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i testi che ti proponiamo coinvolgono molte persone: traduttori, redattori di testi


informativi e promozionali, correttori bozze, attività amministrative e burocratiche…

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ne ricavano le risorse economiche per vivere. Se i libri (cartacei o in forma di ebook)
e Dvd che diffondiamo, invece di essere acquistati, vengono duplicati, riducendo le
nostre entrate, per noi può risultare difficile compiere gli investimenti necessari alla
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ENNEAGRAMMA
I NOVE ABITANTI DELLA TERRA

La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne raccolse un
pezzo e vedendo in esso riflessa la propria immagine, credette di possedere l’intera
verità.

Jalāl ad-Dīn Rūmī

Il CISE, Centro per l’Innovazione e lo Sviluppo Economico, ha attribuito al Gruppo


Editoriale Macro, il marchio di Impresa Etica
FERMATI, VIVI

Nel 2017 Macro compie 30 anni,


l’occasione perfetta per lanciare un’iniziativa originale e contro corrente: Fermati, Vivi!

Un messaggio semplice, per un mondo che corre.


Simbolo della campagna una panchina gialla, che invita a sedersi, e a pensare. Una pausa di vita in
un mondo che dei ritmi naturali e vitali dell’essere umano se ne infischia alla grande.
Da sempre Macro si impegna con libri, ebook, dvd e iniziative a diffondere una cultura di benessere
olistico e naturale, invitandoci a scegliere con consapevolezza chi davvero vogliamo essere.
Sono stati 30 anni pieni di successi, sfide e, soprattutto, benessere, che abbiamo sempre avuto la
gioia e il desiderio di condividere con tutti voi.
Ecco perché vi immaginiamo tutti seduti accanto a noi sulla panchina gialla; fermi a vivere. Non
potremmo farvi e farci un augurio migliore.

Chi va di fretta…
non pensa, imita
non sceglie, si adegua
non respira, sta in apnea
non cambia, ripete
non si fa domande, obbedisce
non si guarda dentro, ma solo fuori
non si nutre, ingoia
non ama, ha paura

CHI NON SI FERMA È PERDUTO

WWW.FERMATIVIVI.IT
LUCA GIORGETTI
con la prefazione di Manuele Baciarelli

ENNEAGRAMMA
I NOVE ABITANTI DELLA TERRA

SCOPRI IL TUO ENNEATIPO E TRASFORMA LA TUA VITA

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Per maggiori informazioni sull’autrice e sulla stessa collana visitate il nostro sito
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coordinamento editoriale Sara Broccoli


revisione Mario Manzana
editing D. Ganzerla, V. Pieri
copertina Roberto Monti

collana “Nuova Saggezza”


I edizione eBook settembre 2016
isbn 9788893192613

© 2016 Macro Edizioni


un marchio del Gruppo Editoriale Macro
Via Giardino, 30 - 47522 Cesena (FC)
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Indice

Prefazione

Parte prima
Introduzione

Introduzione
La storia dell’enneagramma
Essenza e personalità

Parte seconda
Riconoscersi

I primi mezzi per riconoscersi


La struttura della personalità
Enneatipo Uno
Enneatipo Due
Enneatipo Tre
Enneatipo Quattro
Enneatipo Cinque
Enneatipo Sei
Enneatipo Sette
Enneatipo Otto
Enneatipo Nove

Parte terza
La strada per la versione migliore di sé

Il prezzo dell’evoluzione
Enneatipo Uno
Enneatipo Due
Enneatipo Tre
Enneatipo Quattro
Enneatipo Cinque
Enneatipo Sei
Enneatipo Sette
Enneatipo Otto
Enneatipo Nove

Parte quarta
Analogie e corrispondenze

Diverso è bello
Le triadi
Attaccamento, frustrazione e rifiuto
Assertivi, dipendenti e riluttanti
Positività, competenza e reattività
Come non usare l’enneagramma
L’equilibrio
Gestualità e dialogo interno
Meccanismi di difesa
L’origine degli enneatipi
Ricordi d’infanzia
Aiutarsi a vicenda
Amore meccanico o cosciente
La tua libertà è in ciò che eviti
“Caro enneatipo, ti scrivo…”

Conclusioni
Ringraziamenti
L’autore
Prefazione

È
con molto piacere che scrivo questa prefazione al libro di Luca. I miei studi riguardano la
relazione tra le tipologie caratteriali (enneatipi) e la cosiddetta “malattia”, e il mio incontro con
l’autore è avvenuto su queste basi, attraverso il mio libro L’Enneagramma Biologico di cui Luca è
un attento conoscitore.
Il libro di Luca verte esclusivamente sul tema della personalità, secondo il modello
dell’enneagramma. Ci sono molti libri in commercio che trattano quest’argomento e devo dire che,
nella sua apparente semplicità, questo studio ha qualcosa di misteriosamente “unico”.
Ho letto questo libro tutto d’un fiato e mi hanno colpito la precisione e la profondità con cui
vengono descritte, pur con una leggerezza stilistica che cattura l’attenzione del lettore, anche “non
addetto ai lavori”, le tipologie caratteriali. Il tutto accompagnato con le storielle di Nasreddin che
consentono al lettore di non dimenticarsi, ogni tanto, di sorridere e di concedersi anche un po’ di
autoironia, visto che parlare di personalità, passioni e calli dolenti da farsi schiacciare può non
essere un argomento attraente.
Il libro accompagna il lettore nello straordinario viaggio di questa nuova comprensione della
personalità, non solo nella descrizione dei comportamenti, ma soprattutto nell’individuazione della
motivazione profonda, e questo diventa un ulteriore strumento di conoscenza e di libertà.
Sono certo che potremo considerare questo contributo allo studio della personalità come un
ulteriore arricchimento e una fonte di approfondimento futuri, utili per gli studiosi e i lettori stessi.

Manuele Baciarelli
N
el corso dello studio sull’enneagramma ho letto molti autori e relativi test per
l’autoriconoscimento del proprio enneatipo: tutti validi e utili. Il test elaborato da Luca Giorgetti
denota un lavoro di stesura accurato e puntuale, ma soprattutto presenta, a mio avviso, un pregio e un
valore aggiunto rispetto ad altri, perché accompagna il lettore a un livello oggettivo di giudizio, senza
stimolare l’autocompiacimento o il rifiuto di uno stato caratteriale. Questi ultimi atteggiamenti,
infatti, possono fuorviare il compilatore del test che, consapevole di sentirsi sotto giudizio, rischia
di... voler fare bella figura. L’elaborazione e l’esame del test di Luca sono quindi conseguenti:
all’esaminatore esperto risulta più facile accompagnare il lettore all’autoanalisi sulla base delle
risposte fornite.

Claudio Trupiano
Parte prima
Introduzione
Introduzione

A
gli inizi del secolo scorso, intorno a un tavolo imbandito, aveva luogo di tanto in tanto un
“brindisi degli idioti”. Ogni invitato portava un soprannome. Questo richiamava un tratto tipico
della persona, una caratteristica principale. Poteva trattarsi di un aspetto caratteriale o addirittura
della parte più essenziale della vita di quella persona.
“Mezzo-sonno”, “Biscotto”, “Magrezza”, nessuno veniva risparmiato dal nomignolo. Ma mai vi
si trovava una connotazione negativa rispetto al soggetto in questione: i soprannomi erano stati scelti
apposta perché descrivessero la persona nella sua essenza nella maniera più schietta ed esaustiva ma
al tempo stesso ironica. L’obiettivo non era mai quello di ferire, ma di scoprire il callo dolente
dell’individuo.
Ad attribuire questi nomi era il diretto interessato o George Ivanovič Gurdjieff. I suoi conviviali
erano a volte ospiti, altre veri e propri allievi di quella che potremmo oggi definire una “scuola di
vita”.
Veniva chiamato un nome e il brindisi consisteva in un bicchierino di armagnac o di vodka. Nel
tempo lo studente poteva muoversi lungo la “scala dell’idiozia”: da “idiota totale” poteva
raggiungere il prestigioso livello di “idiota a zig-zag”, oppure passare da “idiota illuminato” a
“idiota che dubita”.
Ma cos’era la caratteristica principale di cui si parlava? In breve, rappresentava l’ostacolo più
duro e impegnativo da sormontare per quell’individuo verso la realizzazione della versione migliore
di se stesso. Dunque, ogni metodo che gli ricordasse quell’aspetto era lecito. Allora perché definirlo
idiota? Al di là dell’aspetto ludico, vi è un motivo molto preciso.
La parola idiota ha due significati. Il vero significato, che le fu dato dagli antichi saggi, era essere se stessi. Un
uomo che è se stesso sembra e si comporta come un folle per coloro che vivono nel mondo delle illusioni,
così, quando essi chiamano idiota un uomo, intendono dire che non condivide le loro illusioni. Chiunque decida
di lavorare su se stesso è un idiota in entrambi i significati. Il saggio sa che sta cercando la realtà. Lo stupido
pensa che sia impazzito1.

Esiste dunque un modo serioso di imparare, così come esiste anche un modo serio ma non
serioso. Significa che prendersi un po’ in giro è un modo efficace per guardarsi da fuori in una
maniera nuova, non denigratoria ma costruttiva.

Mullah Nasreddin
Dal momento che troppo cibo rovina lo stomaco e troppa saggezza rovina l’esistenza, forse è bene
non essere troppo saggi e imparare a essere un po’ più idioti.
Per questo ho domandato al “saggio più idiota che esista” di accompagnarci in quest’avventura:
nientepopodimeno che Nasreddin “dalla barba bianca”. Andiamo subito a conoscerlo!
Un giorno, un vicino si presentò da Nasreddin per domandargli in prestito l’asino, nel caso in cui lui non ne
avesse un bisogno urgente.
«L’asino non sta qui», rispose. Proprio in quel momento, il somaro che stava nella scuderia si mise a
ragliare.
L’uomo: «Vedi, Nasreddin, l’asino è qui, e per non darmelo tu hai finto che non ci fosse. Non mi piace la tua
condotta. Mi dispiace dirtelo».
Nasreddin, nascondendo a malapena la sua collera, replicò: «Proprio il contrario, sono io che debbo
dispiacermi per l’ingiuria che tu mi fai nel credere all’asino piuttosto che a me, venerabile Nasreddin dalla
barba bianca!».

Nasreddin, o Mullah Nasreddin, o ancora Nasrudin, Nasr Eddin, Hodja e così via, è un
personaggio mitico conosciuto in tutto l’Oriente. Sempre protagonista di storie o parabole, presenta
grandi verità con sfumature divertenti. Benché a volte si comporti come un genio, altre da stupido,
ogni storia in cui appare è costellata di saggezza.
La grande qualità delle parabole è quella di comunicare attraverso un linguaggio diverso da
quello meramente concettuale: un’immagine ha un sapore molto diverso da un’espressione teorica.
Ecco perché le avventure e disavventure di Nasreddin saranno ricorrenti lungo tutto il nostro viaggio
alla scoperta dell’Enneagramma delle Personalità.
In questa storia impariamo subito ciò che invito il lettore a fare per tutto il percorso, ovvero a
verificare di persona quanto troverà scritto. Nessuna “barba bianca” può dirci cosa sia vero e cosa
no riguardo a noi stessi. Possiamo farlo soltanto noi, forti della nostra sincera capacità di
autosservazione.
Dunque, attenzione! Il comportamento di Nasreddin potrà essere un buon esempio come un cattivo
esempio. Il nostro Mullah è uno specchio che riflette la realtà dell’essere umano, a noi spetta saper
distinguere un insegnamento da un avvertimento.

Perché l’Enneagramma delle Personalità?


Il cuore di questo studio risiede nel permettere al lettore di avere una base per potersi avventurare
alla scoperta di se stesso con una certa autonomia. Si tratta di inserire una nuova chiave di lettura
della propria quotidianità attraverso una diversa e rinnovata comprensione dei propri comportamenti
e motivazioni.
Sembrerà strano, ma l’Enneagramma delle Personalità ha poco a che vedere con la psicologia.
Ciò di cui si parla è meccanica. Le nostre vite sono assoggettate a una serie di meccanismi di causa
ed effetto di cui per la maggior parte del tempo non siamo consci. Colui che osserva questo processo
non può fare a meno di volersene liberare: è per questo che serve riconoscersi. Come faccio a
liberarmi dei miei automatismi se non li riesco a vedere? Solo quando li avrò appresi potrò pormi la
domanda cruciale, ovvero:
“Dov’è la mia libertà se in risposta ad ogni evento della vita reagisco in una maniera dettata
dalla mia personalità, illudendomi di aver effettuato una scelta imparziale?”.
Capisco che l’affermazione sia forte. Ma prima di contestarla, invito il lettore a rifletterci sopra
attentamente.
Ho potuto osservare su me stesso e su tante persone gli enormi benefici risultanti dal rendersi
conto della necessità di cambiare utilizzando questo strumento come appoggio. In generale, se non è
percepita l’esigenza di uno sviluppo, l’Enneagramma delle Personalità rimarrà comunque uno
strumento utile per conoscere meglio se stessi e gli altri.

Dunque, tra i due obiettivi proposti da questo libro, ovvero:

• riconoscere la propria tipologia;

• lavorare su se stessi verso una crescita a partire dal punto precedente;

non tutti necessariamente vorranno applicare subito il secondo punto. Tuttavia, spesso mi ritrovo di
fronte a domande quali: «Mi sono riconosciuto in questo enneatipo, adesso cosa faccio?».
Per “enneatipo” si intende quella particolare tipologia comportamentale, con le sue relative
motivazioni di fondo. Questo sistema ne riconosce nove principali con molte altre sfaccettature di cui
si parlerà ampiamente in questo testo.
Tornando alla domanda precedente (una delle più intelligenti che una persona possa fare), in
genere rispondo: «Cosa fare? Non fare nulla! Innanzitutto continua a osservarti».
È difficile accettare l’idea di “non fare”, prediligendo l’osservazione. In questo testo ci saranno
numerose occasioni per approfondire questo tema cruciale. È proprio attraverso l’osservazione
imparziale e onesta che la maggior parte dei cambiamenti può avvenire in maniera quasi spontanea.
L’unico sforzo necessario è quello di non “raccontarsela”.

Ciò che è riportato nelle descrizioni dei singoli enneatipi è una raccolta di dati empirici che
studiosi di sé e dell’uomo, Maestri e terapeuti hanno saputo mettere insieme. Ma soprattutto, nulla di
tutto questo avrebbe potuto essere fatto senza la partecipazione della singola persona e il suo sforzo
nel cercare di comprendersi.
Ecco che in una prima parte verranno quindi presentati i vari enneatipi con le loro caratteristiche
più comuni e i vari aspetti più automatici e inconsapevoli, cioè quelli che fanno sì che, nonostante i
cambiamenti, nella nostra vita ci rimanga la percezione che questa sia rimasta sempre la stessa,
giorno dopo giorno. Può anche cambiare ciò che si osserva, può cioè alternarsi il giorno con la notte,
la primavera con l’autunno, ma finché l’osservatore rimane nella stessa posizione il paesaggio
rimarrà sempre lo stesso. Ci piace questo panorama o vogliamo provare ad ampliare il nostro
sguardo?
A cosa serve annotare accuratamente ogni dettaglio di questa visuale se non a farci accorgere che
è semplicemente una cartolina e non la vita reale? A cosa serve soffermarsi sui dettagli della nostra
personalità (o peggio ancora di quella altrui) se questo non ci dà vantaggi nella vita di tutti i giorni?
È qui che arriviamo allo scopo centrale del libro, ovvero fornire una base per un lavoro di
comprensione di sé. L’attitudine fondamentale e necessaria è (permettetemi di ripeterlo ancora una
volta) la sincerità verso se stessi: siamo soliti dipingerci in maniera diversa rispetto a come siamo in
realtà, tralasciando ciò che siamo realmente e soffermandoci su ciò che pensiamo di noi. Spesso ci
vediamo per ciò che vorremmo essere. Ma sono le nostre azioni a stabilire chi siamo realmente. Per
questo motivo l’aiuto di persone che ci conoscono bene e di cui ci fidiamo è molto importante: ci
possono fare da specchio.
La storia dell’enneagramma

Q
uesta misteriosa figura a nove punte detta enneagramma, dal greco ennea (nove) e gramma
(segno), è legata in maniera imprescindibile a colui che l’ha resa nota al mondo occidentale,
G.I. Gurdjieff.

Nato in Armenia nel terzo quarto dell’Ottocento (alcuni autori attestano la sua nascita al 1872,
altri riconoscono l’inesattezza dei dati giunti fino a noi), dedica la prima parte della sua vita alla
ricerca della verità, così come raccontato nel suo libro Incontri con uomini straordinari. Viaggia
per circa vent’anni in Oriente, tra monasteri e misteriosi saggi custodi dell’antica “conoscenza
oggettiva”, in Kurdistan, Persia, Egitto e così via.
Lo ritroviamo in Europa agli albori del Novecento, più precisamente in Russia, dove fonda
diversi gruppi di lavoro. In un periodo estremamente acceso come quello della rivoluzione
bolscevica e della prima guerra mondiale, nel 1915 incontra P.D. Ouspensky. Questi, pubblicando il
suo testo Frammenti di un insegnamento sconosciuto, ci ha permesso di avere a disposizione in
maniera intellegibile il cuore dell’insegnamento di Gurdjieff. Gli scritti di quest’ultimo risalgono a
un periodo compreso tra la metà degli anni Venti e degli anni Trenta, ovvero gli anni in cui aveva
deciso di stabilirsi a Fontainebleau, in Francia. Qui fondò l’Istituto per lo sviluppo armonico
dell’uomo e vi rimase fino alla sua morte nel 1949.
Non nego quanto sia affascinante la storia della vita di quest’uomo. Lascio al lettore il piacere di
avventurarsi alla scoperta delle sue intriganti odissee.
In verità, l’enneagramma è sì presente in qualità di simbolo centrale in grado di racchiudere le
principali leggi che governano la vita, ma non viene citato più di tanto nei testi dell’armeno
Gurdjieff, il quale ne I racconti di Belzebù a suo nipote si autodefinisce “Maestro di danze”.
Proprio grazie alla musica e alla danza, infatti, egli permetteva ai significati nascosti nella figura
dell’enneagramma di prendere vita attraverso il movimento dei danzatori. Pratico da anni questi
movimenti, noti come “Movimenti di Gurdjieff” o “Danze sacre”, ispirati anche ai famosi dervisci
rotanti. Devo ammettere che si tratta di uno degli aspetti più affascinanti di questo insegnamento.
Voglio riportare uno tra i passi più significativi in merito.
Un uomo isolato nel deserto che tracci l’enneagramma sulla sabbia, può leggere in esso le leggi eterne
dell’universo2.

Non mancò, comunque, uno studio delle caratteristiche individuali legate al carattere umano. Di
quest’aspetto ci è giunto poco. Solo Rodney Collin, in Le influenze celesti, ha descritto i principali
“tipi planetari”, cercando così una corrispondenza tra uomo e cosmo.
Tutto questo ha ben poco a che vedere con l’Enneagramma delle Personalità che conosciamo
oggi. Dobbiamo l’esistenza di questo nuovo sistema ad altri due studiosi. Mentre il primo, Oscar
Ichazo, ha lasciato poco di scritto a riguardo, è solo grazie allo psichiatra e psicoterapeuta cileno
Claudio Naranjo se oggi questo strumento ha raggiunto livelli di diffusione tanto ampi. La
divulgazione di questo sistema risale alla seconda metà del secolo scorso, iniziando come
conoscenza di nicchia riservata a pochi (e continuando in questa direzione con la visione di Ichazo),
fino a diventare oggi fenomeno ormai noto in tutto il mondo.

La figura
La struttura geometrica dell’enneagramma è suddivisibile in tre componenti principali.

• Una circonferenza.

• Un triangolo interno.

• Un particolare esagono (“esade”).

La domanda più legittima che ci si possa fare è: come si è arrivati a disegnare questa figura? La
risposta è più semplice del previsto. Procediamo con ordine. Innanzitutto si disegna la circonferenza.
Dopodiché si collocano nove punti su di essa, numerandoli da uno a nove.
A questo punto si tratta di fare uno o più calcoli, ognuno dei quali porta a risultati diversi, ma
sono tutti destinati a generare la medesima figura geometrica, ovvero l’esade:

1/7 = 0,14285714285…
2/7 = 0,28571428571…
3/7 = 0,42857142857…
4/7 = 0,57142857142…
5/7 = 0,71428571428…
6/7 = 0,85714285714…

In poche parole, posti nove punti su di una circonferenza e uniti tra loro a seconda del risultato
della divisione (che dà un valore periodico, cioè che si ripete all’infinito), si ottiene la figura a
esagono che rimanda a quella che Gurdjieff chiamava Legge del Sette.
Manca il triangolo. Osservando con attenzione, possiamo notare come nei calcoli precedenti non
compaiano mai le cifre 3, 6 e 9. Unite tra loro, infatti, sono rappresentative di un’altra legge distinta,
detta Legge del Tre.

Come detto in precedenza, attraverso queste due leggi principali integrate con il sistema di
conoscenza di cui l’enneagramma fa parte, detto Quarta Via, è possibile leggere le principali
manifestazioni dell’universo. La Legge del Tre riguarda la creazione, mentre la Legge del Sette
riguarda come la creazione si organizza. Ma non è qui che verrà approfondito ulteriormente questo
tema. Rimando il lettore curioso al testo di P. D. Ouspensky già citato in precedenza.
L’Enneagramma delle Personalità oggi
L’Enneagramma delle Personalità di Ichazo e Naranjo si rifà alla medesima figura utilizzata dai primi
studiosi europei, ma con un’applicazione differente. A tal proposito va sottolineato che ci sono ignoti
la maggior parte dei collegamenti tra questo nuovo utilizzo e quello inizialmente introdotto da
Gurdjieff (al punto da poter essere ritenuti due sistemi di conoscenza completamente separati). In
ogni caso, la struttura dell’enneagramma è fondamentale per non suddividere le tipologie caratteriali
in compartimenti stagni. La figura, con i suoi andamenti interni e lungo la circonferenza, ci è utile per
riconoscere quali siano le relazioni tra i vari tipi. Questi collegamenti rendono più comprensibili le
possibilità di trasformazione che un cercatore, ritrovatosi in un certo enneatipo, può sondare
nell’arco della sua vita.
Diversamente da come si potrebbe credere, lo studio dell’Enneagramma delle Personalità ci aiuta
a riconoscere determinate caratteristiche che ci sono già proprie, evitando accuratamente di
“incasellare” pericolosamente le persone in delle tipologie.
L’applicazione di questo strumento è tra i più vari: dal suo impiego in percorsi di tipo psico-
spirituale alla gestione del personale in azienda, risulta essere uno studio estremante efficace nello
spiegare le radici dei comportamenti umani.
Essenza e personalità

D
urante uno dei suoi viaggi, Mullah Nasreddin si ritrovò in mezzo a un mercato, più assetato che mai. Ben
presto si affascinò di fronte a una bancarella che presentava dei frutti rossi, lucenti e succosissimi.
«Che meraviglia, proprio ciò di cui avevo bisogno!».
Prese dalla tasca un bel gruzzolo e lo porse al mercante: «Datemene un chilo!»
Il mercante sapeva bene che quei frutti erano a buon mercato e ci fece pure bella figura nel consegnarne
al nostro Nasreddin un chilo abbondante.
Pieno di soddisfazione, il Mullah si sedette nei paraggi e prese a mangiare i frutti con grande avidità. Ben
presto, però, si sentì la bocca in fiamme, gli cominciarono a scendere grossi goccioloni lungo le guance e in
gola gli parve di sentire un tizzone ardente. Ma questo non fu sufficiente a fermarlo.
Di lì passava un contadino che non appena vide l’uomo in quello stato pietoso non poté fare a meno di
metterlo in guardia. «Cosa stai facendo, folle? Non sai che quelli sono i peperoncini rossi più piccanti
dell’intero Oriente?».
«Non posso di certo andarmene di qui», rispose Nasreddin «non prima di aver terminato l’intero cesto».
«Se non smetti subito di mangiarli finirai per morirne!», lo incalzò l’altro, visibilmente preoccupato.
«Voi non capite», non esitò a rispondere, «non sto più mangiando peperoncini, ma i miei soldi!».

Questa simpatica storia (molto meno simpatica per il Mullah!), forse tra le più note, ci insegna il
profondo attaccamento che proviamo verso tutto ciò a cui dedichiamo tempo, soldi, energie.
Non siamo disposti ad accettare di poter lasciar andare ciò per cui abbiamo speso impegno e
sudore. Nemmeno di fronte all’evidente dimostrazione di come questo qualcosa ci abbia portato di
fronte al dolore o alla possibilità, finalmente, di effettuare una scelta.

È importantissimo distinguere l’essenza dalla personalità. Quest’ultima è qualcosa che possiamo


perdere, mentre la prima è ciò che è veramente caratteristico e unico in noi.
La personalità è rappresentata da quei peperoncini rossi da cui è così difficile staccarsi;
quell’insieme di atteggiamenti, abitudini e credenze in cui ci identifichiamo profondamente. Se ci
venisse chiesto: «Come ti descriveresti?», probabilmente risponderemmo in base a elementi tipici
della personalità. «Sono simpatico, un po’ timido, ma tutto sommato anche eccentrico e altruista», e
così via. Gli attributi che vanno a definirla non sono mai abbastanza. Tipicamente la personalità è una
moltitudine in continuo mutamento a seconda di fattori esterni: chi può dire di presentare sempre lo
stesso volto di fronte a diverse persone?
L’essenza, invece, com’è rappresentata nel racconto? Purtroppo non può che emergere nell’unico
modo in cui le concediamo di esistere: quella sete che ci spinge a muoverci e a conoscere le cose.
Non è molto più di un seme che richiede tanta acqua per essere nutrito per potere, un giorno,
diventare una splendida e robusta pianta. Ma a noi piace innaffiarlo con… peperoncini. Solo un
domani all’essenza sarà possibile assumere caratteristiche più concrete e spendibili nella realtà, a
patto che impariamo come prendercene cura. Purtroppo, però, nessuno ci ha insegnato a farlo.
Va da sé, dunque, che un lavoro sensato su di sé dovrebbe prevedere lo sviluppo dell’essenza a
discapito della personalità. Ma come possiamo fare un lavoro su un seme? Effettivamente non
abbiamo molte possibilità. L’unica cosa che rimane da fare è lavorare il terreno in cui è stato
piantato.
È impossibile rieducarci senza aver lasciato prima andare qualcosa. Tutto ciò che dobbiamo
abbandonare è nella personalità poiché, per definizione, ciò che possiamo perdere non è mai stato
nostro.
Un giorno un filosofo si recò da un maestro zen e gli dichiarò: «Vengo per scoprire i principi e gli scopi dello
Zen».
«Posso offrirti una tazza di tè?», domandò il maestro in risposta. Cominciò dunque a versare la bevanda in
una tazza.
Quando fu colma, non si fermò. Ben presto l’uomo non poté fare a meno di trattenersi: «Ma cosa state
facendo, non vedete? State versando il tè ovunque!».
«Come questa tazza», gli rispose, «la tua mente è troppo piena di pensieri, opinioni e credenze perché si
possa veramente versare qualcosa al suo interno. Come posso spiegarti lo Zen se prima non vuoti la
tazza?».

La personalità è il risultato di ciò che abbiamo accumulato dall’esterno. Quest’accumulo ricorda


molto una bottega dell’antiquariato dove, in un grande disordine, sono accatastati ricordi di ogni tipo
e di cui ci siamo dimenticati la provenienza. Per scoprire l’origine di quanto vi troviamo, possiamo
mettere l’attenzione sul particolare gusto del bottegaio. Intorno ad ogni essenza, infatti, si è costituita
una personalità più o meno corrispondente.
Ma da dove nasce l’essenza, da dove inizia la personalità? Per la prima è difficile dare una
risposta, ma è ragionevole ritenere che sia comparsa nella pancia della mamma, dove i suoi geni e
quelli del papà hanno prestato la materia in cui permettere a quel particolare tipo di qualità
essenziale, unica e irripetibile, di manifestarsi.
Riguardo alla personalità riusciamo invece a essere molto più precisi. Un bambino che, inerme,
si affaccia per la prima volta alle situazioni della vita si ritrova privo delle istruzioni necessarie per
cavarsela in un mondo a lui sconosciuto. È così che inizia a imitare gli adulti e questi non esitano a
istruirlo sui come e i perché di una realtà che è la naturale estensione della corazza che usiamo per
proteggerci.
La nostra essenza, infatti, è troppo tenera per la vita. Non conosce i concetti di spazio, di tempo,
di sopravvivenza, di territorio. Ha bisogno di qualcuno che la protegga, e quest’armatura è la
personalità. Ecco dunque che il bambino impara stratagemmi per ottenere più attenzione, più
giocattoli, più amore. Impara a imitare gli adulti. Scopre quali sono i metodi ottimali per far fronte
alle sue paure: che si tratti della separazione dai genitori, del timore di rimanere senza un tetto sopra
la testa o del non essere preso in considerazione. Va da sé descrivere la personalità come un
adattamento all’ambiente, il che implica per forza di cose il sacrificare in buona misura la propria
individualità. Nasce come interfaccia con il mondo esterno.
Come una persona che guardando un film dimentica tutte le preoccupazioni della giornata, con il
passare degli anni il bambino diventato adulto si dimentica del perché abbia iniziato a imbottirsi di
tutte queste protezioni. Quest’interfaccia, quindi, sarà estesa ad ogni aspetto della sua vita, compreso
quello della sua interiorità.
Nel tempo, insomma, il protettore diventa un carceriere. Le sbarre della cella avranno la veste di
garanzia per la sopravvivenza e le chiavi daranno fastidio alla vista del prigioniero a tal punto che
egli non vorrà più vederle per alcun motivo.
Passeggiando, un signore incontrò Mullah Nasreddin che cercava qualcosa per terra.
«Cosa andate cercando?», domandò.
«La mia chiave», rispose.
Il passante si inginocchiò e si mise ad aiutarlo. Passato un po’ di tempo durante il quale non vi era stata
traccia dell’oggetto, chiese: «Vi ricordate dove l’avete persa?».
«Certamente», rispose tranquillamente Nasreddin, «a casa mia».
«Ma perché dunque la cercate qui?».
«Perché qui c’è più luce».

L’essenza è come una ferita ricoperta da tanti cerotti. La sentiamo perché ci dà fastidio. Noi
vediamo solo la medicazione e non capiamo come mai continui a farci male. Dunque mettiamo
sempre nuove pezze, ma non abbiamo mai il coraggio di far luce dove c’è buio, dove c’è la ferita che
pulsa. Potrebbe farci molto male, oppure abbiamo paura di non trovarci nulla o che ciò che c’è sotto
non ci piaccia.
Proprio per questo motivo a noi piace cercare dove c’è luce. Abbiamo la tendenza a porre
sempre le stesse domande e a darci sempre le solite insoddisfacenti ma (temporaneamente)
tranquillizzanti risposte. Così non facciamo altro che ispessire questa cortina che ci separa dalla
nostra parte più genuina. Come mai anche quando tutto sembra andar bene ed esistono a nostro avviso
ragioni oggettive per essere felici, continua a mancare qualcosa? Oppure come mai abbiamo paura di
essere felici? Perché temiamo che qualcuno ci possa portare via questo stato?
Abbiamo costruito sulla sabbia. Alla prima folata di vento, tutto ci può essere portato via.

La personalità come principale oggetto di lavoro


Non che la personalità sia qualcosa da gettare nel dimenticatoio e lasciar marcire (anche perché
sarebbe impossibile). Va solo rivista con nuovi occhi. Perché e in che maniera farlo?
Partiamo dal presupposto che chi non conosce se stesso non ha la possibilità di raggiungere alcun
risultato desiderato. D’altronde, come posso dire di volere veramente una cosa se non so chi sono, se
cioè non so se quest’obiettivo è in accordo con i miei veri desideri? Dunque, studiare la propria
personalità, il proprio enneatipo, è un modo per osservare quali sono i nostri automatismi, i “bottoni”
che la vita ci preme e a cui noi reagiamo solo con l’apparenza di una scelta.
Il solo osservare questi comportamenti meccanici già porta un cambiamento. Quale? Finalmente
la possibilità di vederci con un minimo di oggettività e non con il solito filtro che indossiamo, per il
quale un giorno siamo belli, il giorno dopo brutti.
In un secondo momento potremmo anche sentire l’esigenza di cambiare qualcosa e di effettuare un
lavoro per il nostro sviluppo, per ambire cioè a una maggiore libertà. Se, infatti, la maggior parte dei
nostri automatismi che sembrano aver regolato la nostra vita fino a oggi può essere messa nero su
bianco, forse non è più il caso di definirsi così “liberi”!
Parte seconda
Riconoscersi
I primi mezzi per riconoscersi

U
n giorno, Mullah Nasreddin, avendo caricato sul suo asino due panieri colmi di uva di una lontana vigna,
ritornava tranquillamente a casa sua. Cammin facendo si trovò circondato da una banda di ragazzi del
quartiere che volevano assolutamente mangiare dell’uva.
Il Mullah non poteva accontentare tutti perché donando un grappolo ciascuno non gli sarebbe rimasto
quasi nulla. Egli offrì, di conseguenza, da un grappolo, solo tre o cinque acini ciascuno.
«Nasreddin», brontolarono i malcontenti, «perché così poca?». «Ragazzi miei», rispose Nasreddin, «il
gusto di un solo acino è uguale a quello di tutto il contenuto del paniere. Quindi non c’è, sotto questo rapporto,
nessuna differenza tra il poco e il molto!».

Alcune delle più fuorvianti tentazioni in cui si cade nel cercare di riconoscere il proprio
enneatipo sono legate a nostre tendenze tipiche e soggettive, quali il riconoscersi un po’ in tutti o il
non accettarne nessuno.
Man mano che si approfondisce con queste attitudini, ci si ritrova a sentirsi un po’ simile a questo
e un po’ simile a quest’altro. Aggiungendo dettagli su dettagli, ci si smarrisce nelle piccolezze
perdendo di vista lo schema generale. Continuiamo a mandar giù un chicco di uva dopo l’altro
cercando in qualche modo di trarre una conclusione assaporando sempre lo stesso gusto. Purtroppo,
dopo un po’ perdiamo sensibilità e tutti i sapori cominciano ad assomigliarsi. In questo modo
abbiamo perso l’occasione di sfruttare l’impatto che ci dà un certo racconto o una certa descrizione
la prima volta che l’avviciniamo. È questa l’occasione in cui le nostre parti più istintive ed emotive
possono esserci di grande aiuto, mentre a lungo andare, a furia di spaccare il capello in quattro,
lasciamo sempre più spazio alla macina dell’intelletto, molto più lenta e meno attenta.
Per questo il mio consiglio è quello di gustare al meglio i primi acini, cioè le prime impressioni
ricevute dalla lettura della descrizione di un enneatipo. Ma prima gettiamo alcune basi.

Una persona, un enneatipo


Ognuno di noi rientra in un solo enneatipo e questo lo accompagna per tutta la vita: ciò significa che
sondare il proprio passato è spesso utile se siamo in grado di rivolgerci ad esso con uno sguardo
genuino e obiettivo. Esperienze particolarmente forti avvenute anche negli anni lontani e che
rimangono facilmente impresse sono rappresentative della nostra personalità e non di quella di un
altro.
Tuttavia non posso dire “sono un po’ Cinque e un po’ Quattro”. No, questa è una personalità che
cerca o di essere al di fuori delle righe sperando di essere in qualche modo “speciale”, o che non ha
voglia di trovare risposte. O sei un Cinque o sei un Quattro, non tutt’e due. Vedremo in un secondo
momento come mai sembriamo essere un po’ questo, un po’ quello.
Ogni individuo, per quanto possa essere classificabile in una certa misura entro degli schemi,
rimane unico e irripetibile in virtù della sua essenza, destino, storia personale. Per questo la vera
unicità che risiede in ognuno di noi va ricercata al di là di tutti i nostri comportamenti automatici e
inconsapevoli. Il nostro enneatipo è estremamente caratterizzante e ingombrante: è lui ad agire al
posto nostro in tutti i momenti in cui non ci ricordiamo della sua esistenza. È più corretto dire,
dunque, che possiamo avvicinarci alla nostra natura fondamentale solo nel momento in cui siamo in
grado di vederci da fuori e riconoscere le nostre reazioni meccaniche.
Per questo motivo non ha alcun valore aggiungere ulteriori etichette. Arrivati a riconoscerci in
una tipologia, l’obiettivo non è quello di incasellarsi definitivamente in uno schema
comportamentale. Anzi, si tratta di avere le informazioni necessarie per riconoscere i nostri limiti.
Questi non vanno esaltati né disprezzati: da una parte hanno contribuito fino a ora a darci un’identità,
dall’altra ci hanno costretti a girare sempre in tondo.
Ognuno di noi vorrebbe arrivare da qualche parte nella propria vita. Ma come possiamo
accorgerci di star tracciando con i nostri passi l’ennesima circonferenza destinata a tornare al punto
di partenza se ogni tanto non alziamo lo sguardo per dare un’occhiata a dove stiamo andando e
perché?

Primi passi verso l’autoriconoscimento: che cosa evito?


L’identificazione del proprio tipo andrebbe fatta dal vivo, parlando con una persona che conosce
bene l’argomento. Tuttavia non sempre è possibile, quindi ci si rivolge ai libri e ai testi. Il metodo
qui proposto serve unicamente per risparmiare la lettura di ogni singolo capitolo dedicato ognuno a
un enneatipo. Non è da intendersi come tecnica esaustiva e infallibile.

Suggerisco dunque di rispondere alla domanda:


“Che cosa evito?”.

Si tratta di scegliere tre opzioni tra le nove fornite. Può essere importante ricordarsi l’ordine con
cui le si è scelte, per cui è bene appuntarsele su un foglio. Le riflessioni tenderanno a spostarci
altrove e a farci tornare sui nostri passi, mentre la scelta andrebbe fatta “di pancia”, cioè in pochi
secondi. Niente cancellature e seconde scelte.
È bene sondare rapidamente anche il nostro passato alla luce di queste opzioni. Ripercorrerlo,
cioè, accompagnando l’emozione che sovviene alla lettura di una certa parola, dunque in un istante,
non di certo con la ricerca attiva dei ricordi. Il nostro enneatipo, come già detto, non è temporaneo o
transitorio, per cui se per caso stiamo vivendo un periodo particolarmente intenso, potremmo dare
risposte fuorvianti rispetto al nostro reale tipo.
Certe opzioni contengono più di una parola. Non è necessario che risuonino entrambe. Se una
delle due è molto forte, è bene comunque scegliere tale opzione.

Che cosa evito?


1. Ira/Umiliazione

Bisogno/Abbandono
3. Insuccesso/Disprezzo
2.

4. Ordinarietà

5. Vuoto/Ricatto

6. Trasgressione/Ambiguità

7. Dolore/Limitazione

8. Debolezza

9. Conflitto

Trovate le tre risposte, abbiamo un’indicazione generale del punto di partenza da cui potremmo
iniziare a riconoscerci. Tutte le possibili combinazioni di risposte hanno una logica, ma mi limiterò a
elencare qui due casi tra tanti.
Il primo prevede che almeno due risposte siano sulla stessa linea, ad esempio “ordinarietà” e
“bisogno” sono collegate da una linea interna tra Quattro e Due. Questo perché l’enneagramma, come
abbiamo già detto, è un sistema dinamico in cui ogni personalità ha in una certa misura contatti con le
altre.
Il secondo è legato agli opposti. Ad esempio, risposte come “conflitto”, “ira” e “vuoto/ricatto”
possono formare un triangolo interno all’enneagramma con la base rappresentata dalla congiunzione
del Nove con l’Uno e la punta sul Cinque. Questo rende plausibili tutte e tre le opzioni.
A volte potremmo anche ritrovarci a dare solo due risposte senza necessità di trovare una terza.
In altri casi ancora le risposte sembrano non avere alcuna relazione tra loro. Non è importante in
questo momento soffermarsi sui vari perché, è invece bene tenere a mente cosa si è scelto e
proseguire.
Lascio al lettore scegliere se addentrarsi subito nella lettura della descrizione dei singoli
enneatipi o se procedere con il prossimo passo, ma con un avvertimento. L’approssimazione delle
risposte alla domanda precedente dipende molto dal periodo che stiamo vivendo. Se non siamo in
grado di osservare nitidamente il nostro passato, soprattutto il periodo precedente la maggiore età,
probabilmente otterremo dei risultati fuorvianti. La fase successiva, invece, essendo più
approfondita, ha minori margini di errore.

Le frasi più comuni per enneatipo


Ogni personalità ha dei temi ricorrenti e per ognuna sono qui riportate diverse frasi. Trovare
corrispondenze per almeno dieci frasi è un buon indicatore di appartenenza a tale tipologia.
Confrontando queste risposte con quelle date alla domanda precedente, avremo abbastanza materiale
per addentrarci con occhio più critico alla sezione dedicata alle singole descrizioni.
Sono riportate diciassette frasi per enneatipo. Gli enneatipi sono elencati volutamente in ordine
sparso.
Ricordo un’ultima volta che questi test sono unicamente uno strumento di semplificazione
dell’autoriconoscimento. Non vogliono in alcun modo essere dei sostitutivi della ricerca individuale
del proprio enneatipo. Vanno dunque presi come riferimenti e non come sentenze definitive. Non
hanno valore se non trovano conferma dalla lettura del capitolo dedicato alla tipologia in questione.

Frasi tipiche Cinque


Gli altri sono troppo curiosi nei miei confronti.
I miei spazi sono estremamente importanti ed è bene che nessun’altro li occupi.
Esiste la mia casa, esiste il mio amico X, esiste il mio collega Y e la mia famiglia: tutte queste
cose non possono e non devono incontrarsi.
Quando affronto un nuovo argomento di studio, vorrei conoscerlo fino in fondo nel dettaglio, se
questo non risulta essere possibile, non procedo.
Gli altri dicono di vedermi freddo e distante.
Riesco a pensare liberamente solo quando mi trovo da solo, senza tante interferenze esterne.
Per fare una cosa importante è necessario che mi prepari adeguatamente, ma non mi sento mai
pronto a sufficienza.
Da piccolo i miei spazi venivano invasi spesso, e/o non mi è mai parso di interessare ai miei
genitori.
Mi sembra che mi venga sempre chiesto più di quanto io sia disposto a dare.
Prima di compiere un’azione la analizzo dettagliatamente in modo da essere preciso, non vorrei
sbagliare ed essere ridicolo.
Il mio parere è quasi sempre più oggettivo di quello altrui.
Non capisco come certe persone possano essere così illogiche.
Mi trovo a mio agio nella solitudine.
Conosco diversi stratagemmi per evitare di interagire con gente indesiderata.
Non amo andare in ambienti troppo frequentati o rumorosi.
In genere non prendo l’iniziativa nel rapportarmi con le altre persone, preferisco osservare
quanto accade ed eventualmente intervenire solo quando è estremamente necessario.
Spesso visualizzare nella mia mente un progetto è come averlo realizzato veramente.

TOT = _________________
Frasi tipiche Quattro
Mi piace fare le cose che non piacciono a tutti, se piace a tutti molto probabilmente a me non
piace.
Non ritengo gli altri capaci di comprendermi. Il mio mondo interiore è confuso e difficile da
capire.
Mi attrae il simbolico, l’essenziale, l’autentico.
Vengo accusato di essere esagerato, sia nella malinconia che nell’euforia.
Le cose potrebbero anche cambiare in meglio, ma certo questo non dipende da me.
Conosco e riconosco la sofferenza, per questo chi soffre entra facilmente in contatto con me.
Non mi piace l’idea di essere come gli altri, che si cerchi di farmi rientrare in una qualche
categoria.
Ho sentimenti profondi che spesso gli altri non possono immaginare.
Nel ricordare una situazione, la mia attenzione va spesso a ciò che mancava, a ciò che poteva
essere e non è stato.
Cerco di sorridere anche se dentro in realtà sono veramente triste.
Quando faccio una cosa, la faccio a modo mio, deve avere la mia impronta.
È importante che io abbia l’opportunità di comportarmi in maniera disinvolta e autentica.
Nei miei interessi posso vantare una certa raffinatezza, buon gusto e originalità.
A volte non so veramente ciò che voglio.
I cambiamenti della mia vita spesso sono stati condizionati da eventi sfortunati.
Fin dai miei più lontani ricordi, riconosco che i miei sentimenti sono molto profondi.
Espormi in pubblico rappresenta per me una situazione stressante.

TOT = _________________
Frasi tipiche Otto
La regola della vita è questa: il forte sopravvive, il debole viene eliminato.
Spesso mi dicono di essere troppo aggressivo o violento, ma è perché so quel che voglio.
Ho un’inclinazione naturale nello scovare le menzogne.
Le ingiustizie mi fanno imbestialire: non ho paura di lottare per ciò che è giusto.
Scovo rapidamente i punti deboli dell’altro.
Mi viene naturale colmare i vuoti di potere all’interno di un gruppo.
Non posso tollerare che qualcuno abbia il controllo su di me.
Difficilmente mi fido di qualcuno. Per provare la sua fedeltà devo sfidarlo.
Non ho paura del conflitto, è anzi l’occasione in cui la verità viene a galla.
Quando scopro una mia debolezza, faccio di tutto per farla sparire.
Proteggo chi sta sotto la mia ala.
Individuo facilmente chi detiene il potere all’interno di un gruppo.
Le cose sono giuste o sbagliate, bianche o nere, non esistono vie di mezzo.
Quando qualcosa non va, non esito a farlo presente, non importa se qualcuno ci può rimanere
male.
Non resisto alla tentazione di sgonfiare chi si crede di essere chissà chi.
Non mi piace oziare: sono una persona attiva.
La vita è un campo di battaglia, è fondamentale essere forti e combattivi.

TOT = _________________
Frasi tipiche Sei
Dubito frequentemente dell’affidabilità degli altri.
Sono scettico di natura.
Mi trovo a lottare molto spesso con le mie paure.
Essere una persona responsabile è molto importante per me.
Lavoro bene in gruppo, sono leale.
Spesso mi sento dire di essere troppo pessimista o sospettoso, in realtà sono solo prudente.
Occorre che in un lavoro o in una legge vi siano linee direttive esaustive.
È importantissimo sapere di chi posso fidarmi e di chi non posso.
Buona parte delle mie scelte è dettata dal mio bisogno di sicurezza.
Non sopporto l’ambiguità, ho bisogno di sapere da che parte stare.
La vittoria della squadra è la mia vittoria, non mi interessa essere un elemento di spicco.
Vorrei arrivare preparato ad ogni cambiamento, gli imprevisti generano ansia.
Riconosco di essere più sensibile delle altre persone alle possibili minacce.
Sento che mi è chiesto molto. Arrivo a dubitare di avere una mia vita, mi pare di vivere per gli
altri.
A volte temo di emergere: rischierei di scontrarmi con qualcun altro.
Conoscere la mia posizione e quella degli altri è molto importante per me.
Sono un ottimo collaboratore, faccio del mio meglio per portare a termine i miei compiti.

TOT = _________________
Frasi tipiche Nove
È raro che io mi innervosisca o mi agiti per qualcosa, sono una persona tranquilla.
Non capisco come mai le altre persone discutano o litighino tanto.
Non giudico gli altri, è raro che qualcuno che conosco di persona non mi vada a genio.
A volte mi è così difficile capire da che parte stia la ragione che non riesco ad avere una mia
posizione.
Tendo a sdrammatizzare le situazioni per tranquillizzare gli altri.
Vedo con una certa facilità come le altre persone potrebbero far pace tra loro.
Sono adattabile, basta che non mi si metta fretta o pressione.
Talvolta vengo accusato di essere un po’ apatico e privo di iniziativa.
I miei atteggiamenti sono sempre moderati.
A volte ho la tendenza a rimandare certe commissioni, domani ci sarà tempo per occuparsene.
Posso definirmi con una certa soddisfazione una persona accomodante, equilibrata e
disponibile.
Mi viene spontaneo tranquillizzare gli altri quando questi hanno un problema.
Non vale la pena di agitarsi tanto poiché nella vita le cose andranno come andranno.
Non sono un entusiasta, le cose vanno fatte con calma.
Desidero portare a termine i doveri per potermi dedicare agli hobby del mio tempo libero.
Se qualcuno litiga o alza la voce, faccio di tutto per mantenere la mia serenità.
In genere sento di aver ragione, ma non lo dico apertamente per evitare il confronto diretto.

TOT = _________________
Frasi tipiche Sette
Stare fermo troppo a lungo nello stesso posto mi annoia in fretta.
Spesso vengo apprezzato per la mia simpatia.
Mi piace raccontare storie su fatti divertenti.
Guardo al futuro con entusiasmo.
Mi piace sollevare il morale di un amico che sta male cercando di farlo sorridere.
Se poco è bene, molto è meglio!
Ogni lasciata è persa!
Mi viene riconosciuto il fatto di essere in grado di rallegrare le situazioni.
A volte mi accusano di essere superficiale, ma è perché non mi abbatto facilmente.
Il denaro serve per concedersi degli sfizi, per godersi la vita.
Sono piuttosto permissivo con me stesso, mi concedo le giuste ricompense.
Parlare delle cose negative non aiuta a cambiarle, meglio concentrarsi su quelle positive.
Sono molto curioso, mi piace sapere qualcosa di tutto.
Se gli altri fossero più spensierati, sarebbe un mondo più felice.
Mi piace mostrarmi allegro e positivo.
Mi è stato detto che sono indisciplinato, ma so gestire bene il mio disordine.
Salto rapidamente da una cosa all’altra perché capisco al volo dove porta una certa strada.

TOT = _________________
Frasi tipiche Uno
Chi fa da sé fa per tre.
Faccio del mio meglio per correggere i miei errori.
Per me è importante che io domani sia migliore di oggi.
A volte le ingiustizie occupano la mia mente per tantissimo tempo.
Sono scrupoloso, attento ai dettagli e non capisco chi li sorvola.
È maleducazione non rispettare attentamente gli orari. Il tempo è prezioso per tutti.
Quando mi accorgo di non venire ascoltato, mi arrabbio facilmente.
So come vanno fatte le cose e mi scoccia che i miei avvertimenti non vengano presi in
considerazione.
Sono molto critico nei miei confronti, un po’ meno nei confronti degli altri.
Una piccola imperfezione talvolta è sufficiente a smontare tutto il mio entusiasmo.
Ho le idee chiare su cosa sia giusto e cosa sbagliato, dunque mi impegno a fondo per agire nel
giusto.
La mia vita è fatta di valori. Senza di essi la mia esistenza non avrebbe molto senso.
La mia integrità morale è fondamentale per me.
So che se gli altri capissero fino in fondo cosa intendo dire loro, mi darebbero ragione.
Mi sembra di essere l’unico a interessarsi che le cose vadano fatte come dovrebbero essere
fatte, che siano in ordine come dovrebbero essere.
È necessario che le cose vadano come previsto. Dover improvvisare implica non aver
organizzato bene.
Mentre faccio altre cose, la mia mente si riempie spesso di critiche, accuse, giudizi che mi
faccio da solo o che gli altri mi hanno rivolto.

TOT = _________________
Frasi tipiche Tre
Sono una persona dinamica, voglio essere un elemento valido in un gruppo.
Ho piacere di ricevere conferme riguardo al mio lavoro, a cui tengo molto.
Visualizzo chiaramente il mio obiettivo e voglio sapere in quale punto del percorso mi trovo.
Valuto il tempo in termini di occasioni da cogliere. Lo uso al meglio per raggiungere gli scopi
che mi prefiggo.
L’idea di fallire per me è insopportabile.
L’immagine non è tutto, ma è una componente molto importante.
Non sopporto giudizi negativi sul mio conto, mi sforzo di essere apprezzato.
I miei obiettivi assorbono gran parte dei miei pensieri.
A volte mi accorgo di essere un po’ opportunista, mi faccio trovare al posto giusto nel momento
giusto.
Partecipare non sempre è sufficiente. Punto al primo posto.
Svolgo al meglio la mia professione, identificandomi in essa.
Quando mi do un obiettivo, faccio di tutto per raggiungerlo, anche se può costarmi molto in
termini di tempo ed energie.
Sono un buon motivatore quando si tratta di raggiungere un traguardo comune.
Essere visto come una persona di successo è molto importante per me.
Tenermi in moto mi fa sentire vivo. Non mi piace oziare.
Curo la mia immagine, la prima impressione è importante.
Considero la gioventù, l’intraprendenza e l’ambizione dei valori importanti.

TOT = _________________
Frasi tipiche Due
Spesso conosco i bisogni dell’altro meglio di lui stesso.
Dedico gran parte del mio impegno e del mio tempo agli altri.
A volte mi basta uno sguardo per capire se piaccio a un’altra persona o no.
Vorrei che anche gli altri mi dedicassero un po’ dell’attenzione che io sono solito dedicare loro.
Mi piace trovare le qualità negli altri e apprezzarle apertamente.
Trovo importante condividere parte dei miei averi.
Considerando quanto mi adopero per i miei cari, merito una posizione di privilegio nei loro
confronti.
Talvolta mi sembra di darmi così tanto da fare per tutti e di ricevere davvero poco in cambio.
Mi viene spontaneo intervenire per aiutare le persone in situazioni imbarazzanti.
Non ho molto tempo per me: mi sento indispensabile per diverse persone e questo mi porta via
tante energie.
Sono un ottimo confidente, mi piace che amici, parenti e conoscenti si rivolgano a me in cerca di
consiglio.
Mi curo di considerare chiunque sembri aver bisogno di attenzioni.
Tendo a intromettermi nelle vite degli altri il meno possibile, lo faccio solo quando lo trovo
necessario e sempre per il loro bene.
A volte mi accorgo di come la mia libertà sia limitata dai tanti impegni che mi prendo per chi mi
circonda.
La mia eccessiva generosità a volte mi mette in situazioni che mi creano insoddisfazione.
Tutto sommato ho piacere che gli altri abbiano bisogno di me.
Tendo a mettere da parte i miei bisogni per chi ha esigenze maggiori delle mie.

TOT = _________________
La struttura della personalità

N
asreddin ogni sera rincasava entusiasta e non faceva altro che parlare degli improbabilissimi viaggi
compiuti durante la giornata.
«Oggi ho visitato il misteriosissimo Catai», diceva, «mentre ieri sono stato nella più recondita Albione!».
Tutto questo appariva ridicolo alle orecchie di sua moglie, che ben conosceva le enormi distanze di questi
luoghi dalla loro residenza ad Akchehir, in Anatolia. Era assolutamente impossibile coprirle in un mese,
figuriamoci in un giorno!
Un bel giorno, mentre Nasreddin stava farneticando riguardo al suo grandissimo viaggio di andata e ritorno
dall’India, sua moglie, stufa di assecondarlo ed esausta del suo parlare a vanvera, lo interruppe bruscamente:
«Senti un po’, marito mio, che prove hai di tutto quello di cui stai raccontando?».
Senza esitazione, Nasreddin sfoggiò un ampio sorriso e cacciò fuori dalla sua bisaccia una pergamena.
Sotto gli occhi scettici di sua moglie la srotolò, palesando di fronte allo sguardo di entrambi una mappa del
mondo conosciuto.
«Ecco», disse lui, «vedi questa tratta che va da casa nostra alla Cina? Ebbene…», e così dicendo puntò
indice e dito medio sulla mappa, simulando una persona che cammina dalla Turchia all’India, «vedi com’è
facile? Sempre sia lodato chi ha inventato la cartografia!».

Cosa vuole insegnarci Nasreddin (o meglio, sua moglie) con questa storia?
In poche parole, la mappa non è il territorio! L’Enneagramma delle Personalità è la mappa,
mentre la vita di tutti i giorni è il territorio. Non possiamo pensare di comprendere l’intera natura
umana attraverso un testo. È necessario, invece, confrontare quanto si legge con ciò che si è in grado
di esperire in prima persona. Dunque, meglio non fidarsi ciecamente di ciò che si trova scritto nei
libri (questo compreso!), ma intrecciare la conoscenza con l’esperienza. Non vorremo mica fare la
fine del nostro povero Nasreddin, che si è illuso di aver visitato mezzo mondo quando in realtà non si
è spostato da casa!
Prima di andare a vedere com’è strutturata la “mappa” dello studio dell’Enneagramma delle
Personalità di questa sezione del libro, traiamo qualche conclusione riguardo ai test del capitolo
precedente.

Come procedere alla scoperta di sé


Prima di addentrarci nell’esposizione di come saranno strutturati i capitoli descrittivi dei singoli
enneatipi, è bene dedicare qualche parola ai risultati delle risposte alla domanda “Che cosa evito?” e
a come si intrecciano con il test a risposta multipla.
Ogni personalità evita qualcosa di caratteristico. Ciò che evitiamo è la punta dell’iceberg della
nostra personalità, una sorta di nodo caratteristico intorno a cui ruotano la maggior parte delle nostre
scelte. Tuttavia non è sempre facile accorgersi di ciò che evitiamo: per questo non è un test esaustivo.
Ogni risposta corrisponde a una personalità: l’Uno evita l’ira e l’umiliazione, il Due il bisogno e
l’abbandono, il Tre l’insuccesso, il Quattro l’ordinarietà, il Cinque il vuoto e il ricatto, il Sei la
trasgressione e l’ambiguità, il Sette il dolore, l’Otto la debolezza, il Nove il conflitto.
Le risposte alla domanda non sembrano intrecciarsi coi risultati del test? Nessun problema:
inizialmente consiglio di tralasciare la domanda e avviarsi nella lettura dei prossimi capitoli
attraverso i risultati del test, leggendo cioè i capitoli degli enneatipi a cui sembriamo più affini.
Riconoscere il proprio enneatipo può essere un percorso piuttosto lungo. Generalmente è più
facile fare delle scoperte all’interno di un gruppo o condividendo le informazioni con persone a noi
care, cercando un sincero confronto. Come già detto (vi prego di passarmi la ripetizione), ciò che
pensiamo di noi è spesso molto diverso da ciò che siamo davvero! Un occhio imparziale e disinvolto
potrebbe fornirci le giuste dritte per indirizzarci verso l’opzione più plausibile.
Vediamo dunque brevemente le sezioni dei singoli capitoli per avere una visione di insieme della
struttura dell’esposizione.

• Un breve riassunto dell’enneatipo e i suoi doni.

• Un racconto di Nasreddin e una brevissima sintesi della personalità in questione.

• I tre centri.

• Passione dominante.

• Sottotipi.

• Ali.

• Agli occhi degli altri.

Ora dedicheremo qualche parola ai singoli contenuti delle varie sezioni appena elencate.

I tre centri
La suddivisione della “macchina umana” in più cervelli è fatto più che noto. In quest’ambito verrà
adottata la classificazione introdotta già da Gurdjieff e in un secondo momento riutilizzata dalla
maggior parte degli studiosi dell’Enneagramma delle Personalità.
Ogni “cervello” in questo caso è chiamato “centro”, ognuno dei quali compie un lavoro specifico
benché spesso interagisca con gli altri. Vedremo come ogni enneatipo abbia un centro di preferenza,
che chiameremo centro di gravità. Significa che quella personalità tenderà a vivere la maggior parte
del tempo identificato in quella sua funzione, relegando le altre al ruolo di gregari. Per questo si
parlerà di personalità intellettuali, emotive o viscerali.
Tre, Sei e Nove sono al centro del centro corrispondente, come si può evincere dalla figura.
Questo ha un significato preciso che sarà più chiaro lungo la lettura del testo.
Centro intellettivo
È il centro adibito al sì o no, al giusto o sbagliato, d’accordo o non d’accordo eccetera. La qualità
principale di questo centro è quella di scorporare il contenuto dell’oggetto preso in esame e
introdurlo in uno schema preesistente nella propria psiche. Ciò che si conforma è accettato, ciò che
non si conforma è rifiutato. Gli enneatipi che utilizzano principalmente questo centro si troveranno
nella vita a reagire a tematiche legate alla paura nelle sue diverse sfaccettature. Per questo motivo
desiderano sicurezza. Il loro atteggiamento di fronte a una situazione è quello di creare associazioni
logiche e cercare di combinare le varie parti tra loro. Centro di gravità dei tipi Cinque, Sei e Sette.

Centro emotivo
Le funzioni di questo centro riguardano il mi piace o non mi piace, bello o brutto, simpatico o
antipatico e così via. Per quanto la nostra tendenza sia quella di giustificare le nostre preferenze, la
maggior parte delle volte ci riesce difficile perché è arduo spiegare con la logica (funzione del
centro intellettivo) questioni derivanti dalle emozioni, proprie del centro emotivo. Chi utilizza
principalmente questo centro si ritroverà catapultato in situazioni generate dall’inganno che
inconsapevolmente mette in atto per attirare sguardi. Sono persone che hanno difficoltà a sapere chi
sono perché modificano se stesse al fine di ottenere attenzione, delegando la propria identità alle
reazioni altrui. Il loro atteggiamento di fronte a una situazione è quello di domandarsi se piaceranno
agli altri o meno. Centro di gravità dei tipi Due, Tre e Quattro.

Centro viscerale (o dell’azione)


Rappresenta tutte le funzioni più basilari della macchina umana. Qui si parla di pulsione, istinto,
desiderio, sopravvivenza. Chi utilizza principalmente questo centro è ben piantato nel proprio corpo,
identificato in esso. È anche il centro che dà il senso della direzione. Alcune persone si ritengono
razionali, ma in realtà in loro la funzione intellettiva è utilizzata per giustificare le spinte del centro
viscerale. Il comportamento di chi ha come centro di gravità questo “cervello”, è il risultato
dell’indolenza. Non significa che siano persone pigre, ma che intendono influenzare il mondo senza
rimanerne influenzate. Il loro desiderio è quello di ottenere indipendenza, anche se spesso si
ritrovano a sostenere tutti. L’atteggiamento tipico che assumono in una situazione è quella di cercare
il confronto. Centro di gravità dei tipi Otto, Nove e Uno.

Passione dominante
Potremmo chiamarli vizi, potremmo chiamarli peccati, ma questi termini hanno un’accezione
giudicante che è bene abbandonare il prima possibile. Per questo è preferibile definirle Passioni,
termine derivante dal greco che sta a indicare “sofferenza” e “passività”. Stiamo parlando proprio di
quei “vizi capitali” (Superbia, Gola eccetera) che accompagnano l’umanità dall’alba dei tempi. Si
tratta di promemoria definiti non per evitare le condanne di un crudele Aldilà, ma per vivere al
meglio questa vita terrena. Quando si scopre il significato di un lavoro su di sé, infatti, è inevitabile
accorgersi che non è possibile fare diversamente da ciò che si fa. In noi sono in atto delle forze (ad
esempio le Passioni) che da sempre hanno tenuto in mano le redini della nostra vita. Queste
sostituiscono per lungo tempo (o per sempre) la volontà, la quale può iniziare a formarsi unicamente
dopo aver preso coscienza dell’influenza che queste forze esercitano su di noi.
La nostra personalità è sì, come abbiamo visto, il risultato della ricezione di determinate
abitudini, retaggi culturali, credenze, ma tutti questi si sono strutturati intorno a una Passione
corrispondente ed edificante. Significa, in poche parole, che tra le nove (e non sette) Passioni
individuate dall’Enneagramma delle Personalità, solo una è quella che ha contribuito a formare la
maggior parte della nostra personalità. Ma ciò non vuol dire che non possiamo collezionare l’intera
gamma di Passioni!
L’Enneagramma delle Personalità è uno studio motivazionale. Vuol dire che ogni comportamento
è il risultato di un meccanismo di causa-effetto. Ad esempio, si può essere aggressivi in reazione alla
paura o in reazione alla necessità di controllare. L’effetto è simile, ma le cause sono diverse.
Approfondire la conoscenza di sé riguarda il risalire lungo questa scala di causa-effetto fino alla
causa primaria. Inevitabilmente ci si scontrerà con una Passione. Qual è, allora, la causa della
passione? Nessuna, se non il fatto che essa è una proprietà intrinseca della realtà. Sarebbe come
chiedersi qual è la causa del Big-Bang. Da qui ci si sposterebbe in un ambito filosofico che non è
mia intenzione trattare.
Come vedremo meglio nella descrizione dei capitoli sugli enneatipi, il prezzo da pagare per
continuare ad agire spinti dalle Passioni è quello di vivere un’esistenza a metà,
nell’inconsapevolezza più o meno totale. Ma ciò non significa che non si possa comunque vivere la
vita: è previsto dalla natura di mantenimento che la risultante dell’interazione tra le nove Passioni
possa portare la specie umana in una direzione nota unicamente all’universo. Ciò che però viene
sacrificato in questo caso è l’individuo e la sua possibilità di comprendere. Il processo di creazione
ci ha dato un corpo, i sentimenti e la mente, ma non ci concede coscienza e consapevolezza
gratuitamente. Queste possono essere acquisite unicamente attraverso lo sforzo cosciente, di cui si
parlerà più avanti in questo testo.
Possiamo dunque intendere le Passioni come il nocciolo metafisico delle diverse personalità, una
sorta di “motori” per la maggior parte dei comportamenti.
Sottotipi
Perché intesso rapporti con diverse persone ma rapportandomi ad esse sempre una alla volta? O
perché invece conosco diverse persone ma mi pare di non conoscerne davvero bene nessuna?
Questo è spiegato dai sottotipi (o istinti). Le differenze interne all’enneatipo si accentuano
attraverso questi. Essere di un certo enneatipo mi accomuna solo in parte ad altre persone dello
stesso enneatipo. Lo studio degli istinti è un ulteriore fattore discriminante per spiegare la nostra
individualità irripetibile.
Abbiamo visto come, secondo questo sistema di conoscenza, possiamo suddividere l’uomo in
diversi centri (intellettivo, emotivo e viscerale). Il centro delle viscere è, in realtà, la sommatoria di
tre centri: istintivo, sessuale e motorio. Questi centri assolvono a funzioni specifiche (che non
approfondiremo qui più del necessario). Ognuno di noi pone la propria attenzione più su un istinto
piuttosto che sugli altri due, trasformando l’attenzione in una preoccupazione specifica. Se la mia
preoccupazione specifica è rivolta ai temi del centro istintivo, significa che sono un “enneatipo X
autoconservativo”, se la mia attenzione va invece ai temi del centro sessuale, sarò un “enneatipo X
sessuale”, o se invece la mia preoccupazione è richiamata dal centro motorio, sarò un “enneatipo X
sociale”. Per “X” si può intendere uno qualsiasi dei nove enneatipi. Da nove, dunque, si passa a
ventisette possibili personalità.

Perché istintivo diventa autoconservativo, sessuale rimane sessuale e motorio diventa sociale?
Diamo uno sguardo alle tematiche principali di ogni centro.
Centro istintivo – sottotipo autoconservativo. Il centro istintivo riguarda le nostre funzioni
fisiologiche e di sopravvivenza. Chi appartiene al sottotipo autoconservativo sarà sensibile ai propri
bisogni primari, prestando particolare attenzione al comfort, al benessere e alla sopravvivenza in
senso stretto.
Centro sessuale – sottotipo sessuale. Il centro sessuale riguarda l’intensità con cui si vive
un’esperienza. Chi appartiene al sottotipo sessuale si rivolgerà alla vita con un atteggiamento
esplorativo. Preferisce le relazioni “one to one”, ovvero il rapporto di coppia e amicizie strette.
Tende ad annoiarsi se “non succede niente”.
Centro motorio – sottotipo sociale. Il centro motorio riguarda quegli aspetti che ci permettono di
entrare in contatto con l’ambiente. Chi appartiene al sottotipo sociale è sensibile alla struttura
gerarchica e politica, all’ambiente, all’essere accettato o meno. Desidera essere di qualche utilità al
mondo.

Ovviamente il comportamento di questi tre centri varia abbondantemente a seconda


dell’enneatipo in questione. Per via della semplicità della descrizione qui fornita, è fondamentale
riconoscere prima di tutto il proprio enneatipo, solo in un secondo momento il sottotipo. Agli esperti
dell’Enneagramma delle Personalità è talvolta più semplice riconoscere nelle altre persone il
sottotipo ancor prima dell’enneatipo.
Il sottotipo, diversamente dall’enneatipo che è innato e perdura per l’intero arco della vita, può
variare nel corso degli anni. Per quanto permanga una certa caratterizzazione di fondo dovuta al
sottotipo “originario”, il fuoco di attenzione (la preoccupazione) può spostarsi in altre direzioni,
specie in seguito a eventi forti. Sarà molto più chiaro il significato dei sottotipi quando il lettore si
addentrerà nell’esplorazione dei singoli enneatipi nelle prossime pagine.
Di fianco ad ogni sottotipo troveremo una parola chiave designata da Ichazo e Naranjo per
catturare l’essenza di quel particolare carattere. Inoltre, ogni tipologia presenta un controtipo,
ovvero un sottotipo che non assomiglia alla descrizione generale della personalità, benché le
motivazioni di fondo, la Passione e la maggior parte delle dinamiche siano comunque le medesime.

Ali
Vedremo in questa sezione come non siamo fatti “a compartimenti stagni”. La nostra personalità può
interagire con altre, specie quelle che si trovano graficamente adiacenti alla nostra. Immaginiamo di
doverci posizionare in un qualche punto sulla circonferenza dell’enneagramma: non per forza ci
ritroveremo in un punto che corrisponde esattamente a un enneatipo. Potremmo invece trovarci a metà
strada tra due tipologie. Prendendo come esempio l’enneatipo Uno, vedremo come questo si ritrova
in mezzo al Nove ed al Due. L’ala è una forma ulteriore di adattamento comportamentale dovuto sia
all’educazione che alle esperienze di vita, una sorta di “possibilità extra” che la vita ci ha fornito per
approcciarci al mondo. Un Uno, dunque, potrebbe posizionarsi un po’ più a destra o un po’ più a
sinistra della sua posizione “base”. Si parlerà dunque di “Uno con ala Nove” se la personalità Uno
tende ad assumere certe caratteristiche del Nove o, viceversa, di “Uno con ala Due” se certi suoi
comportamenti e motivazioni sono più simili all’enneatipo Due.
Arriviamo così a cinquantaquattro possibili combinazioni. Sono troppe? Non perdiamoci
d’animo: quel che conta è trovare il proprio enneatipo, dopodiché potremo curarci delle altre
sfaccettature. Non è importante se non riusciamo a carpire sin da subito qual è la nostra ala
dominante. Inoltre questa, come i sottotipi, può variare nell’arco della vita. Ho potuto notare che i
sottotipi variano con maggior frequenza rispetto all’ala dominante.
Le ragioni dell’avere un’ala piuttosto che un’altra sono spesso riconducibili a un membro della
famiglia rientrante in quella tipologia.

Agli occhi degli altri


L’Enneagramma delle Personalità studia le motivazioni alla base dei comportamenti e non i
comportamenti stessi. Effettivamente alcuni enneatipi potrebbero avere atteggiamenti simili ma
motivazioni profondamente diverse.
Gli osservatori esterni tendono a fermarsi ai comportamenti, supponendo motivazioni coerenti
con la propria persona e non con quelle di chi si sta osservando. Esistono, tuttavia, degli aspetti
piuttosto caratteristici della nostra personalità che ci si sente ripetere sin da giovanissimi e che in
qualche modo sembrano avere un sapore diverso dal resto.
Questo paragrafo non è inteso come un aiuto per andare a puntare il dito sugli altri, è piuttosto
l’occasione di sfruttare anche il mondo delle relazioni per l’autoriconoscimento. Spesso sono i
soprannomi e l’ironia degli altri a “incatenarci” alla nostra personalità. Un certo vezzeggiativo o
dispregiativo rischiano di accompagnarci per tutta la vita non solo perché questo è ciò che mostriamo
al mondo, ma anche perché temiamo che senza questa caratteristica rischieremmo di non essere più
noi stessi.
Il primo obiettivo rimane comunque sempre quello di riconoscere la nostra personalità, dunque
sarà utile indossare gli occhi di chi ci guarda e tenere a mente cosa ci viene detto dall’esterno (anche
se spesso non ci è gradito). Solo dopo aver compreso il motivo di certi comportamenti potremo
permetterci di modificarli in qualche maniera, se mai lo vorremo fare.
Ora invito il lettore ad addentrarsi nella descrizione dei singoli enneatipi guidato dall’ispirazione
e dal test del capitolo precedente. Non occorre assolutamente andare in fila. Una volta completata la
lettura degli enneatipi che sembrano rispecchiarci di più, potremmo essere convinti o meno della
nostra autoidentificazione. A questo punto lascio completa libertà di scelta al lettore di decidere se
passare al capitolo successivo o di soffermarsi ulteriormente su questo, leggendo anche gli altri
enneatipi. Ci tengo a ricordare nuovamente che il nostro enneatipo è uno e uno solo nell’arco della
nostra intera vita, benché determinate caratteristiche quali i sottotipi e le ali possano cambiare e
darci l’impressione di aver subito una reale trasformazione. Sarà più chiaro lungo la lettura del testo
quale sia la differenza tra cambiamento e trasformazione.

Buon viaggio!
Enneatipo Uno

Enneatipo Uno
Conosciuto come Riformatore, Organizzatore, Perfezionista
Centro Viscerale
Evita Ira/Umiliazione
Passione Ira
Virtù Serenità

D
ove un Uno mette le mani, questa cosa prende a funzionare. Se un Uno prende un impegno, lo porterà a
termine, costi quel che costi. Non importa quante energie o quanto sudore andranno spesi.
Quest’enneatipo spicca per le sue grandissime capacità organizzative, per l’impegno e la dedizione che è in
grado di impiegare a favore di una causa. È un lavoratore instancabile, estremamente preciso e attento. Non
sembra sfuggirgli nulla. Idealista, è in prima linea per incarnare gli ideali che gli stanno a cuore.

La condanna al miglioramento
Nasreddin era solito concedersi rare pause dal suo duro lavoro quotidiano. Nel villaggio era noto per la sua
grande diligenza, il suo impegno e la sua devozione alle più alte cause della società. Dedicava anima e corpo
ai suoi grandi ideali. Sapeva, però, che per il proprio benessere era necessario sospendere di tanto in tanto le
attività, dunque si recava al mercato per svagarsi.
In queste occasioni non era mai da solo. Si spostava insieme al suo pappagallo di compagnia,
rigorosamente adagiato sulla sua spalla. Si dà il caso che l’animale avesse imparato qualche parola che non
mancava di ripetere all’infinito: “Cosa ti avevo detto?”, “devi fare attenzione!”, “stai composto!”, “sorridi!”, “non
fare cattivi pensieri!”, “chi fa da sé fa per tre!” e così via. Chiunque lo incontrasse aveva il sospetto che fosse il
pappagallo a portare a spasso Nasreddin e non viceversa.
In una bella notte di luna piena, una guardia sorprese il nostro Mullah sgattaiolare trafelato tra le vie.
Sospettando qualcosa di losco, decise di seguirlo di nascosto. Ben presto si ritrovarono lontani dalla zona
abitata, in mezzo al verde. Con sua somma sorpresa, la guardia trovò Nasreddin a gridare a squarciagola
ingiurie confuse e a tirare pugni contro gli alberi, come una furia.
Questi, non accortosi di essere visto, ben presto si ricompose e si avviò verso casa, parlando tra sé e sé:
«Ecco, ora posso tornare da quel dannato uccellaccio!».

Le cose si fanno bene o non si fanno. Questo è un motto imprescindibile per un Uno, che non può
fare a meno di essere in guerra quotidianamente con quel “dannato uccellaccio”.
Ha in sé una vocina che gli ricorda continuamente cosa dovrebbe fare, in quali tempi e soprattutto
in quale modo. Questa dice che è brutto essere giudicanti, ma a volte è impossibile farne a meno.
Inoltre, chi fa da sé fa per tre: ma perché gli altri non si mettono di altrettanto impegno? È giusto farlo
o no? Sorrido o esplodo? Questi alcuni esempi degli opposti in cui si trova calato quest’enneatipo.
Inoltre, come dare torto a questa vocina se tutto sommato ha ragione? Per via di tutto questo furioso
dialogo interiore, si dice che l’Uno ha la guerra in casa.
È una personalità in genere molto attiva, sensibile agli sforzi che compie, e desidera che questi
vengano riconosciuti. È in costante lotta per migliorarsi, dunque non manca di aiutare anche le altre
persone nello stesso compito, per questo spesso si scontra con una scomoda realtà: gli altri non
sembrano così interessati a fare progressi. Quest’attitudine al miglioramento ha reso un Uno
estremamenet sensibile agli errori: questi tendono a infastidirlo facilmente e a occupare buona parte
della sua attenzione. Ecco perché ho inserito di proposito un errore di battitura nella frase
precedente. È difficile che un Uno se lo sia lasciato scappare. L’unica occasione in cui una svista del
genere può passare inosservata e senza ripercussioni è nei (rari) momenti di svago che
quest’enneatipo è disposto a concedersi.
Un Uno è un ottimo organizzatore, sa come gestire il tempo (anche se sembra non bastare mai), il
denaro, gli spazi, le persone, gli impegni… e così via. Ogni ambito è un indaffaramento. Si addossa
tutti gli incarichi e responsabilità che la vita gli presenta, facendo la fine di Atlante, destinato a
sorreggere il mondo sulle spalle. Se per caso decidesse di riposarsi e lasciar perdere, cosa
succederebbe? La risposta a questa domanda, nella mente di un Uno, è raffigurabile con l’immagine
del mondo allo scatafascio.
Vuol essere una persona a modo, disponibile, cortese. Impeccabile è forse la parola più
azzeccata, ma ogni Uno saprebbe sicuramente trovare un sinonimo a lui più congeniale. L’essere
“senza pecche” è una necessità importante per essere all’altezza delle grandi aspettative che ha da sé.
Egli si trova nei panni di chi deve portare la perfezione in questo mondo imperfetto. Com’è possibile
avere successo in una sfida così ardua? Ecco da dove nasce il suo pesante senso di frustrazione, che
spesso fuoriesce in esplosioni di rabbia, di cui si pente e per le quali si sente profondamente in
colpa. Il suo lato emotivo, sensibile, tenero, poetico, viene tenuto ben nascosto al di sotto di una
cortina impenetrabile di rigidità e di logica.
Desidera essere il primo a incarnare gli alti ideali a cui attinge per stabilire il suo modello di
vita. Tra le parole più usate, il primato è rappresentato da “devo”, “devi”, “dobbiamo”.

I tre centri
L’istinto e l’azione: centro di gravità
Giornate piene di impegni, sobbarcarsi la gestione della famiglia, dedicare tutte le energie ai doveri.
Le ventiquattr’ore non sembrano mai essere abbastanza per fare tutto. In tutto questo indaffaramento è
quasi impossibile ritagliarsi un po’ di spazio per sé. Per un Uno, il calendario è sempre pieno. Il
mondo non diventerà mai un posto migliore se chi intende cambiarlo se ne sta seduto sulla sedia,
quindi è necessario rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Ovviamente, a seconda del soggetto, il
concetto di “mondo” può essere inteso in senso più ampio (la società, la politica, l’etica) o più
ristretto (il vicinato, la famiglia eccetera).
Chi si trova in quest’enneatipo si riconoscerà spiccate qualità di valutazione. Stabilire cos’è
giusto e cos’è sbagliato non è molto difficile poiché un Uno per primo personifica i valori che
professa, dunque è in base a questi che le persone verranno messe in inferno o in paradiso. Non so se
Dante fosse un Uno, ma è evidente come non si sia fatto grandi scrupoli a stabilire chi, nell’Aldilà,
dovesse trovarsi dove. Le argomentazioni a sostenere il proprio punto di vista non mancano mai, così
come anche i giudizi. Tutto ciò che è insolito o ascientifico viene visto con enorme sospetto,
diventando facilmente causa di battaglie verbali, ma anche legali.
L’Uno non è un amante del comando. Non lo cerca di proposito, ma diverse persone che rientrano
in questo tipo potrebbero essersi ritrovate a dover ricoprire questo ruolo, vuoi per l’impegno
dimostrato, vuoi per defezioni altrui. In queste situazioni potrebbe trovarsi a disagio, poiché
quest’enneatipo in genere si trova meglio nell’organizzare e nell’ottimizzare piuttosto che nel
formulare obiettivi o nel prendere decisioni che potrebbero avere ripercussioni anche su altre
persone.
Non di rado tra i suoi valori etici rientra anche la libertà di espressione, di conseguenza avrà
molto a cuore la dignità del prossimo e il suo rispetto a prescindere dalla classe sociale, dalla sua
situazione economica e dal ruolo che ricopre.
Gli rimane comunque propria un’attitudine a vedere le cose bianche o nere, dunque non ci sarà
molta pietà per la delinquenza, la corruzione, la disobbedienza. “Cosa ne rimarrebbe di me se non
fossi onesto e affidabile?”. “Se io mi impegno, devono farlo anche gli altri”. “Ognuno deve fare la
propria parte, è necessario il sudore per guadagnarsi il tozzo di pane”. “La buona riuscita del singolo
dipende dalla collettività e viceversa”. Per questo talvolta potrebbe nutrire dei pensieri di
superiorità. Non si sente mai in cima, mai sufficientemente perfetto, ma sicuramente è meglio di chi
non si impegna minimamente per diventarlo. Un Uno lavora come una formica: se io lavoro per dieci
(effettivamente certe formiche sono in grado di sollevare dieci volte il proprio peso), perché tu non
lavori almeno per due?
La formulazione di questi pensieri sembra estremamente logica. Può infatti sembrare strano
trattare questi temi nella sezione dell’istinto e dell’azione, ma imparando a conoscere meglio i
meccanismi di questa personalità, sarà chiaro come l’intelletto sia al servizio dell’istinto e non
viceversa. L’ideale, la giusta azione, sono frutto di una formazione reattiva, ovvero sono creati come
una sorta di “ombra luminosa” proiettata dagli istinti più bassi, più corrotti e nefasti. Per quanto un
Uno lo neghi, è proprio in virtù di questi che i suoi valori sono portati avanti con tanta forza e
dedizione. La sola razionalità non potrebbe mai concedere una tale consistenza e perseveranza, la
troviamo dunque a ricoprire il ruolo di portavoce o ambasciatore di qualcosa di più immutabile,
astratto, ma assolutamente reale. La perfezione.

Le emozioni
La vita emotiva di un Uno è tanto ricca quanto nascosta. I suoi sentimenti sono custoditi come segreti,
per quanto non li chiamerebbe mai così. Si tratta piuttosto della privata intimità di una persona che si
troverebbe a disagio nel mostrare il suo lato più tenero. Un diario, un libro di poesie, la
corrispondenza con persone distanti (talvolta mai incontrate di persona) sono alcuni esempi di com’è
permesso a questa parte di sé di vivere.
Le relazioni più strette sono vissute come le visse Pigmalione, antico greco, che si innamorò
della perfezione di una statua di Afrodite. Di fianco alla persona amata esiste la sua versione
perfetta, verso la quale l’Uno non può fare a meno di volerla accompagnare. Ma questo non sembra
disposto ad andare in quella direzione. Un Uno vede con chiarezza come dovrebbero essere le cose,
ma si scoraggia nel notare la distanza tra la realtà attuale e l’ideale. Questo non è un buon motivo per
non impegnarsi in quella direzione, tuttavia le conseguenze del remare controvento si sentono a
livello emotivo.
Rancore, rabbia, frustrazione sono le implicazioni più comuni della visione contemporanea di
due mondi così diversi, l’imperfezione del qui e ora, la perfezione di un futuro lontano.
Oltre ad adoperarsi per la propria causa nelle azioni, non manca di portarla avanti anche a livello
verbale. Un Uno non rifugge il confronto, anzi, cerca il dialogo e si aspetta che gli altri espongano nel
dettaglio i motivi per cui sostengono una determinata opinione. Quando le fondamenta dell’idea
dell’altro sembrano vacillare, o questo non sembra interessato a dare risposte ai vari perché, l’Uno
potrebbe frustrarsi per l’illogicità della situazione. Tuttavia, qualora gli fosse dimostrata la maggiore
validità di un’opinione diversa dalla sua, sostiene che sarebbe disposto volentieri a cambiare punto
di vista.
La forma è un aspetto molto importante quando si tratta di relazionarsi nella società. Un sorriso
cordiale ma non invadente, atteggiamento riguardoso, rispetto dello spazio del prossimo. La “vocina”
è sempre pronta a correggere questo o quel comportamento sbagliato. Esiste, però, un’altra faccia
della medaglia, ovvero una delle componenti più ingombranti della sua vita emotiva: il senso di
colpa. Questo non lo trova mai abbastanza abile, impegnato, adeguato. Il dialogo interiore fa
infuriare una vera e propria guerra che può sfociare in esplosioni di rabbia ai danni delle persone
che gli stanno più vicino. Per una persona che si sforza di fare sempre la cosa giusta, quale cosa più
sbagliata dell’arrabbiarsi apertamente? Da qui nuovi sensi di colpa, in un circolo vizioso senza fine.

L’intelletto
L’attitudine naturale di quest’enneatipo al miglioramento lo porta a tenersi sempre aggiornato sulle
ultime novità. Gli interessa essere informato e confrontare ciò che succede intorno a lui con la sua
visione delle cose. Al tempo stesso, trovandosi nelle vesti di chi si impegna con tutte le sue forze per
progredire, dà molto valore all’innovazione e all’ultima ricerca. Lo tranquillizzo subito dicendogli
che l’Enneagramma delle Personalità, per quanto di derivazione antica, va a braccetto con le più
recenti scoperte della psicologia moderna.
Se la funzione principale dell’intelletto è quella di stabilire cos’è “sì” e cos’è “no”, nell’Uno
assume la sfumatura di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. È molto diverso
domandarsi “sono d’accordo o non sono d’accordo?” dal chiedersi “è giusto o non è giusto?”. Nel
primo caso c’è un confronto tra un fatto esterno e la nostra opinione, nel secondo caso il fatto è
confrontato con qualcosa di assoluto, travestito però da opinione personale. Significa che per quanto
ci possiamo sforzare di voler essere di mente aperta, è comunque molto difficile mettersi in
discussione quando si è fermamente convinti della propria verità.
Ira
L’ira: un acido che può provocare più danni al recipiente che lo contiene che a qualsiasi cosa su cui venga
versato.

SENECA

Senza dubbio un Uno capirà benissimo cosa intendesse dire Seneca con queste parole. La rabbia
è qualcosa con cui ci si ritrova ad avere a che fare continuamente. Nonostante questo, non sarà facile
riconoscere nell’Ira la passione dominante nel proprio carattere, specie perché non è così bello da
ammettere. Tuttavia, dando un’occhiata agli altri otto vizi… come trovarne uno più accettabile degli
altri?
Proviamo a metterci nei panni della stessa Ira, supponendo sia il motore di fondo di molti
comportamenti. Quale metodo potrebbe adottare non solo per darsi la possibilità di esprimersi, ma
anche per permettersi di non essere riconosciuta come tale? Non potrebbe mai dimostrare
all’evidenza della ragione di essere in qualche maniera giusta, buona o corretta. Tuttavia potrebbe
inventarsi un modo per ritenere che la propria esistenza e manifestazione sia giustificata da
qualcosa. Nell’Uno si creano gli alti valori affinché quelle basse pulsioni, di pertinenza di un mondo
corrotto, non vengano a galla. Al tempo stesso, il solo attrito che si genera tra l’incompatibilità di
queste realtà così distanti è sufficiente a richiamare l’Ira, la quale fa il suo gioco e si prende i suoi
spazi. Infatti, quando il lato corrotto della realtà si palesa, l’Ira ha il diritto di manifestarsi. In
quest’enneatipo, di conseguenza, più i valori saranno alti, impeccabili e rigidi, tanto più verrà
percepita la presenza dell’immoralità, e tanto più spazio sarà messo a disposizione dell’Ira.

Sottotipi
Autoconservativo (controtipo) – Preoccupazione
In questo sottotipo la rabbia si trasforma in una forma di preoccupazione. Non sembra un Uno in
quanto è meno esplosivo, meno aggressivo e apparentemente meno critico. Piuttosto può essere
definito “implosivo”, in quanto la rabbia è più diretta verso se stessi. È la tipologia che esige sempre
di più da se stesso, dal proprio lavoro, ed è il più bisognoso di conferme. “Se oggi mi sono
impegnato nove, domani devo impegnarmi dieci”. Si tratta di una personalità molto attenta alla
condizione economica e di sicurezza, sia sua che della sua ristretta cerchia di affetti. Ha premura che
tutte le necessità primarie siano soddisfatte e questo contrasta con il timore di non essere
sufficientemente adeguato, preparato o capace di ottenerle. Si colpevolizza di non essere abbastanza
perfetto e di non essere all’altezza delle sfide della vita.

Sessuale – Zelo
Rivolge verso se stesso il perfezionismo al fine di essere sufficientemente adeguato alla relazione.
Teme che il proprio partner possa essere interessato a qualcuno di “più perfetto” di lui o lei. È in
parte una forma di adattamento alle aspettative dell’altro (che potrebbero essere inesistenti), ma
soprattutto un tentativo di essere all’altezza delle aspettative che ha da sé in funzione della relazione.
Qualora non fosse impegnato in un qualche rapporto di coppia, potrebbe addossarsi la colpa di
questa carenza reagendo contemporaneamente sia costruttivamente (impegnandosi) che
distruttivamente (i risultati non sono mai sufficienti) al fine di migliorarsi. È sicuramente il sottotipo
più focoso e passionale, vive nella contraddizione tra il trattenersi e il lasciarsi andare. Meno
freddo, più spontaneo ma anche geloso e competitivo, anche ficcanaso con la scusa di essere
protettivo.

Sociale – Inadattabilità
Mai come in questo caso si parla della “rabbia del giusto”. Quest’Uno sa come vanno fatte le cose e
non manca di farlo presente agli altri. Miglioramento significa miglioramento collettivo, ambientale,
sociale. Il traguardo è raggiunto se anche gli altri sono sulla stessa lunghezza d’onda. La rabbia si
manifesta se le sue alte aspettative non sono rispettate, poiché le ritiene essere nell’interesse degli
altri. Il più riformatore e rigido ha a cuore che la sua spontaneità e quella altrui siano
sufficientemente trattenute in quanto possibili fonti di problemi. Tutto dev’essere sotto controllo
perché sotto sotto teme che qualcuno potrebbe fare qualcosa di sbagliato. Ha ben chiaro quali sono i
suoi standard e non si ferma di fronte al confronto diretto. Si presenta come la persona più razionale,
ma al tempo stesso è estremamente inflessibile e inadattabile, fino allo snobismo.

Ali
Ala Nove
Avvicinarsi all’energia del Nove concede all’Uno un atteggiamento più tollerante, paziente e
moderato, ma anche più testardo. Con quest’ala, l’Uno diventa anche più distaccato e desidera
sinceramente mettersi nei panni degli altri prima di esprimere un giudizio. Questo lo rende più
impacciato nel ruolo di chi deve prendere decisioni. È poco espressivo e più trattenuto, le emozioni
raramente emergono in superficie. Anche i giudizi sono esternati con minor frequenza, sia per via di
un certo disinteresse che per una mancanza di autostima. Il perfezionismo può qui diventare una
risposta al senso di indegnità della vita. Vuole apparire imperturbabile e tende a contrastare
passivamente gli eccessi di emotività altrui poiché troppo imprevedibili e caotici. Inghiotte e smonta
le irregolarità brandendo la razionalità in una mano e un sottile pessimismo travestito da logica
nell’altra.
È il più adatto alla routine, alla cura del dettaglio.

Ala Due
L’ala Due concede una maggiore attenzione ai desideri e alle aspettative altrui. C’è calore e
desiderio di impegnarsi per il bene del prossimo, ma rischia di diventare un individuo possessivo e
con delle pretese. Più attento all’immagine e desideroso di essere visto e benvoluto. All’insistenza
della vocina perfezionista potrebbe aggiungersene un’altra, molto invadente, in merito al modo giusto
di relazionarsi. Quest’ala, diversamente dall’altra, gonfia la propria immagine. C’è
un’ipervalutazione di sé completamente silente alla propria coscienza che rischia di vacillare quando
non è possibile sostenere tutti, specie se questi non fanno ciò che l’Uno ritiene dovrebbero, dando
luogo (inevitabilmente) a un senso di autosvalutazione. L’etichetta e le convenzioni sociali si
prendono un certo spazio tra i suoi tanti impegni. Oltre al desiderio di essere precisi e corretti, si
aggiunge la necessità di essere all’altezza delle proprie aspettative in qualità di persona di aiuto e
talvolta indispensabile per il prossimo. Il più attento alla quantità di impegno e dedizione messe a
disposizione per una causa o una persona.

Agli occhi degli altri


Un Uno si è sentito dire sin dalla tenera età di essere una persona a posto, mai fuori dalle righe. Sa di
essere visto come qualcuno che sa cavarsela da solo e questo può aver dato luogo a un certo senso di
solitudine. Viene considerato come colui che sa come vanno fatte le cose e come sbrogliare le
matasse, per quanto non ami ritrovarvisi in mezzo.
L’Autoconservativo è frequentemente identificato con l’immagine del bravo bambino sempre in
ordine e all’altezza di ogni situazione. Determinato ma tranquillo, molti potrebbero sorprendersi di
trovarlo arrabbiato. Il Sessuale, nelle sue relazioni turbolente, può essere stato accusato di essere
possessivo, manipolatore od oppressivo. Il Sociale potrebbe essersi offeso quando incolpato di
essere pedante, puntiglioso e intransigente.
Ho sottolineato questi aspetti perché un Uno tende a focalizzarsi su certi aspetti negativi di sé al
fine di migliorarli, ma questi talvolta rimangono nascosti al proprio pensiero lucido, in quanto non
viene riconosciuta la loro validità e quindi non accettati come giudizi di valore, ma come critiche da
rigettare.
Il lato migliore di un Uno si manifesta nel cambio di abitudine o nel viaggio. In queste occasioni,
quello che nella storia di Nasreddin abbiamo chiamato “uccellaccio”, non è il benvenuto. Ecco che
potremo vedere un Uno ringiovanito, nella sua versione più libera e disinvolta.
Enneatipo Due

Enneatipo Due
Conosciuto come Aiutante, Seduttore, Donatore
Centro Emotivo
Evita Bisogno/Abbandono
Passione Superbia
Virtù Umiltà

Q
uand’è il momento di prodigarsi per un amico, un Due non si tira certamente indietro. Persuasivo, attento
ai bisogni e alle preferenze altrui, spicca per le sue doti di sensibilità e per la solarità che è in grado di
irradiare. Sa come far sentire a casa gli altri e sa come muoversi in mezzo alle persone, le quali sono ai suoi
occhi un importante campo di interesse. Sa dare il consiglio giusto al momento giusto, è presente quand’è
importante che ci sia qualcuno. È una fontana di amore da cui abbeverarsi.

Relazionarsi tramite l’abbondanza


Al termine del Ramadan, ad Akchehir si teneva ogni anno una grande festa detta Bayram, in cui veniva
celebrata l’abbondanza. Sontuosi banchetti e pregiate delicatezze venivano messe a disposizione della
collettività. Nasreddin dedicava anima e corpo per l’occasione e le sue prelibatezze erano note a tutti. Era
felicissimo di dispensarne a chiunque si recasse al suo banchetto.
Puntualmente, ogni anno, un suo amico passava di lì. Era un mercante solito rientrare alla sua dimora ad
Akchehir proprio alla sera dell’ultimo giorno del banchetto. Ogni volta aveva poco tempo da dedicare alla
festività poiché era ormai terminata, ma non si negava una passeggiata tra le vie in festa. Il caso voleva che
non incontrasse mai Nasreddin e che dovesse andare a salutarlo sempre la mattina dopo a casa sua, dove
veniva accolto con grande riguardo. Non si era mai spiegato il motivo e nemmeno intendeva domandarlo al
suo compare, ma un bel giorno una coincidenza portò chiarezza nel loro rapporto.
Avvicinandosi al banchetto di Nasreddin, incrociò palesemente lo sguardo dell’amico e, in quattro e
quattr’otto, lo vide sbaraccare e levare le tende in fretta e furia. Colpito dalla scena, decise l’indomani di
sottoporgli la questione.
«Mio caro amico del cuore», esordì, «ieri sera ho notato un tuo atteggiamento che non ho saputo
spiegarmi. Perché mi hai evitato in quel modo?».
Preso dallo sconforto, il Mullah rispose a voce sommessa: «Sono mortificato, ma avevo già esaurito i miei
dolciumi migliori».

Un Due abbraccia a piene mani l’abbondanza della vita e non si fa sconti nel donarla al prossimo.
Ama il contatto, le relazioni sociali, è un buon interlocutore, spesso allegro e gioviale.
Quest’enneatipo sembra avere un sorriso per tutti, conosce le esigenze degli altri meglio delle
proprie e vuol farsi trovare presente quando qualcuno è in difficoltà o ha bisogno di qualcosa. È forte
di una grande sensibilità che viene messa in gioco per adattarsi all’interlocutore, coccolarlo,
compiacerlo. Quest’atteggiamento può portarlo a dare talvolta l’impressione di voler sedurre l’altro,
quando in realtà si tratta di un modo di fare spontaneo e privo di malizia che spesso viene però
frainteso. Da parte di un Due c’è sempre un complimento sincero in serbo per ognuno di noi.
Gli viene naturale tendere la mano, accogliere e rendersi disponibile. Ma allora come mai
Nasreddin va a nascondersi alla vista del suo amico quando questo sta per presentarsi al suo
banchetto ormai sgombro? Il racconto ci parla di una modalità tipica che usa il Due per intessere le
sue relazioni: io do a te, tu dai a me. Do ut des. Purtroppo, chi riceve dal Due non sembra mai
disposto a dare indietro quanto ha ricevuto, creando situazioni di insoddisfazione. Identificandosi nel
ruolo di chi ha sempre dato e continua a dare senza ricevere niente in cambio, nemmeno quell’unica
volta in cui si decide a chiedere qualcosa, gli sembra che tutti i rapporti siano impari, specie quelli
di un certo valore. Il motivo a monte di questo malessere (che spesso viene represso e quindi non
percepito) lo troviamo nel racconto: Nasreddin si presenta solo quando ha qualcosa da dare.
Effettivamente, i rapporti sono impari proprio perché già nascono come tali, cioè con qualcuno che
dà (il Due) e qualcuno che riceve. Un rapporto alla pari sembra veramente difficile da instaurare
poiché inizialmente ognuno di essi sembra sì equo, ma solo fin quando il Due non vede deluse delle
aspettative che nemmeno sapeva di avere.
Per un Due l’affetto è fondamentale. È così importante da avergli fatto escogitare metodi per
“andare a prenderselo”, per quanto questi metodi vengano applicati inconsciamente e (quasi) sempre
in buona fede. Oltre a quelli già descritti, ricordiamo anche il prestare tante attenzioni, ricordarsi le
preferenze della persona in questione, essere disposto a grandi sacrifici in termini di tempo e sforzo.
In tutto questo, qualcuno potrebbe accusarlo di essere un po’ invadente o, talvolta, addirittura
manipolatore. Scavando un po’, un Due troverà al di sotto di questo meccanismo la paura
dell’abbandono.
Nell’indaffaramento dovuto al protendersi continuamente verso gli altri, rimane pochissimo
tempo da dedicare a se stessi: le necessità altrui vengono messe al primo posto e le proprie esigenze
vengono continuamente represse. Non sempre si tratta di una ricerca della conquista dell’altro,
quanto della propria identità: un Due si sente a casa quando fa stare bene chi ha intorno e quando può
presentare il suo lato positivo.

I tre centri
L’emozione: centro di gravità
L’emotività è il mondo del “mi piace, non mi piace”, delle preferenze, dei gusti, delle simpatie e
delle antipatie. Si parla di espressività, calore, generosità, entusiasmo. Tutti questi aspetti occupano
un grande spazio nella vita di un Due. La compagnia dona a questa personalità un tocco frizzante
poiché ama lo scambio verbale ma anche fisico. Quest’ultimo è piuttosto diffuso tra i Due, i quali
spesso riconoscono di essere persone cinestesiche, ovvero molto attente ai movimenti, al portamento
e alle sensazioni fisiche che le persone emanano.
Tutto ciò aiuta a sottolineare ulteriormente l’importanza che il contatto ricopre nella vita di
quest’enneatipo. Non potrebbe mai concepire una vita priva di amore, quindi gran parte delle sue
attenzioni sono rivolte in questa direzione. Ecco perché curarsi di mostrare sempre un’immagine
generosa.
Alla radice di questa ricerca e abbondanza di amore c’è una grande paura dell’abbandono. Da
qualche parte dentro di sé sa che la sua sopravvivenza è strettamente legata alle relazioni, a cui si
affeziona con grande intensità. Il rischio della perdita viene vissuto talvolta con rabbia: il Due fa
l’amore e fa la guerra. L’angosciante tristezza della solitudine è un buon motivo per scendere a dei
compromessi con se stessi, per salvaguardare i rapporti. Intere parti della propria vita potrebbero
venire accantonate parzialmente, se non completamente, pur di non compromettere la relazione.
Allora quali metodi adottare per creare legami più stabili e duraturi? Un modo è quello di
cercare la domanda dell’altro e soddisfarla offrendogli ciò che cerca. Questo dà luogo a due
principali conseguenze: la prima è quella di adattarsi, la seconda è quella di creare dei rapporti di
dipendenza.
L’attitudine all’adattamento può portare un Due ad avere crisi di identità. D’altronde, può essere
molto difficile capire qual è la parte autentica di sé quando ogni persona sembra far emergere una
particolare parte della propria personalità. “Sto facendo questo perché sono io o perché voglio
compiacere l’altro?”.
La dipendenza, invece, è un tema più difficile da spiegare. Si tratta di far vedere a qualcuno come
sia invischiato profondamente in dei legami a volte molto intricati. Il Due che si adopera tanto e si
rende disponibile, e oltretutto non si vede restituito ciò che sente gli spetterebbe, come potrebbe mai
sospettare che sotto questa “relazione a perdere” ci sia una sua tendenza a controllare gli altri?
Eppure, tacitamente, nell’essere “per gli altri” trova il suo “essere se stesso”. Questo lo rende
inevitabilmente dipendente dalle persone che dipendono da lui.
Insomma, le necessità altrui sono schiaccianti e il desiderio di libertà è tangibile. Questo va in
contrasto con l’orgoglio di non voler ammettere di aver bisogno dell’aiuto di nessuno: ammettere di
essere soffocati dagli impegni sarebbe come lanciare un allarme, ma per nessun motivo si vuole
rendere manifesta questa necessità. Dunque come fare? La risposta è nel vaso che accumula una
goccia dopo l’altra fino a traboccare. Quando arriva la goccia di troppo, tutto l’impegno e la
dedizione messi in un rapporto vengono rinfacciati in esplosioni passionali di rabbia. Se il
messaggio non è recepito, può addirittura sopraggiungere la necessità di compiere un gesto estremo
per richiamare l’attenzione dei propri cari. Dopotutto, una buona parte dell’immagine di sé che un
Due si costruisce si fonda sul ritenersi indispensabile per qualcuno, ma raramente quest’ultimo
sembra riconoscergli i dovuti meriti. Un’immagine per descrivere questa situazione è quella di una
persona che costruisce intorno alla persona amata una gabbia fatta di dolcezze e di attenzioni, a cui
però egli stesso è legato e da cui non può allontanarsi più di tanto. La drammatica frase che si
potrebbe ritrovare a pronunciare come cornice di molti rapporti è: “Come puoi farmi questo dopo
tutto quello che ho fatto per te?”.
L’intelletto
Dove va l’attenzione? La maggior parte delle volte è rivolta alla ricerca di approvazione. Per questo
motivo c’è una grande cura dei fatti riguardanti le altre persone. Un Due si mostra frequentemente
interessato ad ascoltare, ma ben presto potrebbe distrarsi qualora il discorso non si focalizzasse su
qualche tema atto a creare un’empatia.
Un atteggiamento del genere porta, a lungo andare, a formare un’attitudine naturale al prestare
grande attenzione alle emozioni, agli interessi e ai desideri più profondi dell’altro. Ma non sempre il
risultato è quello desiderato. Talvolta le necessità immaginarie si accavallano a quelle reali, dando
luogo a molta confusione nonché a motivi di sofferenza: “Pensavo di valere qualcosa per te,
invece…”.
Non solo. I bisogni che si vedono negli altri talvolta sono delle proiezioni dei propri.
Reprimendo continuamente le sue necessità, un Due potrebbe ritrovarsi a chiedere all’altro della sua
vita quando in realtà vorrebbe essere lui a ricevere questa domanda. Dentro di sé, l’attenzione che
vorrebbe far poggiare sui temi che gli stanno a cuore rimbalza sull’altro.
Il giudizio è un altro tema molto caldo per questa personalità. Dipendendo molto
dall’approvazione o disapprovazione che riceve, non può fare a meno di ipervalutare i complimenti
e le critiche. “Bravo” diventa “bravissimo”, ma uno sguardo storto potrebbe diventare una vera e
propria dichiarazione di guerra, così come un sorriso di cortesia potrebbe tramutarsi in
un’anticamera di un flirt.

L’istinto e l’azione
Quest’enneatipo va fiero della sua energia e del grande impegno e tempo che impiega dove ce n’è
bisogno. Vuole a tutti i costi sentirsi utile, quindi non di rado troveremo un Due dedito ad attività
assistenziali. Nella sua ottica, se c’è qualcosa da fare per gli altri, bene, altrimenti non c’è veramente
nulla da fare in generale.
La giornata difficilmente avrà dei momenti vuoti. Soprattutto nel caso delle donne, la giornata è
impiegata per soddisfare i requisiti imposti dal ruolo di “mamma/moglie/compagna modello”. C’è
sempre qualcosa da fare e quando non sembra essercene, si trova finalmente il tempo per dedicarsi al
vicino di casa o ad altre persone bisognose. Per essere in movimento servono delle motivazioni e
queste sono quasi sempre legate alla socialità. Altruismo e servizio sono il motore, approvazione e
riconoscimento il carburante. Proteso in avanti, è una “macchina per dare”. Il ricevere, in
proporzione, è molto più contenuto, fino all’imbarazzo: i propri bisogni vengono talvolta negati
anche di fronte all’evidenza.
A fine giornata, quando un Due ritiene di aver dato ciò che aveva da dare, finalmente può
rilassarsi e addormentarsi sentendosi realizzato.

Superbia
La moglie del Mullah Nasreddin si può dire che non fosse mai in casa. Usciva la mattina presto e tornava a
metà pomeriggio, stanca e affaticata. Il vicinato non di rado poteva udire i suoi lamenti e le discussioni che
avevano abitudinariamente luogo con il marito verso il tramonto.
«Se non ci fossi io a darmi da fare per loro», diceva la moglie, «come potrebbero cavarsela? Pensa alla
povera Fatima, che vive tutta sola. Chi andrebbe al mercato per lei? Per non parlare di Yasmin, come farebbe
a badare a tutti i suoi figli se non ci fosse qualcuno che le dà una mano? Eppure… eppure mai un “grazie”, mai
che mi invitino a cena da loro! Ci sono sempre per chiunque, ma la cosa non è mai reciproca».
Nasreddin la osservava con occhi attenti. La donna continuava a lamentarsi e a prendersela con la
mancanza di gratitudine di tutte le persone che aveva aiutato. Infine, quando la moglie si fu calmata,
Nasreddin si sedette di fianco a lei, le prese la mano e accostandosi al suo orecchio le disse: «Anche sul
trono più alto del mondo, siamo comunque seduti sul nostro sedere».

Difficile immaginare come avrà reagito la moglie. Ciò che Nasreddin le spiattella in faccia, forse con
poca grazia, è la Superbia con cui la donna si relaziona al prossimo. È un po’ come se fino a quel
momento avesse detto: “Io non ho bisogno di nessuno, ma gli altri hanno bisogno di me”. Quanta
Superbia c’è in questa frase? Per un Due è più facile dare che ricevere. D’altronde, l’etimologia di
Superbia non ha forse a che vedere con “stare al di sopra di”? Il dare indiscriminato e senza limite ha
un prezzo e lo abbiamo visto.
Fino a quel momento la donna ha fatto finta di non sentire il suo orgoglio. Eppure questo da
qualche parte dentro di lei gridava vendetta, perché il suo protendersi verso l’altro non era
completamente genuino. La Superbia vuol essere resa grande, ma questa grandezza è come un
palloncino che viene gonfiato dalle altre persone. Come queste smettono di soffiarci dentro, si
sgonfia rapidamente, con l’esito che abbiamo visto nella storia. Più Superbia c’è, tanto minore è la
stima di sé, tanto più questa viene ricercata nella considerazione dell’altro.
Un Due che tanto agogna la libertà, si illude di trovarla quando fa sentire la sua mancanza, poiché
ogni volta che viene dato per scontato è come se ricevesse un colpo al cuore. Ma, ancora, il potere è
in mano agli altri.

Sottotipi
Autoconservativo (controtipo) – Privilegio
Questo Due sembra camminare senza poggiare i piedi a terra. Tende a confondere l’essere coccolati
con il vero amore. Affetto significa “ricevere attenzioni”. Pretende riconoscimento. Ciò che conta,
dunque, è venire prima degli altri agli occhi della persona amata. Ama stare vicino al prossimo anche
nell’aspetto più materiale: è attentissimo alla salute, alla cura della persona, della sua condizione
economica. La descrizione generale dell’enneatipo potrebbe non calzargli molto poiché sembra meno
interessato alla socialità degli altri sottotipi. È meno espansivo e l’attenzione è direttamente rivolta a
se stesso (“Io mi merito di…”) piuttosto che all’esterno. Ritiene di essere al sicuro qualora sia
ritenuto speciale e indispensabile, per questo cerca relazioni con chi ha potere o benessere
economico e si plasma a seconda delle sue aspettative. L’atteggiamento che talvolta ricorda i
capricci è un mezzo per stare al centro dell’attenzione.

Sessuale – Seduzione
Alla socievolezza e luminosità del Due viene iniettata una dose di energia di natura sessuale,
rendendo questo sottotipo il più seducente sotto l’aspetto più comune del termine. Confonde l’essere
oggetto di desiderio, soprattutto sessuale, con il vero amore. Trova piacere nel piacere agli altri. È
sicuramente il più diretto ed esplicito. La sua natura di seduttore è lampante anche quando non lo
vuole. È il più inconsapevole del richiamo sessuale che emana, cosa che può piacergli oppure no.
Seduce e si accontenta di aver sedotto, cioè di aver verificato che l’altro è interessato. La persona è
“da conquistare”. È la “donna fatale” o il Casanova. È un ammaliatore o ammaliatrice a prescindere
che lo voglia o meno.

Sociale – Ambizione
La sua grande energia è diffusa in un numero elevato di contatti sociali. Ama frequentare begli
ambienti e bella gente. Confonde il prestigio con il vero amore. In assenza di socialità, si spegne. Il
più propenso al volontariato, ama parlare delle persone che conosce e raccontarne avventure e
disavventure. Si dà da fare per raggiungere lo status che gli interessa, poiché sa che è necessario
sacrificarsi per ottenere l’immagine che desidera. Le persone che frequenta sono indice del suo
status, quindi è il più attento a selezionarsi le compagnie. Teme di rimanere solo, dunque si cura di
far maturare in molte persone una buona opinione sul suo conto. Non ricerca attivamente il successo,
ciò che conta è stare in un ambiente prestigioso. Il suo terreno di conquista è molto più ampio di
quello degli altri due sottotipi. Le sue scelte si basano principalmente su chi si ritroverà ad avere
intorno.

Ali
Ala Uno
Prendere contatto con il mondo dell’etica in cui l’enneatipo Uno vive quotidianamente, rende un Due
con quest’ala meno invadente, più rigido e rispettoso degli spazi altrui. Le emozioni non sono troppo
sfacciate e la Superbia si ritrova a fare i conti con l’etica, con conseguente rischio di aumento del
dialogo interiore nella lotta tra mente e cuore. C’è una certa opposizione tra l’idealismo e
l’individualismo, che porta a un minor desiderio di libertà a tutti i costi. Tipicamente, questa tensione
ha dei riscontri evidenti nei muscoli facciali: a maggiore lotta interiore e repressione seguono
muscoli tirati e sorrisi forzati. Vivendo questi opposti, il rischio di affogare in un senso del dovere
opprimente è quanto mai concreto. Con quest’ala, un Due è più attento a essere garbato, si cura delle
buone maniere ma al tempo stesso potrebbe diventare meno tollerante verso chi non le rispetta.

Ala Tre
Capacità comunicativa, imprenditoriale, e un’estroversione spontanea. Le qualità di cui un Due con
quest’ala è portatore sono ben presentate e sviluppate, talvolta fino al punto da essere esaltate oltre
la realtà. Dal Tre prende sì le abilità manageriali e l’instancabile dinamicità, ma nel pacchetto sono
incluse anche la competitività, l’attitudine (volontaria e involontaria) a manipolare e uno spiccato
desiderio di riconoscimento. Quest’ultimo passa dalla ricerca di conferma rispetto alla propria
desiderabilità. “Piaccio o non piaccio?” diventa il sottofondo di ogni relazione. La conquista del
prossimo significa successo, sfociando in un accumulo seriale di apprezzamenti dati e ricevuti. La
seduzione è quindi più spassionata e stare sotto i riflettori non è un grande problema (benché la
timidezza sia reale), ma non senza unire questo alla capacità di trasformarsi attivamente in ciò che
l’altro desidera vedere. L’obiettivo è quello di ottenere il massimo senza lasciar intendere che dietro
il raggiungimento di questo traguardo ci sia stata una modifica intenzionale della propria immagine.

Agli occhi degli altri


Il Due è tra gli enneatipi più vistosi e riconoscibili, specialmente tra le donne. L’immancabile
estroversione unita a un sorriso solare e al desiderio di contatto fisico rendono i suoi comportamenti
piuttosto caratteristici. Le caratteristiche del Due uomo risaltano con più facilità all’interno di
contesti più intimi, dove l’empatia e la calorosità non rischiano di venire rigettate.
Chi si rivede in questa personalità ha sicuramente tenuto bene a mente quali siano stati gli
appellativi che ha ricevuto nell’arco della sua vita. Indubbiamente gli saranno stati fatti notare aspetti
quali una certa capricciosità e leggiadria (sottotipo Autoconservativo), un’aria seducente e invitante
(sottotipo Sessuale), un desiderio quasi compulsivo di socializzare e di relazionarsi (sottotipo
Sociale). Un Due potrebbe aver sofferto nell’essere stato definito invadente o rumoroso. Quante volte
si è lasciato da parte un impegno preso per se stessi per dedicarsi invece a una richiesta posta da
qualcun altro? Qual è l’ultima volta che si è deciso di prendere del tempo per sé? Quand’è l’ultima
volta che si è detto di “no”? Per quest’enneatipo “essere per gli altri” ha assunto tante diverse
sfumature nell’arco della vita.
Enneatipo Tre

Enneatipo Tre
Conosciuto come Realizzatore, Manager, Promotore
Centro Emotivo
Evita Insuccesso/Disprezzo
Passione Vanità
Virtù Sincerità

Q
uand’è ora di portare a casa il risultato, un Tre sa come muoversi. Determinato, avvincente, brillante, sa
come ottimizzare le risorse che ha a disposizione. Sa sfruttare le proprie potenzialità e intuisce
rapidamente quelle altrui, promuovendo abilmente ciò che intende mostrare al mondo. Di buona compagnia, è
una persona positiva e propositiva. Non si spaventa di fronte a una grande mole di lavoro, a patto che il
traguardo sia sufficientemente appetibile. Ama prodigarsi per arrivare all’obiettivo e conosce intuitivamente i
mezzi per guidare un gruppo di lavoro.

Diventare l’obiettivo
Lungo un sentiero vi era continuamente un gran via vai. Si diceva che portasse all’illuminazione, per cui ogni
giorno si affollava di persone che tentavano di raggiungere l’obiettivo più alto. Purtroppo, molti si perdevano
per strada e non potevano fare a meno di tornare al punto di partenza se non volevano smarrirsi
definitivamente. Tra i vari passanti circolavano le più strane leggende, tra cui una riguardante dei lamenti che
potevano essere uditi dai pellegrini di passaggio.
Si dà il caso che una donna che aveva ormai attraversato quel sentiero numerose volte e che aveva
sentito questi lamenti fin troppo spesso per pensare che fossero qualcosa di sovrannaturale, decise di
appostarsi e di far chiarezza sulla questione. Quando si udirono per l’ennesima volta, i presenti fuggirono di
gran carriera, ma lei non desistette. Giunse vicino a un sasso e capì chiaramente che provenivano da lì sotto.
Non esitò un momento e lo spostò con forza. Che stupore nel trovare una buca in cui era posto un uomo!
Subito lei parlò: «Nasreddin, sei proprio tu? Cosa ci fai lì sotto?».
«Mi è stato detto che per raggiungere il mio obiettivo dovevo diventare il mio obiettivo, dunque eccomi
qua!».

Un enneatipo Tre è sicuramente disposto a fare enormi sacrifici per raggiungere i traguardi che si
pone. Sa quali sono, sa come raggiungerli. Ma proprio come il nostro Nasreddin, finisce per
trasformarsi in ciò che vuole. Tizio diventerà avvocato e lo sarà in ogni contesto. Caio diventerà
medico, dunque guai a chi non gli riconosce questa competenza. Sempronia desidera rivestire il ruolo
di moglie modello e non mancherà occasione di dimostrare i suoi risultati.
Questa personalità è molto legata all’immagine e all’approvazione. Un Tre potrebbe ricordarsi di
un’infanzia simile a quella descritta in certi film, dove il bambino appassionato di baseball fa di tutto
per guadagnarsi l’attenzione del padre. Sa che per conquistarlo deve avere successo e diventare una
figura di spicco, dunque dedica anima e corpo per diventare un campione.
L’essere legato così strettamente all’immagine rende un Tre molto camaleontico. Riconosce uno o
più contesti su cui focalizzarsi (che si tratti di sport, di lavoro o altro) e fa di tutto per diventare un
modello in tale ambito. Cosa offre il mercato? Qual è la via migliore per raggiungere il successo?
Qualunque sia la risposta, egli sa che si sforzerà di arrivare dove desidera con la maggiore
efficienza possibile. Per efficienza si intende “la capacità di azione o produzione con il minimo di
scarto, di spesa, di risorse e di tempo impiegati”. Se poi il prezzo è passare le giornate come
Nasreddin sotto un sasso, o fare un lavoro noioso che non piace ma che permette di acquisire la
giusta parcella o il dovuto prestigio, si pagherà.
Per fare ciò la giornata dev’essere dettagliatamente organizzata. Piena di impegni, il giusto tempo
da dedicare alle relazioni “che contano”, poco tempo libero. Il lavoro (e se non è il lavoro è un suo
surrogato) occupa la maggior parte delle energie e dei pensieri di un Tre. Non è raro trovare persone
di quest’enneatipo alla soglia degli 80 anni ancora desiderose di fare la propria parte. Qualcuno
direbbe “drogati di lavoro”. Questo avviene poiché, come detto in precedenza, “se io sono avvocato,
lo sarò per tutta la vita”. Togliersi quel ruolo sarebbe come rimanere senza nome e cognome. Un Tre
ritiene che mostrandosi il numero uno non verrà tradito, verrà amato, verrà apprezzato. Va da sé che
la competizione sarà all’ordine del giorno, poiché se qualcun altro dovesse dimostrarsi più in gamba,
lo sarebbe non solo come professionista, ma implicitamente anche come persona. Il fallimento non
sarà mai un vero fallimento, ma avrà una qualche sfumatura di successo: quest’enneatipo evita a tutti i
costi il disprezzo che teme di leggere negli occhi altrui.
Il concetto di efficienza viene inoltre traslato anche nell’ambito affettivo. I sentimenti sono sì
importanti, ma ciò che conta è che il rapporto funzioni.

I tre centri
L’emozione: centro di gravità
Entrare in contatto genuinamente con la parte più intima di se stessi non è facile per nessuno. Spesso i
pensieri affollano la mente e non siamo in grado di sentire cosa voglia dirci veramente il nostro
cuore. Apparentemente a un Tre tutto questo non accade. Sembra conoscere nel dettaglio cosa i suoi
sentimenti vogliano comunicargli. Per quanto abbia bisogno di conferme, sa come scalzare i dubbi
che intralciano il suo percorso. Questa, però, è una percezione illusoria. Può rendersene conto
quando, raggiunta una meta, subito se ne presenta un’altra, condannando se stesso al destino di
persona mai soddisfatta. I desideri del cuore, quelli che dovrebbero determinare qual è la strada
giusta per noi, sono stati sostituiti dai desideri del corpo e dell’immagine che si vuole mostrare. È
più importante l’applauso del motivo stesso per cui lo si è ricevuto, a patto che sia ampiamente
dimostrata la validità e competenza del suo lavoro.
Questa dissociazione tra il cuore e l’immagine che si vuole proiettare fa sì che il Tre sia
posizionato nell’enneagramma nel “centro del centro” dell’emozione. Egli può entrare e uscire quasi
a piacimento dal mondo emotivo, sostituendolo con le grandi fatiche del mondo motorio (lavorare
tanto, magari in qualcosa che non piace molto ma che porta a un traguardo: in questo caso non piace
ciò che piace, ma piace ciò che rende) o con la logica fredda e impeccabile della sfera intellettiva
(chiudere una relazione durata per anni da un giorno all’altro perché “non è più funzionale andare
avanti”).
Le relazioni si fondano su obiettivi comuni. Passato quell’obiettivo, il rapporto tenderà a
vacillare nelle sue fondamenta, a meno che non si sia formata una nuova convergenza di obiettivi.
Spesso tra le immagini che si desiderano proiettare c’è anche quella della famiglia modello, specie
in una relazione tra due Tre. Qui si generano quelle famiglie perfette composte da persone curate e
benestanti, dove tutto sembra andare alla grande, ma a un’osservazione attenta sarà chiaro che tra di
loro si conoscono poco. Talvolta l’intensità e la profondità emotiva possono essere scambiate per
problemi di incompatibilità, dunque la relazione finisce o nascono storie parallele. Quando invece un
Tre riscopre la propria parte autentica, ecco che il rischio di proiettare l’immagine sbagliata è già
più mitigato. Compresa l’esistenza di queste due parti (una autentica e una immaginaria), potrà
imparare a riconoscere quale scelta è fatta per l’applauso e quale invece per assecondare un vero
desiderio.
Va da sé che grazie a una tale capacità innata di controllare la propria immagine sia piuttosto
facile influenzare gli altri, proprio come il venditore sa come conquistare l’acquirente. I problemi
nascono quando sposta questa qualità negli altri ambiti della sua vita.
Tra gli altri ideali più comuni in cui si identifica ci sono la giovinezza, la vitalità, la positività. È
importante dimostrarsi realizzati e adeguati. Anche per questo motivo nel rapportarsi con gli altri ci
sarà poco spazio per le negatività e i dispiaceri, mentre non mancheranno occasioni per esibire i
successi ottenuti, ma mai con sfoggi troppo appariscenti. Un Tre non vorrebbe mai passare per
vanitoso, ma desidera dimostrare quanto vale attraverso i fatti. Da qualche parte in lui è fissata
questa credenza: “Sarò amato per i risultati che ottengo”. Ogni traguardo raggiunto diventa un
pretesto per creare compagnia e affiatamento, sempre alla luce della regola secondo la quale il
successo è il ponte che permette di connettersi agli altri.

L’intelletto
Numerosi Tre potrebbero definirsi persone che fanno ruotare la propria vita intorno alla razionalità.
Non hanno torto. Non ci sarebbe nulla di male in tutto questo se non fosse che il prezzo da pagare è
quello di mettere il cuore in ibernazione. La forma di controllo più comune che esercita
quest’enneatipo avviene proprio nella sua interiorità da parte della mente su tutto il resto. Questa si
identifica completamente con un obiettivo e amministra corpo ed emozioni affinché tutto sia messo a
punto per giungere al traguardo con i migliori risultati.
Un altro impiego fondamentale della funzione intellettiva è quello di rimanere al passo con i
tempi. C’è di frequente un interesse per la tecnologia, le ultime scoperte. La mente va sempre avanti
con l’intenzione di acquisire le informazioni necessarie all’evoluzione del progetto prestabilito. C’è
una grande discrepanza di attenzione, energie e interesse tra ciò che rientra nei propri disegni e ciò
che c’è al di fuori. Un Tre potrebbe trovare molto noioso seguire la maggior parte dei dialoghi,
mentre si accenderà qualora si iniziasse a parlare di lavoro o soldi.
La qualità intrinseca di chi avvalora a tal punto l’efficienza è quella di essere un ottimo
calcolatore. Le informazioni raccolte vengono rielaborate a seconda di ciò che può andare a proprio
vantaggio e ciò che invece non è di interesse. Questa è la funzione in grado di renderlo il miglior
manager o ingegnere di se stesso, a patto che sappia darsi traguardi costruttivi.

L’istinto e l’azione
Senza dubbio una giornata passata in panciolle può essere accettabile solo dopo diversi giorni di
duro lavoro. Un Tre non ama il sollazzo, il tempo è impiegato per permettere ai progetti di essere
realizzati. Si impegna con dedizione e desidera ricevere conferme con una certa regolarità. Vuole che
il suo merito sia riconosciuto. Quando la tabella di marcia è rispettata, quando le cose stanno
effettivamente funzionando come dovrebbero, allora è concesso il riposo.
Cento progetti vengono pensati, dieci iniziati, uno si realizza. Non è raro che un Tre si possa dedicare
a più attività contemporaneamente, ritrovandosi ben presto ad avere una giornata piena di impegni.
C’è una frizzante energia a sostenerlo. “Più faccio, meglio sto. Meglio sto, più faccio”. Tale
atteggiamento genera una sorta di fame insaziabile, nella quale ogni boccone raggiunto ne richiede
immediatamente un altro ancora più succulento. Ciò che si fa non è mai abbastanza per soddisfare le
esigenze sempre crescenti di un’ambiziosa (talvolta camuffata da una conveniente umiltà) immagine
idealizzata di sé.
Un’altra spinta è dovuta all’innata capacità di concentrarsi su ciò che può essere realizzato piuttosto
che su ciò che potrebbe non andare a buon fine.
La competitività può essere spietata come costruttiva. Tutto dipende dal grado di sviluppo della
persona. L’ambizione può stimolare ma anche ardere vivi, come capita a certi Tre troppo identificati
nei loro successi, i quali sacrificano ogni cosa pur di arrivare alla vetta. Il confronto con gli altri può
essere diretto o indiretto, ma spesso è preferita una tangibile dimostrazione fattuale di come il
proprio “status” sia superiore alla media o comunque all’altezza (od oltre) delle aspettative.

Inganno/Vanità
Un amico trovò Nasreddin impegnatissimo a guardarsi le mani, i cui palmi erano rivolti uno contro l’altro e
distanti mezzo braccio tra di loro. Pareva si stesse sforzando di sorreggere e spostare qualcosa che però non
si poteva vedere.
L’amico, pensando fosse impazzito, gli domandò: «Ma cosa stai facendo? Non vedi che non c’è nulla?».
«Come puoi dire che non c’è niente? C’è dell’aria! Non sai che senza non potresti respirare?».
Dal momento che Nasreddin era un saggio venerabile e rispettato, l’amico, seppur titubante, decise di
aiutarlo nel suo non troppo gravoso intento.

“Vanità” richiama la parola “vano”, cioè “vuoto”. Questo vuoto è rappresentato dalla differenza che
esiste tra un oggetto e la sua immagine. Questo divario talvolta viene anche chiamato “valore
aggiunto”, definizione architettata per far sì che una certa parola abbia più valore se detta da una
persona piuttosto che da un’altra.
Ciò che sorregge Nasreddin non è affatto “niente”, è aria! La pubblicità si fonda su segreti come
questo: una frase detta da un famoso giocatore di calcio avrà un impatto molto diverso dalla stessa
frase detta da uno sconosciuto. Un altro esempio è quello dell’arricchire verbalmente e plasmare
l’offerta affinché la domanda sia soddisfatta nel migliore dei modi. Inoltre, perché no, decantare le
qualità di un prodotto per arrivare addirittura a creare la domanda in chi ascolta. Tutto questo è oggi
conosciuto come marketing.
Ma dunque l’Inganno cos’è? Un Tre, senza saperlo, mette in atto un meccanismo detto
identificazione. Questa lo porta a riconoscersi in ciò che vuole mostrare e non in ciò che è
realmente. Non gli è affatto facile imparare a distinguere le due cose. Anzi, chiedendo a un Tre se
desidera davvero fare ciò che sta facendo, egli risponderà di sì con grande convinzione. D’altronde,
il venditore più efficace è quello che crede ciecamente nel suo prodotto, motivo per cui
quest’enneatipo eccelle in tale ruolo. Ma il prezzo da pagare è salatissimo in termini di realizzazione
personale. La causa è l’autoinganno.
Ecco dunque perché Inganno e Vanità sono due facce della stessa medaglia: da una parte si fa
propria una parte inesistente (quella fetta di vuoto che separa l’oggetto dalla sua immagine gonfiata:
Vanità), dall’altra ci si autoconvince che questa distinzione non esista (Inganno). Per questo motivo
un Tre difficilmente avrà rimorsi di coscienza, poiché il meccanismo dell’identificazione lo protegge
dalla possibilità di vedere come la sincerità di cui va orgoglioso sia frutto di una
compartimentazione della vita in diversi settori, per cui sarà possibile ritenersi una persona onesta
pur evadendo le tasse, mostrarsi marito modello pur portando avanti una relazione parallela eccetera.

Sottotipi
Autoconservativo (controtipo) – Sicurezza
Lo status symbol è quello economico. Potrebbe non sembrare un Tre dal momento che è il sottotipo
più propenso ai fatti piuttosto che alle parole, alle cifre del conto in banca piuttosto che alle mani che
lo applaudono. La Vanità si esprime nel non essere vanitoso. Ha un’indole capitalista, rischia quello
che c’è da rischiare ma fa grande attenzione a non rimanere con le spalle scoperte. È il più drogato di
lavoro tra i tre sottotipi e desidera essere apprezzato per i vantaggi economici che è in grado di
portare alla famiglia. Qui si parla di desiderio di mantenere alta la qualità della vita, del “sogno
americano”, di scalare la vetta per mettere più distanza possibile tra se stessi e la miseria. È la
persona che si costruisce da sé, confidando fortemente nel valore dell’autosufficienza. Il più
orientato all’efficienza: costruisce molto con il sudore per evitare di fare i conti con l’aspetto
emotivo della vita.

Sessuale – Ideale maschile/femminile


Alla qualità camaleontica tipica dell’emotività che vive sotto il controllo della ragione si aggiunge
un intenso sex-appeal. Questo è il sottotipo più legato al “Guardatemi!”. Lo status symbol in questo
caso è quello estetico, quindi legato a come si appare come persona (bello, alla moda, curato), e in
un secondo momento (o contemporaneamente) all’immagine che si dà della propria famiglia. È
frequente un’identificazione nel ruolo idealizzato maschile o femminile. Bella coppia con bei figli,
agiata, felice e sorridente: in poche parole la famiglia dei sogni, o della pubblicità. Questo sottotipo
è il più abile nel plasmarsi a seconda delle esigenze dell’altra persona, con cui in genere condivide
l’obiettivo comune di realizzare la famiglia perfetta. Desidera fortemente una connessione con gli
altri e tenta di ottenerla attraverso l’esaltazione della propria mascolinità o femminilità. Sa come
trasformarsi nell’ideale della persona desiderata. Il vero imprenditore della propria immagine.

Sociale – Prestigio
Il successo viene misurato in termini di approvazione. In questo caso, lo status symbol è
rappresentato dal consenso, aspetto tipico della politica. Non è per forza desideroso dell’applauso,
poiché ancora prima di esso viene la notorietà. Tra tutti gli enneatipi e sottotipi, è sicuramente il più
sociale: conosce tante persone, sa come farsi piacere da chi desidera. Ha una particolare sensibilità
che gli consente di instradarsi efficacemente verso una posizione di prestigio. È più interessato a
salire la piramide sociale piuttosto che a curare le sue condizioni economiche, desideroso di
diventare “qualcuno”, “eccezionale” rispetto a chi invece è “uno qualunque”. È il più abile a
sistemare i dettagli della propria immagine affinché possa essere gradito, sa come farlo quasi a
livello istintivo. Legge l’altro e sa come conquistarlo. Spesso un buon oratore, persuade dando
ragione all’altro.

Ali
Ala Due
Alla capacità di focalizzarsi sugli obiettivi si aggiunge quella di sapersi orientare abilmente nei
rapporti con le persone. Quest’ala fornisce socievolezza, interesse spontaneo nell’aiutare il prossimo
e un certo charme che può arrivare a forme di manipolazione (spesso addirittura inconsce). Desidera
essere apprezzato e al tempo stesso vuole che gli altri si trovino a proprio agio, il che si traduce in un
rapportarsi con il prossimo con forme indirette di seduzione. Potrebbe correre il rischio di diventare
troppo dipendente dal giudizio e dalle attenzioni altrui e contemporaneamente pretendere di valere
più degli altri. L’emotività di facciata potrebbe allontanarsi molto dal vero sentito profondo, andando
ad aumentare la dissociazione interna fino a creare un volto diverso per ogni occasione. Al suo
meglio può essere un trascinatore sincero, caldo e carismatico, un motivatore entusiasta.

Ala Quattro
Generalmente più intellettuale, può compiacersi dell’immagine di persona profonda e acculturata che
è in grado di trasmettere. Questa sua figura è nutrita anche da un certo senso di mistero e distacco, sa
come mettersi al livello dell’altro e allontanarsene quasi a suo piacimento. Più snob e meno
socievole, potrebbe covare un certo disprezzo per il prossimo. Sa bene come uscire dallo stereotipo
comune e preferisce crearsi una platea più selezionata. Può relazionarsi con un’empatia più articolata
e mediata dall’esperienza. La tendenza all’introspezione fornita da quest’ala potrebbe renderlo più
tormentato dai pensieri della sua controparte con ala Due, portandolo a una malinconia esistenziale
che viene nascosta da un rivestimento di cinismo. Molto sensibile al concetto di autenticità, sa fornire
input e intuizioni su situazioni difficili di ogni tipo (lavorativo, personale, sociale). Può essere una
guida illuminata poiché si trova a proprio agio nel ruolo di chi fa da esempio.

Agli occhi degli altri


I Tre possono essere molto diversi tra loro a seconda del contesto in cui crescono, degli ideali che
ricevono dalla famiglia di origine o semplicemente dal tipo di persone che frequentano. Il
denominatore comune rimane un atteggiamento competitivo (che non sempre emerge alla luce del
sole) e il desiderio di posizionarsi in un terreno fertile che permetta alla propria persona di farsi
largo. In famiglia potrebbe essersi identificato nel ruolo di colui che deve risollevare le sorti
dell’economia, della salute o del prestigio dell’intero nucleo.
Salire gli scalini due alla volta, mangiare un boccone al volo in auto, agenda piena di impegni. È
raro trovare un Tre che spende il suo tempo a vagabondare. Sembra in grado di uscire più facilmente
di tutti gli altri da relazioni durate anche anni, si fa vivo quando ha qualcosa di bello da raccontare
(in genere traguardi raggiunti).
È difficile trovare definizioni comuni a tutti i Tre. Potrebbero aver ricevuto ragguagli sulla loro
competitività, sul desiderio di primeggiare e sulla dipendenza dalle lodi.
Il sottotipo Sociale può distinguersi per il numero di persone con cui si ritrova a relazionarsi,
nonché attraverso la fluidità e spontaneità con cui sa intrecciare dei rapporti.
Il Sessuale passa parecchio tempo allo specchio o lo evita a tutti i costi in quei periodi in cui non
si piace. La natura spesso lo dota di un bell’aspetto, di cui viene frequentemente lodato (e non gli
dispiace affatto), ma non sopporta l’idea di invecchiare.
L’Autoconservativo passa più inosservato, fa parlare i risultati più di tutto il resto, spesso
paragona se stesso agli altri in base allo stipendio ricevuto.
Enneatipo Quattro

Enneatipo Quattro
Conosciuto come Tragico-romantico, Artista, Creatore
Centro Emotivo
Evita Ordinarietà
Passione Invidia
Virtù Armonia

L
a ricchezza del mondo emotivo di un Quattro non è eguagliata da nessun altro enneatipo. Da fuori è
possibile intuire solo una minima parte di quanto sta accadendo in quel profondo vortice di percezioni,
sensazioni e idealizzazioni che il cuore di questa personalità può contenere. I Quattro sono diversissimi tra
loro, ma ciò che li accomuna è l’empatia, uno spiccato spirito artistico e una creatività inesauribile.
Instancabile cercatore del vero, è l’enneatipo che con maggiore trascinamento desidera vivere al massimo
ogni emozione che la vita presenta.

La solitudine degli unici


A Mullah Nasreddin fu chiesto: «Dove hai l’orecchio sinistro?». In risposta, si passò il braccio destro sopra la
testa per toccare così l’orecchio sinistro.
«Eccolo qui!».
«Ma perché lo tocchi in questo modo? Non faresti prima a toccarti l’orecchio sinistro con la mano
sinistra?».
«Sì, effettivamente sarebbe più semplice», rispose lui «ma se facessi come fanno tutti gli altri, non sarei
Mullah Nasreddin!».
Le persone sembrano piuttosto banali e spesso superficiali. Agli occhi di un Quattro, la gente vive
una monotona esistenza ordinaria priva di qualsiasi forma di autenticità. Come può una persona
essere vera se si comporta come fanno i più? Cosa ci può essere di buono nel conformarsi?
Tutto ciò che rende diversi dagli altri dà origine a una propria identità, che altrimenti
rischierebbe di andare persa nella condivisione di tratti comuni. Che delusione sarebbe per il nostro
Mullah se un giorno incontrasse qualcun altro che si tocca l’orecchio sinistro con la mano destra!
Sicuramente sentirebbe crollare molte delle sue certezze e si ritroverebbe nuovamente perso in un
dissidio interiore. “Chi sono io?”. Chiunque si trovasse ad avvicinarlo in un momento del genere,
vedendolo tormentato da questi pensieri oscuri, gli domanderebbe cosa gli stia succedendo.
Lentamente Nasreddin alzerebbe il capo e, con occhi umidi, prima di rispondere si interrogherebbe
chiedendosi se questa persona potrebbe essere in grado o meno di capire la sua situazione. La
risposta probabilmente sarebbe “no”. Al che, con una scossa di capo, si allontanerebbe,
trascinandosi con sé un pesante fardello di incomprensione.
Un enneatipo Quattro sa bene che non c’è nulla di enfatico in tale scena, benché questa sia
drammatica. La propria identità è una cosa seria a cui pare essere l’unico a interessarsi
profondamente. Gli altri sembrano andare a destra e a sinistra, tutti impegnati a vivere un qualche
surrogato di vita all’insegna dell’ordinarietà. Egli si sente solo, in contatto con le parti più intime
dell’essere, ma queste in qualche modo sfuggono sempre.
Il partire dal presupposto che nessuno possa capirlo davvero è una garanzia di unicità… nonché
un modo per attirare attenzione e sguardi! D’altronde, solo qualcuno simile a lui potrebbe esserne in
grado, ma una persona del genere non può e non deve esistere per definizione. Ecco quindi l’eterno
tira e molla in cui si trova invischiato un Quattro: da una parte il desiderio di fare chiarezza,
dall’altro il continuo architettare sovrastrutture alla ricerca di un’eccentricità talvolta ostentata ma
mai ammessa.
Ciò che fa soffrire tantissimo il nostro caro “Nasreddin che si tocca l’orecchio sinistro col
braccio destro” è proprio nei suoi occhi: questi sono sempre vigili e alla ricerca di qualità nel
prossimo da confrontare con carenze (“squalità”) in se stesso. È come se ogni volta una lama
tornasse a rendere più profonda una ferita nella speranza. Il presente è visto attraverso il filtro della
carenza e solo guardando al passato o al futuro quest’enneatipo sente la possibilità di percepire un
sollievo. Nel passato vi era una “età dell’oro” in cui l’armonia rifletteva sul mondo, poi tragicamente
interrotta da eventi che l’hanno dispersa. Tornando nel qui e ora, si accorge ogni volta che il presente
può solo essere l’ombra di un passato roseo e lucente, mentre il futuro è sempre un domani
irraggiungibile.
Questo continuo volgersi alla rivisitazione del passato e il perenne sintonizzarsi sulle frequenze
della sofferenza dell’oggi, fa sì che un Quattro sia portato ad avere numerosi alti e bassi di umore,
dettati anche dalla sua grande sensibilità nei confronti degli altri, soprattutto verso quelli meno
fortunati, con i quali si sente naturalmente in empatia.
Le grandi capacità di immaginazione e di astrazione rendono questa personalità particolarmente
estrosa e spesso in grado di esprimere grandi qualità artistiche. La moltitudine di sentimenti e di
percezioni, grazie a una delicatezza fuori dal comune, viene convogliata nella creazione di
raffinatezze di ogni genere: dalla manualità fino al teatro.

I tre centri
L’emozione: centro di gravità
La vita è una grande opera in cui tutti gli attori prendono parte a una tragedia. Immensità di
sentimenti, lunghi monologhi interiori e profonde e intricate articolazioni nei rapporti umani la fanno
da padroni. Spesso il fantastico e il reale si confondono per creare illusioni spezzate, occasioni
mancate e speranze cariche di un’aspettativa vacillante.
A volte, quando si parla del Quattro, pare di esagerare nel mettere enfasi sulle sue caratteristiche.
In realtà è proprio così che egli vive la sua vita: una continua drammatizzazione delle emozioni. Non
è disponibile acqua per spegnerle, ma solo benzina per alimentarle. Questo combustibile è
rappresentato dal continuo e ininterrotto rimuginare interno. Qui, infatti, c’è sempre molto di più di
quanto gli altri possano capire. Vorrebbe che capissero, ma sa che non potrebbero in alcuna maniera.
Proprio come nei film, il protagonista vive delle esperienze talmente uniche e fuori dal comune che i
co-protagonisti (figuriamoci poi le comparse!) non potranno mai avvicinarglisi abbastanza. Questa
distanza è vissuta con grande sofferenza, ma al tempo stesso è il modo più congeniale per raccogliere
occhiate curiose e l’attenzione di chi gli interessa.
Per quanto un Quattro ostenti una sua autentica unicità, non potrà fare a meno di curarsi di chi lo
sta guardando, del perché lo stia facendo e con quale considerazione. È estremamente dipendente dal
giudizio altrui, che recepisce con una sensibilità che nessun altro enneatipo è in grado di eguagliare.
Una sola parola storta potrebbe essere raccolta da quel turbine interiore e, senza che nessuno l’abbia
voluto, uscirne completamente trasformata in un’offesa o insulto svilente. I conti andranno quindi
pareggiati attraverso una punizione esemplare: la propria sofferenza andrà a caccia del senso di
colpa dell’interlocutore, in modo da rinforzare il rapporto di tipo “tira e molla” basato sulla
considerazione reciproca.
Esiste un sogno di completezza ed è ricercato nella persona ideale con cui dividere la vita, la cui
immagine è estremamente vivida e reale. Per questo motivo un nuovo incontro rischia di trovarsi
addossate innumerevoli aspettative. Di nuovo, l’effetto tira e molla caricherà l’altra persona di una
particolare luce idealizzata quando è distante, ma che si affievolirà man mano che torna ad
avvicinarsi. Tutto ciò che non si possiede sembra avere un valore aggiunto rispetto a ciò che è qui
vicino. È come se nel sabotare i propri ideali che stanno per realizzarsi si permettesse a questi di
sopravvivere intonsi e non corrotti dal manifestarsi realmente nella vita. Questo riporta a una
ricorrente malinconia, lo stato che più facilmente fa sentire un Quattro a casa. Sente che questa è la
condizione che gli spetta per imposizione da parte della vita, ed è il sostituto di ciò che per altri
sarebbero momenti di “quiete”.
A volte questa malinconia si spinge molto più in basso, fino a diventare depressione. All’interno
di questo cassetto c’è la ferita più profonda, ovvero l’esperienza dell’abbandono. Un tempo nella
vita c’era l’amore, un contatto molto più vivo con i veri sentimenti, ma tutto questo è stato portato via
da un tragico vissuto di perdita che ancora nel presente può dar luogo a infiniti ripensamenti. A
seconda dell’intensità e del tipo di esperienze vissute oggi, queste si associano a eventi del passato
che, anche se di natura diversa, possono essere esperiti come la ricorrenza di quella particolare
qualità emotiva.
In questa moltitudine di sentimenti, la rabbia è cruciale. Può essere direzionata ad esempio verso
un genitore colpevolizzato di aver dato ad altri più di quanto abbia dato a lui, oppure verso chi
calpesta la dignità dell’essere umano. Il senso di ingiustizia è una consistente sfumatura che talvolta
emerge anche con esplosioni di rabbia molto violente. Quando questo rancore non trova sfogo
all’esterno, viene direzionato verso di sé e dà luogo a un profondo senso di inadeguatezza e
frustrazione.
Un Quattro sa veramente immedesimarsi nella sofferenza altrui. Sa anche di poter capire il dolore
che gli altri vivono e per questo sa essere una presenza comprensiva e attenta. Ha la dote naturale di
creare spazio per l’altra persona dentro di sé, in maniera tale che questa senta di potersi aprire e
confidare liberamente.
Può essere estremamente socievole come ritirato e solitario, molto dipende dall’umore di chi ha
intorno a sé. Sente di poter assorbire le emozioni dei presenti, quindi dovrebbe fare attenzione a chi
lo circonda. Talvolta, però, l’empatia è il risultato di proiezioni da cui è difficile prendere distanza.

L’intelletto
Questo continuo sentirsi incompresi e alienati rispetto alla vita rende l’immaginazione e la fantasia
dei rifugi in cui lasciar sfogare tutto il proprio estro. Nella creazione artistica verranno incanalate
tutte quelle sfumature illeggibili agli occhi comuni: le esperienze autentiche saranno riviste attraverso
la lente di un singolare modo di sentire, dove anche l’ordinario può diventare “straordinario”.
Il simbolico è ricco di fascino: unisce al tempo stesso l’autentico, l’essenziale e l’esclusivo. A un
Quattro non interessa mai ciò che può essere superficiale o superfluo, desidera sempre arrivare in
contatto con ciò che c’è di vero nella vita. Questo poiché si sente separato dalla fonte, dall’origine
dell’essere. Ne sente il richiamo e desidera tornarvi. Il perché dell’esistenza è distorto e lontano,
mentre in realtà è custodito nel luogo dove più volentieri cerca di guardare senza però trovarlo:
dentro di sé, nell’essenza genuina e priva di sovrastrutture. Ma queste sono diventate così numerose
che è difficile distinguere il vero dal falso.
La mente si ritrova di frequente al servizio del cuore. È la condizione emotiva del momento a
stabilire dove verrà direzionato il pensiero. “Perché?” è la domanda preferita. Mentre le altre
iniziano solitamente per “E se…?”. La vita è vista come un continuo susseguirsi di bivi e incroci
dove il Quattro spende tante energie nel chiedersi se abbia preso la strada giusta oppure no. Questo
mette in dubbio il valore delle ricchezze del presente, a cui viene prestata poca attenzione nella lunga
attesa che una qualche occasione perduta in passato possa ripresentarsi.
Il ragionamento è spesso rivolto all’astratto, al teorico e al simbolico. Dal momento che non è
possibile riscontrare empiricamente tutto questo nella realtà, così come quei sentimenti intorno a cui
ruota la vita non sono tangibili, per analogia anche molte delle astrazioni risultano reali tanto quanto
la roccia che si può toccare con mano.

L’istinto e l’azione
Una tale ricchezza emotiva e ingombranza di pensieri non può che portare a frequenti stasi. Se chi
ben comincia è a metà dell’opera, un Quattro in grado di fare lo sforzo iniziale è già ben oltre la
metà. Tuttavia deve stare attento a non “farsi lo sgambetto” da solo: un nuovo inizio potrebbe essere
usato come tentativo destinato a fallire per nutrire la propria inadeguatezza.
“Idealizzo un progetto, lo intraprendo, mi accorgo che non è come l’avevo pensato, mollo tutto e
di nuovo non so chi sono né cosa voglio”. Questo lo schema che porta ogni volta punto e a capo.
Talvolta l’attitudine a intraprendere un’azione è quella di “competere per perdere”, come se perdere
significasse vincere, ovvero far trionfare tragicamente l’immagine del martire.
Tra un’iniziativa e l’altra possono passare lassi di tempo lunghissimi durante i quali la vita reale
si allontana sempre di più, accompagnata da un senso di alienazione sempre più profondo.
Le scelte raramente cadono in mano alla fredda razionalità. Un Quattro sceglie la via che ritiene
più autentica per sé, non quella che potrebbe apparire più logica. Tuttavia questa è difficilmente
traducibile in un atto pratico, dunque iniziare un progetto richiede di vagliare ogni ipotesi e di fare
tutte le prove possibili prima di passare all’opera. Il risultato è l’inevitabile slittamento dell’azione.
L’esperienza che vale la pena di essere vissuta è quella unicamente soggettiva. Tutta l’energia che
si possiede viene direzionata verso l’introspezione, l’analisi e l’autocomprensione.
Il corpo può facilmente diventare uno strumento di immagine piuttosto che reale oggetto di
interesse e di ricerca del benessere.

Invidia
Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l’un sofferia l’altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.
[…]
ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora.
DANTE ALIGHIERI

Dante metteva gli invidiosi nel Purgatorio, gli uni a sorreggere agli altri, “finalmente”
impossibilitati ad aprire gli occhi. Proprio quegli occhi intenti a guardare l’erba del vicino sempre
più verde che hanno reso la loro vita tanto difficile.
Ma gli occhi qui hanno un doppio significato. La caratteristica tipica del Quattro non è tanto il
guardare fuori e vedere sempre il meglio negli altri, ma nella stessa etimologia di invidia c’è “in-
video”, cioè guardarsi dentro. Questo è ciò che fa continuamente un Quattro, senza sosta, senza
nemmeno accorgersene: paragonare ciò che c’è fuori con ciò che (non) c’è dentro, ciò che ho con ciò
che non ho. Non si tratta di beni materiali ma soprattutto di sentimenti, relazioni, status sociale.
Manca la fiducia di trovare ciò che si cerca dentro di sé. Non ci sarebbe invidia se si
riconoscesse che ciò che si ha è sufficiente o in abbondanza. Questo significa che un Quattro si sente
carente molto in profondità, già a partire dalla relazione con i genitori dai quali non si è sentito
voluto per via delle sue mancanze e dei quali si è caricato la sofferenza. Questi, o altre persone
idealizzate, sono introiettate, ovvero assorbite e fatte vivere nella propria interiorità a un gradino
più alto e nocivo della comune empatia. Questo può portare a non vedere più la differenza tra se
stessi e la persona introiettata, facendo sì che questa persona sia continuamente presente in sé o
addirittura percepita fisicamente anche quando in realtà non vi è più.
L’illusione suprema è quella di poter ricevere finalmente la giusta attenzione e amore possedendo
quella cosa che manca. Per quanto possa essere una definizione orribile, si tratta di mercificazione
dell’amore, la cui realizzabilità viene quindi valutata in termini di ciò che si ha e ciò che non si ha.
Un Quattro fa fatica a riconoscere la sua competitività, ma questa trova espressione attraverso questo
continuo paragonarsi.
L’Invidia non è quasi mai ammessa. Spesso per questo motivo è difficile inizialmente
riconoscersi in quest’enneatipo, soprattutto perché rappresenta il genere di persona che un Quattro
non vorrebbe mai essere! Eppure non esiste un enneatipo più bello o più brutto di un altro.
Questa passione genera numerosi desideri illusori che, una volta esauditi, sminuiscono quanto
ottenuto facendo virare l’attenzione su qualcos’altro di inottenibile ma percepito come assolutamente
necessario.

Sottotipi
Autoconservativo (controtipo) – Tenacia
Potrebbe non sembrare un Quattro per via della sua determinazione e tenacia, le quali di fondo
nascondono sconsideratezza: agendo in una tale maniera è come andare a cercare di proposito
quell’abbandono che tanto ha fatto soffrire.
Si tratta di una personalità generalmente timida e introversa, ma precisa e desiderosa di misurarsi
in situazioni estreme. L’istinto è dunque quello di “buttarsi” e vedere come andrà a finire, dimostrare
la propria capacità di sopportazione e farsi largo con i gomiti per fuggire da una vita ordinaria.
L’Invidia non è mai manifestata né ammessa, ma è utilizzata come combustibile per dimostrare
audacia e indipendenza.

Sessuale – Competizione
Il più esplosivo e diretto tra i vari sottotipi. Può essere anche aggressivo, soprattutto verbalmente.
Non si nega di sfidare apertamente il prossimo per guadagnarsi l’attenzione dei “vertici” della
situazione (lavorativa, familiare o sociale).
Il più sensibile al concetto di rivendicazione e di competizione, che spesso assume toni di odio
viscerale di cui non si sente in colpa. La competizione è anche retroattiva, rivolta ad esempio alle
relazioni passate del proprio partner. L’innesco a farsi valere risiede nel non sentirsi ritenuto
sufficientemente abile o in grado di fare una determinata cosa.
Sente di meritare di più di ciò che ha e per questo scende in campo con impeto. È il sottotipo che
maggiormente si identifica nel ruolo di brutto anatroccolo che non potrà mai diventare un cigno. Per
questo è anche molto sensibile alla deprivazione e vessazione del prossimo, motivo per cui spesso si
lascia trascinare in cause perse.
L’Invidia si traveste di competizione, intorno alla quale vengono a costruirsi la propria identità e
il proprio valore.

Sociale – Vergogna
Può essere espansivo e caloroso come anche introverso, è il sottotipo più sensibile al giudizio e alla
considerazione altrui. Nello sguardo degli altri vede l’ampia probabilità di ricevere occhiate critiche
che inevitabilmente faranno avvampare un senso di vergogna latente. Si pente di non aver fatto di
meglio, per questo può passare anche lunghi periodi tormentato dal rimorso. In questo processo è il
sottotipo che maggiormente usa la propria sofferenza per richiamare l’attenzione del prossimo, fino a
diventare vittimista. Si sforza di plasmarsi in maniera tale da non dare motivo di essere giudicato.
Estremamente condizionato dalla paura dell’abbandono, la quale aumenta proporzionalmente a
quanto sente di essere conosciuto in profondità dalla persona interessata.
L’Invidia è spesso trasformata in atteggiamenti di ammirazione, per questo non sembra ciò che
realmente è.
Ali
Ala Tre
Quest’ala proietta maggiormente l’attenzione verso l’esterno, verso i traguardi e la realizzazione di
progetti nella vita sociale. C’è un conflitto tra la ricerca della vera identità tipica di un Quattro e la
capacità del Tre di adattare la sua immagine in vista di un successo, così come tra la premura di non
esporsi e il desiderio di apparire. L’umore potrebbe oscillare ampiamente tra una buona e una
pessima autostima a seconda delle situazioni e di dove va a poggiarsi lo sguardo. Con quest’ala,
quest’enneatipo può talvolta sentire di aver tradito se stesso, avendo preferito la facciata
all’autenticità.
Se un Quattro non è sufficientemente fiducioso in se stesso, il giudizio degli altri assume un
valore enorme e il suo tenore di vita può dirsi ampiamente condizionato dagli influssi di persone
esterne.

Ala Cinque
L’ala Cinque concede una maggior lucidità di pensiero in cui trovare rifugio dall’ingombranza delle
emozioni. Tuttavia, se l’intelletto si ritrova al servizio di vergogna e senso di inadeguatezza, può dar
luogo a un carattere che trae gusto dal mostrarsi distante, misterioso e impenetrabile, ma che al tempo
stesso vive tutto questo con tormento interiore. Questa personalità non vuole dare molto nell’occhio
per la sua estetica, ecco perché, ad esempio, porta abiti poco ricercati, comodi e meno appariscenti.
Preferisce distinguersi per la sue acrobazie intellettive anziché per quelle emotive e percettive.
Se le facoltà razionali non sono dirette a comprendere meglio il mondo ma a trovare nuove
ragioni per allontanarsene, il risultato può essere un progressivo isolamento e alienazione dalla vita.
Questa profondità e intensità intellettuale può servire a vincere o a nutrire l’inquietudine sociale,
a cui tende a rispondere trattenendo le proprie emozioni e punti di vista, che difficilmente potrebbero
essere compresi.
Il benessere e il malessere possono veramente venire letti, in questo caso, come la
contrapposizione tra luce e oscurità.

Agli occhi degli altri


Un Quattro probabilmente avrà ricevuto diverse aggettivazioni nell’arco della vita. Molte di queste
potrebbero rientrare nel campo della definizione di “stravagante” e “fuori dalle righe”. In altre
occasioni non saranno mancate le allusioni alla sua tendenza a lamentarsi, a fare la vittima o ad avere
visioni catastrofiche circa la propria vita e l’esistenza in generale.
Potrebbe essere accusato di dare origine a infiniti tira e molla, in cui prima si trova a domandare
aiuto per poi rifiutarlo una volta ottenuta la disponibilità del prossimo. A un osservatore esterno può
arrivare solo una parte dell’abbondanza emotiva che ha luogo interiormente e non gli è possibile
capire come mai ciò che è lontano possa essere più desiderabile di qualcosa che è vicino.
In generale, comunque, per chi lo guarda da fuori, un Quattro è quasi sempre un enigma, vuoi per
indole, vuoi per artificio. Che si tratti del modo di muoversi o di esprimersi, del modo di vestire o
degli interessi.
Il meno appariscente Autoconservativo vuol far parlare la sua eccezionalità attraverso la
concretizzazione di obiettivi insoliti e spesso pericolosi; il Sessuale può essere tacciato di avercela
con il mondo, di trovare sempre una parola per pungolare il prossimo poiché si sente in eterna
competizione; il Sociale potrebbe rimanere più in sordina, ma chi lo conosce da vicino sicuramente
gli avrà fatto notare la marea di importanza che dà al giudizio altrui.
Enneatipo Cinque

Enneatipo Cinque
Conosciuto come Osservatore, Indagatore, Distaccato
Centro Razionale
Evita Vuoto/Ricatto
Passione Avarizia
Virtù Generosità

L
a vita di un Cinque si riempie nel silenzio. Si tratta della matrice in cui le dinamiche della realtà possono
essere comprese. I sensi sondano nella quiete della mente le geometrie dell’esistenza, lasciando poco
spazio alle turbolenze delle emozioni. Ascoltatore attento, cercatore che ritiene di non saperne mai
abbastanza, un Cinque sa cogliere ciò che a tutti gli altri sfugge. Ha il dono di vedere le cose nella maniera più
vicina all’oggettività. Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, questo vale soprattutto per un
Cinque.

Privacy e competenza
Un giorno Mullah Nasreddin vide un gruppo di persone radunate intorno a un lago. Richiamato dai loro
schiamazzi, si avvicinò per capire cosa stesse succedendo.
«Dammi la tua mano!», udì nell’avvicinarsi. Un uomo era proteso sulla riva nel tentativo di aiutare un altro
che, precipitato in acqua ed evidentemente non capace di nuotare, stava cercando di mettersi in salvo. La
persona in pericolo non sembrava in alcun modo intenzionata ad accettare l’aiuto.
Nasreddin capì subito cosa stava succedendo.
«Lasciate fare a me, ci penso io!», esordì. Quando gli altri si fecero da parte, si protese alla stessa
maniera dell’altro uomo.
«Prendi la mia mano!», urlò all’uomo in acqua. Questi, con un colpo di reni, afferrò la mano che gli era
stata porta e si mise in salvo.

Un enneatipo Cinque vuole avere completa autonomia decisionale. Dà ciò che intende dare e vive le
richieste altrui come violenza alla propria persona. È lui a decidere cosa, come, quando, quanto e
perché.
Chi intende aiutarlo, per quanto ci metta tutta la buona intenzione del mondo, è facile che si trovi
una porta chiusa in faccia. Il permettere a qualcuno di aiutare è vissuto comunque come un dare
qualcosa: perché quella persona che sta affogando non vuol dare la mano? Perché permettere a
qualcuno di intervenire nella propria vita significa, per un Cinque, dare qualcosa di importantissimo.
Significa dare spazio a qualcun altro all’interno della sua privacy.
La privacy è per quest’enneatipo un elemento chiave, se non il principale. Fin dall’infanzia si è
sentito ripetutamente invaso e già allora compiva continuamente sforzi per ritagliarsi la sua fetta di
territorio in cui costruire la sua tana, la quale assume un valore mistico. Il periodo passato al di fuori
di essa è vissuto con una certa tensione e, per tutta la sua durata, è intessuto di un richiamo che
costantemente ricorderà l’urgenza di tornare lì, nella propria torre, bunker, trincea. Se questa non
esiste ancora, l’impellenza è quella di crearla.
Per fortuna esistono bisogni primari di cui occuparsi, altrimenti i motivi per uscirne (già in
quantità scarsa) sarebbero veramente ridotti all’osso! Ci dev’essere un motivo validissimo per
compiere un simile gesto, effettivamente il rischio di incontri sgraditi è sempre dietro l’angolo. Per
cui molto meglio fare i conti in anticipo e valutare chi potrebbe passare dal vialetto a una certa ora,
ricordarsi in quale vagone tende solitamente a sedersi quella persona ed evitare accuratamente di
prendere l’ascensore se c’è un po’ di folla.
Questo non significa però autoemarginazione assoluta. Esistono poche persone fidate a cui
prestare ascolto, con le quali il “gioco degli spazi” è ormai tacitamente formalizzato: queste sanno
che l’amico Cinque tratterrà solo ciò che è di interesse e di rilievo per se stesso. Gli amici non se la
prenderanno se tutto ciò che c’è di superfluo verrà ignorato, talvolta anche con una certa freddezza!
Questi amici, per essere considerati tali, hanno capito bene, come il nostro Mullah, che “prendere la
mano” è ben diverso dal “dare la mano”!
Effettivamente il gesto di “prendere” è molto caratteristico dell’atteggiamento assunto da questa
personalità nei contesti sociali. Sta in disparte, osserva, agguanta ciò che c’è da agguantare e se ne va
senza soffermarsi troppo su inutili convenevoli. Il coinvolgimento è tanto irrilevante quanto dannoso:
toglierebbe spazio a un’analisi obiettiva del contesto, che altrimenti andrebbe a sporcarsi di
quell’emotività che tutto ha fuorché di oggettivo.
Se potesse, diventerebbe invisibili per poter osservare nella maniera più imparziale possibile
qualsiasi situazione di interesse.

I tre centri
L’intelletto: centro di gravità
Se un Cinque potesse essere disegnato, vedremmo un corpo trascurato e incolore, ma una testa
proiettata negli spazi intergalattici o molecolari, in uno sfondo variopinto e costellato di numeri e
armonie matematiche e sinfoniche. È ovviamente un’estremizzazione, poiché il trascurare la propria
estetica non è prerogativa di ogni Cinque (specie nel caso delle donne).
Piuttosto, significa che egli vive per ciò che può essere acquisito grazie alla mente. Questa è lo
scrigno più prezioso in cui depositare ogni sorta di ricchezza. Non trova nulla di tanto strano
nell’idea di portare con sé nella tomba tutte le conoscenze acquisite nell’arco della propria vita. A
suo avviso risulterebbe difficile, infatti, che qualcuno potesse comprendere veramente i suoi modelli
di pensiero. Queste acquisizioni sono riservate e custodite in una solida e massiccia torre di avorio,
ordinate e disposte con grandissima cura. Ogni nuovo elemento che fa il suo ingresso dovrà
conciliarsi nella maniera più lineare ed efficace con quanto già presente, in modo tale da espandere
un’architettura armoniosa che non permette grossolanità.
Ciò non significa che la sua conoscenza sia sempre e solo teorica. Questa può anche essere di
tipo pratico: dalla medicina all’astronomia, dall’ingegneria all’arte. Possiamo riconoscere tipi
Cinque dotati di una notevole intelligenza manuale e in grado di dimostrarsi ottimi orefici o pittori.
Non esiste un limite in questa varietà. Il denominatore comune rimane la competenza. Questa è frutto
di un innato talento nell’osservazione e nel notare ciò che per altri sono semplicemente dettagli
invisibili.
È la personalità che fra tutte definirebbe “reale” ciò che maggiormente si avvicina al concetto di
“razionalmente oggettivo”.
Un aspetto sorprendente di questa personalità è la tendenza a voler capire anche senza essere
consapevole di questa sua vocazione. C’è una continua ricerca di dati e di risposte, processo che
prende le sembianze di avidità intellettuale. Il non saperne abbastanza è fonte di infelicità e
frustrazione, che risulta in una continua rincorsa alla conoscenza, interrotta di tanto in tanto da una
certa facilità alla rinuncia. Man mano che questa si amplia, sembrano espandersi anche gli orizzonti:
da una parte sono stimolanti, dall’altra lasciano spiazzati per la loro immensità, che rischia di
trasformarsi nel timore che non bastino cento vite per sondarli. Soddisfare il desiderio di onniscienza
è un’ambizione irraggiungibile, questo finché non si ritorna a percepire il qui e ora, riconoscendo che
l’individuo stesso è connesso con l’universo. La separazione esiste finché la realtà è vista con i soli
occhi della mente.

L’emozione
Interrogando un Cinque sulle emozioni, egli potrebbe essere in grado di dare risposte sintetiche ed
esaustive in merito. Ma ben presto sarà chiaro che queste “non sono di casa”. Ci starà parlando della
mappa, non del territorio. Il significato dell’emozione sarà separato dal contenuto. Percepiremo un
“film raccontato alla radio”.
Le vere emozioni sono sostituite da un loro surrogato, il quale potrebbe essere definito “schema
delle emozioni”. La solitudine del rifugio domestico è l’occasione per farle uscire allo scoperto (se
lo si desidera) con la giusta moderazione e prevedibilità, in maniera da poter mantenere saldamente
il controllo su di esse. Nel pericoloso vortice dell’empatia e dei sentimenti un Cinque teme di
perdere l’autocontrollo e con questo una parte di sé.
Apparentemente non sembra interessarsi del rapporto con gli altri, ma buona parte della sua
personalità è costruita apposta in funzione delle relazioni sociali. Come abbiamo visto, è il Cinque a
voler decidere con chi interagire, dunque ha studiato diverse tecniche per rendersi inappetibile per
certi “intrusi”. Tra queste possiamo annoverare l’uso studiato del silenzio, il fumare sigari
dall’aroma particolarmente acuto o l’uso di un linguaggio estremamente forbito o tecnico.
Il creare una certa immagine di competenza legata a un certo settore professionale, sociale o di
interessi non è solo un modo per isolarsi. È un metodo di selezione tra le interazioni gradite e quelle
sgradite. Non è rara una dedizione per un gruppo scelto di individui con cui condividere i propri
interessi e riflessioni. Difficilmente sarà un gruppo esteso, ma sicuramente sarà selezionato.
Un Cinque non per forza è freddo e distaccato. Quando non corre il rischio di andare troppo sul
personale, può mostrare cordialità e socievolezza. Il suo contributo è preziosissimo poiché possiede
il talento naturale di fornire una lettura della situazione da un’angolazione diversa. A una riunione o
in un gruppo di amici potrebbe rimanere silenzioso a lungo e, se si sente a suo agio, essere poi in
grado di sintetizzare quanto detto fino a quel momento in maniera schematica ed esaustiva, condendo
il tutto con una piccante dose di ironia.
Questa è un tratto caratteristico e in genere è utilizzata per depistare un ammontare eccessivo di
attenzione diretto sulla propria persona. Altre volte una semplice risata può smorzare la tensione che
potrebbe essere provocata da un discorso poco riservato, dirottando così un interlocutore ficcanaso.
Il parlare di sé potrebbe esporlo al senso del ridicolo, il che è da evitare a tutti i costi.
La sua presenza potrebbe passare a lungo inosservata, ma la giusta battuta piazzata nel momento
più inaspettato ci farà ricordare di lui con piacere anche a distanza di molto tempo. Per un Cinque,
infatti, non è mai una questione di quantità di parole, ma di qualità.
Tutta questa struttura, questi stratagemmi senza fine, nascondono una sola cosa: una notevole
sensibilità. Non ci sarebbe nulla di più sbagliato nel definire un Cinque “cuore di ghiaccio”. I
sentimenti ci sono, eccome! La sua reattività nei loro confronti, però, sarebbe talmente esplosiva che
nella sua esperienza non ha potuto far altro che congelarli. Non c’è alcun cuore di ghiaccio, al
massimo vi è un cuore tenuto volontariamente sotto congelamento (un Cinque direbbe “sotto tutela”).
Un’evoluzione di quest’aspetto è la compartimentazione della vita, come ad esempio non far mai
incontrare diversi amici tra di loro perché reggere il confronto tra due sfere di esistenza così distanti
sarebbe una sfida troppo grande. Un amico probabilmente avrà la sensazione di non conoscere mai
ogni suo aspetto.

L’istinto e l’azione
È sufficiente guardare il disegno dell’enneagramma per notare la notevole distanza che separa questa
personalità dal centro dell’azione. Non è per cattiveria che Gurdjieff mandava queste persone a
vendere tappeti, ma per far sì che “impattassero” con la realtà senza passare dall’anticamera della
preparazione.
Effettivamente un Cinque non si sente mai pronto per affrontare una situazione o la realtà in
generale. Per agire dev’essere sicuro di non sbagliare e di non doversi ritrovare costretto a
improvvisare. Non è dunque un caso se lo troviamo spesso isolato. D’altronde, il relazionarsi con
altre persone è da intendersi come un elemento di improvvisazione: quale persona può essere
considerata prevedibile?
Passare all’azione sarebbe come mettersi a nudo e questa sensazione di non essere preparati
spesso cela il timore di far sì che “tutto mi sia portato via”: pur di non farmi sottrarre quel poco di
vita che percepisco in me, mi trattengo ed evito di fare un passo avanti.
Questo continuo trattenersi dà come risultato una svalutazione generalizzata della propria vita, il
cui tenore tenderà sempre al minimo. Quella che apparentemente potrebbe sembrare una stoica
autosufficienza, nasconde una forte penuria di desideri e di contatto con la realtà.
La vita rischia di non venire vissuta tramite l’esperienza ma tramite l’astrazione.
Avarizia
Che cos’è l’avarizia? È un continuo vivere in miseria per paura della miseria.

BERNARDO DI cHIARAVALLE

Un enneatipo Cinque è estremamente sensibile ai concetti di vuoto e di ricatto. Spendersi, darsi e


donarsi rischierebbero di lasciarlo senza nulla e con il timore di dover dipendere da altri. Questa
rinuncia troppo facile porta all’isolamento e a risparmiare dove possibile (sui vestiti, l’arredamento
o altre cose secondarie) per poter poi impiegare le giuste risorse in ciò che veramente interessa. I
bisogni vengono limitati proprio per questo motivo, dando luogo a uno stile di vita “al minimo”.
Dunque il centro di gravità di un Cinque non può che essere l’intelletto: nessuno si metterebbe a
fare dei conti usando le emozioni o l’istinto. Per questa personalità la risposta automatica ai nuovi
eventi è “far di conto” tra quello che si ha e non si ha, fare attenzione a cosa si rischia di perdere e a
quello che si può risparmiare.
La miseria in cui ci si ritrova costretti a vivere rimanendo soggiogati all’Avarizia, come dice
Bernardo di Chiaravalle, è conseguenza del timore di un’ancor peggiore penuria che potrebbe celare
il domani. Quest’atteggiamento non solo porterà a percepire la vita come povera da un punto di vista
materiale, ma anche spirituale. La continua percezione di vuoto, infatti, non sarà mai colmata da
nuovi studi e nuove competenze che difficilmente verranno spese nel mondo. Quel vuoto potrà andare
solo riempito tramite l’adeguata esperienza nella realtà concreta. La lama a doppio taglio di
scegliere la qualità al posto della quantità in questo caso riguarda le fette di realtà che vengono
lasciate da parte: la sensazione di vuoto doloroso viene compensata con un contenuto non adatto.
Il desiderio di accumulo come conseguenza del tentare di riempire un pozzo senza fondo assume
gli aspetti della brama smodata in una direzione inutile e deleteria per lo sviluppo della persona.
“Ho accumulato tanto, preferisco pensare a cosa potrei farne piuttosto che attuarlo o spenderlo
realmente”.

Sottotipi
Autoconservativo – Tana
Non esiste personalità più solitaria e ritirata di un Cinque conservativo. La solitudine non è in alcun
modo percepita come deleteria, poiché è una zona di comfort riparata dalle richieste dalle aspettative
altrui a cui questo sottotipo è molto sensibile. Si sente realmente risucchiato dalle altre persone. È in
grado di eseguire lavori anche molto intensi e faticosi, a patto che non vi sia un coinvolgimento
emotivo a provocare un rapido scaricamento delle batterie. Il non dover dipendere dagli altri è quasi
divinizzato e si traduce in una solida autosufficienza minimalista.
Lo “spazio sicuro” diventa una questione esistenziale. La casa è un castello in cui rifugiarsi e
ricaricare le batterie che il mondo là fuori non fa altro che scaricare.
L’avarizia si manifesta nella maniera più fisica, ritirandosi dalla vita e vivendo al minimo. I
bisogni vengono in questo caso veramente ridotti all’osso.

Sessuale (controtipo) – Fiducia


Trattandosi di un controtipo, a prima vista potrebbe non sembrare un Cinque. Può essere più
appariscente e anche più impulsivo, agendo talvolta al di fuori della necessità di prepararsi per ogni
situazione. Vive più degli altri un conflitto interno tra l’aprirsi e il non aprirsi con il prossimo. Una
sincera apertura avviene solo in seguito a numerose prove di fiducia. La sua parte più romantica è
una perla preziosa custodita con grande cura e mostrata solo quando percepirà la sicurezza di poterla
finalmente esporre a chi è degno. È il meno “settario” a livello di interessi intellettuali.
È il più attento e interessato al contatto e alla comunicazione non verbale ed è anche il più
propenso agli scatti di ira, durante i quali i sentimenti custoditi esplodono ed escono alla rinfusa,
lasciandosi alle spalle una sensazione di svuotamento interiore.
L’Avarizia è all’insegna della riservatezza e della condivisione di segreti con un numero
ristrettissimo di persone.

Sociale – Totem
Un gruppo elitario ha al suo centro un “totem” a cui dedicare la propria devozione, intorno al quale
ruotano scienziati, esoteristi, membri di un circolo eccetera. Un Cinque desidera che il suo volto
appaia su quel totem. La “divisa” diventa un metodo per creare distanza dagli altri e riconoscersi in
questo particolare gruppo. Si tratta quindi di una risposta alla ricerca di un’identità, piuttosto che di
sicurezza o di compagnia piacevole. All’interno di questa cerchia ristretta un Cinque Sociale mostra
una sorprendente (agli occhi di chi lo conosce al di fuori del cerchio) estroversione. Si identifica con
una sfera elitaria e ricca di alti valori in contrasto con una realtà esterna più volgare. Tra i tre
sottotipi è probabilmente il più attento alla sua preparazione e immagine.
L’avarizia si manifesta guardando il mondo dall’alto al basso. Lassù, infatti, sono custodite verità
non comprensibili da chi è là in basso.

Ali
Ala Quattro
I “fotogrammi di vita” registrati da questo Cinque tendono a incastrarsi meno facilmente con la realtà
che sembrano vivere le altre persone. Quest’ala dà una connotazione ulteriormente ritirata a una
personalità già riluttante a mettersi in gioco. Sente la pressione della sua incompatibilità con la vita
vissuta dagli altri e questo si traduce nell’ostinazione a voler fare di testa propria.
L’isolamento è conseguenza (sofferta) di un certo disprezzo e snobismo nei confronti di chi non è
in grado di comprendere la sua superiorità. Il che, però, miscelandosi con l’impossibilità di
esprimersi e incastrarsi con il mondo, causa al tempo stesso un senso di inferiorità.
Il campo delle emozioni è meno ignoto, temuto o dimenticato. Diventa un’ampolla magica e
misteriosa da cui attingere un certo “sale” della vita.

Ala Sei
Con quest’ala l’attenzione è un po’ più spostata all’esterno. Il confronto tra la concretezza delle
proprie idee e la realtà là fuori è più accentuato. C’è più cura del metodo, del “come”.
Le altre persone possono essere oggetto di studio in quanto potenziali minacce, ma anche come
possibilità di partecipazione alla vita. L’attenzione è rivolta a trovare l’equilibrio tra la tolleranza
verso il prossimo e il rischio che questo possa invadere i propri spazi.
L’isolamento è conseguenza delle minacce reali o ipotetiche provenienti dal mondo, dunque le
possibilità di conformarsi con i costumi, la società e le usanze sono sfruttate per raggiungere una
maggiore sicurezza personale.

Agli occhi degli altri


Generalmente un Cinque è riconoscibile dalla sua propensione al silenzio e dal farci sentire in
obbligo di fare la prima mossa. Egli difficilmente si farà avanti o si interesserà per primo,
propendendo piuttosto per lasciar scorrere gli eventi e vedere quali carte intendono giocare le altre
persone prima di azzardarsi a mettere sulla tavola anche solo una delle proprie. Questo può suscitare
un certo imbarazzo nel prossimo, il quale potrebbe defilarsi oppure trovare terreno fertile per
raccontare tutta la sua vita.
A parte il talvolta vistoso Sessuale (soprattutto se con ala Quattro) e il Sociale preso all’interno
della sua cerchia ristretta, è difficile accorgersi della presenza o dell’assenza di un Cinque. Sembra
aver escogitato sin dall’infanzia strategie per rendersi invisibile a tal punto che, presa parola
all’interno di un gruppo, potrebbe ricevere sguardi perplessi dai presenti. Un Cinque talvolta li
percepisce carichi di giudizio e sorpresa, ma a un’attenta analisi potrà anche riconoscere una certa
ammirazione. Non di rado, infatti, gli verrà attribuita la capacità di osservare la vita da
un’angolazione inusuale. Nondimeno, solitamente porta l’etichetta di “persona che sa ascoltare”.
Altre volte viene additato come “uomo del mistero” in qualità di enigma indecifrabile. Spesso si
ricorda il nome degli altri ma questi si dimenticano del suo. Un Cinque sorprende sempre per la
qualità e quantità di dettagli che è in grado di notare.
Enneatipo Sei

Enneatipo Sei
Conosciuto come Scettico-leale, Collaboratore, Responsabile
Centro Razionale
Evita Trasgressione/Ambiguità
Passione Paura
Virtù Coraggio

Q
uando si ha bisogno di un amico fidato, possiamo contare ciecamente su un Sei. Quest’enneatipo si
distingue per la sua attitudine alla collaborazione e al supporto di chi gli sta a fianco. La vittoria della
squadra è la sua vittoria, per questo è un elemento affidabile e degno di fiducia. Si fa in quattro per essere
adeguato e all’altezza delle aspettative che si hanno da lui. È abile a definire i limiti, a scovare le incongruenze
e a individuare eventuali rischi o pericoli. È dotato di un grande spirito di sacrificio.

Il peso della responsabilità


A Nasreddin fu chiesto di trasportare un carico di valore molto fragile. Gli fu raccomandato di fare grande
attenzione perché se il bene avesse toccato terra, avrebbe rischiato di rompersi. Issato l’oggetto sulle spalle,
partì per le vie del mercato.
Purtroppo, lungo la via mise il piede in una buca e inciampò, franando a terra e infortunandosi un braccio.
Non si sa come, Nasreddin riuscì a non far cadere nulla usando la propria schiena da tappeto per il carico.
«Aiuto, aiuto!», gridava con voce soffocata. Da sotto quel grande peso si udivano ogni sorta di lamenti. I
soccorsi non tardarono ad arrivare e il poveraccio fu portato in salvo, benché con diverse ossa rotte.
Uno dei soccorritori, non riuscendosi a togliere un pensiero dalla testa, gli fece una domanda: «Nasreddin,
se tu avessi scostato il carico, non ti saresti fatto male. Perché non l’hai poggiato a terra e invece hai
aspettato noi?».
Il Mullah guardò l’altro di sbieco, rispondendo con aria carica di sospetto: «È sin troppo evidente come
queste parole escano dalla bocca di un irresponsabile!».

Un enneatipo Sei si contraddistingue per il suo forte senso di responsabilità. A volte molto pignolo,
altre vago ed equivoco, è estremamente attento a non fare la cosa sbagliata. Desidera avere direttive
precise in merito a un compito da eseguire, e nel momento in cui questo viene da lui accettato, farà di
tutto per portarlo a termine.
Per Nasreddin non è assolutamente un dettaglio quello di non poggiare a terra il carico. Una volta
data la parola, questa diventa un contratto molto difficile da recedere. Il valore della propria persona
va misurato in termini di fedeltà e affidabilità relativamente a un gruppo come la famiglia, un partito,
una squadra, degli amici, una società o altro. In questo caso il Mullah aveva dato la parola al suo
datore di lavoro e mai al mondo si sarebbe azzardato di poggiare a terra il carico dopo aver
promesso di evitare di farlo. Non avrebbe mai voluto sentirsi incolpato di aver eseguito il lavoro al
di fuori della consegna che gli era stata posta. Il prezzo da pagare è stato alto, ma questo è il peso
della responsabilità.
Quando, però, per qualche motivo il compito non può essere portato a termine nella maniera
richiesta, ecco che i nodi vengono al pettine. Un Sei, tanto premuroso di essere responsabile, non
appena si trova il dito puntato contro per qualcosa, sarà ben pronto a discolparsi e a spostare la
causa dell’errore altrove. Generalmente la responsabilità viene scaricata sulla presunta ambiguità di
una regola, di un accordo o di una parola data. In queste situazioni sembra riflettere tutto ciò che gli
viene scagliato addosso, proiettando altrove ciò che gli viene imputato, o presume che gli venga
imputato.
A volte si sente chiamato in causa anche quando non c’entra nulla, in questo senso può essere il
peggior nemico di se stesso. Di fronte alla paura di sbagliare, la quale diventa spesso un peso
davvero insopportabile, potrebbe rispondere congelando la propria libertà di scelta identificandosi
in un gruppo di persone, trovando conforto nella comunità. A un Sei non necessariamente interessa
emergere come persona, anzi, spesso la vittoria della squadra è la sua vittoria.
Quell’arrovellamento mentale può trovare due risposte molto diverse. Potrebbe renderlo
caloroso e amichevole per non cacciarsi nei guai, oppure aggressivo e impulsivo poiché desideroso
di affrontare quanto prima le sue paure. In questo senso, all’interno dell’enneatipo Sei esiste una
distinzione tra fobico e controfobico: il primo reagisce ritirandosi, il secondo attaccando. Sono
entrambi modi di rispondere all’ansia. Questa caratteristica può cambiare nel tempo e variare nello
stesso individuo a seconda delle persone o situazioni con cui ha a che fare. Nessun’altra personalità
presenta una tale varietà comportamentale tra diversi soggetti, ma le motivazioni alla radice sono le
medesime.
Quest’enneatipo è estremamente attento all’autorità, nei confronti della quale si approccia con
lealtà ma al tempo stesso con scetticismo. Esiste in lui il duplice aspetto di chi desidera avere una
guida illuminata di cui fidarsi, ma di cui non potrà fare a meno di mettere in dubbio le scelte qualora
queste non fossero previste nei patti iniziali. Questo dà luogo a un atteggiamento di sospetto nei
confronti del prossimo, del quale si enfatizzano le eventuali intenzioni nascoste a discapito di quelle
esplicite.

I tre centri
L’intelletto: centro di gravità
Entrare nella mente di un Sei è come avventurarsi bendati in un labirinto pieno di ostacoli e trappole.
Questo vale per chi cerca di stargli vicino ma anche per egli stesso. Qui tutto sembra vero, così come
il contrario di tutto. Generalmente, per fare chiarezza su delle questioni un Sei cerca di accumulare
sempre nuove informazioni, ma queste rischiano di diventare ancora più contraddittorie. Nel
raccoglierle, sia su di sé che su altre cose in generale, quest’enneatipo può rischiare di dividere i
dati ricevuti in tanti “cassetti” riportanti ognuno il nome della fonte di quest’informazione. A questo
punto, quando sono stati raccolti i tanti punti di vista diversi, diventa complicato stabilire cosa sia
vero e cosa no, dove stia la soluzione più logica e sicura e dove invece stia l’errore. In tutto questo
potrebbe risultare difficile capire qual è il proprio personale punto di vista, annebbiato com’è dai
molteplici pareri ricevuti.
Di fronte a una situazione di stallo in cui non gli è chiaro da che parte stia la verità, emerge la sua
parte più scettica e sospettosa. Sente l’urgenza di trovare le reali intenzioni che l’altro gli sta
nascondendo, di conseguenza prima di fidarsi necessita di metterlo alla prova ancora e ancora, fino a
quando non penserà di conoscerlo sufficientemente bene da poter sapere quali rischi può correre
avendoci a che fare. Tutto questo, per quanto sia un modo per cercare di avere fiducia, all’attuazione
diventa un atteggiamento profondamente scettico e diffidente che lo porterà a dubitare anche di se
stesso, poiché in una qualsiasi discussione continuerà a chiedersi se l’altro non potrebbe avere
ragione.
Nel Sei fobico il pensiero precede sempre l’azione, fino quasi a sostituirsi ad essa, dando luogo
a un atteggiamento di stallo. Preferisce riflettere molto a lungo prima di poter prendere una decisione
che potrebbe rivelarsi sbagliata. Nel controfobico, invece, il pensiero viene presto zittito e
schiacciato, in quanto “rimuginare troppo non porta a nulla”, se non alla creazione di nuovi pensieri.
Il riflettere su qualcosa diventa una brevissima corsa contro il tempo, al termine della quale la
decisione è stata presa ed eseguita.
Nell’enneatipo Sei esistono dunque due reazioni completamente opposte all’ansia e alla paura:
da una parte l’affiliazione per vincere l’insicurezza e il dubbio, dall’altra la totale negazione di
questi fattori non mostrandoli né riconoscendoli, arrivando addirittura a non percepirli.
In generale, la decisione più giusta sembra essere quella in grado di generare meno ansia, poiché
ciò che un Sei cerca è stabilità. Quanto più vi si avvicina, tanto più rischia di farla vacillare, poiché
la sicurezza rischierebbe di fargli calare le sue difese. Egli è infatti ipervigilante, cioè sempre alla
caccia di falle, errori e possibili fonti di disguidi per assicurarsi che lo status quo non venga
sovvertito. Questa sua preoccupazione, tuttavia, farà sì che a furia di cercare fonti di pericolo, ne
troverà anche dove non ne esistono. Un Sei è abilissimo nel risolvere problemi. Ma anche nel
crearsene di nuovi dal nulla.
C’è la tendenza tipica a ragionare focalizzandosi su come le cose potrebbero andare nella
peggiore delle maniere. Si sondano tutte le opzioni e si avvalora la possibilità più catastrofica tra
quelle elencate.

L’emozione
Nell’avvicinarsi al prossimo un Sei si domanda da che parte stia questa persona, quali minacce
potrebbe comportare e se potrebbe essere degna di fiducia. Le relazioni sono continuamente messe
alla prova, anche inconsciamente, come se in qualche maniera l’ansia ogni tanto sbucasse dal nulla
alla caccia di cose da temere o di cui preoccuparsi.
Per questo motivo spesso i complimenti vengono ricevuti con profondo sospetto, poiché
potrebbero nascondere seconde intenzioni. Un Sei dà tutto se stesso per colui di cui si fida, ma teme
la pugnalata alle spalle. Quando la sua fiducia viene tradita, è in grado di covare un freddissimo
risentimento che può durare molto a lungo. Sin dall’infanzia ha avuto difficoltà a capire se si potesse
fidare di un genitore (o insegnante o chi per lui) o no, se sarebbe stato punito o meno, ecco perché
tanta diffidenza verso l’autorità.
Le relazioni sono suddivise in categorie. Caloroso e affabile con chi è del suo gruppo, più attento
e distante con coloro che ritiene di non conoscere a sufficienza. Per lui è molto importante capire chi
sia dalla sua parte e chi no, detesta l’ambiguità di cui lui stesso è frequentemente artefice.
Gli aspetti negativi che si riscontrano in se stessi e nel prossimo vengono enfatizzati e assumono
proporzioni sempre più ingombranti. Più presta attenzione anche a una piccola minaccia, e più questa
diventa reale. L’apprensione per una frase poco convincente o uno sguardo storto possono arrivare a
incrinare dei rapporti, condendoli con il timore di vedere verificato ciò che si sospetta. La profezia
che si autoavvera.
La colpa è un elemento chiave. Dal momento che la sua immagine si fonda sulla responsabilità,
l’autoaccusa non può essere sostenuta oltre un certo limite. Per sopravvivere ha bisogno di essere un
elemento valido, spesso si sente un eroe solo contro il mondo. Sono frequenti le situazioni in cui
ritiene di doversi giustificare (sia con se stesso che con gli altri) per evidenziare di aver scelto con
cognizione di causa. La proiezione della critica su altri è un modo per liberarsi di una voce interiore
troppo fastidiosa e accusatoria, processo di cui però è difficile accorgersi.

L’istinto e l’azione
Tipicamente, un Sei riesce a mettersi in moto al meglio quando intorno a lui vi è un gruppo degno di
fiducia, eccezion fatta per il controfobico, che tende a prendere di petto molte decisioni anche da
solo per vedere se sarà seguito oppure no. Se caricata e sostenuta dagli altri, questa personalità potrà
essere estremamente determinata e lucida, abbattendo il timore della minaccia. Mai come per il Sei
vale la pena di citare Dumas: «Tutti per uno, uno per tutti». È un ottimo compagno di squadra, non gli
interessa emergere e non vuole assolutamente che lo si ritenga un opportunista. Le direttive chiare e
lineari gli danno tranquillità. Tutto ciò che serve a fargli placare quel vortice che si ritrova nella
mente è il benvenuto.
Una volta superato lo scoglio del che cosa fare, arriva l’ostacolo più problematico del come fare
una cosa. Buona parte dell’impegno viene speso per rimanere all’interno delle norme e della
consegna. Trasgredire i patti porterebbe il Sei dalla parte del colpevole e questo non sarebbe
tollerabile. Per questo motivo accettare di fare un favore potrebbe diventare problematico, in quanto
percepito come un compito se non come un comando. Entro linee direttive ben precise sa di poter
dare il meglio di sé. Lo stesso orologio è una sorta di potere superiore da rispettare, poiché tutte le
scadenze sono estremamente importanti, che si tratti della data di una consegna o delle ore da
dedicare al sonno.

Paura
Non è la paura il problema. È la paura della paura a fregarmi!

MULLAH NASREDDIN
Chiunque può avere paura, ma generalmente questa riguarda alcuni aspetti della vita. Per un Sei,
invece, si tratta di una vera e propria paura esistenziale. Sappiamo tutti che cos’è l’istinto di
sopravvivenza e logicamente questo è relegato entro un margine preciso. Per quest’enneatipo è come
se quest’istinto non avesse confini e si espandesse oltre ogni limite, andando a intaccare gli ambiti
più svariati. Di fronte a un qualsiasi nuovo evento, un Sei risponde automaticamente percependo una
possibile minaccia. Va da sé che a livello inconsapevole qualsiasi novità potrebbe rappresentare un
pericolo. La Paura diventa la paura della paura e viene condita con una fervida immaginazione.
Questa reazione fa sì che un Sei riesca a sentirsi in contatto con la vita solo quando questa genera
apprensione, vuoi che sia per non tradire le aspettative altrui, vuoi che sia per timore di sbagliare:
tutto ciò che è importante, infatti, sembra essere ciò che genera quel particolare stato emotivo. La
maggior parte delle cose di valore è anche fonte di ansia.
La paura è una forma passiva della rabbia.

OSHO

Osho sostiene che la paura è il lato femminile della rabbia e che la rabbia è il lato maschile della
paura. Questo non può essere più vero per il Sei. Dove il fobico è bloccato dalla Paura e assume
quindi un atteggiamento passivo, subordinato, esitante, il controfobico si identifica col lato attivo,
vede l’altra faccia della medaglia negando completamente la Paura. Per quest’ultimo sarebbe
terrificante mostrare il dolore e l’esitanza, dunque non può che far emergere l’opposto, la rabbia.
Evitare quanto possibile la trasgressione è una parola d’ordine. Questa è da intendersi in
attinenza al contesto sociale di riferimento, può valere cioè per l’impiegato modello come per
l’hooligan rispetto ai suoi compagni. Essere adeguati è un diktat, non esserlo significa essere al di
fuori del limite di tollerabilità e quindi del gruppo.

Sottotipi
Autoconservativo – Calore
È il più caloroso e cordiale, quello che generalmente viene indicato come fobico. Le amicizie con il
prossimo, anche senza volerlo, sono in realtà delle alleanze per proteggersi da minacce comuni
(presunte o reali). Non solo, dal momento che teme che tra le intenzioni nascoste degli sconosciuti
possano celarsi delle minacce, questo Sei assume atteggiamenti molto amichevoli e stringe numerose
amicizie proprio per sfatare le sue paure. Ha continuamente bisogno di conferme e che si parli in
grande sincerità, onde evitare ambiguità e che il sospetto prenda il sopravvento. È il sottotipo che
cerca amicizie con persone da lui ritenute in grado di fornirgli maggiore sicurezza a cui fornire la sua
abnegazione. Tu copri le spalle a me, io le copro a te. È colui che più facilmente può sposare
ciecamente le cause perse.

Sessuale (controtipo) – Forza/bellezza


Indicato anche come controfobico, è il Sei che non ha mai peli sulla lingua. Ha difficoltà a
identificarsi in quest’enneatipo poiché rigetta la paura. È il più polemico e invettivo nei confronti
dell’autorità. Ha una sorta di presunzione di sapere sempre come vadano fatte le cose e abbraccia
facilmente una visione cinica dell’esistenza. Si difende dalla tentazione di arrendersi. Esprime la
paura sotto forma di rabbia, dal momento che la prima non dev’essere percepita: si lancia con il
paracadute se ha paura del vuoto. Si infiamma facilmente nel vedere che coloro di cui si fida non si
fidano di lui, proprio quelle persone a cui mette pressione affinché si conformino. La sua
ipervigilanza fa sì che in molte situazioni non possa “non comandare”.
È il sottotipo che maggiormente cura la sua fisicità, come se si trattasse di un mezzo per garantirsi
la sicurezza.

Sociale – Dovere
Tra la paura e la forza ci sono le regole. Questo sottotipo mostra tutta la sua devozione per il rispetto
dei sistemi di cui a volte diventa prigioniero ed è quello maggiormente a disagio nell’ambiguità,
verso la quale è estremamente critico. Presta moltissima attenzione a non infrangere la legge.
Soprattutto, per lui è importante sapere chi è dentro e chi è fuori, qual è il mio ruolo e qual è il tuo, e
così via. L’autorità può essere accettata od osteggiata, ma mai ignorata. L’obbedienza è una virtù e
ritiene che occorra portare a termine il proprio dovere fino in fondo.
Può essere più fobico o più controfobico ed è colui che maggiormente oscilla tra questi due
estremi a seconda del periodo della vita e dei contesti. Ciò che rimane costante è la sua fedeltà
all’ideologia, la quale gli garantisce la sicurezza riguardo a qual è o non è la sua posizione rispetto a
un tema o a una scelta.

Ali
Ala Cinque
Un Sei con quest’ala sente la necessità di chiarire dettagli su dettagli per non essere frainteso.
Dovesse redigere un trattato, questo sarebbe estremamente ricco di note e precisazioni affinché non
lo si possa accusare di essere stato poco chiaro. La puntigliosità diventa una scusa per non muoversi
di un passo dalla propria posizione, per evitare quanto possibile il cambiamento. Questo potrebbe
ottenebrare la sua natura logica e razionale.
Preferisce compagnie prevedibili e meno variopinte a livello di tipologia di elementi che la
compongono. Difficilmente si sposa bene con persone fuori dagli schemi e ritenute troppo bizzarre.
Desidera amicizie fidate con cui confrontarsi ma che al tempo stesso gli concedano l’opportunità di
ritirarsi nei suoi spazi.

Ala Sette
L’ala Sette fornisce un certo guizzo negli occhi di questo Sei. Ama l’ironia e la satira, strumenti utili
a smitizzare quell’angoscia da cui non vuole essere soverchiato. Tra questi non è raro trovare
cabarettisti o comici. Teme di rimanere paralizzato dalla sua stessa paura, quindi si obbliga al
movimento, il che lo rende più impulsivo e meno intellettuale di un Sei con ala Cinque.
Quest’atteggiamento diventa spesso imprudenza, rischiando di complicare le cose piuttosto che
semplificarle. Socievole ed estroverso, sa come godersi i piaceri della vita insieme a una buona
compagnia. Vorrebbe al tempo stesso una spensierata libertà e una stabile sicurezza, desideri
apparentemente opposti. Se l’espansività è una reazione all’ansia per liberarsene, proprio questa
caratteristica è da intendersi come potenziale fonte di nuove angosce e tormenti, che potrebbero
portare a un limite eccessivo di stress per far fronte al quale saranno poi necessari molti sforzi.

Agli occhi degli altri


Quando si ha a che fare con un Sei, si può percepire la sua tendenza a ragionare in negativo. A volte
questo modello di pensiero assume tratti di cinismo, altre volte è semplicemente uno scandagliare
tutte le varie possibilità per andare a pescare quelle peggiori per metterle in evidenza. Queste
opzioni sembrano essere sempre le più valide in qualsiasi contesto, poiché la sua abitudine a leggere
tra le righe lo porta a indovinare le intenzioni altrui. Ciò viene a volte portato a livelli estremi ed è
dunque grazie ai Sei che esistono certi temi quali le cospirazioni globali. Per questo motivo avrà
sicuramente ricevuto osservazioni riguardo alla sua sospettosità, diffidenza e anche ambiguità. Un Sei
con un’ala Sette molto accentuata tenderà a sorvolare certi temi con maggior facilità, trasformando
certe intuizioni in spunti ricchi di ilarità.
Come già detto, i Sei sono estremamente vari tra loro. Ad esempio, nel sessuale si notano una
certa irascibilità e nervosismo, come se si avesse a che fare con una mina che potrebbe esplodere al
minimo contatto. Manifesta reazioni esagerate quando viene messo in dubbio. L’autoconservativo è in
genere un amicone sempre alla ricerca di conferme, mentre il sociale è il più scettico e razionale. La
reattività di fronte all’ambiguità rimane una costante: il Sessuale si butta, l’Autoconservativo cerca
alleanze, il Sociale cerca le regole atte a stabilire cos’è giusto o sbagliato fare. In quest’enneatipo si
può notare il forte senso di appartenenza e l’altra faccia di questa medaglia, cioè il rifiuto. Essere in
un gruppo o al di fuori di esso è un importante centro di gravità che attira la sua attenzione. Un Sei
rimane generalmente una persona affidabile. Sono più le volte che un suo “no” diventa un “sì”
piuttosto che viceversa.
Enneatipo Sette

Enneatipo Sette
Conosciuto come Entusiasta, Espoloratore, Intrattenitore
Centro Razionale
Evita Dolore/Limitazione
Passione Gola
Virtù Sobrietà

D
ove c’è un Sette ci sono risate, spensieratezza, positività. Quest’enneatipo è proiettato verso il lato felice
della vita ed è abilissimo a trascinare in questa direzione chi gli sta intorno. Brillante, creativo e mai
ripetitivo, è sempre pronto a tirare fuori dal cappello l’ultima novità o la battuta che spiazza tutti. Ama
progettare, fantasticare e raccontare storie divertenti, distogliendo l’attenzione di tutti da ciò che è triste o
monotono. Vulcano creativo, non sembra in grado di stare fermo, desideroso com’è di godere delle meraviglie
della vita.

L’imperativo è: «Non crescere!».


Nasreddin nella sua infanzia amava andare a caccia di farfalle col suo retino. Ogni giorno sbrigava
rapidamente tutti i suoi obblighi per poi potersi dedicare alla sua attività preferita. Spesso addirittura ignorava
ciò che gli veniva chiesto dai genitori e dalla natura per fuggire e in tutta libertà godersi la sua passione.

Giorno dopo giorno, però, gli obblighi aumentavano: «È ora di crescere», gli veniva detto.
Ma lui non desisteva. Era giunto al punto di inventarsi ogni sorta di stratagemma per prendersi i suoi spazi.
Alle prime luci dell’alba si calava dalla finestra di camera sua e correva bagnandosi i piedi con la rugiada
mattutina, per poi rincasare al chiaro di luna per non incrociare la sua famiglia, a quell’ora già cullata dal sonno.
Un bel giorno giunse al campo dov’era solito dirigersi. Contemplò l’ambiente e non vi trovò alcuna farfalla.
Nel guardarsi intorno, sorprese una figura appoggiata a un albero. Era suo zio.
Di fronte allo stupore del piccolo, questi disse: «È da tempo che ti seguo, Nasreddin, e per i miei occhi è
una delizia guardare con quanta gioia ti dedichi al tuo sogno».
Nasreddin, sorpreso ma non sprovveduto, corse dietro un albero mentre lo zio continuava: «Ti avevamo
avvertito. Quando ti diciamo che è ora di crescere, non è solo per farti lavorare, ma per risparmiarti questa
delusione. Infatti, il clima è cambiato, le farfalle se ne sono andate e non torneranno qui per molto tempo
ancora… Ma cosa stai facendo?».
Il ragazzino aveva fatto capolino dalla boscaglia con uno zaino in spalla: «Lo sapevo benissimo anch’io, e
infatti eccomi pronto ad andarmene con loro!».

Un Sette è sempre in fuga da qualcosa e alla rincorsa di qualcos’altro. Per quest’enneatipo stare
fermi significa mancanza di libertà, vuol dire silenzio. Tutto ciò, per lui, è sinonimo di sofferenza.
La sua attenzione è sempre rivolta alle possibilità piacevoli. Non si accontenta di una soluzione,
vuole averne almeno tre a disposizione, poiché se una non va in porto, ce n’è sempre un’altra da
intraprendere. Per questo motivo ama progettare, fantasticare su come potrebbe essere fatta una cosa
e solo in un secondo momento occuparsi eventualmente della sua concreta realizzabilità.
Nel racconto, il giovane Nasreddin non va solo a caccia di farfalle, ma di sogni, ed è pronto ad
ogni evenienza. Infatti non si è fatto prendere in contropiede di fronte alla scomparsa delle farfalle,
era già preparato all’eventualità. Per nessun motivo è intenzionato a mettere da parte la sua libertà,
qualunque sia il prezzo da pagare. Ecco dunque che possiamo paragonarlo a Peter Pan, sempre
proiettato nel fantastico e quindi nel futuro.
Un Sette si sente immerso in un’esistenza ricca di opportunità ed è molto difficile rinunciare a
questa o a quella. Il desiderio di assaggiare una fetta di ogni torta è sia un impulso dettato
dall’entusiasmo della scoperta, sia un modo per non rischiare di rimanere fermo troppo a lungo in un
punto, pena il rischio di soffrire. Routine e abitudine, ma anche profondità e impegno, sono tutti
concetti che smorzano l’entusiasmo della scoperta, negano il brivido dell’imprevisto e
dell’avventura.
A quest’enneatipo non piace parlare né sentire parlare di dolore, dunque prometto di non
dilungarmi troppo sull’argomento, ma quest’aspetto è un tratto estremamente caratteristico. Gli viene
spontaneo accantonare doveri brigosi, rispondere alla malinconia con un sorriso, sdrammatizzare
momenti pesanti con battute divertenti in grado di alleggerire un clima opprimente. D’altronde, la
vera fonte dell’ironia non è la gioia, ma la tristezza. Questa tendenza a evitare le difficoltà assume
l’aspetto di un’eccessiva indulgenza, dove non è difficile trovare le scuse adatte per non
accaparrarsi gli impegni, anche se questi talvolta sono inevitabili. Dunque l’atteggiamento diventa
quello di chi si sacrifica, generando anche reazioni esplosive qualora gli sforzi compiuti non vengano
riconosciuti. Un Sette è infatti piuttosto individualista, non di rado fino a livelli narcisistici, per cui
sente che le sue intuizioni sono sempre al di sopra di quelle altrui e soprattutto dell’ordine costituito.
Questo lo porta ad avere una propensione alla ribellione, poiché difficilmente accetterà di seguire le
direttive di un’altra persona o di essere sottomesso alla volontà di chi non lascia sufficiente spazio
alla creatività.

I tre centri
L’intelletto: centro di gravità
Se dovessi trovare una parola per sintetizzare il funzionamento del pensiero di un Sette, userei il
termine brillante. Non solo perché le sue dinamiche di pensiero sono votate al raggiungimento di una
trovata spettacolare, che spiazzi lo status quo e che porti alla creazione di qualcosa di nuovo e
geniale, ma anche perché ciò che brilla spicca al di sopra di tutto il resto.
Questo suo modello di pensiero lo rende molto dinamico, permettendogli di saltare da un
discorso a un altro, evitando così l’intorpidimento del dialogo. Tuttavia, questo avviene in maniera
automatica, specie nei momenti in cui l’argomento si fa troppo profondo o, agli occhi di un Sette,
troppo pessimista. Egli è infatti a suo agio nell’ottimismo e nella progettazione di eventi stimolanti,
aiutato da una fervidissima immaginazione.
Ciò non significa che non sia mai in grado di andare in profondità, anzi, sa benissimo che il suo
modo di fare potrebbe renderlo superficiale. Per questo motivo si procura qualche “chicca” da poter
sfoggiare al momento opportuno per sfatare questo mito. Nonostante la sua estroversione, la mente di
un Sette rimane sempre impenetrabile, talvolta anche a se stesso, poiché mentre viene processato un
ragionamento, improvvisamente potrebbe incastrarsi con uno precedente fornendo la risposta che
mancava. Per analogia, assomiglia al detective che dopo settimane in cui non riesce a fare progressi
nella risoluzione del suo caso, osserva un evento totalmente scollegato da esso in grado però di
portarlo alla soluzione.
A un’osservazione attenta sarà presto evidente il distacco che si genera tra ragione e sentimento.
Molti degli sforzi intellettuali del Sette, infatti, sono rivolti a giustificare i propri vizi o, come le
chiamerebbe lui, esigenze o ricompense. Il suo atteggiamento può avere sfumature narcisistiche più o
meno accentuate, e queste hanno più a che fare con l’ambito intellettivo piuttosto che estetico.
Se l’attenzione non va verso il futuro, è facile che vada verso il passato. Per quanto un Sette
voglia dare l’immagine di persona in grado di godersi il momento presente, egli non vi è mai calato
pienamente. Quando non è preso da progetti futuri, è intento a raccontare trascorsi divertenti. Sa
come intrattenere gli altri, trovando facilmente il lato buffo di ogni situazione, lavorando soprattutto
per associazioni insolite.
Come tutti gli enneatipi con centro di gravità intellettuale, è estremamente attento a fare la cosa
giusta, il che si traduce in un’accurata analisi focalizzata a non lasciare mai da parte alcuna
possibilità o imprevisto, scegliendo la direzione che si apre sul maggior numero di alternative. Può
arrivare a spaccare il capello in quattro per trovare la via più utile per il suo interesse.

L’emozione
Raramente ci sarà capitato di vedere un Sette aprirsi in un sincero pianto in presenza di qualcun altro.
Egli, come abbiamo visto, nutre una forte avversione per la sofferenza, dunque per primo vuole
evitare di portarne altra nel mondo. Paura, quindi, significa paura della sofferenza. La conseguenza è
un allontanamento dall’emozione verso la progettualità, il che può generare una certa inconsistenza,
poiché è sempre la mente a dirigere il gioco anche in materia di sentimenti. Potrebbe avvilirsi in una
situazione spiacevole, ma ben presto sboccerà in una proposta positiva ed entusiasmante,
nascondendo sotto il tappeto tutto ciò che è indesiderato.
Da qui nasce la sua immagine di persona “ok”, o ancora di persona in grado di tirare fuori
sempre una trovata talmente azzeccata da attirare tutti gli sguardi. È affascinato da se stesso. È
portato a oscillare tra gli estremi di genio e sregolatezza, il tutto condito con una dose di
autogiustificazione. Invece di fare un raffronto sincero, le proprie qualità vengono spesso messe in
risalto su quelle altrui, senza lasciar spazio alle ombre. Qui viene fuori tutto il suo aspetto difensivo:
chiunque cerchi di avvicinarsi alle sue vere motivazioni, si scontrerà con uno schema di pensiero
costruito per proteggerlo da chiunque voglia sondare i suoi reali perché. Le emozioni vengono
vissute con la testa.
Quest’auto-fascino rende il Sette un seduttore, più precisamente un seduttore intellettuale. Audace
e spudorato, trova facilmente il modo di farsi piacere, rendendo il rapporto col prossimo più che un
semplice relazionarsi, un flirt, il quale non per forza ha secondi fini, oltre alla soddisfazione che
segue l’aver conquistato il fascino di quella persona. Ciò che conta è il risultato, in quanto il mezzo
può anche essere legato all’assunzione di un atteggiamento inadeguato o dissacratorio. Tuttavia,
questa scelta apre la porta alla via dell’autodistruzione, in cui il sentimento viene completamente
smontato da un cinismo a tutto tondo.
Per un Sette è difficile riconoscere di non essere un buon ascoltatore. È sicuramente un ottimo
conversatore, ma a un’attenta osservazione ci si potrà accorgere di come la sua attenzione vacilli man
mano che il discorso si fa lungo, monotono e noioso. Probabilmente non è la personalità più indicata
per prestare ascolto al dolore altrui, ma si tratta sicuramente di un abile compagno di viaggio che
punta dritto verso la luce, lasciando alle spalle l’oblio. Potrebbe sentirsi in trappola se gli viene
chiesto aiuto, ma non si fa sconti nell’aiutare di propria iniziativa i bisognosi.

L’istinto e l’azione
Non è raro che chi appartiene a questa personalità si trovi sparpagliato tra tanti interessi presenti e
futuri. Un Sette si affascina facilmente e non sa come potrebbe rinunciare a qualcosa. Inoltre, tre
impegni per la stessa giornata alla stessa ora sono cosa lecita, poiché c’è sempre la speranza (o
l’illusione) di poter incastrare le varie opzioni nel migliore dei modi. Questa tecnica è nascosta
dietro a efficaci giustificazioni, del tipo non voler rischiare di ricevere un bidone all’ultimo minuto.
Ma questo è il Sette che si difende da se stesso, proiettando la propria ombra sugli altri e,
ovviamente, trovandosi per primo nel ruolo di colui che non porta a termine gli impegni presi.
In generale si tratta di una persona attiva e intraprendente, in grado di impegnarsi molto anche nel
lavoro a patto che non gli sia stato imposto. Pur di non lavorare otto ore da dipendente, è disposto a
lavorarne dodici da libero professionista. Tutto ciò che è sinonimo di limite è da evitare
accuratamente.
Non è un mago dell’organizzazione e può avere difficoltà a collaborare poiché non ama adattarsi.
Inoltre, per quanto possa teorizzare delle linee direttive anche precise, all’attuazione preferisce
improvvisare e adattarsi man mano che il lavoro viene svolto.
La vita sembra non dare mai abbastanza, ogni esperienza che viene consumata non sazia, ma
stimola solo l’appetito per la prossima che verrà. Un Sette vuole sempre di più dalla vita, soprattutto
lo vuole subito, altrimenti rischia di perdere l’entusiasmo. Non si fa mai mancare niente, ma tende a
non portare a termine ciò che inizia. In genere si tratta proprio di quelle cose di cui fino a poco tempo
prima era appassionato.
L’istinto di un Sette tende a infiammarsi di tanto in tanto, facendolo apparire una personalità
tutt’altro che appartenente al centro intellettivo. Il calcolo delle conseguenze dei suoi impulsi
aggressivi gli permette un certo autocontrollo, benché non esiti a palesare i momenti in cui la miccia
si accende.

Gola
Decisi di non farmi scappare nulla: assaporai ogni esperienza che la vita metteva a disposizione. Ma, per la
barba di Mosè, non digerii un bel niente!

MULLAH NASREDDIN

Quando si parla di Gola, ovviamente, non ci si riferisce solo all’ambito culinario. Eppure il
paragone regge. Un Sette è come una persona che si trova di fronte a un buffet immenso e non sa da
quale parte iniziare per non farsi sfuggire alcuna prelibatezza. Decide di prendere un boccone di qua,
un assaggio di là, ma il risultato è un turbine di aromi malamente accostati. Soprattutto, la quantità
vince sempre sulla qualità, il che non dà i risultati desiderati.
Come sinonimo di Gola, in questo caso, possiamo usare anche intemperanza, poiché a tutti gli
effetti questo vizio consiste in una mancanza di moderazione. Al tempo stesso si tratta di una naturale
predisposizione al timore che domani potrebbe arrivare il dolore, la delusione o un limite. Dunque la
Gola diventa un continuo progettare affinché un piacere possa perdurare nel tempo. Ma ogni nuova
fonte di piacere rischia di esaurirsi, di conseguenza è necessario trovarne sempre di nuove, dando
come risultato una personalità in continuo movimento, che trova difficoltà a soffermarsi nello stesso
punto troppo a lungo. In questo senso un Sette sembra senza riposo. È continuamente preso da una
dinamicità quasi compulsiva che lo può portare letteralmente a crollare di sonno nel momento in cui
si trova costretto a stare fermo.
Un altro aspetto della Gola è l’indulgenza. Per capire come si manifesta in un Sette, si può
osservare cosa comportano le sue azioni di impulso. Ad esempio, dopo aver pianificato nel dettaglio
di voler risparmiare, di punto in bianco può decidere di concedersi un premio costoso. Questo
meccanismo prevede che in seguito a un qualsiasi sforzo sia permesso concedersi una lauta
ricompensa, talmente ricca da rischiare addirittura di compromettere lo sforzo appena fatto.

Sottotipi
Autoconservativo – Famiglia
Questo sottotipo è quello che maggiormente vorrebbe separare le relazioni importanti da quelle
marginali, ma gli è difficile attuarlo. Presta molta cura alla famiglia e alle relazioni intime, ma non
per questo si risparmia dall’avere numerosi contatti esterni alla cerchia, dai quali sa cogliere le
opportunità necessarie alla sua sopravvivenza. Difficilmente riesce a negare il suo aiuto a coloro che
glielo chiedono, ritrovandosi a dover sostenere situazioni gravose per essersi ingenuamente fatto
carico di chi non era in realtà degno di fiducia. È sicuramente il più caloroso a livello affettivo tra i
tre sottotipi, non nega il contatto fisico ai propri cari e sa come farsi voler bene dagli altri. Ha
maggior cura della propria economia per sapere quali sfizi può o non può concedersi. È una
personalità energica, disposta a fare molti sforzi per raggiungere la qualità di vita che si propone, il
cui spessore va misurato attraverso la valutazione di quali possibilità si aprono all’orizzonte. Un
predatore.

Sessuale – Suggestionabilità
È indubbiamente il sottotipo più intenso tra i tre. Trova grande ispirazione dalle persone
sufficientemente eccentriche da stimolare la sua immaginazione, le quali gli permettono di assaggiare
sempre una nuova fetta di realtà. Il risultato è però quello di saltare da un fiore all’altro, come un’ape
alla ricerca di un nettare sempre più succulento, trovandosi in difficoltà nelle relazioni a lungo
termine. È il Sette che sopporta di meno l’abitudine e la routine, il più ribelle ed energico. Lavora
moltissimo di immaginazione, cambiando continuamente interessi e passioni, sempre a caccia della
novità. È innamorato dell’infatuazione e del fascino che una situazione, reale o ipotetica, è in grado
di suscitare. Il risultato è quello di essere senza sosta e fondamentalmente insoddisfatto della realtà
attuale. È anche il più appariscente, il più rapito dalla propria immagine eccentrica di persona pronta
a sfoggiare l’ennesimo coniglio dal cappello, seducendo con la mente.

Sociale (controtipo) – Sacrificio


Apparentemente il suo impegno e soprattutto la sua attitudine al sacrificio potrebbero non farlo
sembrare un Sette. È abbondantemente il più idealista tra i tre sottotipi. Percepisce un forte senso di
responsabilità verso la causa per cui si prodiga. Ma è pur sempre un Sette, dunque inevitabilmente si
ritroverà a dover fare i conti con il suo grande desiderio di libertà, che solo in parte viene
soddisfatto dalla dinamicità prevista dal farsi carico di numerosi compiti. Questo lo porta a sentirsi
“al limite”, ovvero si identifica in colui che fa così tanto per gli altri da ritenerli invadenti e
irriconoscenti qualora presentassero una richiesta o una lamentela nei suoi confronti. Manipola
attraverso i suoi valori per raggiungere il suo scopo, il suo piacere, la manifestazione della sua
grandezza. Si prende gli impegni per farsi degli sconti, mangia la nutella di nascosto. Si lancia in
tanti progetti con diversi gruppi, trovandosi spesso in conflitto tra il proseguire in quella direzione e
il seguire la propria via. Per ovviare al problema cerca di tenersi sempre aperta una via di uscita.

Ali
Ala Sei
I Sette che esprimono maggiormente quest’ala nutriranno probabilmente un maggior interesse per le
persone. Su queste si riversa tutto quell’intuito sagace di cui abbiamo parlato, rendendo
probabilmente questo Sette il più propenso alla satira, alla comicità. È un intrattenitore nato. I suoi
“piani di fuga” sono più pragmatici e calcolati, poiché prende in prestito dal Sei un maggiore
desiderio di appartenenza, dunque avrà più riguardo per le regole. Più timoroso di essere
vulnerabile, si sforza di creare intorno a sé un ambiente più confortante e amichevole. Parla, ma sono
più le sfide che evita di quelle che affronta veramente. Teme di essere intrappolato dall’indecisione,
da una parte si trattiene di più in quanto teme di sbagliare, dall’altra l’istinto è quello di cambiare e
di lanciarsi verso qualcosa di nuovo, dando origine a frequenti ansie.

Ala Otto
Ciò che contraddistingue un Sette con ala Otto è il suo maggiore contatto con la realtà. Qui si parla
più di ciò che si fa, piuttosto che di quel che piacerebbe fare. Al progetto segue con maggiore
frequenza un risultato, per quanto, però, i mezzi a volte siano molto discutibili. Dell’Otto, infatti,
assume le caratteristiche di pretesa ed egoismo: “tutto mio”. Si trova in difficoltà nella
collaborazione in quanto lascia molto spazio all’improvvisazione, ma se il suo lato più selvaggio non
ha il sopravvento, può essere un ottimo leader. Gli altri diventano più caricature che persone, quindi
nuovi soprannomi saranno all’ordine del giorno. Nell’Enneagramma delle Personalità è
probabilmente il più affascinato da se stesso. Come una diva, va a caccia di applausi e non teme di
farsi nemici. La sua aggressività si manifesta pienamente attraverso un carisma personale importante,
a volte ingombrante.

Agli occhi degli altri


Un Sette si fa amare per la sua simpatia, il suo atteggiamento positivo, la capacità di trovare un
sorriso anche nei momenti più difficili. Giovialità e capacità di intrattenimento vanno di pari passo
con un certo individualismo, è infatti evidente come non ami stare alle regole degli altri (ma
nemmeno alle sue). Questo fa sì che gli altri lo vedano come inaffidabile e imprevedibile, soprattutto
perché certe scuse hanno davvero le gambe corte.
Inoltre, gli altri sanno che da un Sette non ci si può aspettare una grande profondità, poiché
andare nel dettaglio, specie per quanto riguarda il mondo emotivo, è sia noioso che causa di
sofferenza. Dunque che motivo c’è di farlo?
Soprattutto per il Sette Sociale, dal momento che si spalma su tante persone, un amico può avere
la percezione di non essere mai davvero suo amico, ma solo “uno di tanti”. La stessa cosa vale per il
Sessuale, il quale è proteso sempre verso nuove compagnie. L’Autoconservativo è probabilmente il
più costante, a patto che il suo opportunismo venga compreso e accettato per quello che è, ovvero
una reazione alla paura.
Enneatipo Otto

Enneatipo Otto
Conosciuto come Lottatore, Boss, Guerriero
Centro Viscerale
Evita Debolezza
Passione Lussuria
Virtù Semplicità

T
alvolta la sola presenza di un Otto è sufficiente a far capire chi comanda. Leader innato, colma
rapidamente i vuoti di potere. Sfida apertamente gli avversari, non si ferma di fronte alle difficoltà e si
prende cura (anche con forza) di chi è sotto la sua ala. Personalità che spontaneamente si posiziona nel ruolo
di capo, esercita un’influenza di tipo carismatico. Non sembra conoscere la paura e sa dove colpire per fare
breccia. Sa come motivare e spronare, gli viene naturale indicare la direzione da seguire.

Vai dove ti porta l’istinto


Un giorno Nasreddin cavalcava un mulo che a un certo punto si mise a correre. Non riuscendo ad arrestarlo,
prese, malvolentieri, un’attitudine passiva. Gli capitò di incontrare un conoscente che lo interpellò: «Nasreddin,
ma dove vai a quell’andatura?».
Il Mullah, che nel frattempo si era un poco allontanato, gridò: «Dovunque mi voglia portare quest’animale!».

Un enneatipo Otto ha preso una decisione ancor prima di averci riflettuto. Riconosce facilmente ciò
che è giusto e ciò che è sbagliato, anche se le sue argomentazioni potrebbero non risultare
particolarmente logiche per i suoi interlocutori.
È il suo mulo a decidere dove andare e perché, mentre chi lo cavalca raramente viene chiamato in
causa. In questa storia l’animale è l’istinto, Nasreddin è la ragione. Questa personalità prima agisce,
poi riflette.
In qualsiasi contesto sembra avere una propria posizione precisa e la sostiene con sicurezza,
quasi a costringere l’altro a dover per forza schierarsi dalla sua parte o dall’altra. La sua opinione è
sempre nitida, mai fumosa, spesso avanzata con determinazione e desiderio di sfida, se non di
provocazione. Tuttavia quest’atteggiamento è limitato alle situazioni che gli interessano: le principali
sono il controllo, il potere, la giustizia.
Un Otto ritiene di non potersi permettere di essere debole. È estremamente sensibile ai ruoli
rivestiti dalle persone e la sua attenzione si volge rapidamente a domandarsi chi sia a detenere il
controllo in una determinata occasione. Una volta trovato, non può fare a meno di metterlo in
discussione (apertamente o meno), cercando di saggiare la sua capacità di leader. Non vuole per
alcun motivo finire sotto il controllo di qualcuno che a suo avviso non è in grado di esercitare il
potere, dunque non si risparmierà dallo scovarne i punti deboli e attaccarli.
Tutte queste valutazioni si svolgono solo parzialmente a livello mentale o conscio. Le conclusioni
arrivano quasi tutte dalla pancia e una volta tratte è troppo tardi per tornare indietro. La spiegazione
data per un determinato comportamento è breve, spicciola e fa appello all’evidenza. Se non viene
compresa al volo, non vale la pena di perdere tempo con chi non ci arriva.
Nasreddin si arrende alla decisione dell’animale di portarlo dove gli pare: non saprebbe come
comunicargli di fermarsi. Un Otto, ossessionato dall’avere in pugno la situazione, ha però grandi
difficoltà ad avere il controllo su se stesso. Questo lo si nota dalle reazioni esagerate nei confronti
delle altre persone, le quali spesso rimangono schiacciate dalla sua violenza (verbale ma anche
fisica).
Quando le discussioni si infiammano eccessivamente e si concludono malamente, egli potrebbe
ripresentarsi dopo qualche tempo senza comprendere il malumore della persona con cui aveva
discusso. Quasi a manifestare una negazione rispetto a quanto appena capitato, un Otto sembra essere
in grado di dimenticare rapidamente un colpo subito. Una parola che usa molto è “no”. Questo è il
metodo che adotta per non sentirsi ferito nei sentimenti: a quella che rischierebbe di essere una sua
debolezza, reagisce manifestando ulteriore forza. Questo dà luogo a una notevole capacità di
sopportazione del dolore, ma al tempo stesso lascia spazio a una callosa insensibilità su tutti i fronti:
emotivo, fisico, mentale.
Il conflitto non è mai un problema, anzi, è il momento della verità. Finalmente qui tutti giocano a
carte scoperte e tirano fuori quello che pensano realmente. Altre volte lo scontro assume quasi
l’aspetto di un passatempo o di un modo per incanalare la frustrazione dettata dalla noia e dalla
mancanza di una lotta da ingaggiare. Qualsiasi frivolezza rischia di diventare un campo di battaglia e
una caccia al colpevole: il mondo è stato ingiusto con lui, dunque ogni occasione è buona per cercare
di pareggiare i conti.

I tre centri
L’istinto e l’azione: centro di gravità
L’enneatipo Otto è estremamente sensibile ai concetti di spazio e territorio, cioè al “qui inizio io, qui
inizia il mondo”. È in grado di captare al volo le possibili minacce e i suoi sospetti spesso trovano
conferma nella realtà. Vede se stesso contro il mondo, di conseguenza l’esigenza primaria rimane
sempre la sopravvivenza.
Muscoli, sguardo vigile e sfida: proprio perché non vuole per alcun motivo far la fine
dell’animale in trappola, dedica tutto il suo impegno al raggiungimento di posizioni di potere o di
agio economico, entrambi modi per affermare una sana indipendenza. Si serve della sua energia e
della sua forza per raggiungere tali obiettivi, fino a sfiancarsi. Si irrita facilmente quando si trova in
uno stato di subordinazione, dando luogo a un atteggiamento ribelle, a meno che non possa ritagliarsi
uno spazio in cui esercitare la sua influenza e autorità.
Trova più facile risolvere le situazioni battendo i pugni sul tavolo, evitando così interminabili
discussioni. Tante parole rischiano solo di confondere e annebbiare la verità. Non esistono le
sfumature di grigio, ma solo il bianco più bianco e il nero più nero. Un’opzione è valida oppure è da
scartare, una persona è colpevole oppure innocente.
L’insensibilità fisica dà luogo a una notevole capacità di sopportazione del dolore. Non sono rari
gli Otto che si dedicano a sport violenti o estremi, che si appassionano ad attività militari o che
rimangono piuttosto tranquilli anche di fronte a una frattura ossea. Possiamo immaginare questa
personalità come un combattente che carica il nemico noncurante delle ferite che subirà, unicamente
intenzionato a colpire mortalmente l’avversario.
A proposito della fisicità, si può trovare una consistente differenza tra uomini e donne. Queste
ultime potrebbero aver subito molti più impedimenti nella loro libertà di espressione, soprattutto di
natura sessista (“sei una donna, dovresti fare cosa da donna”). L’assertività, l’iniziativa e l’autorità
carismatica non sempre sono ben accette nella figura stereotipata del gentil sesso. Di conseguenza è
possibile che abbiano escogitato metodi alternativi, dunque meno fisici e diretti, per esercitare
l’influenza e manifestare la propria identità.
Un Otto percepisce a pelle i “vuoti di potere” e cerca di riempirli come può. Difficilmente riesce
a impedirselo. Si catapulta nelle situazioni con slancio, fiducioso di trovare le soluzioni strada
facendo, così come l’appoggio degli altri, di cui non sembra interessarsi ma che accoglie sotto le sue
ali. Metterà continuamente alla prova le persone affinché sia chiaro da che parte stanno: “Con me o
contro di me”. Il tradimento può diventare un pensiero ossessivo.

L’emozione
Tipicamente un Otto non sembra in grado di attingere a un repertorio consistente di emozioni. Queste
hanno sempre una qualità passionale ed esagerata: le mezze misure come la serenità o la quiete sono
solo fasi di transizione tra gli estremi rappresentati dall’entusiasmo e dalla rabbia, le quali spesso si
amalgamano in una miscela esplosiva. Riconosce se stesso soprattutto quando si trova in questi stati
d’animo, proprio come un amante del cibo piccante non sa gustarsi la prelibatezza di un piatto
raffinato se questo non è arricchito con dosi massicce di tabasco e peperoncino.
Questa progressiva desensibilizzazione potrebbe dar luogo a un atteggiamento da “serial-killer”
verso le fonti di debolezza nella propria persona e nel cuore di chi è sotto la sua protezione. Il
sentimento è una vulnerabilità a cui un nemico potrebbe agganciarsi, dunque è necessario essere
temprati e pronti a tutto. Per questo motivo le manifestazioni di affetto sono ridotte al minimo anche
con le persone più care, e un tentativo di riappacificazione diventa il lasciare dei soldi su un
comodino od offrire la cena. Difficilmente si presenteranno sotto forma di un abbraccio caloroso.
Voler bene, per un Otto, significa proteggere. La sua vita è una continua lotta in trincea, quindi
quale può essere il modo migliore di amare qualcuno se non il garantirgli protezione e assicurandosi
che possa sopravvivere? Questo genera tuttavia numerose richieste di dimostrazione di forza: è
desideroso di mettere sotto pressione la persona amata per verificarne la resistenza. Come risultato
si avranno numerosi conflitti. Un Otto tende a irritarsi facilmente e solo acquisendo un grande
autocontrollo può ricordarsi di risparmiare i suoi cari dal suo eccesso di energia: il confronto diretto
è il suo modo di reagire di fronte a chi sembra nascondergli qualcosa. Quando tutte le inibizioni
saltano, la verità viene a galla nuda e cruda, senza filtri.
I metodi per generare conflitto sono molteplici, a partire dalla colpevolizzazione fino ad arrivare
alla denigrazione. Scaldare gli animi è un modo per combattere la monotonia e riportare la vita a
livelli ritenuti a suo avviso accettabili.
L’immagine di persona forte non può essere in alcuna maniera ferita, per questo la personalità è
da considerarsi come una scorza di metallo che protegge il fuoco incandescente delle sue emozioni
passionali, che spesso vengono confuse con gli istinti.

L’intelletto
Generalmente un Otto preferisce il concreto e tangibile alla volatilità dell’astrazione. A livello
intellettuale c’è una certa semplicità di pensiero, la complicazione e l’incomprensibilità sorgono
quando i suoi appetiti e istinti non sono soddisfatti. Qui, problemi da nulla diventano questioni
importanti e lasciano spiazzato chi si trova a orbitargli intorno.
C’è una continua ricerca del colpevole per ciò che non va. Nella sua mente è convinto di cercare
giustizia, in realtà ciò che vuole è vendetta: l’Otto va nel mondo a caccia di colui che ha rovinato la
sua vita e identifica questa persona in chi commette un crimine o qualcosa di sbagliato. In una realtà
profondamente ingiusta nella sua essenza, sente l’urgenza di pareggiare i conti.
“Nessuno è innocente” e “ognuno deve pensare a se stesso”: questo è l’atteggiamento mentale di
fondo, benché non sempre ne sia consapevole. L’attenzione è sempre vigile a calcolare la gerarchia e
la distribuzione dei poteri. Nella mente si processano automaticamente le possibilità di colpire sul
vivo: i punti deboli dell’altro risaltano su tutto il resto.

Lussuria, «lust»
La lussuria è una belva irritata dalle sue catene e poi lasciata andare.
TITO LIVIO

L’esagerazione non è l’eccezione, ma la regola. Che si tratti di attività fisica, di intensità nei rapporti,
di hobby o di lavoro, ciò che conta è andare oltre il limite. Il termine inglese “lust” porta
l’accezione più calzante per descrivere la Passione di quest’enneatipo. Infatti è da intendersi come
sinonimo non solo di Lussuria, ma anche di avidità, brama, desiderio sfrenato. Si va dunque ben al di
là dell’ambito sessuale, poiché si chiama in causa tutta la vita. Non basta fare il bagno di mezzanotte
in pieno inverno, bisogna farlo completamente nudi. Non basta sciare in una bufera, bisogna fare
anche il fuoripista. Non basta rimproverare, bisogna far soffrire affinché la lezione venga imparata.
La manifestazione più tipica della Lussuria è quella di prendere ciò che si riesce a prendere.
Questo si traduce frequentemente in un atteggiamento dominante e possessivo. Nel rapporto con gli
altri diventa il sentirsi nel sangue il potere di essere un capo, che si tratti del ruolo di capofamiglia in
ambito domestico o il boss da rispettare (o temere) sul posto di lavoro.
Un Otto è ben consapevole delle sue capacità e le sfrutta fino in fondo per raggiungere i suoi
obiettivi, superare gli ostacoli e se stesso. È la personalità che maggiormente mette in gioco la
propria rabbia, anche se è difficile dire se non sia questa a controllarlo, piuttosto che il contrario.
Quando il mulo di Nasreddin parte al galoppo, come fermarlo? Chi investirà, chi ferirà?
Un’altra faccia tipica della Lussuria è l’arroganza: chi si frappone tra il cacciatore e la preda può
solo fare una brutta fine. Molti Otto raccontano di esperienze vissute al limite tra la vita e la morte, di
dolori e rischi insopportabili e inconcepibili per altre persone. Episodi estremi, sfidare le regole e i
confini: tutto questo dà l’illusione di situazioni al limite della sopravvivenza. Vincere in un confronto
diretto e surclassare il prossimo sono modi per dimostrarsi di non essere destinati all’eliminazione
ad opera della selezione naturale. L’obiettivo non è garantirsi la sicurezza, ma cercare situazioni
instabili in cui mettersi alla prova.
Per un Otto non è possibile vivere sotto costrizione. Più cerca di trattenersi, più la belva si
infervora. Passione sfrenata e vendetta: ecco l’Otto nel suo nocciolo.

Sottotipi
Autoconservativo – Sopravvivenza soddisfacente
È il sottotipo meno vistoso ed espansivo, tende a dare meno nell’occhio ed è meno stimolato a
competere apertamente. Il più introverso, anche taciturno. Fa parlare i soldi e i fatti. Si focalizza
sugli aspetti più materiali della sopravvivenza, legittima la Lussuria con il concetto di
“sopravvivenza soddisfacente”. Non basta una casa, ne servono due. Non basta un ricco conto in
banca, bisogna avere sempre più soldi a disposizione. Ha spesso un atteggiamento capitalista o
tesaurizzatore. È quello che più di frequente rinfaccia di essere colui che manda avanti l’economia
della famiglia, sottolineando come il benessere di tutti dipenda dai suoi sforzi. Machiavellico, è
caratteristicamente il più freddo tra i tre sottotipi.

Sessuale – Possesso/resa
Il più intenso e diretto, difficilmente passa inosservato. Dà un’immagine di sé potente, anche se non
dice di ricercarla. Sicuramente è l’Otto che maggiormente incarna il concetto di Lussuria nel senso
comune del termine. Si gode il ruolo di “ragazzo cattivo”, in quanto è il più ribelle e privo di sensi di
colpa.
La Lussuria è incanalata in una pronunciata possessività che passa attraverso il suo carisma. Non
si cura granché del prossimo ma trae piacere dal vedere che le cose si mettono in moto con la sua
sola presenza. Si prende cura del suo gruppo intimo o “clan”, ma dall’altra parte quest’atteggiamento
viene spesso visto come vezzo di una personalità soverchiante e controllante. Il più “cowboy”.

Sociale (controtipo) – Amicizia


È il più attrezzato a livello emotivo. Conosce metodi meno fisici per imporsi, come ad esempio le
valanghe di parole atte a controllare una discussione. Talvolta potrebbe non sembrare affatto un Otto
per la sua propensione a creare amicizie fondate sulla lealtà. Diventa così molto sensibile al
tradimento. Socievole e altruista, è attento all’ingiustizia e all’abuso di potere. Si trascina con
slancio nella lotta di classe o nel sindacalismo. La Lussuria diventa anche progetti, attività,
iniziative: è il sottotipo più intellettuale che difficilmente riesce a stare fermo.
Al tempo stesso attratto dalla società, la rifiuta. La sua ribellione si manifesta creando un “noi
contro la società”, piuttosto che “io contro tutti”, caratteristico degli altri Otto.

Ali
Ala Sette
Ferire il prossimo per il suo bene non è mai una realtà così concreta come per quest’Otto. I punti
deboli dell’altro sono irresistibili fino al punto di vedere le persone come delle caricature: che c’è
di male nell’aggettivare qualcuno che di fatto è già stato preso in giro dalla natura? È anche il tipo
che maggiormente trova gusto nell’humor nero: barzellette crude, racconti violenti.
È molto sensibile alla propria libertà e autonomia. È controllante e attento alla propria privacy,
ma non a quella del prossimo.
Prova un certo piacere nell’essere una persona interessante, non tanto per intrattenere o farsi
piacere, ma per affermare ulteriormente il suo ruolo di persona dominante. La sua autorità viene
affermata grazie all’influenza diretta, senza avere cura delle gerarchie prestabilite all’interno di un
contesto sociale. Difficilmente farà un passo indietro di fronte a una sfida a viso aperto.

Ala Nove
Quest’ala fornisce maggiori autocontrollo e attenzione a dove, quando e come colpire. Un Otto con
ala Nove prova gusto nel vedere gli altri sottovalutarlo: la sua maggiore freddezza gli permette di
fare un passo indietro e di non lanciarsi a capofitto in ogni battaglia. Il più spietato e privo di
rimorsi. È anche disposto a rilassarsi con una certa facilità, a patto però che tutto sia sotto controllo.
Non è il leader sempre in primo piano, ma quello che sa imporsi quando l’occasione lo richiede.
Quando il numero di “ritirate strategiche” cresce eccessivamente, potrebbe nascere una fastidiosa
autoaccusa di vigliaccheria, fonte di irritazione e frustrazione. Sente che potrebbe fare e avere di più,
ma non può. Questa sensazione, piuttosto che un razionale contegno, porta a uno stato di impotenza.
Vive una lotta interiore tra le sue due parti, quella passiva (trattenersi) e quella aggressiva
(attaccare).
Se l’ala Sette rende la passione dell’Otto come il soffio di un drago, cioè rapida ed esplosiva,
l’ala Nove la rende come il magma di un vulcano, ovvero lenta e incontenibile.

Agli occhi degli altri


Chiunque prenda dimestichezza con l’Enneagramma delle Personalità imparerà presto a riconoscere
un Otto, soprattutto certi suoi sottotipi.
Diversamente dagli altri enneatipi, i quali per affermarsi hanno necessità di fare qualcosa, questo
tipo (soprattutto il sottotipo Sessuale) sembra riempire una stanza con la sua sola presenza, che si
tratti della voce, del modo di guardare gli altri o del modo di muoversi.
Un Otto può essere frequentemente tacciato di essere troppo aggressivo, impulsivo e violento, ma
anche senza scrupoli, sconsiderato e spietato. Dall’altra parte, chi gli sta intorno può garantire di
sentirsi protetto e al sicuro da minacce esterne (ma non necessariamente dall’Otto stesso). Molti
potrebbero invidiare la sua determinazione e la capacità di non curarsi dell’opinione altrui: sa
andare dritto all’obiettivo senza guardare in faccia nessuno. Uomo o donna che sia, dà l’impressione
di essere un “alfa”. Lo si può vedere a disagio e irascibile se assume un ruolo subordinato.
Un Otto tende a confrontarsi molto apertamente e a generare situazioni conflittuali, come fare
commenti e domande scomode, che però lui o lei sembrano trovare assolutamente normali.
Ama la terminologia semplice e schietta. Non mancano le metafore militari e atteggiamenti da
“tutto o niente”. Quando lo desidera, sa come mettere l’altro con le spalle al muro: o mi sei amico o
mi sei nemico.
Le situazioni in cui rimane in disparte sono quelle in cui si trova a disagio e che lo irritano,
generalmente poiché si sente debole e non all’altezza. Molte volte, invece, non si fa notare poiché
semplicemente non gli interessa ingaggiare una discussione o avere a che fare con certe persone.
Un Otto non è solo aggressione, impulsività e dominio: è capace di generosità e grande altruismo,
soprattutto di fronte all’ingiustizia.
Enneatipo Nove

Enneatipo Nove
Conosciuto come Mediatore, Pacificatore, Armonizzatore
Centro Viscerale
Evita Conflitto
Passione Accidia
Virtù Diligenza

U
n Nove sorprende sempre per la sua tranquillità, per la sua tolleranza incondizionata e per la sua capacità
di smorzare le tensioni. Ha un occhio di riguardo per tutti ed è estremamente attento a non ferire nessuno.
Sa quand’è ora di fare un passo indietro per favorire l’armonia e l’amicizia, le quali sono poste al di sopra di
frivole divergenze di opinioni. Umile e sensibile al conflitto, gli viene naturale smussare gli spigoli che si
formano tra le persone. In compagnia di un Nove ci si sente accettati a prescindere e per niente giudicati.

Lasciarsi vivere
Nasreddin era solito avere numerosi interessi e passioni, ma questi lo portavano a creare degli attriti con la
sua famiglia.
«Smettila di perdere tempo!», gli veniva detto. Soffrendo per tutto questo, si rivolse a un oscuro stregone
di cui aveva sentito parlare, il quale si vantava di saper risolvere ogni problema. Ascoltata la sua storia, questi
gli diede un libro portentoso: lo avrebbe risparmiato da tutti i conflitti. Doveva scrivere su ogni pagina il motivo
di ogni contrasto, strapparla e darle fuoco. Il potere dell’oggetto gli avrebbe donato la capacità di sorridere a
suo piacimento e di andare d’accordo con tutti, evitando ogni motivo di discussione. Nasreddin corse a casa e
non esitò a far uso di quella pericolosa meraviglia.
Qualche tempo dopo un suo amico lo incontrò per strada. Trovandolo così sorridente, lo salutò
calorosamente e gli chiese: «Ehi, Nasreddin, oggi ti vedo davvero bene. Che succede?».
Senza scomporre il suo sorriso, il Mullah gli rispose: «Non sto esistendo».

Un enneatipo Nove ha dimenticato e dimentica se stesso. Sente che per qualche motivo, spesso
nemmeno individuabile, egli viene per ultimo. Sostiene che al mondo non cambierebbe granché se lui
esistesse o no, dunque ritiene di avere poca importanza.
Ha sempre percepito i propri bisogni come secondari rispetto a tutti quelli degli altri, perciò ha
imparato a essere sordo alle proprie necessità. Sin dall’infanzia, non appena percepiva attriti, ha
sempre fatto ciò che poteva per evitare che questi si infiammassero. In genere si trattava di annullarsi
per permettere che le cose non peggiorassero. Se si chiedesse a un Nove che cosa desidera,
probabilmente risponderebbe che ha già tutto ciò che vuole, oppure prenderebbe in prestito i desideri
di qualcun altro, poiché gli è molto difficile esprimere preferenze o prendere decisioni.
Evita a tutti i costi di entrare in conflitto col prossimo. Conosce una serie di strategie che lo
rendono in grado di non generare contrasti con gli altri e di permettere alle persone di far pace ma,
proprio come per il nostro Nasreddin, il prezzo da pagare per una tale capacità è molto alto: togliere
di mezzo la propria opinione, i sogni, se stesso. Per questo motivo può talvolta avere la sensazione di
stare vivendo la vita degli altri o di non vivere affatto.
I suoi desideri vengono sostituiti con un loro surrogato, il quale assume l’aspetto di un profondo
interesse o passione che però in realtà serve per non pensare. A un Nove riesce difficile distinguere
ciò che è importante da ciò che è secondario, ciò che gli piace da ciò che non gli piace. Potrebbe
lavorare tutto il giorno per qualcosa che (senza saperlo) non ama affatto, oppure potrebbe spendere
ore e ore a collezionare oggetti, o ancora stare di fronte a un computer per riempire il suo tempo
libero, pretendendo che tutto questo sia la sua vita o la sua passione. In realtà si sta narcotizzando.
Proprio come una persona che soffre necessita di antidolorifici, questa personalità non vuole e non sa
cosa significhi guardarsi dentro perché sarebbe come smettere di anestetizzarsi. Teme di non trovare
nulla in sé, anzi, potrebbe anche esserci qualcosa di doloroso e per questo si perde nelle attività e
nella routine.
Un enneatipo Nove ritiene di essere una brava persona. Desidera mostrarsi accomodante e
imparziale, vorrebbe andare d’accordo con tutti e non capisce come mai le persone si agitino tanto
per delle cose che in fondo non hanno tutta quest’importanza. Ama tranquillizzare gli altri e dire loro
che “passerà”. Ha un atteggiamento di sopportazione stoica della vita, come se questa non sia
destinata a dare né troppe gioie né troppi dolori. Vive in un limbo tra esistenza e non esistenza.
A voler essere sempre buoni si finisce per mandar giù troppi bocconi amari, ecco dunque che la
rabbia, quasi mai percepita, scoppia in manifestazioni anche fisiche, spesso molto violente. Non ha
mai ottenuto nulla con essa, dunque non sa come gestirla. Vorrebbe non darle spazio, ma talvolta
arriva la goccia che fa traboccare il vaso. Queste esplosioni sorprendono tanto lui quanto chi gli sta
vicino, ma è in questi casi che diventa chiaro ciò che vuole davvero.

I tre centri
L’istinto e l’azione: centro di gravità
Per un Nove potrebbe risultare difficile riconoscere come la sua vita giri intorno al suo istinto. Si
troverebbe probabilmente più a suo agio nel definirsi una persona emotiva o razionale. In realtà, è
come se fosse un istintivo al contrario. Non a caso sull’enneagramma è posizionato nell’occhio del
ciclone delle viscere, nel “centro del centro”. Questo lo si capisce da come gestisce le sue priorità:
le frivolezze talvolta sembrano avere più importanza degli impegni urgenti. Prendere una decisione è
un compito difficilissimo perché un Nove non si sente veramente in grado di esprimere preferenze,
non perché non voglia, ma proprio perché manca un riferimento interno che dia una direzione. Inoltre,
quando una decisione viene finalmente presa, la sua attuazione slitta anche di mesi. In genere lascia
che altre persone decidano per lui o, senza saperlo, giunge alle conclusioni sulla base di cos’avrebbe
fatto qualcun altro (genitore, partner, amico) al posto suo.
A mascherare ancora meglio quest’impossibilità all’azione vi è il suo atteggiamento positivo
verso la vita. Rimane inscatolato nella routine, si gode i piccoli piaceri quotidiani lasciando che
sotto il tappeto si accumuli una serie di scelte non fatte. Apparentemente sembra aver preso delle
decisioni, in quanto i perché di queste scelte calzano a pennello, ma andando un minimo in profondità
diventa evidente come in realtà siano delle non-scelte. Se affermasse la sua posizione, correrebbe il
rischio di mettersi in contrasto con gli altri.
Un Nove è tra le personalità più energiche, ma utilizza quasi tutto il suo potenziale per tenersi in
gabbia. Il risultato è tradotto in lentezza, pigrizia, movimenti impacciati. Non è raro che si definisca
completamente disconnesso dal proprio corpo, per poi ritrovarsi collegato ad esso in momenti di
particolare tensione, emergenza o pericolo, dove può sorprendersi ad agire con freddezza e
autocontrollo. Sa spendere un’enorme quantità di energie in ciò che non gli permette di entrare in
contatto con le cose veramente importanti.
Questo suo contenersi è dovuto all’esigenza di non sentirsi e di sapersi mettere da parte. Ama le
comodità e si adagia sulle occasioni adatte a permettergli di vivere la vita al minimo. Se un Nove
fosse un’automobile, sarebbe dotato di sei marce, ma sosterrebbe con convinzione di averne solo
quattro. Se gli si chiedesse cosa manca nella sua vita, sicuramente gli verrebbe in mente qualcosa, ma
gli sarebbe difficile sapere perché ancora non l’abbia realizzata. Talvolta, infatti, l’idea di poter
essere in grado di fare una cosa è soddisfacente quanto farla, per questo non avrà mai luogo.
Sottovaluta volontariamente o involontariamente le sue qualità che non sente realmente come sue,
è come se fossero “genetiche” e dunque ovvie, non ritenendo di avere alcun merito a riguardo. Il suo
desiderio di stare sotto i riflettori è sepolto dalla convinzione di non dover emergere, di dover
nascondere i suoi bisogni e il suo punto di vista.
Ha molta difficoltà a motivarsi autonomamente, dunque necessita di continue conferme e
incitazioni prima di mettersi in moto. Una volta instradato, farà del suo meglio e scoprirà di avere
numerose capacità da condividere.

L’emozione
Un Nove ritiene di essere una persona sensibile. È necessario però distinguere la sensibilità verso se
stessi dalla sensibilità verso gli altri. Da una parte sente di poter essere ferito facilmente, dall’altra è
sempre molto attento a non mettere a disagio il prossimo. Questo si traduce in un atteggiamento
benevolo, accomodante e gentile, ovvero la soluzione ideale per evitare qualsiasi tipo di scontro. Di
nuovo, però, ciò che viene sacrificato è se stesso. Potrebbe accompagnarsi per lungo tempo con
persone che non gli piacciono, nascondendo il tutto al di sotto di un falso sentimento di “accettazione
universale” che in realtà altro non è che espressione della soppressione di sé. In questo è aiutato dal
talento nel notare cosa c’è di buono nel prossimo.
Il suo auto-anestetizzarsi lo rende anche perplesso di fronte alle manifestazioni di amore e affetto
del prossimo. Gli riesce infatti difficile capire come mai gli altri gli vogliano bene o lo amino,
proprio perché lui stesso è il primo ad avere difficoltà ad apprezzarsi.
Nel rapportarsi con gli altri tende a parlare poco se non gli viene dato spazio, mentre quando ha
la possibilità di parlare di sé, rischia di dilungarsi e inciampare nei suoi stessi discorsi. Altre volte
ancora sente imbarazzo a esprimersi perché gli riesce difficile avere un’opinione. È un buon
interlocutore finché non diventa protagonista, a quel punto tende a sviare il discorso. Ama mediare
tra le persone affinché queste capiscano l’una il punto di vista dell’altra, prendendo spesso le parti
delle persone non presenti fisicamente a una discussione che le riguarda. Trova infatti molto più
facile difendere gli altri che se stesso.
Non manifestando mai apertamente la sua contrarietà, utilizza come unico metodo di disappunto
l’aggressività passiva. Tenere il broncio, voltare le spalle, risposte sintetiche e sfuggenti sono alcuni
degli esempi più tipici. Tutto questo è in mano alla rabbia, la quale poi erutterà senza alcun controllo
facendo sì che essa annunci finalmente l’esistenza di una posizione ben definita, una preferenza, un
desiderio.

L’Intelletto
Il pensiero dell’enneatipo Nove oscilla tra il “qui e ora” e il sognare a occhi aperti. L’astratto è un
rifugio per le preoccupazioni del concreto e il concreto è un caposaldo per l’eccessivo spazio che a
volte si prende l’astratto. Troviamo quindi persone eccessivamente terra terra, le quali non vanno
oltre la celebre frase “io sono ciò che mangio”, e altre eccessivamente spiritualiste, per le quali il
contatto con ciò che è terreno diventa a volte molto complicato. In entrambi i casi la causa di questi
estremi è sempre una certa indolenza, la quale si esprime con l’immagine della persona che volta il
capo dall’altra parte. Il non guardare, il non volerne sapere e il menefreghismo sono le forme più
estreme di appiattimento mentale.
A un Nove riesce difficile avere un punto di vista che sia frutto del suo pensare e non alterato
dalle convinzioni degli altri. Queste sembrano avere spesso un valore aggiunto e il Nove si trova
scomodo sia nell’adattarsi sia nell’avere un’idea propria. Per questo motivo può essere tacciato di
testardaggine, comportandosi come quella persona che vuole a tutti i costi spazzare le foglie
controvento. In qualche maniera sa di non essere d’accordo, ma non sa bene il perché, dal momento
che il contatto con l’interiorità è difficile.

Accidia
A Nasreddin un giorno fu chiesto: «Perché stai in piedi?».
«Se trovassi una sedia, mi siederei».
«E a cosa stai pensando?».
«Se potessi non pensare, non penserei».

Il modo migliore per definire l’Accidia è equipararla all’inerzia, ovvero la proprietà che
determina la resistenza alle variazioni di stato di moto. Nei termini della vita umana, è un continuo
adattamento a stati energetici inferiori. Un Nove, come Nasreddin, preferirebbe non dover pensare né
dover prendere posizione, eppure la vita glielo richiede. Senza accorgersene, tende ad adattarsi a un
tenore di vita sempre più votato al risparmio. Il problema è che quest’energia trattenuta non è
immagazzinata, ma completamente perduta. Una volta che questa caduta energetica ha avuto luogo,
risalire è molto difficile. Solo nel momento in cui è necessario fare qualcosa che richieda uno sforzo
diventa evidente come questa Passione abbia eroso la volontà di una persona alla sua base. La
minima cosa al di fuori della routine diventa un enorme macigno da spostare: che si tratti di lavoro
fisico o di uno sforzo di pensiero.
“Accidia” ricorda molto “uccidere”. Effettivamente, chi viene ucciso è la parte profonda della
persona stessa. Etimologicamente significa “senza cura”, ovvero la negligenza per ciò che riguarda la
salute dell’anima. È alquanto evidente come l’ambito non sia principalmente quello fisico (abbiamo
visto come un Nove possa essere un grande lavoratore), ma piuttosto quello psicospirituale. La calma
interiore, l’equilibrio, il non dare troppa importanza alle cose, sono tutti camuffamenti dell’Accidia.
Anche il confronto diretto e il conflitto rappresenterebbero in qualche maniera uno stato di tensione
più elevato, dunque è molto più facile fare una corsa di diversi chilometri piuttosto che fare quella
telefonata o recarsi da quella persona. Prendere una laurea per rimandare una scelta, lavorare
quattordici ore al giorno per non risolvere un problema in famiglia sono tutti espedienti per vivere
una vita lontana dalle priorità.

Sottotipi
Autoconservativo – Appetito
Il più focalizzato sul comfort e sull’abitudine, è guidato principalmente dalla sua voracità. I suoi
interessi sono in realtà degli appetiti, benché possano assumere anche aspetti intellettuali. Si fa
assorbire da hobby ripetitivi che risucchiano ogni suo pensiero e stimolo. È il sottotipo che ha le
maggiori difficoltà a esprimere dei desideri che vadano oltre ciò che è legato alla sopravvivenza
(cibo, lavoro, sonno). Il possesso delle cose è una soddisfazione sufficiente ad appagare certi stimoli
al risveglio dalla letargia. Tende ad avere pochi amici stretti ai quali si lega attraverso interessi in
comune, il che soddisfa la sua esigenza di compagnia ma al tempo stesso non rende l’amicizia troppo
profonda e diretta. Sa mostrare molto calore e comprensione che però difficilmente condivide
apertamente.

Sessuale – Fusione
È il Nove intenso e che sembra avere le idee chiare, poiché queste sono assorbite dalle persone con
cui è in relazione intima. Le sue idee sono quelle del partner o dell’amico del cuore e per questo gli
riesce molto difficile capire dove finisce l’altro e dove inizia se stesso. Quando si è in due, è come
essere uno solo, le emozioni dell’altro sono le proprie. Si attua una vera e propria fusione. L’armonia
interiore è risultato dell’armonia con queste persone, la separazione dalle quali provoca non solo la
perdita di qualcuno di amato, ma di una fetta della propria vita. Con quella persona se ne vanno
interessi, punti di vista e modelli di pensiero che fino a quel momento erano ritenuti propri. Si fa
carico dell’immagine dell’amico o partner ideale, rendendo propri i bisogno dell’altro.

Sociale (controtipo) – Partecipazione


Questo sottotipo desidera annullarsi attraverso una comunità, un gruppo di amici, una squadra.
Quando entra in un contesto sociale, egli diventa quel contesto. Desidera partecipare, essere
presente, non venire lasciato fuori. Quando si sente dimenticato o lasciato da parte, si sente perso e
abbandonato a se stesso. È sempre preso nel dubbio tra il “partecipo o non partecipo?” e il “ci sto o
non ci sto?”. Sa rapportarsi con gli altri percependo prima ancora di parlarci quali saranno i modi
adatti di farlo (o di non farlo) senza entrare in contrasto. È interessato alle conflittualità che possono
avere luogo tra i presenti, dalle quali si sente chiamato in causa, arrivando addirittura a trarne
piacere, in quanto gli si presenta l’occasione di fare la sua parte nel mediare. È il sottotipo più
intellettuale e desideroso di conoscere punti di vista diversi, ma è anche il più sensibile alla propria
immagine, la quale gli chiede sempre di dover dimostrare qualcosa.

Ali
Ala Otto
Un Nove con quest’ala è piuttosto ribelle e difficilmente riconosce come valido il comando o
l’opinione altrui, nonostante alla fine si mostri comunque d’accordo. Da piccolo ha imparato come
“fare il bravo” allo scopo di potersi dileguare e fare altro. È il tipo più assertivo e meno attento al
proprio autocontrollo, che si fa meno problemi a manifestare il proprio disappunto, anche se questo
viene spesso espresso in un secondo momento, rendendolo di umore a volte instabile. Ha una
maggiore sensibilità per la difesa del prossimo, che si fida di lui, dal quale è stimato e ascoltato
senza rendersene conto. Può agire con una certa spontaneità e impulsività, pentendosi in un secondo
momento di ciò che ha detto o fatto. È la variante più terra terra, con meno peli sulla lingua e meno
sensi di colpa.

Ala Uno
L’ala Uno fornisce gentilezza, autocontrollo e posatezza. Vuol essere il “bravo bambino” a tutti gli
effetti e non solo all’apparenza. Sa come non ferire l’altro, facendo molta attenzione a ciò che
potrebbe dargli fastidio. Spesso, proprio per questo motivo, non si espone e finisce per pentirsi di
non aver detto o non aver fatto, diversamente dal Nove con ala Otto che più di frequente si pente di
aver esagerato. La pressione (ipotetica o reale) delle altre persone non gli permette di sentire che
nella sua interiorità vi sia qualcuno in casa. Ha delle aspettative da sé e poche dagli altri, ma spesso
mette da parte i suoi desideri (fino a dimenticarsene) non ritenendosi in grado di poterli realizzare. È
il più idealista, sente di sapere come dovrebbero essere le cose ma non sa come metterle in pratica,
dunque si ritrova spesso in stasi, rimanendo un sognatore. È più portato alla contemplazione.

Agli occhi degli altri


Gli aspetti del Nove possono essere molteplici, poiché tende ad assorbire le luci e le ombre di chi ha
intorno. Per questo motivo a volte può essere una persona molto concreta, altre volte teorica, altre
ancora pessimista, altre volte un inguaribile ottimista e così via. In ogni caso sarà stato additato più
volte per non aver preso posizione in determinati contesti, per non essere in grado di prendere
decisioni o perché non era chiaro che cosa volesse dire. Parlare con un Nove è come cercare di
afferrare una nebbia, è una persona che parla tanto ma dice poco.
Riflette i comportamenti della famiglia o degli amici, da cui poi si sviluppa l’ala dominante (non
è difficile che da un genitore Otto si sviluppi un Nove con ala Otto o da un genitore Uno un Nove con
ala Uno). Il Sociale tende a comportarsi da estroverso, ama organizzare per tutti nonostante si senta
timido e introverso. Il Sessuale ha molte difficoltà a riconoscersi e a capirsi, poiché cambia
continuamente aspetto interiore a seconda di quali persone tende a frequentare. L’Autoconservativo è
spesso annunciato dalla sua stessa stazza fisica, tonda e ingombrante.
Un Nove ha un sorriso per tutti, ma sembra sempre lo stesso sorriso. La sua compagnia è
gradevole per chi ha argomenti da intavolare.
Parte terza
La strada per la versione migliore di sé
Il prezzo dell’evoluzione

L
o stimatissimo alchimista Mullah Nasreddin aveva preso residenza all’interno di una fitta foresta arroccata
su una montagna. Non ne poteva più di scocciatori. Si diceva che la sua dimora fosse irraggiungibile e
ormai numerose leggende avevano cominciato a circolare sul suo conto.
Un intrepido cercatore era tuttavia determinato a trovarlo, sapendolo custode dell’antica e vera
conoscenza. Aveva da porgli delle domande cruciali per quanto riguarda la trasformazione del piombo in oro.
Si mise dunque in viaggio e vagò per mesi tra le montagne dell’Anatolia, superando grandi difficoltà ma
sempre caparbiamente intenzionato a raggiungere il suo obiettivo. Esausto e con una volontà che stava per
vacillare, scorse infine in lontananza quella che sembrava una capanna.
Intravvide una sagoma e si precipitò verso di essa. Nell’avvicinarsi capì immediatamente che si trattava di
colui che aveva cercato per così tanto tempo. In tutta foga, si mise a raccontargli la storia della sua vita, di
come fosse un buono a nulla, di come non conoscesse la direzione da prendere e di quanto frustranti fossero
i suoi insuccessi.
L’altro lo ascoltò in silenzio. Quando ebbe finito di ascoltare l’impiccione, Nasreddin continuò a tacere per
qualche breve attimo, dopodiché scoppiò in una fragorosa risata.
«Certe teste sono così dure che anche cavandogli gli occhi continueranno a cercare qualcosa di
luccicante!».

Non sempre i migliori insegnamenti giungono con molto tatto. Anzi, spesso e volentieri quelli che
rimangono più impressi sono i più taglienti e diretti, quelli che ci fanno star male e suscitano in noi le
peggiori reazioni.
In questa parte del libro vedremo quali sono i primi passi che è possibile compiere per
“trasformare il piombo in oro”. Come Nasreddin con la sua sentenza vuole spronare il cercatore a
creare l’oro dal piombo nella sua interiorità e non nel mondo là fuori (il vero oro non è quello che
luccica), così chi si avvicina all’Enneagramma delle Personalità è bene che abbia la sufficiente
motivazione per evitare di incasellarsi in un enneatipo e di rimanere fermo allo stesso posto,
continuando a rispondere agli eventi della vita sempre alla stessa maniera. Al pari dell’uomo della
storia, il quale pensa di doversi perdere in chissà quale architettura ingegnosa per trasformare la
materia, il lettore si ritrova ad avere già tra le mani tutto ciò che gli occorre. Non servono occhi per
riconoscere quell’oro di cui si parla qui, serve solo un’autentica urgenza di scoperta.
I principali componenti necessari a ottenere una reale trasformazione interiore dalla meccanicità
alla consapevolezza consistono nella sofferenza volontaria e nello sforzo cosciente. Lo studio
dell’Enneagramma delle Personalità, come già accennato nell’Introduzione, è uno studio di
meccanica. L’opposto della meccanicità, cioè delle reazioni di causa-effetto che “decidono al posto
nostro”, è la consapevolezza.
Ogni qualvolta un uomo non recita una delle sue parti abituali e non può trovare nel suo repertorio il ruolo che
conviene a una data situazione, si sente come spogliato. Ha freddo, ha vergogna, vorrebbe fuggire affinché
nessuno lo veda. Tuttavia sorge la questione: che cosa vuole? Una vita tranquilla o lavorare su se stesso? Se
vuole una vita tranquilla, innanzi tutto non deve mai uscire dal suo repertorio. Nei suoi ruoli abituali si sente a
suo agio e in pace. Ma se vuole lavorare su se stesso, deve distruggere la sua pace: il lavoro e la pace sono
incompatibili. L’uomo deve fare una scelta, ma senza ingannare se stesso come spesso accade. A parole
sceglie il lavoro, ma in realtà non vuole perdere la sua pace. Il risultato è che sta seduto tra due sedie. Di tutte
le posizioni, questa è la più scomoda. L’uomo non fa alcun lavoro e neppure ha una certa comodità. Purtroppo
gli è difficilissimo mandare tutto al diavolo e cominciare un lavoro reale3.

Sarebbe davvero un peccato essere arrivati fino a questo punto del libro senza voler prendere la
decisione di fare lo sforzo necessario per posizionarsi sull’altra sedia, quella più sconosciuta, quella
cioè che ci permetterebbe di iniziare un reale lavoro su noi stessi.
È molto facile continuare a fare come abbiamo sempre fatto. È come prendere strade che abbiamo
percorso tante volte: le possiamo fare in lungo e in largo senza prestare la minima attenzione a ciò
che capita, concedendoci di fare anche più cose alla volta (mentre camminiamo possiamo ad esempio
telefonare e sistemarci il giubbotto) e identificarci intanto nei nostri pensieri.
La cosa è molto diversa, invece, quando dobbiamo raggiungere un posto mai visto prima
attraverso vicoli sconosciuti, un po’ quel che accade quando ci si ritrova in una città che si visita per
la prima volta. La qualità della nostra attenzione è molto differente. Ecco, posizionarsi sulla sedia
del lavoro su di sé prevede questo tipo di attenzione nella nostra quotidianità: inizialmente non è
richiesto fare cose nuove, non serve spostarsi altrove, è unicamente necessario acquisire la capacità
di osservare le solite cose che facciamo ogni giorno, ma con l’attenzione di chi le sta facendo per
la prima volta. Il concetto di sofferenza volontaria, dunque, non ha nulla a che fare con
l’autopunizione. Piuttosto, si tratta di sacrificare la sofferenza inutile trasformandola in energia
favorevole alla propria evoluzione.
Mentre il riconoscersi in un enneatipo permette di cogliersi in flagrante e notare, attraverso
un’osservazione attiva, quali sono i meccanismi automatici che si mettono in moto, ciò che verrà
descritto nei prossimi capitoli vuole essere uno spunto di lavoro.
Ogni tipologia ha delle vie preferenziali da percorrere. Alcune sono peculiari di quella
personalità, altre sono invece riconducibili a schemi, tra i quali ne ho scelti due su tutti: il cammino
dalle Passioni alle Virtù e il tragitto da un enneatipo all’altro (le frecce). Ogni capitolo sarà dunque
così strutturato:

• una storia di Nasreddin che rappresenta un tema chiave;

• eventuali dinamiche caratteristiche dell’enneatipo;

• la Virtù;

• ali e frecce.

Virtù
La Virtù è lo stampo positivo della Passione. Non ci sarebbe alcuna Virtù se non si vivesse la
Passione corrispondente. Non c’è quindi grande merito nell’esprimere una Virtù di cui non abbiamo
vissuto l’ombra, poiché unicamente lo sforzo cosciente (che come già accennato prende la forma di
sofferenza volontaria) è il mezzo che può condurci alla virtù che risuona maggiormente in noi e che
corrisponde a un sentimento di liberazione, rinnovamento, trasformazione reale.
La Passione è meccanica, la Virtù è consapevole. Meccanicità è abitudine e comfort,
consapevolezza è uscire dai nostri schemi, anche quando il nostro schema è “non avere schemi”.
Nei prossimi capitoli verranno a galla diverse tecniche che possono essere utilizzate per non
esprimere la Passione. Effettivamente è molto più facile incamminarsi verso la versione migliore di
se stessi attraverso la non espressione delle caratteristiche indesiderate, piuttosto che attraverso la
ricerca attiva di ciò che è desiderabile. Ma in questa distinzione vi è una consistente variabilità tra
enneatipi: ad esempio, quelli più attivi imparano dall’inattività, quelli più passivi imparano
dall’attivarsi. La non espressione non dev’essere confusa con il trattenersi. A tal proposito è bene
trovare riferimenti interiori intelligibili per evitare di cadere nella seconda opzione che,
inevitabilmente, ci porterà a punto e a capo.

Ali e frecce
Come si può volare con una sola ala? Abbiamo visto nel capitolo precedente come esista un’ala di
preferenza per ognuno di noi, ma la figura dell’enneagramma ci ricorda che possiamo sondare altre
possibilità. Prendere spunto da come farebbe qualcun altro può essere spesso utile per uscire dai
limiti che ci imponiamo autonomamente, a patto che non diventi motivo di fuga dall’impegno nel
lavorare sui temi centrali del nostro enneatipo. Per tale motivo in questa sezione si parlerà di
integrare entrambe le ali, a prescindere dalla nostra appartenenza a una piuttosto che all’altra.
Uno dei pregi dell’enneagramma è quello di fornire un aiuto grafico non indifferente. I vari
enneatipi, infatti, sono in relazione tra loro ed esistono canali preferenziali di scambio. È bene, cioè,
per una certa personalità prendere spunto da un’altra, mentre è poco sensato appoggiarsi a una che ha
tendenze meno utili per il proprio sviluppo. Il lettore attento si ricorderà come l’enneagramma prenda
vita da un calcolo matematico (le cifre da 1 a 6 che vengono divise per 7). Il risultato di questa
divisione determina la deriva automatica che ogni personalità rischia di intraprendere qualora non si
accompagni a un percorso di consapevolezza. In poche parole, senza un lavoro su di sé è molto
difficile integrare le qualità positive delle personalità collegate attraverso le linee interne
dell’enneagramma (due per enneatipo).

Com’è visibile nella figura, esiste un preciso andamento lungo le linee interne all’enneagramma, spiegato dal calcolo
matematico mostrato all’apertura del libro.

Anzi, è più facile prendere in prestito gli aspetti negativi! Tuttavia, è possibile cambiare
prospettiva e non soffermarsi unicamente sull’ombra. Le frecce, dunque, rappresentano il cammino
della nostra personalità lungo il nostro percorso di crescita (e non di miglioramento!) individuale,
ma solo una volta invertita la rotta della meccanicità.
L’evoluzione che avviene spontaneamente, ovvero senza uno sforzo cosciente, segue il percorso
della freccia. Si tratta di un processo lentissimo e che prescinde dalla presa di consapevolezza
dell’individuo. Fa parte di un disegno entro il quale non abbiamo possibilità di agire attivamente. In
questo caso possiamo solo “fidarci” dei risultati delle varie causa-effetto che derivano dal reagire
meccanicamente di fronte a ciò che la vita ci presenta, assecondando quello che qualcuno
chiamerebbe karma. Ma esiste anche un altro tipo di percorso.
L’altra possibilità è di invertire la rotta. In altri termini, si “cresce” andando contro la direzione
della freccia. Lo sforzo cosciente, dunque, è rappresentato graficamente dal muoversi ugualmente
lungo le linee dell’enneagramma, ma controcorrente. Immaginando le frecce lungo le linee interne
della figura come il verso del flusso di un fiume, viene facile capire come sarebbe più facile
lasciarsi trasportare dalla corrente piuttosto che imboccare la direzione opposta. Chiamo questo
processo Legge del salmone, pesce che notoriamente risale i fiumi a ritroso.
In qualche modo, la realtà desidera comunque farci fare i conti con la nostra ombra. È per questo
che ci manda nella direzione della cosiddetta “compulsione”, ovvero quella della freccia. Per
compulsione si intende la ripetizione continua del medesimo comportamento. Effettivamente è
proprio ciò che accade a chi non ha iniziato a fare un lavoro su di sé: ciclicamente continuerà a
sbattere la testa contro gli stessi spigoli della vita finché non avrà imparato la lezione. Lo sforzo
cosciente consiste nell’equipaggiarsi (sfruttando le ali e la direzione contraria alla freccia) e
affrontare in maniera definitiva quello spigolo situato idealmente nell’enneatipo lungo la direzione
della freccia rispetto al nostro. Per questo motivo (e sarà più chiaro durante la lettura dei singoli
capitoli) fare i conti con l’ombra dell’enneatipo che si trova lungo la direzione della freccia è
l’ultimo passo, probabilmente il più difficile, ma anche quello in grado di ricompensarci più
ampiamente. Questa sfida è solo parzialmente definitiva, poiché è difficile pensare di poter risolvere
una volta per tutte una questione tanto grande. Ciò che si può fare è passare da una situazione di
equilibrio statico, dove la nostra paura ci blocca e noi reagiamo ad essa sempre alla stessa maniera,
a una di equilibrio dinamico, dove abbiamo la possibilità di prevedere quella situazione e siamo più
rapidi, eleganti e consapevoli nel gestirla.
È affascinante notare come certi comportamenti automatici di un enneatipo costituiscano per egli
stesso una trappola, mentre possano essere fonte di liberazione per un altro. Questo perché è sempre
la motivazione sottesa all’azione a dare il valore reale all’evento stesso. Osservando questo
meccanismo è possibile comprendere come ogni comportamento possibile sia già presente nel mondo
affinché una natura di mantenimento possa funzionare in maniera automatica verso un obiettivo noto
unicamente ad essa. Solo attraverso il lavoro su di sé è possibile liberarsi da questa legge tanto
generosa con la specie ma meno attenta all’individuo. Siamo noi stessi i custodi del nostro potenziale
umano, e l’enneagramma ci fa da mappa lungo questo meraviglioso cammino.
Per ogni enneatipo troveremo quindi dei nomi caratteristici per le qualità che assume quando
arriva a integrarsi con gli altri punti sull’enneagramma. Troveremo due nomi in ognuno: in evidenza
la qualità che si può sviluppare, sotto di essa la corrispondente ombra. Fa eccezione il punto “contro
freccia”, al quale possiamo accedere solo volontariamente e i cui doni ci saranno fondamentali, di
cui difficilmente acquisiremo i lati negativi.
L’obiettivo di questa sezione è di fare da riferimento per comprendere a che punto si è nel
percorso di consapevolezza personale. Come abbiamo detto, esistono vie preferenziali di sviluppo
che ogni enneatipo è in grado di percorrere. Troveremo dunque risposta a queste domande:

• Cosa posso imparare dagli enneatipi a fianco al mio (ali)?

• Cosa posso imparare dagli enneatipi lungo le linee interne?

• Quale può essere il risultato dell’essermi aperto a nuovi modi di vivere?


Enneatipo Uno

Crescere in un mondo già perfetto

I
n un piccolo villaggio di campagna vi era un uomo che nutriva una grande passione per le piante e i fiori. I
suoi giardini erano splendidi: curati, profumati, ordinati. Ogni angolo era sistemato con una meticolosità
millimetrica. Chiunque vi facesse visita rimaneva abbagliato da tanta magnificenza. Si dà il caso che ogni
anno avesse luogo un concorso atto a premiare il giardino più gradito a Madre Natura, e ogni anno
immancabilmente quest’uomo non mancava di vincere.
Con suo stupore, un anno scoprì di essere arrivato secondo. Sorpreso, ma non ancora deluso, attese di
vedere di persona l’opera del vincitore. Quando fu il momento di recarsi a festeggiare, come di consueto,
presso la dimora del premiato, si accodò agli altri, curioso di vedere quel giardino e che cosa avesse di così
speciale. Quale non fu la sua sorpresa nel trovarsi nel cortile del più grande fannullone del paese! La
creazione del vincitore non era neanche lontanamente paragonabile alla sua. Ai suoi occhi arrivarono
disordine, trascuratezza, grossolanità. Come poteva il giudice averlo fatto vincere?
Al rinfresco buttò giù bocconi amarissimi fin quando non vide finalmente il giudice, che si dà il caso fosse il
Mullah Nasreddin. L’uomo non si trattenne e dovette avvicinarlo per chiedergli spiegazioni. Alle sue domande
incalzanti, questi lo guardò con un sorriso bonario e gli rispose con poche, dirette parole: «Amico mio, ti
conosco da tanto tempo. Era ora che arrivasse un nuovo vincitore. Tu, più di tutti gli altri, puoi imparare da lui
una grande lezione. Egli ha dimostrato a tutti noi come la natura sappia creare meraviglie anche se noi non ci
affanniamo a imbrigliarla».

Prima di iniziare a parlare di cosa un Uno potrebbe fare per il suo sviluppo, è importante
sottolineare cosa non è sviluppo. Sembrerà incredibile, ma sviluppo non è miglioramento. Sviluppo
è crescita.
La natura sa come fare le cose e ha un disegno perfetto. Cosa lo rende imperfetto ai nostri occhi?
La nostra incapacità di vedere le cose nel loro insieme. Dunque ci sforziamo (e un Uno più di tutti) di
porvi rimedio, ma è una coperta troppo corta. Quando cerchiamo di sistemare qualcosa, subito
qualcos’altro si ritroverà fuori posto. Più impegno mettiamo in una direzione, più ci accorgiamo che
le cose su cui intervenire sono numerose. Ciò avviene perché ci sforziamo di calare il nostro
personale disegno in una realtà che è molteplice e variopinta. Ci illudiamo che il nostro ideale
personale sia in realtà universale. Ma non è così. Significa forse che non sia vero? No, ma con quale
presunzione possiamo asserire che la nostra verità sia valida per miliardi di persone? Ma se dunque
la verità è così molteplice, cos’è vero e cosa no?
Per trovare una risposta occorre allineare il nostro ideale con quello già presente nella realtà, il
quale è in un continuo divenire, mai statico. Ciò che causa sofferenza non è nel mondo, ma nelle lenti
che usiamo per guardarlo.
Miglioramento è cercare di uniformare le dimensioni dei tasselli di un mosaico. Crescita è
accorgersi che, visti dall’alto, danno una splendida raffigurazione di insieme.
Abbiamo visto nella descrizione dell’Ira come questa sia tanto più forte quanto più si è rigidi.
Aprirsi all’ascolto e all’osservazione della realtà, piuttosto che impattarla attraverso la propria
imperturbabile visione di come dovrebbero essere le cose, non equivale a rinunciare ai propri valori
e ideali. Affinché la nostra parte migliore o più luminosa non schiacci la nostra ombra,
comprimendola e obbligandola poi a esplodere con violenza, occorre acquisire flessibilità. Negare
le nostre parti più oscure significa disumanizzarci. Ascoltarle, accettarle e prendersi cura di esse è
invece quanto di più umano possa esistere. Un conto è tenerle sotto controllo, un altro è tenerle in
prigione.
Dunque per un Uno sarà importante scoprire cosa si trova al di là del grande controllo che
esercita su di sé e sugli altri. Oltre i diktat della “vocina interiore” (il pappagallo del racconto del
capitolo precedente), oltre i confini del perfezionismo, esiste una volontà molto più fluida e giocosa
a cui poter attingere. Atlante rimarrà sorpreso nel vedere come il mondo continuerà a stare in piedi
anche qualora si prendesse qualche giorno di riposo, benché gli equilibri che verranno a formarsi
probabilmente non rientreranno nell’ordine che gli avrebbe dato lui. In fondo, se gli altri sono
dipendenti dai nostri sforzi, è perché vi si sono abituati, ma questo non significa che non saprebbero
cavarsela da soli!

Istintivo o intellettuale?
Un’importante realtà con cui un Uno è necessario che faccia i conti è riconoscere di essere una
personalità viscerale e non intellettuale. Non è la mente a comandare. Questa è solo lo strumento di
qualcos’altro.
Nella parte descrittiva ho usato l’atteggiamento scettico e scientifico come esempio di valore che
più comunemente si può trovare tra gli Uno, ma questo vale per oggi. Ai tempi delle Crociate
avremmo potuto usare l’esempio del valore religioso, supportato da un netto pregiudizio verso altri
culti. La realtà viene sondata e categorizzata secondo un criterio: “Questo è giusto o è sbagliato?”. La
domanda ha sempre un carattere profondamente etico e, come abbiamo visto nella parte descrittiva,
nasce in risposta alle parti più buie della nostra indole. Dunque il fine di domandarsi cosa sia giusto
e cosa sia sbagliato è un atteggiamento automatico non originato dalla mente, ma unicamente
processato da essa. Non c’è controllo su questa funzione.
Essere tristi perché nel mondo c’è sofferenza, indignarsi per la corruzione che dilaga, sono
esempi delle forti risposte emotive in cui si ritrova invischiato un Uno. Non essere degni della
felicità perché qualcun altro non può permettersela non è razionale. Se veramente si desidera che su
questa Terra si possa essere felici, è necessario iniziare da se stessi.
Il giudizio è una forma di difesa e gli va riconosciuta la sua funzione di controllore. Non può
essere lui al comando. Ci saranno sempre parti di noi che non ci piaceranno e che più verranno
osteggiate, più si faranno grandi. Occorre dunque scaldarle con la luce della consapevolezza,
osservandole per quello che sono, accettandole e riconoscendole come proprie. Solo così avranno
finalmente meno spazio nella nostra vita. La “vocina” non va contrastata, perché il contrasto causa
l’insorgenza di una nuova voce ancora più arrogante. Come sarebbe spostare quel critico interiore da
sopra la spalla a sotto i piedi? Soprattutto, vale la pena di imparare ad apprezzare il silenzio che
passa attraverso la pura percezione sensoriale. È bene soffermarsi su quel “qualcuno” in se stessi che
ode quella vocina parlare ma decide di non obbedirle. Nel silenzio si può creare spazio per la
propria vera natura.
Piacersi
La lotta interiore verso il miglioramento porta continue insoddisfazioni e autoaccuse. Per un Uno è
necessario fare pace con se stessi: certe parti di sé non piacciono e difficilmente potranno mai
piacere. Vanno dunque accettate per come sono. Inoltre, lo stesso organo deputato a stabilire cosa
piace e cosa non piace è bene che venga visto per quello che è. Osservarsi mentre il giudizio su se
stessi e gli altri viene elaborato è un processo fondamentale nell’acquisizione di un punto di
riferimento interno. Sarà stupefacente notare quanti giudizi la mente partorisce, cercando peraltro di
farli passare per “constatazioni oggettive”.
Quante volte si è scelto cosa “va fatto” lasciando da parte ciò che “ci farebbe bene fare”? Quante
volte si è sorriso mentre un vulcano di emozioni negative ribolliva nelle viscere? Tutto questo è ciò
che si fa non per star bene con se stessi, ma per incarnare un’immagine idealizzata. Purtroppo,
dando continuamente credito a quest’ultima, non si può giungere a una piena e reale soddisfazione.
Questo complica anche la vita affettiva, poiché quanto più si esige da se stessi, tanto maggiore sarà il
biasimo nei confronti degli altri. Identificarsi nella propria parte umana permetterà di riconoscere
anche quella del prossimo, avvicinandolo e vedendolo per quello che è realmente, al di là di ogni
considerazione che si possa avere di lui.
Per piacersi (e questo lo diciamo a un Uno e non ad altri) è necessario farsi degli sconti, non
accusarsi per le proprie mancanze, riconoscere che avere dei limiti non è segno di debolezza ma di
umanità. Soffrire nel vedere i propri limiti è segno dell’essere sempre alla rincorsa di un senso di
adeguatezza irraggiungibile, poiché man mano che ci si avvicina al traguardo, questo si allontana.
Come ci insegna Nasreddin, il nostro giardino è splendido anche quando incolto, perché la natura
sa ciò che fa e non ci chiede di sostituirci al suo lavoro. Sarebbe bello domandarsi ogni sera:
“Quante volte, oggi, sono riuscito a ridere sinceramente delle mie mancanze?”.

Serenità
Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, e al
momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è
facile.

ARISTOTELE

L’opposto dell’Ira non è “non arrabbiarsi mai”. Certo, è un traguardo auspicabile, ma molto
lontano. Porsi quest’obiettivo causerebbe nuove frustrazioni, poiché ad ogni arrabbiatura seguirebbe
un senso di colpa e di inadeguatezza per non essere stati all’altezza del nostro obiettivo. Si tratta,
semmai, di uscire più rapidamente e con meno clamore da quello stato.
Serenità non è trattenersi, ma saper creare il giusto terreno in se stessi per evitare che eventi
esterni (o interni) possano turbarci troppo profondamente. La distanza da questa Virtù è tanto
maggiore quanto più accentuata è la rigidità. Per questo a un Uno potremmo consigliare, a tavola, di
macchiare volontariamente la tovaglia lasciando cadere del cibo, facendo passare il tutto per
distrazione. Si tratta di usare la smitizzazione e la superficialità come mezzi per uscire da
quell’innaturale compostezza che col tempo non fa altro che comprimere le proprie possibilità di
azione e di sviluppo.
Esiste una forma prestabilita all’interno di questa personalità che non gli permette di saggiare
appieno l’interezza della vita. Come nel gioco delle forme, dove un cubo non passerà mai dal foro di
un cilindro, un Uno non si concede di vedere come la sua praticità sia il re che comanda a bacchetta i
suo desideri. Ciò che non si confà al “come dovrebbe essere” è rifiutato, anche se la sua attuazione
potrebbe farci stare bene. In realtà, il desiderio di star bene potrebbe sedersi sul trono e dare una
direzione soddisfacente, lasciando alla forma mentis (la praticità) il compito di tenere la vita in
carreggiata.

Ali e frecce

Osserviamo l’enneagramma con gli occhi di un Uno. Il viaggio potrebbe inizialmente sembrare
parecchio faticoso! Dall’Uno al Sette la strada è lunga, inoltre sembra sin troppo facile precipitare
nel Quattro, dove non c’è grande benessere. È quindi importante andare a prendere un atteggiamento
più positivo dalle due ali. Il Nove e il Due, infatti, sono tra gli enneatipi che con più facilità sanno
indossare un sorriso sulle labbra.
Dal Nove si può imparare qualcosa che di primo acchito può sembrare spiazzante. Non è infatti
importante che un bicchiere mezzo vuoto venga finalmente visto come mezzo pieno. Piuttosto, perché
soffermarsi su queste domande? Le cose sono quelle che sono, se le persone si comportano in una
certa maniera è perché non possono fare diversamente. Questa realtà è soggetta a certe regole, quindi
per quanto ci si possa sforzare, queste non potranno essere modificate. L’energia di quest’ala smorza
l’eccessiva importanza che si dà agli impegni e permette di passare dallo stato di fretta perenne alla
possibilità di prendersi più tempo per respirare. È l’esempio più naturale da cui prendere spunto a
livello di flessibilità.
L’enneatipo Due è sempre rivolto verso la relazione e si prodiga per farsi apprezzare. Conosce
bene gli altri, dunque sa quali sono le loro preferenze e cosa potrebbe dare loro fastidio. Sviluppare
questa energia permette di vedere il lato meno ottuso e più caloroso della vita. Se il Nove permette
di accettare le imperfezioni dell’esistenza, il Due può aiutare l’Uno a vedere come si possa essere
persone amabili e stimabili nonostante le proprie mancanze. Si impara a essere amati per ciò che si è
e non per ciò che si fa. Il carico che si sente sulle spalle si alleggerisce, le relazioni diventano più
spensierate.
L’enneatipo Sette, apparentemente così distante nella sua giovialità e capacità di godere dei
piaceri della vita, ora è molto più vicino. L’Uno può così scoprire di quanta voglia di vivere sia
dotato. La vita è fatta sì di tanti doveri, ma finalmente c’è spazio per ottimismo ed entusiasmo. Gli
imprevisti irritano di meno e anzi sono l’occasione per rompere degli schemi e sperimentare
qualcosa di nuovo. La mente finalmente non è più dietro le sbarre, è libera e più tollerante. Ci si
sente più realizzati e soddisfatti, qui il bicchiere può davvero essere mezzo pieno! Non è un
accontentarsi, ma una sensazione di libertà legata all’accettazione di sé. La mattina ci si alza col
proposito di affrontare la giornata con l’intento di viverla al meglio, e non per migliorarsi.
Prendere infine contatto con il Quattro concede una sincera autocompassione. Significa vedersi
più come esseri umani piuttosto che come macchine da lavoro. Le emozioni e la spiritualità non sono
più vissute con vergogna, per quanto un dignitoso ritegno rimarrà presente. Qui, un Uno si concederà
di accettare senza timore la sua grande sensibilità, prima schiacciata dai paletti della ragione.
L’accuratezza di valutazione si sposerà con la millimetrica delicatezza del Quattro. Il giudizio lascerà
sempre più spazio all’osservazione e al piacere di assaporare le parti più autentiche della vita.
Aprirsi alla fiducia degli impulsi inconsci porterà a un nuovo modo di vivere l’ispirazione e di
vedere con discernimento la realtà, di cui si noteranno le molteplici qualità. Da qui è possibile
compiere un passo verso il perdono di sé e del mondo: del risentimento sarà rimasto solo un lontano
eco.
Enneatipo Due

Investire in se stessi

N
ei dintorni di un villaggio, un uomo veniva infastidito giorno e notte da rumori e imprecazioni. Ogni volta
che si affacciava alla finestra che dava su un fiume, poteva notare Nasreddin intento a sudare sette
camicie armato di vanga e badile. Lasciò passare qualche tempo sperando smettesse, ma non notando alcun
cambiamento, un bel giorno decise di scendere e andare a parlarci.
Avvicinandosi, poté notare come fosse inzaccherato di fango da testa a piedi, calato fino alle ginocchia in
una melma che sembrava volerlo risucchiare. Aveva accumulato un grande mucchio di terra su una riva del
fiume.
«Si può sapere cosa sta succedendo? Perché sei conciato così?», chiese l’uomo al Mullah.
«Sto cercando di deviare il corso del fiume», rispose. «È un lavoraccio, ma vedrai che bell’opera!».
Interdetto soprattutto per via dell’ampia portata di quel fiume, l’uomo insistette: «Ma perché mai dovresti
fare una cosa simile?».
Piantando il badile a terra (il quale, beninteso, finì immediatamente per cadere e perdersi nel fango),
Nasreddin si asciugò la fronte e con un sorriso raggiante ribatté: «Voglio costruirci una casa. Ma questo fiume
sembra proprio non darmi retta!».

Un Due è continuamente preso dalla sua lotta per la libertà. “So come vanno fatte le cose, quindi
è bene che vadano a modo mio”. Il risultato, però, spesso non è soddisfacente. I fiumi che cerca di
deviare, infatti, non sempre sono dei semplici ruscelli, ma talvolta hanno una portata che va ben oltre
le sue reali possibilità di intervento. La sua volontà si scontra continuamente con la realtà. L’esempio
del fiume può essere tradotto nella donna che sposa l’uomo nella speranza di cambiarlo o
nell’assistente che si prodiga per far diventare migliore la persona di cui si occupa, anche se questa
non lo vuole affatto. Questo è il genere di “fango” in cui un Due si va a impantanare di propria
iniziativa.
In cuor suo sa che se non si adopera per ottenere qualcosa, difficilmente riceverà alcunché in
cambio. Anche per questo motivo costruisce le relazioni sul dare-avere. Quando un Due “va a
prendersi” l’amore dell’altro, impegnandosi per lui, adattandosi, compiacendolo, significa che
l’amore non è gratuito, ma deve quindi essere il risultato di un qualche sforzo. La conseguenza è
mostrare solo una parte di sé, la migliore agli occhi dell’altro. Significa che se un Due ha a cuore
dieci persone, probabilmente si ritroverà a mostrare a ognuna di queste una faccia diversa, col
risultato di avere almeno dieci “io”. Qual è quello vero allora? Risposta: quell’unico vero “io” che
soggiace al di sotto di ognuno di essi. È quello rannicchiato al buio e timoroso di non essere amato,
che non vuole essere abbandonato. Chi si riconosce in quest’enneatipo frequentemente teme di non
essere amato per quel che è davvero, al punto da sacrificare tutti i suoi bisogni, richieste e preferenze
per andare incontro al prossimo.
Ecco quindi perché ha bisogno di avere sempre tutto sotto controllo, cioè che le cose vadano a
modo suo. Se qualcosa sfuggisse di mano, come potrebbe ricevere l’amore che ritiene di essersi
guadagnato?
Una risposta sta nella resa. Un Due pensa che lasciar perdere significhi invece rassegnarsi. Ma si
tratta di cose completamente diverse. Arrendersi significa dire “basta”. Nell’affermarlo, la persona
dà valore a se stessa. La rassegnazione è invece figlia della presunzione ed è l’ennesimo disperato
tentativo di richiamare l’attenzione su di sé: la propria volontà si sente sconfitta e si frustra di fronte
all’impossibilità di intervenire per cambiare le cose. Nella resa sappiamo dire “grazie” e “mi
dispiace”. Nella rassegnazione continuiamo a serbare rancore. Ma perdonare il prossimo non è mai
tanto importante per l’altro, quanto per noi stessi, per darci la possibilità di andare avanti e di
voltare finalmente pagina. Inoltre (e non è una cosa da poco), è un passo fondamentale nell’esprimere
una parte autentica di sé, nel trovare un’unità in quella molteplicità di “io”, un punto di riferimento da
cui ripartire. Per togliersi il fango dagli stivali bisogna prima riconoscere di esserci finiti dentro con
i propri passi, senza incolpare altri al posto nostro.

Lavorare sull’aspettativa
Non c’è egoismo nel godersi il meritato riposo. Il tempo preso per sé non è buttato, poiché questo
permette di guadagnarne in lucidità mentale. Serve fermarsi un attimo e domandarsi: “Perché mi sto
dando da fare per questa persona?”.
Automaticamente un Due si adopera aspettandosi poi qualcosa in cambio. Agendo in questa
maniera, si dà il via libera a insoddisfazioni future. Soltanto sviluppando una certa consapevolezza
dei propri meccanismi potrà imparare a decidere se è il caso di impegnarsi oppure no.
Serve quindi fare attenzione alle necessità del prossimo per aiutarlo realmente e non per renderlo
dipendente. Man mano che un Due si avvicina all’altro, diventa sempre più tutt’uno con esso. In
questo rischia di sentirsi tradito qualora il lui o la lei della relazione in questione decidessero di fare
scelte inaspettate. Un’altra domanda che ci si potrebbe porre è: “Sto facendo tutto questo per uno
scopo preciso o unicamente per compiacere o sedurre questa persona?”. Nel secondo caso, non sono
rare le situazioni in cui ci si ritrova a dare qualcosa che non è richiesto. Pur di dare qualcosa si va a
compensare una domanda che non esiste, ad esempio dando agli altri ciò che si vorrebbe dare a se
stessi, poiché concederselo sarebbe troppo “egoista”. O, ancora più frequentemente, si va a
rispondere a una domanda che non viene espressa per vari motivi. Chi ha una necessità, non per forza
desidera risolverla proprio ora o con l’intervento di qualcun altro.
Non di rado un Due può sentire in sé il richiamo a “dover interessarsi”, al “dover fare per
l’altro”. In queste occasioni, osservandosi, potrebbe scoprire che le sue emozioni tendono a essere
manifestate con una certa esagerazione proprio per andare a coprire queste voci che lo richiamano ai
suoi doveri di altruismo.
Non serve sottolineare cosa si è fatto per questa o quella persona, dà molta più soddisfazione
ricevere un ringraziamento inaspettato. Il dare “a prescindere” al quale vuole tendere un Due è una
qualità che va conquistata imparando a riconoscere le aspettative che ci creiamo sulle reazioni degli
altri ai nostri gesti.

Umiltà
L’Umiltà, al pari delle altre virtù, non è altro che assenza del vizio corrispondente, in questo caso la
Superbia. Nel percepito comune potrebbe esserle attribuita un’accezione errata, ovvero associarla a
un “chinare la testa” a prescindere. Una persona umile potrebbe essere modesta, ma assolutamente
non mediocre. Abbiamo visto come per un Due sia difficile sentirsi amato quando l’altro non ha
bisogno di lui. Questa trappola lo rende succube dell’immagine di persona disponibile e di aiuto che,
inevitabilmente, andrà a nutrire la Superbia, la quale poggia i piedi sulla considerazione altrui.
L’uomo, dentro di sé, “esige” che tutti lo prendano per qualcuno di notevole, al quale ognuno dovrebbe
testimoniare rispetto, stima e ammirazione per la sua intelligenza, la sua bellezza, la sua abilità, il suo senso
dell’umorismo, la sua presenza di spirito, la sua originalità e tutte le sue altre qualità. Queste “esigenze” si
fondano a loro volta sulla nozione completamente fantastica che le persone hanno di se stesse, cosa che
accade spesso anche con persone di apparenza molto modesta. In quanto agli scrittori, attori, musicisti, artisti
e uomini politici, sono quasi senza eccezione degli ammalati. E di che cosa soffrono? Prima di tutto di una
straordinaria opinione di se stessi, poi di esigenze e, infine, di “considerazione”, cioè di una predisposizione a
offendersi per la più piccola mancanza di comprensione o di apprezzamento4.

In queste righe Gurdjieff parla di quali siano i risultati del relazionarsi agli altri con il filtro di un
vizio come la Superbia. Non sono riconoscibili le cause, poiché sono spesso molto a monte, ma gli
effetti. In poche parole, quando ci accorgiamo che gli altri ci sono debitori di qualcosa e pretendiamo
che questo debito venga saldato, significa che abbiamo dato inizio a un processo di manipolazione.
Ritrovarsi a dire “Mi spetta di diritto!” significa che è già troppo tardi. Ancora più subdolo è dire
“Non mi interessa ricevere niente in cambio”, quando poi si continua a serbare astio di fronte a
mancate risposte alle proprie richieste.
Ma come sarebbero le cose andando incontro agli altri senza alcuna aspettativa? Soprattutto,
come fare? Il cambiamento parte sempre da un’esigenza. In questo caso, un Due potrebbe accorgersi
di dipendere così tanto dalle risposte degli altri da voler uscire da questo meccanismo di
interdipendenza. Potrebbe interrogarsi ponendosi questa domanda: “Di quanto ritengo mi sia
debitrice questa o quella persona?”. L’obiettivo non è quello di trovare il modo di saldare il debito,
ma di riconoscere come nelle relazioni instaurate non ci si trovi sullo stesso livello dell’altro. Da qui
si apre la possibilità di imparare a vedere questa persona non più come debitrice, ma come pari.
Così facendo, potrà sorgere una nuova consapevolezza dei limiti, non intesi come muri, bensì
come dei confini oltre i quali è finalmente possibile scorgere l’altra persona da un’angolazione
diversa, dove entrambi si è sia bisognosi che donatori, ma non per questo dipendenti l’uno dall’altro.
Un passo essenziale sta nell’imparare a dire di no. Affinché una relazione alla pari sia permanente,
però, occorre anche accorgersi di come sia impossibile creare un vero legame di amore senza che chi
è coinvolto ami prima di tutto se stesso. L’amore è uno stato interiore e non è per forza frutto di una
relazione tra due persone distinte, sorge innanzitutto come forma di accettazione di se stessi. È un
sentimento che va coltivato quotidianamente e funzionerà da radice solida per tutti gli altri rapporti.
Senza prendere tempo per il proprio benessere, senza sforzarsi di raggiungere un’identità che
prescinda da ciò che c’è fuori, non smetteremo mai di essere in balia degli eventi.
Un Due saprà di essere nell’Umiltà quando avrà imparato a riconoscere come i suoi automatismi
lo portano verso l’abbondanza emotiva. La via della crescita sta nell’imparare a riconoscere il
sapore della qualità dell’emozione (soprattutto il valore di quelle emozioni apparentemente negative,
ma molto istruttive) a discapito della quantità.

Ali e frecce
La posizione del Due è la più lontana e scollegata dal centro della mente. Abbiamo visto come il suo
mondo siano le relazioni e l’azione. Questo non ha nulla a che vedere con il quoziente intellettivo e
non sono comunque rari i Due che nutrono un sincero interesse e appagamento nell’acquisizione
intellettuale. In generale, quest’ultima non è mai fine a se stessa, ma sempre rivolta a un vantaggio
negli altri due ambiti che gli stanno più a cuore.
Il suo cammino sull’enneagramma consiste nel conoscere l’altra faccia della medaglia
dell’emozione, cioè l’interiorità, facendo pace con il suo desiderio di libertà e la tendenza a voler
tenere tutto sotto controllo. Guardando la figura, possiamo vedere come l’Uno permette di mettere un
piede saldo nel centro viscerale, mentre il Tre dà la possibilità di adattarsi maggiormente agli
obiettivi (e non solo alle persone).
L’enneatipo Uno è estremamente indaffarato nell’occuparsi di tradurre il suo ideale in qualcosa di
concreto. Sa controllare le sue emozioni e mettere se stesso al servizio di un alto valore. Per un Due
è molto importante prendere le distanze dalle emozioni, cioè smettere di identificarcisi, il che non
significa essere meno empatici, ma solo meno reattivi emotivamente. L’obiettività di giudizio
permetterà quindi di andare incontro al prossimo secondo i suoi reali desideri, senza la presunzione
di sapere a priori di che cos’abbia bisogno.
L’energia del Tre conferisce la capacità di diventare un buon mercante delle proprie qualità.
Sviluppare questa parte concederà al Due maggiore autonomia, capacità di ottimizzare il tempo e i
risultati ottenuti per sé e per gli altri. Impara a prendersi i suoi meriti con più oggettività, iniziando a
dare il giusto peso a ciò che ha fatto. I risultati conseguiti aiutano a trovare una direzione e a rendere
più genuina l’autostima, rendendo meno frustrante la lotta tra l’adattarsi agli altri e il voler fare a
modo proprio.
Preso il giusto distacco dalle emozioni (Uno) e imparato a sottrarsi dalle regole nocive del gioco
(Tre), si apre la porta verso il mondo interiore. Nel punto Quattro il Due scopre di aver fino a quel
momento vissuto nell’altro e per l’altro. Ora può ritrovare quella parte di sé che vive
autonomamente, al di là delle relazioni. Non vive più “per gli altri”, ha capito di avere una propria
identità. Un gioiello preziosissimo. Il protendersi verso il prossimo diventa una scelta, non un
obbligo. Quei tanti “io” diminuiscono di numero, iniziando a ruotare intorno alla propria parte
autentica che è venuta a galla. C’è un nuovo entusiasmo nell’avvalorarla e nel prendersene cura. Ci si
può comportare in accordo a come si è in realtà senza temere che questo porti al distacco. Prendere
del tempo per sé non è più considerato “egoismo”. Un Due impara a essere finalmente sensibile
verso se stesso.
L’ultimo spauracchio da sistemare è il tornaconto. Quando un Due assume caratteristiche
dell’Otto, è più facile che siano negative: l’emotività diventa qui strumento di manipolazione, poiché
le necessità dell’altro diventano punti deboli a cui appigliarsi. Nulla di meglio per controllarlo. Non
solo, diventa anche facile colpirlo e rivendicare diritti acquisiti senza che l’altro ne sapesse nulla.
Ma dopo tutto quello che abbiamo descritto, dopo aver cioè sondato la parte autentica di sé, un Due
avrà imparato a depositare le sue ricompense nella propria dimensione interiore. Si adopererà meno
di prima, ma con maggiore efficacia. Farà a modo proprio, ma senza che la sua libertà e quella
dell’altro vengano sacrificate. Comprende quanta libertà e indipendenza porti l’imparare a dire “no”.
Enneatipo Tre

La più bella maschera è trasparente

U
n giorno, il più ricco e opulento mercante della città si rivolse a Nasreddin, noto saggio. Era preoccupato
per i suoi beni, temeva che la sua fortuna non sarebbe durata in eterno e, soprattutto, non era soddisfatto
del risultato della sua vita di fatiche. Possedeva terreni e mercanzie, nonostante la sua età piaceva ancora alle
donne, ma tutto questo non lo saziava mai. Gli sembrava di passare la vita intera a rincorrere qualcosa che,
una volta stretto tra le mani, sfuggiva di nuovo.
«Lo vedi quel ramo?», gli rispose Nasreddin. «Vedi quell’anziana donna? E cosa mi dici piuttosto di queste
abitazioni in rovina? Un tempo c’era un rigoglioso verde, una fanciulla in fiore, un palazzo del colore dell’ambra.
E ora pensa a tutte le tue ricchezze. Sono tue, ma non lo saranno per sempre. Prima o poi qualcuno le
scialacquerà, oppure una disgrazia le porterà via. Potranno volerci due, cinque, dieci generazioni, ma così
accadrà. Cosa ne rimarrà? Ogni bene di questa terra ha un inizio e una fine, mentre ogni tesoro che depositi in
cielo vivrà in eterno.
Ciò che possiedi non l’hai ereditato, né è frutto unicamente del tuo sforzo, né è solo tuo il merito di
possederlo: l’hai preso in prestito per il bene dei tuoi figli e di chi ti circonda. Ogni insegnamento, ogni esempio
che saprai dare loro, questo sarà il seme più forte che potrai mai piantare su questa terra.
L’universo ti ha offerto dei doni affinché tu sappia edificare una solida scala tra il cielo e la terra. Quando
vedrai che tu sei non il proprietario, ma l’amministratore temporaneo di tutti i tuoi beni, ecco che finalmente
comprenderai di aver ottenuto qualcosa».

Il messaggio che Nasreddin sta trasmettendo al Tre che si è rivolto a lui, usando una metafora in
riferimento alla storia narrata nel capitolo descrittivo di quest’enneatipo, è quello di smettere di
credere di essere il sentiero. Il processo di identificazione che abbiamo già descritto è un metodo
sviluppato per farsi accettare e amare, ma quest’amore non sarà mai ricevuto completamente se
l’immagine che si mostra è diversa dalla propria natura.
È necessaria una forte presa di coscienza della coesistenza di due entità in sé che agiscono in
maniera molto diversa: da una parte ce n’è una che preferisce la via più facile, ovvero quella del
plasmare l’immagine vincente, mentre dall’altra si trova una via più sinuosa, cioè quella di mediare
tra un’immagine vincente e la parte più autentica di sé.
Ma qual è la parte più autentica di sé? Il rischio per un Tre è di costruire sulla sabbia
dell’immagine e non sulla roccia della propria vera natura. Saper conciliare i due aspetti è la vera
carta vincente. Ma per pescarla dal mazzo è necessaria una vera riscoperta di se stessi, anche a costo
di soffrire per aver dovuto gettare la maschera.
Come ci insegna l’Enneagramma delle Personalità, esistono tante tipologie di persone, dunque
solo poche di queste si curano dei nostri successi. In ogni caso, l’affetto che riceviamo da loro non è
dovuto ai nostri obiettivi raggiunti. Non dipende da ciò che si fa, ma da ciò che si è. È necessario
vincere la tentazione di impressionare il prossimo e calarsi invece in pieno nel mondo emotivo,
domandandosi: “Sto cercando l’approvazione o sono veramente io?”.
Ma come la storia del ricco mercante ci insegna, l’identificazione non riguarda solo l’immagine,
ma anche tutto ciò che vi si può collegare.
Le persone ritengono che non si possa fare realmente un buon lavoro, in qualsiasi campo, se non in stato di
identificazione. In realtà, è un’illusione. In tale stato l’uomo non può fare nulla di sensato. E se la gente potesse
vedere ciò che lo stato di identificazione significa, cambierebbe avviso. Un uomo identificato diventa una
cosa, un pezzo di carne; perde anche quella minima somiglianza che aveva con un essere umano. In Oriente,
dove si fumano l’hashish e altre droghe, avviene spesso che un uomo si identifichi con la sua pipa al punto da
considerare se stesso una pipa. Non è una facezia, ma un fatto. Egli effettivamente diventa una pipa. Questa
è l’identificazione. Ma per arrivare a tanto l’hashish o l’oppio non sono affatto necessari. Guardate le persone
nei negozi, nei teatri o nei ristoranti. Osservate come si identificano con le parole quando discutono o cercano
di dimostrare qualche cosa, in particolar modo qualche cosa che non conoscono. Esse non sono più che
desideri, avidità o parole: di loro stesse non rimane nulla5.

Le parole di Gurdjieff sono dure ma vere. Un sinonimo di identificazione può essere


attaccamento oppure assorbimento. In ogni caso si tratta di una dipendenza talvolta quasi morbosa
da ciò che ci attira, totalmente a discapito della presenza a noi stessi. Tornando alla storia iniziale,
tutte le soddisfazioni raggiunte dall’uomo che si rivolge a Nasreddin sembrano vuote: come mai? La
risposta è nel vuoto stesso, ovvero nell’aver costruito sui desideri della facciata e non
dell’individualità. Per quanto i risultati possano essere eccellenti, il prezzo è salatissimo in termini
di felicità. La realizzazione personale passa non dagli obiettivi raggiunti, ma dal sentirsi soddisfatti
di ciò che saremmo se pensassimo a noi stessi privi di ogni nostro bene materiale o ruolo sociale.

Ambizioni e sogni
I temi che interessano un Tre sono molto simili tra loro, effettivamente si riconducono a un
denominatore comune. Se potesse osservarsi con occhi imparziali, noterebbe come tutta la sua vita
sia stata impostata attraverso lo schema degli obiettivi da raggiungere con la maggiore efficienza.
Dunque, un altro metodo per capire se la direzione presa è quella che porterà a un vuoto
insoddisfacente o a una concreta realizzazione di sé, è quello di imparare a distinguere tra ambizioni
e sogni.
Il lavoro più difficile da mettere in atto è quello di riuscire a comprendere la fondamentale
importanza del riposo e del tempo libero. In questo caso si intende proprio ozio e non un semplice
“non lavorare”. Ozio vuol dire “non fare”.
Non agire, ma non lasciare nulla di incompiuto.

LAO TZU

Questa frase tratta dal Tao Te Ching ha diverse possibili interpretazioni. Per un Tre ha un richiamo
alla ciclicità tra il giorno e la notte: durante il giorno la natura è vivace e in movimento, ma è durante
la notte che le cose crescono. Non bastano solo otto ore di sonno (e raramente le si dormono tutte),
ma occorre ritagliarsi lo spazio per far crescere il seme della propria direzione interna. Bagnarsi
nelle profondità per riemergere con una nuova convinzione che abbia la propria verità come punto di
riferimento. Solamente facendo questo sarà possibile tornare nell’affaccendata esteriorità, ambito di
naturale competenza di un Tre, arricchiti di una nuova luce.
Quindi, cosa c’entrano le ambizioni e i sogni con tutto questo? Semplicemente, le prime nascono
come reazioni all’infinità di input che riceviamo dall’esterno, andando a risuonare con certe parti
insoddisfatte di noi, quelle che vogliono sempre di più e non si sazieranno mai. I sogni, invece, non
sono delle reazioni ma delle indicazioni sulle azioni da intraprendere. Sono dei semi, delle intuizioni
spesso anche discordanti da tutto ciò che ci è consueto nella nostra vita quotidiana. Vanno coltivati
giorno per giorno con grande attenzione, curandosi di non contaminarli con le (presunte) richieste che
il mondo sembra farci.
Meditare senza sforzarsi di diventare il “meditatore modello” è un buon esempio. Nel tempo
preso per sé, il risultato non ha alcun valore. Conta soltanto godersi il viaggio, assicurandosi
soprattutto che sia compiuto con il sentimento di sé nel cuore.
Per un Tre è fondamentale pensarsi in punto di morte e domandarsi: “A questo punto, cosa ho
realizzato di veramente importante? Da chi sono circondato? Che tipo di relazione ho con queste
persone? Ho amato le cose od ho amato la vita?”.

Sincerità
Nasreddin era noto in città per la sua nomea di persona saggia. Era ormai di dominio comune che chiunque si
recasse da lui avrebbe ricevuto la verità più schietta sul suo conto e mai filtrata da convenevoli. Molte
persone entravano in casa sua armate di curiosità e ne uscivano in lacrime, in estasi o piene di dubbi.
Un giovane ragazzo, ammaliato dal suo talento, decise di incontrarlo. Era molto emozionato poiché
stimava tantissimo le qualità del Mullah. Desiderava imparare dal migliore. Inoltre, sapendo che l’uomo non
avrebbe risposto nient’altro che la verità, era intenzionato ad arrivare dritto al punto.
Si presentò da lui con questa domanda: «Venerabile Mullah Nasreddin, è da tanto tempo che ascolto
racconti su di voi e sulle vostri doti. Ditemi, qual è il vostro segreto?».
Il Mullah inclinò la testa per osservarlo meglio, dunque rispose: «Segreto? Pensi che il mio sia un segreto?
La natura mi ha creato onesto e spietato. Il risultato dei miei sforzi risiede nell’aver imparato a mentire. Ecco il
segreto del mio successo».

Il racconto sembra un elogio alla menzogna, invece vuole insegnarci qualcosa di più profondo. Ci
dice come la natura abbia creato chi dice la verità e chi non la dice. Nessuno dei due casi è
preferibile all’altro. Perché? Perché entrambe vengono sviluppate in automatico, senza alcuna nostra
partecipazione personale. Quando una persona si ritrova a porsi delle domande su se stessa, solo da
quel momento diventa una persona responsabile. È necessario un desiderio di completezza: come può
essere completa una persona che non può fare a meno di mentire? Al tempo stesso, come può
qualcuno ritenere di avere il controllo su se stesso se non può fare a meno di dire la verità?
Nella vita dell’uomo ordinario la verità e la menzogna non hanno alcun valore morale, perché un uomo non può
mai attenersi a una sola verità. La sua verità cambia. Se per un certo tempo essa non cambia, è
semplicemente perché è trattenuta dagli “ammortizzatori”. Un uomo non può mai dire la verità. Qualche volta,
“qualcosa dice” la verità, qualche volta “qualcosa dice” una menzogna. Così la sua verità e la sua menzogna
sono egualmente prive di valore. Né l’una né l’altra dipendono da lui, esse dipendono tutte e due da cause
accidentali. Questo è altrettanto vero per ciò che concerne le parole dell’uomo, i suoi pensieri, i suoi sentimenti
e i suoi concetti di verità e di menzogna6.

In poche parole, la virtù della Sincerità è strettamente connessa con la possibilità di vedere.
Vedere come mai in certe situazioni diciamo la verità, vedere come mai in altre tendiamo ad
addolcirla, vedere come mai non desideriamo in alcun modo mettere in mostra altre parti di noi. La
Vanità addolcisce e altera leggermente (o pesantemente) l’aspetto della verità, apportando modifiche
spesso minime ma in grado di dare dei risultati consistenti. Tutto sta nel coltivare la giusta sensibilità
nei riguardi delle nostre reazioni agli eventi esterni e notare come avvengano in modo automatico.
Nello specifico, per un Tre è di fondamentale importanza osservare con quale scaltrezza si manifesti
la sua capacità di adattamento modificando l’immagine, le intenzioni e le opinioni a seconda
dell’obiettivo da raggiungere, il tutto a discapito della sua natura autentica. Raramente un Tre mente
sapendo di mentire. Mente a se stesso ed è poi sincero con gli altri. Dunque la virtù della Sincerità
non può manifestarsi senza consapevolezza. Sincerità è riconoscere i propri errori senza aspettarsi
altro. Ma darsi l’obiettivo di diventare consapevoli non è efficace: tutto ciò che ricade nella
categoria “obiettivi” rischia di rientrare in quel processo di adattamento (e quindi di finzione)
appena descritto. Gettare la maschera significa smettere di guardarsi con gli occhi di chi vede solo le
nostre azioni e iniziare a guardarsi con gli occhi di chi non ha pretese e soprattutto di chi vuole
sapere chi è davvero. Tutto questo nel presente, nel qui e ora, senza ipotesi di come saranno le cose
domani rispetto a com’erano ieri.

Ali e frecce

Il Tre si trova in una posizione in cui tutto sembra andare a suo vantaggio: dalle ali ha tutto da
imparare su ciò che gli manca. Il punto è che in questa posizione sta molto comodo e non è granché
propenso a mettersi in cammino lungo le frecce.
Trovandosi nel “centro del centro” delle emozioni, vive nell’appagamento emotivo dettato dalle
soddisfazioni che sa trarre da una vita in movimento in grado di tenerlo lontano dagli aspetti più
profondi della vita stessa. Vediamo invece, cosa può trarre di utile dalle sue ali per spostarsi verso
una visione più completa di sé.
L’ala Due fornisce un maggiore interesse verso il prossimo. L’altro non è solo territorio di
conquista ma anche un individuo con i suoi bisogni e i suoi desideri. La felicità di vedere il sorriso
nell’altro per il semplice fatto di vederlo sorridere è un bene preziosissimo, una ricompensa che non
può essere paragonata ad alcun successo. La presenza in famiglia, coltivare le relazioni intime e di
valore: ecco cosa può imparare un Tre dal Due.
Dal Quattro può trarre quella sensibilità necessaria per sentire una vera vita interiore. Le nuove
sfide sono sempre più frequentemente dentro piuttosto che fuori di sé. Andare oltre i propri limiti non
per raggiungere un traguardo, ma perché si può imparare a vedere l’immagine autentica di sé e
dunque darsi da fare per realizzarla. Gli aspetti negativi della vita assumono un nuovo senso e non
vengono cancellati immediatamente da una novità: rimangono come cicatrici destinate a insegnare
qualcosa.
Il passo verso il Sei è probabilmente il più lungo e difficile, soprattutto perché non è facilmente
riconoscibile a livello pratico. In generale, un Tre mette il piede nel Sei quando scopre il significato
dei valori. Il valore della famiglia, il valore della vita, il valore del lavoro. Un Tre spontaneamente
conosce cosa sono i valori, ma questi vengono ad applicarsi solo contestualmente e vengono
addolciti nei momenti più critici. È molto diverso percepire un valore “fuori” rispetto a incarnarlo.
Comprendere il punto Sei significa iniziare a farsi degli scrupoli, acquisire la saggezza necessaria a
riconoscere di chi è possibile fidarsi e di chi no, lavorare per godersi la famiglia e non solo per
soddisfare un modello di vita.
Il Nove è un ponte sull’arricchimento interiore. Qui gli obiettivi non sono più sterili ma si
riempiono di significato. Prendere spunto dal Nove senza prima aver fatto il resto del percorso
potrebbe alimentare una visione nichilista e cinica della vita che darebbe l’impressione dell’inutilità
di ogni sforzo. Le cose, infatti, vengono qui viste dall’alto e da questo punto di vista ognuno è parte
di un disegno. La propria immagine si sgonfia e ci si vede calati in un grande progetto in cui tutte le
persone sono connesse tra loro. Nasce una sincera affinità col prossimo. Il significato di compiutezza
acquisisce finalmente un senso.
Enneatipo Quattro

Il flusso ininterrotto della vita autentica

L
a vedova che sposò Mullah Nasreddin aveva la pessima abitudine di vantare i meriti del suo primo marito.
«Il mio defunto marito faceva questo, il mio defunto marito faceva quello». Il Mullah schiumava per la
rabbia. Pensava che alla lunga sua moglie avrebbe smesso e che, finalmente, avrebbe ritrovato la sua
tranquillità. Invece, ella ricominciava sempre, senza mai stancarsi. Al limite della pazienza, Nasreddin
cominciò, da parte sua, a vantare le qualità della sua defunta moglie. Non ci fu nulla da fare. Di nuovo, una
notte, avendo sua moglie ripreso a ripetere il solito ritornello, Nasreddin, fuori di sé, con un colpo di piedi la
fece rotolare sul pavimento. La donna, rialzandosi alla bell’e meglio, gridò: «Nasreddin, cos’è questo
comportamento?».
Mullah Nasreddin si giustificò: «Comprendiamoci. Ci sei tu, ci sono io, c’è il tuo defunto marito, c’è la mia
defunta moglie. Possono quattro persone stare su un medesimo letto?».

Un Quattro non è mai “solo sul letto”. A tenergli compagnia vi è sempre una persona pensata, un
qualche episodio o un rimorso. Tutte queste presenze sono estremamente ingombranti per una sola
vita. È come se il passato (o il futuro) desiderasse disperatamente di vivere attraverso il presente, e
il Quattro fosse la porta che permette la comunicazione tra queste due realtà.
Un forte senso di compromissione non concede alcuna possibilità di ritrovare la speranza che
capiti qualcosa finalmente in grado di cambiare la situazione. Un intensissimo lavorio interiore, dove
continue immagini si susseguono come in un film, genera un monologo che crea un mondo alternativo
ricchissimo ma estremamente contorto e pieno di pericoli.
Tutto ciò che compare visivamente nella propria mente sembra assumere pari valore rispetto a
ciò che vi è all’esterno. Dunque interagire con una persona che non vive più da anni è ugualmente (o
più) importante dell’azione che può essere compiuta nella vita quotidiana. L’emozione e il ricordo
prendono in prestito l’immaginazione per i loro scopi che nulla hanno a che vedere con il bene di chi
li ospita.
Senza portare l’attenzione su quanto questo meccanismo condizioni ogni scelta e ogni possibilità
di azione, difficilmente si può parlare di reale possibilità di sviluppo della personalità.
La continua sensazione di carenza che si percepisce quando si vive nel presente è proporzionale
all’attitudine a immaginare situazioni ipotetiche nella mente. Infatti, se il pensare a una persona cara
potrebbe essere un’azione innocente, il rappresentarsi cosa si potrebbe dire o aver detto in una certa
situazione, fare o aver fatto in un’altra, altera completamente questo pensiero. Non si tratta più di un
ricordo, ma di un rimodellamento di un contesto (esistito o mai esistito), di una relazione con una
persona e inevitabilmente di se stessi. In tutto questo il proprio cuore batte forte, sogni si realizzano,
cose mai dette vengono finalmente pronunciate… ma sono inevitabilmente destinate a interrompersi
per via di un semplice squillo di telefono. Ciò che rimane è un senso di vuoto e penuria.
Arricchire ogni volta questi sogni a occhi aperti genera la tendenza a creare realtà mentali
parallele sempre più numerose e variopinte. Un metodo simile è impossibile da applicare alla vita
reale, di conseguenza questa perde tutto il suo fascino: tutto sembra estremamente monotono e
prevedibile. Diventa troppo facile vedere cosa manca e cosa c’è che non va, ma tutto ciò non può
essere compensato con la fantasia.
Per un Quattro è fondamentale portare l’attenzione sul procedimento appena descritto. I metodi
con cui aiutarsi possono essere molteplici, ma ciò che importa è riuscire a trovare il modo di
allontanarsi dall’attitudine a sognare.
Si tratta di cogliersi in flagrante e riconoscere come questi momenti di pseudo-vita vissuta in quel
teatro mentale trascinino l’emozione da una parte all’altra, riempiendo l’esistenza di illusioni
dolorosissime. La realtà è il luogo in cui ci si trova ora ed è dove possono essere assaporati i veri
affetti, le vere relazioni, le reali esperienze. Le possibilità si realizzano a partire da ciò che è
concretamente attuabile nel mondo materiale. Possono sì essere progettate preventivamente, ma il
proposito non ha valore se non riesce a prendere piede nella quotidianità. Il soffermarsi a valutare
ogni aspetto o conseguenza possibile è di nuovo nutrire l’immaginario e rimandare l’occasione di
vivere.
Sarà utile tutto ciò che permetterà di staccare la spina dai tanti cortometraggi mentali. Non
servono altre domande, poiché a queste non si può trovare risposta se non si hanno sufficienti
elementi a disposizione. Questi vanno trovati al di fuori di sé, non dentro. Non meditazioni
introspettive, ma piuttosto attività che permettano di riprendere il contatto con il corpo. Non ulteriore
attenzione alle emozioni, ma concentrarsi sul presente tangibile.
Non sarà possibile ritrovarsi rapidamente “da soli sul letto”, ma di certo sarà efficace spiegare a
chi si vuole tenere con sé di ritagliarsi uno spazio un po’ più piccolo. Non è necessario dimenticare o
dare l’addio a persone care, queste avranno sempre un posto riservato nel nostro cuore. Nessuno,
però, deve sacrificarsi per far vivere attraverso di sé qualcun altro. Non è mai troppo tardi per
riprendere in mano la propria vita.

Le relazioni
Un Quattro sente di essere la persona che si è arresa all’idea di rimanere sola, ma che nonostante
tutto continua a cercare legami.
Cercare di relazionarsi con quest’attitudine non può che portare a riconfermare la profezia che lo
vede destinato a rimanere incompreso. Dunque, un passo verso il prossimo non è mai genuino o
limpido, ma sempre filtrato dal voler mantenere viva la propria immagine di persona unica e
incomprensibile. Un Quattro desidera essere autentico a tal punto che, sforzandosi di esserlo, non lo
è più. Propone quindi all’altro una figura estremamente sofisticata e ricercata, la quale porta non il
messaggio di una persona vera e sincera, ma di un carattere arzigogolato e imprevedibile. In questa
maniera sarà sempre il vestito (psicologico più che materiale) a far colpo e raramente la persona che
lo indossa!
Le relazioni diventano dunque difficili e meno spontanee: la quotidianità farà crollare tutte le
idealizzazioni che erano state costruite sulla “vita da fiaba” prefigurata con questa o quella persona.
È necessario portare l’attenzione a come si cerchi di allontanare le altre persone nel momento in
cui queste si avvicinano. Quando un Quattro si lamenta, non sta cercando realmente aiuto, poiché chi
cerca aiuto si sforza concretamente di migliorare la situazione che sta vivendo. Un Quattro, invece,
usa questo metodo per attirare l’attenzione piuttosto che per fare dei passi avanti. Ha un grande
bisogno di essere amato e protetto, ma non si sente degno.
Il dolore è legittimo, la sofferenza invece va arginata. Il primo è inevitabile e fa parte della vita,
mentre la seconda è una forma di affezionamento al dolore. La propria identità va ricercata al di là di
questa e per farlo è necessario osservare come si pensi che ciò che ci spetta di diritto, per qualche
ingiustizia del creato, è la posizione di colui che soffre. Pensieri quali “capiranno il mio dolore solo
quando sarò morto” sono indicatori di sofferenza protratta a lungo, che non ha più nulla a che vedere
con il dolore originario.
Nelle oscillazioni di umore è bene che impari a non cavalcare l’onda della rivalsa, nella quale si
sente di voler lottare per il diritto di avere l’importanza che si merita. Tuttavia, quest’onda si
infrange contro gli scogli delle aspettative e della considerazione altrui. Tutta quest’energia potrebbe
invece essere sfruttata per impegnarsi nel realizzare progetti, per riscoprire interessi e attitudini. Fare
del proprio meglio facendo ogni volta attenzione alla tentazione di autosabotarsi.

Armonia
La vera definizione di Armonia, nel caso di un Quattro, è “assenza di carenze”. Ciò che vai cercando
c’è già ed è in te.
Il primo passo per riconoscere l’Armonia nella realtà (interiore e non) è quello di smettere di
confondere l’essere con i sentimenti. Per questo a un Quattro diciamo: non sei le tue emozioni.
Queste ultime sono un indicatore dello stato del tuo essere, ma non sono ciò che sei realmente.
L’essere è una cosa, i sentimenti un’altra. L’essere è una melodia che può dar luogo a sentimenti
malinconici o felici, tristi o euforici, ma rimane sempre una melodia, a prescindere da ciò che può
suscitare. Quest’Armonia va ricercata lucidamente, verrà alla luce spontaneamente una volta
contenute tutte quelle emozioni e immaginazioni a cui ci si è affezionati così tanto.
Sempre a questo riguardo, non è necessario aspettare di essere dell’umore giusto prima di agire:
è bene agire comunque, altrimenti passerà tantissimo tempo tra la decisione e l’azione. È in
quest’ultima che emergono i talenti e i veri interessi. Qui si trova la possibilità di smettere di sentirsi
come un’isola separata da tutto il mondo.
Quest’Armonia non è raggiungibile cercando di smettere di guardare le qualità del prossimo, ma
trovando il bello che c’è già in se stessi. Sarà sorprendente notare come ciò che si desiderava era in
realtà già presente dentro di sé con un aspetto un po’ diverso, magari sotto forma di seme mai
coltivato. Tutto questo non può essere ottenuto senza il giusto impegno e un nuovo tentativo al giorno
di volersi bene. La fastidiosa tendenza a paragonarsi con il prossimo si affievolirà mettendo in
pratica i propri doni.
Man mano che si impareranno a gestire meglio le emozioni, finalmente si sarà in grado di non
essere più schiavi del vedere ciò che manca in ogni situazione, ma si imparerà a sfruttare questa
particolarità come una funzione destinata a raggiungere qualcosa di più alto. Con il giusto grado di
oggettività si potrà dare un personale importante contributo a se stessi e agli altri in qualità di artisti,
amici, professionisti.
Intuito, profondità e creatività saranno i ferri del mestiere per arricchire la vita di nuove
creazioni in qualsiasi ambito di interesse.
Ali e frecce

La posizione del Quattro è quanto mai particolare. Si trova nella parte più bassa
dell’enneagramma, dunque per poter risalire in superficie (verso l’enneatipo Uno) a prendere una
boccata d’aria è necessario fare un lungo percorso a ritroso. Ciò è simbolo della necessità di far
pace con il passato.
Per “uscire dalla fossa”, che provoca stagnazione nelle emozioni negative e nel sentirsi
inadeguato, ha bisogno di rivolgersi al determinato e concreto Tre e al lucido e attento Cinque, che
compongono le sue ali.
Un Tre ha il dono di sapersi dare obiettivi e di mobilitarsi per raggiungerli. Impara in fretta quali
sono le regole del mondo là fuori e si impegna per realizzarsi come persona. Per questo un Quattro
che sappia attingere a queste qualità potrà trovare qui le risorse necessarie per uscire dalla stasi e
lanciarsi in dei progetti che, una volta realizzati, non saranno persi ma contribuiranno alla
costruzione di una solida identità. Non avrà senso sabotare le proprie iniziative poiché esiste uno
scopo. Infine, ci si potrà concedere di immedesimarsi nell’immagine vincente di sé e prenderci
confidenza, senza il timore di perderla. Sviluppare l’ala Tre permetterà di diventare più performanti
e fiduciosi in se stessi, rimuovendo progressivamente quella fastidiosa barriera di incomunicabilità
tra sé e il mondo.
Dall’altra parte, il Cinque può fornire la necessaria visione obiettiva rispetto alle situazioni della
vita. Un Cinque tiene sotto controllo i sentimenti affinché questi non prevarichino l’esattezza di
giudizio. Sa inoltre decidere con razionalità cos’è bene o cos’è male per se stesso in relazione agli
altri. Prendendo contatto con quest’ala, un Quattro potrà finalmente aggiungere alle sue intuizioni un
sostegno logico in grado di reggere l’impatto con la realtà. Non più solo castelli mentali e progetti
irrealizzabili, ma informazioni utili per un piano da sviluppare nella vita. Le varie possibilità che
l’esperienza propone potranno essere analizzate con occhio più critico e sarà più facile valutarne la
pertinenza con la propria autentica individualità, la quale sarà messa al vaglio di una più obiettiva
lucidità mentale.
La forza di queste ali fornirà la giusta solidità per spiccare il balzo necessario a uscire da quel
baratro interiore. Serve piantare i piedi in terra. Questo è rappresentato dall’avvicinarsi al
discernimento dell’Uno. L’arrampicata tutta in salita renderà un Quattro meno strattonabile dalle
intemperie emotive, inizierà così a comprendere che le occasioni di armonia e felicità vanno tenute
strette con le unghie.
Potrà sviluppare una disciplina in grado di portare a una certa regolarità, non imposta da altri ma
ritrovata dentro se stessi. La parte più vera di sé non è in alcuna maniera tradita, ma finalmente
direzionata: un’entità senza forma in grado di automodellarsi continuamente. L’autorealizzazione non
è più un sogno ininterrotto composto da tanti “io vorrei…”, ma un numero più ristretto di “io voglio”
in accordo con ciò che si è davvero e per i quali c’è l’energia e la volontà di battersi.
Raggiunta una maggior completezza interiore, quando, cioè, si percepiranno dentro di sé sempre
meno “ospiti” e si avrà preso dimestichezza con la realizzazione di obiettivi, la propria identità sarà
il perno intorno al quale ruoterà la vita, finalmente in maniera sana. Sarà così più facile tornare in
contatto con il prossimo in maniera rinnovata e meno influenzabile. Le numerose qualità riscoperte
potranno finalmente essere spese per dare un importante contributo al prossimo. Ci troviamo nel
punto Due. Qui, un Quattro senza l’adeguata consapevolezza di sé tende a peggiorare la sua
condizione facendosi assorbire totalmente non solo dalle sue sofferenze ma anche da quelle altrui,
rischiando di diventare in questa maniera appiccicoso. Tuttavia, se ha imparato a mantenere una certa
integrità individuale e ha sviluppato la capacità di non confondere i suoi sentimenti con quelli di chi
ha intorno, ecco che le sue qualità empatiche potranno finalmente splendere sia per aiutare il
prossimo, sia per contribuire a far nascere nel mondo ciò che merita di essere creato. Il bisogno di
unicità viene sostituito da un sincero desiderio di crescere attraverso le esperienze.
Enneatipo Cinque

Comprendere la vita a piene mani

A
Nasreddin un giorno fu domandato: «Chi è più grande, il re o i contadini?».
Nasreddin ci pensò un istante e rispose: «I contadini».
«Perché?».
«Se i contadini non coltivassero la terra, il re morirebbe di fame».

Se un enneatipo Cinque applicasse tutte le conoscenze con cui viene a contatto, saremmo
circondati da Cinque illuminati. Ma così non è. Perché?
Quando “capire” viene inteso come “accumulare informazioni”, la materia diventa sempre più
teorica e meno vissuta in prima persona. Per un Cinque infatti è molto più facile descrivere la realtà
piuttosto che viverla. Conseguenza di ciò è il non utilizzare l’esperienza come parametro di verifica
di ciò che si presume di aver compreso. Qual è lo scopo di cercare di capire qualcosa? Una volta
capito, lo si è compreso davvero?
L’abisso che separa il capire dal comprendere risiede nel mondo materiale ed esperibile, dove
intelletto, emozioni e viscere convivono. Adagiato sul suo trono e più comodo che mai nei suoi abiti
di velluto, il re potrebbe solo capire a livello teorico ciò che significa impugnare una zappa e
“sudarsi la pagnotta”. In che maniera potrebbe mai comprendere i suoi contadini? Soltanto andando a
lavorare la terra a sua volta. A tal proposito mi viene in mente ciò che Gurdjieff disse a Ouspensky:
[…] attraverso la lettura si può trovare molto. Per esempio, considerate il vostro caso: voi potreste conoscere
già molte cose se foste capace di leggere. Mi spiego: se voi aveste compreso tutto quello che avete letto nella
vostra vita, avreste già la conoscenza di ciò che ora cercate. Se aveste capito tutto quanto è scritto nel vostro
libro, qual è il suo titolo? — e invece delle parole Tertium Organum [un’opera di Ouspensky; N.d.R.] pronunciò
qualcosa di assolutamente impossibile — toccherebbe a me venire da voi, inchinarmi e pregarvi di
insegnarmi. Ma voi non comprendete né quello che leggete, né quello che scrivete. Non capite neppure quel
che significa la parola comprendere. La comprensione è tuttavia la cosa essenziale, e la lettura può essere
utile solo a condizione che si comprenda ciò che si legge. Ma naturalmente nessun libro può dare una
preparazione reale. È quindi impossibile dire quali siano i libri migliori7.

Non sappiamo se Ouspensky fosse un Cinque, ma questa citazione calza a pennello. Al di là del
tono brusco, il messaggio è chiaro: l’informazione va associata all’esperienza.
Un Cinque potrebbe non avere alcuna difficoltà a descrivere l’India senza esserci mai stato una
volta. Questo perché ciò che non è di competenza della sfera intellettuale non è di suo interesse,
dunque i sorrisi delle persone, gli aromi delle vie e l’aria che si respira sono tutti aspetti marginali e
fuorvianti rispetto alla possibilità di fare un’appropriata sintesi.
A questo punto ci si potrebbe porre una domanda: cosa rimarrebbe delle nostre conoscenze dopo
dieci anni di non applicazione? Tenendo questi dati lontani dalla nostra vita reale, ecco che anche in
breve tempo inizieranno a svanire come immagini impresse su un foglio sottoposto allo
sgocciolamento della pioggia. Il pensiero di portare con sé le proprie conoscenze nella tomba è pura
illusione: queste si scioglieranno come neve al sole.

Il regno della mente e il regno della vita


In un primo momento è molto difficile riuscire a fare una distinzione tra ciò che si è realmente tastato
con mano e ciò che invece è ancora solo il solito vecchio “regno della mente”. Vuoi perché un certo
ambito di interesse rimarrà per forza teorico (fisica teorica o storia antica, ad esempio), vuoi perché
ancora manca quella sensibilità interiore atta a discriminare questa differenza. A un certo punto la
sensazione di “vivere ai margini della vita” potrebbe diventare un motivo di sofferenza impellente,
sarà dunque bene escogitare un modo per imparare a vivere nella realtà in maniera più coinvolta ma
al tempo stesso sicura.
Obiettivi concreti, come ad esempio il lavoro sul corpo, sono occasioni per “mandare il re a
zappare”. Come rendersi conto della propria condizione fisica senza che questa venga coinvolta
direttamente? Alla stessa maniera non è possibile godere dei doni che ci sono stati dati se questi non
sono portati fuori in qualche modo. Il confronto con il prossimo, specie con persone di cui ci si fida,
è un passo importante per uscire dal guscio.
La creatività ha la funzione di manifestare ciò che altrimenti rischia di rimanere unicamente
potenziale. Ma quest’atto, per avere luogo, deve in qualche maniera uscire da quel “castello
mentale” e prendere forma nel mondo reale. Avere una cosa chiara nella mente non significa
possederla. Per appropriarsi di una cosa, paradossalmente, questa dev’essere portata fuori. Che si
tratti di tenere un diario, di dipingere una tela o prendersi cura di un giardino.
Man mano che la propria creatura prende vita davanti agli occhi, la realtà stessa sarà la guida che
indicherà la direzione per manifestare qualcosa di ancor più ricco di ciò che si era pensato.
Ottenere i primi risultati apre la porta alla fiducia nella possibilità di ottenerne degli altri. Quel
filo di vita che si percepisce dentro potrà gradualmente crescere fino a diventare un soffio, poi un
vento e infine uno splendido cielo da cui attingere ciò che si vuole portare sulla terra.

Generosità
La realtà vista attraverso gli occhi dell’Avarizia è un continuo do ut des a perdere. Ciò che si
guadagna non sembra mai colmare ciò che si è perso e questo costringe a una spirale in discesa a
lungo andare deleteria.
Per abbracciare la via della Generosità è necessario imparare a lasciar andare qualcosa. Il
distacco con cui un Cinque vive la sua vita non gli permette di notare quanto in realtà sia attaccato a
certe cose. Alcune su tutte: la pianificazione, la continua analisi e quell’immancabile angolino in cui
sono riposte le proprie emozioni insieme a un “atlante delle esperienze”.
Quell’attaccamento su cui è bene lavorare, professato da molte religioni, non ha nulla a che
vedere con il distacco. Negare le emozioni e gli istinti è ben diverso dal non identificarsi con essi:
cosa c’è di virtuoso nell’essere aridi? Un Cinque sa bene che nel suo cuore esistono i sentimenti, il
sognare, il desiderio di vivere. Purtroppo tutto questo rimane imbalsamato in un luogo senza tempo e
senza spazio. Non esiste un museo dei sentimenti. Nessuna pianta può germogliare se tenuta al buio e
privata di aria.
Ciò che attende un Cinque al varco della prova della Generosità non è la completa fusione nella
realtà esterna. Non è un abbandonare l’interiorità in cambio di una pericolosa vita nel mondo là
fuori. I primi passi da fare sono molto brevi, purché vengano compiuti. È molto difficile iniziare ed è
ancor più difficile riprendersi dallo scoraggiamento di un tentativo fallito. Dunque è bene
appoggiarsi sulle proprie qualità assodate e armarsi di buona volontà.
In fatto di osservazione il talento non manca: si tratta di imparare a osservare le cose giuste,
ovvero quelle legate alla personalità, fonte di continui arresti alla possibilità di far emergere la parte
tenera. L’ossessione per il controllo degli stati interiori è una battaglia persa a meno di non prendere
la decisione di ritirarsi in eremitaggio. Dall’alba dei tempi si scrivono poesie sull’incomunicabilità
tra pensieri e sentimenti e ancora non si è trovato il modo di permettere ai primi di sovrastare i
secondi (fortunatamente!). Questo significa che esiste un linguaggio particolare delle emozioni, ma
questo va studiato sul campo e non nelle retrovie.
Come distinguere il distacco da un’osservazione genuina? Innanzitutto il primo è infarcito di
negazioni: “Questa cosa non la voglio provare”, “questo sentimento mi spaventa, meglio
allontanarsi”, “non voglio avere questa persona intorno” e così via. La seconda è molto più neutra e
non è filtrata dalla mente: è più trasparente e non è accompagnata da alcun pensiero o
considerazione. Permette di lasciar emergere le emozioni senza castrarle e di osservarle per ciò che
sono, cioè delle risposte ad associazioni interne o esterne, nonché il succo della vita. Va notato
com’è il desiderio di distacco a comandare la vita e che nell’attuarlo c’è solo l’illusione di aver
preso una decisione. In questo modo si ha come conseguenza automatica l’isolamento, quando invece,
cogliendosi in flagrante nell’effettuare questa dinamica di distacco, si possono vedere i propri
meccanismi di difesa per quello che sono: scuse per non vivere. L’osservazione distaccata si
accompagna all’inquietante sensazione di scomparire; l’osservazione genuina ci dà, invece, maggiore
presenza nel qui e ora.
Generosità non significa dare senza tornaconto. Significa dare senza timore di perdere qualcosa e
avendo fiducia che il mondo pagherà il suo debito, ma non nella maniera prevista: non è possibile
calcolare la qualità o l’importo di ciò che tornerà indietro. Dunque non si può agire con alcuna
aspettativa. Tuttavia, esporsi permette di avere conferma di ciò che davvero si sa, distinguendo da
ciò che si presume di sapere. La vera identità, quella che non richiede etichette o ragionamenti, si
esprime nell’azione.
Così, quel vuoto esistenziale che per comodità viene percepito come vuoto conoscitivo, si
riempirà condividendo parti di sé con altri. Improvvisamente quella fame associata a un senso di
penuria si trasformerà in desiderio di realizzare e di esprimersi, ma non sarà più vissuto con
quell’alone di inadeguatezza o di distanza rispetto alla realtà esterna, bensì sarà arricchito di nuova
fiducia.

Ali e frecce
L’Enneagramma delle Personalità spesso affascina i Cinque. Qui possono trovare un surrogato di
ciò che non si sforzano nemmeno più di cercare nella vita di tutti i giorni. Ci sono due modi per
utilizzare questo strumento: farne un mezzo per costruire l’ennesimo freddo catalogo, oppure
impugnarlo come sciabola con cui districarsi tra i rovi delle nostre paure. Vediamo di fare uno sforzo
e di seguire questa seconda possibilità.
Soffermiamoci dunque a contemplare questa mappa. Dove ci troviamo? A sinistra c’è un leale e
impegnato Sei, a destra un intenso e turbolento Quattro. Seguendo la freccia, si andrebbe incontro al
brillante Sette, e andando contro freccia, ci ritroveremmo di fronte a un tostissimo Otto. Verrebbe da
andare ovunque meno che in quest’ultima direzione, ma a un’attenta analisi i vantaggi di questa mossa
sono molto consistenti.
Andando verso l’Otto si abbandona sempre di più il fantasticare e si diventa più creativi. Un Otto
agisce di pancia: prima fa, poi (forse) riflette sull’accaduto. Egli sa di essere nel giusto senza
interrogarsi a riguardo. Non lascia inespresso alcuno dei suoi talenti. Sembra incredibile agli occhi
di un Cinque. Effettivamente prima di poter prendere uno slancio del genere è necessaria una dovuta
preparazione. Questa può essere ottenuta grazie all’aiuto delle ali.
Per quanto possa sembrare strano, anche alla luce di quanto detto fino a ora, la principale sfida
per un Cinque non è la gestione delle emozioni. Ciò che gli è più distante è il mondo delle viscere,
rappresentato emblematicamente da quel grande lottatore che è l’Otto. Ma spesso si tende a far
confusione tra questi due mondi, ed è per questo che occorre la sensibilità dell’enneatipo Quattro. Un
Cinque che ha imparato ad allargarsi nella sua direzione è riconoscibile dalla nuova cura che ha per
il suo corpo e l’empatia che è in grado di manifestare per le persone care (e non). Riesce finalmente
a dar voce alle sue emozioni senza parlare unicamente di pensieri. Non diventa più sensibile:
semplicemente la sensibilità già presente viene dissotterrata e non è più uno spauracchio. Inoltre,
scoprire le paure, i problemi e le sfide del prossimo permette di uscire da quella percezione di
isolamento totale dalla vita che ci fa sentire costretti all’interno di pensieri, problemi e questioni in
qualità di uniche vittime di questo senso di separazione.
L’ala Sei permette tutto un altro approccio basato maggiormente sulla comprensione esterna
piuttosto che su quella interna. In questo punto si riconosce la possibilità di usare l’Enneagramma
delle Personalità per studiare i comportamenti delle altre persone non più come si farebbe con i topi
di laboratorio, ma (concedetemi il paragone) come farebbe un alieno intenzionato a vivere sulla
Terra! L’interazione sociale nasce infatti dall’imitazione e questo è già un preambolo all’utilizzo del
centro dell’azione. Significa non solo osservare come e cosa fanno gli altri, ma provare a prendere
spunto per costruire dentro di sé una giusta resilienza, ovvero la capacità di far fronte alle difficoltà.
Per arrivare a questo, in nessun modo è necessario perdere se stessi.
A questo punto, acquisita maggior confidenza con la propria parte sensibile, riscaldato dalla
presenza di un permeante alito di vita nel cuore e riconosciuti i motivi alla base di certe presunte
assurdità della “vita là fuori”, un Cinque può sbocciare. Finalmente non è più necessario studiare nel
dettaglio ogni singolo impegno quotidiano. Gli imprevisti non fanno più così paura e ci si permette di
improvvisare. Si va nel mondo con più sicurezza. Il controllo rimane importante ma c’è più fluidità
nel padroneggiarlo. C’è maggiore sensibilità alle botte e risposte tra realtà interna ed esterna.
Possono essere scoperte le proprie grandi capacità decisionali grazie a una rinnovata sicurezza in se
stessi. Ecco che la lunga scalata fino all’Otto si riconosce dai risultati nella vita di tutti i giorni.
Rincasare dopo aver vissuto delle esperienze importanti nella vita permette di dedicarsi
all’interiorità con maggiore ricchezza, non più con quel senso di alienazione dettato dalla difficile
compatibilità tra i pensieri e la realtà esterna.
Ora è più chiaro perché il Sette è l’ultimo punto a cui far visita in un lavoro cosciente su di sé.
Qui ci sono numerose tentazioni succulente: l’astrazione, nuove idee sfavillanti, progetti ambiziosi.
Ma non è qui che si trova la capacità di realizzare tutto questo, poiché si tratta ancora del mondo
della mente. È bene tornarci solo alla fine del percorso, quando, cioè, si è presa maggior
dimestichezza con il concreto, con la propria carne. Allora veramente la realtà sarà un infinito atlante
delle esperienze, non più da tenere chiuso in soffitta, ma su cui puntare il dito per avventurarsi in
prima persona. La vera magia accade quando si impara il valore dell’eccezione alla regola!
È sorprendente come un Cinque in grado di raggiungere la sua “vetta”, costituita dall’Otto, possa
poi esprimere anche molte qualità del punto successivo, il Due. Queste sembrano rappresentare una
ricompensa mai richiesta quando si inizia un percorso di questo tipo, segno che, come dicevamo, la
Natura paga sempre i suoi debiti.
Enneatipo Sei

Al di là dei confini della mente

Q
uando Nasreddin era ancora bambino, un saggio gli diede una candela dai poteri miracolosi.
«Tieni, questo è un mio dono per te. È una candela magica e inestinguibile. Illuminerà le tue notti e tutti
i momenti più bui della tua vita, ma attento: solo gli sguardi malvagi degli altri possono danneggiarla. Ora devo
andarmene, prima o poi tornerò a farti visita. Abbi cura di te!».
Nasreddin la prese con gioia, meravigliato ed entusiasta di un così bel regalo. Passarono decine di anni e il
saggio si ripresentò da lui. Scambiati i convenevoli, finalmente la conversazione giunse alla candela:
«Dunque, ce l’hai ancora con te?», gli chiese.
Nasreddin rispose prontamente: «Ma certo, eccola!».
Il saggio si guardò intorno senza trovarla. Alla sua aria dubbiosa, Nasreddin fece un sorrisetto furbo:
«Riconosco bene quell’espressione, hai fatto bene ad avvertirmi di tenerla alla larga dagli sguardi malvagi!».

Un Sei mette del sospetto anche dove non è necessario. Per tutta la vita Nasreddin, temendo che la
candela potesse essere spenta dalla malvagità altrui, non si è mai azzardato a metterla in mostra. È
giunto persino a dubitare della stessa persona che gliel’ha donata. Pur di non rischiare ha preferito
non godere dei benefici derivanti dal suo utilizzo.
Se le radici di questa personalità sono rappresentate dalla Passione della Paura, il suo fusto è
l’immaginazione. Il turbine di pensieri che vortica nella mente di un Sei è un impedimento per
qualsiasi azione: il fobico si blocca per non combinare guai, il controfobico si butta perché non
riesce a sopportare la tensione che deriva dall’indecisione.
Talvolta l’uomo è perduto in pensieri ossessivi che ritornano continuamente sullo stesso punto, sulle stesse
cose spiacevoli ch’egli si prefigura nell’immaginazione, e che non solo non succederanno mai, ma che, in
realtà, non possono succedere.
Questi presentimenti di malattie, fastidi, perdite, situazioni imbarazzanti, spesso si impadroniscono di un
uomo al punto da prendere la forma di sogni a occhi aperti. In tal caso quest’uomo smette di vedere e di
sentire ciò che effettivamente succede, e se qualcuno, in un’occasione particolare, riesce a provargli che quei
presentimenti e quelle paure non erano fondate, egli ne prova persino una certa delusione, come se venisse
privato di una prospettiva piacevole.
Succede molto spesso che un intellettuale, un uomo che vive in un ambiente colto, non si renda conto del
ruolo centrale che la paura gioca nella sua vita. Egli ha paura di tutto: dei suoi domestici, dei bambini del
vicino, del portiere all’entrata, dell’uomo che vende i giornali all’angolo, dell’autista del taxi, del commesso del
negozio accanto, dell’amico che ha incontrato per strada e che ha cercato di evitare fingendo di non vederlo. A
loro volta i bambini, i domestici, il portiere eccetera, hanno tutti paura di lui8.

Quest’enneatipo scambia per deduzioni logiche ciò che in realtà è frutto di sospetto e cinismo. A
volte conclusioni affrettate (e sempre “arrotondate per difetto”) mettono momentaneamente pace, ma
ogni nuovo presunto indizio fa ripartire il mulinello ossessivo. Queste informazioni acquisite
richiedono nuove deduzioni a cui è difficile trovare una risposta esaustiva, dunque si torna sempre a
punto e a capo. Come uscirne?
Innanzitutto è necessario osservare quant’è forte l’urgenza di scacciare quel determinato
problema. Non appena compare, raramente viene trattato con vera razionalità, ma piuttosto con
un’emotività ansiosa travestita da pensiero logico. Per togliere alla mente il giogo dell’ansia, è bene
imparare a entrare con la propria interezza in quello stato d’animo. Le prime volte possono bastare
pochi secondi, poi sempre più a lungo. Si tratta di fare per qualche istante “il morto” in una corrente
burrascosa, senza agitarsi inutilmente in un disperato tentativo di stare a galla. Proprio come nelle
sabbie mobili, chi si dimena va a fondo più in fretta. In questo processo è nascosta una grande
quantità di energia che può essere utilizzata in maniera costruttiva.
La naturale conseguenza della costante agitazione è un pessimismo a tutto tondo. Anche lo
sguardo dell’amico di Nasreddin rischia di diventare oggetto del suo sospetto. Quel buio che vede in
sé è proiettato al di fuori a ottenebrare tutto ciò su cui si posa. La proiezione è un modo per non
essere responsabili di quanto accade. Come un Sei dubita di sé, inizia a dubitare anche del prossimo,
e viceversa.
A volte il sospetto diventa talmente concreto e ingombrante da dar luogo a reazioni esagerate. Per
un Sei è salutare andare di tanto in tanto a saggiare la veridicità dei suoi sospetti, sempre utilizzando
il giusto riguardo. Ciò che vive nella propria mente è frequentemente molto diverso da ciò che c’è
nella realtà. Forse quella persona non ce l’ha con noi, con ogni probabilità non intende giudicarci né
vuole ostacolarci. Il passaggio da un piano mentale a uno più materiale è di aiuto per raggiungere una
chiarezza di pensiero.

Guardie e ladri
Nasreddin stava pensando intensamente ed era così da alcune ore. Un amico gli si avvicinò e chiese a cosa
stesse pensando di tanto importante.
«Sto cercando tra i vari problemi», disse Nasreddin, «quello a cui dovrei pensare per primo, ma non riesco
proprio a ricordarmelo!».

Una delle cose più difficili per un Sei è imparare a sentirsi al sicuro in uno stato privo di
tensioni. Le emozioni vengono negate per far spazio all’arrovellamento mentale. Sembra paradossale,
ma la tranquillità di questa personalità risiede nello stare allerta. Tale processo richiede di avere
tutto sotto controllo poiché è impossibile fidarsi ciecamente degli altri o del caso.
Generalmente quest’enneatipo riesce a sviluppare una sufficiente competenza nel suo lavoro e
nelle proprie capacità, ma viene assalito dall’ansia quando si tratta di lasciare spazio a qualcun altro,
ad esempio un collega. Ciò si relaziona al presupposto che il prossimo non è affidabile: costui,
infatti, si trova oscurato dalla proiezione delle ombre del Sei.
Per questa personalità sarà molto liberatorio scoprire che gli altri non hanno pensieri così nefasti
su di lui come si aspetterebbe. Un buon metodo è il dialogo aperto, privo di preconcetti. Il
confrontarsi con amici, partner, famiglia senza rovinare tutto con uno “scetticismo a prescindere” è un
ottimo approccio. Non ci sono né guardie né ladri. Come direbbe un Sei, ci sono solo i ruoli che le
persone rivestono. Ma al di sotto della divisa ci sono degli esseri umani con le loro sfide, le loro
ferite e le motivazioni che li spingono a essere ciò che sono.
In una relazione, per un fobico è importante capire che aprendosi non rischierà di compromettere
il rapporto. Il controfobico ha bisogno di fare pace con se stesso e imparare a disarmarsi di fronte
all’altro. Essere all’altezza non significa “non mollare mai”.
L’ipervigilanza fa sì che il nostro Nasreddin sia continuamente alla caccia di qualcosa che non
va. Si sentirebbe tremendamente vuoto in un momento di pace, al punto da sentire l’urgenza di andare
a creare un problema dove non esiste. È una forma di prevenzione del cambiamento. È veramente
difficile controllare qualcosa che non è controllabile, come il futuro. Avrebbe sicuramente molta
paura di ciò che potrebbe accadere se fosse colto impreparato da un imprevisto. Prendere spunto
dall’atteggiamento delle tipologie istintive (Otto, Nove e Uno), le quali si relazionano agli eventi con
desiderio di confronto e con la fiducia di cavarsela, è un modo per liberarsi dal timore di sbagliare.
Pensare troppo ingigantisce i problemi.
La caratteristica reattività di un Sei difficilmente scomparirà. Piuttosto, si potrà riconoscere come
le proprie reazioni non debbano per forza essere sintomo di pericolo. In altre parole, la reazione è
fisica, mentre la capacità di essere presenti ad essa è una virtù. La fiducia non è né solo razionale, né
solo emotiva. È frutto dell’unione delle due cose e si alimenta grazie all’esperienza. Fidarsi non
significa chiudere gli occhi e mettere la vita nelle mani degli altri, bensì distinguere tra prudenza e
sospetto. Come possiamo aspettarci la lealtà altrui se creiamo tutte le condizioni affinché non
possano dimostrarla? Come dice un vecchio proverbio, “di chi non si fida, non ti fidare”. Spesso i
Sei rimangono sgomenti quando vengono messi di fronte all’evidenza di quante persone
effettivamente tengano a loro.

Coraggio
La vita è incerta: l’incertezza è la sua natura intrinseca. Una persona intelligente rimane sempre
nell’incertezza. La disponibilità stessa a rimanere nell’incertezza è coraggio. La disponibilità stessa a rimanere
nell’incertezza è fiducia. Una persona intelligente è quella che rimane vigile di fronte a qualsiasi situazione e
risponde con tutto il suo cuore.
Non sa che cosa le accadrà, non può dire: «Se farò questo, mi accadrà quest’altro».

OSHO

Definire la virtù del Coraggio è semplice ma è bene evitare fraintendimenti. Innanzitutto significa
trovare la forza di fare una cosa nonostante la paura. Ciò che è più importante è che la paura non
venga soffocata o negata, poiché in tal modo sarebbe ancora questa ad avere il controllo, in quanto ci
si ritroverebbe comunque a reagire ad essa. Si tratta, piuttosto, di avere la capacità di gestire quello
stato emotivo mantenendo un equilibrio tra l’ansia e la ricerca di sicurezze. In genere queste ultime si
vanno sempre a cercare fuori.
Per un Sei è fondamentale trovare quella fiducia e sicurezza senza dover prendere le parti di un
gruppo o di una coppia, ma solo di se stesso. Ritrovare in sé l’autostima che la vita sembra avergli
tolto. In realtà non c’è nulla di male nel fidarsi di un gruppo, ma per un Sei questo rischia di
diventare un attaccamento quasi morboso. Se lo fanno gli altri, lo faccio anche io. Se non sono
d’accordo con loro, vengo assalito dai dubbi. Questo non è un atteggiamento costruttivo e l’incertezza
è sempre dietro l’angolo.
Nutrire l’immagine di persona responsabile è qualcosa di molto diverso dall’essere realmente
responsabili. La prima è un trucco per filare liscio, il secondo è diventare buoni leader di se stessi.
L’idealizzazione della legge e della regola spesso è una scusa per stare dentro agli schemi e non
permettere al cambiamento di manifestarsi.
Il Sei controfobico può sembrare coraggioso di natura perché affronta le sfide, non si tira indietro
e combatte. Ma non ha vinto la Paura finché questa ha il controllo su di lui. È importante che sappia
domandarsi perché ha fatto una determinata azione, se veramente ci ha riflettuto sopra, se è stato lui a
scegliere di agire o se l’ha fatto solo per scacciare un demone. L’azione parte dalla consapevolezza
di sé, è strutturata su un’intenzione propria. La reazione, invece, è automatica e si dipinge di scuse,
giustificazioni e colpe.
Comprendere il significato della virtù del Coraggio permette di aprirsi: significa non solo vedere
che anche gli altri hanno ansie e timori, ma imparare a chiamare per nome e ridere delle proprie
paure. Per questo motivo non saranno più così grandi come prima.

Ali e frecce

Il Sei si trova al “centro del centro” della razionalità. Le grandi potenzialità logiche di questa
personalità sono spesso ben tangibili ma, come abbiamo visto, diventano allo stesso tempo il
principale ostacolo al suo sviluppo. Per questo motivo, prima ancora di prendere confidenza con
aspetti istintivo/motori ed emotivi, è bene che quest’enneatipo trovi dei riferimenti stabili sempre
all’interno del suo centro razionale.
Ecco dunque il dono che può ricevere dal Cinque. Abbracciando questo punto, un Sei potrà
riscoprire l’esattezza di giudizio. La possibilità di scremare tra pensieri inutili e utili non sarà solo
qualcosa di teorico, si tratterà piuttosto di un buon gusto in grado di farlo spaziare in nuovi campi
conoscitivi a lui più affini. Lo sviluppo di quest’ala fornisce radici più profonde che frutteranno una
sana determinazione. Nel suo manifestarsi, affievolirà quella coltre di nebbia che oscurava la mente.
Dall’altra parte, il Sette è una fonte costante di ottimismo. La visione cinica della vita a cui un
Sei è rassegnato può essere ribaltata e tutta quell’introspezione unicamente rivolta alle proprie ansie
potrà diventare lo stimolo per sfatare certi demoni. Un Sette sa godersi la vita, si cura meno della sua
adeguatezza ed è sempre pronto a sfoggiare un’alternativa. Lavorando su quest’ala un Sei sa donarsi
di più ed è in grado di bilanciare più facilmente l’interiorità con l’esteriorità. La paura viene
smitizzata da una sana risata in compagnia.
Ciò che la vita potrebbe insegnare attraverso dure esperienze di abbandono e sofferenza può
essere appreso comprendendo meglio la propria posizione grazie all’enneagramma. Un tema su tutti è
la fondamentale importanza dell’indipendenza. Per un Sei, prendere contatto con il punto Nove
significa uscire dallo schema secondo cui, per diventare indipendenti, occorre dipendere da qualcun
altro. La libertà non spaventa più in quanto è sostenuta da un pensiero libero che ha il suo centro di
gravità nella propria individualità. Un enneatipo Nove spontaneamente desidera mettersi nei panni
degli altri per capirli meglio. Egli conosce la relatività dei tanti diversi punti di vista e li rispetta a
priori, sapendo che ognuno sta combattendo la sua guerra. Non ci sono persone unicamente buone né
unicamente cattive.
Solo con una buona iniezione di fiducia, finalmente, il punto Tre, sede dell’azione disperata e
compulsiva dove un Sei cerca di fare e strafare per tenere tutto sotto controllo, può essere apprezzato
sotto un nuovo punto di vista. C’è finalmente un atteggiamento più deciso e dotato di cognizione di
causa. Le azioni dipendono dalla propria iniziativa e gli obiettivi sono posti più lucidamente. Si
agisce al momento giusto e per ottenere il maggior rendimento, sinonimo di eleganza. Gli imprevisti
non saranno più solo dei messaggeri di disgrazia, ma la giusta sensibilità permetterà di riconoscerli
come autentici doni che la vita ci presenta. Riconoscere di essere una persona valida a prescindere
dalla posizione ricoperta è un traguardo notevole per un Sei. Autodirezione, dunque, significa
prendere le importanti decisioni della vita dando risalto alla propria voce su tutte le altre.
Enneatipo Sette

Il fascino del viaggio che porta a una meta

A
Nasreddin un giorno fu chiesto: «Parlaci del fascino del viaggio».
Egli si lisciò la barba e con un sorriso benevolo prese a raccontare.
«Un tempo vi era un ragazzo che era solito percorrere tutti i giorni un sentiero. Questo aveva tantissime
diramazioni, una ogni pochi metri. Ad ogni diramazione ne seguivano altre, per cui le possibilità erano davvero
infinite.
I cartelli descrivevano destinazioni quanto mai stimolanti: “Fantastico”, “Super-Fantastico”, “Una vita da
favola” sono alcuni esempi delle località a cui portavano. Dopo tanti anni era ancora ben lungi dall’averne
percorse anche solo la metà e mai una volta fino in fondo, dunque si ritrovava sempre al punto di partenza.
Egli cercava sempre qualcosa di più. Col tempo si accorse che anche la novità aveva assunto una certa
ripetitività. Soprattutto, notò quanto fosse difficile far sopravvivere l’entusiasmo della scoperta. Per mantenerlo
vivo, decideva di svoltare ad ogni incrocio, deviando continuamente dalla direzione originaria.
Quando, per l’ennesima volta, si trovò al punto di partenza, decise di sedersi. Solo fermandosi a osservare
attentamente si accorse di non aver mai proseguito lungo la via principale, la quale non aveva alcuna
indicazione e soprattutto sembrava piuttosto impervia. Sapeva che le sue gambe avrebbero sofferto, ma
nonostante tutto decise di intraprenderla, stufo di tutte le altre».
«Quindi come andò a finire, la intraprese davvero?», chiesero a Nasreddin.
«Nessuno lo rivide più da quelle parti. Aveva scoperto il fascino del viaggio che porta a una meta».

Senza dubbio uno dei temi che sta più a cuore a un Sette è la sua libertà. Teme non solo che la
vita possa ingabbiarlo, ma che anche le sue stesse scelte possano costituire una trappola nel breve o
lungo termine. Il risultato è una mancanza di costanza, come l’intraprendere una via dopo l’altra
senza mai arrivare da nessuna parte. Questa è una regola che vale per ognuno di noi, ma per questa
personalità è un tema cruciale. La cosiddetta “Legge dell’Ottava” è una buona rappresentazione di
questo fenomeno. Questa legge si manifesta attraverso una propensione naturale a non portare a
termine ciò che si è iniziato. Come? Svoltando un poco alla volta ogni giorno fino ad arrivare a
traguardi completamente diversi rispetto a quelli che ci si era proposti inizialmente. Inoltre, questa
legge, nonostante i cambiamenti, ci illude di essere comunque giunti dove volevamo arrivare.
Uno studio della struttura della scala musicale offre una base eccellente per comprendere la legge cosmica
dell’ottava. […] Nella scala musicale di sette toni, si considera teoricamente che vi siano due semitoni tra due
note successive, salvo che per gli intervalli mi-fa e si-do, che hanno un solo semitono e nei quali il secondo
semitono è considerato come mancante. […] Diciamo a questo proposito che, quando si parla di ottave, sia in
senso “cosmico” che in senso “meccanico”, solo gli intervalli mi-fa e si-do sono chiamati intervalli9.

Se immaginassi di posizionarmi su una scala musicale, troverei nel primo do la formulazione


dell’obiettivo, mentre nel do successivo avrei la sua completa realizzazione, che funziona da porta
verso la nuova ottava. Invece di porre l’evento su una linea retta, posso figurarlo sull’enneagramma.
Ogni nota del percorso rappresenta un passo. Alcuni sono più facili, altri più difficili (quelli che
Gurdjieff chiama intervalli). È proprio in corrispondenza di questi ultimi che sono più frequenti le
deviazioni verso qualcosa di diverso da ciò che ci si era proposti inizialmente. Sono i momenti in cui
l’entusiasmo iniziale tende a scemare, l’adoperarsi in quella direzione diventa più abitudinario e
richiede sudore dalla fronte piuttosto che ingegno. Questo è ancora più vero per un Sette, il quale
facilmente fa scontrare con amarezza il proprio idealismo con la realtà dei fatti.
Per raggiungere il do dell’ottava successiva, ovvero per completare il percorso, è necessario
escogitare dei metodi. Il primo fra tutti è eleggere un pensiero al di sopra del pensiero. Non
chiederemmo mai a un Sette di mettere da parte la sua immaginazione o il suo intuito, lo invitiamo
piuttosto a prendersi il tempo necessario per mettere in ordine ciò che viene partorito dalla mente. È
impossibile fermare un fiume, ma c’è sicuramente un modo per sistemare gli argini affinché non vi
siano allagamenti. Esiste veramente il rischio di perdersi in un’ininterrotta inventività. Se nella scala
musicale che utilizziamo da mappa il do e il re sono ricchi di entusiasmo, già il mi è più spento. Per
giungere al fa occorre inventarsi un metodo efficace per stare sul pezzo nonostante l’inevitabile calo
di motivazione. Da lì in poi si tratta di non dimenticare gli sforzi fatti fino a quel momento10.
“La strada che porta a una meta” è di valore inestimabile e come abbiamo visto non è la
sommatoria di tutte quelle iniziate e poi lasciate a metà. Semmai, queste sono servite a capire che
spizzicare qua e là tanti piatti diversi, più che alla sazietà, porta all’indigestione. Ma questa è la
prova necessaria per capire cosa ci fa bene e cosa, invece, nonostante ci stimoli, è nocivo.
Trasformazione e cambiamento
Un passante osservò Nasreddin passare di corsa tutto sudato. Sembrava che il demonio in persona lo stesse
inseguendo.
«Ma dove vai così di fretta?», gli chiese.
«Non vedi? Sto dando la caccia a quel cavallo che è appena passato!», rispose il nostro Mullah tra un
ansimo e l’altro.
«Ma di qui non è passato alcun cavallo. Inoltre, che cos’ha di così speciale?».
«Devi proprio essere cieco. Non solo è passato di qui, ma ho motivo di credere che sia un unicorno!».

Spesso per un Sette i motivi per cambiare sembrano nascere dall’esterno. Può trattarsi di fatti
gravi nella vita privata, problemi nel contesto lavorativo o affettivo. In generale, la spinta nasce
quasi sempre dal fatto che la vita non sembra dargli ciò che si aspetta da essa.
In questo è nascosta una grande verità con cui fare i conti: per quanto un Sette percepisca la
necessità di cambiare come un movimento verso una situazione positiva più eccitante e più
interessante, in realtà si tratta spesso di un desiderio di fuga da una condizione spiacevole.
Nasreddin, nella storia sta inseguendo un unicorno che il passante non ha visto. Da una parte è
possibile che sia vera l’affermazione del Mullah riguardo alla cecità dell’altro, poiché non è raro che
un Sette sia dotato di un intuito fuori del comune, dall’altra parte, però, questa perspicacia si va a
confondere facilmente con la tendenza a vedere troppo lontano. È fondamentale per quest’enneatipo
capire che quando il progetto si fa troppo affascinante, quando cioè il futuro sta iniziando a occupare
la maggior parte dei suoi pensieri, in realtà si tratta di una reazione a un problema del presente o del
passato. Prendere troppe cose in prestito dal futuro è una forma di indebitamento. Il tempo, prima o
poi, verrà a riscuotere i suoi crediti.
Se il passante avesse interrogato ulteriormente Nasreddin, avremmo scoperto che, unicorno o no,
alle sue spalle vi era un qualche “demonio” che lo obbligava a stare in movimento. Una tassa da
pagare, un datore di lavoro, un famigliare. È frequente che la dinamicità sia il risultato del non voler
fare i conti con qualcosa che abbiamo sotto il naso!
Ogni evento è la sommatoria della sua parte più oscura e di quella più luminosa. Cambiamento
significa soffermarsi sulla parte luminosa di ogni situazione ignorandone l’ombra, per poi
inevitabilmente saltare a quella successiva. Trasformazione, invece, è scoprire come la luminosità
sia misurabile grazie al buio che le si contrappone. Esiste una forma di gioia permanente al di là
dell’errata credenza secondo la quale ciò che è oscurità è solo “male”. Affrontare apertamente gli
aspetti negativi della vita permette di incontrare al varco la propria completezza, la versione
migliore di se stessi. Il centro di gravità non sarà più là fuori, nascosto da qualche parte
nell’ennesima avventura, ma finalmente nella propria vita.

Bilanciare introversione ed estroversione


Il Sette è sicuramente uno degli enneatipi più estroversi tra quelli descritti nell’Enneagramma delle
Personalità. Benché alcuni Sette si definirebbero timidi o introversi, tendono comunque ad atteggiarsi
da estroversi. Quest’asse introversione-estroversione è un buon indice per comprendere quali
possano essere le sue condizioni. Un’eccessiva estroversione o una stranamente cupa introversione
sono entrambe risposte a una vita insoddisfacente.
Generalmente l’introversione è conseguenza di incomprensione. Il suo punto di vista non è
riconosciuto, “nessuno capisce niente”. In queste condizioni mette in dubbio gli altri per non mettere
in dubbio se stesso.
L’eccessiva estroversione vuole compensare la mancanza di qualità e profondità nelle relazioni
aumentando il numero di persone con cui si interagisce. Non solo, quando questa caratteristica si
esaspera, il risultato è quello di “non essere mai in casa”, il che ha anche una valenza metaforica. Le
relazioni si fanno sempre più superficiali poiché la profondità rischia di essere una fonte di
dispiaceri, ma contemporaneamente aumenta il distacco da se stessi e dal qui e ora.
Il lavoro consiste quindi nel mantenere bilanciato quest’asse. Non è necessario che un Sette si
dedichi a un lavoro sull’interiorità con il solo fine di crescere come persona. Per lui è importante
osservare come gli sforzi fatti per comprendersi possano poi essere portati all’esterno, nella vita
sotto il sole. Guardarsi dentro per il solo gusto di guardarsi dentro? No, conoscere le cose che
evitiamo per poter essere noi a decidere dove dirigerci.

Sobrietà
Se si dovessero trovare dei sinonimi alla virtù della Sobrietà (o Temperanza), uno dei più calzanti
sarebbe misura. Un Sette evita a tutti i costi la limitazione della sua libertà, eppure nella vita i limiti
esistono e da questo non si può prescindere. Finché questi saranno posti da fuori, non potranno che
essere vissuti con un senso di prigionia. Dunque, l’unico che può darsi efficacemente un limite è il
Sette stesso, altrimenti sarà sempre un conflitto con il mondo. Ma ci si potrebbe chiedere: perché mai
darsi un limite?
La risposta non può essere logica, può essere solo frutto dell’osservazione. Se nella vita non ho
fatto altro che andare sempre oltre, cercando sempre la nuova esperienza o progettando una nuova
possibilità e nonostante questo non sono mai rimasto completamente soddisfatto, ecco che forse non
mi sto comportando nella maniera più congeniale. È molto facile perdere di vista il motivo per cui si
è deciso di voler cambiare quando in ogni cosa si cerca sempre il suo lato positivo. Il viaggio di un
Sette non è mai diretto, gira intorno, va per tangenti ed è molto complicato. La Gola vuole questo e
quello, rimane sempre in movimento. Vuole molto e non si ferma mai.
Riconoscere il valore della misura indica cosa ci fa bene e cosa no, al di là di quello che può
essere frizzante ed eccitante. Quand’è che l’entusiasmo è veramente entusiasmo e quand’è che invece
è ricerca di eccitazione per scansare i problemi?
Ogni bivio che si presenta non per forza è un’occasione: può essere veramente la svolta che
aspettavamo, ma potrebbe anche essere un’altra autogiustificazione. Per discernere tra le due è
necessario che un Sette metta la propria intelligenza al servizio del suo benessere, creando in se
stesso una sorta di detective destinato a riconoscere in quale occasione una parte di sé vuole
raggirarne un’altra. Dopo tanti sforzi potrà riuscire a entrare nel dolore con tutto se stesso, senza
identificarsi e senza averne paura, riconoscendogli il posto che ha nel mondo. Sorprendentemente, lo
spazio occupato dalla paura del dolore diventa tanto più grande quanto più si cerca di allontanarla
dai nostri occhi.

Ali e frecce
Osservando la posizione che il Sette ricopre nella figura dell’enneagramma, possiamo osservare
innanzitutto la sua distanza dal centro dell’emozione. Non ha alcun collegamento diretto. Per questo,
il lavoro che gli viene proposto non consiste in particolari introspezioni o auto-analisi emotive.
Piuttosto, ciò che gli serve è mettere d’accordo mente e istinto.
Abbiamo già visto come il rischio che si corre a rimanere in superficie porti a una mancanza di
solidità e di perseveranza. Ebbene, il più grande traguardo a questo proposito consiste nel poter
prendere contatto in maniera aperta con il punto Cinque. Come si può vedere dalla figura, si tratta di
una vera e propria discesa nelle parti più profonde. Le ali che possono essergli di aiuto per arrivarci
sono il Sei e l’Otto, ognuna con i suoi doni.
Riscoprire l’ala Sei permette di imparare a collaborare e a capire che gli altri non possono
leggerci nella mente. Non possono prevedere quali siano tutti i nostri pensieri e se non desiderano
stare al nostro passo non è per disinteresse: quello che un Sette interpreterebbe come mancanza di
entusiasmo, per qualcun altro potrebbe essere solo il tentativo di stare con i piedi per terra e
raggiungere l’obiettivo con meno rischi ed imprevisti. Il Sei è un ottimo compagno di squadra e sa
adattarsi alle esigenze del gruppo, valutando attentamente punti deboli e di forza di ognuno. È
davvero importante per un Sette imparare il significato della collaborazione e questo si può
raggiungere senza timore di castrare la propria libera iniziativa.
L’ala Otto sposta l’energia verso il centro delle viscere, a contatto con una notevole forza
propulsiva. Sviluppare quest’aspetto permette di affrontare con più coraggio le proprie ansie. Rende
il Sette più responsabile delle sue scelte e aiuta ad abbattere quella tentazione a trovare una
giustificazione per i suoi vizi. C’è più schiettezza, più azione e meno parole. Gli Otto si mettono in
prima linea nel portare avanti le proprie idee, fidandosi del fatto che le cose andranno come devono
andare. Non si preoccupano di prepararsi delle vie di fuga poiché sanno di avere la forza di
sostenere le proprie scelte.
Nel Cinque, un Sette finalmente inizia a scoprire un affascinante mondo interiore. È una realtà
intrigante, disposta ad arricchire il mondo esteriore senza privarlo del suo lato eccitante. Mentre
prima di conoscere quest’aspetto di sé la profondità era sinonimo di inquietudine e sofferenza, ora
rappresenta la possibilità di vedere il mondo con maggiore oggettività, dando il giusto risalto anche
all’ombra, vedendola per ciò che è e non come uno spauracchio. Quei momenti bui in cui è bene che
nessuno lo veda non sono più motivi di vergogna ma occasione di ristoro. Un Cinque si pone nelle
situazioni osservando con la maggiore oggettività possibile, cercando di stare nel presente senza
proiettarsi nel futuro.
Il punto Uno è rifugio scomodo dei tempi più duri di un Sette, in cui tende a paragonarsi
continuamente con gli altri, svalutandosi nel trovare nel mondo, ai suoi occhi, persone migliori di sé,
finendo per consolarsi nel cercare quelle peggiori. Questo processo si interrompe quando ha avuto
modo di conoscere cosa significhi avere un riferimento interno, una forma di equilibrio che porta a
conoscere cos’è bene e cos’è male per la propria persona. Ecco che con tutta la consapevolezza
necessaria per discernere il costruttivo dal distruttivo, le giornate saranno veramente l’occasione per
dedicarsi alla vita col più grande senso di pienezza che deriva dall’apprezzare il qui e ora in tutti i
suoi aspetti. Il senso della causa (causalità) indicherà la direzione che porta verso la vera libertà.
Enneatipo Otto

La pioggia cade su giusti e ingiusti

U
n giorno di estate, Nasreddin, dopo aver lavorato nel campo, sentì il bisogno di riposarsi. Si distese sotto
l’ombra di un noce, in un tratto di terreno pieno di grosse zucche.
A volte alzava gli occhi e contemplava le noci sospese ai rami dell’albero. Poi il suo sguardo andava alle
zucche sparse ai suoi piedi. Pensava: “Si dice che la Provvidenza faccia bene le cose. Ma come spiegare
questo contrasto della natura? Le noci, non più grosse di un uovo di uccello, dondolano al soffio del vento sui
rami degli alberi, mentre enormi zucche cospargono il suolo, sorrette da deboli pianticelle!”.
Stava nel mezzo delle sue riflessioni allorquando ricevette sulla testa lo shock brutale di una noce che si
era staccata dal suo gambo. Rimesso dalla sua emozione, levò le braccia al cielo e gridò:
«Gran Dio, ho avuto torto a lamentarmi delle tue opere. Tu sai meglio di noi ciò che ci conviene. Se, per
disgrazia, avessi ricevuto sul mio cranio una di queste zucche al posto della noce, quale sarebbe stata la mia
sorte!».

La vita è una lotta alla sopravvivenza e ognuno deve sapersela cavare da solo. Vi è implicito un
rifiuto per la realtà così com’è fatta, in quanto governata da un Dio ingiusto o inesistente. Il cammino
di un Otto riguarda principalmente il rimettersi in contatto con quella forza superiore che si prende
cura del mondo e amministra le cose per lui e per tutti. Ritenendosi detentore della verità assoluta, in
quanto non elaborata dalla mente ma percepita nel sangue, questo percorso sarà lungo e periglioso,
spesso costellato di sofferenze.
Nasreddin inizialmente se la prende con la Provvidenza: com’è possibile che abbia creato una
realtà così sottosopra e ingiusta? Perché piccole piantine sono costrette a sostenere enormi zucche
mentre possenti alberi fruttano delle piccole noci? I beni e i dolori non sono stati distribuiti
equamente. Egli è convinto di questo fin dall’infanzia al punto da non pensarci più già da tempo:
ormai è diventato il filtro con cui interpretare tutti gli avvenimenti. Improvvisamente, però, una noce
gli cade in testa, e ciò rappresenta i segnali che la vita gli manda. Possono essere dolori, gioie o
intuizioni. In ogni caso hanno l’aspetto di “shock brutali”. Rispondere o non rispondere al messaggio
ricevuto? Questo si manifesterà una, due, tre, tante volte, e ogni volta con sempre maggior intensità.
Quest’input è un invito a cambiare prospettiva, a riconoscere che la propria verità è una parte di
un’interezza che coinvolge tutto e tutti. Affinché la lotta tra il bene e il male là fuori abbia fine, è
necessario farla terminare in se stessi.
Non c’è una sola verità o una sola giustizia. Ciò va sperimentato sulla propria pelle. La verità più
pura può emergere solo attraverso il non giudizio e l’osservazione di come vi sia già chi si prende
cura del mondo: la natura fa splendere il sole su giusti e ingiusti, fa piovere su colpevoli e innocenti.
Se quest’osservazione è praticata con giudizio, ovvero all’ombra della personalità, sarà vissuta con
profondo risentimento. Tuttavia, allontanandosi dal giudizio, gli occhi potranno comunicare con il
cuore e dare così vita al profondo sentimento della misericordia, la più grande forma di empatia per
la vita: perdono e pietà non saranno più ipocriti buonismi, ma sorgenti di una vera forza. La
sensatezza del disegno del “Gran Dio” che invoca Nasreddin non sarà vissuta come una condanna,
ma come una verità già manifesta e in continua evoluzione, di cui ognuno è partecipe.
Un enneatipo Otto ha un grande bisogno di metabolizzare le esperienze per estrarne il reale
succo. Non gli mancano mai le opportunità di ricevere insegnamenti dalla vita stessa, ma non c’è mai
l’occasione di farle proprie. Le giornate scorrono sempre troppo rapide e sono riempite ad ogni
costo, schiacciate da tante preoccupazioni e dal lavorare sodo. Manca il tempo necessario ad
arricchire se stessi, per il quale non si intende lo spegnere il cervello di fronte a una televisione o a
una birra, ma di ristorare la propria anima con pratiche che possano permettere di centrarsi. Che si
tratti di brevi meditazioni o di letture che portino ad ascoltarsi interiormente, questi sono i primi
passi di un sentiero in grado di avvicinare alla profondità, una novità molto più gratificante
dell’eccesso.

La vera forza si poggia sulle proprie debolezze


La durissima scorza che un Otto ha creato per proteggersi è anche la sua più angusta prigione. In
questo posto buio e ostile possiamo trovare tanti cadaveri: sono le sue debolezze.
Un Otto uccide le sue fragilità per proteggerle meglio, ma con queste seppellisce anche la sua
tenerezza, la sua emotività e l’inespresso desiderio di relazionarsi intimamente con gli altri. Le
emozioni sincere e profonde vengono abbattute sul nascere e presto sostituite con una fiammante
passionalità a dimostrazione di non avere alcun bisogno di sdolcinatezze.
È importante riconoscere come al di sotto delle esagerazioni vi sia un tentativo di coprire una
debolezza. Ogni volta che tale meccanismo entra in atto, cioè tutte le volte che una vulnerabilità viene
nascosta e negata alla coscienza, questa diventa sempre più intensa e profonda. I cadaveri
emaneranno un fetore sempre più nauseante, al punto che qualsiasi odore ne sarà sporcato. Questo
significa che ogni evento verrà visto in relazione a ciò: ad esempio, una ferita ricevuta da un
tradimento, se non curata ma solo negata e ignorata, rischierà di rovinare tutte le altre relazioni,
poiché verranno viste in funzione di quanto accaduto. “Non permetterò a nessun altro di
maltrattarmi!” diventa “non permetterò a nessun altro di entrare in intimità con me!”.
La facilità con cui si vedono le debolezze altrui è dovuta alla costante attenzione a non far
emergere le proprie. Senza essere in grado di avvicinarsi alla più tenera interiorità, non si sarà
nemmeno in grado di gestirla quando verrà punta sul vivo. Questo è avere poco reale controllo su se
stessi, il quale passa per forza dal conoscersi e accettarsi per ciò che si è. Potrebbe sembrare
assurdo, ma la vera forza non sta nell’accantonare le proprie vulnerabilità, ma nell’imparare a
poggiarsi su di esse.
A tal proposito, le amicizie e i rapporti intimi che si è riusciti a mantenere nel tempo sono una
grande occasione di aiuto. A un Otto potremmo dire che le persone che lo tacciano di essere troppo
aggressivo e impulsivo non vedono l’ora di conoscere il suo lato più delicato. C’è sempre tempo per
delimitare nuovamente i confini con la solita vecchia cortina di ferro, perché dunque non cogliere
l’occasione, per una volta, per parlare col proprio cuore e non con i muscoli? Sarà sorprendente
scoprire una nuova forma di dialogo. In queste situazioni è possibile riconoscere come generalmente
si presti poca attenzione alle parole di chi vuole solo starci vicino e aiutarci. Sarà in grado di
stupirci per la sua capacità di saper dare dei consigli: anche se presumiamo che il nostro lato
vulnerabile passi inosservato, chi ci conosce bene sa che esiste. Quella che sembrava essere una
vulnerabilità è in realtà il desiderio di essere maggiormente a contatto con gli altri. Non è un segreto
né una vergogna: l’affetto che si prova per qualcuno non va protetto da quella persona stessa. Quando
questa ci ferisce, esiste il dialogo come misura equilibrante tra i due estremi rappresentati
dall’attacco e dalla negazione.

Innocenza
Un giorno Nasreddin, dopo un breve soggiorno ad Akchehir, stava tornando a casa sua a Konya. Degli amici
si misero d’accordo per fargli un macabro scherzo. Gli si presentarono di fronte con un’aria rattristata.
«Nasreddin», dissero, «che Dio ti accordi una vita lunga, noi abbiamo saputo che tua moglie è morta».
Nasreddin Hodja, senza commuoversi, rispose: «Se non è morta, avevo comunque l’intenzione di
divorziare».

A un Otto non saranno mancati episodi in cui gli è stato fatto presente di aver esagerato in un
qualche litigio senza che lui se ne ricordi affatto. Queste amnesie si sviluppano come reazione
coriacea a circostanze che hanno creato sofferenza e distacco. È stato uno dei primi metodi adottati
già dall’infanzia per non sentire la separazione dai genitori quando questi lo colpivano duramente.
Una scomparsa così precoce della genuinità dalla vita gli ha dato la sensazione di non essere mai
stato bambino, poiché la maggior parte delle situazioni di docilità e affetto sono state rimosse in
quanto pericolose fonti di debolezza. Questa soluzione si è trascinata fino all’età adulta, celando
dunque una notevole opportunità di crescita. Dietro ogni amnesia c’è un nodo non risolto,
un’emozione bloccata che attende di essere liberata. Le caratteristiche intrinseche di ogni bambino
sono l’innocenza e l’ingenuità, e un Otto ha perso contatto con queste qualità prestissimo.
Nasreddin, per non soffrire, rinnega completamente il suo interesse per la moglie morta.
Sicuramente l’amava, sicuramente soffre per la sua perdita, ma lo nega. Questa negazione non è però
un meccanismo solo razionale, è molto più profondo: egli sa convincersi di non averla mai amata.
Ma seppellendo questa debolezza, sotterrerà anche una parte importante di se stesso.
L’Innocenza è la forma più pura di semplicità ed è un’altissima forma di non giudizio.
L’atteggiamento tipico di un Otto quando si inserisce in una determinata situazione è quello di
calcolare rapidamente le minacce possibili, valutare i punti deboli e di forza dei presenti,
focalizzarsi immediatamente su chi detiene il controllo. Tutto questo genera una certa ambiguità: a
volte si sente troppo inerme e altre volte troppo armato, dando come risultato il non riconoscere le
mezze misure. Man mano che quest’attitudine a negare la propria parte tenera si amplifica, il bianco
si allontana sempre più dal nero e i grigi scompaiono dal mondo.
È come se un Otto si fosse dimenticato della possibilità di arrivare da qualche parte senza dover
lottare e faticare. C’è solo la guerra, mentre la pace non è che un breve intervallo tra un
combattimento e l’altro. La battaglia è negli occhi ancor prima di essere nel mondo. Per giungere a
una visione più nitida e meno macabra della realtà è necessario imparare a fare un passo indietro
prima di lanciarsi in avanti. Significa muoversi senza pregiudizi e raggiungere una sufficiente
spontaneità a discapito dell’impulsività, per cui le cose saranno viste per quello che sono realmente
e non per quello che sono in relazione al proprio punto di vista.
Innocenza o Semplicità sono condizioni che stanno a indicare che in realtà gli interventi necessari
per sistemare le cose sono molto meno numerosi di quel che si crede. Si tratta di prestare maggior
attenzione, non di rincarare ogni volta la dose. Prendersi il tempo per osservare, constatare e capire è
un metodo per riscoprire il proprio acume: quale battaglia merita di essere combattuta? Quando,
perché? La scelta è sempre stata un esercizio facile, ma una scelta ponderata è un’altra cosa.
Prevede di frenare gli istinti e imporsi su se stessi con una nuova volontà. Spesso mimetizzarsi, dare
meno nell’occhio e attendere il momento giusto per colpire è una tecnica molto più efficace
dell’attacco immediato.
Meno attenzione si dà alla lotta, più spazio rimane per giocare. Qui veramente si permette al
proprio bambino interiore di fiorire e gioire.

Ali e frecce

La posizione dell’Otto si situa tra i due enneatipi che maggiormente sono in grado di prendere la
vita alla leggera e godersela, il Sette e il Nove. Sapere come sfruttare le ali è fondamentale per una
personalità che non è in alcun modo intenzionata ad ascoltare niente e nessuno se non il proprio
istinto.
Da cos’è data questa visione ottimista della vita che questi due vicini sembrano avere in
dotazione naturale?
Il Sette focalizza la sua attenzione sulle possibilità e i progetti gradevoli. Sa come godersi il
momento e la sua mente è rivolta a prolungare questi piaceri. Sa prendere umoristicamente quasi ogni
situazione. Il talento di chi sa ridere e far ridere è quello di vedere una cosa da più di un’angolazione
allo stesso tempo. Un Otto ha già bollato qualsiasi contesto con il suo giudizio prima ancora di
arrivare a sviluppare un proprio pensiero, focalizzandosi testardamente su un’unica persona o
questione faticando a schiodarsene, come un arciere che prende la mira sul suo bersaglio senza
curarsi di ciò che vi è intorno. La sua ala Sette gli fornisce la possibilità di analizzare con maggiore
razionalità le sfide incontrate nella vita. Quali prendere seriamente e quali no? Alcune meritano di
essere combattute, mentre altre potranno essere “sepolte da una risata”.
Il Nove fa ruotare la sua vita intorno alla conflittualità proprio come un Otto, ma all’opposto.
Evita per quanto possibile di rovinare l’armonia e si cura che gli animi non si accendano troppo.
Dove un Sette vede sempre un nuovo aspetto per trovare il lato piacevole di una situazione, un Nove
cerca di vederne quanti più possibile per evitare l’insorgenza di contrasti. È fiducioso del valore del
punto di vista altrui, consapevole che questo è dettato dalla sua stessa natura e non da un qualche
desiderio di prevaricare il prossimo. Un Otto che sa sfruttare quest’ala riscopre la comunicazione e
la capacità di mettersi nei panni dell’altro, frenando il giudizio e assaporando il piacere della pace
(la quale non significa per forza ozio).
Ora che il prossimo non è più solo una minaccia o una sciocca caricatura, il disegno complessivo
della vita è già molto cambiato. Non c’è solo la lotta per la sopravvivenza, ma un mondo più ricco di
cui anche altri potrebbero godere. La propria forza è accresciuta dalla consapevolezza di avere un
ruolo importante per gli altri, i quali possono essere protetti e aiutati a raggiungere la loro personale
verità. La naturale capacità di individuare i punti deboli del prossimo garantisce un’infinita
possibilità di aiuto nell’accompagnarlo a prendere coscienza delle sue fragilità, per poi superarle. La
caratteristica sensibilità del Due è preziosissima a un Otto per alleggerirsi della sua scorza coriacea.
Un Due sa di cos’ha bisogno un amico ancor prima che questo lo sappia da sé. Sa rispettare i suoi
tempi senza mettergli pressione. È molto attento alle sue risposte e ascolta volentieri ciò che gli
viene detto. Sa fare di se stesso una bella e piacevole presenza, traendo grande piacere dalle
relazioni.
Riconosciuto che la forza serve ma non va servita, con quest’atteggiamento un Otto può
riprendere contatto con la sua interiorità. È un percorso piuttosto periglioso, soprattutto perché
prevede di percepire nel vivo certe debolezze. Questo si traduce spesso in un alone pesante di
depressione, ma in realtà è solo il sintomo di essere entrato in una nuova profondità, tanto a lungo
negata e accantonata. I Cinque passano lungo tempo nel proprio mondo interiore, agendo con cautela
e razionalità, progettando minuziosamente i loro obiettivi facendo attenzione alla visione più ampia
delle cose. Riscoprire quest’aspetto di sé garantisce a un Otto una porta sulla spiritualità, oltre la
quale vi è la consapevolezza che per essere una guida illuminata è innanzitutto necessario saper
essere una guida per se stessi. Ci si rimetterà alla vastità dell’esistenza, riconoscendosi come
elemento valido di un disegno superiore.
Enneatipo Nove

Spiegare le vele al vento

I
n un lontano villaggio costiero, tutti i pescatori salpavano la mattina presto per procurarsi il cibo. Tra di loro
ve n’era uno che arrancava: arrivava a destinazione quando ormai tutto il pesce disponibile era già stato
pescato.
Mentre era preso dalla disperazione, non sapendo più quale direzione prendere per ottenere la sua parte,
incontrò Mullah Nasreddin che passava di lì.
«Cosa ti turba?», chiese l’anziano.
«Non sono più in grado di avere la mia parte nella pesca. La mia barca, un tempo tanto efficace, sembra
non obbedirmi più», rispose l’altro.
Nasreddin parve rifletterci su, dopodiché si fece accompagnare alla barca. Avendola soppesata con lo
sguardo, disse all’uomo: «Issa una vela e questa notte, al chiaro di luna, salpa verso qualsiasi destinazione ti
porti il vento».
Detto questo, se ne andò.
L’uomo fu preso ulteriormente dallo sconforto, l’idea datagli da quel pazzo lo fece vacillare. Tuttavia, vistosi
con le spalle al muro, decise di fare come gli fu consigliato. Quella notte issò la vela e, sospinto da una lieve
brezza, prese il largo. Trovatosi in mezzo al nulla, ecco che all’alba approdò a una spiaggia dorata, in un’isola
piena di ogni sorta di ricchezze. Da quel giorno l’uomo avrebbe sempre avuto cura non della direzione degli
uomini, ma di quella del vento.

Per un Nove è molto difficile pensare di poter fare le cose a modo proprio. Non è raro che ciò
che fa sia frutto dell’imitazione. Ma come chiunque imiti qualcosa che stanno facendo altri, non potrà
mai stare al loro passo, dunque si ritroverà ad arrancare proprio come il pescatore del racconto. Non
percependo alcuna direzione interna, non esiste nemmeno la possibilità di scegliere né di affermarsi.
Ecco che quest’enneatipo vivrà le sue prese di posizione come brevi capricci privi di fondamenta,
pronti a svuotarsi al primo ostacolo, poiché non c’è alcun vento in grado di gonfiare la vela della
propria barca. Questo vento è sia dentro se stessi che fuori. La direzione in cui ci spinge è anche
quella in grado di realizzarci. Seguire gli uomini, ovvero fare come si è sempre fatto, equivale a
cercare di cambiare la direzione del vento. In noi esiste un richiamo inascoltato, un sogno lasciato da
parte e scambiato per fantasticheria. Si tratta della nostra essenza in forma di embrione che attende di
essere nutrita per diventare la più grande delle ricchezze. È quel sogno lasciato nel cassetto in attesa
di tempi migliori, poi dimenticato e abbandonato.
Per questa personalità è molto importante il cambiamento di ruolo: da passeggero della vita a
persona che sa di essere di passaggio. Un Nove vive passivamente e ha l’illusione che la sua
esistenza sarà molto lunga, per cui crede ci sarà tempo per fare ogni cosa. In realtà, tutto questo è
espressione della sua inerzia che si traveste da scusa per non mettersi mai in moto (“domani avrò
tempo di…”). A volte la necessità di cambiamento viene riconosciuta, ma l’attuazione viene
posizionata molto più in là nel tempo, anche di mesi o anni. Quest’atteggiamento assomiglia a quello
di chi si mette a fissare un muro attendendo che crolli da solo.
Ricordarsi di essere di passaggio ridà la giusta cognizione del tempo: se me ne andassi domani,
di cosa mi dispiacerei di non aver fatto? Che rimpianti porterò con me?
Devi chiedere consiglio alla morte e sbarazzarti delle maledette meschinerie proprie degli uomini che vivono
come se la morte non dovesse mai toccarli. Tu ti senti immortale, e le decisioni di un uomo immortale
possono essere cancellate o rimpiante o dubitate. In un mondo in cui la morte è il cacciatore, non c’è tempo
per rimpianti o dubbi. C’è solo il tempo per le decisioni11.

Dunque, durante la notte, cioè senza dover per forza sbandierare i propri pensieri, il
cambiamento può aver luogo senza vergogna o timore del giudizio. Questo può avvenire anche
rapidamente, ma spesso le pressioni che sente da parte della famiglia, dei colleghi e degli amici
immobilizzano un Nove nella sua solita posizione, non permettendogli di fare quel passo che
vorrebbe fare. Il suo desiderio segreto è un piccolo seme che potrebbe essere spazzato via da una
tempesta (un parere negativo di un conoscente, una critica, un confronto diretto), dunque va custodito
e coltivato in un ambiente protetto. È importante imparare a confidarsi con le persone giuste, in
grado, cioè, di essere d’appoggio per lo sviluppo di questo segreto, così come dedicare almeno un
po’ di tempo al giorno per i propri obiettivi personali, facendo caso a quante resistenze sorgono
(soprattutto di origine mentale ed emotiva). Un poco alla volta, ma con grande costanza, il piccolo
seme diventerà una grande pianta, pronta per mostrarsi al mondo in tutto il suo splendore.

Tranquillità e pace
Spontaneamente un Nove fa orbitare la propria vita in direzione di una serenità interiore in cui non ci
sono grandi gioie né grandi dispiaceri, si tratta piuttosto, un generico senso di poter stare finalmente
in pace con se stessi. Non ci sarebbe nulla di male se non fosse che questo porta ad allontanarsi dal
presente, per vivere nel quale sono richieste dinamicità, capacità di adattamento e iniziativa.
È molto importante capire la differenza tra tranquillità e pace. La prima riguarda se stessi, mentre
la pace ha un valore più ampio che va al di là di sé. È facile raggiungere la prima, poiché per un
Nove mettersi i tappi nelle orecchie per non sentire il rumore là fuori è spontaneo. Basta sedersi a
quella scrivania, andare nell’orto o dedicarsi al proprio passatempo preferito. Ma quella tranquillità
dura solo per quel frangente, fin quando, cioè, non impatta contro gli imprevisti, le scocciature o le
persone sgradite. L’umore si trasforma in un gravoso senso di pesantezza interiore, nonché di vuoto.
Questo falso senso di tranquillità, o di serenità compartimentata, è dettato dalla mancanza di una
visione di insieme che includa anche se stessi. Non è difficile vedere come vanno le cose nel mondo,
ma è molto complicato inserirsi in questo contesto in maniera attiva e presente. Per pace si intende
l’aver preso piena coscienza di ciò che si desidera ottenere nella vita e adoperarsi affinché si
realizzi. Mentre la ricerca della tranquillità assume una forma di ritirata strategica. Ambire alla pace
prevede azioni intraprendenti, obiettivi e amore per se stessi. Tiepidezza per un Nove significa
essere ignavo e omettere le proprie responsabilità verso la vita. È importante dunque chiedersi:
“Cosa potrei fare per vivere la mia vita al cento per cento? Cosa mi sta bloccando dall’esprimermi
pienamente? Quant’è effettivamente stabile la mia serenità interiore?”.

Non vedo, non sento… non creo


Un giorno, un vicino di casa notò Nasreddin circondato da alcuni secchi di acqua. Incuriosito, gli domandò che
cosa ne facesse.
«Ho deciso di pulire i miei narghilè», rispose il Mullah.
«Ma perché hai voluto conservare l’acqua sporca nei secchi?».
«Mi servono per non dimenticarmi: ogni volta che mi specchierò nell’acqua torbida, saprò che per me non
è bene continuare a fumare».

Questo racconto ha solo in parte a che vedere con la dipendenza da fumo talvolta riscontrabile
nei Nove. Riguarda piuttosto ogni dipendenza a cui è soggetto quest’enneatipo, mezzo che utilizza per
non sentirsi e per accantonare la realtà. Utilizzare le dipendenze vinte in qualità di trofeo e
promemoria per il domani non solo è utile, è anche uno spunto ingegnoso. Al di sotto della
dipendenza è sempre celata una creatività sopita. Riuscire a mettere da parte le dipendenze darà
luogo a momenti vuoti in cui il Nove si ritroverà da solo con se stesso, senza che la sua attenzione
venga immediatamente rapita dall’ennesima frivolezza. Possono essere minuti dolorosi ma sono
necessari per riprendere contatto con i propri desideri, per fare un punto della situazione e per capire
che piega sta prendendo la vita. In questo senso, la meditazione è di grande aiuto come mezzo per
imparare a riconoscere le varie fasi del proprio flusso emotivo all’interno della giornata,
apparentemente regolare, in realtà spesso alterato anche dai motivi più banali, in grado di rendere il
richiamo all’assenza molto forte.

Diligenza
La virtù della Diligenza non è innata ma va guadagnata. Sarebbe sbagliato confonderla con la
disciplina o con l’impegno. È piuttosto da intendersi come la capacità di diventare il manager di se
stessi, cioè di dirigere l’attenzione, l’energia e l’entusiasmo sul proprio essere, su ciò che piace.
Quando si domanda a un Nove che cosa voglia fare della sua vita, potrebbe trovarsi in serio
imbarazzo. Per questo motivo è consigliabile che si ponga una domanda diversa, ovvero: “Cosa mi
piace fare?”. Praticando con una certa regolarità questa forma di attenzione, ben presto si formeranno
due categorie di azione.
La prima è ciò che si ha voglia di fare. Questa è la categoria in cui un Nove ha sempre vissuto e
verso la quale è sempre stato proteso. Portare a termine i doveri per poi concedersi degli sfizi,
dedicarsi ai propri interessi per poi tornare alla monotonia di una vita senza grandi aspettative.
La seconda categoria di azione va acquisita, non è gratuita. Riguarda ciò che piace fare e richiede
uno sforzo tutto nuovo. Mentre nel primo caso la fatica assomiglia più che altro ad accantonare
impegni e scivolare tra gli obblighi per potersi concedere qualche spazio per sé, in questo caso è
necessario invece sviluppare una certa creatività e spirito di iniziativa. Qui gli impegni che
piombano da fuori non sono più visti come un lasso di tempo che separa dai propri interessi,
diventano piuttosto un ponte verso la comprensione della propria posizione e di come le non-scelte
siano state il motivo per cui vi si è giunti. In questa nuova forma di pensiero, un Nove comincia a
prendersi la responsabilità del suo benessere a partire dall’essere in grado di anteporre i suoi veri
desideri alle numerose resistenze della sua personalità, dovute principalmente all’inerzia e al timore
di generare conflitti. Impara a vedersi all’interno di uno schema più grande in cui è il protagonista
della sua vita, rendendosi conto di come il rimandare qualcosa di importante per sé oggi renderà
ancora più difficile il prendersi l’impegno domani. Le situazioni di stasi, dove non sembrano esserci
vie di uscita dalla pesantezza delle proprie abitudini, diventano motivo di lotta e spunto per un
tentativo più tenace di non ricadervi domani. Quando si impara a volersi bene, si ha meno premura di
affezionarsi alle emozioni negative.

Ali e frecce

Troviamo quest’enneatipo sulla punta dell’enneagramma. La sua posizione particolare, deriva dal
trovarsi sulla sommità del cerchio enneagrammatico e dall’occupare l’esatto centro viscerale. Questa
è un’immagine abbastanza chiara del fatto che difficilmente troveremo un Nove schierarsi contro
qualcun altro che non sia se stesso.
Il cammino per giungere a volersi bene, dunque, è piuttosto periglioso. Possiamo immaginare
questa personalità come qualcuno che arriva da un altro stato di esistenza e che si ritrova a dover
fare i conti con una realtà molto più accesa e conflittuale di quel che si sarebbe aspettato. La sua
unica soluzione non può che essere quella di cercare di adattarsi, ma guardandosi intorno non vede
altro che irruenza. Gli enneatipi Otto e Uno, suoi vicini di casa, sono entrambi molto energici e attivi,
cosa che potrebbe confondere un Nove e porlo di fronte alla fatidica domanda: “Chi me l’ha fatto
fare?”. Eppure il cammino per farsi spazio in questo mondo parte proprio da qui, cioè dall’intenzione
di occupare un posto nell’esistenza.
L’Otto è entusiasta, determinato e tenace. Tali qualità sono solo sopite in un Nove, in attesa di
riprendere ossigeno. Quando quest’ala viene sviluppata correttamente, gli ostacoli che la vita
presenta diventano la prova necessaria per verificare quanto effettivamente sia per noi importante
raggiungere un certo obiettivo. Demordere non è più la risposta automatica ad ogni tentativo di
autoaffermazione, poiché gettare la spugna comporterà il dover fare i conti con il proprio grado di
benessere. “Io voglio” comincerà ad avere una certa consistenza.
L’ala Uno può fornire il metodo e la disciplina. Anche il Nove è un idealista, ma più in qualità di
sognatore. Abbracciando con sicurezza questo vicino di casa, può scoprire i benefici derivanti
dall’avere un’idea di giusto e sbagliato. Causerà sì il trovare divergenze rispetto ai punti di vista
altrui, ma permetterà di uscire da quello stallo che fa vedere tutto come un eterno, indefinito grigio.
Bianco e nero cominceranno ad avere il loro significato, poiché il discernimento si svilupperà
parallelamente alla propria identità. Il tutto senza perdere la sua tipica possibilità di vedere le cose
al di sopra delle divergenze personali.
Per quest’enneatipo il Tre significa solo una cosa: raggiungimento di obiettivi personali in
accordo al proprio essere. Nella sua vita, un Nove non avrà difficoltà a scoprirsi abile nel portare a
termine dei compiti, ma la sua tendenza è quella di saper affrontare con grande efficacia quelli
secondari, non sapendosi dedicare con anima e corpo a quelli principali. Avendo preso maggior
confidenza con i veri desideri che ribollono nelle viscere o che per ora sono unicamente astrazione,
dal Tre un Nove può finalmente prendere il come arrivarci. Adattabilità, ingegno, slancio sono solo
esempi. Potrà scoprirsi versatile, entusiasta e disposto a fare enormi sacrifici affinché il progetto di
persona realizzata possa essere compiuto.
Man mano che queste iniziative prendono piede, si farà largo nel suo cuore una profonda fiducia
nell’esistenza, fino a ora costellata di una certa ansia nascosta e mai ammessa. Il punto Sei
rappresenta il fare i conti con il senso di appartenenza e con il riconoscere di essere sì una persona
che sta molto bene con gli altri, ma che non può continuare a fondersi. Un Nove impara a intuire con
abilità qual è o non è terreno fertile per lui, quali sono le compagnie a lui salutari e quali no. Così
potrà riscoprire la collettività sotto un’ottica finalmente attiva e propositiva, dove la sua
individualità verrà mantenuta insieme alla consapevolezza della preziosità della sua vita. Esiste,
vive, è presente in mezzo agli altri, ma senza perdersi in essi.
Parte quarta
Analogie e corrispondenze
Diverso è bello

O
ra passiamo a una sezione del libro divisa per argomenti e non per tipologie. Cercheremo
dunque la risposta alla domanda: come si rapportano i diversi enneatipi rispetto alla stessa
tematica?
L’idea è quella di dare un taglio differente alla conoscenza dell’Enneagramma delle Personalità
per permetterci di capire certe differenze basilari che ci rappresentano. Ci aspettiamo che gli altri
possano tutto sommato reagire in maniera analoga alla nostra rispetto ai medesimi eventi, quando in
realtà le cose stanno diversamente.
Ad esempio, quali sono i meccanismi di difesa che mettiamo in gioco in risposta a uno shock?
Oppure, abbiamo tutti le stesse aspettative dall’amore? In che maniera ogni tipologia comunica
verbalmente o non verbalmente? Potersi confrontare su queste tematiche permette di avere una
visione di respiro più ampio sull’Enneagramma delle Personalità.
Questo capitolo nasce dall’intento di mostrare al lettore un aspetto preziosissimo
dell’Enneagramma delle Personalità: la prospettiva. La maggior parte delle cose non è come è, ma è
come è per me. Questo sarà già chiaro al lettore che ha sfogliato non solo le parti riguardanti il
proprio enneatipo ma anche quelle sulle altre tipologie. Di fronte a un tema sufficientemente profondo
(cioè che coinvolga una certa quantità di meccanismi di causa-effetto) è possibile vedere le diverse
possibili chiavi di lettura dall’angolazione dell’enneatipo.
Di nuovo: è corretto dire che la realtà umana è divisa in nove (o ventisette o cinquantaquattro,
considerando ali e sottotipi) possibilità? Sì e no. Sì per la nostra mente, no per la nostra interezza.
Vuol dire che la suddivisione in tipologie è una semplificazione della realtà, ma ci aiuta a
comprenderla. Come già ci ha insegnato il nostro Nasreddin, la mappa non è il territorio. Guai a
infilarsi una casacca numerata spacciandola per la nostra pelle!
Le triadi

A
Nasreddin fu chiesto: «Quanto fa tre per tre?».
Così rispose: «Fa tre».
«Perché mai?».
«Perché se dai tre mele a me, tre a lui e tre a quell’altro, a me sempre tre ne rimangono».

È interessante osservare come sulla figura dell’enneagramma possano essere trovate diverse
combinazioni tra le cosiddette triadi. Per triade si intende una corrispondenza o somiglianza tra
diversi enneatipi in gruppi di tre.
Ad esempio, abbiamo visto come Otto, Nove e Uno facciano parte della triade viscerale. Due,
Tre e Quattro della triade emotiva. Cinque, Sei e Sette della triade razionale. In questa
classificazione gli enneatipi sono raggruppati a seconda del centro di preferenza. Ma possiamo
classificare in triadi i vari enneatipi prendendo come riferimento altre caratteristiche.
Provando a immaginare le triadi come una serie di triangoli che si sovrappongono uno sull’altro
sulla figura dell’enneagramma, arriveremo a trovare analogie e discrepanze a seconda del punto di
vista da cui le osserviamo.
I vari enneatipi verranno qui raggruppati rispetto a tre principali classificazioni.

• Come mi posiziono rispetto al mondo?

• Come mi relaziono agli altri?

• Come affronto i problemi?

Dobbiamo questi studi soprattutto ai preziosi contributi di Karen Horney, Don Riso e Russ Hudson.

Attaccamento, frustrazione e rifiuto


Come mi posiziono rispetto al mondo?

Queste triadi rappresentano i diversi modi inconsci di percepire il mondo e di relazionarsi ad esso.
In poche parole si tratta del processo che la nostra personalità mette in atto per riconoscere se
stessa attraverso la percezione dell’oggetto. Per “oggetto” si intende la realtà esterna nelle sue
molteplici manifestazioni.
Si presume che il bambino fino a una certa età non conosca la distinzione tra ciò che è “io” e ciò
che “non è io”, ma a un certo punto della sua vita inizierà a percepire la separazione tra le due parti.
Si formerà cioè gradualmente un “io”, il quale riconosce come “non io” ciò che è al di fuori di lui.
Ma dunque, che tipo di relazione rimane tra queste due nuove parti? Sono definitivamente separate
oppure c’è comunque un qualche legame a connetterle?
Rimane un effetto specchio. È come se, percependo l’oggetto, l’identità dicesse: “Io sono fatto
così perché percepisco l’oggetto in questa maniera”. Il riferimento non è più “io”, bensì l’oggetto.
Questo diventa lo specchio attraverso cui l’individuo si riconosce e interpreta se stesso.
Vi sono tre maniere principali di specchiarsi nell’oggetto. Ci si può percepire più piccoli, più
grandi o al medesimo livello dell’oggetto. Il risultato, rispettivamente è, la tendenza alla
frustrazione, al rifiuto o all’adattamento a ciò che ci circonda. Attraverso il riconoscimento di
questi procedimenti che si perpetuano in maniera inconscia a partire dalla nostra infanzia, possiamo
apprendere importanti insegnamenti su come trasformare certi limiti in opportunità.
La triade del rifiuto negherà una fetta della realtà, dove la triade della frustrazione avrà
difficoltà a percepire la pienezza della vita, mentre la triade dell’attaccamento non riconosce il
senso della possibilità di trasformazione.

Triade del rifiuto: Cinque, Otto, Due

Questi enneatipi sono accomunati dalla sentenza “Non ho bisogno di”. Quest’affermazione nasce dal
suo opposto, ovvero dal timore di essere rifiutati. Sono personalità forti del loro modo di vedere la
realtà. Reprimono le loro necessità per potersi così imporre sulla realtà, posizionandosi al di sopra
degli eventi, cercando di avere sempre il controllo su quanto la vita presenta.
Un Cinque cerca di annullare i bisogni secondari per non ritrovarsi a corto di risorse. Si cura di
non avere bisogno di ciò che non è indispensabile, il che valica i confini del materiale, spostandosi
anche nel mondo affettivo. È come se il mondo fosse rifiutato nella sua interezza: un Cinque ritiene
che per viverlo è sufficiente osservarlo e studiarlo. Desidera avere il controllo sull’intera sfera della
vita. Spera di diventare competente per sanare il rifiuto originario che ha sentito da parte del mondo
nei suoi confronti. Si illude che la solitudine e l’isolamento siano delle qualità, quando in realtà sono
un vizio. La vera saggezza nasce da un incontro con la realtà esperienziale a tutto tondo.
Un Otto vuole cavarsela da solo e non intende dipendere da qualcun altro. Percependosi come un
cattivo in un mondo ancora più cattivo, ritiene che l’unico modo per sovrastare la realtà sia quello di
controllarla a piene mani. Non vuole che le sue debolezze vengano a galla, per cui diventa duro con
se stesso e di conseguenza con gli altri. Rifiuta tutto ciò che non è utile nella lotta per la
sopravvivenza. Vuole diventare forte per sanare il rifiuto ricevuto: nessuno a quel punto oserà
respingerlo ancora. In questo caso il desiderio di controllo è molto evidente poiché passa
dall’imponenza del proprio carattere. Vede nella prepotenza l’unico mezzo di dialogo con il
prossimo, quando invece la liberazione sta nel gettare le armi e dialogare con la volontà di capire
l’altro.
Un Due sente di dover essere una persona buona, disponibile e generosa. Se avesse bisogno di
qualcuno, si sentirebbe rifiutato. Per questo motivo indossa i panni di chi c’è sempre per gli altri ma
mai per se stesso. Rifiuta tutto ciò che non serve a metterlo in una posizione di utilità. Mostrandosi
generoso, sente che non sarà più respinto. Il controllo assume la forma di influenza emotiva
diretta/indiretta sugli altri. L’illusione è quella di non aver bisogno di niente e che siano soltanto gli
altri ad avere delle necessità da soddisfare. In realtà, nel prendersi cura di sé c’è il sano egoismo, un
autentico amore per la propria vita.

Triade della frustrazione: Quattro, Uno, Sette

Chi appartiene a questa triade è accomunato dalla sentenza “Non è esattamente ciò che volevo”. Il
concetto di base riguarda un senso di insoddisfazione che persiste nonostante le proprie richieste
vengano soddisfatte. Questi enneatipi fanno ruotare la propria attenzione intorno a una carenza,
un’inesattezza, o al rendersi conto di aver ottenuto solo una fetta di tutto ciò che il mondo offre. C’è
un idealismo di fondo che schiaccia la realizzazione della vera felicità. Ciò che li accomuna è il
basilare senso di frustrazione rispetto alla concretizzazione dei loro desideri.
Un Quattro è fissato nell’idea che qualunque persona che incontrerà non sarà in grado di dargli
ciò che desidera. Il senso di frustrazione emerge principalmente nella relazione e
nell’autorealizzazione. Manca sempre qualcosa. Quando le richieste sembrano essere soddisfatte, in
realtà non lo sono mai, poiché il senso di frustrazione continua a vivere, spostandosi semplicemente
su un nuovo dettaglio. Un Quattro ha bisogno di capire che la carenza è negli occhi di chi guarda e
non nella realtà stessa.
Agli occhi di un Uno, nulla sembra essere fatto come si deve. Ovunque il suo sguardo si posi, c’è
un margine di migliorabilità, il che si scontra continuamente con il suo ideale. Le fasi che
intercorrono tra l’aver sistemato ciò che va sistemato e la prossima inesattezza che il mondo
proporrà sono vissute con un senso di attesa. In poche parole, nel momento in cui tutto è regolare, un
Uno sa che da lì a breve qualcosa scombinerà i suoi piani. Il vero miglioramento sta nell’imparare
a spostare l’attenzione verso ciò che può farci star bene.
Un Sette è catapultato nel mare delle possibilità della vita. Si frustra nel non poter assaggiare
ogni prelibatezza offerta e ritiene che sarà finalmente sazio nel momento in cui avrà vissuto questa o
quell’esperienza. Ma, una volta consumata, ecco che ne compare un’altra ancora più appetibile. La
positività e il fascino sono l’unica faccia della medaglia, mentre il dolore e l’immobilità vengono
evitati. C’è un’ininterrotta rincorsa al fascino. Necessita di imparare con tutto se stesso che la
qualità del qui e ora vale molto di più di qualsiasi progetto.

Triade dell’attaccamento: Tre, Sei, Nove

Se il mondo è fatto così, allora “è bene che io mi adegui ad esso”. Questi enneatipi sono i più
adattabili e vanno orgogliosi di ciò. La loro personalità ritiene che il mondo (famiglia, contesto
sociale di appartenenza e così via) sia “normale”, dunque si sforzano di conformarsi. Sono coloro
che meno di tutti si domandano se ciò che li circonda vada bene per loro oppure no. Sono i più
adattabili e proprio per questo hanno le maggiori difficoltà nell’effettuare una reale trasformazione.
Si identificano con facilità con tutto ciò che li circonda. Hanno bisogno di forti shock per
intraprendere un lavoro su di sé poiché la loro vista è annebbiata dal concetto di “normalità”.
Inconsciamente è come se per cambiare loro stessi dovessero aspettare che prima cambi il mondo
esterno. In sintesi, questi tre enneatipi sono accomunati dall’adattabilità e dalla difficoltà al
risveglio (inteso come genuina presa di coscienza della necessità di instradarsi in direzione della
realizzazione della versione migliore, più consapevole e autentica di sé).
Per un Tre, adattarsi significa riconoscere gli ideali e i valori di riferimento di un gruppo ed
esprimerli al massimo. La propria identità si struttura intorno all’approvazione ricevuta dagli altri e
quindi sulla capacità di ottenere dei risultati. Ciò che non gli permette di realizzare reali
trasformazioni è il desiderio di immedesimarsi nell’ideale da cui si sente richiamato. Spenderà
quindi energie in una direzione che non è quella della realizzazione di sé, ma dell’immagine di sé. La
possibilità di trasformazione in genere si presenta in seguito a un importante fallimento.
Un Sei è il più adattato al suo gruppo (o gruppi) di appartenenza. Queste relazioni sono
importanti in quanto sinonimo di prevedibilità e quindi di sicurezza. Ciò che è conosciuto, anche se
non piace o è doloroso, è sempre preferibile al cambiamento. La sopportazione viene giustificata con
l’idea della responsabilità, dove in realtà vi è celato un forte timore del cambiamento. Proprio
cercando di non sbagliarsi mai verso niente e nessuno, un Sei non prende mai una decisione per se
stesso. La vera trasformazione può verificarsi quando il contesto sociale di riferimento vacilla e un
senso di solitudine obbliga a fare i conti con la propria identità.
Nel caso del Nove l’adattamento riguarda i suoi stati interni. Si posiziona dove può continuare a
stare nella sua tranquillità. È convinto che il modo giusto di vivere sia quello di essere in armonia
col mondo esterno, poiché è l’unica via che conosce per essere in pace con se stesso. Si fa andare
bene le cose così come sono, purché venga alla fine lasciato in pace. Ostenta serenità cercando di
inghiottire tutto ciò che non va, con l’unico risultato di accantonare se stesso un pezzo alla volta.
Attraverso la comprensione di quanto ha perso mettendosi da parte può riscoprire un sincero amore
che lo porti verso la trasformazione.

Assertivi, dipendenti e riluttanti


Come mi relaziono agli altri?

Introduciamo ora le triadi legate ognuna principalmente all’Es, all’Ego o al Super-Ego. Non
facciamoci spaventare dai nomi! Queste tre componenti fanno parte della nostra psiche e coesistono a
cavallo tra il nostro conscio e il nostro inconscio.
A quali ruoli sono deputati questi tre elementi?

• L’Es dice “voglio quel gelato, ora!”.

• Il Super-Ego dice “non puoi mangiare quel gelato adesso perché altrimenti ingrassi”.

• L’Ego dice “mangerai il gelato appena avrai i soldi per comprartelo”.

Ogni qualvolta dobbiamo prendere una decisione, vengono chiamati in causa questi tre fattori.
Come abbiamo già visto, una peculiarità della macchina umana è quella di identificarsi con una o
alcune parti tra tutte quelle potenzialmente esplorabili, di conseguenza ogni enneatipo darà
maggior peso o all’Es, o al Super-Ego o all’Ego.

Assertivi: Tre, Sette, Otto


Le tipologie assertive sono identificate nell’Es, ovvero la risultante della marea di desideri che
vivono nell’inconscio. La ferita originaria di queste tipologie è nell’amore: ritengono che la miglior
difesa sia l’attacco. Il loro atteggiamento è quello di muoversi contro gli altri. Per questo motivo
hanno l’atteggiamento di chi pretende. In generale ritengono significativo ciò che accade a partire
dalle proprie iniziative. Misurano il proprio valore in base all’influenza che esercitano e per questo
si pongono nella posizione di chi si aspetta una reazione da parte degli altri.
Il Tre è assertivo in una maniera più indiretta rispetto agli altri due poiché è molto dipendente
dalla considerazione altrui. Tuttavia la sua presenza è altrettanto decisa e ferma. Potrebbe non
sentirsi automaticamente al centro dell’attenzione, ma desidera esserci. “Valgo quando i miei
risultati parlano al posto mio”.
Quando si fa vivo un Sette, anche gli altri si ravvivano. Spontaneamente si fa avanti, in genere
esponendo le sue idee, aspettandosi che poi gli altri reagiscano a quanto ha detto. “Valgo quando ho
dimostrato (a me stesso) di essere una persona brillante”.
Il caso più chiaro di assertività è rappresentato dall’Otto, la cui sola presenza sembra
domandare un confronto diretto. Esprime apertamente la sua verità, si schiera e vuole sapere come la
pensano gli altri. “Valgo quando ho il controllo su tutto”.
Queste personalità hanno bisogno di imparare a domandarsi: “Che conseguenze avrà questa mia
azione sugli altri?”. Le altre persone non esistono per forza in relazione a ciò che sono io.

Dipendenti: Uno, Due, Sei


Le tipologie dipendenti sono identificate nel Super-Ego, ovvero in un costrutto di valori morali. La
ferita originaria di queste tipologie è nella fiducia: si difendono andando incontro agli altri. Sono
accomunati dalla convinzione di essere utili al prossimo, il che li porta ad avere l’atteggiamento di
chi si sente migliore degli altri. La dipendenza è relativa al Super-Ego e non va dunque intesa come
subordinazione alle altre persone (benché questo possa talvolta essere accentuato).
Nell’Uno vediamo come tutto ciò che si fa (o non si fa) è il risultato di un complesso sistema di
valori morali o logici. Questa personalità obbedisce a delle regole che vivono dentro di sé e ritiene
giusto spiegarne le ragioni agli altri. Ritiene di essere migliore per via del suo buonsenso. “Valgo
perché i miei criteri sono i più giusti”.
Per un Due ciò che conta è che gli venga riconosciuto il ruolo di chi ha valore a prescindere.
Questo lo mette nella posizione di chi si mette al servizio degli altri per essere stimato. Ritiene di
essere migliore poiché non ha dei bisogni. “Valgo perché ci sono persone che dipendono da me”.
I valori del Sei lo aiutano a conformarsi al suo gruppo di riferimento. È in base a questo che si
sente migliore e non necessariamente per via della sua persona. Copre le spalle a chi gli sta a fianco
aspettandosi che l’altro faccia lo stesso. “Valgo perché sono fedele alle aspettative che si hanno da
me”.
Queste personalità hanno bisogno di imparare a domandarsi: “I miei bisogni sono davvero in
accordo con quelli della società?”. È importante che trovino il modo di riconoscere un proprio
bisogno rispetto a quelli suggeriti o imposti dal contesto in cui vivono.

Riluttanti: Quattro, Cinque Nove


Le tipologie riluttanti sono identificate nell’Ego, ovvero vivono il loro tempo in un bagnasciuga tra
conscio e inconscio. La ferita originaria di queste tipologie è nella speranza, di conseguenza questi
enneatipi non tendono spontaneamente a voler stare meglio. Si difendono allontanandosi dagli altri.
Vivono relegati nella mente o nei sentimenti, sognando spesso a occhi aperti. Non sentono la
necessità di coinvolgersi pienamente.
Un Quattro è assorbito dalla sua vita emotiva e raramente si sente parte di quanto sta accadendo
nel mondo intorno a sé. Si ritira per dedicarsi all’introspezione e alla rievocazione delle esperienze
vissute. “Valgo perché le mie emozioni e le mie percezioni sono uniche”.
Un Cinque trova il coinvolgimento emotivo pericoloso e caotico, dunque si allontana per vedere
il tutto con occhio clinico. Difficilmente trova un collegamento fra sé e gli avvenimenti circostanti. Si
sforza di cercare una logica negli avvenimenti. “Valgo perché riesco a vedere le cose con
oggettività”.
Nel caso del Nove c’è un allontanamento della psiche dal corpo. Può anche stare molto in
compagnia, ma è come se ci fosse solo fisicamente. Si assenta per sentirsi a suo agio. Non vuole che
la sua quiete venga alterata. “Valgo perché so mantenere il mio equilibrio”.
Queste personalità hanno bisogno di riconoscere l’importanza di questa frase: “Non arriverà
nessuno a salvarmi se non sono io il primo a prendermi la responsabilità del mio volermi bene”.
Devono imparare a non mollare troppo facilmente.

Positività, competenza reattività


Come affronto i problemi?

Questa classificazione riguarda le diverse reazioni rispetto alle situazioni di difficoltà o di


conflittualità che possono verificarsi nella vita. Sarà sorprendente notare come i fuochi di attenzione
siano completamente diversi tra chi appartiene a triadi diverse.
Di fronte a un problema avremo chi vorrà superarlo non considerandolo come tale (triade della
positività), chi si discosterà dal mondo emotivo per risolverlo in maniera pragmatica (triade della
competenza) e chi prenderà direttamente contatto coi propri sentimenti, cercando il confronto con gli
altri (triade della reattività).

Triade della positività: Sette, Nove, Due


Chi rientra in questa triade condivide un atteggiamento positivo verso la vita. Questi enneatipi si
affrettano a vedere il lato positivo della medaglia e hanno difficoltà a riconoscere, accettare e vivere
i momenti di dolore e di difficoltà. Sono apprezzati per questa loro particolarità poiché spesso
cercano di trasmetterla agli altri per stare bene loro stessi. Ritengono che molti problemi possano
essere risolti semplicemente evitando di gonfiarli eccessivamente, per questo cercano conforto in
chi possa sostenerli in questo processo di minimizzazione.

Un Sette ha gli occhi sempre puntati su ciò che può essere divertente e affascinante. Reagisce ai
problemi non considerandoli come tali o scansandoli. Ha grandi difficoltà ad accettare il dolore,
soprattutto quello che è lui stesso a causare a chi vuole bene. Si sente appesantito dai bisogni altrui,
come se lo intrappolassero, poiché è principalmente concentrato sui propri.
Nel Nove vediamo chi trova tutto di positivo negli altri e in ciò che accade loro, mentre ignora le
proprie qualità, lasciandole inespresse ed evitando di svilupparle. Preferisce non vedere cosa c’è
che non va. Pur di mantenere una visione positiva, diventa sordo ai propri bisogni così come a quelli
altrui. Al tempo stesso, però, si sente schiacciato da questi ultimi.
Un Due è attento alle necessità altrui, enfatizzandole rispetto alle proprie. I problemi, dunque,
sono sempre quelli degli altri. La sua positività si manifesta nel non dover fare i conti con le proprie
esigenze, il che gli permette di essere solare. Ma sotto quest’atteggiamento sono sepolti disappunto,
rabbia e desiderio di libertà.
Per chi appartiene a questa triade è fondamentale riconoscere quanto c’è da imparare dagli
aspetti negativi della vita. Questi sono gli enneatipi che più di tutti hanno bisogno di riconoscere il
dolore come insegnante a cui rivolgersi quando la vita sembra non aver preso una direzione precisa.
La presenza di un problema non è mai percepita direttamente, ma indirettamente. In altri termini, se
per le altre personalità è il dolore stesso il messaggero della necessità di cambiare, per Sette, Nove e
Due il dolore assume le sembianze di inerzia, noia, eccessivo indaffaramento, progettualismo,
positività a prescindere o qualche altro surrogato.

Triade della competenza: Uno, Tre, Cinque

Queste personalità si sforzano di risolvere i problemi nella maniera più logica e concreta possibile.
Nelle situazioni di difficoltà trovano sensato mettere da parte i sentimenti e affrontare le questioni in
maniera imparziale e oggettiva. Il problema diventa quindi un ostacolo da superare lasciando da
parte la sfera emotiva e soggettiva, non ritenuta necessaria ma anzi ostacolante.
Un Uno reagisce ai conflitti contattando direttamente i suoi valori. Qualsiasi problema viene
ricondotto al buon senso e viene risolto in base ad esso. Desidera affrontare le difficoltà subito e
con rapidità, evitando di trascinarle per le lunghe. “Bisogna affrontare le cose da adulti”. Si affida ai
procedimenti, agli standard e alle prassi, biasimando chi non fa altrettanto.
Un Tre valorizza l’efficienza sopra ogni altra cosa. Occorre risolvere i problemi senza che la
propria immagine ne risenta. Quando può, si attiene agli schemi, ma se questi dovessero essere un
ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo, ecco che il fine giustificherà i mezzi. Arrivare per primi
al traguardo è un modo per far tacere le emozioni negative.
Nel caso del Cinque troviamo chi si distacca dalle emozioni per vedere il problema
dall’angolazione più oggettiva possibile. Trova gli schemi e le procedure piuttosto limitanti,
preferisce dunque elaborare una propria strategia. Intende risolvere ciò che lo preoccupa
distogliendosi dalla preoccupazione stessa e trattandola come se non lo riguardasse.
In questa triade troviamo personalità che elevano il problema al di sopra della propria
componente emotiva. Vedono quest’ultima come un ulteriore “problema nel problema” e non si
rendono conto di come l’emozione sia in realtà parte integrante della soluzione. Invece di
risolvere i problemi da soli, è possibile aprirsi agli altri attraverso il canale emotivo per ottenere
supporto, comprensione e felicità. Invece di tenere l’emozione ingabbiata, è importante considerarla
e riconoscere qual è il messaggio che ci sta comunicando: in genere contiene importantissime
indicazioni su quali potrebbero essere le misure necessarie per risolvere un problema nella maniera
più umana, accettabile e favorevole al proprio benessere e a quello di chi ci sta intorno.

Triade della reattività: Quattro, Sei, Otto

Sono dette personalità “reattive” poiché in risposta alle difficoltà prendono direttamente contatto
con le emozioni e con la propria verità personale. Questi enneatipi hanno una forte sensibilità per il
non detto. Ritengono che le difficoltà vadano risolte tirando fuori tutto ciò che si nasconde dietro la
superficie, scovando ed esplicitando senza remore la verità. Desiderano che il loro stato d’animo
venga riconosciuto e specchiato dagli altri. Le relazioni vengono messe spesso alla prova. Sembrano
dare il loro meglio nel confronto.
Ciò che è fondamentale per un Quattro è essere capito. Cerca una risposta emotiva dall’altro
inscenando un contesto di abbandono attraverso la tecnica del tira e molla. Si tratta di drammatizzare
una situazione per scovare fino a che punto l’altra persona è realmente disposta a spendersi per lui.
Ritiene che una situazione possa essere risolta solo quando chi gli sta vicino ha avuto modo di
capirlo fino in fondo.
Un Sei ritiene di dover sviscerare ogni aspetto del problema per potersi sentire al riparo da
qualsiasi imprevisto. Mette alla prova la fedeltà e la lealtà dell’altro, poiché solo così sarà sicuro di
poter ottenere le certezze di cui ha bisogno. Non ha difficoltà ad aprirsi riguardo ai suoi problemi
con coloro di cui si fida, poiché ritiene che esponendo la sua verità in maniera chiara potrà sapere
chi è dalla sua parte e chi no, nonché ricevere opportuni consigli.
Nell’Otto, il suo voler fare emergere quanto è implicito è ancora più evidente. L’altro viene
colpito direttamente e insistentemente finché non reagisce alla sua presenza. Mette alla prova chi ha
intorno per riconoscerne l’affidabilità e per capire chi ha il controllo della situazione. Non gira
intorno alla questione e ritiene che tutti i problemi si risolvono affrontandoli di petto, con tutte le
conseguenze del caso.
Chi rientra in questa triade non fa alcuno sconto ai conflitti che insorgono. L’impatto emotivo
rischia di essere eccessivo rispetto alla reale entità della questione. Prima di andare verso una
soluzione, l’emozione diventa una fiamma che si autoalimenta, avvampa e brucia tutto ciò che ha
dentro e intorno. Queste personalità ritengono che uno stato emotivo non possa essere superato finché
non è stato pienamente consumato. Se apparentemente un’emozione dà forza, identificandosi
eccessivamente con essa finirà per sottrarre tutto il potere personale, poiché attraverso di essa il
problema diventa il padrone della situazione. È importante dunque imparare una sincera non
identificazione rispetto ai propri stati emotivi. Innanzitutto riconoscere che “io non sono
l’emozione”, dopodiché riconoscerne la funzione: essa ci comunica qual è il nostro stato
dell’essere. L’emozione è il messaggero, non il padrone.

Conclusioni sulle triadi


Attraverso lo studio delle triadi, specie se sovrapposto alla conoscenza dei sottotipi, possiamo
comprendere molto meglio i come e i perché delle nostre relazioni con gli altri. Quale triade ho in
comune con questa persona, e quale con quest’altra? A un’attenta analisi noteremo che ogni tipologia
condivide con un qualsiasi altro enneatipo una triade. Vuol dire che affronterò una tematica in
maniera simile alla sua (centro di gravità, come mi posiziono rispetto al mondo, come mi relaziono
agli altri o come affronto i problemi), mentre affronterò tutte le altre in maniera diversa. Le
possibilità di scambio sono quindi numerosissime!

Tabella riassuntiva
Come non usare l’enneagramma

N
asreddin fu aspramente avvertito da un suo vicino: «Nasreddin, perché mai fumi il narghilè ogni sera? Sai
benissimo che ti farà male!».
«Intendo vivere fino a più di cent’anni», gli fu risposto.
«Come sarebbe a dire, pensi che fumando la tua vita si allungherà?».
«Non fumando, ma facendomi i fatti miei, sicuramente».

Imparando a conoscere l’Enneagramma delle Personalità si comprenderà ben presto di avere tra le
mani uno strumento molto efficace. Ma come un coltello può essere usato per tagliare il pane, può
anche essere usato per far del male.
Tra le varie tentazioni vi è quella di interessarsi alle faccende altrui, pretendendo di sapere cosa
sia bene e cosa sia male per questa o quell’altra persona. L’applicazione più sbagliata
dell’Enneagramma delle Personalità e in cui possiamo incappare tutti è senza dubbio quella di dare i
numeri. Letteralmente, dare i numeri. Troviamo (forse) il nostro enneatipo e non vediamo l’ora di
scoprire quello altrui. Ricordiamoci dell’avvertimento di Nasreddin: chi si fa i fatti propri può
sperare di campare più di cent’anni! Questa tentazione può essere dannosa per diversi motivi.
Innanzitutto perché è piuttosto “facile” conoscere l’Enneagramma delle Personalità ma è
estremamente difficile padroneggiarlo, ovvero farne uso. Per questo, il rischio di applicarlo a
sproposito è elevatissimo. In secondo luogo, rischiamo di incasellare le altre persone in dei paletti
immaginari che potrebbero compromettere la nostra relazione con loro. Terzo, è facilissimo e
frequentissimo dimenticarsi di applicare innanzitutto su noi stessi quanto abbiamo imparato. Quarto,
a causa dell’inesperienza, potremmo precludere ad altre persone la possibilità di avvicinarsi in
futuro a questo percorso, in quanto ne abbiamo dato un’immagine sbagliata al momento sbagliato.
Esistono, invece, utilizzi distorti più caratteristici per ogni personalità e qui di seguito ne sono
riportati uno per enneatipo. Ovviamente questo non significa che ci si debba cascare per forza. Al
tempo stesso, non è detto che ad esempio un Due non possa applicare l’utilizzo distorto più
caratteristico di un Tre o viceversa.

UNO – Puntare il dito.


La vocazione al miglioramento è per un Uno, come abbiamo visto, una tendenza
poco costruttiva. Quest’atteggiamento potrebbe trovare in questo strumento un’aggravante. Potrebbe
diventare una nuova fonte di frustrazione qualora non si riscontrassero i risultati desiderati. Inoltre,
individuando l’enneatipo di un famigliare, un amico o un collega, quest’ultimo potrebbe ben presto
diventare oggetto di nuove critiche “per il suo bene”. Ma ricordiamoci che non tutti hanno questo
desiderio e che, soprattutto, è bene rispettare i tempi di ognuno. Non c’è possibilità di crescita senza
che ne si avverta la necessità.

DUE – Manipolare. Abbiamo visto come per un Due il rapporto interpersonale sia molto vivo ed
eccitante. Non solo: le relazioni sono tanto più intriganti quanto più si sa dell’altro, dei suoi bisogni
e delle sue preferenze. L’Enneagramma delle Personalità potrebbe dare in mano a un Due la
possibilità di entrare nelle vite altrui con grandissima efficacia, rischiando di manipolare il rapporto.
È bene fare attenzione a cosa si sta facendo realmente per l’altro e cosa invece per mettersi in una
posizione sopraelevata!

TRE – Strumentalizzare.
Non ci si riferisce solo all’Enneagramma delle Personalità, che è effettivamente
uno strumento, ma alle persone. Dissociare l’individuo dall’enneatipo potrebbe trasformare una
persona in un numero, soprattutto in ambito lavorativo. Inoltre, invece di essere uno strumento per la
crescita personale, potrebbe diventare unicamente un mezzo per la crescita del capitale o del
prestigio. Non ci saranno mai reali risultati finché il lato umano rimarrà in secondo piano rispetto a
quello dell’interesse.

QUATTRO – Complicare. Il mondo interiore di un Quattro è estremamente ricco e variegato. Aggiungere


una conoscenza come l’Enneagramma delle Personalità potrebbe rendere ancora più macchinosi e
turbolenti i vari dialoghi interiori. Non serve protrarre ancora più a lungo i soggiorni in mondi
fantastici creati dall’immaginazione. Questo strumento serve a un Quattro per passare più facilmente
all’azione, per semplificare i processi interiori ed entrare con entrambi i piedi nella realtà.

CINQUE – Monitorare. L’esigenza di capire e scoprire senza passare dal reale rapporto umano potrebbe
essere fonte di un’ulteriore meccanizzazione della socialità. Lo studio delle personalità non dovrebbe
sostituire quel desiderio (accantonato) di vivere nel mondo. Può sì infondere sicurezza e garantire un
margine di prevedibilità riguardo al tipo di persone che potremmo incontrare nella vita, ma è bene
che tutto questo non diventi un’analisi fredda, imparziale e disumana!

SEI – Proiettare.
C’è già abbastanza paura in un Sei da non esserci bisogno di crearne dell’altra.
Conoscere i vari enneatipi potrebbe diventare problematico quando si arriva a temere che dietro ogni
angolo potrebbe esserci l’Otto della situazione pronto a prendersela con noi. Questo strumento serve
a un Sei per uscire dalla propria testa e tornare alla realtà, permettendogli di riconoscere l’aspetto
umano di ogni enneatipo, nei suoi dolori e nelle sue gioie.

SETTE – Autogiustificarsi.
Effettivamente, riconoscersi in quest’enneatipo potrebbe non sorprendere più
di tanto. “Grosso modo sapevo già di essere così!”, potrebbe dire un Sette. “Dunque, se sono fatto
così, che ci posso fare?”, potrebbe essere la domanda (retorica) seguente. Insomma, questa
conoscenza potrebbe rischiare di diventare ulteriore motivo di autoindulgenza. L’Enneagramma delle
Personalità può sì aiutare a riconoscere e ad accettare i propri limiti, ma se questi non diventano
oggetto di lavoro, potrebbero stringersi man mano sempre di più. Inutile cercare vie di fuga dalle
responsabilità verso se stessi.

OTTO – Colpire e affondare.


Abbiamo visto la capacità dell’Otto di scoprire i punti deboli di chi ha di
fronte. Bene, con in mano l’Enneagramma delle Personalità quest’abilità può raggiungere livelli
estremi. Se prima si colpiva di striscio, ora è possibile affondare molto più in profondità. Lo studio
di questo strumento non può prescindere dal contemporaneo utilizzo di una maggiore attenzione alle
conseguenze di ciò che si dice o si fa. Colpire per scuotere (e quindi aiutare) è molto diverso dal
colpire per affondare. Questa distinzione va maturata con grande cura.

NOVE – Giustificare a prescindere.


Un Nove sa annullarsi con grande facilità e mettersi in secondo piano è,
per lui, una risposta automatica. Imparando a conoscere questo strumento, potrebbe accentuare
ulteriormente questa tendenza non salutare giustificando i comportamenti di chi ha intorno,
considerando sempre di meno la propria posizione. Il lavoro va fatto dentro e non fuori, dunque la
giustificazione dell’altro dovrebbe iniziare dopo che si è preso contatto con i propri desideri,
ambizioni e sogni, non prima.

Come usare l’enneagramma


Già, ma qual è il modo corretto di utilizzare questo strumento? In realtà è sufficiente tenere a mente
tre regole guida.

1. Applicare su se stessi quanto si è studiato (e questo non si smetterà mai di ripeterlo). Non
deve rimanere una teoria!

2. Comunicare agli altri unicamente ciò che si ritiene di aver realmente compreso. Non serve
smerciare informazioni, ma è importante condividere esperienze personali intrecciate con
quanto abbiamo letto o studiato.

3. Ricordarsi che l’obiettivo è quello di realizzare la versione migliore di se stessi. Per


quanto la maggior parte delle volte vengano portati a galla gli aspetti negativi della
personalità, è fondamentale tenere a mente come la crescita avvenga spontaneamente man
mano che si osservano con oggettività e amore i nostri automatismi in azione.
L’equilibrio

U
n vicino di casa osservava da tempo Nasreddin intento a praticare un’attività molto bizzarra. Lo vedeva
dedicarsi con grandissima cura e con molta regolarità all’accudimento di quella che sembrava essere una
coltivazione di piante. Tuttavia, queste non riuscivano mai a maturare a sufficienza per diventare adulte perché
Nasreddin ogni volta le abbatteva e appiccava loro il fuoco.
Non sapendo trattenere la curiosità, all’ennesima semina il vicino si accostò al Mullah: «Cosa stai
piantando?».
«Ghiande», rispose Nasreddin.
Il vicino non ribatté. Si ripresentò diversi mesi dopo, quando lo trovò intento a sradicare le piantine che
stavano nascendo.
«Ma Nasreddin!», esclamò. «Perché ti disfi di ciò che hai seminato?».
«Perché ho visto che stanno nascendo querce, mentre io desideravo dar vita a un palmeto».

Una conseguenza caratteristica di chi approfondisce l’Enneagramma delle Personalità è quella di


farla fuori dal vaso o, per rimanere nella metafora di Nasreddin, di voler far nascere palme a partire
da delle ghiande. Se è vero che l’erba del vicino è sempre più verde, dunque anche le qualità dei
nostri vicini (intesi come enneatipi) rischiano di sembrare più appetibili delle nostre. Con questo
voglio dire che esiste la tentazione di voler diventare ciò che non si è.
Abbiamo visto nei capitoli iniziali la differenza tra essenza e personalità: la prima è ciò che
siamo davvero, mentre la seconda è qualcosa che deriva dall’esterno e può essere modificata più
facilmente. Se il nostro enneatipo nella sua essenza è una sfera, noi possiamo ricoprirla con un velo
(personalità) di diversi colori, ma la forma rimarrà sempre quella sferica. Eppure, la tentazione è
quella di far prendere al velo una forma cubica, cilindrica, icosaedrica eccetera. Questo perché, a
pelle, certi enneatipi ci piacciono di più e altri di meno, oppure perché pensiamo che con il solo
riconoscerci in un tipo abbiamo acquisito la possibilità di cambiarlo, o, ancora, riteniamo che
conoscere l’Enneagramma delle Personalità ci permetta di plasmare la nostra essenza a nostro
piacimento. Ciò è impossibile. Ho potuto notare che tra i più grandi motivi di insoddisfazione in
merito all’utilizzo di questo strumento, uno è proprio quello di voler giocare al “piccolo alchimista”.
Nella descrizione dei singoli enneatipi ho voluto dare la giusta enfasi all’argomento Ali e frecce
esattamente per questo motivo. Una delle magie in cui ci accompagna l’enneagramma è il
cambiamento, il quale può avvenire in direzioni piuttosto precise che possono ovviamente subire
variazioni a seconda dei sottotipi, delle ali che esprimiamo maggiormente e del nostro unico,
personale vissuto.
Il cambiamento iniziale avviene sempre nella personalità e spesso è sufficiente per farci
percepire un senso di progresso e crescita interiore. Solo in un secondo momento, quando cioè
avremo esplorato a sufficienza tutti gli orizzonti che il nostro enneatipo ci concede (quando cioè, ne
avremo conosciuto più e più volte sia l’inferno che il paradiso, prestandovi la giusta attenzione),
potremo parlare di trasformazione. Questa ha a che vedere anche con l’essenza.
Imparare a governare una barca è lavorare sulla personalità, modificare il percorso del fiume su
cui essa galleggia è lavorare sull’essenza. La mole di lavoro è profondamente diversa, ma
soprattutto: perché dovremmo metter mano sugli argini di un fiume? Spesso è sufficiente imparare il
metodo giusto per andare a esplorare le nuove anse che incontriamo lungo il percorso. In termini
pratici, lavorando sulla personalità posso arrivare a influenzare anche l’essenza. Ciò che mi permette
di riconoscere l’efficacia di uno sforzo effettuato sulla personalità è la sua permanenza. Se
puntualmente torno punto e a capo, il mio lavoro non ha (ancora) dato frutti. Se invece dopo un certo
lasso di tempo il cambiamento ha avuto un esito, cioè si manifesta quasi da sé e con la necessità di un
minor sforzo, significa che si è verificata una trasformazione. Possono essere necessari anche
numerosi tentativi!
L’obiettivo di questo studio rimane sempre quello di dare un solido riferimento al viaggiatore che
si avventura alla scoperta di sé.
Ora riporterò alcuni esempi di quale aspetto assume, in linea di massima, ogni enneatipo in
seguito a un lavoro su di sé che gli abbia permesso di ampliare i suoi orizzonti e di ritrovare una
certa consapevolezza di sé. I risultati raggiungibili con il solo lavoro sulla personalità sono a dir
poco eccezionali e assumono tutti l’aspetto di un maggiore equilibrio della persona rispetto alla
vita.

Equilibrio nell’azione

OTTO. Per questa personalità, uno dei traguardi più importanti è trovare l’equilibrio tra il creare e il
distruggere. Si tratta di aver appreso un sano interesse nel colpire per far crescere piuttosto che per
uccidere. L’esistenza ha finalmente pagato i suoi debiti, le dinamiche della guerra sono diventate tali
per cui si può cogliere appieno quali siano i vantaggi del prediligere la pace al conflitto.

NOVE. L’entusiasmo e il parlare di sé sono sintomi chiave per riconoscere un Nove che abbia
raggiunto un certo equilibrio. Riguarda quante passioni e interessi è in grado di portare avanti, a patto
che nascano finalmente da lui e non siano presi in prestito da altri. Percepisce in sé l’elevazione, ma
rimane al livello degli altri: non si sente né migliore né peggiore.

UNO. La salute di un Uno riguarda la capacità di apprezzare la vita così com’è. Man mano che il
giudizio, la critica e l’accusa diminuiscono, percezione e gioia prendono più spazio. Le sue qualità si
mettono al servizio di qualcosa di superiore, i suoi limiti non sono così insopportabili e, in fondo,
nemmeno quelli degli altri. Diviene un giudice imparziale ed empatico allo stesso tempo.

Equilibrio nell’emozione
DUE. Quando le relazioni con il prossimo non sono più gabbie né rapporti di reciproca dipendenza,
c’è finalmente spazio per un sincero amor proprio. L’approvazione altrui non è più qualcosa a cui
dedicare la vita. Le persone diventano compagne di viaggio a cui stare a fianco. Il donarsi è
finalmente una scelta arricchita di una sincera compassione e ascolto di sé e dell’altro. Non ci si
sente più soffocare ma si inizia a respirare la rinfrescante brezza della libertà.

TRE. Un enneatipo Tre è in equilibrio quando ha scoperto il suo lato autentico. Significa smettere di
essere per apparire e iniziare ad apparire per ciò che si è. È così entrato in contatto con ciò che il
cuore desidera. Le sue iniziative sono alimentate dall’autenticità piuttosto che dall’approvazione. Si
apre una nuova finestra verso le relazioni umane, dove si predilige la realtà dei sentimenti alla
manipolazione.

QUATTRO. Egli necessita di abbandonare l’ombra per scoprire da quale luce viene proiettata.
Accettarsi soffoca le negatività e porta ispirazione per nuove strofe della poesia della propria vita.
La vita è vissuta nella sinfonia di tutti i sensi, godendo del dono dell’interezza della propria presenza
in relazione alle tante sfumature dell’esistenza. L’equilibrio di un Quattro si trova nell’accettazione
di sé.

Equilibrio nell’intelletto
CINQUE. Affacciarsi alla vita con meno schemi e con più desiderio di contatto con l’aspetto pratico è
sintomo di un nuovo equilibrio per un Cinque. Quando è equilibrato, sa coinvolgersi completamente
in una situazione senza identificarsi, senza, cioè, percepire che qualcosa gli venga portato via. Per
quest’enneatipo scoprire che l’intelletto è al servizio della vita (e non viceversa) è un grande
traguardo.

SEI.Un enneatipo Sei equilibrato ha riscoperto una sana autonomia e non ha più timore della libertà.
Sa che la paura fa parte della vita e che questa non può essere un ostacolo all’espressione di sé.
Approdare alla visione della vita come missione lo rende vincente e stabile in ciò che afferma. Passa
dall’essere vittima delle proprie paure a protagonista del suo cammino sulla Terra.

SETTE. Messo da parte il desiderio di fuga, al varco c’è il fascino della profondità della vita. Da qui
può esprimersi liberamente nella sua ecletticità, diventando abile in molte cose senza smettere di
acquisire nuove competenze. Un Sette che abbia ripreso contatto con l’interiorità può riflettere al
mondo tutti i colori più brillanti che l’esistenza concede, mantenendosi saldo nel qui e ora, senza
proiettare ottimismo nel futuro.

Il capolavoro
Prendere in mano la vita e farne un capolavoro: che sia il nostro capolavoro, che non porti via spazio
ai capolavori degli altri, che non sia un’opera di mera (benché preziosa) estetica ma frutto della
consapevolezza. Ognuno di noi è una musica all’interno di un’armonia macrocosmica.
Nessun inferno è più angusto dell’altro e nessun paradiso è più desiderabile del proprio. Inoltre,
non esiste una salvezza permanente a cui ambire. Man mano che si progredisce nel lavoro sulla
propria persona, sarà evidente come le nostre meccanicità lasceranno spazio a nuovi automatismi più
congeniali e affini a ciò che siamo in realtà. Significa che quando impariamo a raggiungere un certo
equilibrio, gli sforzi necessari a vivere la vita che desideriamo saranno minori. Tuttavia, all’inizio e
per un certo lasso di tempo non potremo fare a meno di dover lottare. È importantissimo non
dimenticarsi strada facendo di cosa c’è di veramente importante alla base di questa lotta: l’amore per
noi stessi e per la vita in senso lato. Non per la nostra immagine, non per la nostra vanagloria o
arroganza, ma per ciò che siamo.
Ciò che ci tiene fermi all’inferno è il non saper direzionare il nostro più sincero affetto, il quale
si disperde dove tira il vento ed è suscettibile di ogni imprevisto o reazione avversa. Quando ci
riconosceremo come fonti inesauribili di amore, passione, dolcezza, entusiasmo, armonia, creatività,
ecco che potremo vederci per quello che siamo: dei re o delle regine seduti su un immenso tesoro, il
cui valore è direttamente proporzionale al bene che possiamo far maturare spendendolo. Questo è il
presente che ci spetta di diritto e che ci avvicina al paradiso in Terra.
Gestualità e dialogo interno

N
asreddin era diventato famoso per le sue reazioni inaspettate. Di fronte agli insulti, ringraziava. Di fronte a
un malaugurato imprevisto, saltellava di gioia. Pareva non poter fare a meno di indignarsi di fronte alla
cortesia altrui oppure di voltarsi dall’altra parte quando qualcuno lo salutava.
Sua moglie, stufa marcia di questo suo atteggiamento, un bel giorno, prima ancora che il marito potesse
scendere dal letto, si piantò di fronte alla porta della camera da letto: «Tu non esci di qui finché non mi spieghi
che diavolo ti sta accadendo!».
«Hai detto quasi bene, donna», rispose lui, «non è a me che sta accadendo qualcosa, bensì a te e a tutti
gli altri con cui ho a che fare!».

Con una buona dose di esperienza è possibile arrivare a riconoscere le varie tipologie a seconda
delle frasi che utilizzano più comunemente. Non solo: anche certi gesti potranno dirci molto
sull’enneatipo della persona che abbiamo davanti. Infine, ma questo può essere acquisito solo dopo
molto tempo, la stessa fisiognomica sarà sufficiente in molti casi per l’individuazione della tipologia.
Abbiamo visto come la nostra personalità funzioni da interfaccia con tutte le impressioni che
riceviamo dall’esterno. Com’è naturale che sia, non possiamo fare a meno di considerare la realtà
attraverso questo filtro.
Il comportamento assurdo di Nasreddin indica con evidenza come esistano maniere “solite” e
“insolite” di reagire a un evento. In questo senso, per chi continua a reagire agli eventi che si
presentano, la vita continuerà ad accadere, mentre chi diventa padrone delle proprie reazioni (non
per forza modificandole come fa il nostro Mullah, ma inizialmente anche solo osservandole)
imparerà l’arte dell’agire.
Immaginiamo, ad esempio, un’informazione visiva viaggiare su un raggio di luce. Giunge agli
occhi per poi essere trasformata in impulso nervoso che arriva al cervello. Prima ancora di toccare
le parti consce della nostra psiche, è il nostro inconscio a occuparsi della sua elaborazione. Una
volta elaborate le associazioni che la nuova informazione innesca con quelle già custodite nella
memoria, viene presentato al conscio un “pacchetto” già confezionato, pronto per essere riconsegnato
al mondo sotto forma di giudizio apparentemente mediato dalla nostra volontà.
Questi pacchetti sono quindi il risultato di reazioni automatiche dettate dalla nostra personalità e
non dalla nostra volontà. La maggior parte delle volte ci illudiamo di aver deciso qualcosa, in realtà
è quella macchina confezionatrice di pacchetti a occuparsi del grosso del lavoro, mentre a quella che
noi chiamiamo volontà rimane unicamente l’onere di decidere quando, se e come esprimere quel
determinato contenuto.
Finché non lavoriamo per sistemare la macchina confezionatrice, ovvero la parte più profonda
della personalità, non potremo sperare di avere reazioni diverse da quelle che abbiamo sempre avuto
nella nostra vita.
Tra le leggi a cui risponde questa macchina, va annoverata la legge di inerzia. Si manifesta
attraverso una progressiva ottimizzazione del confezionamento dei pacchetti, facendoli cioè giungere
al nostro conscio giorno dopo giorno in maniera più rapida e invisibile alla nostra possibilità di
intervento. Questo significa che finché nella fabbrica non entrerà qualcuno disposto a registrare
fotogrammi dei processi di questa macchina, non potremo mai accorgerci di cosa effettivamente
decidiamo noi e cosa invece ci è stato preconfezionato.
Questo qualcuno, l’Osservatore, ovvero quella parte di noi che osserva altre parti di noi, può
notare tutto ciò che può essere visto a partire dalla ricezione dell’informazione fino a quando questa
non esce trasformata. A un certo punto della nostra vita, infatti, potremmo ritenerci insoddisfatti dei
risultati della nostra personalità. Perché dobbiamo continuare a fare come abbiamo sempre fatto?
Come mai, nonostante i cambiamenti, ci sembra di continuare a girare sempre su noi stessi? Non è
forse ora di iniziare a cambiare qualcosa nella nostra vita? Probabilmente sì, ma nulla può essere
cambiato fuori da noi se prima non ci curiamo delle nostre reazioni. Non sono forse questi pacchetti a
causare la ripetitività delle nostre sofferenze? O ancora vogliamo illuderci che siano davvero gli
eventi esterni la causa dei nostri problemi?
È già stato ribadito più volte in questo libro quale sia l’importanza di osservarsi, ma valeva la
pena di riprendere in esame il tema. Quando, durante le nostre giornate, ci usciranno dalla bocca
delle frasi tipiche della nostra personalità che verranno ora elencate, avremo potuto verificare un
evidente risultato della macchina confezionatrice. In quel momento, di fronte a una certa persona o in
quella situazione, la personalità ha deciso al posto nostro di manifestare una certa reazione. Non solo
parole, ma anche gesti e posture. Perché? Come mai proprio ora? Dopo ripetute osservazioni,
rispondendo a domande come queste, con in mano la conoscenza del nostro enneatipo, si apriranno
delle reali finestre di trasformazione per la nostra vita.

Vediamo ora quali sono le frasi tipiche di ogni enneatipo recitate nella forma qui riportata o in
maniera simile. Vedremo anche un breve resoconto delle gestualità caratteristiche e
dell’atteggiamento interiore durante un dialogo, ovvero con quale tipo di fuoco di attenzione le
parole degli altri impattano quando arrivano a una certa personalità piuttosto che a un’altra. In ultimo,
una breve rassegna degli argomenti preferiti di ogni enneatipo: si tratta di propensioni automatiche. In
molti casi sarebbe bene che un enneatipo imparasse a parlare proprio di ciò che non ama
spontaneamente mettere in gioco, poiché nelle giuste dosi potrebbe aiutarlo a crescere.

Frasi tipiche

UNO

«Le cose si fanno bene o non si fanno!» «Chi fa da sé fa per tre»


Le espressioni automatiche dell’Uno spesso sono legate al senso di frustrazione di chi si trova in
situazioni in cui c’è molto da fare ma vede che gli altri non si adoperano alla stessa maniera.
Tende a puntare il dito e a elargire sguardi scettici tipici di colui che confronta l’informazione
ricevuta con la sua struttura interiore fatta di credenze e ideali. Gestualità vivace se ha a cuore
l’argomento in questione, altrimenti postura estremamente composta e rigida, con schiena dritta.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Probabilmente non è corretto…”. In genere, di fronte
a una nuova informazione, un Uno parte dal presupposto che quanto viene ricevuto non sia esatto
e quindi da correggere.
Ama parlare di: cosa si è fatto e cosa non si è fatto, come andrebbero fatte le cose, cos’è giusto
e cosa non è giusto.
Non gli interessa parlare di: gossip, pettegolezzi, frivolezze e questioni immorali (se non per
correggerle).

DUE

«So io cosa ti serve» «Ti do una mano» «Faccio a modo mio»

In genere un Due cerca di farsi notare attraverso gesti di disponibilità e di abbondanza, spesso con la
presunzione di sapere cosa serve o non serve a una determinata persona.
Si prodiga in gesti di disponibilità e apertura, rivolgendosi in maniera espansiva ma non
violenta all’interno degli spazi altrui, con fare invitante e seducente di cui non sempre è
consapevole. Può essere estroverso ma dando al tempo stesso segnali di timidezza. Ricerca
approvazione attraverso il sorriso.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Ti piaccio? Hai bisogno di me”. La lunghezza d’onda
della relazione è sempre quella del dare-avere. Chi sta dando di più? Chi di meno? Chi si
ritroverà in debito alla fine di questa discussione? Nessuno di questi pensieri viene processato
attivamente nella mente, ma è più facile considerarlo come un sottofondo emotivo, per quanto
talvolta sia molto difficile da individuare.
Ama parlare di: emozioni, altre persone, cosa servirebbe a chi. Crea un legame diretto con
l’altra persona.
Non gli interessa parlare di: questioni troppo logiche e matematiche, impersonali e fredde.

TRE

«Come ti sembro?» «Ho raggiunto quest’obiettivo»

Un Tre desidera rendersi interessante mettendo in mostra i suoi successi facendo attenzione a non
sembrare qualcuno intenzionato a pavoneggiarsi.
Utilizza gesti accattivanti destinati a far colpo. Dà voce alla parola quand’è sicuro e
determinato. Studia lo spazio per mettersi al centro dell’attenzione quando lo desidera. Sguardo
(ma anche dialogo) alla ricerca del feedback positivo negli altri.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Guardami come sono bello/bravo!”. Semplicemente,
un Tre desidera fare bella figura. Il concetto di fare bella figura può variare a seconda del
sottotipo e del contesto. Per un Tre ci sono cose importanti e cose che non contano poi tanto.
Dove ci sono cose importanti c’è competizione. Dove c’è competizione, c’è desiderio di
riconoscimento.
Ama parlare di: lavoro, risultati, opportunità, obiettivi e ciò che può creare compagnia.
Non gli interessa parlare di: discorsi troppo trascendenti e poco pragmatici.

QUATTRO

«Non puoi capire…» «Sento che…» «E se…?» «Io purtroppo…»


Un Quattro tende a richiamare l’attenzione su di sé cercando empatia con il prossimo attraverso
l’unicità della sua condizione.
Non sono rari sospiri e gesti di rinuncia. I movimenti sono limitati e contenuti, con rari
sprazzi di enfasi per ciò che affascina. Atteggiamenti cauti rispetto a possibili rischi di
aggressione verbale.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Sento questa cosa, quest’emozione si fa viva in me”.
Il ricco mondo emotivo del Quattro funge da centro di gravità. È più importante quanto sta
accadendo dentro di sé di cosa sta accadendo fuori. Il vortice emotivo sopraffà qualsiasi
esperienza, sostituendosi all’esperienza stessa.
Ama parlare di: stati interiori, esperienze, situazioni affascinanti, percezioni profonde.
Non gli interessa parlare di: ciò che trova grezzo e insensibile; superficialità e banalità.

CINQUE

«Decido io per me» «Ma cosa vuole da me?»


Per quanto non sempre un Cinque usi loquaci espressioni verbali, i suoi comportamenti legati alla
necessità di avere il suo spazio sono molto chiari.
Rimane in pose contenute e rigide, mentre occhi vigili e attenti sondano l’ambiente. Vorrebbe
essere invisibile, si nasconde dietro all’ironia e alle risate quando il discorso si fa personale.
Occupa il minimo spazio possibile cercando di posizionarsi vicino a una via di fuga.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Speriamo mi lascino in pace. Se proprio devo
parlare, dirò qualcosa di intelligente”. Raramente un Cinque sente la necessità di intervenire, ma
quando pare inevitabile, potrebbe sorgere una forte ansia. È importante che non gli sia portato
via più del dovuto. Il gioco è capire cosa gli altri vogliano da lui per evitare di venire ricattato.
Ama parlare di: ciò che gli interessa, esperienze legate alle sue passioni, scambi di pareri in
merito alle rispettive competenze.
Non gli interessa parlare di: cose frivole, grezze, emozioni e tutto ciò che può essere
considerato illogico.
SEI

«Meglio fare attenzione» «Dipende» «Cosa potrebbe succedere?»


Un Sei comunica attraverso domande che desiderano conferma dei propri sospetti. Mette paletti e
limiti alle proposte che affiorano in un discorso.
Generalmente composto, il comportamento può essere altalenante tra caloroso e diffidente.
Tiene le braccia conserte in segno di chiusura. Può assumere uno sguardo accattivante quand’è
sicuro di sé. Fa passi indietro se si sente sotto attacco (se è controfobico, al contrario, si fa
avanti). Presenta frequenti espressioni di scetticismo.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Sì, ma se accadesse questo o quest’altro?”.
Tipicamente, un Sei non vuole rischiare che possano verificarsi delle conseguenze nefaste
rispetto a ciò di cui si sta parlando. Ricevuta l’informazione, si sposta automaticamente
sull’aspetto negativo della questione.
Ama parlare di: incongruenze, motivazioni nascoste, argomenti che diano sicurezza e dei propri
dubbi.
Non gli interessa di parlare di: cose che lo carichino ulteriormente di dubbi. C’è amore e odio
per questo tema, dipende dal contesto. Temi che lo farebbero apparire un estraneo al mondo
della “normalità”.

SETTE

«Che esperienza!» «Ho un’idea!»


Un Sette stravolge la quiete di un discorso partendo per la tangente grazie a un’idea appena sfoderata
dal cappello, soprattutto se il clima si fa troppo pesante.
Movimenti repentini in seguito a periodi di quiete. Mantiene un’aria gioviale e sorridente.
Occupa lo spazio con la parola, seguendo associazioni mentali rapidissime. Mani e braccia
possono essere molto mobili. Anche da seduto, tiene i piedi in una posizione pronta al movimento.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Qual è l’aspetto positivo/divertente della questione?”.
Un Sette vede il bicchiere mezzo pieno, la faccia lucente e piacevole della medaglia. C’è un
filtro inconscio che scarta in automatico dalla sua attenzione tutte quelle informazioni che
potrebbero ricondurre alla sofferenza o al dispiacere. Proprio per questo suo atteggiamento
spontaneo, un Sette semina simpatia quand’è in compagnia.
Ama parlare di: possibilità piacevoli, eventi futuri, progetti, situazioni passate o ipotetiche
divertenti.
Non gli interessa parlare di: vita interiore poiché spesso è sinonimo di sofferenza. Degli
aspetti negativi della vita.
OTTO

«Ci penso io» «Ti spiego io come stanno le cose»

Tipicamente un Otto non esiterà a esprimere la propria opinione e si farà avanti dicendo la sua,
sfidando eventuali oppositori.
Riempie facilmente lo spazio con la sua presenza. I suoi movimenti sono decisi, così come i
suoi spostamenti. Gestualità invadente e diretta, con poca cura del proprio impatto sull’altro. La
testa si sporge in avanti per cercare il confronto, mani lungo il busto pronte ad agire.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “So io come si fa, mi prendo il mio spazio”. Il
confronto con l’altro è un mezzo per imporre la propria verità. I punti deboli dell’argomento
dell’altro vengono enfatizzati rispetto a tutto il resto e diventano l’unico tema di interesse. Un
Otto può avere difficoltà ad ascoltare. Il suo reagire prevede il tenere in pugno la discussione o
disinteressarsene completamente.
Ama parlare di: cose pratiche e dirette, aspetti terra terra della vita (cibo, lavoro), delle
proprie ragioni e di giustizia.
Non gli interessa parlare di: ciò che non è concreto, temi che richiedono passaggi troppo
arzigogolati, ciò che viene detto da chi a suo avviso è inconsistente.

NOVE

«Vedremo» «Non capisco», «È uguale»

Le frasi di un Nove tendono a disperdere il discorso nella nebbia del “forse”. Si rimandano le
decisioni e le domande altrui spesso non trovano risposta. Il confronto è evitato se c’è rischio di
tensione.
Si mette comodo, si rilassa appena può ed è monotono, inespressivo. Sfodera sorrisi di
circostanza per essere accettato. Sembra inserirsi al momento sbagliato e i suoi interventi
possono essere ignorati. Segue le linee del discorso tracciate da altri, giustificandole e
“allungando il brodo”.
Atteggiamento interiore in un dialogo: “Questa cosa va smorzata. Come mettere d’accordo le
varie parti?”. Un Nove è sensibile agli attriti verbali e non. Cerca di smussarli se questo non
prevede un intervento troppo appariscente.
Ama parlare di: temi che lo accomunino ai suoi interlocutori e che spostino l’attenzione altrove.
Non gli interessa parlare di: se stesso, di argomenti che richiedono forti prese di posizione.
Meccanismi di difesa

Nasreddin si trovava a passeggio per un’oasi riccamente verde. Decise in quella bella giornata di addentrarsi
tra i rami per andare a scoprire cosa fosse custodito nel cuore di una minuscola foresta.
Non fece in tempo a fare pochi passi che ricevette una sonora botta sul cranio. «Ahia!», esclamò. Un
cocco lo aveva centrato in pieno. Dolorante e stordito, fece dietrofront e si massaggiò con cura la sommità del
capo, sentendo crescere lentamente un bernoccolo. Mentre si massaggiava, il suo sguardo notò quanti altri
cocchi lo stavano aspettando. Decise allora di recarsi da un carovaniere per acquistare una protezione per il
suo capo: un bell’elmo di metallo.
Determinato a esplorare quell’oasi, si rimise in marcia, forte della sua nuova protezione. Riuscì ad andare
oltre il punto in cui era giunto la prima volta ma, nello stare attento a eventuali cocchi cadenti, non si era
accorto di aver piegato eccessivamente un grosso ramo che gli ostruiva la strada. Non appena lo lasciò, la
sua elasticità lo fece tornare indietro come una frusta, colpendolo in piena schiena! Di nuovo sussultò e,
dolorante, decise di tornare indietro. Si era fatto proprio un brutto pesto. Ma non volle mollare: per la gioia del
carovaniere, andò ad acquistare un’armatura e una sciabola, dunque ripartì.
Pensate che le cose da lì in poi siano andate meglio al povero Mullah? La minaccia di un serpente lo
costrinse a procurarsi un antidoto e degli stivali rinforzati. Un grosso macigno lungo la strada lo obbligò a
procurarsi corda e rampino. Per non parlare di cosa dovette fare quando si trovò quasi schiacciato da un
tronco!
Intanto la carovana stava per ripartire. Sua moglie lo chiamava a gran voce temendo si fosse perso, ma
finalmente lo ritrovò: era completamente bardato, una sorta di incrocio tra un cavaliere e una macchina
d’assedio. Trattenne un grido di spavento. Nasreddin si sollevò l’elmo e, tutto concitato, prese a raccontarle
della sua disavventura.
La donna lo ascoltò pazientemente per un breve lasso di tempo. Ben presto capì cosa stava succedendo
e non esitò a interromperlo con una frase sferzante: «Basta con queste storie, la carovana sta ripartendo,
rischiamo di restare qui per sempre. Comunque, invece di conciarti così, non ti sarebbe bastato stare più
attento?».

Potremmo accettare l’idea di essere giunti a questo mondo da un altro e di esserci dimenticati di
tutto, gradualmente o improvvisamente, dalla nascita in poi.
Abbiamo ricevuto un corpo e la possibilità di percepire attraverso i cinque sensi. Tuttavia
abbiamo dimenticato che le emozioni costituiscono una sorta di sesto senso atto a indicarci in quale
misura stiamo vivendo in accordo al vero motivo per cui siamo qui. Esiste, dunque, un mondo ideale
che abbiamo in qualche modo perso e uno reale in cui siamo immersi.
Una parte di noi, l’essenza, ancora ambisce a quel mondo perfetto e continua a portarci in quella
direzione, ma non conosciamo gli strumenti necessari per giungervi. La nostra personalità, infatti, si è
strutturata in risposta a un diverso tipo di esigenze, più terra terra (appunto) e meno a contatto con la
vera ragione per cui esistiamo. Vediamo bene come le imbottiture di Nasreddin siano superflue ed
eventualmente sensate per situazioni occasionali, ma non adatte ad ogni contesto.
Esistono dunque dei meccanismi che ci permettono di non provare più questo distacco o
sofferenza per l’apparente incompatibilità tra la nostra reale natura e la vita che stiamo vivendo. Si
chiamano meccanismi di difesa, ovvero dei modi automatici per difendere la nostra coscienza
dall’evidenza di qualcosa che non sarebbe soddisfacente in rapporto al nostro vero essere. In poche
parole, tanto più mi sto allontanando dal mio reale scopo, tanto maggiore è il lavoro dei meccanismi
di difesa per cercare di mantenere una situazione di equilibrio nella mia psiche.
Si tratta di un sistema di elaborazione dei dati che ci dovrebbe proteggere temporaneamente dai
“danni emotivi” che deriverebbero dal non dedicarci alla vita che possiamo ambire a vivere.
Purtroppo, come spesso accade, uno strumento utile, se utilizzato in eccesso e a sproposito, può dare
luogo all’esatto opposto di ciò che si desiderava. Proprio come nella storia di Nasreddin, potremmo
viaggiare più leggeri seguendo il consiglio della moglie e armarci di attenzione, piuttosto che di
precauzioni. Ecco perché è bene osservare e riconoscere i meccanismi di difesa ogni volta che
entrano in atto: sono un sintomo chiaro del fatto che non abbiamo preso la direzione dell’evoluzione
ma quella dell’involuzione.
La psicologia li conosce già da tempo. Fu poi Claudio Naranjo a individuare per primo il
meccanismo di difesa più caratteristico per ogni enneatipo. Gurdjieff, ancora prima di lui e senza
entrare nello specifico delle diverse personalità, li descrisse come ammortizzatori.
Ammortizzatori è un termine che richiede una spiegazione speciale. Ognuno sa che cosa sono i respingenti
dei vagoni ferroviari: degli apparecchi che ammortizzano gli urti. Nell’assenza di questi ammortizzatori, i minimi
urti di un vagone contro un altro potrebbero essere molto sgradevoli e pericolosi. Gli ammortizzatori attenuano
gli effetti di questi urti e li rendono impercettibili.
Dispositivi esattamente analoghi esistono nell’uomo. Essi non sono creati dalla natura, ma dall’uomo
stesso, benché in modo involontario. La causa della loro apparizione è l’esistenza nell’uomo di molteplici
contraddizioni; contraddizioni nelle sue opinioni, nei suoi sentimenti, nelle sue simpatie, in ciò che dice, in ciò
che fa. Se un uomo dovesse sentire, durante la sua intera vita, tutte le contraddizioni che sono in lui, non
potrebbe agire né vivere così tranquillamente12.

Ogni volta che ce la stiamo raccontando, oppure preferiamo non pensarci e così via, stiamo
utilizzando un ammortizzatore (o meccanismo di difesa). Serve a proteggerci temporaneamente da un
urto troppo forte e ci permette di assorbire una parte dello shock. È curioso, però, notare quanto ci
piaccia la comodità: dall’utilizzarlo per i grossi traumi, abbiamo iniziato a usarlo anche per quelli
più piccoli. Il risultato è che la nostra consapevolezza può posare gli occhi solo su una piccola fetta
alla volta della nostra interezza.
È importante ribadire e specificare che questi meccanismi, inizialmente creati da noi, prendono
ora vita in maniera assolutamente automatica e inconsapevole. Non solo: il loro legame è
strettissimo con l’autoimmagine che desideriamo presentare a noi stessi e agli altri. Soprattutto
quest’ultimo aspetto sarà più chiaro quando andremo a vederne il funzionamento per ogni tipologia.

UNO - Formazione reattiva

Quando si dice che l’Uno ha “la guerra in casa”, si fa riferimento esattamente all’effetto prodotto dal
suo meccanismo di difesa tipico, la formazione reattiva. Abbiamo visto come si tratti di una
personalità particolarmente sensibile ai concetti di forma, formalità e maleducazione, e come al
tempo stesso ospiti la Passione dell’Ira. Il forte attrito interiore che si ritrova a vivere è generato dal
contrasto tra l’immagine di sé che vuole mostrare (di persona a modo, precisa, corretta) e le basse
pulsioni che lo muovono. Vivere con questi opposti rischierebbe di condurlo alla follia. Dunque,
l’esistenza di suddetto meccanismo di difesa che preserva (per quel che può) la tranquillità di
quest’enneatipo dà come risultato il ritrovarsi ad agire l’opposto di ciò si che prova realmente.
Questo ha luogo con persone con cui si trova in minor confidenza (conoscenti, colleghi eccetera), con
le quali si ritroverà a sorridere quand’è furente, a essere cortese quando invece è scocciato e così
via.

DUE - Repressione

Per essere così attenti alle necessità, preferenze e attitudini altrui, il prezzo da pagare è quello di non
poter prestare attenzione alle proprie. Il meccanismo di difesa dell’enneatipo Due, la repressione, gli
impedisce di riconoscersi come bisognoso. Questo è funzionale per la sua immagine di persona che
ne ha in abbondanza, prosperosa, donatrice. L’attenzione è sempre rivolta fuori e mai dentro. È
importante ricordarsi del compleanno di un caro amico, fare il regalo azzeccato, essere presenti nel
momento del bisogno, ma non è altrettanto necessario che le altre persone facciano la stessa cosa in
ritorno. O meglio, non lo è fin quando non arriva la goccia che fa traboccare il vaso. Il meccanismo
di difesa della repressione alimenta l’immagine di chi dice “sono gli altri ad avere bisogno, non io”,
la quale è correlata alla Passione della Superbia.

TRE - Identificazione

Com’è possibile essere al tempo stesso il miglior dipendente della ditta, il più grande appassionato
di sport e il partner ideale? Il meccanismo di difesa del Tre, l’identificazione, lo spiega bene. Per
quest’enneatipo esiste il lavoro, esiste la famiglia, l’hobby, gli amici e così via. In ognuno di questi
ambiti eccellere è un obbligo. Mosso dalla Passione della Vanità, un Tre cerca in ogni modo di
essere il meglio possibile per il ruolo che ricopre. Per lui può essere molto complicato riconoscere
che esistono delle contraddizioni tra l’essere qualcuno che dedica l’intera vita al lavoro e al tempo
stesso essere il miglior marito o la moglie perfetta. Ho utilizzato quest’esempio come estremo per
arrivare al succo della questione: il “chi sono io?” dipende dell’approvazione altrui. Un Tre si
ritrova dunque a vivere una vita suddivisa in compartimenti. Il meccanismo dell’identificazione fa sì
che non possa avere una visione dell’interezza ma solo dei singoli ambiti, sacrificando così la
possibilità di contatto con la sua reale identità.

QUATTRO - Drammatizzazione

Il desiderio di attenzione da parte di un Quattro prende vita in una maniera particolare. Il vissuto
degli altri viene fatto proprio (introiettato) e inserito nel forziere già ricco di emozioni, le quali, una
situazione dopo l’altra, finiscono per trasformarsi in un “vortice”. Il meccanismo della
drammatizzazione è pienamente funzionale in una personalità che non può accettare di vivere una
vita qualsiasi. L’autoimmagine di quest’enneatipo, molto variabile nei dettagli tra individuo e
individuo, ha al nocciolo il desiderio di non essere come tutti gli altri. In questo, però, si perde di
vista la direzione che porta verso la propria vera natura. È il gioco della Passione dell’Invidia, la
quale permette sì di guardarsi dentro, ma facendo solo notare ciò che manca. A questo punto, per far
fronte a un forte senso di carenza, non rimane che richiamare l’attenzione esagerando queste carenze.
Drammatizzare significa sia esagerare, sia trasformare idee ed emozioni in immagini così vive che
potrebbero essere reali.

CINQUE - Isolamento

Quale meccanismo di difesa più congeniale dell’isolamento avrebbe potuto trovare una personalità
che vorrebbe essere semplicemente lasciata in pace? In realtà, dietro all’accezione più ovvia di
questo termine ne è custodita un’altra: si tratta di un processo finalizzato a isolare l’idea dal
contenuto. In poche parole, l’esperienza, invece di essere vissuta con mente, emozione e corpo, viene
relegata unicamente al mondo razionale. Un Cinque si sente al sicuro quando può tenere sotto
controllo ogni cosa. L’isolamento è raffigurabile come una saracinesca che viene chiusa di fronte al
caos del mondo là fuori. Il caos è costituito dalle emozioni e la saracinesca è ciò che separa se stessi
dal vortice emotivo che potrebbe distruggere la propria persona. L’Avarizia dà l’impressione di non
averne abbastanza da dare e di non essere in grado di sopportare il tumulto della vita. Saggezza e
competenza sono sia i mezzi per cavarsela da soli, sia gli strumenti per tenere a distanza contatti
sgraditi.

SEI - Proiezione

Per spiegare il meccanismo della proiezione è necessario tenere conto del forte desiderio di sentirsi
al sicuro presente nel Sei. Questo carattere si struttura intorno all’autoimmagine di persona
responsabile, dunque tutto ciò che potrebbe minarne l’integrità è bene che non acceda al proprio
conscio. Il risultato è quello di andare a cercare il colpevole là fuori da qualche parte, il quale viene
oscurato dalla propria ombra sotto forma di accuse. Un altro aspetto della sua funzione riguarda la
gestione della Paura. Impossibilitato a sostenere una tale carica di timori che potrebbero condurlo
alla paranoia, un Sei proietta su qualcun altro questa mole di sospetti, alleggerendosi di un grosso
carico. Il risultato è quello di una costruzione di nuovi demoni nel mondo esterno (politica, xenofobia
eccetera) a partire da quello interno (paura dell’ignoto, sospetto nel prossimo…), frutto di un
processo utile a basse dosi, ma autodistruttivo se reiterato. Vale anche nelle piccole cose: sguardi,
parole dalle dubbie intenzioni, allusioni inesistenti che tenderanno a ingigantirsi.

SETTE - Razionalizzazione

Un modo quanto mai efficace per non soffermarsi troppo a lungo su un dolore o su una sconfitta è
quello di ripromettersi che non accadrà più. Un Sette, non appena prende contatto con la sofferenza,
sposta il contenuto emotivo dell’esperienza a livello razionale senza approfondirne il significato.
L’analisi dell’accaduto diventa il considerare di aver imparato la lezione. Ecco cos’è la
razionalizzazione: la via di fuga esemplare quando tutte le altre sembrano non aver funzionato.
Questo meccanismo si mette al servizio della Gola diventando autogiustificazione. Un Sette non
chiama scuse le sue discolpe dettate dall’essere indulgente verso se stesso. Queste diventano
addirittura punto di forza per l’immagine di persona simpatica e brillante che desidera mettere in
mostra la propria genialità!

OTTO - Negazione

Apparire deboli non sarebbe in alcuna maniera tollerabile per quest’enneatipo. Le vulnerabilità,
spesso di carattere emotivo-relazionale, è bene che non emergano mai in superficie, per questo il
meccanismo della negazione è congeniale a un Otto: lo aiuta a pretendere che le sue debolezze non
siano mai esistite. La Lussuria non permette freni. Se si è perso qualcosa, lo si va a recuperare da
qualche altra parte. Per mantenersi forti non è possibile continuare a leccarsi le ferite a lungo, è bene
rimettersi presto in moto e continuare ad alimentare quell’autoimmagine di persona incrollabile. “Ciò
che non ti uccide, ti fortifica”, è vero, ma questo genere di lezioni è salutare solo fino a quando non si
vanno a compromettere la sensibilità e il contatto con la parte più tenera di sé.

NOVE - Narcotizzazione

La narcotizzazione è ben rappresentata dall’immagine di chi nasconde le cose sotto il tappeto. Non si
tratta di vigliaccheria quanto di non voler prendere contatto con ciò che è veramente importante
per se stessi. Richieste da parte di altri, decisioni importanti e scadenze incombenti sono “troppo”
per chi è disconnesso da ciò che vuole davvero. Per questo motivo un Nove si narcotizza, ovvero si
riempie di lavoro, televisione o un qualsiasi hobby. Affermarsi andrebbe a causare conflittualità, la
quale è sempre accuratamente evitata tramite l’autoimmagine di persona buona e gentile che si è
creata. L’Accidia prevede esattamente questo: annullarsi e farsi andare bene una vita che non è la
propria. La narcotizzazione funge da riempitivo, ovvero dà senso di pienezza nel fare tante cose
frivole per non pensare a ciò che invece conta davvero.

Equilibrio: meccanismi di difesa e osservazione


I meccanismi di difesa non sono nemici da combattere. Piuttosto, si tratta di sintomi di una
particolare condizione della nostra vita che attualmente non siamo in grado di vedere. Un po’ come
quando, per sapere se siamo influenzati, ci misuriamo la febbre, alla stessa maniera possiamo capire
se qualcosa non va osservando quando e quanto mettiamo in gioco i nostri meccanismi di difesa. Il
seguente triangolo è rappresentativo di cosa avviene nella nostra psiche. Il meccanismo di difesa
corrispondente alla nostra personalità tiene in equilibrio i due opposti, cioè il “come vorremmo
essere” idealizzante (indicato con +) e il “come non vogliamo assolutamente essere” evitante
(indicato con –). Senza rendercene conto, per via della nostra Passione, filtriamo attraverso una lente
quelle esperienze più intense e impreviste che potrebbero modificare il nostro equilibrio.

Senza queste polarità non avremmo alcun parametro di riferimento in grado di dirci se stiamo
vivendo la vita in maniera congeniale alle nostre esigenze più basilari (per gli istintivi il bisogno di
indipendenza, per gli emotivi il bisogno di attenzione, per i razionali il bisogno di sicurezza; le
preoccupazioni dettate dal sottotipo eccetera).

Enneatipo Come vuole apparire Come non vuole essere


Uno Preciso Corrotto, cattivo
Due Generoso, abbondante Bisognoso
Tre Efficiente, di successo Inefficiente
Quattro Unico Ordinario, banale
Cinque Competente Incapace, ridicolo
Sei Responsabile Ambiguo, irresponsabile
Sette Simpatico Triste, intrappolato
Otto Forte Debole
Nove Buono Presente, conflittuale

La definizione di equilibrio vuole che le forze coinvolte diano una risultante nulla. In un esempio
pratico, prendendo come riferimento l’enneatipo Otto, se il “voglio essere forte”, cioè il polo
positivo (+), ha un’intensità pari a 10 (queste cose non sono quantificabili numericamente, ma ci
serviamo della matematica per aiutarci a comprendere) e il “non voglio essere debole”, cioè il polo
negativo (–), è pari a 10 a sua volta, c’è una situazione di stallo e il meccanismo di difesa non serve
a nulla.
Nella tabella è stato scelto il termine apparire al posto di essere per sottolineare la valenza
transitoria e non essenziale dell’autoimmagine della personalità. L’autoimmagine è una soluzione
congeniale in risposta a occasioni un tempo vitali, ora non più. Ciò che vorremmo essere è ben
diverso da ciò che ormai mostriamo per abitudine!
Tornando all’esempio dell’Otto, quando interviene un evento troppo forte sul polo negativo, ad
esempio uno shock che lo farebbe sentire troppo debole, l’equilibrio rischierebbe di rompersi. Uno
dei due valori si sposta dal 10 (diventando ad esempio 8) e, per la legge di inerzia che abbiamo già
citato (vedi capitolo precedente), l’equilibrio viene ristabilito il più velocemente possibile. Come?
Interviene dunque il meccanismo di difesa a compensare la differenza che è venuta a stabilirsi (2).
Cos’è successo? Un evento che avrebbe potuto modificare la staticità della personalità è stato
inghiottito dal meccanismo di difesa, il quale ha ristabilito la condizione precedente allo shock. Ecco
il punto fondamentale: il meccanismo di difesa ci serve per ristabilire un equilibrio vecchio,
facendoci tornare su un terreno sicuro, impedendoci di fare reali passi avanti verso nuovi orizzonti,
nuove esperienze, nuove possibilità di crescita. Interviene in qualità di polo riconciliante (indicato
con =).
Qual è, allora, la nostra speranza di evoluzione? Risiede nella nostra capacità di osservazione
dei fenomeni interiori, di come e quanto questi si specchino con ciò che si verifica al di fuori di noi.
Il meccanismo di difesa, prima o poi, si metterà probabilmente in moto. Tuttavia, possiamo
osservare lo shock destinato a scombinare l’equilibrio del sistema anche solo per un breve periodo,
in modo da comprendere come sia l’evento esterno a decidere al posto nostro, mentre noi stiamo
passivamente reagendo.

Per questo, man mano che come forza riconciliante applicheremo sempre di più l’osservazione e
di meno i meccanismi di difesa, saremo in grado di riconoscere come tutto intorno a noi cambia,
mentre noi fino a ora ci siamo inutilmente sforzati di rimanere come siamo, anche se abbiamo voluto
raccontarci di essere cambiati. Le spinte della vita ci offrono infinite possibilità di evoluzione, ma
noi rimaniamo impassibili. Desideriamo rimanere fermi nella nostra zona di comfort, convinti che
le nostre scelte siano ponderate e non dettate dall’abitudine. Ma come sa benissimo chiunque abbia
iniziato a fare un lavoro su di sé, è necessario compiere molti sforzi per smettere di soffrire per le
solite cose. Ciò che non ci è evidente è come crediamo che, continuando a reagire alla stessa
maniera alle situazioni, speriamo comunque di ottenere dei risultati diversi.

È difficile osservarsi mentre il meccanismo di difesa sta lavorando poiché è proprio quello il
momento in cui siamo maggiormente addormentati a noi stessi (passatemi la definizione). Con un po’
di pratica possiamo però osservarlo mentre sta funzionando e riconoscerlo dai nostri comportamenti,
dal tipo di discorsi che facciamo, mentre è più difficile capirlo da cosa stiamo o non stiamo
provando.
Di nuovo, non c’è chissà cosa da “fare”. Con in mano le conoscenze dell’Enneagramma delle
Personalità si imparerà presto che osservare è il nuovo fare. L’impazienza, il desiderare risultati qui
e ora, l’arroganza di chi spera di poter cambiare tutto solo dopo aver letto un libro, fa tutto parte
delle nostre illusioni. Il “voler fare” è una forma mentis di derivazione culturale, più che una
possibilità reale. La trasformazione si verifica spontaneamente dopo ripetute osservazioni. Il nostro
lavoro consiste nel non dimenticarci di osservarci soprattutto quando fa più male.
L’origine degli enneatipi

A
Nasreddin fu chiesto: «Chi è nato prima, l’uovo o la gallina?».
Il Mullah non perse tempo a rifletterci e così rispose: «Non lo so, io non c’ero».

A un certo punto potremmo domandarci: qual è l’enneatipo che si è formato prima? È possibile
ritenere che ci sia stato un periodo in cui non tutti i tipi erano presenti? Possiamo cioè ipotizzare una
comparsa progressiva dei singoli enneatipi sulla faccia della terra?
Ovviamente noi non eravamo presenti. Non possiamo assolutamente rispondere con certezza,
tuttavia possiamo formulare un’ipotesi sensata basandoci su determinate conoscenze, tra cui le
cosiddette Legge del Tre e Legge del Sette che troviamo citate più volte da Gurdjieff. Osservando
l’enneagramma (e come abbiamo visto nel capitolo delle triadi), possiamo notare come il triangolo
interno colleghi tutti e tre i centri della macchina umana (li ripetiamo un’altra volta: si tratta di quello
intellettivo, di quello emotivo e di quello viscerale). Il triangolo non collega dei punti a caso, bensì i
centri di ogni centro (3, 6, 9).

Gurdjieff, nei suoi insegnamenti, così come troviamo riportato in I racconti di Belzebù a suo
nipote, cita un processo denominato djarktlom, il cui significato esatto è bene che il lettore
interessato approfondisca in ricerche personali.
Ciò che ci interessa di questo fenomeno è che un singolo elemento, man mano che si muove
dall’unità alla molteplicità, tenderà a scomporsi in tre elementi. In poche parole, ovunque noi
vediamo solo polarità opposte esiste un terzo polo a se stante, spesso molto meno visibile degli altri
due. Tutti e tre i poli sono espressioni di un unico volto, il quale è a un livello superiore. Ad
esempio, cosa accomuna un tifoso del Milan e uno della Juventus? La passione per il calcio. Il
milanista e lo juventino sono uno il polo opposto dell’altro, tuttavia a un livello superiore non sono
affatto in contrasto.
Ecco spiegato uno dei motivi per cui abbiamo un triangolo nell’enneagramma: a partire
dall’unità, rappresentata dalla circonferenza, si formano, tramite il djarktlom, tre nuovi punti,
ovvero 3, 6 e 9.
Possiamo immaginarci la circonferenza come l’unità all’interno della quale si manifestano tre
nuove unità, rappresentate dal triangolo. Ma come ci spieghiamo la presenza degli altri punti sulla
circonferenza? Si tratta di una nuova suddivisione in altri tre punti. Ogni vertice del triangolo
fungerà da sorgente per un nuovo processo di djarktlom, dando vita a una nuova triade, arrivando
dunque alla totalità di nove punti sulla circonferenza.
In sintesi, da un singolo punto (la circonferenza) se ne formano altri tre (il triangolo con vertici 3,
6 e 9), dopodiché da questi tre se ne formano altri sei (1 e 8 a partire dal 9; 2 e 4 a partire dal 3; 5 e
7 a partire dal 6).
Trovo suggestiva tale riflessione: e se la circonferenza da cui parte tutto non fosse altro che il
vertice di un altro triangolo le cui altre due estremità ci sono completamente inaccessibili? La
risposta a questa domanda va oltre la nostra possibilità di comprendere.
Ma a noi interessa l’Enneagramma delle Personalità. Quali sono i risvolti a tale proposito?
L’ipotesi che possiamo formulare a questo punto è che gli enneatipi Nove, Tre e Sei siano enneatipi
primari, dove Otto e Uno siano invece derivazioni del Nove, Due e Quattro derivazioni del Tre,
mentre Cinque e Sette siano derivazioni del Sei. In poche parole, gli enneatipi dell’esade (cioè della
figura a sei punti) sono forme particolari degli enneatipi primari.
A tale proposito è affascinante lo studio portato avanti da Katherine e David Fauvre riguardo al
cosiddetto Tritype (che significa, letteralmente, “Tri-Tipo”). Stando al loro lavoro, un’ulteriore
elaborazione del Tri-Fix ipotizzato inizialmente da Oscar Ichazo, esiste una scala precisa con cui
ognuno di noi utilizza i vari enneatipi in se stesso. Non è vero cioè, che abbiamo solo un enneatipo,
bensì tre, dove i due addizionali appartengono ognuno a uno dei due centri diversi da quello a cui
appartiene il nostro.
Prendiamo un enneatipo Otto, il quale ha come centro dominante quello viscerale. Che ne è degli
altri due centri? È ben probabile che assuma le dinamiche degli enneatipi che vi appartengono.
Potrebbe usare il centro dell’emozione in maniera simile a un Tre piuttosto che a un Due o un Quattro
e il centro intellettivo similmente a un Cinque piuttosto che a un Sei o un Sette. Il suo Tritype sarà
così Otto-Tre-Cinque. Le combinazioni possibili, dunque, sono numerosissime, arrivando fino a
ventisette. Figuriamoci prendendo in considerazione le ali e i sottotipi: c’è ancora qualcuno che ha
paura di non essere unico?
Il tema del Tritype non verrà ulteriormente preso in esame in questo testo. Ci basti sapere che le
somiglianze con le altre tipologie possono trovare spiegazioni, ma non devono in alcun modo
rappresentare vie di fuga per non approfondire la conoscenza del nostro enneatipo.
L’esperienza insegna che gli enneatipi Nove e Sei (e talvolta Tre) sono coloro che più
difficilmente riescono a riconoscersi in una tipologia nell’Enneagramma delle Personalità. La
ragione probabilmente è proprio questa: sono enneatipi primari, ovvero il grezzo degli altri tipi meno
versatili e adattabili, ma dotati di maggiore specificità.
Ho appena parlato di verità o di pura fantasia? Forse entrambe le cose. Mi interessa stuzzicare la
mente del lettore, il quale spero mi perdoni per averlo condotto attraverso voli pindarici di questa
sorta. Intendo invitarlo a ragionare per analogia, non solo per analisi. Dopodiché è sempre il
confronto con la realtà fattuale a stabilire ciò che è vero da ciò che non è vero.
Intendo lasciarlo con questo spunto di riflessione legato a cosa accomuna per analogia e contrasto
i tipi primari (Tre, Sei, Nove) con i tipi secondari, ovvero una sorta di specializzazioni del tipo
primario corrispondente.
Se il Due è relazionarsi andando verso le persone e il Quattro è cercare di relazionarsi creando
distanza, allora il Tre è il relazionarsi facendo della propria immagine ciò che si vuole. A partire
dalla Passione della Vanità (Tre), ne nascono altre due più “specializzate”: la Superbia (Due) va
nella direzione dell’abbondanza, dove l’Invidia (Quattro) va verso quella della carenza.
Se il Cinque è razionalizzare cercando di scattare un’istantanea del mondo e il Sette è la mente in
eterno movimento, nel Sei abbiamo l’occhio del ciclone, il punto fermo intorno a cui tutto vortica.
Sia l’Avarizia (Cinque) che la Gola (Sette) sono dei derivati della Paura (Sei): nel primo caso c’è il
timore di essere impotenti, inermi, incapaci, dove nel secondo caso la paura è quella di essere
intrappolati e sofferenti. Nel terzo caso, la paura è a tutto tondo.
Se l’Otto è “si fa” e l’Uno è “non si fa”, il Nove è “lascia che accada”. L’Accidia (Nove) porta a
un generale disinteresse per ambiti vitali della propria esistenza, nonché a una disconnessione
dall’Amore, dalla Verità e dalla Perfezione. Questa Passione, più di tutte le altre, permea ogni
enneatipo, ma soprattutto i tre viscerali. L’Ira (Uno) si alimenta dalla mancanza di perfezione, dove la
Lussuria (Otto) vede un mondo estremamente ingiusto in cui è fondamentale farcela con le proprie
forze.
Ricordi d’infanzia

N
asreddin incontrò un uomo che stava coltivando la terra in maniera assai bizzarra. Sembrava fare la metà
della fatica e ottenere una quantità maggiore di raccolto. Incuriosito e insospettito, lo tenne d’occhio per
diversi mesi, convinto che stesse praticando stregonerie. Un bel giorno, senza nessuna prova in mano, ormai
saturo di rabbia e invidia, si precipitò nei campi e gli gridò contro: «Blasfemo, rivela il tuo trucco, altrimenti
giuro sulla mia testa che ti denuncerò!».
L’uomo sussultò. Voltatosi e riconosciuto Nasreddin, così gli si rivolse: «Venerabile Nasreddin, io non ho
nulla da nascondere. Anzi, vieni, ti mostro il mio metodo». E così lo accompagnò per i suoi campi, rivelandogli
ogni segreto.
Ebbene, Nasreddin non ne fu comunque soddisfatto. Avendo taciuto fino alla fine, quando fu l’ora di
allontanarsi, così lo lasciò: «Molto bene, caro il mio astuto vicino. È meglio che tu la smetta immediatamente
con queste diavolerie».
Di nuovo preso alla sprovvista, il vicino gli chiese: «Ma come sarebbe a dire, perché dici questo? Per
quale motivo dovrei tornare al vecchio metodo?».
A braccia conserte e tutto impettito, Nasreddin gli rispose: «Perché si è sempre fatto così».

Se accettiamo l’ipotesi secondo cui il nostro enneatipo si è formato a partire dai primi anni di età, o
addirittura prima della nascita, è molto interessante studiare la possibilità di riconoscere i diversi
ricordi d’infanzia. Quello che rimane maggiormente impresso è proprio ciò che più ci ha colpito e
condizionato emotivamente. Questo lo dice la psicologia come la fisiologia. Dunque non dobbiamo
sorprenderci se personalità diverse porteranno con sé memorie estremamente differenti tra loro,
benché abbiano vissuto nella stessa casa. Persino i gemelli omozigoti, di enneatipi diversi tra loro,
pur avendo vissuto l’intera infanzia fianco a fianco, raccontano passati che sembrano avere davvero
poco a che fare l’uno con l’altro.
Questa premessa implica che non andremo a parlare degli avvenimenti del passato, ma del nostro
ricordo di quei fatti. Dopotutto, chi parla della propria tenera età è sempre un adulto che ha già
sviluppato la sua personalità. Inevitabilmente racconterà tutto attraverso questo filtro.
Sarà interessante osservare come molti dei comportamenti che avevamo da bambini ricorrano
nell’età adulta. Non a caso la frase che troveremo riportata al termine della descrizione dei ricordi
d’infanzia di ogni enneatipo sarà adatta sia per il bambino che per l’adulto. Gli atteggiamenti del
tempo erano soluzioni ottimali a condizioni di un’età ormai passata. Ma allora per quale motivo oggi
dovremmo continuare a comportarci alla stessa maniera? Non è che lo facciamo semplicemente
“perché si è sempre fatto così”?

UNO - Bambino adulto

Confrontandosi con gli altri, un Uno si accorgerà subito di come la sua infanzia sia terminata molto
presto. Ricorda che il suo divertimento è stato a un certo punto sostituito dall’occuparsi di doveri più
importanti del semplice giocare. Ha assunto prestissimo il ruolo di adulto, generalmente in seguito
alla percezione dell’assenza di una figura di riferimento o perché le aspettative sul suo conto erano
molto alte. Ricorda l’inutilità dei rimproveri degli adulti, poiché sapeva già da solo cos’era giusto e
cosa no. Per questo motivo non mancano ricordi di punizioni ingiuste: perché punirmi se so già da
solo di aver sbagliato (e per di più mi sento in colpa)? Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Uno: «Non
importa se hai sbagliato, sei una persona buona, so che fai sempre del tuo meglio».

DUE - Bambino genitore

Un Due ricorda di aver dovuto fare qualcosa per poter ottenere l’amore dei genitori. Temeva che
senza adoperarsi o senza andare a prenderlo di persona, non l’avrebbe mai ricevuto. Ha fatto proprio
il concetto di amore non gratuito. Per questo motivo ha sviluppato sin da subito una forte sensibilità
per le esigenze altrui, diventando in certi casi addirittura il genitore dei suoi genitori o un sostituto
dei genitori per i fratelli e le sorelle. Ha imparato a farsi voler bene per come appariva, in ruoli
come “la principessina”. Soddisfare i propri bisogni era percepito come un atto egoistico e che lo
avrebbe allontanato dalla possibilità di ricevere amore, quindi li ha sostituiti con lo spirito di
sacrificio. Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Due: «Tu sei desiderato, non hai bisogno di fare nulla
per ricevere il mio amore».

TRE - Bambino prodigio

I ricordi di un Tre sono legati alle aspettative. Fin da bambino riteneva che senza portare a casa dei
risultati non avrebbe potuto ricevere le attenzioni dei genitori. Nei ricordi d’infanzia di un Tre sono
spesso presenti dei danni da riparare in ambito economico. Per questo motivo ha assimilato
un’attitudine (poi trasformata in una bussola per orientarsi nella vita) che lo spinge ad avere più
potere nella vita. L’affetto e le relazioni passano attraverso l’immagine vincente: a seconda delle
aspettative della famiglia o del gruppo di appartenenza, un Tre potrebbe aver sviluppato dall’infanzia
valori molto diversi da un altro Tre. Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Tre: «Vai bene per quello che
sei, per questo voglio conoscere i tuoi veri sentimenti. Non devi dimostrarti vincente per avere il mio
affetto».

QUATTRO - Bambino empatico

L’età dell’oro sperimentata nel passato è un’idealizzazione di un periodo perfetto e tristemente


irripetibile. Si vive come se il meglio della vita fosse già stato sperimentato. A un certo punto è
avvenuto qualcosa, in genere un abbandono, che ha spazzato via tutte le gioie e ha relegato il Quattro
al ruolo di chi doveva entrare in empatia con i dolori della famiglia o del gruppo di appartenenza.
Con il tempo se n’è andato anche il gusto della felicità. Entrare in contatto con gli altri attraverso la
sofferenza e la malinconia sembrava l’unica soluzione per essere desiderati. Si è sempre sentito
diverso dai genitori, dunque, senza potersi specchiare in loro non ha mai smesso di cercare se stesso.
Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Quattro: «Mi dispiace di non esserci stato. Desidero capirti, ti vedo
per quel che sei».

CINQUE - Bambino attento

Un Cinque ricorda di non essere stato di particolare interesse per i genitori o di aver subito frequenti
invasioni dei propri spazi. Ricorda di essersi sottratto volontariamente al contatto diretto e indiretto
(“non voglio darvi niente di mio!”). Un Cinque ha assimilato ben presto il concetto per cui il
relazionarsi con gli altri implica il coinvolgimento emotivo e quindi il rischio di perdere il controllo.
In famiglia si sentiva non al sicuro o addirittura non voluto. Coglieva l’occasione per stare da solo
per rifugiarsi in una visione oggettiva delle cose e nella conseguente elaborazione logica o
fantasiosa. Ritiene che il rifiuto da parte dei genitori lo abbia portato ad allontanarsi a sua volta
dall’affettività a favore della propria indipendenza, diventata sinonimo di non intrusione. Ciò che
vorrebbe sentirsi dire un Cinque: «Non voglio portarti via nulla, non invaderò i tuoi spazi e la tua
autonomia. Ascolto e rispetto i tuoi bisogni e le tue decisioni».

SEI - Bambino della famiglia

Il messaggio che è arrivato a un Sei in tenera età lo invita a conformarsi alle aspettative della
famiglia, posizionandosi nel ruolo di chi dà supporto. Si sente il bastone su cui si regge il gruppo. È
come se avesse firmato un contratto per cui è tenuto a prendersi cura dei membri della famiglia. Il
sospetto e l’attitudine a cogliere i significati nascosti sono nati, stando a quanto racconterebbe un Sei,
dall’imprevedibilità dei genitori, i quali alternavano promesse mantenute a comportamenti irrazionali
e instabili. Quest’enneatipo ha dunque vissuto nella dicotomia tra obbedienza e disobbedienza, da
una parte cercando supporto, dall’altra temendo di essere sovrastato dall’autorità genitoriale.
Quest’autorità è generalmente rappresentata dal padre, ma può trattarsi di qualsiasi figura atta a
ricoprire il ruolo di guida e autorità. Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Sei: «Comunque vada, sei al
sicuro. Non intendo voltarti le spalle e posso spiegarti il perché».

SETTE - Bambino positivo

Un Sette ricorda con entusiasmo la propria infanzia. Momenti felici, esperienze affascinanti, bei
viaggi e persone divertenti. Le sue memorie vanno spontaneamente all’aspetto positivo delle cose, in
realtà al di sotto di tanta spensieratezza si nascondono delle ombre su cui ha preferito non
soffermarsi. Queste sono presenti nella famiglia, la quale sembra avergli chiesto di portare solarità in
casa per compensare situazioni difficili. Per un Sette, il distrarre e il distrarsi con interessi, giochi ed
esperienze affascinanti è diventato tanto più frequente quanto più ingombranti erano le situazioni di
dolore e dispiacere da cui fuggire. Ha così iniziato a scambiare i momenti di silenzio per momenti di
tristezza e a non farsi vivo nei momenti in cui non poteva mostrarsi positivo. Ciò che vorrebbe
sentirsi dire un Sette: «Non devi farcela per forza da solo, ci sono persone su cui puoi contare».

OTTO - Bambino forte

Un Otto ricorda un’infanzia in cui era fondamentale essere presenti e forti per conquistare la propria
fetta di amore, cibo, giochi. Non ha trovato vantaggi nel rispettare le regole o nel comportarsi bene.
Fare a modo proprio, non indietreggiare di un passo e colpire prima di essere colpiti era molto più
funzionale alla sopravvivenza. Non mancano intensi ricordi di tradimenti o rifiuto, i quali hanno
segnato profondamente la sua storia personale. Per questo motivo un Otto direbbe che la sua
innocenza e la sua tenerezza sono terminate molto presto. La ricerca dell’amore da parte dei genitori
è stata sostituita da un forte desiderio di indipendenza, designato come unico modo per evitare
ulteriori maltrattamenti (fisici o psicologici). Non poteva fare altro che ripromettersi di non subire
mai più violenze di alcun tipo. Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Otto: «Non siamo in guerra, non
rischi di essere tradito. Se mostri il tuo lato tenero, non verrai colpito».

NOVE - Bambino adattato

I ricordi di un Nove sono generalmente positivi. Nell’infanzia andava tutto piuttosto bene: riceveva
le giuste attenzioni e c’era chi si occupava di lui. Questo era valido finché non avanzava la propria
opinione. In questi casi veniva schiacciato dalla volontà dei genitori o di chi per loro. Da qui si è
rassegnato all’idea che esprimersi è inutile poiché nessuno ascolterebbe. Assumeva il ruolo di
mediatore, cioè di colui che si mette da parte e cerca di conciliare i vari fuochi che avvampano. Il
risultato è stato quello di scomparire e di mettere la propria persona sempre in seconda posizione
rispetto alle altre, fino al punto da non avere una propria opinione in quanto tutte le ragioni altrui
sembravano valide. Ciò che vorrebbe sentirsi dire un Nove: «Sei importante ed è importante il tuo
punto di vista. Prenditi il tempo per esprimere la tua opinione, desidero sentirla».

Non lo si ripeterà mai abbastanza…


… qui non si danno colpe! Come abbiamo visto, chiunque abbia fatto qualcosa che non ci va a genio,
semplicemente non ha potuto fare diversamente. In questo senso, ritrovarsi di fronte ai propri ricordi
d’infanzia non è un motivo per attribuire colpe ai genitori. Specie perché, come abbiamo visto, le
nostre memorie sono filtrate dalla nostra personalità, quindi ovviamente ci focalizzeremo
unicamente su un tipo di ricordi a cui siamo maggiormente sensibili. Al tempo stesso, un genitore è
bene che non si senta eccessivamente responsabilizzato riguardo allo sviluppo di questa o quella
personalità nel proprio figlio. Con ogni probabilità si svilupperà un certo enneatipo a prescindere
dall’educazione. Ad esempio, un figlio non è “difettoso” perché è poco socievole. Potrebbe essere
semplicemente un Cinque! In ogni caso, l’Enneagramma delle Personalità è uno strumento per
comprendere ciò che accade senza sporcarlo con il giudizio. Qui non si danno consigli su come
educare i figli.
Aiutarsi a vicenda

A
Nasreddin venne chiesto: «Venerabile Mullah, dall’alto della tua grande saggezza, come ti prodighi
nell’onorevole arte di aiutare il prossimo?».
Così gli fu risposto: «Insegno a fare il pane a chi ha fame, getto nel fango chi si sente sporco ed elargisco
sberle a chi desidera attenzioni».

Una volta presa una certa confidenza con l’Enneagramma delle Personalità, sarà possibile imparare a
fare molta più attenzione a come relazionarsi con gli altri. I primi risultati arriveranno quasi
spontaneamente nel momento in cui inizieremo a notare certe nostre dinamiche tutt’altro che
costruttive.
Tuttavia, in un secondo momento, dopo le prime inevitabili sviste, potremo farci un’idea della
tipologia delle persone a noi più vicine. Benché sarebbe molto più onesto attendere che ognuno
arrivi a riconoscere da sé il proprio enneatipo, cercare di farsi un’idea su quello degli altri pare
inevitabile. Rimane comunque imprudente comunicare le nostre impressioni agli altri se questi non
domandano espressamente il nostro aiuto (e comunque, anche se dovessero farlo, è bene prestare
attenzione a non fuorviarli).
Qualcuno potrebbe interessarsi come noi alla conoscenza dell’Enneagramma delle Personalità e
quindi rendere molto più semplici le cose, ma è fondamentale rispettare anche la scelta (o non-scelta)
di disinteressarsene. I vantaggi che questo strumento può portare nelle relazioni sono a dir poco
eccezionali, ma i danni che possono essere causati dall’insistere nel cercare di propinarlo a chi ci
circonda non farà che suscitare effetti contrari a ciò che desideriamo: opposizione e allontanamento.
Qualcuno si sentirà studiato, altri ci riterranno impazziti o strambi. Sono tutte reazioni estremamente
umane e comprensibili. A tal proposito, piuttosto che farsi abbattere, è importante consolidare ciò
che abbiamo potuto acquisire. È fondamentale notare che non serve che gli altri conoscano il loro
enneatipo o abbiano il desiderio di parlare in questi termini affinché vi sia una crescita nella
relazione.
L’obiettivo di questo studio è di scrollarsi un po’ di “fango” di dosso. Ma cosa possiamo fare con
chi non ha intenzione di ripulirsi? Ricordiamoci che se l’Enneagramma delle Personalità è il mezzo
più congeniale che abbiamo trovato per mettere ordine alla nostra vita, non è detto che questo valga
per tutti. Ma soprattutto, siamo proprio sicuri di essere noi quelli puliti e gli altri quelli sporchi? Ci
siamo veramente gettati nel fango per poi esserne usciti forti di numerose lezioni apprese, o forse
stiamo solo puntando il dito con saccenza? L’arroganza intellettuale è sempre alle porte!
Vediamo dunque ciò che è fondamentale conoscere per relazionarsi nella maniera più congeniale
alle nove tipologie, nonché quali possono essere quelle piccole accortezze che possono permetterci
di essere più efficaci nell’accompagnarle.

Attenzione,
però: il passo dall’aiutare al manipolare è molto breve. Inoltre, prima di fare uso di quanto
verrà qui riportato, sarà fondamentale conoscere con certezza sia il proprio enneatipo, sia quello
dell’altra persona.

UNO

Spesso un Uno è un buon interlocutore, specie se lo si coglie in momenti in cui non è sotto pressione
per via dei suoi numerosi indaffaramenti. A seconda del grado di intimità, mostrerà più o meno
facilmente le sue ombre (frustrazione, rancore, malinconia eccetera). Ha un fortissimo bisogno di
prendere alla leggera le questioni che lo intrappolano in una gabbia di doveri che ritiene ineluttabili,
dunque è utile accompagnarlo nel vedere il lato positivo della medaglia. È bene fare attenzione a non
confondere l’ottimismo con la superficialità, che non farebbe altro che accentuare il suo malcontento.
Quando si entra in un dialogo con un Uno, sarà presto chiaro come quest’ultimo descriva la sua
situazione molto dettagliatamente e a tutto tondo, presentando anche le tentate soluzioni che non
sembrano aver portato ad alcun risultato.
Spesso la sua difficoltà nello spiegarsi certi comportamenti altrui risiede nel non capire come
mai non intendano migliorarsi o come mai siano così maleducati, sbadati, incoerenti. Più che mai in
queste occasioni è necessario presentare le diverse possibili interpretazioni agli stessi eventi,
cercando di non farsi influenzare dal suo giudizio che non ammette repliche. Sarà importante a tal
proposito fare domande mirate piuttosto che assecondare l’andamento del discorso. A un Uno riesce
difficilissimo concedersi il relax o un’uscita, dunque inizialmente osteggerà eventuali proposte di
questo tipo. Tuttavia, se la sua opposizione non è eccessiva, insistere con garbo e positività darà
buoni frutti in un secondo momento, quando ci si troverà effettivamente all’aria aperta. Come la
mettiamo con l’autocritica? È importante far notare la nostra comprensione e affetto anche di fronte a
eventuali errori o sviste di cui l’Uno si incolpa. Ai nostri occhi non ha alcun bisogno di dimostrare la
sua perfezione. Di fronte al dilemma di una scelta, è importante aiutarlo a chiedersi cosa sia
effettivamente bene per lui.

DUE

È facile avvicinarsi a un Due, ma non alla sua presenza. Trattandosi di una personalità cordiale, ci si
può ritrovare comodamente presi da una chiacchierata stimolante, ma in cui raramente si parla dei
suoi bisogni. Conosce le nostre preferenze e ci viene incontro come può, poiché questo è il modo che
conosce per mantenere saldo un rapporto. Un buon modo per sostenerlo è chiamarlo per nome e
asserire con fermezza che non abbiamo bisogno di quella cosa che ci sta proponendo mentre, per
altre vie, gli si comunica apertamente il nostro apprezzamento nei suoi confronti. Va bene ringraziarlo
solo quando fa per noi qualcosa che gli abbiamo espressamente richiesto. Un Due, più di altri, ha la
necessità di prendersi del tempo per sé, smettendo di sentirsi risucchiato da (o risucchiare) questa o
quella persona. Il tipo di rapporto che conosce si basa sul dare-avere, sarà quindi un’importante
sorpresa per lui scoprire che è possibile relazionarsi alla pari.
Ama parlare delle persone, specie di quelle da cui non sa di essere dipendente. È utile
domandargli se questo o quel rapporto sono veramente salutari per lui. È importante farlo riflettere
sul fatto che non rischierebbe di essere abbandonato qualora smettesse di dare attenzioni. Scoprire
che non comprometterà nulla ammettendo di avere dei bisogni può essere una grande chiave di
svolta. Riconoscendo le proprie necessità sin da subito, può evitare che si trasformino un domani in
delle pretese (in genere mai corrisposte). Un Due pretende il bene dell’altro, rischiando di
autodistruggersi a sua volta se questo non si decide a farsi salvare. È bene curarsi della sua grande
sensibilità alle critiche, premiando la sua spontaneità senza perdersi in troppi complimenti per ciò
che evidentemente ha fatto solo per ottenere attenzione.

TRE

L’atteggiamento positivo del Tre si fa tanto più visibile tanto maggiori sono i successi di cui si può
lustrare. Non solo, più si sentirà sicuro dei suoi obiettivi raggiunti, con maggior facilità intesserà
rapporti sociali. Ma quando le cose non sembrano andare così bene, si apre una finestra sulla
possibilità di ampliare il rapporto su un nuovo piano. Un piano che va oltre a ciò che si fa,
riguardante ciò che si è. Un Tre teme di non essere amato nel fallimento, dunque non ha bisogno che
gli si venda una sconfitta come un successo. Si tratta piuttosto di accompagnarlo nel comprendere che
perdere non significa perdere tutto. Spesso non si sofferma nei suoi sentimenti troppo a lungo poiché
sa rivolgere con rapidità la sua attenzione a un nuovo obiettivo. Nel breve frangente fatto di
sofferenza, ci può essere un contatto con l’interiorità, ambito nel quale non si trova a proprio agio,
ma dove potrebbe avere invece desiderio di essere condotto mano nella mano a riconoscere il suo
bambino ferito. Ma che non diventi una passeggiata troppo contorta! Non si tratterrà mai troppo a
lungo nel dolore in maniera costruttiva.
Un Tre è molto sensibile alle critiche. Spesso non cerca reali consigli, ma delle conferme rispetto
a scelte che ha già preso. In tal senso può essere utile aiutarlo a verificare se quella decisione sia
effettivamente in accordo a ciò in cui realmente crede o se invece è possibile aggiustare anche solo
lievemente il tiro. Va notato come cercherà di essere convincente e determinato nell’argomentare la
sua scelta, quasi come se volesse presentare un prodotto. Potrebbe essere necessario non credere
spontaneamente a ciò che esibisce con grande sicurezza poiché potrebbe stare usando noi per
convincere se stesso. Tutto ciò che lo può aiutare a mettersi in contatto col suo cuore sarà costruttivo,
dopodiché saprà benissimo occuparsi autonomamente di se stesso.

QUATTRO

Stare vicino a un Quattro può essere complicato, soprattutto perché cercherà di connettersi creando
distanza. Il gioco del tira e molla è basato su quanto accade quando l’altro non è fisicamente
presente. Un Quattro si domanda se questa persona lo stia pensando oppure no, quale idea possa
essersi fatta, cosa dirà o non dirà al prossimo incontro, lanciando volontariamente messaggi criptici e
contorti. Cedendo troppo spesso a questo gioco, si entra in un vortice da cui nessuno dei due ne
uscirà felice. Essergli di appoggio significa aiutarlo a riprendere contatto con la realtà. Per creare un
vero contatto è necessario mostrarsi sensibili, attenti e ricchi di ferite. Non si sentirà mai capito da
chi non ha sofferto o da chi non ha un bagaglio di esperienze sufficiente.
Fondamentalmente è molto difficile aiutare un Quattro a uscire dalla sua fossa, dove di giorno
lavora per salire in superficie e di notte scava ancora più in profondità. L’atteggiamento di scavare
sempre più dentro per trovare una risposta lo allontana continuamente dalla possibilità di un reale
cambiamento. Per questo motivo è utile aiutarlo a spostare la sua attenzione verso l’esterno. Può
trovare grandi tesori quando la mente si stacca dal sentimento e quest’ultimo si collega all’azione.
Ciò che desidera ardentemente è realizzarsi, per questo è importante incoraggiarlo a partire dalle
piccole cose, in genere opere artistiche di qualsiasi genere, dove la sua sensibilità può trovare
espressione. L’atteggiamento di un Quattro può sembrare quello di chi chiede aiuto per poi non
accettarlo quando viene effettivamente offerto. Non è sempre bene andargli incontro, né ha gran senso
dare soluzioni semplici ai problemi che presenta. Tra i vari enneatipi, è uno di quelli che più
difficilmente potrà essere smosso da altri se non da se stesso.

CINQUE

Il miglior modo per stare vicino a un Cinque è mantenere la distanza di sicurezza. Curarsi della
propria ingombranza e del suo bisogno di privacy è imprescindibile per mantenere un rapporto sano.
Il suo atteggiamento ritirato ed eventualmente silenzioso non dev’essere inteso come manifestazione
di antipatia nei nostri confronti. Un Cinque può essere attentissimo e premuroso, ma non smetterà mai
di curarsi del suo spazio vitale. Sceglie sin troppo spesso di non fare piuttosto che di agire poiché
osservare sembra già un modo di vivere. Chi gli sta accanto può invitarlo a partecipare al gioco della
vita in parte accompagnandolo logicamente, ma soprattutto invitandolo ad appoggiare il cervello sul
comodino e a muoversi!
Per quanto si mostri spesso freddo, è estremamente sensibile al senso di ridicolo. Quando decide
di aprirsi per dare un proprio parere, significa che si è lanciato in un rischioso gesto di intimità, per
questo è importante reagire rispettosamente. Queste manifestazioni hanno luogo più difficilmente se
si trova sotto pressione, più facilmente se gli si concede il giusto tempo per valutare e riflettere. I
consigli che è in grado di dare hanno sempre qualcosa di prezioso, è bene tenerne conto sia per se
stessi che per la relazione poiché il Cinque potrebbe essere molto sensibile alla nostra reazione.
Tipicamente, farà un passo indietro rispetto a chi sembra chiedere troppo da lui, mentre è più facile
che si apra in un momento di silenzio all’interno di un dialogo interessante. Non è una buona idea
intasarlo di discorsi frivoli, ovvero chiacchiere su tutto ciò che prescinde dai suoi spesso numerosi
interessi, i quali vengono utilizzati come parametro di misura per stabilire con chi avere un dialogo e
con chi no. Nella sua vita vorrà camminare da solo e con pochi eletti degni della sua fiducia,
frequentandoli nei tempi e negli spazi da lui stabiliti.

SEI
Sarà facilmente evidente come un Sei se la viva male di fronte ai temi del sospetto, della fiducia e
del senso di adeguatezza. Un Sei è perso in mezzo a tante autorità. Ogni ulteriore consiglio ricevuto
da persone fidate rischia di diventare l’ennesima influenza con cui fare i conti nella propria mente
sempre allerta. Per questo motivo è importante non dare consigli ma aspettare che prenda le sue
decisioni da solo. Un Sei valuta le cose in base alla loro normalità. Esistono, insomma, persone che
sembrano pensarla come lui (i “normali”) e coloro che non rientrano in questa categoria. Ritiene che
tutti adottino questo sistema di classificazione, per cui ha bisogno di tempo per riconoscere questo
suo meccanismo come prerogativa unicamente sua (e di pochi altri) e non di ogni individuo. Gli
servono numerose rassicurazioni di fronte a ciò che non è “normale”, poiché il diverso è
imprevedibile, ambiguo e fonte di insicurezza. L’unico modo di colmare certe differenze è quello di
giocare a carte scoperte. Un Sei, senza deciderlo, cerca significati nascosti al di sotto di ciò che non
è chiaro. La maggior parte delle volte darà più valore alle possibilità nefaste piuttosto che a quelle
positive. È quindi necessario rimanere saldi nelle proprie affermazioni senza confondere le acque.
Al tempo stesso serve mantenere il cuore aperto nell’assicurargli che qualsiasi decisione prenda,
noi saremo con lui. È fondamentale ascoltare senza tentare di intervenire per forza. Se un Sei abbassa
le difese di fronte a noi, significa che ci ritiene affidabili e l’ultima cosa che vuole è accorgersi di
venire studiato (per lui sinonimo di manipolato) da coloro di cui si fida. Può essere molto utile
accompagnarlo nel processo di cambiare punto di vista, specie quando si sente offeso per qualcosa,
domandandogli: «Ma secondo te, quella frase voleva veramente dire quello che hai inteso tu?».

SETTE

Stare in compagnia di un Sette porta allegria, pensieri positivi e spensieratezza. È raro che si presenti
triste o spento in presenza degli altri poiché in queste occasioni preferisce stare per i fatti suoi. È
capace di fare un brevissimo accenno ai suoi problemi per poi spostare il fuoco dell’attenzione dalla
parte opposta verso progetti, idee stuzzichevoli e racconti divertenti. Stando in sua compagnia si
aprono raramente delle finestre verso il dolore da cui avrebbe molto da imparare. È innamorato della
sua immagine di persona positiva e si frena dal mostrarsi per ciò che prova davvero poiché ha paura
di fare i conti con il dolore. Prima di poter capirne il valore ha bisogno di sbatterci la testa più e più
volte, per cui difficilmente darà retta a eventuali consigli.
È possibile invitarlo a imparare qualcosa solo quando egli stesso ha smascherato la sua
autoindulgenza, altrimenti non farà altro che giustificare i suoi fallimenti spostando le colpe al di
fuori di sé. Ciò che più lo colpisce è la tristezza. Chi gli sta vicino può fare da esempio nel mostrare
le proprie negatività senza però renderle troppo pesanti, dimostrandogli che è possibile affrontare
l’argomento senza che questo comprometta la qualità della vita. Un Sette cercherà di sviare il
discorso verso argomenti felici perché avrà il timore di entrare in eccessiva empatia col dolore
dell’altro, quindi lo scambio dovrà essere breve ed efficace. Criticarlo non farà altro che metterlo
sulla difensiva, mentre nella giusta occasione troverà costruttivo essere accompagnato a fare i conti
con le sue paure (di scegliere, di rimanere intrappolato, di soffrire). Talvolta potremmo avere
l’impressione di essere diventati il suo pubblico, quindi in queste occasioni è bene assicurarsi che il
dialogo non sia diventato unidirezionale.
OTTO

Relazionarsi con un Otto potrebbe essere complicato se ci offendiamo facilmente o se abbiamo


timore del confronto diretto. Di certo non c’è speranza di un rapporto sano se ci presentiamo a lui
con discorsi contorti, non calati nella realtà e troppo astratti o teorici. L’Otto ha una dote innata per
scovare menzogne e decide rapidamente chi gli piace e chi no. Si otterrà poco altro che parole dure e
sconvenienti se non ci si mostra saldi nella propria posizione, poiché quest’enneatipo colpisce
duramente chi si mostra inconsistente. Gli viene spontaneo mettere alla prova ciò che affermiamo,
dunque titubare o lasciar perdere sarà visto come segno di debolezza, il che verrà inteso come un via
libera per imporre il proprio carattere.
Ciò che può sgomentarlo è una sincera gentilezza o il prendersi la responsabilità di parlare
direttamente dei propri sentimenti, facendogli presente qual è stato il suo impatto sulla nostra
persona. Un Otto si rapporta attraverso una spessissima corazza e potrebbe essere per lui scioccante
avere a che fare con qualcuno che di proposito se la toglie. Conosce la forza delle viscere, ma la
forza emotiva è per lui un mondo più sconosciuto. Si rapporta spiattellando la verità senza porsi il
problema di come gli altri la prenderanno («fattene una ragione!»), dunque chi gli vuol star vicino è
bene che sia pronto a non crollare di fronte al suo impatto. Diversamente da quanto potrebbe
sembrare, la sua rabbia e le sue lamentele sono spesso indice di noia o bisogno di attenzioni piuttosto
che reali attacchi personali. È inutile ingaggiare una lotta quando il limite della sua pazienza è stato
ampiamente superato: è bene optare per una solida ritirata e tornare sul discorso quando le acque
saranno più calme. Di norma darà la colpa agli altri poiché sente di incarnare la verità, dunque ha
bisogno di essere accompagnato nella comprensione dei punti di vista altrui.

NOVE

A prima vista è semplice stare vicino a un Nove. È di buona compagnia, ascolta ciò che diciamo e
non sembra avere molti problemi. Ciò che sta accadendo, in realtà, è che si sta tipicamente adattando
alla nostra presenza. Quando l’energia attiva di chi gli sta accanto viene meno, rimane allo scoperto
la sua passività verso la vita. Può anche lavorare molto, ma mai per sé. Bloccato dal timore di
generare conflitto e quindi una separazione, si accontenta della sua vita attuale, senza aspirare a
cambiare qualcosa. Il suo atteggiamento positivo gli maschera le fonti di sofferenza, poiché ritiene
che tutto sommato non ci sia nulla di così importante nella vita. Qualsiasi sfida gli venga lanciata
rimbalza contro un muro di gomma.
Le frasi più tipiche sono «non lo so», «vedremo», «va tutto bene, dai», il che vuol dire che sta
prendendo tempo. Metterlo sotto pressione non dà risultati, mentre è produttivo lasciargli tempo e
spazio per rispondere. Serve pazienza. Insistendo si rischierà di sentirlo esprimere pareri non suoi.
Quando manifesta una preferenza, lo si può accompagnare a sondarla per capire se è veramente
importante per lui o no, dandogli il tempo necessario ad aprirsi. Non è abituato a pensare a ciò che
vuole, quindi potrebbe ben presto disperdere il discorso nella nebbia per via dell’eccessiva intensità
generata dalla situazione. Ha spesso ottime intuizioni su di sé, ma se ne dimentica presto.
Ricordargliele con fare moderato può aiutarlo, ma è bene smettere di fare pressione quando si mette
sulla difensiva: la testardaggine di quest’enneatipo non è un muro che si possa sfondare. Ha bisogno
di sapere che se prende una certa decisione, non comprometterà il rapporto con questa o quella
persona. Le sue scelte si processano per negazione: gli è più facile stabilire cosa non gli piace
rispetto a ciò che gli piace.
Amore meccanico o cosciente

U
n bel giorno il Mullah Nasreddin si innamorò di una formica. Tutto infatuato, non esitava a seguirla
ovunque andasse, affascinato dalle sue incredibili prestazioni.
«Oh, che zampette formidabili», sospirava pieno di ammirazione il Mullah, «e quelle deliziose antenne!
Come può il creatore aver dato vita a un essere tanto meraviglioso?».
Continuando a osservarla muoversi tra i suoi simili, la vedeva ogni giorno compiere immensi sforzi per
trasportare foglie e minuscoli rametti nel formicaio. In un lampo di genio decise di accorrere in suo aiuto.
Prese allora un grosso ramo ricco di foglie e lo appoggiò vicino al formicaio in costruzione: «Ecco, prendete
quello che vi serve», diceva mentre si allontanava a racimolare un altro ramo a suo avviso adatto.
Fischiettante e allegro, fece ben presto ritorno. Ciò che vide, però, lo lasciò atterrito: un picchio verde,
golosissimo di formiche, stava banchettando sul formicaio. Nasreddin, disperato, cacciò via l’uccello e solo
allora vide lo scempio. Ruotando la testa, si accorse subito di essere il responsabile del danno appena
provocato: strappando quel ramo aveva indotto l’uccello a uscire dal suo nido e a fare incetta di insetti.

La maggior parte di ciò che comunichiamo viaggia a livello non verbale. Da questo tipo di scambio
non è esente l’amore. Una delle principali cause di incomprensione nelle relazioni potrebbe essere
riassunta in una frase simile alla seguente: “Io ti voglio bene in questo modo, perché non lo
capisci?”.
Al tempo stesso, non viene presa sufficientemente in considerazione un’altra domanda altrettanto
importante, ovvero: “Se io ti voglio bene in questo modo, allora in quale modo mi vuoi bene tu?”.
Se nelle relazioni si facesse chiarezza su questo, il numero di malintesi sarebbe drasticamente
ridotto. Non accadrebbe quello che è successo a Nasreddin, che, tutto intenzionato a far del bene, in
realtà finisce per combinarla grossa! Inoltre, come ben sappiamo, non tutti sono disposti a porsi e a
porre domande di sorta: ognuno di noi si trova in fasi diverse della vita e inevitabilmente qualcuno
con cui abbiamo a che fare preferisce non soffermarsi su certe questioni.
O, ancora, qualcun altro è continuamente immerso in queste tematiche da aver perso di vista il
nocciolo della questione. Quale nocciolo della questione? Semplice: la differenza tra forma e
contenuto. Il nostro sentimento di amore ha un contenuto unico che ci accomuna al mondo e al tempo
stesso è irripetibile. Tuttavia assume differenti forme, leggibili attraverso l’Enneagramma delle
Personalità.
L’intento di questo capitolo non è di ridurre l’amore a una banale scienza predittiva dei tipi. Si
tratta piuttosto di chiarire attraverso quali messaggi indiretti o non verbali vengono espressi l’amore
e l’affetto. È importante sottolineare che quanto verrà qui riportato si riferisce ai modi più
inconsapevoli di esprimersi. Non è questa la sede per stabilire quali siano i vari gradini della scala
che porta dalla forma più primitiva di amore, legata al bisogno, alla forma più evoluta, cioè l’amore
incondizionato. Man mano che si sale lungo questo percorso, l’amore che possiamo esprimere
assume sempre di meno le sfumature di un enneatipo e sempre di più una qualità di apertura e
comprensione delle differenze. Un po’ come da un unico colore dell’arcobaleno si può tornare alla
luce bianca che l’ha generato.
UNO - Amore impegnato

In quest’enneatipo l’amore viene comunicato attraverso il sudore e il desiderio di migliorare la


relazione. Tra le altre sfaccettature, vi è da una parte il rispetto della privacy, dall’altro la
condivisione. Ciò che è mio è anche tuo, a parte ciò che per me è molto intimo (in genere nulla di
materiale) ed è bene che rimanga solo mio. Un Uno ama condividere i beni, desidera far star bene gli
altri così come sta bene lui. Al tempo stesso, però, ritiene necessario che tutti si impegnino in egual
misura. Il gesto di amore più caratteristico di questa personalità è di impegnarsi e lavorare sodo per
far andare avanti le cose nella relazione (o in famiglia). Un altro aspetto è quello di desiderare il
miglioramento dell’altro, della coppia in generale, delle abitudini. In questo senso va citato
Pigmalione, lo scultore che si innamorò e sposò una statua da lui realizzata, in quanto perfetta. Il
rischio, per un Uno, è di far prevalere sull’amore il suo desiderio di perfezionare il partner.

DUE - Amore dipendente

La relazione di un Due si basa sul rendersi più disponibile del necessario. Il desiderio di diventare
indispensabile si accavalla a quello del vero amore, trasformando il legame in una dipendenza.
Quest’enneatipo c’è anche quando non c’è bisogno di lui, vuole essere il primo pensiero del
compagno o compagna ma non vuole apparire bisognoso dell’aiuto dell’altro. Se potesse parlare
apertamente, direbbe: «Io ci sono per te, per me è importante che ci sia anche tu per me, ma perché
devo dirtelo? Non puoi capirlo da solo?». In poche parole, un Due si aspetta il riconoscimento
dell’altro anche se il suo comportamento, agli occhi del partner, parrebbe dire il contrario. La
relazione non inizia davvero fin quando il Due non ha iniziato a sentirsi utile in qualche modo. Una
volta dato a sufficienza, in attesa di pareggiare conti che non verranno probabilmente mai saldati, si
sposterà verso nuove conquiste al di fuori della famiglia (volontariato, nuove amicizie eccetera).

TRE - Amore che funziona

L’obiettivo, per un Tre, è quello di instaurare una relazione all’altezza dell’immagine che vuole
mostrare. Il traguardo può cambiare a seconda del suo fuoco di attenzione, può cioè trattarsi di un
certo tenore di vita, della famiglia perfetta della pubblicità, della coppia di vip che frequenta
ambienti prestigiosi. Un modello di famiglia o di relazione o di tipo di uomo/donna viene preso in
prestito dall’ideale collettivo e tutto l’impegno viene rivolto alla sua concretizzazione. Ciò che conta
è che il Tre e i suoi cari siano oggetto di apprezzamento. L’amore, insomma, è una cosa seria in cui
è necessario impegnarsi per raggiungere traguardi comuni. Quel che rischia di essere perso per
strada, però, è il vero sentimento che crea il legame, in quanto l’immagine ideale da raggiungere
potrebbe calpestarlo. Un Tre ama dando lustro e benessere alla famiglia, ma spesso a costo di non
essere mai in casa.
QUATTRO - Amore metafisico

L’amore del Quattro diventa tanto più intenso quanto più si sposta verso l’idealizzazione.
L’immaginazione tanto nitida di quest’enneatipo rende più reale l’immagine del partner della sua
stessa versione in carne e ossa. Il brutto anatroccolo che tanto vorrebbe essere bello, idealizza l’altro
affinché possa esserlo al posto suo. L’attesa del principe azzurro o della donna che “finalmente mi
capisce” crea una forte aspettativa inevitabilmente destinata a infrangersi contro la cruda realtà.
L’avere a cuore il rapporto si intreccia con il senso di carenza: paradossalmente, c’è tanto maggior
senso di carenza tanto più il rapporto è importante, rischiando così di rasentare il sabotaggio della
relazione. Un Quattro teme che il rapporto possa spegnersi, dunque desidera inconsciamente
attizzarlo creando turbolenza. Amore è intensità, tragedia, profondità, immaginazione, musica, spazio,
pieno, vuoto. Il classico “tira e molla” è sintomo di interesse al rapporto, contrariamente alla quiete
o all’apatia.

CINQUE - Amore fatto di spazi

Ciò che sfugge agli occhi degli altri è l’ipersensibilità caratteristica del Cinque. L’amore non è di
troppo, ma potrebbe essere troppo. L’affetto c’è, ma non sempre viene espresso apertamente, poiché
questo costerebbe veramente tante energie e un Cinque teme di non averne abbastanza. I silenzi,
l’attesa, l’ascolto e la fiducia sono requisiti fondamentali, dove invece l’ostentazione e i grandi
slanci di calore sono pericolosi terremoti. Per quest’enneatipo l’amore, come il resto della vita,
dev’essere fonte di sicurezza. Soprattutto, non deve sottrarre troppo tempo o energie agli interessi
personali. È bene non porre un Cinque di fronte alla domanda «Preferisci me o la tua passione?»
poiché la risposta potrebbe non piacere affatto. Per quest’enneatipo il solo fare lo sforzo di stare in
una relazione, o il riuscire a dare la propria fiducia e una parte di sé a un altro, è un grande segno di
amore. Questo non significa che sappia amare meno degli altri.

SEI - Amore vigile

Man mano che cresce l’interesse o l’attaccamento a qualcosa, parallelamente aumenta anche il
desiderio di controllo. Il Sei ha dei conti in sospeso con la fiducia e questo si riversa nella relazione.
Per quest’enneatipo amare significa non dare motivo al partner di dubitare di lui. Un Sei è presente,
disponibile, devoto, impegnato, attento, premuroso. L’effetto collaterale di quest’approccio, che da
una parte può essere fonte di tante garanzie per il rapporto, è l’attitudine a leggere tra le righe. Un Sei
per fidarsi ha bisogno di essere sicuro di potersi fidare, dunque è continuamente alla ricerca di
conferme (o di smentite). La relazione vive su due piani. Mentre quello superficiale è fatto di
concordia e complicità, quello sotterraneo potrebbe prevedere prove di fiducia e ricerche di motivi
validi per sospettare. L’amore, quindi, è appartenenza, è fare squadra, è coprirsi le spalle a vicenda.
Per un Sei la relazione è una cosa seria e può diventare rapidamente il centro di gravità della sua
vita, fino ad arrivare a una fusione totale. Deve fare attenzione a mantenere la sua indipendenza.

SETTE - Amore gioviale

Per un Sette non può esserci amore senza la giusta dose di libertà. Libertà di improvvisare, di
sperimentare, di scegliere, di vivere la giornata. I suoi rapporti possono essere duraturi come quegli
degli altri, a patto che non siano vincolanti: è fondamentale che sappia che una via di fuga c’è, anche
se non verrà mai utilizzata. Quest’enneatipo ama portando sorriso, leggerezza e spensieratezza nel
rapporto. Finché c’è imprevedibilità, entusiasmo e spirito di iniziativa, un Sette si sta realmente
dedicando alla relazione. Se, viceversa, tende all’apatia, alla critica o alla lamentela, è possibile che
il rapporto lo stia soffocando. Le difficoltà della relazione vengono apparentemente sorvolate. La sua
attenzione si sposta sempre verso il lato positivo e il futuro. Amare, per un Sette, significa godere
insieme dei piaceri della vita. Se il partner ha un problema, un Sette non si siederà con lui
accompagnandolo in profonde riflessioni. Piuttosto, metterà tutta la sua buona intenzione per fargli
tornare il sorriso spostando l’attenzione verso progetti o possibilità piacevoli, anche se questo
potrebbe risultare un’inopportuna superficialità.

OTTO - Amore di trincea

Per affrontare il mondo è importante sapersela cavare da soli. Agli occhi di un Otto, la vita schiaccia
i deboli e premia i forti. Per questo motivo coloro che ama devono essere pronti ad affrontare le
avversità dell’esistenza. Se il partner non risponde a questa richiesta, l’Otto si sentirà pienamente in
diritto di sfidarlo (e di calpestarlo) pur di ottenere una reazione, e tutto per il bene della personata
amata. Amare in questo caso significa addestrare alle dure regole della vita. Il suo amore passa
attraverso l’intensità, il confronto e la lotta. La forma è dura, diretta e spicciola. In
quest’atteggiamento è difficile per il partner arrivare a leggere un sincero affetto, poiché anche l’Otto
stesso talvolta potrebbe diventare sordo al suo amore per via dell’ingombrante urgenza di confronto.
Il lato tenero del rapporto ha poco spazio e va quindi intuito. La noia, manifestata in aggressività
sprigionata da cause futili, è una conseguenza quasi inevitabile per un Otto che non si trovi ad avere a
che fare con qualcuno all’altezza della sua presenza.

NOVE - Amore passivo

Per un Nove la conflittualità è l’anticamera dell’abbandono, per questo motivo in una relazione, per
lungo tempo, sembra essere in grado di farsi andare bene tutto. Accetta incondizionatamente l’altro,
assecondando le sue particolarità e scelte, rifiutandosi di notare eventuali distacchi o
incomprensioni, sormontando il tutto rinunciando a se stesso. Per un Nove, amare significa
accogliere l’altro annullandosi. La sua attenzione è continuamente spostata su come l’altro potrebbe
prendere questo o quell’altro suo comportamento, confrontando ogni sua decisione con l’eventuale
reazione del partner. Se non trova il modo di preservare la sua identità, il rapporto rischia di
diventare un legame morboso da cui è impossibile districarsi, dove le preferenze di uno e dell’altro
si mischiano e diventano irriconoscibili. Tra i sintomi dell’autoannullamento c’è il non avere
desideri, l’impossibilità di avanzare richieste e il lasciare tutte le decisioni in mano al partner. Un
Nove ha bisogno di sentirsi ripetere all’infinito che esprimendo il suo parere non comprometterà il
rapporto e che anzi noi (il partner) desideriamo ascoltarlo.

Dall’amore meccanico all’amore cosciente


La descrizione dei nove modi spontanei di amare non ha uno scopo profetico. Soprattutto, non vuole
funzionare da mappa degli incontri: cercare relazioni in base ai tipi fa perdere tutto ciò che c’è di
buono e bello nell’incontrarsi, confrontarsi e scoprirsi. Per fortuna non possiamo prevedere la
tipologia della persona che vorremmo incontrare, il che sventa qualsiasi tentativo di sorta.
Dopo aver letto questa breve rassegna, sarà chiaro come i messaggi inviati da un enneatipo siano
recepiti da un altro probabilmente in una maniera completamente diversa, generando quindi un certo
numero di malintesi.
Spesso mi viene rivolta la domanda: «Quali coppie funzionano e quali no?». Effettivamente
esistono coppie più probabili di altre, ma ricordiamoci che questo vale solo a livello inconsapevole.
Come già ribadito più volte in questo testo, finché vedremo la vita dal nostro piccolo angolino,
saremo in grado di tollerare solo certe esperienze. Per questo motivo ci ritroviamo sempre ad avere
a che fare con lo stesso tipo di persone. Certamente esistono predisposizioni naturali verso
accoppiamenti preferenziali (ed è proprio in base a queste predisposizioni che in genere
“decidiamo” di stare con qualcuno piuttosto che con qualcun altro), ma questo vale solo fin quando
non avremo fatto gli sforzi necessari ad ampliare la nostra visione verso la comprensione delle
infinite differenze individuali. In poche parole, è possibile relazionarsi con ogni tipologia, ma con un
dispendio energetico differente. Esistono incastri più semplici e meno stimolanti, altri più complessi
e intensi, altri ancora più temporanei e sfuggenti, e così via.
Dunque, quali considerazioni possiamo fare? Servirebbe un intero libro per descrivere nel
dettaglio i singoli possibili accoppiamenti tra i nove tipi (o un’enciclopedia se vogliamo prendere in
considerazione anche ali e sottotipi). Possiamo comunque stilare una serie di punti su cui portare
l’attenzione per un nuovo modo di leggere il rapporto.

1. Il primo punto, il più importante, è quello di tenere la nuova visione per se stessi qualora il
partner non accettasse di condividere la conoscenza dell’Enneagramma delle Personalità.
Inutile insistere. Piuttosto, è bene compiere i giusti sforzi per incarnare quanto si è appreso e
portarlo nel mondo sotto forma di testimonianza dei risultati conseguiti su se stessi. È bene
non sbandierare le proprie conoscenze al vento e non mettere il proprio cambiamento alla
mercé di giudizi altrui, specie in una prima fase.

2. L’amore consapevole non è meno vero, intenso, spontaneo di un amore vissuto senza l’aiuto
di una mappa che ci accompagni e ci spieghi certi meccanismi. Finché l’esperienza andrà di
pari passo con la conoscenza, ovvero si utilizzerà la conoscenza per comprendere gli
avvenimenti interni alla coppia, non si correranno pericoli. I problemi potrebbero sorgere
quando, per via di un utilizzo distorto della conoscenza, si dovessero costruire previsioni
nefaste o idilliache completamente dissociate dalla realtà.

3. Va ribadito che comprendere il proprio enneatipo ed eventualmente quello del partner non
diventa rilevante ai fini dello stabilire se un rapporto può funzionare oppure no.
L’Enneagramma delle Personalità, come già detto, non è una scienza predittiva. Se il
rapporto è arrivato dov’è oggi, non è per via dell’individuazione delle rispettive tipologie
che qualcosa dovrà cambiare. Piuttosto, il cambiamento può manifestarsi se, applicando
queste conoscenze su se stesso, uno dei due (o entrambi) inizierà effettivamente a
trasformarsi. A questo punto è possibile che si modifichino alcuni degli equilibri che si erano
generati all’interno della coppia. Certe cose potrebbero non andarci più bene, così come altri
tesori potrebbero sorgere inaspettati.

4. Se non siamo in una relazione o se vogliamo applicare questa conoscenza al di là della


relazione, ricordiamoci che questi schemi si possono ritrovare anche nelle amicizie più
intime. In poche parole, il modo che abbiamo di relazionarci con un partner può essere la
forma ancora più accentuata di come ci rapportiamo con amici, colleghi eccetera.

5. Le relazioni tendono a instaurarsi più facilmente tra sottotipi simili. Inoltre, il sottotipo
sessuale può emergere per più o meno tempo in chi instaura (o perde) una relazione
significativa.

6. L’interscambio è inevitabile. La relazione ci porta per forza di cose ad acquisire


caratteristiche della tipologia con cui siamo a contatto. In realtà si tratta di nostre peculiarità
sopite che vengono, per vari motivi, riportate alla luce dal rapporto.

7. Dulcis in fundo, l’amore ha infinite possibilità. Siamo noi a relegarlo in un piccolo spazietto
filtrato dai nostri preconcetti, paure e abitudini. L’amore cosciente non è gratis. La moneta
con cui si paga è lo sforzo. Lo sforzo nasce dalla necessità. La necessità dall’osservazione
che la nostra vita (e non gli altri) potrebbe darci di più. Se non siamo in grado di voler bene a
noi stessi, saremo condannati a elemosinare da altri ciò che crediamo di non poterci dare
autonomamente.

Il sentimento occupa uno spazio. Se in questo spazio ospitiamo uno stato di ricordo di sé, di
presenza, possiamo far rimbalzare tutte le emozioni-reazioni che inevitabilmente ci farebbero
disperdere. Se quello spazio è vuoto (o meglio, è disconnesso dalla nostra interezza), saremo in balia
di quanto accade nel mondo, e tutto ciò che è “io” non sarà che un riflesso di ciò che c’è fuori, cioè
la risultante tra la nostra personalità o karma (inteso come un insieme di causa-effetto) e le
accidentalità del mondo.
La tua libertà è in ciò che eviti

N
asreddin, un certo giorno, al suo risveglio mattutino, levando le braccia al cielo, fece questa preghiera:
«Dio mio! Inviami mille monete d’oro; se sono solo novecentonovantanove, non le accetterò!».
Udendo queste parole ripetersi, un suo vicino si disse: «Ora gli faccio arrivare quelle
novecentonovantanove monete; vedremo se me le restituirà».
Il giorno dopo le lasciò cadere, prima una a una, poi due a due, dall’apertura del camino. Dopo aver finito,
si mise in ascolto per conoscere la reazione di Nasreddin. Dopo aver ben contato le monete, le rinchiuse
molto tranquillamente, mormorando: «È la provvidenza che mi manda novecentonovantanove monete,
avrebbe potuto anche inviarmene mille!».
Il vicino, comprendendo che Nasreddin si era appropriato delle monete d’oro, se ne inquietò vivamente e
corse con tutta premura a trovarlo. Gli spiegò lo scherzo che aveva tentato e reclamò la restituzione delle sue
monete.
Nasreddin, con un tono dei più seri, disse: «Vicino! Hai perso la ragione? Pretendi forse di volerti
riprendere ciò che mi hai dato?».
Il buon uomo, stupito da questa risposta inattesa, si sentì male.
Lo pregò: «Andiamo Nasreddin, un buon musulmano come te può negare ciò che ha ricevuto?».
Passando oltre alle sue spiegazioni, Nasreddin assicurò che ignorava tutto di quelle monete. «In questo
caso», disse il vicino, «mi rivolgerò al tribunale per reclamare giustizia».
E con queste parole, si alzò per andarsene. Nasreddin: «Molto bene, ma il tribunale è lontano da qui. Io
non posso andare a piedi e, in più, non sono vestito in modo conveniente». Il vicino si vide allora nella
necessità di dargli un mulo con una bella sella nonché un mantello di pelliccia molto costoso. Andarono così
insieme dal Cadi, il giudice.
Nasreddin, assumendo il comportamento che conviene alla gente dubbiosa, parlò in questi termini.
«Quest’uomo è uno dei miei vicini. Ogni mattina conta il suo denaro. Il tintinnio piacevole del suo denaro è
dovuto sicuramente restargli nell’orecchio. Da parte mia, tutti sanno che non ho bisogno dei suoi soldi. In più,
è mai possibile che quest’uomo abbia perduto la testa al punto da pensare che mi abbia fatto dono di una così
grande quantità di denaro? Può una persona sensata concepire una tale assurdità? Domandate piuttosto, e
particolarmente a me, che specie di uomo è costui! Arriverà addirittura al punto di dire che è di sua proprietà
anche questa pelliccia che indosso!».
E infatti il vicino gridò immediatamente: «Ma sono io, con le mie mani, che gliel’ho prestata!».
Nasreddin proseguendo, imperturbabile: «Non dubito neppure che egli dica che il mulo sul quale sono
montato appartenga a lui». L’uomo di nuovo a protestare. A questo punto il Cadi, in un accesso di collera, mise
il burlone alla porta.
Nasreddin, rivestito con il mantello di pelliccia, montò sul mulo e arrivò a casa sua. Fece chiamare il vicino
che si torceva in una crisi di disperazione. Gli rese i suoi beni e il suo denaro non senza dirgli: «La prossima
volta, non provare a metterti tra Dio e le sue creature!».

Ci interessano principalmente tre stati di consapevolezza, che descriveremo come la morte, il sonno
e la veglia. «Lasciate che i morti seppelliscano i morti» (Mt 8, 21) è una frase dei Vangeli molto
discussa ed è rivolta a chi ha già effettuato la sua prima piccola grande resurrezione: ha smesso di
brancolare nel buio e ha saputo ricevere la grazia di poter cercare la luce.
Chi inizia a cercare non è più morto, può, cioè, sperare di svegliarsi ogni tanto e buttare uno
sguardo su ciò che è reale. Questi frangenti sono estremamente brevi e riguardano unicamente quelle
occasioni in cui ci ricordiamo di noi stessi, non siamo identificati, non siamo persi
nell’immaginazione, nel pensiero associativo (la nostra chiacchiera mentale) e così via. Ciò che
distingue uno che dorme da uno che è morto è la possibilità di svegliarsi. Ma nessuno dei due è
sveglio! La veglia non è uno stato che, una volta acquisito, perdura in eterno. Va riconquistato ogni
giorno, in ogni istante.
Ciò che un morto non può fare è cercare. Dunque, qualsiasi indizio concessogli dalla vita rimane
per lui assolutamente non visto. Anzi, scambia quell’indizio per maledizione e si sforza di evitarlo a
tutti i costi. Per questo motivo torniamo a qualcosa di già visto in questo testo, ovvero alla domanda
inziale.

Che cosa evito?


Ciò che evitiamo è esattamente ciò che potrebbe portarci da uno stato di sonno alla veglia. Un
“morto” non capirà mai questa cosa, solo colui che brama la veglia può trarne vantaggio.

UNO – evita: Ira/Umiliazione

Il campanello di allarme scatta quando il coperchio della pentola a pressione salta per aria, oppure
quando si combina il guaio dopo aver puntigliosamente corretto chiunque.
Il morto si abbandona alla frustrazione, incolpando se stesso e il mondo intero; chi vuole
svegliarsi sfrutta l’occasione per riconoscere la propria natura umana (e quindi meravigliosamente
fallibile).

DUE – evita: Bisogno/Abbandono

Le maschere cadono, i rapporti che si erano stretti con le persone finalmente assumono l’aspetto
reale: tutti quei favori concessi gratuitamente non sono stati sufficienti a ottenere l’attenzione,
l’affetto o l’amore di chi ci interessava.
Il morto punta il dito e se la prende con un’umanità ingiusta, sbagliata e soprattutto ingrata; chi
vuole svegliarsi cerca di cogliere l’occasione per riscoprire la propria individualità. «Chi sono io al
di là di chi sono per gli altri?».

TRE – evita: Insuccesso/Disprezzo

Un importante fallimento permette di sbattere contro la dura realtà: si pensava di essere quella
persona e di aver costruito un’immagine di valore. Ora, di fronte al fallimento, ci si sente nessuno.
«Che ne è rimasto di me?».
Il morto, o la fa finita del tutto o si lancia nell’ennesima illusione; chi vuole svegliarsi rimane
abbagliato dalle grandi menzogne che ha raccontato a se stesso e non ha pietà per ciò che ha fatto
unicamente per ipotetici occhi altrui.

QUATTRO – evita: Ordinarietà

Uno strano piattume sta prendendo piede… Ogni volta che ci si lancia in qualcosa sembra dover
andare a finire male per forza. «Ma non è che sono io ad autosabotarmi?».
Il morto decide di gettarsi in nuovi sogni o in situazioni al limite dell’imbarazzante; chi vuole
svegliarsi può iniziare a vedere come con sette note (non serve inventare l’ottava nota!) si possano
comporre melodie irripetibili.

CINQUE – evita: Vuoto/Ricatto

«Sei nudo, sei venuto allo scoperto! È stata fatta irruzione nel tuo castello inespugnabile e adesso
tutti i tuoi segreti si animano come vestiti che saltano fuori da armadi e comodini in un casa che
crolla».
Il morto preferisce dimenticare, costruire nuove pareti antisismiche e un fossato con coccodrilli;
chi vuole svegliarsi cerca di capire che il valore di ciò che si ha sta nel poterlo condividere e
mostrare agli altri, correndo il rischio che venga maltrattato. Nell’essere disposti ad affrontare una
tale prova vi è la più grande forza.

SEI – evita: Trasgressione/Ambiguità

Prima o poi doveva capitare, «l’hai combinata grossa», il mondo sembra puntare il dito contro
quell’errore e non vedere altro che quello. «Non hai fatto ciò che ci si aspettava da te». E adesso?
Il morto cerca giustificazioni e si arrampica su ogni specchio che trova per discolparsi; chi vuole
svegliarsi può vedere come dietro questa fuga e quest’accusa ci sia solo una grande paura, ma anche
la fiducia di affrontare le sfide che la vita presenta.

SETTE – evita: Dolore/Limitazione

I sentimenti hanno fatto breccia oltre quell’architettura di ottimismo. Anche se tutte le vie di fuga
erano state calcolate, è arrivato l’imprevisto che non ci voleva e che non può più essere aggirato.
Il morto “muore dentro” e monta ali di farfalla su un cadavere; colui che vuole svegliarsi può
cercare di capire come il proprio modo di porsi di fronte alle situazioni dolorose possa essere il
metro di misura della propria maturità e di quanto realmente si crede nelle scelte che si sono fatte.

OTTO – evita: Debolezza

L’evidenza di non poter avere il controllo su ogni cosa lascia spiazzati. La partita che si sta giocando
non permette di essere sempre all’altezza di tutto.
Il morto riparte alla carica, questa volta a orecchie tappate e con una scorza di insensibilità
ancora più spessa; colui che vuole svegliarsi impara a correggere il tiro, a distinguere la forza
dall’efficacia e a rimettersi nelle mani di poteri più grandi di sé.

NOVE – evita: Conflitto

Questa volta non è bastato smorzare tutto nella solita nebbia indefinita. I toni si infiammano,
l’impressione è quella di morire.
Il morto si svende pur di far tornare calme le acque; chi vuole svegliarsi può notare come dietro
ad ogni litigio vi sia tantissima energia, nonché la possibilità di maturare una propria identità.

Ecco come dentro i nove enneatipi, tutti meravigliosamente umani, siano custoditi i segreti del più
grande dono che possiamo ricevere: in ciò che evitiamo è racchiuso il nostro tesoro più prezioso.

L’ego è un velo tra l’uomo e Dio.


(Rumi)
“Caro enneatipo, ti scrivo…”

Caro Sette , ti voglio bene anche se condividi con me le tue preoccupazioni e i pensieri che ti
angustiano. Mi piace la tua luce, permettimi di apprezzare anche la tua ombra!

Caro Uno, ti voglio bene anche se appoggi per terra il mondo e per oggi non ti sacrifichi per
sostenerlo.

Caro Due , ti voglio bene anche se non fai niente per me, ti siedi qui e stiamo qualche minuto in
silenzio. Perché per una volta non parliamo di te?

Caro Otto, ti voglio bene anche se smetti per un attimo di combattere e mi mostri quel bambino ferito
che hai in te.

Caro Nove , ti voglio bene anche se mi dici cosa pensi, cosa vuoi, cosa ti piace… mi piace ascoltarti
finché hai voglia di parlarmi di te.

Caro Cinque , ti voglio bene nel tuo silenzio, rispetto i tuoi bisogni e i tuoi tempi. Mi piace quando
parli di te in prima persona.

Caro Sei, ti voglio bene anche se la tua voce esce dal coro. Voglio sapere da che parte stai non per
giudicarti, ma per scoprire insieme a te chi sei.

Caro Tre , ti voglio bene anche se non mi elenchi i tuoi traguardi e i tuoi risultati… mi piaci per quello
che sei, non per quello che fai.

Caro Quattro, ti voglio bene anche se sei quello che sei, nulla di più di quello che sei davvero, senza
sovrastrutture.
Caro amico, ti ricordi perché ti sei avvicinato all’enneagramma?
Ricordi cosa ti ha dato?
Com’eri prima di conoscerti meglio?
Puoi ringraziarti per aver saputo accettare un nuovo raggio di luce nella tua vita. Puoi ringraziare
chi ti ha aiutato a vederlo.
Rispetta i tempi di chi ancora rischierebbe di rimanere abbagliato dalla luce e per questo si
ritrae.
Questa lo sta comunque cercando.

Caro amico dell’enneagramma, sii vigile! Non metterti mai su un piedistallo. Se sei tra i primi,
non dimenticarti che sarai l’ultimo. Finché non avrai compreso ciò che significa, non arrogarti il
diritto di giudicare nessuno attraverso le conoscenze che hai appena acquisito.
Conclusioni

C
onclusioni? Che noia le conclusioni! Credo di aver parlato a sufficienza, quindi non mi
dilungherò troppo. Fino adesso ho fatto la mia parte, ora tocca a te.

Se sei stato attento, non sono mancati i rimandi a eventuali approfondimenti. Non a caso ho
inserito continuamente citazioni (superando abbondantemente la soglia della ridondanza) da un certo
libro, che in amicizia chiamo Frammenti.

Ciò che hai appena cominciato è un viaggio. Sappi che da quando hai intrapreso questo cammino,
numerose forze hanno iniziato a muoversi contro di te. Ma non temere, ce ne sono altrettante che
desiderano impegnarsi a tuo favore. Agganciale, fidati e buttati. Sei quanto di più prezioso hai in tuo
possesso. Non gettarti mai via, amati come se fosse il tuo ultimo giorno sulla Terra. Ama il prossimo
ricordandoti che, qualunque affronto tu possa ricevere, quella persona sta combattendo le sue
battaglie. Sii comprensivo, ma non guardare nessuno con pietà. Ricordati che non è possibile non
avere una filosofia: se la tua filosofia è quella di non avere filosofia, anch’essa è una filosofia.
Dunque puoi domandarti: sono venuto a questo mondo per caso oppure con uno scopo?

Non posso che lasciarti con il mio più sincero augurio di una vita ricca di esperienze e di lezioni
da imparare, affinché tu possa godere appieno della gioia e della magia che vi sono nel riconoscere
come il nostro compito non sia altro che quello di ricordarci il motivo per cui viviamo. Da lì, ogni
volta che sapremo tornare in contatto con quella fonte, le magie non smetteranno mai di accadere.

Ti abbraccio e ti lascio con quest’ultima dedica.

Non c’è nulla di più bello di…


un Uno che ritrova la gioia di vivere;

un Due che scopre la sua dimensione interiore;

un Tre che si scalda nel calore del suo cuore;

un Quattro che ritrova l’abbondanza;

un Cinque che vive l’amore che c’è nel donare;

un Sei che trabocca di fiducia;

un Sette che scopre il valore della misura;

un Otto che pareggia i conti con la vita;


un Nove che riscopre i suoi talenti;

una serata con gli amici;

un sentimento di completezza pensando al nostro ultimo giorno sulla Terra;

un amore che non ha nome né cognome, solo un cuore in cui vivere;

un lieto brindisi a chi non c’è più e ci attende altrove.

Caro amico, questo è solo un libro e puoi anche prestarlo, perderlo o bruciarlo. Non importa. Ma ti prego, considera questo:
non prestare, perdere o bruciare mai la tua vita. Arriverà il giorno in cui “domani” non ci sarà più. Fa che quel domani sia il
tuo oggi.

Luca
Ringraziamenti

I
l mio primo grazie va ad Angelo, messaggero di un insegnamento sotto gli occhi di tutti, ma che
necessita di qualcuno che lo indichi affinché il suo valore possa essere pienamente compreso.

Grazie a Marta e Annamaria, che mi hanno mostrato come sia possibile trasformare una
conoscenza complessa e ricca come l’Enneagramma delle Personalità in uno strumento semplice,
intuitivo e magico.

Grazie a Paolo e Merja per aver riconosciuto l’importanza di questo progetto e avermi donato
l’appoggio necessario.

Grazie ai miei cari compagni di viaggio Anna Maria, Samantha, Elisa, Enrico, Marta, Giuseppe,
Lia, Livia, Daniela, Christophe, Alberto, Claudia.

Grazie a Giorgio, Giulietta, Elisabetta per i nostri preziosi incontri. Grazie a Manuele per la
prefazione.

Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici del progetto Laboratorio armonico.

Grazie a Mattia per essersi preso il grande impegno di revisionare l’intero libro.

Ma il ringraziamento più grande va a Martina, compagna di vita e di lavoro su di sé, per avermi
accompagnato, consigliato, supportato e sopportato in tanti mesi di lavoro su quest’opera.

Grazie a te, lettore, per aver preso in mano questo libro. Mi auguro tu possa ringraziare te stesso,
al termine della lettura, per la scelta che hai fatto. Se così non fosse, mal che vada, potrai poggiare
questo comodo mattoncino sotto la gamba di un vecchio tavolo storto!
L’autore

Luca Giorgetti vive a Gambettola (FC). Pratica per tre anni la professione di farmacista, dopodiché
amplia le sue vedute, rivolgendosi allo studio dell’essere umano nella sua interezza, interessandosi
principalmente allo studio della possibilità di evoluzione intrinseca (ma non automatica) della natura
umana.

Attualmente è Operatore Olistico Trainer e docente del corso Counseling Olistico presso Art-In-
Counselling di Cinzia Lissi. Dal 2013 tiene corsi di formazione in tutta Italia di Enneagramma delle
Personalità, Quarta Via, 5 Leggi Biologiche, Movimenti di Gurdjieff e MBTI (Myers-Briggs Type
Indicator).
NOTE

Introduzione
1. Bennett, Elizabeth, Bennett, John G., Idioti a Parigi. Alla scuola di G. I. Gurdjieff. Diari 1949, Edizioni Mediterranee, 1996.

La storia dell’enneagramma
2. Ouspensky, P. D., Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Edizioni Astrolabio, 1976.

Il prezzo dell’evoluzione
3. Ibidem.

Enneatipo Due
4. Ibidem.

Enneatipo Tre
5. Ibidem.
6. Ibidem.

Enneatipo Cinque
7. Ibidem.

Enneatipo Sei
8. Gurdjieff, G.I., Vedute sul mondo reale, Neri Pozza, I Colibrì, 2000.

Enneatipo Sette
9. P.D. Ouspensky, op. cit.
10. Il lettore attento avrà notato una disposizione bizzarra di un intervallo: dovrebbe trovarsi tra si-do e non tra la-sol come è invece
riportato nella figura dell’enneagramma. La spiegazione di questa apparente stranezza è contenuta nel testo citato.

Enneatipo Nove
11. Castaneda, Carlos, Viaggio a Ixtlan, BUR, 2012.

Meccanismi di difesa
12. P.D. Ouspensky, op. cit.
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• 5 Leggi Biologiche,

• Quarta Via,

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