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Parte I
CHI (non) DECIDE
negli STATI UNITI
L’AGENDA DI TRUMP
TRUMP E I DOLORI
DELLA GIOVANE
SUPERPOTENZA di Dario FABBRI
1. Discorso di Tiberio Gracco al popolo per difendere il proprio operato nei confronti di Ottavio, in
Plutarco, Vita di Tiberio e Caio Gracco.
2. Cfr. G. SELLETTI, Vita di Publio Scipione Emiliano, Milano 1824, Angelo Bonfanti. 35
TRUMP E I DOLORI DELLA GIOVANE SUPERPOTENZA
I dolori della giovane superpotenza romana furono gli stessi che oggi agita-
no l’altrettanto adolescente superpotenza americana. Al termine della guerra
fredda, gli Stati Uniti crearono la globalizzazione attuale, risultato diretto del con-
trollo degli oceani da parte della Marina Usa, costruendo attorno al proprio mer-
cato domestico il sistema internazionale. L’America resta la nazione egemone del
globo, ma la classe media del paese soffre i contraccolpi economici della propria
grandezza ed esige dall’amministrazione federale un nuovo equilibrio economi-
co. Così invoca la rinuncia a qualsiasi intervento militare in teatri a-strategici, co-
me capitato nel primo decennio di questo millennio. E pretende di frenare l’asce-
sa della popolazione di origine ispanica, assimilata o clandestina, destinata a
conquistare in futuro notevoli quote di potere.
Conseguenza diretta del momento vissuto dall’America è il prossimo ingres-
so alla Casa Bianca di Donald Trump, veicolo della bile che scorre nella pancia
del paese. Come Scipione Emiliano, Trump propone il (parziale) ritrarsi dal mon-
do degli Stati Uniti, per guardarsi l’ombelico. Informando l’azione di Washington
di soli dettami commerciali, nella convinzione che nel frattempo il flusso tempo-
rale si arresti. Scendendo a patti con Mosca, abbandonando l’Europa e il Medio
Oriente alla loro sorte, applicando dure sanzioni ai danni della Cina, rimpatrian-
do milioni di sans-papiers latini.
Un’agenda che involontariamente provocherebbe lo smantellamento dell’e-
gemonia americana, quasi un impero fosse prodotto di decisioni arbitrarie e
non di elementi strutturali. Ma il presidente americano dispone di poteri assai
limitati, perfino negli affari esteri. Gli istinti di Trump saranno temprati dall’i-
deologico intervento del Congresso e resi strategici dal mestiere degli apparati.
Nei prossimi anni Washington guarderà al pianeta da posizione defilata, perse-
guendo equilibri di potenza da remoto ed abbandonando gli olistici trattati
commerciali. La narrazione muterà notevolmente. Tuttavia l’America non abdi-
cherà alla propria supremazia, riservandosi il diritto di intervenire militarmente
qualora il margine di manovra concesso alle potenze antagoniste ne colpisse
gli interessi. Le sue impareggiate capacità belliche e la violenza dimostrata dalla
popolazione nelle ultime elezioni presidenziali ne conserveranno l’impero.
Mentre del momento attuale rimarranno l’inquietudine della maggioranza bian-
ca e la prolungata voglia di trincerarsi nell’insularità. Prima della prossima fase
espansionistica.
3. Cfr. D. FABBRI, «Burro e cannoni: il segreto del dollaro è la grandezza dell’America», Limes, «Mone-
36 ta e impero», n. 2/2015, pp. 23-32.
L’AGENDA DI TRUMP
4. Cfr. B. OSKIN, «Ship Traffic Increases Dramatically, to Oceans’ Detriment», Live Science, 18/11/2014.
5. Cfr. T. WORSTALL, «Sure The Middle Class Is Shrinking: 30% of Americans Are now too Rich to Be
in the Middle Class», Forbes, 21/6/2016.
6. Cfr. M. GEEWAX, «The Tipping Point: Most Americans No Longer Are Middle Class», Npr.com,
9/12/2015. 37
TRUMP E I DOLORI DELLA GIOVANE SUPERPOTENZA
3. Negli Stati Uniti la politica si dipana dal basso verso l’alto. E’ la società a
produrre le idee che determinano candidature presidenziali e parlamentari. Mai il
contrario. Nell’ultima tornata elettorale ad intercettare la rabbia dei cittadini è in-
tervenuto Donald Trump, oltre a Bernie Sanders nella fase delle primarie. Di-
scendente di una famiglia originaria di Kallstadt, nel Palatinato, Trump è imme-
diatamente assurto a paladino della maggioranza bianca del paese, ovvero ger-
manica. In grado di entrare in sintonia con il ventre d’America, a differenza di al-
tri, l’oligarca newyorkese 8 ha correttamente colto la portata strategica della con-
tesa. Concluse le guerre culturali, con il riconoscimento alle minoranze dei diritti
anelati, le questioni economiche ed identitarie sarebbero tornate prepotentemen-
te cruciali.
Sicché Trump ha cominciato a lanciare strali contro il libero commercio,
contro l’interventismo militare e l’immigrazione ispanica. Il candidato repubblica-
no ha annunciato l’abbandono del negoziato per il trattato di libero scambio
transatlantico (Ttip), dell’analogo trattato per il Pacifico (Tpp) e promesso di rin-
negare anche quello del Nordamerica (Nafta). Quindi ha minacciato di applicare
notevoli dazi ai prodotti provenienti da Cina e Giappone, nonché di incentivare
il rimpatrio delle industrie americane che producono all’estero. Ha accusato gli
immigrati latini d’essere «ladri e stupratori», garantito che completerà la costruzio-
ne del muro tra Messico e Stati Uniti per interromperne l’afflusso e che rimpa-
trierà circa 11 milioni di sans-papiers.
Il tentativo di redimere la globalizzazione si è tradotto nell’impegno a ridurre
i costi associati alla difesa di alleati e partner, da realizzare soltanto in favore di
quelle nazioni funzionali agli interessi economici di Washington.
Dopo oltre un secolo trascorso ad impedire che in ogni regione del globo
emergesse una potenza in grado di puntarne la supremazia, specie nella massa
eurasiatica, gli Stati Uniti dovrebbero ora disinteressarsi delle questioni locali, la-
sciando che le cancellerie indigene risolvano tra loro ogni contenzioso. L’apertu-
ra nei confronti della Russia servirebbe a contrastare meglio la Cina e ad appalta-
re principalmente a Mosca la guerra al terrorismo, con conseguente dismissione
dell’architettura atlantica e dei costi ad essa connessi. L’Europa si affrancherebbe
improvvisamente dal giogo americano per volontaria latitanza altrui.
In Medio Oriente Washington dovrebbe limitarsi per ragioni puramente co-
smetiche a muovere guerra contro lo Stato Islamico, approvando soprattutto i
tentativi turchi e russi di imporre ordine al caos. Infine dovrebbe consentire a
Giappone e Corea del Sud di dotarsi della bomba atomica per affrontare le ambi-
zioni del gigante cinese.
La ricetta di Trump per inibire gli effetti collaterali della supremazia america-
na pare riprendere la proposta di Scipione l’Emiliano. Nelle sue parole: «Guerra
ed espansionismo non saranno il nostro primo istinto, ci impegneremo per la ri-
costruzione della nostra nazione» 9.
Tale miscela antiliberista, nativista e tendenzialmente isolazionista ne ha de-
terminato il trionfo ai danni di Hillary Clinton, in grado di aggiudicarsi il voto po-
polare grazie alle preferenze dei popolosi Stati costieri ma apparsa velleitaria-
mente anacronistica. In particolare sono state 217 contee profondamente bianche
di Iowa, Wisconsin, Illinois, Michigan, Pennsylvania, Ohio, Florida – che nel
2008 avevano votato Obama – a condurre Trump alla Casa Bianca.
L’afflato materialistico ha causato la vittoria di un cittadino newyorkese privo
di macchina elettorale, evento che non capitava dai tempi di Franklin Delano
Roosevelt. Così la questione razziale si è dimostrata talmente preminente da
confondere i sondaggisti, che per mesi si sono concentrati sulle caratteristiche di
genere, geografiche e culturali dei potenziali elettori, piuttosto che su quelle
identitarie. Mentre ha votato in favore del nominee repubblicano il 62% delle
donne bianche, in barba alle sue sgradevoli dichiarazioni sessiste, e il 63% dei
maschi bianchi laureati, non curanti dell’apparente rozzezza del suo messaggio
politico. Proprio Oltreoceano, dove la natura parcellizzata della società e il redi-
stricting solitamente rendono semplice predire l’esito elettorale.
L’anima recondita del paese ha scelto Trump affinché governi in suo nome.
Sebbene nei prossimi anni il presidente attuerà soltanto una minima parte della
sua agenda estera. La Casa Bianca non possiede gli strumenti per modificare la
strategia nazionale e la struttura burocratica impedisce il perseguimento di pro-
getti improvvisati. La sacralità della missione americana non prevede distorsioni.
4. Benché sia narrato come il «leader del mondo libero», il presidente non è
in grado di imporre alcuna decisione al Congresso e agli apparati federali (Penta-
gono, dipartimento di Stato, Cia eccetera). Neppure in politica estera. Per ergersi
a commander-in-chief ha bisogno di eventi straordinari. Quando, corroborato
9. «Transcript: Donald Trump’s Foreign Policy Speech», The New York Times, 27/4/2016. 39
TRUMP E I DOLORI DELLA GIOVANE SUPERPOTENZA
10. Citato in B. KAMISAR, «Trump: Ryan Can Get along with Me or «Pay a Big Price», The Hill, 1/3/2016.
11. Citato in E. FLITTER, «Exclusive: Trump Could Seek New Law to Purge Government of Obama
Appointees», Reuters, 20/7/2016.
40 12. «Interview with President-Elect Donald Trump», Cbs, 13/11/2016.
L’AGENDA DI TRUMP
13. Cfr. D. FABBRI, «Il prossimo presidente americano non farà pace con la Russia», Limes, «Russia-
America, la pace impossibile», n. 9/2016, pp. 79-86. 41
TRUMP E I DOLORI DELLA GIOVANE SUPERPOTENZA
42 14. «Transcript of Donald Trump’s Speech on National Security in Philadelphia», The Hill.com, 7/9/2016.
L’AGENDA DI TRUMP
OCCHIO
AL CONGRESSO di Jason BRUDER
1. Ogni sessione dura due anni, la prossima (115a) si insedierà a gennaio 2017. Tutti i 435 membri
della Camera dei rappresentanti sono eletti ogni due anni. Tutti i 100 membri del Senato sono eletti
ogni sei anni e ruotano in modo che un terzo di essi sia rinnovato ogni biennio.
2. Per decenni i repubblicani sono stati forti sostenitori del libero commercio, mentre Trump ha cri-
ticato gli attuali trattati commerciali bollandoli come nefasti per i lavoratori americani. Trump ha an-
che criticato l’avventurismo militare di George W. Bush e ha caldeggiato un riavvicinamento a Mo-
sca, mentre i repubblicani sono stati ipercritici verso Vladimir Putin. Simili differenze sembrano sus-
sistere sulla politica interna, ma nessuno sa con certezza quanto seri fossero le promesse fatte da
Trump in campagna elettorale. 45
OCCHIO AL CONGRESSO
lobby media
oligarchi organizzazioni
di base
fnanziatori presidente
locali proposte/pressioni
PRESIDENTE
LEGGE
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L’AGENDA DI TRUMP
3. Treaties and Other International Agreements: The Role of the United States Senate, Congressional
Research Service, gennaio 2001, goo.gl/hd0dYK 47
OCCHIO AL CONGRESSO
to e mantenendola per sei mesi. Quando i singoli senatori esercitano la loro au-
torità, possono amplificare il loro potere, bloccare iniziative presidenziali ed
estorcere concessioni, ma l’effetto «collaterale» è quello di generare diffidenza e
scoraggiare la cooperazione tra Casa Bianca e Congresso.
La costituzione accorda al Congresso anche il potere di dichiarare guerra, ma
Capitol Hill l’ha usato solo cinque volte dal 1789 a oggi. Invece, dalla seconda
guerra mondiale il presidente ha dispiegato truppe e armamenti in molte occa-
sioni senza una formale dichiarazione di guerra del parlamento. In alcuni casi, il
presidente si è assicurato l’approvazione parlamentare all’uso della forza median-
te un’apposita votazione, in altri ha agito senza alcun via libera del legislativo.
Recentemente, Obama ha stanziato truppe in Iraq, Libia e Siria contro lo Stato
Islamico (Is) facendo leva sull’autorità conferita dal Congresso a George W. Bush
nel 2001 per combattere al-Qå‘ida. Rinunciando a esercitare la propria autorità in
materia di guerra durante le presidenze Bush e Obama, il Congresso ha dato in-
volontariamente a Trump più poteri sull’antiterrorismo rispetto a quanto previsto
dalla costituzione.
LA CASA BIANCA
Agenzie federali
Oligarchi Lobbisti
pressione
PRESIDENTE
fase di
elaborazione
Consigliere per la Capo di
Sicurezza Gabinetto
Nazionale
policy
Responsabile
Consigliere
della
speciale
Comunicazione
Media Congresso
Agenzie federali
difusione/manipolazione/
parziale attuazione della
policy presidenziale
presidente sulla revoca delle sanzioni alla Russia, potrebbe aver bisogno di ap-
provare una nuova legge con una maggioranza «a prova di veto» 4.
Durante la guerra fredda, quando i fondi per l’assistenza internazionale e la
difesa erano abbondanti, vi era la tendenza a spendere sulla politica estera. La de-
dizione dei repubblicani agli sgravi fiscali e ai tagli di bilancio spossessa lo Stato e
rende impraticabile questo approccio. È facile sfruttare il potere economico degli
Stati Uniti imponendo sanzioni per penalizzare paesi visti come canaglie interna-
zionali; più difficile è votare incrementi di spesa, che i falchi al Congresso avversa-
no tenacemente. In campagna elettorale, Trump ha espresso il desiderio di raffor-
zare ulteriormente le già mastodontiche Marina e Aeronautica militari degli Stati
Uniti. Tuttavia, potrebbe trovare molto difficile convincere i parlamentari repubbli-
cani a innalzare o a rimuovere i tetti di spesa imposti nel 2011 al bilancio militare.
Questo ci porta alla domanda che è sulla bocca di tutti, di fronte all’insolita
dinamica tra il Congresso e Trump: i repubblicani si allineeranno al nuovo presi-
dente, o gli si opporranno? Per la prima volta da decenni, tale dilemma non è
ipotetico.
Negli ultimi decenni, il Congresso ha fatto un uso meno convinto dei sum-
menzionati poteri. Tuttavia, è raro che i parlamentari prendano ordini dal presi-
dente, nemmeno se è del loro partito. Deputati e senatori hanno il loro ruolo co-
stituzionale e storicamente hanno preteso rispetto. Trump non ha la benché mi-
nima esperienza di governo e resta da vedere se il suo stile manageriale si tra-
durrà in buone relazioni con i leader al Congresso.
Inoltre, Trump ha ingaggiato pubblicamente aspre lotte con svariati parla-
mentari di rilievo. Il presidente della Camera Paul Ryan (repubblicano del Wi-
sconsin), terzo potere della nazione e figura più rilevante a Capitol Hill, ha un
rapporto tutt’altro che facile con il nuovo presidente e il tono della relazione tra i
due sarà cruciale nel determinare se il parlamento asseconderà la Casa Bianca o
meno. Ryan ha criticato pesantemente Trump in occasione del famigerato video
in cui il magnate si vantava del suo approccio sessuale con le donne, e c’è man-
cato poco che gli ritirasse l’appoggio. Trump, a sua volta, ha insinuato che in
realtà Ryan appoggiasse Ted Cruz. Anche il leader della maggioranza repubblica-
na al Senato, Mitch McConnell, ha tenuto Trump a distanza, tentando di minimiz-
zare il danno da questi inflitto agli sforzi dei repubblicani per conservare la mag-
gioranza alla Camera alta. Alcuni senatori repubblicani, come Pat Toomey (Penn-
sylvania) e Ron Johnson (Wisconsin), devono tuttavia la rielezione ai comizi di
Trump nei loro Stati.
Trump non si è risparmiato quanto a insulti. Durante la campagna per le
primarie, era solito chiamare spregiativamente «Little Marco» il senatore repub-
4. Un presidente può porre il veto a una legge del Congresso, ma la sua decisione può essere aggi-
rata con una maggioranza dei due terzi in ogni Camera. Ciò avviene molto di rado, in quanto è nel-
l’interesse dell’esecutivo e del legislativo negoziare prima per evitare il muro contro muro. Obama
ha usato il veto dodici volte ed è stato «surclassato» dal Congresso in una sola occasione. 51
OCCHIO AL CONGRESSO
blicano della Florida Marco Rubio. Ha chiamato «Lying Ted» (bugiardo Ted) il
senatore Cruz e ha curiosamente insinuato che lo stesso potesse essere coin-
volto nell’assassinio di Kennedy (1963). Trump ha perfino deriso l’eroe di guer-
ra John McCain per essere stato catturato dai nordvietnamiti, dicendo: «Mi piac-
ciono le persone che non si fanno catturare». Questi tre senatori appartengono
tutti al partito di Trump.
Se possibile ancor maggiore è l’inimicizia dei democratici, dopo che Trump
ha attaccato o offeso tre dei loro principali bacini elettorali; donne, ispanici e
afroamericani. Al Senato i democratici conservano 48 seggi su 100 e Chuck
Schumer li guiderà per i prossimi due anni, mentre Nancy Pelosi resta capo-
gruppo alla Camera. Trump è furbo e indipendente, e non deve nulla alla mac-
china repubblicana. Forse corteggerà indifferentemente democratici e repubbli-
cani, in base alle convenienze del momento. In una situazione ideale, i rappor-
ti tra il presidente e i leader al Congresso dovrebbero essere tali da consentire
una cooperazione trasversale sulle singole questioni, com’è già avvenuto in
passato.
5. B. CARDIN, «The United States Needs to Hold Russia Accountable for Its Aggression», The Washing-
ton Post, 17/11/2016. L’autore è un senatore democratico e alto esponente della commissione Esteri
52 del Senato.
L’AGENDA DI TRUMP