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Francesco Grandis

SULLA STRADA
GIUSTA
Estratto gratuito a scopo illustrativo

Copyright 2015 Francesco Grandis


www.wanderingwil.com
Editing a cura di Rita Cioce
www.ioscrivoitaliano.it
Email: info@ioscrivoitaliano.it
In copertina: Francesco Grandis e monaco a McLeod Ganj, India
Foto di: Elisa Morandin

INDICE

Il giorno in cui ho detto basta ................................................................ 6


Voli spaziali e coca cola dietetica ........................................................... 8
Il mercato dellinfelicit .........................................................................14
Il ciclo della salute ..................................................................................20
Procurarsi una crisi ................................................................................26
Le istruzioni generiche ..........................................................................32
Lunica moneta .......................................................................................36
Libero? .....................................................................................................42
Round the world ....................................................................................48
Libert e silenzio ....................................................................................57
Dalle stelle alla brace .............................................................................65
Buio e luce ...............................................................................................70
Dentro......................................................................................................73
I primi bagliori ........................................................................................78
Il libro ......................................................................................................83
La domanda ............................................................................................87
La risposta ...............................................................................................93
La ricerca della felicit ...........................................................................96
La ricchezza dellignoto...................................................................... 100
Il ritorno a casa .................................................................................... 103
Un nuovo lavoro ................................................................................. 108

Il nomad working................................................................................ 111


Fortuna ................................................................................................. 119
Due gran brave persone ..................................................................... 122
Il manifesto della nuova vita secondo Wil ...................................... 126
Ricco ..................................................................................................... 130
The tenerife Experiment .................................................................... 133
Lo zaino ................................................................................................ 138
Sudamerica! .......................................................................................... 141
La terra del fuoco ................................................................................ 149
Budapest ............................................................................................... 154
India ...................................................................................................... 161
Il guerriero della strada....................................................................... 164
Il girone dei tassisti ............................................................................. 168
La passeggiata della felicit ................................................................ 173
Il treno di ombra e luce ...................................................................... 176
Spiritualit e religiosit........................................................................ 182
Il velo di Maya ..................................................................................... 187
Il pennarello ......................................................................................... 191
A piedi................................................................................................... 197
Solo nella neve ..................................................................................... 205
La condivisione ................................................................................... 210
Scandinavia........................................................................................... 216
Canada. Linizio di tutto? ................................................................... 220
Into the wild......................................................................................... 229
Il naufrago ............................................................................................ 234
Ultimo tango a Oulu........................................................................... 240

Un altro salto ....................................................................................... 245


Scrivere ................................................................................................. 256
In tre...................................................................................................... 266
Il sentiero della felicit........................................................................ 272
Urlo nel silenzio .................................................................................. 280
Una nota per il lettore ........................................................................ 291
Ringraziamenti ..................................................................................... 293

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IL GIORNO IN CUI HO DETTO BASTA

Lo schiavo non tanto quello che ha la catena al piede,


quanto quello che non pi capace di immaginarsi la libert.
Silvano Agosti

Era il 9 agosto del 2009. Non avevo ancora compiuto trentadue


anni. La sera prima avevo chiamato i miei genitori che in quei
giorni stavano trascorrendo una breve vacanza in montagna, a
qualche centinaio di chilometri da dove vivo. Gli avevo chiesto un
incontro per parlare di una faccenda importante. Sono sicuro che
quella telefonata, e il tono di urgenza nella mia voce, li sorprese e
forse li allarm. Non capita spesso che io chiami per farmi consigliare. Forse sarebbe pi corretto dire che non capita mai. Accettarono senza esitazione e decidemmo di pranzare insieme in una
trattoria a met strada.
Il giorno dopo guidavo senza fretta lungo le strade periferiche
dellentroterra veneto. Lautoradio accesa su una stazione a caso
e il volume alto per non sentirmi pensare.
Allimprovviso qualcosa, di forse gi incrinato, mi si ruppe dentro. Feci appena in tempo ad accostare lauto. Arrestai il motore e
scoppiai a piangere con la testa appoggiata sul volante.
Era stata una canzone, nemmeno ricordo quale ma ora non ha
pi importanza. So solo che quella combinazione di note, accordi
e parole, si fece largo in me simile ad un bisturi, facendo risuonare,
spezzandola, una corda dolorosa e gi fragile.
In quel momento, tra le lacrime, io dissi basta.
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Non c niente che possa compensare lacrime come quelle, versate sul ciglio di una strada, con le auto che passano accanto senza
vederti, senza sentirti.
Era questa la vita che volevo? Era questa la vita che meritavo?
Ogni lacrima era un basta pronunciato a mezza voce.
Non era stato facile chiedere quellincontro ai miei ma da
troppo tempo stavo annegando in un periodo di sconforto solitario. Il male annidatosi nel mio animo si era nutrito nel tempo e,
fattosi forte, aveva preso le sembianze e le dimensioni di un problema che non ero pi capace di risolvere da solo. Avevo bisogno
del loro consiglio e del loro affetto. Avevo bisogno che mi aiutassero a capire cosa fosse giusto fare.
La radice del mio problema era il mio lavoro. Non stavo pi
bene, e avevo gi superato da tempo la soglia di sopportazione.
Potevo dimettermi e cercarne un altro ma avevo paura. Potevo,
come mi suggerivano in tanti, cercare di avere pazienza e tenere
duro. O forse potevo discuterne con i miei capi e insieme
avremmo trovato una soluzione. S ma quale?
Quelle lacrime improvvise lavarono via gli ultimi dubbi: non
era quella la vita che volevo. La prospettiva di proseguire in questo
modo era la cosa pi terrificante a cui potessi pensare. Cera solo
una cosa da fare e ora lo sapevo.
Quando fui calmo a sufficienza riaccesi il motore e ripartii.
I miei genitori arrivarono in anticipo. Mi accolsero molto
preoccupati, notando subito i miei occhi arrossati e lo sguardo
sfuggente.
Ho appena deciso cosa fare dissi trattenendo nuove lacrime.
Mi licenzio. Fanculo il lavoro.

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VOLI SPAZIALI E COCA COLA DIETETICA

Unidea che non trova posto a sedere capace di fare la


rivoluzione.
Leo Longanesi

Non avrei mai immaginato di ridurmi in quel modo, mentre


uscivo ridendo, e per lultima volta, dai cancelli delluniversit. Era
il dicembre 2006. Mi ero appena laureato in Ingegneria Elettronica a Padova, una facolt piuttosto dura, non ancora alleggerita
dalla fallimentare riforma del 3+2 introdotta qualche anno prima.
Avevo trentanni, di certo non ero uno dei laureati pi giovani.
Non sono mai stato uno studente molto disciplinato, e ho sempre
avuto enormi problemi a tenere sotto controllo la noia e le distrazioni. Quante ore ho dormito sui banchi, per svegliarmi a fine
lezione con le pieghe della camicia stampate in faccia. A casa,
mantenere la concentrazione su quei libri fitti di formule e teoremi era una vera tortura. Cerano i videogiochi, cerano i miei
compagni dappartamento e cerano gli aperitivi in centro.
A queste condizioni, non una sorpresa che io ci abbia messo
dieci anni a laurearmi. Non ero uno stupido, ma luniversit
italiana concepita per premiare lo studente che ha uno specifico
insieme di caratteristiche: disciplina, memoria, dedizione e
capacit di astrazione. Purtroppo, io ne sono poco fornito. In
compenso ho creativit e intuizione, ma queste non sono qualit
altrettanto stimate tra i banchi universitari. E poi sono pigro, e
questo viene stimato anche meno. Eppure non c niente che
stimoli linventiva come la pigrizia. Alcune delle pi grandi
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invenzioni sono state ideate da persone che non avevano voglia


di abbandonare il proprio divano.
Sentivo di dimostrare il mio valore le pochissime volte in cui ci
veniva chiesto di inventare qualcosa. A catturare la mia attenzione
bastava un problema la cui soluzione non fosse gi scritta sui libri,
perch una questione aperta per me era una sfida mentale. Ancora
oggi mi diverto tra le domande senza risposta come un bambino
tra i mattoncini lego.
In ogni caso, il mio curriculum non era compromesso. Non te
lo dicono alluniversit, ma il voto di laurea conta poco in Italia.
Per fare una distinzione alla buona, direi che nel nostro mondo
del lavoro si cercano due tipi di dipendenti: gli esecutori e i creativi. Gli esecutori seguono gli ordini stabiliti, sono precisi e ordinati, di rado sorprendono ed questo che li rende preziosi. Sono
i cavalli da tiro dellumanit, indispensabili, efficienti, resistenti
alla fatica e poco dediti alluso della fantasia.
Un creativo fatto di una pasta del tutto diversa. Ha bisogno
di libert e di spazio di azione. Deve sentirsi premiato per la sua
originalit, la noia e la ripetizione lo frustrano. Se il problema
divertente, un creativo lavorer come un mulo per ore, star sveglio di notte, non manger, fino ad impallidire di fronte alla luce
del suo monitor, ma alla fine ti sorprender con una soluzione
brillante. Il loro grosso problema che devono continuare a divertirsi altrimenti appassiscono. Questo il motivo per cui cercai
e trovai lavori che, almeno sulla carta, erano molto eccitanti.
Il primo fu addirittura prima della laurea. A dispetto di tutti i
tirocinanti e stagisti sottopagati di cui luniversit era piena, fui
assunto con un contratto a progetto, stipendio regolare e
straordinari pagati, suscitando linvidia di molti. Un contratto di
quattro mesi, di cui un mese e mezzo in un centro di ricerca
dedicato ai trasporti ferroviari, in pieno deserto del Colorado. L
avrei lavorato a bordo di un furgoncino adattato per correre sulle
rotaie, dotato di quattro laser cos potenti da essere in grado di
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forare lacciaio dei binari. Il mio compito era migliorare un


software, programmando in mezzo alle formiche rosse, ai
serpenti a sonagli, alle tarantole e gli americani in pick-up, con
temperature che oscillavano tra i quaranta gradi di giorno e sotto
zero la notte. Disneyland non mi avrebbe offerto maggior
divertimento.
Fui molto deluso quando, una volta laureato, la compagnia si
offr di riassumermi a tempo indeterminato, assegnandomi per
a un progetto in India, molto meno eccitante. La paga era buona,
ma rifiutai.
Per molti ero stato un folle ma io, confidando nelle mie capacit, mi ero permesso di fare lo schizzinoso. Riguardo poi la questione dellesser giudicato folle, sarebbe diventato un tema ricorrente.
Il campo in cui volevo entrare era qualcosa che sembrava terribilmente elettrizzante: la robotica.
Lavorare con i robot aveva per me un sapore di fantascienza:
navi spaziali pilotate da androidi fatti di silicone e metallo o sexy
principesse da salvare. Dopo tutto, appartengo alla generazione
che cresciuta con i film di Guerre Stellari e i libri di Asimov.
Animato da un misto di amore per il prossimo e unabbondante
dose di presunzione, mi immaginavo come una sorta di eroe
dellumanit. Nella mia fantasia mi sapevo capace di progettare
robot che fossero in grado di sostituire luomo nei lavori pi pericolosi o monotoni, lasciandolo cos libero di dedicarsi alle sue
occupazioni preferite: larte, lo sport, la famiglia. Le mie invenzioni avrebbero permesso di esplorare pianeti o di restituire gli
arti a chi li aveva perduti. Le automobili avrebbero guidato in
modo computerizzato ed efficientissimo e gli incidenti stradali sarebbero diventati un lontano ricordo.
Sognavo abbastanza in grande, vero, ma perch limitare
limmaginazione? Non c niente di pi deprimente di un sogno
modesto. La realt sufficiente a schiacciare la fantasia.
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Mi dovetti accontentare, infatti, di qualcosa che con i voli spaziali aveva ben poco a che fare. Fui assunto da una piccola azienda
appena nata, composta allepoca solo dai due fondatori, miei coetanei. Si occupavano per lo pi di robot industriali, ossia i bracci
meccanici che vediamo spesso nei video pubblicitari di qualche
casa automobilistica. Afferrano, spostano, verniciano, saldano e
avvitano, sono molto utilizzati nei processi produttivi moderni.
Parliamo di fabbriche non di hangar spaziali.
La faccenda era comunque appetibile. Quel lavoro mi sembrava
unottima rampa di lancio per i miei sogni di gloria. La giovane
azienda, inoltre, sembrava farsi vanto di un modo innovativo di
approcciare e risolvere i problemi, in contrasto con il diffuso tradizionalismo della realt industriale italiana. Amavano i prototipi
e le soluzioni originali. Mi piaceva.
Salii su quella barca convinto che mi avrebbe traghettato verso
nuove ed entusiasmanti avventure ma la realt risult essere meno
affascinante di quel che credevo. I miei sogni cozzarono con la
generale arretratezza del settore industriale. I robot che ero chiamato a istruire sembravano tecnologia vecchia di ventanni, e non
escludo che lo fossero davvero.
Non mi persi danimo e trovai comunque il modo di divertirmi.
Innanzitutto, ero sempre in giro. Lavoravo molto da casa, ma ogni
settimana cera un posto nuovo in cui andare. Ogni trasferta era
una piccola avventura: arrivavo con la mia valigetta, chiedevo un
tavolo per il mio portatile, mi ficcavo gli auricolari nelle orecchie
e iniziavo a far funzionare le cose. Non di rado cantavo o fischiettavo mentre lavoravo al mio pc suscitando le occhiate divertite
degli operai. Quando me ne andavo, un giorno, una settimana o
un mese dopo, tutto andava alla perfezione. Quasi sempre, almeno.
Con i miei capi ci consideravamo i tre moschettieri
dellinnovazione: per ricavarci una nicchia nel mercato ci
concentravamo soprattutto sui progetti di cui nessunaltra azienda
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voleva occuparsi perch troppo complessi o troppo rischiosi.


Giocavamo dazzardo, e vincevamo. Uno dei nostri motti preferiti
era: chi dice che una cosa impossibile da fare non dovrebbe
disturbare chi la sta facendo.
Condividevamo lo stesso tipo di approccio creativo al mondo
del lavoro ed era per questo che li ammiravo. Pur dovendo fare i
necessari conti con le preoccupazioni di una azienda neonata, non
potevamo resistere al richiamo di problemi che qualcun altro
aveva etichettato come irrisolvibili. Era una specie di sfida pacifica
da cui era impossibile tirarsi indietro.
Uno dei due responsabili, Paolo, non sembrava mai a corto di
energie. Lo ammiravo. Aveva guadagnato in breve tempo il mio
rispetto per le sue idee geniali e per laura di autorevolezza da cui
sembrava circondato. Certo, aveva la curiosa abitudine di ingollare
dozzine di lattine di coca cola dietetica al giorno e poteva saltare
senza problemi un sonno ma mai un pasto, per era un buon
capo.
Ricordo ancora con affetto una notte in cui, durante una tirata
solitaria in vista della consegna di un impianto, cancellai per errore
lultima versione del software su cui stavo lavorando. Ero molto
stanco e confuso dallora tarda.
Preso dal panico, non ero riuscito nemmeno a trovare le copie
di sicurezza. Chiamai Paolo in preda alla disperazione, convinto
che mi avrebbe prima distrutto e poi licenziato. Non fece nulla di
tutto questo. Dopo essersi accertato della situazione, mi disse:
Prendo la macchina e vengo a darti una mano. Tu intanto cerca
bene le copie, sono sicuro che le hai fatte. Comincia a sistemare,
io arrivo in unora.
Cercai le copie del programma con maggior calma e le trovai,
con mio grande sollievo. Avevo perso solo gli aggiustamenti delle
ultime dodici ore. Ricordavo bene cosa avevo fatto e in un paio di
ore frenetiche assieme a Paolo riportammo tutto allo stato
precedente al mio errore.
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Ce ne andammo dallimpianto a mezzanotte inoltrata. Gli dissi


sinceramente che ero molto sorpreso. Era venuto l in piena notte,
mi aveva dato una mano a risolvere il casino che avevo combinato,
e in tutto quel tempo mai un rimprovero e neanche una battuta.
A urlar contro uno pneumatico bucato, n lo ripari, n lo
gonfi. Cosa avrei dovuto dirti che non hai gi capito da solo?
Sono cose che capitano. Non ho il minimo dubbio che la
prossima volta sta-rai dieci volte pi attento.
Cos mi disse, e aveva ragione. S, era un buon capo.

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IL MERCATO DELLINFELICIT

Quante volte un uomo pu voltare la testa, fingendo di non


vedere? La risposta, amico, sta soffiando nel vento.
Bob Dylan

Lidillio non dur molto. Con larrivo della crisi economica, un


paio di anni pi tardi, dovemmo smettere di giocare ai cavalieri
delle cause perse e iniziare a fare i conti con un mercato che si
inaspriva sempre di pi. Non avevamo pi tempo per dedicarci a
prototipi fantasiosi. Lazienda doveva iniziare a vendere copie di
impianti gi fatti, aumentando cos i margini di guadagno, o non
sarebbe sopravvissuta. Dal lavoro creativo a cui mi ero affezionato dovetti passare a svolgere sempre pi spesso lavori ripetitivi
e noiosi.
Dopo lentusiasmo iniziale, la tipica fase di innamoramento che
segue ogni nuovo inizio, arriv ben presto la routine, linsoddisfazione, lo stress, la stanchezza. Tutte cose pericolose tanto per la
salute fisica quanto per quella mentale. Il gioco e lavventura si
erano trasformati in lavoro e fatica. Iniziai a desiderare sempre
pi intensamente larrivo dei weekend. Le ferie mi erano concesse
ad agosto, quando tutto pi caotico e costoso, e mi erano comunicate solo un paio di settimane prima. I pomeriggi di lavoro
diventavano sempre pi spesso sere. Le sere notti.
Iniziai a riflettere su quello che stavo facendo e su come passavo il mio tempo. La noia, mia nemica mortale da sempre, mi
fece vedere le cose in unottica diversa. Limmagine che avevo dipinto di me stesso in quei pochi anni come cavaliere dei robot dacciaio
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sbiad, e iniziarono ad apparire le prime crepe sul muro di certezze


che avevo tentato di costruire. Cominciai a farmi domande, quel
tipo di domande che una volta fatte non possono essere ignorate,
perch lasciano un vuoto che solo una risposta pu colmare.
Un giorno dovetti mettere mano ad un impianto che consideravo la mia prima creatura meccanica. Si trattava di una piccola
cella automatizzata. Al suo interno un robot molto veloce afferrava minuscoli pezzi di plastica e metallo e li assemblava in piccoli
connettori elettrici. Per quanto ne sapevo, tutte le nuove auto di
una famosa casa automobilistica avevano bisogno di due di quei
connettori per il suo reparto elettrico.
Avevo passato settimane su quel robot. Era il primo impianto
che avevo programmato e conoscevo ogni sua funzione come le
mie tasche. Ci ero molto affezionato. Anche lamministratore delegato dellazienda che lo aveva comprato era soddisfatto. Un
mercato sempre pi ingordo di risorse richiedeva, per, una produzione pi veloce. La prima versione del nostro robot costruiva
un connettore ogni nove secondi. Ci chiesero di ridurre il tempo
del ciclo di almeno due secondi, il venti per cento in meno.
Paolo si fid di me, lottimizzazione era la mia specialit. Una
mattina arrivai come sempre con la mia valigetta, sistemai il portatile sul solito tavolo, mi infilai un po di musica nelle orecchie e
iniziai. Accorciare di due secondi un processo gi molto spinto
era un affare non da poco, ma era questo il genere di sfide che mi
esaltavano. Per stare sotto i nove secondi avevamo gi fatto tutte
le cose ordinarie. Per due secondi in meno dovevo cominciare a
fare cose straordinarie.
Usai tutta la fantasia a mia disposizione per limare le traiettorie
dei movimenti e ridurre al minimo i tempi di attesa. Inventai
persino qualche trucchetto per rimediare alle limitazioni del
robot. Alla fine, la mia creatura scalciava come un mulo.
Dovettero ancorarlo a terra con una piastra dacciaio pi spessa e
pi larga, affinch non si tirasse dietro il pavimento. Risultato
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finale: sei secondi e mezzo. A voler insistere di pi il robot si


sarebbe smontato da solo.
La mia soddisfazione, per, dur poco. Guardavo la macchina
che avevo programmato guizzare e ruotare come una forsennata,
il nastro trasportatore carico di connettori, e gli operai che faticavano a star dietro alla nuova velocit di produzione.
Fu allora che mi feci le prime pericolose domande.
A chi serve tutto questo? giusto quello che sto facendo?
La produzione sarebbe proseguita ventiquattro ore al giorno,
sette giorni alla settimana. Ogni tredici secondi una coppia di connettori. Ogni coppia di connettori, unautomobile. Pi di seimila
auto al giorno, duecentomila al mese, due milioni e mezzo lanno.
A chi servono tutte queste auto? mi chiesi.
Il sistema occidentale si basa esclusivamente sulla ricerca del
profitto, o per essere pi precisi, sulla sua crescita. In Borsa le
societ sono valutate non sulla base di quanto guadagnano, ma di
quanto sono aumentate le loro rendite dallanno precedente. In
altre parole, per sopravvivere ogni azienda deve produrre e vendere sempre di pi. Ma quando ha rifilato tutto il rifilabile ad ogni
possibile compratore, come pu continuare a crescere?
Creando nuovi bisogni.
Deve inventare nuove necessit per poter vendere soluzioni
che prima erano superflue. Ci sono molti modi per farlo.
Le compagnie impiegano materiali di scarsa qualit sabotando
deliberatamente lefficienza dei propri prodotti; in questo modo
ne riducono il ciclo di vita utile. Allo stesso tempo si dissuade il
consumatore rendendo le riparazioni sempre pi difficili e costose. Si chiama obsolescenza programmata ed un termine inventato
gi negli anni 30.
Mia madre ha impiegato lo stesso robot da cucina per
trentanni. Trentanni! Le stampe sui bottoni si sono cancellate da
tempo, il frontalino in plastica si sta scollando, ma ho mangiato
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polpette, lasagne, dolci e migliaia di altri piatti grazie a quellaggeggio indistruttibile.


Oggi gli elettrodomestici durano due anni e qualche mese al
massimo, giusto il tempo di far scadere la garanzia. Usando componentistica di qualit gli stessi oggetti potrebbero durare pi del
proprietario, costando solo qualche euro in pi.
Nuove mode sono create con cadenza annuale per rendere indesiderabili gli oggetti e i vestiti celebrati solo un anno prima. Il
progresso tecnologico diluito nel tempo su centinaia di modelli
diversi, differenziati solo per dettagli senza reale importanza e
proposti sul mercato a pochi mesi uno dallaltro. Tutto diventato
usa e getta, mentre il pianeta diventato una pattumiera.
Questo sistema costretto a speculare tanto sui nostri sogni,
quanto sullinfelicit, sullinsoddisfazione e sullinvidia, perch
queste sono le catene che ci rendono tutti consumatori.
Una persona infelice a causa del proprio aspetto comprer vestiti e prodotti estetici. Una persona insoddisfatta della propria
salute comprer farmaci e integratori. Una persona invidiosa dello
status altrui comprer auto di lusso e gioielli.
Propinandoci unidea di successo diversa ogni mese, questo sistema ci rende tutti infelici. Ci toglie la soddisfazione per quello
che gi possediamo e ce la restituisce solo dopo lacquisto di qualcosa di cui non sapevamo di aver bisogno. Crea nuovi vuoti e oggetti con cui riempirli. Dopo ogni acquisto ci sentiamo appagati e
felici. In realt siamo solo tornati a sentirci tali e quali a prima che
fosse piantata in noi la radice di quel bisogno inutile.
Abbiamo creato un mondo in cui andare a fare shopping considerato un passatempo rilassante. Dove considerato normale
che una ragazza abbia armadi pieni di vestiti e decine di scarpe ma
dica senza vergogna di non sapere cosa mettersi.
Per farci sentire brutti ci bombardano con immagini di una bellezza inarrivabile, ma non ci dicono che dietro ad ogni scatto c
almeno un team di fotografi, illuministi, truccatori, parrucchieri,
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personal trainer ed esperti di Photoshop. Nella maggior parte dei


casi c anche silicone, botulino, liposuzione, lifting.
Questa non bellezza: carpenteria.
Per farci sentire malati, piccoli disturbi diventano gravi malattie, e le malattie diventano pandemie. Non considerato socialmente accettabile neanche stare a casa con la febbre per qualche
giorno, ad aspettare che il corpo guarisca come ha sempre fatto.
Invece di creare uno stile di vita sano, meglio prendere una pillola al giorno: una per lemicrania, una per la pressione, una per la
gastrite.
Questa non salute ma malattia cronica.
Per farci sentire inadeguati ci sono i macchinoni, le villone, le
mega-feste, le celebrit, il jet-set. tutto falso. Sono set cinematografici di legno e cartone.
Ci vendono un mondo che non esiste. Viviamo fra valori illusori, di cui lunico motore il profitto e a pagarne il prezzo siamo
tutti.
Luomo potrebbe avere gi tecnologia sufficiente per coprire
ogni bisogno fondamentale se solo avesse impiegato in modo pi
saggio le sue risorse e la sua intelligenza. Potrebbe appianare le
differenze sociali, ma il mercato esige di mantenere le disuguaglianze, in modo da guadagnare sugli scontri e le guerre. Sono affari da miliardi.
Potremmo avere energia pulita da decenni ormai, ma chi toglie
le chiavi del pianeta dalle mani delle compagnie petrolifere? Prima
dovremmo vendere e bruciare ogni goccia di petrolio.
Lumanit potrebbe essere cento anni avanti, ma siamo entrati
a testa bassa nel medioevo del puro profitto, illudendoci di essere
nellet delloro. Il mondo ha bisogno di qualit, non di quantit.
Di progresso, non di crescita. Di benessere, non di ricchezza.
Questo sistema non pu funzionare e non funzioner.
Cosa centravo io con questo discorso?
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La mia professione era onesta: mi davano problemi da risolvere


e io li risolvevo. Si trattava di meccanica, fisica, informatica. Io
non facevo male a nessuno con i miei robot, eppure collaboravo
indirettamente con questo sistema illogico e tossico. Il mio lavoro
aveva lobiettivo di aumentare la produzione affinch altre persone potessero incrementare i loro profitti a spese di ingenui poveracci. Ero un alleato involontario di un esercito colpevole.
Certo, non tutta la produzione industriale dannosa o spinta
dal solo profitto. Molte delle cose che possediamo o che costruiamo rendono la nostra vita davvero migliore. I tubi per lacqua corrente, le caldaie per scaldarla, il cibo, le medicine essenziali
e le apparecchiature per lassistenza medica, le luci elettriche. C
molto di buono e di utile in quello che viene fuori dalle fabbriche.
Io non ero contro la produzione industriale a priori, perch
essa solo uno strumento neutro, non n buono n cattivo.
Come la scienza, che pu mandarci su Marte o costruire armi atomiche. A essere malvagio e corrotto non lo strumento di per s,
ma luso che ne facciamo. Non potevo criticare un sistema in
modo cos aspro, e collaborarci con tanta leggerezza.
Di fronte a quella macchina che produceva connettori elettrici
per automobili a ritmi forsennati smisi di pensare al mio lavoro
come a uneccitante avventura fantascientifica e iniziai a vederlo
come qualcosa di potenzialmente dannoso per lumanit. Perdendo il piacere per quello che facevo, mi disinnamorai dei miei
robot.

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IL CICLO DELLA SALUTE

Quello che mi ha sorpreso di pi negli uomini dell'Occidente che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i
soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che
dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non
riescono a vivere n il presente n il futuro. Vivono come se
non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero
mai vissuto.
Tenzin Gyatso, Dalai Lama

Il lavoro mi aveva imposto uno stile di vita molto poco salutare.


Passavo tutte le mie giornate davanti al computer, seduto alla scrivania, oppure ad un tavolo improvvisato in questo o quel capannone. La vita sedentaria mi procur in breve tempo una serie di
malanni: mal di schiena, cervicali, dolori alle dita e ai polsi, fino
ad un progressivo indebolimento del corpo. Stavo diventando un
budino.
Avrei dovuto fare un po di attivit fisica, ma non ne avevo n
lenergia n il tempo. Dopo le lunghe ore di lavoro dovevo anche
far fronte a tutte le necessit domestiche di un uomo che vive
solo: fare la spesa, pulire, cucinare. Concludevo la giornata sfinito
nel corpo e soprattutto nella mente, non desiderando altro che
stendermi sul divano a leggere o intrattenermi con un videogioco.
Lambiente industriale, poi, gi di per s poco salubre, ridusse
in fretta la mia tolleranza al lavoro. Mi trovavo a passare le
giornate in posti oscuri, luridi e rumorosi. Appena laureato pensai
che come ingegnere avrei avuto accesso ad uffici puliti e con laria
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condizionata, un paio di piante e magari una bella segretaria con


un tailleur elegante e dalle gambe lunghe. Avevo addirittura
comprato due abiti, raffinati ma abbastanza casual per non
sembrare troppo serioso. Uno lho usato una volta, laltro credo
sia ancora nellarmadio, piegato con le etichette originali. In
compenso ho avuto bisogno di una tuta da lavoro, tappi per le
orecchie di vari tipi e scarpe antiinfortunistiche.
Le fabbriche sono posti davvero terribili e pericolosi per passare le proprie giornate. Chi non c mai stato baser la propria
impressione su quei filmati che mostrano ogni tanto in televisione: impianti lucidi, operai sorridenti e in divisa, pavimenti puliti. Tutte cazzate. Spente le luci di scena salta fuori lo sporco e
vengono rimosse le protezioni per accelerare la produzione. In
Italia si lavora a rischio dellincolumit degli operai perch non c
nessuna cultura della sicurezza sul lavoro. I controlli sono del
tutto inutili, dato che non sono mai a sorpresa anche quando dovrebbero esserlo.
Per obbligo di legge, consegnavamo i nostri robot in gabbie
chiuse da serrature speciali, ma queste protezioni venivano regolarmente manomesse dai meccanici non appena lasciavamo ledificio. Noi lo sapevamo ma non potevamo farci niente. Avere a che
fare con robot che hanno la forza di afferrare e spostare senza
sforzo pezzi di metallo da 200 chili, significa che anche solo un
passo falso basta per mandare un uomo in ospedale, se non direttamente in una cassa da morto.
In pochi anni di lavoro ho assistito a una quantit di scene da
far rabbrividire. Operai che corrono fra i macchinari in
movimento, solo perch aggirandoli si perde meno tempo.
Meccanici che lavorano dentro impianti in funzione, con il rischio
di disintegrarsi le mani. Tizi che trafficano con il fuoco davanti a
bocchette del gas aperte. Un operaio cinese, addetto a una pressa
poco lontano da dove lavoravo, spostava, per tutto il giorno,
dischi incandescenti di metallo con delle lunghe tenaglie. Ogni
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tanto perdeva la presa facendo cadere il disco che rotolava in giro,


dando fuoco a quello che incontrava.
Tipo i cavi del mio computer.
Nessuno vigila perch a nessuno interessa. La produzione
deve andare avanti: si sempre fatto cos e non mai successo
niente. Dicevano.
Poi un giorno ci scappa il morto, si accendono i riflettori, politici e giornalisti non parlano daltro. Improvvisamente tutto torna
pulito e sicuro: stato un drammatico incidente, una sfortunata
coincidenza. Fanculo.
Oltre che sporchi e pericolosi, le fabbriche sono ambienti
molto insalubri: ho perso il conto di quante volte mi sono raffreddato o sono tornato a casa con i bronchi ostruiti dopo una giornata passata a lavorare su un robot. Ricordo ancora il freddo che
sentivo in un capannone e che sopportavo solo grazie ad un operaio caritatevole: ogni tanto, veniva a portarmi una cassa piena di
oggetti di metallo incandescenti perch potessi riscaldarmi.
Spesso ero obbligato ad usare i guanti se non volevo rischiare
di perdere luso delle dita ma la tastiera del robot era troppo piccola, per questo ero costretto a togliermi prima un guanto e poi
laltro per poter programmare. Lavoravo nelle posizioni pi scomode, con conseguenti problemi alla schiena e alle articolazioni.
Per qualche anno dovetti usare un tutore al polso, indebolito dalle
posizioni innaturali.
Anche le trasferte mi preoccupavano. La maggior parte delle
volte partivo con la mia auto. In pochi anni ho visto talmente tanti
incidenti da bastarmi per una vita intera. Non so come facciano
le persone come rappresentanti o corrieri a stare tutto il giorno
nel traffico, io non ci far mai labitudine. Odio guidare in autostrada negli orari di punta, soprattutto la mattina presto: la gente
ha sonno, ha fretta, nervosa e guida di merda. Un giorno ho
visto il video di un terribile incidente avvenuto nel 2008 in A4,
lautostrada che collega Milano con Venezia. Un camion aveva
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perso il controllo forse per un guasto meccanico, piegandosi a sinistra quasi ad angolo retto. Aveva investito un camioncino, tagliando lo spartitraffico come burro senza nemmeno rallentare,
per finire la sua corsa contro unauto che viaggiava sullaltra corsia, tutto questo mentre unaltra vettura e un camion gli sfondavano la fiancata. Sette morti.
Feci male a guardare quel video. Per molti mesi, ogni volta che
superavo un camion mi tenevo stretto al volante pensando: e se
capitasse a me ora?
Non un bel guidare.
Quando le distanze erano eccessive, il cliente si occupava del
mio trasporto ed era persino peggio, perch vigeva la regola dello
spendere il meno possibile, almeno in apparenza. Una volta mi
hanno spedito in Polonia in un furgone con altre cinque persone:
quattordici ore allandata e altrettante al ritorno, tutte pagate come
fosse lavoro normale. Questo per risparmiare cinquanta euro per
un volo aereo che ne durava due. Misteri della miopia aziendale.
Con il tempo le trasferte erano diventate sempre pi lunghe e
terribili, e lentusiasmo iniziale era scemato in fretta. Non le vedevo pi come le avventure di un eroe solitario, ma piuttosto
come vere seccature. Grazie al progressivo aumento della mie
competenze gli incarichi fuori casa divennero pi frequenti e difficoltosi, i clienti erano sempre meno ragionevoli, il tempo passava sempre pi lentamente e mi mancava tantissimo la vita sociale. Lunico vantaggio era il maggior guadagno. Fuori casa avevo
tutte le spese rimborsate, risparmiando cos sui costi della vita, poi
cerano i bonus per le notti e le inevitabili ore di straordinario,
sempre numerose. Ogni trasferta, insomma, era una piccola miniera doro, ma nientaltro.
Solo in rarissime occasioni ero riuscito a fare amicizia con qualche persona del luogo, operai, impiegati o dirigenti. In tutte le altre situazioni le mie erano solo conversazioni di circostanza, fatte
per passare il tempo e per annegare con parole futili il pesante
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senso di solitudine. Se mi andava proprio bene, riuscivo a flirtare


con la cameriera di qualche bar ma non mi rimanevano energie
per tentare di essere davvero audace.
Il periodo dal febbraio al marzo 2009 fu particolarmente dannoso per la mia salute. Iniziai a riconoscere il paradosso di quello
che stavo facendo della mia vita. Dovevamo avviare un impianto
problematico, pensato di fretta e non testato a sufficienza in fase
di costruzione. Si trovava nella Germania del Nord, vicino al confine con i Paesi Bassi.
Fummo costretti a trasferte continue, andavamo e tornavamo
quasi ogni settimana. Per limitare le spese di viaggio eravamo obbligati a prendere aerei ad orari improponibili e a passare tutti i
weekend fuori casa, azzerando il tempo libero.
Il cliente era un anziano signore tanto dotato di ottimo gusto
in fatto di ristoranti e cibo, quanto di pessimo carattere nelle questioni lavorative. Maniaco del controllo e di natura irosa, con il
suo atteggiamento spesso irragionevole creava una costante atmosfera di tensione che rendeva difficoltoso concentrarsi e lavorare in modo efficiente.
Limpianto si trovava allinterno di una stamperia di metallo,
uno dei posti pi luridi che abbia mai visto. Ho lavorato per tutto
il tempo tra mucchi di spazzatura e rottami. La cosa pi disgustosa
erano i muri segnati dallo sporco. Gli operai ci si strofinavano le
dita per togliere le incrostazioni di grasso sotto le loro unghie. Io
finivo ogni giornata coperto da una spessa patina di polvere e
unto, mi beccai anche delle piccole fastidiose infezioni per luso
continuo di tappi per le orecchie.
Gli operai tedeschi facevano i loro turni da otto ore, con due
pause caff da mezzora, e i venerd se ne tornavano a casa alle
due di pomeriggio. La mia giornata tipo invece era svegliarmi, andare a lavorare, tornare in albergo, cenare, andare a dormire. Molti
pranzi sono stati consumati direttamente davanti al computer, per
non interrompere il ritmo di lavoro.
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Durante il giorno bevevo decine di caff per stare sveglio, mentre ogni sera con un collega finivamo la giornata facendoci servire
tanti liquori, fino ad essere un po alticci. Stordirci con lalcool era
lunico modo a nostra disposizione per sorridere un po, rilassarci
e riuscire a dormire. Il giorno dopo, tutto da capo. Cos per due
mesi, sabati e domenica inclusi.
Iniziai ad avvertire dolori costanti allo stomaco, senza dubbio
causati tanto dallalcool e dal caff quanto dalleccesso di stress e
dalla pessima alimentazione. Avevo sempre una scatolina di antiacido con me e ne prendevo parecchi ogni giorno. Quando le trasferte finirono, tornai a casa stravolto. Per alcuni giorni dovetti
tenere i bicchieri riempiti solo a met e con entrambe le mani per
non rovesciarne il contenuto. Tremavo come una foglia.
Tra rimborsi per le trasferte e straordinari intascai in due mesi
pi di cinquemila euro, ma mi sentivo uno straccio. Arriv cos
unaltra domanda micidiale. Ne vale la pena?
In quegli anni facevo parte di una compagnia subacquea. Poco
dopo il ritorno dalla trasferta tedesca ricevetti una telefonata da
Sara, la mia amica che ci lavorava. And pi o meno cos.
Ciao Francesco, senti, ti interessa una crociera subacquea sul
Mar Rosso a maggio? Dura dieci giorni e
S, ok, vengo.
Ok, se vuoi pensarci, il costo complessivo attorno ai duemila
euro.
Non mi interessa il costo, prenota. Ho bisogno di rilassarmi.
Ecco la chiusura del cerchio: avevo guadagnato soldi che non
avevo avuto nemmeno il tempo di spendere e che stavo pagando
con la mia salute. Per potevo permettermi vacanze costose per
riprendermi la salute che avevo perso. La cosa aveva sempre meno
senso, anche perch non funziona. A distanza di anni porto ancora appresso quella gastrite, come un monito doloroso a ricordarmi che non tutti gli errori sono perdonati.

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PROCURARSI UNA CRISI

La mia speranza di far carriera nellazienda sub un duro colpo


quando fu assunto un altro dipendente. Mi ero aspettato un brufoloso neo laureato che avrei in parte gestito e istruito. Il mio scudiero, in pratica. Era invece un signore dotato di un ottimo curriculum decennale, che mi super in responsabilit e in trattamento
economico.
La cosa non mi piacque molto. Al momento dellassunzione mi
era stata prospettata un certo tipo di crescita professionale. Paolo
mi aveva promesso un graduale aumento delle responsabilit, grazie al quale avrei iniziato a partecipare alle fasi di progetto. Con il
tempo mi sarebbe stata assegnata la gestione di qualche dipendente pi giovane. Invece continuavo a rimanere in trincea, da
solo, e le uniche riunioni a cui mi era concesso partecipare erano
quelle attorno alla tavola da pranzo.
Iniziai a sondare con delicatezza il terreno, ma Paolo trovava
sempre un modo per rimandare la discussione a data da destinarsi.
Sono sicuro che la sua mente fosse invasa da tutta una serie di
problemi pi importanti, per io cominciavo a sentirmi sempre
pi stretto.
La mia ultima trasferta fu in Svizzera. Lambiente di lavoro, per
una volta, non era cos desolante, anzi piuttosto pulito e confortevole. I clienti erano molto gentili e, da bravi svizzeri, furono i
primi ad assicurarsi che io avessi un tavolo decente e una sedia
comoda per lavorare. Ricordando i posti in cui avevo lavorato con
il computer appoggiato su un bancale girato e il culo su un secchio
di vernice capovolto, ne fui quasi commosso.
Lunico difetto della zona era quello di trovarsi vicina ad un
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lago turistico, la cui spiaggia era affollata di bionde ragazze in bikini a cui non avevo nemmeno il tempo di avvicinarmi. Guardavo
quelle persone stese al sole, giocare a palla, nuotare o fare windsurf, e le invidiavo.
Le invidiavo da morire.
La cosa che mi fece impazzire quella volta fu lidiozia del progetto. La macchina del nostro cliente era stata progettata ancora
pi in fretta e male di quella tedesca. A causa di questo si erano
creati tutta una serie di problemi e ritardi che erano ricaduti, come
sempre, sullultimo anello della catena: i programmatori del robot,
cio noi.
Per ovviare alla pessima progettazione, fui costretto a passare
settimane l per ripetere sempre le stesse operazioni, ogni giorno.
Operazioni per cui non serviva un briciolo di cervello, solo infinita pazienza. La mia stava terminando.
Gi da qualche mese, con sempre maggiore insistenza, avevo
iniziato a chiedere a Paolo di partecipare alle riunioni. Non pretendevo di intervenire, ma se avessi potuto esserci anche solo
come osservatore silenzioso, avrei potuto imparare come si stabiliscono le specifiche di un progetto. In fondo la mia competenza
e la mia autonomia erano aumentate molto negli ultimi tempi. Se
fossi stato spostato appena pi in alto nella catena decisionale,
avrei potuto aiutare a prevenire errori cos grossolani come quello
svizzero. Errori che avrei dovuto comunque correggere io, ma
quando era ormai troppo tardi. Non partecipai mai. Un giorno
cadde la fatidica goccia che fece traboccare il vaso.
Ci fu una mega riunione: i clienti svizzeri iniziavano ad innervosirsi per i continui ritardi. Era necessario trovare una soluzione
per uscire dallimpasse. A mia insaputa, ai piani alti si incontrarono clienti, capi, progettisti, installatori, segretari, fornitori. Tutti
erano stati invitati a dire la propria. Solo un ebete era rimasto
fuori, a servirsi della sua laurea e dei suoi anni di esperienza per
fare il lavoro che un qualsiasi altro operaio avrebbe potuto fare
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dopo mezzora di corso: io. La stessa persona che nei due mesi
precedenti aveva evidenziato i problemi progettuali. Buona parte
del materiale di discussione della riunione era stato fornito da me!
Quando lo scoprii, non la presi per niente bene.
Iniziai a pensare sempre pi spesso alle dimissioni da quel lavoro che cos tanto mi toglieva e cos poco mi restituiva. Mi sembrava di esser sempre pi spesso un criceto sulla sua piccola ruota,
che correva ma non andava mai da nessuna parte. Eppure non
riuscivo a decidermi. Lidea di mollare un lavoro sicuro come
quello mi faceva paura. Cosa avrei fatto dopo? Come mi sarei
mantenuto? Avrei trovato un altro lavoro, migliore? Sapevo cosa
lasciavo ma non sapevo cosa avrei trovato. Ovvio.
A trattenermi cera anche la segreta speranza che qualcosa in
futuro potesse cambiare. Se avessi avuto pazienza, le cose sarebbero migliorate. Bastava stringere un po i denti e avrei fatto una
brillante carriera. Sarei diventato un esperto di robotica industriale, ben pagato, trattato come un professionista e non come
un ragazzino. Avrei volato in prima classe, non in furgone.
Quanto di questo mio sogno per era reale? Non ero circondato da begli esempi. Attorno a me cerano solo persone che
erano state rese dal lavoro lopposto di ci che aspiravo ad essere.
Un signore, proprietario di una multinazionale nel campo della
stamperia di metallo era cos ricco da aver comprato due colline
con tanto di vigneti il giorno che gli era venuta voglia di fare un
po di vino. A settantanni per si aggirava ancora per la fabbrica
in tuta da lavoro per controllare che tutto funzionasse, invece di
comprarsi unisola e passare serenamente gli ultimi anni della sua
vita e provare a godersi le ricchezze per cui aveva lavorato cos
tanto.
Un altro ricco signore, anche lui proprietario di fabbrica a sessantanni mal portati, obeso, con un pessimo carattere e con vari
problemi respiratori ma incapace di smettere di fumare, passava
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le sue giornate davanti al PC a fare male quello che sapeva fare


bene in giovent, per poi litigare con i trasfertisti. Maniaco del
controllo, si vociferava che avesse labitudine di istruire gli elettricisti su come spellare e attaccare i fili elettrici.
Il mio stesso capo, mio coetaneo era un discepolo del credo:
Se vuoi che una cosa sia fatta bene, devi fartela da solo. Ogni
giorno era di corsa da una trasferta allaltra, da un cliente allaltro,
incapace di delegare nulla se non le briciole, svuotando nel frattempo dozzine di lattine di coca cola dietetica per tenersi sveglio
e con il cellulare acceso a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Dopo anni di questa vita, la sua naturale infallibilit stava perdendo colpi. Il suo motto era, e credo lo sia ancora: Se hai tutto
sotto controllo, non stai andando abbastanza veloce.
Guardavo queste persone e molte altre che popolavano le mie
giornate abituali, osservavo i loro valori e le loro vite, e mi chiedevo: questo il futuro che mi aspetta? Anni di lavoro, per poi
lavorare ancora? Incapace di smettere, di delegare, di mollare la
presa, ormai drogato e assuefatto.
Io non volevo sposare il mio lavoro. Avevo tante altre passioni
a cui avrei voluto dedicarmi: il sassofono, la recitazione, la pittura.
Mi sarebbe piaciuto imparare altre lingue e viaggiare molto, ma
con la vita che mi si prospettava, ne avrei mai avuto il tempo?
Sapevo che la cosa pi giusta sarebbe stata mollare tutto e fare
altro, ma non ero in grado di superare il muro delle mie paure.
Nonostante le remore, ero ancora incatenato allidea che qualcosa
sarebbe potuta cambiare per il meglio. Non ci speravo, nemmeno
ci volevo sperare, ma non riuscivo a slegarmi da questa prospettiva.
Restare in equilibrio su questa lama sottile non era pi tollerabile per me. Avevo paura di andare e paura di rimanere. Aspettavo
succedesse qualcosa che mi aiutasse a capire da che parte stare,
qualcosa che decidesse al posto mio, ma non succedeva niente.
Certi giorni sperai addirittura che mi venisse qualche male grave,
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cos da essere costretto a decidere per forza. Era un pensiero di


una idiozia colossale, ma questa era la mia incapacit di agire, paralizzato dal terrore. Dovrei ringraziare il cielo tutti i giorni di non
avermi dato ascolto e di essermela cavata solo con una gastrite.
Le settimane passavano e io stavo sempre peggio.
Un giorno decisi.
Se la soluzione al mio dubbio non arrivava, dovevo andare a
procurarmela io stesso. Non sapevo cosa ne sarebbe stato di me
se avessi lasciato il lavoro, ma potevo sapere cosa ne sarebbe stato
di me se fossi rimasto.
Armato del coraggio di uno studente impreparato allesame,
presi il mio capo in disparte e gli rivolsi la domanda che mi stava
arrovellando il cervello da settimane.
Che prospettive mi offri in termini di crescita professionale ed
economica nel futuro prossimo?
In altre parole: o mi dai pi responsabilit o pi soldi, o me ne
vado.
Ma volevo davvero pi responsabilit? Volevo davvero pi
soldi? Sembravo persino disposto a rinunciare ad una delle due,
pur desiderandole entrambe.
Avevo bisogno di vedere un cambiamento in qualsiasi direzione. Ma sarebbe stato davvero un cambiamento in meglio?
Paolo avrebbe potuto offrirmi una maggiore partecipazione
alle fasi di progetto e magari investirmi di una responsabilit pi
grande. Avrebbe potuto garantirmi lassunzione di un giovane
laureato di cui mi avrebbe affidato la formazione oppure assegnarmi la gestione di un progetto o il controllo di un team di sviluppo. O il governo del mondo.
Avrebbe anche potuto darmi qualche centinaio di euro in pi
al mese, come contentino, e forse mi sarebbe bastato. Forse sarei
rimasto.
Invece mi disse questo, pi o meno.
Francesco, il mondo appena entrato in una crisi economica,
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se non te ne sei accorto. I clienti sono pochi e non possiamo rischiare su nuovi prototipi. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo
vendere copie dei progetti vecchi, tante copie. Non abbiamo personale per fare tutto: alle riunioni devo andarci io, alle installazioni
devi andarci tu, anche se sono noiose. Per quanto riguarda le responsabilit, ho paura che ti toccher fare le stesse cose per i prossimi due o tre anni. Per quanto riguarda lo stipendio, soldi per un
aumento non ne abbiamo.
In altre parole: non cambier una virgola per tutta la prossima
era geologica. Fu una porta sbattuta in faccia alle mie speranze di
gloria.
Mi son chiesto molte volte perch Paolo non mi avesse promesso anche solo un piccolo cambiamento, non era nemmeno
costretto a mantenere la parola e io sarei rimasto. Ma era pur sempre lo stesso capo che anni prima mi aveva detto che i pneumatici
bucati non si riparano urlandoci dentro. Credo che avesse solo
capito prima di me che fosse meglio lasciarmi andare. Con la sua
risposta mi chiuse tutte le porte davanti, tranne quella che mi
avrebbe condannato senza appello alla noia eterna, allinutilit del
tempo che scorre senza lasciare traccia. Forse con il tempo ci avrei
fatto labitudine, avrei imparato a non soffrire pi. Mi sarei addormentato in una vita di cauta sopportazione. Mi sarei semplicemente spento.
Era la crisi di cui avevo bisogno. Dovevo affondare del tutto
nel fango, trovare il fondo, per poi trovare la forza di risalire. Mi
mancava solo una piccola spinta verso il basso, e me lero cercata
con quella domanda.
E Paolo mi aveva dato la migliore delle risposte possibili.
Non lho mai ringraziato per questo. Lo faccio qui.

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LE ISTRUZIONI GENERICHE

Vedi, al mondo ci sono due tipi di persone, amico mio:


quelli con la pistola carica, e quelli che scavano. Tu scavi.
Joe il Biondo, da "Il Buono, il Brutto e il Cattivo"

Non cera nessun dubbio: ero infelice. Ero ancora pi infelice perch pensavo di non meritarlo. In fondo stavo facendo quello che
mi era stato detto di fare. Esiste tutto un contesto sociale, educativo, familiare, persino religioso, che spinge ognuno di noi in una
direzione comune: studia, trova un buon lavoro, creati una posizione, fatti una famiglia, metti via dei soldi e poi vai in pensione.
Erano queste le istruzioni, no? Qualcosa per non doveva aver
funzionato. Dovevo aver sbagliato qualcosa, o non avevo capito
bene i vari passaggi.
Non potevo dare la colpa a nessuno della mia infelicit: avevo
seguito quelle istruzioni di mia spontanea volont. anche vero
che non ero a conoscenza di nessuna alternativa sensata, e anche
se ce ne fosse stata una, nessuno me ne aveva mai parlato. Mi era
capitato di pensare un paio di volte di fare lartista di strada, e
girare il mondo mantenendomi suonando il sax per le strade, ma
in fondo mi sembrava pi romantico che fattibile.
Cos mi ero incamminato sul sentiero comune a quasi ogni ragazzo della mia et. Ho studiato, sono diventato ingegnere e ho
trovato un buon lavoro. Ho messo dei soldi da parte. Daccordo,
forse non avevo ancora completato il percorso che mi avevano
prescritto, ma perch non ero un po pi felice? Un pochino solo!
Un po pi sereno almeno, se la felicit era chiedere troppo. Stavo
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facendo tutto quello che mi avevano detto di fare e la mia vita mi


faceva schifo. Perch? Era colpa mia? In cosa stavo sbagliando?
Mi stavo aspettando troppo?
Un giorno mi feci unaltra di quelle domande da cui non si pu
tornare indietro. E se le istruzioni fossero sbagliate?
Iniziai a riflettere su queste cose sempre pi spesso, in alcuni
casi rivolsi queste domande ad amici, a parenti, a perfetti sconosciuti. Ero alla ricerca di un punto di vista nuovo che mi facesse
vedere le cose sotto unottica migliore, differente. Se ne poteva
parlare per qualche minuto come per ore, ma la risposta alla fine
era sempre, sempre, la stessa.
Eh, la vita questa, vecchio mio, cos che va Devi avere
pazienza, tanta pazienza, e vedrai che le cose si sistemeranno. Ora
non pensare a queste cose, lavora duro, devi conquistarti una
buona posizione, mettere via dei soldi, e poi vedrai che dopo la
pensione potrai stare tranquillo. Avrai tutto il tempo che vuoi per
goderti la vita e fare quello che hai sempre sognato di fare.
Un attimo di silenzio, prego. Lasciamo decantare queste parole.
Assaporiamole.
Questa era la risposta? Avere pazienza e godermi la vita a settantanni? E se ci fossi arrivato cieco, sordo e zoppo a settantanni? O rincoglionito tanto da aver bisogno del pannolone?
O con un cancro che mi lasciasse solo sei mesi di vita?
E se non ci arrivassi affatto, a settantanni?
Lo chiedo ancora: veramente questa la risposta alle mie domande? Avere pazienza e godermi la vita dopo la pensione? E
perch non me lavete detto subito?
Riflettiamoci un attimo. Quando io, ragazzino, ho chiesto al
mondo di adulti che mi circondava cosa avrei dovuto fare del resto della mia vita, mi hanno risposto: studia, lavora, metti via i
soldi, vai in pensione. Quando sono arrivato a met percorso, e
mi sono accorto che la mia vita faceva schifo, hanno aggiunto che
dovevo avere pazienza per tutto il tragitto, perch il premio finale,
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la felicit, mi sarebbe stato dato solo alla fine.


Io credo che avrebbero dovuto mostrarmi prima e spiegarmi
bene tutte le clausole del contratto, quelle scritte in piccolo. Se
avessi saputo che il mio piacere sarebbe stato cos rimandato nel
tempo, forse mi sarei tolto qualche sfizio prima di iniziare a lavorare. Ora capisco perch qualcuno mi diceva ogni tanto: Cerca
di stare alluniversit il pi a lungo possibile, se puoi, non avere
fretta!
Questi adulti hanno tradito la mia fiducia e la mia ingenua
buona fede! Questi adulti poi, osserviamoli bene.
Le persone che mi hanno indicato questo percorso non avevano mica ancora raggiunto i settantanni. Non mi pare nemmeno
che abbiano mai toccato la felicit. Allora, non stanno parlando
per esperienza, ma per sentito dire. Ci stavano credendo anche
loro, sperando che il sistema funzionasse, pur non avendo, la pi
pallida idea del come.
Un po come le religioni, in fondo: passi una vita a comportarti
bene sperando di andare in paradiso, di avere il tuo stuolo di vergini, o di reincarnarti in qualche essere in alto nella piramide alimentare karmica, ma mica ci mai tornato qualcuno dallaldil a
confermare che il sistema funzioni.
Ma allora di che cazzo stiamo parlando? I settantenni che ho
visto lavorare in fabbrica, ricchi sfondati e incapaci di smettere:
sono quelli che hanno raggiunto la felicit? Dov il nonno rugoso
e sorridente che irradia gioia e saggezza, seduto sulla sua sedia a
dondolo a raccontare storie di avventura ai nipotini? Neanche nei
film esistono pi quei nonni l!
Ma allora queste istruzioni che mi hanno dato, per chi sono?
Perch le hanno date uguali anche al mio vicino di casa e al mio
compagno di banco. A dir la verit, le hanno date a ogni ragazzino
del mio quartiere, della mia citt, della mia nazione. Le hanno date
uguali a tutti.
Sono istruzioni generiche! Generiche!
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Io sono unico e irripetibile, io sono quello che voleva salvare il


mondo a cavallo del suo unicorno robotico, e ho ricevuto le stesse
istruzioni che hanno ricevuto tutti?
Sono istruzioni generiche! Ma per chi mi avete preso, per un
frullatore? Io non sono un frullatore! Io non sono generico! Nessuno di noi generico! Dove cazzo sono le istruzioni specifiche per
me?
Quando ci si fa una domanda del genere, ci si rende conto che
questo tipo di istruzioni non esistono. Nessuno sa cosa sta facendo, o perch. Nessuno pu spiegarti come arrivare alla felicit,
perch nessuno ha la pi pallida idea di come riuscirci. Anche i
cosiddetti adulti, resi esperti dal tempo e dalla vita, hanno seguito
le loro istruzioni generiche perch qualcuno gli aveva spiegato che
era importante farlo, ma quanti, se avessero avuto una seconda
possibilit, avrebbero rifatto le stesse scelte?
Forse era questa la domanda che avrei dovuto fare ad un adulto:
se tornassi ad essere giovane, rifaresti le stesse scelte, la stessa
vita, ora che sai come procede? e se mi avesse risposto no, lo
avrei preso a schiaffi.

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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

LUNICA MONETA

Quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma


con il tempo della mia vita che servito per guadagnarli. E
il tempo della vita un bene nei confronti del quale bisogna
essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono
e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libert. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi.
L'alternativa farti schiavizzare dal lavoro per permetterti
consumi cospicui che per ti tolgono il tempo per vivere.
Jos Mujica

Un giorno mi sono svegliato, e mi sono sentito diverso.


Non so cosa fosse successo durante la notte, cosa avesse dato
origine a quella sensazione, ma mi sono svegliato realizzando di
avere trentadue anni. Ne avevo trenta quando avevo iniziato a lavorare. Tutto sommato non era passato cos tanto tempo. Il punto
che non ricordavo cosa avessi fatto nei due anni precedenti.
Certo, ricordavo molti impianti, molti robot, molti clienti,
molte rotture di coglioni ma non ricordavo chi avevo conosciuto, come mi ero divertito, cosa avevo imparato, dovero stato.
In breve, non ricordavo come avessi vissuto. Niente. Non cera
niente.
Mi sono guardato allo specchio e ho visto una faccia che mi era
familiare, ma invecchiata. Meno capelli sulla testa, alcuni bianchi.
Chili sulla pancia. Rughe. Il tempo era passato su di me lasciando
i suoi segni, ma non la sua esperienza. Non ero diventato grande,
ero solo diventato vecchio. Il tempo non mi aveva aspettato. Ero
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

ancora lo stesso ragazzino, pieno di inutili sogni di gloria, ma gli


occhi erano spenti e il corpo flaccido.
Da settimane mi svegliavo ormai senza un sorriso. Il primo
pensiero una volta aperti gli occhi era richiuderli, girarmi dallaltro
lato e tornare a dormire. Cera un mondo ad aspettarmi, fuori dal
tiepido rifugio delle coperte, ma io non volevo vederlo. Non mi
interessava pi.
Vivevo in una gabbia che iniziava il luned mattina e finiva il
venerd sera. Odiavo il luned perch arrivava troppo presto, e
odiavo il venerd perch non arrivava mai. E odiavo i fine settimana, perch finivano in un lampo. Due brevissimi giorni in cui
dovevo riposarmi, rilassarmi e divertirmi. Non ci riuscivo mai. Sprecavo la mia unica occasione finendo a fare sempre le stesse cose,
negli stessi bar, con le stesse facce attorno. Odiavo cinque giorni
su sette perch non avevo tempo di fare niente, e odiavo gli altri
due perch li passavo ad annoiarmi.
Il tempo passava cos, veloce, senza lasciare ricordi, solo tracce.
Avevo forse fretta? In fondo erano passati solo due anni o poco
pi. Chiedevo troppo a me stesso? Mi aspettavo progressi troppo
velocemente? Forse s, ma cosa possedevo oltre al tempo? Nulla.
Non possediamo i nostri vestiti, lauto, la casa. Quelle sono solo
cose che si possono rompere, perdere, rubare. Le cambiamo perch ci hanno annoiato. Sono solo oggetti di passaggio, che rimangono con noi solo per un periodo limitato.
Senza contare che potrebbe arrivare un terremoto a distruggere
tutto. Lunica cosa che davvero possediamo il tempo. Ognuno
di noi nasce con un capitale. Possiamo credere nel destino, nella
religione, nel caso, in niente, ma possiamo essere tutti certi di alcune cose. Primo, quel capitale finir. Secondo, non sappiamo
quando. Terzo, non esistono investimenti in questa economia perch non ci sono entrate possibili, ci sono solo uscite.
Nella nostre vite preleviamo ad ogni istante un po di quel capitale e lo spendiamo in qualcosa. Prendiamo due ore di tempo e
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le spendiamo per guardare la televisione o leggere un libro. Altre


sette o otto ore e dormiamo. La maggior parte di noi converte
una buona parte del proprio capitale in lavoro, il lavoro in soldi, e
i soldi in oggetti e servizi.
Il presidente dellUruguay Jos Mujica una volta disse una cosa
che dovrebbe far riflettere: un oggetto non viene comprato con i
soldi, ma con il tempo della propria vita necessario per guadagnarli. Un cellulare ultima generazione costa come un mese del
nostro stipendio? Bene, lo abbiamo pagato con un mese della nostra vita. Lo vale? Solo noi possiamo saperlo, ma bene ricordare
che quel mese non torner pi indietro.
Questa moneta vale ancora di pi se amiamo la vita, se cerchiamo sempre qualcosa di buono anche nel fango, se non ci arrendiamo alloscurit e proseguiamo, anche se a tentoni, alla ricerca della luce. Io amo la vita, lho sempre amata. Forse lunica
certezza che sento di avere. Io voglio vivere! Come potevo averne
appena speso due anni in cambio di qualche ruga, un paio di capelli bianchi, una gastrite, e nemmeno la soddisfazione di fare
qualcosa di buono per me stesso o per il mondo?
Li avevo spesi in modo terribile, sprecati, e solo per avvicinarmi
di qualche passo alla pensione.
Ma che senso ha?
Un dipendente medio in Italia spende per il suo lavoro otto ore
al giorno per cinque giorni a settimana per 48 settimane lanno,
per circa quarantanni. Al conto mancano gli straordinari e tutti i
tempi non retribuiti: guidare fino al posto di lavoro, parcheggiare,
le pause pranzo, le telefonate fuori orario, le preoccupazioni trascinate a casa. In cambio di questo, al raggiungimento dellet
pensionabile,i riceve uno stipendiuccio con cui ricompra il tempo
che altrimenti avrebbe dovuto usare per mantenersi.
Evidentemente questo affare deve sembrare allettante se tutti
lo sottoscrivono, ma a me sembra un furto. Ho visto tanti
vecchietti arzilli e in salute andare ogni giorno in bici, ridere, e in
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

generale essere pi svegli di tante persone con un quarto dei loro


anni, ma ho visto anche vecchi malmessi e malati, pieni di dolori
e di rimpianti. E ho visto anche tante tombe di persone che non
ci sono nemmeno mai arrivate, alla pensione.
Linvestimento incerto a dir poco, anzi, quasi sicuramente
in perdita. Auguro a tutti una lunga e felice vita, ma nel 2012 la
speranza di vita media in Italia era di 83 anni, ed era la seconda
pi alta nel mondo dopo il Giappone che la superava di pochi
mesi. In pratica si scambia la maggior parte del tempo della nostra
vita giovane e adulta, per avere in cambio ventanni da anziano,
ben che vada.
Io non sono ferratissimo in economia, ma mi risulta che gli
investimenti si facciano per ricevere degli interessi. Se deposito un
capitale di un certo valore e lo lascio fermo per qualche decennio,
quando lo recupero mi aspetto che abbia un valore maggiore. In
questottica avrebbe forse pi senso lavorare quindici, ventanni
al massimo, ed essere poi mantenuti per il resto della propria vita.
I conti sembrerebbero pi onesti. Oppure godersi la giovinezza,
e pagare con la vecchiaia, perch no?
Mi rendo conto che la prospettiva di non avere nulla una volta
raggiunta lanzianit possa spaventare, ma non dovrebbe far pi
paura non vivere affatto? Com possibile che un uomo accetti di
comprare dieci o ventanni di sicurezza economica pagando con
met della sua giovent?
A me sembra una pessima idea.
Per provare a spiegare agli altri come mi sentivo, avevo creato
la metafora del negozio di cellulari.
Questo dico, e poi ne pago il costo, in contanti.
i

Mentre scrivo questo libro (2014) let pensionabile in Italia di 66 anni

per gli uomini e di 64 per le donne. Con almeno 42 anni di contributi si pu


andare in pensione anche prima, ma prima dei 62 viene penalizzata lentit
dellassegno.

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Il negoziante intasca i soldi, e mi dice grazie e arrivederci.


Ma non mi d il cellulare.
Dov il mio cellulare?
Glielo consegniamo tra quarantanni. Grazie mille per il suo
acquisto e arrivederci!
Prego? Io ho gi pagato, voglio il mio cellulare adesso!
Ah, certo, ma vede, funziona cos. Lei paga adesso, e pu venire a ritirare il suo cellulare tra quarantanni, cos poi avr tutto il
tempo per goderselo. Fanno tutti cos, la norma.
Ma sta scherzando? Tra quarantanni esister la telepatia, che
cazzo me ne faccio nel 2050 di un cellulare comprato nel 2010?
Questo cellulare diventer obsoleto fra quarantanni! E poi perch
dovrei pagarlo adesso? Tanto vale che lo pago tra quarantanni,
cos prender un modello pi nuovo, no?
Eh, la vita questa, vecchio mio, cos che va Devi avere
pazienza, tanta pazienza, e vedrai che le cose si sistemeranno
Ecco cosa succede, dopo quarantanni di lavoro. Ci scordiamo
che il nostro cellulare lo abbiamo gi pagato, e per quanto vecchio,
l in giacenza. E forse non ricorderemo nemmeno di averlo acquistato.
La mia paura pi grande non era non riuscire a realizzare i miei
sogni, ma dimenticarli. Arrivare ad essere anziano e dire: Avevo
un sogno, ma non lo ricordo pi.
Daltra parte, come potevo rinunciare con leggerezza alla strada
che avevo intrapreso, dopo averci investito tanto?
Si sceglie un percorso di studi e un lavoro, poi un giorno ci si
fanno due conti e ci si accorge degli anni che sono passati. E se a
quel punto si capisse di aver preso la strada sbagliata, che si fa? Si
torna indietro? Non possibile. Andare avanti? Cambiare?
Trovai la risposta, giocando a poker.
C stato un periodo in cui con alcuni miei amici ci trovavamo
alla sera e giocavamo a Texas Holdem, il poker texano che andava
di moda. Nessun vero gioco dazzardo, era solo una serata tra
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amici, pochi spicci e un paio di birre. Io per ero una schiappa,


non sapevo mai quando e quanto puntare, se lasciare o osare. Giocavo in modo molto timido e piuttosto prevedibile. Pur non essendoci niente in palio, decisi di migliorare la mia strategia di
gioco. Lessi un libro in cui un campione di poker svelava alcuni
dei suoi segreti, uno di questo mi rimase impresso.
Lautore affermava che i vincenti sono tali perch sanno
quando ritirarsi da una mano perdente. Non rimangono attaccati
ai soldi che hanno gi gettato sul tavolo, anche se sono molti.
Sanno di averli gi persi, e passano la mano per non perderne altri.
Limitano le perdite, e si rifanno alla successiva.
I pivelli invece rimangono attaccati alle carte e alle loro puntate,
e pur di recuperare i soldi gi investiti, ne puntano ancora, rilanciano, bluffano e alla fine si fanno trascinare in giochi fallimentari
fino a perdere tutto.
Io stavo facendo la stessa cosa con la mia vita.
Quando avevo scelto di fare ingegneria elettronica la mia aspirazione per il futuro era fare linventore, e a quellidea avevo dedicato tanti anni tra studio e lavoro. Un brutto giorno mi sono
reso conto di avere in mano delle carte perdenti. Non era l che
volevo arrivare. Cosa avrei dovuto fare? Puntare altri anni?
Non ci sono bluff vincenti, nella vita. Lunico giocatore che
potevo ingannare ero io. Avevo usato le mie carte convinto che
fossero buone, ci avevo puntato tanti anni, mi ero sbagliato.
Investire altro tempo non mi avrebbe fatto vincere niente, solo
perdere di pi. Un giorno non avrei avuto pi niente da puntare,
e mi sarei alzato dal tavolo da gioco sconfitto.
Sono stato sfortunato, ho avuto brutte carte. Forse.
Ma lerrore pi grave sarebbe stato non saper quando mollare.

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LIBERO?

Sono milioni quelli che desiderano limmortalit e poi non


sanno che fare la domenica pomeriggio se piove.
Susan Ertz

E arriv il 9 agosto 2009. Quando feci ripartire la macchina avevo


gi deciso.
Ai miei genitori chiesi solo consiglio su come gestire la cosa.
Non sapevo come consegnare la lettera di dimissioni, cosa scriverci, cosa fare dopo. Tutto sommato nutrivo ancora molto rispetto per il mio capo. Non condividevo n i suoi progetti di vita
n i suoi modi per portarli a termine, ma non volevo ferirlo personalmente, n volevo mettere in difficolt la sua azienda.
Comunicai la mia decisione in via informale il giorno dopo, e
la ufficializzai qualche settimana pi tardi. Reag piuttosto bene,
credo se lo aspettasse. Questo mi conferm la sensazione che
avevo avuto: quando mi chiuse le porte davanti, ovvero quando tolse
ogni prospettiva di miglioramento, lo fece volutamente. Evit di
indorarmi la pillola e di illudermi. In fondo era anche piuttosto
esperto per capire che un dipendente insoddisfatto non lavora
bene.
Non ero pi un buon affare.
Mi tolse subito da tutte le trasferte gi in corso e da quelle
previste, per evitare che io facessi danni. Stavo diventando sempre
pi sbadato, in effetti, e negli ultimi tempi la qualit del mio lavoro,
comera prevedibile, era diminuita parecchio. Mi accorci anche il
tempo di preavviso. Per contratto avrei dovuto smettere di
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

lavorare ufficialmente dopo tre mesi dalle dimissioni, invece lo


ridusse a uno, il tempo indispensabile per finire un paio di cose.
Gli ultimi giorni avrei anche consumato le ferie che mi
rimanevano per non lasciare sospesi economici. In breve, mi
restavano due stipendi e poco meno di un mese di lavoro. Veloce
e indolore, poi sarei stato finalmente libero.
Libero di fare che?
Gi, cosa fare quando si pu fare tutto? Non ero pi abituato
alla libert.
Il rischio principale quando si rientra in possesso del proprio
tempo quello di non sapere come usarlo. Si arriva persino a sprecarlo, ad annoiarsi, per mancanza di immaginazione. Le ipotesi di
scelta per me plausibili erano due: o mi cercavo un altro lavoro, o
mi concedevo una vacanza, alla fine della quale avrei deciso cosa
fare del resto della mia vita.
La seconda mi sembrava pi allettante.
Stabilii cos di prendermi una lunga pausa. Non sapevo cosa
fare, per. Lidea di tornare a far parte dello stesso ingranaggio da
cui mi ero appena liberato mi spaventava. Prima o poi avrei dovuto trovare un altro modo per mantenermi, e che alternative
cerano al lavora, metti via dei soldi, vai in pensione? Non le conoscevo.
Non avevo fretta. Avevo dei risparmi, tutti quelli che non avevo
avuto modo di spendere. Grazie a questi potevo aprire una parentesi di tempo in cui occuparmi solo di me, e rimandare di molto
le decisioni e le preoccupazioni per il futuro, non ancora prossimo. Finalmente ero libero di dedicarmi ad azioni e pensieri volti
alla rigenerazione del corpo, della mente e dello spirito.
Iniziai rinunciando subito ad una abitudine che mi era dannosa:
smisi di bere caff per svegliarmi, soprattutto quello doppio o triplo del mattino. Fu una specie di ribellione al mondo degli orari
fissi.
Mi piace il caff dopo un buon pasto, ma berlo solo per trovare
la lucidit farsi violenza. Era stato anche leccesso di caff a
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procurarmi la gastrite con cui continuo a combattere a distanza di


anni. Una mente assonnata ha bisogno di riposo, non di eccitanti.
Certo non bastava cambiare qualche abitudine per trovare il
rinnovamento di cui avevo bisogno. Accarezzai allora lidea di un
lungo viaggio. Il viaggio ha sempre avuto il fascino simbolico
della ricerca, ed io ero proprio alla ricerca di qualcosa. Il viaggio
conoscenza e cambiamento. A me serviva una vacanza, certo, ma
anche un modo per voltare pagina e ricominciare a scrivere la mia
vita con parole diverse.
Iniziai a parlarne con gli altri in cerca di ispirazione. Nel 99%
dei casi, fu una pessima idea.
A partire dal 2008 una grande crisi aveva aggravato le condizioni economiche di tutto il mondo. Le prime avvisaglie erano gi
arrivate in Italia, anche se avevo trascurato di informarmi con attenzione. Ne parlava spesso il mio capo, ma poich lo stipendio
mi arrivava regolarmente, non mi ero davvero posto il problema.
Il crollo economico per, nonostante il mio pigro ottimismo, era
una realt innegabile. In quel contesto tetro, la decisione di dimettermi fu considerata, da tutti o quasi, una follia.
Il mio stipendio considerando il mio breve curriculum e la media italiana, non era nemmeno male. Come potevo licenziarmi in
un contesto simile?
Allepoca i nostri politici, sempre sinceramente preoccupati per
noi italiani, assicurarono che sarebbe durata poco, sei mesi al massimo. Noi, come al solito, ci credemmo.
Non capir mai come si faccia, ogni volta, a credere alle loro
stronzate. Mentre scrivo questo libro, cinque anni dopo, siamo
ancora qui a parlarne, a chiederci se ne stiamo uscendo, se lItalia
fallita o se ne usciremo mai.
La verit che girava nel 2009 era che la crisi sarebbe finita
presto, bastava avere pazienza. Se perdere un lavoro sicuro in quel
momento era una disgrazia, rinunciarci era da mentecatti.
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Secondo gli auspici altrui, avrei patito la fame e la miseria. Non


sarei mai pi stato riassunto. Anche con il ritorno alleconomia
fiorente, quelle dimissioni sarebbero state una macchia sul mio
curriculum che mi avrebbe tenuto lontano da ogni posto di
prestigio. Chi mai avrebbe voluto assumere un irresponsabile che
gettava la spugna proprio nel momento di maggiore difficolt,
quando era ora di tenere duro? In pratica, la mia vita era finita.
Notavo una certa tendenza allesagerazione nelle persone che
contestavano la mia scelta. In fondo se leconomia fosse davvero
tornata fiorente, ci sarebbe sempre stato bisogno di qualcuno per
programmare robot, campo in cui me la cavavo piuttosto bene.
Potevo sempre tappare il buco sul mio curriculum con un bel motivi di salute, non allontanandomi nemmeno troppo dalla verit.
Insomma, di sicuro non sarei morto di fame.
Ma se tu avessi un mutuo da pagare? E le rate della macchina?
E una famiglia, due bocche da sfamare? Non ti senti un disgraziato a lasciare un lavoro, quando c chi fa fatica a tirare fino a
fine mese? E per fare un viaggio, poi
Questa unaltra cosa che non ho mai capito delle critiche altrui. Vuoi per fortuna, vuoi per scelte personali, non avevo mutui
da pagare o una famiglia da mantenere. Perch avrei dovuto vivere
come se invece li avessi avuti? Il fatto che altri abbiano certi impedimenti, peraltro tutti derivati da scelte personali, non mi sembrava
un motivo valido per crearmeli. Potevo essere solidale, certo, ma
questo molto diverso. Crearmi problemi inesistenti non avrebbe
cambiato di una virgola la situazione di chi li aveva per davvero.
Per certi versi, la vedo proprio al contrario: avere una fortuna e
non sfruttarla un po come sputarci sopra.
Ad ogni modo, ero ormai molto lontano dalle considerazioni
esclusivamente economiche. Da tempo avevo inserito il mio
benessere emotivo, mentale e fisico nellequazione della vita, e
avevo visto che il bilancio non quadrava. I soldi e il lavoro non
potevano essere gli unici valori importanti nella vita di un uomo.
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Sono semplici strumenti che luomo adopera nella speranza,


concreta o illusoria, di raggiungere la felicit. Per sono anche
pericolosi, attraenti, e si trasformano in gabbie da cui si rischia di
non uscirne pi. Avevo deciso di uscire dalla mia e di cercare
direttamente la fonte della serenit, senza intermediari.
In molti mi diedero dellincosciente perch rinunciavo ad
unoccupazione, ma io mi sarei sentito molto pi incosciente a
rinunciare al benessere e alla salute. Non avevo paura. Una serena
certezza mi faceva compagnia: piuttosto che vivere un solo altro
giorno come esperto di robot, sarei andato volentieri a girare panini da Mc Donald. Forse il mio era uno stato di follia, ma dopo
la decisione di dimettermi mi sentii meglio di quanto non lo fossi
stato negli ultimi anni.
Mi sentivo leggero.
Credo che questa sensazione fosse evidente anche a chi mi parlava. Una volta chiarito che la mia decisione di dimettermi era irrevocabile, e che non avevo perso del tutto il senno, qualche voce
si stacc dal coro delle critiche per complimentarsi con me.
Hai fatto bene. Vorrei avere io il tuo coraggio.
Ecco laltra parola chiave: coraggio.
Le poche persone che da principio avevano intravisto la bont
delle mie azioni, mi elogiavano per quello. Io sorridevo e annuivo
ma, in tutta sincerit, non mi sentivo cos coraggioso. Tuttaltro
direi. Non mi ero licenziato n avevo deciso di viaggiare, per coraggio. Avevo persino delegato la decisione a Paolo, perch non
ero stato capace di prenderla da solo. Ok, forse ero andato io a
cercare il punto di rottura, ma non so se lo chiamerei coraggio.
Quando mi sono svegliato non riuscendo a ricordare come
avessi passato i due anni precedenti, ho avuto paura. Quando ho
visto i capelli bianchi e i chili in pi sulla pancia, ho avuto paura.
Quando ho capito di essere in una gabbia che rubava il mio
tempo, ho avuto paura. Quando ho immaginato di fare quella vita
per altri cinque, dieci, ventanni, ho avuto paura. Con le mie rate
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della macchina, il mutuo da pagare, due figli da portare a scuola,


televisore al plasma in salotto a guardare il Grande Fratello 40.
Ho avuto paura. Le tende alla finestra, le otturazioni sui denti, il
giardino ben curato. Ho avuto paura. Le ferie ad agosto da chiedere al capo. Le promozioni che non arrivano. Le visite dal medico. Gli antiacidi per la gastrite che non passa.
Come va il polso? Eh, male. Sto troppo al computer, ma
come faccio? Ho avuto paura. Una macchina che mi investe, mi
spezza, gettandomi venti metri pi in l, e lasciandomi dieci secondi per ripensare alla vita e ricordare di aver avuto un sogno
una volta, mentre il sangue e la vita mi scivolano via. Ho avuto
paura. Oppure una malattia. Una lenta agonia, steso sul letto di
un ospedale, incapace di muovermi, anche solo per gettarmi dalla
finestra e metter fine al dolore.
Datemi solo cinque minuti di libert, avrei urlato, almeno
sceglierei di andarmene!. Ma non ho altri cinque minuti. Non li
ho pi.
Il tempo finito ormai, mi guardo indietro, e vedo la mia vita,
a come lho sprecata, a cosa potevo fare e non ho fatto. Potevo
essere qualcuno. Potevo anche essere nessuno ma felice. E invece
sono semplicemente nessuno. Tempo scaduto.
Ho avuto paura.
No, non avevo solo paura. Ero terrorizzato.
Certo, potevano dirmi tutte le volte che volevano che cera bisogno di coraggio per mollare un lavoro sicuro nonostante leconomia fragile. Ok, forse ce ne vuole un po, daccordo. Ma dico
che ce ne vuole molto di pi a rimanere dove si , quando hai gi
visto come andr a finire.
Non ho fatto il salto perch ho avuto il coraggio di affrontare
lignoto, ma perch ho avuto paura di restare in un mondo che
conoscevo fin troppo bene.

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ROUND THE WORLD

Questo viaggio non una fuga, ma una ricerca: allontanarmi da tutto e da tutti per osservare ci che mi vicino
da sempre, e scoprire, ancora una volta, di amare la vita e
tutti i suoi frutti.

Del mio periodo di vacanza decisi prima di tutto la durata: sei


mesi. Mi sembrava un intervallo di tempo ragionevolmente lungo
senza esserlo troppo. Non un anno intero, ma met. Non rappresentava un cataclisma per lo svolgimento regolare della mia vita,
ma era un periodo lunghissimo, in confronto alle due settimane
di ferie che di solito potevo concedermi.
Ero nel mezzo di una congiuntura di eventi che difficilmente si
sarebbe ripetuta. Il lavoro a cui avevo appena rinunciato mi aveva
lasciato con una buona quantit di risparmi e potevo stare tranquillo per un po. Non avevo legami sentimentali o affettivi che
avrebbero potuto trattenermi. Ero in salute. Mi ero creato unoccasione che non potevo sprecare. Non potevo starmene seduto
sul divano in attesa che mi tornasse la voglia di lavorare. Dovevo
approfittare di quel tempo limitato, ricavato a forza tra le enormi
pressioni esterne, e renderlo speciale. Doveva essere a tutti i costi
unoccasione per crescere, riparare quello che avevo dentro, e
cambiare quello che non funzionava pi. Una specie di revisione
dellanimo, insomma.
Valutai varie alternative per quei sei mesi: un periodo di volontariato in Ecuador; un tour dellAustralia in furgoncino; lAfrica.
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Ero confuso. Tutto il mondo era di fronte a me e io non sapevo


scegliere. Un tipico caso di eccesso di offerta, non ci ero abituato.
La mia tendenza a voler razionalizzare tutto diventava sempre un
peso in questi casi. Vado in panico decisionale anche se devo scegliere
una macchina fotografica. Devo leggere tutti i dettagli, confrontare, valutare, ottimizzare. Lo so che non esiste una soluzione perfetta, ma faccio di tutto per trovarla.
Allo stesso tempo, tutte le persone che conoscevo volevano
consigliarmi, e questo non faceva che aumentare la confusione
che avevo in testa. Ognuno si sentiva in dovere di dirmi cosa
avrebbe fatto al mio posto. Ma cosa avrei fatto io, al mio posto?
Sentivo un bisogno quasi fisiologico di affermarmi, non tanto
con gli altri quanto con me stesso. Dovevo recuperare lidentit
che avevo perduto in qualche fabbrica del Nord Europa e le ore
di traffico in A4. Dovevo fare qualcosa di soltanto mio, ma cosa?
Un giorno parlai con Nicola, un caro amico dotato di una curiosa passione per tutto ci che riguarda aeroporti, tessere frequent
flyer e voli aerei. Mi confidai con lui e gli raccontai i dubbi e i pensieri di quei giorni. Gli dissi che se avessi potuto avrei visto tutto
il mondo, ma ovviamente non era possibile.
Perch ovviamente? mi interruppe lui. Esistono i biglietti round
the world, se ti interessa. Non costano molto. Fai il giro del
mondo!
La bocca dello stomaco mi si chiuse allistante.
Appoggiai il bicchiere.
Il giro del mondo...
Soppesai quellidea per qualche minuto, ma sapevo di aver gi
deciso. Il mio corpo aveva reagito prima di me a quellidea con un
linguaggio che ancora non conoscevo, ma si era fatto capire pi
che bene. Quella sensazione di emozione profonda che colpisce
il respiro e la pancia, come quando si innamorati, non lasciava
spazio a dubbi. Non cera via di scampo dal quel messaggio, non
cera alternativa. La mia testa era gi partita per quel viaggio, si
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

trattava solo di seguirla.


Fu la prima volta che presi una decisione cos importante in
quel modo. Evidentemente il buio in cui mi ero ritrovato, proprio
a causa di decisioni prese di testa, aveva risvegliato in me una forza
primitiva.
Qualcuno potrebbe chiamarla intuizione, una facolt pi sofisticata della stessa ragione. A me piace considerarlo una specie di
istinto, invece. Lo stesso che ci fa scappare da un pericolo, che ci
fa ritrarre la mano dal fuoco, o che ci fa pensare: qui qualcosa
non va.
un sensore primordiale, vecchio come il mondo, collegato al
tessuto dellesistenza con fili che non riconosciamo pi, e adibito
da sempre alla custodia della nostra vita. Parla con un linguaggio
grezzo e potente, e ci dice cosa giusto e cosa sbagliato per noi
e basta, senza curarsi dellopinione altrui, delle paure e del senso
comune. Ci dice la verit, che ci piaccia o no. Lo fa con le lacrime o
con una stretta allo stomaco. Non sono consigli, listinto non
tenta di convincerti. I suoi sono ordini.
La ragione pi sottile, pi fine. un coltello acuminato, capace di intagliare la materia dei nostri pensieri nelle trame pi leggere e delicate, di creare ingranaggi sofisticati e perfetti, ma nei
momenti critici manca di forza. Listinto una clava, brutale,
senza eleganza, che non chiede e non d spiegazioni.
Incapace ancora una volta di decidere, quellarma prese il sopravvento spingendomi verso quellavventura. Un colpo di Stato
ai piani alti del mio cervello. Su quel viaggio cera gi scritto il mio
nome. Avrei capito il perch solo al mio ritorno.
Valutai la fattibilit del progetto.
Le maggiori compagnie aeree sono divise in tre grandi alleanze
di cui fanno parte: Skyteam, Star Alliance, e One World. Ognuna
ha la sua versione del biglietto round the world. Si tratta di un pacchetto di voli a prezzi molto convenienti, che permette di viaggiare attorno al globo con tutte le compagnie che ne fanno parte.
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

I voli, il cui numero limitato, vanno prenotati al momento


dellacquisto. Ci sono molte regole ma il prezzo finale sconvolgente. Nel 2009, sedici voli (con scali) tra Londra, Los Angeles,
Buenos Aires, Santiago del Cile, Isola di Pasqua, Hong Kong,
Bangkok, Tokio, Pechino, Sydney, Auckland, Londra, mi costarono circa 2300 euro.
La parte pi difficile fu decidere il percorso. Le regole del biglietto mi imponevano di prenotare subito tutti i voli aerei, ma
come decidere in quale Paese andare, e quanto restarci? Come facevo a sapere se mi sarebbe piaciuto, se avrei voluto restarci pi
tempo, o meno? Mi costrinsi a fare una stima, basandomi anche
sui costi previsti della vita. Quanti calcoli!
Arrivai al progetto finale dopo due intense settimane. Prima di
tutto decisi di andare verso ovest per minimizzare gli effetti del
jet lag. Per andare in quella direzione bastava ritardare il sonno,
mentre per andare verso est bisognava anticiparlo e mi risultava
pi difficile.
Scelsi i Paesi in base ad alcuni criteri: sicurezza, costo della vita,
clima al momento del mio passaggio, ma anche seguendo lattrazione istintiva che provavo per loro. Erano i luoghi in cui avevo
sempre desiderato andare, quale momento migliore per farlo?
Alla fine fissai date e destinazioni e comprai il biglietto. Sarei
partito da Londra e la prima destinazione sarebbe stata San Francisco, da cui volevo iniziare simbolicamente il giro. Per vicissitudini familiari il mio nome arriva proprio dalla citt californiana.
Non ci ero mai stato e mi sembrava quindi un ottimo luogo per
iniziare il viaggio di una vita.
Da l avrei disceso la California per un paio di settimane, fino a
Los Angeles. Sarei ripartito per Buenos Aires, e avrei percorso
lArgentina via terra fino alla punta estrema della Patagonia, risalendo dal Cile, per raggiungere Santiago dopo due mesi. Cinque
giorni allIsola di Pasqua, poi un transoceanico per Hong Kong.
Da l alla Thailandia per un mese, poi venti giorni in Giappone,
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

una rapida puntata a Pechino a trovare un amico, la Nuova Zelanda e lAustralia, tre settimane ciascuna.
Una specie di maratona, tantissimi posti in poco tempo, ma era
cos che lo volevo. Allepoca non potevo di certo essere considerato un viaggiatore, ed ero ancora legato allidea del vedere il pi
possibile tipica del turista abituato alle due settimane di ferie. Mi
sembrava in questo modo ingenuo di riprendermi la vita che
avevo sprecato negli anni precedenti, e forse non avevo nemmeno
tutti i torti. Volevo partecipare al banchetto del mondo sbocconcellando in pi piatti possibili, per poter decidere quale mi fosse
piaciuto di pi e tornarci.
Quando comunicai il mio progetto agli altri, venni considerato
da alcuni un eroe, da altri un folle. Iniziai a farci il callo. I miei
genitori ne furono molto spaventati. Erano preoccupati del mio
benessere e della mia serenit, chiaro, ma erano pur sempre legati
alla scala di valori della loro generazione. Vedevano nella mia precedente professione una sorta di realizzazione, un risultato del
quale non comprendevano lesigenza di liberarsi, qualcosa di cui
farsi vanto. Ci avevo messo dieci anni a laurearmi, e dopo nemmeno tre mollavo tutto? Perch non cercavo semplicemente un
altro lavoro, magari dopo un mesetto di relax in qualche villaggio
turistico esotico all inclusive?
Io per non avevo bisogno di relax, tuttaltro. Io avevo bisogno
di ritrovare qualcosa che avevo perduto, o che forse non avevo
nemmeno mai avuto. La mia crisi interiore non aveva minato solo
il mio rapporto con una professione, ma aveva messo in dubbio
tutto il sistema su cui essa si fondava. Non avevo bisogno di riposo e di cocktail alla frutta con gli ombrellini colorati, o di animatori con indosso il sorriso di ordinanza. Ne avevo le palle piene
di facciate imbiancate messe a nascondere una discarica di realt
squallide. Avevo dormito a sufficienza, era arrivata lora di correre.
Io volevo la risposta a esigenze diverse: cosa stavo facendo
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

della mia vita, e perch? Io volevo la verit, qualunque fosse. Volevo voltare pagina sul libro della mia vita, e cominciarne una
nuova. Il giro del mondo era un viaggio affascinante con un
enorme potere simbolico e unavventura terribilmente eccitante.
Cosa cera di meglio, per rimediare a due anni passati a non vivere?
Dopo un mese di animati preparativi, il 10 Novembre 2009
partii dallaeroporto di Venezia, zaino in spalla, un sorriso da orecchio a orecchio, e senza avere la pi pallida idea di cosa stessi facendo.
Le prime tre settimane furono dure. Terminati i primissimi
giorni, in cui andai a trovare prima degli amici a Londra, poi un
amico che studiava a San Francisco, mi ritrovai presto molto spaesato. Non ero mai stato in un ostello prima di allora. Inoltre mi
portavo appresso uninnata timidezza che, pur mitigata dalle esperienze del passato, era un grosso ostacolo alla socializzazione. I
ragazzi che ci incontravo sembravano tanto pi giovani di me, ma
riuscivano a fare amicizia tra di loro in pochi minuti. La giovane
et non era un limite, ma un vantaggio. Io rimanevo perlopi in
disparte a osservare le dinamiche, e solo con uno sforzo di volont riuscivo ad attaccare bottone con qualcuno.
La grande sfida di quei giorni fu proprio la solitudine.
Mi sentivo solo in molti modi differenti. Non cera solamente
la mia difficolt a socializzare, o il fatto che fossi in un altro continente in compagnia solo del mio zaino. Mi sentivo solo perch
ancora legato al mondo che mi ero appena lasciato alle spalle, e
da questo ricevevo qualche appoggio, ma poca comprensione.
Tra gli amici e i parenti, la convinzione comune era che io avessi
commesso una terribile sciocchezza, e che lavrei pagata cara: al
mio ritorno avrei patito la miseria, gli amici si sarebbero dimenticati di me, e forse avrebbero dato fuoco alla mia casa, chi lo sa.
Anche coloro che mi ritenevano un eroe per aver sfidato il sistema
malato con il mio gesto, non lo avrebbero fatto al posto mio. Condividevano la mia scelta, ma non lavrebbero fatta a loro volta.
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

Armiamoci e combattiamo, ma vai pure avanti tu.


In altre parole, ero solo dallaltra parte delloceano, con il mio
zaino, la mia timidezza e la mia decisione.
Una decisione pesantissima che dovevo sostenere sulle mie sole
spalle. Non avevo pi a disposizione un impianto sociale tradizionale che portasse con me il peso di una vita vissuta secondo le
convenzioni riconosciute. Non avevo pi la sicurezza di appartenere ad un gruppo, che segue una direzione che gli stata indicata
ma di cui ne ignora il senso. La vita era diventata solo mia e con
essa tutto il peso. Non stato facile.
Arrivai a Buenos Aires terrorizzato. In California almeno non
avevo problemi a comunicare, perch con linglese me la cavavo a
sufficienza. In Argentina invece potevo esibire al massimo un vocabolario di dieci parole in spagnolo. In pi cera la questione sicurezza: pur avendo scelto di entrare in Sudamerica proprio dal
Paese che viene considerato il pi europeo, e quindi pi sicuro ai
miei occhi, la sua capitale ha la fama di citt pericolosa, piena di
malviventi pronti a puntarti addosso un coltello o una pistola per
derubarti di tutto.
In realt, le cose andarono molto meglio del previsto. Scoprii
che gli argentini possiedono una attitudine a socializzare molto
pi marcata dei miei connazionali, soprattutto quelli del nord.
Provano inoltre per il nostro Paese un amore viscerale, a causa
delle grandi correnti di immigrazione del passato. La maggior
parte degli argentini ha un parente non troppo lontano che arriva
o vive ancora in Italia, per cui noi italiani siamo considerati ospiti
graditissimi.
Mi resi conto che, nonostante la mia ignoranza della lingua, con
una parola in spagnolo, una in inglese, una in italiano e un sorriso,
il pi delle volte riuscivo a cavarmela. Certo, all'inizio non intrattenevo grandi conversazioni, ma erano sufficienti per uscire la
sera a bere e ballare, riuscendo a farmi anche qualche bella risata.
La maggior parte delle battute e degli scherzi erano ancora al di l
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

della mia comprensione, ma questo sembrava suscitare ancor di


pi lilarit dei miei gioviali compagni di tavola.
Iniziai a sciogliermi. La situazione, pur difficile, era vantaggiosa. Mi trovavo nella rara possibilit di imparare una lingua, di
cambiare una parte del mio carattere e di crescere, circondato da
persone che provavano simpatia per il mio impaccio. Ora o mai
pi, mi dissi.
Affrontai la mia timidezza con la forza di volont, a testa bassa,
costringendomi ad agire sempre pi spesso. Iniziai ad attaccare
bottone con maggior facilit, e a riconoscere negli occhi di chi
incontravo in ostello il mio stesso desiderio di avere compagnia.
Mi resi conto che non tutti gli altri viaggiatori erano disinvolti
e socievoli come pensavo, anche tra i pi giovani serpeggiava qualche ostacolo simile al mio.
Non era cos difficile, in fondo. Bastava sedersi nella sala comune, guardarsi intorno, e cercare lo sguardo di chi non era impegnato a leggere o a fissare il cellulare. A quel punto un saluto o
una domanda qualsiasi, come avete qualche escursione in programma per oggi? o Dove hai preso quel sushi? era tutto
quello che serviva per rompere il ghiaccio. In ostello i convenevoli
non sono necessari, e nemmeno richiesti. La gente sta due giorni,
poi se ne va. Non c tempo per cincischiare in saluti, o in ma
poi cosa penser di me?. Il tempo corre, e sprecarlo un reato.
La gente arriva da tutte le parti del mondo, chi se ne frega se
vestita o se parla in modo stravagante? Siamo in viaggio proprio
per non vedere sempre le solite facce e seguire le stesse abitudini.
Una brutta figura dura al massimo lo spazio di un pomeriggio, e
viene presto dimenticata. Si sopravvive. Iniziai ad amare latmosfera internazionale e lenergia giovane degli ostelli, e mi sentii
stupido ad averli scoperti cos tardi.
I primissimi giorni il mio dramma era stato il giorno dei saluti.
Magari ero riuscito dopo molti sforzi a fare amicizia con
qualcuno, ma arrivava sempre il momento di separarci, e io
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Sulla strada giusta, Francesco Grandis - Estratto gratuito

dovevo ricominciare da capo, ripiombando nella solitudine. Dopo


qualche settimana avevo ormai capito che per ogni arrivederci,
buon viaggio cera sempre un ehil, ben arrivato pronto dietro
langolo. Il popolo dei viaggiatori da ostello, i turisti con lo zaino,
erano una corrente sempre in movimento: bastava saltarci dentro,
e godersi il flusso di energia e di novit.
Dopo poco pi di un mese la mia timidezza era finalmente
scomparsa, battuta.
Forse la mia scelta non era stata cos sbagliata, dopo tutto.

Fine dell'estratto gratuito.


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