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JUST PRESS START(UP)

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Giapeto editore
Napoli
ISBN 978-88-9326-031-2

prima edizione ebook: luglio 2016


ISBN 978-88-9326-049-7

stampa
Tavolario stampa

stampato in Italia
copyright 2016
giapeto editore
tutti i diritti riservati

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Danilo Iervolino

JUST PRESS START(UP)

Dallidea allimpresa

con la prefazione di Francesco Fimman

Giapeto editore

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Prefazione
di Francesco Fimman

La vicenda umana ed imprenditoriale dellautore di questo libro, Danilo


Iervolino, figlia di una start up innovativa: era 10 anni fa la piccola
Universit Telematica Pegaso.
Ed era talmente start e talmente up che solo un cavallo alato della
mitologia poteva rappresentare un decollo cos rapido, appunto start ed
up. Decollo orizzontale, una sorta di antico harrier. Per la serie tutto si pu
massificare non laristocrazia delle idee.
Daltra parte tutte le pi grandi start up innovative a cominciare da Google
o Facebook sono nate - guarda caso - dal binomio business education ed
Universit.
Per generare nuova ricchezza, creare lavoro e propriet intellettuale, lo
sviluppo di idee e di progetti creativi assume un ruolo baricentrico.
Lo sviluppo di nuove imprese esige un ecosistema che permetta,
attraverso la collaborazione di diversi soggetti, il loro sviluppo e quindi
lingresso nel mercato. Questo il senso ed il percorso di questo libro, che
rilancia il brocardo dellesperienza madre della sapienza. Iervolino non fa
esercitazioni teoriche ma pianifica un metodo frutto di esperienza
consolidata ma anche tarata via via sulla crescita armoniosa. Il saggio
affresca un modello, ma non un modello astratto, un percorso tracciato
con il cammino, talora impervio, ma sempre alla ricerca, alla scoperta.
Lo spiega diffusamente lautore in questo volume sul sistema start up che
altro non che il passaggio da unidea imprenditoriale alla creazione di un
nuovo business: durante questo sviluppo importante definire quali attori
intervengono nelle diverse fasi, quali figure sono fondamentali non solo
per lapporto economico, ma anche per fornire un sostegno di supporto
manageriale e di networking.
Lo sviluppo di una nuova impresa parte sicuramente dallaccesso al
capitale. Dopo la definizione del proprio business sono due le figure
importanti che promuovono il finanziamento: i Business Angels, che
investono direttamente parti del proprio patrimonio nelle fasi di avvio di
un progetto imprenditoriale, e il Venture Capitalist, che gioca un ruolo
fondamentale soprattutto nella seconda fase del ciclo di innovazione.
Ma non basta. Spesso le nuove imprese vanno in default per mancanza di
esperienza manageriale o insufficiente esperienza nel marketing. Ecco
allora nascere gli incubatori dimpresa, istituzioni che interagiscono con
potenziali imprenditori in nuce, offrendo servizi e, talvolta, risorse
finanziarie. Qui il nuovo imprenditore pu allenare le proprie abilit
manageriali, tamponare i costi rigidi del mercato grazie a strategie

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gestionali e di servizi a basso costo ed accesso a seed capital.
Non sempre gli incubatori forniscono il supporto adeguato e spesso c
un legame debole tra sistema di ricerca e applicazione industriale, con
particolare riferimento alle attivit svolte dagli Uffici per il Trasferimento
Tecnologico operanti nelle istituzioni accademiche. Manca talora un
processo di networking, ovvero di una chiara rete di collegamento tra i
diversi incubatori, le istituzioni, i centri di ricerca e i finanziatori, che porta
il processo dincubazione ad essere poco efficace. Danilo Iervolino scrive e
lavora operativamente per colmare questi gap.
Negli ultimi anni lambiente normativo di questo sistema diventato
accogliente. Ben pi accogliente di quanto lo fosse per il giovane startupper
Iervolino.
Nel 2012 per la prima volta nellordinamento italiano vengono introdotti
la definizione e gli specifici requisiti della start-up innovativa e
dellincubatore di start-up innovative certificato. La legge definisce la start-
up innovativa come una societ di capitali, costituita anche in forma cooperativa,
di diritto italiano oppure Societas Europea, le cui azioni o quote non sono quotate
su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. Vi
rientrano, pertanto, sia le srl (compresa la nuova forma di srl semplificata
o a capitale ridotto), sia le spa, le sapa, e le societ cooperative.
La legge definisce anche lincubatore certificato, qualificandolo come una
societ di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano
o di una Societas Europaea, residente in Italia, che offre servizi per sostenere
la nascita e lo sviluppo di start-up innovative e deve disporre di strutture,
anche immobiliari, adeguate ad accoglierle, quali spazi riservati per poter
installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca; di attrezzature
adeguate allattivit, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete
internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi. Deve avere
regolari rapporti di collaborazione con universit, centri di ricerca,
istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attivit e progetti
collegati.
Viene introdotta unapposita disciplina per la raccolta di capitale di
rischio attraverso portali online, avviando una modalit innovativa di
raccolta diffusa di capitale (crowdfunding). Per quanto riguarda laccesso al
credito, le startup possono usufruire gratis e in modo semplificato del
Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, anche mediante
la previsione di condizioni di favore in termini di copertura e di importo
massimo garantito.
Sono state inoltre inserite anche le imprese startup innovative operanti in
Italia tra quelle beneficiarie dei servizi messi a disposizione dallAgenzia
ICE per la promozione allestero e linternazionalizzazione delle imprese
italiane e dal Desk Italia: assistenza in materia normativa, societaria,
fiscale, immobiliare, contrattualistica e creditizia, eventuale ospitalit a
titolo gratuito alle principali fiere e manifestazioni internazionali e attivit

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volta a favorire lincontro delle start-up con investitori potenziali per le
fasi di early stage capital e di capitale di espansione.
Anche sul piano della potenziale crisi molto stato fatto. La scelta
quella di sottrarre le startup alle procedure concorsuali vigenti,
prevedendo il loro assoggettamento, in via esclusiva, alla disciplina della
gestione della crisi da sovra-indebitamento, applicabile ai soggetti non
fallibili che non prevede la perdita di capacit dellimprenditore ma la
mera segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei
creditori. Per facilitare lavvio si prevede che, una volta decorsi dodici
mesi dalliscrizione nel Registro delle imprese del decreto di apertura
della procedura liquidatoria, i dati relativi ai relativi soci non siano pi
accessibili al pubblico ma esclusivamente allautorit giudiziaria e alle
autorit di vigilanza.
Con lInvestment Compact del 2016 il sistema normativo migliora ancora:
lestensione a 5 anni della vita delle startup con agevolazioni fiscali anche
oltre i 7 anni di vita, la possibilit per lIstituto italiano di tecnologia di
entrare nel capitale delle startup e lok allequity crowdfunding, la creazione
di un mega-portale del Mise che raccoglier tutti i bandi pubblici e privati
destinati a startup e pmi innovative. Viene infine riconosciuto laccesso
semplificato al Fondo Garanzia per le Pmi, istituito presso il Ministero
dello Sviluppo Economico (Mise) e pronto a fare da garante del prestito
alle startup. Si tratta di garanzia gratuita e concessa secondo modalit
semplificate sull80% del prestito concesso da banca.
Il libro insomma un metodo con cui guardare al mercato che quando
funziona correttamente un luogo nel quale possono essere favorite e
premiate le innovazioni e la creativit umana. La concorrenza di mercato
pu essere vista, e va vista come una gara per innovare: chi innova cresce
e vive, chi non innova resta indietro e esce dal gioco economico e civile. Si
pensi che linnovazione ha contribuito per il 63% della crescita in
produttivit del lavoro generata nel Regno Unito negli anni 2000-2008.
Limprenditore riconosce linnovazione nel suo stato primordiale, ne
vede e realizza il potenziale, guidato dal motivo economico e dal desiderio
di mettere a frutto le proprie capacit. Introduce nuovi prodotti, sfrutta le
innovazioni tecnologiche, apre nuovi mercati e, cos facendo, genera
sviluppo economico, come dice Schumpeter nel 1911. Tutto ha inizio da un
modello in cui il punto dorigine lo stato stazionario, la fase in cui le
imprese realizzano soltanto attivit routinarie e il sistema economico
replica se stesso nel tempo, senza che ci sia creazione di vera ricchezza. Lo
sviluppo economico inizia quando un imprenditore stravolge lo stato
stazionario attraverso lintroduzione di uninnovazione, ovvero una nuova
combinazione di vecchie e nuove conoscenze. Limprenditore dunque la
variabile che sciocca il sistema economico e mette in moto linnovazione.
Limprenditore innovatore poi seguito da uno sciame
di imitatori attratti da quel valore aggiunto creato come le api dal nettare, i

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quali entrando nei settori nei quali si sono verificate le innovazioni fanno s
che presto il prezzo di mercato di quel dato prodotto diminuisca fino ad
assorbire interamente il profitto generato dallinnovazione. Leconomia e
la societ tornano cos nello stato stazionario del flusso circolare, finch
una nuova innovazione non fa ripartire il ciclo dello sviluppo economico. Il
profitto ha dunque una natura transitoria, poich sussiste fin quando c
innovazione, e vive solo nel lasso di tempo che passa tra linnovazione e
limitazione.
Limprenditore non allora un cercatore di profitto: il profitto il
premio dellinnovazione.
Quando limprenditore (incluso limprenditore sociale) si lamenta perch
imitato, gi in crisi la sua vocazione e la sua funzione, e probabilmente
gi entrato nella fase stazionaria e routinaria della sua impresa.
Limitazione importante e svolge una funzione di bene comune: il
modo positivo di rispondere allimitazione rilanciare la gara, innovando
ancora. Tutto ci particolarmente importante nellera della
globalizzazione dove la dinamica innovazione-imitazione molto veloce e
globale: anche oggi, come cento anni fa, la risposta per vivere e crescere
non lamentarsi o invocare misure protezionistiche, ma un rilancio e un
nuovo investimento nellarte di innovare.
Questo libro linno dunque alla consapevolezza che letica vera
dellimprenditore di successo quella di essere imitato.
Iervolino non si lamenta, sa che questa la sfida della esistenza e allora
suggerisce addirittura i compiti ai compagni di banco, ai giovani colleghi del
futuro, svelando modelli, casi e metodi.
Napoli, 7 maggio 2016

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Introduzione

Il nostro oggi epoca di rinnovamento, di nuove frontiere sociali ed


economiche, di iniziativa libera, creativa, potente, linizio di unera in cui la
prima regola volare alto.
Provateci, fatelo, desideratelo con tutte le vostre forze
Sembra un manifesto delle startup, nella misura in cui invita a credere in
nuovi modelli di business, e a perseguirli con tutte le forze e la
determinazione dei quali si capaci.

START UP stat p s. ingl. [propr. avvio, lancio, dal v. (to) start up


partire, mettersi in moto] (pl. start-ups ps), usato in ital. al
maschile e al femminile
1. s. m. La fase iniziale di attivit di una nuova impresa, o di
unimpresa che si appena quotata in borsa.
2. s. f. Impresa appena costituita, o appena quotata in borsa.

La prima volta che mi sono imbattuto nel vocabolo startup (neologismo


mutuato dallinglese, ma ormai talmente diffuso anche in Italia da essere
stato inserito nellenciclopedia Treccani - cui devo la definizione sopra
riportata - e nello Zingarelli) mi venuta in mente, per associazione di
idee, la classica schermata davvio dei primi personal computer.
Sul monitor rigorosamente monocromatico compariva una scritta incerta,
baluginante, solitamente di un bel verde acceso: press any key to start: per
iniziare, premere un tasto qualsiasi.
Ecco, credo che in quellimmagine, ormai tanto vintage da essere quasi
antiquariato, fosse compreso un connotato fondamentale di ci che oggi
chiamiamo startup.
Cos come per rendere operativo il computer era sufficiente (e, insieme,
necessario) premere un tasto - uno qualsiasi -, cos per far nascere una
startup non serve unidea particolare, ne basta una qualsiasi.
A patto che sia buona, naturalmente!
Il web ha reso libera la conoscenza e laccesso alle informazioni e, allo
stesso modo, lavvio dellera delle startup ha posto lopportunit di fare
impresa alla portata di tutti i meritevoli, a prescindere dalla loro capacit
economica.
Gi in precedenza, lungo lo scorrere dei secoli, la storia dellumanit ha
visto crescere (molto lentamente, vero, ma con costanza) la percentuale

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di quanti riuscivano a creare business di successo partendo da poco, o
nulla.
La circostanza secondo cui per fare soldi bisognava averne ha cessato di
essere un teorema inconfutabile, rendendo possibili le occasionali ascese
sociali ed economiche di self made man di particolare talento, o
determinazione.
Fino a non molto tempo fa, tuttavia, non si trattava che delle classiche
eccezioni che confermano la regola.
Oggi, non pi cos.
Le storie esemplari di successo ottenuto partendo da nulla pi di una
buona idea - talora una semplice intuizione, o addirittura unutopia - si
moltiplicano fungendo loro stesse da esempio, ed acceleratore per altri
progetti.
un boom che impossibile non definire come una delle pi potenti e
vaste rivoluzioni nella storia dellumanit, tanto pi importante e virtuosa
perch per sua natura consente agli attori di condividere la propria vision
con lintero pianeta senza dover necessariamente far fagotto e partire in
cerca dei capitali necessari a rendere il progetto tangibile, e reale.
Ecco allora che lo scenario cambia radicalmente: si arresta lemorragia
dei cervelli, e anzi il business si pone a possibile locomotiva per la stessa
economia tradizionale.
Grazie al traino dirompente del web, e in forza della sua capacit
potenzialmente illimitata di passar parola (anche se molto va ancora fatto
perch la rete divenga una risorsa condivisa globalmente, e liberamente
accessibile ad ogni abitante della terra) lidea nata in un angolo qualsiasi di
mondo in un clic veicolata dal paesello sperduto allintero villaggio
globale, raccoglie consensi, ottiene finanziamenti e, infine, pu prendere il
via.
un processo di tale contagiante possanza che risulta impossibile, per
chi vi assista, non rimanere affascinato.
E il bello , come dicevo poco fa, che any key, any idea pu essere quella
giusta.
Su questo pianeta ci sono sette miliardi di teste pensanti, e ad ogni
secondo che passa gli abitanti della terra - e, dunque, i cervelli -
aumentano di tre unit: ognuno di essi ragiona in modo autonomo,
ciascuno potrebbe avere in serbo unintuizione in grado di cambiare il
futuro di molti o, pi modestamente, semplificarne il presente.
So per esperienza diretta che le iniziative migliori nascono per caso, da
un incontro, una circostanza fortuita, unassociazione visiva.
Cos stato per il progetto di cui vado maggiormente orgoglioso,
quellUniversit Telematica Pegaso che, pur non essendolo, ha in s i due
caratteri cruciali di una startup: una buona idea, suggerita dalla mancanza
di un qualcosa in una determinata area, geografica o merceologica che
sia; e la determinazione incrollabile a perseguire, quellidea, a dedicarvisi

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anima e corpo fino a che non sia abbastanza forte da sbocciare, e poi
crescere.
Quando per la prima volta vidi nella mia testa quello che poi sarebbe
divenuto Pegaso, avevo poco pi di venticinque anni.
E il fatto che io sia riuscito - nellItalia della fuga dei cervelli per
mancanza di opportunit, in un Paese dove sovente la cultura
considerata un fastidio cui destinare il minimo possibile di risorse - a
creare quello che Pegaso oggi un segno di come non vi sia limite alle
idee, quando sono buone, valide, e portate avanti con fierezza.
Cos stato anche per i due ambiziosi progetti che, in qualche modo,
hanno ispirato questo libro, che non vuole fare filosofia dimpresa, bens
invitare i cervelli dormienti ad avere coraggio.
Vi accorgerete durante la lettura di come io non abbia mai incertezze - e,
anzi, mi venga del tutto naturale - quando si tratta di iniziare a FARE.
il mio modo di essere, di pensare ed agire: in prima persona continuo
a fare, sin da quando mi ricordi, ogni volta rimettendomi in discussione,
ogni volta spingendo sempre un po pi in alto lasticella degli obiettivi.
stato cos anche per Lab 46 e per lUniversitas Mercatorum,
compartecipata da UnionCamere.
Due idee che proprio in questi giorni stanno giungendo a compimento,
due progetti dedicati alle startup non solo sulla carta, ma attivi,
propositivi, con una gran voglia di realizzare qualcosa di concreto, un gran
desiderio di fare.
proprio per questo spirito visionario ed artigiano che mi piacciono le
startup: sanno essere allo stesso tempo utopia e rigore, ordine e
rivoluzione, arte e business; sono per loro stessa natura creative, di quella
creativit che sa vedere oltre, scorgere un bisogno inespresso, renderlo
ipotizzabile, poi possibile e infine, con ferrea applicazione ed un pizzico di
incoscienza, reale e tangibile.
Un minimo di visionariet, peraltro, insito nellessenza stessa della
startup, e pi in generale di ogni invenzione scaturita dal genio umano.
Prima che un uomo, uno che fino a quel momento era un uomo
qualsiasi, pensasse alla ruota, nessuno ci aveva pensato; ed stato un
uomo, un altro che sembrava qualsiasi, a pensare per primo al volo
umano, o al world wide web.
per questo, ancora e soprattutto, che mi piacciono le startup: perch
non vedo lora di scoprire quale sar la prossima idea a divenire realt, e
cambiare un altro po il mondo.
Ed sempre per questa stessa ragione che, le startup, ho deciso di
provare a raccontarvele. Premete un tasto, e cominciamo.

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I

Chi ben comincia


Dietro a ogni startup, come ho detto, c unidea.
Dietro al vocabolo in s, invece, ci sono due parole in inglese: quella che
da sempre, giustamente, la lingua dello sviluppo tecnologico e del
futuro.
Cercando start su un vocabolario madrelingua, ci si stupisce di quanti
significati possa avere questo verbo, e quanto dinamici!
Start vuol dire cominciare, naturalmente, ma anche avviarsi e sorgere,
sbocciare, saltar fuori, affrontare un cammino o unimpresa, o essere al
primo posto di una lista.
un verbo che non sta mai fermo, questo, perfetto per accompagnare
lattivit del cervello umano, che non dorme (quasi) mai.
Quanto al suffisso up, sul vocabolario riempie tre pagine intere di
significati, da solo oppure abbinato a verbi e sostantivi.
Il suo senso primo comunque un semplice su, o innanzi.
Di nuovo movimento, dunque, e ancora dinamismo.
Forse non tutti sanno che gi prima di startup esisteva il vocabolo up-
start, ad indicare una persona rapidamente ascesa a una posizione di
merito, sociale o economica.
La voce verbale (tutta intera) start-up, invece, designa un movimento
fulmineo, repentino, magari provocato dalla sorpresa per unimprovvisa
illuminazione.
Possiamo allora dire che Newton ebbe uno startup allorch fu colpito
dalla celebre mela?
O che lo stesso accadde a uomini come Johannes Gutenberg, James
Watt, Antonio Meucci?
Probabilmente cos, ed in fondo bello trovare un fil rouge che leghi i
grandi inventori del passato agli uomini che, oggi, sono stati capaci di
concepire Google o li-Phone.
Per tornare invece alla nostra startup, il vocabolo nellaccezione
contemporanea ha vita assai pi recente.
Nasce negli Stati Uniti con la bolla di Internet e la cosa non stupisce
giacch, ancora oggi, la startup per eccellenza digitale.
In uninteressante ricerca pubblicata in Job24, sul portale web de Il Sole
24Ore, Alessandra Dal Monte si sbizzarrita a contare quante volte la
parola startup comparisse sulla stampa generalistica italiana1.
Su centomila articoli analizzati tra 1992 e 1998, ebbene, non era presente
che in appena dieci circostanze.
Poi di colpo, nel solo 2000 (anno caratterizzato dalle grandi speranze
riposte dagli investitori, anche nel nostro paese, nella new economy digitale)
eccola presentarsi cinque volte tanto che nellintero decennio precedente.

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Quindi, di nuovo il buio fino al 2010, e un nuovo poderoso balzo a circa
400 occorenze annue dal 2011 in poi; anno che, lo ricorderete, segna lavvio
della fruizione generalizzata del web da parte degli italiani, grazie
allavvento di smartphone, tablet e app.
post 2011 anche la data che segna il debutto del vocabolo startup su
una prima pagina italiana, quella di La Repubblica.
lo stesso autore del pezzo, Riccardo Luna, a ricordarlo nella sua
prefazione al bel libro di Alessandro Rimassa sulle startup nostrane2:
correva il San Valentino del 2012 e Luna si interrogava sul fenomeno,
allora appena emergente, chiedendosi se segnasse la nascita di un
ecosistema, o solo il gonfiarsi di una bolla con gi su impressa la data di
scadenza.
Non sempre tuttavia (anche se oggi va un po meglio) lespressione
startup e quelle collegate sono usate a proposito sui media: nellindagine
di Dal Monte poco fa menzionata si rileva come, ancora nel 2014, la
classifica dei personaggi pubblici associati al vocabolo nei vari articoli
presi in considerazione vedesse ai primi posti per numero di citazioni,
accanto a Zuckerberg o Jobs, Marissa Mayer (AD di Yahoo) e Larry Page,
anche Barack Obama e Silvio Berlusconi.
A lungo, in effetti, sui canali italiani il vocabolo startup valso quale
sinonimo di fare impresa tout court, o addirittura di semplice progettualit,
portatore sano di valori di ottimismo e verdi speranze nel futuro.
In realt, dicendo startup non sintende altro che le azioni e il periodo di
avvio di unattivit imprenditoriale, e non (equivoco diffuso) limpresa in
s.
Non importante se si tratti di unattivit online o con una sede fisica, se
preveda la creazione di prodotti concreti o solamente virtuali, servizi o
altro.
Cruciale invece che risponda al connotato dinnovativit, che almeno in
parte sia tecnologica, e che abbia carattere di novit anche a livello
strutturale: startup - infatti - solamente lattivit dimpresa che nasca per
la prima volta, ossia che prima non esisteva, almeno non in quei termini.
Se il fraintendimento sui vocaboli pu essere ridotto, in fondo, a una
mera questione semantica, ben diversa la situazione quando il qui pro
quo ricade sui contenuti.
Pensare che lo startup di unimpresa sia una scorciatoia per entrare nel
mondo del business sembra purtroppo essere un errore comune, e aver
confuso gli stessi attori del processo, se vero che (come recita il freddo
dato statistico) una sola startup su dodici, in Italia, sopravvive alla fase di
lancio.
come se, contagiati dallentusiasmo (giusto, e condivisibile) per il
trovarsi a vivere di persona una simile epocale rivoluzione, ci si fosse
dimenticati di cosa ha bisogno una progettualit startup per inserirsi con
successo nel mondo dellimprenditoria, e a maggior ragione, poi, per

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restarvi.
Si pu prescindere da capitali propri, vero, come da una sede fisica, o
da gran parte delle pastoie burocratiche che nel nostro paese attanagliano
la piccola impresa di tipo tradizionale.
Non ci pu essere startup, tuttavia, senza una buona idea.

1 Alessandra Dal Monte, Si fa presto a dire startup: luso (e labuso) di una parola
emergente sulla stampa italiana in Job24, su ilsole24ore.com, aprile 2014
2 Alessandro Rimassa, La repubblica degli innovatori, Antonio Vallardi editore, Milano
2015

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II

Sognare non costa (ma rende)


Dal self-made man allentrepreneur
Se mi soffermo a surfare su Google, interrogandone il motore di ricerca
su chi siano stati i pi grandi inventori della storia, per me grande
motivo di orgoglio trovare nel novero un grande numero di italiani.
Leonardo da Vinci e Alessandro Volta, Enrico Fermi o Guglielmo
Marconi fanno buona compagnia a uomini del calibro di Louis Pasteur o
Benjamin Franklin, Michel Foucalt, Albert Einstein o Philo Farnsworth,
inventore di quella televisione al cui apparire si disse: La gente si
stancher presto di guardare dentro a una scatola.3
Ognuno di loro ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della
civilt, e al suo avanzare verso quel progresso che parte del nostro
presente.
Se tuttavia, proseguendo nel nostro gioco, ci si volesse chiedere quanti
di loro avrebbero potuto essere protagonisti di una startup, la situazione
cambierebbe.
Gi, perch lo startupper ideale mezzo Archimede (il siracusano, ma in
fondo va bene anche quello a fumetti) e mezzo Ray Kroc, luomo che
decise di vendere a tutto il paese i panini preparati da due fratelli, Richard
e Maurice, in una tavola calda come tante altre di San Bernardino, in
California.
Come and a finire lo sapete anche voi, e vi sar chiaro non appena vi
dir che di cognome, Richard e Maurice, facevano McDonald.
Se parlate con uno startupper, vi dir che si pu definire tale solo chi
crede visceralmente in unidea, chi la considera tanto un sogno da
realizzare quanto un obiettivo da conseguire.
Al contrario, una startup nata solo dalla necessit, dalla mancanza di
alternative, una startup che nasce gi zoppa, e difficilmente sopravviver
al primo pitch4.
Alla base di ogni storia di successo ci deve essere allora genio e umilt,
ambizione e quel pizzico di visionaria incoscienza alla Ray Kroc, appunto.
Prima di tutto, per, ci vuole unidea: senza di quella, di startup non si
comincia neppure a parlare.
Anche quando lidea vincente c, invece, questa da sola non basta:
perch lidea non il punto di arrivo della creativit, bens solo il punto di
partenza: da l in poi, un gran numero di discriminanti (capacit
realizzativa o distributiva, efficienza o efficacia dei processi) influiscono
sullesito di unimpresa.
E se vero che oggi le nuove imprese possono beneficiare di una serie di
strumenti finanziari e angeli custodi, altrettanto certo che lo

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startupper-founder per sopravvivere nel mercato reale debba essere anche
imprenditore concreto, e buon amministratore di se stesso.
Nikola Tesla e Thomas Alva Edison erano colleghi, contemporanei,
pressoch coetanei; e, da quando il primo (croato dorigine) prese la
cittadinanza americana, furono anche connazionali.
Tesla, tra le altre cose linventore dellelettricit come la conosciamo
oggi, era un visionario, celebrato gi da vivo in tutto il mondo (al suo
funerale parteciparono due milioni di persone!) e considerato a tal punto
geniale da apparire a molti addirittura sovrannaturale.
Per dire, al cinema stato interpretato da David Bowie e la casa
automobilistica fondata da Elon Musk, co-founder di Paypal, porta il suo
nome.
Non registr quasi nessuno dei suoi brevetti - molti neppure li trascrisse
dai suoi illeggibili appunti - e stracci un contratto multimilionario (
milioni di fine 1800!) con Westinghouse perch non si fidava dei colletti
bianchi.
Thomas Edison, considerato inventore di praticamente qualsiasi cosa tra
la fine del diciannovesimo secolo e gli anni Trenta, fin i suoi giorni con un
patrimonio pressoch incalcolabile, titolare di 1.093 brevetti intestati a suo
nome e fondatore di oltre quaranta compagnie.
Entrambi ebbero intuizioni rivoluzionarie, portatrici di grandissimo
progresso per lintera umanit, ma se vi trovaste a poter investire su
uneventuale startup delluno o dellaltro, su chi puntereste il vostro
denaro?
Non tutto: la storia dellinnovazione in effetti ridonda, in ogni campo,
di stroncature rivolte a cose di cui oggi non potremmo pensare di fare a
meno.
John Gorrie invent il frigorifero ma non pensava potesse avere un
futuro, e lo stesso sosteneva Louis Lumire del cinema creato insieme al
fratello.
Preston Tucker cre una delle auto pi desiderate di sempre, ma non
aveva nemmeno lombra del pallino per gli affari, o della feroce
determinazione di un Henry Ford, o di Enzo Ferrari.
Alan Turing pose le basi di quello che oggi molti di noi considerano
quasi unestensione del proprio corpo (la macchina, poi calcolatore
elettronico, in seguito divenuto personal computer e infine smartphone)
dieci anni prima che nascessero Steve Jobs e Bill Gates, ma buona parte
dellumanit ha saputo della sua esistenza solo nel 2015, allorch la sua
storia stata raccontata al cinema. Stroncati furono anche Walt Disney e il
suo topo - che avrebbe troppo impressionato le massaie -, la locomotiva
a vapore e la teoria della relativit, Pac-Man e i videogames, Harry
Potter e lo stesso world wide web.
Tutte queste cose tuttavia, e per nostra fortuna, avevano creatori certi
del potenziale della loro idea, e risoluti a insistere e investire su di essa

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ogni possibile risorsa, non necessariamente ingente.
Parafrasando i celebri versi di Edgar Lee Masters
Quando ero giovane, avevo ali forti e instancabili,
ma non conoscevo le montagne.
Quando fui vecchio, conobbi le montagne,
ma le ali stanche non tennero pi dietro alla visione.
Il genio saggezza e giovent.
una startup di successo genio e determinazione, testa per aria e
piedi per terra, visionariet e vision, intesa come la capacit di vedere
oltre, leggere i bisogni del consumatore, conoscere e anticipare il mercato.
Occorrono preventivi ben calibrati e sponsor che credano davvero
nellidea, le persone adatte e nella posizione giusta, conoscenza dello
scenario e degli strumenti, ambizione e fuoco, freddezza e pazienza.
Solo dal combinarsi di tutti questi ingredienti si genera lalchimia che fa
di una buona intuizione unidea di successo, e la differenza tra la prima e
la seconda non potrebbe essere pi grande.
Come ho detto prima, infatti, per ogni impresa innovativa nostrana che
passa la fase di startup ce ne sono undici che scoppiano come bolle di
sapone.
La discriminante risiede sovente nei dettagli e, se nel 2016 ci sono in
Italia pi di cinquemila startup ufficialmente iscritte nel Registro delle
Imprese Innovative del Ministero, ebbene vuol dire che quei dettagli, alla
resa dei conti, non sono impossibili da curare.
Per tanti che hanno lasciato svanire il sogno, cinquemila sono riusciti a
partire: un dato, tuttavia, che va interpretato.
Su 5.161 imprese innovative censite al marzo 2016 (per un capitale
investito netto che va oltre i 377 milioni) circa l80 per cento sono in
sonno e non arrivano a generare 100mila euro di ricavi, su un dato
aggregato di settore che passa i 480 milioni.
Meno di cento startup, per contro, generano da sole 430 milioni di euro:
un risultato promettente, ma da valutarsi alla luce di quanto pesano
(appena lo 0,017%) quegli oltre 400 milioni sul Pil nazionale.
Negli ultimi tre anni, inoltre, il margine operativo lordo stato in media
pari al -30%, circostanza che in parte dipende dallo scarso accesso al
credito e da tempi medi dincasso - una volta che limpresa inizia
concretamente a produrre - che sfiorano i sei mesi. Secondo Vincenzo
Perrone, tra i fondatori di Leanus (osservatorio sulle startup di Milano
Finanza),
alle startup servono un Paese che funzioni e offra un ecosistema favorevole allo
sviluppo, clienti che comprano e pagano entro un arco di tempo ragionevole,
Universit e centri di ricerca che funzionano, un sistema legale efficiente e una
buona protezione della propriet individuale, oltre che infrastrutture adeguate e
servizi, anche finanziari, avanzati.5
Lidea importante, saper vedere oltre ancor di pi: occorre per tenere

17
ben presente che la preveggenza va bene finch si tratta di leggere il
futuro, anticipare il mercato, assecondarne le esigenze con prodotti creati
ad hoc.
Fatto questo, tuttavia, la palla di vetro va riposta in soffitta.
Gi, perch sar il pallottoliere - da quel punto in poi - a decidere se lo
startupper diverr Zuckerberg oppure Chi?

3 Daryl F. Zanuck, presidente della 20th Century Fox, 1946


4 elevator pitch lo strumento di presentazione che espone gli aspetti salienti di un
progetto dimpresa con un discorso capace di catturare lattenzione di un interlocutore di
media cultura nel tempo tipico di una corsa in ascensore (elevator).
5 Andrea Secchi, Startup, una su cento ce la fa. Articolo su Italia Oggi, 16 marzo 2016

18
Finestra di lettura

Il web universale
(con appunti di utopismo tecnologico)

Il world wide web nato nel 1991.


Nel 1996, i computer connessi in rete in tutto il mondo erano circa 10
milioni; esattamente ventanni dopo, oggi, quello stesso dato prossimo
a raggiungere i due miliardi e mezzo.
Quasi un terzo del Pil di uno stato, in media, prodotto dal web.
E con lavvento del web 2.0 e delle applicazioni, dei blog, dei social
network, linterazione tra web e utente come esplosa, raggiungendo
numeri fino ancora a pochi anni fa inimmaginabili e introiti di pari
livello per chi di web dinamico si occupa da imprenditore.
Prendete in mano il vostro smartphone, e contate quante icone di
mobile app compaiono sullo schermo: ebbene, sono tutti prodotti di
aziende nate negli ultimi 10-15 anni al massimo. Sono tutte startup.
La cultura del web 2.0 si spesso incontrata con le teorie in materia di
utopismo tecnologico: unideologia fondata sul convincimento che i
progressi dindustria e scienza possano condurre a una societ perfetta,
utopica, e magari al compiersi di risultati poco meno che sovrannaturali.
Per quanto affondi le proprie radici nel Novecento, quando autori
come Priestley, de Saint-Simon, Marx o H.G. Wells teorizzarono societ
ideali di matrice industriale, lutopismo tecnologico propriamente detto
prende vita negli anni 90, in California, in concomitanza con lavvento
delle dot-com.
Si trattava allora di un pensiero per lo pi liberistico in campo
economico, e anti-autoritaristico in quello pi strettamente legato alla
sfera individuale, liberata dallavvento della tecnologia digitale e del
web; e la bolla speculativa, che pareva prefigurare una sorta di Arcadia,
non fece che rinsaldare le convinzioni di quanti, a partire dallintera
redazione della rivista Wired, si erano fatti promotori del movimento.
Come and poi a finire lo sappiamo tutti, ma non per questo gli araldi
dellutopia si sono dati per vinti, virando se mai con linizio del nuovo
millennio su un tecno-progressismo (cavalcando, ad esempio, il caso
Wikileaks) che sia punto di svolta in favore di una societ trasparente, e
paritaria.
Che il web renda liberi un dato di fatto, e un intero capitolo del mio
libro precedente, Now!, si intitola proprio cos.

19
Per arrivare allutopia di una societ senza segreti, tuttavia,
occorrerebbe prima riuscire a scavalcare il digital divide, il solco che
marca il diverso accesso alle risorse tecnologiche - internet in primis -
secondo la parte di mondo in cui si ha ventura di nascere; anche se non
tutti la pensano cos.
In The net delusion: the dark side of internet freedom, il padre del cyber-
utopismo Evgeny Morozov tratteggia quelli che secondo lui sono gli
effetti negativi della rete, come laver diffuso uningenua convinzione
che laccesso condiviso al web sia la panacea di tutti i mali; ma se cos
fosse, scrive, il topic pi cercato sui motori di ricerca russi dovrebbe
essere come tutelare i diritti umani e non come perdere peso.
Nel successivo To save everything, click here, Morozov attacca
linternet-centrismo e il soluzionismo, il processo che fa s che
Amazon o Google si occupino oggi (anche) di cose che non dovrebbero
riguardare il loro business.
Unaltra voce, quella di Andrew Keen, stigmatizza la circostanza per
cui gli ex scavezzacollo del business, quelli che creavano startup nel
garage dei genitori e parlavano cool, si siano di colpo trasformati in
profeti laici dellempowering citizen-media, del content redistribution o
dello smash elitism.
Anche qui, c del giusto: innegabile ad esempio che tutto il
movimento della Primavera araba non sarebbe potuto esistere senza i
social network, che il web sia in grado di mobilitare imponenti
campagne di crowdfunding a sostegno di cause sociali o umanitarie o
ancora che, per fare un esempio paradossale, se il mahatma Gandhi
avessero avuto a disposizione internet, lImpero Britannico si sarebbe
probabilmente dissolto mezzo secolo prima.
Il punto proprio l, tuttavia, in quel se: non un caso, infatti, che
una ventina di paesi nel mondo (tra i quali la Cina, lArabia Saudita, la
Turchia) impediscano ai propri cittadini laccesso al web, e che in
altrettanti il governo applichi un controllo centralizzato degli accessi.
Si potrebbe dire che Aung San Suu Kyi, al contrario di Gandhi, vive in
unepoca in cui internet dato per scontato; vero, ma non cos rilevante
giacch la sua Birmania , appunto, tra quei famosi venti stati.
Altrettanti dubbi fanno sorgere le considerazioni di un altro critico,
quel Malcolm Gladwell che pi volte ha definito fasullo il modello
dellattivismo da click, secondo il quale possibile modificare vari
aspetti della societ intorno a noi con un semplice tocco del mouse,
senza bisogno di alzare la voce, o scendere in piazza.
Tutto bello, tutto giusto: salvo che il governo non decida di bloccare
gli attivisti disattivando lintera rete mobile del paese come accaduto in
Iran, ad esempio, nel 2009.
Mi fermo qui, per non dover affrontare teorie distopiche pi estreme
come la Singolarit di Ray Kurzweil (che prefigura un futuro di pace,

20
benessere e immortalit per un essere mezzo uomo e mezzo cyborg), gli
attacchi di David Nye e Nancy Baym (condivisibili nellassunto di
partenza, non nel loro estremismo) rispettivamente al consumismo
tecnologico e alle comunicazioni mediate dalla rete, o lestropianesimo,
il cui scopo finale trasferire la coscienza umana allinterno di una rete
globale interconnessa: chi abbia visto i film della saga di Terminator sa
gi come potrebbe andare a finire.
Pi utile se mai menzionare quanto postulato dal collettivo Ippolita,
secondo il quale il web non poi tanto libero e democratico quanto si
creda.
La circostanza pi frequentemente citata quella che vorrebbe
lutilizzo dei social network completamente no-cost (pensate ad esempio
alla home page di Facebook, e alla dicitura Iscriviti: gratis e lo sar
sempre) mentre in realt tutti quanti paghiamo laccesso in
informazioni personali; e proprio gli stessi social obbligano poi chi
voglia informarsi su come siano trattate le user-info profilate a firmare,
prima, accordi blindati di riservatezza.
I membri di Ippolita parlano al riguardo di trasparenza asimmetrica
e non hanno, in questo caso, tutti i torti.
anche vero che, esattamente come noi tutti paghiamo laccesso ai
social in dati pi o meno sensibili (che comunque nostra scelta inserire
o meno), il web paga noi per la nostra presenza online con pi
informazioni di quanto sarebbe stato possibile anche solo immaginare,
senza per ci chiederci nemmeno di alzarci dal letto.
Ci, a maggior ragione adesso che luomo wireless ha accesso anche da
mobile a questa risorsa praticamente sconfinata di cultura.
il principio fondante di quel lifelong learning che descrivevo su
Now! (e, in fondo, dellUniversit Telematica che ho fondato), il motore
immobile di Aristotele declinato in modalit 2.0: ben venga, a questo
punto, il fee da pagare.
Ed comunque tempo, adesso, di tornare a occuparci di startup.

21
III

Business plan vs. business model


Lets roll - dunque - lets startup. Cominciamo.

Nel momento in cui siamo certi che lintuizione sia quella giusta, che
lidea possa funzionare e avere mercato, si compie il primo passo del
cammino che porter al concreto fare impresa.
E qui ci si trova a fronteggiare il principale e pi caratterizzante asset
dellimprenditoria 4.0.
Quanto a questa, il 2016 appena iniziato rappresenta uno snodo
fondamentale: con lattuazione dellAgenda Digitale, il Governo ha in
modo esplicito designato startup e PMI innovative ad araldi della nuova
rivoluzione economica, quellIndustria 4.0, appunto, che sancir la fusione
effettiva tra il mondo reale degli impianti produttivi e quello virtuale (ma
non meno concreto) del web 2.0.
Connettivit ultra veloce, modernizzazione delle infrastrutture IT,
identit digitale, razionalizzazione dei database, definizione di protocolli e
standard condivisi a livello europeo sono i primi passi di un intervento
strategico mirato a rilancio degli investimenti in ricerca e sviluppo, messa
in sicurezza delle reti, diffusione delle competenze e canalizzazione delle
risorse finanziarie destinate - in primis - proprio alle nuove imprese
innovative.
A gennaio 2016 la Consob, inoltre, ha terminato la consultazione
pubblica in materia di equity crowdfunding, quella che ridefinir ruolo e
obblighi degli investitori professionali; ugualmente, a breve dovrebbe
concretizzarsi il decreto di attuazione della misura di decreto-legge 3/2015
per la costituzione di una startup tramite statuto standard digitale, senza
dover passare dal notaio.
Anche le modalit attuative degli incentivi fiscali per chi compartecipa
startup saranno rimodulati, arrivando a toccare il nuovo tetto dei 15
milioni.
Fin qui, la teoria: come ho gi detto, tuttavia, in ambito di startup pi
ancora che in quello dellimpresa tradizionale, le buone intenzioni, o le
buone idee, non sono sufficienti.
Nel business di prima il concetto di fare impresa poggiava
fondamentalmente sul sostantivo: limpresa, cio, era il quid.
Magari gi esistente - talora ereditata e gi avviata - o invece costruita
sul momento, ma quasi sempre entro un ben delimitato segmento di
mercato.
Oggi no, tutto diverso: e, questo, per due fondamentali motivi.
Anzitutto, poich la costituenda azienda cercher non tanto di inserirsi in

22
un business gi esistente quanto, per la sua stessa natura innovativa, di
crearne uno nuovo, rivoluzionario, inatteso.
E poi (sembra un vezzo semantico, ma invece una potente chiave di
lettura) perch si spostato laccento, dal sostantivo al verbo.
Nel modello di business fondato sulle startup, quello che conta di pi
non limpresa bens il FARE.
Un autorevole commentatore, Enrico Gallorini, rileva come dopo un
certo numero di volte in cui si era trovato al posto giusto nel momento
giusto per fare impresa avesse iniziato a sospettare che qualche ineffabile
vantaggio lo ponesse in una posizione favorevole rispetto a quanti -
partendo dalle medesime potenzialit - non riuscivano a cogliere
altrettante occasioni di business6.
In realt, come lui stesso ebbe poi modo di notare riguardo ai propri
competitor, le potenzialit da sole non bastano.
Non oggi. Non pi.
Persino la migliore intuizione del mondo, se abbandonata a se stessa, se
non prontamente curata e supportata dal FARE, perde di valore.
E questo, tanto pi, in un momento storico e su un mercato dove a
comandare linnovativo, il futurista, il visionario.
Prima o poi qualcuno giunger al tuo stesso concept, e quella tra startup
una corsa in cui non esiste un secondo gradino del podio.
O sei il primo, o solo uno qualsiasi di quelli che sono arrivati dopo.
Se lidea quella che caratterizza limpresa, ebbene, il fare si nutre del
trovarsi al posto giusto nel momento giusto.
E per soddisfare tanto il primo che il secondo requisito la ricetta una
sola: muoversi.
S, ma partendo da dove? Se digito su Google la parola startup, tra i
primissimi risultati abbinati escono altre due parole: business plan.
Il che, secondo la definizione di Wikipedia,
una rappresentazione degli obiettivi e del modello di business di unattivit
dimpresa. utilizzato sia per la pianificazione e la gestione aziendale che per la
comunicazione esterna, in particolare verso potenziali finanziatori o investitori.
Poich le startup per loro stessa natura si basano sullafflusso di capitali
da parte di finanziatori o investitori, il business plan parrebbe essere per
limprenditore 2.0 uno strumento imprescindibile ma davvero cos?
Secondo Giulio Ardenghi, host del blog businesscoachingefficace.com, in
ambito startup la definizione unanimemente accettata si scontra di fatto
con quella, ricavata sempre dal web, per cui
il business plan simula il funzionamento reale della vostra impresa, cercando
di prevedere cosa accadr quando limpresa (o il nuovo prodotto) sar
effettivamente realizzata7
Simula, appunto: ma nella realt?
Nella realt, come teorizzato anche dal guru Steve Blank, il business plan
spesso non sopravvive al primo contatto con gli attori del mondo esterno

23
alla startup, si tratti di consumatori, canali di vendita, fornitori, investitori.
Il motivo sarebbe da ricercare anzitutto nella pretesa di fare delle
previsioni a lungo termine, giacch il business plan standard
quinquennale: su un mercato in continua evoluzione, credere che un piano
di cos lungo respiro possa rivelarsi fondato , dice Blank,pura
fantascienza.
Non solo una questione di tempi, tuttavia; anche il fattore volumi pu
creare dei grattacapi: pensate a quel programma tv che vede protagonista
il guru della ristorazione Joe Bastianich e il suo socio americano, Tim
Love. Il format si chiama Restaurant Startup e per ogni puntata vede due
startupper del food scontrarsi per ottenere il finanziamento che permetta
loro il lancio in grande scala del proprio prodotto: sandwich, specialit
etniche, sfiziosi dessert e cos via.
Ebbene, quello che lascia interdetti notare come anche negli Stati Uniti,
che in questo tipo di cose sono avanti a noi di almeno un ventennio, il
business plan preparato con la massima cura dai concorrenti si sgonfi
innanzi agli investitori come il peggior souffl sfiatato.
E, badate, stiamo parlando di professionisti che hanno gi unattivit
avviata, e che conoscono in dettaglio costi, fornitori, clientela.
Il punto che non solo ogni business ma ogni misura, di business, ha i
suoi numeri; e se si passa - per dire - da un target di valore due a uno di
dodici non basta moltiplicare per sei le cifre gi note.
Il business non matematica. Non solo.
Tanto meno, poi, quando si tratta di un business al debutto sul mercato.
In conclusione, il business plan da s non pu bastare.
E se pure lo si volesse far bastare, occorrerebbe testarlo e aggiornarlo di
continuo; mentre una volta presentato agli investitori rimane poi nove
volte su dieci statico, immobile, pi manifesto che strumento operativo.
Per questo, ormai, quasi tutte le startup e molte corporation si sono
convertite al business model.
Da solo o, quanto meno, quale imprescindibile viatico alla compilazione
in un secondo momento del business plan.
Su Google, il primo batte ancora il secondo (537 milioni di references a
528) ma ormai incalzato da vicino, pur essendo nato molto pi tardi - pi
o meno al sorgere di questo millennio - e tradizionalmente collegato alla
new economy.
Non solamente alla new economy, per.
Seguaci del business model, strumento molto pi dinamico e in continuo
divenire, sono anche aziende strutturate come eBay, Starbucks, Amazon,
McDonalds, Toyota: questultima, in particolare, la ritroveremo.
E business model sia, allora: nelle parole di David Teece, professore di
ruolo alla Haas School of Business di Berkeley, la sua essenza
che definisce il modo attraverso il quale limpresa veicola valore ai
consumatori, convince i clienti a pagare per il valore acquisito, e converte quei

24
pagamenti in profitto8
Abbandonando i tecnicismi per una visione pi concreta, cio, mentre il
business plan serve per ottenere soldi dagli investitori, il business model
si concentra sul come averli dal cliente finale.
cio customer-oriented, focalizzato su quello che il cliente cerca, e sulla
struttura e il percorso produttivo che lazienda deve adottare per essere in
grado di darglielo.
pi immediato e schematico, in un certo modo pi pragmatico, e
ottimizza lapporto del web 2.0 nella misura in cui permette di
raggiungere il numero di clienti pi ampio possibile al minimo costo per
contatto/ordine.
Lo svizzero Alexander Osterwalder, giornalista economico, ricercatore
allUniversit di Losanna e poi co-founder di Strategyzer.com, il creatore
del Business Model Canvas (la tela dei pittori, a suggerire una massima
libert dispirazione ed espressione creativa), uno strumento strategico
concepito per
descrivere la logica con la quale unorganizzazione
crea, distribuisce e cattura valore9
Il successo o insuccesso di un business, in effetti, dipende a doppio filo
dalla capacit dellazienda o startup di creare valore per i suoi clienti.
Vale a dire, soddisfare almeno uno dei seguenti requisiti:

aiutare il cliente a svolgere un compito


soddisfare un suo desiderio
risolvere un suo problema

Il valore percepito dal cliente dato proprio dalla forbice tra il beneficio
ottenuto in merito ad una delle tre questioni sopra descritte, e il costo
investito (il prezzo, cio) per ottenere il beneficio.
Allatto pratico, il canvas si configura come un gigantesco foglio di
planning, non differente - se non nelle dimensioni - da quelli che tutti
abbiamo nelle nostre agende.
Una volta stampato e appeso al muro, compilato con lausilio di
foglietti post-it, facilmente riposizionabili secondo le necessit operative.
Nel suo approccio originario, le fasi del canvas sono cinque, vale a dire:

mobilitazione: la fase in cui la startup predispone il team e gli


strumenti necessari (tangibili e non) per creare il nuovo modello
di business.
comprensione: si individuano e analizzano gli elementi che
saranno poi necessari alla progettazione, quali esigenze dei clienti,
trend del mercato, pareri degli esperti, ecc.
progettazione: si generano e testano mettendoli a confronto

25
diversi prototipi/modelli di business, fino a selezionare il pi
valido
implementazione: la fase in cui si entra concretamente nel
mercato; il prototipo/modello di business non pi posto a
confronto con altri modelli teorici, bens con le concrete reazioni
del nostro target
gestione: si lavora per adattare il prototipo alla concreta domanda
del mercato, in base alle risposte ricevute nel corso della fase
precedente

A questo punto, immagino appaia ovvio perch il business model debba


necessariamente precedere il business plan.
attraverso il primo, infatti, che si stabilisce cosa fare, come farlo e per
quale target di clientela.
solo in seguito (solo una volta che il modello sia stato validato) che
sar possibile teorizzare su basi concrete, nel planning, tempi e capitali
necessari a portare a compimento gli obiettivi fissati.
Detto in termini ancora pi concreti, compilare il business plan prima del
business model sarebbe come uscire a fare la spesa per una cena che
stiamo organizzando senza aver guardato prima cosa abbiamo gi nel
frigorifero o in dispensa, n aver deciso il menu o, addirittura, chi invitare.
Come possiamo sapere, in circostanze simili, di quanto denaro avremo
bisogno una volta alla cassa o di quanto tempo ci servir poi per preparare
la cena?
Se non sappiamo per chi dovremo cucinare, quali siano i suoi gusti o le
sue intolleranze, chi tra i commensali sia a dieta e chi, magari, vegetariano,
quello di stabilire aprioristicamente un budget operativo diviene esercizio
di pura retorica.
Mentre sul mercato delle startup, lo abbiamo detto, occorre essere
ferocemente concreti, e non sprecare energie o risorse inutilmente.
Bisogna decidere chi, stabilire cosa e quando, progettare come.
Prima di mettersi ai fornelli, diciamo, occorre avere ben chiara la ricetta.

6 Enrico Gallorini, Start-up!, Tecniche Nuove, Milano 2015


7 Giulio Ardenghi, Creare una startup di successo: dal business plan al business model. Post
su businesscoachingefficace.com, settembre 2014
8 David J. Teece, Business models, business strategy and innovation, McGraw-Hill,
Columbus 2011
9 Alexander Osterwalder - Yves Pigneur, Creare modelli di business, FAG Milano, 2012

26
IV

Snello, competitivo, sostenibile


Il modello lean startup
Muoversi, dicevamo: il vantaggio competitivo della startup, il connotato
che le sta permettendo di modificare tanto rapidamente e cos in
profondit lo scenario imprenditoriale, infatti la sua semplicit e
immediatezza.
In uno scenario ideale, obiettivo di una startup devessere almeno uno
tra questi quattro:

soddisfare unesigenza del mercato non ancora soddisfatta;


oppure, se si particolarmente bravi a leggere il mercato,
prefigurarne una non ancora emersa e, di conseguenza
introdurre una nuova tecnologia, prodotto o servizio
trasformare un mercato gi esistente o, magari
creare ex novo un diverso mercato10

Questultima possibilit fa riferimento alla strategia cosiddetta del Blue


Ocean, un modello elaborato da W.Chan Kim e Rene Mauborgne,
professori dellINSEAD (Institut Europen dAdministration des Affaires) di
Parigi.
Basato su uno studio che copre oltre cento anni e trenta diversi settori di
business, cataloga centocinquanta differenti mosse strategiche attraverso
le quali una compagnia pu avere successo senza bisogno di preoccuparsi
dei competitor, giacch operativa su un segmento di mercato fino a quel
momento inesplorato, esattamente come una remota porzione di oceano.
Le strutture analitiche e gli strumenti presentati nel libro, che ha venduto
nel mondo quasi cinque milioni di copie, sono volti proprio a individuare
o creare ex novo questi spazi incontaminati, a sbloccare nuove
opportunit e flussi di domanda e azzerare la competizione con ovvi
benefici, a livello strategico e operativo, per lazienda.
Un po meno, magari, per il consumatore giacch un blue ocean, come
facile comprendere, almeno nella fase iniziale non differisce poi molto da
un mercato monopolistico.
Nelloceano o sul mercato tradizionale, in ogni caso, le startup partono
sempre da una posizione di vantaggio nei confronti delle imprese
strutturate.
E non un caso che anche diverse corporation, come detto nel capitolo
precedente, ne abbiano adottato lapproccio operativo semplificato, ad
esempio privilegiando lutilizzo del business model a quello del pi rigido

27
business plan.
A una startup non occorrono grandi capitali, sedi faraoniche, o smisurati
staff to make it real, per rendere tangibile una determinata visione di
business.
Proprio perch (relativamente, sintende) tanto facile, tuttavia,
chiunque ci pu arrivare.
E diviene imprescidibile agire, tentare, osare; aggiornare e rimodulare
lidea fino a trovare la quadratura del cerchio che poi si traduce, giacch
sempre di business stiamo parlando, nellottenere il gradimento del
mercato.
Occorre, in una parola, FARE.
Poich i capitali impiegati sono quasi sempre esigui, e di norma lo
startupper-founder non rischia di suo (non economicamente, almeno) che
in proporzione limitata, nellimpresa 2.0 contemplata, addirittura
ammessa lidea di fallire.
Unidea sottoposta al mercato con dei bug potr non sfondare
immediatamente, ma da quello stesso mercato torner indietro con gi in
sottotraccia i correttivi necessari a riproporla, questa volta, con piena
efficacia.
Questo non vuol dire, sia chiaro, che il panorama dello startupping debba
divenire una sorta di Far West, o meno che meno, lOra del Dilettante.
Se mai, restando alla metafora televisiva, un Italias Got Talent dove sia
data la possibilit di mettersi in mostra non solo a chi abbia una
professionalit gi affinata e pronta per il grande salto, ma pure a quanti
necessitino magari di unultima spinta o di una pacca sulla spalla (in
termini finanziari o di tutoring) per poter dispiegare pienamente la loro
vision.
Prima di affrontare la prova del mercato, in ogni caso, pu essere utile
sottoporre la propria idea (e la progettualit relativa) ad una sorta di beta
test in grado di misurarne la competitivit.
Una buona idea non necessariamente - non di default - anche unidea
buona; e un modello produttivo di business dovrebbe poter soddisfare,
sulla carta, almeno uno dei fondamentali vantaggi competitivi.
Leconomista inglese Robert Grant definisce il vantaggio competitivo
come la capacit dellimpresa di superare gli avversari nel
raggiungimento del suo primo obiettivo, vale a dire la redditivit.11
stato per il suo rivale accademico di sempre, Michael Porter, a
delineare per primo il ventaglio delle possibili strategie atte a garantirsi
sul mercato il margine competitivo, e cio:

strategia di leadership di costo (o product-driven): la capacit di


produrre prodotti simili o equivalenti a quelli offerti dai
competitori diretti, a un costo minore

28
strategia di differenziazione (o market-driven): la capacit
dellimpresa di imporre un premium price per i propri prodotti
superiore ai costi sostenuti per dotarli di caratteristiche uniche
strategia di focalizzazione: la scelta da parte dellimpresa di
focalizzarsi su un determinato e ristretto target di consumatori:
quelli di un certo territorio, ad esempio, oppure gli appartenenti a
date professioni, o lites culturali / economiche.12

La check-list di Porter, ancorch redatta oltre trentanni fa, pu essere


considerata valida ancora oggi.
Naturalmente, delle strategie proposte quella product-driven pare a prima
vista essere la meno adatta alla pianificazione di una startup: lasciarsi
invischiare nella guerra dei prezzi difficilmente potr portare alla
produzione di prodotti di alta qualit o particolarmente innovativi, e
lagone nel quale limprenditorialit 2.0 si confronta per sua natura
altamente selettivo ed esigente riguardo a questo tipo di connotati.
Pu invece essere utile, a questo punto, un ripasso di quella che
unanimemente accettata quale definizione di una startup ovvero, nelle
parole di Eric Ries
a temporary organization designed to search for a repeatable and scalable
business model13
Ries si a sua volta ispirato alla lezione del guru Steve Blank, un uomo
che il web definisce accademico e imprenditore seriale e che stato tra i
padri fondatori della Silicon Valley.
Partendo dalla considerazione che una startup non va considerata come
la versione small di una normale azienda, Blank teorizz come dovesse
invece sforzarsi di seguire un approccio di learning and discovery, che
portasse a continue riprogettazioni e migliorie del prodotto sulla base del
feedback ricevuto dai clienti.
Ne deriva il ribaltamento del modello classico di product development,
sostituito da quel customer development che sar alla base delle startup e
quel mondo nuovo che, ancora Blank
pu avere ripercussioni positive sullintero sistema imprenditoriale, fornendo
una spinta importante per luscita dalla crisi economica mondiale
Quale esempio, Blank cita la case history con protagonista il colosso
General Electric, che nel 2012 ha investito (con successo) 100 milioni di
dollari nel lancio di una batteria creata applicando lapproccio customer
oriented.
Se a una startup non conviene ragionare come unimpresa tradizionale,
tuttavia, altrettanto vero che una corporation pu agire talora come una
startup; solo in casi limitati, tuttavia, potr avvicinarne lefficienza o la
rapidit di pensiero e azione.
Tra i fattori capaci di avvantaggiare le startup sugli attori del mercato

29
tradizionale, Blank ne elenca tre preponderanti: la diffusione di software
open source e servizi cloud, che non costringono pi le aziende a dotarsi di
stabilimenti propri per la produzione di prodotti hardware; la tendenza al
decentramento nel sistema di accesso ai finanziamenti, con presenza di
business angel e venture capital ovunque, non pi nella sola Silicon Valley; e
limmediata disponibilit delle informazioni cui oggi si pu avere accesso
grazie a internet, il che agevola gli incontri, non necessariamente fisici
tra founder e finanziatori o partner.
Torniamo per un attimo a Ries: startup unorganizzazione temporanea
concepita per individuare (e perseguire) un modello di business
replicabile e scalabile; vale a dire, con margini di crescita potenzialmente
illimitati.
Oggetto delloperare di una startup principalmente il lancio didee,
attivit o servizi innovativi, sia configurate come imprese esordienti che
come nuove business unit allinterno di realt imprenditoriali gi esistenti.
In un libro del 2008 che ha venduto nel mondo milioni di copie14 ed
testo sacro di almeno una trentina di corsi in altrettante Business School a
stelle e strisce, Ries ha rielaborato la lezione del suo antico mentore per
arrivare a configurare il cosiddetto lean startupping, il cui modello delinea il
cammino ideale verso il business sostenibile ed , almeno in buona
parte, responsabile della rivoluzione in corso davanti ai nostri occhi.
Per Ries, i passi fondamentali nella costruzione di una lean startup sono:

delineare le ipotesi, privilegiando uno strumento agile come il


business model canvas e mesi di lavoro intorno a un ingessato e
fantascientifico (Blank docet) business plan
ascoltare i clienti, attraverso il modello di customer development; i
founders devono uscire dal palazzo e con laiuto dei feedback
ricevuti, costruire in tempi brevi il MVP da immettere sul mercato
sviluppare la propria idea in modo rapido e responsivo,
attraverso il cosiddetto sviluppo agile mutuato dallindustria
dei software e in grado di minimizzare o ancor meglio eliminare
ogni spreco, caposaldo operativo, questultimo, dellapproccio
lean.15

La riduzione di costi operativi, lazzeramento degli sprechi e lagilit di


azione portano a un rischio di fallimento prossimo allo zero, tanto pi se
abbinato con luso rigoroso (giacch, come detto pi volte, una startup
non campa di solo genio e sregolatezza) di strumenti alternati di controllo.
Allideazione segue la verifica di se/quanto il prodotto o servizio
risponda alle aspettative ed esigenze del target; e a questa leventuale
modifica, sempre in unottica di costante fine tuning innovativo, abbinato a

30
controllo dei costi.
Concetto cardine di questo processo , come detto, quello del

MVP (minimum viable product), ovvero la versione-test del nuovo


prodotto che, immessa sul mercato, permette al team di
raccogliere con il minimo sforzo la massima quantit di
conoscenza validata sui clienti

Per dirla con il blogger e venture capitalist Ben Horowitz,


bisogna concentrare il massimo sforzo sul product/market fit, bisogna lavorare
su prodotti che la gente pu iniziare ad utilizzare fin da subito o che si riescono a
vendere in maniera affidabile e duratura.
Non sono tuttavia meno importanti del MVP altri strumenti, quali:

pivot: la correzione strutturata del planning originario, mirata a


verificare nuove ipotesi emerse riguardo a un prodotto o una
strategia commerciale; una modifica pi light detta invece
iterazione. Lesempio forse pi clamoroso di pivot quello di The
Point, un portale creato da Andrew Mason nel 2006: non
funzionava16, fu riprogettato. E nacque Groupon.
split testing: lesperimento in cui ai clienti sono offerte in
contemporanea due diverse versioni del prodotto, onde testarne il
gradimento
continuous deployment: il processo attraverso il quale lintero codice
di unapplicazione mandato subito in produzione, al fine di
ottenere una drastica riduzione del cycle time
actionable metrics: linsieme degli strumenti di analisi atti a
orientare le decisioni di business.

Sembra complicato, ma non lo .


proprio questo, anzi, il bello delle startup.

10 W. Chan Kim - Rene Mauborgne, Blue Ocean strategy, Harvard Business Review
Press, 2005
11 Robert Grant, Lanalisi strategica nella gestione aziendale,
Il Mulino, Bologna 1999
12 Michael Porter, Competitive advantage: creating and sustaining superior performance,
The Free Press, New York 1985
13 Kevin Ready, A startup conversation with Steve Blank.
Intervista su Forbes, agosto 2012
14 Eric Ries, The Lean Startup: How Todays Entrepreneurs Use Continuous Innovation to

31
Create Radically Successful Businesses, Crown Publishing, New York 2011
15 laggettivazione (lean significa snello) allude a quella di lean manifacturing, elaborata
nel 1993 da James Womack, David Jones e David Roos per descrivere i processi di
produzione a zero sprechi dellindustria automobilistica giapponese, in particolare la
Toyota
16 parlando del primo sito al Wall Street Journal lo stesso Mason disse troppo
astratto; puoi usare la piattaforma per boicottare una multinazionale o avere lo sconto
sullabbonamento a un giornale.

32
Finestra di lettura

Mezzogiorno di business [1]


Antonio Prigiobbo racconta NAStartUP

NAStartUp una delle palestre italiane dellecosistema startup: un


acceleratore, una community, un evento mensile migrante dedicato agli
amanti dellinnovazione per conoscersi, discutere e presentare pitch
innanzi a una platea selezionata. Nasce da unidea di Antonio Prigiobbo,
innovation designer e social investor gi creatore di network e format
territoriali dinnovazione, con la collaborazione di Antonio Savarese,
giornalista specializzato, Gianluca Manca, CEO di Intertwine e Giovanna
DUrso, community advisor.

Ancora in materia di acceleratori di business, una storia che mi piace


raccontare quella di NAStartUp, e del suo ideatore Antonio Prigiobbo.
Nata appena nel 2014, NAStartUp si rapidamente accreditata come
una realt di eccellenza sul mercato dellimprenditoria 4.0.
Non solo in Italia, dove pure lavere una simile locomotiva nella tanto
bistrattata Napoli grande motivo di orgoglio per lintero Sud, ma
anche in Europa, dove il progetto riconosciuto, apprezzato e collegato
ad altri consimili in diversi paesi.
Quanto ad Antonio Prigiobbo su piazza da un po di pi della sua
creatura, e vanta oltre ventanni di esperienza in ambito occupazionale.

Correva il 1992 racconta lanno di Tangentopoli e della scomparsa di


Falcone e Borsellino, ma anche quello in cui fu inviato da un ingegnere di
Vodafone il primo SMS, quando lUniversit Federico II di Napoli decise
di aprirsi a internet.
Per i tecnici di allora, abituati ai calcolatori elettronici, questa del
world wide web e dei laptop portatili era per met moda passeggera, e per
laltra met un fastidio.
Si decise pertanto di affidarne la gestione a uninfornata di irregolari,
giovani programmatori e periti informatici cresciuti a codici open source e
pirateria non ancora illegale; lambiente in cui ci muovevamo come
pionieri era sospeso tra scienze umane e tecnologie che oggi sentir
chiamare innovative fa sorridere.

Nel 2007, licona del Vesuvio Fluido quale antidoto alla sedentariet
e sprone al guardare avanti, spinge Antonio a tuffarsi nel circuito delle
startup, che a quel tempo erano ospitate, per la grandissima

33
maggioranza, allinterno dei Centri di Ricerca universitari.
, questo, lanno in cui a Napoli arriva il trofeo del PNI17 e quello in
cui oltreoceano il modello meritocratico soppianta quello di Kaufmann,
e Frisco con il boom di Facebook e delle altre startup innovative supera
Kansas City.

Dire nel 2007 che eri un innovatore dice Antonio era un po come
sostenere di essere Willy Wonka, o Mickey Mouse: non era un lavoro
reale, e per dedicarcisi serviva un bel po di lucida follia.

Nel 2011, con Marco Esposito a fare da catalizzatore delle energie dei
molti che volevano riscattare il territorio - in controtendenza con la
fabula di un Sud poco operoso o poco innovativo - cercammo di avviare
un processo di accelerazione delle idee nel Comune di Napoli. Matematici
o filosofi, scienziati e umanisti: per noi tutti avevano qualcosa da
apportare. E tanto pi Marco, in quegli anni (come pure in seguito) vera e
propria interfaccia e mediatore tra gli innovatori e le istituzioni.
Fu cos che nacque Vulcanicamente, progetto animato soprattutto da
motivi di opportunit politica ma ancora, a tuttoggi, il programma per
startup pi copiato e imitato, persino entro lo stesso comune in cui era
nato loriginale..
A buona ragione, se si ricorda che su quaranta progetti presentati nel
2012 ne ha portati sul mercato ben otto, raccogliendo tre milioni e mezzo
di euro di finanziamenti.
Il significato pi autentico di quellesperienza, in ogni caso, va oltre il
valore che ha prodotto fin qui, e risiede soprattutto nellessere stata
capace di aggregare una comunit viva e pulsante, e attrarre linteresse dei
lab di tutta Italia come pure, restando a Napoli, di un colosso come Citt
della Scienza.

Era stato gettato, intanto, il seme da cui nel 2014 sarebbe nata
NAStartUp.
Sul format dei forum allora in voga in ambito di design o moda,
Prigiobbo modella quello di un open lab che consenta a innovatori e
startupper di uscire dai garage, e ritrovarsi a condividere un circolo
itinerante di liberi associati.

Due in particolare spiega ancora Antonio sono i connotati fondanti e


fondamentali di NAStartUp: da un lato, chiunque si unisca a noi sa di
essere parte di una lega di uguali, senza vincoli precostituiti, diversa nella
sostanza da quei posti dove le imprese calano con il solo intento di fare
verticalit e pretendono, come se poi fosse possibile, risultati certi.
Qui, al contrario, sono le startup a generare altre startup, ispirandosi a
vicenda e spartendo idee e practices, invece di stare ognuno arroccato nel

34
proprio fortino o litigarsi i budget.
Per tutti loro, NAStartUp una vetrina; per il pubblico degli investitori,
ma anche delle professioni e dei media, nonch per la community
nazionale e internazionale degli innovatori un appuntamento su cui
contare.

La formula di NAStartUp unica nel suo genere, accuratamente


progettata per coinvolgere il maggior numero di soggetti e in ogni modo
possibile.
Ogni anno si compone di dodici appuntamenti, il che d modo a
founders e investitori di trovare modo di incontrarsi senza avere
lincubo del calendario o del celebre, temutissimo, precedente
impegno.
Per cinque mesi consecutivi la ribalta compete alle startup italiane: ad
ogni appuntamento, quattro idee innovative di business hanno la
possibilit di presentarsi nel classico elevator pitch di pochi minuti.
Uno spazio apposito dedicato in ogni meeting a 2-3 progetti social,
cos che possano a loro volta beneficiare dellattenzione di media e
finanziatori presenti e possano ricavarne visibilit e fondi.
Negli altri due incontri mensili rimasti, invece, la scena riservata ai
format esterni a NAStartUP, con eventi di respiro pi internazionale.
La cosa che mi piace di pi del modello NAStartUP prosegue Antonio
quella che noi chiamiamo the gym, la palestra.
In concreto, vuol dire che ogni startup entro il nostro contenitore in
open source: i founders si aspettano i contributi degli altri startupper, e a
chiunque data facolt di proporre modifiche o pivot.
Il fatto poi che gli appuntamenti siano calendarizzati con regolarit e
molteplici nel corso di un anno un altro vantaggio competitivo
importante che NAStartUp garantisce, cos come quello di dare possibilit
alle future imprese di parlare con gli investitori prima di presentare
ufficialmente lidea; in pratica, anzi, prima ancora di svilupparla del
tutto.
Ci in effetti permette di accedere al mentoring gi in fase di seed e,
volendo, di tarare il prodotto su particolari caratteristiche che dovessero
essere richieste da un investitore realmente interessato.
NAStartUp fatto dalle persone e molte di loro sono ormai come parte
di una famiglia: sebbene a ogni appuntamento ci siano volti nuovi, e da
sempre pi lontano, molte delle persone che sincontrano ai nostri eventi
sono fedeli compagni di viaggio dagli inizi.
Tra noi tutti si stabilito un rapporto di reciproca fiducia che risulta,
logisticamente, un potente acceleratore dei processi; e per quanto ognuno
veda il progetto a modo suo, tutti sanno cosa ciascuno pu dare - a
NAStartUP e agli altri - o chi sia il referente pi adatto per una
particolare necessit: modalit operative, tempistiche, linguaggi, sono

35
condivisi e tarati sulle reciproche necessit.
per ci che, sebbene NAStartUp non abbia una sede fisica (si riunisce
ogni volta in un diverso luogo della citt) molto pi lab, incubatore e
coworking di tanti edifici fatti di calce e mattoni.
Il pubblico che affolla gli eventi di NAStartUp , come detto,
eterogeneo e assai numeroso: la media di oltre duecento presenze per
ogni appuntamento, ma considerati i partecipanti seriali il numero
complessivo per unannata oltrepassa agevolmente le 3.000 unit; di
queste, non meno del 15% proviene da fuori Napoli.
Il sistema attivamente partecipato da sponsor e partner esterni, e
molti sono anche quanti - appartenenti al mondo dei media o a quello
dei liberi professionisti - frequentano gli eventi per aggiornamento o
cultura personale in materia dinnovazione.
Oggi, NAStartUp parte di un network di acceleratori europei,
attraverso il quale collegata da periodiche esperienze di scambio con
Londra, Berlino, Barcellona e Malta, in una sorta di Erasmus del 2.0.
Chi partecipa ai programmi esteri scelto dalla community, nel segno
di quella democrazia partecipativa di cui intrisa la formazione di
Progiobbo e la genesi di NAStartUp, e al ritorno condivide la propria
esperienza con gli altri.

Il fermento didee che deriva da questo processo spiega Antonio


formidabile. La circolarit degli operatori - come la chiamo io -
moltiplica le opportunit di coloro che sono coinvolti nel processo, anche
solo per osmosi.

La policy di non stringere accordi vincolanti con alcuna associazione


professionale, a sua volta, si rivelata vincente: in tal modo la porta
aperta per chiunque.
Lo stesso si pu dire per la consuetudine di non fare mai pi di un
evento allanno nello stesso posto: ospitare NAStartUp genera vantaggi e
visibilit, ed giusto che ne possano beneficiare il maggior numero di
realt cittadine.
Il modello, ormai, autonomo e autofinanziato, il che ci permette di non
cedere alle lusinghe di chi vorrebbe mettere il suo logo sui nostri
manifesti: unindipendenza che sta facendo scuola e ispirando altre citt
del Sud, e a breve accoglieremo in famiglia i programmi di Bari, Palermo,
e altri ancora.
E poi, ci sono i risultati. Concreti.
Una startup su quattro tra quelle che hanno la possibilit di un pitch
viene finanziata, e non necessariamente si resta vincolati al settore
dellinnovazione.
Turismo, food, fashion, design: c spazio per tutto quanto faccia made
in Italy oltre che, naturalmente, per i progetti social e di crowdfunding.

36
Il segreto di NAStartUp confessa Antonio quello di non fermarsi
mai come il sottoscritto del resto.
Il continuo confronto con altri founders e startupper produce ulteriore
innovazione, si tratti di idee concrete di business o invece di
contaminazioni verticali, trend-setting o nuovi format come la Battaglia
delle Idee sviluppata con Ninja Marketing - dopo Milano si far anche a
Napoli e Salerno - o altre cose che stiamo preparando con Restoalsud.it o
Campania Start-up.
NAStartUp nata nel marzo del 2013 e allepoca aveva a bordo appena
cinque startup: il digital lab Enjinia, presente con la caccia al tesoro
mobile di BeApp; il biotech Bluesodlab e il portale di crowdfunding
Buonacasa.org; Kruisy, operate nel segmento travel, e Rana Mondana, a
vocazione food. Eravamo davvero in pochi, eppure oggi, da tanto si
fatto nel frattempo, non si crederebbe che siano passati solo due anni.

Pensare che allora non esisteva neppure lOsservatorio ministeriale sulle


startup, e la regione Campania era allultimo posto quanto a numero
dimprese innovative: oggi vanta pi di 300 startup, e il capoluogo la 4a
citt italiana per presenze, dopo Milano, Torino e Roma, che possono per
contare su decine di operatori e finanziatori - Camere di Commercio, enti
pubblici, istituzioni - mentre qui fa qualcosa solo la Regione.
Proprio negli scorsi mesi stato creato lassessorato allInnovazione e
Internazionalizzazione, con delega alle startup e un budget importante: se
si riuscir a interfacciarsi efficacemente tra le varie parti in causa,
potrebbe rappresentare un ulteriore punto di svolta. Speriamo.

Da parte nostra, possiamo vantare gi adesso un piccolo grande


primato: delle oltre 300 startup campane, quasi la met (80 di quelle
business oriented e 40 impegnate nel sociale) sono transitate per gli
appuntamenti di NAStartUp, e tutto questo in appena due anni.

un buon inizio, credo; ma , appunto, solamente linizio.

17 il Premio Nazionale per lInnovazione, assegnato annualmente dallAssociazione


Italiana degli Incubatori Universitari e delle Business Plan Competition

37
V

Una corsa in ascensore


Fino a qui, abbiamo fatto teoria. Non diversamente da uno startupper
che si svegli una mattina con unidea fenomenale, e inizi piano piano nella
sua mente a valutare tutti i possibili aspetti e sviluppi del suo progetto.
Una buona idea da s, tuttavia, non fa una startup.
Molti di voi conosceranno gli information designer Mark e Anna Vital
che sul loro sito fundersandfounders.com raccontano in infographics le startup
e limprenditoria in generale.
In quella intitolata How to make money the startup way18 il processo che
va dalla semplice idea alla exit strategy articolato pi o meno in queste
fasi:

trova un prodotto (o idea) di successo ma non ancora perfetto


comprane uno, e studialo in dettaglio
sforzati di trovare un modo per migliorarlo
realizza un prototipo della tua idea (il MVP del precedente
capitolo)
mostra il prototipo a 100 persone
se non lo ordinano, ripensalo, e ancora, fino a che non lo faranno
trova un co-founder per la tua startup; dividete 50 e 50
trova qualcuno con un sacco di soldi, un investitore
cedigli il 10% della tua compagnia
realizza il prodotto
vendilo a un milione di persone
ottieni altri capitali dagli investitori
quotati al Nasdaq (nel nostro caso, in Borsa)
ora tu, il tuo co-founder e i tuoi investitori potete davvero
diventare ricchi, con i dividendi o vendendo le vostre quote (exit-
strategy)

Detto cos, un gioco da ragazzi; nella realt alcune fasi sono


leggermente pi complicate, altre addirittura meno.
Alla lettura del punto in cui mi si dice di mostrare il MVP a 100 persone,
ad esempio, la reazione di molti sarebbe quella di pensare ma cos mi
ruberanno lidea preoccupazione tipicamente latina e tanto poco
anglosassone da avere nulla a che spartire con lo scenario delle startup.
Illuminante in tal senso un post di David Ams, founder dellagency
newyorchese HB Studio, social media addict and meditator.

38
Nel suo intervento dallinequivocabile titolo19 Ams elenca dieci buoni
motivi per i quali nessuno startupper o investitore si darebbe la pena di
rubare unidea altrui invece di averne una propria, o di comprarla.
Perch a nessuno importa della tua idea, e perch la stessa idea messa in
atto da due persone diverse d due diversi risultati; perch didee
rivoluzionarie non ne esistono pi, e perch con la stessa idea di business
miliardario altri hanno, in precedenza, gi fallito; perch faresti meglio a
concentrarti sullidea, invece che su certe paranoie, e via di seguito.
Soprattutto due sono per, a mio modo di vedere, i punti focali:
Because an idea is 1% and execution is 99%, e dunque a rubare lidea si
farebbe ben magro affare. E poi,
Because you dont have the answers, your market does. Talk out loud, go out
there, become an expert, speak, network, and collect feedback: se tu non hai le
risposte, il tuo mercato le ha perci esci, e fatti sentire, parla con tutti, fai
network, raccogli feedback e diventa a tua volta un esperto.
Ecco perch non bisogna aver timore di raccontare la propria idea, e
chiss mai che uno degli interlocutori non sia un investitore in incognito.
Con la sola idea da sola, tuttavia, non si arriva molto lontano.
Tutti hanno idee di continuo, e se non tutti sono startupper da milioni (o
miliardi) di dollari da qualche parte ci devessere una discriminante.
Ripartiamo dalla definizione di startup: unazienda che nasce con il
proposito di essere innovativa e scalabile.
Innovativa, appunto: lobiettivo di business di una startup quello di
creare qualcosa - prodotto o servizio che sia - mai realizzato prima da
nessun altro.
A un risultato simile si pu arrivare innovando qualcosa che gi esiste,
unendo pi servizi o prodotti per crearne uno nuovo: limportante che
sia qualcosa di mai visto, e che risolva un problema.
Pu essere utile a questo punto il contributo di Paul Graham: scienziato,
saggista e co-founder di Y-Combinator, considerato il pi efficiente
acceleratore del pianeta. In un suo celebre post addirittura del 2005
Graham diceva che
servono tre cose per creare una startup di successo: un team di persone in
gamba, realizzare qualcosa che i clienti vogliono, spendere meno soldi possibili.
Molte startup che chiudono, falliscono in una di queste tre cose; una che riesca in
tutte e tre ha molte probabilit di successo. Sono tre cose difficili, ma fattibili: e
poich una startup di successo rende ricchi i suoi founders, allora anche diventare
ricchi fattibile. Se dovessi dare un solo messaggio sulle startup, che non ci sono
step magici la cui soluzione richieda genialit.20
Dallincrocio delle varie lezioni dei maestri americani, il metodo classico
per la costruzione di una startup quello che si articola in sette fasi, vale a
dire:
trova una buona idea di business e condividila; affina la tua idea
attraverso i feedback; costruisci un team di valore; con loro, rifila ancora la

39
tua idea (MVP, pivot, iterazioni, test) utilizzando lapproccio lean per
evitare sprechi; valida il modello (cio, dimostra che pu funzionare);
ricerca il primo seed.
Il seed (letteralmente: seme) per la verit lidea allo stato embrionale o,
se preferite, lidea prima della startup; in senso ampio, sintende per con
seed anche quel primo finanziamento (si parla in tal caso di seed-investment)
che permette alla startup di ottenere la somma necessaria a produrre un
MVP, effettuare dei beta-testing, o comunque a continuare a sviluppare
prima di presentare la startup agli investitori tradizionali.
Di norma, per un seed non occorrono che poche migliaia di euro e ci
rende questa fase terreno ideale per i business angels21.
Lidea quindi quella di recarsi da investitori privati o acceleratori
dimpresa a presentare la propria idea di business.
Unalternativa, almeno in Italia, quella di partecipare ai cosiddetti
demo-days, eventi dove la platea composta appunto da investitori, e
presentare loro quello che in USA chiamano elevator pitch poich per
presentare la propria idea si hanno a disposizione tre minuti: il tempo di
una corsa in ascensore.
A un pitch di successo seguir poi ovviamente una seconda occasione di
colloquio, riservato e pi approfondito, con gli investitori interessati al
progetto.
Bene, ma come si realizza un pitch di successo?
Indicazioni assai attendibili in materia arrivano da un bel post di
Maurizio La Cava, tra molte altre cose founder di e-koodo.com, il portale
italiano nato nel 2014 che stato da pi parti (e a ragione) definito il
Tripadvisor dellimpiego.
Nel suo articolo La Cava spiega anzitutto come sia buona norma
considerare la variabile dellattenzione, giacch quella della platea non
sar certo la stessa per ognuno dei pitch presentati durante un evento. 22

Si rende perci necessario, oltre ai connotati base di avere un fluente


public-speaking e di comunicare contenuti interessanti e innovativi, il
requisito di un pitch-deck (il piano secondo cui strutturato il pitch)
costruito ad arte.
In cerca della formula magica (o quanto meno della ricetta perfetta) La
Cava esamina il pitch-deck di alcune tra le pi importanti startup mondiali,
tra cui lunicorno per eccellenza, quellAirbnb capace di rastrellare fin qui

40
2.3 miliardi di dollari di capitali, in sette round, da oltre trenta diversi
investitori.
Dal confronto tra i deck di chi evidentemente sa come convincere gli
investitori e quelli consigliati da alcuni tra i top influencers mondiali,
emergono alcuni elementi in comune da cui si pu ricavare un modello di
base.
Cinque punti, in particolare, sono ricorrenti in quasi ogni struttura, cio:
1. Problema e soluzione: chi finanzierebbe una startup che non risolve
nessun problema importante? E, chi finanzierebbe una startup che non in
grado di risolvere il problema che ha identificato?
Steve Blank definisce questo passo di analisi customer discovery, lo stadio
in cui la startup deve superare la barriera del problem/solution fit, e sostiene
che questo sia solo il primo passo. A quella di discovery (scoperta) seguono
le fasi validation (verifica che la soluzione sia apprezzata dal target
audience), creation (che potenzia la domanda) e building, in cui si comincia
a scalare il business.
2. Dimensione del mercato: c un mercato per la tua idea? Quanto
grande? Obiettivo di una startup costruire un business sostenibile sulla
soluzione creata; quindi, occorre un mercato cui veicolare questa
soluzione. Stimare le dimensioni del mercato arduo (le stime per
definizione sono poco credibili) eppure lanalisi cruciale per dimostrare il
potenziale dellidea.
A sua volta il mercato si distingue poi in potenziale (persone interessate a
comprare il prodotto), disponibile (persone del mercato potenziale con
reddito tale da poter comprare il prodotto), qualificato (persone del
mercato disponibile che possono legalmente comprare il prodotto), servito
(persone del mercato qualificato che puoi davvero servire) e penetrato, cio
le persone del mercato servito che hanno effettivamente comprato il tuo
prodotto.
3. Competition: meglio essere un piccolo player in un mercato di valore
piuttosto che lunico su un mercato che non esiste. Cio, se pure potreste
avere la tentazione di persuadere la platea che non ci sia nessuno sul
mercato con unidea simile alla vostra, in realt non vi converrebbe: avere
dei competitor dimostra che per quel tipo di business esiste un mercato.
Per emergere in un mercato affollato, dice La Cava, il modo migliore
eccellere in execution, limplementazione dellidea; quello, pi che il
saper sviluppare la tecnologia, a fare la vera differenza tra il successo e il
fallimento.
4. Business model: come pensi di guadagnare? La parte relativa al
business model imprescindibile in un pitch deck ben strutturato poich, se
chiedi soldi agli investitori oggi, devi essere in grado di restituire pi
soldi domani. la base di ogni progetto dinvestimento, ed
imprescindibile poter mostrare a chi ascolta la capacit di generare un
guadagno con il proprio progetto.

41
5. Team: un team scarso con unidea brillante un fallimento assicurato,
un team brillante con unidea scadente trover il modo di farla funzionare.
Nello scenario delle startup, il team tutto, e la slide relativa presente
nella struttura di qualsiasi modello di pitch-deck: la gerarchia della
compagnia, o ruoli ed esperienze passate di ogni componente il team sono
elementi che ogni investitore avveduto valuter attentamente, per
sincerarsi che ci siano le competenze necessarie a creare e implementare
quella specifica idea di startup.
Altri elementi di rilievo in un pitch-deck efficace possono essere unique
selling proposition (la capacit di risolvere un problema meglio dei propri
competitors), roadmap (mostra il percorso compiuto sino a quel punto
dalla startup e come si ha intenzione di proseguirlo), why now (perch si
scelto quel particolare momento per lanciare la startup o uno specifico
prodotto/servizio), oppure slide specifiche su eventuali brevetti o
tecnologie proprietarie, vision e fini della compagnia, core features,
partnership, proiezioni finanziarie, risultati di vendita o crescita,
investimenti ricevuti, proiezioni di vendita, eccetera.
Diceva Ennio Flaiano che i giorni indimenticabili della vita di un uomo
sono cinque o sei in tutto, e gli altri fanno solo volume.
Non detto che il giorno del primo pitch andato a buon fine sia uno di
quei giorni, ma certo che in quei tre, cinque, sette minuti in ascensore
si gioca molto della differenza tra farcela e restare solo uno di quelli che
sembrava avesse avuto una buona idea.
Lo stesso concetto vale per chi, aggiudicatosi magari linteresse di un
investitore riesce ad approdare sul mercato, magari anche a passare la fase
startup senza per riuscire poi a consolidarsi come company, o a
primeggiare sui concorrenti. Per ogni Google che (seppure partita dopo
altri) riesce a fare il botto ci sono decine di Aol, Lycos o Altavista che
lentamente sfumano allorizzonte: ci vuole timing, costanza, applicazione,
dedizione, execution.
Magari un pizzico di fortuna ma - si sa - fortuna audaces iuvat; e ancor pi
della dea bendata, comunque, pu fare un angelo custode.

18 fundersandfounders.com/how-to-make-money-the-startup-way/
19 David Ams, Why nobody will steal your shitty start-up idea, su Medium.com, novembre
2015
20 Paul Graham, Want to start a startup? Post pubblicato su paulgraham.com, marzo 2005
21 Per la definizione di business angel, vedi al capitolo successivo
22 Maurizio La Cava, Come creare un pitch di successo per la tua startup, una guida.
Post pubblicato su startupitalia.blog.eu, novembre 2015

42
VI

La citt degli angeli


Lo scrittore tedesco E.R. Raspe, che mise su carta i fantasiosi racconti
uditi dalla viva voce del Barone di Mnchhausen, considerato lispiratore
di quella voce verbale, bootstrapping (letteralmente: sollevarsi per i lacci
degli stivali), che oggi facile sentire associata alle attivit delle startup.
Nel romanzo, il Barone a un certo momento narrava di come, trovandosi
impantanato in un acquitrino, fosse riuscito a liberarsi alzandosi da s
proprio per le stringhe degli stivali!
Pur in s paradossale, lepisodio ha generato nellinglese colloquiale quel
verbo che ai giorni nostri ha pi o meno il significato di
building a business out of very little or virtually nothing. Boot-strappers rely
usually on personal income and savings, sweat equity, lowest possible operating
costs, fast inventory turnaround, and a cash-only approach to selling. Many of
todays largest corporations (such as Apple computer, Coca Cola, Dell Computer,
Hewlett-Packard, Microsoft) began as boot-strapped ventures. Most of worlds
startups still follow this road; either because there is no alternative, or because of
the unmatched control and independence it offers.23
Che la startup sia una pianta che non necessita di troppa acqua per
crescere, e il founder possa essere in teoria in grado di tenersi in piedi da
s non equivale, tuttavia, a dire che questo tipo di business possa campare
di nulla, o che il giusto investitore incontrato al momento giusto non sia in
grado di mutare radicalmente lavvenire di unidea.
Nella definizione stessa di startup, del resto, ricompresa la ricerca di
capitali, che sia effettuata poi tramite la quotazione in borsa e unofferta
pubblica di vendita, ovvero garantita dallintervento di uno o pi venture
capitalist, da un business angel o da una delle altre figure che gravitano
intorno al fulcro dellimprenditorialit 2.0.
Lo scenario startup, nella sua dinamica pi tipica, quel luogo in cui
sincontrano creativi con una buona idea e budget scarso o inesistente, e
persone con portafogli abbastanza gonfi da non doversi sforzare di
pensare a unidea creativa propria.
Molti ricorderanno quella celebre citazione da Per un pugno di dollari di
Sergio Leone
quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola
un uomo morto
Su un mercato competitivo come quello delle startup cruciale
presentarsi preparati, tanto pi a un incontro con gli investitori: il founder
che si offra privo degli adeguati strumenti, in primis un business model
convincente destinato a restare, se non morto sul terreno come in un
western quanto meno appiedato.

43
Martin Zwilling, tra le penne di punta del sito entrepreneur.com (che
parlando di startup equivale, pi o meno, al Vangelo) ha di recente posto
lattenzione sullenorme e non sempre ben percepita differenza che passa
tra un approccio seed-stage e uno early-stage24.
Abbiamo detto cosa si intenda per seed, mentre early significa presto e
indica in questo caso la fase di effettivo avvio della startup.
Nella mia metafora ispirata a Sergio Leone, learly-stager il founder che
si presenta sul mercato con il fucile, mentre il seed-stager si aggira per lo
stesso ambiente poco armato, incerto, e imprenditorialmente
vulnerabile.
Non ha individuato la soluzione di finanziamento pi adatta alle sue
necessit, o non ha ancora sviluppato un business model, non dispone di
quella quota minima di capitale necessaria almeno a sviluppare il suo
progetto in fase embrionale, a produrre un MVP, o dimostrare che lidea
possa funzionare.
, pertanto, esattamente il tipo di persona o azienda con cui la maggior
parte degli investitori non vuole avere nulla a che fare!
Tra i piani B che lo stesso Zwilling (uno degli investitori di maggior fiuto
negli Stati Uniti) suggerisce, vi sono quello di affidarsi al crowdfunding, a
un super-business angel o una micro venture capital, ad acceleratori o
incubatori, o puntare al coinvolgimento di aziende gi affermate.
Anche major come Intel o Google si segnalano per i propri investimenti
in fase di seed-staging, rivolti a quelle startup che, operanti nelle tecnologie
innovative, considerano prospetti interessanti per una futura acquisizione.
Parler pi avanti del crowdfunding e dei luoghi fisici - come incubatori,
acceleratori e coworking - che possiamo considerare le tane delle
startup.
Per ora concentriamoci invece sulle persone, e in particolare sulle
diverse figure che, secondo le circostanze, rappresentano lalter ego del
founder.
Se ho intitolato questo capitolo alla citt degli angeli non per un
particolare legame di L.A. con le startup che, se mai, sono pi di casa a
San Francisco, gate della Silicon Valley.
Il riferimento voleva essere invece ai cosiddetti business angels, una
delle principali risorse cui gli startupper si possono rivolgere nella fase di
avvio del proprio business.
La categoria dei business angels non nasce con la new economy ma
affonda le sue radici addirittura negli Stati Uniti del XIX secolo.
Si pu dire che a quellepoca il business oggetto del loro intervento fosse
sostanzialmente quello preceduto da show giacch era sul
finanziamento degli spettacoli di Broadway che si concentravano i loro
investimenti.
Gi nel periodo seguito alla crisi del 29, tuttavia, gli angels avevano
allargato la propria sfera operativa ad altri settori, tanto da essere

44
ufficialmente accreditati come soggetti economici dal Securities Act del
1933.
Il fenomeno ebbe ulteriore diffusione con la creazione della rete
telematica denominata Ace-net, hub di contatto tra finanziatori e finanziati,
gestita da enti accademici e di ricerca sotto legida del SBA, il ministero
statunitense per la piccola e media impresa.
Da oltreoceano il modello dinvestimento stato poi esportato nel Regno
Unito e nei Paesi Bassi, realt tradizionalmente molto vitali dal punto di
vista mercantile, prima di essere organizzato dallallora CEE in Conferenza
Europea e poi, nel 1999, nella rete EBAN.
Strutture territoriali consimili, dette IBAN (Italian Business Angels
Network) esistono attualmente anche nel nostro paese: le prime si sono
costituite con il nuovo millennio a Milano e Venezia.
Vi sono per ancora debitore della definizione esatta di business angels:
si tratta in pratica di investitori privati, non regolamentati o iscritti a un
particolare registro o albo, e che operano al di fuori dei canali formali quali
ad esempio il venture capital.
Spesso addirittura anonimi, gli angels finanziano e compartecipano le
imprese attraverso lacquisto di quote azionarie.
Il modello startup, per sua natura scalabile e fondato su un investimento
non elevatissimo, lo rende particolarmente adatto allintervento degli
angels; di solito di manager o liberi professionisti con buona disponibilit
di capitali propri, che si possono permettere di aspettare quel medio
termine nel quale una startup valida genera ricavi consistenti, per via
diretta oppure (la cosiddetta exit-strategy) attraverso le plusvalenze
generate dalla vendita della propria quota azionaria.
Il momento dellentrata in scena dellangel coincide di solito con quello
in cui si manifesta il funding gap, la mancanza del capitale necessario a
compiere il passaggio dalla fase seed (idea) a quella di startup vera e
propria, e dellavvio effettivo del business.
Nella stragrande maggioranza dei casi questo gap si aggira su alcune
decine di migliaia di euro (o dollari) risultando cos, allo stesso tempo, una
cifra inavvicinabile per il founder e una non abbastanza rilevante da
meritare lentrata in scena di un fondo venture tradizionale.
Poich di solito imprenditori a loro volta, inoltre, questi soggetti possono
spesso risultare preziosi nellintera fase di lancio dellimpresa, attraverso
la condivisione di skills tecnici o relazioni personali.
Un altro vantaggio competitivo degli angels che di norma questi
puntano su imprese del loro stesso settore di attivit, e la loro conoscenza
del mercato tale che sono in grado di valutare rischi e margini
dellattivit oggetto di startup in tempo reale, cos da poter agire
rapidamente e non dover ricorrere, ad esempio, a una due diligence25, che
gi in partenza aumenterebbe i costi delloperazione.
Di natura simile ai business angels sono i super-business angels cui

45
faceva riferimento Zwilling nel post citato poco fa, e i newtork o club di
investitori.
I primi sono angels individuali che invece di investire su una singola
startup diversificano il proprio portafogli con partecipazioni di pi
imprese (fino anche a venti o pi) e interventi in momenti diversi del ciclo
di vita della startup; tra i pi accreditati campioni del settore, ad
esempio, c il fondatore di LinkedIn Reid Hoffman.
Quanto a network e club dinvestitori, prevedono lassociazione di pi
angels: ci, non solo per lovvio fine di poter disporre di un maggior
capitale, ma anche per risultare in tal modo appetibili alle startup pi
contese, svolgere attivit di lobbying presso le istituzioni, o creare
sinergie.
Per loro natura, i club di solito non hanno un fine diretto di lucro, quanto
se mai lobiettivo di agevolare le attivit dinvestimento dei singoli
componenti il cartello.
Laltra faccia del pianeta investitori rappresentata dai venture
capitalist, entit che solitamente non in contrasto ma se mai
complementare, in un secondo momento, allattivit degli angels.
Accade spesso, infatti, che limpresa che supera positivamente la fase di
startup abbia bisogno (per ricerca e sviluppo, aumento delle dimensioni o
del giro daffari, eccetera) di accedere a capitali pi sostanziosi ed
proprio in questa fase che i venture capitalist subentrano agli investitori
iniziali.
Come gli angels, i venture capitalist sono investitori privati: la loro
origine pi recente, e convenzionalmente fatta risalire agli anni Ottanta,
il periodo doro della Silicon Valley.
In un certo senso, tuttavia, attivit di venture capitalism pu essere
definita anche quella di tycoon come Laurance S. Rockefeller, o di famiglie
come i Vanderbilt - Whitney (o, in Europa, i Wallemberg) sul finire degli
anni 30.
Oggi, le pi fiorenti realt di venture capitalism sono quelle, Stati Uniti a
parte, di Messico, Israele, Canada, Svizzera.
La differenza maggiore tra venture e angels che i primi non investono
denaro proprio ma di terzi, raccolto attraverso sottoscrizioni aperte al
pubblico.
Le startup partecipate sono finanziate non pi tramite un gentlemans
agreement, come accade di norma nel rapporto con gli angels, ma
attraverso la costituzione di una societ o di un fondo chiuso.
Con norme differenti da un paese allaltro, i venture capitalist sono
inoltre soggetti a vigilanza, alla disclosure delle proprie attivit
dinvestimento e a norme vincolanti in materia di durata e importo
dellinvestimento, capitale versato e molto altro.
Mentre il business angel un cavaliere solitario, infine, la venture
capital di solito strutturata in SGR (societ di gestione del risparmio) e

46
prevede la presenza, oltre che di chi apporta il capitale, di un team
strutturato di professionisti, per lo pi manager e analisti.
Altro concetto parallelo e complementare al venture capitalism quello
di private equity: si tratta sempre di investimenti in capitale di rischio di
imprese non quotate e si esplicita tramite lacquisizione dai terzi che le
detengono di azioni gi esistenti, ovvero la sottoscrizione di azioni di
nuova emissione, create dallinvestitore stesso per mezzo delliniezione
di nuovi capitali allinterno della compagnia target.
La modalit di investimento anche qui istituzionale (da parte di
societ o fondo chiuso, partecipato da un pool di investitori privati, con
raccolta dei capitali attraverso pubblica sottoscrizione), ma differenti sono
i tempi di azione e loggetto dellinvestimento: un fondo di private equity,
a differenza del venture capitalist, di solito acquista il controllo di
maggioranza di una societ gi matura, andando di norma a finanziare
una di queste tre fasi di vita dellimpresa:

expansion (in termini di capacit produttiva, o territoriale)


replacement (cambiamento allinterno della compagine azionaria)
turnaround (manovre di rilancio dopo una fase critica di business)

Target finale dellinvestimento comunque sempre il capital gain, vale a


dire il profitto derivato dalla cessione del proprio pacchetto azionario,
che di norma si compie nel medio periodo (3-5 anni).
questo il tratto distintivo - o il lato oscuro - di chi investe in startup.
Dimostrer di credere nella vostra idea, vi sosterr nello sviluppo e nella
commercializzazione, condivider know how e contatti chiave ma infine -
che sia un capitalista o un angelo - dopo un tratto di strada insieme si
aspetter di poter avere indietro i suoi soldi (con gli interessi) e li user
poi per scappare con la startup della porta accanto, pi giovane, pi
appetibile.
anche vero che in Italia solo una startup su dodici ce la fa e dato che gli
investitori sono molti, davvero molti di meno degli startupper, facile
capire come a ognuno di loro sia capitato di salire (pi di una volta,
verosimilmente) su un treno che non portava da nessuna parte.
Se la vostra startup quella che gli consentir il capital gain, se arriver
con voi a poter metter in atto la fatidica exit strategy, ebbene quando le
vostre strade si separeranno non gliene vogliate.
Se non fosse stato per lui, comunque, non avreste potuto che appendervi
ai lacci degli stivali.

23 costruire un business con poco o praticamente nulla; un bootstrapper conta di solito


sulle proprie rendite o risparmi, sulla sweat equity, su costi operativi il pi possibile bassi,
rapido smaltimento del magazzino, vendita solo per contanti. Alcune delle maggiori

47
corporations hanno cominciato proprio da un approccio di bootstrapping, e la maggior
parte delle startup in tutto il mondo tuttora persegue questo cammino: o perch non ha
alternative o, al contrario, per il livello ineguagliabile di indipendenza economica e
controllo diretto del proprio business. Fonte: businessdictionary.com
24 Martin Zwilling, Seven seed-stage funding sources that might finance your startup. Post
su entrepreneur.com, settembre 2015
25 il processo iniziale di valutazione della startup; di norma affidata a societ preposte
a questo tipo di analisi, o ad esperti di valutazioni.

48
Finestra di lettura

Il crowdfunding
(con appunti di sharing economy)

Il settore non-profit cresciuto negli ultimi dieci anni di oltre il 40%,


pi del doppio del Pil degli Stati Uniti.
Linux, Wikipedia, il coach-surfing, i portali di baratto, le banche del
tempo sono altrettanti esempi di uneconomia a costo zero per lutente, e
hanno fornito ispirazione e opportunit per decine di altre imprese che -
pur non fornendo servizi gratis - consentono di usufruire a costo ridotto
di servizi che, sul mercato capitalistico classico, potrebbero non essere
alla portata di tutti gli utenti.
I primi due esempi che mi vengono in mente al riguardo sono Uber e
Airbnb e il caso vuole che non solo siano entrambe delle startup, ma la
prima e terza pi ricche al mondo, con un fatturato - in due - di ca. 80
miliardi di dollari.
Dunque, non che la sharing economy non generi ricavi; o, per dirla
con il celebre economista Jeremy Rifkin,
non sar un gratis non a far crollare il capitalismo.
Al contrario, oggi lecosistema tradizionale di oltreoceano spesso
sostiene queste progettualit, attraverso lattivit di investitori e lobbisti;
laccesso democratico al web, da parte sua, ha agito da moltiplicatore
ed acceleratore tanto delle singole iniziative che della risonanza.
Se un determinato brand (commerciale o non-profit) riesce a
guadagnarsi il passaparola della rete, questa funziona al tempo stesso da
agenzia pubblicitaria per il lancio, e archivio open source per
approfondimenti e feedback che consultati e condivisi genereranno
ulteriore visibilit, fino a diventare virali.
E la sharing economy (in parte per il momento storico-economico, in
parte per una sempre pi condivisa corsa alla sostenibilit) oggi tira
parecchio.
importante per non lasciarsi fuorviare da unetichetta generica, che
proprio perch di moda applicata con disinvoltura, e non sempre
piena coerenza, a una molteplicit di ambiti.
Secondo la definizione condivisa, lespressione sharing economy
definisce un modello di mercato ibrido (alternativo a quello
consumistico e rispetto a questultimo di minor impatto sullambiente
naturale e socio-economico) in cui prevale un sistema di scambio e

49
condivisione peer-to-peer di beni materiali, servizi, e conoscenze. Alla
sharing economy si possono quindi ricondurre istituzioni quali

Workers buyout:
lacquisto di una societ realizzato dai suoi stessi dipendenti, di solito
in concomitanza di messa in liquidazione o fallimento. Per non perdere
limpiego (ma anche il patrimonio aziendale, ivi incluso il valore del
brand, la quota di mercato, le professionalit o i know-how in forza
allazienda) i lavoratori si consorziano in cooperativa per acquistare o
prendere in affitto/leasing lazienda. In Italia, dove a partire dal 2008 si
sono compiute alcune decine di operazioni di questo tipo, il workers
buyout pu essere finanziato con il TFR o con lindennit di mobilit,
ove lInps acconsenta a destinarla alla capitalizzazione.

Social lending:
il prestito personale erogato da soggetti privati ad altri privati
attraverso lintermediazione di societ operanti via web. Richiedenti
(classificati da un rating di affidabilit basato sul loro storico
finanziario) e prestatori (che mettono a disposizione il proprio capitale,
di solito attraverso aste al ribasso) non hanno rapporti diretti, e solo il
mediatore/garante conosce le loro reali identit. Di matrice
anglosassone, il social lending diffuso a partire dal credit crunch del
2008, con agenzie in Europa (due in Italia), USA e Cina, per un volume
di prestiti che nel solo 2012 ha superato il miliardo di dollari.

Microcredito:
lerogazione di un credito di ammontare limitato a soggetti considerati
non solvibili e perci esclusi di norma dallaccesso alle linee tradizionali
di prestito. Esistono nel mondo tremila istituti che erogano microcredito:
il pi vecchio di questi, la Grameen Bank creata nel 1983 dal bengalese
Muhammad Yunus, gli valsa il Nobel per la Pace nel 2006. Core target
di queste banche e ONG sono le attivit piccolo-imprenditoriali (di
norma agricole o artigianali, spesso condotte da donne) nei paesi in via
di sviluppo, e operano attraverso funzionari locali quasi porta a porta,
con oltre 200 milioni di clienti nel mondo. In Italia il microcredito
stato disciplinato solamente nel 2006.

Venture philantrophy:
lintervento di supporto a organizzazioni non-profit, dispiegato
attraverso un sostegno non solo finanziario ma che comprenda anche
elementi strategici (quali valutazione del rischio, pianificazione,
sostenibilit) in grado di rendere il beneficiato pi solido e influente in
ambito sociale e del tutto autonomo nel lungo periodo, effetto non
conseguibile attraverso il sistema tradizionale di piccole donazioni. Si

50
concretizza tramite il doppio canale dellinvestimento (con modalit
affini a quelle dei fondi di venture capital nel panorama startup) e del
trasferimento continuativo e strutturato di know-how logistici e
manageriali in grado di garantire la qualit e sostenibilit dei servizi
offerti dallente/ONG.

Il prodotto della sharing economy che in ottica startup ci interessa


maggiormente tuttavia il crowdfunding, alternativa solidale ai
finanziamenti di business angel e venture capitalist.
In principio, per la verit, era il crowdsourcing, il processo condiviso
di sviluppo di un prodotto che ben conosce chi ha vissuto gli anni eroici
del web.
Crowd significa folla, e dunque possiamo ben definire il
crowdfunding come il finanziamento collettivo di uniniziativa, non
necessariamente imprenditoriale ma di solito a sostegno di qualcosa:
ricerca scientifica, innovazione, beni culturali, eccetera. Come?
Lideatore del progetto o del prodotto si rivolge a una piattaforma
specializzata e di concerto con la stessa fissa una cifra da raggiungere
per finanziarsi, e una scadenza entro la quale quella somma deve essere
raggiunta.
La piattaforma, che in cambio riceve una percentuale fissata di quanto
raccolto, dispiega tutta una serie di strumenti per mezzo dei quali la
raccolta fondi veicolata, e funge da collettore per le donazioni, che
possono essere a fondo perduto o in qualche modo ricompensate, e
provenire anche da uomini della strada, interessati a sostenere quella
singola idea e non coinvolti di solito nel finanziamento seriale o
strutturato.
Lesempio pi famoso senzaltro quello della raccolta fondi per la
corsa alla presidenza di Barack Obama, ma si potrebbero citare anche
Tous Mcens (tutti mecenati) promossa dal museo del Louvre per
poter acquistare unopera rinascimentale di Lucas Cranach, la pubblica
sottoscrizione che ha consentito di ricostruire la Citt della Scienza di
Napoli, dopo lincendio del 2013, o le molte campagne messe in atto per
sovvenzionare emittenti radio o quotidiani.
Esempio ancora pi affascinante quello del FC Barcelona, la squadra
di Messi (e prima ancora di Maradona, Cruijff e Surez), che non ha una
propriet effettiva ma circa 163mila soci; sono loro a eleggere ogni anno
il Presidente e i dirigenti, e lo stesso avviene nel caso di Real Madrid e
Athletic Bilbao.
Oggi queste squadre, tra le pi famose al mondo, si mantengono con i
diritti televisivi e il merchandising, ma non stato sempre cos; per
lunghi anni il Bara si sostenuto proprio grazie allazionariato
popolare dei soci che niente pi di una forma ante litteram di
crowdsourcing.

51
Va da s che il web ha creato per un processo del genere il terreno
ideale per prosperare e veder crescere le proprie incisivit ed efficacia.
Solo per restare allEuropa, circa mezzo milione di progetti ogni anno
vedono la luce grazie alle cifre a nove zeri raccolte sulla rete da
campagne di crowdfunding.
Tra i punti forti delle piattaforme, oltre allovvio aspetto squisitamente
economico, il fatto che le stesse sono ormai arrivate, per esperienza, a
tutta una serie di competenze specifiche preziose per i progetti in
transito e sono in grado di dar loro garanzie sulla quantit (in termini di
contatti sul portale) e qualit (alta percentuale tra questi di investitori
qualificati) degli utenti.
Anche per questo, dopo un inizio in sordina le piattaforme di
crowdfunding stanno rapidamente conquistando terreno, ponendosi non
solo come alternativa credibile al mecenatismo (nel caso di progetti a
sfondo sociale) o alla ricerca di investitori di mestiere, ma spesso
addirittura come prima scelta.
Al riguardo, importante tenere presente che non esiste un solo tipo
di crowdfunding: secondo la destinazione e il progetto si distingue tra
piattaforme reward-based (a ricompensa), equity-based e di
microfinanza.

Reward:
chi effettua una donazione riceve un premio, pi o meno simbolico: il
pre-ordine del prodotto che la startup sta cercando di realizzare, ad
esempio, o un semplice grazie sul sito. Entro il sistema si distingue poi
tra All-or-nothing o Take it all. Nel primo caso se la somma fissata non
viene raggiunta entro la scadenza la raccolta si considera fallita, e i
donatori rimborsati: lo applicano, tra gli altri, KickStarter e Eppela. Nel
secondo, al contrario, la sottoscrizione va a buon fine anche se non si
raggiunge la cifra obiettivo: il cosiddetto flexible funding su cui
fondata, ad esempio, IndieGoGo. Una variante ulteriore lall-or-more
di RocketHub dove la sottoscrizione pu procedere anche oltre la cifra
prevista, ed in tal caso la startup ricompensata, oltre che dallover-
funding, da vari tipi di benefit offerti dalla piattaforma.

Equity:
gli iniziatori del progetto stabiliscono una somma target e una
scadenza; la somma poi divisa in migliaia di parti uguali, offerte sulla
piattaforma di crowdfunding in forma di azioni a prezzo fisso, che
resteranno poi ai sottoscrittori. Una volta raggiunto il target, inizia la
fase dinvestimento libero. Anche qui si distingue tra due sotto-modelli:
club (la piattaforma recluta potenziali investitori come membri di un
circolo di investimento chiuso e lofferta non presentata al pubblico) e
holding, dove gli investitori sono radunati in cooperative fittizie che

52
fungono da collettore per linvestimento: un esempio di questo modello
il portale italiano SiamoSoci.

Microfinanza:
in questo caso cambia loggetto dellinvestimento, sociale e non pi
business. Il crowdfunding pu concretizzarsi in micro-prestiti (la somma
raccolta da un gruppo liberamente aggregato di persone, e gestita da
un intermediario locale, come ad esempio accade per le sottoscrizioni su
Kiva) o peer-to-peer, direttamente tra individui, senza intermediazione
tradizionale; un terzo esempio quello creato nel 2009 da Zidisha, che
per prima ha messo in contatto diretto prestatori e debitori attraverso i
confini internazionali.

La raccolta totale del crowdfunding stata stimata nel 2015 in oltre 34


miliardi di dollari in tutto il mondo, suddivisi tra le circa 1.250
piattaforme attive, guidate da GoFundMe (circa 470 mln di dollari
raccolti), KickStarter, IndieGoGo, RocketHub; nel 2014 il dato aggregato
era di circa 16,2 miliardi e dunque nellanno appena concluso pi che
raddoppiato.
Sempre nel corso del 2015, i siti di crowdfunding asiatici hanno
operato il sorpasso su quelli europei, che pure ancora nel 2014
rappresentavano la met di quelli esistenti in tutto il mondo.
Il fee applicato sulle somme raccolte tramite crowdfunding oscilla tra il
5% chiesto dalle piattaforme pi grandi, e il 15% suggerito da quelle,
come DonorsChoose.org o Kiva, dedite quasi in esclusiva al sostegno di
iniziative sostenibili quali progetti di microcredito, social lending,
eccetera.
In Italia, oltre al colosso americano Kickstarter (oltre 2 miliardi di
dollari raccolti in tutto il mondo in sei anni di attivit, 444 solo nel 2015)
operano con successo e crescente autorevolezza piattaforme come Eppela
(5 milioni di euro raccolti nel 2015), Kapipal (italiana di nascita ma
acquisita nel 2013 dal fondo GrowVc), WeDo, di propriet di Telecom
Italia, SiamoSoci, Produzioni dal Basso (la prima a essere stata creata,
nel 2005) e altre, cui si affianca un certo numero di portali strutturati
verticalmente e concentrati sul finanziamento di progetti musicali o
cinematografici.
una situazione ancora in divenire e non semplice da leggere: a fronte
di unlite di piattaforme ben posizionate e capaci di risultati importanti
- come lappena citata Eppela, appena sbarcata sul mercato americano -
esiste tutto un sottobosco ancora incapace di creare reale interesse e
partecipazione intorno al fenomeno crowdsourcing, che nel resto del
mondo sta inanellando un primato dopo laltro; come pure non in grado
- circostanza questa ben pi grave - di porre il focus sulle opportunit di
sviluppo che lo stesso ha dimostrato di saper generare.

53
Sebbene tra le circa 200 piattaforme di aggregazione collaborativa
basate in Italia una settantina siano a vario titolo collegate proprio al
crowdfunding (mentre il secondo segmento, i trasporti, a malapena
arriva a venti), i tre quarti di queste contano meno di 10mila utenti
registrati.
Se non si tratta di cattedrali nel deserto, in un paese ormai prossimo a
toccare i sessanta milioni di abitanti, poco ci manca.

54
VII
A ciascuno il suo (mentore)
Ho parlato fin qui delle figure professionali che rappresentano in un
certo qual modo la linfa vitale di una startup.
Per quanto lidea del founder sia buona, e per quanto egli possa essere
frugale - secondo la definizione di Mike Scheimer26 - infatti pressoch
impossibile che la sua startup arrivi a diventare una public company senza
lapporto di capitali da parte degli investitori; e del resto, il concept
stesso di startup a prevedere che sia scalabile, e auspicabilmente scalata.
Nel novero degli apportatori di capitali, e dunque soggetti che si
aspettano di essere ripagati in moneta sonante per il loro contributo, un
solo alter ego dello startupper fonda il suo apporto su un rapporto
paritario e disinteressato: il mentore.
Se gli investitori di una startup sono la linfa vitale, il mentore, a voler
proseguire nella metafora naturalistica, pu essere come il sole.
Quello che attiva la fotosintesi clorofilliana e, in buona sostanza, d alla
nuova compagine i mezzi per crescere e svilupparsi.
Un mentore , allatto pratico, la persona che affianca il founder,
coadiuvandolo nello sviluppo dellidea imprenditoriale.
Pu coincidere con la figura del business angel o meno, e avere un
background accademico, finanziario o tecnico imprenditoriale, secondo
che lopera di consulenza che gli si richiede sia mirata a fundraising,
sviluppo del prodotto, dinamiche commerciali, crescita della realt
aziendale e via dicendo.
Il mentore un soggetto ben delineato, il cui apporto si rivela sovente
cruciale nello sviluppo o nella stessa sopravvivenza della startup. Ci
nondimeno, non raro sentirlo confondere con gli altri personaggi con
funzioni di guida che gravitano intorno al pianeta dellimprenditorialit
2.0.
Coach o teacher, tuttavia, hanno caratteristiche e compiti differenti.
E soprattutto, come vedremo, hanno una diversa vocazione.
A mettere ordine pu essere utile una volta ancora, il verbo di Steve
Blank, personaggio gi incontrato e tra i pi influenti della Silicon Valley.
Lots of entrepreneurs believe they want a mentor. In fact, theyre actually asking
for a teacher or a coach. A mentor relationship is a two-way street. To make it
work, you have to bring something to the party 27.
Sono parole tratte da un suo post pubblicato sul portale della
community medium.com, dove egli mette in guardia dalla troppo frequente
sovrapposizione tra le tre figure, e traccia brevemente le competenze di
ognuna.
Se vuoi imparare qualcosa di una specifica materia, dice, cerca un

55
teacher, un insegnante.
Se invece hai bisogno di migliorare in specifici skills o abilit particolari,
oppure se vuoi raggiungere un dato obiettivo, ebbene, allora ti serve un
coach.
Se per vuoi diventare pi in gamba e una persona migliore, se vuoi
portare la tua professionalit a un livello pi alto, allora s, quello che vuoi
davvero un mentore.
Devi solo trovare qualcuno che tenga a te abbastanza da esserlo.
Blank (che insegna a Stanford e Berkeley ed , dunque, anche un
teacher) spiega chiaramente che quando uno startupper gli si avvicina con
latteggiamento di chi si affidi a un guru, espone un suo problema e
aspetta che lui con uno schiocco di dita glielo risolva, ebbene, non vi
nulla di quella situazione che si possa associare al concetto di mentoring.
Allatto pratico, anzi, non vi alcuna differenza rispetto a quello che lui,
da docente, affronta ogni giorno in aula.
Da presidente di unUniversit, il suo approccio non potrebbe essermi
pi chiaro, e ovviamente lo condivido.
E poich sono anche un imprenditore, e lo sono da quando ero molto
giovane e meno esperto di adesso, conosco bene entrambi i lati della
relazione descritta da Blank.
Anche lui, del resto, stato qualche tempo fa un giovane imprenditore.
Ha fondato otto startup, quattro delle quali sono poi divenute
compagnie pubbliche e tuttora godono di ottima salute.
Come accadde a me quando mi trovai per la prima volta a pensare che
s, lidea da cui poi nata Pegaso poteva funzionare, Blank a sua volta ha
avuto dei mentori e ancora oggi ricorda quanto lo atterrisse lidea di
mettersi a confronto con chi allora considerava una fonte di ispirazione.
Ogni seduta con uno dei suoi mentori lo preoccupava e in eguale
proporzione lo elettrizzava, spingendolo a dare il meglio di s ogni volta.
Confrontarsi con il proprio mentore non come andare a lezione, non ci
si pu imbucare allultimo banco e sperare di passare inosservati.
Ricordate? Quando si ha a che fare con un mentore, bisogna portare
qualcosa per la festa.
Diversamente dal coaching (che in italiano potremmo impropriamente
tradurre con allenare, ed unaltra cosa ancora, diversa dal teaching) il
mentoring non ha uno schedule, unagenda o degli obiettivi prefissati.
Io imparavo da loro, ricorda ancora Blank, e dai loro anni e anni di esperienza;
e loro da me ricevevano in cambio uno sguardo diverso su nuove tecnologie e trend
di mercato, o analisi non convenzionali di dati che per loro suonavano ormai triti e
ritriti.
Con il senno di poi, dice ancora, stato l che ho capito come il rapporto con un
mentore sia una relazione sinergica.
Ha a che fare con il dare quanto lo ha con il ricevere.
E se state veramente cercando un mentore - la chiosa di questo autentico

56
mostro sacro - cominciate voi con loffrire qualcosa.
Appurato che davvero un mentore quello che cercate, importante
comprendere che, come un abito di sartoria, il mentore giusto per una
startup quello tailor made, su misura.
Gli skills che un mentore ha da offrire, perfetti per limpresa ics
possono non calzare alle vostre necessit o idee di business; buona
norma perci fissare dei parametri, e cruciale avere ben chiaro di chi la
vostra startup abbia bisogno.
Altrettanto lo aver compreso come impostare - allorch si sia trovato
con chi interfacciarsi - la relazione di mentorship.
una strada a doppio senso, lo abbiamo detto, ma occorre anche evitare
gli errori classici che possono intasare del traffico sbagliato una delle
due carreggiate.
In una bella inchiesta di Daniela Mangini sul website di Wired, cinque
imprenditori italiani si confrontano sul proprio vissuto di mentori, e sugli
ostacoli che pi di frequente si frappongono a un interscambio effettivo ed
efficace tra mentore e discepolo.28
Accanto a mismatch dopotutto comprensibili, in massima parte figli del
diverso bagaglio desperienza delle due parti (come la tendenza degli
startupper a essere approssimativi circa scadenze o risorse) la
problematica che emerge con maggiore frequenza quella in cui
limprenditore considera il mentore non come un interlocutore paritario
quanto piuttosto come una sorta di oracolo: gli delegano decisioni chiave,
ne sopravvalutano i poteri, sono timidi nel chiedere.
un errore pi comune di quanto si creda, e tanto pi nel nostro paese
dove purtroppo alle giovani leve si tende a inculcare una sorta di timore
riverenziale, quasi di sudditanza psicologica nei confronti
dellesperienza o, come si dice, dei capelli bianchi.
Per quanto il rispetto e persino la deferenza nei confronti di chi opera
nello stesso scenario da molto pi tempo di noi sia dovuto (e comunque
una saggia norma di comportamento) non bisogna dimenticare che questo
un mercato, e un mondo, che cambia alla velocit in cui un impulso
elettronico partito da una qualsiasi tastiera impiega a fare il giro del world
wide web.
In un panorama simile, le nuove leve hanno da insegnare alle vecchie
volpi (in termini di vision globale, conoscenza delle nuove tecnologie e
dei trend di mercato, eccetera) non meno di quanto abbiano da imparare
riguardo agli aspetti pi classici del business.
Un founder di startup oggi, se non addirittura un nativo digitale,
comunque qualcuno connesso sin dallinizio del proprio percorso
formativo e poi professionale: e come ho ampiamente illustrato in Now! - il
libro che precede questultimo - si tratta di un vantaggio che non ha
prezzo.
Per quanto si possa impegnare chi le-life lha incontrata solo in et

57
adulta, infatti, il gap di conoscenza nei confronti della generazione
wireless, di chi per dna gi connesso, rimane, fatalmente, incolmabile.
Questo non vuol dire, beninteso, che la relazione tra founder e mentore
non possa trovare un suo proficuo equilibrio.
solo questione di incontrare, diciamo cos, lanima gemella.
Secondo David Coehn, geek ed ex hacker (la definizione sua) nonch
fondatore di una mezza dozzina di startup e attuale managing partner di
TechStars, i passi fondamentali nella ricerca del mentore perfetto sono tre.
Non certo un caso se il post in cui li elenca, a sottolineare quanto sia
cruciale sapere a chi affidarsi per la propria crescita umana e
professionale, si apra con la frase-sentenza
Great mentors can have an enormous impact
on early-stage startups29.
Enormous, gi: in inglese vale molto di pi del nostro enorme, arrivando
a toccare il valore dimmenso, pressoch illimitato e, soprattutto, cruciale.
S, perch il giusto consiglio pu fare la differenza tra il restare solo una
potenziale buona idea ma non arrivare mai a vedere neppure la luce di un
pitch, o invece trasformarsi in una compagnia da due miliardi di dollari,
come vi ho raccontato, ad esempio, riguardo alla case history The Point -
Groupon.

Sappi riconoscere di cosa fatto un grande mentore, scrive Cohen.

Ti mostra i tuoi limiti per spronarti a superarli; non perde mai di vista il
fatto che la compagnia tua, non sua; trova la sua ricompensa nellaver
aiutato a costruire qualcosa dinnovativo e insieme duraturo.

Sforzati di trovare la persona che davvero fa al caso tuo.

Non detto che il mentore di maggior successo, pi conteso o che ha


preso parte alle startup di grido sia quello pi adatto per la tua idea di
business.
Pensa bene a cosa ti aspetti da lui, seleziona un ristretto numero di
candidati, manda loro una mail in cui esponi senza fronzoli il tuo
approccio.
Se si onesti, pu bastare quella a riconoscersi e pensare di fare
business insieme.

Massimizza la relazione con il tuo mentore.

Tienilo aggiornato sullandamento della startup, confrontati con lui ogni


volta che sia possibile, tieniti in contatto con lui anche una volta esaurito il
rapporto di mentorship.
Anche Adam Toren - host di Kidpreneurs.org e autore del best seller Small

58
business, big vision, nonch mentore a sua volta - ha condiviso un suo
prontuario sul come maneggiare il rapporto di mentorship.
In un post dove lo definisce larma segreta del giovane imprenditore30
fissa una serie di regole che vanno dallindividuare con precisione le
proprie necessit prima di muoversi al fare networking, dallessere
flessibili al lasciarsi ispirare anche da mentori che non si avvicineranno mai
veramente fino allimportanza della riconoscenza e allovvio (ma non
troppo, forse, se proprio un mentore del calibro di Toren ha ritenuto di
doverlo mettere per iscritto)
listen more, talk less.
Unultima direttiva, che mi sento di condividere sulla base della mia
personale esperienza dimprenditore innovativo, quella del carpe
diem, del darsi da fare.
Se si aspetta che un mentore scenda dal cielo come il deus ex machina del
teatro classico, facile che qualcuno abbia la nostra stessa idea, e magari
addirittura ci anticipi nel lanciarla sul mercato.
Il personale mentore a distanza, la fonte dispirazione a distanza di
Toren Richard Branson, uno dei pochi al mondo che sia allo stesso
tempo un self-made man alla vecchia maniera (ha iniziato scrivendo sul
giornalino della parrocchia, e come imprenditore da un negozio di dischi
di quartiere: oggi Forbes lo colloca tra i 300 uomini pi ricchi del mondo) e
un innovative entrepreneur, dato che il suo visionario utopismo e la sua
rincorsa alloltre sembrano non curarsi della carta didentit.
invece pi curioso come in testata al post di Cohen citato poco fa
campeggi una grande foto di Yoda, il maestro Jedi della saga Star Wars.
In una speciale classifica stilata qualche tempo fa da Grantland, magazine
di riferimento per la pop-culture americana, Yoda si piazza al secondo
posto tra i migliori mentori del cinema, tra il Miyagi di Karate Kid e
praticamente ogni ruolo interpretato da Morgan Freeman.31
Qui stiamo parlando di business e non di cinema, certo, di business
model piuttosto che di copioni.
anche vero per che la frase mantra di Yoda
Fare, o non fare. Non c provare.
calza a pennello alluniverso delle startup.

26 Michael J. Scheimer, considerato tra i pi potenti influencer al mondo in materia di


social media, host del portale Frugal Business: marketing, social media & startups on a
budget
27 Molti imprenditori credono di volere un mentore, ma in realt cercano un teacher o un
coach. La relazione con un mentore una strada a due vie. Perch funzioni entrambi i soggetti
devono portare qualcosa alla festa (dare un contributo, cio) Steve Blank, (About) mentors,
Coaches and Teachers. Post su medium.com, luglio 2015
28 Daniela Mangini, A ogni start-up il suo mentore. Pubblicato su Wired.it, agosto 2015

59
29 David Cohen, 3 steps to finding a business mentor. Post su entrepreneur.com, novembre
2011
30 Adam Toren, Mentors: a young entrepreneurs secret weapon. Post su entrepreneur.com,
luglio 2012
31 Shea Serrano, Jason Concepcion, From Mick to Mufasa: the top 10 movie mentors of all
time. Pubblicato su Grantland.com, luglio 2015

60
VIII

Acceleratore vs. incubatore


Come un romanzo dappendice ambientato nella Francia di Richelieu, o
un film western girato da John Ford, anche luniverso delle startup vive di
duelli.
E questo, non soltanto per la natura ferocemente competitiva di questo
tipo di business dove - come ho detto - per ogni idea innovativa uno solo
vince, e non esiste un secondo gradino del podio, ma anche perch il
cammino dello startupper costellato di aut-aut, e incroci obbligati tra
due possibili alternative.
Puntare sul finanziamento di un business angel o di un venture
capitalist; affidarsi alla collaborazione con un mentore oppure cercare di
progredire attraverso la lezione di un teacher, o le sedute di
allenamento di un coach.
E, sempre in ambito di crescita, scegliere come casa un incubatore
dimpresa, ovvero provare a sfruttare le opportunit offerte da un
acceleratore.
Incubatore , secondo i dizionari di business
a facility established to nurture young or startup firms during their early
months or years. It usually provides affrordable space, shared offices and services,
hand-on management training, marketing support and, often, access to some form
of financing.32
La parte pi interessante di questa definizione il verbo utilizzato
allinizio: lincubatore una struttura creata per allevare, dice proprio cos,
aziende appena create o startup durante i loro primi mesi di vita.
Allevare rende lidea di quello che dovrebbe essere il concept alla base
di un incubatore dimpresa.
Comprende laccogliere le startup sotto un tetto fisico e, in corrispettivo
di una somma poco pi che simbolica, fornirle di tutto quello di cui
possano avere bisogno in fase di avvio del business: uffici e servizi
condivisi di segreteria, connettivit, corsi di management, consulenza
strategica e legale, supporto marketing, talora laccesso guidato al
finanziamento.
Infine, forse laspetto pi interessante, dare loro la possibilit di fare
networking, con altre imprese consimili o complementari, senza bisogno
di spostarsi.
Lincubazione di solito breve, inferiore ai due-tre anni, e ammessa per
realt imprenditoriali che si trovino nelle sole fasi di seed o startup.
C un per: lincubatore, che ha sovente natura pubblica (gestito da
Universit o enti locali territoriali), non investe mai nel capitale di rischio
delle imprese incubate.
Esistono senzaltro delle eccezioni virtuose (anche nel nostro paese, basti
pensare a realt come Lab 46, di cui vi racconter pi avanti), preziose nel

61
migliorare le performance delle nostre imprese innovative nonch spesso
fautrici del cambio di paradigma lavorativo rappresentato dal coworking.
Per migliorarsi occorre tuttavia saper guardare a chi riuscito prima e
meglio di noi: lesempio di Israele, la startup nation, ci pu insegnare
come per divenire vincenti nella new economy occorra innanzitutto fare
sistema, rendendo il pi possibile proficua la collaborazione tra imprese,
universit, territorio.
proprio quanto non accade (non ancora) quando la natura pubblica di
un incubatore lo porta, nonostante le buone intenzioni, a essere in pratica
poco pi di un contenitore: ben accessoriata, daccordo, ma pur sempre
una scatola.
Se lincubatore fatto di muri - oltre che di persone, sintende - si pu
dire che lacceleratore sia fatto di passi: pi che un luogo fisico, infatti,
un percorso.
Fernando Sepulveda, managing director di Impulsa (societ multinazionale
che gestisce acceleratori di business in USA, Messico, Sudafrica) ha
paragonato una startup incubata a un bambino, che il genitore-incubatore
tiene al sicuro e coccolato mentre gli insegna a parlare e camminare.
Obietta per sul fatto che sia proprio nelladolescenza imprenditoriale,
dunque la fase pi impegnativa e delicata del suo cammino verso let
adulta, che lincubatore mette la giovane impresa alla porta.
Il concetto di acceleratore (che come detto non un luogo fisico quanto
piuttosto un processo: non a caso si parla spesso di acceleration program)
interviene in soccorso della startup proprio in questa fase cruciale.
infatti proprio negli acceleratori che le startup incontrano spesso il
proprio mentore, e sempre qui che trovano aiuto per definire il business
model, preparare il round di seed, prototipare il servizio o il prodotto,
effettuare i primi test commerciali.
In realt, dunque, quello di scegliere tra incubatore e acceleratore un
falso problema.
Nonostante siano realt che spesso sono confuse persino dagli addetti ai
lavori, svolgono funzioni differenti, e oltretutto in diversi momenti della
vita dellimpresa.
La domanda pu essere, se mai: Ne vale la pena?
Quando penso a quanto lessere uomini wireless abbia cambiato il modo
di fare business, mi torna spesso in mente il film Skyfall, e la lezione
impartita a James Bond dal nuovo, giovanissimo capo del reparto Q,
quello da cui escono i gadget tecnologici di 007:
Posso fare pi danni io in pigiama dal mio portatile di quanti non ne faccia tu
in un anno sul campo.
In un mondo a tal punto open, mi chiedo, dove basta un clic su una
tastiera per essere connessi in tempo reale con lintero pianeta, ha davvero
una reale utilit pratica trovarsi in un luogo fisico qual , a tutti gli effetti,
un incubatore dimpresa?

62
Naturalmente, alla domanda va risposto caso per caso: anche vero
per che gli incubatori sembrano essere progressivamente spinti fuori dal
mercato, rimpiazzati (anche se, lho gi detto, non fanno lo stesso
mestiere) da un incontrollato spuntare ovunque di acceleration program.
Questo proliferare di acceleratori stato di recente oggetto dinchiesta
da parte di Erin Griffith, brillante columnist di Fortune e di PandoDaily, uno
dei media online di riferimento per il mercato delle startup.
La posizione di Griffith inequivocabile sin dal titolo del suo post, che
suona pi o meno come: se avete una startup ganza, lasciate perdere gli
acceleratori. A meno che33
Leccezione sottintende la circostanza che non tutti gli acceleratori sono
uguali: o, per dirla con Orwell, che alcuni sono pi uguali degli altri.
Ce ne sono per in giro cos tanti, oggi, che davvero arduo capire quale
sia quello da cui restare eccitati; tanto pi considerando che persino
quello che considerato the place to be, vale a dire Y-Combinator, ha visto
solo due delle oltre 400 startup transitate nel suo programma fare davvero
il botto.
Ci sarebbe da dire, per completezza dinformazione, che quelle due
sono Dropbox e Airbnb, vale a dire due delle case history pi incredibili e
redditizie degli ultimi anni.
E in ogni caso, riconosce Griffith, essere parte di programmi come YC o
TechStars garantisce una certa reputazione di base, e senza alcun dubbio
unappetibilit superiore quando si esce nel mondo in cerca dinvestitori.
Il problema, tuttavia, proprio quello: spinti dal successo delle (poche)
realt che il sistema accredita oggi come vincenti, in troppi si sono sentiti
in dovere di mettere in piedi il proprio programma di accelerazione.
Lo spartiacque pu essere collocato in quel fatidico 2005 che ha visto il
lancio del programma estivo da dodici settimane di YC; da allora, la
stragrande maggioranza dei programmi sembra fatta con lo stampino.
Le conseguenze di questa nuova corsa alloro delle startup sono sotto gli
occhi di tutti, e sono state commentate da molti.
Pochi tuttavia hanno saputo farlo con lincisivit dei facts messi sulla
pagina da Erin Griffith:

gli acceleratori difficilmente producono valore (anche se, per lo


meno, ancora pi difficilmente fanno danni)
gli acceleratori non possono garantire il successo; forniscono tools
e talora mentoring ma saperne approfittare sta alla startup
gli acceleratori seri, in effetti, di solito non promettono il successo
gli acceleratori meno seri invece s, lo fanno
gli acceleratori meno seri, purtroppo, sono la maggioranza
tra startup e acceleratore, dovrebbe essere la prima ad avere il
maggior potere contrattuale, tanto pi se lidea buona e il team

63
valido
tra startup e acceleratore, di solito, il secondo ad avere il
maggior potere contrattuale

In conclusione, dice Griffith, resta valido il vecchio detto,


the harder I work, the luckier I get.
Pi duro lavoro, meglio mi andr: quelli che vanno alla grande dopo
aver ultimato un programma di accelerazione, probabilmente, avrebbero
avuto risultati altrettanto buoni anche se non lavessero seguito.
E gli incubatori? Sul mercato attuale, dove una startup riesce ad
accedere al credito anche con le proprie forze e, come ho detto, la
presenza in un luogo fisico nella maggior parte dei casi ha poco senso, il
modello tradizionale di incubatore ne ha ancora meno.
Dal corrompersi del mito dellacceleratore soddisfatti o rimborsati,
tuttavia, potrebbe dischiudersi una possibilit di riscatto per un incubatore
ripensato e attualizzato alle necessit attuali delle startup.
Un esercizio teorico del genere svolto in un bel pezzo di Stefano
Bernardi su medium.com34.
Quello che disegna Bernardi un incubatore su misura, focalizzato su
una determinata area di business, e dove lhost ha le stesse competenze
specifiche delle startup incubate; che sia, dunque, in un certo senso pi
simile a un club che al modello di scatola di cui ho parlato prima.
Una community magari quasi chiusa in se stessa, ma capace di
aggregare un nucleo di best practices e connessioni di network tale da poter
fronteggiare con successo ogni specifico aspetto del campo di business
prescelto.
Quanto allincubatore del domani, secondo il progetto di Stefano
Bernardi dovrebbe essere anche in grado di assumersi collegialmente una
parte di quei rischi di impresa che limita la creativit degli startupper.
Di agire in un senso come una venture capital, cio, e in parallelo come
un vero e proprio co-founder (per almeno 12-18 mesi) con tanto di proprio
posto nel board di ogni singola azienda incubata.
Mera utopia? probabile.
Non per (anche) di quella, che si nutrono le startup?

32 definizione da businessdictionary.com
33 Erin Griffith, Dear awesome startups, dont join an accelerator, unless... Post su
pando.com, febbraio 2016
34 Stefano Bernardi, Its not all about accelerators: the renewed opportunity for incubators.
Post su medium.com, giugno 2014

64
Finestra di lettura

Mezzogiorno di business [2]


Valeria Fascione,
primo assessore italiano per le startup

Valeria Fascione, napoletana, dopo la laurea cum laude alla Federico II


con una tesi in materia di sviluppo economico, si aggiudica nel 1994 una
borsa di studio che la conduce a lavorare, in Fondazione Idis, alla
realizzazione di Citt della Scienza. Dal 2002 a capo del BIC (attivo nel
sostegno delle startup locali, in collaborazione con enti territoriali e poli
internazionali dinnovazione), porta poi a termine un primo incarico in
Regione (2009-10), prima di tornare nel 2011 a Bagnoli come direttore del
Marketing Strategico. Nella fase di rilancio di CdS mente di iniziative
quali il China Italy Innovation Forum, il progetto di ricerca KiiCS, la
creazione dellAIC e il lancio del Fab Lab, che vede come partner il Boston
MIT. Da Luglio 2015 assessore allInnovazione e Internazionalizzazione
con delega alle startup in Regione Campania, primo (e a oggi unico)
assessorato nel suo genere in Italia.

Dopo la voce dellacceleratore quella delle istituzioni, e nondimeno


quella dellincubatore, giacch proprio a lei si deve il prototipo di quello
inaugurato nel 2003 entro Citt della Scienza, a Bagnoli. Negli ultimi
ventanni, in pi ruoli, Valeria Fascione si sempre distinta quale
artefice di una politica volta a dare respiro europeo al panorama
napoletano dellinnovazione.
Quello stesso milieu che partendo praticamente dalla maglia nera ha
saputo scalare una posizione dopo laltra fino a piazzarsi al settimo
posto tra le regioni pi innovative (nonostante un pesante gap di
finanziatori rispetto al Nord), e ad issare il suo capoluogo a quarta citt
italiana per numero di startup; fino, anche, a poter vantare presso la
Regione il primo assessorato alle startup dellintero paese, che non
avrebbe potuto essere affidato in mani migliori.

importante far capire spiega Fascione come le startup possano


essere cruciali per colmare sul territorio il divario ancora forte tra
domanda e offerta dinnovazione.
Si pu dire che sia la dicitura stessa scelta per designare il mio incarico,

65
a tracciare il cammino attraverso i tre benchmark fondamentali di
innovazione, internazionalizzazione, ecosistema startup.

Stiamo lavorando per far agire su un unico spartito condiviso imprese,


centri ricerca, PMI, distretti tecnologici e, naturalmente, la pubblica
amministrazione; per farlo, il Por Campania Fesr 2014-2020 ci mette a
disposizione quasi un miliardo di euro da investire in innovazione,
competitivit, ricerca e agenda Digitale.
Diventa a questo punto imprescindibile sfruttare ogni opportunit per
trasferire i risultati di tale impegno sul territorio, e per farlo con la
massima efficacia abbiamo anzitutto ricompreso tutti i diversi progetti
entro lunica sigla di Campania Competitiva, una piattaforma web di
costante confronto tra i diversi attori del mercato, e insieme un volano
che promuova una reale crescita del territorio regionale.
Occorre anche al pi presto che simpari a valorizzare ogni practice per
creare in regime partecipativo un modello di policy making che ponga al
centro lindividuo e non pi il budget; a mettere in campo adesso - non
domani - il massimo sforzo per rendersi competitivi su ogni possibile
scenario; a non aver timore di condividere, e di contaminare tra ricerca e
aziende, risorse pubbliche e private.
Tra i primi progetti a partire ci sono i Creative Clusters, bandi che
tracciano la via alla valorizzazione in primis del capitale umano e della
qualit della vita, sulla scia dellincredibile potenziale mostrato da
modelli come le Smart City.
Dai Clusters nascer poi una Creative Factory, una nuova generazione
di possibili idee dimpresa che la Regione sosterr con voucher
(utilizzabili dalle startup per acquistare servizi su brevetti o altre risorse
utili ad affermarsi sul mercato), fondi di finanziamento ai seed, piani
come la concreta applicazione dellOpen Innovation o, in partnership con
lEuropean Business Network, del programma di scambio che chiamiamo
Startup Erasmus.

Calendario ambizioso, non c che dire, e molto lavoro da fare; per


arrivare a tracciare una strada di sviluppo innovativo e sostenibile per
tutto il paese, e dare il via a un viaggio nel migliore possibile dei
domani.
Partendo, per una volta, dal Sud.

66
IX

Lavorare insieme, lavorare agile


Il modello dellincubatore 2.0 prefigurato nel capitolo precedente ha
alcuni punti di contatto, quanto meno nella struttura logistica, con quello
del coworking: e potremmo considerare la cosa un buon viatico, poich le
strutture di questultimo tipo sono oggi in crescita verticale, e considerate
il futuro dellemployment, e non solo di quello collegato al web.
In un articolo pubblicato sul San Francisco Chronicle nel 2007, il columnist
Dan Fost definiva i nascenti co-workers come i nuovi beduini
continuamente in viaggio, con per solo bagaglio il proprio laptop, tra i
locali della Baia che potevano offrire il miglior segnale wi-fi.
In quegli stessi giorni, il giornalista di Bloomberg.com Kerry Miller
ribattezzava il coworking lanello di congiunzione tra il caff e il
cubicolo35.
Con il primo termine intendeva quegli internet caf che, nellepoca pre-
smartphone, fungevano da ufficio per molti freelance, negli Stati Uniti
come nelle maggiori citt europee; quanto al cubicolo, quel caratteristico
vano delimitato da tre pareti di cui si compongono gli ambienti lavorativi
open space delle grandi aziende.
Un coworking, ebbene, entrambe queste cose: da un punto di vista
strutturale consta di solito di una zona lavorativa, con un certo numero di
postazioni contigue o condivise, facilities di vario tipo (oltre naturalmente
ai router wifi possono essere previste sale riunioni o per proiezioni, un
desk, attrezzature da ufficio come fax o fotocopiatrice) e di norma una
zona relax, quale luogo di conoscenza informale, e forse per mantenere
lantico legame con quei caf che dei coworking sono stati larchetipo.
Non lambiente, tuttavia, il fulcro della questione.
Il coworking, infatti, prima di tutto lincontro di un gruppo eterogeneo
di professionisti che pur lavorando in modo indipendente, condividono
dei valori e linteresse per le sinergie che un ambiente del genere pu far
sorgere e agevolare.
Si tratta quindi di una vera e propria community aperta, che dalla
composizione originaria di soli freelance e liberi professionisti oggi sempre
pi di frequente ingloba anche realt di micro-impresa, quali web o social
media agency, startup, piccoli studi professionali.
Andrew Tang, autore di quella che considerata la guida Lonely Planet
del coworking, ha focalizzato forse meglio di chiunque altro lo spirito che
anima chi sceglie questo tipo di soluzione.
() la promessa di essere parte di una comunit, insieme con lo spirito
innovativo di chi ne fa parte, a rendere tanto attraenti i coworking. Numerosi
studi comportamentali hanno dimostrato come condividere e collaborare aumenti il

67
livello di creativit allinterno di un ambiente di lavoro () Non si parla qui di
rinunciare alla propria indipendenza o privacy, quanto se mai di condividere, con
lo spazio, anche le risorse; e, nel farlo, trovare un terreno dintesa con gli altri
partner, prestarsi gli expertise, sviluppare una propria personale vision di
unidea per confrontarla poi con quelle degli altri.36
Ufficialmente, lavventura dei coworking ha preso il via nellestate del
2005 (neppure a dirsi, a San Francisco) quale rimedio pare allalienazione
che la maggior parte dei freelance provava a lavorare sempre in
solitudine, spesso addirittura da casa.
Dalla Baia si poi rapidamente diffusa in tutti gli USA, in Canada,
Australia e Gran Bretagna, prima di debordare in Europa.
Oggi, tuttavia, nei paesi anglosassoni il modello coworking tradizionale
ormai avviato a divenire obsoleto, rimpiazzato dal cosiddetto jelly-
coworking.
Jelly si traduce con gelatina, ma anche - in slang - sinonimo di
esplosivo; il modello che ne porta il nome ha in effetti tutte le carte in
regola per esserlo, essendo basato sul coworking tra perfetti sconosciuti,
riuniti in determinati giorni - attraverso annunci sul web - in locali
pubblici, spazi industriali dismessi, o addirittura case private:
praticamente, un flash-mob lavorativo.
C naturalmente una bacheca apposita37, che gira addirittura sul
portale di wikipedia e segnala la data del prossimo jelly in un centinaio di
citt sparse per Nord America, Australia, parte del continente asiatico e
numerose citt di Gran Bretagna, Spagna, Germania, penisola scandinava.
E in Italia?
Secondo uninfografica pubblicata di recente su mycowo.com

in Italia oggi ci sono circa 300 spazi coworking, un quinto dei


quali si trova a Milano38
quasi l80% dei coworking sono indipendenti, al pi collegati a
uno dei diversi network del paese
se vero che i freelance rappresentano ancora il core target (e
assommano poco pi della met degli utenti), il contingente
micro-imprenditoriale in rapida rimonta e si attesta appena
sotto un 40%, costituito per lo pi da startup e web agency
flessibilit, networking, scambio didee e costi bassi sono vantaggi
del coworking riconosciuti dalla quasi totalit degli utenti, dei
quali
l84% al termine del primo anno rinnova la propria scelta,
restando nella stessa struttura o scegliendone unaltra consimile
le strutture sotto le 20 postazioni-lavoro sono ampiamente
preferite dalla maggioranza dei coworker.

68
La rapida ascesa globale dei coworking ha inoltre dato slancio a un altro
modello importato dal mondo anglosassone, quello dello smart work, in
Italia ribattezzato agile.
Alla base della nuova concezione sono numerosi studi secondo i quali il
lavoratore investito della facolt-responsabilit di raggiungere un risultato
secondo le procedure, modalit e tempi da lui stesso ritenuti pi
opportuni aumenterebbe la produttivit, e dai risultati degli esperimenti
effettuati in tutto il mondo da alcune corporation.
Gi da qualche anno, ad esempio, BMW paga i propri dipendenti anche
per mail o telefonate effettuate fuori dallorario di lavoro, da casa, o nel
weekend.
Base dello smart work proprio la prestazione effettuata da lavoratori
dipendenti (e non le partite Iva) al di fuori dei locali aziendali: una sorta
dibrido, in pratica, tra gli straordinari, il vecchio tele-lavoro e le
professionalit figlie del web 2.0, quelle che in Now! ho battezzato uomini
wireless.
In Italia, la disciplina del lavoro agile stata oggetto di una sezione del
decreto Legge di Stabilit, che in 9 articoli ne esplicita la ratio
(incrementare la produttivit e la conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro) e le modalit di attuazione; in primis, la possibilit per imprese e
dipendenti di contrattare una reale flessibilit, mantenendo inalterate le
garanzie a tutela del lavoratore, la copertura assicurativa, limporto dello
stipendio.
Secondo lultimo rapporto dellOsservatorio dedicato della School of
Management del Politecnico di Milano, un primo passo in direzione di una
reale applicazione dello smart work stato fatto al momento solo dalle
grandi imprese, il 17% delle quali ha avviato nel 2015 progetti organici di
lavoro agile attraverso luso di strumenti digitali allavanguardia e
lattuazione di nuovi comportamenti manageriali e policy organizzative.
Non un dato eclatante ma, in un paese dove la scarsa reattivit della
nomenclatura e di alcuni settori dellimprenditoria, o lo scanso di
responsabilit da parte dei lavoratori sono clich duri a morire, credo lo si
possa ritenere un avvio promettente.
Per quanto lontano si voglia andare, dopotutto, sempre con un primo
passo che si comincia.

35 Dan Fost, Where neo-nomads ideas percolate: new bedouins trasnsform a laptop, cell phone
and a coffeehouse into their office. Articolo sul San Francisco Chronicle, marzo 2007
36 Genevieve DeGuzman - Andrew Tang, Working in the UnOffice: a guide to coworking
for indie workers, small businesses, and nonprofits, Night Owls Press, San Francisco 2011
37 wiki.workatjelly.com
38 dato 2014, anno di effettuazione del sondaggio; a fine 2015 erano oltre 350 (il 25% a
Milano)

69
X

Linvenzione dellunicorno
Un altro dato su cui occorre riflettere per far crescere le nostre startup, e
in generale qualsiasi startup, quello che io definisco del principio di
realt: se per ottenere successo infatti importante avere unidea, lo
tuttavia ancora di pi la capacit realizzativa della stessa.
Quando nacque Facebook, per fare un esempio, esistevano gi altri social
network; ci non ha impedito allallora The facebook di sbaragliare la
concorrenza, diventare il social per eccellenza e - con un capitale a fine
2015 di oltre 300 miliardi di dollari - piazzarsi nella top-7 mondiale delle
aziende che il mercato ama maggiormente.
Badate bene, ho detto aziende, non solo startup: per intendersi, Facebook
non ha ancora raggiunto i risultati di Apple (o di WalMart, il brand pi
ricco del mondo) ma si messa alle spalle, tra gli altri, titani del calibro di
Ford o General Electrics.
Sono numeri che farebbero di Facebook, senza alcun dubbio, un unicorno,
secondo tra le imprese del web solo a Google; la compagnia di Mark
Zuckerberg, tuttavia, non considerata parte del club virtualmente
fondato nel 2013 da Aileen Lee quando in un post su techcrunch.com39 per
prima paragon le startup da almeno un miliardo di dollari al mitologico
animale allegoria di giovinezza e inafferrabilit.
Nel suo post Lee (founder di Cowboy Ventures, startup-fondo che
finanzia solo imprese di software e unicamente in fase di seed-stage)
analizzava meticolosamente lo scenario innovativo di quellanno, e fissava
per i posteri la definizione classica associata alla creatura che Marco
Polo confuse con il rinoceronte. Unicorno, allora,
una compagnia software nata dopo il 2003 e del valore sul mercato di almeno un
miliardo di dollari.
In quel fine 2013 Lee iscrisse allesclusivo club trentanove startup,
escludendone invece Facebook per manifesta superiorit (la seconda in
classifica di allora, LinkedIn, viaggiava su un valore di circa 24 miliardi di
dollari, mentre Zuckerberg era gi oltre i 122) e assegnando una poltrona
honoris causa ai campioni delle decadi precedenti: Intel per gli anni 60,
Apple, Microsoft e Oracle per il decennio successivo, Cisco per gli anni 80, e
Google (che vale tre volte Facebook, ed a sua volta fuori classifica) per
lultima porzione del secolo scorso.
Nella prima decade del Duemila il primo posto poi risultato facile
appannaggio proprio del social network di Palo Alto che, nel frattempo, di
unicorni se ne infilati due (Instagram e WhatsApp) nel portafogli, per la
modica spesa complessiva di 20 miliardi di dollari.
Tornando sul pianeta delle aziende normali, lanalisi di Lee partiva dal

70
2011 per concludersi alla fine del 2013: basandosi sui sempre puntuali post
di CB Insights (la societ di analisti fondata da Anand Sanwal e Jonathan
Sherry che ha quale claim In god we trust, all others must bring data40)
da allora, parecchie cose sono cambiate, ed proprio alla fine del periodo
esaminato dalla founder di Cowboy Venture, anzi, che si posiziona lo
spartiacque.
Se in dieci anni, dal 2003 al 2013, gli unicorni erano arrivati a quota 39,
oggi si attestano a 152 (per un valore complessivo di oltre 530 miliardi),
con un incremento verticale negli ultimi due anni: il solo 2015, addirittura,
ha iscritto nel circolo dei bilionari 60 nuove compagnie, il 2014 poche di
meno.
Secondo il columnist di venturebeat.com John Koetsier41, il boom del 2015
da leggersi alla luce delle eccezionali condizioni del mercato: tassi
dinteresse a livello minimo, abbondanza di capitali istituzionali e privati,
accordi di exit decisamente investor-friendly, il che a sua volta ha
fortemente spinto la propensione allinvestimento dei venture.
Lo studio di Koetsier molto approfondito, ma i dati di CB Insights sono
considerati i pi attendibili, poich sempre aggiornati in real time42: al
momento di andare in stampa, leader tra gli unicorni la controversa
Uber, con un valore di circa 51 miliardi di dollari.
Uber ha base a San Francisco ed una delle molte startup che negli
ultimi anni hanno segnato il sorpasso della metropoli sulla vicina Silicon
Valley, dove le startup sono nate. Oltre il 60% degli unicorni, 92 su 152,
americano.
Alla piazza donore si trova per una compagnia cinese, Xiaomi: si
occupa di software, ed valutata intorno ai 46 miliardi; terzo e quarta, pi
staccati, il marketplace Airbnb (25.5 B) e la big data company Palantir (20).
La capolista stata fondata nel 2011 ma - quotata in borsa solo nel 2013 -
non faceva parte degli unicorni originali (quelli della lista di Aileen Lee) al
contrario delle tre che seguono; la prima di startup fondata nel trionfale
2015 la si incontra proprio al quinto posto: un marketplace cinese, dal
poco originale nome di China Internet Plus Holding.
Nella top ten anche Snapchat, primo tra i social di questo pianeta,
lindiana Flipkart, Pinterest, Dropbox. La prima europea, Spotify, 17esima.
Autorevoli commentatori hanno a pi riprese suggerito algoritmi o
formule quasi cabalistiche per ponderare i dati relativi agli unicorni che, in
quanto figli della internet bubble, necessitano sempre di un certo
distacco quando ci si accinga a valutarli.
Tra le molte ratio proposte, quella maggiormente condivisa la Legge
Fondamentale della Crescita elaborata da Abhas Guptam, venture
capitalist per Wildcat Partners e Mohr Davidow.
Gupta ha stabilito un benchmark denominato lifetime-value, dato dalla
durata media della relazione startup/customer, moltiplicata per il ricavo
medio imputabile a quel cliente, e ancora moltiplicata per il margine

71
commerciale dellazienda presa in esame43.
Rapportando il dato lt-v con il costo di acquisizione (quanto ha speso
lazienda, in termini di marketing, costo dello staff, sviluppo, eccetera per
assicurarsi il cliente), si ottiene un valore che, se inferiore a 3, segnala
linvestimento come rischioso.
Tutto molto empirico, in effetti, ma sembra che, applicato a casi concreti,
abbia fornito previsioni efficaci gi nel medio-breve periodo.
E non bisogna dimenticare che nulla esclude che persino una startup da
nove zeri possa fallire: parafrasando un adagio tipico del rugby, quanto
pi grossa una compagnia tanto pi fa rumore quando cade.
Senza voler augurare lestinzione a nessuno, comunque, da imprenditore
che considera la curiosit un sensazionale acceleratore di crescita culturale
e personale, mi sono divertito a scoprire qualcosa in pi di queste startup,
metaforicamente parlando, a quattro zampe.
Se ho preso atto senza particolare stupore del fatto che il comparto di
mercato con pi unicorni quello Consumer seguito dallImpresa (per lo pi
sviluppatori di mobile app) altri dati mi hanno fatto riflettere pi a fondo.
Ad esempio, gli unicorni ricompresi nel segmento customer service (tra i
quali ricadono i social network e i servizi di messaggistica tipo WhatsApp)
superano in numero quelli del cluster Infrastrutture e dellintero
dipartimento Industria, mentre il Gaming, distanzia di due terzi il settore
Healthcare e ha il triplo di miliardari rispetto a quello dellEducation.
Pu essere di parziale consolazione che Paul Graham, co-founder di Y-
Combinator abbia in un suo recente post44 inserito entrambi i settori tra
quelli su cui puntare per il prossimo futuro delle startup.
anche vero tuttavia che si tratta di un elenco alquanto composito, che
va dallacqua potabile a realt aumentata, intelligenza artificiale e nuovi
linguaggi di programmazione fino a un enigmatico Hollywood 2.0 e ad un
One million jobs che punta in realt a trovare nuovi mestieri che un robot
non sappia fare ma che suona - alle mie orecchie di italiano - come un dej
vu.
Tornando al panorama globale, e ai dati messi in campo da CB insights o
da Koetsier, un altro aspetto che trovo sia, allo stesso tempo, di
ammonimento e sprone per limpresa di casa nostra quello relativo alla
distribuzione geografica delle startup taglia XL.
Circa la met si trova nella sola California (ormai pi allombra del
Golden Gate, come detto, che nella Valley), e unaltra ventina nel resto
degli Stati Uniti, per lo pi a New York City.
Il secondo paese singolo con pi unicorni la Cina, che ne ha 25, mentre
lIndia ne ha sette, la Corea quattro, Israele tre, due a testa Canada,
Thailandia, Singapore e Israele, considerata lastro nascente
dellimprenditoria innovativa; persino Argentina e Nigeria hanno una
company bilionaria, rispettivamente Decolar (software) e Axa (e-
commerce).

72
E lEuropa?
Il Vecchio Continente arriva a contare nel rating una quindicina di
startup, guidate dalla svedese Spotify (8.5 miliardi di dollari di capitale); fu
creata nel 2005 da Daniel Ek, cui allet di sedici anni fu rifiutato uno stage
da Google e che a ventuno era gi miliardario.
Seguono parecchio pi staccate Delivery Hero e HelloFresh (Germania,
consegna a domicilio di cibo), Global Fashion Group (basata in
Lussemburgo), lolandese Adyen (mobile payment) e Klarna (Svezia,
fintech).
Assestate giusto sulla fatidica soglia del milione sono poi startup come
BlaBlaCar (Francia), Shazam e SkyScanner (Regno Unito, la seconda con base
in Scozia), le tedesche Zalando e Home24 (lIkea berlinese) e la ceca Avast,
che si occupa di cyber-security.
LItalia deve accontentarsi di un bestiario meno nobile, e di un dato per
adesso impietoso che rivela come le startup di punta del panorama
nostrano arrivino a fatturare cifre non superiori ai cinque milioni di euro.
La strada da fare per arrivare al miliardo tanta, ma lo scenario non
fosco come il freddo dato numerico parrebbe suggerire: avremo modo pi
avanti di entrare nel dettaglio del mercato, e delle possibili strategie da
mettere in atto per volgere a un secondo Rinascimento, che nel segno di
un Umanesimo 2.0, possa candidare il Belpaese a essere il prossimo tech
hub continentale.
Dallistituzione (2012) del Registro delle Imprese Innovative, come
vedremo, in Italia nata allincirca una startup al giorno: le idee, perci,
non mancano.
questione se mai di saper approntare gli strumenti - economici ed
istituzionali - in grado di trattenere (o riportare) entro i confini fuoriclasse
come Franco Petrucci o Loris Degioanni, gi alla sua seconda startup
milionaria.
Pare facile, non lo ; ma neppure impossibile.
A marcare la differenza non tanto tra Italia ed Europa quanto tra
questultima e il resto delle startup planetarie (gli Stati Uniti, ma anche la
Cina o realt emergenti come lIndia) pu essere utile a questo punto una
riflessione proprio sullunicorno che capeggia la classifica, Uber.
Vetture incendiate nella libertaria Parigi, laustera Whitehall di Londra
invasa da ottomila auto che bloccano ogni accesso al Parlamento,
molteplici aggressioni nel centro di Milano ai danni di autisti sembrano
comporre un bollettino di guerra, pi che la case history di una compagnia
nata appena nel 2013 e gi in grado di issarsi a un valore di mercato oltre i
50 miliardi di dollari.
Se in quegli Stati Uniti dove il liberismo economico base della
democrazia il servizio di auto a noleggio via app fondato da Travis
Kalanick e Garrett Camp sembra inarrestabile, al di qua delloceano i
tassisti hanno fatto sentire la loro voce a difesa di un mercato chiuso,

73
basato su licenze, contro ogni ipotesi di libero mercato centrato
sullautoregolamentazione.
I cambiamenti implicano reazioni, e questo fisiologico, ma le proteste
anti-Uber sembrano suggerire che qualcosa non va.
In Italia pi che altrove si confondono diritti acquisiti con immobilismo,
spesso prendendo a pretesto listinto di conservazione o i privilegi, dal
sapore vagamente medievale, di corporazioni e mestieri.
Negli Usa, al contrario, si gioisce e sinneggia allintuizione di chi ha
saputo offrire ai consumatori i vantaggi di una nuova opzione di scelta (un
trasporto pi immediato, libero, alla portata di tutti) e ai tassisti
tradizionali - se vogliamo - loccasione per riprogettare la propria
competitivit.
, questo, un tempo in cui le nuove tecnologie comportano cambiamenti
velocissimi in settori che fino a pochi anni prima se ne ritenevano immuni.
Probabilmente i tassisti non sono lInquisizione (se mai, streghe
prigioniere di pastoie burocratiche e costi inavvicinabili se non, appunto,
potendo contare su un regime monopolistico), ma occorre che le
professionalit ancora legate allieri imparino ad assecondare quel vento di
cambiamento che spira da oltreoceano e dal pianeta startup domestico,
prima che questo si faccia tifone e cambi definitivamente il mondo, senza
chiederci il permesso, o se siamo pronti.
Neppure le startup stesse, del resto, sono immuni dalle sorprese. Per
quanto il founder possa essere preparato, il mentore quello giusto, i
finanziatori entusiasti e il mercato pronto ad accogliere una nuova shooting
star, ci sono sempre decine di variabili e basta che una sfori le previsioni
per generare, a effetto domino, un totale flop; o, al contrario, un boom
inatteso.
Un arguto post della trend-setter Stephanie Vozza racconta gli eventi
accidentali nascosti dietro alla nascita di alcune tra le maggiori startup
mondiali, a partire dal colosso Airbnb, terzo al mondo tra gli unicorni.45
Brian Chesky e Joe Gebbia nel 2007 erano gi dei sedicenti startupper,
ma ancora non gli era venuta lidea giusta.
In occasione di un congresso che mand a ruba tutte le camere dhotel
nei dintorni di dove abitavano, decisero di affittare posti letto in casa loro,
e fecero 300 dollari in un weekend: nemmeno un anno dopo lanciavano
Airbnb, che oggi vale oltre 20 miliardi di dollari.
It wasnt supposed to be the big idea; it was supposed to be a way to pay the rent
while we thought up the big idea.46
Non solo. Instagram nacque allorch la fidanzata di Kevin Systrom lo rese
geloso facendo troppi complimenti alle foto di un amico comune:
osservandole meglio, Systrom si accorse che lamico aveva usato dei filtri,
e progett una app con la quale gli effetti dei filtri potessero essere
aggiunti facilmente, e su foto scattate anche con hardware non
professionali.

74
Twitter fu concepito come un bollettino di quartiere (e Facebook doveva
restare circoscritto a Harvard), sul modello dei radio scanning delle auto-
pattuglie, Netflix nacque quando Reed Hastings si trov a pagare 40
dollari di multa per aver riportato in ritardo Apollo 13 al videonoleggio,
eBay perch Pierre Omidyar voleva contrattare certe azioni tra privati,
senza dover corrispondere un fee esageratamente alto al broker che gliele
aveva proposte.
Anche la storia dei pivot (i cambi di rotta effettuati da una startup
quando il mercato non d una risposta positiva al primo MVP) ricca di
vicende dove un piccolo aggiustamento in corsa ha cambiato il futuro.
PayPal allinizio doveva essere solo un modo per scambiare denaro tra
PDA (i prototipi antenati dello smartphone) e dunque, nel 1999, tra pochi
intimi; Flickr era una sorta di Second Life ambientato in una realt virtuale
simile al Canada, e abbiamo gi raccontato di come la babele di The Point
si sia trasformata nelleden del consumatore che conosciamo oggi come
Groupon.
Senza contare che agli inizi Nokia produceva stivali di gomma, e Nintendo
mazzi di carte!
Lattitudine (o quanto meno la disponibilit) al cambiamento, lo abbiamo
detto, il pi potente acceleratore di business che esista; tanto pi oggi, in
un mondo che non ha pi confini e pochissimi limiti. Scrivevo in Now! che
cambiare non significa buttar via ci che c o ci che stato, bens
coesistenza, cio esistenza insieme, cooperazione, interscambio costruttivo tra
metodologie e strutture.
Lincapacit di adattarsi, o quella di assecondare il cambiamento , del
resto, tra le prime cause di fallimento di una startup.
Tra le altre si contano no market need (lassenza sul mercato di una
domanda del prodotto o servizio lanciato: voce che da sola causa la
prematura dipartita di quattro startup su 10), ran out of cash (esaurire il
budget senza essere in grado di mantenere lazienda in vita con i ricavi),
not the right team - e qui non c bisogno di tradurre - e altri pi generici
issues che hanno a che fare con errori nel business model, nel marketing,
nello sviluppo, nel timing.
Sono tutte cause, come si vede, che un cambiamento risoluto e posto in
atto per tempo avrebbe potuto sanare; stare fermi, o persino pensare
troppo a lungo prima di agire equivale ad accumulare ulteriore ritardo su
un mondo che, trascinato dalla new e web economy, corre come solo
pochi anni fa sarebbe stato impossibile anche immaginare.
un processo inarrestabile che ci coinvolge tutti e, per noi che siamo
nella parte fortunata del pianeta - quella cablata, quella dove il flusso
dinformazioni e opportunit contenute nel web scorre come lacqua da un
rubinetto - non farsi cogliere impreparati imperativo.
Levoluzione non si fermer ad aspettarci, e ogni istante dincertezza pu fare la
differenza tra prendere il razzo per la coda o restare a terra, puntolini

75
indistinguibili dal cyberspazio, con in testa unidea che, se solo avessimo sarebbe
potuta diventare il primo unicorno italiano.

39 Aileen Lee, Welcome to the unicorn club: learning from billion-dollar startups.
Post su techcrunch.com, novembre 2013
40 In Dio abbiamo fede, tutti gli altri devono mostrarci i dati. In God we trust
liscrizione che compare da sempre su tutti i dollari, monete o banconote che siano
41 John Koetsier, There are now 229 unicorn startups, with $175B in funding and $1.3T
valuation. Post su venturebeat.com, gennaio 2016
42 cbinsights.com/research-unicorn-companies
43 Abhas Gupta, Unicorns vs. Donkeys: your handy guide to distinguishing whos who. Post
su medium.com, novembre 2015
44 fundersandfounders.com/startup-ideas-that-matter.
Infographic pubblicata nel gennaio 2015
45 Stephanie Vozza, The random events that sparked 8 of the worlds biggest startups. Post
pubblicato su fastcompany.com, marzo 2014
46 Non pensavamo che fosse la grande idea: solo qualcosa con cui pagare laffitto
mentre aspettavamo che la grande idea ci venisse in mente Brian Chesky a Vanity Fair,
ottobre 2014

76
Finestra di lettura

Dal Sud si pu:


le startup artigianali di Pegaso

Note per un progetto di recupero e riproposizione in forma organizzata


ed economicamente virtuosa degli antichi mestieri eccellenti partenopei
abbastanza comune, oggi, sentir parlare di eccellenze; il che in
un certo modo paradossale dato che leccellenza, per sua stessa natura,
comune non lo davvero.

ECCELLNZA
s. f. [letter. ant. eccellnzia, dal lat. excellentia] /eccellnza/
1. Qualit di chi o di ci che eccellente: e. dingegno;
raggiungere le. nellarte (il grado pi alto, la perfezione)47

In effetti, non ci si pu non accorgere di come il vocabolo sia sovente


utilizzato in modo improprio, per identificare un qualsiasi comparto
radicato su di un territorio e specializzato nella produzione di questo o
quel bene.
Per eccellenze regionali, intendiamo - ad esempio- la produzione
casearia campana a marchio DOP, la rete di artigiani mobilieri umbri e
toscani, la pasticceria siciliana, eccetera; si tratta tuttavia, spesso, di
eccellenze relative (altro paradosso: la vera eccellenza di per s
assoluta) il cui prevalere dipende dal confronto con la mediocrit
imperante sul mercato o sul territorio di riferimento.
in fondo il famoso beati monoculi in terra ccorum dei latini: nel
paese dei ciechi eccelle anche chi ha un occhio solo.
Fin qui, siamo ancora nellalveo della mera constatazione; il peggio
arriva nel momento in cui ci si rende conto di come le cosiddette
eccellenze del nostro contemporaneo non sono altro che stanche
ripetizioni di un passato assai pi nobile, elevate da niente di pi della
carenza di competitor di livello, o dalla difficolt di equilibrare
aspettative della domanda e qualit dellofferta.
La customer satisfaction, insegnano gli economisti, data dal rapporto
tra lesperienza vissuta e le aspettative che si avevano su tale esperienza;
e pu accadere che dopo qualche delusione si arrivi a considerare
eccellente ci che in altri contesti sarebbe del tutto ordinario.
Un tempo, da amanti e custodi della storia napoletana lo sappiamo

77
bene, era diverso: le antiche specializzazioni manifatturiere consolidate
in certe aree ne marchiavano in maniera tanto indelebile il tessuto
socio-economico che ancora oggi, a secoli di distanza, di
quellimprinting rimane traccia nella toponomastica.
Il ghetto di Venezia, ad esempio, che ben prima di assumere il
significato moderno connotava la presenza delle fonderie pubbliche
dove si fabbricavano le bombarde: ghetto deriva da ghettare, ovvero
affinare il metallo con il diossido di piombo detto, appunto, ghetta.
Oppure, il Borgo degli Orefici a Napoli: nella citt partenopea la
Nobile Arte degli Orefici fu costituita in corporazione e dotata di un
suo peculiare statuto gi da Carlo dAngi, nella seconda met del
Duecento; e prima ancora, sotto Federico II di Svevia, i laboratori
cittadini erano rinomati ben oltre i confini del Regno.
poi in concomitanza con il dominio aragonese che nel quartiere
Pendino si forma un vero e proprio quartiere degli orefici, ponendo le
basi di quella scuola orafa napoletana che avr nel Giura il suo massimo
esponente.
In et borbonica, infine, dapprima sotto Carlo III e quindi regnante il
figlio Ferdinando IV, larte degli orefici diviene punta di diamante di
uneccellenza artigiana che - grazie alle illuminate riforme messe in atto
dai sovrani - spazia dalla fondazione della manifattura di sete di San
Leucio (oggi patrimonio Unesco) a quella, entro le mura di Palazzo
Reale, della fabbrica di arazzi napoletani; dallistituzione della Real
Fabbrica Ferdinandea di porcellana (continuatrice di quella fondata nel
1743 a Capodimonte, e salita poi al massimo lustro a fine secolo, sotto la
direzione artistica di Domenico Venuti) alla genesi - nel centro di
selezione equina di Serre - di una razza di cavalli tanto formidabile da
essere invidiata al Regno dallintera Europa.
Si potrebbe continuare per pagine intere, orgogliosi del fatto che sin
dai tempi pi antichi le molte altre eccelse maestranze artistiche di
Napoli (si pensi ad esempio alla cucina, la sartoria, la cantieristica
navale da diporto) hanno davvero saputo innalzarsi a quel grado pi
alto che il vocabolo latino excellentia sottendeva.
Ed esattamente questo il motivo che mi ha spinto, in qualit di
presidente dellUniversit Pegaso, a omaggiare quelle eccellenze in un
progetto ambizioso (che presto vi racconter) quanto ricco di fascino
Partendo da Napoli!

47 definizione da treccani.it/vocabolario

78
XI

Nove casi da manuale, pi uno


In un bellarticolo pubblicato di recente sulla Harvard Business Rewiew,
Eric Weiner provocava la platea americana invitandola a prendere come
esempio di un valido ecosistema startup non la solita Silicon Valley
quanto, se mai, la Firenze rinascimentale48.
Gi giornalista e corrispondente per BBC, The New York Times e per il
network no-profit NPR, che raggruppa oltre 900 emittenti radio negli USA,
Weiner anche autore del best-seller The Geography of Genius, dove viaggia
attraverso i luoghi sacri dellumano ingegno, dallantica Atene
allodierna Silicon Valley; o, appunto, la Firenze del 1400.
Progetti come la Thames Valley a Londra o la Silicon Oasis di Dubai,
spiega Weiner, non necessariamente diverranno poli di reale innovazione
come il modello cui sispirano; e non sufficiente scimmiottare il nome
dellattuale culla mondiale del tomorrow per avere gli stessi risultati,
giacch la discriminante alla fine rimane sempre una, e sempre la stessa.
Per far sorgere un centro di eccellenza tecnologica o creativa - e nelle
startup i due connotati sono inscindibili - occorre cio che alla base vi sia
un sistema culturale in grado di capire, e accettare linnovazione.
Se no, come predicare nel deserto, e non solo trovandosi a Dubai.
La Firenze rinascimentale, secondo Weiner, poteva anzitutto disporre
del perfetto modello di investitore: i Medici, e in particolare Lorenzo il
magnifico, avevano uno straordinario fiuto per il talento (legendary talent
spotters, li chiama), e solo a quello pi puro e promettente dedicavano le
loro attenzioni di mecenati.
Come accadde, ad esempio, quando lo stesso Lorenzo vide un ragazzino
quattordicenne scolpire un fauno: a tal punto fu colpito dalla sua bravura,
e ancora pi, dalla determinazione con la quale il giovane simpegnava per
migliorare lopera a ogni colpo di scalpello, che gli offr di trasferirsi a
Palazzo per poter essere educato dai miglior maestri.
Quel ragazzino era Michelangelo ma non si tratt di un mero colpo di
fortuna; lungimiranza, se mai, e difficilmente anche in altre occasioni
Lorenzo sbagli un colpo.
La differenza tra un business angel che sponsorizza per buon cuore
lidea meno peggio tra quelle che gli sono state proposte e il mecenate di
impronta rinascimentale sta proprio in questo: nella capacit di investire
sui talenti puri, (a costo di aspettarli un po), quelli cio della cui opera
lintera umanit trarr beneficio.
E che dire del Verrocchio, maestro di tale sagacia e fiducia nei suoi
pupilli da far s che Leonardo da Vinci, che avrebbe potuto trovare lavoro
ovunque, restasse a bottega da lui come apprendista per quasi dieci anni?

79
Verrocchio era un mentore vero, al punto da lasciare che i suoi allievi
pi brillanti dipingessero piccole porzioni delle sue opere: oggi, chi lo
farebbe?
Oppure, quanti committenti, dovendo assegnare un importante appalto
rischierebbero - piuttosto che andare sul sicuro con qualcuno che ha gi
svolto lavori simili - sul talento di un altro, meno esperto ma pi creativo?
Pochi, oggi, forse nessuno; eppure, stato cos che Giulio II decise di
affidare la Cappella Sistina a Michelangelo, conosciuto allepoca come un
valido scultore, ma certo non tra le eccellenze della pittura.
O che dire, ancora, dello spirito competitivo con cui lo stesso Buonarroti
e Leonardo, Brunelleschi o Ghiberti, oppure - a Roma - Bernini e
Borromini duellarono tutta la vita puntando per superarsi a sempre pi
alti picchi di eccellenza, a soluzioni mai provate in precedenza da
nessuno?
Non forse quel tipo di concorrenza orgogliosa e creativa (opposta a
quella dominante oggigiorno, in cui si tende a produrre ognuno la sua
versione della stessa cosa) da cui il mercato trarrebbe continua
innovazione?
Ancora pi di tutto questo, chiosa Weiner, la lezione cruciale della
Firenze rinascimentale unaltra:
They recognized that innovation involves a synthesis of ideas, some new, some
borrowed, and theres nothing wrong with that.
I Medici seppero comprendere come linnovazione si componga di una
sintesi didee: alcune nuove, altre prese a prestito, o ispirate da chi quello
stesso cammino ha percorso prima di noi.
E non c niente di male a copiare, purch si scelga bene da chi farlo.
Ho divagato un po ma comprenderete quanto mi piaccia, da presidente
di ununiversit e da italiano, questidea della Firenze medicea come e
meglio della Silicon Valley e con cinque secoli di anticipo!
E oggi? Il panorama italiano in ogni caso promettente, tanto per un
trend costante di crescita che per i dati specifici che sincontrano
immergendosi pi a fondo nellanalisi statistica.
Secondo lultima ricerca del Censis49, che a sua volta fa riferimento ai
dati del Registro delle Imprese forniti dal Ministero dello Sviluppo
Economico, a fine 2015 si contavano nel paese circa 5.140 startup
innovative.
Se si considera che il Registro esiste dal settembre 2012, si pu dire che
gli imprenditori 2.0 italiani hanno lanciato, da allora, una startup al giorno.
Di queste, oltre il 20 per cento ha a capo un under 35 e pi di 1.800
contano almeno un millennial nella compagine societaria: millennial sono i
giovani tra 18 e 34 anni, segmento che il rapporto del Censis definisce
come intraprendente, stakhanovista, innovatore in tecnologie e stili di
vita e, ancora, dotato di persistente vocazione allimprenditorialit e
in grado di far agganciare il locale alle reti lunghe globali, anche grazie

80
alle nuove tecnologie.
Le nuove tecnologie, com logico, dei nostri startupper sono il primo
interesse: il 94 per cento di loro utente abituale del web (il dato
nazionale aggregato arriva a malapena al 70), l87,3 per cento iscritto
almeno a un social network (contro il 60,2), l84,7 costantemente
connesso online (il dato medio nazionale del 52,8), il 61,4 per cento ha
effettuato almeno un acquisto online.
Sono dati che riflettono quanto raccontavo nel mio Now! al riguardo
delluomo wireless anche se, per ovvie ragioni anagrafiche, non tutti gli
startupper (e nemmeno tutti i millennial, per la verit) sono nativi digitali.
Pi sorprendente ancora scoprire cosa appassiona, web a parte, gli
startupper italiani: sugli altri due gradini del podio troviamo food (da
Cortilia, sorta di slowfood a domicilio, a WineOwine) e sharing economy, il
che fa ben sperare per un futuro pi sostenibile.
La startup MyFoody, ad esempio, sorta di sintesi tra questi due focus, ha
trovato il modo di minimizzare e ridistribuire non-profit le eccedenze
alimentari di negozi e ristoranti.
Detto del cosa, il quanto: il giro daffari medio di una startup italiana
di circa 80mila euro lanno, con un team composto in media di tre sole
unit lavorative impiegate.
Il ritardo rispetto agli startupper di Francia, Spagna o Germania
(secondo il Monitor Startup realizzato con il contributo di KPMG, il
fatturato medio delle sole startup berlinesi supera quota 300 mila euro)
ancora evidente.
Anche lungo lo stivale, tuttavia, ci simbatte in qualche mini-unicorno:
sono in effetti oltre una ventina le startup italiane che hanno sfondato il
muro del milione di euro di fatturato annuo, e ben sei quelle che si
attestano tra i due e i cinque milioni: da Lean Products, che si occupa di
componentistica a Hit09, spin-off dellUniversit di Padova che lavora per
migliorare laerodinamicit di aerei, dagli app-builder di Applix (citata da
Steve Jobs durante la presentazione delliPad 2) e Si14 (che sviluppa anche
gadget hi-tech), fino a Blackshape (aerei ultraleggeri) e Solair
(ottimizzazione business) il cui founder un inglese, Tom Davis, fiero
sostenitore della capacit unica degli italiani di mixare skills tecnologici e
creativit.
Altre startup hanno valicato la cima milionaria grazie a digital marketing
e soluzioni per ledilizia, sistemi navali o domotica, biotecnologie, stampa
offset.
E poi, ci sono quelle che ancora un milione di euro lanno non arrivano a
fatturarlo, ma hanno storie che parlano di made in Italy, intuizione e
risolutezza, vicende imprenditoriali e umane in cui larte di arrangiarsi che
tutto il mondo ci attribuisce si fa know-how e sagacia, lungimiranza e
capacit di vedere una soluzione dove altri non hanno neppure ancora
visto il problema.

81
Io ne ho scelte dieci che, a mio avviso, meritano di essere raccontate.

1. AppsBuilder
Settore: mobile application
Founder: Luigi Giglio, Daniele Pelleri
Luogo e data di nascita: Torino, 2011

AppsBuilder permette di costruire unapp per ogni sistema operativo (in


circa dieci minuti, dicono i founder) anche a chi sia digiuno di
programmazione, e poi pubblicarla sui vari marketplace. Il tutto,
attraverso pochi click guidati e una serie di modelli base con diverse
grafiche e funzionalit, tali da semplificare la fase di app-design,
riducendo tempi di sviluppo e costi.
Luigi Giglio e Daniele Pelleri si incontrano sui banchi del Politecnico di
Torino ed poi a casa di Pelleri (che non si laureato, ma ha un padre
ingegnere per 40 anni nel settore Ricerca & Sviluppo di Olivetti) che
prende vita, nel 2010, il loro progetto.
In quaranta giorni i due preparano una beta version del sito web che a
settembre online, e a novembre - gi testato da centinaia di user - fa
incetta di buone recensioni sui blog di settore.
Da quello che sembrava solo un gioco per lestate pu nascere una
vera azienda, cos i due portano lidea ai business angel Mario Mariani
(The Net Value) e Massimiliano Magrini (Annapurna Ventures) che
forniscono sostegno finanziario per la fase di seeding; la startup lanciata
nellaprile 2011 a Milano (oggi ha uffici anche a Catania, e si avvia a
toccare i 30 dipendenti) e nel 2014 ottiene un finanziamento pari a un
milione e mezzo di dollari da fondi venture americani; alla fine dello
stesso anno AppsBuilder acquisisce Paperlit, brillante startup americana
del segmento editoriale, quella per intendersi che ha inventato lo
sfogliatore per i giornali online.
Oggi AppsBuilder, il cui mercato potenzialmente estendibile a ogni
segmento di business e adv, disponibile in sette lingue e ragiona in
milioni: di euro (traguardo raggiunto a fine 2013, addirittura triplicando il
fatturato dellanno precedente) e download, di cui un 15% ancora
localizzato in Italia, con obiettivo di ridurlo a non oltre il 5%. I suoi utenti
(oltre 250mila registrati) creano 6mila nuove app ogni mese.

2. Buzzoole
Settore: digital marketing
Founder: Gennaro Varriale, Fabrizio Perrone, Luca
Pignataro, Luca Camillo
Luogo e data di nascita: Napoli, 2013

Buzzoole la prima piattaforma italiana di Influence Engine Optimization, in

82
grado non solo di monitorare la presenza online degli utenti, ma di porre
in atto - grazie a un algoritmo proprietario - un sistema personalizzato di
valutazione della loro influenza in un determinato settore. Grazie al
sistema Finder, inoltre, permette alle aziende di individuare proprio questi
influencer, e creare campagne di digital PR e passaparola su blog e social
network servendosi di loro come testimonial.
Allinizio Gennaro Varriale, sviluppatore di app quasi per hobby:
almeno, fino alla creazione di Pingram.me, mash-up tra Instragram e
Pinterest che gli porta contratti solo da firmare con agency di Tel Aviv e
San Francisco. Resta invece a Napoli e qui incontra Perrone, che sta
lavorando a ViralEye, una piattaforma per generare passaparola: dalla
collaborazione tra i due - presto raggiunti da Camillo e Pignataro - che
nasce Buzzoole (passaparola infinito).
La startup trionfa alla Battaglia delle Idee, e si aggiudica il Microsoft Biz
Park con il primo prototipo, un mix dinferenza statistica e regole
semantiche. Il primo investitore a crederci Gennaro Tesone di 56Cube,
che porta in dote 180mila euro di Digital Magic. Nellottobre 2013 la
neonata Buzzoole srl sinsedia nellincubatore di Citt della Scienza, e
mentre al team si aggiungono via via altri tasselli lIntel Business Challenge
Europe 2014 la premia con un piazzamento tra le prime otto migliori
startup al mondo, ottenuto sbaragliando oltre 24 mila concorrenti.
Nel 2015, ad appena un anno dallentrata sul mercato, Buzzoole
annuncia un aumento di capitale oltre il milione di dollari (tra gli
investitori Digital Magics, Giuliomario Limongelli di Groupon e Paola
Marzario di Brandon Ferrari, una delle 40 startup italiane oltre il milione di
fatturato); oggi ha una ventina di dipendenti, pi di 150 clienti
internazionali e sta per aprire sedi a Londra e New York.

3. Circle Garage
Settore: hardware, wearable
Founder: Marco Gaudina, Luca Lagomarsino, Massimo Nucci
Luogo e data di nascita: Genova, 2013

Circle Garage produce hardware. Indossabile. Il primo prodotto lanciato


Hiris (acronimo che sta per human reliable integrated system), uninterfaccia
wearable di ultima generazione contenuta entro un dispositivo da polso
simile ai mini-computer che - dalliPhone watch ai GPS dei runner -
rappresentano la prossima frontiera di comparti come health, fitness,
gaming; solo, molto pi versatile.
Lo slogan di Hiris, your life, simple, dice tutto della vision dietro al
progetto sviluppato da Gaudina nella pi classica delle startup location: il
garage di casa dei genitori, nel quartiere genovese di Sturla. Ingegnere
robotico allIIT della sua citt natale, Gaudina ha poi reclutato i
concittadini Lagomarsino (brand manager) e Nucci, CFO, oltre a tre

83
professori che della startup compongono il board scientifico; oggi Circle
Garage incubata entro lI3P del Politecnico di Torino, e ha da poco
ricevuto circa 85mila euro da una campagna crowdfunding su IndieGoGo.
Frattanto Hiris stato brevettato, e ha vinto a mani basse la prima
edizione dello Smart Home Hackaton con unapp per collegarsi in remoto ai
dispositivi elettronici presenti in unabitazione attraverso il semplice
movimento del polso; gi, poich non semplicemente un orologio hi-
tech, ma fornito di una serie di sensori in grado di raccogliere parametri
e movimenti (in 3D) di chi lo indossa per poi riversarli in feedback tattili e
nella gestione di app su misura.
Il sistema alla base di Hiris modulabile e altamente espansibile, e
attraverso il device si pu fare praticamente di tutto: pilotare un drone e
agire sulla domotica, monitorare la propria salute e gestire lufficio in
modalit working station.
E mentre il team cresce e Hiris continua a raccogliere premi e
finanziamenti, in garage si lavora al lancio della prossima creatura:
Playscreen, un pannello touch per mixare elementi grafici e video, gi
ribattezzato la lavagna di Iron Man.

4. Cucina Mancina
Settore: food, marketplace
Founder: Maria Lorenza Dadduzio, Flavia Giordano
Luogo e data di nascita: Bari, 2012

Una food community per chi mangia contro(corrente), oppure senza,


altrove, a modo suo. Cucina Mancina una piattaforma dove sincontrano
food-maker, luoghi e prodotti di quel caleidoscopico universo che il
patrimonio gastronomico italiano; alle esigenze dei diversamente
onnivori la startup risponde con un ricettario multi-filtro, uno store locator
geo-referenziato che raccoglie per tema negozi e ristoranti specializzati, e
altri tools interattivi di social fooding.
il maggio del 2012 quando Dadduzio e Giordano realizzano quante
persone abbiano necessit particolari in materia di alimentazione; in Italia
sono stimati in milioni - cifre che si traducono per il portale in circa 30mila
contatti unici/mese - e nel mondo sono quasi un miliardo, tra quanti
mangiano mancino per scelta etica e chi vi obbligato da motivi di salute.
Il ricettario, vero core della startup, allinea ricette di chef, blogger o
signore Maria - pubblicate dopo che le preparazioni sono state validate
da redazione e nutrizionista - e il motore di ricerca si avvale di uno
scouting incrociato tra il team e gli utenti della startup. Al momento il
database comprende quasi duemila indirizzi verificati - navigabili per tipo
di alimentazione o per referenza geografica - anche se non ancora tutti
online.
Nei primi due anni, Cucina Mancina ha collezionato riconoscimenti di

84
prestigio, tra i quali un finanziamento di 70mila euro e una borsa di studio
per frequentare a San Francisco la scuola di Mind The Bridge. Attiva anche
nel sociale e nelleditoria - con un ricettario, Eat Different (Feltrinelli) e
un volume di cucina regionale - si appresta ora a lanciare la sua app;
nonch, attraverso una crowdfunding campaign su Eppela, il Mercato
Mancino, piattaforma parallela che ospiter vetrine per lo story-telling
dei prodotti con link diretti agli e-commerce di produttori selezionati.

5. Decisyon
Settore: business management
Founder: Franco Petrucci
Luogo e data di nascita: Latina, 2005

Decisyon una piattaforma di collaborative decision making and execution,


una sorta di social network aziendale basato su stanze (sul modello
delle fanpage Facebook) dedicate a temi specifici come il magazzino, o i
trend di settore, e dove tutti gli invitati a una chat - management e forza
lavoro insieme - possono analizzare dati, esaminare lo storico, proporre
interventi, cos da integrare analisi, pianificazione ed esecuzione per
migliorare gli affari, valorizzando strategicamente ogni risorsa.
Tra le startup italiane di successo, Decisyon una delle pi datate:
nasce, infatti, nel 2005, quando a Latina lingegner Franco Petrucci inventa
il software che gestisce la piattaforma; lidea piace alle multinazionali, ed
(anche) per quello che nel 2009 il founder decide di spostare met azienda
nella Silicon Valley (lasciando a Latina un centinaio di colleghi sfornati di
fresco dalla Sapienza) in cerca di finanziamenti.
Negli USA Petrucci incontra il pugliese Cosimo Palmisano, founder di
quella Ecce/Customer concepita per gestire le relazioni cliente mediante i
social media: i due si capiscono al volo, e ben presto il primo assorbe
Ecce/Customer entro Decisyon, che frattanto arruola personale da IBM,
Apple, Dell.
Nel 2012 arriva un primo round dinvestimento di 15 milioni di dollari,
garantito da Axel Johnson Inc., il pi ingente del decennio per unimpresa
italiana; siccome i primati sono fatti per essere battuti, cos per quello
stabilito da Decisyon: titolare del nuovo record per la stessa startup,
che in un round del 2014 si supera, ottenendo da Catalyst Investors altri 22
milioni.
Grazie anche a quellinvestimento Decisyon, che oggi conta oltre 200
clienti in 11 paesi, ha sfondato nel 2015 il tetto dei 100 milioni di dollari di
fatturato; a sentire Petrucci e Palmisano - che in qualit di VP gira il
mondo in cerca di prospect - il software tricolore arriver presto a
eguagliare in eccellenza le 3F (Food, Fashion, Furniture) del made in Italy.

6. Lovli

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Settore: design, made in Italy
Founder: Alberto Galimberti, Tiziano Pazzini
Luogo e data di nascita: Milano, 2013

Lovli (per lovely, adorabile) una piattaforma di e-commerce concepita


quale destinazione unica di riferimento per la scoperta e lacquisto del
design italiano - lifestyle, arredamento, illuminazione, complementi e
cucina - e consentire a chiunque sia cresciuto a pasta e design di potersi
permettere il miglior made in Italy.
Galimberti - bergamasco, ex-uomo marketing Voxy a New York - e
Pazzini - cesenate, un passato di brand manager Ferrero sui mercati
emergenti - si conoscono al MiMec di Bocconi. Dallunione delle loro
competenze e passioni in quattro mesi nasce con base strategica a Milano
ci che pi che startup o e-commerce chiamano un talent store: al business
di vendita si affianca una vocazione di scout e vetrina per i designer
coinvolti, presentati a rotazione con un portfolio fotografico, una breve
intervista, una selezione di prodotti disponibile - talora in esclusiva - per
un periodo limitato a prezzi ridotti fino del 70%. Tra i molti servizi del
portale disponibile anche la consulenza di interior design.
Tra maker artigiani e brand, il network conta oggi circa 1.000 partner,
tutti rigorosamente italiani e selezionati a domicilio dai due founder; il
catalogo online (rivolto a una platea fortemente internazionalizzata, con
clienti in oltre 60 paesi) conta oltre 40mila referenze e presenta ogni giorno
due nuove aziende che gli utenti registrati - pi di 100mila, mentre le
visite sono gi oltre 1,5 mln - possono seguire anche attraverso la
newsletter o la app iOS, lanciata lanno scorso e gi pluripremiata.
Creata nel 2013 con 40mila euro messi insieme dai due founder, Lovli in
due anni ha saputo crescere del 300%, arrivando a contare trenta
collaboratori, assommare oltre 10mila ordini evasi e avere un run-rate
superiore ai due milioni di euro; nel 2014 ha ottenuto al primo round di
finanziamento 520mila euro, e altri capitali - soprattutto italiani, pare -
sono attesi a breve.

7. Moneyfarm
Settore: finance / investment
Founder: Giovanni Dapr, Paolo Galvani, Andrea Scarso
Luogo e data di nascita: Milano/Cagliari, 2012

Moneyfarm una piattaforma per pianificare e gestire i propri


investimenti. Lo slogan power to the saver, riunisce target (il medio
risparmiatore, quello che ha 30/100mila euro da investire e nessuna idea
di come farlo) e mission della startup: educare e responsabilizzare il
pubblico, attraverso la messa a disposizione di tools intuitivi e alla portata
di tutti: come primo approccio, si pu chiedere un consiglio gratuito senza

86
nemmeno doversi registrare sul portale.
Galvani e Dapr si incontrano nel pi tradizionale scenario possibile, una
banca (tedesca) a Londra, cuore finanziario del Vecchio Continente.
lepoca in cui in UK e in Usa stanno nascendo realt come Wealthfront o
Nutmeg, pionieri del risparmio autogestito, e quella in cui si affaccia
allorizzonte una mutazione dello startupping originale: non pi ragazzini
smanettoni, ma manager fatti e formati, pronti per applicare in campo
innovativo gli skills appresi in anni di giacca e cravatta.
Il principio operativo di Moneyfarm (la fattoria del denaro, paradigma
di una finanza a misura duomo e curata day by day) quello dellasset
allocation: il cliente si abbona, profilato accuratamente e riceve poi via
web consigli su come gestire il suo patrimonio. La prospettiva richiesta
di almeno due anni, la manutenzione dl portafogli, invece, bimestrale.
Oggi Moneyfarm una sim, regolarmente autorizzata da Consob e Banca
dItalia; per le sue consulenze percepisce una commissione che circa la
met di quella richiesta da un fondo tradizionale. I suoi clienti italiani,
oltre 15mila, sono in crescita costante, trainata dalla maggiore familiarit
con il banking acquisita attraverso la svolta mobile; mentre la doppia anima
della startup, fortemente tecnologica (con diversi ingegneri nel team) ma
al tempo stesso solida e rassicurante, ha convinto a pi riprese gli
investitori anche esteri: lultimo finanziamento ricevuto stato di ben 16
mln di euro, sottoscritti dalle ventures inglesi Cabot Square e United.

8. Mosaicoon
Settore: video entertainment
Founder: Ugo Parodi Giusino
Luogo e data di nascita: Palermo, 2009

Mosaicoon produce e distribuisce video pubblicitari virali. Lapproccio


di marketing alla base quello inbound, che ribalta il modello classico
dinterazione tra azienda e consumatore: non pi la prima a trasmettere
il suo messaggio al pubblico, ma questo che sceglie i contenuti che gli
piacciono e cos, in pratica, lazienda.
Tra i precursori di questa strada c un palermitano giramondo, Parodi
Gusino, diplomato al Dams, poi segnalato a Barcellona a imparare il
video-making e di nuovo in Sicilia per fondare VVTV, una sorta di Mtv di
taglio artistico trasmessa via web quando ancora non esisteva nemmeno
YouTube.
Il passo successivo quello che nel 2009 d la luce a Mosaicoon. Gi il
primo video, Reactivity, conquista gli addetti ai lavori di mezzo mondo e
nel 2008 il venture Vertis finanzia la startup con 650mila euro; nel 2012
arrivano altri 2,5 milioni. Oggi Mosaicoon non neppure pi tecnicamente
una startup, perch i fatturati che di anno in anno raddoppiano (lultimo
di 3 milioni) e sono reinvestiti ne fanno una scaleup.

87
in questa veste che stata invitata nella Valley, sola italiana tra i
possibili futuri unicorni dEuropa, un alloro che si aggiunge a tre titoli in
fila come Italian Champion for Innovation, a un Best Startup in Europe (2012),
al premio di miglior spot dellanno con il viral per Vileda, visto da un
milione di persone in dieci giorni.
Tra i punti di forza di Mosaicoon, che oggi ha sedi a Londra, Milano,
Roma ma non rinuncia alla spiaggia di Mondello, il porsi a unico
interlocutore per seeding, production e tracking - in tempo reale, grazie a
un software proprietario - di uno spot, e laver sviluppato una serie di
piattaforme che sostengono e accompagnano quella principale: come
Crevity (creative crowdsourcing, aperto a tutti coloro che hanno idee ma
non mezzi) e Plavis, che distribuisce contenuti a 220 mln di utenti nel
mondo.

9. Musixmatch
Settore: musica
Founder: Max Ciociola
Luogo e data di nascita: Bologna, 2010

Musixmatch un database per i testi delle canzoni, anzi il pi grande


database di testi del mondo: ha pi di trenta milioni di utenti nel mondo
(ma punta quota 100 entro i prossimi 3 anni) e 7 milioni di testi tradotti
in 38 lingue; il che non stupisce, considerato che lyrics una delle parole
pi cercate su Google - digitata da due miliardi di persone ogni mese - e la
prima in assoluto su YouTube.
Lavventura della startup - bolognese che pi non si potrebbe, con un
ufficio proprio allombra delle due torri - prende il via tra le mura di una
delle compagnie che hanno fatto la storia di Internet in Italia, Dada: l che
il founder Ciociola e gli altri matcher della prima ora (Costantino, Delfino,
Delli Carri, Paolini, Parisi) decidono, nel 2010, di creare lanello mancante
nella fruizione contemporanea di canzone e testo: uno strumento in grado
di sincronizzare in automatico playlist e lyrics, un servizio seamless
senza popup e altre diavolerie e capace invece di integrarsi con
discrezione nelle varie app per riprodurre musica.
Lidea piace, arriva un primo finanziamento di 150mila euro, e poco
dopo un seed di 400mila. Il botto nel 2011, con un round da 3,7 milioni di
dollari, seguito nel maggio 2015 da un altro di 5 milioni dai fondi P101 e
United Venture e un gruppo di player indipendenti. Nel frattempo salito
a bordo Denzyl Feigelson, tra i pap di iTunes, e la startup ha superato, nel
2014, il milione di euro di giro daffari.
E mentre il team (una trentina di persone) lavora da Bologna, Londra e
New York, un milione di persone utilizza Musixmatch ogni giorno per
caricare testi in crowdfunding, fare karaoke con il microfono interattivo,
creare videoclip con iPhone o solo veder scorrere i testi di ci che stanno

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ascoltando. Soprattutto tramite Spotify, dopo che il colosso svedese ha
integrato la startup italiana nella sua app, presente su 58 mercati con 70
milioni di utenti attivi e 15 di abbonati premium.

10. Startup Rampanti: il ritorno dei cervelli


Outsourcing e freelancing sono due facce della stessa medaglia; c
ancora molto spazio dazione per superare i confini mentali e geografici
che limitano la professione.

Sono pi di sessanta i talenti under 35 dellinnovazione che, dal 2007,


hanno avuto dalla borsa di studio BEST Program lopportunit di sei mesi
nella Silicon Valley; rientrati, hanno dato vita a una quarantina di startup
innovative, e creato lavoro per altri quasi quattrocento giovani italiani.
Tra gli ultimi rientrati Antonio Andrea Gentile, pugliese founder di MRS
che ha sviluppato un metodo-spugna per recuperare i metalli pregiati dai
microchip; Alessandro Zambon, vicentino che sta sviluppando un
dispositivo per testare i farmaci direttamente sulle cellule dei pazienti, in
vitro, metodo pi etico (e di miglior feedback) rispetto alla
sperimentazione sugli animali; oppure, startupper che lavorano a centrali
elettriche virtuali capaci di ottimizzare i flussi provenienti dalla
produzione rinnovabile indipendente; ad app che trovano e pagano il
parcheggio pi vicino a un dato luogo dinteresse; a enzimi in rado di
disintossicare frutta e verdura da qualsiasi traccia di pesticidi o altri
elementi nocivi.
di nuovo in Italia anche Lucia Rampanti, genovese con due lauree in
architettura (a Milano e Torino), seguite dal biennio deccellenza presso
lAlta Scuola Politecnica, gi founder - con due soci poi svincolatisi - di
Upendu. Startup un po piattaforma e-commerce e un po community,
portale verticale e insieme acceleratore delle realt locali, Upendu nata
dalla dipendenza di Rampanti per lo sport e puntava inizialmente a
permettere ad ogni addicted di trovare strutture, negozi o compagni di
allenamento per la propria disciplina ovunque si trovasse nel mondo; si
poi rapidamente evoluta in punto dincontro e aggregazione dalla forte
componente interattiva e di scambio (per mezzo di crediti virtuali) tra
quanti condividessero una passione; e, dopo un ulteriore upgrade, in un
motore di ricerca dove gli sportivi potessero anche scegliere e prenotare
via app un istruttore, scegliendo tra tutti quelli disponibili in una certa
zona il pi qualificato per le loro esigenze
Creata nel 2014, Upendu ha fatto incetta di premi e ha permesso a
Rampanti di esere selezionata per il BEST Program: e da San Francisco
poi tornata con una nuova consapevolezza e il desiderio di provare a
ricreare nel suo paese quella cultura di ascolto, condivisione e
collaborazione che rende quello di oltreoceano lo scenario ideale allo
sviluppo delle imprese innovative, e la possibilit di frequentarlo una

89
inesauribile miniera di conoscenza e contatti.
C ancora limpronta di Upendu (che per al momento in stand-by, in
cerca di nuovi compagni di lavoro e di un focus che gli consenta di
differenziarsi nettamente ripetto a competitor e imitatori) nella scelta dello
stage che segna per Rampanti un nuovo punto di svolta: per motivi di
identit con la sua prima startup sceglie infatti di compiere il proprio
tirocinio californiano presso Zaarly, piattaforma affine alla sua nella misura
in cui permette di scegliere e ingaggiare varie figure professionali.
Zaarly non si occupa di sport, ma di manutenzione della casa, e tra le
varie opzioni di servizio offre possibilit di ingaggiare un architetto per
ristrutturare la propria abitazione: proprio l che a Rampanti si accende
la lampadina.
In Italia c un architetto ogni 400 abitanti, contro l1/3.000 degli States o
l1/40.000 della Cina: con la collega Caterina Pilar Palumbo, e mettendo a
frutto contatti e skills di marketing riportati dalla Valley, Rampanti
concepisce una nuova piattaforma, battezzata spoon.CITY (il nome un
omaggio a Gio Ponti) e disegnata per mettere in contatto i freelance italiani
con studi esteri di tutto il mondo che offrano collaborazioni, fisse o a
progetto: una sorta di Dribble, seguitissima vetrina per giovani designer,
dove ogni architetto che si proponga avr un suo profilo con indicazioni
sullimpronta stilistica, le tecnologie impiegate, i materiali preferiti.
Per spoon.CITY - cui la Regione Veneto ha subito offerto una sponsorship
- il fatturato deriver dai fee incassati a fronte del lavoro di matching e
mediazione; cui aggiungere il legittimo orgoglio per un progetto che
traghetter molti neolaureati fuori dal gorgo di tirocini non retribuiti e
assunzioni fantasma, e aprir larchitettura alle dinamiche del lavoro da
remoto gi adottate da designer e sviluppatori.

48 Eric Weiner, Renaissance Florence Was a Better Model for Innovation than Silicon Valley
Is. Post su hbr.org (sito della Harvard Business Rewiew), gennaio 2016
49 Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa
italiana alla prova, Censis 2015

90
XII

Il futuro ora:
Lab 46 e lUniversitas Mercatorum
Luomo ragionevole si adatta al mondo.
Luomo irragionevole cerca di adattare
il mondo a se stesso.
Per questo il progresso
opera di uomini irragionevoli.

Un anfiteatro del sapere e del fare: cos che vedo lUniversit odierna.
Nel 2016, unistituzione accademica non pu pi permettersi di essere
incentrata e ripiegata su se stessa - in nome di una presunta, e allatto
pratico infondata, superiorit di genere - ma deve invece impegnarsi a
essere un acceleratore per lo sviluppo dei territori (e della nazione) in cui
opera.
Ai giorni nostri, ancora pi che in passato, questo particolare connotato
diviene - da auspicabile ma accessorio - fondamentale e fondante.
Lateneo che, rinchiuso nella sua torre davorio, si atteggi a solo
depositario del sapere elitario incongruo ancor pi che anacronistico ed
, per fortuna, destinato a sparire velocemente dallo scenario.
LUniversit Pegaso - che gi nellaggettivo Telematica reca il seme di un
costante proiettarsi in avanti, assecondando il progresso e provando a
precorrere il futuro - nata dieci anni fa come materializzazione del
cambiamento imposto dal web allevoluzione della formazione, e quale
chiave ubiqua di un sapere democratico e diffuso secondo le nuove leggi
dellinterconnessione veloce, disponibile ovunque in ogni momento.
unistituzione accademica dalla doppia anima, tradizionale nel suo
magistero e nelleccellenza del suo corpo insegnante, e allo stesso tempo
hi-tech nelle sue modalit, protesa verso il mondo attraverso la rete
quanto orgogliosamente radicata sui territori di appartenenza.
Se un processo evolutivo per definizione inarrestabile, legato alla
necessit di sfuggire la stasi, il decadimento, lestinzione, proprio in
ossequio a questo assioma Pegaso, sin dagli inizi e oggi pi che mai,
impegnata a differenziare e potenziare le proprie attivit e iniziative.
La sfera formativa focalizzata sulla creazione di un network che sposi
sapere, saper fare e fare impresa, mentre quella imprenditoriale -
attraverso il dispiegarsi di una concreta funzione di acceleratore - si pone
quale officina per il segmento delle startup e PMI innovative.
cos che nascono i due progetti di Universitas Mercatorum e Lab 46,
tasselli fino ad oggi mancanti in quel cammino virtuoso che dovrebbe
prendere avvio da una scuola effettivamente formante e performante, per

91
condurre studenti gi preparati entro lalveo universitario e della ricerca e
da qui - purch gli siano forniti adeguati strumenti operativi - proiettarli
nel mondo dellimpresa.
Per giungere a un risultato simile, occorre la collaborazione delle
istituzioni, che vorremmo vedere finalmente risolute a rendere meno
accidentato il cammino verso il fare impresa, e in particolare quando si
tratti di PMI innovative.
Occorre, anche, la creazione di luoghi - si tratti di agor virtuali o di
spazi fisici come i coworking - deputati allo scambio e alla condivisione
didee, e al recupero di unidentit comune e un senso di appartenenza
che riporti il nostro paese ai livelli di eccellenza culturale e produttiva che
la Storia gli riconosce.
Occorre, non ultimo, che il credito divenga pi accessibile, e a chi ha il
coraggio e la fiducia, a chi ha volont di investire, sia permesso di farlo in
modo trasparente e - se non agevolato - almeno non a tal punto
impastoiato.
C bisogno, anche e infine (se non addirittura soprattutto) di
ununiversit nuova, di progettualit seria, di formazione up-to-date,
fruibile, condivisa: di ununiversit basata non pi solo sul sapere, ma sul
saper fare.
LUniversitas Mercatorum, ateneo telematico concepito e realizzato da
Pegaso e compartecipato per un terzo dalle Camere di Commercio
italiane, punta proprio a colmare questa casella vuota.

Il lavoro non manca, mancano se mai le persone formate per fare i lavori che sono
richiesti, e per fare le imprese che ancora non esistono.

la frase posta a incipit proprio del progetto di Universitas Mercatorum,


e non davvero un caso se il verbo fare ricorrente: ci che la nuova
entit si propone di essere proprio un luogo del FARE, sin dallo statuto
in cui si assume lobbligo istituzionale di formare nuovi manager, e di creare la
prima startup university italiana, con la connotazione di un ateneo nato dalle
imprese per valorizzarne il capitale umano.
Sar la prima universit italiana interamente votata allinnovazione e al
digitale, la prima a integrare al suo interno un incubatore e acceleratore
dimpresa, e dispiegare percorsi formativi che aiutino gli studenti a
imparare con passione, conoscere direttamente il mondo del lavoro
(attraverso stage semestrali garantiti e retribuiti per ogni diplomato, e la
partnership con aziende leader mondiali dei rispettivi mercati), acquisire
specifiche professionalit.
Fare di ogni studente un leader in un mondo sempre pi digitale,
fornirgli gli strumenti che lo mettano in condizione di avere un impatto
significativo su ci che gli prossimo e - unito ad altri come lui -
sullintero sistema-paese: Tempo, Spazio, Metodo divengono i tre

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caposaldi di un processo di formazione e apprendimento che palestra
quanto aula, e saper fare quanto sapere.
La roadmap formare, come detto, persone in grado di generare valore
attraverso la creazione o espansione di unarea di business, identificando
nuovi prodotti, processi, materiali, mercati; il punto darrivo, un mondo
del lavoro dove non necessariamente lattivit imprenditoriale debba
seguire la messa in essere di unazienda.
il ribaltamento della prospettiva classica, la gallina che nasce senza
bisogno delluovo: la mind-set imprenditoriale che porta le giovani leve,
la classe manageriale di un domani tanto prossimo da essere, insieme,
luminosa opportunit e tsunami per gli ignavi, a farsi capitani della
propria nave, capaci di intravedere rotte nuove, e dispiegare asset quali la
gestione proattiva di iniziative, la rappresentazione e negoziazione di
obiettivi, la capacit di coworking, la corretta valutazione e lassunzione
dei necessari rischi.
Parallelo e complementare allUniversitas Mercatorum il progetto di
Lab 46, dispiegato attraverso strumenti quali business competition,
hackaton50, workshop e programmi di corporate innovation basati su reali
esigenze del mondo del lavoro, cos da garantire sbocchi occupazionali
concreti, innovazione e un aggiornamento costante, base di quel lifelong
learning che filosofia di Pegaso e di ogni mia giornata.
Cuore pulsante di Lab 46 la scuola di startup, basata sulle tre direttrici
formative di Technology (volta a creare artigiani dello sviluppo hardware
e software), Business - dove si impara a rendere realizzabile e sostenibile
la propria idea, e a saperla vendere - e Personal Skills, che ha quale core-
target lo sviluppo della persona prima ancora del professionista.
Community training e condivisione a doppia direzione del sapere;
approccio partecipativo, attraverso la discenza affiancata di tutor e
mentor; flipped classroom (da to flip, capovolgere) metodologia che
rivoluziona lo stesso stare in aula, non pi fondato sul magistero ex-
cathedra ma invece sul confronto e la discussione costruttiva; learning-by-
creating, infine, approccio che attraverso la condivisione da parte dei
nostri partner di brief reali permette agli studenti di sviluppare prodotti,
servizi e strategie che, attraverso le fasi di prototipazione e test, arrivano
poi veramente sul mercato; sono questi i processi attraverso i quali la
nostra scuola former startupper gi pronti per lagone competitivo, e per
il lancio della loro idea di business.
Per renderlo ancora pi possibile, Lab 46 mette a loro disposizione in loco
un vero incubatore dimpresa, fornito delle tecnologie pi avanzate e di
ogni tipo di servizio che possa agevolare lavvio della startup, dai contatti
con altre startup gi avviate o best practices di settore a servizi legali,
fiscali, logistici e informatici; da un articolato e proattivo programma di
venture capital allessere parte di un network di imprese ad alto valore
tecnologico, costituito su misura per porsi a player di livello nazionale ed

93
europeo nello sviluppo e produzione di soluzioni integrate a supporto
dello sviluppo territoriale smart51.
Pi importante ancora, il costante affiancamento agli startupper, per
periodi fino a due anni, di professionisti esperti quali tutor, mentor, coach
o temporary manager, con consulenze mirate e incontri periodici di
verifica e reportistica volti a ottimizzare business model e business plan,
sostenibilit e brevettabilit dei progetti; e il trasferimento della ricerca,
concepito per porre gli startupper a diretto e costante contatto con le
migliori menti e i progetti pi avanzati dei principali atenei italiani.
Perch ogni idea che arrivi fino in fondo, ogni storia di successo - sempre
e comunque - deve partire dalla formazione, dalla cultura, dalla scuola.
Una valida intuizione pu venire a chiunque: saperla sviluppare e
coltivare, per, saperla crescere e rendere autonoma richiede creativit,
applicazione, disciplina, studio.
Luniversit di oggi limpresa di domani, e limpresa di domani il
paese che saremo; unItalia che sappia e basta, o una che sappia FARE.

50 un hackaton (contrazione di hacker-marathon) un evento al quale partecipano, a


vario titolo, esperti di diversi settori dellinformatica: sviluppatori di software,
programmatori e grafici web; tra le finalit, oltre alla realizzazione di software, ci possono
essere svariati obiettivi didattici e sociali
51 Smart city quella in cui gli investimenti effettuati in infrastrutture assicurano
sviluppo sostenibile (in termini di efficienza economica, della mobilit, dellambiente, della
governance, ecc) e alta qualit della vita, gestione sapiente delle risorse naturali e impegno
partecipativo dei cittadini

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Conclusioni
Dopo questo excursus attraverso il panorama storico, internazionale e
domestico delle startup, quella che simpone una riflessione su come e
quanto questo mondo fatto di visionari e mecenati, sfide in ascensore e
coworking, founder, pivot ed unicorni; questo universo che ha incubato il
gene dellimpresa 4.0 e si prepara ad accelerare irreversibilmente e
vertiginosamente il metabolismo di economia e industria, influir sulle
esistenze di noi tutti.
Se in altre parti del globo lo ha fatto gi in maniera pi evidente, il
nostro paese si trova ancora a met del guado, in un limbo che
anticamera di un futuro allo stesso tempo prodigo di opportunit ed
affacciato sullabisso del declassamento, e delloblio.
Non pi questo il tempo di balbettii o incertezze, di quel
temporeggiare che diede fama al generale romano Quinto Fabio Massimo;
se lattendismo fu per lui strategia vincente durante le guerre puniche, un
pari atteggiamento nellagone presente - che molto pi gara che guerra -
risulterebbe fatale, e imperdonabile.
il momento invece di prendere in mano il destino del paese e farsi se
mai - proseguendo nella metafora su Roma antica - Cesare al passaggio
del Rubicone: alea jacta est!
Lora di assecondare il cambiamento epocale del wireless, di puntare -
come dicevo in Now! - non a una chimerica perfezione quanto ad un
risoluto, costante miglioramento; di rispolverare il formidabile ingegno
che asset peculiare del nostro popolo, e dare fiducia alla generazione dei
nativi digitali, degli entrepreneur, dei founder... insomma, degli
startupper.
Per cominciare a incidere now sul presente servono idee innovative e
grandi prospettive, come il candidare lItalia a tech hub del prossimo
futuro.
Che si tratti di un orizzonte alla nostra portata non lo suggerisce la
speranza bens i numeri: una recente ricerca della societ statunitense CB
Insights evidenzia nel periodo 2013-2015, in merito alle operazioni di
finanziamento per le startup italiane, una crescita del 208%.
Proprio le aziende innovative potrebbero dunque porsi a volano della
crescita: a cominciare dal Sud.
La strada da percorrere, per, ancora lunga. Un esempio?
Secondo i dati Eurispes meno del 20 per cento delle aziende italiane ha
una piattaforma di e-commerce sul web: mentre nei Paesi anglosassoni la
stessa figure gi oltre il 50%.
Prima ancora delle infrastrutture, quel che manca allItalia una cultura
digitale, una mentalit wireless che, invece, tassativo metta radici nelle
nuove generazioni affinch possa fiorire un secondo Rinascimento e

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abbiamo visto come il primo, secondo lautorevole avviso di Eric Weiner,
possa quasi essere considerato larchetipo (solo, pi efficiente) della
Silicon Valley!
Da italiano e uomo di cultura, non posso che ringraziare Weiner per
lalta considerazione dimostrata al nostro passato; quello che tuttavia
importa nel presente, qui e ora, acquisire la consapevolezza di come il
cambiamento (di prospettiva, e di orizzonti) non sia pi rimandabile; e di
quanto sia cruciale il saper mettere a frutto ogni occasione per dare una
svolta reale al futuro, invece che sprecare risorse, e opportunit.
Pensate alla cosiddetta riforma della Buona scuola, quando i famosi
500 euro per i docenti - invece che essere investiti in formazione di qualit
del corpo insegnante - sono stati sperperati in gadget tecnologici il cui
ciclo di futuro sar, s e no, di un paio danni.
Come si vede, lennesima opportunit gettata al vento.
Per fortuna, c anche una scuola buona.
Quella delle universit impegnate a potenziare i propri laboratori e
incubatori per dare vita a nuove idee creative, e tradurle velocemente in
imprenditoria di successo.
un processo complesso, che implica anche una trasformazione
pedagogica, e una formazione degli startupper non pi incentrata su
economia, diritto, ingegneria, ma se mai sulla creativit, da sempre asset
vincente del nostro modo di essere e della nostra cultura.
proprio da questa vision che nascono progetti come quelli - appena
raccontati e ormai sulla rampa di lancio - di Lab 46 o dellUniversitas
Mercatorum.
Piani concepiti e realizzati nellottica di una formazione a tutto tondo,
che sappia esplorare ogni possibile futuro e coinvolgere le diverse
istituzioni e forze produttive in un cammino che riconduca il Paese a
quella funzione di leadership culturale e manifatturiera che nel corso dei
secoli lo ha contraddistinto, e che oggi - per attendismo o difetto di
coraggio, o verrebbe quasi da dire per inerzia - rischiamo di farci sottrarre,
insieme al nostro futuro, da altre realt emergenti.
Dunque, un Umanesimo 2.0: questo lambizioso orizzonte che pu
scuotere il presente, la promessa generazionale che, ove mantenuta,
potrebbe letteralmente stravolgere in meglio il domani dellintero
Belpaese.
tempo di cominciare, tempo di startup.
il momento, qui e ora, di darsi da FARE.

96
Glossario
NB ho cercato nel corso del libro di spiegare i termini tecnici via via che li
utilizzavo.
Al lettore che tuttavia volesse approfondire largomento startup su altre
fonti o sul web potrebbe capitare di imbattersi in vocaboli gergali difficili
da decifrare per i non addetti, e che non ho avuto modo di chiarire in
questopera. Qui di seguito ne trovate alcuni.

Startup:
istituzione umana creata per realizzare un prodotto o servizio
innnovativo in condizioni di estrema incertezza.
(Eric Ries)

A-ha moment:
il momento in cui nasce lidea che da origine alla startup; per dirla con
Newton, lattimo in cui ti cade la mela in testa e inizi a vedere per un dato
problema una soluzione cui nessuno aveva ancora pensato.

Arduino:
la piccola scheda elettronica (basata sul concetto di hardware open source,
e dunque riprogrammabile), alla base dello sviluppo di numerosi
prototipi, considerata simbolo del nuovo artigianato digitale.

Burn rate:
la velocit con la quale una startup brucia (come un essere umano le
calorie) le risorse a propria disposizione; dal rapporto tra risorse e rate si
pu stabilire quanto ha di vita la startup se non intervengono nuovi
finanziamenti.

Buy back:
il riacquisto da parte del founder delle quote a suo tempo cedute; uno
dei due pi frequenti tipi di exit.

Cap table:
tabella di capitalizzazione. Indica chi possiede quote della startup,
quante, (e quanto possiede della societ), quanto le ha pagate, quanto
valgono adesso.

EIR:
sta per entrepreneur in residence, e indica la circostanza in cui a un
manager o un imprenditore desperienza affidato da una venture capital
lincarico di valutare le startup target di investimenti, e svolgere attivit di

97
mentoring per quelle gi in portafoglio.

Equity:
il capitale proprio della startup, versato attraverso la sottoscrizione di
quote azionarie.

Exit:
la vendita della startup, effettuata nel momento in cui raggiunge il suo
obiettivo in termini di plusvalore del capitale investito. Le due opzioni pi
frequenti sono trade sale (vendita ad unaltra impresa) e buy back.

Eyeballs:
bulbi oculari. Sta per dedicare a un problema tutta la propria attenzione.

Flow:
letteralmente, flusso. Cash flow la capacit di generare utili (cassa) e
quindi di ripagare gli investitori e generare dividendi per gli azionisti. Deal
flow indica invece le opportunit di investimento individuate e analizzate
da un investor nel capitale di rischio della startup.

Go-to-market:
la strategia concepita da una startup per acquisire customers o users.

Grant:
Borsa di studio a fondo perduto per finanziare progetti di ricerca.

Halo effect:
letteralmente, effetto alone. Il processo per cui caratteristiche di un dato
prodotto particolarmente apprezzato dal pubblico si trasferiscono anche
ad altri servizi o prodotti della stessa marca.

Hockey-stick curve:
la rappresentazione grafica del tasso di sviluppo di una startup che,
dopo una fase iniziale lenta, presenti una crescita vertiginosa e costante.
Ricorda la forma di un bastone da hockey, una sorta di L con la parte
lunga inclinata.

Holder:
letteralmente, detentore. Si distingue in shareholder (soggetto in possesso
di shares, quote) e stakeholder, chi abbia per lazienda un particolare
interesse senza tuttavia esserne effettivamente parte.

Internet-of-things:
letteralmente, internet delle cose. il processo attraverso cui si dota un

98
oggetto di uso comune di unidentit digitale o se ne collegano diversi
attraverso il web, rendendo disponibili per gli utilizzatori nuove
funzionalit.

IPO:
sta per initial public offering, la prima volta in cui una startup offre
pubblicamente alla vendita i suoi titoli azionari (dunque si quota) su un
mercato regolamentato, allo scopo di finanziarsi.

Lead:
cliente potenziale. Una campagna online cost-per-lead segna il confine
tra advertising e marketing, poich il committente paga per ottenere dati
di clienti (o prospect) e non per il semplice posizionamento di
uninserzione pubblicitaria.
Love capital:

la quota di capitale iniziale raccolta dal founder presso familiari e amici.

NDA:
sta per non-disclosure agreement, ovvero laccordo di non divulgazione
che il founder talora fa firmare a investitori o partner in fase iniziale, per
garantirsi di non essere battuto sul tempo da altre startup che potessero
venire a conoscenza della sua idea.

Option:
il diritto ad acquistare una certa quota azionaria a un prezzo gi fissato.
un benefit classico per chi abbia a che fare con le startup e ha il
vantaggio che, fino a che lopzione non sia esercitata, sul possesso virtuale
delle azioni non si tassati; o. pool la quota azionaria stabilita per un
soggetto, o. plan quello che stabilisce la distribuzione delle opzioni ai
diversi collaboratori e partner.

Open Innovation:
il modello di business e modalit innovativa di cittadinanza attiva
espresso attraverso luso social della rete, in cui i cittadini sono parte
attiva nel valutare le politiche pubbliche e nel contribuire a produrre
cambiamenti nei settori di energia, mobilit, assistenza sanitaria,
istruzione.

Outsourcing:
laffidare un determinato incarico allesterno della startup; ha il
vantaggio di poter accedere a competenze di pi alto profilo, e di
utilizzarle on demand o a progetto, con aumento della flessibilit e
diminuzione dei costi fissi.

99
Pre-seed:
letteralmente, pre-seme. La fase pi rischiosa del ciclo di vita di una
startup, in cui ancora non esiste un prodotto e la company non
strutturata; i finanziatori investono in pratica sulla sola idea. Nella fase di
seed, che segue, esistono gi impresa e MVP, ma non si conosce ancora la
riposta del mercato.

Premature scaling:
gli steroidi della startup, e una delle principali cause di chiusura; si
verifica quando si spendono pi soldi di quanti ne preveda il planning, nel
tentativo di far crescere forzosamente il business (tramite aumento di
personale, marketing troppo costoso, ecc.) prima che le revenues
provenienti dal mercato siano in grado di giustificare e sostenere gli
aumentati costi.

Round (o financing stage):


ogni momento di raccolta finanziamenti nel ciclo di vita di una startup.

Spin-off:
liniziativa imprenditoriale che nasce da un progetto o azienda gi
esistente, tramite il trasferimento di conoscenza o know-how gi acquisiti.
Pu essere di natura, secondo la provenienza, industriale o
universitario/accademica.

Stealth:
la startup invisibile (come gli aerei spia omonimi) o che agisce sotto
copertura evitando lattenzione del pubblico e dei media, per nascondere
informazioni chiave ai competitor o per motivi di understatement.

Traction:
la prova che un certo prodotto/servizio richiesto dal mercato; data
dalla sommatoria di valori quali redditivit (entrate e ricavi), numero di
user, traffico web, engagement, numero e qualit dei clienti o dei partner,
eccetera.

Value proposition:
la dichiarazione degli elementi distintivi che compongono il valore di ci
che unazienda offre sul mercato e, in senso pi ampio, il suo
posizionamento sullo stesso, inteso a guidare i clienti nel processo
decisionale dacquisto.

Zombie:
la startup che si ostina a restare sul mercato nonostante un aumento

100
minimo di traffico web dopo la fase iniziale di lancio.

101
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ideastartup.it
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italiastartup.it
linkedin.com
mycowo.com
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startupbusiness.it
startup.registroimprese.it
sviluppoeconomico.gov.it
treccani.it
wikipedia.com
wikipedia.it
wiki.workatjelly.com
youtube.com

105
106
Indice
Prefazione 5
Introduzione 9
I Chi ben comincia 12
II Sognare non costa (ma rende) Dal self-made man
15
allentrepreneur
Finestra di lettura 19
Il web universale (con appunti di utopismo tecnologico) 19
III Business plan vs. business model 22
IV Snello, competitivo, sostenibileIl modello lean startup 27
Finestra di lettura 33
Mezzogiorno di business [1]Antonio Prigiobbo racconta
33
NAStartUP
V Una corsa in ascensore 38
VI La citt degli angeli 43
Finestra di lettura 49
Il crowdfunding (con appunti di sharing economy) 49
VIII Acceleratore vs. incubatore 61
Finestra di lettura 65
Mezzogiorno di business [2]Valeria Fascione, primo
65
assessore italiano per le startup
IX Lavorare insieme, lavorare agile 67
X Linvenzione dellunicorno 70
Finestra di lettura 77
Dal Sud si pu: le startup artigianali di Pegaso 77
XI Nove casi da manuale, pi uno 79
XII Il futuro ora:Lab 46 e lUniversitas Mercatorum 91
Conclusioni 95

107
Glossario 97
Bibliografia e fonti 102

108

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