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HOBBES

Un’alternativa a Cartesio

La filosofia di Hobbes è un’alternativa a quella di Cartesio, elaborando diversamente il concetto


di “ragione”.

•• La filosofia di Hobbes è materialista e nominalista (= dottrina dei filosofi chiamati nominales e


sostiene che i concetti vengono concepiti solo come nomi e non posseggono una propria
esistenza. Il nominalismo si contrappone al concettualismo e al realismo filosofico). La filosofia di
Cartesio è basata su una metafisica spiritualistica.

•• Hobbes Nassce in Inghilterra nel 1568 e studia a Oxford. Si forma grazie ai contatti con
l’ambiente culturale europeo, poiché viaggia molto per tutta l’Europa. Resta per molto a Parigi:
qui incontra Gassendi e frequenta gli ambienti libertini. Diviene amico di Galilei. Fa ricevere a
Cartesio le sue “Obiezioni alle meditazioni” cartesiane. L’opera principale è il Leviatano, che ha
per temi: la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile. Espone il proprio
sistema nella trilogia “Il Cittadino”, “Il Corpo”, “L’Uomo”. Negli ultimi anni tratta di polemiche
varie, tra cui quella con il vescovo Bramhall, poiché Hobbes difende la corporeità di Dio. Muore a
Londra nel 1679 (91 anni).

•• La filosofia di Hobbes ha come scopo quello di porre i fondamenti di una comunità ordinata e
pacifica. Ciò è possibile solo con uno stato assoluto (= assolutismo). E una filosofia metafisica,
come quella di Aristotele e degli scolastici, non fornirebbe un simile fondamento. La filosofia di
Hobbes è “umanamente razionale”, escludendo il soprannaturale e l’ipse dixit. Crede solo nel
mondo della natura.

La politica

Per Hobbes la politica è una scienza geometrica, e dunque fondata su pochi principi e si
costruisce per deduzione (dal generale al particolare). La politica come more geometrico (per
Hobbes come Spinoza per il suo “Etica dimostrata con ordine geometrico”) è necessaria perché
necessarie sono le azioni umane (volontà umana).

•• La politica di Hobbes è infatti molto vicina al giusnaturalismo: (1) per prima cosa vi è la
concezione che la politica sia una scienza (Machiavelli, Grozio); (2) Hobbes liquida ed evita la
tradizione storica aristotelica (che studiava le tradizioni giuridiche passate per individuare i
diritti), arrivando alla definizione di politica attraverso un modello solo teorico, ideale e
razionale.

•• La politica di Hobbes è basata infatti su due postulati (princìpi indimostrabili) certissimi della
natura umana:
la bramosia naturale (l’uomo si appropria dei beni comuni);

la ragione naturale (istinto di conservazione / sopravvivenza - l’uomo evita la morte violenta


come il peggiore dei mali naturali).

Siccome l’uomo ha innata dentro di sé la bramosia naturale, non può essere un animale politico.
Ma in ogni caso l’uomo è un animale sociale e ha bisogno degli altri per vivere, nonostante
Hobbes neghi l’esistenza innata nell’uomo di un amore naturale verso il suo simile (pessimismo).
Come dice Grozio, gli uomini vivono in comune perché è una esigenza della ragione naturale (2°
postulato certissimo). Infatti, dice Hobbes, se gli uomini si accordano per commerciare, ciascuno
si interessa non del socio, ma del proprio avere.

Le associazioni spontanee nascono dal bisogno reciproco e non dalla benevolenza verso gli altri
(amore).

Le più grandi società non nascono per amore (benevolenza) ma per interesse o timore reciproco.

Le cause del timore sono: (1) uguaglianza naturale e dunque comune vulnerabilità degli uomini e
siccome chiunque può uccidere un altro, tutti vivono nella paura; (2) volontà naturale di godere
dei beni comuni e naturali (bramosia naturale).

••• La naturale volontà di farsi del male a vicenda rende lo stato di natura lo stato della guerra
incessa/////////////////////////nte del tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes).

•• Per Hobbes lo stato di natura è una pura ipotesi razionale: a differenza di Rousseau, non crede
che l’umanità abbia vissuto nello stato di natura, perché la guerra di tutti contro tutti avrebbe
portato all’auto distruzione dell’umanità. Secondo Hobbes è probabile che sia sempre esistito
uno stato di natura parziale.

•• Hobbes crede che sin dalla creazione l’umanità abbia sempre avuto una organizzazione civile
tra gli individui, con un potere superiore. Solo in alcune circostanza l’uomo vive senza
organizzazioni: (1) durante le guerre civili - anarchia; (2) nelle società primitive; (3) tra gli stati
sovrani - senza pace internazionale.

•• Nello stato di natura non si può definire oggettivamente che cosa sia giusto o ingiusto. Infatti,
i concetti di giustizia o ingiustizia si hanno solo con la legge, che a sua volta nasce dove c’è un
potere comune.

•• Nello stato di natura tutti hanno il diritto su tutto, anche sulla vita degli altri: l’uomo è “lupo”
per ogni altro uomo (homo homini lupus). La legge di natura elimina o limita il diritto di essere
lupo. Essere lupo, però, è un istinto insopprimibile e naturale.

L’uomo tende ad avvicinarsi a ciò che per lui è bene e ad allontanarsi da ciò che per lui è male; il
male maggiore è la morte.

L’istinto naturale non è contrario alla ragione perché non è irragionevole sopravvivere a tutti i
costi.

••• Il diritto in generale (diritto naturale) è la libertà di ognuno di usare le facoltà naturali
secondo la retta ragione. Dunque, anche un istinto è un diritto. Anche l’istinto di sopravvivenza
con l’uccisione di un altro uomo è un diritto.

La concezione hobbesiana di diritto naturale è opposta a quella dei giusnaturalisti, che


credevano un diritto naturale come un insieme di diritti inviolabili e inalienabili: tra questi diritti
inviolabili vi era la vita, l’autonomia, la libertà, la proprietà (non come possesso, ma come
elemento essenziale dell’esistenza dell’uomo, che non deve rinunciare a ciò che ha, come i beni
o il corpo).

Come già detto, lo stato di natura è solo teorico perché altrimenti si annienterebbe l’intero
genere umano. Lo stato di natura è parziale perché abbiamo il timore naturale nei confronti
dell’altro (che ci porta porta ad armarci o a chiudere a chiave la porta - sfiducia nell’umanità,
pessimismo).

Il timore della guerra ci porta a fermare ogni attività industriale e commerciale; il timore rende
l’uomo un animale solitario, abbrutito e limitato.

Se l’uomo non avesse ragione ci troveremmo in una situazione di conflitto totale e perenne, ma
la ragione dell’uomo, a differenza di quella animale, ci aiuta a prevedere e a progettare e dunque
a provvedere (a noi stessi).

••• Grazie alla ragione noi ci troviamo fuori dello stato di natura. La ragione ci dà l’istinto di
sopravvivenza che è il fondamento delle leggi naturali.

•• Il concetto di Hobbes di legge naturale è molto vicino al giusnaturalismo (Grozio) e lontano


dallo stoicismo medievale: la legge naturale è prodotta dalla ragione umana!

Ma la ragione umana per Grozio riesce da sola a definire oggettivamente il male e il bene, perché
riesce a ragionare in maniera assoluta (senza spazio esterno).

Per Hobbes la ragione è condizionata dal contesto in cui opera, ma è lungimirante: è capace cioè
di prevedere le situazioni future e di fare di conseguenza le scelte più adatte che avvicinino
l’uomo a ciò che è bene per sé e lo allontanino dal male per sé.

•• Il diritto, per Hobbes e per i giusnaturalisti, è naturale perché è razionale e dunque non ci
sarebbe senza la ragione che per Hobbes (a differenza dei giusnaturalisti) crede sia la facoltà
finita di fare previsioni e scelte opportune, senza fissare valori o principi assoluti (come i
giusnaturalisti).

•• Le norme fondamentali della legge naturale (alla cui basi si trova l’istinto di sopravvivenza a
ogni costo) impongono all’uomo una disciplina che gli dia una parziale sicurezza così da potersi
dedicare alle attività che agevolano la sua vita.
La prima regola per l’auto-conservazione è cercare la pace poiché si ha speranza di ottenerla;
quando non si può ottenere la pace, si ricerca inevitabilmente la guerra (pax est quaerenda =
pace è avendo cercato).

Dalla prima regola derivano le altre: l’uomo deve rinunciare a tutti i suoi diritti per la pace: se si
riceve la libertà, si dà libertà (ius in omnia est retinendum = bisogna rinunciare al diritto su
tutto): coincide con l’evangelico “non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te”.

Rinunciando ai diritti, l’uomo esce dallo stato di natura (guerra). In più bisogna stare ai patti,
mantenendo le promesse (pacta servanda sunt).

•• Dunque, tutti devono scegliere, attraverso un patto, di rinunciare ai propri diritti. Il patto deve
essere mantenuto.

•• Il concetto di legge naturale di Hobbes è molto lontano da quello dei giusnaturalisti. Questi la
intendono come una parte inalienabile dell’uomo. Per Hobbes, le “leggi naturali” sono i mezzi
più idonei a garantire la sopravvivenza, ottenuti attraverso la ragione. Queste leggi non sono
biologicamente connesse all’uomo e non sono neanche assolute, perché se l’indagine razionale
ne trovasse di migliori, sarebbero facilmente sostituite alle vecchie.

•• Dunque, lo stato, che nasce per garantire l’efficacia e il rispetto della legge naturale, ha un
fondamento naturale, ma si realizza in maniera artificiale (le tre norme fondamentali sono
convenzioni create dall’uomo). Hobbes concettualizza una fondazione giusnaturalista del
giuspositivismo: il diritto naturale non contiene norme, ma è alla base dell’ordinamento giuridico
positivo. Dunque, Hobbes non è totalmente opposto ai giusnaturalisti, ma si differenzia.

•• La ragione naturale, che tutti gli uomini hanno allo stesso modo, definisce le leggi di natura
(naturali) come regole che sono suggerimenti e non comandi assoluti.

••• Nello stato di natura non tutti seguiranno le regole perché nessuno è più forte di un altro da
costringerlo a metterle in pratica.

•• Le leggi naturali ci sono, ma non sono efficaci. Per renderli efficaci si deve istituire un potere
irresistibile, che è lo stato. Questo ci dice Norberto Bobbio.

••••• Dunque, si passa dallo stato di natura allo stato civile quando si trasferisce il potere
illimitato (di tutti) a un’autorità, che con la forza possa obbligare a far rispettare le leggi. Questo
potere si cede all’autorità tramite un contratto.

••• In sintesi: attraverso il contratto gli uomini (volontariamente) cedono tutti i diritti a
un’autorità per uscire dallo stato di natura ed entrare nello stato civile. Solo in questo modo e
senza ribellarsi all’autorità si ha la pace.

•• Lo stato è anche detto “società civile” o “persona civile”, perché è come la regola di una parte
per il tutto (sineddoche). Ed essendoci uguaglianza e siccome anche le volontà di tutti (di uscire
dallo stato di natura) sono uguali, si considera una sola persona.

•• Nel modello di stato di Aristotele, da stato di natura a stato c’è continuità: lo stato naturale è
la famiglia e lo stato è una grande famiglia, dunque è l’estensione. Per Hobbes lo stato civile è
prodotto dalla ragione e dunque è opposto allo stato di natura; lo stato civile garantisce il diritto
alla vita, mentre lo stato naturale prevede la guerra di tutti contro tutti.

••• Il sovrano è il leviatano ed è l’autorità dello stato. Il sovrano (singolo o assemblea) ha il


potere assoluto. Tutti gli altri sono sudditi.

•• Per Hobbes il patto fondamentale è irreversibile, perché il patto è tra i sudditi e non tra i
sudditi e lo stato (in quel caso sarebbe revocabile).

•• Il potere del sovrano è indivisibile (assolutismo!) e non può essere diviso in poteri diversi che
si limitano a vicenda, e non farebbe neanche bene alla libertà dei cittadini. Si arriverebbe alla
guerra civile se i poteri tra loro non fossero concordi.

•• Solo lo stato (e non i sudditi/cittadini) può definire il bene e il male. Se ci fosse un bene e un
male relativo, lo stato si dissolverebbe. In più, la volontà del cittadino è stata data al sovrano e
quindi ciò che vuole lo stato lo vuole anche il cittadino.

•• Il patto è unilaterale (tra i cittadini soltanto) e il sovrano è estraneo al patto, dunque assoluto
(ab-solutus) e sciolto da qualsiasi vincolo.

•• La legge non ci indica un comportamento buono, ma un comportamento è buono perché


indicato dalla legge.

••• In sintesi: È la legge che crea la morale (e non viceversa!).

Ogni azione è indifferente ed è il sovrano che decide se è giusta o ingiusta.

•• Il sovrano (autorità) ha il diritto di esigere obbedienza anche per ordini che il suddito ritiene
ingiusti. Non è lecito (permesso) uccidere il tiranno (tirannicidio). Il sovrano non è soggetto (è
immune) alle leggi dello stato (solo i cittadini hanno obblighi verso lo stato e non viceversa:
questi sono i tratti assolutistici dell’autorità.

•• Per questo aspetto Hobbes è opposto ai giusnaturalisti. I giusnaturalisti credono che lo stato
nasca da due diversi patti:

Il pactum unionis (nello stato di natura), tra gli uomini fatto per far rispettare i diritti di tutti e per
sanzionare i trasgressivi. Se vi è un’ingiustizia si ha bisogno di qualcuno che riporti la situazione
di diritto (autorità).

Il pactum unionis si trasforma dunque nel pactum subiectionis, quando si istituisce una autorità
e si passa allo stato.

•• Per Hobbes, lo stato di natura è la guerra del tutti contro tutti e sarebbe impossibile il pactum
unionis. Per Hobbes il pactum unionis e il pactum subiectionis coincidono nello stato civile.

••• Per i giusnaturalisti il pactum subiectionis è:

parziale, perché l’autorità non può violare i diritti naturali dei cittadini e dunque è limitata (non
necessaria);

provvisiorio, poiché è reversibile nel momento in cui il sovrano non rispetta i patti violando i
diritti naturali dei cittadini. Il sovrano viene spodestato nel modo in cui è stato scelto.

••• Per Hobbes il pactum unionis/subiectionis è:

totale, perché gli individui cedono all’autorità tutti i diritti, e se fosse altrimenti si ritornerebbe al
conflitto dello stato di natura;

definitivo, poiché è irreversibile e fondato su un patto unilaterale (solo tra i cittadini).

•• Ma anche lo stato di Hobbes ha dei limiti: lo stato non può andare contro la vita dell’individuo
e non può costringerlo ad accusare se stesso.

•• L’uomo è libero solo in cui in cui lo stato non ha regolato con le leggi,

•• Lo stato, anima della comunità che la muove, è sempre libero.

••• I limiti posti da Hobbes allo stato sono di stampo giusnaturalista e sono sul diritto alla vita.
Se lo stato non rispetta il diritto alla vita, si ritorna allo stato di natura. Lo stato è animo della
società e quindi è anche autorità religiosa.

•• Lo stato e la Chiesa coincidono, e non potrebbe essere altrimenti, perché in quel caso si
limiterebbe il potere dello stato, che è assoluto, se l’autorità religiosa fosse diversa dall’autorità
statale, che ha tutti i poteri.

LOCKE

L’empirismo inglese e il suo fondatore

Locke è il fondatore dell’empirismo inglese (seguiranno Berkeley e Hume). La componente più


importante è illuministica (Locke è nato nel 1632 e morto nel 1704). Questo termine in Locke è
sciolto dal suo significato più rigido ed estremo. Locke è il punto di transizione tra Seicento e
Settecento.

In realtà vi erano dei precedenti che accennavano all’empirismo, come Ruggero Bacone (1200),
Guglielmo di Ockham (1300) e Francesco Bacone (1500/1600): la loro gnoseologia era fondata
sull’esperienza (metodo induttivo dal particolare al generale).

•• La gnoseologia di Locke prende caratteri del cartesianesimo (concetti e terminologia) e


caratteri della rivoluzione scientifico (nuova metodologia, ricorso all’esperienza).
••• La differenza principale con il razionalismo è che l’empirismo vede nella ragione un’insieme
di poteri limitati dall’esperienza (questo ricorda la filosofia di Campanella: la conoscenza
acquisita oscura - e limita - la conoscenza innata) e nell’esperienza (empirismo) il modo (fonte,
origine) di conoscenza e il criterio di verità, cioè l’unica verifica che ci dà la certezza che una cosa
esiste oppure no.

•• L’empirismo dunque va in antitesi con il razionalismo, confutandolo. Tutto ciò che è metafisico
è da escludere. Solo ciò che è materiale e conoscibile empiricamente esiste e può essere
conosciuto. Dunque è anti-razionalistico e anti-metafisico. Ma l’aspetto anti-metafisico sarà
soprattutto di Hume, non di Locke (o Berkeley).

•• L’empirismo e l’illuminismo sono collegati tra loro (entrambi mirano a una filosofia come
analisi del mondo umano, in tutti i campi). Le opere più importanti dell’Illuminismo sono state i
Principi matematici di Newton e il Saggio sull’intelletto umano di Locke. Secondo Voltaire: “La
filosofia è Newton e il suo profeta è Locke”.

La sua vita e le opere: studia all’Università di Oxford e qui apprende la tolleranza religiosa. Poi
insegna nella stessa università. È molto influenzato dalle opere di Cartesio. Era chiamato “dottor
Locke” dagli amici nonostante non abbia mai ricevuto il titolo. Locke partecipa attivamente alla
vita politica e la sua salute era cagionevole. Va in esilio volontario in Olanda, più libera e
tollerante. Quando torna a Londra diviene il più importante esponente del liberalismo e scrive il
Saggio sulla tolleranza e poi anonima la Lettera sulla tolleranza, insieme con i Due trattati sul
governo e il Saggio sull’intelletto umano. Scrive infine i Pensieri sull’educazione e la
Ragionevolezza del cristianesimo.

La politica

La politica e la morale sono trattate nel suo Saggio sull’intelletto umano.

Della sua etica (morale) sappiamo soltanto che è fondata sulla ragione: è razionale e
dimostrativa. Ogni regola morale infatti è razionale e utile per la conservazione della società e
per garantire la felicità pubblica.

Nella Lettera sulla tolleranza, nei Due trattati sul governo e sulla Ragionevolezza del
cristianesimo, oltre che nel Saggio, si definisce il pensiero politico e religioso di Locke: Locke è il
fondatore del liberalismo moderno, il primo difensore della libertà dei cittadini e delle Chiese e
della tolleranza religiosa. Le conclusioni raggiunte però provengono da una lunga ricerca, fatta di
contrasti. I suoi ideali sono dimostrati da teoremi dimostrabili (impianto razionale e geometrico
del pensiero politico).

Nei Due trattati si confutano teorie filosofiche sul potere del re per diritto divino e si definisce
l’esistenza di una legge di natura che è la ragione che ha per oggetto i rapporti tra gli uomini e
cerca di creare armonia nei rapporti.
•• Sia Hobbes sia Locke nello Stato di Natura riconoscono l’uguaglianza di tutti gli uomini. Per
Hobbes è un’uguaglianza di forza (stessa forza tra gli uomini porta a stesso timore di essere
uccisi); per Locke è un’uguaglianza di diritti (stessi diritti tra gli uomini di possedere la propria
vita e i propri beni).

••• In sintesi: nello Stato di Natura ogni uomo è libero perché non è sottoposto ad alcun potere.
I suoi diritti “naturali” sono la vita, la libertà e la proprietà. Lo stato di natura di Locke non è però
infinitamente libero, perché la legge di natura di Locke è in realtà una legge della ragione (dato
che tutti sono ugualmente dotati di ragione): c’è molta libertà, ma ci sono dei limiti invalicabili:
non si può violare la propria vita, né la vita e i beni degli altri.

•• Il diritto naturale dell’uomo è infatti limitato alla propria persona. Dunque l’uomo possiede
anche il diritto di natura di essere giudici ed esecutori della legge di natura, rivelata dalla ragione.
Se qualcuno non rispetta la legge di natura (della ragione) e passa sui diritti di un altro, quell’altro
deve reagire in modo proporzionato alle offese (diventa quindi giudice).

••• Lo stato di natura per Hobbes era di guerra, mentre per Locke è di pacifica coesistenza che
potrebbe diventare di generale instabilità se si trasgrediscono le leggi naturali. Per evitare la
guerra, gli uomini si organizzano in società abbandonando lo stato di natura.

••• Innanzitutto, al potere civile non vanno tutti i diritti dell’uomo, ma solo quello di farsi
giustizia da sé. E, anzi, l’autorità deve garantire i diritti dell’uomo. Il potere civile nasce dal
consenso dei cittadini ed è una garanzia di libertà degli stessi cittadini. Il contratto per Locke dà
origine a un’autorità non assoluta (come per Hobbes), ma, al contrario, limitata. L’uomo, che è
libero e deve avere diritto alla vita e alla proprietà, con il contratto non può schiavizzarsi, perché
sarebbe anticostituzionale. Per Locke, a differenza di Hobbes che concepiva il contratto solo tra i
sudditi, il contratto è sia tra i sudditi sia tra i sudditi e il sovrano: anche il sovrano è incluso e
“sottomesso” alla legge e al diritto. Infatti, il popolo può riprendersi il diritto di farsi giustizia da
soli (di difendersi), sciogliendo lo stato civile e tornando a quello di natura, se il sovrano non
rispetta le leggi e i diritti altrui.

HUME

Dall’empirismo allo scetticismo

Locke confina la conoscenza all’empirismo, rendendola però sicura e valida. Hume porta
l’empirismo allo scetticismo, dato che l’esperienza non può fornirci una conoscenza valida e
certa, ma solo probabile.

•• Nasce nel 1711 a Edimburgo (Scozia) e studia giurisprudenza per diventare avvocato.
Interessato alla filosofia e alla letteratura. In Francia compone il Trattato sulla natura umana, più
importante opera, senza successo. In Inghilterra invece i suoi Saggi morali e politici hanno un
discreto successo. A Londra esce la Ricerca sull’intelletto umano (semplificazione della prima
parte del Trattato). Da bibliotecario scrive una Storia dell’Inghilterra e poi la Ricerca sui principi
della morale (semplificazione della terza parte del Trattato e migliore dei suoi scritti). Scrive la
Storia naturale della religione e i Dialoghi sulla religione naturale. Ospita Rousseau nella sua
casa, poi per colpa del carattere di Rousseau si lasciano. Hume conduce una vita tranquilla e
muore a Edimburgo nel 1776.

La politica

Hume analizza la vita sociale e politica fino a rintracciarne i fondamenti.

Ne Il contratto originario si parla dell’origine divina del governo e del contratto sociale.

La teoria del diritto divino è giusta in linea generale perché tutto ciò che avviene nella natura è
voluto dalla divinità, ma giustifica ogni tipo di autorità: un sovrano legittimo come un usurpatore
o un pirata.

La teoria del contratto sociale è giusta teoricamente, perché il popolo crea il potere
volontariamente per la pace abbandonando la libertà naturale e accettando leggi, ma nella
pratica ciò non avviene dappertutto né completamente. Il potere nasce spesso da rivoluzioni e
l’autorità non è fondata sul consenso dei sudditi.

•• Hume divide i doveri umani in: (1) doveri verso i quali l’uomo è spinto da un istinto naturale
(amore per i figli, gratitudine, pietà...) (2) doveri che nascono da un solo senso di obbligo, che
deriva dalla necessità della società umana (giustizia, fedeltà, obbedienza...).

Il dovere dell’obbedienza civile nasce dal fatto che la società non può vivere senza l’autorità, che
è nulla se non si rispetta con l’obbedienza da parte dei cittadini. La sola ragione dell’obbedienza
civile è che senza di questa la società non esisterebbe, perché l’autorità diventerebbe inutile
(senza l’obbedienza). Per questo Hume è tra Hobbes e Locke. Addirittura, Hume afferma che la
dottrina dell’obbedienza non debba essere osservata all’estremo, perché bisogna sempre
difendere i diritti della verità e della libertà, quando offesi dall’autorità.

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