciviazione). il fluido mineralizzante si andrà
a depositare e formare o arricchire un deposito aurifero prossimale o distale. Nel
caso in cui venisse in contatto con un fluido mineralizzante, la mineralizzazione
potrebbe risultarne arricchita in oro. Un’ulteriore esempio è quello riferito alle
pepite, infatti esse potrebbero formarsi grazie a questo arricchimento localizzato
epigenetico ma ci sono anche altre teorie in merito, esposte nei prossimi paragrafi.
Nell’arricchimento supergenico in senso stretto, il deposito aurifero primario è ormai
quasi esposto in superficie, oppure lievemente sepolto. I fluidi meteorici sono i
principali responsabili della circolazione mineralizzante, infatti essi scendendo
infiltrandosi e procedendo verso le profondità tendono ad alterare, idrolizzare e
prendere in carico alcuni elementi chimici piuttosto che altri. Si noti inoltre che nel
primo tratto di infiltrazione tendono ad essere ossigenati e quindi i minerali
suscettibili, ad esempio la pirite, potrebbero venire attaccate chimicamente. La
superficie della falda freatica indica la momentanea superficie delle acque
sotterranee che divide la zona freatica (satura in acqua) da quella vadosa (acqua in
infiltrazione ed aria). Tale superficie non è costante nel tempo ma varia
stagionalmente di profondità. Nel caso di una mineralizzazione influenzata da queste
condizioni, essa tenderà ad alterarsi chimicamente e degradarsi fisicamente nella
zona vadosa, quindi i fluidi mineralizzanti andranno ad arricchire ulteriormente le
porzioni di terreno e roccia al contatto con la zona freatica.
N.37 Arricchimento supergenico: vicino alla superficie, i minerali primari (ferro, rame, argento) sono in contatto con
l’acqua del suolo leggermente acida; Quando i minerali si dissolvono, migrano verso il basso verso la falda freatica;
Sotto la falda acquifera, le soluzioni possono essere depositate come solfuri (con una concentrazione maggiore
rispetto alla superficie).
120
N.38 Negli esempi sovrastanti si denota una sezione geologica in cui sono evidenti il basamento cristalino, il quale
risulta impermeabile, al letto del terreno roccioso. La superficie della falda freatica suddivide la zona freatica da
quella vadosa, in cui la prima considerata risulta satura in acqua e la seconda invece in aria e con poca acqua in
infiltrazione. La mineralizzazione primaria è solo conservata nella mineralizzazione aurifera primaria e viene alterata
chimicamente e degradata fisicamente nelle posizioni più superficiali fino alla superficie sulla base di una serie di
reazioni chimiche. Il cappellaccio di alterazione superficiale (gossan) è sovrastante la zona di lisciviazione, nella quale
i fluidi meteorici percolanti prendono in soluzione gli elementi chimici reattivi presenti e li trasportano verso le
profondità. L’arricchimento supergenico avviene nella zona di illuviazione o arricchita. Si noti che nel tempo geologico
questa situazione appena descritta muta, specialmente nel caso in cui vi sia un intervento tettonico che ne porta
velocemente l’erosione nel caso vi sia un sollevamento oppure viene sepolto nel caso vi sia un’attività estensionale.
In generale, l’arricchimento supergenico richiede molto tempo per divenire importante e pervasivo ma dipende anche
molto dalle condizioni climatiche.
121
N.39 Modello amagmatico, genesi dei Carlin Type Deposits: nel modello sopra evidenziato si denota una sezione
geologica in cui è possibile osservare come i fluidi percolanti ed infiltranti meteorici discendendo in profondità non
solo eseguano lisciviazione selettiva arricchidendosi in alcuni elementi chimici ma anche si riscaldino. Nel momento
in cui incontrano una struttura geologica fragile, per esempio una faglia, essi vengono convogliati verso località a
minor pressione e risalendo cedono parte del calore accumulato. In queste condizioni possono rilasciare parte del
contenuto lisciviato precedentemente, generando una localizzata presenza di oro per esempio.
Alterazione di retrocessione ed arricchimento supergenico
Le rocce sono composte di minerali ed alcuni di essi tendono a risultare molto
suscettibili alle variazioni di pressione e temperatura. Al contatto con un plutone, i
minerali presenti nell’incassante cercano nuove condizioni stabilità, variando la loro
struttura cristallina o generando neominerali (metamorfismo di contatto). Questo
processo può avvenire sia allo stato solido oppure con il mezzo di fluidi
(metasomatismo). Una volta che l’anomalia termica cessa e nel tempo si ritorna a
condizioni termobariche normali, l’associazione mineralogica precedente risulta di
nuovo esser instabile e tende verso l’attuale stato di equilibrio: vi è un’alterazione
detta di retrocessione. Si formano minerali di retrocessione, di solito acompagnati
da fluidi (origine principalmente meteorica o metamorfica) e di nuovo agiscono
arricchendo o lisciviando le mineralizzazioni già presenti. Ogni volta che si parla di
fluidi bisogna tener conto che possono mobilizzare l’oro solo se posseggono una
geochimica adatta (presenza di composti in cloro oppure telluridi, complessi, etc) e
nelle corrette condizioni pH‐Eh, P, T.
122
Il ciclo biogenico dell’oro
L’azione combinata di diverse specie di batteri in alcune tipologie di ambienti
superficiali e profondi può permettere la formazione di granuli d’oro o l’aumento in
dimensioni di granuli già presenti. Alcune comunità microbiche possono mediare il
ciclo dell’oro, ciò implica che i granuli d’oro possono aumentare in dimensione e
peso in differenti contesti climatici, che spaziano dai sub‐tropicali, semiaridi,
temperati fino ai subartici. La maggioranza delle specie identificate vivono in
sottilissime colonie denominate “biofilm”, ubicate preferenzialmente nelle
depressioni dei granuli d’oro stessi. Questi livelli di spessore infinitesimale sono
spesso popolati dai β
Proteobacteria.
N.40 La biosfera gioca un ruolo fondamentale ed attualmente in fase di studio per quanto riguarda l’arricchimento
supergenico. I microorganismi stessi sono suscettibili ai vari ambienti ed alla presenza delle eventuali
mineralizzazioni. Essi possono trarne un vantaggio metabolico, piuttosto che un deficit a livello ambientale. L’utilizzo
dei biosensori, quali molecole biologiche, nella esplorazione mineraria è attualmente in sviluppo.
Il ciclo biogenico dell’oro – dalla mineralizzazione primaria alla superficie
Si pensa all’oro come un metallo nobile stabile a contatto con gli agenti atmosferici
ma la sua stabilità, come vedremo, è influenzata soprattutto dalle condizioni
geochimiche del sito in cui si trova, le quali nel tempo e nello spazio sono molto
variabili. L’esposizione di un corpo roccioso alle intemperie atmosferiche ed
all’alterazione chimica all’interfaccia roccia‐atmosfera e l’idrosfera genera nel tempo
un terreno, detto anche suolo nel caso avvengano processi biologici. Il suolo è
suddiviso, dall’alto verso il substrato roccioso sul quale poggia, in orizzonti:
O: orizzonte ricco in materia organica (presenza di complessi organici);
A: orizzonte in cui l’infiltrazione dei fluidi superficiali genera un impoverimento in
alcuni elementi chimici (lisciviazione);
123
B: orizzonte in cui l’infiltrazione dei fluidi arricchiti dai processi di lisciviazione genera
un arricchimento in alcuni elementi (illuviazione); può contenere porzioni
naturalmente arricchite in oro sia infiltrante da posizioni più superficiali che in risalita
capillare da porzioni dello strato sottostante. Si può osservare un pennacchio di
arricchimento, detto secondario, composto da oro nanoparticolato, granuli fino a
pepite o più generalmente da oro in soluzione in complessi auriferi (tiocomplessi o
complessi organici);
C: orizzonte prossimo al substrato roccioso in cui si denotano frammenti dello stesso
in alterazione chimica e disgregazione meccanica progressiva; i frammenti ritrovabili
possono riflettere la presenza di una mineralizzazione aurifera primaria nel
substrato; può contenere porzioni naturalmente arricchite in oro sia infiltrante da
posizioni più superficiali che in dispersione dalle mineralizzazioni primarie
circostanti. Si può osservare un pennacchio di arricchimento, detto primario,
composto da oro nanoparticolato, granuli fino a pepite o più generalmente da oro in
soluzione in complessi auriferi (tiocomplessi o complessi organici);
R: substrato roccioso, porzione in cui può essere presente la mineralizzazione
primaria; tipicamente se non fratturato svolge il ruolo di barriera impermeabile,
impedendo ai fluidi più superficiali di penetrare oltre in profondità.
I fluidi acquosi infiltranti nel suolo e nel terreno tendono a discendere attraversando
gli orizzonti O, A, B, C fino a concentrarsi sopra R. L’altezza della colonna d’acqua
accumulata sopra R risulta variabile nel tempo e nello spazio e dipende da molti
fattori, tra cui il clima, le precipitazioni piovose stagionali, la direzione delle acque
sotterranee, etc. Tale porzione di terreno risulta satura in acqua. È inoltre importante
chiarire che nel suolo non tutte le porzioni risultano ricche in ossigeno e vi potrebbe
essere, invece, un bassissimo apporto, rendendo tali porzioni soggette ad anossia
(mancanza di ossigeno). In generali i fluidi meteorici percolanti sono fonte di
ossigeno, trasporandolo al loro interno. La presenza dei biofilm batterici in tali
contesti risulta essere molto suscettibile alla presenza o all’assenza dell’ossigeno.
Infatti, alcune specie batteriche possono vivere solo in condizioni aerobiche o
anaerobiche, influenzado pesantemente i batteri che troveremo nei diversi contesti.
124
N.41 Il ciclo biogenico dell'oro: ossia solubilizzazione e trasporto dalla mineralizzazione primaria verso il terreno,
essudazione dell’apparato radicale e capillarità, assorbimento, bioaccumulo attraverso l’attività vegetale,
lisciviazione nell’orizzonte A, biomineralizzazione riduttiva e formazione dell'oro secondario negli ’orizzonti B e C.
Questi aspetti teorici hanno un risvolto pratico, infatti aiutano i prospettori minerari a trovare nuovi depositi d'oro e
a fornire nuovi approcci alla lavorazione del minerale nelle fasi di processamento (Zammit et alii., 2012). Si noti come
l’oro non solo si trovi nell’ambiente in forma solida (pagliuzze, granuli, pepite, etc.) ma anche in soluzioni acquose,
sotto forma di complessi. In tali soluzioni liquide è impossibile vedere l’oro ad occhio nudo. L’oro tipicamente è in
soluzione nelle porzioni circostanti l’apparato radicale (il quale attinge umidità dal pennacchio di dispersione
primario o secondario) e risale per capillarità lungo le radici, il fusto fino alla chioma. La caduta delle foglie e dei rami
contenenti oro in ultra‐tracce e la loro decomposizione può nel tempo generare un ulteriore pennacchio di dispersione
detto secondario.
L’oro non solo risulta disperso nelle porzioni circostanti la mineralizzazione primaria
ma può essere concentrato e mobilizzato dalla presenza ed attività di colonie
batteriche. Alcune di esse tendono a portarlo in soluzione, in quanto nell’ambiente
circostante liberano composti a zolfo o organici, i quali a loro volta potrebbero anche
già essere presenti senza l’attività batterica diretta. L’oro solido è molto suscettibile
al contatto con i fluidi organici o ricchi di azoto o zolfo e passa in soluzione
diventando parte della soluzione liquida. Nel caso in cui fosse presente della
vegetazione a fusto alto, la quale possiede un apparato radicale vasto e profondo
(alcune specie di eucalipto australiane arrivano a 30 metri di profondità con le radici),
sarebbe teoricamente possibile che durante il proprio ciclo metabolico assorba
infinitesime particelle di oro, contenute nei fluidi acquosi. Le radici assorbono
l’umidità nei sedimenti circostanti e con essa l’oro contenuto nei complessi, quindi
la pianta e la chioma (destinazione ultima della linfa) si arricchiscono, nel tempo, del
nobile metallo nel caso esso fosse presente nei sedimenti circostanti. La morte della
125
pianta o il ricambio annuale della chioma può nel tempo arricchire localmente
l’orizzonte O adiacente di oro in soluzione o nano‐particolato, il quale si ricorda che
ha una dimensione nanometrica ed è presente in ultra‐tracce. Tale orizzonte risulta
molto ricco di composti organici, l’attività batterica prospera e l’oro presente viene
mobilizzato velocemente in soluzione o precipita localmente solo per brevi intervalli
prima di essere rimesso in circolo. Grazie all’infiltrazione delle acque piovane, i fluidi
che contengono i complessi auriferi tendono ad infiltrarsi, passando per l’orizzonte
A e B. Si genera un pennacchio di dispersione secondaro che ha come fulcro le
porzioni adiacenti l’albero e immerge verso il substrato seguendo la direzione di
flusso delle precipitazioni infiltranti.
Il ciclo biogenico dell’oro – dalla superficie all’orizzonte B e C: la genesi delle pepite
Nell’orizzonte B e C, i fluidi contenenti oro possono venire in contatto con colonie
batteriche, le quali grazie alla sensibilità che hanno acquisito nel tempo verso la
presenza di alcuni metalli negli ambienti circostanti cercano di trarne vantaggio
(utilizzo metabolico) oppure di bonificarne la presenza (tossicità dei complessi per il
loro metabolismo). Alcuni batteri noti sono Cupriavidus metallidurans, Delftia
acidovorans e Salmonella typhimurium; essi hanno sviluppato risposte biochimiche
adatte alla fissazione delle particelle d’oro da complessi altamente tossici. Queste
specie batteriche sono sensibili alla presenza dell’oro nei fluidi circostanti, infatti
esso risulta tipicamente molto nocivo per la loro attività metabolica e pertanto in
risposta generano efficaci meccanismi di resistenza come l'escrezione di sostanze
siderofore, le quali riducono il complesso dell'oro, permettendone la precipitazione
nelle immediate vicinanze. Le sostanze siderofore inoltre catalizzano la
biomineralizzazione di oro nano‐particolato con una morfologia tipicamente
sferoidale. Si noti che tale è la dimensione dell’oro fissato che risulta invisibile ad
occhio umano e solamente la sommatoria di tali processi nell’arco di migliaia se non
milioni di anni può dare un risultato ragguardevole, con produzione anche di pepite
sia per sommatoria su granuli preesistenti che senza tale accorgimento.
L’accrescimento passivo dell’oro nel tempo può sia avvenire nelle immediate
vicinanze della mineralizzazione primaria (pochi metri) che in porzioni distali (50‐100
metri). I depositi fluviali, glaciali e fluvio‐glaciali auriferi, coinvolti da notevole tempo
nei processi formanti i suoli, potrebbero fornire ottime caratteristiche
all’accrescimento dell’oro biogenico. L’oro libero nei sedimenti può essere
mobilizzato per biolisciviazione, trasportato e precipitato su particelle d’oro solide
già presenti, fino a formare delle pagliuzze di maggiori dimensioni o pepite in rari
casi.
126
N.42 Modello di processi responsabili della biogenesi di granuli d'oro in ambienti supergenici. Lungo il profilo
longitudinale alla massima pendenza del versante si nota come sono presenti due principali pennacchi di dispersione
dell’oro, il primario e più importante ha il proprio fulcro dove la mineralizzazione primaria risulta a contatto con il
terreno e prosegue lungo la regolite, l’orizzonte C. Qui si ritrovano anche frammenti clastici della mineralizzazione
aurifera primaria e potenzialmente anche oro allo stato solido e cristallino proveniente dalla mineralizzazione stessa.
Il pennacchio secondario ha il proprio fulcro nello spazio circostante l’albero, infatti il proprio ciclo metabolico
indirettamente porta verso la superficie oro in ultratracce, poi disperdendolo nell’ambiente superficiale. Esso tende
a infiltrarsi con i fluidi percolanti come complesso tipicamente organico. Le porzioni evidenziate in giallo, presenti nel
suolo, risaltano la presenza di oro anche nei complessi fluidi, mentre le porzioni evidenziate in rosso, mostrano volumi
in cui i batteri accumulano l’oro dai complessi auriferi circostanti e lo precipitano formando occasionali zone di
arricchimento, con genesi di granuli e pepite. Nell’esempio viene trattato un singolo albero ma il ragionamento si
dovrebbe applicare ad una coltre di vegetazione polivalente, come un bosco o una foresta per esempio.
Applicazioni nel settore minerario
La tossicità dei complessi auriferi favorisce lo sviluppo di biofilm specializzati sui grani
d'oro presenti, e quindi il ciclo dell'oro negli ambienti di superficie, tra cui i suoli
(orizzonti O, A, B, C). La scoperta di risposte microbiche specifiche alla presenza
dell'oro può guidare lo sviluppo di strumenti di esplorazione geobiologica (es.
bioindicatori e biosensori). I bioindicatori impiegherebbero marcatori genetici dai
suoli e dalle acque sotterranee per fornire informazioni sui processi di
mineralizzazione dell'oro, mentre i biosensori consentirebbero analisi sul campo
delle concentrazioni di oro in terreni di campionamento. Le potenzialità di tali
metodi di esplorazione mineraria sono i seguenti:
‐ Limite di rilevamento dell’oro nel terreno 20 ppb;
‐ Sensibilità teorica della misura 2 ppb;
‐ Non è necessario campionare e spedire i campioni in un laboratorio
specializzato;
127
‐ La campagna di prospezione, attraverso l’impiego di bioindicatori, è
effettuale in situ.
Tornando a parlare di un quadro più generale, batteri, archaea, funghi e alghe
giocano un ruolo fondamentale nella guida dei cicli di carbonio, azoto, zolfo e fosforo
nonché di molti cicli di altri metalli (Ehrlich et alii., 1998 & 2008).
Riguardo ai metalli, i cicli possono essere guidati direttamente dai microrganismi in
quanto:
128
129
N.48 Diagramma riassuntivo in cui per ogni fase dall’attecchimento dei biofilm al loro sviluppo e riproduzione sono
riportate le principali specie batteriche operanti. Si noti che nella fase numero cinque, la mobilizzazione dell’oro, i
batteri etichettati con la lettera “S” sono in grado di biolisciviare l’oro, portandolo in soluzione.
Un esempio di un ciclo biogeochimico di un metallo, che fino a poco tempo fa era
considerato inerte, immobile e non biologicamente attivo in condizioni di superficie
terrestre è quello dell'oro (Reith et al., 2007; Southam et al., 2009). Nel passato, la
formazione di oro secondario in ambienti superficiali era anche considerata mediata
esclusivamente da processi abiotici HE (Hough et alii., 2007). Nella medesima opera
di Hough et al. (2007) le pepite d'oro ritrovabili negli ambienti di superficie
potrebbero essere di origine batterica, cioè generati secondo processi biotici LE.
N.49 Schema riassuntivo grafico in cui è possibile osservare il percorso di modellamento e alterazione chimica di un
granulo d’oro dal deposito aurifero primario al desposito aurifero secondario attraverso processi abiotici HE (High
Energy, alta energia).
Il modello abiotico HE
La teoria più accreditata e divulgata finora vede la presenza di oro in ambienti di
superficie come influenzata dall’azione degli agenti atmosferici sulle rocce che
ospitano la mineralizzazione primaria (disgregazione meccanica ed alterazione
chimica) e la distribuzione del nobile metallo è legata alla riconcentrazione fisica e
all'accumulo meccanico (Hough et alii., 2007). Le forze di attrazione deboli agiscono
quando i vari granuli d’oro sono molto vicini tra loro formandone di nuovi
130
tipicamente di maggiori dimensioni. Secondo questa teoria è principalmente l’azione
combinata del trasporto e del posizionamento molto ravvicinato dei granuli d’oro a
fornire la possibilità ad essi di formarne un numero minore ma di maggiori
dimensioni. Per immaginare meglio la genesi di pepite con questa teoria si immagini
una palla di neve che scivolando lungo un versante innevato diventi una palla sempre
di più grandi dimensioni.
N.50 Nell’immagine sovrastante sono riassunte le principali caratteristiche e particolarità del modello biotico
rispetto il modello abiotico (a bassa ed alta energia)
Inoltre, sui livelli più esterni, i quali sono a contatto con l’ambiente esterno, si notano
rivestimenti di oro purissimo (fino al 99,9% in tenore). Essi sono interpretabili come
il risultato della mobilitazione chimica dell'argento dalle leghe primarie oro‐argento
(Hough et alii., 2007) a causa della maggiore suscettibilità dell’argento a passare in
soluzione. L’oro in questo caso aumenta il proprio tenore passivamente (figura 3a).
Ovviamente i livelli considerati sono quelli più ravvicinati all’ambiente circostante (i
più esterni) in quanto in tali siti avvengono le reazioni chimiche, le quali agiscono
estraendo l’argento presente nella lega.
L’oro può anche passare in soluzione (Au+1, Au+3, contro l’oro allo stato solido Au0)
sotto forma di complessi (figura 3b). Ciò tende ad avvenire maggiormente in stagioni
umide e comunque in presenza dei componenti necessari a formare il complesso
(materia organica: complessi organici; zolfo; tiocomplessi; etc). Nelle stagioni aride
gli stessi complessi tendono a ridursi a causa della diminuzione idrica nel sottosuolo
nei siti dove loro sono presenti (si parla sempre di porzioni superficiali del suolo), ciò
causa la precipitazione dell’oro in nano‐fasi (nano‐particelle e lastre d'oro nano‐
131
particolato di dimensioni di circa 200 nm). Tali reazioni sono accompagnate dalla
formazione di minerali evaporatici, ad esempio, barite e halloysite (Hough et alii.,
2008 & 2011).
N.51 (a, b, c). Situazioni differenti mostrano informazioni sui processi che hanno avuto luogo:
a‐ I biofilm tendono a ridurre in dimensione il granulo d’oro, utilizzando il nobile metallo per i propri processi
metabolici e disperdendolo nell’ambiente circostante come rifiuto legato a complessi organici;
b‐ I biofilm non sono presenti, l’argento presente nella lega tende ad essere rimosso nel tempo per
alterazione. I livelli più esterni tendono ad arricchirsi passivamente di oro;
c‐ I biofilm presenti nelle depressioni generano nel tempo strati polimorfici e particelle d'oro sulle superfici
di grani d'oro secondari naturali.
Il ciclo biogenico dell’oro in ambienti non superficiali
Mentre i processi abiogenici svolgono un ruolo importante nel ciclo dell'oro in
superficie, recenti ricerche hanno dimostrato che i microbioti possono anche essere
coinvolti in ogni fase del ciclo biogeochimico dell'oro, dalla formazione della
mineralizzazione primaria nel sottosuolo profondo alla sua solubilizzazione,
dispersione e riconcentrazione come oro secondario negli ambienti di superficie
(Reith et alii., 2007; Southam et alii., 2009). I batteri e gli archei sono onnipresenti
nel sottosuolo profondo fino a diversi chilometri di profondità in strutture
preferenzialmente fragili e permeabili e generano colonie in rocce sedimentarie
porose e metamorfiche permeabili (grado metamorfico molto basso) e sembrano
contribuire alla formazione di depositi primari (Gold et alii., 1992; Fredrickson et alii.,
2006; Fry et alii., 2008; Reith et alii., 2011). Potrebbero svolgere un ruolo
fondamentale nell’arricchimento localizzato dei seguenti elementi: ferro, fluoro,
132
manganese, calcio, magnesio, potassio, sodio, metalli in tracce e ultra‐traccia
(argento, molibdeno, cromo, rame, nichel, palladio, selenio, tungsteno, vanadio,
uranio ed oro). Si pensa che anche mercurio, carbonio e zinco nella superficie
terrestre e in alcuni ambienti crostali siano controllati da processi microbici (Ehrlich
et al., 1998; Gadd et al., 2010; LIoyd et al., 2003; Reith et al., 2007). In uno studio
recente, Tomkins (2013) ha suggerito che i processi microbici potrebbero aver avuto
un'influenza nettamente maggiore sulla formazione di depositi auriferi primari
orogenici come precedentemente creduto. Il suo studio ha indicato che le interazioni
tra i processi tettonici e la biosfera possono aver determinato cambiamenti nella
geochimica globale che hanno generato condizioni più adatte per l'assorbimento
dell'oro nella pirite sedimentaria. Ad esempio, da 3,5 miliardi di anni sono presenti
innumerevoli specie di batteri anaerobici ed eterotrofi adatti a ridurre il solfato e
tiosolfato in idrogeno solforato (H2S) e rilasciare quest’ultimo come sottoprodotto
metabolico. Alcuni batteri, come ad esempio la specie Desulfovibrio spp., sono in
grado di ridurre il tiosolfato da complessi di tiosolfato di oro mobili; questo
destabilizza l'oro in soluzione, che quindi tende a precipitare in posizione
intracellulare o esser incorporato nei minerali di solfuro di nuova formazione, ad
esempio la pirite sedimentaria (Lengke et al., 2006 & 2017). Ciò consente la
formazione di potenziali sequenze sedimentarie come rocce madre (host roks) dal
punto di vista metallogenico, le quali risultano essere rocce sorgenti ideali per i
giacimenti auriferi primari idrotermali di bassa‐media temperatura. La precipitazione
enzimatica catalizzata dell'oro è stata osservata anche in batteri termofili e
ipertermofili (temperatura fino a 400°C) ed archaea (ad esempio, Thermotoga
marittima, Pyrobaculum islandicum), e la loro attività ha portato alla formazione di
lega ad oro e argento nei sistemi di sorgenti termali della Nuova Zelanda (Jones et
al., 2001).
Considerazioni sulle specie batteriche coinvolte
I batteri ferro e solfo‐ossidanti (ad es., Acidithiobacillus ferrooxidans, A. tiooxidani)
sono noti per ossidare i minerali di solfuro che ospitano l'oro in zone di
mineralizzazione primaria e quindi portano indirettamente al rilascio dell'oro
associato nel processo. Questi e altri batteri producono tiosolfato, che è noto per
contribuire alla mobilità dell'oro formando complessi idrosolubili stabili con l’oro
(Etschmann et al., 2011). Altri processi microbici, ad esempio l'escrezione di acidi
organici a basso peso molecolare e cianuro, possono guidare la solubilizzazione
dell’oro nei sedimenti in cui è disperso. Una caratteristica dei metalli del gruppo IB,
ad esempio l’oro, è la loro capacità di legarsi fortemente alla materia organica, e l'oro
ha dimostrato formare prontamente complessi con ligandi organici (Vlassopoulos et
al., 1990; Gray, 1998). L'interazione di oro e materia organica coinvolge
principalmente elementi donatori di elettroni, ad esempio azoto, ossigeno e in
133
particolare gruppi contenenti zolfo (Reith et al., 2007). Le pareti cellulari dei
microrganismi contengono grandi quantità di gruppi contenenti tiolo altamente
reattivi che mediano l'assorbimento dei metalli (Reith et al., 2007). Questo fa sì che
i microrganismi siano al centro di una precipitazione accelerata dell'oro nei sistemi
ambientali rispetto alle superfici minerali meno reattive (Fairbrother et al., 2012).
Pertanto, un gran numero di studi che utilizzano una serie di complessi auriferi
rilevanti dal punto di vista ambientale ha dimostrato la capacità di molti gruppi di
microrganismi di accumulare passivamente e rapidamente complessi auriferi (ad es.
Reith et al., 2007). Un certo numero di batteri e archaea sono anche in grado di
catalizzare attivamente la precipitazione di complessi di oro tossici (Reith et al.,
2007). La precipitazione grazie a processi di riduzione di questi complessi, può
migliorare il tasso di sopravvivenza delle popolazioni batteriche che sono in grado di:
C. metallidurans è stato rilevato nei biofilm che si formano su granuli d'oro da siti
australiani situati in zone climatiche tropicali moderate ed umide, indicando che il
bioaccumulo dell'oro può portare alla biomineralizzazione dell'oro stesso mediante
la formazione di oro "batteriomorfo" secondario (Reith et al., 2006). Anche la
formazione di cristalli d'oro ottaedrici secondari da soluzione di cloruro d'oro è stata
promossa da un cianobatterio (P. boryanum) attraverso un oro amorfo‐solfuro
intermedio (Lengke et al., 2006 a & b). L'oro secondario e batteriomorfico è comune
nei depositi di conglomerati di ciottoli di quarzo, come Witwatersrand, che è uno dei
più grandi e sfruttati distretti auriferi mondiali (Mossman et al., 1985; Frimmel et al.,
1993). In tale deposito, l'oro è comunemente associato alla materia organica
bituminosa di presunta origine microbica.
134
135
Formazione dei silica sinter Batteri termofili e ipertermofili e
Archea
Batteri termofili e ipertermofili SRB
Biomineralizzazione Mineralizzazione a solfuri Genesi energia (Thermodesulfobacterium spp.) e
Concentrazione Archea (Archaeoglobus spp.) (T<400°C)
Mineralizzazione riduttiva Genesi energia Batteri ipertermofili H2 ossidanti (T.
maritime) e Archea (P. islandicum, P.
furious) (T<400C)
Mineralizzazione aurifera primaria (DAP) (Au: 60‐90 wt%)
Alterazione solfuri Fe/S ossidazione Fe/S ossidanti (A. ferrooxidans, A. thiooxidans)
Biosolubilizzazione
Bio‐ossidazione e C. violaceum, P. fluorescens, P. aeruginosa, P. putida, P. syringae,
Produzione cianuri
complessazione P. pecoglossicida, B. megaterium
Produzione Funghi: (A. niger, F. oxysporum) e batteri (B. subtills, B. alvei, S.
Dispersione amminoacidi marcescens, B. megaterium)
Apparati radicali Produzione Fe/S ossidanti (A. thioparus), actinomycetes (S. fradiae), SRB (D.
vegetazione tiosolfato desulfuricans)
Trasporto
Meccanismi abiotici Interazione vegetazione –
(tra cui: capillarità, batteri:
convezione, diffusione) Essudazione radici, Funghi, lieviti e batteri (Pseudomonas spp.)
metabolismo
Precipitazione
riduttiva
Bioaccumulo Detossificazione R. metallidurans, S. enterica, P. boryanum
Assorbimento
passivo Micronutrizione M. luteus, methanotrophic bacteria (?)
Riconcentrazione
Nucleazione e Genesi energia G. metallireduces, R. metallidurans (?)
cristallizzazione Fe/S ossidanti (tiosolfato d’oro) (A. thiooxidans), SRB, complessi
Biomineralizzazione Utilizzo del ligando amminoacidi e cianurati d’oro
Fossilizzazione
Batteri: P. maltophilia, B. subtilis, E. coli
Lieviti: C. utilis, S. cervisiae
Attinomiceti: S. albus, S. fradiae
Funghi: A. niger, F. oxysporum
Oro secondario e batteriogenico (Au: 99 wt%)
Evento metamorfico
Processi geochimici Esempio: conglomerati a ciottoli di quarzo in placer auriferi
Evento supergenico e geologici (Witwatersrand, Africa)
Sollevamento Metamorfismo
Evento idrotermale
Diagenesi Sedimentazione
(modificato da figura numero 1 da Reith et et alii., 2017)
N.52 Schema riassuntivo in cui è possibile osservare per ogni fase del ciclo biogeochimico dell’oro i principali batteri
e specie di microorganismi attive. Si noti che solo in alcune condizioni ambientali essi possono influire sul ciclo.
Falconer et al. (2006) e Falconer & Craw (2009) hanno fornito ulteriori prove del fatto
che i processi geobiologici svolgono un ruolo importante per la formazione di
depositi auriferi primari mostrando che i ciottoli carbonatici all'interno di una
sequenza sedimentaria detritica in Nuova Zelanda contengono granuli d'oro di
origine detritica e oro di origine secondaria che mostra morfologie batteriomorfiche
simili a fogli. L'oro possiede una morfologia porosa simile a un foglio ed è
confrontabile all'oro associato al materiale carbonioso ritrovato nel Witwatersrand.
Inoltre, i solfuri autigeni (pirite sedimentaria) in Nuova Zelanda sono simili ad altri
solfuri ritrovati in contesti simili ed i rapporti isotopici misurati sullo zolfo indicano
origini biogeniche (Falconer et al. (2006); Falconer & Craw (2009).
N.53 Morfologia generale del biofilm, singole cellule e biominerali auriferi associati.
(a) strato polimorfico contenente nanoparticelle d'oro sulla superficie di una depressione del granulo d'oro;
(b) biofilm che mostrano nanofili nella depressione del granulo d'oro;
(c) oro secondario sferoidale che si forma nella depressione del granulo d'oro (Fairbrother et al., 2013).
136
Conclusioni
L’attività batterica apre nuove sostanziali frontiere dal punto di vista scientifico ed
applicativo. Dal punto di vista della mineralizzazione primaria, alcune specie
batteriche sono in grado non solo di rendere possibile il trasporto in soluzione
dell’oro ma anche di farlo precipitare in situ, formando nel tempo importanti
concentrazioni. Gli stessi batteri possono nel tempo generano un ambiente
localizzato positivo al loro ciclo metabolico. I fluidi mineralizzanti a contatto con tale
ambiente potrebbero tendere a formare le mineralizzazioni. La presenza di specie
batteriche particolari tende anche a massimizzare tali processi e influenzare
positivamente il sistema. Una volta che la mineralizzazione primaria viene esumata
ed esposta all’ambiente superficiale non sarò solo attiva la disgregazione meccanica
e quindi la dispersione fisica dei minerali contenenti oro nell’ambiente, ma anche
l’attività batterica che può coinvolgere ad esempio la pirite, liberando il nobile
metallo presente, quindi un’alterazione biochimica. Il percorso dell’oro disperso
nell’ambiente è costellato da una serie di eventi che mettono potenzialmente in
contatto i batteri ai granuli stessi o ai complessi auriferi fluidi, in questi casi le specie
batteriche possono:
137
N.54 Schema ad albero riassuntivo delle varie fasi del ciclo biogenico dell’oro durante le fasi di genesi del deposito
aurifero primario e del successivo arricchimento supergenico a spese del deposito aurifero primario stesso esposto
oppure del deposito aurifero secondario risultante.
Età e distribuzione spaziale dei giacimenti auriferi primari
Nelle prossime immagini verranno collocati su un planisfero globale i principali
giacimenti auriferi primari e distretti minerari. Viene tenuto conto anche del lasso
temporale della loro genesi. Le posizioni geografiche sono quelle relative all’attuale
assetto tettonico globale. Ogni collocamento corrisponde tematicamente anche ad
un range del proprio contenuto in oro, come descritto nell’apposita legenda. I colori
utilizzati sono invece da riferire all’età media delle rocce in cui questi giacimenti sono
presenti.
138
139
140
141
N.55, 56, 57 Le immagini mostrano la distribuzione spaziale con i correlati tematismi
dei principali giacimenti auriferi primari a livello mondiale.
Archeano ‐ Proterozoico
È tuttavia importante anche se più approssimativo, ricostruire per quanto possibile
la posizione dei giacimenti auriferi primari più importanti a livello mondiale, rispetto
il loro periodo di genesi. Infatti, a parte l’Archeano e Proterozoico, la tettonica a
placche ha avuto un impatto sulla genesi notevole, come si è potuto constatare nei
capitoli precedenti. L’Archeano e Proterozoico sono temporalmente molto distanti
dal tempo attuale e non sempre si applicano i principi attualistici in uso al momento
per la comprensione della tettonica regionale. È comunque possibile una
ricostruzione approssimativa.
N.58 Ricostruzione ed ubicazione delle principali province aurifere precambriche nel Proterozoico ed Archeano.
Questa rappresentazione grafica di Rodinia (modificato Unrug, 1996) rappresenta la più antica ed affidabile
ricostruzione esistente dell’assetto continentale del supercontinente, disponibile al momento. Rodinia è interpretato
come esser stato generato nel Meso‐Proterozoico ed essersi frammentato nel Neo‐Proterozoico. È interessante
notare la distribuzione dei giacimenti auriferi primari nelle associate catene collisionali mesoproterozoiche. La
tettonica a placche evolse dall’essere sporadica nel tempo fino a continua e ciclica come si denota nel Fanerozoico.
142
Depositi auriferi orogenici Proterozoici
Provincia aurifera Rocce incassanti Distretto minerario Strutture associate Produzione Risorse Placer associati Età deformazione Età granitoidi Età mineralizzazione Bibliografia
(Moz Au) (Moz Au) (Ma) (Ma) (Ma)
143
Depositi auriferi orogenici Archeani
144
Provincia aurifera Rocce incassanti Distretto minerario Strutture associate Produzione Risorse Placer associati Età deformazione Età granitoidi Età mineralizzazione Bibliografia
(Moz Au) (Moz Au) (Ma) (Ma) (Ma)
Barberton G.B. Kaapval craton Sheba, New Consort Saddleback‐Inyoka >10 presenti ma non 3230‐3080 3490‐3450 3126‐3084 Anhaeusser (1986),
Fairview, Agnes stimate 3230, 3105, de Ronde et al. (1991),
2690 de Ronde & de Wit (1994)
N Pilbara craton Pilbara craton Mount York, Bamboo 2.2 0.8 3340, 3200. 3520‐3400, 3430‐3300, 3200, 3000 Neumayr et al. (1998),
Creek, Marble Bar, 3000‐2900 3315‐3270, 2900 Witt et al. (1998)
Blue Spec 3100, 3000‐
Pre‐Dnieprovian 2900
block Ucranian shield Sergeevsk, Balka Sursk, Verkhovtsevk 3000, 2750 3500‐3100, Archeano M Kushev e Kornilov (1977),
Zolotaya, Appolovsk 2970, 2800‐ 2900‐2500 Koval et al. (1997)
2600
Superterrane E Goldfields Yilgarn craton Golden Mile, Norseman, Boulder‐Lefroy 90 75 2660, 2640 2900‐2630 2670‐2660 Witt et al. (1998),
Kambalda, Bronzewing, Boorara‐Menzies 2640‐2620 Kent et al. (1996),
Sunrise Dam, Jundee 2600 Yeats et al. (1999)
Superterrane W Yilgarn Yilgarn craton Big Bell, Hill 50 18 20 2900, 2660‐2640 2900‐2630 2640‐2620 come sopra
S Superior (Abitibi G.B.) Canadian shield McIntyre‐Hollinger, Larder Lake‐Cadillac 180 200 2710‐2670 2720‐2670 2720‐2660 Robert (1990, 1996),
Sigma‐Lamaque, Hemlo Destor‐Porcupine 2600 Kerrich & Cassidy (1994),
, Dome, Kerr‐Addison Polat & Kerrich (1999),
Abraham et al. (1994),
Slave province Canadian shield Yellowknife (Con, Giant), Campbell‐Giant 16 10 > 2800, 2700‐2580 2800, 2700‐ 2670‐2650, 2585 King & Helmstaedt (1997),
Gordon Lake, Lupin 2580 Hamilton & Hodgson(1986),
E. Dharwar block Balakrishna et al. (1999),
(Greenstone belts) Indian shield Kolar (Champion, Mysore, 27.6 17 >30 Moz stimate 2630‐2520 2750‐2510 2550 Radhakrishna & Curtis (1999),
Nanydroog, Oorgaum) Chadwic et al. (2000),
Hutti, Ramagiri, Gadag Herrington (1995),
Dardyshire et al. (1996),
Midlands, Harare‐Shamva, Zimbabwe craton Kwekwe (Globe/Phoenix) Kadoma, Lilly, 17 5 2710‐2620 2680‐2580 2670‐2650, 2618‐2604, Vinyu et al. (1996),
Odzimutare greenstone Kadoma (Cam/Motor), Munyati, Shamva 2413 Schmidt‐Mumm et al. (1994),
belts (Freda‐Rebecca, Shamva, Oberthur et al. (1998),
Rezende, Redwing) Kolb et al. (2000),
Borg (1994),
Limpopo belt Between Tanzania (Renco) Tuli Sabi 0.5 2700‐2600 2720‐2550. 2570 Walraven et al. (1994),
e Zimbabwe craton 2550‐2530 2400 Pinna et al. (1999),
Chauvet et al (1994),
Goldfields Lake Viktoria Tanzania craton Greita (Bulyanhulu, Byhemba, Suguti shear zone 3 >20 2750‐2530 2680, 2580‐ < 2644, 2568‐ Olivo et al. (1996),
Macalder) 2570, 2530, 2534 Lobato et al. (2001),
1870 Bayley et al. (1973),
Rio das Velhas greenstone S. Sao Francisco Quadrilatero Ferrifero (Cuiava, 30 >10 Paleoplacers 2780‐2770. 2780‐2770, 2710‐2580, 1830 Wilks & Harper (1997),
belt craton Morro Velho, Raposos, Sao a Moeda 2150‐1800 2720‐2700, Sorjonen‐Ward et al. (1997),
Bento, Santana) 2600 Stein et al. (1998),
Eilu (1999).
South Pass Greenstone belt Wyoming Sweetwater (Miners Delight, 0.3 < 0.1 Moz Au 2800, 2670, 2630 2800, 2670 2800
Carissa) 2550 2630, 2550
Paleozoico
Il Paleozoico risulta più chiaro rispetto il Proterozoico ed Archeano, infatti è possibile una
ricostruzione più accurata specialmente rispetto l’orogenesi Varisica.
N.59 Distribuzione delle principali province aurifere paleozoiche nella ricostruzione associata a 356 Ma di Scotese
(1997) ‐ modificato. Dal medio Paleozoico, importanti giacimenti si sono formati in N Africa, Brasile, N Australia e
successivamente si sono trovati isolati in aree cratoniche stabili. Durante l’Ordoviciano‐Devoniano, i giacimenti
auriferi primari si sono formati probabilmente lungo il margine attivo del Gondwana, ad esempio l’attuale
Queensland (Australia) fino al S Argentina a causa delle collisioni di terranes. La chiusura di Iapetus e successivamente
dell’oceano Retico tra Euamerica e Gondwana portò alla formazione di province medio paleozoiche legate
all’orogenesi Caledoniana‐Appalachiana e più giovane Varisica. Una serie complessa di eventi di subduzione e
collisione nella porzione occidentale della Paleo‐Tetide durante il Paleozoico risultò nella genesi delle province
aurifere ora riconosciute negli Urali e nell’attuale centro.
145
Depositi auriferi orogenici Paleozoici
146
Provincia aurifera Rocce incassanti Distretto minerario Strutture associate Produzione Risorse Placer associati Età deformazione Età granitoidi Età mineralizzazione Bibliografia
(Moz Au) (Moz Au) (Ma) (Ma) (Ma)
Arne et al. (1998)
Lachlan fold belt Tasman orogen Ballarat, Bendigo, Stawell, 34 46 460‐250 420‐390 460‐370, Bierlein et al. (1999)
Hill End 370‐360,320 357, 343 Lu et al (1996)
Cooper & Tulloch (1998)
WestLand, South Tasman orogen Reefton (Blackwater, Globe‐Progress) Globe‐Progres shear 2.1 >12 8 420‐260 380‐370 500,37 Muir et al. (1996)
Island, Nz Perkins & Kennedy (1998),
Thomson fold belt Tasman orogen Charters Towers, Etheridge, 8 490‐250 490‐407 415‐398, 320 Bain et al. (1998)
Croyden 330‐270 Peters et al. (1990)
Hodgkinson‐Broken Tasman orogen Hodgkinson 0.15 490‐250 330‐270 300
River fold belt
Sierras Papeanas Paleozoic Andes Sierra de Las Minas, Cruz del Eje, Guamanes shear zone 0.1 535‐390 535, 520, 390‐360 Skirrow et al. (2000)
Rio Candelaria, San Ignacio 490‐470 Rapela et al. (1998)
430‐390
East Sayan fold belt Angara craton Urik‐Kitoi (Zun‐Kholba, Okino‐Kitoi, minore >3 500‐450 510‐430 450 Mironov & Zhmodik (1999),
Zun‐Osna, Taln, Vodorazdel'noe) Kholbin Neimark et al. (1995)
Baikal fold belt Angara craton (Sukhoi Log, Irokindinskoe, Karakonsk, Tompudo‐ minore 40 70 354, 330‐290 380‐365, 345, 280‐250 Vladimirov et al. (1999)
Kedrovskoe, Vysochaishee) Nerpinsk, Tochersk Yarmolyuk et al. (1997)
Bulgatov & Gordienko (1999)
Larin et al. (1997),
Mongol‐Zabaikal fold belt N‐Central Mongolia Booroo‐Zuunmod, Zaamar, Erun‐Gol minore 10 5 tardo Paleozoico Paleozoico precoce Tardo Paleozoico United Nations (1999)
Kipchak arc
(Kazakhastan & Irtysh‐Zalsansaya Kazakstania micro‐continent Vasil'kovsk, Zholymbet, Bestyube, >30 medio Paleozoico Paleozoico precoce Basso Ordoviciano Sengor & Natal'in (1996a,b)
(Caledonian orogen) Stepnyak, Baryrchlk Spiridonov (1996)
Southern Tian Shan Central Asia Variscan orogen Muruntau, Daugyztau, Charmitan, Jilau, Kumtor, Tian Shan suture zone, 50 130 medio Paleozoico Permo‐Triassico Permo‐Triassico Shayakubov et al. (1999)
Sawayaerdun Sangruntau‐Tamdytau shear zone Bortnikov et al. (1996)
Drew & Berger (1996)
Wilde et al. (2000)
Meduma terrane N Appalachian Goldenville, Caribou, Beaver Dam, Cochrane Hill, 1.4 415‐360 380‐370 380‐362 Kontak et al. (1990)
(Acadian event) Forest Hill Gibbons et al. (1998)
Blue Ridge belt S Appalachian Goldville, Dahlonega belt, Hog Mountain 0.4 0.4 medio Ordoviciano 335‐320 343‐294 Stowell et al. (1996)
(Alleghany event) West (1998)
Easten Cordillera Paleozoic Andes Pataz, La Rinconada, Yani Maranon lineament 329 313 Fornari & Herail (1991)
Haeberlin et al. (1999)
Caledonides United Kingdom Dolgellau gold belt (Gwynfynydd, Clogua), Tyndrum fault, 0.2 0.6 abbondanti 520‐480 425‐390 410‐380, 368, 345 Ineson & Mitchell (1975)
(Caledonian orogen) Tyndrum, Clontibret orlock bridge fault McArdle (1989)
Curtis et al. (1993)
Iberian Massaif European Variscan Jales, Gralheira, Salave maggioranza 3 7‐65 stime 390‐310 320‐305 347, < 292‐286 Steed & Morris (1986)
alluvionale (esaurito) 290‐280 Murphy & Roberts (1997)
Quiring (1972)
Massif Central European Variscan Saint Yrieix (Le Boumeix), (Salsigne), Marche‐Combrailles 25 360‐290 360‐290 320‐285 Noronha et al. (2000)
Brioude‐Massiac, La Marche (Le Chatelet) shear zone Bouchot et al. (1989)
Guen et al. (1992)
Marignac & Cuney (1999)
Bohemian massif European Variscan (Celina‐Mokrsko, Kasperske Hory, 5 13 minore 440‐280 360‐290 349‐342 Foster (1997)
Jilove) Sten et al. (1998)
East‐Central Urali Uralian orogen Berezovsk, Kochkar Main Uralian fault >28 abbondante >60 370‐250 360‐320 Carbonifero‐Permiano Moravek (1996a,b)
Bortnikov et al. (1997)
Puchkov (1997)
Kisters et al. (1999)
Mesozoico ‐ Cenozoico
attuali, rispetto l’assetto tettonico moderno.
N.60 Distribuzione delle province aurifere mesozoiche‐terziarie. Essa è principalmente ristretta agli orogeni accrezionali della cintura Circum‐
pacifica. I depositi si estendono dalla Cordigliera delle Ande fino al W U.S.A. seguendo fino alla Sierra Foothills a NW di Nome, Alaska. Altri depositi
si trovano sul lato occidentale del bacino N Pacifico e si estendono dalla Cina orientale all’angolo NE della Russia. Gli eventi finali di accrezione del
Gondwana sono definiti dai giacimenti nel New England e nelle isole S della Nuova Zelanda. Alcuni piccoli giacimenti sono ubicati negli orogeni
alpini.
147
Nel Mesozoico e Terziario si osserva una distribuzione dei continenti più simile alla
nostra, in particolare nella imagine sono riportati i principali depositi primari auriferi
Depositi auriferi orogenici Mesozoici‐Terziari
Provincia aurifera Rocce incassanti Distretto minerario Strutture associate Produzione Risorse Placer associati Età deformazione Età granitoidi Età mineralizzazione Bibliografia
148
(Moz Au) (Moz Au) (Ma) (Ma) (Ma)
Stepanov
Trans‐Baikal Belt Mongol‐Okhotsk (Darasum), Mogocha (Klyuchevsk), sutura Mongolia‐Okhtsk 2 7 35 190‐140 280‐260, Giurassico L Zorin (1999), Yakubchuk
orogenic belt Selemdzha, Niman, Kerbi (Tokur, Malomyr, 164‐145 Cretaceo & Edwards (1999),
Unglichikan) Krivolutskaya (1997),
Daqinshan/Yan‐Liao N Cina craton Wulashan (Saiyinwusu, Zhongshangou, Xiaoyinpan) <5 107 minore permo‐trias 325‐245 300‐220 Miller et al. (1998)
(varisico cinese) Hart et al. (2002)
New England fold belt Tasmanian orogen Hillgrove, Gympie (Timbarra), Peel fault system 4 minore 0.25 320‐230 310‐300, 285, E‐M Triassico Ashley (1997)
Great Serpentinite Belt 270‐240 Cranfield et al. (1997)
Otago Tasmanian orogen Macraes Hyde‐Macraes 0.5 3 8 200‐140 no graniti Giurassico‐Cretaceo McKeag & Craw (1989)
shear zone Paterson (1986),
Tombstone belt Cordigliera Fairbanks (Ft. Knox, Ryan Lode, Tintina e Denali 1.5 12 12 Giurassico 105‐90 105, 92‐87, 77 McCoy et al. (2000),
True North), Goodpastor (Pogo), fault system NewBerry (2000)
(brewery Creek, Sheelite Dome,
Dublin Gulch, Clear Creek)
Seward Peninsula Cordigliera Nome (Rock Creek), Council <0.1 7 170‐130 108‐82 109 Ford & Snee (1996),
(Big Hurrah) 108‐82 Rubin et al. (1995)
Klondike Cordigliera (Sheba, Mitchell, Hunker) <0.1 15 Giurassico no graniti 175 Rushton et al. (1993)
Chugach prisma accrezione Cordigliera Chichagof (Chichagof, Hirst‐Chicagof), Border Ranges 0.9 0.1 L Cretaceo ‐ Eoc 66‐50 57‐49 Goldfarb et al. (1986),
Port Valdez (Cliff), Port Wells, Girdwood, Haeussler et al. (1995)
Hope‐Sunrise, Moose Pass, Nuka Bay
Juneau gold belt Cordigliera (Alaska‐Juneau, Treadwell, Kensington) Fanshaw, Sumdum 6.8 >5 minore M Cretaceo M‐Cretaceo 57‐53 Goldfarb et al. (1991),
Sumdum Chieg 70‐60 70‐48 Milelr et al. (1994)
Talkeetma Mountains Cordigliera Willow Creek (Indipendence) Border Ranges 0.6 minore Giurassico 74‐66 66 Madden‐Mc Guire et al. (1989)
Bridge River Cordigliera (Pioneer, Bralome) Yalakom 4.3 0.6 minore Giurassico‐Cretaceo 270, 91‐43 70 Leitch et al. (1991)
Goldfarb et al. (2000)
Central Idaho Cordigliera (Buffalo Hump, Elk City, Yellow Pine 7 1 L Cretaceo ‐ Eoc 120‐70 78‐67 Cookro (1996), Foster
Boise Basin 64‐47 & Fanning (1997),
Lund et al. (1986)
Sierra Foothills Cordigliera Alleghany, Grass Valley, Mother Lode Melones, 35 15 65 Giurassico‐Cretaceo 150‐80 144‐141, Bohlke & Kistler (1986),
Bear Mountain 127‐108 Landefeld (1988)
Klamath Mountains Cordigliera French Gulch, Deadwood Soap Creek‐Siskiyou 3.5 3.5 Giurassico‐Cretaceo 177‐135 147‐136 Elder & Cashman (1992)
I depositi auriferi secondari (DAS)
Introduzione alla coltivazione meccanizzata dei placer auriferi
I depositi secondari sono molto importanti come fonte redditizia di estrazione
dell’oro. I depositi secondari non sono altro che porzioni di terreno dove l’oro tende
ad accumularsi meccanicamente a seguito dell’azione prevalente degli agenti
esogeni. Questi non solo vanno a degradare meteoricamente ed alterare
chimicamente le rocce presenti ma agiscono anche sui minerali che contengono l’oro
liberandolo nell’ambiente circostante. Successivamente alla frammentazione ed
alterazione delle rocce madri, alcuni agenti, ad esempio l’acqua o il vento, tendono
a concentrare l’oro in località fisiche preferenziali. Nel caso vi fossero cubature
(volumi) e tenori (quantità di oro a tonnellata o a volume) validi potrebbero risultare
fonti di estrazione attraverso il lavaggio di tale materiale clastico nel caso di oro
libero nei sedimenti oppure frantumazione e altre tecniche nel caso l’oro non sia del
tutto libero. L’oro è importante se ritrovato in contesti di depositi auriferi primari
(DAP), in tal caso risulta notevole supporto un’analisi dettagliata delle principali
caratteristiche tipiche. L’oro presente nei depositi auriferi secondari
tendenzialmente risulta economicamente valido entro alcuni parametri. Il
processamento risulta differente e per alcuni versi semplificato rispetto al
corrispettivo messo in atto nei depositi auriferi primari. Non si effettuano, in
generale, lavori in sotterraneo, infatti i giacimenti secondari (placer) sono coltivati a
cielo aperto in cave. I sedimenti vengono processati con l’obiettivo di concentrare i
minerali pesanti, tra cui l’oro, in un volume minimo, detto concentrato aurifero. I
sedimenti possono essere estratti e spostati con mezzi meccanizzati pesanti. I
Bulldozer servono, in un primo momento, a rimuovere la parte di suolo superficiale
e a volte vengono usati per raggiungere l’orizzonte ghiaioso aurifero di interesse. A
questo punto entrano in azione escavatori di differenti generi e dimensioni, ad
esempio:
Escavatori cingolati con sistema di benne a rotazione (diversa potenza dipendente
dalla scala dell’attività): questi sono utilizzati solo in alcuni contesti, di solito sono
149
forniti di un sistema di nastri trasportatori, i quali trasportano il materiale appena
scavato verso l’impianto di lavaggio direttamente oppure verso i camion da cava.
Camion da cava: questi sono di differenti dimensioni e caratteristiche. Servono per
spostare il materiale sterile oppure quello aurifero. L’utilizzo dei camion dovrebbe
essere tenuto conto dal punto di vista dei costi sia di gestione che di manutenzione
oltre che per quanto riguardano i consumi. Si dovrebbe sempre preferire un utilizzo
modesto. Il posizionamento dell’impianto di lavaggio a distanza contenuta rispetto
la cava aiuta notevolmente a ridurre l’utilizzo dei camion da cava.
Pale gommate: questi strumenti sono molto utili sia nella rimozione delle pile di
scarti lavati nei dintorni degli impianti di lavaggio sia nella gestione del rateo di
immissione del materiale aurifero nell’impianto. Si differenzia rispetto all’escavatore
nello stesso ruolo per la maggior capacità di lavoro nel medesimo tempo, oltre che
per la sua manovrabilità.
Questi sono i mezzi a movimento terra principali utilizzati nella lavorazione dei placer
auriferi in tempo moderni. Vi possono essere eccezioni oppure locali ottimizzazioni.
La rimozione dei sedimenti sterili e l’escavazione di quelli auriferi con conseguente
trasporto fino all’impianto di lavaggio dove saranno ridotti i sedimenti lavorati fino a
pochi secchi di concentrato di minerali pesanti, risulta il costo principale in questo
tipo di operazioni, al quale vengono sommate le tassazioni, i costi concessionari se
presenti e quelli della manodopera. L’oro verrà estratto dal concentrato aurifero in
un laboratorio presente sulla concessione oppure in uno esterno ed eventuali
sottoprodotti economici potrebbero venir potenzialmente estratti. L’area fonte di
concessione può essere già stata lavorata parzialmente in passato oppure esistono
piani di prospezione con sondaggi recenti. Nel caso, una volta ritrovato l’orizzonte
aurifero economico si procede con i lavori. Il materiale essendo sedimento può
essere estratto più facilmente rispetto la controparte rocciosa. Inoltre, fattore molto
importante: non deve essere necessariamente frantumato! Infatti, l’oro si trova
perlopiù libero nei sedimenti tanto ci si trovi lontani dal giacimento di origine. I
depositi auriferi secondari hanno sempre avuto un certo fascino: i placer coltivati dai
romani, quelli dello Yukon fino a quelli in California hanno attirato orde di
prospettori, ma alla fine ben pochi si sono arricchiti. Il sogno è sempre il medesimo:
riuscire a risalire dal deposito aurifero secondario a rintracciare quello primario ma
non sempre ciò risulta possibile o fattibile. I depositi auriferi secondari sono una
importante realtà industriale per l’estrazione di alcuni minerali pesanti.
Tendenzialmente, questi sono resistenti agli agenti atmosferici e posseggono elevata
densità e quindi si concentrano per il loro peso maggiore in alcune porzioni
sedimentarie preferenziali. Nei placer auriferi non si ritrova solo l’oro ma anche
minerali di stagno, titanio, ferro. Logicamente perchè l’attività di estrazione
150
convenga devono esserci gradi tenori economici, deve esserci un margine di
guadagno.
Classificazione unitaria dei depositi auriferi secondari
Deposito aurifero secondario: deposito aurifero derivato dalla disgregazione
meccanica ed alterazione chimica di uno o più depositi auriferi primari o secondari.
Gli agenti esogeni agiscono concentrando le particelle aurifere libere e non,
generando arricchimenti fisici localizzati. Si utilizza per semplicità la sigla: DAS
(Deposito Aurifero Secondario).
Placer: concentrazione di minerali pesanti localizzata ed economica per operazioni a
differente scala. È un deposito secondario, tipicamente di origine fluviale o costiera.
Questo termine è utilizzato solo nel caso sia economicamente valida l’estrazione dei
minerali pesanti e legalmente permessa
Deposito aurifero secondario rielaborato: le acque ruscellanti e l’azione del vento
sono agenti esogeni dominanti solo in alcuni contesti climatici. Le acque ruscellanti
tendono ad ammorbidire le morfologie presenti e generano DAS colluviali o eluvio‐
colluviali. L’azione del vento genera in alcuni contesti i DAS residuali. Entrambi i
depositi risultanti hanno caratteristiche sedimentologiche e tessiturali tipiche e
vanno distinti. L’azione dell’alterazione chimica genera i suoli, quindi i depositi
lateritici. Sono importanti perchè alcune reazioni organiche correlabili a movimenti
di fluidi nei pori del terreno, possono asportare e precipitare l’oro altrove, generando
localizzate e sporadiche porzioni fisiche ricche in pepite. Vengono utilizzate le
seguenti sigle:
DASr (Deposito Aurifero Secondario Rielaborato)
DASr residuale: MMR
DASr colluviale: MMC
DASr eluvio colluviale: MMEC
DASr lateritico: MMLAT
Ulteriori termini utili verranno affrontati successivamente.
151
N.61 Sezioni geologhiche longitudinali al versante considerato in cui vi è l’affioramento in quota di una serie di
mineralizzazioni aurifere e la genesi lungo il versante stesso di differenti depositi auriferi secondari e le loro
controparti rielaborate.
152
Classificazione spaziale dei DAS
Si enuncia quindi una classificazione sulla base del settore geografico in cui il
deposito ha ubicazione ed il suo ambiente d’origine. Gli agenti esogeni operano con
differenti intensità in tali contesti.
1) Settore orogenico ‐ Rilievo ‐ Vallivo
A ‐ Deposito di frana ‐ detritico
B ‐ Deposito torrentizio ‐ Conoide intravallivo
C ‐ Deposito glaciale *
D ‐ Deposito fluviale intravallivo *
E ‐ Deposito lacustre intravallivo
F ‐ Deposito secondario rielaborato
2) Settore raccordo: Settore orogenico e pianura alluvionale
A ‐ Deposito conoide alluvionale (D. Fluviale *)
B ‐ Deposito glacis
C ‐ Deposito glaciale pedemontano*
D ‐ Deposito fluviale s.l *
E ‐ Deposito lacustre
F ‐ Deposito secondario rielaborato
3 Settore pianura alluvionale
A ‐ Deposito fluviale alluvionale*
B ‐ Deposito glaciale pedemontano*
C ‐ Deposito secondario rielaborato
4) Settore Foce fluviale ‐ marino
A ‐ Depositi Delta conoide
B ‐ Depositi di Estuario
C ‐ Depositi Costieri terrazzati
D ‐ Deposito secondario rielaborato
5) Settore marino
A ‐ Deposito conoide sottomarino
B ‐ Deposito torbida sottomarina
153
C ‐ Deposito canyon sottomarino
D ‐ Deposito decantazione marina
*Deposito fluviale (dipendente dal contesto e dall’energia: Straight ‐ Braided ‐
Meandriforme)
(S: Straight [diritto] ‐ B: Braided [treccia] ‐ M: Meandriforme) (<: raro , >: frequente)
AA ‐ Fondo canale (S‐B‐M)
BB ‐ Residuo eroded bank (S‐B‐M)
CC ‐ Convex pay streak (<S ‐ B ‐ >M)
DD ‐ Barra fluviale (<S ‐ >B ‐ M)
EE ‐ Top clay bedrock, Top cemented bedrock (argille e cementati ossidi) (S ‐ B‐ M)
FF ‐ Rapide da boulders (>S ‐ >B ‐ <M)
GG‐ Tratti di incalamento (raccorciamento trasversale) (S ‐ B ‐ M)
HH‐ Tratti di allargamento (allargamento traversale) (S ‐ B ‐ M)
LL ‐ Meandri abbandonati (<B ‐ >M)
MMf ‐ deposito secondario rielaborato (S ‐ B ‐ M)
*Deposito glaciale (dipendente dal contesto morfologico)
(C: circo glaciale ‐ V: intravallivo ‐ R: raccordo orogeno‐pianura ‐ P: Pianura)
SS ‐ Deposito scheletrico sparso (V)
DA ‐ Deposito glaciale ablazione (C ‐ V ‐ R ‐ P)
DF ‐ Deposito flow till (C ‐ V ‐ R ‐ P)
DS ‐ Deposito glaciale di fondo (C ‐ V ‐ R ‐ P)
DFG‐ Deposito fluvioglaciale (C ‐ V ‐ R ‐ P)
DGL‐ Deposito glaciolacustre (C ‐ V ‐ R ‐ P)
DSl‐ Deposito slavina (C ‐ V)
MMg‐ deposito secondario rielaborato (C ‐ V ‐ R ‐ P)
154
N.62 Schema grafico riassuntivo della classificazione speditiva dei DAS utilizzata normalmente al posto di quella
completa per questioni di praticità e semplicità.
Classificazione morfologico‐granulometrica (Rizzi 2017)
Questa classificazione è stata concepita per un’applicazione all’oro ritrovato
nell’ambito dei depositi auriferi secondari.
PEPITE – MICROPEPITE – GRANULI – FILETTI – ORO CRISTALLIZZATO
‐ tendono a muoversi sul fondo della batea (rotolamento, trascinamento);
‐ nelle tre dimensioni, due hanno lunghezza simile;
‐ pepita (nugget): peso maggiore di 0,5 g;
‐ micropepita: dimensione minore di 1mm (peso ovviamente minore di 0,5g);
‐ granuli: pepita o micropepita che rotola facilmente;
‐ filetto (wire gold): pepita o micropepita che nelle tre dimensioni una è
preponderante.
SCAGLIE – SCAGLIETTE – PUNTINI – POLVERINO
‐ tendono a non muoversi sul fondo della batea (trascinamento);
‐ risultano molto appiattite.
155
Nelle tre dimensioni due di esse sono preponderanti (spessore rimane minimo)
Scaglia : lunghezza e larghezza superiori a 4mm;
Scaglietta: lunghezza e larghezza compresi tra 4mm e 1mm;
Puntino: lunghezza e larghezza minore di 1mm;
Polverino (flour gold): lughezza e larghezza minore di 1/10mm (visibile con la
lente).
+ “antropico”: se si nota una morfologia anomala dal ritrovamento generico e molto
simile alla fattura umana di gioielli o simili, poi morfologia malleata dalla natura. Un
esame chimico in questo caso toglierà ogni dubbio.
Schema riassuntivo grafico:
‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐< pepita <‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ < micropepita <‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐
(0,5g) (1mm)
‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐< scaglia < ‐‐‐ < scaglietta <‐‐‐‐ < puntino <‐‐‐‐< polverino <‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐
(4mm) (1mm) (0,1mm)
Legenda dei simboli utilizzati:
Dimensione= d x= lunghezza < minore
Massa= m y= larghezza > maggiore
z= spessore << molto minore >> molto maggiore
(dall’alto il più grossolano al basso il più fine)
156
Pepita se:
x circa y circa z / x circa y > o < z
Pepita senso stretto: m > 0,5 g
Micropepita: d < 0,1 mm
Granulo: attitudine a rotolare
Filetto: x o y o z >>
Scaglia se:
X circa y << z
Scaglia senso stretto: d > 4 mm
Scaglietta: 1 mm < d < 4 mm
Puntino: d < 1 mm
Polverino: d < 0,1 mm
Illustrazioni serie pepite (da sinistra verso destra al minore):
Illustrazioni variante antropico e cristallizzato:
N.63 Immagini che aiutano il lettore a comprendere i vari termini della classificazione morfologica appena
presentata.
157
Classificazione granulometrica Mesh
Questa classificazione è in uso attualmente in molti stati esteri, quali Stati Uniti per
esempio. Le particelle vengono fatte passare in una serie di setacci con maglia
standard posti in colonna. Il materiale posto alla sommità dei diversi setacci
incolonnati passerà attraverso una serie di maglie sempre più fini e fitte. Quindi, le
varie percentuali in peso risultanti nei setacci vengono calcolate e l’oro presente
classificato. Tendenzialmente si classifica l’oro con la percentuale dimensionale
dominante. Si noti come tale classificazione risulti ottimale nel caso di oro granulare
e diventi poco significativa nel caso di pagliuzze di grandi dimensioni (vele). Il sistema
è aiutato dalla presenza alla base della colonna di una piastra vibrante che con tale
movimento aiuta i granuli nel loro movimento verso il basso. Con il termine “Mesh”
si intende il numero di aperture contenute in un pollice lineare di setaccio. Per
esempio, un setaccio “10 Mesh” conterrà 10 aperture lungo un pollice di dimensione
lineare e quindi 100 in un pollice quadrato. Di conseguenza un setaccio “20 Mesh”
possiede 20 aperture lungo un pollice lineare e 400 nell’area di un pollice quadro.
Più il numero di Mesh sale, più la rete diventa fitta e solo l’oro più fine potrà passare.
Le particelle d’oro che superano la rete 10 Mesh ma non quella 20 Mesh saranno
classificate come 10‐20 Mesh e così via.
In questa classificazione i seguenti termini ottengono la dicitura:
> 10 Mesh: Oro grossolano (coarse gold) e Pepite (nuggets);
10‐20 Mesh: Oro medio (flakes);
20‐40 Mesh: Oro fine;
< 40 Mesh: Polvere aurifera, comprende l’oro microscopico.
Stime del peso visuali (1)
Ci vogliono circa 2200 particelle d’oro 10‐20 Mesh per comporre un’oncia e circa 71
per un grammo. Tale dato è solo una stima che varia sulla base della purezza dell’oro,
la quale si considera da media ad alta, in quanto ha subito una fase di trasporto. Si
necessitano di circa 12000 particelle di oro 20‐40 Mesh per costituire un’oncia e circa
390 colori per comporre un grammo.
158
Categorie dei "colori" Abbreviazione Massa (mg) Descrizione
Micro‐fly speck Mf 0.03 (30 = 1 mg) non può esser visto oltre 30 cm di distanza;
Oro piatto e pulviscolare, polveroso, farinaceo
Flyspeck F 0.1 (10 = 1 mg) può esser visto oltre 30 cm di distanza;
Oro piatto ma talvolta con spessore apprezzabile
A colour A 1 a 2 circa 1 mm di diametro; dimensione circa di sfere di
una penna a sfera
B colour B 2 a 5 fino a 2 mm di diametro, apprezzabili in tre dimensioni
C colour C 5 a 25 fino a 3 mm di diametro, talvolta micropepite
Nugget (pepita) Nug > 25, individuale
N.64 Esempio di tabella riassuntiva come strumento ulteriore alle classificazioni sopra citate. Si noti come una
caratterizzazione visuale speditiva per confronto possa avere anche ottime ricadute sulla stima del peso sul campo.
Caratteri morfologici dell’oro alluvionale
L’oro che viene ritrovati lungo i corsi d’acqua o nei depositi alluvionali antichi ha
subito una storia molto complessa e variegata, la quale la si può suddividere in alcune
tappe interpretabili dalla morfologia e dalla dimensione dell’oro. L’oro viene
rilasciato dalle mineralizzazioni aurifere primarie, le quali possono essere vene
primarie in senso stretto in cui l’oro è disperso in una matrice quarzosa oppure
essere presente in alcuni minerali particolari, tipicamente solfuri. Tali minerali
alterandosi chimicamente e disgregandosi fisicamente liberano l’oro nativo
nell’ambiente circostante. L’oro viene quindi concentrato in località fisiche
preferenziali nei corsi d’acqua a causa del suo elevato peso specifico, mentre gli
elementi leggeri vengono semplicemente dilavati o dissolti. Un accenno importante
deve essere fatto per quanto concerne l’attività glaciale, infatti, i ghiacciai
funzionano come nastri trasportatori ed accumulano immense quantità di materiale
ai lati ed al fronte del ghiacciaio (depositi morenici). Le morene vengono poi
rielaborate da corsi d’acqua locali che a loro volta concentrano i minerali pesanti
presenti nelle immediate vicinanze. In tal caso, l’oro può anche essere frutto di
processi di disgregazione fisica di rocce aurifere o alterazione delle medesime in
luoghi molto lontani dalla località d’origine. Semplicemente i massi possono
viaggiare molto lontano a causa dei ghiacciai o altri fenomeni. Si noti che i massi
ubicati sotto il corpo del ghiacciaio e sopra il substrato in genere vengono
“polverizzati” dal peso e dal movimento del ghiacciaio stesso, quindi il ghiacciaio
trasposta sopra il corpo o nel medesimo, materiali pressoché intonsi nel tragitto e li
deposita nelle morene, mentre lungo la base polverizza sia il carico di detriti che il
substrato. Le morene dal loro canto sono molto suscettibili alle variazioni del
ghiacciaio e nel caso il ghiacciaio avanzi, verranno sospinte in avanti (effetto
bulldozer). Nei periodi di arretramento si imposteranno morene sempre più interne
allo sbocco vallivo. L’oro nel tragitto varia la sua morfologia e dimensione. Essendo
un metallo molto malleabile, esso tende a deformarsi ed appiattirsi a causa dell’urto
159
tra i massi o rimanendo pizzicato tra essi. Inoltre, un oro grossolano tende ad essere
smosso difficilmente dalle piene, ad eccezione di eventi eccezionali. L’oro fine,
invece, può essere trasportato a grande distanza.
N.65 Schema tridimensionale in cui si denota una località fisica posizionata in quota in cui affiora una serie di
mineralizzazioni aurifere primarie, la cui erosione e successivo trasporto fornisce il carico detritico per formare i
depositi a valle, attraverso i processi di sedimentazione. L’oro, dal momento in cui viene liberato, tende a mostrare
caratteristiche morfologie sulla base dell’agente esogeno prevalente, presente nell’ambiente di trasporto e
sedimentazione.
Trend naturale della variazione della dimensione dell’oro
Bisogna ragionare sulle conseguenze del trasporto dell’oro attraverso i mezzi naturali
principali: acqua, ghiaccio, aria (vento). Nel caso del trasporto fluviale, l’oro preso in
carico dal fiume tende a diminuire di dimensione con il procedere del trasporto fino
a raggiungere taglie molto fini o finissime nell’arco di pochi chilometri dalla sorgente.
L’oro raccolto lungo un corso d’acqua potrebbe mostrare risalendo il fiume trend
differenti. Dall’assenza alla presenza di taglie fini andando ad aumentare verso
monte fino ad un crollo nella presenza e concentrazione quando si supera la località
d’origine. Nel momento del tracollo ci si trova di fronte a due casi differenti:
1‐ si è nei pressi di un deposito sorgente eroso (es. vecchio terrazzo fluviale) che
fornisce nei periodi di erosione (piene fluviali) a più riprese oro al corso d’acqua da
quel punto (arricchimento puntuale);
160
2‐ si è nei nei pressi di una punta migrata, in cui la punta semplicemente migra verso
valle anche di centinaia di metri nel tempo, durante le innumerevoli piene
considerevoli. Il corso d’acqua rielabora i depositi fluviali della pay streak e li
riconcentra un po’ più a valle rispetto all’area precente la piena considerata. Ogni
piena potenzialmente può erodere e quindi depositare il materiale riconcentrato a
valle o coprire la “punta” e quindi preservarla fino al prossimo momento di erosione
o i successivi.
Lungo uno stesso corso d’acqua, è possibile ritrovare diverse località arricchite e poi
una dispersione allontanandosi da queste. Questo vale sia in pianura dove l’effetto
di concentrazione attraverso la qualità meandriforme del fiume o curvilinea viene
accentuata, che in valle, dove la rielaborazione di altri depositi secondari (colluviali
e glaciali oppure fluviali). Un’altra località di arricchimento locale degna di nota
nell’ambito piemontese è l’ubicazione attuale o passata di anfiteatri morenici o
depositi morenici anche in luoghi lontani dello sbocco vallivo o lungo la valle stessa
(depositi morenici scheletrici sparsi). L’oro trasportato dal ghiacciaio come carico
interno e perlopiù superficiale viene ammucchiato pressochè intonso nei depositi
morenici. Il successivo reticolo idrografico superficiale agisce rielaborando il
materiale morenico ed è possibile che nelle porzioni subito a valle, il corso d’acqua
tenda ad essere arricchito di minerali pesanti e quindi oro (se presente nel sedimento
morenico). Un appunto importante è da fare sulle aurifodine piemontesi, con nota a
quelle di Villareggia, Mazzè e della Bessa. Si noti che sono impostate proprio in
questa configurazione: i primi terrazzi fluviali rispetto alla morena erosa e
rielaborata, sono stati i primi a formarsi e si sono preservati parzialmente. Il fiume
approfondendosi non li ha più rielaborati, se non erodendoli parzialmente in modo
laterale, arricchendosi in oro. La grandezza massima dell’oro ritrovabile secondo il
trend appena enunciato è determinata dalla taglia massima individuabile nel
deposito secondario di partenza della rielaborazione. Di solito aree successive a
morene tendono ad avere un oro grossolano, in quanto l’oro trasportato dal
ghiacciaio è arrivato intonso o quasi alla sua destinazione. Avrà quindi morfologie
particolari, tenendo conto che i terrazzi auriferi sono depositi fluviali e quindi ha
subito una fase di trasporto fluviale (appiattimento). Questo vuol dire che lungo un
corso d’acqua, in un dato momento, alcune porzioni erose possono essere ricche o
meno di oro, volendo anche di diversa dimensione. L’età dei sedimenti erosi varia
come il contenuto d’oro e la morfologia. Un aspetto importante è proprio
comprendere come la pianura alluvionale sia la sommatoria nel tempo e nello di tanti
depositi fluviali generati in tempi differenti: il fiume rielabora i suoi stessi sedimenti
e varia il suo tragitto, allargandosi o approfondendosi. Sedimenti vecchi possono
essere rielaborati solo se il corso d’acqua riesce ad eroderli, di solito solo
lateralmente, in quanto sono parte di terrazzi vecchi ed alti. Inversione del trend: la
161
natura non smette mai di smentirsi ed il trend della diminuzione della dimensione
dell’oro con la distanza rispetto il luogo di origine può invertirsi, quindi in alcune zone
l’oro si concentrerà di nuovo. In questo caso si possono generare pagliuzze piuttosto
che pepite.
Deposito aurifero secondario rielaborato
Le acque ruscellanti e l’azione del vento sono agenti esogeni dominanti solo in alcuni
contesti climatici. In tali contesti essi vanno a rielaborare preferibilmente i depositi
secondari auriferi rispetto a quelli primari, in quanto composti da detriti di solito
incoerenti. Le acque ruscellanti “ammorbidiscono” le morfologie presenti e
generano depositi colluviali o eluvio‐colluviali. L’azione del vento genera invece i
depositi residuali. Entrambi i depositi risultanti hanno caratteristiche strutturali e
tessiturali tipiche e vanno distinti come casi a parte nel caso in cui essi siano stati
dominanti. L’azione dell’alterazione chimica genera i suoli, quindi i depositi lateritici.
Sono importanti perché alcune reazioni organiche correlabili a movimenti di fluidi
nei pori del terreno, possono solubilizzare e/o precipitare l’oro, formando pepite o
arricchimenti localizzati notevoli. Vengono distinti in questa categoria i seguenti
depositi con le relative sigle di appartenenza.
DAS residuale: MMR
DAS colluviale: MMC
DAS eluvio‐colluviale: MMEC
DAS lateritico: MMLAT
Si noti come l’agente esogeno caratterizzante dona l’appellativo principale al
deposito. Inoltre, lo stesso deposito può derivare da uno precedentemente già
rielaborato e potrà essere in futuro totalmente o parzialmente modellato da altri
fenomeni ed agenti esogeni, ad esempio: un deposito lateritico riconcentrato dalle
acque ruscellanti. Si dovrebbe descrivere tale carattere con l’aggettivazione più
appropriata, come nel seguente esempio:
Deposito lateritico con sovra impronta colluviale o colluviato.
In questo esempio si parla di un deposito aurifero secondario rielaborato
principalmente lateritico con una riconcentrazione da parte delle acque ruscellanti.
Deposito lateritico con sovra impronta residuale o residualizzato.
162
In questo caso si intende un deposito aurifero secondario rielaborato e per linea
dominante laterizzato con una riconcentrazione da parte dell’azione del vento.
N.66 Schema riassuntivo delle principali tappe che l’oro può subire.
163
164
N.67 L’azione degli agenti esogeni è determinante per la genesi dei depositi auriferi secondari.
Gli eventi franosi – spostamento di masse di sedimenti auriferi o del substrato
roccioso aurifero
Le frane concorrono come agenti responsabili del movimento di ingenti masse di
sedimenti o rocce dalla zona di distacco, detta nicchia di distacco, alla destinazione
di deposizione detta accumulo di frana. Il percorso utilizzato durante tale movimento
è detta zona di scorrimento. Durante un evento franoso, la frana non concentra il
materiale aurifero preso in carico ma bensì lo sposta a quote inferiori, dove sarà
possibile ritrovarlo sotto forma di deposito franoso. Talvolta i caratteri del DAS
originario verranno completamente obliterati in favore dei nuovi caratteri imposti
dalla frana. Nel periodo successivo all’evento franoso, se il clima lo permette, si
osserva la genesi di diversi rii superficiali che in parte eroderanno il substrato
affiorante nella nicchia di distacco e nella zona di scorrimento ed in parte si
attesteranno nelle porzioni marginali del corpo franoso. È importante sottolineare
come essi possono essere auriferi nel caso in cui il deposito che erodano contenga
tracce di oro. Da un lato l’evento franoso, può mettere in evidenza una nuova
porzione di DAP o DAS, piuttosto che erodere più facilmente il corpo franoso che il
deposito precedente. Le frane vengono classificate per via del differente materiale
coinvolto (roccia, detrito, terra) e del tipo di movimento che ha agito (caduta,
ribaltamento, scivolamento, flusso, complessi). Sulla base della tipologia che si
osserva sul campo è possibile quindi riscontrare una tipica morfologia e il tipo di
deposito coinvolto e il movimento subito. Si ricordi che i DAP tipicamente rientrano
nella categoria «roccia», mentre i DAS in quella «debris» e «terra».
165
N.68 L’impostazione di un pattern idrografico superficiale successivamente all’evento franoso non è atipico lungo le
catene alpine. La rielaborazione fluviale permette un arricchimento locale aurifero sicuramente successivo all’evento
franoso principale.
166
N.69 Esempio di come gli eventi franosi possano spostare anche ingenti masse di sedimenti auriferi o substrato, il
quale contiene a sua volta tenori auriferi, in questo caso da un DASe – DASe‐c.
Deposito eluvio ‐ colluviale [MMEC – DASe & DASe‐c]
Si intendono le località prossime ai depositi auriferi primari che hanno subito nel
tempo degradazione meteorica ed alterazione chimica delle mineralizzazioni
affioranti. L’oro rilasciato può essere ancora contenuto interstizialmente nella
matrice della mineralizzazione oppure nella struttura cristallina del minerale ospite,
pirite per esempio. La roccia, attraverso la fase di degradazione meteorica, tende a
frammentarsi ed obliterare la struttura originaria; si producono frammenti, di solito,
con angoli vivi, conseguenza della pressoché assenza del trasporto. Il trasporto tende
ad attutire la proprietà angolosa dei frammenti, in quanto i clasti nel viaggio
collidono tra loro e le porzioni più fragili (gli angoli) verranno rimosse
preferenzialmente. Tanto il trasporto è prolungato tanto questa proprietà diventa
pervasiva. I frammenti diventano ciottoli con un valore di sfericità indice del
trasporto. La roccia o il minerale fonte dell’oro presente può anche alterarsi
chimicamente. Alcuni elementi presenti nei minerali sono reattivi ad alcuni fluidi che
entrano in contatto sulla superficie e reagiscono. Il risultato è che la roccia varia la
sua mineralogia e tende di solito verso uno stato meno coeso e più facilmente
degradabile meteoricamente. Nella degradazione meteorica sono gli agenti
atmosferici o esogeni i principali attori.
167
N.70 Il DAS eluviale si posiziona nelle immedite vicinanze delle mineralizzazioni affioranti.
Nel crioclastismo, l’acqua percolante nelle fratture e in momenti di gelo, anche brevi,
diventa ghiaccio aumentando il suo volume. Agisce sulle pareti delle fessure con
valori di pressione elevati, allargandole ed approfondendole verso il cuore della
roccia. La roccia quindi viene divisa in tanti frammenti, sempre di minore
dimensione. Il crioclastismo necessita di climi freddi anche solo stagionali. Deve
essere presente dell’acqua e la temperatura deve raggiungere la soglia del
congelamento. Un fattore importante è la frequenza, il processo è tanto più invasivo
quanto è ripetitivo in un arco breve di tempo.
168
N.71 Esempio dell’azione del crioclastismo e dei suoi prodotti.
Nel termoclastismo, la temperatura è il principale attore, le rocce a contatto diretto
con fonti di calore come il fuoco o dall’irraggiamento solare vengono riscaldate ed
espandono naturalmente il loro volume. Nell’arco della giornata, la temperatura
varia e se fosse presente un divario termico elevato tra giorno e notte, il volume della
roccia varierebbe notevolmente. Questo crea fessure e fratture interne che vanno a
degradare la coesione della roccia. Queste aree sono principalmente situate in
regioni terrestri con elevato divario termico, spesso accompagnate da climi aridi o
con una forte azione del vento.
N.72 Il crioclastismo è un agente molto invasivo e pervasivo nelle condizioni climatiche rigide e fredde.
169
ll deposito aurifero primario, sempre più frammentato fisicamente, può subire
effetti gravitativi importanti: crolli, rotolamento di blocchi, franamenti e
scivolamenti. Tutti questi processi concorrono a smantellare sempre in maniera più
invasiva la roccia costituente il deposito. Alcuni depositi possono variare nel tempo
le loro caratteristiche e posizione fisica. L’osservazione dei prodotti di
smantellamento che circondano il deposito fornisce informazioni riguardo alla sua
posizione originaria. Il deposito può essere in situ o ex situ. Con queste terminologie
si intendono nel primo caso i depositi auriferi secondari rielaborati presenti presso
la locazione originaria del deposito primario. Nel secondo caso se il deposito primario
ha subito franamenti o altri fenomeni che lo hanno traslato (anche in parte variabile).
N.73 Esame del ventaglio di arricchimento aurifero: la porzione di sedimeti ritenuti auriferi è generata da un apice
(DAP) o (DAS) con dimensioni in aumento verso valle.
Il sedimento non ha subito ancora una grande classificazione tessiturale. Potrebbero
esserci elevate concentrazioni locali nel caso in cui solo i minerali leggeri siano stati
allontanati o asportati. Si noti che il ventaglio di arricchimento si può generare anche
da un DAS particolarmente ricco, come nel caso della rielaborazione di depositi
morenici vallivi laterali. La cartografia tematica può essere di grande aiuto unendo i
vari tasselli per approfondire i caratteri del deposito aurifero primario e di quelli
secondari. Il deposito eluviale è a volte l’obiettivo della prospezione, l’ultimo DAS
ritrovato prima di trovare il DAP originario. L’oro è spesso quasi senza tracce di
trasporto: sono granuli e pagliuzze da piccole a grandi dimensioni. La morfologia è
variata pochissimo rispetto al momento in cui è stato liberato nei sedimenti
circostanti. In questo tipo di deposito, l’oro si ritrova sotto due principali forme:
libero e non libero. Alcune rocce o frammenti possono contenere oro all’interno, a
volte visibile. In questo caso l’oro libero è asportabile con il metodo della divisione
170
gravitativa (batea) ma l’oro non libero è recuperabile previa macinazione della roccia
che lo contiene e successivo lavaggio in batea. Un problema potrebbe risultare
l’accessibilità a risorse idriche per avere l’acqua necessaria al lavaggio o
l’accidentalità del percorso nel trasporto degli strumenti. L’oro si mostra con alcune
caratteristiche chimiche e fisiche tipiche della sua provenienza, infatti potrebbe
mostrare ancora incluse o attaccate porzioni a quarzo o ad altri minerali. Alcune volte
sono visibili tracce di solfuri (se presenti originariamente), tenendo conto che, anche
in situ, l’alterazione dei solfuri a contatto con l’atmosfera è molto rapida. La
comparsa di solfuri visibili attaccati all’oro indica che si è prossimi al deposito
aurifero primario. Un altro aspetto importante del deposito eluviale è la struttura
con cui si presenta: rispetto al deposito aurifero primario, esso mostra una struttura
tipica dei depositi colluviali o eluviali, litologicamente ricalca la zona d’origine. La
struttura è correlata all’azione dei vari agenti che agiscono sulle rocce
frammentandole ed alterandole.
N.74 Nelle immagini sovrastanti è possibile notare come da aree sorgenti indicate con delle croci viola localizzate,
diparta una porzione a forma di ventaglio con asse circa perpendicolare all’asse vallivo. In particolare, il primo
deposito secondario a formarsi è di tipo eluviale, a seguire il colluviale e a seconda dell’azione di differenti agenti
esogeni possono esser presenti, altre tipologie di depositi secondari auriferi (DAS). È evidente come risulti importante
il pattern fluviale locale, di solito formato da rii di montagna di piccola o media dimensione, in quanto essi possono
rielaborare depositi colluviali o di altro tipo e quindi fornire importanti informazioni riguardo l’estensione del
“ventaglio aurifero”. Lungo i corsi d’acqua sono indicate le porzioni aurifere stesse attraverso un tratteggio viola.
L’obiettivo del prospettore sarebbe quello di individuare i limiti del ventaglio ed in particolare l’apice da cui inizia
l’arricchimento.
171
Legenda:
a‐ Rio aurifero grazie al ventaglio di arricchimento;
b‐ Corso d’acqua, nel quale “a” confluisce;
c‐ Corso d’acqua risultante, in cui l’oro presente sarà la sommatoria del ventaglio aurifero adiacente ma
anche relativo all’oro presente in “b”;
d‐ Rio non aurifero, tratti con assenza di oro. Il limite tra “a” e “d”, i quali sono due tratti del medesimo rio
sanciscono i confini dell’arricchimento aurifero;
e‐ Corrisponde al tratto di rio con l’oro più grossolano e con i tratti morfologici più simili a quelli ritrovabili
nel deposito eluviale e colluviale. È presente un minimo trasporto fluviale.
Nota bene: le morfologie verdi indicano locali porzioni franate che traslano localmente possibili arricchimenti sia
primari che secondari.
N.75 Il crioclastismo ed il termoclastismo concorrono insieme a degradare meccanicamente le mineralizzazioni
aurifere esposte e genere con il tempo e con l’aiuto degli agenti esogeni presenti il ventaglio di arricchimento aurifero.
Deposito lateritico: MMLAT
L’alterazione chimica delle rocce tende a generare terreni sempre più incoerenti ed
alterati. La roccia diventa un terreno, talvolta anche molto fertile. La vegetazione ha
ruolo fondamentale con lo sviluppo del proprio apparato radicale e le reazioni
biochimiche correlate, infattti le radici tendono ad infiltrarsi nelle fessure rocciose
meccanicamente, alla ricerca di acqua e sostanze nutritive ed allargano le fessure
man mano che vi si infiltrano. Inoltre, potrebbero esserci dei fluidi circolanti di natura
organica, leggermente acidi che alterano chimicamente la roccia circostante o i suoi
frammenti regolitici, lisciviando i minerali reattivi.
172
N.76 Nell’immagine è possibile osservare come il suolo e la sua evoluzione nel tempo possa generare un habitat utile
allo sviluppo di innumerevoli specie sia per quanto riguarda la microflora che la microfauna. Le infiltrazioni
meteoriche permettono il movimento anche di fluidi di origine organica, i quali sono di notevole importanza per la
lisciviazione e trasporto di alcuni elementi nei sedimenti superficiali e la successiva deposizione localizzata. Questo
potrebbe essere un valido modello per la genesi di alcune tipologie di pepite.
La roccia risulta massiva e coerente: le sue caratteristiche sono legate ai processi che
ha subito ed al materiale che la compone. Può essere di origine sedimentaria,
magmatica oppure metamorfica. Una roccia magmatica si forma per cristallizzazione
profonda di fusi (magmi) in milioni di anni (es. gabbri, graniti, etc). Se i fusi riescono
a risalire fino alla superficie e quindi estrudono si parla di lave e la velocità di
cristallizzazione di tali masse fluide a contatto con l’atmosfera sono rapide e risulta
possibile osservare rocce magmatiche effusive (es. basalti, vetri vulcanici, rioliti, etc).
Se la roccia viene portata, attraverso i processi geodinamici, ad elevate profondità e
temperature, sulla base della geochimica della roccia di partenza, detta protolite, i
minerali presenti possono ricadere in alcuni campi di instabilità (pressione‐
temperatura). Questo processo è detto metamorfismo e di solito avviene allo stato
solido. Dal metamorfismo si originano le rocce metamorfiche (es. granito‐‐>gneiss;
sedimenti‐‐>meta‐peliti, scisti; rocce carbonatiche‐‐>marmi; etc). La loro struttura di
aggregazione atomica, spesso, non è stabile alle condizioni ambientali attuali e
ricerca le condizioni di equilibrio locali, formando nuovi minerali, detti di
retrocessione. Nel caso di esposizione agli agenti atmosferici, le rocce magmatiche e
metamorfiche possono venire disgregate meccanicamente in frammenti e
rielaborate, formando rocce sedimentarie terrigene.
173
facilmente attaccata chimicamente dagli elementi che si trovano a contatto nei fluidi
ed acque. La temperatura favorisce la velocità delle reazioni e l’ambiente umido fa
sì che le rocce esposte siano sempre a contatto con le acque superficiali. In questo
clima ed in altri, si creano dei “terreni” dalla disgregazione meccanica ed alterazione
chimica delle rocce madri, poi detti “suoli”, nel momento in cui siano presenti anche
delle reazioni biochimiche. I terreni sono composti di frammenti rocciosi ed essendo
questi accatastati in uno scheletro solido, offrono spazi liberi per il movimento di
acque e la loro circolazione, detti pori o porosità. I terreni sono ricchi di sostanze
nutritive per la vegetazione e quindi su un terreno, se il clima lo consente, attecchisce
la vegetazione e vi prospera. Questa ha un effetto esasperante sui processi che
concernono l’evoluzione del terreno, trasformandolo in suolo. Le radici rielaborano
localmente la struttura del terreno insediandosi in cerca di nutrienti ed acqua. Al
momento della morte della vegetazione, questa si accascia in superficie e
degradandosi libera sostanze organiche che a contatto con l’acqua che si infiltra nel
suolo, la rendono debolmente acida. I minerali presenti nel suolo vengono attaccati
dai fluidi lievemente acidi, alterandosi chimicamente più rapidamente. Si noti che
nel suolo alcuni volumi di sedimenti variano di acidità nel tempo da ambienti più
alcalini ad acidi e viceversa. Si formano quindi le argille dalle reazioni di alterazione
chimica ed idratazione dei minerali per esempio. Il terreno e la roccia madre sono
divisi da un’unità intermedia detta regolite, una via di mezzo tra la roccia massiva ed
il terreno incoerente. In zone a clima caldo ed umido, i processi di alterazione chimica
provocano la destabilizzazione dei minerali primari (dei quali il più resistente è il
quarzo), e il passaggio in soluzione e mobilizzazione degli elementi più solubili, quali
K, Na, Ca, Mg e Si. Il suolo è passivamente arricchito in elementi quali Al e Fe, che in
questo tipo di ambiente, tendono a formare composti stabili (idrossidi), e quindi non
vengono portati in soluzione. Più i processi risultino esasperanti e invadenti e
maggiore sarà la velocità di degradazione della roccia e la genesi di un suolo di
elevato spessore. La vegetazione che si imposta al di sopra tende a proteggere
dall’erosione il suolo stesso e quindi si osservano lunghi periodi temporali, senza
grandi variazioni altimetriche. Le rocce degradandosi rilasciano i minerali che le
compongono. Alcuni sono reattivi e facilmente si alterano chimicamente e passano
in soluzione con i fluidi circolanti, anche solo parzialmente. Altri invece si
concentrano e danno origine talvolta a depositi lateritici. Vi possono essere estese
aree con grandi concentrazioni di bauxiti (estrazione dell’alluminio) oppure ferro
(lateriti ferrifere), un altro esempio sono le lateriti nichilifere (Nuova Caledonia).
L’oro risulta suscettibile a contatto con i fluidi organici e tende ad essere
solubilizzato. È inoltre importante ricordare come i microorganismi possano svolgere
un ruolo fondamentale nel ciclo di lisciviazione ed accumulo dell’oro, generando nel
tempo in volumi fisici ridotti e sporadici importanti arricchimenti in pepite d’oro. Nel
caso l’oro non venga lisciviato si può ritrovare fisicamente nei pressi della originaria
174
mineralizzazione primaria, attualmente pedogenizzata. Ogni clima genera un
particolare pattern nel suolo che costituisce. Se conservato è possibile quindi una
ricostruzione ambientale del clima passato, il quale potrebbe non essere più quello
attuale. Con il procedere dell’evoluzione del suolo si generano differenti orizzonti, i
quali posseggono caratteristiche salienti ed osservabili lungo una trincea
superficiale. L’oro è ritrovabile lungo corsi d’acqua o rii che erodono i depositi
alluvionali o i suoli auriferi. Il corso d’acqua dilava e concentra i minerali pesanti e
risulta un ottimo luogo di prospezione, grazie anche alla migliore accessibilità
rispetto le porzioni adiacenti impervie a causa della vegetazione. Il problema
dell’argilla in questi contesti di processamento risulta elevato. L’argilla è un
costituente percentuale molto alto in alcune porzioni delle lateriti e richiede un
lavaggio duraturo ed impegnativo. Nel caso venga scartata può contenere oro ed
anche in importanti quantità. Gli impianti di lavaggio devono impiegare più tempo a
smembrarla e lavarla, in quanto essa passa in sospensione nelle acque di lavaggio e
fornisce quel colore rossiccio‐marrone. L’acqua sporca ha un minore effetto
dilavante ed il processo è incline a peggiorare tanto che il contenuto argilloso risulti
maggiore.
N.77 Nella figura si può notare la medesima porzione rocciosa incoerente che da sinistra verso destra evolve
temporalmente, definendo sempre più una situazione di suolo maturo. Si generano via via i differenti orizzonti, i quali
sono caratterizzanti. È importante notare come in questo processo vi possano essere dei fluidi in movimento,
principalmente meteorici con componenti organiche che potrebbero mobilizzare l’oro. La genesi di alcuni orizzonti
più impermeabili di altri tende inoltre a veicolare tali fluidi in alcune direzioni prevalenti. Il suolo evolve a spese del
substrato roccioso nel tempo.
175
La genesi delle pepite
L’oro nativo può apparire sotto forma di pepita in molteplici occasioni. Le pepite o
nugget tendono a ricalcare la morfologia originale, a volte, o a generarne una nuova,
infatti l’oro risulta molto malleabile e varia la sua morfologia durante il trasporto a
causa di stress esterni (urti, schiacciamenti, etc). I corsi d’acqua spesso concentrano
le pepite in luoghi preferenziali, i quali risultano sporadici. Le pepite sono ricercate e
trovate tendenzialmente attraverso la prospezione con metodi elettronici (metal‐
detector) come in Australia (anche in dry emplants) o U.S.A. oppure attraverso il
lavaggio di vaste cubature di materiale come negli impianti di lavaggio dello Yukon.
Attraverso l’attività hobbistica potrebbe succedere di trovare una o più pepite ma
rispetto il materiale vagliato sono molto sporadiche e spesso concentrate vicine le
une alle altre. La dimensione è molto variabile: in un ambito fluviale tendono ad
essere centimetriche o millimetriche arrotondate e schiacciate. Nel caso australiano
si trovano nei suoli residuali, aree in cui la roccia madre è stata completamente
alterata ed obliterata. L’oro, se presente nella roccia madre, si ritrova in questi suoli
residuali accompagnato da una insolita quantità di quarzo, in quanto il quarzo è
tendenzialmente insolubile in questi suoli e li arricchisce passivamente. Nelle lateriti
anche il quarzo verrà rimosso in alcune situazioni. Le pepite possono essere scartate
sia a scala del prospettore che in impianti nelle fasi di setacciatura. Essendo molto
rare potrebbero non apparire nei test o nelle griglie di prospezione (test ripetuti in
griglia con carotaggi). È un buon consiglio ricercarle in distretti già sfruttati in
passato. Di solito le pepite hanno un’alta purezza (22K) e mostrano molte inclusioni
minerali. Attraverso i minerali inclusi è possibile ricostruire alcune tappe
giacimentologiche e del trasporto, oltre che ricercare la località di provenienza. Il
trasporto tende ad aumentare passivamente il tenore in oro, rimuovendo gli
elementi reattivi con i fluidi locali. L’oro più subisce un trasporto prolungato e più
perde le sue impurezze in modo naturale. L’origine delle pepite è un argomento di
dibattito aperto ancora oggi. Non si capisce perfettamente la genesi. Nelle vene non
si trovano pepite di tali dimensioni. Si parla di ammassi d’oro nativo di 100, 300 o più
grammi! Quindi si devono formare in un secondo momento e non durante la
precipitazione in vena o altre origini primarie. Alcune eccezioni sono presenti per
pepite di taglie minori. Si sono sviluppate negli anni differenti teorie:
1‐ le pepite d’oro si formano in quanto l’oro è malleabile e poco reattivo. Durante il
trasporto le particelle d’oro fini tendono, se a contatto le une alle altre, ad unirsi tra
di loro anche in ambienti superficiali. I sedimenti, venendo spesso rielaborati dai
corsi d’acqua nelle piene, mettono in contatto i granuli d’oro efficacemente più e più
volte generando un effetto a cascata. Una pagliuzza si unisce ad un’altra diventando
una pagliuzza più grande e visto che è maggiore ora la sua dimensione tenderà solo
ad aumentare, venendo a contatto statisticamente con un maggior numero di
176
particelle aurifere. Rimane comunque un problema, perché l’oro se non trovasse le
condizioni favorevoli tenderebbe a diminuire la sua dimensione con il tragitto
arrivando ad essere ultrafine, quindi quasi invisibile e difficilmente recuperabile nel
processamento gravitativo convenzionale. Questo effetto bimodale è visibile più
volte durante la prospezione.
2‐ una seconda teoria è più moderna, si parla di suoli lateritici e residuali e di
composti con cianuro e cloro o composti organici, i quali possono prendere in
soluzione anche piccole quantità di oro dal materiale sedimentario circostante.
Viaggiano quindi attraverso i pori del terreno e precipitano l’oro in settori in cui una
variazione geochimica rende ciò possibile, generando quindi delle pepite. È possibile
anche che l’oro precipiti su altro oro già presente, ingrandendo la pepita o rendendo
la pagliuzza una pepita. In entrambi i casi si necessita della presenza di oro, di
particolari condizioni di permeabilità del terreno (i fluidi devono muoversi) e di una
composizione chimica necessaria alla lisciviazione dell’oro (tutto meno che
scontata). In un secondo momento serve una trappola geochimica, una variazione
repentina di pH o della composizione chimica del composto fluido in modo che l’oro
precipiti, facilmente tutto nello stesso momento temporale oppure solo in quella
posizione particolare. È anche interessante ragionare sulle differenze di permeabilità
nel sottosuolo. I fluidi auriferi sono veicolati dai limiti di permeabilità e non tutte le
zone in cui transiteranno avranno lo stesso pH. Proprio queste condizioni variabili
nel tempo e nello spazio, permettono a composti al momento precipitati e fissati di
passare in soluzione molteplici volte. La fissazione dell’oro da parte di colonie di
batteri poste in zone molto localizzate è al momento in fase di studio ma si stanno
riscontrando promettenti risultati. Essi vivendo estraggono l’oro dalla soluzione e lo
precipitano attraverso le loro reazioni organiche, accrescendo quindi localmente il
contenuto d’oro fissato. Questa teoria è molto affascinante in quanto spiegherebbe
come l’oro può concentrarsi nel sottosuolo o nei terreni residuali senza una
concentrazione meccanica (se non il movimento della falda a pelo libero o
l’infiltrazione naturale delle acque superficiali) ma piuttosto una lisciviazione, un
trasporto e quindi una fase di precipitazione biomediata.
3‐ nel caso di un passato molto antico le condizioni della Terra erano assolutamente
differenti (es. Archeano, Proterozoico). Ora le rocce madri non esistono più ma l’oro
essendo stabile lo si ritrova di grandi dimensioni. In questo campo sono difficili le
ricostruzioni.
177
Deposito residuale o eolico: MMR
Il vento è un’importante agente esogeno, esso non è altro che una massa di aria in
movimento ad una certa velocità e direzione. A contatto con il terreno si genera
attrito che in alcuni casi potrebbe muovere le particelle terrigene più fini. Le argille
ed i limi in assenza di acqua ed in climi aridi vengono asportati per primi e portati
anche a grandi distanze. La successiva granulometria trasportata è quella delle
sabbie per saltazione o rotolamento. L’aspetto fondamentale è che in climi molto
ventilati ed aridi le sabbie tenderanno ad essere composte da minerali molto
resistenti (quarzo) e quindi si eroderanno tra loro riducendo le rispettive dimensioni
ed arrotondandosi. Il sedimento aurifero tende a concentrarsi passivamente in
seguito alla rimozione e degradazione meccanica dei minerali e delle rocce
circostanti. Risulta nel tempo un minor volume totale ma uguale quantità aurifera,
quindi percentualmente l’oro risulterà maggiore rispetto il volume considerato. Il
vento può agire in questo processo in condizioni prolungate in climi secchi sia caldi
che freddi. Esso agisce asportando le componenti terrigene fini (argille e limi) e per
saltazione e trascinamento rimuove parzialmente anche le componenti sabbiose,
concentrando in loco quelle ghiaiose. Il vento può agire anche modellando depositi
auriferi secondari già presenti. Un esempio potrebbe essere un terrazzo fluviale
molto antico che tende ad essere nel tempo topograficamente più basso perché
eroso da forti venti e previa assenza di vegetazione non può che andare sempre più
a concentrare oro localmente. Un secondo esempio potrebbe essere un deposito
residuale impostato alle spese di uno eluviale precedente. La mineralizzazione
aurifera totalmente obliterata ed alterata viene successivamente concentrata a
seguito di forti venti. L’oro non subisce un trasporto e quindi vi si concentra
passivamente in loco. Nella chiave di lettura proposta si è preferito suddividere i
depositi lateritici da quelli residuali, in quanto nei primi la concentrazione è sia
passiva che attiva per mezzo dei fluidi e vi è lo sviluppo del suolo. Nei depositi
residuali invece è il vento il principale agente concentrante. Si noti che entrambi
tendono a non coesistere con uguale efficacia ma possono alternarsi nel tempo. Nei
suoli lateritici tende ad essere presente una maggiore influenza della biosfera tra cui:
flora, fauna e vegetazione, pressoché assente nel caso dei DAS residuali. L’oro
ultrafine (<100 micrometri) potrebbe, a seguito di forti venti, anche essere asportato
e concentrato in altri tipi di ambienti; l’oro fine nei depositi residuali potrebbe quindi
non essere presente. Inoltre, l’oro tende a ridursi in dimensioni con il trasporto
fluviale, in questo caso assente ma possibilmente presente nel passato storico, a
seguito di piene storiche intervallate a cicli di aridità prolungati. Il clima tende a
variare nell’arco del tempo ed in periodi temporali molto lunghi, secondo
principalmente i cicli astronomici orbitali. Le tipologie climatiche possono alternarsi
o variare con conseguenti diversi agenti concentratori passati che ora non sono più
178
in azione ma dei quali osserviamo ancora parzialmente i loro prodotti. In climi attuali
desertici e quindi aridi, la morfologia è differente a seconda del tipo di deserto
presente. Una piccola parentesi va fatta riguardo l’oro ultra‐fine con morfologia
tabulare che in casi di venti molto forti potrebbe essere preso in carico ed andare a
depositari in massa in depositi eolici di tipo loessici. L’agente esogeno principale
operante in climi aridi e ventilati è il vento. Questo non solo porta in sospensione
alcune taglie di sedimenti estraendoli e depositandoli altrove, bensì smuove altre
taglie più grossolane creando attriti tra le particelle costituenti i depositi superficiali.
In lunghi periodi di tempo le rocce non possono che venire degradate e perdere via
via parte del volume, diminuendo le dimensioni. Inoltre, i minerali pesanti possono
concentrarsi in particolari porzioni. Un altro fattore da non sottovalutare è
l’irraggiamento solare. In alcuni climi aridi (mancanza di acqua) e caldi vi sono forti
escursioni termiche giornaliere che vanno ad aumentare lievemente il volume delle
rocce irraggiate di giorno (calore) alle quali segue una contrazione durante la notte
(freddo). Questa tipologia di disgregazione meccanica è detta termoclastismo.
Attraverso differenze di temperatura, la roccia viene intaccata a livello strutturale
tendendo a disgregarsi in frammenti sempre più piccoli.
N.78 I clasti e frammenti rocciosi sono di solito angolosi e concentrati in superficie. Vi è la quasi assenza di taglie fini
(limi ed argille). È possibile talvolta osservare arricchimenti circa lineari di magnetite a seguito di azione eolica ed
ostacoli che si oppongono alla direzione del vento prevalente.
Nel caso di deserti freddi vi può essere oltre all’azione del termoclastismo, il
crioclastismo, cioè l’acqua con il passaggio ciclico dallo stato fisico liquido a solido
nelle fratture tenderebbe a fratturare sempre più in profondità la roccia,
disgregandola. Le rocce costituenti i depositi auriferi primari vengono disgregate in
frammenti sempre di minore taglia nel tempo e tendono a concentrarsi o essere
asportati e disgregati, oltre che alterati chimicamente. Anche se i deserti caldi sono
molto aridi per buona parte dell’anno, in alcuni periodi vi possono essere importanti
episodi di precipitazioni. Rii e torrenti secchi per mesi se non anni diventano sede di
piene fluviali anche di grande intensità ed entità (flash floods). Di conseguenza, i
179
minerali pesanti, tra cui l’oro vengono rielaborati e concentrati. Queste piene sono
molto importanti e risultano nella genesi di placer continentali, talvolta molto ricchi
e ancora poco sfruttati ai giorni nostri se non dal punto di vista elettronico (utilizzo
del metal detector). Logicamente nel periodo successivo alla piena, a causa del clima
arido, la sede del torrente diventa ben presto di nuovo arida e secca e quindi
facilmente accessibile alle prospezioni. La vegetazione cresce solo sotto forma di
arbusti o piante a basso fusto, senza andare a coprire o obliterare le vecchie sedi
fluviali come invece nei climi temperati, ciò si riflette sulle piene, in quanto non vi
sarà attrito con la vegetazione laterale o nella sede del fiume durante la piena e
quest’ultima tenderà ad essere più violenta. Nei climi desertici, il modellamento del
paesaggio avviene con la tendenza all’appiattimento di vecchi rilievi e una
morfologia collinare risultante. L’acqua in tali ambienti desertici, specialmente in
quelli aridi caldi, è di difficile reperimento e conservazione (alta evaporazione),
quindi gli strumenti di estrazione di oro dai sedimenti saranno principalmente di tipo
a secco con impianti che sfruttano la divisione gravitativa dell’oro attraverso moti di
scosse a getti d’aria oppure elettronica. Le recovery di questi impianti sono
comunque minori rispetto ai sistemi convenzionali.
N.79 Evoluzione nel tempo di un deposito definito residuale. È da notare come le componenti clastiche grossolane
tenderanno ad essere concentrate in superficie e quindi anche l’oro presente viene liberato successivamente a segutio
dell’alterazione chimica e degradazione meccanica.
Deposito colluviale: MMC
L’agente operante che caratterizza il deposito colluviale rispetto agli altri è l’azione
delle acque ruscellanti (agenti del rimodellamento). Di solito i depositi colluviali si
presentano in lembi di sedimenti, spesso con angoli ancora molti vivi (angolosi‐
180
subangolosi) e che hanno subito un minimo trasporto. Rispetto ai depositi residuali
che si generano in posto, i depositi colluviali sono leggermente traslati rispetto
l’origine e tendono a presentarsi secondo lembi di sedimenti paralleli circa al
versante con modesto spessore. Risalendo ad esempio un torrente potremo trovare
molti depositi secondari ma avvicinandoci al deposito primario arriveremo a trovare
un deposito prima colluviale, poi eluviale fino al primario. Localmente vi possono
essere depositi prettamente residuali piuttosto che lateritici in alcune condizioni.
N.80 Profilo geologico longitudinale al versante considerato in cui sono posizionati in ordine dalla mineralizzazione
aurifera esposta all’azione degli agenti esogeni (DAP) il risultante deposito eluviale generato dalla disgregazione
meccanica ed alterazione chimica dei minerali e rocce erosi. Il colluvium è il deposito prodotto dal rimodellamento
del deposito eluviale a seguito dell’azione delle acque ruscellanti superficiali. Nel caso le acque superficiali sviluppino
un reticolo idrografico e quindi vadano a concentrarsi in corsi d’acqua di differenti dimensioni, la loro azione di
erosione e deposizione genererà depositi alluvionali o fluviali.
181
N.81 Schema riassuntivo dei principali DAScolluviali (DASc). Si noti come questa tipologia di deposito aurifero si generi
alle spese di uno precedente a causa della rielaborazione superficiale ad opera delle acque ruscellanti.
L’acqua prima agisce sotto forma di precipitazioni con frequenti urti sulle superfici
che incontra (splash stress), poi si riunisce a formare rigagnoli, rii fino a torrentelli e
torrenti. L’azione diventa via via più invasiva e pervasiva alle diverse scale di
osservazione. L’acqua sposta i sedimenti che incontra, alcune taglie vengono
trasportate molto lontane e quindi rimosse. I minerali pesanti tendono a
concentrarsi passivamente visto che quelli leggeri vengono rimossi. Se il rio o
torrente arrivasse ad erodere il substrato roccioso potrebbero esserci degli
affioramenti del bedrock lungo il suo percorso. Queste località sono ottime per la
prospezione, in quanto l’acqua incanalata agisce come una canaletta naturale. L’oro
tende a depositarsi nelle depressioni e quindi nelle fessure e fratture delle rocce. La
prospezione lungo un deposito colluviale viene eseguita ricercando dove i rii hanno
eroso il possibile deposito secondario di origine. Questi rii sono l’obiettivo, in quanto
concentrano lungo il loro percorso i minerali pesanti e sono tendenzialmente
accessibili con l’esperienza ed attrezzatura adatta. Si noti che l’impostazione di un
rio e la sua prospezione delinea localmente una rielaborazione ad opera di acque
incanalate, la quale genera un DASf di minor entità o a carattere torrentizio.
182
N.82 Nella figura si può notare un ventaglio di arricchimento aurifero, sul quale si vanno a sviluppare a spese del
deposito primario aurifero stesso o di quelli secondari a loro volta altre categorie di depositi auriferi secondari. In
particolare, come esempio dei depositi secondari colluviali è opportuno notare come questi si generino nei pressi di
località di arricchimento a seguito della riconcentrazione per ruscellamento superficiale. Si noti che il ruscellamento
incanalato è da intendersi differente da quello diffuso superficiale, in quanto raccoglie le acque piovane in percorsi
preferenziali. Nell’esempio è anche utile notare che il rio “a” risulterà sterile in oro in quanto esterno al ventaglio di
arricchimento. Il termine “b” mostrerà l’oro con i caratteri meno modificati dal trasporto ed invece in “c” si può
utilizzare il rio come mezzo collettore delle rocce e dell’oro che risulta dal ventaglio stesso (DASf).
Depositi torrentizi (rii)
Distribuzione dell’oro nel contesto torrentizio
I corsi d’acqua che si sviluppano lungo i versanti acclivi possono agire da agenti
concentratori dei minerali pesanti. Il bacino collettore in alcuni casi può essere
modesto ed in altri molto ampio. I DAS torrentizi tendono ad essere di dimensioni
limitate, infatti il sedimento accumulato e sedimentato dai torrenti e rii può essere
modesto e tendenzialmente molto grossolano. L’oro tende ad accumularsi
specialmente in località specifiche lungo il corso d’acqua, di solito lungo le trappole
del bedrock o nei sedimenti superficiali ad esso. Lungo tale percorso, il corso d’acqua
può incidere ed erodere a spese di depositi incoerenti precedenti piuttosto che il
substrato roccioso stesso.
183
N.83 Esempio di DAS torrentizi e fluviali in senso stretto. Il canale principale attivo nel fondovalle (freccia blu) ha
generato nella sua storia una serie di terrazzi fluviali (DASf: frecce marroncine). In questo esempio i DAS torrentizi
sarebbero ubicati lungo il versante e convergerebbero verso il canale principale, ubicato lungo il fondovalle.
In ordine, gli ottimi punti di prospezione sono: fessure nel substrato roccioso, meglio
se posizionate ortogonalmente al corso d’acqua (es. micascisti), deposito
sedimentario soprastante al substrato roccioso composto dal medesimo alterato ed
eroso parzialmente (es. argille), deposito incoerente fluviale ancora soprastante ma
cementato. Lo sviluppo di una serie di test lungo tali tipologie di substrato può
fornire importanti informazioni sulla ubicazione del maggiore tenore aurifero e la
sua posizione topografica prevalente, quest’ultima legata alla posizione del deposito
aurifero primario o secondario d’origine. Dal punto di vista pratico, visualizzando un
profilo che parte dal substrato roccioso fino alla superficie del deposito fluviale, è
possibile individuare diversi livelli auriferi a differente tenore. Questi livelli sono stati
generati durante eventi ad alta energia, come per esempio piene eccezionali, oppure
essersi formati a seguito di periodi temporali in cui la mineralizzazione primaria
esposta fu maggiormente erosa. Si noti che tendenzialmente l’oro più grossolano si
trova a contatto con il substrato roccioso (bedrock), nelle sue fratture se presenti e
nella regolite soprastante (substrato roccioso alterato). I livelli auriferi successivi
verso l’alto strutturale nel deposito sono correlati a facies sedimentarie grossolane
(fondo canale) con visibili taglie grossolane e presenza anche di grandi massi.
Possibili livelli argillosi sono presenti nel caso di paleosuoli, i quali sono stati
successivamente erosi parzialmente e si son impostati al di sopra recenti depositi
fluviali. In questo ultimo contesto è possibile che l’oro si accumuli nelle piene a
ridosso dell’orizzonte argilloso, nel caso in cui l’erosione non arrivi ad interessare il
184
substrato roccioso. È importante notare come ad ogni piena eccezionale, il corso
d’acqua notevolmente ingrossato abbia un potere erosivo notevole e possa quindi
rimettere in circolo e successivamente concentrare in un solo livello l’oro
proveniente da differenti livelli. Tendenzialmente questo livello arricchito è
ritrovabile nella porzione più profonda del corso d’acqua, di solito a ridosso del
substrato roccioso e nelle sue fratture.
N.84 Nella figura è possibile chiarire il rapporto tra la quantità di oro presente, la dimensione (e quindi il peso) in
relazione alla distanza dall’affioramento delle mineralizzazioni aurifere primarie. L’acqua scorre dall’alto verso il
basso lungo l’alveo, rappresentato in colore azzurro. Si noti come allontanandosi dai punti fisici di arricchimento, i
rettangolini gialli (le mineralizzazioni), le prime evidenze della presenza di oro in pepite e pagliuzze si troveranno
subito nei pressi (c) per poi via via scendere in quantità e dimensione (d‐e). con “f” si vuole intendere il tratto di alveo
considerato come obiettivo della prospezione. A valle di “e” l’oro sarà ritrovabile solo più in tratte con l’eccezione di
ulteriori affioramenti della mineralizzazione primaria più a valle e quindi un nuovo arricchimento localizzato nei
prossimi sedimenti. Il tratto “a” subito a monte dell’affioramento delle mineralizzazioni primarie aurifere è
considerato sterile in questo esempio. Risalendo il rio e con un’attenta campagna di prospezione è possibile osservare
il graduale passaggio da “e”, “d”, “c” fino al ritrovamento delle mineralizzazioni primarie in “b”. I migliori siti di
sfruttamento tendono a risultare in “c” e “b” ma localmente in “b” ed “e” è possibile ritrovare concentrazioni anche
importanti. Si noti inoltre che è presente un tratto di relativa assenza della presenza di oro tra “b” e “c”, ciò a causa
del fatto che l’oro talvolta è contenuto nella pirite e questa, una volta liberata nell’alveo a seguito dell’erosione della
mineralizzazione aurifera primaria necessita di un certo tempo e spazio per la sua degradazione fisica e alterazione
chimica.
Gli orizzonti auriferi – le trappole localizzate
Le cosiddette “trappole” non sono altro che località sviluppate lungo il percorso del
corso d’acqua dove, naturalmente, l’oro si deposita e vi si concentra nel tempo. Le
trappole non sono propriamente durature nel tempo e possono venir sepolte dai
sedimenti e diventare “inattive” oppure esser erose e rimettere in circolo il loro
carico aurifero. Le trappole variano nel tempo e nello spazio. Il loro tenore aurifero
185
anch’esso è variabile e non sempre legato alla vicinanza del deposito aurifero fonte
dell’arricchimento. Le “gold traps” raggruppano le fessure e crepe ubicate lungo il
substrato roccioso, le quali agiscono in maniera variabile sia nella proprietà della
cattura che della ritenuta. Si aggiungono a tali categorie anche le forre, le quali dette
anche marmitte dei giganti sono profonde depressioni legate a locali cascate ed
erosione localizzata. Durante episodi ad alta energia (piene eccezionali e temporali)
vengono parzialmente svuotate del loro contenuto aurifero. Alcune di esse possono
trattenere grandi quantità di oro nelle fessure del fondo e nei sedimenti subito dopo
localizzati. Vale la pena inoltre ricercare nei settori adiacenti nelle fessure, primo
luogo di ritenuta dell’oro rimesso in circolo.
N.85 Nell’immagine di destra dall’alto verso il basso si vogliono riassumere le diverse tappe di genesi di una
morfologia depressa nel letto roccioso a causa del movimento dei ciottoli all’interno durante gli eventi di piena.
L’attrito, infatti, può generare nel tempo una morfologia a forra, la quale potrà agire in maniera duplice:
arricchimento locale aurifero e di minerali pesanti oppure nei pressi subito successivi a causa del suo periodico
svuotamento. Nell’immagine a sinistra si vogliono riassumere con le frecce, i principali luoghi dove cercare oro in
questo contesto. L’oro non sempre è ritenuto nelle forre a causa dell’elevata pressione ed attività durante le piene
eccezionali.
Le forre possono essere attive o passive. Nel caso esse agiscano in maniera attiva
tendono ad essere aree trappole in cui il minerale aurifero vi si concentra e le
porzioni minerali non aurifere più leggere vengono dilavate dai moti turbolenti. In
eventi di piena, la forra può subire un aumento della portata repentino, tanto da
“svuotare” il contenuto sedimentario ed approfondirla, in tale ottica il contenuto
aurifero accumulato in eventi minori di piena viene perso e rimesso in circolo. Nelle
186
forre dette passive, il carico sedimentario colma la depressione. L’oro si deposita tra
i massi e viene concentrato a causa della depressione locale ma non sulle posizioni
fondali o laterali. Si noti inoltre che la medesima forra può sviluppare diversi
comportamenti dipendenti dalle fasi di sviluppo del corso d’acqua. Quando
l’erosione diventa predominante l’impedimento a valle che genera la forra viene
rimosso e quindi avviene lo smantellamento della forra e il suo deposito aurifero
localizzato è rimesso in circolo. Ultima nota importante è riguardante l’erosione dei
clasti contenuti nella forra, infatti essi cozzano tra loro e si abradono durante il moto
imposto nei periodi ad alta energia. Questo meccanismo potrebbe liberare in loco
quantità aurifere, fino a poco prima contenute nella mineralizzazione. Nei contesti
torrentizi e fluviali è possibile ritrovare arricchimenti auriferi multipli, alcuni dei quali
mostrano esigue quantità d’oro ma risulta importante comprendere al meglio tali
meccanica e saper riconoscere durante la prospezione tali località.
N.86 Arricchimenti auriferi localizzati dovuti all’attività delle trappole naturali (embricature naturali dei ciottoli). Le
embricature offrono localizzate località di arricchimento. Durante eventi ad alta energia (piene fluviali) possono
venire erose e riformarsi poco più a valle. I minerali pesanti tendono a concentrarsi dietro e davanti tali ciottoli. È da
notare come l’azione di vibrazione di tali clasti durante le piene possa eseguire localmente una azione di macinazione
meccanica e appiattimento dei granuli minerali, tra cui l’oro. Questo meccanismo potrebbe essere alla base della
morfologia appiattita dell’oro nei differenti contesti torrentizi e fluviali.
187
N.87 Superficie dell’attuale sedimento esposto lungo il letto fluviale o le punte aurifere. La più recente alluvione
aurifera offre il livello superciale più facilmente accessibile al cercatore d’oro per la prospezione. Scavando in
profondità è possibile trovare altri livelli auriferi, alcuni dei quali anche più ricchi dei superficiali ma è da tenere
notevolmente conto della difficoltà e della mole di lavoro nel raggiungere e coltivare tali livelli in profondità.
.88 Presenza di deposito a grandi blocchi e massi con grado di arrotondamento medio, segno distintivo del trasporto
fluviale. Si notino come essi tendono a risultare ammassati. L’oro potrebbe essere presente tra i massi stessi ma
risulta talvolta di difficile estrazione vista la mole dei blocchi. Nella porzione in basso a destra si denota l’affioramento
del substrato roccioso, il quale è alla base del deposito fluviale a grandi massi. L’oro si trova in maggior quantità a
ridotto del bedrock roccioso, in particolare lungo le trappole più performanti al momento dell’arricchimento. In
questo caso, la presenza di grandi massi sopra al substrato roccioso è un’importante indicazione del deposito di
minerali pesanti durante eventi di piena eccezionali, infatti solo tali eventi sporadici possono movimentare
granulometrie di tali dimensioni. L’oro grossolano è associato alla presenza localizzata di granulometrie maggiori
rispetto la media ponderata delle porzioni adiacenti.
188
Tipologie di substrato (roccioso, regolitico, argilloso, cementato)
Il substrato roccioso è una trappola predominante nel contesto torrentizio e talvolta
fluviale. Esso si articola con differenti proprietà dipendenti dalla litologia presente e
dalle sue variazioni spaziali e dalle proprietà strutturali. Si passa quindi ad
approfondire le principali tipologie e proprietà correlate:
‐ bedrock roccioso
Il substrato roccioso in senso lato agisce come canaletta naturale e duratura nel
tempo. Le fessure che si sviluppano funzionano come depressioni e quindi trappole
locali e la loro ritenuta è variabile sia nel tempo che nello spazio. Nel caso esse
risultino molto profonde l’oro non si concentrerà solo sul fondo ma anche in
posizioni intermedie. Nel caso siano poco profonde potrebbero essere facilmente
erose o svuotate durante le piene. Il loro sviluppo nello spazio è importante: nel caso
si sviluppino in maniera ortogonale al flusso d’acqua risulterebbero nella posizione
ottimale per la ritenuta. Le migliori fessure (crevices) tendono a svilupparsi nelle
porzioni rocciose successive alle forre oppure nei pressi di aree dove erano ubicati
depositi auriferi erosi. In alcuni casi, sono state ritrovate fessure redditizie lungo i
lati delle forre. Il bedrock roccioso è in continua erosione se a contatto con il corso
d’acqua. Ciò significa che trappole attuali in futuro verranno erose e l’oro rimesso in
circolo e accumulato in altre trappole successive. È importante notare come le
trappole si generano anche in maniera dipendente dalle variazioni litologiche delle
rocce, ad esempio, nel caso vi fosse un orizzonte quarzoso imballato dentro un
micascisto, esso risulterebbe meno erodibile e facilmente tenderà a risultare più
affiorante, mentre le porzioni adiacenti maggiormente erose. L’oro tende a
concentrarsi nelle porzioni intermedie e profonde delle trappole a seguito di
innumerevoli episodi di piena.
N.89 Nella figura è possibile osservare un fenomeno di erosione rimontante nel quale un bedrock roccioso viene via
via nel tempo eroso con direzione verso monte. L’ordine cronologico avviene dall’alto verso il basso (caso più
recente). Si noti come l’oro intrappolato nelle fratture e forre nel bedrock venga nel tempo rimosso e trasportato più
189
a valle. I sedimenti superficiali stessi sono rispetto a tale esempio notevolmente effimeri nel tempo. Ogni piena
eccezionale apporta considerevoli cambiamenti al reticolo idrografico superficiale e nella disposizione dei depositi
fluviali.
‐ bedrock argilloso‐limoso
Il substrato argilloso‐limoso rientra in tale classificazione sia come primario e
costituente le litologie del luogo che derivato dall’alterazione di rocce passate o
depositi. L’oro non riesce ad attraversare le bancate argillose e tende a concentrarsi
nelle porzioni superficiali o a locali fessure. Inoltre, l’argilla è poco erodibile e le
fessure tendono ad estinguersi in poco tempo. L’attività della biosfera e dei
microorganismi in questi contesti di locali depressioni nel bedrock argilloso‐limoso e
talvolta anche di quello roccioso può apportare significativi cambiamenti dal punto
di vista dimensionale e chimico all’oro presente.
N.90 Il sedimento sovrastante il bedrock argilloso‐limoso è quello più ricco in oro nell’esempio. Inoltre, l’argilla ha un
ruolo impermeabile e tende a raccogliere al di sopra acque meteoriche.
‐ bedrock e depositi molto alterati ‐ paleosuoli
Vi possono essere livelli a diversa permeabilità cementati o ossidati. Essi funzionano
come nel caso del bedrock argilloso‐limoso ma rispetto a quest’ultimo nel caso in cui
si generino alle spese di un DAS aurifero, l’oro è ritrovabile anche all’interno di tale
bedrock.
190
N.91 L’oro talvolta può concentrarsi nel sedimento al di sopra di depositi sedimentari molto alterati, cementati o
ossidati.
- Associazione utile del bedrock per le trappole e tipologia dello stesso
(trappole performanti e il loro grado);
- L’erosione rimontante e l’espandimento laterale (le curve), luoghi di
deposito di grandi massi e blocchi (indicano località in cui vi è stata una
deposizione durante piene eccezionali);
- Forre e loro posizione ed attività durante le piene (locali depressioni nel
substrato roccioso);
- Le cascate e i pozzi della gloria (forre particolarmente performanti come
trappole);
- Porzioni subito successive alle forre o cascate (le prime fessure che
concentrano il sedimento fuoriuscito dalle forre durante le piene
eccezionali);
191
- Fessure lungo il bedrock e i lati, curve e importanti differenze rispetto al
percorso seguito (ostacoli).
Nelle figure successive è possibile osservare alcuni casi complessi di presenza di
diverse unità geologiche che svolgono il ruolo di locale bedrock.
N.92 Nella figura sono riportati tre esempi scalari dall’altro verso il basso in cui si tiene conto:
‐ esempio in alto: importanza nella disposizione degli arricchimenti auriferi (freccette viola) rispetto l’eterogeneità
litologica del bedrock roccioso (riportato in blu) e di locali depositi di massi di grande stazza;
‐ esempio intermedio: influenza nella disposizione degli arricchimenti auriferi (freccette viola) rispetto le eterogeneità
litologiche del bedrock (viola chiaro). In questo caso l’elemento gneissico e meta‐granitico (crocette viola) tende a
venire eroso meno rispetto il micascisto incassante, generando un pattern di trappole preferenziali;
‐ esempio in basso: un’ acclività moderata o meno può produrre locali arricchimenti auriferi lungo forre o nei pressi.
N.93 Tre differenti esempi di tipologie di bedrock (substrato):
‐ esempio in alto: depositi fluviali auriferi (f) su bedrock roccioso (s);
‐ esempio intermedio: deposito fluviale aurifero (f) su bedrock argilloso (c‐s);
192
‐ esempio in basso: variazione laterale di bedrock argilloso (c‐s) rispetto depositi fluviali auriferi (f).
Nei vari casi la maggior concentrazione di oro grossolano tende a collocarsi a ridosso dei sedimenti più grossolani e
di maggiori dimensioni, in genere a contatto tra il bedrock e il deposito secondario stesso. Nel caso siano presenti
depressioni o fratture nel bedrock, queste possono agire come trappole localizzate e preferenziali.
N.94 Tre differenti esempi di interazione tra bedrock roccioso (s) e bedrock argilloso (c‐s) con la presenza talvolta di
depositi fluviali talmente alterati da svolgere il ruolo di bedrock argilloso recente e localizzato (hG). Il deposito fluviale
è indicato in “f” e con “sh” si intende la porzione rocciosa regolitica incoerente derivata dallo smantellamento ed
alterazione del bedrock roccioso “s”. Si noti come nei diversi esempi nello spazio possano essere ubicati diverse
tipologie di bedrock. Risulta raro trovare diverse controparti presenti nel medesimo sito ma spostandosi arealmente
potrebbe variare l’origine del bedrock locale. È di notevole apprezzamento per la ricerca aurifera capire quale bedrock
si può eseguire la prospezione, perché i risultati potrebbero essere differenti e anche le migliori tecniche adottate.
Depositi fluviali
I depositi fluviali sono molto importanti nell’estrazione dell’oro alluvionale a livello
mondiale. Il fiume agisce come un collettore, prendendo in carico tutti i sedimenti
lungo il suo percorso. Durante il trasporto alcuni minerali vengono alterati
chimicamente e diminuiscono le loro proprietà meccaniche utili alla conservazione
fisica nel tempo e si frammentano in poco tempo. Altri più resistenti perseverano nel
trasporto e verranno concentrati passivamente. Il fiume agisce anche come un
“mulino macinatore”: le rocce resistenti a contatto con quelle meno resistenti
193
tenderanno a frammentarle fisicamente per attrito, asportando angoli, erodendole
a causa dell’attrito durante il trasporto, scalfendole. L’acqua con la sua potenza
durante le piene eccezionali rimette in circolo sedimenti recenti e vecchi macinando
il tutto con la sua energia. Lungo il tragitto dalla valle verso il mare, i sedimenti
cambiano le loro dimensioni tendenzialmente diminuendo la granulometria. Le
litologie reattive ed alterabili vengono rimosse, quelle resistenti vengono preservate
e le rocce con una densità relativa maggiore si concentrano in alcune località
preferenziali. Il fiume agisce come un concentratore: esso può concentrare
localmente minerali pesanti ed altrove minerali leggeri. Questa caratteristica è di
primaria importanza per la prospezione infatti alcune aree lungo l’attuale percorso
fluviale o passato contengono oro e minerali pesanti in proporzioni maggiori rispetto
quelle circostanti. Le aree definite “punte” dai cercatori d’oro amatoriali o pay‐
streaks non sono altro che locali arricchimenti lungo il percorso del fiume a forma
circa di un triangolo scaleno con un apice rivolto verso il deposito secondario
sorgente del materiale aurifero (apice ricercato e fruttato perché molto ricco). La
modalità con cui oggi si formano le “punte” durante la fase deposizionale delle piene
è simile a quella sviluppata dal fiume nel passato per originare i placers.
Semplicemente è più a piccola scala e localizzata. Si denota comunque che alcune
punte lungo il fiume tendono naturalmente ad essere più ricche del metallo prezioso
rispetto ad altre. Questa attitudine denota la vicinanza di un deposito secondario
fluviale di maggiori dimensioni, oppure un evento concentratore o più con intensità
importante ai fini dell’arricchimento. Alcuni punti lungo la punta scelta possono
essere più ricchi dei circostanti, si parla di “core” o nucleo o cuore della punta per
intendere la porzione più arricchita. Di solito un core è legato geneticamente ad una
piena specifica. La presenza di massi e blocchi locali può favorire un arricchimento
puntuale inoltre.
194
N.95 L’azione di massi o blocchi presenti localmente è di formare arricchimenti puntuali auriferi. Sono ottime località
lungo le punte queste per saggiare velocemente il luogo prescelto.
La modalità con cui si crea una “punta” nel contesto meandriforme è la seguente: Il
fiume tende naturalmente a creare curve e quindi meandri quando la velocità della
corrente diminuisce localmente, altrimenti tenderebbe ad avere un percorso circa
lineare (fiumi chiamati braided). Nel delineare queste curve, il fiume erode il
deposito sul lato esterno concavo ed ingrandisce il deposito collocato lungo il lato
convesso interno. Le curve quindi si allargano sempre più verso la pianura ed il
carattere meandriforme viene accentuato nel tempo a parità di condizioni
geodinamiche. I sedimenti erosi vengono selezionati per densità e dimensioni, i
sedimenti leggeri vengono trasportati e sedimentati più lontani rispetto pesanti, i
quali si depositano nelle località limitrofe o ai piedi della scarpata di erosione.
L’arricchimento locale continua in maniera ritmica ad ogni piena con maggiore
intensità grazie a piene eccezionali, le quali potranno smuovere importanti volumi di
sedimenti fluviali passati. Questi anche se a basso tenore aurifero
complessivamente, verranno concentrati in pochi metri cubi. La porzione più ricca di
una punta è il “core”, il quale è spazialmente vincolato e ritrovabile verso l’apice della
punta.
195
N.96 Morfologia di una punta semplice, della skim bar ed in particolare di un core. La punta considerata semplice
è generata da un solo evento di piena eccezionale e sviluppa una unica skim bar ed un unico core aurifero. È da
notare che nella maggior parte dei casi in natura le punte sono da considerarsi complesse, infatti lungo il
medesimo deposito secondario aurifero sono presenti innumerevoli skim bar e cores, generati dai differenti eventi
di piena succeduti nel tempo. Un ultima nota è da sottolineare per quanto riguarda l’erosione iniziale legata agli
eventi di piena eccezionali, la quale potrebbe rimuovere e riconcentrare cores recenti o antichi.
196
La modalità con cui si crea una “punta” nel contesto braided è il seguente: il fiume,
in tale contesto, sviluppa un maggior potere erosivo verticale e minore laterale. Si
sviluppano lo stesso le “punte” ai lati ma con maggiore regolarità e spesso alternate.
Le curve e i meccanismi di arricchimento e sviluppo di una concentrazione aurifera
per “punta” sono i medesimi che quelli nel contesto meandriforme ma ha una
maggiore incidenza il letto fluviale. Esso è formato da clasti di maggiori dimensioni
che agiscono da concentratori locali. Ottimi punti per la prospezione sono anche le
rapide ed i clasti di maggiori dimensioni (anche metrici) nei contesti delineati. Il
percorso dell’acqua durante una piena tende a verticalizzarsi (maggiore velocità
complessiva) e quindi i tratti curvilinei molto pronunciati possono essere tralasciati
per impostare nuovi percorsi preferenziali del fiume, tale fenomeno è chiamato
“salto del meandro” nel caso si sviluppi a spese di meandri o semplicemente
diversione fluviale. I meandri così abbandonati possono venire riutilizzati in piene
future oppure vi si imposta la vegetazione andando a ricoprire la curva abbandonata.
Questi meandri abbandonati possono essere sia vicini al fiume attuale che lontani e
quindi magari quasi irriconoscibili anche a causa delle coltivazioni e della genesi di
un suolo al di sopra a spese dei sedimenti stessi. Nel caso di meandri abbandonati
nei pressi del fiume sarebbe un buon obiettivo la prospezione delle aree
potenzialmente ricche con le stesse modalità della ricerca delle “punte”. Si
potrebbero incontrare molte sorprese.
N.97 Con il trascorrere del tempo i meandri migrano: sulla sponda esterna (concava) delle anse, dove la velocità della
corrente è maggiore, si ottiene erosione, mentre sulla sponda interna (convessa) delle anse, dove la velocità della
corrente è minore, si ha la deposizione di barre sabbiose a forma di lente, dette barre di meandro. Quando si verifica
il salto del meandro, nell’ansa abbandonata si forma un lago a corna di bue.
197
I placers generati dal contesto meandriforme non sono altro che locali curve del
fiume che si sono ampliate a tal punto che risulta una cubatura con un tenore
variabile da medio ad alto di minerali pesanti. Queste poi sono state abbandonate
oppure coperte da altri sedimenti fluviali in momenti di deposizione e quindi
preservati. I placer auriferi generati dall’attività fluviale sono composti da molteplici
punte complesse che nello spazio variano il loro tenore aurifero sulla base
dell’importanza degli episodi che li hanno generati nel passato storico.
Tendenzialmente vi sono molteplici orizzonti auriferi a diverse profondità con
differenti tenori. Nel caso in cui il deposito poggi su un substrato, i primi decimetri di
sedimento risulteranno molto auriferi. Possono anche svilupparsi nei pressi di
anfiteatri morenici dove i sedimenti depositati dal vecchio ghiacciaio vengono
rielaborati dalle acque ruscellanti (depositi colluviali) e localmente dall’azione del
vento (depositi residuali). Se un corso d’acqua importante si impostasse, potrebbe
erodere parzialmente la morena (o morene) ed arricchire di minerali pesanti i più
vicini depositi fluviali. È il caso della Bessa in Piemonte, dei placers di Mazzè e
Villareggia, impostati nei depositi fluviali più antichi (terrazzi superiori) nel tratto
subito successivo all’anfiteatro morenico di Ivrea.
N.98 La presenza nel tempo di fenomeni di piena improvvisa ed eccezionale per portata genera importanti
cambiamenti nel pattern idrografico superficiale: i corsi d’acqua variano il loro percorso e l’erosione dei depositi
fluviali antichi rimette in circolazione l’oro presente, concentrandolo localmente in località fisiche degne di
interesse e prospezione.
198
N.99 Porzioni arricchite in minerali pesanti lungo il corso d’acqua. Si noti come nel tempo tali porzioni risultino
molto effimere e quindi potrebbero venir erose totalmente o parzialmente, piuttosto che coperte da altri depositi
e quindi conservate.
Il fiume agisce come un collettore, un macinatore ed un concentratore. Il risultato è
che vi potremo trovare i minerali presenti nel bacino collettore, alcuni di questi se
pesanti potranno essere concentrati particolarmente in alcune località fisiche. L’oro
di solito è trovato libero e raramente associato in rocce o altri minerali.
199
N.100 & 101 Nella figura è riportato uno schema semplificato dell’azione concentratrice di ostacoli, in questo caso
massi, i quali tendono a disporsi con l’asse maggiore ortogonale alla direzione della corrente.
200
N.102 & 103 Meccanismo di arricchimento da ostacoli di grandi dimensioni all’interno di un contesto fluviale. È
notevole ricordare come non vi sia presente solo l’arricchimento posteriore ma anche quello anteriore. Le pagliuzze
d’oro di maggiori dimensioni sono state trovate dall’autore tipicamente presso l’arricchimento anteriore, mentre dal
punto di vista quantitativo l’oro tende ad essere presente nell’arricchimento posteriore.
201
Pay streaks e prospezione
Si ponga il caso di trovarsi in un ambiente di pianura alluvionale. L’obiettivo è trovare
alcune pay streaks ricche. Per prima cosa si accerta che vi siano informazioni
pregresse e la loro attendibilità (studi a tavolino). Se vi fossero dei siti storici
converrebbe eseguire un sopralluogo (sopralluogo speditivo) per definire le
caratteristiche dell’oro locale, del suo contesto di ritrovamento e dell’ambiente
deposizionale correlato. Converrebbe anche esaminare la presenza di minerali o
rocce indicatrici (pathfinders) i quali sono tipici dei luoghi con presenza di oro (rocce
di grandi dimensioni e scure, verdi). Tornando alla morfologia della “punta”, si
osserva una tipica struttura circa triangolare con un apice impostato circa nel punto
a maggiore arricchimento (core). Esso è direzionato verso la porzione di
arricchimento locale ed è il punto più vicino e ricco ad esso. I due segmenti che si
dipartono dall’apice delimitano l’area arricchita dal punto di vista aurifero e possono
aver sede anche in piccoli canali depressi, specialmente quello verso la scarpata di
terrazzo, attivo durante le piene tipicamente. Le figure sottostanti forniscono ottimi
spunti di riflessione su alcune delle porzioni da prospettare nelle fasi precoci della
campionatura.
202
N.104 & 105 Esempi di arricchimenti localizzati e l’effetto concentrante delle embricature fluviali.
Lungo la stessa “punta” primaria, la morfologia circa triangolare può essere esibita
in diverse aree, di solito partendo da aree prossime alla scarpata del terrazzo verso
aree più ravvicinate al fiume allontanandosi. Questa è una morfologia generica che
viene resa molto complessa dal punto di vista naturale dalla continua rielaborazione
da parte del fiume stesso durante il proseguire del tempo. Inoltre, l’uomo con la sua
azione può modificare notevolmente il paesaggio. Alcune aree lungo i fiumi sono
fonte di lavoro per estrazione di materiali inerti (ghiaie, sabbie, etc) e modificano
notevolmente il paesaggio e le sue proprietà, infatti differenze importanti nella
larghezza dell’alveo e nella sua profondità alterano di conseguenza l’attività del
fiume durante la piena. Dal punto di vista piemontese, l’oro è presente tipicamente
nei primi e più alti terrazzi dei corsi d’acqua montani. L’oro è ritrovabile grazie alla
rielaborazione di depositi eluvio‐colluviali giacenti presso manifestazioni aurifere
primarie oppure di conoidi alluvionali. Generalmente, il deposito aurifero secondario
risulta costituito da uno strato composto dal 50 % e più di massi e grossi ciottoli, più
o meno arrotondati e smussati ed il rimanente da ghiaie e sabbie con minori limi,
intrappolati tra i ciottoli. L’oro ritrovabile ha forma e dimensioni differenti, da
polverino a scagliette di diametro variegato (difficilmente superiore al centimetro),
a granuli di varia forma e dimensione. Polvere e scagliette rappresentano
tipicamente la maggioranza, e sono distribuite in modo abbastanza omogeneo
all’interno del sedimento. Il loro peso tende ad essere trascurabile rispetto a quello
di granuli e pepite, in quanto tendono a risultare molto appiattite. Anche le scaglie
203
più grosse e più spesse, difficilmente raggiungono il grammo mentre il peso delle
scagliette più piccole può variare da meno di un milligrammo a qualche
centigrammo. Le dimensioni di un singolo strato aurifero terrazzato possono variare
enormemente quanto ad estensione, con la tendenza a rimanere nell’ordine
massimo di pochi chilometri mentre lo spessore è contenuto in pochi decimetri fino
a qualche metro al massimo. Esso può trovarsi in una posizione fluviale non più
utilizzata normalmente quando abbandonato da poco o ancora invaso dal corso
d’acqua durante le piene, oppure essere ricoperto da un suolo, più o meno spesso;
nell’ultimo caso l’attuale alveo è ribassato rispetto tale deposito fluviale a causa
dell’erosione del letto fluviale. In genere, il regime delle acque risulta mutevole ed
alterna periodi di trasporto violento (piene) a cui seguono o si alternano periodi di
bassa velocità e capacità di trasporto (la maggioranza del tempo), per cui il deposito
grossolano deposto durante le piene ed aurifero potrebbe venir ricoperto da
sedimenti più fini, costituiti da ghiaie, sabbie e limi in proporzioni molto variabili (in
larga parte sterili in oro), che vanno a formare strati a granulometria medio‐fine, di
solito poco spessi. La sommatoria di questi strati medio‐fini potrebbe nel tempo
coprire i depositi fluviali auriferi grossolani anche per decine di metri. I depositi
terrazzati tendono a risultare più potenti e continui rispetto quelli di alveo appena
descritti e si formano come nell’esempio piemontese a spese dei sedimenti morenici,
specialmente allo sbocco in pianura. È possibile osservare terrazzamenti multipli a
più gradini. Lo strato grossolano di base si forma per un prolungato rimaneggiamento
del deposito morenico aurifero e di conseguente allontanamento dei sedimenti più
fini e leggeri, con concentrazione dell’oro detritico morenico, il quale può avere
dimensioni veramente ragguardevoli. Il ghiacciaio in movimento trascina tutti i
materiali detritici che incontra sul suo cammino e consente il trasporto fino ai
depositi morenici dove verranno messe a dimora masse d’oro o le rocce che le
contengono. La rielaborazione da parte dei corsi d’acqua fluvioglaciali dei complessi
morenici comporta una notevole diminuzione del volume sedimentario, una
stratificazione più o meno accentuata, con arrotondamento dei clasti e una
concentrazione dei ciottoli di maggiori dimensioni e dei minerali pesanti. Successive
variazioni di regime, glaciale e idrologico, portano alla deposizione, sullo strato
grossolano, di sedimenti generalmente più fini, con possibile, saltuario deposito di
altri strati grossolani, il tutto in successioni che possono superare anche i cento
metri. Negli strati grossolani, la maggioranza dell’oro presente si trova sotto forma
di granuli e pepite, in limitate sacche al contatto con la roccia di base (bedrock), le
quali rappresentano zone di concentrazione preferenziale sul fondo di un antico
alveo. In molti casi, esse presentano un significativo arricchimento in ciottoli di
quarzo, in quanto esso risulta resistente all’abrasione ed erosione fluviale, in altri
possono poggiare direttamente su filoni auriferi presenti nella roccia madre, la cui
alterazione chimica e degradazione meccanica ad opera del corso d’acqua libera
204
discrete masse di oro con quarzo. L’oro più fine, ritrovabile in polvere e sottili
scagliette, è distribuito di solito in maniera più uniforme ed in genere è attaccato ai
ciottoli o all’argilla. L’oro fine ha scarsa importanza pratica, sia perché il peso totale
è poco consistente se non in elevate quantità, sia perché tende a risultare di
difficoltoso recupero. Lo stesso vale per quello eventualmente presente nei livelli
sabbioso‐ghiaiosi che ricoprono gli strati grossolani, nei quali può raggiungere
contenuti di alcuni decimi di grammo per metro cubo di sedimento nelle zone di
maggior concentrazione. Localmente, si possono avere moderati arricchimenti
auriferi anche nel suolo di copertura, per aggregazione elettrolitica delle particelle di
metallo contenuto, in forma dispersa o colloidale, nelle acque circolanti. La purezza
dell’oro è piuttosto varia nell’ambito dello stesso deposito, in relazione a quello del
deposito primario da cui proviene, alla granulometria, al periodo di immersione in
acqua e all’acidità di questa. L’oro primario può avere purezza variabile dal 75 a più
del 90%, ma la purezza aumenta passivamente, in immersione in acque meteoriche
superficiali, per idrolisi dei prodotti di ossidazione dell’argento e del rame contenuti
in lega. Il fenomeno è tanto più pervasivo quanto maggiori sono il tempo
d’immersione, l’appiattimento delle scaglie e la superficie esposta. Le scagliette più
piccole e sottili possono così raggiungere contenuti in oro dal 95 a più del 99%. Per
le pepite, specialmente quelle più arrotondate, l’idrolisi riguarda soltanto le porzioni
superficiali, che possono essere notevolmente più pure del nucleo. L’idrolisi procede
dalla superficie verso il nucleo quindi tanto è ritrovabile verso l’interno tanto il
trasporto è stato duraturo. Si noti inoltre che il nucleo, se conservato, risulta quello
più attendibile e confrontabile per risalire al DAP di origine. La valutazione
preliminare del tenore d’oro in uno strato aurifero grossolano è pressoché
impossibile, anche quando vengano analizzati numerosi campioni di grosse
dimensioni (più metri cubi) questi possono risultare del tutto sterili o contenere
pochi decimi di grammo d’oro, quando non prelevati nelle zone ricche, mentre nel
fortuito caso di prelievo in una di queste, il contenuto può risultare di centinaia di
grammi e di chili, e talora è dato da una sola pepita (effetto nugget). Risulta
difficoltoso quindi avere campioni significativi per ottenere una valutazione delle
risorse dei placer auriferi. Tornando all’argomento delle punte aurifere è utile porre
un accento sulla morfologia tipica, in tal caso avendo la sponda su cui giace sulla
sinistra. La punta aurifera mostra un contenuto terrigeno grossolano che diminuisce
dall’apice verso la coda. Tale contenuto grossolano aumenta verso il corso d’acqua
rispetto la scarpata di terrazzo. Locali ostacoli (piante, radici, rifiuti, massi) possono
offrire delle trappole locali ed arricchimenti localizzati.
205
N.106 Esempio di morfologia di una punta aurifera semplice, originata dalla sedimentazione successiva all’erosione
di una porzione di deposito alluvionale nel lato concavo dell’ansa (ansa d’erosione). Si noti come la granulometria
dei componenti vari localmente ed in generale aumentando in dimensione verso il “cappellaccio limoso”, detto apice,
e verso la porzione ravvicinata all’alveo attualmente in uso dal corso d’acqua. Con il puntinato si vuole delineare la
posizione fisica delle particelle aurifere, si noti come i massi e le embricature locali possano permettere un locale
arricchimento aurifero. In generale la porzione più arricchita dal punto di vista aurifero si chiama “core” o “cuore
della punta”. La vibrazione dei clasti durante gli eventi di piena non solo svolge un ruolo concentratore dei minerali
pesanti che stanno fluendo superficialmente ad essi come carico di fondo ma appiattisce i minerali duttili, come l’oro,
formando le pagliuzze. Legenda: f (fine), g (grossolano).
Per ricercare le migliori punte aurifere conviene prima procedere ad una raccolta
bibliografica e di fonti storiche riguardo le porzioni più produttive dei fiumi e torrenti
presi in esame. Eseguito questo lavoro di ricerca bibliografica, conviene sempre fare
un sopralluogo per carpire informazioni logistiche e ambientali, oltre ai migliori
strumenti utili all’estrazione e lavaggio delle sabbie aurifere. Si dovrebbe procedere
ad evidenziare in maniera sistematica una serie di curve, dando precedenza a quelle
con aspetto curvilineo accentuato (attuali o abbandonate) nelle zone prossime a
concentrazioni aurifere riportate (siti storici oppure terrazzi erosi nell’ultima piena).
206
N.107 Nell’esempio è possibile osservare una serie di arricchimenti fisici di minerali pesanti tra cui oro. Tali
porzioni possono essere identificate in un primo momento per mezzi digitali, tra cui la consultazione di mappe
online o foto aeree. Successivamente si passa alle attività di identificazione e descrizione sul terreno con
l’identificazione delle porzioni più redditizie. La fase di estrazione è la successiva, in cui si cerca di raccogliere l’oro
presente nel minor tempo possibile e con il minor costo in termini di risorse e tempo.
N.108 Fisionomia di una punta semplice ed approfondimento sulla struttura del core primario, il quale non è altro
che la porzione più redditizia dell’arricchimento localizzato senso lato.
Una volta evidenziate le aree più ricche in contenuto aurifero attraverso diversi
software si può stampare il lavoro eseguito e sviluppare un buon piano di
prospezione sul terreno. Alla parte teorica viene associata la parte pratica. La parte
207
pratica potrà sia smentire in parte o totalmente il lavoro teorico effettuato oppure
confermarlo, ma potrà solo aumentare i dati in possesso e la conoscenza acquisita
del sito.
N.108 Fisionomia di una punta semplice ed ubicazione nello spazio del core. Sono anche riportate le posizioni e il
trend granulometrico della componente terrigena a maggior dimensione. Si noti come l’oro tende ad essere presente
in maggior quantità associato ai clasti di maggiori dimensioni relative.
Sul terreno bisogna fare molta attenzione ai lavori pregressi sia antichi che attuali di
altri cercatori d’oro e ricercarne il tenore medio nel caso. L’indice dei lavori lungo
alcuni siti è elevato a volte a causa dell’assenza di piene importanti che riassestano
il deposito fluviale aurifero e ciò potrebbe risultare in drastici variazioni dal punto di
vista teorico nella distribuzione delle concentrazioni aurifere.
208
N.109 Il “core” risulta la porzione più arricchita in un contesto di punta fluviale aurifera. È importante la sua
identificazione per raggiungere quantitativi d’oro estratti notevoli.
N.110 La medesima punta complessa offre diversi orizzonti auriferi a diverse profondità, tipicamente uno ogni 30‐40
centimetri. Si noti che vi possono essere alcuni orizzonti molto arricchiti anche a una minore distanza gli uni dagli
altri, in quanto le piene eccezionali tendono ad erodere maggiormente orizzonti auriferi superficiali e concentrarli in
uno solo successivamente.
209
N.111 Nei casi naturali tipicamente si ha a che fare con punte complesse, le quali non sono altro che il prodotto di
una serie di piene di media potenza ed eccezionali. Le prime arricchiscono solo localmente e tendono a modificare
poco la morfologia complessiva mentre le seconde possono non solo generare orizzonti auriferi importanti ma anche
creare nuovi percorsi preferenziali del futuro corso d’acqua. La piena eccezionale genera la punta semplice, la quale
viene arricchita localmente in alcune porzioni fisiche dalle piene di media potenza, le quali risultano numerose tra
una piena eccezionale e la successiva. Nell’immagine è visibile una punta semplice, in cui il puntinato indica la
presenza di una serie di arricchimenti localizzati, rendendola di fatto una punta complessa.
La prospezione viene eseguita di solito da valle verso monte. Il contenuto di oro
varierà risalendo il corso d’acqua da: assente, finissimo, fine, medio‐fine, grossolano.
Oltrepassata la località dove la granulometria è la maggiore, sia la dimensione che il
contenuto aurifero diminuisce nettamente e ciò permette di localizzare in maniera
molto precisa il punto di arricchimento ed il suo apice. A questo punto conviene
passare in rassegna tutti i siti con caratteristiche performanti per quanto riguarda la
deposizione aurifera, contando che, allontanandosi verso valle dall’apice di
arricchimento, l’oro tende a diminuire sia in dimensioni ma non sempre in
concentrazione. Bisogna anche notare che i depositi alluvionali sono un ambiente
complesso e la loro architettura a volte non è sempre semplificabile o riconducibile
perfettamente a casi pratici. Si Potrebbero trovare sia sorprese che delusioni ma
avere un metodo che viene ottimizzato da un caso all’altro è fondamentale. Trovare
un punto di arricchimento locale ed il suo apice (massima concentrazione e
dimensione) significa che la paystreak più vicina o coincidente sarà quella più ricca
dell’oro con taglia maggiore ed allontanandosi nelle paystreaks successive a valle
esso dovrebbe diminuire in dimensione ma localmente presentarsi in tenori utili o
anche anomali.
210
N.112 Esempi di come alcuni ostacoli possano svolgere un ruolo di ostacolo al normale flusso dell’acqua durante un
momento di piena. Essi possono essere di varia naturale, da quella inorganica (massi ed embricature) a quella
organica (radici di alberi in posto, tronchi divelti). In tutti questi casi è possibile avere un arricchimento localizzato
posteriore (code violette).
211
N.113 Esempi di arricchimenti locali dovuti alla presenza di ostacoli. Si noti come l’arricchimento localizzato
posteriormente ed anteriormente siano ottimi siti di prospezione e che tendenzialmente sono ricoperti da un volume
di sedimento di spessore variabile sterile in oro. La rimozione controllata di tale sedimento sterile permette la
coltivazione del deposito aurifero sottostante, il quale tipicamente arriva ad avere una profondità massima poco
superiore al masso che ha generato la perturbazione al flusso d’acqua.
Nascita di nuove punte
Nel caso della variazione del percorso fluviale e dello sbancamento di settori
costituiti da depositi alluvionali terrazzati si ha la genesi di una serie di nuovi
arricchimenti locali. Si possono identificare sulla base della morfologia e della
presenza e numero dei core, diverse tipologie di punte aurifere:
‐ Punte semplici: contengono un solo core e sono generate da un unico evento
di piena, di solito eccezionale in portata e modellamento del paesaggio;
‐ Punte complesse: lungo una medesima punta semplice sono presenti diversi
core, i quali sono la sommatoria di numerosi eventi di piene minori rispetto
la maggiore che ha creato la punta semplice su cui si imposta la complessa;
‐ Punte centrali: queste possono essere sia semplici che complesse e si
trovano fisicamente tra due rami fluviali in canali intrecciati;
‐ Punte abbandonate o inattive: queste possono essere sia semplici,
complesse e centrali ma si trovano lungo alvei fluviali abbandonati oppure
attivi solo durante piene eccezionali.
Nella situazione di punte complesse, lungo una stessa punta possono crearsi
arricchimenti localizzati, con la stessa morfologia della punta principale ma di minori
dimensioni areali, dalla rielaborazione del materiale aurifero della punta da parte del
fiume oppure dall’introduzione localizzata di oro attraverso l’ultima piena. Differenti
piene possono sortire l’effetto di creare molteplici punte “figlie” generando quindi
una unica punta complessa. La punta complessa possiede diverse aree redditizie e
212
diversi apici (core). Nella genesi di una punta aurifera, i primi minerali ad essere
deposti sono quelli pesanti, per poi esser ricoperti parzialmente o totalmente da
sedimenti sterili durante le ultime fasi di una piena, in cui sedimentano le particelle
fini siltose e poi argillose, tendendo a “macchiare” le embricature già formate.
N.114 Avere una idea della presenza e quantità percentuali dei minerali pesanti lungo una punta è di notevole
importanza per capire la porzione di maggior arricchimento, denominata core. Alcuni minerali pesanti, di solito più
abbondanti dell’oro possono essere presi come indicazione di una possibile vicinanza all’oro.
Le cosiddette “punte” tendono ad avere una morfologia ben definita, inoltre, nel
tempo successivo ad una piena importante, le punte precedenti a tale evento
possono aver subito differenti modellamenti, anche radicali:
‐ Le punte aurifere esistenti possono esser state rivitalizzate e vi si sono depositate
nuove ghiaie aurifere (piene a media energia ed alta);
‐ Le punte aurifere esistenti possono essere state tralasciate a cause di una
deviazione fluviale (genesi delle punte inattive);
‐ Le punte aurifere esistenti possono essere state rielaborate ma non arricchite da
fonti esterne. In questo caso il tenore superficiale è aumentato ma senza contributi
esterni (piene a media energia ed alta);
‐ Le punte aurifere esistenti sono state coperte parzialmente o totalmente da nuovi
depositi fluviali (piene a modesta energia).
213
‐ Le punte aurifere esistenti sono state erose parzialmente o totalmente. In questo
caso conviene ricercare un po’ più a valle dove il fiume ha concentrato il materiale
aurifero della punta erosa, creando possibilmente una “figlia” (piene a media, alta
energia ed eccezionali);
‐ Le esistenti sono solo state parzialmente erose e hanno creato una o più punte
“figlie” a valle dell’apice ma ancora lungo la punta semplice iniziale; nascita delle
punte “complesse” (piene a media ed alta energia).
Per una visione complessiva delle porzioni fluviali ad elevata concentrazione di
minerali pesanti è utile e consigliabile la seguente figura.
N.115 Rispetto al percorso di un corso d’acqua, è possibile evidenziare come i diversi minerali indicati, i quali hanno
una densità differente, abbiano comportamenti idraulici notevolmente differenti. I minerali pesanti tendono a
depositarsi in alcune porzioni rispetto ad altre e concentrarsi per una serie di fattori. Tali porzioni arricchite, se
ritrovate in un contesto di punte fluviali sono detti core, ma all’interno del medesimo core, gli stessi minerali non
sono distribuiti uniformemente. I minerali più pesanti vengono concentrati nell’apice del core. La presenza di ostacoli
fisici (embricature, massi, alberi sradicati, radici) nella porzione areale del core aurifero può generare localizzate
porzioni molto arricchite in minerali pesanti.
214
N.116 Il percorso di un corso d’acqua può migrare nel tempo e quindi i sedimenti fluviali auriferi antichi possono
venire rielaborati a seguito della migrazione delle curve fluviali. È inoltre importante tenere conto della sezione
fluviale, infatti un allargamento repentino favorisce la deposizione, mentre il caso opposto l’erosione. Le scarpate dei
terrazzi fluviali vengono erose durante le piene a seguito della direzione locale delle acque, la quale tende a collimare
verso la scarpata stessa.
215
Lungo il medesimo corso d’acqua e durante la medesima piena possono avvenire
diversi processi contemporaneamente in diverse località. Il fiume all’apice della sua
potenza nella piena tenderà ad erodere e solo successivamente a depositare. I
sedimenti leggeri saranno depositati tendenzialmente più lontani rispetto i pesanti
e nelle fasi tardive della piena. I massi più grandi e pesanti saranno depositati dalla
corrente nei pressi degli arricchimenti auriferi rispetto a quelli più piccoli e leggeri.
Le punte durante le piene possono venire creare o migrare piuttosto che venir
sepolte. Nel caso siano sepolte non potranno migrare fintanto che non vengano
scoperte dal carico sedimentario posto al di sopra. Nel caso le punte migrino verso
valle il sedimento costituente la “punta” viene semplicemente eroso e rielaborato e
quindi rilasciato dal fiume poco più a valle. La distanza è variabile, può essere di
alcuni metri come centinaia nell’arco delle decadi. Le punte aurifere si sviluppano
nella porzione superficiale delle cosiddette point bar, le quali sono visibili nel
sottostante approfondimento.
N.117 Con la progressione e sviluppo nel tempo del carattere meandriforme del corso d’acqua, la sponda dove ha
luogo l’erosione si sposta verso la piana alluvionale, mentre le barre di meandro si accrescono sempre verso tale
direzione e verso. Si evince quindi che nel tempo lo sviluppo areale di tali punte semplici nello spazio possa generare
un arricchimento a grande scale dal punto di vista dei minerali pesanti.
Alcune utili definizioni:
‐ Piana alluvionale (alluvial plain): area pianeggiante formata dall’accumulo di depositi alluvionali sia in canali che
in aree di esondazione (foodplain);
‐ Piana esondabile (floodplain): area piatta adiacente e formata da canali alluvionali soggetti ad esondazione.
Normalmente contiene canali abbandonati (alluvial ridges), canali di crevasse e floodbasins..
216
N.118 Esempio di accrezione di una point bar: durante le singole piene, che rappresentano distinti eventi
deposizionali, il fronte della barra cresce per aggiunta di sedimento sotto forma di nuovi beds. Ciascun bed, mostrerà
caratteristiche sedimentologiche in relazione ai processi fisici che lo hanno prodotto. Ad esempio, potrà essere
caratterizzato da una though‐cross stratification se prodotto dalla migrazione di dune. Oppure, nella porzione
sommitale della point bar potrà mostrare una ripple cross‐lamination. Con i numeri “1”, “2”, “3” si vuole indicare
l’ordine cronologico della deposizione con “1” più vecchio di “2” e quest’ultimo di “3”. L’oro non solo si trova nei
“core” ma anche nel fondo canale, dove si possono osservare i massi di maggiori dimensioni.
Parametri fondamentali per quanto riguarda il tenore aurifero nelle “punte” sono:
‐ Presenza di oro e tenore nell’alveo (fondo canale) o nei suoi depositi laterali
(terrazzi fluviali e punte);
‐ Frequenza ed intensità delle piene (grado di modellamento del paesaggio e genesi
di nuove punte o arricchimento di quelle già presenti);
Le piene con elevata intensità e frequenza tenderanno a produrre concentrazioni
aurifere maggiori ed a rigenerarle dopo ogni piena parzialmente o totalmente.
Questi parametri stanno al momento attuale peggiorando nei fiumi del Nord Italia,
dove l’opera umana, attraverso l’irrigazione e la costruzione di chiuse lungo il
medesimo fiume, tende a contenerlo durante le piene. Del resto, sarebbe molto
pericoloso, vista l’urbanizzazione attuale, concedere al corso d’acqua la possibilità di
muoversi liberamente durante la piena. Lavori molto invasivi lungo il corpo della
“punta” potrebbero portare ad una bassa rivitalizzazione o addirittura assente nel
caso che la piena del fiume non abbia l’energia sufficiente a ripristinare i siti lavorati.
Si evince quindi l’importanza di una lavorazione della punta aurifera da un punto di
vista ecosostenibile con una fase successiva o immediata di ripristino. L’idea infatti
sarebbe di lavorare la porzione più superficiale delle punte aurifere, i primi 30‐40
centimetri, in corrispondenza specialmente delle porzioni più ricche (core) ed
intorno a massi di maggiori dimensioni. Il materiale non utile con una taglia al di
sopra di quella a noi necessaria per il lavaggio, dovrebbe essere lasciato in posto
invece che trasportato per lunghe distanze. Le buche o trincee di scavo dovrebbero
essere poi ripristinate. La coltivazione talvolta procede per “spot” o in maniera
217
puntuale, tendendo a prospettare prima gli arricchimenti localizzati attorno ad
ostacoli o massi di grandi dimensioni. Altre volte si preferisce la coltivazione in senso
stretto di core auriferi.
N.119 Alcuni esempi di sfruttamenti posteriori ad ostacoli fluviali e il loro risultato. Anche se l’arricchimento
posteriore tende a risultare quello a maggior tenore e presenza d’oro, l’arricchimento anteriore è quello che all’autore
ha donato le maggiori soddisfazioni dal punto di vista della dimensione e peso dell’oro ritrovato. Si noti inoltre che
sempre tale arricchimento ha dimensioni notevolmente ridotte rispetto la controparte posteriore. Lateralmente
all’ostacolo di solito non vi è una concentrazione di oro degna di nota a causa dell’erosione e delle riconcentrazione
di tale oro nell’arricchimento posteriore.
218
N.120 Esempio di vista dall’alto di una punta centrale e dei suoi localizzati arricchimenti (core). Questa tipologia
di punta aurifera si imposta preferibilmente in contesti di canali intrecciati ma è sporadicamente presente anche
in altre situazioni. I “core” situati topograficamente più in alto tendono ad essere vegetati e anche quelli più ricchi
e antichi. Sono stati generati da eventi di piena eccezionale.
N.121 Esempio di vista dall’alto di una serie di punte inattive o nascoste, ubicate nel meandro abbandonato (ellissi
blu). In questo caso si tratta di una punta complessa che a seguito di una variazione importante del percorso fluviale
(salto del meandro) è rimasta isolata dal normale flusso idrico. Tali porzioni tendono ad esser sede di laghi natuali
con forme a corna di bue oppure vegetati in poco tempo. Gli arricchimenti che hanno sede in tali contesti possono
venire con il tempo sepolti e preservati.
219
N.122 Un restringimento della sezione fluviale genera tipicamente un carattere erosivo che si esplica contro una
scarpata di terrazzo nel caso la direzione e verso della corrente in piena collimi contro tale superficie laterale oppure
una erosione lineare lungo il proprio fondo canale, approfondendo il canale fluviale. Il successivo allargamento della
sezione fluviale genera localmente località dedite alla sedimentazione.
N.123 Dettaglio dall’alto di come si evolve nel tempo una punta complessa arealmente. A seguito dell’erosione
della scarpata di terrazzo si mette in circolo altro contenuto aurifero che genera un rinvigorimento della
successiva punta semplice. Le piene a media ed alta energia possono sviluppare una locale rielaborazione della
punta semplice e quindi la genesi di una serie di punte “figlie” lungo la semplice, delineando una finale punta
complessa. L’arricchimento aurifero è presente nei differenti core auriferi (ellissi verdi).
220
N.124 La presenza di molteplici siti di arricchimento aurifero lungo la medesima punta è di notevole chiarificazione
per i cercatori d’oro che talvolta non riescono a comprendere come sia possibile avere diversi arricchimenti ubicati a
distanze notevoli dall’apice considerato il core più ricco (ellisse verde scuro).
N.125 I corsi d’acqua nel tempo possono modificare il proprio comportamento idraulico tendendo da un pattern
idrografico rettilineo (esempio a sinistra) a uno braided fino a meandriforme (esempi a destra). La genesi delle punte
e degli arricchimenti localizzati è vincolata notevolmente al carattere in tale lasso temporale.
221
N.126 Visuale complessiva di alcuni casi osservabili nel caso di arricchimenti localizzati che nel tempo produrranno i
DASf.
Il percorso dell’oro in un corso d’acqua
L’oro all’interno del corso d’acqua ha un percorso preferenziale: si concentra nel
percorso più depresso possibile, tendenzialmente in presenza di rocce di grandi
dimensioni. Il problema principale è quanto questo percorso possa essere complesso
a causa della sommatoria dei svariati processi idraulici subiti nella storia del corso
d’acqua. I processi sono interpretabili dalla architettura dei depositi fluviali, dalle
loro caratteristiche sedimentologiche e disposizione fisica gli uni rispetto gli altri.
L’idea principale è che il fiume risponda in maniera rapida alle variazioni locali di
altitudine ed alle variazioni del livello di base di riferimento. Il fiume, infatti, nasce
sui rilievi e si getta nel bacino più vicino. Questo può essere un mare, un oceano
oppure un livello base locale, come un lago o una chiusa. Maggiore è il dislivello
rispetto i due punti presi in esame e maggiore sarà il trend del fiume ad approfondirsi
a spese del substrato roccioso (in correlazione con la litologia) oppure a spese degli
stessi depositi fluviali. Nel caso il divario aumenti, aumenterà il carattere locale
erosivo (prodotto successivo all’abbassamento del livello marino relativo,
regressione). Nel caso opposto, diminuirà il carattere erosivo prediligendo il
carattere di sedimentazione ed il risultato potrebbe essere una tendenza a
meandrizzarsi del fiume in quel tratto (prodotto successivo all’innalzamento del
livello marino relativo, trasgressione).
222
N. 127 Esempio dell’evoluzione nel tempo di un sistema fluviale a carattere prevalente meandriforme. I depositi
secondari fluviali, chiamati volgarmente “punte”, sono molto effimeri in questo contesto e tendono ad essere erose
più volte nell’arco temporale.
L’acqua corrente segue in ogni punto la direzione di massima pendenza locale: il
percorso è la sommatoria di ogni punto in cui l’acqua passa. Il percorso dell’oro è
molto simile venendo trasportato ed alle volte preso in carico sospeso. All’interno di
un medesimo fiume esistono molteplici percorsi preferenziali dell’oro
contemporaneamente. In alcuni momenti alcuni possono formarsi, altri essere erosi
e quindi andare a formare nuovi percorsi ed altri ancora essere sepolti e conservati.
Questi possono poi essere rimessi in circolo in una successiva fase erosiva andando
a formare un nuovo percorso futuro. All’interno di un fiume abbiamo quindi percorsi
dell’oro passati e recenti, inoltre altri verranno generati nel futuro dalla
rielaborazione dei primi due. L’obiettivo del cercatore d’oro è di evidenziare questi
percorsi e nel caso processarli per estrarne il contenuto aurifero. I percorsi auriferi
tendono a cambiare nel tempo al variare delle caratteristiche del fiume preso in
esame. Principale fattore è la sua portata e velocità locale. La portata è dipendente
dalle precipitazioni attuali, recenti o passate. La velocità è dipendente dalla
differenza di quota rispetto due punti presi in esame. Maggior differenza di quota
determina una maggiore velocità dell’acqua ed un maggiore carattere erosivo. Un
fiume con carattere locale di una alta portata e velocità delle acque tende a generare
un alveo circa rettilineo, al contrario in un fiume lento delle curve o meandri. I
parametri sono tra loro correlati e spesso un medesimo fiume esprime entrambi i
caratteri con sfumature intermedie.
223
N.128 Dettagli di un reticolo fluviale canalizzato in cui si denota in particolare un alveo abbandonato in color rosso e
le point bar nel lato convesso adicenti. Tali porzioni andranno a far parte della pianura alluvionale. L’oro non solo è
ubicato nei principali core ma anche nel fondo canale.
Approfondimento sui corsi d’acqua
Un corso d’acqua viene suddiviso in settori:
‐ Il tratto in cui è incastrato in una valle;
‐ Il tratto in cui si instaura all’uscita valliva;
‐ Il tratto in pianura;
‐ La foce o estuario in cui giunge al bacino marino;
‐ La conoide sottomarina se presente.
Quando il fiume è incastrato al fondo di una valle può essere di due tipologie: la
prima, se in un fondo vallivo modellato da un ghiacciaio, il fondo sarà molto largo ed
il fiume avrà lo spazio per muoversi generando un carattere talvolta meandriforme
o intrecciato. Nel caso il fiume erodendo crei una valle, essa avrà un profilo a “V”. I
versanti, in tal caso saranno accidentati ed acclivi. Nel primo caso difficilmente si
troverà il bedrock roccioso affiorante, nel secondo invece sarà possibile, in quanto il
fiume genera il carattere vallivo a spese del substrato roccioso e si imposta
preferenzialmente in porzioni rocciose più facilmente erodibili. L’oro si può trovare
al contatto con il bedrock o nei sedimenti sovrastanti ad essi. Quando il fiume esce
dalla valle e procede verso la pianura decresce drasticamente la velocità e tende a
depositare. Il fiume ha un carattere complesso che lo porta a variare il suo percorso
e generare una morfologia a cono dei sedimenti che deposita nel tempo. Questo è
224
detto conoide alluvionale. L’oro si può trovare con tenori variabili nei primi tratti
curvilinei prossimi all’uscita valliva, oppure lungo il percorso del conoide, dove il
fiume erode i suoi stessi depositi durante la piena e rimette in circolo l’oro
conservato del passato. Nel caso vi siano due corsi d’acqua che confluiscono in uno
solo si possono generare ulteriori depositi localizzati. Nel caso si instauri un
ghiacciaio vallivo successivo alla genesi del conoide alluvionale, esso sfociando in
pianura tenderà a spingere i sedimenti fluviali del fondo vallivo come fosse la pala di
un bulldozer e genererà un anfiteatro morenico, comprensivo sia dei sedimenti
antichi rielaborati del passato sia di quelli glaciali portati nella parte superficiale del
ghiacciaio e depositati in blocco. Il risultato sarà un complesso anfiteatro morenico.
In questo caso la prospezione è utile nei tratti in cui acque incanalate come rii e
torrenti rielaborano il materiale morenico e concentrano la frazione pesante, tra cui
l’oro. Procedendo nel tratto di pianura la stragrande maggioranza dei sedimenti
grossolani come massi, ciottoli e ghiaie saranno già state depositate e l’acqua
tenderà a trasportare e depositare piccoli ciottoli e sabbie, oltre che ovviamente limi
ed argille. L’oro di solito in questi contesti è di facile ritrovamento concentrato nelle
cosiddette “punte”. Il fiume ha bassa velocità relativa ed un carattere curvilineo
importante: durante le piene eccezionali può rispondere saltando il meandro e
creando un nuovo percorso tendenzialmente più rettilineo. Inoltre, nel caso di
condizioni favorevoli potrebbero essere ritrovate delle piccole pepite ma sono casi
sporadici in alcuni contesti piemontesi. L’oro finissimo quindi arriva fino al mare dove
viene depositato oppure andrà in soluzione. Nel caso i rilievi siano vicini al mare o
l’oceano, l’oro potrebbe arrivare con taglia grossolana alle coste e ai depositi marini
vicini. Le onde e le tempeste potranno concentrare i sedimenti pesanti e dilavarne i
leggeri. L’oro variando nelle sue dimensioni varia anche il suo comportamento: l’oro
grossolano tende a rotolare sul fondo se rimesso in circolo. Il suo moto sarà sempre
il più breve possibile e tenderà a concentrarsi tra i massi e ciottoli in quanto vi si
incastra, appiattendosi a causa degli stress imposti. I ciottoli stessi vibrando durante
una piena e favoriscono la deposizione dell’oro, il quale essendo molto fine rimane
intrappolato tra gli interstizi tra i ciottoli. L’oro grossolano può anche non essere
rimesso in circolo nella piena e quindi conservarsi nel tempo. L’oro viene rimesso in
circolo quando il fiume erodendo le porzioni alluvionali in cui l’oro è disperso, sposta
i ciottoli ed il materiale tra di essi tra cui l’oro. L’oro quindi si sposta ricercando il
punto più vicino stabile. Inoltre, Esso può rotolare o essere trasportato per brevi
tratti. Le pagliuzze allungate filiformi tendono ad essere il prodotto di un trasporto
limitato, come anche quelle compatte e tondeggianti. Le pagliuzze appiattite invece
tendono ad avere un comportamento idraulico differente e nelle piene possono
subire un trasporto anche notevole.
225
N.129 Esempio di evoluzione di corso d’acqua meandriforme nel tempo. Si noti come il canale attivo migra (nero ‐>
blu ‐> arancione) e con esso procede l’erosione lungo i lati concavi del sistema e la deposizione in quelli convessi.
Questo meccanismo è responsabile della continua immissione nel sistema di oro alluvionale ad ogni piena eccezionale
nell’alveo ed il ricoprimento di quello deposto in precedenza (giallo opaco). Le porzioni gialle opache indicano la
presenza di oro in orizzonti preferenziali, la cui concentrazione varia di località in località. L’approccio di estrazione
in tal caso non si ferma alla coltivazione degli arricchimenti localizzati lungo l’alveo attuale (punte recenti) ma bensì
si sposta all’esplorazione delle porzioni gialle opache, sede di una maggiore cubature e complessivamente quantità
d’oro. I placer auriferi sono depositi auriferi secondari di origine in questo caso fluviale, il cui sfruttamento risulti
economicamente valido e legalmente possibile al momento attuale.
226
fosse il vento per le vele delle barche. Non è raro ritrovare in una “punta” a oro
medio‐fine alcune pagliuzze di grandi dimensioni molto appiattite. Queste anche se
relativamente pesanti hanno subito un notevole trasporto rispetto la controparte
granulare. L’oro, appiattendosi e riducendo le dimensioni, tende ad essere
trasportato rispetto all’essere depositato. Viaggia per maggiori distanze e si
concentra di solito a causa della deposizione in punti localizzati, dove l’acqua
diminuisce la sua velocità. Amplificano questo effetto gli allargamenti nella sezione
dell’alveo oppure importanti turbolenze legate al fondo. L’oro granulare e filiforme
tende a seguire il percorso locale a maggiore profondità e più depresso, tipico del
fondo canale. Questo percorso è molto variabile nel tempo in quanto il fiume
variando il suo percorso, erodendo e depositando durante le piene rende tale
percorso molto suscettibile al cambiamento nel tempo. Quando si ritrovano dei
volumi ad elevato tenore, spesso seguono una direzione, risalendo tale percorso
l’oro dovrebbe tendere ad aumentare sia in dimensioni che quantità fino ad un apice.
L’oro grossolano e granulare tende ad essere ritrovato in corrispondenza di massi di
grandi dimensioni oppure negli interstizi tra taglie di sedimenti nettamente maggiori
rispetto quelle circostanti. Principalmente essi funzionano, in momenti di piena,
come turbolenze sul fondale. Nel caso l’acqua li sposti, di solito è perché erode il
sedimento circostante e vengono spostati passivamente nella direzione imposta
della piena. Piene eccezionali possono spostare i clasti direttamente e quindi dove si
depositano possono eseguire il compito di un riffle o trappola localizzata. Il
sedimento ghiaioso‐sabbioso aurifero che passa al di sopra dei clasti embricati
(trappole da embricatura) entrando in una turbolenza viene concentrato dalla
turbolenza stessa che rimette in circolo il materiale leggero e concentra quello
pesante. Sono ottimi luoghi di prospezione le porzioni posteriori di grandi massi
rocciosi ubicati nei fiumi o terrazzi. Di solito le taglie granulometriche di maggiori
dimensioni sono nel luogo più profondo del fiume o del canale. Infatti, la struttura
sedimentaria conseguente è detta stratificazione incrociata concava. Il fiume erode
creando un canale locale, nel punto più basso della depressione si concentrano i
massi di maggiori dimensioni e via via i più piccoli verso l’alto fino alla taglia sabbiosa.
Il punto in cui si ritrova l’oro è presso il fondo di tali canali, cioè nel percorso
preferenziale che ha avuto nel momento di deposizione. Alcune “punte”
corrispondono al punto più profondo del fiume nel momento della piena che le ha
generate. Altre si trovavano nelle aree adiacenti ad esso e quindi sono state
arricchite dalla rielaborazione durante la piena stessa. Alcune “punte” sono
sommerse per lunghi periodi dell’anno in quanto il percorso colmato dalle acque in
un momento può non esserlo in un altro. Il materiale secco senza acqua al momento
della lavorazione è più semplice e rapido da processare rispetto quello eppure
aurifero nella stessa direzione del trasporto preferenziale ma sommerso durante i
lavori.
227
228
N.130 Schemi grafici riassuntivi della genesi nel tempo della stratificazione incrociata concava, in cui l’oro presente
tende ad essere granulare e diposto nelle località più ricche di massi di grandi dimensioni. Tali fondi canale nello
spazio corrispondono a locali orizzonti auriferi, il cui sfruttamente commerciale può risultare anche molto proficuo.
Sono i depositi degli antichi fiumi.
Fenomeni di terrazzamento
Il corso d’acqua nel tempo può variare i suoi parametri di erosione e sedimentazione.
In un momento di erosione si approfondisce a scapito del bedrock roccioso oppure
di sedimenti fluviali antichi oppure di altre unità geologiche sottostanti che va ad
incidere. Vi è un approfondimento verticale ma anche uno laterale portato
dall’erosione dei depositi laterali durante momenti di piena oppure franamenti verso
il fiume dovuti all’instabilità (portata dall’erosione al piede da parte del fiume). Un
corso d’acqua che si approfondisce in un momento, si allarga successivamente e che
si approfondisce di nuovo genera una serie di terrazzi, detti erosivi. Questi caratteri
sono facilmente riconoscibili, infatti si osserva una successione di pianori via via più
bassi fino ad arrivare al fiume divisi da delle scarpate (scarpate di terrazzo). Il
sedimento eroso e concentrato dal corso d’acqua si ritrova nell’alveo attivo in tal
momento temporale. Il successivo approfondimento provoca un riassetto del letto
fluviale, il vecchio terrazzo viene conservato a maggiore altitudine e rimodellato
dalle acque superficiali e solo riutilizzato dal fiume in momenti di estrema portata.
Più il terrazzo è antico e più si ritrova in posizionato ad altitudini elevate. Il sedimento
pesante presente nel volume rimosso dal fiume si va a concentrare nel letto del
fiume al momento dell’erosione e può essere anche trasportato per elevate distanze
oppure migrare non troppo lontano. Nel caso il terrazzo o deposito fluviale
abbandonato venga conservato ed è aurifero ci si riferisce con il termine placer
229
(deposito fluviale con tenore utili di minerali pesanti, tra cui oro. Tale deposito è
sfruttabile con profitto e legalmente: giacimento o placer). Il fiume ogni volta che
erode tale terrazzo allargandosi in momenti di piena (erosione nelle curve) può
rimettere in circolo il sedimento pesante del placer, altrimenti conservato a
maggiore altitudine rispetto l’attuale letto del fiume (in quanto il fiume si è
approfondito!). Può esistere anche una variegata successioni di terrazzi, alcuni più
auriferi rispetto agli altri. I più vecchi terrazzi sono quelli a più alta altitudine, di solito
allo sbocco vallivo e anche i più alti rispetto gli altri subito in posizione successiva alle
morene glaciali, cioè sono stati i primi a formarsi successivamente alle morene, poi
il fiume si è approfondito e li ha abbandonati alla rielaborazione morfologica delle
acque di superficiali (piogge, rii). Queste tendono ad ammorbidire le morfologie. Il
terrazzo deposizionale si differenzia da quello erosivo in quanto è prodotto dal fiume
in un momento di deposizione. Il fiume si approfondisce, si allarga e deposita
(rialzando quindi il suo letto). In un altro momento si approfondisce a spese del
deposito appena generato e può sia andare ad erodere i sedimenti sottostanti più
vecchi o meno. Quindi può di nuovo depositare ed eseguire il processo o meno.
Lungo un fiume vi sono differenti tipologie di terrazzi. Alcuni fiumi posseggono
decine di terrazzamenti, alcuni sono erosivi altri sono deposizionali. In entrambi i casi
i terrazzi sono auriferi se al momento della formazione hanno potuto concentrare i
sedimenti pesanti, al cui interno vi era una percentuale aurifera.
N.131 Terrazzi deposizionali ed erosivi: i depositi fluviali si differenziano sulla base della modalità di sedimentazione.
I tenori auriferi differiscono nei due contesti come illustrato.
230
N.132 Dettaglio tridimensionale di un canale fluviale con carattere meandriforme e delle sue parti (numerate). L’oro
è presente nelle punte recenti secondo gli orizzonti evidenziati in giallo. Il loro tenore e la dimensione dell’oro varia
allontanandosi dall’apice della punta. Sedimentazione laterale: dovuta a migrazione delle barre nei canali attivi (3);
Sedimentazione verticale: dovuta a tracimazione o overbank o riempimento di canali morti;
Legenda:
1‐ Alluvium più antico;
2‐ Argine naturale;
3‐ Barra di centro‐canale o laterale in A, di meandro B;
3’‐ sommità di barra: cordoni e solchi;
4‐ Piana inondabile (bacino di piena) ‐> stagni;
5‐ Lingua o ventaglio di rotta;
6‐ Pavimento residuale o fondo canale;
7‐ Antico canale.
Depositi auriferi secondari glaciali
L’argomento risulta molto complesso ma alcune considerazioni sono importanti e
debbono essere prese in considerazione. Nell’instaurarsi di condizioni climatiche
rigide, le precipitazioni da liquide (piogge) diventano solide (neve). Durante il variare
delle stagioni, il rapporto tra la quantità di neve depositata e quella fusa varia ed il
risultato è l’espansione del ghiacciaio nelle stagioni fredde ed il ritiro in quelle estive.
Nelle stagioni invernali il ghiacciaio avanza in quanto l’aumento del carico nevoso è
notevole e continuativo rispetto alla fusione (ablazione). Nelle stagioni intermedie vi
sono leggere sfumature. L’ultima grande glaciazione (LGM) è iniziata circa 25000 anni
fa ed ha avuto il suo acme o apice a circa 21000 ‐ 18000 anni. Essa terminò tra i 12000
‐ 8000 anni. Le sue tracce tendono ad essere ben evidenziate nelle aree vicine i
ghiacciai principali, come le Alpi, le Apuane, i Pinerei e le principali aree interglaciali
231
adiacenti il Canada, Alaska, Groenlandia ed Europa centrale. Le aree influenzate
direttamente dai ghiacciai sono Canada settentrionale, Gran Bretagna, Islanda,
Norvegia e Svezia, Russia ed Alaska. Le calotte glaciali si espansero per importanti
estensioni nell’emisfero boreale rispetto a quello australe, in cui le tracce del
glacialismo rimasero più esigue. Mentre le prove dell’ultima grande glaciazione
tendono a venir conservate maggiormete, le precedenti tendono ad essere
obliterate facilmente dagli agenti rimodellanti attivi tra le glaciazioni oppure dalla
successiva glaciazione. La neve si accumula e con il tempo aumenta il suo carico,
riduce i pori al suo interno per la pressione soprastante ed aumenta il suo stato di
addensamento, quindi varia la sua struttura cristallina diventando ghiaccio. Nella
deposizione può includere alcuni sedimenti caduti in quel momento o franati.
N.133 Morfologia generale di un ghiacciaio vallivo.
Il ghiacciaio si sviluppa e si muove fluidamente verso aree a minore altitudine spinto
dalla zona di alimentazione crescente, cioè la zona a più alta precipitazione nevosa,
situata spesso in alta montagna (circi glaciali). L’enorme quantità di ghiaccio non può
che invadere le depressioni già create dai fiumi come le valli fluviali e quelle relative
agli affluenti del fiume principale. Sono i luoghi preferenziali dove il ghiaccio si può
muovere, generando talvolta fenomeni di diffluenza glaciale. Un ghiacciaio vallivo si
muove più rapidamente al centro che non ai lati, a causa dell’attrito esercitato dale
pareti rocciose; la velocità decresce avvicinandosi al fondo.
232
N.134 Collocamento dei DASg lungo il profilo dei depositi auriferi secondari. Si noti che non sempre sono presenti e
tipicamente si ritrovano in contesti in cui vi è stato un glacialismo importante nel passato recente.
Nei climi temperati, alla base del ghiacciaio, la temperatura è sufficientemente
elevata e interagisce con la pressione del ghiaccio sovrastante causando la fusione
di un piccolo strato basale di ghiaccio. In questo caso, il ghiacciaio si sposta verso
valle con l’intero suo spessore, scivolando sul il livello liquido presente in prossimità
del substrato roccioso. Il ghiaccio invadendo le valli dalle aree alimentatrici (circhi
glaciali) si raccoglie nella valle principale sotto forma di lingua glaciale valliva e
procede verso la pianura, sospinto dal carico sempre maggiore a monte. Questo
moto crea importanti e visibili cambiamenti nella morfologia dei rilievi circostanti
come segue:
‐ Nel sito dove il ghiacciaio alpino ha sede (alta quota) erode la propria sede andando
a creare una morfologia simile ad una caria in un dente o di una culla. In questo caso,
al ritiro del ghiaccio si vedrà una grande depressione nel sito del ghiacciaio di circo,
alle volte occupata al momento da un lago. Questa morfologia detta “circo glaciale”
è importante per il suo carattere erosivo. Nel caso in cui vi fossero delle vene aurifere
affioranti, esse verranno erose anche molto in profondità. Il ghiaccio prende in carico
il materiale e lo trasporta verso valle. Lo stesso rilievo sempre più eroso potrebbe
diventare instabile e quindi sarà più suscettibile a movimenti gravitativi (frane) o
deformazioni gravitative profonde di versante (DGPV). Il materiale viene trasportato
dal ghiacciaio come carico superficiale e di fondo.
‐ Lungo le vallecole e specialmente lungo la valle principale, il ghiacciaio si imposta
con una proprietà fondamentalmente di erosione alla base della valle (substrato
roccioso) ed allargamento laterale lungo la via del passaggio. Le rocce alla base della
233
valle vengono erose profondamente, stessa sorte i versanti laterali. Il risultato è un
profilo vallivo tipicamente a forma di “U”, rispetto alla forma a “V” legata all’erosione
fluviale. I sedimenti presi in carico durante questa erosione vengono trasportati
dentro il ghiaccio ed al fondo. Lungo il fondo, il ghiacciaio erode il substrato roccioso
premendo gli stessi frammenti rocciosi sulla roccia e quindi erodendola per
abrasione (smerigliatura). I frammenti si riducono in taglie sempre minore, fino ad
apparire simili alla farina (farina glaciale). Alcune rocce sul fondo si oppongono
all’erosione ed appaiono come rocce montonate: posseggono una morfologia
curvilinea a dorso di mulo e mostrano varie strie e righe che indicano la direzione nel
ghiacciaio al momento dell’abrasione (genesi delle strie). Di solito sono litologie
massive e resistenti (es. serpentiniti), le litologie più fragili e meno resistenti tendono
ad essere disgregate e trasportate come carico di fondo. Di nuovo questo aspetto di
erosione è importante nel caso vi si trovino depositi auriferi. Il ghiaccio opera come
una macchina a pressione, esso con il suo peso ed il suo moto utilizza il carico di
fondo roccioso come farina abrasiva sul bedrock intatto, andando sempre più ad
eroderlo. L’oro ritrovabile in questo contesto tende ad essere molto fine. L’oro è
malleabile e l’abrasione lo porta alla riduzione in taglia e dimensione. I sedimenti
franati da quote maggiore del ghiacciaio tendono a depositarsi sulla sommità ed
essere trasportate a valle fino a dove verranno accontonate formando le morene
glaciali.
‐ Quando il ghiacciaio è in equilibrio e quindi non varia la sua altitudine, tende a
depositare lateralmente il carico roccioso che trasporta. Si generano lembi detritici
lungo i versanti della valle durante queste fasi di equilibrio locale e temporaneo,
tipicamente notevolmente grossolani. Una volta che il ghiacciaio si ritira, questi
lembi rimangono nelle posizioni originarie, di solito lungo le cosiddette “spalle
glaciali”. Hanno un carattere rettilineo circa parallelo all’asse vallivo e nel caso
contengano sedimenti auriferi potrebbero essere fonti puntuali di arricchimento.
L’azione modellatrice delle acque superficiali diffuse ed incanalate nelle fasi
successive alla scomparsa dei ghiacciai possono rielaborare i depositi morenici e
concentrare l’oro, specialmente lungo i rii che tagliano il deposito morenico.
234
N.135 Nell’esempio è possibile vedere un versante vallivo, sul quale si imposta un reticolo idrografico. I depositi
morenici laterali sono rappresentati in violetto. I corsi d’acqua “a” e “c” hanno probabilità di contenere tracce d’oro
nel caso che i depositi glaciali sopracitati lo contengano. Il corso d’acqua “b” non presenta invece tracce d’oro a
conferma del fatto che non erode le morene né dei DAP.
‐ Nelle fasi precoci dell’avanzata del ghiacciaio vallivo si instaura un effetto
“bulldozer”. I vecchi sedimenti fluviali o fluvio‐glaciali presenti sul fondo vallivo
vengono spinti dalla forza del ghiacciaio lungo il fronte sempre più a valle. Nel caso
il ghiacciaio riuscisse ad oltrepassare il settore vallivo e giungere in pianura
genererebbe un anfiteatro morenico, il quale potrebbe svilupparsi anche all’interno
di valli laterali a seguito di diffluenze glaciali. Le morene non sono altro che i depositi
glaciali, sommatoria del sedimento spostato dal ghiacciaio come appena descritto e
quello che viene aggiunto dal trasporto superficiale. L’oro in questi settori morenici
è importante e con un tenore modesto o basso. Le acque superficiali che rimodellano
questi depositi possono arricchire localmente i rii e i corsi d’acqua che si instaurano
tra le differenti morene (scaricatori glaciali) oppure che tagliano l’anfiteatro
morenico (sfioratori glaciali) e possono creare importanti placer continentali nei
depositi fluviali successivi. L’oro risulterà grossolano e anche con elevati tenori.
235
N.136 sedimentazione dei detriti ai margini ed alla fronte del ghiacciaio e formazione dell’anfiteatro morenico.
Legenda: Depositi glaciali di fondo (1); Depositi glaciali di ablazione (2); Depositi fluvioglaciali (3).
N.137 Depositi glaciali di ablazione: l’apporto clastico e la presenza di grandi massi concentrati pone un caratteristico
aspetto e dettaglio.
‐ Il ghiacciaio avanzando può spostare il suo stesso anfiteatro verso porzioni più a
valle o in pianura. Nel caso in cui si ritiri questa fase può essere ritmica: ad ogni
periodo di relativa stabilità si crea un minore anfiteatro morenico più interno. Vi
236
possono essere quindi molte cerchie moreniche nel medesimo anfiteatro e diverse
morene generate durante il ritiro del ghiacciaio stesso, alcune di esse potrebbero
anche essere situate all’interno della valle. Tra il ghiacciaio e la morena si può creare
anche un lago glaciale: la sua evidenza morfologica è una sequenza clastica con
stratificazione piano‐parallela rispetto a quella inclinata della morena e i sedimenti
stratificati sono tipicamente fini sabbiosi con livelli ghiaiosi intercalati. Al ritiro del
ghiacciaio nelle aree depresse dove prima sorgeva il ghiacciaio ora le acque si
accumulano originando dei laghi post‐glaciali. Se si impostasse un altro importante
episodio di glaciazione in un momento più recente, andrebbe a rielaborare tutti i
depositi precedenti e quindi si evince come i depositi glaciali attuali siano
principalmente quelli legati all’ultima glaciazione (LGM). Il prospettore dovrebbe
essere conscio se il contesto in cui lavori mostri segni di una morfologia tipica del
modellamento glaciale. ll ghiacciaio funziona come un prelevatore ed un nastro
trasportatore. Le basse temperature e l’infiltrazione di acqua fluida durante il giorno
ed il suo congelamento durante la notte, anche a più riprese in poche ore notturne
e diurne, porta la roccia esposta ad essere smantellata in poco tempo per
crioclastismo.
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N.138 In alto si può osservare un esempio di ghiacciaio vallivo e dei relativi depositi glaciali che può generare e la
loro posizione fisica. In basso è presente un esempio che ricalca la genesi e morfologia di un Esker.
Il ghiacciaio prende in carico i frammenti rocciosi trasportandoli alla base (carico di
fondo) e li utilizza come strumenti abrasivi sul substrato roccioso. Inoltre, il suo carico
roccioso è presente sia nel suo corpo intermedio (presi in carico durante la
deposizione del manto nevoso nelle zone di alimentazione) oppure sulla propria
superficie, semplicemente caduti dai versanti oppure franati dagli stessi sul
ghiacciaio. Tutti questi sedimenti vengono trasportati verso il fronte del ghiacciaio e
quindi vengono depositati in massa. Il fronte può variare nel tempo e quindi spostare
tutto il complesso più a valle durante un avanzamento o durante il ritiro lasciare i
vari lembi di deposito via via verso l’interno vallivo. Si possono ritrovare svariati
depositi glaciali anche nelle fasi di ritiro lungo la valle glaciale, sia in posizione di
versante, talvolta a quote elevate sia presso il fondo vallivo. Locali circhi glaciali di
alta quota possono fornire a loro volta depositi glaciali singolari, ritrovabili a tali
quote o lungo i percorsi del ghiacciaio alpino verso il ghiacciaio vallivo principale. I
depositi di fondo sono spesso formati da sedimenti molto fini oppure grossolani con
forma allungata e senza spigoli, mostrano strie e righe ad opera dell’abrasione. Sui
depositi di fondo, una volta che il ghiaccio si fonde si depositano i depositi di
ablazione, cioè il materiale trasportato nelle posizioni superficiali o intermedie del
corpo del ghiacciaio. I depositi di ablazione hanno subito trasporto ma tendono a
risultare grossolani (anche massi o blocchi). Una volta che il ghiacciaio si è ritirato, i
depositi glaciali, fluvio‐glaciali e glacio‐lacustri vengono rimodellati dalle acque
superficiali diffuse (rii) e incanalate (corsi d’acqua). I versanti molto acclivi, in assenza
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del ghiacciaio possono collassare e franare. Gli stessi possono collassare sotto il loro
stesso peso e muoversi verso valle come una deformazione gravitativa profonda di
versante (DGPV). I rii si instaurano nelle vallecole laterali erodendo il substrato
roccioso ed i depositi glaciali se presenti generando anche estesi conoidi al fondo
valle.
N.139 Aspetto della morfologia di una valle glaciale e delle relative valli sospese in assenza del ghiacciaio vallivo e
dei circhi che l’hanno modellata. L’oro in tali contesti è ritrovabile nelle località delineate nell’esempio.
Cenni sul deposito aurifero secondario della Bessa
Il deposito aurifero della Bessa si formò a seguito dell’erosione e risedimentazione,
da parte di corsi d’acqua, dei depositi morenici ricchi di oro trasportati
dall’espansione dei ghiacciai valdostani, avvenuta a partire da circa un milione di anni
fa. Non si sa se, e quanto, il giacimento della Bessa sia stato coltivato, prima della
conquista Romana, dai Salassi. L’area della Bessa, infatti, cadde, tra il 143 ed il 140
A.C., nelle mani delle legioni romane di Appio Claudio e l’estrazione fu affidata,
quindi, ai pubblicani, cioè gli imprenditori dell’epoca, che impiegarono nei lavori fino
a 5000 uomini contemporaneamente. Non è conosciuta la reale durata del periodo
di sfruttamento; è però chiaro dallo storico Strabone che nella seconda metà del I
secolo A.C. le miniere erano già abbandonate e l’oro di Roma proveniva in massima
parte dalle coltivazioni spagnole. La coltivazione del DAS della Bessa, portò
all’estrazione di oro in pagliuzze e piccole pepite. Il processamento dei sedimenti
auriferi avveniva attraverso il “lavaggio” del sedimento: il procedimento consisteva
239
nello scavo del sedimento costituito da sabbia e da ciottoli, questi ultimi venivano
raccolti ed accatastati ai lati dello scavo, formando i grandi cumuli che oggi
caratterizzano il paesaggio della Bessa. La sabbia era riversata in canali, dotati di
rivestimento ligneo, a debole e costante pendenza, in cui scorreva l’acqua e con
procedimenti diversi venivano concentrati i minerali pesanti, tra cui l’oro, la
magnetite ed il granato. Un secondo lavaggio, probabilmente con il classico “piatto”
separava l’oro dai rimanenti minerali.
N.140 La figura illustra schematicamente i principali elementi fisiografici del paesaggio di cui la Bessa fa parte:
‐ Il terrazzo superiore, sede della discarica a cumuli di ciottoli;
‐ Il terrazzo (o terrazzi inferiori), costituito dalla discarica a conoidi antropici;
‐ I corsi d’acqua con le proprie piene alluvionali;
‐ Le morene, l’alta pianura biellese;
Semplificato da Franco Gianotti nel “Bessa, paesaggio ed evoluzione geologica delle grandi aurifodine biellesi”.
240
N.141 Nell’immagine sovrastante è possibile osservare in “1” le “spalle glaciali” su cui si depositano i depositi glaciali
di ablazione laterali. In “2” si evince il profilo vallivo a “V” generato dall’approfondimento locale del corso d’acqua
vallivo precedente alla fase glaciale e in “3” l’erosione glaciale successiva che genera un allargamento ed
approfondimento generale (valle ad “U”). Collocamento rispetto il profilo indicato dei depositi glaciali morenici (4, 6)
e dei loro rispettivi prodotti colluviali (5, 7).
N.142 Profilo dei depositi glaciali ortogonale allo sviluppo dell’anfiteatro morenico con le rispettive specifiche di ogni
settore. I depositi morenici si depongono in ordine crescente (2‐4‐6‐7) partendo dal numero “2” che si mettere in
posto sul substrato roccioso. Successivamente sempre a tale deposito di forma il deposito fluvioglaciale “3”;
rispettivamente il “5” è generato dopo la deposizione del deposito “4”. I depositi fluvioglaciali sono importanti
depositi auriferi secondari in cui l’azione delle acque superficiali diffuse e specialmente incanalate modellano il
paesaggio concentrando l’oro presente in DASf. Nel dettaglio il deposito “4” può essere suddiviso in “4a” (deposito
glaciale di fondo; oro finissimo) sottostante a “4b” (deposito glaciale di ablazione; oro grossolano). Il deposito “6”
può essere suddiviso nel “6a” (deposito glaciale di fondo) sottostante a “6b” (deposito glaciale di ablazione”; il
deposito “6c” è un terrazzo di kame (deposito glacio‐lacustre); il deposito “6d” è il prodotto del rimodellamento per
241
mezzo delle acque superficiali (deposito colluviale) del deposito “6c”. Il substrato roccioso “1” al contatto con i
depositi glaciali è localmente suddivisibile in “1” senso stretto, cioè il substrato roccioso abraso e montonato e “2a”,
il prodotto del suo smantellamento per opera della frizione lungo il fondo del ghiacciaio.
N.143 Collocamento dei principali depositi glaciali auriferi nel caso ipotetico di una mineralizzazione aurifera esposta
lungo il versante e dell’interazione dei suoi sedimenti di smantellamento con l’attività glaciale. I sedimenti auriferi
sono riprodotti in rosso.
Depositi auriferi secondari lacustri
I depositi lacustri ricoprono un ruolo notevole solo in alcuni casi, infatti lungo il
percorso del corso d’acqua si possono incontrare dei livelli di base locali, detti bacini.
I laghi possono essere di origine endogena, esogena o mista. Principalmente i bacini
di origine esogena sono legati al modellamento glaciale e il loro destino è
l’interramento precoce nel periodo successivo al ritiro del ghiacciaio. Nel caso dei
laghi ad origine endogena, questi durante la loro evoluzione tendono ad
approfondire per motivi tettonici il loro fondale, questo fenomeno è detto
subsidenza, quindi tendono ad essere più longevi rispetto quelli esogeni. In entrambi
i casi, molti corsi d’acqua minori hanno come foce locale il bacino stesso. In tale
porzione, si genera un piccolo conoide esposto e parzialmente sommerso, composto
da sedimenti principalmente ghiaiosi‐sabbiosi, talvolta auriferi lungo alcuni orizzonti.
Nelle rimanenti porzioni vi sono principalmente limi, conseguenza della
sedimentazione delle frazioni più fini dalle acque superficiali torbide. L’oro, in tale
contesto, può ritrovarsi nelle aree prossimali dei conoidi degli immissari auriferi. Le
taglie fini ed ultrafini tendono ad essere distribuite; le porzioni grossolane sono poste
nel primo tratto di low‐velocity dove il corso d’acqua diminuisce in maniera
repentina la sua velocità, tendenzialmente corrisponde alle sponde del bacino o nel
primo tratto sommerso. L’emissario è il corso d’acqua uscente dal bacino che regola
242
la massima altezza del livello d’acqua. Esso tenderà a non risultare aurifero, tranne
nel agisca con azione erosiva sui depositi lacustri stessi in un periodo in cui il bacino
è completamente interrato e quindi inattivo. È importante parlare di questi depositi
in quanto molti bacini, ora interrati e non più attivi, possono aver conservato delle
porzioni importanti di sedimenti auriferi al loro interno. Inoltre, nel caso il bacino
incontri intervalli temporali di anossia generale (mancanza di ossigeno) possono
generarsi processi chimici di trasporto aurifero in soluzione e successiva
precipitazione in località considerate locali trappole geochimiche.
N.144 Il bacino lacustre possiede un emissario, il quale ha la funzione di convogliare le acque verso l’ennesimo livello
base locale. In tal caso l’oro si concentrerà nel bacino ma ha possibilità di fuoriuscire dal bacino. In entrambi i casi il
bacino svolge un ruolo di collettore e non è atipico che vecchi bacini attivi nel passato, siano al momento affioranti (i
depositi lacustri risultanti) e nel momento in cui siano erosi mostrino tracce di oro. Del resto, i corsi d’acqua auriferi
se vengono considerati immissari in un bacino lacustre, più che portare e depositarvi l’oro non possono. La
dimensione e quantità di tale oro è relazionata alla distanza e tipologia del deposito aurifero primario. Il bacino
lacustre è in questo caso un livello base locale, cioè mentre il livello base generale di un corso d’acqua è il bacino
marino più vicino o oceano, i corsi d’acqua nell’esempio tendono verso il bacino lacustre. Quest’ultimo non possiede
un emissario e quindi l’oro che arriva al bacino non avrà modo di essere trasportato altrove e vi si concentrerà
(esempio di sinistra in particolare).
Depositi auriferi secondari di conoide (DASf)
I depositi auriferi secondari di conoide racchiudono una vasta casistica di depositi di
gerarchia minore già discussi come i depositi auriferi secondari fluviali in senso lato.
I conoidi sono vaste aree dove si sviluppano fenomeni di diversione fluviale e quindi
una variazione del pattern idrografico detto a “tergicristallo”. Il risultato è la genesi
di enormi coni detritici se sono i debris flow a generare il conoide, piuttosto che i
depositi fluviali se sono i corsi d’acqua. I conoidi sono località di generale
diminuzione di velocità del corso d’acqua. Ciò si ripercuote sulle taglie
243
granulometriche che vi si trovano, infatti verso lo sbocco vallivo (porzioni prossimali)
si troveranno depositi con ghiaie sabbiose e anche grandi massi, mentre nelle
porzioni distali si osserveranno depositi ghiaiosi sabbiosi con clasti pluricentrimetrici
(ciottoli). Lungo un conoide l’oro è distribuito secondo i percorsi di deposizione
preferenziale, prevalentemente lungo gli alvei o le point bar dei corsi d’acqua attivi
nel passato. I corsi d’acqua attuali, nel caso erodessero tali depositi auriferi secondari
fluviali antichi potrebbero arricchirsi in contenuto aurifero nuovamente. Questo è il
caso di molti conoidi piemontesi che lungo il loro percorso si arricchiscono
localmente più volte da differenti DASf antichi erosi. Si ricordi inoltre che al di sotto
dei depositi quaternari, che essi siano fluviali o glaciali vi si ritrova il Villafranchiano
in Piemonte per esempio; esso è costituito da unità terrigene deltizie ed agisce come
unità impermeabile locale e bedrock siltoso‐argilloso. Ne consegue che in località in
cui il fiume è arrivato ad incidere fino a rendere affioranti le argille villafranchiane
(es. Rivarolo (TO), Borriana (BI), Villanova) vi è erosione di orizzonti arricchiti auriferi
a contatto con il substrato argilloso. Questo è un caso notevole, non solo nei torrenti
vi è il ritrovamento dell’oro sul bedrock roccioso ma anche in pianura dove però è
presente, in questo caso, il bedrock argilloso. Un altro carattere importante dei
conoidi è che essi si possono sviluppare sia nelle aree interne vallive con l’origine da
parte di un corso d’acqua laterale sia allo sbocco vallivo. Nel primo caso le dimensioni
saranno notevolmente minori che nel secondo caso.
N.145 Differenti punti di vista rispetto un conoide naturale. Si noti come la morfologia è tipica a molti casi reali allo
sbocco delle valli alpine, in assenza di anfiteatri morenici in larga parte oppure successivi al loro smantellamento.
L’oro si ritrova presso i depositi di canale (marroncino), depositi alluvionali antichi e canali sepolti e disperso nei
depositi conglomeratici.
244
N.146 Tipologie di fan alluvionali:
‐ a: dominanti debris flow;
‐ b: dominanti esondazioni fluviali;
‐ c: dominante attività fluviale canalizzata.
Si noti che nella realtà, tali tipologie possono concorrere insieme o variare di importanza nel tempo a seconda anche
delle variazioni climatiche.
Depositi auriferi secondari costieri
Importanti agenti modellanti e rielaboranti sono le coste. Innanzitutto, è
fondamentale la comprensione dei meccanismi attraverso i quali le acque bacinali
(laghi, mari, oceani) possono concentrare minerali pesanti lungo le battige.
N.147 Visione schematica dei depositi auriferi secondari costieri, i quali nell’esempio si sviluppano in diversi tempi,
su più livelli topografici e a diverse quote, frutto del diverso meccanismo di genesi e del livello marino relativo. Il
puntinato scuro indica la presenza di metalli pesanti, tra cui l’oro.
245
Le maree: l’attrazione lunare e solare può dare luogo al movimento di enormi masse
d’acqua, i cui risultati sono le maree. Il livello del bacino puù variare anche di diversi
metri in altezza. Alcune aree prima sommerse, diventano prive di acque e viceversa
nel tempo. Questo processo è ritmico e ogni giorno si susseguono entrambe le fasi.
l’intensità del fenomeno è data dalla sommatoria o sottrazione delle varie forze di
attrazione in gioco e dalla distanza dalle sorgenti di attrazione (pianeti e la Luna). La
presenza ed assenza delle acque ed il moto connesso, permettono di rielaborare
localmente il sedimento. I granuli leggeri superficiali vengono attratti verso il bacino
aperto quando le acque si ritirano e concentrano i minerali pesanti, dilavati più
difficilmente.
Il moto ondoso: principale agente rielaborante lungo le battigie è il risultato dei moti
interni alle acque bacinali, le quali vengono messe in moto principalmente dalle
maree e dal vento: le masse d’aria in movimento, al contatto con la superficie
dell’acqua instaurano attrito, il quale genera increspature ed onde superficiali.
Quindi, le onde si propagano nel mezzo liquido e avvicinandosi alle coste si
estinguono sulle battigie, fornendo energia cinetica per la concentrazione dei
minerali secondo la loro densità.
N.148 Esempio dell’influenza del moto ondoso preferenzialmente lungo le battigie invece che il fondo marino. Nel
tempo si possono generare diversi arricchimenti localizzati (DASco) sulla base della posizione della battigia tra una
migrazione e la successiva della linea di costa.
Le onde, andando a collidere con le battigie, eseguono una rielaborazione nel
sedimento superficiale, il quale assorbendo l’energia del moto ondoso si muove
localmente. La risacca prende in carico le porzioni di sedimento più fini e leggere,
246
concentrando in posto il materiale pesante che si muove meno. I sedimenti granulari
subiscono continuamente questi movimenti ed attriti con le particelle adiacenti
tendendo a diminuire le loro dimensioni per abrasione reciproca. Si tendono a
ritrovare depositi costituiti da sedimenti molto arrotondati oppure ricchi in minerali
resistenti come il quarzo. In alcune porzioni di battigia la componente fine manca del
tutto a causa di un processo di estrazione da parte del bacino di alcune taglie
granulometriche.
N.149 Concentrazione per mezzo del moto ondoso:
a‐ movimento delle particelle a causa del moto ondoso verso la costa, lungo il bagnasciuga;
b‐ situazione semplificata di deposizione equivalente;
c‐ azione della risacca marina, suddivisione dei diversi minerali con maggiore effetto su quelli con densità minore
(quarzo, etc). Fenomeni abrasivi intensi e duraturi nel tempo;
d‐ concentrazione per lavaggio differenziale. Genesi di porzioni arricchite in minerali pesanti.
L’erosione costiera: il bacino, in alcune aree marginali, può depositare e quindi
generare nuove spiagge ed in altre località erodere e rimuoverle. La vicinanza di uno
sbocco fluviale con gli annessi depositi auriferi secondari fluviali aumenta le
possibilità di arricchimento del metallo prezioso lungo le spiagge adiacenti la foce.
L’origine aurifera è di notevole importanza, nel caso manchi un’origine di
arricchimento localizzata, il bacino non produrrà sedimenti arricchiti in oro ma solo
degli arricchimenti in minerali pesanti. L’oro deve essere presente nei sedimenti
costieri.
Variazione del livello marino: durante la storia geologica il livello marino relativo può
variare notevolmente. L’acqua sul pianeta è in tre differenti stati di aggregazione:
247
solida (ghiacciai, calotte polari, permafrost, etc), liquida (fiumi, laghi, mari, oceani,
etc) e gassosa (atmosfera, vapore acqueo, etc). La presenza di un’era glaciale e quindi
un aumento enorme delle quantità di acqua allo stato solido non può che avere come
prodotto un abbassamento del livello marino relativo, infatti l’acqua terrestre è
come in una grande pentola chiusa, la quantità è sempre la stessa ma varia il suo
stato di aggregazione. Nel caso i livelli dei mari diminuiscano, il risultato è che le coste
e i placer costieri appena generati si troveranno in porzioni più alte e si
interromperanno i processi di rielaborazione e concentrazione da parte di
quell’agente, in quanto non più presente. Si instaureranno processi erosivi subaerei
o innumerevoli incisioni fluviali con la genesi di paleocanali, successivamente colmati
durante la successiva trasgressione (risalita del livello marino relativo) Gli
arricchimenti auriferi si collocano preferenzialmente in porzioni dove il livello marino
risulta stabile per un numero sufficiente di anni per generare una nuova linea
costiera. L’azione costiera può quindi generare differenti terrazzi costieri nel tempo.
Un abbassamento del livello marino ha come conseguenza anche un innalzamento
della differenza di altitudine tra le sorgenti del fiume preso in esame e la sua foce,
con conseguente ringiovanimento del reticolo idrografico e monte ed associata
maggior erosione. Ciò genera ad una brusca erosione lungo il percorso del fiume per
ricercare condizioni di stabilità più performanti. Si generano terrazzi erosionali e
generale abbandono dei vecchi percorsi fluviali. Il caso contrario, nell’innalzamento
del livello marino, il fiume tende a diminuire la sua velocità ed energia lungo il suo
percorso a causa di un sempre minore valore differenziale di altitudine rispetto le
sorgenti e la foce. Il fiume tenderà a depositare, mostrare morfologie curvilinee e
meandriformi e generare terrazzi deposizionali.
N.150 Esempi di trasgressione ed ingressione marina sulla genesi dei terrazzi costieri e continentali a monte.
248
Le tempeste: questi fenomeni hanno un carattere importante non solo in un ambito
localizzato e si impostano anche in maniera stagionale su lunghi periodi storici
nell’evoluzione della Terra. Le tempeste sono di fondamentale importanza: la loro
grande energia genera un moto ondoso molto intenso che può erodere, depositare
e rielaborare vaste aree costali ed i depositi costieri annessi. Come l’esempio e
l’importanza di grandi piene per un arricchimento fluviale, le tempeste sono fonte di
arricchimento e concentrazione lungo le coste. Questo fenomeno è accentuato in
aree costiere in rientranza oppure golfi. Località nel mirino di prospezione sono aree
dove rii oppure corsi d’acqua possono avere trasportato sedimenti ricchi in oro. Il
bacino non prende in carico i minerali pesanti se non con locali conoidi sottomarini
e frane sottomarine. Il mare tende a concentrare i sedimenti pesanti lungo le coste
adiacenti alle foci dei fiumi presi in esame. Un altro aspetto da tener conto è se nel
passato vi sono stati ghiacciai che hanno oltrepassato lo sbocco vallivo e sono giunti
fino al bacino. In questo esempio i rilievi sono tipicamente vicina alla costa ed al
bacino. L’esempio tipico è Nome in Alaska che viene ancora oggi molto apprezzata
come meta sia turistica che commerciale per l’estrazione di oro. Il mare ha
rielaborato antichi depositi glaciali, essi stessi rielaborati in assenza dell’agente
marittimo dalla presenza di locali rii e concentrazione da parte di fiumi o reticoli
idrografici superficiali durante le fasi regressive. I placer sono disposti su più livelli
sulla base dei vari episodi geologici che li hanno generati.
I Paleoplacers
I paleoplacers vengono sia considerati come depositi auriferi primari che secondari.
Tendenzialmente sono solo parzialmente conservati con le medesime caratteristiche
antiche, legate all’ambiente di deposizione. I fluidi circolanti possono eseguire una
riconcentrazione di alcuni elementi nel deposito stesso rendendo difficile discernere
questa tipologia tra deposito secondario e primario. Sono pochi i casi in cui un placer
venga conservato per lungo tempo anche se alcuni esempi esistono e sono tutt’ora
in studio e coltivazione. Le quantità del metallo prezioso estratto possono essere
talvolta maggiori rispetto quelle attuali medie. Le condizioni, semplicemente, erano
differenti fin dalla genesi del deposito primario, inoltre, il tenore aurifero nel passato
(es. Archeano), tendeva a risultare maggiore. Il problema della conservazione è
notevole, infatti si ha necessità di un ambiente nel quale gli agenti esogeni non
erodano il deposito aurifero secondario nel tempo e quindi lo preservino. Alcuni
placer possono venire coperti, sepolti e conservati: le eruzioni vulcaniche ed il
conseguente ricoprimento di lave possono generare una sorta di “scudo disico” al
placer che lo conserva per un lungo periodo (finché lo scudo viene eroso). Porzioni
nell’entroterra di continenti molto antichi (es. cratoni) mostrano una superficie
249
appiattita con minime escursioni di altitudine (colline). Le rocce sottostanti, molto
antiche ed alterate possono conservare sepolti placer auriferi. Insomma, non è un
caso di semplice studio e ricerca ma una rielaborazione di un placer antico e ora in
erosione può essere importante economicamente, come si può vedere in Africa,
Australia e Canada. Un altro caso da notare è la percolazione di fluidi reattivi, i quali
in placer antichi conservati, potrebbero prendere in soluzione l’oro e portarlo anche
a distanze elevate dalla sorgente, depositandolo a volte in massa a formare pepite
oppure in un contesto strutturale fragile nelle fratture legate alle faglie. Il ruolo
dell’attività batterica nei contesti relativi ai paleoplacers è ancora in fase di studio.
Giacimenti ad Au‐U del Witwatersrand (o Rand), RSA, un esempio di paleoplacer
Il più grande distretto aurifero del mondo (produzione dal 1886: > 48.000 t Au) si
trova in sud‐Africa e si presenta sotto forma di conglomerati quarzosi (di probabile
ambiente deltizio) deposti nel tardo Archeano. La stratigrafia semplificata del
Witwatersrand (“Rand”) indica una serie di orizzonti auriferi (reefs) che compongono
il conoide alluvionale allo sbocco di una paleovalle. Attraverso le campagne di
sondaggi sono stati indicati i principali orizzonti auriferi sfruttabili ed il loro tenore e
la correlata continuità spaziale. I conglomerati (rocce sedimentarie composte da
ciottoli) si presentano cementati (non vi è spazio libero tra i ciottoli in quanto è stato
riempito da precipitati chimici) con clasti ben arrotondati di quarzo, selce (minerali
molto resistenti al trasporto) e localmente pirite in una matrice di quarzo, mica,
clorite, pirite, fuchsite (mica cromifera). Contengono oro nativo, pirite ed altri solfuri,
arseniuri e solfosali, uraninite (UO2), brannerite (U4+, Ca) (Ti, Fe3+)2O6, piccole rare
pepite di PGE (platinoidi) e pirobitume (materiale carbonioso, probabilmente
derivante da idrocarburi metamorfosati o correlato all’attività batterica). È notevole
questo assortimento di minerali, specialmente la compresenza di ciottoli di quarzo e
ciottoli di pirite. La pirite è anche ritrovata nella matrice in grana molto fine. La pirite
è molto instabile in ambienti ossidanti come l’atmosfera terrestre attuale e
raramente si può ritrovare in posizioni distanti rispetto il giacimento d’origine. Si
altera molto velocemente reagisce con l’ossigeno ossidandosi e quindi diminuendo
in presenza fino a scomparire. In questo caso l’alta frequenza di ciottoli di quarzo
indica una fase di trasporto da moderata ad elevata. In condizioni attuali risulterebbe
impossibile ottenere un conglomerato formato da pirite e quarzo, quindi generati da
rocce che hanno subito un trasporto fluviale, confermato dalla struttura generale del
deposito (conoide alluvionale). Questa peculiarità viene spiegata con una differente
chimica atmosferica ed ambientale durante la genesi del deposito. L’atmosfera non
era ancora così ricca in ossigeno e ha svolto un differente ruolo, preservando la pirite
rispetto ad alterarla (condizioni ambientali riducenti). L’oro nativo si ritrova per la
maggior parte nella matrice dei conglomerati ed in minima parte nei ciottoli di pirite.
L’oro stesso dal punto di vista morfologico si presenta sia come risultato di un
250
trasporto fluviale (appiattito, pagliuzze) che con lembi concresciuti in posto,
reclamando un importante fattore di fluidi circolanti successivi al momento della
deposizione (epigenetici). Si nota l’ambiguità di definizione di paleoplacer, anche se
il placer è prettamente un deposito aurifero secondario, in questo caso
l’arricchimento aurifero attraverso fluidi mineralizzanti è un processo tipico dei
depositi auriferi primari. Tenore medio del giacimento: Au: 6‐9 g/t (prodotto
primario); U: 0.03% (sottoprodotto).
N.151 Esempio semplificato della situazione nel Bacino Witwatersrand.
251
Perizia dei target auriferi e processamento
Introduzione e ringraziamenti
Il campo della prospezione aurifera e dell’esplorazione mineraria è molto vasto e
complesso. In questo capitolo si vogliono sottolineare alcuni concetti dal punto di
vista prima amatoriale, per poi svilupparli anche dal punto di vista industriale, e di
medie e grandi imprese. Il lettore potrà sviluppare un proprio bagaglio didattico non
indifferente che spazierà in diverse realtà aziendali o amatoriali. Il concetto che
dovrebbe inoltre essere chiaro è che individuare la più produttiva località dal punto
di vista del contenuto aurifero per metro cubo di materiale (tenore) è sempre
l’obiettivo principale. Bisogna investire tempo nello sviluppo di una rete di test
ubicati nei punti più promettenti, oltre che adottare un metodo rigoroso sia nelle fasi
di lavaggio che di campionamento. Bisogna essere razionali nella procedura e nella
valutazione dei risultati e non soffermarsi alle prime avvisaglie negative ed
approfondire quelle positive o degne di curiosità. È utile talvolta anche fermarsi un
momento per valutare al meglio la situazione attuale e fare il punto sulle ricerche
fino a quel punto sviluppate ed i relativi risultati, in modo da poter cambiare strategia
di campionamento o località nel caso. Particolari ringraziamenti vanno ai co‐autori
di alcuni paragrafi di questo capitolo, i quali con molta passione e dedizione hanno
contribuito alla stesura con consigli e nozioni per permettere ai lettori una miglior
comprensione di questa affascinante attività. In primis, il Sig. Giuseppe Rizzi che con
la sua esperienza, dedizione e spirito didattivo è da anni un maestro nelle tecniche
di ricerca e prospezione aurifera a livello amatoriale. Egli ha fornito moltissime
delucidazioni per quando riguarda la prospezione, la tecnica del panning e sluicing.
È inoltre fondamentale sottolineare e ricordare i metodi tradizionali quali locali
italiani e piemontesi in questo caso, quali fonte di primo apprendimento e approccio
per tutti coloro che volessero avvicinarsi dal punto di vista amatoriale alla ricerca
dell’oro in maniera tradizionale, per non dimenticare la nostra storia e coloro i quali
ci sono succeduti nel passato. Essi sono una impronta distintiva e firma della
tradizione e sforzi di molti cercatori del passato. Il Sig. Luca Calabrese ha contribuito
per quanto riguarda il paragrafo dedicato alla ricerca dell’oro con ausilio di strumenti
tecnologici, quali i metal detector, un ramo in Italia spesso tralasciato quasi
completamente e poco o nulla normato a dovere. Il materiale fotografico presente
in questo capitolo è stato prodotto dall’autore primario, Matteo Oberto, ad
eccezione degli scatti siglati con autori differenti.
La prospezione dei target auriferi
Il campo di attività dei cercatori d’oro hobbisti si riferisce principalmente a due
momenti: Il primo, fondamentale è quello della “ricerca”, il secondo conseguente è
252
quello del “raccolto”. Nella prima attività è importante una preventiva preparazione,
con la ricerca di informazioni e lo studio delle carte topografiche e geologiche oltre
che quelle tematiche, poi si arriverà al fiume o al torrente, dove si passeranno ad
eseguire più “assaggi” in tutti i diversi punti che ci possono far sperare in un ricco
deposito. Ci si dovrà attrezzare con il minino indispensabile per potersi spostare
velocemente e continuamente. L’attrezzatura deve quindi necessariamente
rispondere ai requisiti di leggerezza, praticità e versatilità d’uso e ridotto numero di
attrezzi. Nel caso la fase di ricerca sia positiva si passa alla fase di raccolto, in cui
l’operatore utilizzerà le migliori tecniche e strumenti a disposizione per la
coltivazione più performante (meno faticosa e con maggior rendita).
253
N.152 Carta delle principali mineralizzazioni primarie e delle alluvioni aurifere (depositi auriferi secondari) del bacino
padano (modificato Pipino G.6,11,12).
Legenda:
1: Val Gorzente; 2: Voltaggio; 3: Valle Stura; 4: Toleto‐Morbello; 5: Valle Erro; 6: Priola; 7: Monasterolo; 8: Peveragno;
9: Limone; 10: Roaschia; 11: Vinadio; 12: Bellino; 13: Crissolo; 14: Villar Pellice; 15: Massello e Prali; 16: Pragelato;
17: Giaveno; 18: Oulx; 19: Foresto e Bussoleno; 20: Mocchie; 21: Valle Locana; 22: Sparone; 23: Val Soana; 24: Monte
Bianco; 25: Saint Marcel; 26: Champorcher; 27: Val d’Ayas; 28: Brusson; 29: Vico, Traversella e Tavagnasco; 30:
Andrate e Borgofranco; 31: Argentera e Montà; 32: Alagna e Pisse; 33: Fobello; 34: Val Segnara; 35: Macugnana –
Pestarena; 36: Val Bianca; 37: Valle Antrona; 38: Val Toppa; 39: Vognogna; 40: Gondo; 41: Crodo e Alfenza; 42: Alpe
Formazzolo; 43: Stresa e Baveno; 44: Aurano; 45: Craveggia; 46: Val Cuvia; 47: Malcantone; 48: Piuro; 49: Campovico
e Mantello; 50, Val Malenco; 51: Val Didendro; 52: Valsassina; 53: Valgoglio; 54: Ardesio; 55: Presolana; 56: Pisogne;
57: Bovegno e Pezzaze; 58: Braghe e Provaglio; 59: Monterenzio; 60: Pavullo; 61: Montefiorino e Frassinoro; 62:
Lingonchio; 63: Rigollo; 64: Ferriere; 65: Rovegno.
Note sulla prospezione aurifera
Alcuni definizioni che torneranno utili:
Tenore (grade): concentrazione del minerale o elemento, obiettivo della prospezione
e futura attività mineraria (grammi / tonnellata; oncia / tonnellata; carato /
tonnellata; % / tonnellata; oppure rispetto il volume e quindi metro cubo).
Tenore minimo (cut‐off): Sotto tale valore le spese sono maggiori degli entroiti e
quindi non risulta economico l'attuale estrazione.
Cubatura (ore body): si tratta dell'ammontare del volume (metri cubi) oppure del
peso delle rocce in cui è conveniente estrarre il minerale (tenore utile).
254
Greenfield vs. brownfield: la tecnica denominata Greenfield prevede progetti con
una minima o nessuna precedente esplorazione, mentre un progetto brownfield è
frutto della rielaborazione di dati pregressi, anche di altre aziende. L'esplorazione
Greenfield comporta il rischio di operare in un territorio inesplorato e quindi tende
ad essere un’attività con capitali a rischio. Con progetti in campo greenfield, le
autorità locali hanno limitato dati geofisici e perforazioni annesse e i team di
esplorazione devono fare affidamento sulle previsioni dei modelli geologici per
individuare potenziali depositi. Acquisire un progetto brownfield, tuttavia, significa
acquisire risorse come un ampio database, rapporti tecnici, studi di economia e
fattibilità e consentire milioni di dollari di capitale investito. La maggiore sicurezza
delle risorse si traduce in una riduzione dei rischi e dei costi. I progetti Brownfield
comportano di solito rischi minori e offrono uno sconto enorme sui costi di capitale
iniziale. Un vantaggio definitivo di un progetto brownfield è la quantità di dati di
esplorazione disponibili, che comprende molti aspetti del progetto e offre immensi
benefici economici sia all'azienda che ai suoi azionisti. Quando una società acquisisce
un progetto brownfield, un ampio database di esplorazione e modelli geologici
spesso dettagliati fanno anch'essi parte del pacchetto. Questo può rivelarsi
estremamente prezioso. Si genera tuttavia un mercato parallelo all’ottenimento di
tali dati geologici, infatti alcune compagnie minerarie vivono solamente di
esplorazione mineraria e del profitto nelle vendite dei dati ottenuti dalle loro
ricerche (es. database storici contenenti dati geologici, risultati di drill, core di
perforazione e campioni da precedenti esplorazioni e sviluppi). Tenore e cubatura
variano nel tempo in quanto il prezzo sul mercato del minerale varia con la richiesta.
Parte del deposito attualmente non economico potrà esserlo in futuro oppure il
prezzo, nel caso scendesse troppo la miniera potrebbe chiudere, non avendo più un
mercato vantaggioso; dipende dalle fluttuazioni del mercato. Dal momento per il
prospettore ricerca localizzati arricchimenti auriferi già esplorati in passato e li
ricerca con dati pregressi sta eseguendo un progetto brownfield. La prospezione di
un rio di montagna senza nessun tipo di citazione bibliografica o dato pregresso è
invece un progetto greenfield. La ricerca dell’oro in un contesto già studiato e
sfruttato in passato conferisce una maggiore sicurezza (minore rischio) ma anche una
quantità di oro ritrovata media‐bassa. L’esplorazione invece di un ambito inesplorato
conferisce talvolta quantità del metallo prezioso ragguardevoli ma con un alto rischio
di trovare nulla e quindi aver sprecato il proprio tempo e risorse.
Prospezione mineraria: ricerca di giacimenti di sostanze minerali, economicamente
coltivabili. Deriva dalla parola prospector generalizzatasi nell'America Settentrionale
per designare i ricercatori di miniere, formata da prospect = prospettiva nel senso
figurato di speranza. In Spagna, paese che fra i paesi mediterranei ha le più antiche
tradizioni minerarie, la prospezione mineraria è detta cateo; ricercare catear e
255
cateador il ricercatore. Tanto la Spagna quanto la Germania ammettono la ricerca
libera a chiunque (derecho de cateo, Schurfrecht) per i minerali metallici e
combustibili. In altri paesi, fra cui l'Italia, la ricerca è per lo più subordinata ad una
autorizzazione e limitata a determinati minerali rimanendo esclusa per altri, riservati
allo stato o al sovrano (per es., sale) o abbandonati al proprietario della superficie (v.
miniera: Diritto). La prospezione mineraria dalle sue origini si è ispirata sempre alla
sana norma fondamentale di "seguire il minerale dal luogo dove ne è stato trovato il
primo segno, fino a rintracciarne il giacimento. Dalle grezze regole empiriche
primitive, i modi di applicazione della detta norma, col progredire delle scienze e
della tecnica, divennero sempre più svariati, ingegnosi e razionali, e con il notevole
corredo di esperienza, così accumulato nei secoli, furono create in tempo più antico
l'arte mineraria e più tardi le discipline scientifiche della mineralogia e della geologia,
ora guide del prospettore. Il lavoro di prospezione si svolge in due fasi:
1. La ricerca e l’dentificazione del deposito nella sua posizione, forma e caratteri;
2. La verifica della sua coltivabilità economica (giacimento).
Il minerale ricercato si può trovare in prima o in seconda giacitura all’interno delle
mineralizzazioni: vale a dire o dove si è formato e deposto fino dall'origine (deposito
primario) oppure invece come "trovante" strappato alla sua matrice e trasportato
più o meno lontano da uno o più agenti geologici (deposito secondario). Da ciò una
prima divisione fra minerali coltivabili soltanto nei giacimenti primari e minerali
coltivabili anche in sede secondaria nei placers (es. oro, platino, cassiterite (stagno),
l'ambra, pietre preziose). I metodi di prospezione si suddividono in diretti e indiretti.
Entrambi sono preceduti da una ricognizione geologica approfondita fin dove le
risorse economiche e la logistica lo consentono. L'opera è talvolta facilitata molto
dall'esistenza di carte geologiche, se presenti. Dove queste mancano, si potrebbe
procedere ad una loro stesura nella scala e nel dettaglio richiesti.
Metodi diretti: l'avanzamento della prospezione rimane sotto il controllo immediato
dei sensi del ricercatore. Con tale metodo i giacimenti primari si scoprono dai loro
affioramenti, analizzabili con maggiore facilità nel caso appartengano alla categoria
di quelli regolari (strati, filoni, necks) a causa della loro continuità spaziale rivelata
(affioramenti, spuntoni, outcrops, asomos), oppure da strisce e patine di colore
particolare (brucioni, cappellacci di ferro o limonitici, argille cotte dalla combustione
spontanea). I possibili approcci inerenti a questo tipo di prospezione sono scavi di
trincee, cunicoli, pozzi, e modernamente piccole trivellazioni variamente inclinate,
campionamento per saggi docimastici, ecc. Nei giacimenti secondari, dove il
minerale è disperso in piccola quantità all’interno di altro materiale detritico, la
ricerca consiste nel separarlo dallo sterile utilizzando qualche sua proprietà specifica,
generalmente la densità, mediante metodi gravitativi (lavaggio con acqua corrente),
256
sistema che riunisce a un tempo ricerca e campionatura. Strumento classico di tale
prospezione è il primordiale catino, piatto, scodella (fr: sébile; sp: batea; ingl: pan;
ita:piatto) di legno, lamiera, plastica o ABS. Una varietà del metodo diretto è il
metodo archeologico, nel quale l'indizio, anziché dal minerale, è dato dal
rinvenimento di tracce di antiche lavorazioni minerarie o metallurgiche, quali vecchi
lavori, conoidi antropiche, discariche minerarie localizzate (escoriales in spagnolo).
Potrebbe risultare conveniente la coltivazione di giacimenti dei quali si era
dimenticata l'esistenza (scorie romane in Sardegna; scorie elleniche nel Laurion,
nell'Attica). Nell'esercizio dei metodi diretti di ricerca si è formato nel tempo il tipo
del prospettore o cercatore di miniere, vocazione meglio ancora che professione, la
quale esige doti d'animo e di carattere tali da imprimere a chi la segue una fisionomia
tutta propria. Occorre al cercatore, oltre alle cognizioni specifiche, grande tenacia,
per affrontare le difficoltà tecniche, fisiche, logistiche e psicologiche di ogni ricerca
mineraria.
Metodi indiretti: sono le trivellazioni e i metodi geofisici, impiegati quando i metodi
diretti diventano troppo costosi, aleatori e poco significativi per raggiungere un
giacimento di cui si sospetta l'esistenza in profondità sotto una coltre più o meno
potente di terreni sterili. Incominciò a diffondersi come strumento di prospezione
nel secolo XVIII, quando la si usò per trovare la continuazione di strati carboniferi già
conosciuti parzialmente e coltivati, prima di avventurarsi a praticare i costosi lavori
per renderli accessibili in profondità. Così si scoprirono in prosecuzione dei bacini
carboniferi del Belgio quelli della Francia Settentrionale e nel sec. XIX i bacini del
Passo di Calais, e quelli della Campine nel Belgio. A renderne universale l'impiego fu
decisiva la scoperta, per mezzo della trivella, del petrolio al pozzo Drake presso
Titusville negli Stati Uniti, nel 1859. I progressi compiuti da quel tempo nella
perfezione meccanica dello strumento nelle varie tecniche escogitate per adattarlo
a tutte le varietà di terreno da perforare, hanno permesso di raggiungere profondità
mai prima d'ora sperate. Così il 10 maggio 1933, nella regione di Kettlermanhills in
California una perforazione per petrolio toccò i 10.927 piedi inglesi (3229 m.).
Metodi geofisici: Il costo a metro del foro di una perforazione cresce rapidamente
con l'aumentare della profondità e quindi è di notevole importanza economica
valutarne la convenienza, prima di intraprendere una perforazione profonda, di
eseguire prospezioni geofisiche, allo scopo di riconoscere, a conferma delle ipotesi,
qualche particolarità dei terreni da perforare ed ubicare il foro dove le probabilità di
successo risultino maggiori. La ricerca geofisica non sostituisce gli altri metodi, i quali
devono sempre essere dopo impiegati per conferma. La ricerca geofisica mira a
scoprire e misurare le anomalie fisiche o alcune proprietà del terreno da esplorare.
Non forniscono, salvo nel caso della magnetite, indizi sicuri sulla natura di questo. I
metodi di ricerca si dividono in due gruppi:
257
I. Determinazione e misure dei campi di forza già esistenti sul terreno, gravimetrici,
magnetici, elettrici, geotermici e radioattivi.
a) Metodi gravimetrici: Misurano le anomalie determinate nel valore della gravità (g)
e nella direzione della verticale (deviazione del filo a piombo) dalla diversa densità
delle masse minerali componenti la crosta terrestre, la cui densità media è all'incirca
2,6 g/cm3. Siccome anomalie analoghe sono determinate dagli orogeni, questi
metodi non si possono adoperare lungo terreni accidentati. Le misure vengono
eseguite con pendoli o con la bilancia di torsione di Eötvös. Il pendolo (pendolo di
Sterneck) serve a misurare il valore dell'accelerazione della gravità (g), massimo
presso minerali pesanti (metallici), minimo sopra leggieri, oppure sopra cavità (sale
oppure caverne). Tale metodo è preciso, ma laborioso. La bilancia di torsione di
Eötvös rivela le deviazioni della verticale cioè la componente o gradiente orizzontale
della gravità, o in altre parole la curvatura della superficie del geoide. L'apparecchio
è formato da un'asta orizzontale di alluminio, terminata ai due capi da due pesi uguali
e sospesa nel suo centro a un filo la cui torsione misura il gradiente ricercato. Il filo
può essere metallico, oppure di quarzo o di wolframio. Se i due pesi sono
all'estremità dell'asta, la bilancia si dice di prima specie, se invece uno di essi è
sospeso a un filo lungo da 60 a 70 cm., in modo che i due pesi si trovino sopra
superficie di livello di altrettanto differenti, si dice di seconda specie. Una modifica
di quest'ultimo tipo ha l'asta a Z rigida con i pesi alle due estremità. Uno specchio
fissato presso il centro di sospensione dell'asta, colpito da un raggio di luce mandato
da apposita lampadina, dà la misura della torsione. Siccome per ottenere gli elementi
necessari al calcolo del gradiente si deve far girare la bilancia semplice ponendola in
cinque posizioni differenti successive intorno al proprio asse verticale, per ridurre
questo numero a tre si è costruito il tipo bifilare, disponendo due bilance della
seconda specie parallele e vicine ma girate di 180° l'una rispetto all'altra. Il tipo a Z è
stato escogitato per ridurre l'altezza dello strumento. L'apparecchio sensibilissimo e
costruito con registrazione automatica fotografica permette di raccogliere elementi
sufficienti a determinare i valori relativi della componente orizzontale della gravità,
misurati in unità speciali dette unità Eötvös. Con i numeri così ottenuti,
congiungendo i punti di valori eguali, si tracciano curve, dette isogamme, che
rendono sensibili gli andamenti delle anomalie, e permettono di trarre, con gli altri
elementi noti, conclusioni geologiche e riconoscere la presenza di masse di peso
specifico più elevato di 2,6 oppure più basso (cupole saline, diapire).
b) Metodi magnetici: Sono stati impiegati fino dal sec. XVIII per ricercare la magnetite
in Svezia. La misura si può fare:
258
così le isogone, le isocline e le isodinamiche, e dal loro andamento si traggono le
deduzioni del caso.
‐ Variometri o magnetometri locali si misurano le componenti verticali od orizzontali
del campo magnetico. Su queste misure può influire la polarità magnetica, per cui si
ha sopra un polo magnetico S la massima intensità verticale, e la minima sul polo N
‐ La bussola a induzione di Weber, oppure col magnetometro di M. Grossi, dove
invece dell'ago magnetico si adopera un rocchetto di filo metallico, il quale rotando
intorno a un suo diametro in una sospensione cardanica, taglia le linee di forza
magnetiche e genera una corrente variabile a seconda dell'intensità del campo e
della direzione dell'asse di rotazione. Si scoprono con questo metodo masse di
magnetite, cupole saline, intrusioni di rocce, e le parti ricche delle alluvioni aurifere
perché l'alto peso specifico della magnetite fa sì che la sua polvere (sp. arenilla)
accompagni le pepite d'oro.
c) Metodi elettrici: correnti elettriche naturali sono generate dalle alterazioni
chimiche di molti minerali, dei sulfuri metallici in specie. Se raccolte con un elettrodo,
e misurate con potenziometro o galvanometro, porgono gli elementi per tracciare
sul terreno le linee equipotenziali e individuare il luogo dove le correnti si producono.
d) Metodi geotermici: tutte le sostanze ossidabili, anche se racchiuse a grande
profondità nel terreno, subiscono un processo di ossidazione con sviluppo di calore,
il quale, assorbito dalle rocce incassanti, si manifesta con la diminuzione di lunghezza
del grado geotermico. Ciò avviene in special modo nei giacimenti di carbone, di olio
minerale e di certi solfuri metallici. Necessariamente questo metodo si adopera
quando si fa una trivellazione.
e) Metodi radioattivi: la radioattività si misura mediante l'elettroscopio e la camera
di ionizzazione, e la ricerca si fonda sopra l'aumento della radioattività in vicinanza
delle fratture, mineralizzate o non, oppure serve a rivelare l'approssimarsi di
orizzonti di argilla o anche di olio durante le trivellazioni.
Determinazione e misura delle reazioni offerte dal terreno quando in esso si generano
dei campi di forze artificiali mediante onde elastiche, correnti o campi elettrici e onde
herziane.
a) Il metodo di trasmissione di onde sonore: applicazioni più vaste sono possibili col
metodo sismico. Le onde si provocano mediante esplosioni controllate, e la velocità
di trasmissione è misurata con le registrazioni di sismografi opportunamente
distribuiti (geofoni). La velocità di propagazione dell'onda aumenta con la densità del
mezzo, e il passaggio da un mezzo all'altro, di densità diversa, dà luogo a riflessione
e rifrazione. Raccogliendo i dati lungo una linea retta, corrispondenti alle diverse
posizioni del punto di esplosione e del sismografo, e riunendoli, si tracciano delle
259
curve che si dicono cromocroniche, le quali poi vengono interpretate. Con questo
mezzo si rivelano le discordanze, le cupole saline, la morfologia superficiale di
formazioni antiche sommerse sotto le più recenti o subtopografia, ecc.
b) Correnti elettriche che si fanno circolare nel suolo. Con tale metodo si può
esplorare:
‐ 1. la resistività, o la conduttività degli strati successivamente incontrati dalla
corrente mediante galvanometri, potenziometri ed elettrodi impolarizzabili per la
presa a terra del secondario. Serve a stabilire l'eventuale connessione fra punti
mineralizzati già conosciuti, discordanza e subtopografia, stimando lo spessore delle
formazioni superficiali, così da poter essere qualche volta chiamato uno scandaglio
o sondaggio elettrico in senso verticale. Il metodo si applica anche per il cosiddetto
carotaggio elettrico, per riconoscere cioè certi caratteri degli strati successivamente
attraversati da una perforazione, dando elementi per giudicarne la porosità, i fanghi,
la presenza di rocce impermeabili (letti di argilla, ecc.) la pendenza degli strati e
anche la temperatura.
‐ 2. La reazione di fronte a campi elettrici, tracciando sul terreno invece che
investigare la resistività, le linee equipotenziali e le anomalie che esse mettono in
evidenza. Si può procedere con correnti elettriche continue, introdotte nel terreno
con aste metalliche acuminate. Mediante picchetti si ottengonco circuiti secondari,
dai quali col potenziometro si ottengono i dati necessari a tracciare le linee
equipotenziali. Con correnti alternate vari sono i modi di procedere: il campo
primario è ottenuto impiantando nel terreno elettrodi a punta oppure lineari; il
secondario è ottenuto con gli stessi mezzi con picchetti. Così si tracciano le linee
equipotenziali e i profili equipotenziali, allo stesso modo che con le correnti continue.
Oppure il secondario è ottenuto con spirale indotta e telefoni, e si determinano così
la direzione, l'intensità e lo spostamento di fase del campo magnetico secondario. La
spirale è orizzontale al segnale minimo; nel centro del mezzo conduttore si ha il
massimo di intensità orizzontale mentre si annulla quella verticale. Il campo primario
è ottenuto per induzione mediante un circuito a spirale isolato, che può essere anche
un canapo isolato; il secondario con spirale o rocchetto indotto e telefono. Si
determinano la direzione, la intensità e lo spostamento di fase del campo
elettromagnetico secondario. In questo caso l'intensità orizzontale è massima sopra
le creste topografiche sotterranee; la verticale minima sopra il centro del suolo
conduttore. Questi metodi elettrici sono usati frequentemente per la ricerca dei
minerali metallici e per indagini di strutture tettoniche.
c) Onde hertziane: Per queste si applicano i metodi di assorbimento, interferenza e
capacità. I mezzi sono gli ordinari stazione trasmittente e ricevente, e si osservano
gli effetti sul modo e sull'intensità di ricezione col variare della lunghezza d'onda; si
260
notano le variazioni di frequenza e lo smorzamento. Se il suolo è molto conduttore
fra la stazione trasmittente e la ricevente, la trasmissione non si verifica. In altri casi
si hanno interferenze fra l'onda secondaria riflessa e la primaria. Il metodo ha
applicazioni molto limitate. In generale nelle esplorazioni geofisiche si applicano, nei
casi importanti, parecchi metodi diversi, l'uno dopo l'altro, non solo per controllo
reciproco, ma anche per riconoscere la presenza di cause perturbanti proprie di
ciascuno dei metodi, che possano avere influito sui risultati delle operazioni.
Indagini con l’ausilio di fogli di calcolo
Il metro di misura tipico del prospettore amatoriale di oro è il secchio da muratore
con capienza 11 litri, ma il secchio da imbianchino tiene fino a 18 litri e spesso molti
non ci fanno caso ma parlano sempre di quanti secchi di materiale lavano al giorno
ma non del volume correlato. Il consiglio è di avere un foglio di calcolo Excell dove
inserire il numero dei secchi setacciati e lavati, il peso dell’oro raccolto e
approssimativamente le ore di lavoro, rispetto il volume del secchio utilizzato.
Questo è facile da ricavare riempendolo di acqua e contando il volume utilizzato
rispetto la caraffa. Grazie a tale raccolta di dati è possibile nel tempo valutare il
tenore del sedimento processato e le risorse imprese a tal fine.
Le formule che si possono impostare nelle celle restituiscono tre valori:
1‐ quanto oro c’è per ogni secchio (tenore medio per secchio);
2‐ quanti secchi occorrono per avere un grammo (cubatura di sedimento per
ottenere un grammo di oro);
3‐ quanti grammi d’oro potrebbero esserci in un metro cubo di quella sabbia
setacciata. Questo è un valore molto indicativo (tenore a metro cubo).
Come si denota l’obiettivo è capire come varia il tenore rispetto la quantità di volume
processata arealmente e con la profondità se possibile. Variando la località dei
campionamenti è possibile nel tempo ricostruire una specie di cartografia tematica
basata su tali valori. Il secchio colmo di sedimento setacciato non riflette
completamente il valore del volume totale, in quanto tra i vari elementi terrigeni vi
è dello spazio libero (porosità). Ne consegue che la quantità di secchi prodotta è
molto diversa sulla base della griglia di setacciamento utilizzata. Vi dovrebbe essere
un fattore di correzione, tanto maggiore quanto le rocce che vengono scartate sono
maggiori. Sul foglio di Excell vengono riportati dopo ogni uscita: data, luogo, tipo di
attrezzature usate, raccolto, quantità di materiale lavorato e ore impiegate, qualche
breve annotazione, 8‐10 dati, un paio di minuti non di più. Questo permette,
riunendo i dati dei vari anni su un unico foglio di Excell di riordinarli secondo
necessità per sapere per ogni luogo il numero delle uscite fatte, gli attrezzi usati, il
raccolto e le concentrazioni, tutti dati che spesso si rivelano interessanti ed utili. È
261
inoltre utile per conservare nell’arco degli anni di ricerca i dati ottenuti per poi
nell’evenienza redarre una pubblicazione o più a riguardo.
Alcuni dati forniti da Giuseppe Rizzi relativi al Ticino
Alla Chimica con la piena di novembre 2000 per ricavare 1 grammo la media era di
10,5 secchi di sabbia ma nel cuore della punta (core) ne bastavano 5. Al Porto di
Loreto (pianta secca) con la piena di dicembre 2002 per ricavare 1 grammo la media
era di 11,6 secchi ma nel cuore della punta ne bastavano 7,6. Per fare un esempio
alla straordinaria punta scoperta da Giuseppe Carenzo e Franco Ruggeri in una
discesa del Ticino nel 2005 dalle parti di Abbiategrasso (parte media del Ticino) per
ricavare 1 grammo la media era di 6 secchi ma nel cuore della punta ne bastavano
2,9. Su quella punta è accaduto il suo record di raccolta giornaliera di grammi 9,05.
Se si facesse una media dei raccolti fatti quest’anno in questi posti, verrebbe che per
1 grammo si ha lavorato mediamente 20 secchi. Esempio del foglio excell e della sua
disposizione:
N.153 Possibile esempio di prospezione aurifera con analisi dati virtuale, ottenuta creando una banca dati ad hoc su
fogli di calcolo Excell (Schema di G. Rizzi).
È interessante notare come ai neofiti cercatori d’oro questi dati spesso non vengono
comunicati oppure non vengono ragionati a dovere. La valutazione delle risorse
(denaro, tempo, fatica, salute) dovrebbe essere appropriata per svolgere i
processamenti con profitto. Il ritrovamento di una decina di pagliuzze a giornata può
avere un valore hobbistico, collezionistico ma difficilmente economicamente valido.
Dal punto di vista scientifico può essere sensato lo studio anche di rii o corsi d’acqua
con tipologie di oro particolari ma difficilmente porterà profitto a breve termine.
262
Prospezione di gemme e pietre preziose
Il ritrovamento di gemme o pietre preziose non deve essere sottovalutato e il
prospettore dovrebbe sempre garantire un controllo accurato dei sedimenti che
scarta nella fase di classificazione (setacciatura), specialmente ad eventuali gemme
incluse in massi di grandi dimensioni oppure in granulometrie minori. Inoltre, una
panoramica delle litologie dei sedimenti classificati aiuta nella comprensione della
località sulla quale si sta eseguendo la prospezione. In questo caso, un background
in geologia è molto comodo e necessario, e nel caso mancasse, basterebbe
possedere un paio di manuali di riconoscimento rocce e minerali da consultare. Le
gemme o pietre preziose che si ritrovano all’interno di placer alluvionali tendono ad
essere minerali con elevata durezza, quindi anche se fragili o meno, difficilmente
vengono rigati, anzi essendo duri resistono bene all’abrasione in ambiente
alluvionale. Il cambiamento nella morfologia tipica avviene smorzando gli angoli,
quindi di solito si potranno osservare morfologie arrotondate. Il peso specifico, a
volte elevato, aiuta alla concentrazione in ambienti in cui è presente anche l’oro, nel
caso in cui le gemme posseggano una densità elevata. Un utile consiglio è quello di
acquisire un metodo che tenga conto sempre della possibile presenza di pietre
preziose. Un metodo che viene consigliato è il seguente: utilizzare una serie di reti
per la classificazione. Nel mio caso sono due reti, la superiore e la inferiore con uno
spazio tra le due variabile a seconda della maglia delle reti oppure il rateo di
classificazione. La rete superiore possiede una maglia maggiore rispetto quella
inferiore. L’idea è utilizzare queste due griglie parallele tra loro ed entrambe inclinate
per la classificazione dei sedimneti. Si usufruisce la forza di gravità ed il rotolamento
delle particelle per suddivedere secondo taglie granulometriche, il materiale
setacciato a secco (consigliabile che sia secco il materiale per quanto possibile). Il
primo deposito di scarto è risultante dalla prima rete di classificazione con diametro
maggiore, il secondo viene raggruppato nella trappola posizionata tra le due reti e
l’ultimo passa attraverso il sistema e lo si utilizza per il lavaggio. Alla fine del processo
si avranno due depositi di scarti grossolani che dovrebbero venire lavati e stesi su un
lenzuolo bianco in modo da identificarne al meglio i cromatismi, mentre il sedimento
risultante dal setacciamento potrebbe contenere oro e come tale viene trattato con
altri processi successivamente. La frazione ghiaiosa viene stesa su un telo (meglio se
chiaro) in cerca di pietre preziose o con colorazioni differenti dalla media o molto
forti. Lo stendimento su un panno permette di allargare per quanto possibile il
sedimento ghiaioso ed ottenere una visione più ampia possibile nel minimo tempo.
Nel caso di un setacciamento a secco con presenza di umidità, essa tanto risulti
maggiore tanto inibirà la corretta classificazione per rotolamento gravimetrico e
creerà problemi come ad esempio la perdita di frazioni aurifere fini‐ultrafini
(rimangono attaccate ai ciottoli piuttosto che separarsi). Le stesse gemme, se
263
osservate invece ad umido, risulteranno più riconoscibili; il consiglio è quindi che i
prodotti osservati e classificati siano poi lavati e quindi scartati. Nel caso nel lavaggio
sorgessero minerali a frazione fine‐sabbiosa interessanti è un campanello di allarme
a fornire maggior attenzione alla cernita ghiaiosa. Alcune gemme e pietre preziose
sono pesanti e quindi una concentrazione gravitativa potrebbe aiutare nel
processamento, anche attraverso il moto a scosse ripetute in secchio a secco o
saturo in acqua. Un carattere importante è l’utilizzo di lampade a luce ultravioletta,
alla quale alcuni minerali di valore sono sensibili e lasciando anche dopo la rimozione
della illuminazione diretta un leggero alone di un colore caratteristico. Nel caso non
si volesse perdere troppo tempo sul campo si potrebbe scartare la frazione generica
della trappola ed eseguire la cernita a casa su una tavola, approntata con lo stesso
stile per allargare il materiale il più possibile. In questo caso l’obiettivo è di cercare
rocce e minerali con queste caratteristiche:
‐ colore forte o particolare o caratteristico;
‐ poco o nulla rigati, arrotondati alle volte;
‐ angoli arrotondati ma poco appiattiati come abito;
Alcune gemme o minerali rari ritrovabili possono essere i seguenti:
‐ corindone: rubino ‐ zaffiro;
‐ diamanti o microdiamanti;
‐ smeraldi;
‐ topazi;
‐ quarzi particolari;
‐ rutili;
‐ zirconi;
‐ etc.
La qualità delle gemme e pietre preziose acquisite potrebbe permettere utilizzo
parziale o totale nella gioielleria, aggiungendo quindi valore al ritrovamento. In altri
casi è importante la segnalazione di tali minerali in un contesto di placer in quanto
indica la presenza di una fonte attuale o passata dal bacino di appartenenza. È anche
da sottolineare che minerali quali: platino, ilmenite, minerali radioattivi, minerali con
terre rare, magnetite, granato, etc. potrebbero essere economicamente estraibili
come prodotti primari o sottoprodotti.
264
N.154 Qualche esempio di possibili varietà di pietre preziose ritrovabili durante la prospezione aurifera, oltre all’oro
(foto di B. Paolo e C. Migliore).
265
capire arealmente come varia la concentrazione dell’oro e dei minerali pesanti
associati. Quindi, risulterà più performante ed economicamente valida
l’impostazione del successivo scavo.
N.155 La prospezione a spot risulta di notevole importanza per condurre con intelligenza una rete di test o assaggi.
Ne risulta come prodotto la genesi di una carta illustrativa o mentale in cui è possibile ritrovare le porzioni a più alta
concentrazione aurifera (core auriferi).
Legenda:
‐ forma triangolare in pianta (punta aurifera senso lato);
‐ Pallini gialli: scavi puntuali con tenore minore;
‐ Pallini blu: scavi puntuali con tenore maggiore;
‐ Ellisse blu: interpolando i pallini blu si ottiene il core aurifero risultante, il quale sarà oggetto di
coltivazione durante la fase successiva.
266
N.156 Lo scavo circolare è un’evoluzione dell’assaggio a spot o puntuale, nel quale è possibile e conveniente
espandere il volume di sedimenti auriferi indagati rispetto ad un fulcro centrale, sede del primo test. Si noti che gli
assaggi dovrebbero essere eseguiti con un metodo standard, un volume prelevato standard ed una maglia di
classificazione standard. Ciò è importante per la rappresentatività dei dati ottenuti.
N.157 Lo scavo circolare è utile per visualizzare rispetto le due dimensioni la direzione preferenziale del percorso
dell’oro. È anche possibile scendere in profondità per osservare la presenza di livelli multipli auriferi o la presenza di
un bedrock e ricavarne quindi la profondità tipica. È consigliato lo sfruttamento dei sedimenti superficiali, in quanto
facilmente accessibili. Il ripristino avviene sin‐prospezione, gli scarti del setacciamento e i clasti di maggiori
dimensioni vengono posti al centro dello scavo e poi livellati.
267
Il ruolo della fase di prospezione preliminare è quello di ottenere informazioni su:
‐ Quantità di oro per unità di volume (tenore);
‐ Posizione fisica preferenziale dell’oro (segue una direzione? È lungo un
particolare livello? Quanto è profondo l’oro? Vi è evidenza di un bedrock?);
‐ Minerali pesanti associati all’oro e quantità relativa per unità di volume
(tenore);
‐ Misura della maglia del setaccio più conveniente (minor volume di
sedimento da processare migliora notevolmente la recovery complessiva);
‐ Margini della futura coltivazione e tipologia più conveniente (conservativa /
non conservativa; scavo circolare / rettangolare, etc.);
‐ Possibile cubatura della futura coltivazione (quanto sedimento bisognerà
vagliare?);
‐ Attrezzature più adatte e performanti alla futura coltivazione, possibilità
dell’utilizzo della canaletta.
‐ Generale logistica per la futura coltivazione (parcheggio, strada di accesso o
sentiero, possibilità di ripararsi dal Sole o meno, distanza dal fiume,
costruzione di sentieri ad hoc, etc.).
La teoria del buco
Giuseppe Rizzi espone una interessante teoria che l’autore condivide, chiamata “la
teoria del buco”. Subito dopo le piene, molti cercatori si muovono sulle sponde dei
fiumi alla ricerca di località arricchite in oro ed eseguono la fase di prospezione
preliminare, la quale cosiste tipicamente in piccoli “assaggi” in tutte le zone che, ad
una prima impressione, promettono bene. Capita di arrivare in località dove la teoria
e gli indizi fanno ipotizzare la presenza di deposito d’oro, ad esempio: massi e rocce
tendenzialmente scure, tracce di magnetite o granato a valle di alcuni massi e si può
anche osservare, in alcune situazioni, che qualche cercatore ha già eseguito delle
campionature, una piccola buca, una batea di materiale, non di più.
268
N.158 Esempio grafico dell’evoluzione della teoria del buco: si noti che tale modus operandi è tipico dello scavo
circolare condotto da differenti cercatori nel tempo. Si genera uno scavo disordinato e talvolta risulta difficile
discernerne poi informazioni utili alla propria prospezione. Le piene successive tendono a colmare di sedimenti i buchi
e trincee e livellare eventuali pile di scarti di setacciato anche quando composti da ciottoli. Quindi, i lavori passati
tendenzialmente non sono più visibili direttamente come depressioni in quanto colmati dall’ultima piena importante.
Tuttavia, dal momento che in tale località non vi è stato un arricchimento in minerali pesanti, il successivo
processamento di tali porzioni già sfruttate sarà infruttuoso.
Località sede di arricchimenti passati sono costellate da vecchi siti sfruttati, al momento colmati dalle recenti piene,
i quali a seguito del nostro interesse e lavoro daranno risultati molto scarsi. È necessaria una piena eccezionale per
ripristinare completamente questa situazione ad una più teorica illustrata nel capitolo precedente.
Normalmente se l’assaggio non risulta soddisfacente non si perde tempo e si
procede nella ricerca, invece se il test risultasse promettente ma non si ha il tempo
né di iniziare una coltivazione, si cercherebbe di richiudere la buca e di mascherare
l’assaggio. Si potrebbe vedere una piccola buca aperta, in una zona che appare
promettente, e si potrebbe pensare “forse non l’hanno chiusa apposta perché si
credesse che non c’è niente, faccio anche io un assaggio”. Cercatore dopo cercatore,
le dimensioni della prima piccola buca aumentano in modo esponenziale: da buca a
trincea, da trincea a cava. Dopo qualche settimana, l’ultimo arrivato, all’ennesimo
piatto a vuoto, penserà “peccato essere arrivato tardi, chissà quanto oro è stato
raccolto, hanno proprio ripulito tutto”. Il prospettore, oltre che tener conto del
possibile intervento antropico di altri prospettori che lo hanno preceduto dovrebbe
anche tenere in considerazione l’azione delle acque superficiali o precipitazioni. Le
piogge battenti o prolungate possono svolgere un ruolo concentrante sulle taglie
medie‐fini (sabbioso‐limose, argillose). Queste vengono dilavate dalla superficie e si
269
concentrano specialmente tra i ciottoli o il ciottolame. L’evidenza morfologica è la
seguente:
‐ Deposito superficiale principalmente composto da ciottoli puliti e a contatto
tra loro.
‐ Una volta rimossi tali ciottoli si nota una concentrazione naturale di
sedimenti ghiaiosi‐sabbiosi, ricchi in oro.
‐
N.159 Il fenomeno del dilavamento superficiale ad opera della pioggia battente piene oppure delle piene, permette
la concentrazione delle taglie fini e dell’oro tra i ciottoli e concentra sulla superficie le taglie grossolane (ciottoli,
massi). Tale fenomeno è molto evidente lungo le scarpate di terrazzo fluviale con assenza di vegetazione.
Una aspetto invece positivo della prospezione in siti già sfruttati oppure in località
con trincee o costellate da buchi è la visione complessiva della presenza e della
profondità dei livelli auriferi. Tipicamente ogni 30‐50 cm è presente almeno un livello
aurifero, composto tipicamente da ghiaie aurifere poste tra ciottoli o massi di
dimensione media maggiore rispetto le circostanti. È da notare come tipicamente
queste porzioni coincidono con il locale fondo canale e pertanto sulla base del taglio
che si sta osservando è possibile vederne la disposizione spaziale del livello aurifero
oppure la propria concavità verso l’alto. Un test indirizzato a tali livelli auriferi
potrebbe fornire dati notevoli per la successiva coltivazione. Anche se il livello
ghiaioso aurifero più superficiale risulta quello più facilmente raggiungibile,
processabile e lavorabile su estensioni importanti, potrebbero essere più ricchi i
livelli profondi, i quali però a fronte della quantità maggiore in oro richiedono
maggior tempo e risorse per essere raggiunti.
La classificazione dei sedimenti e la scelta del metodo di lavaggio
Il piatto non è uno strumento perfetto, ciò vuol dire che moltissimo fa l’esperienza
del prospettore. La trattenuta dell’oro (recovery) anche se vicina al 100% può avere
brusche ricadute in caso di errori marcati nel lavaggio del sedimento. Alcuni fattori
possono concorrere insieme alla perdita di oro durante il processamento, ad
esempio il sedimento aurifero scelto dovrebbe essere classificato prima del lavaggio,
270
con lo scarto delle frazioni maggiori delle ghiaie (6 mm di diametro). Il sedimento di
dimensioni maggiori prima di essere scartato dovrebbe essere lavato accuratamente
in modo da rimuovere tutte le particelle aurifere rimaste attaccate o nascoste in
possibili fessure, fratture e bordi. Questo processo aiuta a recuperare frazioni di oro
fine ed ultrafine, le quali tendono ad essere attaccate ai ciottoli a causa della
tensione superficiale oppure semplicemente incrostate o incastrate
meccanicamente. Il setaccio persegue in diverse misure lo stesso obiettivo e
moltissimi altri strumenti amatoriali sono molto versatili su questo fronte. L’obiettivo
rimane sempre il medesimo: classificare la maggior quantità possibile di sedimento
(massima cubatura), con la minor fatica e tempo (minimo dispendio di risorse) e
senza perdere oro (massima recovery). Per questo motivo la maglia del setaccio
dovrebbe risultare con uno spazio di passaggio circa tre volte la taglia massima
dell’oro ritrovato, dato che si ricava durante i primi test sul campo. Tale approccio è
conservativo in quanto è possibile talvolta anche un approccio più marcato come ad
esempio utilizzare uno spazio di passaggio di 1.5‐2 volte la taglia massiva dell’oro
ritrovato. È importante sottolineare però come tale approccio risulti sconveniente
nella prima fase di prospezione, dove è fondamentale capire quale risulti essere la
dimensione media e massima dell’oro ritrovato. È inoltre vero che utilizzare un
approccio non conservativo porti inevitabilmente alla perdita delle favolose scaglie
d’oro (fino ad 1 cm di dimensione e sottili) oppure di piccole pepite. Si evince quindi
che la scelta della maglia adatta al setacciamento sia un fattore critico.
La setacciatura a secco e ad umido
Due metodi principali si evidenziano per eseguire una corretta classificazione del
sedimento aurifero:
1‐ Griglia obliqua (setacciamento per caduta; a secco tipicamente ma anche ad
umido in impianti di lavaggio o highbanker): il sedimento secco viene posto nella
parte superiore della griglia e lasciato scivolare per gravità sulla griglia stessa
inclinata. Le frazioni terrigene con dimensione minore della maglia della griglia
cadono, raccogliendosi alla base, dove saranno raccolte in un contenitore posto
precedentemente. In questa maniera il lavoro può proseguire spostando pochi
strumenti e senza perdere tempo e fatica nel generare scossoni per setacciare il
materiale. Tale metodo porta alla perdita di oro fine ed ultrafine per il mancato
lavaggio della frazione grossolana. È da considerare però la mole di sedimento
classificato, la quale risulta maggiore tipicamente, dal punto di vista amatoriale, del
metodo sottostante
2‐ Setacciamento umido (setacciamento per vibrazione; tipicamente utilizzato negli
shaker in impianti di lavaggio o nel panning): questo metodo riassume una vasta
raccolta di piccole invenzioni amatoriali dei cercatori d’oro. Alcuni utilizzano cassoni
271
al cui interno è posto un setaccio e acqua fino a circa 3/4 del volume. Il sedimento è
posto nel setaccio e viene lavato; la frazione terrigena maggiore della maglia della
rete del setaccio viene scartata. Il resto verrà trasportato al lavaggio finale. Si noti
che nel caso di elevati stress al materiale (scossoni) le particelle pesanti potrebbero
concentrarsi verso il fondo del cassone e bisognerà porre attenzione a pulire bene il
fondo durante il lavaggio. Il setacciamento ad umido risulta quello con la recovery
migliore dell’oro fine ed ultrafine.
N.160 Due esempi di setacciatura: la prima ad umido e la seconda a secco. Tra le due la migliore risulta quella ad
umido ma richiede un maggior sforzo e talvolta quella a secco risulta più comodo e veloce.
Quale fluido risulta il migliore nel processamento gravitativo (acqua, aria)
La classificazione risulta più performante attraverso l’utilizzo di acqua pulita rispetto
acqua sporca rispetto l’aria (dry washing). La scelta del fluido con cui eseguire la
divisione gravimetrica è importante in quanto può variare anche di molto le
percentuali di ritrovamento (recovery), oltre che aiutare a ritrovare eventuali pietre
preziose. In alcuni ambienti non è possibile, per cause climatiche, la scelta di
utilizzare acqua (canali, fiumi) o ferma (laghi naturali ed artificiali). Il clima si presenta
arido, con assenza generale e prolungata dell’acqua, e la sua evaporazione può
risultare rapida; è inoltre sconveniente costruire una riserva locale tramite bacini
multipli di sedimentazione (processamento industriale). Potrebbe risultare essere
possibile il trasporto di limitate riserve idriche attraverso bidoni per l’utilizzo locale
al lavaggio a piatto sul posto (questo anche attuabile in test su terrazzi lontani dal
fiume). Quindi diviene obbligatoria la scelta di una tipologia di classificazione rispetto
ad un’altra e il processamento gravitativo per mezzi senza uso di acqua e quindi ad
272
aria (dry emplants). L’utilizzo per il prospettore a piccola scala di questi mezzi si
riassume nell’uso di attrezzatura particolare e avanzata quale i dry washers. Senza
dilungarsi troppo in questo capitolo sulle tecniche a secco, bisogna ragionare su
alcuni fattori per il buon risultato. Le tecniche a secco tendono ad avere una buona
recovery per oro grossolano e non per il fine o ultrafine. Il livello di umidità del
materiale è di fondamentale importanza: maggiore è l’umidità e più si avranno
problemi di processamento e di recovery in impianti a secco. L’utilizzo di una serie di
griglie a diversa dimensione può essere utilie a separare lo sterile dal sedimento
aurifero. L’utilizzo di reti intermedie che accumulano in cumuli separati alcune taglie
permette una prospezione delle gemme.
L’impostazione di uno scavo – Produzione
Una volta terminata la prospezione preliminare si passa alla produzione, infatti, la
maggioranza dell’oro estratto deriva dalla fase di produzione. Talvolta, la fase di
prospezione preliminare si attesta come quantità di tempo impiegato attorno al 10%
rispetto a quello produzione. Non vi è un tempo indicativo per la fase di prospezione
preliminare, di solito più informazioni si riesce a ricavare e minori saranno gli
inconvenienti durante la fase di produzione. Nella fase di produzione, per prima cosa,
bisogna decidere un modus operandi e l’estensione dello scavo. Si ragiona se
conviene eseguire uno scavo circolare piuttosto che rettangolare o sinuoso, se
impostare una coltivazione di tipo conservativo o non conservativo. È utile
sottolineare ancora una volta la differenza tra questi termini:
‐ Area di scavo: si intende l’estensione della trincea o cava che si vuole
arrivare a coprire proseguendo la coltivazione; si noti che può variare
durante la produzione.
‐ Testimoni di uno scavo: sono i limiti fisici che si impongono alla trincea, cava,
scavo durante l’apertura; possono cambiare durante il procedere della
coltivazione; Sono paletti o torri di ciottoli;
‐ Scavo a spot o assaggio: Tipico scavo puntuale, composto da un minimo
volume standard: un secchio, una batea, etc. La sommatoria dei dati ottenuti
da diversi assaggi permette un miglior approccio all’impostazione di una
coltivazione adeguata;
‐ Scavo circolare: Evoluzione dello scavo ad assaggio (test spot), è utile per
ottenere maggiori dati nella fase di riconoscimento del core e delle sue
proprietà fisiche ed estensione areale;
‐ Scavo rettangolare o in direzione: tipologia di coltivazione in cui i testimoni
delimitano una forma tipicamente rettangolare. Il fronte di coltivazione
procede risalendo il core oppure partendo dalla porzione più produttiva
verso quelle subproduttive;
273
‐ Scavo conservativo: tipologia di coltivazione in cui i testimoni comprendono
totalmente il “core” e una minima porzione considerata sub‐produttiva al
limite del core. In questa ottica è possibile la coltivazione totale del core
aurifero;
‐ Scavo non conservativo: tipologia di conservazione in cui si coltiva
solamente la direzione o porzione all’interno del “core” aurifero ritenuta più
remunerativa. Lo scavo non conservativo può essere antecedente
all’impostazione di uno conservativo;
‐ Ripristino sincoltivazione: il ripristino avviene durante la coltivazione, cioè i
massi rimossi vengono posti nella porzione già processata e depressa in
maniera ordinata, gli scarti della fase di setacciatura vengono posti a livellare
oppure nel costituire sentieri verso la canaletta;
‐ Ripristino postcoltivazione: il ripristino della coltivazione e livellamento è
obbligatorio in quasi tutte le regioni italiane. Esso è possibile sia
postcoltivazione, cioè quando i lavori sono terminati sia durante gli stessi
(ripristino sincoltivazione).
Alcune considerazioni:
274
produzione risulta fondamentale per il processamento corretto e senza intoppi. È
altresì vero che i problemi sorgeranno ugualmente ma potranno essere affrontati
con un approccio migliore e quindi risolti facilmente e semplicemente.
Tappeto del minatore: tra storia e natura
Le asperità del letto roccioso di un fiume, piuttosto che di un torrente, creano
localmente un forte attrito rispetto all’acqua in movimento soprastante ed il
sedimento che viene trasportato come carico di fondo. L’attrito influenza localmente
la velocità dell’acqua, in quanto si sottraggono due vettori velocità: il primo quello
coerente con la direzione e velocità dell’acqua corrente ed il secondo con verso
opposto, quello relativo al vortice generato a causa dell’attrito. Il risultato è una
locale diminuzione di velocità ed energia. L’oro trasportato dal corso d’acqua in tale
condizione trova un ottimo punto di deposizione e vi si deposita naturalmente e vi si
concentra. È conveniente parlare di rugosità del letto fluviale. Una maggior rugosità
tende ad offrire trappole performanti e durature nel tempo per la deposizione,
concentrazione e conservazione dell’oro. Durante eventi di piena importanti, le
trappole tendono a venire rielaborate, svuotate, erose, coperte da altri sedimenti
oppure conservate. L’oro si deposita preferenzialmente lungo questi orizzonti locali.
In alcuni casi, piene importanti ed intense possono rielaborare queste porzioni
arricchite, liberando una quantità di oro ragguardevole, altrimenti intrappolata. Sulla
base della tipologia di letto fluviale si possono ritrovare alcune trappole rispetto ad
altre:
‐ bedrock/substrato roccioso: presente spesso in un ambiente vallivo o lungo torrenti
e non sempre affiorante. Durante le piene, il corso d’acqua approfondisce il suo
percorso sia nei sedimenti fluviali stessi che a spese del letto roccioso sottostante.
L’oro naturalmente si concentra nella prima porzione superficiale del bedrock,
oppure lungo fessure o gole, come le marmitte dei giganti. I sedimenti alluvionali
posizionati a ridosso del bedrock roccioso sono importanti per il tenore in oro
elevato. Nel substrato roccioso non si ritrovano altre trappole preferenziali. Il
processamento prima del sedimento sovrastante il bedrock roccioso (30‐40 cm),
della regolite e dello spazio tra i clasti, delle fessure nel substrato sono gli ultimi stadi
possibile di una coltivazione industriale in quanto a coltivazione di placer auriferi.
‐ bedrock/substrato argilloso (clay bedrock): ad esempio presente in pianura in
Piemonte, a causa della conformità delle differenti unità geologiche del passato
(Villafranchiano), affiora se il corso d’acqua ha approfondito la sua sede lungo il
percorso fino ad arrivare ad erodere parzialmente la porzione superiore argillosa. In
modo simile al caso precedente, l’oro non riesce a infiltrarsi attraverso le argille se
non nella parte superficiale (locali depressioni) o lungo fessure sempre pozionate
275
nelle porzioni superiori. Di nuovo, i primi 30‐40 cm superiori al substrato argilloso
tengono a risultare arricchiti in oro.
‐ fondo di canale lievemente cementato (orizzonte indurito): alcuni fluidi percolanti
possono cementare il sedimento dove essi stessi circolano e quindi diminuire gli spazi
liberi tra i granuli e ciottoli. Il risultato è un sedimento molto duro e compatto, il
quale a fronte di erosione durante un episodio di piena potrebbe rispondere in modo
resistente ed arricchirsi nella porzione superficiale dal punto di vista aurifero. L’oro
di nuovo non riesce ad infiltrarsi attraverso questo materiale e vi concentra tra i
ciottoli più superficiali, i quali costituiscono un letto roccioso naturale. Si noti che
talvolta questi orizzonti induriti sono presenti a tetto di unità impermeabili, le quali
permettono un locale serbatoio idrico e presenza dell’acqua anche per lunghi periodi
temporali. È inoltre importante ricordare come la presenza di un sottostante
substrato roccioso o argilloso siano ulteriori fattori di produzione di livelli induriti al
tetto.
‐ fondo di canale tipico: si tratta delle porzioni più depresse lungo un alveo. Nel tempo
si formano le stratificazioni incrociate concave, nelle quali è possibile osservare in uno
spaccato la successione nello spazio dei fondi canali generati nel tempo. Nelle
porzioni più grossolane, le quali coincidono a quelle con la granulometria media
maggiore, vi è la presenza della maggioranza dell’oro grossolano.
‐ barra di meandro: come illustrato nel capitolo precedente vi possono essere locali
arricchimenti dovuti alla migrazione del meandro durante le differenti piene.
276
.
N. 161 I ciottoli embricati possono essere paragonati ai riccioli di un miner moss, il quale attraverso la sua rugosità
intrinseca tende a catturare l’oro che viaggia al di sopra e concentrarlo. Nella stessa maniera, l’oro alluvionale è
ritrovabile nei primi 30‐40 centimetri (alluvione recente) tra i clasti embricati (foto di G. Rizzi).
Estrazione dell’oro ‐ produzione
La procedura è semplice: si scava, setaccia e lava tutto il sedimento sovrastante sino
ad arrivare ad osservare con gli strumenti di scavo la maggior durezza o diversità
composizionale del substrato. Si prosegue il lavoro allargando il buco per creare uno
spazio che permetta libertà di movimento e quindi si inizia con la spazzola a pulire
molto meticolosamente il fondo dello scavo. Si utilizzano strumenti con le setole
rigide, ricercando il materiale nelle fessure, se presenti, negli avvallamenti che
stanno tra un ciottolo e l’altro o, se il fondo è argilloso, lo si raschia per raccogliere
quanto più sedimento possibile. La pulizia deve essere accurata perché le migliori
“trappole” per le scagliette d’oro trascinate dalla corrente durante le piene sono
proprio gli avvallamenti più profondi o più stretti. Anche se scomodi da ripulire, sono
porzioni con alta probabilità di ottimi ritrovamenti.
277
N.162 Una pulizia consona e rigorosa aiuta il ritrovamento della maggior percentuale di oro accessibile. Tipicamente
la pulizia del bedrock locale in condizioni secche è la migliore per ottenere ottimi risultati (foto di G. Rizzi). La pulitura
completa delle fessure presenti nel bedrock roccioso tuttavia dovrebbe essere eseguita previa lavatura con acqua
pulita delle stesse e successiva rimozione dell’acqua introdotta. Solo a questo punto sarà possibile rimuovere
completamente ogni traccia d’oro rimasta. Si noti che l’oro presente dopo tale procedura tenderà a ritrovarsi nelle
porzioni più depresse, e di solito più scomode, della fessura (foto di G. Rizzi).
Cenni sulla strumentazione di scavo e pulizia
A seconda della tipologia di substrato o sedimento in fase di estrazione, si utilizzano
spazzole o scope di diversa misura e forma ma che, come caratteristica comune,
devono avere setole resistenti e abbastanza rigide perché non solo devono
smuovere e riunire la ghiaia e la sabbia ma spesso devono farsi strada e ripulire anche
nei più stretti e/o profondi nascondigli. Per raccogliere la sabbia spinta dalla spazzola
si usano attrezzi diversi che si devono necessariamente adattare al fondo dove si sta
lavorando e alla quantità di materiale che se ne ricava. Devono avere due
caratteristiche: la facilità d’uso e la capacità di contenere. Nel contesto di substrato
roccioso sono molteplici gli strumenti necessari alla completa apertura e pulizia delle
fessure. Inestimabile è il palanchino, il quale permette più o meno agevolmente lo
spostamento di blocchi o massi anche di grandi dimensioni e l’apertura delle fessure.
Sessole di piccole dimensioni, cucchiai o cucchiaini permettono il raschiamento del
sedimento rimasto incastrato in ogni anfratto libero. Gli scopini aiutano nella pulizia
a secco o ad umido della fessura. Spesso è conveniente l’utilizzo di strumenti sottili
e lunghi, atti a raschiare e rimuovere sedimento posto in profondità (scovolini). La
ricerca di oro dal substrato roccioso esposto è tipicamente differente rispetto alla
controparte in pianura. Comporta maggiori rischi, pericoli, giornate infruttuose ma
anche maggiori soddisfazioni dal momento che si ritrovi una località vergine o
278
intoccata e con la presenza di pepite incastrate nelle fessure. Tipicamente si
processano dai 3 ai 7 secchi giornalieri; la canaletta quasi risulta superflua in tale
contesto ma dipende da caso a caso.
Approfondimenti sulla produzione (coltivazione) e sul ripristino
Nell’avanzamento della coltivazione si sistemano i sassi più grossi sui due lati
(testimoni) e si procede a riempire con lo scarto del setaccio la zona che si è già
ripulita a fondo e che risulta compresa tra le due file dei sassi inizialmente disposti
come “testimoni”, questi servono a indicare il confine tra lo scavo ed il restante
sedimento ancora non processato. Più avanti nel tempo si potrà decidere se
ritornare a scavare le fasce laterali senza dover indovinare la zona né dover spostare
materiale già scartato in precedenza. A fine giornata si spiana completamente il
ciottolame (livellamento dello sterile) che si è scartato con la setacciatura lasciando
aperto solo lo spazio per un futuro avanzamento dello scavo. Questo è un esempio
di impostazione di coltivazione rettangolare in direzione e con ripristino sin‐
coltivazione. Tale tipologia risulta la più performante per il prospettore amatoriale.
Esempio di attrezzi utili in questo contesto di estrazione amatoriale:
1) per rimuovere i ciottoli e raspare il materiale: una zappetta e una piccola spazzola
rigida, talvolta si utilizza un badile, una zappa, etc;
2) per raccogliere: un palotto o sessola;
3) per setacciare: la retina di protezione di un ventilatore oppure una cassetta di
plastica per la frutta, un setaccio adeguato;
4) per raccogliere la sabbia setacciata e trasportarla al lavaggio: un foglio di plastica
telata (cm. 120 x 120) oppure un secchio da muratore, un cabasso, una carriola;
5) per creare una zona di lavaggio che abbia acqua relativamente ferma: un telo di
plastica (cm. 200 x 60), un imbuto composto da ciottoli;
6) per lavare: un piatto concentratore e una batea, una canaletta;
7) per raccogliere le campionature: il succhiotto e 5‐6 contenitori di pellicole
fotografiche (vanno numerati) o altri contenitori o provette;
8) per documentare e registrare i punti visitati ed i riferimenti: una macchina
fotografica, blocchetto degli appunti e penna e carta topografica di riferimento se
possibile o foto aeree stampate, GPS, cellulare, etc.
A volte nel caso esistano sentieri percorribili in bicicletta, è consigliabile l’utilizzo per
velocizzare i viaggi tra un luogo possibilmente redditizio e quello successivo.
Tipicamente gli scavi si distinguono in conservativi e non conservativi. Nei primi il
materiale vagliato sarà maggiore come estensione rispetto il “core” (circa 10‐20%) e
potrebbe risultare subproduttivo tale sedimento aggiunto ma si avrà la sicurezza di
aver estratto completamento l’estensione del “core aurifero”. Si ricorda che per
279
“core aurifero” si intende quella porzione di sedimenti arricchita in oro e minerali
pesanti a tal punto da risultare produttiva ed economica. Spesso i cercatori d’oro
amatoriali, in assenza del ritrovamento di un “core” estraggono sedimenti auriferi da
porzioni subproduttive e non economiche. Nel caso l’estrazione dell’oro sia solo un
hobby anche questo approccio risulta positivo, non lo sarà assolutamente per chi lo
fa di mestiere però. Negli scavi non conservativi, si effettua la coltivazione della
porzione più ricca del core, approfondendo i lavori di coltivazione solo in tal settore,
per poi sconfinare negli adiacenti. Uno scavo conservativo, anche se richiede una
maggior mole di lavoro, tende a risultare meno disordinato rispetto a quello non
conservativo, il quale segue la direzione di massimo arricchhimento, infatti un altro
fattore negativo del secondo approccio è il posizionamento degli scarti, il quale è
critico in quanto non devono coprire sedimenti potenzialmente auriferi non ancora
sfruttati. Gli scavi vengono impostati di solito nei primi 30‐50 centimetri di
profondità, in modo da coltivare il primo livello aurifero, quello superficiale e
recente. Gli scarti dovrebbero essere posti nello scavo appena sfruttato e l’operatore
dovrebbe utilizzare solamente lo spazio destinato al fronte di coltivazione, in quanto
il resto dello scavo viene ricoperto dagli scarti già durante la fase di coltivazione
(ripristino sin‐coltivazione).
N.163 Esempio di scavo lungo il fronte di coltivazione e ripristino sin‐coltivazione.
280
Lo scavo in direzione è una tipologia di scavo che può essere sia conservativa che
non conservativa, tipicamente di forma rettangolare, sfrutta il fronte di coltivazione
seguendo una particolare direzione durante l’estrazione dei sedimenti auriferi.
Durante la coltivazione, è possibile ottenere informazioni più dettagliate o
addirittura mancanti dalla prospezione preliminare, è importante tener conto di tutti
i dati possibili, in modo da direzionare lo scavo, sempre, nella direzione più
conveniente. In una coltivazione conservativa si avrà un approccio leggermente
diverso, tendendo a coltivare anche volumi di sedimenti con un tenore leggermente
minore ma in modo da terminare con cura il core aurifero, detti sub‐economici, in
tal caso si punta più sulla cubatura rispetto al tenore.
N.164 Esempio di scavo rettangolare in direzione. Lo scavo è impostato successivamente ad una serie di
campionamenti preliminari (a) che hanno permesso di individuare le porzioni più redditizie (ellisse azzurrino: core
aurifero). I testimoni dello scavo (pallini verdi: C) evidenziano i limiti dello scavo, il quale risulta in questo caso
conservativo perché contiene totalmente il core aurifero (ellisse A).
281
N.165 Esempio di scavo rettangolare in direzione non conservativo: anche se impostato come uno scavo rettangolare,
solamente la direzione considerata più redditizia viene coltivata. È molto conveniente perché risulta in un risparmio
di tempo non indifferente ma potenzialmente ad alto rischio, evidenziando una possibile perdita di oro ubicato in
altre direzioni preferenziali, non coltivate né indagate. La direzione di coltivazione potrebbe risultare anche sinuosa
e non lineare. In ogni momento della coltivazione bisogna esser consci del tenore in modo da direzionare gli scavi
sempre nella direzione ritenuta economica.
Raccogliere oro: produzione ed attrezzatura correlata
Ogni singolo elemento di un processo produttivo dovrebbe essere smontato,
sezionato e analizzato, alla ricerca di quegli elementi che potrebbero esser
ottimizzati con l’obiettivo di rendere più veloce, migliore e redditizia la produzione.
Il miglioramento di ogni singola operazione può apportare anche solo un minimo
contributo. È il quandro complessivo che può fare la differenza tra un buon raccolto
ed uno mediocre. Alcuni utili consigli per migliorare la fase di estrazione dei
sedimenti auriferi possono essere:
‐ Tener conto della dimensione media dei massi e clasti in cui si sta coltivando:
maggiore è la dimensione e più probabilità si avrà di estrarre ghiaie aurifere
con un tenore maggiore;
‐ L’oro tende ad essere disperso all’interno dei sedimenti auriferi e
tipicamente è possibile osservarne il tenore aurifero nella fase di lavaggio
oppure con test spot sincoltivazione;
‐ I primi 30‐40 centimetri sono parte tipicamente dell’alluvione più recente, e
più facilmente accessibile. Risulta faticoso procedere in profondità e solo
talvolta risulta un tenore maggiore;
‐ L’utilizzo degli strumenti adatti all’estrazione aiuta non solo ad ottimizzare i
282
tempi ma anche a diminuire l’affaticamento; gli strumenti devono sempre
essere i più performanti ed ottimizzati. L’usura intacca tali qualità nel tempo.
‐ I ciottoli, idealmente i massi, le ghiaie vengono lavate e sciacquate con cura
per rimuovere ogni traccia di oro e sedimento sulla superficie, il resto del
sedimento verrà processato nella fase di lavaggio. In tali circostanze sarà
accessibile l’ideale estrazione totale dell’oro dai sedimenti.
‐ Estrarre le ghiaie aurifere in un ambiente sommerso è totalmente differente
da uno secco‐umido ed areato. L’oro in un contesto sommerso è di difficile
estrazione, ogni stress al sedimento circostante permette al granulo o
pagliuzze di approfondire la sua sede fisica, rendendo nel tempo difficoltoso
il recupero. L’oro però è visibile in un ambiente sommerso, rispetto al
contesto areato. Idealmente il sedimento viene aspirato ma in molte regioni
italiane tali strumenti motorizzati non sono utilizzabili legalmente.
N. 166 I massi di maggiori dimensioni, tendon a risultare target individuali ottimali per una prospezione a spot
puntuali speditiva.
283
N.167 La tecnica del Hand Picking non è molto sviluppata all’interno della prospezione di sedimenti auriferi in
ambienti areati, infatti l’oro tende ad essere disperso all’interno dei sedimenti e non visibile. In un contesto di ricerca
in ambiente sommerso (gold sniping), l’oro non solo è visibile ad occhio nudo ma è estraibile con pinzette adeguate,
siringe senza ago, aspiratori manuali di varia dimensione. Si consideri sempre la pericolosità per la salute
dell’estrazione dell’oro in un ambiente sommerso rispetto ad uno areato. È un ambiente ad alto rischio per la salute.
N.168 Il target primario dei cercatori d’oro amatoriali è la ricerca e sfruttamento di sedimenti auriferi facilmente
accessibili. L’oro tende ad essere in queste condizioni arricchto a ridotto dei ciottoli e maggiormente in alcune porzioni
fluviali rispetto ad altre.
284
Il ripristino di uno scavo sin‐coltivazione e post
Il ripristino adeguato del sito coltivato è di notevole importanza sia per un approccio
eco‐sostenibile, sia perché spesso imposto per legge e sia per ultima nota per un
arricchimento aurifero successivo. Quest’ultimo è più una speranza che una certezza,
perché dipende da una serie di fattori. In ogni caso si distinguono due tipologie di
ripristino in senso stretto:
‐ Sincoltivazione: avviene durante l’estrazione dei sedimenti auriferi (tipologia
consigliata);
‐ Postcoltivazione: avviene in una fase successiva alla coltivazione (tipologia
sconsigliata).
Tra le due tipologie i cercatori d’oro amatoriali dovrebbero tendere ad utilizzare la
prima, in quanto determina un risparmio notevole di fatica e tempo da impiegare
successivamente alla fine dei lavori. A parità di tempo ed energie impiegate nel
ripristino, il primo metodo tende a risultare meno pesante a causa della
frammentazione nel tempo degli sforzi e quindi meno pronunciati dal punti di vista
mentale all’operatore. Il ripristino non porta nessun profitto al cercatore d’oro, non
si estraggono sabbie e ghiaie aurifere. Il ripristino, rispetto le fasi di estrazione, ha la
certezza che non si ricavi oro. Il ripristino postcoltivazione spesso viene posticipato
fino a non venir realizzato, lasciando buchi, cave, trincee o un deposito alluvionale
martoriato da lavori di scavo multipli nel tempo. Questo cattivo approccio non solo
tende a risultare poco o nulla ecosostenibile ma anche paesaggisticamente negativo
avendo un pessimo impatto sulle autorità locali che potrebbero nel tempo vietare la
ricerca del nobile metallo a causa del mancato ripristino delle aree di scavo,
selvaggiamente depredate. Vista la generale mancanza di sensibilizzazione agli
organi pubblici (comuni, parchi, SIC, etc), i cercatori d’oro amatoriali vedono ridursi
sempre più le aree fluviali libere allo sfruttamento amatoriale. La speranza è che nel
tempo e con i giusti mezzi, i corsi d’acqua piemontesi siano esempi di patrimonio
comunitario in comunione e non antitesi ai cercatori d’oro. Questi dovrebbero non
solo ripristinare i propri scavi ma anche quelli altrui e buona norma di volta in volta
ripulire dalle immondizie le rive fluviali. Il cercatore d’oro dovrebbe essere visto
positivamente dalle istituzioni pubbliche ed in materia ambientale. Le conseguenze
delle mancanze su tali argomenti sono visibili a tutti: i cercatori d’oro amatoriali
hanno sempre meno aree da sfruttare e queste più che impoverirsi non possono. Vi
sono sempre più vincoli e meno diritti.
285
N.169 Il posizionamento, in uno scavo amatoriale, dei massi e clasti di maggiori dimensioni, oltre che degli scarti, è
fondamentale: è consigliato il posizionamento lungo la porzione coltivata e non ai lati, in quanto potrebbe risultare
in pericolosi locali franamenti, oltre che ricoprire con materiale sterile porzioni ancora sfruttabili.
N.170 Man mano che uno scavo avanza lungo il fronte di coltivazione, i sedimenti sterili vengono accumulati in
maniera ordinata lungo la porzione già scavata, in modo da favorire un ripristino sin‐coltivazione. Tendenzialmente
vengono posti gli scarti fini sopra a quelli grossolani, in quanto più facilmente livellabili. I massi di grandi dimensioni
non vengono accantonato o accumulati con fatica ai lati dello scavo, bensì vengono rotolati nella porzione di
286
deposito, subito retrostante il fronte di coltivazione, ubicata della porzione depressa, già escavata. Ciò permetterà
un minor lavoro e fatica dell’operatore.
N.171 lLa scelta dello strumento più performante per il lavaggio ricade sul più adatto alle condizioni in sito.
Per prima cosa, si valuterà se il luogo offra le condizioni perché si possa lavorare con
la canaletta ed i requisiti indispensabili sono:
1) La distanza tra il parcheggio della macchina o il mezzo di trasporto ed il luogo
dedito alla prospezione;
2) La zona individuata come aurifera abbia consistenza e continuità tali da prevedere
di poterci lavorare tutto il tempo che abbiamo a disposizione nella giornata;
3) La possibilità di avere o di poter creare un salto d’acqua (gradiente idraulico) tra il
punto di ingresso e quello di uscita dell’acqua lungo la canaletta di almeno una
decina di centimetri, i quali non saranno ovviamente tutti sfruttati ma che
permetteranno un margine di manovra per eventuali aggiustamenti dell’inclinazione
287
dello strumento. Il salto d’acqua è ovviamente anche in relazione alla lunghezza dello
strumento, quanto più sarà lunga la canaletta lunga e larga e tanto risulterà la
difficoltà nel piazzarla adeguatamente;
4) Avere una portata d’acqua in entrata regolare e costante, senza onde e
turbolenze; L’operatore lavora sempre lateralmente allo strumento; non si cammina
mai davanti all’entrata dell’acqua nella canaletta. Onde e turbolenze si riflettono in
locali perdite d’oro nelle trappole;
5) La superficie dell’acqua all’entrata della canaletta deve essere piana per cui ogni
ostacolo a monte che possa creare onde vortici o comunque eccessive increspature
sull’acqua deve venire rimosso;
6) La velocità dell’acqua in entrata non deve essere eccessiva (la velocità corretta è
la minima che smuova il sedimento all’interno della canaletta);
7) La zona di scavo sia compatibilmente vicina alla postazione della canaletta. Il
trasporto della sabbia richiede tempo e fatica e non ripaga.
Se tutte le considerazioni precedenti sono performanti per processare con profitto i
sedimenti auriferi con la canaletta allora occorrerà porsi una ultima domanda: “è
possibile produrre una quantità di sabbia setacciata tale da rendere
controproducente l’utilizzo del solo piatto? La linea discriminante nella scelta di
usare un piatto o la canaletta diventa quindi “la quantità di secchi di sabbia
setacciata” che si prevede di processare. Come ben sanno i cercatori, a volte si
trovano zone aurifere, le famose “punte”, dove è facile estrarre grandi quantità di
sedimento aurifero e produrre fino a 50‐60 secchi di sabbia setacciata (sono le
occasioni in cui si usa il setaccio a telaio o il cestone a umido), altre volte, come ad
esempio nella zona più a monte dei fiumi o su torrenti, per la stessa quantità di lavoro
il numero di secchi di setacciato si riduce e anche di molto.
N.172 La scelta della canaletta che più si adatta al contesto di lavaggio è una sommatoria di molteplici variabili,
talvolta non totalmente visualizzabili ad inizio della produzione. L’utilizzo della canaletta nella fase di prospezione
iniziale è solo talvolta economico e positivo.
288
La linea discriminante nella scelta degli strumenti adatti
Con la possibilità di posizionare la canaletta, nel caso si preveda di poter processare
nella giornata circa 10 secchi di sabbia si dovrebbe scegliere di usare il piatto
concentratore, se le condizioni del terreno fanno pensare di poter processare più di
30 secchi si dovrebbe ricercare per quanto possibile di usare la canaletta, per i valori
intermedi la scelta è in funzione delle condizioni della giornata. Processare un
secchio di sabbia setacciata con il piatto concentratore ed arrivarne un sedimento
concentrato concentrato richiede dai 4 ai 7 minuti e processare fino a 30
secchi/giorno potrebbe risultare in eccessivo affaticamento, fatica facilmente
riducibile utilizzando la canaletta. Lavare un secchio di sabbia setacciata con la
canaletta richiede mediamente dai 3 ai 5 minuti, un poco più veloce del piatto ma
c’è da tenere conto del tempo che richiede il posizionamento della canaletta e la
costruzione della diga, quindi le fasi di preparazione dello strumento in situ e anche
il tempo speso nel riposizionamento più performante durante la giornata (il livello
idrico potrebbe cambiare!). Lo svantaggio di lavorare con il piatto è che, a fine
giornata, ci si ritrova con una quantità di concentrato dalle 2 alle 4 volte superiore a
quello ricavato con l’uso della canaletta; il vantaggio è che per ogni secchio
processato si ha una migliore percezione della qualità e quantità di quanto si
raccoglie dalla sabbia che si sta processando e quindi direzionare i lavori verso aree
più produttive.
Il piatto concentratore
Per recuperare l’oro dalle sabbie aurifere quando le condizioni non permettono l’uso
della canaletta, è conveniente l’utilizzo di batee, piatti conici e piatti concentratori
che richiedono tendenzialmente un tempo maggiore per processare il sedimento ed
arrivare al concentrato, ma che rendono praticabile un adeguato processamento
anche in luoghi poco consoni al piazzamento di altri strumenti. I piatti concentratori
sono componibili anche a casa con strumenti fai‐da‐te. Con un poco di esperienza si
riesce a processare un secchio di sabbia generando una minima quantità di
concentrato nel giro di pochi minuti ed il sedimento ricavato sarà poi ulteriormente
rifinito con la batea tronco‐conica o con strumenti adeguati. Il principio del piatto
piano a gradini (piatto concentratore) è paragonabile al funzionamento della
canaletta: introdotta una minima quantità di sediment auriferi da processare (2‐3
sessole di sabbia al centro) e immerso il piatto in acqua con scuotimenti e rotazioni
si rende la sabbia “fluida”, il che permette alla frazione terrigena pesante (oro,
magnetite, granato, etc.) di sprofondare andando a depositarsi sulla superficie del
piatto e via via discendere i gradini, andando a concentrarsi nel piattello centrale
(trappola più depressa). Il passaggio circolare dell’acqua in superficie dilava via via il
289
sedimento leggero, così da permettere di aggiungere altra sabbia sino al completo
svuotamento del secchio.
N.173 Il piatto concentratore è una variante del semplice piatto, che permette un lavaggio più rapido dei sedimenti
auriferi. Talvolta, è preferito alla canaletta, infatti in assenza di acqua corrente è possibile il lavaggio a canaletta
solamente per introduzione manuale di acqua (foto G. Rizzi). L’ausilio di mezzi meccanici ed elettrici è vietato in
Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia. Per altre regioni conviene sempre informarsi adeguatamente. Si noti inoltre che
in aree protette, parchi naturali, SIC, etc. la ricerca di minerali è già di base vietate (foto di G. Rizzi).
La canaletta (sluice)
La canaletta è lo strumento che il prospettore utilizza per ottenere un concentrato
dal sedimento processato contenente un tenore variabile in oro. La canaletta è
formata da una semplice superficie rettangolare con due spondine poste sui lati
lunghi utili a convogliare l’acqua e viene posizionata in acqua dove un flusso d’acqua
la può percorrere, con direzione circa parallela alla sua lunghezza. La superficie di
fondo della canaletta non è liscia ma presenta rugosità, cave, cellette, in generale
trappole che permettono ai minerali pesanti di concentrarsi. Questo strumento
permette di separare le particelle solide di un miscuglio, quando siano immerse in
un liquido in movimento, sfruttando la differente velocità di sedimentazione dei
singoli componenti, determinata dal loro differente peso specifico, rispetto la
viscosità del fluido e il loro volume (legge di Stokes). Quello che il cercatore d’oro
andrà a versare sulla canaletta è la sabbia o ghiaia aurifera, un miscuglio di
componenti terrigeni, risultato del lavoro di erosione operato principalmente dai
ghiacciai, dal processo di trasporto e deposizione operato dalle masse d’acqua in
movimento (corsi d’acqua) durante gli avvenimenti alluvionali (piene) ed estratti e
setacciati (classificati) del cercatore d’oro. La composizione della sabbia e ghiaia del
290
fiume è in relazione alle rocce presenti nel suo bacino idrografico. La canaletta che
sfrutta il flusso naturale del corso d’acqua è detta river sluice (canaletta da fiume),
mentre quelle posizionate in esterno e che richiedono l’ausilio di strumenti
meccanici o elettrici idraulici vengono dette highbanker. L’utilizzo di una river sluice
è detto river sluicing, mentre per quanto riguarda l’utilizzo di una highbanker,
highbanking.
N.174 Il river sluicing permette la separazione della frazione di minerali pesanti da quelli leggeri, attraverso l’ausilio
della canaletta e della naturale corrente idrica. L’ausilio di mezzi meccanici ed elettrici è vietato in Piemonte, Valle
d’Aosta, Lombardia. Per altre regioni conviene sempre informarsi adeguatamente. Si noti inoltre che in aree protette,
parchi naturali, SIC, etc. la ricerca di minerali è già di base vietate. Il river sluicing è invece utilizzabile nelle porzioni
fluviali libere da vincoli legali con le dovute autorizzazioni o iscrizioni a registri regionali. Il prospettore amatoriale
dovrebbe sempre informarsi sulle normative vigenti prima di iniziare le fasi di prospezione iniziali. La legalità viene
prima di tutto. Le multe non solo tendono ad essere spiacevoli eventi ma spesso sono molto esose (foto di A.
Castellacci).
Introduzione al mineral processing in ambienti amatoriali ed industriali
Molte tipologie di differenti recovery sistems sono oggi disponibili sul mercato. Le
scelte sono variegate e i fattori che influenzano lo strumento richiesto dipendono
molto da sito a sito. Il design del macchinario, alle volte è unico, a causa delle
modifiche atte a migliorare l’estrazione (recovery). Il maggiore fattore da tener conto
è il costo dello strumento e della manutenzione annessa più quello dello strumento
in operazione, rispetto il grado di recovery. Con recovery si intende che non tutto
l’oro presente nel materiale potrà essere recuperato, infatti la percentuale non sarà
mai del 100%, alcuni strumenti si avvicineranno di più che altri in alcuni contesti.
Logicamente lo strumento ideale è quello con un costo iniziale medio‐basso e un
basso costo di manutenzione ed utilizzo. La recovery più è rasente al 100% maggiore
291
sarà il guadagno dall’operazione. A seguito di alcuni fattori e complicazioni
ambientali locali, tra le quali alcune regolamentazioni che vietano l’utilizzo di
sostanze chimiche nei processi di estrazione aurifera, vengono preferiti i metodi
gravitativi, i quali risultano anche poco costosi. Grandi multinazionali utilizzano
tecniche più complesse e su larga scala per l’estrazione di oro, anche come
sottoprodotto in alcuni casi. In tali contesti industriali vi sono poi discariche
minerarie adatte, dove le sostanze chimiche utilizzate vengono depositate o meglio
riciclate per generare un processo continuativo a costi contenuti. Anche per quanto
riguarda i risvolti economici, la peculiarità dell’oro in scagliette non viene mai
sufficientemente valutata e non si tiene conto spesso delle differenti possibilità di
accertamento e del recupero che possono essere distinte in tre categorie:
292
trasporto del sedimento a secco, il lavoro diventa più oneroso man mano che ci si
allontana dal vicino corso d’acqua locale o dai canali eventualmente predisposti per
il lavaggio, deviando l’acqua. Lo scavo può essere superficiale o più o meno
profondo, a seconda della copertura sedimentaria sterile, ed il sedimento può essere
trasportato intero o preventivamente setacciato sul posto, in modo da trasportare
all’impianto soltanto la granulometria utile, contenente tutto l’oro accessibile. Nel
caso di strati superficiali senza alcuna copertura o con sottile ricoprimento, i sistemi
antichi prevedevano lo scavo di larghe fosse adiacenti e la setacciatura grossolana
del materiale sul posto. Quando la copertura era più consistente, lo scavo proseguiva
in galleria partendo dal fronte del terrazzo (tunneling), fin tanto che lo consentiva la
stabilità del deposito sedimentario e la convenienza economica, oppure, partendo
dalla superfice, a distanze più o meno grandi dal fronte, con pozzi ed estrazione del
materiale dal fondo, con cunicoli (coyoting). Il sistema dei cunicoli (coyoting), ancora
molto utilizzato in paesi africani e sud‐americani, è estremamente pericoloso a causa
dei frequenti crolli di pozzi e gallerie di fondo. Ha avuto fortuna e grande applicazione
nello Yukon ed in Alaska grazie al perenne strato di congelamento del terreno
(permafrost) che ne assicurava la stabilità, pur dovendo ricorrere al fuoco per lo
scavo. In alcuni casi, gli scavi sotterranei portavano ad una vera e propria coltivazione
mineraria di discrete dimensioni (shift mining), con le quali lo strato aurifero veniva
estratto, con pozzi e gallerie, alla stregua di uno strato di carbone o di un orizzonte
metallifero (Pipino G.1).
293
Procedimenti chimici
Due esempi possono essere trattati:
L’amalgamazione
294
La cianurazione
Come nel caso del mercurio, alcuni composti contenenti cianuro sono affini all’oro.
Questo fluido quando viene a contatto con l’oro, lo prende in carico e lo estrae dalla
sua posizione corrente (lisciviazione), portandolo in soluzione. Il processo continua,
ed il fluido viene filtrato attraverso carbone attivo che trattiene l’oro ed altre
sostanze ed i composti a cianuri vengono riciclati per un nuovo ciclo di estrazione. La
mineralizzazione aurifera viene prima frantumata, poi macinata prima del processo
di cianurazione e durante il processo si utilizzano due principali metodi:
Heap leaching: in questo metodo una vasta area naturalmente inclinata viene
impermeabilizzata impiegando una copertura impermeabile alla base del cumulo e
quindi vengono disposti qualche decina di centimetri del materiale macinato su tutta
la superficie. Il materiale viene successivamente innaffiato dei composti a cianuro
che naturalmente si infiltrereranno e liscivieranno l’oro presente. Il fluido scendendo
incontra l’ostacolo del telo impermeabile e vi si concentrerà venendo convogliato
gravitivamente verso lo sbocco di uscita, dove sarà raccolto e processato con
carbone attivo. Questa tecnica viene eseguita dove si hanno vaste aree disabitate ed
i costi di gestione sono medio‐bassi. Nella seconda tecnica vengono utilizzati enormi
cilindri che svolgono il ruolo di amalgamatori. Vengono mescolati il materiale
macinato contenente oro ed il fluido con il cianuro. Mentre nel metodo precedente
il tempo di estrazione è lungo, attraverso questa meccanizzazione si hanno tempi
molto ridotti ma con maggiori costi di impianto e manutenzione, oltre dei macchinari
in uso.
Esempio di processamento chimico: L’acido tetracloroaurico
L’acido tetracloroaurico più noto come acido cloroaurico è un acido monoprotico
forte e ha formula HAuCl4. Viene utilizzato tradizionalmente nei processi di
raffinazione dell’oro. Nonostante l’oro sia un metallo scarsamente reattivo, dovuto
al suo potenziale normale di riduzione che vale + 1.40 V alla temperatura di 25°C,
esso viene disciolto in acqua regia, in cui all’azione acida di HCl viene associata quella
ossidante di HNO3, secondo la reazione:
Au + HNO3 + 4 HCl → HAuCl4 + NO + 2 HO
con formazione dell’acido cloroaurico che cristallizza sotto forma di cristalli
aghiformi di colore giallo‐arancio. Questa reazione fu sfruttata dal chimico
ungherese George Charles de Hevesy per sciogliere le medaglie d’oro vinte dai fisici
tedeschi Max von Laue e James Franck in occasione del conferimento del Premio
Nobel quando essi per salvarle dai nazisti riuscirono a farle recapitare a Niels Bohr in
Danimarca. L’ acido cloroaurico in soluzione acquosa idrolizza trasformandosi in
idrossido di oro (III):
295
HAuCl4 + 3 H2O → Au(OH)3 + 4 HCl
L’acido cloroaurico può inoltre essere ottenuto dall’elettrolisi dell’oro in acido
cloridrico:
2 Au + 8 HCl →2 HAuCl4 + 3 H2
dall’azione del cloro in presenza di HCl
2 Au + 3 Cl2 + 2 HCl → 2 HAuCl4
Questa reazione viene utilizzata per recuperare l’oro da componenti elettronici.
L’acido cloroaurico viene utilizzato per ottenere nanoparticelle d’oro (AuNPs) con
diametro da 5 a 400 nm, i cui campi di applicazione sono sempre più numerosi sia in
campo biomedico come biomarcatori o nei biovetri usati per la ricostruzione delle
ossa ed in campo industriale come catalizzatori o come sensori colorimetrici. Le
nanoparticelle d’oro vengono sintetizzate con il metodo introdotto a J. Turkevich nel
1951 e successivamente perfezionato da G. Frens. Per la realizzazione di questa
reazione una soluzione di acido cloroaurico che è di colore giallo oro viene portata
all’ebollizione e successivamente viene fatta reagire con acido citrico C6H8O7 con
formazione di acido chetoglucarico C5H6O5 e oro colloidale. Quando la reazione è
avvenuta la soluzione diviene di colore rosso vino:
2 HAuCl4 + 3 C6H8O7 → 2 Au + 3 C5H6O5 + 8 HCl + 3 CO2
Il problema della dimensione dell’oro e della sua posizione fisica
La taglia dell’oro ricercato è uno dei fattori critici nella scelta degli strumenti per il
processamento. Alcune attività sono andate incontro al fallimento a causa della
differente taglia dell’oro (di solito più fine del dovuto) e quindi ai costi troppo elevati
legati al processamento richiesto. In altri casi, si punta sulla quantità, anche se gli
impianti non possiedono un ottimale grado di recovery, vengono processati il doppio
o il triplo della cubatura. Logicamente tanto oro si perde ma anche tanto ne verrà
estratto. L’oro libero grossolano ed in posizione interstiziale rispetto gli altri minerali
è l’oro più facilmente ed economicamente estraibile nei sedimenti. I processi più
utilizzati, in questo, caso sono detti gravimetrici. Essi sono relativamente economici
e con una media‐bassa manutenzione (vi sono eccezioni). L’oro interstiziale è
facilmente estraibile, infatti molte attività attive nel passato o attuali sono state
basate sulla coltivazione di placer auriferi continentali e marini. L’oro si ritrova nei
sedimenti libero e disperso ed è facilmente estraibile con metodi convenzionali e
poco costosi (sluicing). In alcuni casi è possibile l’ausilio dell’acqua come mezzo che
aiuti a suddividere le varie taglie granulometriche, in altri non è accessibile (ambienti
desertici). I metodi a secco (dry) tendono ad essere meno performanti che quelli a
296
base di acqua (wet). Più l’oro diventa fine, maggiore sarà il costo dei macchinari utili
nell’estrazione. Aumenteranno i costi di manutenzione e dei macchinari fino a
quando sarà sconveniente continuare con l’attività. Mentre i processi fisici
gravimetrici sono poco performanti con taglie di oro fine‐ultrafine, i processi chimici
sono molto funzionali e polivalenti anche trattando l’oro fine‐ultrafine. L’obiettivo è
rendere possibile l’estrazione con i costi più bassi possibili ed ottenere la massima
quantità di oro accessibile (massima recovery). Nel caso dei giacimenti auriferi
primari, la mineralizzazione aurifera sarà in un primo momento frantumata per
permetterne un trasporto più semplice e rapido con costi contenuti. In un secondo
momento, la roccia verrà macinata. I granuli avranno una dimensione tale da
rendere l’oro presente perlopiù allo stato libero o comunque esposto. L’oro che
continua ad essere incluso senza essere esposto fisicamente ai futuri processi chimici
non potrà essere estratto altrimenti. Se l’oro fosse ultrafine ed incluso nei minerali
sarà difficilmente economica l’estrazione se il tenore è medio‐basso. Semplicemente
non varrà i costi di estrazione. Logicamente i costi di frantumazione sono bassi
rispetto quelli di macinazione. La taglia dei granuli prodotti più è ridotta e più sarà
costosa. Nei processi chimici rispetto quelli gravitativi, gli scarti sono permeati da
sostanze tossiche o nocive per l’uomo e l’ambiente ed esse vanno rimosse o
depositate in discariche adatte. I metodi gravimetrici vengono preferiti in molte
situazioni in quanto i sedimenti di scarto non avranno un ulteriore costo per il
deposito, nel caso in cui già il loro luogo di scarto corrisponda alla discarica,
tipicamente uno scavo precedentemente coltivato ed adiacente all’impianto di
lavaggio. I tecnici di impianti industriali sono spesso assunti in questi contesti per una
loro consulenza, con l’obiettivo si massimizzare ed ottimizzare gli strumenti utilizzati.
La manutenzione rimane fondamentale per avere una recovery sempre il più
possibile alta. La stessa architettura ed ingegneria degli impianti è molto variegata e
complessa e talvolta unica, cioè varia da caso a caso. L’utilizzo di scarti metallici per
la produzione di strumenti come gli impianti e le sluice non è consigliabile per la
costruzione di macchinari di rifinitura o ad alte prestazioni. Questi sono fondamentali
nell’estrazione di oro da un concentrato aurifero. Il prodotto di processi gravimetrici
è il concentrato aurifero.
Taglia dell’oro e recupero
L’oro ‘facile’ è stato estratto ed ora risulta carente nelle località ritenute accessibili a
livello globale. L’oro fine ed ultrafine richiede processi più costosi per l’estrazione e
spesso chimici, basti pensare i costi relativi alla macinazione, fino a che taglia bisogna
arrivare per rendere l’oro libero rispetto gli altri granuli o comunque esposto? Alcuni
metodi raffinati sono funzionali ma più costosi. Per quanto detto, non è sempre vero
che, in acqua corrente, le scagliette di maggiori dimensioni si sedimentano prima di
quelle più piccole, anzi, l’esperienza insegna che polvere e scagliette minute vengono
297
intrappolate prima e, nel corso dei lavaggi, il loro recupero risulta maggiore rispetto
alle scagliette più grandi. Del tutto inapplicabili sono poi i teoremi sulla
sedimentazione dei vari minerali comunemente presenti in sedimenti alluvionali,
basati su peso specifico e diametro: a parità di diametro, infatti, una scaglietta d’oro
può pesare meno di un granulo di minerale a medio ed elevato peso specifico, come
quarzo (2.6), granati (3.4‐4.3), ilmenite (4.7), magnetite (5.2), e non è nemmeno
possibile inserire nel calcolo teorico un fattore relativo alla forma e allo spessore
delle scagliette, dato che questi sono estremamente variabili. Nella pratica, occorre
molta abilità, e attenzione, per recuperare l’oro. L’esperienza insegna che il recupero
è maggiore quando si tratta poco sedimento con mezzi artigianali, minore quando si
opera a livelli industriali, anche se con attrezzature e macchine molto sofisticate
(Pipino G.1).
Cenni di processamento industriale
La tendenza generale è legata al risparmio: si cerca di abbassare il più possibile i costi
di processamento del sedimento in relazione alla quantità di materiale vagliato. Il
sedimento vagliato tende a risultare il maggiore possibile, ad esempio nello
sfruttamento dei placer. Questi due obiettivi sono spesso in contrasto, infatti
macchinari ed impianti poco costosi o di seconda mano tendono a rompersi
facilmente in conseguenza a grandi sforzi e prolungati. Basti pensare alle attività di
sfruttamento nel Klondike, in aree sperdute, dove i macchinari a movimento terra
vengono utilizzati fino a 16 ore e più al giorno per 4 mesi circa e poi rimangono ferme
per tutto l’inverno successivo. È un enorme carico di lavoro in poco tempo anche per
dei macchinari temprati. Generalmente si parla di impianto di lavaggio (per lo
sfruttamento di placer) il cui obiettivo è di concentrare in un volume utile il
concentrato tratto da migliaia di tonnellate di sedimento vagliato. Gli impianti
possono essere costruiti ad hoc per la località, tenendo conto di alcune variabili,
come la dimensione media dell’oro, il suo tenore per volume, il sedimento dal quale
viene estratto, in modo da massimizzare la recovery e diminuire al minimo l’usura
dell’attrezzatura. Un esempio importante, è la presenza di limi ed argille nel volume
di materiale selezionato per il lavaggio: queste masse reagiscono con l’acqua
formando degli agglomerati con proprietà duttili che impediscono un semplice
lavaggio tradizionale. In tal caso vengono inserite nel processo vasche di prelavaggio
o eliche smorzatrici in modo da frammentare le masse argillose nel processo di
lavaggio. Nel caso invece la cubatura da processare contenga un elevato numero di
massi di grandi dimensioni, risulta importante la presenza di una serie di barre
selezionatrici all’introduzione del sedimento aurifero, oppure l’impiego di un
trommel. L’impianto di lavaggio, avendo come unico obiettivo quello di trattenere
298
l’oro in un concentrato, può essere costruito a partire da rottami di altri impianti
oppure da scarti metallici. Alcune piccole compagnie tendono a seguire questo
schema in modo da minimizzare il costo sostenuto rispetto all’acquisto di un
impianto nuovo o l’affitto di uno esistente. Nel caso si acquisti un impianto usato
alcune componenti potrebbero essere usurate e dar problemi nel breve termine e
costi di ricambio nel futuro prossimo. Differente discorso è per l’attrezzatura di
rifinitura o lavaggio del concentrato ottenuto. Il concentrato rifinito con strumenti
adatti e particolari, dai quali si estrapola la porzione aurifera maggiore. In questo
caso la tendenza è quella di acquistare questi strumenti di rifinitura in quanto hanno
un costo, seppur alto, ma minore rispetto un impianto di lavaggio. L’oro può essere
estratto da due tipologie differenti di cubature, quella in roccia (deposito aurifero
primario) e quella in sedimento (placer). Le tecniche negli anni sono mutate
notevolmente: l’avanzamento tecnologico, il quale rende possibile l’estrazione nelle
modalità e locazioni fisiche prima non redditizie o raggiungibili, ed il trend del
mercato, nel quale la domanda dell’oro varia in continuazione. Il prezzo è variato
molto nell’ultimo secolo con un trend generale all’aumento, anche se si pensa esser
prossima una inflessione. Per placer si intende una concentrazione locale di minerali
pesanti tra cui l’oro in un deposito secondario aurifero. Di solito il termine placer è
adottato per depositi auriferi secondari alluvionali e costieri. I placer possono essere
recenti o passati o addirittura sepolti. La coltivazione dei placer si differenzia
notevolmente per lo sfruttamento, con costi genericamente minori rispetto allo
sfruttamento in sotterraneo in roccia o a cielo aperto. Essendo sedimenti i materiali
di scavo, si necessita di macchine a movimento terra in modo da meccanizzare il più
possibile il lavoro e processare maggiori quantità di sedimento aurifero in minor
tempo. La tendenza generale è di propendere verso una maggiore quantità di
materiale processato nel medesimo tempo anche andando ad inficiare leggermente
sulla recovery.
299
La tecnica nell'uso del piatto, pan ‐ Panning
È la tecnica più antica e tipica ancora utilizzata dei prospettori moderni. È sempre
attuale, poco costosa e molto versatile. Consente di vagliare e lavare il sedimento
fino all’estrazione del prodotto finito: l’oro. Le stesse gemme possono essere
ritrovate nel contesto giusto attraverso questa tecnica. Essendo economica, non
sorprende che i cercatori passati andassero in cerca di fortuna con questi strumenti,
allora in legno o ferro. Si ricercano paystreaks (punte), fessure nel bedrock
(concentrazione localizzata) oppure, se si riesce, la porzione più profonda del
torrente o del fiume (fondo alveo), dove vi è il percorso preferenziale aurifero. Un
uomo, abile e con esperienza, può lavare in una giornata circa un metro cubo e
mezzo di ghiaia aurifera. Nel caso dell’utilizzo solo del piatto concentratore si può
arrivare a due metri cubi al giorno. Ciò rimane complesso se bisogna anche trovare
la località più redditizia e classificarne il materiale nella stessa giornata di lavoro, indi
per cui, di solito i cercatori sono in coppia o più, in modo da dividersi i compiti e
massimizzare il ritrovamento, per poi dividere a fine giornata il raccolto.
N.175 Differenti strumenti a confronto per quanto riguarda la realtà delle batee tronco‐coniche e dei piatti (pan)
(foto di G. Rizzi).
Approfondimenti sul pan ed il piatto concentratore
Il piatto è il principale strumento di prospezione aurifera. È il più versatile e ricco di
spunti utili nella ricerca a tutti i livelli. Alcune caratteristiche sono riprese più volte
nelle canalette ed in altri strumenti, come ad esempio i riffles o il moto del sedimento
durante il lavaggio. La divisione del sedimento aurifero secondo la densità (metodo
300
gravitativo) sfrutta la forza di gravità ed è quindi utilizzabile ovunque. Ciò vuol dire
che il piatto risulta essere uno strumento funzionale in tutte le regioni terresti con
ugual merito dal punto di vista del funzionamento base. Il piatto dovrebbe essere il
primo strumento per il prospettore e bisognerebbe dedicarci molto tempo per la
comprensione dello stesso. La sua versatilità, unita al basso prezzo rispetto
attrezzature più particolari, la rendono uno strumento eccezionale. L’unica pecca è
l’usura per il vasto utilizzo che si può fare negli anni. L’industria dell’abs o della
plastica produce modelli sempre più resistenti all’abrasione e all’usura ma l’uso
frequente del piatto come strumento essenziale, in molte fasi della lavorazione, la
rende molto suscettibile nell’arco di pochi anni a rovinarsi, fino a spaccarsi in pezzi a
causa di proprietà fragili acquisite. Un’altro aspetto notevole è il trasporto del piatto,
molto semplice sul campo, a volte nello zaino del prospettore, a volte appesa esterna
o messa in borse di recupero o proprie.
Tipologie e proprietà
I piatti hanno un vasto assortimento, il quale risulta difficile risolvere in poche
pagine. Quindi verranno trattati i caratteri più tipici e le varianti classiche. Per parlare
di piatti bisogna prima investigarne alcuni parametri che aiutano in una
classificazione successiva:
Peso
Il peso di un piatto è quello intrinseco a capienza nulla. Questo deve essere un giusto
compromesso. Spesso i piatti di plastica costano meno e pesano poco ma risultano
fragili agli urti o tendono facilmente a deformarsi. Un altro aspetto è riguardo l’usura
che aumenta in poco tempo nel caso che il materiale di produzione sia di scarso
valore. Nel caso di piatti in alluminio o leghe, esse risultano con proprietà
sicuramente ragguardevoli, meglio se Inox in questi casi. Basti pensare i cercatori
d’oro delle famose corse all’oro (Gold Rush), i loro piatti erano principalmente di
ferro dolce, con un arruginimento veramente elevato ma durevoli se mantenute con
cura. Inoltre, la ruggine poteva fornire un valore di rugosità variabile, aiutando a
trattenere maggior l’oro, specialmente la frazione fine. In linea di massima gli attuali
piatti sono in abs, il quale è un ottimo compromesso qualità‐prezzo ma non risolve
del tutto i problemi sopra esposti. Le righe, le piegature, fino alle fratture
danneggiano seriamente i piatti. Avere un piatto troppo pesante può risolvere al
meglio tali problemi ma poi è un peso da aggiungere a quello del sedimento da lavare
e dell’acqua, ausilio del lavaggio.
Fondo
Vi sono molti tipi di fondi ma si possono riconoscerne alcuni principali:
301
F. Conico: in questo caso il fondo coincide con un punto, detto apice: il piatto è un
cono ed il sedimento pesante si raggrupperà nel punto più profondo. È molto usata
in sud‐America e sud‐centro Africa, spesso costruita in legno. Il cono può essere
chiuso o svasato, in entrambi i casi funzionali ma con diverse proprietà.
F. Piano (cono troncato o piatto tronco‐conico): queste tipologie di batee
permettono una distribuzione sul fondo del materiale, utile ad una fase preliminare
di visione del concentrato senza il suo lavaggio completo (prospezione visiva
speditiva del concentrato aurifero). Non è altro che un cono tagliato, da cui il termine
piatto tronco‐conico (cono troncato). Bisogna fare attenzione che tali fondi piani di
solito sono poco robusti o tendono a deformarsi tanto che risultino svasati.
Disegnati: questi fondi sono perfezionati per il funzionamento del piatto stesso,
spesso sono disegni particolari stampati nell’abs o plastica (ad esempio: Turbopan).
Il fondo migliore non esiste, ogni ambiente, sedimento ed oro necessita di un
processo che viene soddisfatto in una maniera ottimizzata da una tipologia piuttosto
che un’altra. L’obiettivo che ci si pone è il limite primario: voglio un piatto speditivo?
Piuttosto uno veloce? Uno da gara? Uno poco costoso per provare a cercare oro
amatorialmente? Di solito i cercatori più navigati diventano pignoli riguardo le
proprietà dei piatti che preferiscono.
Profondità e larghezza
La profondità è proporzionale alla capienza. La larghezza è importante in un contesto
dell’ottimizzazione della forza centrifuga, ad esempio i piatti concentratori da gara e
la Turbopan sono poco profondi e molto larghi (svasati).
Usura
Questa proprietà, già discussa precedentemente è utile al fine della sostituzione
dello strumento stesso. Una alta usura potrebbe andare a variare leggermente
alcune proprietà del piatto facendo perdere oro nel lavaggio o nell’utilizzo dello
strumento in genere (riduzione della recovery). Questo fattore è da tenere in
considerazione. Talvolta l’usura permette una maggior rugosità delle superfici,
questa invece tende ad essere una qualità utile per implementare il ritrovamento di
oro.
Capienza
La capienza del piatto è fondamentale, infatti un piatto molto grande non sempre è
comodo nell’utilizzo o rapido. Il sedimento ha un suo peso e la salute dell’operatore
potrebbe venire intaccata dall’utilizzo di piatti molto capienti e colmi fino al limite e
saturi di acqua. In linea di massima, la capienza deve essere ragionata nel senso di
302
utilizzarla per 2/3 ed il rimanente non utilizzarlo. Questo al fine di utilizzare al meglio
lo strumento senza perdite di sedimento nel viaggio al punto di lavaggio oppure solo
nelle prime fasi del lavaggio senza un’adeguata concentrazione. Logicamente più il
piatto risulta capiente, più sarà pesante, ma utilizzando un piatto piccolo si dovranno
eseguire più lavaggi per la stessa quantità di sedimenti auriferi. Di nuovo ci si trova
di fronte ad un compromesso per l’ottimizzazione del lavoro.
Recovery (R)
Quando si ha recovery del 100% significa che tutto l’oro presente è stato estratto dai
sedimenti auriferi. la quantità di oro che si trova al termine del processamento è
conosciuta ma difficilmente quanto se ne perde, rimane spesso una variabile
incognita. Le frazioni aurifere fini ed ultrafini sono quelle più colpite dal problema
della recovery, esse tendono a galleggiare o flottare e quindi le si perde facilmente
con il lavaggio delle particelle leggere. L’oro grossolano è di facile ritrovamento, esso
sprofonda, essendo pesante, verso il fondo del piatto dove lo si ritrova. Tipicamente
i cercatori amatoriali propendono verso un’alta recovery, sia utilizzando le canalette
(R>70% in media) oppure utilizzando le batee (R>90%).
Velocità di lavaggio
Questo fattore è utile al fine di capire se vale la pena utilizzare il piatto su scala di
lavaggio di secchi di sedimento oppure utilizzare altri strumenti (canaletta, piatto
concentratore, etc). Alcuni piatti risultano molto veloci, come ad esempio i piatti
concentratori da gara che lavano un secchio di materiale aurifero in pochi minuti, ma
a pari merito dal punto di vista della prospezione vi sono altri piatti che funzionano
molto bene come la Turbopan. Questi strumenti sono utilizzabili anche in acqua
ferma e quindi viene il dubbio se conviene utilizzare il piatto piuttosto della canaletta
in alcuni contesti, anche per il minor tempo impiegato.
L’esperienza e la semplicità del metodo
Questi due fattori risultano ottimizzando tutti i fattori sopra elencati. Ci vuole molto
tempo per comprendere una tecnica in tutte le sue parti nell’utilizzo di un piatto
rispetto un altro. L’unica via è imparare alcuni consigli che ci tramandano i maestri e
provare, provare e provare.
Scalini/riffles/trappole
Questi possono essere presenti di diverse dimensioni oppure essere assenti. Alcune
pareti del piatto possono averne di diversi tipi per fornire una maggiore utilità allo
strumento in diversi contesti del lavoro. In generale l’oro si sedimenta e concentra
al fondo ma nel lavaggio può scorrere a seguito di scossoni e potrebbe essere perso
303
se la parete inclinata su cui si muove risultasse liscia. Nel caso, alcuni riffles creano
locali depressioni, limitando drasticamente questa tendenza; funzionano come
trappole e via via allontanandosi dal fondo del piatto non dovrebbero contenere oro.
In tale caso fungono da test anche della recovery.
Flessibilità
Con questa caratteristica si vuole approfondire il concetto di avere nello stesso piatto
differenti utilizzi. Sulle pareti piane lisce possono essere installati o stampati
differenti tipologie di riffles da usare in molteplici contesti, fornendo alla batea una
moltitudine di utilizzi, tutti con un solo strumento fisico.
Quantità di concentrato
Alcuni piatti, a parità di quantità di concentrato tendono a trattenerne una porzione
minore, aiutando quindi il lavoro successivo di pulizia del concentrato. La recovery
non deve essere intaccata però dall’avere meno concentrato in poco tempo. Si
ricorda inoltre che alcuni piatti non danno buoni risultati nella rifinitura del
concentrato e talvolta si preferisce eseguire questa delicata fase in altre tipologie di
piatti (di solito più piccoli di dimensioni e leggere).
Il piatto come uno strumento di prospezione e produzione
Anche se la canaletta è uno strumento che permette un’ottima resa in poco tempo
rimane frustrante in alcuni casi il piazzamento o impossibile. In altri casi le sue
caratteristiche non si adattano al sedimento che si vuole lavare o all’oro che si cerca
di farle trattenere, risultando in una drastica perdita in recovery. Il piazzamento
esterno al fiume è il migliore in ogni caso, in modo da imporre un angolo di discesa
del sedimentp e dell’acqua e di poterlo misurare o variare a seconda delle necessità.
Non per niente se si cerca un po’ di documentazione audio‐visiva all’estero, le
canalette spesso sono esterne al fiume (highbanker), sostenute da piedini (4 o 2 nel
caso). Il problema viene riguardo a ciò che la legge sottolinea. È divieto d’uso di
pompe idrauliche come strumenti elettrici o meccanici nella nostra attività in
Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta. Le altre regioni hanno regolamenti locali
regionali che sono da ricercare e visionare prima della prospezione sul campo. È
impensabile anche costruire canalizzazioni senza un impatto ambientale negativo.
Diviene quindi d’obbligo il piazzamento in acqua delle canalette (river sluicing),
approfittando delle pendenze naturali nel fiume. Risulta quindi più complesso il
piazzamento corretto senza parlare della inclinazione. Mentre all’esterno è facile
mettere in bolla il piano e imporre l’inclinazione con un inclinometro (anche
contenuto in un normale smartphone), nel fiume risulta difficile se non impossibile.
L’esperienza ci viene incontro e un riscontro positivo nel lavaggio ci fa vedere che
alcune condizioni sono raggiunte. Ecco perchè il piazzamento della canaletta in fiume
304
risulta un’arte, da un certo punto di vista. Il piatto come strumento di prospezione
speditiva dei minerali pesanti può prendere il posto della canaletta in alcune
occasioni e quindi diventare uno strumento primario, ad esempio in contesti in cui
la canaletta non si può piazzare facilmente oppure risulta troppo lontana dal sito di
scavo, oppure se l’acqua risulta ferma o solo presente in alcune pozze, nel caso in cui
il livello del fiume vari troppo velocemente a causa di chiuse o dighe a monte. In tutti
questi casi risulta, dal punto di vista lavorativo, più veloce utilizzare il piatto,
prendendo atto che si dovrà eseguire più fatica nel lavaggio. Con questo approccio
si tenderà a produrre dal sedimento classificato un concentrato di lavaggio. Il
concentrato poi viene portato a casa, dove viene separato l’oro dal rimanente o
eseguito in loco al fume. Il piatto quindi risulta più un “concentratore” rispetto al
tipico concetto di prospezione. Utili piatti da questo punto di vista sono il piatto
concentratore o la Turbopan. In generale sono piatti con bassa profondità e svasate.
Spesso sfruttano la forza centrifuga per espellere i livelli superficiali leggeri e
concentrare nel mentre quelli pesanti verso il fondo per forza centripeta. Questo
discorso è molto importante, in quanto spesso viene in mente l’idea di piazzare la
canaletta in esterno (highbanking con o senza ausilio di pompe idrauliche) andando
incontro a possibili sanzioni e spese per le pompe idrauliche ed il carburante
annesso, quando semplicemente un altro tipo di piatto permetterebbe di perseguire
l’obiettivo legalmente e con meno fatica, utilizzando meno strumenti da portare in
loco e con costi e rischi minori. Personalmente ho ottenuto ottimi risultati quando in
due persone, una utilizza il piatto ed una seconda versa il sedimento, in modo da
avere un processo continuativo di concentrazione in poco tempo. Questa alternativa
al lavoro rispetto la classica canaletta è eccellente e dovrebbe essere almeno presa
in considerazione.
305
N.176 Batee tronco‐coniche e piatti concentratori, quali scegliere come strumenti e perché (foto di G. Rizzi).
La classificazione del sedimento ed il lavaggio
Una volta estratto e classificato il sedimento aurifero, si avrà un minor carico di
lavoro nel lavaggio. L’obiettivo della classificazione non è solo di produrre un minor
volume di sedimenti processabili ma proprio evitare di dover lavare tutto il
sedimento cavato quando è possibile concentrare l’oro totalmente in una porzione
minore di esso. La fase di lavaggio consiste nel porre il sedimento aurifero
selezionato nel piatto (o altri strumenti) per circa 2/3 del volume di essa in modo che
non pesi troppo e che non crei problemi di salute all’operatore, oppure non si rompa
per l’eccessivo peso lo strumento stesso. Inoltre, è importante che il materiale non
sbordi.
A questo punto vi sono due tipologie di lavaggi possibili:
1‐ umido a saturazione:
Il miglior lavaggio con il piatto è quello umido a saturazione. In questo tipo di lavaggio
si necessita dell’acqua, meglio se pulita perchè nel caso di acqua sporca si potrebbe
avere una maggiore perdita dell’oro fine‐ultrafine (riduzione in recovery
complessiva). Il piatto viene posto in acqua e con forti scossoni in direzioni ortogonali
o rotatorie (fase di shaking) il sedimento si muove e si fluidifica e stratifica secondo
la propria densità in modo gravitativo e naturale. Le particelle terrigene più pesanti
procederanno sempre verso il fondo attivamente, rispetto a quelle leggere che si
concentreranno verso l’alto passivamente. Nel caso il sedimento non lo si sentisse fluido
ma invece tende a rimanere fermo o a glomeruli, è possibile smuoverlo con le mani. Se
vi fosse una frazione limosa ed argillosa importante, questo effetto del “blocco” è
306
maggiorato e quindi bisogna essere meticolosi nel rendere il sedimento più saturo in
acqua possibile e fluido. La presenza di limi ed argille è visibile dal rapido intorbidimento
delle acque di lavaggio: l’acqua diventa in poco di un colore bruno‐ rossiccio in maniera
proporzionale alla quantità che sta passando in sospensione di argille e limi, inoltre il
sedimento tende a diventare fangoso invece che una sabbia bagnata e fluida. La fase di
“shaking” può essere improntata anche secondo un moto rotatorio ma tenendo ben
conto che conviene sempre prima fornire il modo ai minerali con maggiore densità, tra i
quali l’oro tende ad essere quello a più alta densità, di spostarsi verso il fondo e solo
successivamente rimuovere la porzione di sedimento superficiale secondo movimenti
rotatori o con l’ausilio di altre tecniche (fase di lavaggio in senso stretto). A questo punto
l’obiettivo è rimuovere i sedimenti composti dai minerali con bassa densità (es. mica,
quarzo, etc.) che si trovano sempre nelle porzioni superficiali, previo shaking. In questa
fase è possibile eseguire un moto rotatorio (Turbopan o pan normale) oppure il metodo
standard. Mentre la fase precedente (fase di shaking e stratificazione per densità) viene
eseguita in acqua, questa si sussegue al pelo dell’acqua. Nel metodo standard si inclina
il piatto verso il fiume con il lato in cui sono presenti i riffles o scalini che si preferisce
utilizzare. Questi fungono da trappole in cui l’oro si concentra con priorità a quelle verso
il fondo del piatto, dove in teoria è presente l’oro e coincidono con le prime trappole
libere disponibili. È consigliabile inoltre utilizzare il più possibile le prime trappole dal
fondo del piatto, in modo che ve ne siano numericamente il più possibile tra tale trappola
primaria e l’esterno del piatto (punto di perdita). Quindi aiutando il movimento del
sedimento fluido con piccoli scossoni in avanti si ritrova la frazione pesante nell’angolo
inferiore dello strumento. A questo punto si porta dolcemente il piatto in acqua per
pochi centimetri e lo si riporta nella posizione precedente. Come esempio utile potete
immaginare il bagnasciuga delle spiagge: le onde arrivano, si infrangono e spostano la
sabbia, quindi le particelle leggere vengono portate via dalla risacca. Così si introduce
l’acqua che smuove lo strato più superficiale formato dai sedimenti più leggeri ma questi
vengono rimossi solo quando la risacca dell’acqua introdotta li asporta. Talvolta, per
fornire una maggior energia all’effetto risacca si aumenta l’inclinazione del piatto.
Ritmicamente si alternano fasi di concentrazione per shaking e fasi di lavaggio
(asportazione di volume parziale dei sedimenti vagliati sterili). Secondo fasi ritmiche si
arriverà ad ottenere un concentrato di minerali pesanti, tra i quali l’oro, del piatto in
quantità variabile, indicativamente di un bicchiere o mezzo bicchiere. Man mano che si
procede il sedimento rimanente nel piatto tenderà a scurirsi in quanto vi saranno
maggiori minerali ferrosi neri o grigi in proporzione (ilmenite, magnetite, ematite, etc.),
i granuli rossi vitrei sono granati di solito. Questa composizione e la relativa percentuale
rispetto la capienza del piatto è fondamentale ma non sempre indicativa per il
ritrovamento di oro. Una maggior quantità relativa di sabbia nera, con dimensioni
grossolane, indica un’ottimo andamento (o trend) della campagna di testing e facilmente
vi sarà dell’oro nel piatto.
307
N.177 Fasi preliminari e prime fasi per la concentrazione dei minerali pesanti sul fondo.
N.178 Dettaglio dell’importanza della giusta alternanza tra shaking e lavaggio nella riduzione del volume di
sedimento aurifero processato e quindi del ritrovamento dell’oro presente.
308
N.179 Nel lavaggio vi è la riduzione dei sedimenti auriferi processati fino ad ottenerne un concentrato aurifero,
oppure successivamente alla rifinitura, l’oro.
Diverse tecniche a confronto di lavaggio
La prima domanda è quale obiettivo ci si pone ed ottimizzarlo. Si vuole avere uno
strumento veloce, piuttosto che con alta recovery, oppure capiente? Si possono
anche cercare compromessi tra i vari parametri considerati‐ Principalmente, le
tecniche variano con il sedimento che si processa ed il tempo che si vuole impiegare,
oltre ovviamente ai parametri ambientali, tra cui la dimensione dell’oro che si
intende recuperare.
Lavaggio speditivo
In questo caso, si effettua un processamento rapido. L’obiettivo è capire la presenza
o assenza dell’oro e la sua distribuzione nello spazio attraverso diversi assaggi
tipicamente puntuali (test‐spot). Ciò evidenzia la posizione, la distribuzione, la
quantità e l’andamento nello spazio del metallo prezioso. È molto importante questa
fase nella prospezione: trovare località redditizie è fondamentale per ottenere un
buon raccolto a fine coltivazione. Alcune località necessiteranno di ulteriori
approfondimenti ed altre che risultano già sfruttate potrebbero mostrare qualcosa
di dimenticato di valore. Nel lavaggio speditivo il piatto tende ad essere capiente.
Sono ottimi i piatti concentratori, la Turbo‐pan, la batea grande Garret, il piatto
Tecnogeo, in generale con un buon volume. Il fondo è preferito piatto ma dipende
dal funzionamento dello strumento. La distribuzione del poco concentrato sul fondo
del piatto, con pochi colpetti, fornisce una visione della percentuale aurifera
speditiva, la quale fornisce un dato qualitativo invece che quantitativo. Spesso il
309
concentrato viene rifinito a fine giornata o a casa in un secondo momento, appunto,
per utilizzare tutto il tempo possibile per aumentare il numero di campionamenti e
lavaggi. La classificazione viene eseguita attraverso un setaccio o delle reti inclinate
per la versatilità nello spostarsi dell’operatore. È preferito il settaggio: setaccio e
piatto, in cui il sedimento si versa nel setaccio e sotto di esso è presente il piatto.
Quindi, tutto è trasportato al fiume o alla vasca di lavaggio più vicina e quindi
setacciato in acqua in modo da dilavare al meglio la frazione grossolana che poi andrà
scartata. Questo porta ad avere un test qualitativo anche dell’oro fine‐ultrafine. Un
aspetto importante è la fedeltà del test o il grado di rappresentatività: con questo
termine si intende quanto il nostro risulti significativo della località campionata.
Lavaggio accurato o di rifinitura
Questo lavaggio viene eseguito di solito verso fine giornata oppure in un secondo
momento a casa. La principale differenza con un lavaggio generico è quella di
eseguire un lavaggio lento e molto accurato per dividere l’oro dai rimanenti minerali
parte del concentrato. Tutte i piatti sono comunemente utilizzati in questa fase ma
alcuni tendono a risultare prediletti rispetto ad altri, come nel caso di quelli piccoli e
maneggevoli. Non sempre gli scalini sono importanti ma se sono presenti sotto
forma di millerighe o miniriffles possono aiutare molto. In questo caso vi sono molti
scalini poco profondi in successione, i quali aumentano il valore della rugosità del
fondo, applicando un effetto “trappola” all’oro. Anche una parete del piatto liscio è
ottima per il lavaggio di rifinitura. Il principio fondamentale è che l’oro tenderà a
rimanere fermo sul fondo, a patto che la velocità e quantità dell’acqua usata per
dilavare il concentrato sia appropriata, e quasi sempre l’oro sarà ubicato nel punto
di concentrazione più depresso nel momento dello shaking (scossoni). La magnetite
tenderà a rotolare e quindi è possibile con frequenti lavaggi ma poco intensi dividere
oro e magnetite, come anche il granato. La magnetite è magnetica e divisibile con un
magnete, tenendo ben conto che la magnetite se attirata in blocco può catturare
l’oro, il quale anche se non magnetico rimane incastrato meccanicamente tra i
granuli di magnetite.
Lavaggio rapido da gara
In questo caso è una competizione di velocità e bravura dell’operatore. Si utilizzano
piatti molto svasati, poco pesanti e con molti scalini. Si shakera il sedimento e si
utilizza “l’effetto centrifuga” e quindi con movimenti rotatori al pelo dell’acqua il
sedimento classificato viene lavato e spostato via via verso l’esterno fino ad essere
scartato mentre l’oro sprofonda verso il fondo, il quale risulta tipicamente piatto.
Quindi viene eseguito un lavaggio di rifinitura, avvantaggiato dai molti scalini, e le
pagliuzze vengono prelevate e messe in un contenitore. Il numero di pagliuzze è
deciso dagli arbitri di gara ed il concorrente non conosce il numero preciso durante
310
la manche. Nel caso alcune vengano scartate e non ritrovate si ottiene una penalità
sui tempi finali. Un secchio di sedimento setacciato viene quindi lavato e vengono
ritrovate le pagliuzze nel giro di un minuto e mezzo o più. Le competizioni a livello
mondiale sono un’importante panorama sportivo attuale da non sottovalutare. In
Italia vi sono ottimi esempi di campioni a livello mondiale e di gare sul territorio.
‘La sabbia nera’: il concentrato aurifero
Il prodotto della concentrazione è la cosidetta “sabbia nera”. Sabbia, intanto per la
sua dimensione, spesso intorno al millimetro o meno e il colore nero per i minerali
pesanti con un’alta frequenza di ritrovamento nel concentrato: magnetite (nera),
ilmenite (grigia, nera), granato (rossastro‐arancione). Nella sabbia nera si ritrova
l’oro, sempre che vi fosse nel sedimento iniziale, ovviamente. La lavorazione o
processamento della sabbia nera può essere molto laboriosa e richiede notevole
tempo nel caso di grandi quantità di concentrato. Alcuni fiumi piuttosto che altri
hanno quantità molto variabili di minerali pesanti lungo le punte aurifere. In alcune
punte si ritrova una dominante percentuale di granati piuttosto che magnetite e
viceversa. Dal punto di vista amatoriale si necessita di un tempo variabile per
l’estrazione dell’oro dal concentrato, detta fase di rifinitura. Nel caso di piccole
attività familiari oppure industriali si ricorrono a strumenti più sofisticati come tavoli
vibranti, separatori a spirale, jigs, separatori magnetici, oppure canalette a circuito
chiuso elaborate, gold cubes, ets. Spesso un solo strumento non basta per
concludere il processo e quindi si parla di processamento attraverso una linea di
strumenti (processamento a catena o linea). La sabbia nera è anche un problema
tipico per i neofiti, i quali non comprendono i processi utili a separare i componenti
e non ne hanno manualità sufficiente. Alcuni minerali risultano magnetici
(magnetite) o leggermente magnetici (ilmenite), in questo caso una calamita può
essere utile. Un consiglio è porre la calamita in un bicchiere di plastica e passarlo sul
concentrato in modo che la magnetite si attacchi al bicchiere e non alla calamita;
separando la calamita dal bicchiere in un altro contenitore la magnetite cadrà, in
quanto non più attirata dal magnete attraverso il bicchiere. Bisogna fare attenzione
che la magnetite non venga attirata in blocco perchè potrebbe portare con sè
dell’oro, rimasto pizzicato tra i granuli attirati del minerale ferroso. Conviene sempre
rimuovere lo strato più superficiale di magnetite, riconcentrare l’oro al fondo e
proseguire tale processo, in modo che l’oro e la magnetite rimossa siano sempre in
posizioni fisiche distanti tra loro. L’ematite invece non viene attirata dal magnete ma
è di raro ritrovamento se non in particolari contesti. Nel concentrato vi possono
essere dei piombini da caccia o rifiuti antropici, ad esempio acciai, ferri e via
discorrendo. Questi sono ottimi indicatori che ci si trova in un luogo dove vi è stata
una concentrazione di materiali pesanti e quindi possibilmente d’oro. Il fatto di avere
una grande quantità di concentrato rispetto la quantità di sedimento processato è
311
indicativa ma non è una garanzia della presenza di oro. Risulta utile porre uno
sguardo alla variazione di concentrato ed oro rispetto il fiume singolo o affluenti
rispetto diversi fiumi. Il porre il concentrato ricavato sul fiume in un contenitore a
parte rispetto a rifinirlo a fiume è tecnica abbastanza comune in modo da
massimizzare il lavoro nella giornata, infatti la fase di rifinitura può essere lunga e
laboriosa e necessita di tempo prezioso sul campo in cui si potrebbe raccogliere altro
sedimento da processare. Da notare infatti che alcuni cercatori d’oro all’estero, i
quali utilizzano strumenti come aspiratori, canalette a doppia funzione esterne
(aspirazione e introduzione attraverso badile) producono in una giornata molto
concentrato e se sommato nel giro di una settimana o due di lavoro continuo
(campagne di prospezione amatoriali e non), possono accumulare quantitativi
notevoli di concentrato. Non è un’attività cieca in quanto, speditivamente si può
osservare lavando i tappetini se vi è oro e relativamente la quantità e la dimensione,
carpendo importanti nozioni sullo sviluppo o assenza del metallo prezioso. In un
secondo momento ed in comodità a casa si può rifinire il tutto.
La fase di rifinitura
A questo punto vi sono diverse possibilità per il lavaggio del concentrato, infatti i
minerali rimanenti tenderanno ad essere molto pesanti e non sempre di facile
separazione senza abilità ed esperienza. La fase con cui si separa l’oro dagli altri
minerali pesanti per mezzo gravitativo è detta “fase di rifinitura”.
Rifinitura speditiva: a seguito di scossoni al piatto, con poca acqua presente (mezzo
dito), distribuire il sedimento in maniera omogenea sul fondo del piatto (meglio se
lo strumento ha un piatto e largo). In questa maniera si avrà una prima rapida
constatazione visiva dell’oro presente, senza dover eseguire un ulteriore lavaggio. Si
procede quindi nel metter via il concentrato per una pulizia a casa oppure continuare
con le prossime fasi. Questo metodo è molto utilizzato nella lavorazione del
concentrato di fine giornata al fiume e risulta molto semplice. Con presenza di riffles
o senza si angola il materiale e con scossoni si cerca di lasciare sempre l’oro nella
porzione della trappola più vicina al centro del piatto, quindi le porzioni superficiali
vengono dilavate con molte azioni di lavaggio e soprattutto con delicatezza. Come
sopra indicato l’oro tenderà a rimanere fermo in queste condizioni nella trappola
primaria.
Rifinitura per lavaggio rotatorio: il concentrato, posto in un angolo, viene dilavato
dall’acqua che nel piatto si presenta in poca quantità. L’acqua dilava il sedimento
seguendo un moto rotatorio. Le particelle leggere rotoleranno maggiormente
rispetto quelle pesanti. L’oro si muoverà poco sul fondo del piatto, ad eccezioni di
morfologie granulari. Quindi mentre tutto o quasi viene trasportato via, l’oro si
312
muoverà poco o rimarrà circa fermo, concentrandosi oppure rimanendo in una area
limitata.
Rifinitura per lavaggio frontale: il sedimento lo si pone in un angolo con poca acqua
(al pelo del materiale angolato) e lo si scuote localmente concentrando nella
porzione più depressa l’oro. L’acqua la si porta verso l’angolo opposto, quello libero
e vicino all’operatore. Con movimenti lenti ma continui si fa muovere l’acqua
dall’angolo senza materiale (deposito d’acqua) verso quello con il sedimento oggetto
della rifinitura (lievemente rialzato). L’acqua dilava i livelli superficiali più leggeri
dell’accumulo, portandoli nell’iniziale deposito d’acqua. Senza l’acqua il sedimento
non si muove, con l’eccezione di alcune ghiaie grossolane che tendono a rotolare e
perciò vanno rimosse, facendo attenzione a lavarle bene prima di rimuoverle.
Conviene prima della rimozione del sedimento dilavato (ora accumulato nella zona
opposta a quella di concentrazione), eseguire locali dolci scossoni (andando quindi a
concentrare lo scarto visto che è saturo in acqua e in assenza di acqua lasciando
intoccato il concentrato nella porzione opposta). Quindi si procede diminuendo via
via lo scarto secondo le fasi di lavaggio. Questa fase chiamata di controllo salva molte
volte da errori e perdite di oro, quindi è altamente consigliata. Una volta eliminato
lo scarto si scuote il concentrato rimasto, lo si accantona di nuovo in un angolo e si
ricomincia il processo, fino a quando rimane solo l’oro.
N.180 Suddivisione dell’oro dagli altri minerali attraverso la riduzione di volume del sedimento.
313
N.181 Alcuni dei motivi per cui i riffles sono presenti nei piatti convenzionali. Le frecce marroni indicano il moto in
uscita del sedimento relativamente più leggero.
N.182 Posizionamento e cenni pratici di come impostare una rifinitura di tipo rotatorio.
314
N.183 Cenni pratici su cosa succede nella rifinitura di tipo rotatorio.
N.184 Nella rifinitura rotatoria si genera una scia detta cometa del concentrato, lungo la quale i minerali pesanti si
distribuiscono secondo la loro densità con all’apice l’oro, il più denso e pesante (cerchio giallo) rispetto alla magnetite
(cerchio nero) e il granato (cerchio rosso).
315
N.185 Nella tecnica di rifinitura di tipo centrale, l’acqua è portata dal deposito proprio verso il concentrato aurifero
lungo il più breve percorso. Gli scarti terrigeni (frecce marroni) procedono verso il deposito d’acqua passando
attraverso il più breve percorso accessibile, quello centrale oltre in minur misura lungo le sponde.
316
La separazione dell’oro da sedimento a secco (lavaggio a secco – dry panning)
Questo metodo di lavaggio è ora raro e poco usato per il basso grado di recovery.
Invece di usare l’acqua si utilizza l’aria e quindi secondo scossoni forti si cerca di
concentrare il sedimento pesante verso il fondo. Il concentrato quindi viene tenuto
mentre le porzioni superiori scartate. Il principale concetto differente rispetto al
metodo ad umido è che gli scossoni sono importanti e di maggiore intensità e
frequenza. L’oro fine ed ultrafine viene inerosabilmente perso e si avrà una bassa
recovery. Va da sè che il metodo ad umido offre migliori opportunità rispetto quello
a secco. Il metodo a secco è interessante quando a seguito della mancanza di acqua
si va a concentrare una porzione di sedimento per produrne un concentrato. Questo
poi viene portato altrove dove sarà possibile estrarne l’oro con metodi
convenzionali. Nello schema relativo al è possibile riassumere alcune caratteristiche
fondamentali del lavaggio a secco rispetto a quello ad umido.
Tipologie principali di lavaggio:
A secco Ad umido
Perdita dell'oro fine‐ultrafine Maggior trattenuta delle diverse taglie
Shaking pronunciato Richiede acqua pulita se possibile
Metodo di concentrazione Funziona anche con acqua non pulita
Richiede notevole esperienza Funziona con acqua ferma
Recovery bassa In generale necessita di acqua
Recovery molto bassa con presenza Possibile utilizzo di diverse tecniche
di umidità
N.186 Schema rissuntivo delle principali qualità dei due tipi di lavaggio a batea considerati: ad umido (a destra) e a
secco (a sinistra).
Confronto tra i piatti concentratori
I piatti concentratori amatoriali che molti cercatori stanno producendo, seguendo le
indicazioni di Giuseppe Contin e di Giuseppe Rizzi, sono realizzati con dei fogli di
compensato. Il compensato più facilmente reperibile è quello da 4mm e si trova di
solito presso i negozi da bricolage. I fogli da 3 mm si trovano solo presso i grossi
317
rivenditori di legname. La profondità è la prima significativa differenza infatti
determina da una parte la “capienza” e la “pendenza” che le porzioni del setacciato
più leggere devono superare per uscire dal piatto. Un maggiore valore di pendenza
fornisce una maggior sicurezza nel lavaggio ma rallenta notevolmente le fasi di
lavaggio. Il piatto concentratore è un ausilio utile al prosettore, il quale in assenza di
una canalina può ugualmente coltivare vasti volumi di sedimenti con maggior
velocità e praticità rispetto al convenzionale piatto.
N.187 Tre tipologie di piatti concentratori a confronto (foto di G. Rizzi).
N.188 Alcune indicazioni dimensionali e strutturali riguardo ai piatti concentratori e conici (schema di G. Rizzi).
Prendendo in considerazione i due piatti intermedi (quelli che possono essere
autoprodotti con il compensato) si vede come quello prodotto con il compensato da
3mm ha una profondità di 42mm e si presenta con una pendenza all’uscita del 19%,
mentre quello prodotto con il 4mm è profondo 56mm e ha una pendenza all’uscita
del 26%. La seconda pendenza risulta in una maggiore difficoltà del sedimento a
venir dilavato e ad una maggior ritenuta con la medesima velocità di lavaggio.
318
N.189 Esempio del funzionamento di un piatto concentratore conico: si noti come il piatto si muove rispetto ad un
fulcro, cioè l’apice del cono, il quale spesso è mantenuto appoggiato. Le inclinazioni sono estremizzate solo a titolo
d’esempio (foto di G. Rizzi).
Ciò non significa che il piatto realizzato con il compensato da 4 mm debba
necessariamente funzionare peggio, richiederà solamente un minimo tempo
aggiuntivo a processare le medesime quantità di sedimento aurifero. Per chi in
passato avesse imparato ad usare il piatto a cappello cinese, il movimento rotatorio
e a bascula riduce la pendenza di risalita della sabbia in uscita e tutto risulta facilitato.
La tecnica per l’utilizzo è simile nei differenti piatti concentratori. Nell’ampio
movimento circolare delle braccia, le mani non tengono il piatto in piano ma, man
mano che diminuisce la quantità di sabbia all’interno del piatto, le mani inclinano il
bordo facendo in modo che la parte che va a scaricare si abbassi verso la superficie
dell’acqua riducendo così la pendenza per la risalita al leggero che si deve eliminare
e offrendogli una via di sfuggita preferenziale.
N.190 Principi di funzionamento del piatto concentratore conico: lavaggio del sedimento. A pieno carico di sabbia
aurifera il piatto immerso in acqua viene mosso con ampio movimento circolare delle braccia rimanendo quasi in
piano, l’acqua che passa in superficie dilava la sabbia e trasporta fuori dal bordo le parti più leggere (foto di G. Rizzi).
319
N.191 Principi di funzionamento del piatto concentratore conico: lavaggio del materiale, seconda fase. A mano a
mano che la quantità di sabbia nel piatto diminuisce per facilitarne l’uscita contemporaneamente e in modo
coordinato al movimento circolare delle braccia le mani inclineranno il piatto in modo da tenere sempre basso il
bordo del piatto in direzione esterna al giro (foto di G. Rizzi).
N.192 Principi di funzionamento del piatto concentratore conico: ultime fasi di lavaggio, recupero dell’oro. A piatto
ormai quasi scarico di sabbia, il movimento a bascula diventa sempre più ampio ma questo richiede una estrema
abilità, quando poi al fondo restano solo due o tre cucchiai di concentrato si interrompe il movimento circolare e si
procede in altro modo per il recupero delle scagliette (foto di G. Rizzi).
Il piatto concentratore o “canaletta circolare” (Tutorial di Giuseppe Rizzi)
Cercando oro sul fiume, capita di trovare punti di arricchimento dove non c’è la
possibilità di sistemare canalette e diviene laborioso l’utilizzo di un rocker. L’unica
possibilità resta allora quella di lavorare con il piatto. Il classico piatto tronco‐conico,
ottimo per la ricerca, in fase di raccolta e produzione, si trasforma in un attrezzo che
impiega molto tempo rispetto i ritmi di altri strumenti ed affatica l’operatore
eccessivamente. I piatti concentratori rendono più veloce le fasi di fluidificazione,
concentrazione delle frazioni terrigene pesanti e scarico delle componenti terrigene
leggere. Usare questo piatto durante la giornata di ricerca sul fiume è cosa
assolutamente fattibile. Si può concentrare un secchio di sabbia aurifera in non più
di 5 – 6 minuti. Alternando il lavoro di lavaggio con la fase di preparazione del
sedimento da processare, si riesce a non sovraccaricare eccessivamente la zona
320
lombare e quindi non affaticare troppo l’operatore. Il tempo di lavaggio di un secchio
con questo tipo di piatti non è superiore a quello che richiede una canaletta e in una
giornata, mediamente, si possono lavare da 20 a 40 secchi di sabbia.
Come si separa e si recupera l’oro
Il cercatore si propone di recuperare l’oro sfruttando la differenza di densità tra l’oro
e gli altri minerali. È intuitivo che due minerali con densità differente si separino con
il più leggero che sale passivamente e il più pesante che sprofonda attivamente;
avviene un processo denominato stratificazione gravitativa. Il sedimento leggero
risale in quanto al di sotto si accumula il pesante. Per raggiungere questo scopo nella
maniera ottimale, occorre saturare gli spazi liberi presenti nella sabbia aurifera con
l’acqua e renderla “fluidificata”. Questo avviene immergendo il piatto, batea o altro
contenitore in acqua e percuoterlo con scosse e rotazioni senza scaricarne il
contenuto solido. Si procede con un continuo movimento del sedimento all’interno
del contenitore facendo sì che i singoli granelli siano in continuo movimento l’uno
rispetto all’altro. Questa operazione permette alle scagliette d’oro, grazie alla loro
elevata densità, di penetrare lo strato di sabbia, ora fluida, ed affondare nel miscuglio
sino all’estremo limite inferiore della superficie del contenitore (la trappola). Questo
si realizzerà tanto più velocemente quanto minore sarà lo spessore di sabbia da
attraversare. Con gli scossoni e le rotazioni, la sabbia fluidificata continuerà a variare
il proprio scheletro solido nello spazio e i minerali pesanti potranno discendere
sfruttando gli interstizi liberi tra un granulo e l’altro di scossa in scossa. Fatto questo,
l’operazione successiva sarà quella di far passare un flusso d’acqua sulla superficie
dello strumento per eliminare quello che rimane sopra e cioè tutte quelle
componenti della sabbia che avendo una densità minore saranno affiorate. La forza
centrifuga generata dal moto rotatorio e la minima profondità centrale del piatto
rispetto all’esterno, aiuta il sedimento superficiale a fluire naturalmente verso
l’esterno attraverso gli scalini.
321
N.193 Diversi piatti concentratori artigianali messi a confronto. I diversi caratteri strutturali e morfologici possono
essere indice di una attenta analisi delle proprietà, alla ricerca delle migliori prestazioni (foto di G. Rizzi).
Perché usare il piatto concentratore e come usarlo
Si ponga l’attenzione sulle dimensioni: profondità, circa 40‐45 millimetri contro gli
80‐90 millimetri della piatto tronco‐conico e la larghezza di 50 centimetri contro i 36
del tronco‐conico. Nel piatto concentratore la sabbia deve venir versata al centro del
piatto non in eccessiva quantità, formando un cono capovolto e deve rimanere ad
almeno 8 – 10 cm dal bordo. Immerso il piatto in acqua, i primi movimenti decisi di
rotazione e scuotimenti ortogonali faranno sì che il monticello di sabbia si allargherà
e le scagliette eventualmente contenute nel miscuglio scenderanno a depositarsi
sulla superficie interna del piatto. La superficie interna del piatto si presenta come
una sequenza di gironi concentrici e le scagliette, scenderanno sino all’ultimo
“girone” nel piattello centrale, la trappola, la zona più depressa. Al fine di rendere
più veloce l’operazione di “fluidificazione” della sabbia versata sul piatto è
consigliabile setacciare il materiale con una maglia da un centimetro. Sassi troppo
grossi o particolarmente appiattiti possono risultare difficili da eliminare con le
semplici rotazioni, mentre il ghiaietto tondeggiante di un centimetro aiuta a
smuovere il sedimento facilitando l’affossamento verso il fondo delle scagliette
d’oro.
322
N.194 Principi di funzionamento del piatto concentratore circolare tronco‐conico: a seguito dell’introduzione del
sedimento aurifero, il piatto viene leggermente immerso in acqua e procede prima alla fase di shaking (fluidificazione
e stratificazione per densità dei minerali pesanti) e successivamente alle rotazioni (scarico). Gli scossoni vengono dati
in direzioni ortogonali o circolari, ricordando che nella fase di shaking non c’è uno scarico del sedimento grossolano‐
fine introdotto. I limi ed argille però passeranno in soluzione colorando l’acqua di un marroncino (foto di G. Rizzi).
323
N.195 Fase 1: caricamento del sedimento al centro del piatto concentratore, ponendo attenzione a non far
capovolgere il piatto perdendo la sabbia appena versata. Si noti che per il corretto funzionamento del piatto
concentratore non è necessario che l’acqua sia in movimento ad adeguata velocità come per la canaletta (foto di G.
Rizzi).
N.196 Fase 2: scosse ortogonali e successivamente rotatorie, in modo che i minerali vengano stratificati per densità;
l’oro procede al fondo. In questa fase si rende il sedimento sciolto fluido (fluidificazione), cioè tutti i pori nel sedimento
vengono saturati in acqua. I minerali pesanti si concentrano al fondo del piatto e quelli più leggeri via via verso l’alto
(stratificazione per densità). In questa fase non vi è lo scarico del sedimento sterile (foto di G. Rizzi).
324
N.197 Fase 3: moto di rotazione, il quale concentra ulteriormente l’oro al fondo ed elimina le frazioni leggere. Il
concentrato poi viene versato in un piatto tronco‐conico per il lavaggio di rifinitura o un controllo speditivo (foto di
G. Rizzi).
Il mio miglior piatto
A conclusione di tutti i vari esperimenti il piatto che ha dato maggiori soddisfazioni è
quello realizzato con compensato di pioppo di spessore 3 millimetri, verniciato con
impregnante tinta noce, con 12 scalini, un piattello centrale con diametro 140
millimetri, una profondità di 42 millimetri ed è rivestito sulla parte esterna da uno
strato di silicone grigio. Ha una capienza a raso di poco più di 3 decimetri cubi.
N.198 I piatti concentratori possono venir costruiti in casa, con strumenti fai da te e poi testati durante la ricerca al
fiume (foto di G. Rizzi).
325
Materiali usati per la costruzione
‐ 2 fogli di compensato di pioppo (possibilmente senza nodi) da 50 x 50 cm;
‐ Vernice impregnante per legno;
‐ Colla vinilica;
‐ Eventuale pistola spara‐graffette da 8 – 10 mm;
‐ Per la finitura della parte esterna: silicone verniciabile o stucco metallico o
anche solo vernice flatting.
‐
N.199 Misure consigliate per la costruzione di un piatto concentratore (Schema di G. Rizzi).
Procedimento per la costruzione del piatto concentratore
1) Si applica una prima mano di vernice impregnante (di solito di colore noce scuro)
sulle due facce dei fogli di compensato;
2) Si disegnano due linee perpendicolari tra loro che si incrociano perfettamente al
centro dei due fogli di compensato, una delle due linee deve essere allineata alla
326
vena del legno. Queste linee saranno utili in fase di incollaggio degli anelli per avere
una perfetta centratura dei dischi;
3) Si fissa con cera a caldo sui due fogli, all’incrocio delle due perpendicolari
disegnate, due rondelloni che serviranno per far girare il compasso da taglio;
4) Si procede a tagliare gli anelli. Con una mano si tenga fissa al centro la parte
piegata dell’asta del cursore (quella inserita nella rondella di centro) e con l’altra
mano che impugna il cursore‐porta‐lama lo si faccia ruotare con passate successive
sino al completamento del taglio. Sotto al foglio da tagliare si mette un altro foglio
di compensato o cartone spesso perché la lama, passata il foglio da tagliare,
potrebbe rovinarsi e/o incidere il piano di lavoro. Gli anelli tagliati andranno
maneggiati con cura per evitare che si spezzino;
5) Si riveste con carta abrasiva a grana fine una sezione di un tubo di plastica e con
questo attrezzo tondo, si carteggia il bordo interno dell’anello per creare un leggero
angolo acuto (meno di 90°). Il gradino tra lo spigolo e la superficie dell’anello
sottostante deve quindi rientrare leggermente;
6) Si applica la seconda mano di vernice impregnante sugli anelli tagliati e carteggiati,
specialmente sul bordino interno;
7) A vernice perfettamente asciutta, si inizia l’incollaggio e questa è l’operazione che
richiede più tempo e attenzione. Ci si ricordi che gli anelli hanno due facce, quella
che sarà la parte esterna del piatto e la faccia interna sulla quale si avranno i tratti
delle linee perpendicolari che abbiamo in precedenza disegnato. Si incollano gli anelli
in fasi successive: il 1° anello con il 2° , il 3° anello con il 4°, il 5° con il 6°, etc., con la
procedura seguente: su un piano di lavoro, coperto da un foglio di giornale, si poggia
l’anello più grande, si applica un giro di colla su quella parte che verrà coperta
dall’anello più piccolo, si posiziona sopra l’anello piccolo ben centrato servendosi del
riferimento delle perpendicolari precedentemente disegnate e si preme con le dita,
poi lo si appoggia sopra una tavola che copra completamente il cerchio e si aggiunge
centralmente un peso per stabilizzare l’incollaggio. Per evitare che nel tempo il piatto
si possa imbarcare e per renderlo un poco meno elastico occorre fare attenzione che
tra i due anelli che si vanno a sovrapporre nell’incollaggio le vene del legno siano
incrociate. Dopo un paio di minuti la colla avrà già iniziato la presa, delicatamente si
girano gli anelli incollati e si rimuove l’eccesso di colla fuoruscito solo sul lato che
sarà l’interno del piatto. Quando tutte le coppie di anelli saranno saldamente
incollate, si procede alla successiva fase di incollaggio, accoppiando la coppia del 1°
e 2° anello con la coppia del 3° e 4°, la coppia del 4° e 5° con la coppia del 6° e 7°,
ecc. e così sino alla fine degli incollaggi;
327
8) Graffettatura: per fissare meglio gli anelli l’uno all’altro, in aggiunta all’incollaggio
a volte si usano graffette da 8 ‐10 mm. inserire con una spara‐graffette, dall’interno
del piatto verso l’esterno, a distanze regolari sulla circonferenza e piegando
all’interno e ribattendo poi le puntine che fuoriescono sul lato esterno del piatto. Se
l’incollaggio è stato perfettamente eseguito e ha fatto ben salda la presa, la
graffettatura può essere superflua ma è comunque una sicurezza in più sulla durata
e tenuta degli incollaggi;
9) Con carta vetrata si rifinisce il bordo esterno del piatto arrotondando il profilo, per
rendere senza “spigoli” la presa delle dita quando il piatto sarà in uso. Con un
pialletto raspa e/o con un tampone piano rivestito di carta abrasiva grossolana si
smussa sul lato esterno del piatto lo spigolo alla giunzione tra gli anelli (vedere figura
sopra “porzione di piatto sezionato”) per ridurre al minimo la quantità di materiale
che dovrà rendere piana la superficie esterna del piatto;
10) Per la finitura del lato esterno del piatto, si utilizza un silicone verniciabile. Si
consiglia il silicone per la facilità di lavorazione, la leggerezza, l’elasticità e
soprattutto come completamento della impermeabilizzazione. Si stende il silicone
sulla superficie e, con una larga spatola, si riempono a riempire i gradini tra gli anelli.
Con una spugna appena umida, si tampona leggermente tanto da ottenere una
superficie omogenea e con un aspetto di sottile bugnatura. A silicone
completamente consolidato, si procede a verniciare il piatto, anche se questa ultima
operazione non è indispensabile avendo solo valenza estetica. Gli ultimi piatti sono
grigi all’esterno (colore del silicone) e color legno scuro (dell’impregnante)
all’interno. In alternativa alla finitura con il silicone e per avere un piatto ultraleggero,
una volta passata la carta vetrata per lisciare la superficie esterna del piatto, la si
vernicio con uno o più strati di vernice flatting;
11) Per la finitura del lato interno del piatto si utilizza una bomboletta di vernice
spray nero opaco, solo se il colore dell’impregnante non è scuro a sufficienza, per
permettere di distinguere le scagliette d’oro. Eventuale vernice in bomboletta nero
opaco per l’interno, a piacere per l’esterno (meglio colori chiari);
328
N.200 Dettaglio in sezione dell’angolazione degli angoli interni dello strumento tra i riffles (utili per un miglior
funzionamento) e dell’asportazione di quelli esterni di rivestimento, per una minor usura (ausilio anche di stucco)
(schema di G. Rizzi).
Le canalette (sluices)
La tecnica dello sluicing è uno degli emblemi dei vecchi cercatori d’oro e moderni ed
in generale delle corse all’oro. Si costruiscono dei canali e viene fatta passare acqua
e sedimento aurifero. Il fondo del canale, ruvido, agisce da trappola per l’oro, quindi
esso viene raccolto, una volta tolta l’acqua dal sistema. La fisionomia e morfologia
del fondo di trattenuta è ancora oggi argomento di discussione, come l’inclinazione
del canale e la portata e velocità dell’acqua in entrata. Ecco un paio di
approfondimenti per permettere di intravedere la vastità dell’argomento.
N.201 I parametri dimensionali semplificati della canaletta (foto di A. Amelio).
329
N.202 Schematizzazione dei principali parametri dimensioni in una canaletta. Si noti che il fondo trappole, impostato
successivamente al piano di carico è assente nell’esempio.
Nell’antichità i romani hanno utilizzato cantieri per la lavorazione dei placer, dai quali
estraevano oro alluvionale. Dai dati ricostruiti, tendevano a:
‐ Creare un invaso a monte o lago, o sfruttarne uno vicino già presente; quindi
costruire una chiusa;
‐ Creare un canale artificiale vicino al placer da lavorare o dentro di esso in superficie.
Questi li costruivano paralleli tra loro o a pettine;
330
‐ Il fondo era costituito a regola d’arte con una serie di riffles naturali: i ciottoli
embricati;
‐ Collegavano l’invaso a monte o la canalizzazione al canale;
‐ Aprendo l’invaso avevano diverse ore di acqua assicurata al canale, quindi si versava
all’interno il sedimento aurifero classificato o meno. Una volta esaurita l’acqua o
l’invaso chiuso si provvedeva a smontare il fondo embricato delle canalizzazioni
artificiali. Il sedimento rimasto tra i ciottoli, chiamato concentrato, veniva rifinito con
piatti artigianali in legno dal quale si ricavava l’oro. Il fondo veniva quindi ricostruito
ed il canale allungato con i nuovi ciottoli lavati. Il conoide antropico a valle dei canali
di lavaggio veniva scavato per allungare il canale del necessario;
‐ Riprendeva da capo il processo. A volte, nelle porzioni finali del canale si fissava del
muschio naturale in modo da raccoglierlo e successivamente lavarlo per ottenerne
l’oro fine intrappolato. Gli stessi romani avevano applicato a regola d’arte le regole
della natura all’inventiva tecnologica. La taglia aurifera fine però veniva quasi tutto
persa, durante le fasi di alta velocità nel canale artificiale, infatti ancora oggi i
cercatori amatoriali possono ritrovarlo in quantità e con qualche piccola sorpresa
subito a valle delle vecchie aurifodine romane.
Durante le corse all’oro in America si preferì utilizzare delle canalizzazioni in legno. A
volte molto lunghe, esse servivano per trasportare l’acqua anche da lontano verso i
siti di scavo, quindi con badile, notevole pazienza e fatica il sedimento veniva lavato
all’interno dei canali sospesi da traversine. I ciottoli e componenti terrigeni
grossolani venivano accatastati e rimossi se presenti nelle canalizzazioni. Queste
canalizzazioni già possedevano dei salti che poi non sono altro che i progenitori dei
moderni riffles e tendono per quanto possibile a mimare le proprietà delle
embricature naturali. Concentrano il sedimento pesante e lasciano che il fine sia
dilavato. Tali canalette tendevano ad essere molto lunghe, costituite in legno ad assi
e spesso non troppo larghe. Necessarie quindi erano la manodopera, il legno e
l’acqua, tre ingredienti presenti nella corsa all’oro nello Yukon. Con l’avvento della
sempre più massiccia meccanizzazione si sono introdotti i moderni impianti di
lavaggio e i macchinari a movimento terra. L’acqua può essere pompata da bacini
artificiali o invasi creati dagli scavi abbandonati, adiacenti all’impianto.
Nell’impianto, il sedimento aurifero viene introdotto con macchine a movimento
terra come ad esempio escavatori o pale meccaniche. Il sedimento terrigeno subisce
quindi un processamento venendo vagliato, scosso (shaker), dilavato, agitato,
passato magari in cilindri rotanti, quindi il grossolano viene scartato e la frazione
rimanente passa nelle canalette, spesso posizionate in serie (trommel). Queste sono
inclinate ad angoli noti ed hanno i più variegati fondi a trappola. Di solito nella prima
porzione vi sono serie di riffles in metallo (cattura migliorata del grossolano a forte
corrente) per procedere a diminuire la profondità passando ad un metallo espanso
331
a forma di rombi (cattura migliorata dell’oro fine a corrente minore). Sotto i riffles
sono presenti i miner’s moss, tappetini in gomma o riccioli vinilici, i quali non solo
trattengono l’oro con la loro rugosità e morfologia ma tendono a concentrarlo in
posto. Dopo diverse ore o giorni di lavaggio, le griglie vengono rimosse, i tappetini
ed il sedimento soprastante intrappolato vengono estratti e le canalette ripulite al
meglio. Il concentrato viene portato alla fase di rifinitura in cui vi sono le più svariate
tecniche per arrivare ad ottenerne solo l’oro presente.
River sluicing
Obiettivi e note dell’autore
Attraverso i vari paragrafi seguenti, il mio obiettivo è quello di caratterizzare alcune
caratteristiche proprie delle canalette: dalla pianificazione, alla costruzione ed
utilizzo. Dal punto di vista amatoriale fino ad arrivare ad alcuni cenni a quello
industriale. La conformazione del materiale e il grado del recupero dell’oro sono
fattori ed obiettivi fondamentali di una buona canaletta. Uno studio a priori e
modifiche successive durante il periodo di lavoro, portano la canaletta ad essere uno
strumento affidabile e degno di ogni riguardo per il prospettore. Rispetto al piatto
non avrà un impatto il valore della nostra fatica sulla procedura attraverso la quale
lo strumento trattiene l’oro ed elimina gli scarti. Questo fattore è definito affidabilità.
A livello professionale ed industriale è impensabile l’utilizzo del piatto o batea come
strumento principale per la concentrazione del materiale pesante. Le sluices
(canalette) sono l’unico strumento performante a basso costo ma non l’unico!
Vedremo altri sistemi utili a dividere il materiale leggero dal grossolano. Alcuni di
questi strumenti hanno una finalità ben precisa in alcuni contesti. L’obiettivo è di
formare un un bagaglio di informazioni anche al cercatore amatoriale, in modo da
avere idee nuove e fresche da adottare nei suoi impianti e canalette. La caratteristica
notevole dal punto di vista amatoriale è che con pochi materiali spesso si possono
concepire e creare strumenti affascinanti e funzionali (N.53). A volte funzionano o
meno, ma la sperimentazione è una fase importante per arrivare ad un traguardo ed
a un miglioramento tecnologico.
332
N.203 I sistemi trappola o ausiliari sono molteplici: riffles, gradini di vario tipo, metallo espanso, reti di acciaio a
rombi, e molte altre (Foto di A. Amelio).
Anche se alcune canalette rispetto ad altre tendono ad essere più performanti in
molti contesti, non vuol dire che metodi più innovativi e tecnologici non siano da
sviluppare o portare in sperimentazione. Obiettivo fondamentale che mi pongo nei
prossimi paragrafi è insegnare e dare un esempio pratico con alcuni numeri ed
immagini di come costruire una canaletta. Il modello che ritengo più adatto ad un
cercatore amatoriale è il modello tradizionale. Questo non creato da me ma
insegnato e ottimizzato di generazione in generazione è molto versatile in più
occasioni. Vorrei quindi ringraziare alcuni miei maestri in questa disciplina quali
Giuseppe Rizzi per i suoi consigli e materiale che condivido in questo manuale. Silvio
Bianco per altri punti di vista riguardo l’argomento e la spinta verso la scrittura di
questa raccolta. Vittorio Mauri per gli ottimi spunti ed innovazioni che mi ha
consigliato nella scrittura del testo. In poche parole, questo capitolo vuole essere
una raccolta di informazioni storiche e tecniche in modo da potervi lasciare sia una
conoscenza generale sia approfondita sull’argomento, sia una via per costruire ed
ideare una canaletta tutta vostra che si performi al meglio al sedimento che state
lavorando e al grado di ritrovamento che preferite. In generale la canaletta è frutto
di un compromesso. Si ricercano alcune caratteristiche, tali per cui il cercatore lavori
al meglio e più facilmente il materiale aurifero, ricercando una perdita il più possibile
bassa, ma mai del tutto assente. La difficoltà è insita nel valutare le variabili che
intercorrono al momento della lavorazione e nella versatilità dello strumento a
prenderne vantaggio rispetto ad averne una pecca.
333
Scopi e nozioni primarie
L’uomo ha sempre nella storia cercato di adattare alcune caratteristiche naturali ai
propri sistemi di lavoro per alleviare alcune fatiche. Ha sempre ricercato un livello di
ottimizzazione nella strumentazione. Non per niente, ad alcuni balzi tecnologici
hanno seguito periodi di generale benessere. La batea e la canaletta sono due
strumenti pressochè indispensabili per il cercatore d’oro. La canaletta è uno
strumento atto a mimare alcune caratteristiche proprie dei corsi d’acqua.
Immettendo il materiale nella canaletta, essa ne concentra le porzioni pesanti e
quindi anche l’oro. Il resto viene dilavato dalla corrente. Il principale mezzo di
separazione all’interno di una canaletta è l’acqua, attraverso la corrente, il materiale
viene mosso in una direzione e verso principale. Se l’acqua del fiume fosse ferma,
risulterebbe inutile in un contesto di river sluicing. In tal caso, si può utilizzare la
batea piuttosto che il piatto concentratore in acque ferme oppure una sluice solo
con l’ausilio di una pompetta per il ricircolo dell’acqua (highbanking) (illegale questo
ultimo mezzo in molte regioni italiane). Anche l’aria può essere un ottimo mezzo
all’interno di un canale preimpostato (canaletta). Il sedimento è inserito nel sistema
a secco, senza minima traccia di umidità o andrà ad intaccare profondamente
l’efficienza. In generale ha un maggiore grado di recovery una canaletta che utilizza
come mezzo separatore acqua pulita rispetto ad acqua sporca rispetto all’aria. In
alcune aree globali a causa della mancanza o carenza di acqua risulta impossibile
lavorare in un contesto di sluice ad acqua (wet sluiceing) e quindi si preferisce
utilizzare mezzi dry o a secco. Una volta chiarito il mezzo che movimenta e trasporta
il materiale è da chiarire il processo, secondo il quale la canaletta concentra i minerali
pesanti. Granuli con uguale volume possono avere un peso differente. Il rapporto dà
origine ad un valore di densità; l’oro è molto denso e quindi pesante. In un fluido che
mette in moto e rielabora il materiale inserito, a causa della gravità andranno a
sprofondare prima gli elementi pesanti e più lontano i leggeri. La legge di Stokes ci
viene incontro dicendo che due dati sono ancora importanti oltre alla densità: la
dimensione e la viscosità del fluido. “Pietre grosse, oro grosso” non è solo un detto
ma piuttosto una realtà. Rocce e minerali anche di dimensioni diverse e densità
differenti si depositano in un contesto di moto laminare nello stesso momento
secondo la legge di Stokes. Rocce molto grandi rispetto a quelle circostanti sono
ottimi luoghi di prospezione fluviale. Quindi i materiali pesanti si depositano prima
rispetto a quelli leggeri. Un oro grossolano tende a subire la stessa sorte rispetto
all’oro fine. Se la morfologia è molto planare e quindi si avranno pagliuzze appiattite,
esse possono subire un effetto “vela” ed anche se pesanti nel complesso essere
trasportate per maggiore distanza. La canaletta è la ricostruzione dal punto di vista
umano di un corso d’acqua: come il fiume concentra il materiale pesante in alcuni
punti. Si ricerca di mimare i suoi comportamenti all’interno del nostro strumento.
334
L’oro nel fiume viene concentrato tra i clasti embricati o dietro alcuni grandi massi
(N.54). Durante l’evento di piena essi fungono da fondo del fiume e generano moti
turbolenti (rugosità del fondo alveo). L’oro sprofonda tra i clasti embricati che se non
erosi, i quali vibrano ed eseguono una fase di concentrazione ulteriore. Il materiale
leggero o viene trasportato dalla forza della corrente oppure si deposita in altri
luoghi.
N.204 Risulta conveniente suddividere la canaletta per quando possibile in sezioni areali, le quali hanno un significato
all’interno del processamento ed una funzione (foto di C. Migliore).
I riffles o sistemi per eseguire una concentrazione lungo lo strumento hanno
l’analogo nella funzione dei ciottoli embricati e massi durante una piena. Quando
passiamo un materiale selezionato lungo la canaletta stiamo eseguendo il medesimo
lavoro che ha eseguito il fiume sul materiale da noi raccolto. Il prodotto del lavaggio
dei sedimenti intrappolati nella canaletta è di solito un concentrato.
Volumetricamente parlando risulta nettamente minore rispetto al materiale lavato.
L’obiettivo principale della canaletta è fornire al prospettore o cercatore d’oro uno
strumento affidabile e coerente con alcune proprietà del sedimento introdotto in
modo da ottimizzare i tempi di lavoro rispetto la fatica e la raccolta o recovery di oro.
In alcuni ambienti questo compromesso viene portato agli estremi, infatti il
cercatore d’oro amatoriale dovrebbe sempre ragionare se utilizzare un piatto
concentratore rispetto alla canaletta. A volte, per la canaletta non è facile il
piazzamento oppure risulta molto distante e sconveniente. L’utilizzo di un piatto
concentratore risulta migliore per risparmiare viaggi e fatica.
335
Le prime idee di canaletta
La canaletta è fonte di molte discussioni. Tanti sono i modelli attuali, passati e
tradizionali, ognuno funzionante con pro e contro in alcuni ambienti rispetto ad altri.
I romani già utilizzavano una sorta di canaletta naturale oppure modelli simili
fabbricati in legno. Il fiume veniva ricreato localmente nel deposito o in prossimità
attraverso l’impostazione di un canale artificiale. L’acqua fluiva a comando secondo
l’apertura di chiuse poste a monte a bacini o laghi creati ad hoc oppure riutilizzati
con questa finalità. Quindi la manodopera locale buttava il materiale all’interno di
questi lunghi canali nei momenti di piena. L’oro cadeva immediatamente sul fondo
dove si concentrata nelle embricature dei clasti, poste dagli stessi costruttori
mimando il comportamento del fiume. In un secondo momento in assenza
dell’acqua veniva smontato il fondo del canale, raccolto il materiale grossolano e fine
e quindi passato in piatti concentratori di legno o batee. Il fondo del canale veniva
quindi ricostruito con le medesime caratteristiche e quindi riutilizzato in futuro. I
ciottoli sul fondo aggiunti nel processo andavano a far parte del prolungamento del
canale o alla sua costruzione in alcune parti. Al fondo del canale spesso sorgeva un
grande conoide antropico, formato da sabbie di lavaggio, ancora oggi osservabili nel
distretto minerario della Bessa. L’oro fine non veniva trattenuto a dovere in tali
sistemi. Esso veniva trasportato per lunghe distanze e a volte nemmeno trattenuto
da sistemi più avanzati. Punte successive a vecchie aurifodine romane sono talvolte
ricche di oro fine o pagliuzze molto appiattite a causa della perdita di oro dai canali
di lavaggio romani. La loro recovery per oro fine o appiattito era quindi mediamente
bassa. Per cercare di migliorare la recovery di oro fine si cercarono di utilizzare
muschi posizionati nelle fasi finali del canale tra i clasti embricati. Alcune sostanze
spugnose, in quel caso naturali (muschi), erano capaci di trattenere discrete quantità
di oro fine. In Egitto si utilizzavano velli caprini dalla parte folta per cercare di
trattenere l’oro. L’uomo ha sempre cercato di processare maggior materiale
possibile con minor fatica.
336
N.205 Il fondo trappola può sia essere differente nella tipologia di trappola che utilizzare lo stesso pattern, come nel
caso dell’esempio, in tal caso all’utilizzo del miner moss si è preferito l’utilizzo di cave standard. Quando si intende
che la profondità del piano di carico è uguale a quella del piano trappole si intende alla profondità dei riffles rispetto
le anse e non rispetto le trappole, le quali saranno più depresse che la misura appena considerata ovvviamente (foto
di G. Rizzi).
Evoluzione tecnologica
Come visto nell’introduzione, l’uomo rincorre un continuo stato di ottimizzazione dei
suoi strumenti. Il livello tecnologico rende possibile sistemi sempre più complessi,
oppure in ambienti prima non facilmente accessibili (es. artici o aridi). Un altro
fattore importante è l’andamento del mercato: attualmente con la globalizzazione,
si tende a mirare ad un mercato internazionale, specialmente per merci di valore, tra
le quali l’oro. Mentre nel passato si mirava ad un oro prettamente grossolano, in
quanto più facilmente ritrovabile e recuperabile (es. metodi gravitativi), attualmente
si ricercano sempre più metodi (alcuni anche molto particolari) per aumentare la
trattenuta delle porzioni di oro fine ed ultrafine (es. metodi chimici). L’oro nei
giacimenti auriferi secondari si ritrova di diverse dimensioni ma in alcuni casi
piuttosto che altri vi sono alcune taglie che costituiscono la maggior parte dell’oro
estratto. Giacimenti ad oro fine o ultrafine richiedono uno sviluppo tecnologico degli
impianti di processamento maggiore e di solito finanziariamente attuabili ed
economici solo su vasta scala. La tendenza moderna è di ricercare e coltivare
giacimenti con una cubatura il più possibile vasta e con l’oro presente in tenori
economici ma talvolta anche molto bassi. Questi distretti minerari processano
migliaia di tonnellate giornaliere di sedimento e quindi redditizie. Vi sono grandi
entroiti economici e potendo accedere a tale cubatura è possibile rimanere in attività
anche decine di anni. Sono di solito attività finanziate da multinazionali estere che
investono i capitali dove sono necessari e redditizi. Sono imprese meccanizzate fino
337
al midollo, in modo da avere meno costi possibili. Al tempo dell’uomo primitivo e poi
civilizzato, l’oro era sinonimo di ricchezza, associato alle divinità, agli oggetti sacri. In
un secondo momento è passato ad avere un riflesso più economico con la forgiatura
di monete, il quale valore era indicato dal materiale. L’uomo quindi ha dato un valore
alla moneta. In tempi moderni, non avendo la liquidità necessaria, si passò ad
utilizzare carta al posto di monete metalliche preziose. L’uomo diede un valore alla
carta, questa carta però non ha un valore intrinseco come l’aveva la moneta d’oro
piuttosto che d’argento. L’oro rimase un metallo di valore, molto utilizzato nella
gioielleria ed in tempi moderni nell’elettronica. L’uomo cercò l’oro in moltissimi
contesti, basti pensare alle diverse corse all’oro nella storia. In ogni contesto,
ottimizzò i suoi strumenti per poter sfruttare la situazione a proprio vantaggio. In
passato, gli Egizi raccoglievano già l’oro sulle sponde del Nilo, il quale con le sue
grandi piene mobilitava i suoi stessi sedimenti fluviali e attuava un processo di
concentrazione dei minerali pesanti, tra cui l’oro. Con l’avvento dei romani, essi
cercarono e riuscirono ad ingegnerizzare al meglio delle loro possibilità il processo e
crearono cantieri di lavoro, prima in Italia, poi in Spagna ed in Romania. Di nuovo, è
possibile vedere l’evoluzione dal punto di vista ingegneristico e minerario tra i diversi
cantieri posizionati nelle differenti aree dell’Impero Romano nei diversi tempi storici.
Scoperti e coltivati in periodi differenti, questi giacimenti, ora sono in parte solo più
discariche minerarie. Sono un ottimo esempio archeologico delle modalità con cui
l’uomo cercò di lavorare i depositi secondari auriferi nel passato storico. Il minimo
comune multiplo è l’utilizzo di canali artificiali, dai romani fino ad oggi. La
separazione meccanica e gravimetrica dei depositi auriferi secondari risulta uno dei
metodi più efficaci e meno costosi per il recupero dell’oro dalle sabbie aurifere. Si
noti che il recupero chimico (es. carbon in pulp) risulterebbe quello più performante
in termini di recovery ma richiede investimenti iniziali e di gestione nettamente
maggiori.
338
N.206 Le canalette impostate in condizioni al limite possono perdere oro concentrato durante il processamento. Per
capire quando ciò succede e specialmente la quantità di oro dilavato si utilizza un sistema per vagliare i sedimenti in
uscita. Tendenzialmente lungo il piano di carico viene posizionato il millerighe o il cento righe, un sistema di cattura
momentaneo dell’oro presente nelle sabbie in fase di sgranatura. Questa tipologia di trappola funziona al meglio con
acque non troppo veloci e fornisce al prospettore un’indicazione qualitativa della quantità di oro presente nel
sedimento vagliato. Nel tempo potrebbe perdere parte dell’oro intrappolato e quindi risultano necessarie delle
trappole a valle (foto di A. Amelio).
Proprietà di una canaletta
La canaletta è uno strumento che rende al cercatore d'oro meno faticosa la fase di
lavaggio e concentrazione del sedimento aurifero. Nel caso l'operatore si affatichi
durante la giornata di lavoro, la canaletta con le dovute precauzioni, continua a
mantenere il suo standard di ritrovamento e concentrazione. Inoltre, è uno degli
strumenti più vantaggiosi in ambito industriale, attualmente però con alcune
alternative valide. Alcuni fattori che influiscono sul grado di recovery (ritrovamento):
[NB. esso NON è mai 100%, è impossibile recuperare tutto l'oro e spesso si avvicina
più al 70% che al 90%, specialmente in ambito industriale]
Fattura e struttura della canaletta;
La costruzione e la scelta del design sono la prima tappa nella strutturazione
dell’impianto a canaletta. La struttura è la porzione fisica che sostiene e forma lo
strumento e fornisce la dovuta protezione e sede alle trappole o cave. Inoltre, dona
solidità al tutto. Potrebbe risultare il punto di appoggio per ulteriori modifiche, alle
trappole stesse se rimovibili in un secondo momento. Convoglia il flusso idrico.
339
Fattura e disegno del fondo di ritenuta;
Il fondo di ritenuta consiste nella sequenza di trappole vere e proprie, le quali si
appoggiano e vengono sostenute dalla struttura principale. È fondamentale che il
disegno delle trappole sia un compromesso il più positivo e performante possibile
alle variabili in gioco ed al contesto di processamento. Si noti che tali dati si
ottengono di solito già nelle prospezioni iniziali in cui non si arriva di solito all’utilizzo
della canaletta ma piuttosto di utilizza il piatto. Di solito consiste in un compromesso
rispetto la quantità di acqua richiesta, l’inclinazione della canaletta, il sedimento e la
tipologia introdotta, il grado di recovery dell’oro indicativo, il tempo di
concentrazione e la ritenuta nel tempo. Molte altre variabili aggiungono frammenti
al mosaico e talvolta posseggono anche una maggiore importanza di contesto in
contesto.
Disegno e meccanismi di processamento dei primi livelli trappola;
Le prime trappole sono le più importanti in un contesto normale di oro grossolano o
medio‐fine. Tendenzialmente la maggior parte dell’oro si concentrerà in tali livelli e
potrebbe in alcuni casi sfuggire e risultare perso oppure concentrato più a valle lungo
le altre trappole. L’obiettivo è riuscire a concentrarvi più oro possibile senza perdite
nel tempo (ritenuta).
Velocità di concentrazione della percentuale terrigena pesante;
Maggiore velocità di processamento significa una maggiore quantità di sedimento
aurifero selezionato e concentrato nel medesimo lasso temporale. Di solito,
aumentando la velocità, senza i giusti parametri, si incorre in saturazione delle
trappole, quindi l’oro non vi si depositerà nè concentrerà, oppure in assenza di
sediment in processamento, vi potrebbe essere uno svuotamento parziale delle cave
e del loro contenuto. Una maggiore inclinazione della canaletta e una maggiore
velocità dell’acqua tendono ad aumentare la velocità di concentrazione e
processamento. In questi casi, si ricorre ad aumentare la larghezza della canaletta e
se possibile a rendere le trappole “mobili” meccanicamente in modo da ridurre la
saturazione (canalette basculanti). L’oro nell’ambito amatoriale dovrebbe sempre
essere concentrato per la maggior parte nelle prime 2‐3 trappole disponibili. Nel caso
si ritrovi in frazione cospicua nelle trappole successive significa che alcuni parametri
non sono performanti e conviene rivalutare il piazzamento piuttosto che la struttura
della canaletta stessa o il sistema di trappole e ritenuta.
Velocità di pulizia e scarto della percentuale terrigena leggera;
In questa categoria rientra la saturazione, cioè quella variabile che si oppone al
processamento ed alla recovery. Le trappole tendono a processare e concentrazione
340
in poco tempo troppo sedimento aurifero e hanno un fattore di perdita più o meno
elevato (pessimo grado di recovery). A volte il nuovo sedimento pesante in arrivo
salta direttamente le trappole sature (bypass delle cave), altre volte vi si ferma solo
una piccola percentuale di quanto dovrebbe depositarvisi. È primario ridurre al
minimo la saturazione in qualsiasi condizione. Il rateo di sedimento introdotto nel
tempo (feeding costante) aiuta a non arrivare al valore limite di saturazione e
rimanere nei parametri corretti. Il sedimento aurifero viene introdotto dal momento
che le cave hanno raggiunto un grado di pulizia voluto, tipicamente nel contesto
amatoriale si osserva il fondo della cava presso lo scalino successivo (consiglio in
linea di massima).
Velocità dell'acqua in entrata rispetto a quella di uscita (differente nel caso di
canalette con sezione variabile, alcune sluice estere e canavesi);
Alcune canalette hanno una sezione variabile lungo la loro lunghezza, cioè la
larghezza iniziale non è quella finale. La velocità lungo la lunghezza varia, diminuendo
quando la sezione si allarga ed aumentando quando si restringe, ne consegue che la
velocità dell’acqua in entrata è differente da quella in uscita nel caso si avessero due
sezioni differenti. Una sezione con velocità maggiore risulta in un maggior apporto
erosivo rispetto all’esempio opposto con un miglior parametro di deposizione.
Nell’ambito industriale è tipico osservare i tratti finali nelle canalette con un
ampliamento della sezione, la quale rimane costante anche per diversi metri di
lunghezza. Tale contesto aiuta notevolmente la cattura dell’oro fine.
Volume di acqua in entrata rispetto alla richiesta minima per il corretto
funzionamento del disegno del fondo;
La velocità e quantità di acqua in entrata dovrebbe risultare costante nel migliore
contesto di funzionalità. Essa deve riuscire a far funzionare al meglio le cave, in tutta
la lunghezza della canaletta ma preferenzialmente nella porzione di trattenuta
iniziale. Ciò limita notevolmente il design delle cave che procedendo verso la fine
della lunghezza dello strumento devono risultare con caratteristiche migliori per
evitare la saturazione. Inoltre, la lunghezza della canaletta è un limitante in questi
casi: troppo lunga tende a saturare le ultime porzioni nel caso l’inclinazione richiesta
sia minore di quella di posizionamento. Le highbankers, cioè le canalette posizionate
all’esterno, tendono ad avere meno problemi che quelle piazzate nei corsi d’acqua
(river sluices) a seguito delle condizioni note e costanti nel tempo di: inclinazione
imposta e misurabile, flusso idrico costante e selezionabile, etc.
Volume di sedimento aurifero introdotto nel tempo. Se esso è secco o già umido e
saturo;
341
Il rateo di sedimento aurifero introdotto dovrebbe essere il più possibile costante nel
tempo e variabile secondo le necessità dello strumento utilizzato. Dovrebbe risultare
nei limiti del valore di saturazione delle trappole, in modo che non vi sia una perdita
di recovery. Se possibile, le trappole dovrebbero processare il processare lungo tutta
la loro estensione areale e la loro lunghezza nel tempo e non solo lungo alcune
direzioni preferenziali, eccedendo i valori localmente limite di saturazione. Inoltre, è
sconsigliato lasciare le trappole a concentrare per tempi indefiniti il sedimento già
concentrato mentre l’operatore prepara altro sedimento da introdurre. Le trappole,
dopo pochi minuti da quando è terminata la fase di feeding andrebbero ripulite. Nel
caso in cui vi siano canalette molto lunghe, l’oro fine tende a migrare naturalmente
lungo la lunghezza della canaletta di trappola in trappola, fino ad essere
potenzialmente perso definitivamente.
Posizionamento dello strumento;
Questa variabile è di critica importanza, infatti l’inclinazione massima si aggira
attorno ai 15° di pendenza ma è consigliata minore di 10° (circa 6‐7°). Più l’oro è fine,
minore dovrebbe risultare l’inclinazione dello strumento ma tanto è bassa e tanto la
soglia di saturazione limite diminuisce ed è facile incorrere in tale regime negativo
superandola. In contesti di river sluicing è più difficoltoso il posizionamento ed il
mantenimento dello stato ottimale nel tempo per via della variazione della portata
fluviale eccedendo o diminuendo troppo, oppure fornendo un valore di inclinazione
non corretto. È consigliabile per quando possibile l’utilizzo di aste esterne o
gambette di metallo regolabili.
Granulometria del sedimento introdotto;
Inclinazione della canaletta (<10°), inclinazione interna passiva se presente;
Per inclinazione interna passiva si intende l’inclinazione data al piano di scorrimento
dal punto di vista strutturale e non quello imposto dall’esterno nel piazzamento. In
alcune situazioni di river sluicing tale approccio risulta positivo e permette un
342
piazzamento facilitato. L’acqua che sormonta l’entrata più alta, tenderà a fluire per
gravità lungo il piano della canaletta in discesa.
Larghezza, lunghezza, disegno per gestire al meglio la saturazione delle trappole e
ridurla al minimo;
Il design della canaletta dovrebbe essere il miglior compromesso possibile per le
variabili che il prospettore si trova ad interagire. Queste possono essere riconosciute
nelle prime fasi prospezione, talvolta variano durante il processamento.
Facilità e tempistiche della fase di concentrazione lungo le trappole;
È il fattore che si contrappone alla saturazione, un fattore maggiore di
concentrazione tende a diminuire la saturazione ma bisogna essere consci che
esagerare potrebbe portare ad uno svuotamento parziale delle trappole nel tempo,
specialmente durante le fasi in cui il flusso idrico è presente ma non il sedimento
introdotto (assenza di feeding).
Grado di trattenuta durante la giornata;
Una canaletta in acqua senza avere sedimento da selezionare e concentrare perde
una porzione dell’oro fine nel tempo in percentuale variabile.
Materiale ed usura della canaletta;
Disegno del fondo rispetto il materiale processato, ricerca del migliore compromesso
possibile;
Le trappole sono gli elementi strutturali per quanto riguarda la recovery della
canaletta. Esistono diversi modelli che funzionano in diversi frangenti ed eccellono
in alcune situazioni rispetto ad altre.
Facilità di trasporto e messa in funzione della canaletta, montaggio e smontaggio;
Le fasi di spostamento sono critiche perchè lo strumento dovrebbe risultare
posizionato il più vicino possibile all’area di estrazione per ridurre al minimo i tempi
di trasporto e i costi correlati. Inoltre, nello spostamento le condizioni degli
strumenti non devono risultare diminuite per l’usura o danni esterni.
Sistemi per autointroduzione del materiale;
343
Alcune canalette amatoriali ed industriali sfruttano sistemi di feeding automatizzati,
questi sono molto consigliati per imporre un rateo di introduzione del sedimento
aurifero costante che risulti ottimizzato alle condizioni di lavaggio della canaletta. È
inoltre importante ricordare che le trappole non devono solo essere utilizzare
parzialmente dal punto di vista areale. È un ottimo strumento amatoriale il
Dragonfly, invenzione di A. Amelio. Esso infatti permette la corretta operatività della
canaletta in un regime idrico controllato senza l’ausilio di pompe idrauliche o sistemi
meccanici. Il rateo è imposto dall’esterno e anche nei momenti in cui l’operatore sta
selezionando nuovo sedimento aurifero la canaletta processa il sedimento
introdotto precedentemente.
Esperienza dell'operatore a valutare le variabili e attuare modifiche;
Canaletta in policarbonato
Alcuni esempi sono utilizzati dai cercatori amatoriali ticinesi e riprendo la loro
trattazione in quanto esaustiva e ricca di spunti tecnici e pratici sia per la creazione
che la manutenzione, oltre ovviamente l’utilizzo:
Canaletta leggera di tipo tradizionale a gradini (3,200 Kg; lunga 88 cm; larga 43 cm;
8 cave);
Canaletta ultraleggera (0,750 Kg; lunga 88 cm; larga 32.5 cm; spondine ripiegabili) in
versione con tappetino quadrettato (+ 1,000 Kg).
Canaletta ultraleggera nella versione “nuda” – con tappeto quadrettato ‐ con miners
moss.
344
N.207 Esempio semplificato delle modalità di intrappolamento e concentrazione dei minerali pesanti lungo le diverse
trappole o cave e del rateo di feeding (introduzione di nuovo sedimento aurifero). Si noti che l’oro tende a disporsi
preferenzialmente nello spazio e che la saturazione delle trappole tende invece ad ostacolarne la corretta
concentrazione (schemi di G. Rizzi).
Per chiarire l’aggettivo leggero ed ultra‐leggero, la seconda tipologia ha un peso
totale di Kg. 1,750. Il peso potrebbe avere ricadute sulle stabilità in acqua. L’aggiunta
di ciotoli laterali oppure un peso sopra, riduce la possibilità che si sposti o venga
portata altrove durante un innalzamento repentino della corrente idrica. La
larghezza aiuta molto nella fase di processamento del sedimento aurifero tendendo
a diminuire il tempo necessario e la saturazione lungo le cave. Aggiunge però una
maggiore difficoltà nella fase di piazzamento ma sicuramente risulta un buon
compromesso rispetto le ottime proprietà durante il lavaggio. La quantità di
concentrato finale prodotto è per la tradizionale di 500 c.c. e per la ultra‐leggera di
220 c.c. Il vantaggio della tradizionale è la facilità di separare il concentrato più
arricchito delle prime tre cave (circa 180 c.c. con il 95% dell’oro totale) da quello delle
successive. Questo può essere rifinito per aumentarne la concentrazione con il piatto
senza timore di perdere oro. Il vantaggio della ultraleggera è ovviamente nel
ridottissimo peso e la presenza di spondine laterali ripiegabili, le quali riducono
l’ingombro durante il trasporto.
345
N.208 La canaletta in policarbonato: elementi strutturali e misure per la sua corretta creazione anche fai da te
(schemi di G. Rizzi).
Principi per la costruzione di una canaletta
La canaletta tradizionale che sul Ticino viene chiamata dai vecchi cercatori “asse” è
formata da un iniziale piano di carico in cui avviene lo sgranamento e risulta
perfettamente liscio. Sopra di esso viene versata la sabbia aurifera,
precedentemente setacciata, e serve sia come fase di lavaggio sia sgranamento della
sabbia. Di seguito, una serie di listelli (da 5 a 7) è posta perpendicolarmente al flusso
d’acqua che scorre e a distanza regolare tra loro (riffles in senso lato), in modo da
lasciare tra un listello e l’altro una serie di cave o trappole, dove le frazioni pesanti
della sabbia, trascinate dal flusso d’acqua come carico di fondo, andranno a
depositarsi e concentrarvisi nel tempo. Lateralmente all’asse, lungo tutta la sua
lunghezza sono fissate due spondine laterali che contengono il flusso d’acqua e lo
direzionano. Questo tipo di canaletta è specificamente adatto a fiumi di pianura. Le
canalette antiche erano costruite interamente in legno. Molti cercatori amatoriali le
costruiscono utilizzando: legno, acciaio, alluminio, policarbonato, etc. Le misure
possono variare da 40 a 60 cm di larghezza e da 80 a 120 cm di lunghezza.
Volendo fornire dei rapporti di proporzione:
1) rapporto tra larghezza e lunghezza di circa 2 (es. larghezza 45 cm x 2 = lunghezza
90 cm) la misura di lunghezza si definirà meglio in funzione di quante cave (trappole)
e listelli (riffles) e della loro dimensione fisica;
346
2) rapporto tra larghezza e lunghezza del piano di sgranamento o di carico di 0,8 (es.
larghezza 45 cm x 0,8 = lunghezza 36 cm);
3) numero delle cave consigliato: 7‐8;
4) larghezza delle 8 cave: 37‐39 mm; larghezza dei 7 listelli: 32‐35 mm;
5) profondità delle cave: 10 mm;
N.209 Esempi con misure strutturali della canaletta di alluminio (schemi di G. Rizzi).
Approfondimento sulla operatività delle canaletta e sui materiali delle trappole
Con l’attuale disponibilità a prezzi contenuti di nuovi materiali quali: gomme,
plastiche e metalli speciali, le canalette amatoriali ed industriali stanno subendo un
periodo con notevoli innovazioni. I materiali più frequentemente utilizzati per le
trappole di fondo sono: gomma millerighe (piano di carico), tappeti di erba sintetica
(trappole senso stretto), tappeti di resine viniliche a ricciolo (miners moss), tappetini
d’auto a cella quadra (anche lungo l’intera estensione), tappeti a cella quadra di
maggiori dimensioni, reti di acciaio a maglia romboidale stirata (molto consigliati per
l’oro fine), tappetini con disegno specializzato su misura e componibili in gomma o
silicone (Dream mats, Gold Hog line, etc.). Di queste canalette esistono esemplari
prodotti negli USA ed esemplari autoprodotti dove spesso si vedono assemblati in
modo vario i materiali sopra nominati, con soluzioni personalizzate. Ogni tipo di
trappole possiede parametri di concentrazione e ritenuta variabili a seconda sia dei
parametri intrinseci che esterni (flusso idrico e rateo di introduzione del sedimento).
È possibile anche utilizzarne una combinazione lungo lo strumento per ottimizzare la
recovery delle diverse frazioni aurifere presenti nelle sabbie.
347
N.210 Il fondo‐trappola di una canaletta può essere concepito per diverse finalità e sedimenti. In generale è
consigliabile costituire il fondo con gli strumenti necessari al massimo grado di recovery. La gomma tende ad essere
utilizzata lungo il piano di carico, l’erba sintetica e il ricciolo vinilico nel fondo‐trappola in senso stretto. È da
sottolineare l’importanza per la trappola dello stato di vibrazione continuo (il quale se presente non dovrebbe
risultare mai eccessivo!), infatti esso consente un miglior grado di concentrazione dell’oro e della sua successiva
recovery.
A parità di dimensioni (superficie del fondo) e di numero di secchi di sabbia
processati, il risultato, inteso come quantità di oro trattenuto, non ci sono
generalmente differenze tra canalette tradizionali e moderne. Cambia tipicamente
la quantità di concentrato che si ricava a fine giornata, maggiore con quelle moderne
ma dipende dalla fattura (varia a seconda del fondo usato: erba sintetica, miners
moss, tappeti di gomma, etc). A fronte di una minore quantità di concentrato a fine
giornata, la canaletta tradizionale, essendo più sensibile alle variazioni di flusso
dell’acqua, richiede una precisione e cura di sistemazione e operatività maggiore,
possibili solo le caso si avesse una buona esperienza. Le canalette moderne in
generale sono molto più facili da posizionare in acqua perché le “trappole” della
lamiera e del tappetino sono meno sensibili alle variazioni di direzione e di flusso.
Condizioni performanti per utilizzare la canaletta
È importante avere un flusso d’acqua il più possibile costante nel tempo, che entri
con una direzione quanto più possibile centrale rispetto la canaletta. L’acqua fluirà
liberamente lungo lo strumento grazie al gradiente idraulico. Poiché la canaletta
possa funzionare al meglio, il livello dell’acqua che fluisce sul piano dovrà essere
variabile dai 2 ai 4 cm. Si potrà in alcuni casi avere già naturalmente a disposizione
acqua che scorre in pendenza e non si farà altro che piazzare lo strumento utilizzando
i sassi più piatti come basamento di appoggio per il fondo della canaletta e i più
grossi, appoggiati lateralmente alle spondine per fissarne il posizionamento. In
qualche caso, per rendere più sicuro e stabile il posizionamento, si potrà appoggiare
qualche sasso sopra le spondine. Per fare in modo che alla canaletta l’acqua arrivi senza
348
onde o turbolenze (livello idrico costante) sarà utile eliminare per un paio di metri a
monte tutti quei sassi affioranti che creano turbolenze e deviano localmente il flusso. È
inoltre fortemente consigliato eseguire le attività correlate al processamento del
sedimento aurifero posizionandosi ai lati della canaletta e non passare mai presso
l’entrata dell’acqua. Più complicato risulta la sistemazione della canaletta in presenza di
una “rapida”. Nel caso che la velocità dell’acqua in entrata sulla canaletta risulti troppo
veloce ci sarà il rischio che anche l’oro possa venir trascinato via, specialmente le taglie
più fini. L’operatore può rallentare la corrente idrica in entrata ponendo una serie di sassi
a scacchiera distanti un paio di metri a monte della canaletta. In presenza di un
“correntino” (termine gergale che indica il tratto di fiume in piano ma caratterizzato da
flusso idrico con discreta velocità privo di increspature superficiali e con un fondo, dalla
riva verso centro‐fiume, non troppo profondo) si può creare il salto d’acqua che serve
per la canaletta opponendo alla corrente d’acqua del fiume uno sbarramento definito
“diga”, tipicamente a forma di imbuto. Altra necessaria richiesta è che il flusso d’acqua
che percorre la canaletta sia perfettamente parallelo alle due spondine laterali e si è certi
di questo quando si formeranno sulla superficie dell’acqua due ondine che partendo
dagli angoli di ingresso convergeranno disegnando una “V” con la punta perfettamente
al centro della canaletta. In questa condizione la sabbia trasportata dall’acqua incontrerà
le cave tra i listelli con una direzione perfettamente ortogonale. La sabbia già fluita come
carico di fondo lungo la canaletta dopo lo scarico tenderà a depositarsi accumulandosi
all’altezza del bordo d’uscita della canaletta e potrebbe rallentare lo scarico di nuova
sabbia aurifera. Nel qual caso, per ripristinare un libero deflusso, si dovrà rimuovere la
sabbia che si è accumulata allo scarico. Per ridurre questo inconveniente è bene che a
inizio lavoro si possa già avere una cascatella d’acqua. La sabbia tende a formare
all’uscita dello strumento un piccolo conoide, composto dagli scarti del processamento
(eng. tailing). Mentre il piano di carico mostra in modo qualitativo la presenza di oro e la
relativa abbondanza, sono le cave i principali strumenti di concentrazione del metallo
prezioso ed in generale dei minerali pesanti. Ogni porzione della canaletta ha una
principale funzione che andrebbe ragionata ed ottimizzata al meglio:
‐ Piano di carico: risulta in un piano di sgranamento del sedimento aurifero e
fluidificazione. Talvolta è presente un millerighe o centorighe che mostra in
modo qualitativo la presenza di oro. Altre volte è liscio e si utilizza una “spia” per
determinare la quantità di oro relativa del sedimento processato.
‐ Fondo trappole: si intende la sommatoria delle diverse porzioni successive al
piano di carico con la funzione di trattenere i minerali pesanti (tra cui l’oro) e
concentrarli. Particolarmente importanti sono le prime tre cave, dove l’oro
tenderà a concentrarsi per la maggior parte.
349
N.211 La spia è una piccola cava impostata verso il termine del piano di carico. Risulta importante per osservare in
maniera speditiva il contenuto aurifero dei sedimenti appena sgranati (foto di G.Rizzi, modificata).
N.212 La prima trappola o cava, in condizioni ideali o standard, risulta quella più importante dal punto di vista di
ritenuta di oro e metalli pesante in genere (foto di G. Rizzi, modificata).
350
N.213 Le prime trappole tenderanno a risultare quelle più ricche in minerali pesanti, nel caso in cui la saturazione sia
bassa (foto di G. Rizzi).
La diga: metodi per direzionare l’acqua in entrata
Sul fiume il materiale da costruzione certo non manca, bisogna solo utilizzarlo al
meglio. I grossi sassi specialmente quelli con un lato appiattito sono l’ideale e solo
con questi, messi a “coltello”, i cercatori del secolo scorso costruivano la diga che
convogliava l’acqua alla canaletta. Oggi è molto più semplice, un semplice foglio di
plastica steso a monte sopra i sassi che si posizioneranno può formare la diga. Verrà
premuto dalla pressione dell’acqua contro lo sbarramento e andrà a chiudere le falle
tra un sasso e l’altro permettendo di raggiungere il risultato voluto con una diga di
ridotte dimensioni. Nell’arco della giornata per cause naturali ma spesso antropiche
(sistemi di irrigazione: dighe o chiuse mobili), possono verificarsi variazioni del livello
idrico. Per rimediare a questo inconveniente è bene, quando si prepara la diga,
sovradimensionarla, lasciando a metà della sua lunghezza una apertura per lo
scarico. Se il livello dell’acqua cala, richiudendo il tratto di scarico sarà possibile
ripristinare il livello, al contrario in caso di aumento del livello si aumenterà
l’apertura dello scarico.
351
N.214 La implementazione di un imbuto naturale, utilizzando i ciottoli fluviali, è importante per gestire un buon flusso
idrico, con la finalità di convogliare abbastanza acqua e con la velocità adatta all’utilizzo della canaletta (foto di C.
Migliore).
Diga ad imbuto completo
Su un torrente o su un fiume, dove il letto vicino alla sponda non diventa subito
profondo, il miglior sistema di preparazione della diga che convoglierà l’acqua alla
canaletta sarà quello di costruirla ad imbuto. Si costituiscono due file di sassi che
formano una “V” all’apice della quale verrà posizionata la canaletta, ciò permette di
avere una simmetria di spinta dell’acqua in entrata e un convogliamento. Di
conseguenza l’acqua scorrerà sulla canaletta con una direzione allineata alla sua
lunghezza. Si avrà la sicurezza di questa centratura quando si potrà osservare sulla
parte iniziale della canaletta due ondine che partendo dai bordi esterni in entrata
andranno a convergere perfettamente al centro, disegnando una punta di freccia
indirizzata verso lo scarico della canaletta.
Diga a mezzo imbuto
Se il letto del fiume dalla sponda verso il centro fiume diventa abbastanza profondo
tanto da impedire di realizzare la diga a imbuto completo, converrà ripiegare sulla
soluzione a mezzo imbuto. La postazione per la canaletta sarà vicina alla sponda e la
diga sarà formata da un unico sbarramento indirizzato verso monte e verso il centro
fiume. Questo creerà un’asimmetria nella direzione e velocità dell’acqua in entrata
sulla canaletta e l’acqua entrerà di traverso. Questa evenienza è di quasi assoluto
impedimento al funzionamento della canaletta tradizionale per cui si dovrà cercare
di cambiare direzione al flusso d’acqua deviando e rallentare il flusso che arriva dal
352
centro fiume. Poco prima (30‐40 cm) dalla spondina della canaletta verranno disposti
altri sassi formando una ulteriore diga che costringa l’acqua in arrivo a deviare verso
monte. Superato il limite dello sbarramento l’acqua si reindirizzerà verso lo scarico
della diga che è il passaggio sulla canaletta, questa volta ci arriverà da monte verso
valle. Dopo qualche aggiustamento si troverà la giusta soluzione e si vedranno le
ondine dalle spondine convergere verso il centro.
Sedimento aurifero per la canaletta
Usando una canaletta tradizionale è meglio utilizzare per setacciare una maglia di
setaccio di misura doppia delle dimensioni massime delle scagliette che
ragionevolmente si spera di trovare. Usando una canaletta con tappeto d’erba
sintetica o miners moss è utile una maglia un poco più larga. I granelli di maggiori
dimensioni fluendo lungo il percorso, urtando le piccole sporgenze dei fili, creano
continue vibrazioni che facilitano l’affondamento nello spessore del tappeto, delle
scagliette d’oro che si sono fermate in superficie, permettendo una concentrazione
ottimale dell’oro fine in particolar modo.
N.215 Miner moss e tappetino a celle quadre messi a confronto. Ogni tipologia di fondo trappola lavorerà meglio in
alcune condizioni rispetto ad altre (foto di G. Rizzi).
Alimentazione della canaletta
Due sono i principali strumenti per versare la sabbia aurifera sul piano di carico della
canaletta:
1) Utilizzando una sessola: è il palotto di capacità varie normalmente usato per
granaglie. Ha sezione tonda con spondine alte per far in modo che il contenuto non
353
fuoriesca lateralmente e il bordo d’uscita arrotondato. Se ne trovano di alluminio ma
le più pratiche ed economiche sono in plastica bianca;
2) Utilizzando il “ponte” che è un asse (a volte bucato) che vien posto a sbalzo a
monte della canaletta e poggiato all’inizio delle spondine. Il secchio di sabbia viene
completamente versato sopra e di seguito o con la mano o con un rastrelletto si
trascina una porzione di sabbia aurifera sul bordo e la si lascia cadere sul piano di
sgranamento distribuendola su tutta la larghezza della canaletta per quanto possibile
e quando ritenuto vantaggioso, cioè quando le trappole successive hanno un valore
di recovery potenziale alta (bassa saturazione in quel momento).
Preparazione per la fase di carico della canaletta
Si posiziona la seggiolina di fronte alla canaletta in modo da poter da seduti
appoggiare i piedi poco avanti e ai lati delle due spondine, facendo attenzione che la
posizione non crei ostacoli o turbolenze all’acqua in entrata. Si sistema il secchio con
la sabbia aurifera in posizione ben stabile a sinistra della canaletta o destra, sulla
base della nostra comodità. La sabbia nel secchio può essere, a seconda del metodo
di setacciatura usato, asciutta o umida e può contenere una varia frazione di limi o
argilla. La sabbia asciutta non affonda immediatamente, infatti la porzione fine tende
a non concentrarsi al fondo dello strumento fintanto che non diventa satura. È lo
stesso fenomeno che può accadere quando, rifinendo un concentrato aurifero in un
piatto con poca acqua, si vede qualche scaglietta delle più sottili e piane essere
sollevata e galleggiare trattenuta in superficie dalla tensione superficiale dell’acqua.
Per evitare questo si dovrebbe aggiungere nel secchio una buona quantità di acqua.
Nella sabbia abbondantemente satura in acqua si ottiene che subito l’oro scende sul
piano di sgranamento durante la fluidificazione del sedimento. Si aggiunge acqua al
secchio anche se la setacciatura è stata fatta a umido perché spesso accade che il
limo e/o argilla contenuto nel secchio setacciato formi grumi compatti che non
sempre si sgranano velocemente nel primo tratto della canaletta. Anche in questo
caso avere sabbia abbondantemente satura in acqua aiuta a ridurre l’inconveniente.
354
N.216 Negli scatti sovrastanti, in senso orario è possibile osservare l’operazione corretta per il caricamento del
sedimento aurifero sul piano di carico con l’ausilio della sessola (foto di G. Rizzi).
Utilizzo della sessola
Si affonda la sessola nel secchio riempiendola a metà di sabbia aurifera satura e
finendo di riempirla con una certa quantità di acqua. Si appoggia l’estremità tonda
della sessola sulla superficie dell’acqua a sinistra e inclinandola un poco in avanti si
inizia a far fuoruscire la sabbia sul piano di carico spostando la mano da sinistra sino
alla spondina destra, nel passaggio di ritorno da destra a sinistra senza scaricare
sabbia si raccoglie una minima quantità d’acqua e di nuovo da sinistra a destra si
scarica altra sabbia dalla sessola. Ad ogni passata si vedrà la sabbia scendere
formando una linea diagonale sul piano di sgranamento della canaletta o piano di
carico. Normalmente 3 o 4 passaggi svuotano completamente la sessola dalla sabbia.
Questa sequenza, se ben eseguita, permette alla sabbia nel percorso iniziale sul
piano di sgranarsi completamente e alle scagliette d’oro di esser concentrate nella
prima cava nelle condizioni migliori per essere accolte e conservate. Nell’ultimo
movimento, quello di ritorno da destra a sinistra in direzione del secchio, viene
prelevata una certa quantità d’acqua da aggiungere nel secchio. La modalità di
deposizione dei minerali pesanti nelle cave di una canaletta tradizionale è la
seguente: Il sedimeno leggero viene trasportato dal flusso d’acqua scavalcando le
cave, i sedimenti con più alto peso specifico rotolano sul piano della canaletta e
quando trovano la prima cava vengono trattenuti nella depressione arrivando sul
fondo della cava e concentrandosi. Il passaggio continuo di altri granelli di sabbia farà
si che si creino vibrazioni all’interno del sedimento già concentrato nella cava e
questo progressivamente porterà l’oro (il più pesante delle componenti pesanti) ad
355
annidarsi sempre più a fondo e sempre più richiamato nella parte a monte della cava.
Le vibrazioni sono generate dal flusso idrico prevalentemente.
Pulizia della canaletta
Questa fase risulta critica, in quanto tutta la produzione potrebbe venire
compromessa in pochi minuti se eseguita nel modo errato. Si rimuove la canaletta
dal flusso d’acqua. Mentre prima era conveniente avere un flusso d’acqua nella
canaletta, nella fase di rimozione potrebbe portare una perdita del sedimento
aurifero concentrato. Il consiglio è di deviare l’acqua in entrata e rimuovere lo
strumento facilmente senza perdite del contenuto aurifero. Si passa quindi al
lavaggio della canaletta. Essa viene inclinata verso uno dei due angoli interni, il
materiale concentrato scivolerà naturalmente verso questo angolo che in questo
momento agisce come una trappola locale. Essendo la canaletta inclinata in questa
fase verso terra è consigliabile utilizzare un contenitore capiente e sicuro in modo
che nel lavaggio delle trappole o cave tutto il sedimento si concentri nel contenitore
prescelto, pulito e vuoto, oltre che posizionato stabilmente. Il sedimento si
concentra verso un angolo, quindi procede verso il fondo della canaletta, quindi nel
contenitore scelto. Spesso si preferisce versare acqua sulla canaletta in questa fase
per lavare il sedimento al meglio e in poco tempo. L’accortezza è che l’acqua
utilizzata sia pulita il più possibile e che nel processo tutta si accumuli nel contenitore
di riferimento, senza schizzi verso l’esterno o simili. Si passa alla fase di rifinitura del
concentrato sia in sito oppure a casa. In entrambi i casi, il concentrato scartato
dovrebbe essere conservato per una rifinitura successiva, quindi si utilizzano dei
contenitori di sicurezza. Questa tecnica è consigliata sia al fiume che a casa. Si
consiglia di eseguire la pulizia della canaletta nella maniera più accurata possibile e
per quanto risulti possibile lungo la riva del fiume dove non vi possa essere uno
sversamento del secchiello di raccolta o della canaletta.
Alcuni inconvenienti con la canaletta
1) improvvise variazioni del livello dell’acqua;
2) rami e foglie che si fermano sulla canaletta e alterano il regolare deflusso
dell’acqua;
3) animali liberi che provocano danni oppure alterano il regolare deflusso dell’acqua;
4) intervento umano esterno, volontario o meno.
Ricerca dell’oro con metal detector (Autore: Luca Calabrese)
Introduzione e ringraziamenti
356
Vorrei ringraziare l’autore delle prossime pagine dedicate alla ricerca con strumenti
elettronici, quali metal detector, dell’oro primario e secondario. Infatti, oltre alla
grande esperienza teorica e sul campo, è un esempio per molti che si approcciano a
questo fantastico tipo di ricerca. È giusto porre attenzione sulle capacità dei
differenti strumenti e cercare di ottimizzare al massimo la performance rispetto agli
obiettivi.
Aspetti normativi
Per tale argomento complessi in materia giuridica e legale, gli autori declinano ogni
responsabilità. Chi utilizza i seguenti strumenti per la ricerca dell’oro dovrebbe
essere conscio delle diverse norme in vigore e di conseguenza informarsi prima di
procedere.
Svolgimento
Grazie alla tecnologia moderna è ora più facile cercare oro, anche in quantità
minuscole. Con l’avvento dei metal detector a bassissima frequenza (denominato
VLF) e i metal detector ad Induzione/pulsazione (PI), possiamo verificare, anche sui
siti internet e video su Youtube, le mostruose capacità di questi metal detector. I
metal detector VLF per la ricerca dell’oro operano principalmente su frequenze che
variano dai 40 ai 75 khz (ma anche oltre), e grazie a queste frequenze possono
segnalare piccole pepite d’oro grosse quanto la metà della punta rossa di un
fiammifero ad un paio di centimetri di distanza. Più si sale di frequenza, più saranno
sensibili a pezzi piccoli, ma meno andranno in profondità. Diciamo che vanno bene
per ricerche su luoghi dove sorgono ex miniere e sui sentieri utilizzati dai vecchi
minatori per trasportare l’oro, dove sicuramente qualcosa si è perso e rimane ancora
lì, tutto da trovare. Per iniziare, voglio specificare che non c’è assolutamente
differenza, per quanto riguarda potenza di ricerca, tra un detector con schermo e
senza. L’unica differenza considerevole sarà la durata della batteria e il “vantaggio”
di poter osservare i VDI (che sono dei numeri che identificano il tipo di metallo) ma
che a noi non interessano per nulla nella ricerca dell’oro. I detector che vi
menzionerò sono professionali e dedicati solo alla ricerca dell’oro, eppure non hanno
uno schermo. Prendiamo l’esempio di un metal detector che io adoro: il Minelab
Eureka Gold. Questo modello particolare ha la possibilità di poter commutare tra tre
frequenze operative diverse; 6.7, 20 e 60 khz.
Sui 6,7 khz abbiamo la massima profondità disponibile. Questa frequenza ci
permette di poter cercare oro di grandi dimensioni anche abbastanza profonde (ma
per cercare ancor più profondi sarà necessario cambiare la piastra di ricerca con una
compatibile, ma più grande; non meno di 14 pollici di diametro). Naturalmente c’è il
357
pro e il contro, e cioè non vi sarà possibile trovare oro di piccole dimensioni in
superficie.
Sui 20 khz abbiamo un raggio medio di azione; questa frequenza è ottimale per
cercare monete a media profondità (anche qui vale la regola che ho elencato prima,
cioè la profondità dipende dalle dimensioni della piastra, ma direi che va bene quella
fornita di serie con metal detector) e quindi adatta a cercare sia oro che monete
senza troppi problemi.
Sui 60 khz abbiamo un raggio di profondità di 5 cm circa e la possibilità di trovare
pepite piccolissime, e a questa frequenza sarà difficile che vi sfugga qualcosa.
Andiamo incontro, però, ad una serie di problemi alla quale vi abituerete ben presto:
Per prima cosa la piastra diventa molto sensibile alle cosiddette “hot rocks”, cioè le
pietre ad alto contenuto di minerali e ferro. Questo è un problema che riguarda tutti
i metal detector VLF, nessuno escluso. In certe occasioni vi sarà possibile cancellare
l’effetto, in altre no, a causa della grande quantità di ferro o minerale di disturbo (tra
cui anche il sale).
Altra cosa che è assolutamente necessaria nella ricerca dell’oro, sia profondo, sia in
superficie, è il rumore di soglia (in inglese “Threshold”). È assolutamente
indispensabile per vari motivi: Per prima cosa serve per accorgersi, nel caso si stia
cercando con discriminatore, se il detector sta scartando qualcosa. Per seconda cosa,
serve per sentire le più piccole variazioni possibili, che sono poi quelle variazioni di
segnale che ti permettono di trovare pepite profondissime oppure pepite
piccolissime in superficie. Per terza cosa, serve anche per capire se la
mineralizzazione del terreno sta cambiando, e quindi, se il detector non ha la
possibilità di autobilanciarsi, per stabilizzarlo nuovamente al nuovo tipo di terreno
(che può cambiare molte volte in pochi metri oppure non cambiare mai per tutto il
corso della ricerca). Per finire, serve anche per capire se il detector è in funzione e
tutto procede per il meglio. Molti detector VLF hanno quel segnale di soglia, ma molti
altri no. Di solito solo i detector specifici per la ricerca dell’oro la includono, perché
è un accessorio assolutamente indispensabile, e mi viene in mento un altro modello,
oltre quello che vi ho già elencato, che è il Fisher Gold Bug 2. Solitamente i migliori
metal detector specifici per oro VLF non costano più di €1000. I modelli a Pulsazione
(PI), invece, operano diversamente. Oltre a costare una cifra non indifferente (si
parla di cifre dai € 3000 in su) non hanno una frequenza operativa, ma la sensibilità
varia in base alle dimensioni della piastra e all’elettronica del detector; l’aumento di
sensibilità è solo data dalla velocità di scansione del terreno. Più è veloce la
scansione, più sarà sensibile la piastra, e più è piccola la piastra, più troverete pepite
piccolissime. Anche qui vale la regola del VLF; più è piccola, più troverete oro piccolo
e poco profondo. Più è grande, più ne troverete profondi e di grosse dimensioni. Dei
358
modelli consigliati mi vengono in mente l’SDC 2300 (Minelab) che è stato progettato
per trovare oro di dimensioni ridicolmente piccole, ai modelli più grandi (quale il GPX
5000 e il GPZ 7000) che sono capaci di scansire a profondità ragguardevoli anche solo
con piastre da 14”. Il vantaggio del detector a pulsazioni è quello di non subire le
interferenze del terreno, anche altamente mineralizzato; quindi non ci saranno più
problemi di segnali falsi sulle “Hot Rocks”, perché potranno essere scartate
semplicemente “Insegnando” al detector di evitarle come materiale non
interessante. Spesso e volentieri i segnali fasulli verranno anche invertiti o segnalati
in modo anomalo, facilitandovi il compito senza farvi perdere tempo. L’unico
svantaggio che mi viene in mente, ma che non interessa ai cercatori d’oro, è che la
discriminazione è molto rudimentale, e si limita al solo ferraccio e a pochi centimetri
di profondità, mentre un VLF discrimina anche a grande profondità. Però un
cercatore d’oro non userà mai la discriminazione, né in VLF e nemmeno in PI, proprio
perché serve tutta la sensibilità disponibile per la nostra ricerca, e usando la
discriminazione dei metalli, questa sensibilità verrà dimezzata, senza contare che se
si trova una pepita d’oro mista a ferro al 60%, si rischia di perderla proprio perché il
detector si concentrerà sulla discriminazione del ferro e non rivelerebbe l’oro
rimanente. I luoghi più idonei a questo tipo di ricerca sono le colline (specialmente
se sotto di esse ci passa un torrente o fiume storicamente ricco di ritrovamenti
auriferi), le vecchie miniere e sopratutto i sentieri utilizzati per il trasporto dell’oro, i
canali di scolo che spesso si costruivano sopra le miniere (per evitare che la pioggia
inondasse le stesse) e i pezzi di quarzo che venivano estratti dalle miniere (dentro e
intorno ci possono ancora essere delle piccole tracce di oro). Osservate sempre il
terreno per vedere se affiora la roccia madre e controllate le crepe, raccogliendo
magari dei campioni di terra per setacciarli non appena avrete l’acqua a disposizione.
Sulla roccia madre troverete sempre tracce di oro, anche minuscole.
Per finire, mi piace consigliare un metodo di ricerca con la quale ho avuto successo
in Australia, ed è quello dei tre passaggi (valida con tutti e due i tipi di metal
detector). Occorre molta pazienza, ma penso che un cercatore ne sia ben
equipaggiato. Una volta giunti sulla zona d’interesse, si inizia la ricerca con una
piastra di dimensioni piccole (dai 5 agli 8 pollici) per eliminare/trovare tutti gli oggetti
in superficie o comunque a profondità ridotta. Una volta che si è sicuri di aver trovato
tutto, si cerca nuovamente con una piastra di dimensioni medie, che varia dai 10 ai
14 pollici. In questo modo il terreno sarà sgombero da tutte le interferenze causate
dagli oggetti trovati con la piastra più piccola. Il terzo passaggio riguarda la ricerca in
profondità, cioè con una piastra che varia dai 15 ai 18 pollici (tenete conto che la
piastra più grande consuma più corrente, quindi la durata della batteria sarà minore)
e in questo modo avrete la possibilità di trovare pepite profondissime, senza subire
359
interferenze da oggetti che avrete già eliminato. Le marche e i modelli che consiglio
per questo tipo di ricerca sono:
Minelab (VLF): Eureka Gold
Minelab (Pulse Induction)
Modello: Tutta la serie GPX (4500, 5000), SDC 2300, GPZ 7000
Garrett (VLF) Modello ‐ AT Gold
Garrett (Pulse Induction) Modello ‐ ATX Extreme
FISHER Modello – Gold Bug 2
Per altre informazioni, e la lettura di una splendida avventura aurifera in Australia, vi
consiglio il mio libro “L’oro è dove lo si trova”, edizioni Sandit (codice ISBN
8869281698).
360
Bigliografia
Premessa:
Gli articoli che vengono di seguito riportati sono presenti in maniera sintetica nel
testo come segue: (Autore primario, data di pubblicazione). Essi sono nella seguente
bibliografia riportati per intero.
Le immagini presenti con la sigla propria (es. GR, Giuseppe R.) sono state utilizzate
con il consenso degli autori primari, i quali sono anch’essi cercatori d’oro.
Le immagini presenti senza la sigla ma con fonte esterna sono riportate in bibliografia
che segue nella dedicata sezione.
Le immagini presenti che non rientrano nelle categorie prima citate sono repertorio
dell’autore primario e dei suoi collaboratori.
Articoli, pubblicazioni, libri
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374
INDICE
Ringraziamenti ............................................................................................................ 3
Prefazione dell’autore ................................................................................................ 5
L’autore ...................................................................................................................... 7
Introduzione ............................................................................................................... 9
L’oro e la genesi stellare ............................................................................................. 9
L’oro e le sue proprietà fisiche e chimiche ............................................................... 11
Mineralogia dell’oro ................................................................................................. 13
Applicazioni commerciali .......................................................................................... 14
Geochimica dell’oro .................................................................................................. 15
Oro, leghe ed inclusi ................................................................................................. 20
Morfologia dei granuli d’oro .................................................................................... 24
Le proprietà cristallografiche dell’oro cristallino ..................................................... 31
Il ruolo dell’alterazione chimica e degradazione fisica ............................................. 32
L’estrazione dell’oro fine .......................................................................................... 36
Stime composizionali visuali dell’oro ....................................................................... 37
Oro e storia ............................................................................................................... 39
Introduzione ............................................................................................................. 39
Preistoria, uomo ed oro ............................................................................................ 40
L’influenza sumera e le civiltà antiche...................................................................... 41
L’avvento dell’Egitto: oro e religione ....................................................................... 42
Svolte scientifiche nell’antichità, il mondo ellenico ................................................. 44
Roma: guerre e prospezioni minerarie ..................................................................... 47
Asia e Cina ................................................................................................................ 50
Il Medioevo in Europa .............................................................................................. 51
La scoperta del Nuovo Mondo ed il Rinascimento ................................................... 52
La rivoluzione industriale ......................................................................................... 54
Le grandi corse all’oro del diciannovesimo secolo ................................................... 57
L’epoca moderna e il prossimo futuro ..................................................................... 61
I depositi auriferi primari .......................................................................................... 62
Introduzione alla geochimica dei depositi auriferi primari e degli arricchimenti
supergenici ............................................................................................................... 62
Definizioni: Depositi* auriferi primari e secondari ................................................... 64
Il motore dei fluidi idrotermali ................................................................................. 66
La circolazione idrotermale ed i fluidi idrotermali ................................................... 72
Classificazione dei sistemi idrotermali ..................................................................... 75
Prospezione mineraria, fattori critici e chiavi di prospezione .................................. 86
Classificazione dei depositi auriferi primari ............................................................. 89
Giacimenti ed ubicazione spaziale e temporale ..................................................... 108
La geologia strutturale e i depositi auriferi primari ................................................ 111
Oro ed orogenesi .................................................................................................... 115
375
Età delle principali orogenesi ................................................................................. 116
Uno sguardo ai depositi auriferi primari mondiali ................................................. 117
L’arricchimento supergenico .................................................................................. 120
Alterazione di retrocessione ed arricchimento supergenico ................................. 122
Il ciclo biogenico dell’oro ........................................................................................ 123
Il ciclo biogenico dell’oro – dalla mineralizzazione primaria alla superficie .......... 123
Il ciclo biogenico dell’oro – dalla superficie all’orizzonte B e C: la genesi delle pepite . 126
Applicazioni nel settore minerario ......................................................................... 127
Il ciclo biogenico dell’oro negli ambienti superficiali – Estrazione dell’argento e
precipitazione di oro nanoparticolato .................................................................... 130
Il modello abiotico HE ............................................................................................. 130
Il ciclo biogenico dell’oro in ambienti non superficiali ........................................... 132
Considerazioni sulle specie batteriche coinvolte ................................................... 133
Conclusioni ............................................................................................................. 137
Età e distribuzione spaziale dei giacimenti auriferi primari ................................... 138
I depositi auriferi secondari (DAS) .......................................................................... 149
Introduzione alla coltivazione meccanizzata dei placer auriferi ............................ 149
Classificazione unitaria dei depositi auriferi secondari .......................................... 151
Classificazione spaziale dei DAS ............................................................................. 153
Classificazione granulometrica Mesh ..................................................................... 158
Caratteri morfologici dell’oro alluvionale ............................................................... 159
Deposito aurifero secondario rielaborato .............................................................. 162
Deposito eluvio ‐ colluviale [MMEC – DASe & DASe‐c] .......................................... 167
Deposito lateritico: MMLAT ................................................................................... 172
La genesi delle pepite ............................................................................................. 176
Deposito residuale o eolico: MMR ......................................................................... 178
Deposito colluviale: MMC ...................................................................................... 180
Depositi torrentizi (rii) ............................................................................................ 183
Tipologie di substrato (roccioso, regolitico, argilloso, cementato) ........................ 189
Depositi fluviali ....................................................................................................... 193
Pay streaks e prospezione ...................................................................................... 202
Il percorso dell’oro in un corso d’acqua ................................................................. 222
Approfondimento sui corsi d’acqua ....................................................................... 224
Depositi auriferi secondari glaciali ......................................................................... 231
Depositi auriferi secondari lacustri ......................................................................... 242
Depositi auriferi secondari di conoide (DASf) ........................................................ 243
Depositi auriferi secondari costieri......................................................................... 245
I Paleoplacers .......................................................................................................... 249
Perizia dei target auriferi e processamento ........................................................... 252
Introduzione e ringraziamenti ................................................................................ 252
La prospezione dei target auriferi .......................................................................... 252
Note sulla prospezione aurifera ............................................................................. 254
Indagini con l’ausilio di fogli di calcolo ................................................................... 261
376
Prospezione di gemme e pietre preziose ............................................................... 263
Prospezione preliminare – Impostazione di una coltivazione – Produzione –
Ripristino sincoltivazione e post ............................................................................. 265
La classificazione dei sedimenti e la scelta del metodo di lavaggio ....................... 270
L’impostazione di uno scavo – Produzione ............................................................ 273
Tappeto del minatore: tra storia e natura .............................................................. 275
Estrazione dell’oro ‐ produzione ............................................................................ 277
Raccogliere oro: produzione ed attrezzatura correlata ......................................... 282
Il ripristino di uno scavo sin‐coltivazione e post..................................................... 285
Processamento amatoriale dei sedimenti auriferi classificati: piatto, piatto
concentratore e canaletta. ..................................................................................... 287
La linea discriminante nella scelta degli strumenti adatti ...................................... 289
Il piatto concentratore ........................................................................................... 289
La canaletta (sluice) ................................................................................................ 290
Introduzione al mineral processing in ambienti amatoriali ed industriali ............. 291
Procedimenti chimici .............................................................................................. 294
Taglia dell’oro e recupero ....................................................................................... 297
Cenni di processamento industriale ....................................................................... 298
La tecnica nell'uso del piatto, pan ‐ Panning .......................................................... 300
Approfondimenti sul pan ed il piatto concentratore ............................................. 300
La classificazione del sedimento ed il lavaggio ...................................................... 306
Diverse tecniche a confronto di lavaggio ............................................................... 309
‘La sabbia nera’: il concentrato aurifero ................................................................ 311
La separazione dell’oro da sedimento a secco (lavaggio a secco – dry panning) .. 317
Confronto tra i piatti concentratori ........................................................................ 317
Il piatto concentratore o “canaletta circolare” (Tutorial di Giuseppe Rizzi) .......... 320
Perché usare il piatto concentratore e come usarlo .............................................. 322
Le canalette (sluices) .............................................................................................. 329
River sluicing ........................................................................................................... 332
Proprietà di una canaletta ...................................................................................... 339
Canaletta in policarbonato ..................................................................................... 344
La diga: metodi per direzionare l’acqua in entrata ................................................ 351
Bigliografia .............................................................................................................. 361
377