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Da: Storia dItalia, vol. 1, I caratteri originali, Giulio Einaudi Editore, Torino 1972.
anche in eccesso di tali componenti, la vegetazione delle piante superiori si attenua e perfino scompare, precludendo ogni possibilit allattivit agricola, prima ancora che si possa dire cessato il processo della
formazione del terreno, avviata dalla persistente vita microorganica ipogea. Per quanto riguarda il territorio italiano, le condizioni climatiche
maggiormente avverse sia alla pedogenesi, sia allagricoltura sono rappresentate dalla compresenza di eccessi termici e da difetto idrico per
periodi estivi dellanno che possono durare da un paio di mesi nel Nord
a cinque-sette mesi nel Sud; tale combinazione di fattori climatici, assai diffusa in pianura, ma riscontrabile anche in altitudine man mano
che si procede verso le zone meridionali, tipica delle regioni mediterranee e determina una duplice stasi vegetativa pi o meno espressa nel
semestre estivo e in quello invernale, anche se questultimo, specie nel
Mezzogiorno, concentrando la massima parte della piovosit e godendo
nel contempo di temperature miti, si presti in complesso meglio allo sviluppo delle piante e ai processi pedogenetici costruttivi.
Invero, adottando la scala climatica di Emberger per gli ambienti mediterranei, si constata che lItalia rientra nel settore comprensivo dei climi semiarido superiore (con piovosit annuale minima di 450 mm e massima di 600 mm) e subumido (piovosit di 500-900 mm), annoverando
per altro aree estese nelle zone pedemontane e sulle crinali alpine e appenniniche a clima umido (piovosit di 800-1200 mm) od anche perumido (piovosit di 1200-1500 mm ed oltre); quanto alle caratteristiche termiche invernali, si passa nello stesso ordine dagli inverni temperati (con media delle temperature pi basse nel mese pi freddo pari
a 3-5C) a quelli freschi (media di 0-3C) e infine freddi (media minore di 0C). Ne consegue una notevole variet di ambienti agrari e nel
contempo di suoli, questi ultimi largamente condizionati inoltre dallassai differenziata natura geologica delle matrici minerali, nonch dalla
configurazione orografica del paese, decisamente favorevole, nellinsieme, ai fenomeni erosivi. A questi contribuiscono in misura precipua la
distribuzione, lentit e la violenza delle precipitazioni: quantunque piuttosto irregolari da un anno allaltro (e ci costituisce uno dei principali
impedimenti ad unagricoltura non precaria nelle prevalenti zone non
irrigue), le piogge tendono a convergere nei brevi mesi invernali (clima
mediterraneo tipico) o nelle due stagioni intermedie (autunno-primavera, clima litoraneo)1, riversando talora in pochi giorni quasi la totalit
1 da notare che, pur rispondendo in complesso alle caratteristiche qui indicate dei climi umido-fresco e perumido-freddo, lItalia settentrionale specie per il tipo di distribuzione delle piog-
ge pi o meno nettamente prevalenti nel semestre estivo va considerata come zona di trapasso
che risente sia del clima continentale, sia di quello atlantico.
Non per questo riveste minore importanza la conoscenza delle situazioni di partenza, rivelatrici dei rapporti tra uomo e suolo, tra suolo
e sviluppo della societ. Per dare unidea sia pure sommaria di tali situazioni, converr anzitutto precisare che la zonalit climatica prima ricordata si rispecchia, anche se imperfettamente (per il sovrapporsi di altri fattori), nella zonalit latitudinale e altitudinale dei terreni, definendone le propriet pi generali, attinenti cio allaccumulo di sostanza
organica e al tipo di umificazione, da cui dipende essenzialmente il grado di fertilit agronomica o integrale del suolo. Cos, al clima semiarido proprio delle zone pianeggianti e delle basse colline dellItalia meridionale (isole comprese) corrisponde molto schematicamente una fascia di terreni quasi privi di humus attivo, sia per la scarsit dei residui
organici, sia per la rapidit della loro decomposizione e mineralizzazione o per la natura dei loro prodotti di degenerazione; la fertilit agronomica potenziale vi dunque mediocre, anche se suscettibile di essere
radicalmente migliorata mediante lirrigazione. Risalendo la penisola,
od anche solo le falde montane, si passa al clima subumido e nel contempo ai terreni alquanto pi ricchi di sostanza organica e soprattutto
soggetti ad un ciclo di umificazione pi lungo, ci che assicura loro un
maggior rigoglio vegetativo e una migliore rispondenza alle esigenze delle colture agrarie: vi si inquadrano in particolare alcune valli fluviali
dellItalia centrale e massimamente buona parte della pianura padana,
mentre in altitudine il predetto stato di cose viene compromesso non di
rado dalla ripidit delle pendici e dai connessi fenomeni erosivi, preclusivi nei riguardi della stabilit del suolo e seguiti dallaffioramento
della nuda matrice. Il clima umido interessa larco subalpino ai piedi della catena montana e nei suoi contrafforti, nonch la maggior parte della crinale appenninica: i terreni vi accusano processi di lisciviazione che
accompagnano quelli di deposito organico relativamente abbondante,
ma la cui umificazione procede alquanto lenta, con effetti talora negativi sulla fertilit attuale; a parte ci, in montagna simili terreni hanno
di norma uno spessore minimo, ci che ne limita ulteriormente lutilizzazione da parte dei vegetali. Una situazione analoga, ma esasperata,
corrisponde poi al clima perumido delle maggiori alture delle Alpi e in
qualche tratto degli Appennini, specie sul versante tirrenico.
In tale schema semplificato allestremo sinserisce, con tutte le sue
conseguenze per lagricoltura, la natura diversificata delle matrici, di cui
lo stato di disgregazione o di metamorfosi arreca necessariamente varianti supplementari ai terreni che ne derivano. Tali varianti, anzi, diventano non di rado determinanti per lopera che viene richiesta dalluomo nei riguardi del suolo e fanno s che una attenzione particolare va
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accordata a giusto titolo in Italia allorigine geologica delle matrici. Questa risale a tre formazioni principali: prepliocenica, pliocenica e quaternaria, alle quali si riconnettono rispettivamente le massime elevazioni
montuose, le zone collinari e quelle di pianura, le due ultime essendo
quelle pi interessate dagli insediamenti agricoli, mentre la maggiore differenziazione delle matrici si riscontra ovviamente nella prima formazione. Qui invero si annoverano le rocce granitiche e affini, gli scisti argillosi, le arenarie pi o meno cementate, i calcari marnosi, compatti e
dolomitici, alcune rocce vulcaniche, ecc.; le formazioni plioceniche per
contro presentano un quadro pi semplice, in quanto derivanti da depositi marini emersi per sollevamento della crosta terrestre, e comprendono matrici composte di ciottolame variamente grossolano, di ghiaie,
sabbie (in parte lacustri), di argille sabbiose e argille pure, materiale tutto non cementato e perci di norma instabile ed esposto a facile erosione; per altro, appartengono alla stessa epoca le maggiori manifestazioni
effusive vulcaniche sparse in varie zone del territorio. Infine, al Quaternario fanno capo essenzialmente i depositi diluviali e alluvionali procurati dai corsi dacqua e quindi costituiti di detrito di trasporto, pi
ricco di scheletro e di particelle voluminose vicino alle sorgenti o allo
sbocco delle valli montane, di limo e argilla presso le foci: in sostanza le
matrici sono analoghe a quelle dei depositi marini prima menzionati, ma
la loro diversa giacitura e la relativa stabilit conferiscono loro un ruolo differente nella genesi dei terreni, pi decisamente legato alla zonalit climatica e allincidenza della vegetazione.
I terreni che derivano dalle formazioni geologiche accennate risentono, come si detto, in misura maggiore o minore delle diverse matrici su cui si trovano a poggiare, e offrono pertanto possibilit ben distinte
alla loro utilizzazione agraria. Restringendo la casistica ai raggruppamenti di rocce pi comprensivi, comunque da rilevare che la stessa prevalenza delle formazioni montuose e collinari conferisce un peso non indifferente allinfluenza degli aggregati minerali che ne sono lossatura:
tra le rocce preplioceniche eruttive, i magmi granitici e sienitici, i porfidi quarziferi, come pure gli scisti cristallini (rocce metamorfiche), che
costituiscono larco alpino e si riscontrano per brevi tratti in Calabria e
in Sicilia (monti Peloritani), nonch occupano gran parte della Sardegna
nordorientale, dnno origine a terreni di scarsa fertilit, che abbiano subito processi di podzolizzazione in zone di pi alte precipitazioni (i podzol delle Alpi in altitudine) o semplicemente di lisciviazione (suoli bruni acidi, lisciviati, eventualmente pseudogley in ambiente umido della
cerchia alpina e prealpina; suoli bruni mediterranei in ambienti semiaridi o subumidi): tali terreni dnno sede di solito a una vegetazione arStoria dItalia Einaudi
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erbacea xerofitica, pi di rado di boschi degradati, e le lavorazioni agricole interessano largamente la stessa matrice, creando problemi tecnici
di non facile soluzione. Vi appartengono i regasuoli, i vertisuoli, e anche i suoli bruni, bruni calcarei e bruni mediterranei che coprono unarea
non indifferente dellambiente submediterraneo dallEmilia a tutto il
versante adriatico fino a Vasto; in Toscana emergono le argille plioceniche con le crete senesi e i calanchi e balze volterrane, che danno
i substrati pi impervii, sparsi inoltre in altre zone preappenniniche
dellItalia centrale (Valle Tiberina) e meridionale (Ariano Irpino, Potenza, Matera, Pisticci); meno ardue a coltivare le argille mioceniche,
presenti in larga misura in Sicilia centro-occidentale, nelle Langhe e nel
Monferrato, ecc.
Sorvolando su diverse altre formazioni di estensione limitata e distribuzione sporadica, resta a dire delle matrici di trasporto del Quaternario, diluviali e alluvionali, insediate nei compluvi e nelle valli fluviali, e che grazie anche alla loro costituzione eterogenea procurano
i terreni caratterizzati dal pi alto grado di fertilit integrale, anche se
ancor qui frutto in parte dellattivit antropica: ne il massimo esponente la Valle Padana, con una propaggine nel Vicentino, nel Trevigiano e fino al Friuli, con i suoi suoli alluvionali accompagnati a sud delle
Alpi da suoli lisciviati idromorfi a pseudogley e suoli bruni lisciviati, di
derivazione fluvio-glaciale, alquanto meno fertili, come la baraggia vercellese. I suoli alluvionali hanno laspetto di regosuoli profondi disposti
su sedimenti recenti e attuali, che possono essere a grana grossa (nel fondovalle), limoso-sabbiosi o limoso-argillosi (nel tratto medio della valle),
e infine prevalentemente argillosi (nel tratto basso), quantunque tale distribuzione sia tuttaltro che regolare: le plaghe pi fertili sono normalmente limitate alle ultime due formazioni, nonostante che anche queste
non siano prive di difetti, nella prima riscontrandosi talora in profondit orizzonti impermeabili (concrezioni calcaree e ferruginose, come
caranto, castracane, ecc.), nella seconda essendo piuttosto generale un
drenaggio difficile per la presenza di colloidi reversibili. Per altro, la costituzione fondamentalmente vantaggiosa dei terreni in esame, la loro
giacitura in piano e soprattutto la diffusione in essi, sempre pi estesa,
dellirrigazione (lacqua essendo il maggiore fattore limitante della vegetazione nella penisola e nelle isole), fanno s che i suoli medesimi ospitano di norma lagricoltura pi redditizia e pi varia, che spazia dai fruttiferi agli ortaggi e ai fiori, dai cereali alle piante industriali e alle foraggere, con possibilit della massima diversificazione e di rapida
conversione da un tipo di ordinamento allaltro. Simili condizioni tuttavia si riscontrano su appena un quinto circa del territorio, e fino ai
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torio), almeno nelle zone pi intensamente coltivate, anche se le misure per raggiungere il traguardo di un suolo agrario ideale fossero da caso a caso sensibilmente differenziate. Da questa interazione reciproca
tra suolo e coltivatore sono derivati non solo la elevata perizia agricola
in molteplici regioni del nostro paese e un potenziamento corrispondente
della fertilit agronomica del terreno, ma ne hanno tratto vigore le tecniche accessorie e le stesse industrie di trasformazione, inizialmente innestate in prevalenza sui prodotti agricoli. Pertanto, lincidenza del suolo sullo sviluppo storico della popolazione va ravvisata, nella maniera
forse pi esplicita, precisamente in quelle molteplici misure che lagricoltura elabor via via per rendere maggiormente efficiente la simbiosi
tra luomo e la terra: misure che con termine moderno si possono indicare come bonifica integrale. A questa dunque sar rivolta, nellesame che segue, una particolare attenzione.
2. Antecedenti alla fine dellImpero romano.
Non v dubbio che il primo condizionamento esercitato dal suolo
sulle scelte umane, e quindi sulla storia, sia stato quello che concorse, in
ogni epoca, nella determinazione degli insediamenti agricoli; e poich
da questi dipendeva in gran parte (se non esclusivamente), fino allera
industriale, la formazione continuativa e pi consistente della societ, i
rapporti tra colonizzazione agricola e natura del terreno presentano un
interesse eccezionale per chi voglia enucleare il ruolo esplicito del suolo nellevoluzione storica di un popolo. Purtroppo, manca tuttora in Italia una ricerca sistematica sullargomento che possa illuminare questo
particolare aspetto dellinterdipendenza uomo-terra, per cui una sua trattazione esauriente non oggi affrontabile: tuttal pi se ne potranno
prospettare alcuni elementi nel corso della presente esposizione e so prattutto nel capitolo successivo, che concerne la colonizzazione del territorio.
Daltro canto per, rester sempre difficile stabilire, fino a che punto in ogni insediamento considerato il suolo sia stato un fattore determinante della scelta, mentre di peso certamente maggiore ai fini dellindagine storica rimane il modo con cui il coltivatore ha reagito al condizionamento in questione, ora adattando le sue tecniche alle
caratteristiche del terreno, ora cercando di trasformare la natura di questultimo, adeguandolo alle esigenze di una tecnica elaborata altrove,
oppure combinando i due procedimenti in una soluzione di compromesso. Da tali reazioni dipende infatti lo sviluppo economico e sociale
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per circa duemila anni, con un apice verso la fine dellImpero, e diventer il problema principale dei rapporti tra luomo e il suolo sin da quando alluscita dallEvo Medio lagricoltura riprender la sua ascesa,
con linvenzione di nuove tecniche, e in pi favorevoli condizioni sociali: la soluzione integrale di tale problema potr dirsi impostata, se non
ovunque attuata, solo a met del secolo xx.
Tornando al declino dellImpero romano, v da sottolineare che insieme alla restrizione delle terre coltivate e alla diffusione del pascolo
estensivo, incontrollato e invadente, a quellepoca che avviene il primo grande e indiscriminato denudamento di vaste plaghe nella crinale
appenninica e nella sottostante collina, con la scomparsa delle foreste
preesistenti e con il depauperamento anche della vegetazione erbacea,
dando luogo ad associazioni floristiche assai degradate e talora irreversibili. Il fenomeno interess massimamente la fascia semiarida del paese, con terreni poveri di sostanza organica e pi esposti perci a rapida
degradazione, dato anche il peculiare regime delle piogge, violente e concentrate in brevi periodi, e traducentisi in corsi dacqua torrentizi di cospicua forza distruttiva. Lo stesso fenomeno, e per cause non dissimili,
si era gi manifestato con diversi secoli di anticipo in altre regioni del
bacino mediterraneo (Grecia, Asia Minore, Africa settentrionale), contrassegnate da aridit maggiore e nel contempo da stanziamenti umani
pi antichi. Per converso, risalendo la penisola e passando alla fascia subumida, leconomia pastorale era meno suscettibile di spingere la degradazione dei terreni ai predetti estremi e si tradusse pi che altro in
incoltura, che consent anzi non di rado la ricostituzione di una vegetazione spontanea, prativa e forestale, forse non molto diversa da quella
originaria, e comunque atta a ridurre il disordine idrico a proporzioni
pi modeste. Gi questo solo fatto veniva a predisporre condizioni pi
propizie per lo sviluppo futuro dellagricoltura nelle regioni pi a nord
rispetto ai maggiori centri tradizionali, e una volta fiorenti, della civilt
mediterranea: qui in piccolo si ripeteva il processo generale, per cui il
progresso della coltivazione della terra, che aveva avuto la sua culla nelle zone semiaride del globo, era destinato a spostarsi definitivamente
verso le zone temperate, meno aleatorie dal punto di vista pedogenetico nei riflessi delle possibilit produttive.
Gli imperatori romani, a cominciare da Augusto, avevano cercato di
contrastare labbandono delle terre e il dilagare dellincoltura, ma con
scarso successo: fra gli ultimi, Giustiniano estese listituto dellenfiteusi alle terre private (per quelle pubbliche il contratto in parola era da
tempo applicato), e Teodorico concedeva in propriet (a Spoleto,
nellAgro Pontino, ecc.) territori paludosi o deserti a condizione che veStoria dItalia Einaudi
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nissero riscattati alla coltura. Ma nei secoli v e vi le campagne erano ormai spopolate, e lo stesso numero complessivo degli abitanti metropolitani era dimezzato rispetto al periodo aureo dellImpero, essendo sceso
a soli 5-6 milioni. La maggior parte del grande dominio fondiario rimaneva incolta, lasciata in uso comune o del tutto abbandonata e vacante,
perch eccedente il bisogno di utilizzazione; le poche terre coltivate
ovviamente le pi fertili del fondo erano in mano a servi padronali (gi
schiavi) e a servi della gleba o coloni soggetti a prestazioni dominicali,
privi di incentivi a incrementare la produzione, di fronte allarbitrio del
possidente e allincertezza e alla disorganizzazione dei mercati. Le colture erano destinate essenzialmente allauto-consumo, e le tecniche culturali subivano una netta involuzione, lasciando da parte per lungo tempo ogni problematica rivolta alla pi razionale valorizzazione e al miglioramento del suolo.
3. Il Medioevo e la prima ripresa dellagricoltura.
I prodromi di una rinascita agricola vanno ravvisati nella nuova situazione in cui viene a trovarsi il coltivatore della terra dopo la conquista longobarda, nei secoli vi e vii, che spezza lunit del paese, tra la
Longobardia barbarica e la Romania bizantina. Se in questultima continua a espandersi una societ prevalentemente pastorale ereditata dallo scomparso Impero, nella prima la vita nelle campagne riprende in un
primo abbozzo della struttura feudale, allombra dei castra o casali fortificati, che presiedono il grande dominio curtense (talora regio o ecclesiastico); riprende in sede delle curtes o massae, corrispondenti alle villae romane di una volta, ora possesso di un signore barbaro che concede in enfiteusi o partinato (per dissodamento delle terre), oppure
livello (simile allenfiteusi, ma di minore durata e con obblighi di patronato), frazioni del suo fondo a coloni oriundi del luogo o suoi scherani, per avviare con lagricoltura quella formazione di ricchezza che era
stata lo stimolo allinvasione. In tal modo, almeno inizialmente, il coltivatore si trova a potersi comportare alla stregua di un piccolo proprietario quasi indipendente (data la relativa labilit del controllo dominicale), esercitando liniziativa dellimprenditore individuale sia nella messa a coltura di terre incolte, sia nella piantagione di viti e olivi, sia
nella sistemazione superficiale di terreni acquitrinosi, debole e incerto
tentativo di bonifica idraulica. Se questattivit rimane assai precaria
per la stessa instabilit delle improvvisate signorie e il ripetuto passaggio di altre schiere migranti, per altro verso proprio tali circostanze conStoria dItalia Einaudi
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cessivamente le repubbliche marinare di Venezia, delle coste meridionali, di Genova e Pisa (che dopo il 1000 sinsedia anche in Sardegna),
nascita che cerca di supplire con i commerci alla depressione delle terre, ma proprio con ci crea il presupposto per una ripresa degli investimenti agricoli (piantagioni di viti e olivi, opere irrigue), utili oltretutto
a procurare merce di scambio. Vi concorre pure loccupazione della Sicilia da parte degli arabi, che introducono fra laltro colture nuove
agrumi, cotone, canna da zucchero, zafferano, riso, gelso, carrubo, pistacchio , e nuovi metodi dirrigazione (con laghi artificiali e gallerie
filtranti, conche a sommersione, ecc.): ne vengono indotti nei terreni,
almeno localmente, processi pedogenetici rigeneratori, e il Mezzogiorno riemerge come sede di agricoltura ricca, raffinata e intensiva, ultimo
bagliore prima di una decadenza profonda e fino ai tempi moderni
irrimediabile. La svolta verso tale involuzione verr con la conquista
normanna (secoli xi-xii) che riporter il dominio del feudo nellItalia meridionale continentale e in Sicilia, come avverr in Sardegna con gli Aragonesi (secolo xiv); per altro, in quellisola, anche prima continua a prevalere leconomia pastorale, con la divisione temporanea delle terre messe a seminativo (Vidazzone: colture alternate a pascolo): e la natura
particolare dei suoli qui una evidente remora ad ogni innovazione.
Altrove ad ogni modo come in Italia centrale e settentrionale la
lotta fra le citt comunali e i grandi feudatari che si svolge nella medesima epoca sfocia nellaffermazione del mondo cittadino mercantile, con
uneconomia di scambio tra citt e campagna, che viene a sostituire quella dellagricoltura per autoconsumo. Non che nel cambio il coltivatore
venga a sortire una posizione sensibilmente pi vantaggiosa, in quanto
al feudo dellantico padrone subentra il latifondo o la tenuta del proprietario borghese, con conseguenze talora deteriori: infatti il potere
pubblico del feudo cede il posto al potere economico-giuridico del latifondista, privo di ogni cura sia pure formale per il benessere del
contado, che resta nellabituale condizione di inferiorit rispetto ai detentori del potere. Tuttavia non si tratta pi di uno stato di servit, bens di un rapporto contrattuale e monetario (colonia parziaria, mezzadria,
pi di rado affitto); si diffonde pure la piccola propriet contadina, anchessa interessata alleconomia di mercato. Questa viene esaltata dal
notevole aumento della popolazione, che postula a sua volta una migliore
valorizzazione dei terreni coltivabili, anzi una loro creazione laddove il
suolo esistente si appalesa privo dei requisiti appropriati. Invero, la consapevolezza del ruolo determinante della natura del suolo nei riflessi della produzione e soprattutto la sollecitudine per la messa in valore e il miglioramento dei terreni si manifestano di pari passo con lintensificaStoria dItalia Einaudi
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zione dellattivit agricola: fino a quando questa permane allo stadio primitivo, con finalit prevalentemente autarchiche e con ambizioni produttive modeste, il fattore suolo non ha modo di emergere nel condizionamento delle tecniche e delle iniziative della collettivit, e quindi dellevoluzione storica della medesima. Il nuovo assetto della societ,
viceversa, profilatosi con il sorgere dei Comuni, viene ad attribuire
allagricoltura una funzione speculativa con caratteristiche ignote al mondo antico e al regime feudatario: ci procura non solo un pi attento atteggiamento verso il potenziale produttivo dei terreni, ma anche lo studio di tecniche inedite per la sua esaltazione: alcune alla portata dei singoli coltivatori, altre coinvolgenti i poteri pubblici, che daranno lavvio
allopera bonificatoria propriamente detta, non pi destinata a spegnersi
fino ai giorni nostri e fortemente incisiva nel conferire al paese il radicamento della sua economia nelle risorse agrarie del territorio.
Le tecniche che pi direttamente vengono suggerite dalla costituzione del suolo riguardano la lavorazione e la sistemazione superficiale
del medesimo e la correzione del suo regime idrico. Se nel corso dellalto Medioevo il disordine idrico, prevalente durante la decadenza romana, non dovette subire un apprezzabile peggioramento, almeno da parte delluomo (data la mediocre densit della popolazione nelle campagne e lutilizzazione assai ridotta dei terreni), tuttavia gli agenti naturali
di degradazione, scatenati nellepoca precedente, avevano continuato
ad investire indisturbati vaste aree del paese, anche se in alcune di esse
lo stesso abbandono di ogni sfruttamento aveva consentito la ricomparsa
di una vegetazione spontanea, protettrice pi o meno valida contro lerosione. Nellet comunale il disboscamento riprese a intensificarsi sia in
pianura, sia in collina, con la messa a coltura di terre da tempo incolte;
e finch si trattava, sulle pendici pi scoscese, di piantagioni di viti, di
olivi o di agrumi (in Toscana, sulle coste della Liguria e del Mezzogiorno continentale, in Sicilia), la difesa del suolo veniva in qualche modo
ottenuta mediante le sistemazioni a terrazze, a ripiani, a fasce o a lenze; comunque a filari trasversali alla linea di massima pendenza; ma nei
declivi pi lavorabili sinsediava il seminativo con laratura a rittochino, e i fenomeni erosivi non potevano che esserne esaltati. Non solo:
laumento degli allevamenti, e specie degli ovini mandati sin dai tempi feudali regolarmente allalpeggio intaccava anche le foreste montane, per dar luogo a pascoli soggetti a transumanza, non meno in Piemonte, in Lombardia e nel Friuli, che nelle Puglie, nella Maremma e
nellAgro Romano, in Calabria e in Sardegna: seguendo in ci le orme
gi tracciate nel periodo feudale dalle grandi abbazie, dai latifondi, dai
domini regali, ma con unincidenza assai pi sensibile sul disordine idriStoria dItalia Einaudi
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co (nei feudi, sin dal secolo xi esistevano restrizioni per il pascolo nelle
foreste adibite a riserve di caccia e sorvegliate da guardaboschi). Ne era
derivata unestensione del processo di ristagno idrico e di impaludamento nelle terre piane, le pi adatte alle colture e che maggiormente
sollecitavano una rapida valorizzazione sotto la spinta demografica ed
economica impartita dalle strutture comunali: cos, gli affluenti in destra del Po avevano cessato di sfociarvi direttamente (per un processo
erosivo maturato forse a cominciare dal Basso Impero, se non prima),
formando vaste zone paludose nella pianura emiliana, e occorreva immetterne le acque in sbocchi artificiali, come in effetti si inizi a provvedere nel secolo xii. Pertanto le nuove tecniche sono rivolte anzitutto
alla regimazione delle acque nei terreni di pianura e alla bonifica delle
paludi: alliniziativa individuale accessibile laffossamento (gi noto ai
romani), la sistemazione a porche (o mangolato) nei terreni depressi
tendenzialmente argillosi dellItalia centrale e di altre regioni , o a piantata nei suoli alluvionali di medio impasto, se non anche tenaci, e soggetti comunque a periodi di saturazione idrica, a causa della piovosit
stagionale; i dissodamenti sono agevolati dalladozione del traino a cavallo, pi spedito rispetto a quello con i buoi. Sono queste opere sistematorie gi adombrate nei suoi Ruralium commodorum dal bolognese
Pietro dei Crescenzi (1305) a differenziare la nuova agricoltura da
quella dellet romana e perfino da quella feudale. Ma le grandi imprese di bonifiche sono frutto di una organizzazione collettiva che risale al
Comune e che trova i suoi antecedenti in varie forme di associazioni tra
agricoltori cointeressati (condomae, viciniae, colliberti, consortes), operanti gi nellalto Medioevo. Tali imprese cui provvedevano in passato anche per conto di terzi, le abbazie cistercensi, specializzatesi in trasformazioni fondiarie con manodopera di conversi e di servi sono intese di solito alla difesa idraulica e allestensione della rete irrigua, alla
manutenzione delle arginature e dei canali, e investono ancor esse i terreni vallivi e acquitrinosi, e i corsi fluviali soggetti a straripamento.
Il teatro pi vistoso delle operazioni la valle del Po, che vede delinearsi un sistema di arginature del grande fiume e dei suoi affluenti, un
sistema di canali di navigazione e irrigui, e un altro di collettori e di
emungimento. Il prosciugamento delle paludi, imperniato inizialmente
sullo scavo di fossi (che per dovevano trovare una via di sgrondo, non
sempre reperibile o funzionante), si avvale ora sempre pi di un nuovo
accorgimento, tratto dallosservazione sugli effetti dellerosione stessa:
il rialzo del livello del suolo mediante la tecnica della colmata, che trover il suo massimo sviluppo nei secoli successivi, fino a quando i progressi industriali della meccanica non avranno procurato allagricoltura,
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precedente, conservando perfino per tutto il Quattrocento una posizione di rilievo per i suoi prodotti della terra (specie per il riso, lo zucchero, la seta, la lana), vide sfuggirle poco a poco questo primato, mentre i
suoi terreni riprendevano non per colpa dellambiente naturale (come
spesso si disse), ma degli uomini il loro ciclo di degradazione, sia pure indubbiamente accelerato dalle condizioni climatiche peculiari della
fascia tipicamente mediterranea. Intanto molte delle colture tradizionali del Mezzogiorno, quali il riso, il gelso, perfino gli agrumi, migravano al Nord del paese, dove lo slancio tecnologico e agronomico rinascimentale aveva preparato loro possibilit di sviluppo adeguate. Sar questo insieme di cause a occasionare lo squilibrio economico, sociale e
culturale tra il Sud e il resto dellItalia, che esasperandosi per la sovrapposizione di altri fattori storici porter in primo piano dopo lunit
della nazione la cosiddetta questione meridionale, complessissima,
in cui lestrema rovina del suolo sar una delle remore principali e meno facili a rimuovere, per un assetto armonico delle popolazioni interessate.
Maggiore influenza diretta sulle sorti differenziate dellagricoltura
nellepoca considerata ebbe la natura dei terreni negli Stati emersi
nellItalia centrosettentrionale: in Toscana, la stretta valle dellArno non
consentiva un crescente investimento agricolo se non risalendo le pendici collinari e montane, con suoli superficiali ed erodibili, oltrech condannati alla coltivazione in asciutto; dallaltro versante dellAppennino,
viceversa, la spaziosa vallata del Po invitava a infittire gli insediamenti
in pianura, su profondi terreni alluvionali e per lo pi irrigui o suscettibili di irrigazione. Di conseguenza le rispettive collettivit, partite in
competizione da situazioni sociali analoghe, e forse con un lieve vantaggio nello Stato mediceo, si trovarono poi dispari nella corsa a seguito delle predette condizioni ambientali, pi favorevoli in Val Padana; e
nonostante le vicende politiche del Settentrione sfociassero poi in assestamenti sotto un certo aspetto (lungo dominio spagnolo e varie ridistribuzioni del territorio fra gli Stati contendenti) meno incoraggianti
per il processo di sviluppo, questo si dimostr in quella regione decisamente pi costruttivo e fruttuoso, s da conferirle strutture agricole non
superate altrove in Italia, e nemmeno in Europa, e destinate a promuovere in ultimo il predominio economico della regione stessa su tutto il
paese.
In Toscana, invero, la spinta della borghesia arricchita, oltrech laumento della popolazione, sollecitano il dissodamento di nuove terre collinari e il loro appoderamento a mezzadria, contratto per sua natura poco propizio a imprimere un moto dinamico allagricoltura, anche se non
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2 Va aggiunto, precorrendo quanto si dir ancora in seguito, che lo sviluppo delle sistemazioni in Toscana si estender fino al secolo xx, investendo una larga parte del bacino dellArno (racchiuso in 882 000 ettari), con una intensit valutabile in 70-100 per cento sul 64 per cento di tale
bacino, in 50-70 per cento sul 28 per cento dellarea stessa e in 0-50 per cento su appena l8 per
cento della superficie medesima. La massima intensit sistematoria si verifica in coincidenza con
la prevalente coltura arborea (olivo, vite) pura o promiscua, a sua volta condizionata dalla natura
dei terreni, di norma non privi di scheletro, cui a loro volta corrispondono determinati tipi di sistemazione (terrazzi nelle arenarie e nei calcari alberesi, ciglionamento inerbito sui substrati sabbiosi, purch in zone a piovosit estiva sufficiente con minimi di 100 millimetri e con lavora-
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Il pi grandioso, per, sviluppo dellirrigazione si manifest in Lombardia, sotto le signorie dei Visconti e degli Sforza, non senza contrasti
tra queste e i comuni per i benefici economici (derivanti dalla cessione
dellacqua) e i diritti dacqua irrigua: risalgono a quellepoca lescavo dei
canali di Binasco, della Martesana, della Roggia Mora, del Naviglio Sforzesco; e una regione per linnanzi ancora in gran parte costretta a colture povere su terreni spesso piuttosto sciolti e carenti di umidit, deficienti di humus e mal sistemati, si trasformava rapidamente in campagne livellate e squadrate dallintreccio regolare delle rogge e accoglieva
ovunque il prato generatore di fertilit (qui assai ricco di specie spontanee, leguminose i trifogli e graminacee i loietti, le poe, ecc.), nonch nuove colture ricche, come il riso e il gelso che anche in Piemonte
faceva fiorire lindustria della seta; la diffusione del mais, poi, come
pianta alimentare del ceto pi povero, consentiva una maggiore disponibilit di frumento per redditizi commerci. Fra proprietari e utenti delle opere irrigue si formavano consorzi e congregazioni e sorgeva quel sistema fondamentale delluso delle acque che, non pi abbandonato nel
corso dei secoli, diventato il perno dellagricoltura lombarda, quale ancor oggi la conosciamo: non solo perch ne vennero integrate le insufficienti precipitazioni estive, ma anche perch tramite il prato irriguo
i mediocri terreni una volta sotto bosco cambiarono nettamente costituzione, evolvendosi verso formazioni tipiche delle praterie, con
profondo strato umifero, e con alta fertilit stabile e continuamente rinnovata. Fu su questa base che la Lombardia pot costruire in seguito il
primo gradino della sua potenza economica, tradottasi alla fine nel dominio industriale.
Non meno ragguardevoli le imprese bonificatorie sorte nella repubblica veneta, sollecitata in parte dalla preoccupazione di deviare i fiumi
ricchi di torbida dalla laguna, che ne veniva interrata (alluopo il Brenta fu portato da Dolo nel Bacchiglione a mezzo del Taglio Nuovo,
mentre corsi minori nella zona di Mestre venivano deviati verso Altino); con tali torbide viceversa potevano essere colmate, col sistema tradizionale, le paludi litoranee: e poich i fiumi della regione andavano regolati contro le facili piene, si costruirono argini (quello in destra del
Piave, e quelli tra la laguna e le valli a occidente) e canali sfioratori,
e si costitu per la sorveglianza del loro regime e per gli interventi pertinenti il Magistrato delle Acque di Venezia (1501), oltrech un Provveditorato sui beni inculti (1545) che controllava nelle opere inaccessibili ai privati un terzo del territorio della terraferma, mentre cresceva il numero dei consorzi per retratti (terreni invasi da acque
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possesso terriero in mano di pochi latifondisti (processo di rifeudalizzazione); lo stesso fenomeno si ripete per i beni ecclesiastici, dopo la
Controriforma, mentre i coltivatori soggetti economicamente ai grossi proprietari scendono ad un livello di vita bassissimo, premuti come
sono dai pesanti patti di lavoro, n possono in tali condizioni essere solleciti per le cure del suolo e per la manutenzione in efficienza di quanto conseguito con le bonifiche precedenti. Nelle campagne meridionali
si giunge perfino alla rivolta contadina contro loppressione, nel Regno
di Napoli, a Palermo, come nelle Marche, lontana eco delle lotte contadine alla fine del feudalesimo in Francia, Inghilterra, Germania.
Ne deriva non solo un rallentamento quando non una stasi nelle imprese bonificatorie di carattere pubblico, ma la sospensione delle
indispensabili opere, anche da parte dei privati, per assicurare il funzionamento degli impianti gi esistenti, s che terre ormai prosciugate
tornano a impaludarsi, nella media e bassa Val Padana, nelle valli del
Serchio e dellArno, in Maremma toscana e romana, nellAgro Pontino
e altrove sulle coste meridionali. Nel Centro e nel Sud della penisola,
accanto allestendersi della monocultura cerealicola in alternanza col riposo (sistema primitivo a campi ed erba), si riafferma la pastorizia transumante (perfino con sottrazione delle terre al seminativo, analoga alle
enclosures inglesi), ma in Alta Italia le conquiste tecniche dellagricoltura pi che cedere alla recessione, si adattano con relativa flessibilit alle nuove circostanze, con linsediamento della risaia stabile nei terreni
acquitrinosi (e anzi con lintroduzione dellallagamento artificiale di tale coltura), con il predominio di prati permanenti irrigui (ed altri avvicendati) e quindi dellallevamento di bestiame grosso, che promuove sin
da allora lindustria casearia.
Le colture inoltre seguono qui una rotazione continua, spesso con
piante a utilizzazione industriale (canapa, lino), che rendono pi ampio
e polivalente il potere mercantile della propriet terriera, ed ormai ben
radicata lalberatura con gelsi (e quindi lindustria serica) sovente maritati con viti, nella versione locale della coltura promiscua che la piantata.
Si approfondisce in tal modo il divario gi segnalato tra lo sviluppo
del Settentrione e del Mezzogiorno, assecondato s dalla differenziazione fisica degli ambienti, ma massimamente esaltato dal diverso modo di ripercussione delle sovrastrutture politiche e sociali sulla vita della campagna, per cui nel Nord lazienda contadina attraverso contratti
meno precari di mezzadria, livello o affitto ha acquistato una sua relativa stabilit e quindi una certa simbiosi col suolo. Anche nel Nord,
comunque, il ristagno di iniziative nel settore agricolo si fa sentire e crea
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fondiaria borghese e dellapporto tecnologico del terzo ceto, farsi strada una concezione inconsueta dellesercizio dellagricoltura: questo non
pi un mestiere fondamentalmente legato alla tradizione e asservito
alle condizioni ambientali, il cui detentore proprietario della terra
pu contare su un reddito elevato solo se grandi sono i suoi possedimenti, giacch le rese medie per unit di superficie e per unit di lavoro sono sempre necessariamente basse; al contrario: lagricoltura, purch vi si applichino in ogni suo oggetto e strumento, a partire dal terreno, i princip scientifici e la tecnologia appositamente studiata,
suscettibile di trasformazione radicale, tale da assicurare anche su superfici modeste degli utili per nulla inferiori a quelli delle attivit cittadine. Lagricoltura, insomma, comincia a essere vista e trattata alla
stregua di una moderna industria, e segno esplicito ne sono le molteplici accademie sorte in quasi ogni regione dItalia per discutere i modi pi
efficienti di rendere produttiva la terra, e la comparsa di numerosi scritti che affrontano tale materia con metodo attinto alle scienze, e con
esempi tratti anche dallesperienza estera inglese, olandese, francese
ormai pi progredita di quella italiana nel settore in questione.
Fra questi esempi non si pu tacere il ricorso sistematico al prato di
leguminose in rotazione, preconizzato come si visto due secoli prima in Italia, ma qui diffusosi assai mediocremente, fino a che il collaudo avutone in altri paesi non lo ebbe reimportato nella sua patria di origine. Anche adesso, e per le ragioni gi esposte, la diffusione del prato
avvicendato non oltrepassa di norma i territori dellItalia centrosettentrionale, ma qui acquista vieppi un carattere di generalit e il significato esplicito di coltura miglioratrice del suolo, oltrech di fonte di foraggiamento per gli allevamenti in espansione. Le cure culturali delle
piante in rotazione (come pure tutte le operazioni di raccolta e di trasformazione dei prodotti agricoli) vengono migliorate con la progressiva introduzione di mezzi meccanici apprestati dallindustria secondo gli
aggiornati dettami della tecnica, e nella prima met del secolo xix, sempre dallindustria vengono forniti i primi concimi chimici, che esaltano
ulteriormente la fertilit dei terreni. Ma a salvaguardare questultima
sotto laspetto della regimazione idrica interviene ancora una volta la
particolare abilit acquisita dagli agricoltori italiani nella tecnica delle
sistemazioni: quelle di piano in terreni generalmente pesanti della bassa pianura padana vengono perfezionate con la baulatura permanente
dei campi, ottenuta mediante apposito trasporto di terra verso il centro,
in modo da favorire gli sgrondi laterali, convogliati entro scoline o capezzagne. Esse subentrano nella tipica piantata alle sistemazioni temporanee a prosoni o prace e prendono forme diverse a seconda della magStoria dItalia Einaudi
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giore o minore permeabilit del suolo: ove questa molto deficiente, come ad esempio nel Bolognese e nel Ferrarese, si adotta il cavalletto emiliano a campi rettangolari baulati in senso longitudinale e affiancati in
tale senso da scoline, mentre nello scarso trasversale le acque vengono
raccolte nelle cavedagne; fra due campi contigui, e in mezzo alle rispettive scoline, corre il cavalletto o strena, spazio largo 3-6 metri e
piantato a viti alberate. Il colmo longitudinale pu pure utilmente assumere un doppio spiovente (anche in senso trasversale), dando luogo
ad una baulatura a padiglione. In terreni meno argillosi (siti di norma pi a monte dei precedenti, nel Modenese, Reggiano, Parmense, Piacentino e nellOltrep mantovano) la piantata fa a meno delle scoline
lungo i campi, pure conservando questi la baulatura longitudinale. Infine, nella pianura veneta, si afferma la sistemazione a cavini (cavedagne ristrette), in cui il colmo, piuttosto pronunciato, ha andamento trasversale al campo, e la piantata pertanto non affiancata da scoline parallele al lato lungo del campo stesso. In tutte queste sistemazioni, e
specie nei terreni pi colloidali, gli agronomi della prima met dellOttocento Filippo Re, Berti-Pichat, ecc. raccomandano le arature
profonde e la ravagliatura, come mezzi integranti per lo smaltimento
delle acque in eccesso; tale pratica, razionale nel dato caso come rimedio temporaneo, si diffonder largamente in seguito con la motorizzazione della trazione, anche in modo indiscriminato e non sempre a vantaggio del substrato vegetativo e delle colture. Un contributo originale
al miglioramento del suolo nelle zone collinari viene recato dalla tradizione sistematoria toscana, che alla fine del Settecento con Landeschi,
Lastri e altri elabora il sistema a tagliapoggio, correzione importante di
quello a cavalcapoggio, in quanto conferisce al profilo del rilievo settori a pendenza unica, le cui acque di scolo vengono raccolte in fosse disposte secondo le curve di livello e sfociano in acquidocci a rittochino
rivestiti di pietra. Lerosione in tal modo viene arrestata, semprech si
operi in substrati pietrosi (galestri, alberesi); per quelli argillosi (pliocenici) di difesa assai pi ardua verr proposto a met dellOttocento
dal Ridolfi e dal Testaferrata il complesso sistema a spina, basato su
preventive colmatelle e successivo modellamento analogo al tagliapoggio, il quale per altro data la sua laboriosit non trover seguaci fuori della zona dorigine, se non in zone limitate delle Marche e dellEmilia. Altre sistemazioni collinari che permettano la lavorazione in traverso
vengono eseguite intorno al 1780 nel Veneto dal Lorenzi, che esortava
inoltre di restituire alla foresta e alle cotiche erbose le pendici montane, ormai troppo degradate da disboscamenti e dissodamenti inconsulti; per cui la tecnica antierosiva per i terreni declivi diventa in tempi
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successivi un canone agronomico largamente osservato nellItalia centrosettentrionale, e perfino nel Mezzogiorno si avvertono misure rivolte in tal senso, sin dalla met del Settecento, con i ripetuti rescritti per
la tutela del patrimonio forestale nel Napoletano, per altro rimasti praticamente inoperanti. Daltronde, laccrescimento rapido della popolazione e la ripristinata convenienza della coltura granaria congiurano
ovunque in Italia, nel secolo xviii, nel senso di estendere i seminativi in
altitudine, al di l di ogni limite di cautela, mentre allintensificazione
irresponsabile dei disboscamenti (specie in Lombardia, nel Veneto e in
Toscana) concorre il capitale commerciale e usurario, che approfitta
dellindebitamento dei privati o dei comuni per procedere ad uno sfruttamento mercantile sfrenato delle risorse legnose.
Non stupisce pertanto che fra gli interventi tecnici in agricoltura venissero ripresi con un nuovo vigore, anche da parte delle autorit pubbliche, le bonifiche idrauliche, atte a rendere lambiente pi confacente allattivit e alle iniziative private: finalit che verr teorizzata nel
concetto (imprestato dallindustria) rigidamente liberale delle funzioni
dello Stato nel dato settore, e che per ora contempla solo la regimazione del fattore acqua, mediante la lotta contro il disordine idrico e le inondazioni, il prosciugamento delle paludi, limpiego dellirrigazione; anche se non mancher chi come Afan de Rivera nel Regno delle Due
Sicilie, nella prima met dellOttocento prospetter una concezione
delle bonifiche in senso pi integrale e pi impegnativo per lo Stato: sistemazioni di piano e di monte, intensificazione delle colture, regolazione del popolamento delle campagne. Del resto, proprio il concetto
liberale sopra accennato a consentire lincontrollata messa a coltura di
terreni di colle e di monte, con diretta minaccia alla stabilit del suolo,
nonch laccelerato denudamento delle pendici boscate per le esigenze
delle industrie del legno; ed significativo che lintesa sempre pi stretta tra capitale e industria finir per peggiorare la predetta situazione anche dopo lunificazione del Regno, manovrando ai suoi fini di immediato profitto lo Stato parlamentare, e rendendo ancor pi difficili le
condizioni per una bonifica efficace.
Si ha cos il duplice paradosso: di uno Stato che interviene nei rimedi
a danni, di cui trascura le cause per un mal inteso principio di non-ingerenza; e dellindustria che mentre indubbiamente procura allagricoltura metodi e mezzi pi razionali di gestione e di utilizzazione del
suolo per altro verso espone la terra stessa ad una spregiudicata spoliazione. Lo Stato finir, nel secolo xx, col modificare profondamente
la sua dottrina circa la pubblica utilit, a favore di una difesa ben pi
ampia contro i fenomeni erosivi, e di una valorizzazione generale dei
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terreni agrari; lindustria per contro, per molteplici ragioni (come si dir
meglio in seguito), manterr al riguardo un ruolo ambiguo, il cui bilancio finale tuttora sub judice: non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Se ora si considerano gli interventi bonificatori statali dalla seconda
met del Settecento in poi, nelle diverse regioni del paese, si viene a ripercorrere invariabilmente le stesse zone gi incontrate nelle precedenti epoche storiche, e a imbattersi nelle medesime iniziative di fondo, anche se allargate nello spazio e perfezionate nella tecnica. Alle opere gli
Stati provvedono direttamente, oppure le appaltano a concessionari,
spesso rappresentati da societ, talora anche estere. In Piemonte, data
laffermazione della risaia nel Vercellese e in Lomellina, prosegue lo sviluppo dellirrigazione; sotto Carlo Emanuele III si registrano prosciugamenti nel Novarese, nellAlessandrino e nel Tortonese, mentre a Carlo Alberto si deve il passaggio al demanio della grande canalizzazione e
del suo mantenimento. La Lombardia integra la propria rete irrigua con
nuove derivazioni dai fontanili, con lo scavo del Naviglio di Pavia e di
altri canali nel Bresciano e nel Mantovano, e migliora il livellamento dei
terreni, provvedendo anche (con Maria Teresa) ad alcuni prosciugamenti
di paludi. Questi interessano nel Veneto le Valli veronesi, gli acquitrini di Montagnana, del Polesine, di Treviso e del Friuli, nei quali in ultimo verranno usate per la prima volta, da parte dei consorzi, le pompe
idrovore, rivoluzionando tutta la tecnica bonificatoria. In Emilia si continua con i lavori per la sistemazione del corso del Po e dei suoi affluenti,
laddove in Toscana, sotto i Lorena, una bonifica di tipo integrale ha luogo in Maremma (con i fossi di scolo e con le colmate ottenute dallOmbrone, arginato dallo Ximenes), e altre colmate si susseguono in Val di
Chiana, dove il corso del fiume viene rettificato dal Fossombroni mediante il Canale di Mezzo; n si trascurano i prosciugamenti nella Valdinievole e nelle paludi di Fucecchio e di Bientina. Ristagnano invece
le iniziative nello Stato pontificio (con qualche intervento in Val di Chiana e nellAgro Pontino, dove Pio VI fa scavare un canale di scolo, detto Linea Pia) e nel Regno di Napoli, data la persistenza quivi di regimi
feudale o latifondista, anche se qualche tentativo di bonifica (col concorso di privati) viene fatto (da Ferdinando IV) nel Tavoliere (Saline di
Barletta, Ortona) e in Calabria, in questa essenzialmente per opera di
un concessionario (V. Nunziante); inoltre lirrigazione viene estesa derivando acque dal Sarno e dal Volturno. In Sardegna, infine, passata al
Piemonte, pi che di bonifiche, si tratt di incentivi indiretti per la messa a coltura, mediante colonizzazione con manodopera forestiera, con
la liberazione della propriet dalle forme feudali o collettive, e perci
con la concessione ai proprietari della facolt di chiudere le terre per
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dacqua ed evitare altri impaludamenti; ma le soluzioni di solito non erano facili, dato linsufficiente dislivello di deflusso e lapporto di altra
torbida dagli stessi affluenti.
Si ricorreva allora allutilizzazione delle torbide medesime per la preventiva colmata delle bassure paludose, da cui le acque ormai chiare venivano smaltite tramite canali o il corso rettificato del fiume, reso spoglio di depositi, ma ben spesso si dovette tentare ora luna, ora laltra
soluzione, cambiando nello stesso comprensorio sia i metodi di lotta, sia
i tracciati degli alvei e dei canali, come dimostra la storia della persistente bonifica alla foce del Po e del corso dei suoi affluenti emiliani,
specie di quelli scendenti dallAppennino. A Venezia poi si poneva anche il problema dellinterramento della laguna, che minacciava lesistenza della citt, per cui gi nel Cinquecento Alvise Cornaro preconizzava la deviazione di tutti i fiumi sfocianti nella laguna (e in primo
luogo del Brenta), in modo da impedire ad essi la altrimenti inevitabile
colmata del bacino.
Solo dopo aver in qualche modo irreggimentato i corsi dacqua, si
poteva passare alla fase riguardante la messa in valore dei terreni soggiacenti, incontrando per altro nuove difficolt per il loro risanamento,
se il dislivello tra essi e il corso emissario risultasse insufficiente (ci che
avveniva di frequente anche nelle colmate, dopo il loro assestamento,
mentre il fiume interessato tendeva a rialzare nel contempo il proprio
alveo); in queste situazioni che lintroduzione delle idrovore permise
il prosciugamento sollecito delle terre a sgrondo difettoso, senza pi ricorrere alla lentissima e aleatoria tecnica delle colmate. Restava tuttavia il fatto fondamentale e originario dei fiumi carichi di materiale eroso, che pur arginati, continuavano a minacciare le campagne adiacenti:
fatto gi grave e non facile a contrastare nelle condizioni naturali della
manifestazione del processo erosivo, ma reso immensamente pi pernicioso con il denudamento secolare, anzi millenario, delle montagne sia
per il taglio dei boschi, sia per lestensione eccessiva degli arativi, sia per
il sovraccarico di greggi nei magri pascoli.
Ora, questi ultimi interventi umani perturbatori continuavano, come si detto, a crescere di intensit nel periodo considerato, minando
tutta lopera bonificatoria compiuta in pianura e conferendole in ogni
caso salvo rare eccezioni un carattere provvisorio, che obbligava a
considerarla in molte plaghe come fattore costante e ineliminabile
dellesercizio dellagricoltura. Il compito di affrontare il problema alla
sua radice, ossia nel controllo antierosivo delle pendici montane, doveva toccare in tutta la sua imponenza soltanto ai governi dellItalia
unita.
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000 ettari; in Piemonte dove lirrigazione aveva gi raggiunto uno sviluppo di 1000 chilometri di canali (comprese le diramazioni) si volle
ampliare la rete soprattutto allovest del Sesia, nel Novarese e nella Lomellina, con un nuovo complesso di canali intitolati a Cavour, attuati
da una compagnia concessionaria, da comuni e consorzi interessati, canali interamente riscattati dallo Stato nonostante la scarsezza di mezzi,
e che con uno sviluppo di 1500 chilometri dominano 500 000 ettari nelle province di Torino, Aosta, Vercelli, Alessandria, Novara, Pavia.
Analogamente, si costruirono canali irrigui nella Lombardia (Villoresi,
Marzano), nel Friuli (Ledra-Tagliamento, con utenze pi industriali che
irrigue), nel Veneto (Veronese), ecc., coprendo una superficie complessiva irrigabile di oltre 120 000 ettari. N mancarono altri interventi minori dei privati, che per seguendo le tendenze gi delineatesi nel periodo precedente, e approfittando della carenza di controllo statale seguitarono ad estendere i seminativi in zone collinari e montane,
dissodando pascoli e tagliando boschi per insediarvi colture cerealicole
estensive, specie nel Mezzogiorno e nelle Isole, con palese danno dei terreni interessati. Contribu a ci non poco e ne fu maggiormente aggravato il divario fra i regimi fondiari, pi o meno progrediti, dellItalia settentrionale e quelli del tutto primitivi prevalenti nelle Maremme
e nelle regioni del Sud, quali vi erano gi presenti prima dellunit e che
da questa non vennero in alcun modo alterati.
forse il caso di sottolineare in proposito che tutte le suddette manifestazioni del capitalismo terriero, affermatosi nel paese nel corso del
Settecento a sostituzione delle varie forme feudali delluso della terra,
e quale conseguenza dellassunzione dellagricoltura a ruolo di unindustria (fenomeno riscontrabile anche in altre parti dEuropa), erano state ovunque accompagnate da un peggioramento nelle condizioni sociali
degli effettivi lavoratori del suolo, essendo stato fin l trascurato e ci
era successo anche nelle industrie il fattore umano, considerato mero
esecutore di uno schema di operazioni meccaniche; e nei riguardi dei
rapporti con la terra e della sua massima valorizzazione, il fatto acquistava un significato particolarmente negativo, dato che nel caso dei coltivatori, lesito del lavoro dipende largamente dal grado di iniziativa ad
essi attribuito e dalla competenza con cui questa pu essere esercitata.
Ora, nellAlta Italia, con la diffusione dellimpresa capitalistica (sia di
proprietari, sia di grossi affittuari), la manodopera agricola si era trasformata, in gran parte, in salariati e braccianti, alla stregua doperai a
salario fisso, in nessun modo cointeressati allandamento dellazienda,
ed era retribuita miseramente, data lofferta esuberante di contadini in
cerca di lavoro; tanto che proprio qui, nelle province pi ricche e pi inStoria dItalia Einaudi
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la guerra sarebbe stata ripresa con motivazioni ben diverse e con finalit schiettamente economico-agricole, indipendenti da ogni considerazione igienica. Intanto, con la legge Luzzatti, pure del 1910, si provvedeva finalmente alla tutela dei boschi demaniali e comunali e a incoraggiamenti finanziari della riforestazione privata, nonch al miglioramento
dei pascoli, anche al fine di una sistemazione idraulica montana: si dava cos inizio a quella impostazione globale del contenimento del disordine idrico che fin l era sempre mancata allopera bonificatoria italiana, e che in seguito doveva essere vieppi ribadita nella legislazione e
nella prassi.
Secondo queste nuove e ampliate concezioni intorno alla bonifica, le
terre ad essa soggette venivano necessariamente a crescere in estensione, rispetto al passato: nel 1915 vi rientravano 1 827 000 ettari, di cui
1 023 000 nella sola Italia settentrionale (in prevalenza in Emilia e nel
Veneto), 113 000 ettari nellItalia centrale, 553 000 ettari nellItalia meridionale e 138 000 ettari nelle isole. In tale cifra globale erano compresi
i 614 000 ettari di bonifiche ereditate dal regno alla sua costituzione o
da esso iniziate prima del 1900, di cui 440 000 ettari avevano subito un
avanzato miglioramento idraulico, ma richiedevano tuttavia opere di
completamento; ne erano viceversa esclusi i 26 000 ettari totalmente
bonificati degli Stagni di Marcianise, del Fucino, del Lago Bivona e di
Idice-Quaderna. Dellarea totale soggetta a bonifica, sopra indicata, facevano parte 760 000 ettari gi idraulicamente bonificati, 450 000 ettari in corso di attuazione, 600 000 ettari da iniziare; anche fra quelli
idraulicamente bonificati, la maggior parte spettava allItalia settentrionale (400 000 ettari, sempre nelle due regioni anzidette), dove operavano i consorzi dei privati, attivi ivi anche nellimmediato dopoguerra; solo in questultimo periodo aumentarono a 220 000 ettari le terre
da bonificare in Italia centrale, mentre nel Mezzogiorno lo Stato interveniva assai meno, anche se gli investimenti unitari vi erano maggiori,
rispetto al Nord: 414 L/ha contro 180 L/ha nel periodo 1860-1915. Nel
Sud tuttavia tali maggiori investimenti si dimostravano scarsamente efficaci per mancanza di coordinamento tra bonifica di piano (antimalarica) e quella che avrebbe dovuto interessare i relativi bacini montani,
integrandoli (anche sotto laspetto della utilizzazione delle terre) in un
unico comprensorio, ci che invece appariva meno impellente nelle bonifiche della pianura padana.
Comunque sia, nel primo quarto del secolo xx le bonifiche di maggior rilievo si attuavano, come si detto, nellAlta Italia: nel Veneto veniva realizzato il canale della Vittoria, derivato dal Piave, con cui si rendevano irrigui ben 30 000 ettari; altre bonifiche di prosciugamento inStoria dItalia Einaudi
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Fra le opere in corso e ultimate (in totale 4,75 milioni di ettari) una
ripartizione meno squilibrata si osserva fra le grandi regioni: 2,05 milioni nel Nord, 0,9 nel Centro, 1,8 nel Sud; in tali opere vengono pure
distinte quelle di bonifica di difesa, in aree con agricoltura intensiva
ben avviata (su 2,05 milioni di ettari), e quelle di trasformazione, con
agricoltura tuttora primitiva (su 2,7 milioni di ettari, di cui 1,6 milioni
con opere pubbliche gi iniziate, e 1,1 con tali opere gi ultimate, ma
con trasformazione avviata solo su 0,8 milioni di ettari). Infime, nel
1938, i comprensori di bonifica idraulica salivano a 9 milioni di ettari e
quelli dei bacini montani a 7,8 milioni, assommando circa il 50 per cento della superficie nazionale e poco meno di due terzi di quella agrariamente utilizzabile; per altro, dei 9 milioni a bonifica idraulica, solo 5,7
milioni risultavano con opere ultimate o in corso, di cui quelle pubbliche erano tuttora in corso su 3,1 milioni, erano ultimate ma attendevano la trasformazione fondiaria da parte dei privati su 1,7 milioni, e soltanto su 0,9 milioni avevano subito anche questultima; epper, anche
di tale esigua frazione solo circa un quarto (220 - 250 000 ettari) poteva dirsi realmente trasformato e valorizzato con densi insediamenti colonici e con notevoli risultati produttivi: meno del 10 per cento dellarea
ormai approntata dalle opere pubbliche per una completa redenzione.
Riassumendo, nei quindici anni intercorsi fra 1923 e 1938, a confronto col periodo 1870-1923 (cinquantatre anni), le opere compiute
possono essere sintetizzate nelle cifre sotto esposte:
1923-38
1870-1923
Km 12 942
4 585
6 280
608
3 737
HP 118 058
25 500
Km 6 785
684
790
13
?
HP 34 081
?
a) Opere pubbliche.
Canali di scolo
Canali di irrigazione
Strade di bonifica
Condutture acquedotti rurali
Arginature
Impianti idrovori di prosciugamento
Impianti di sollevamento per irrigazione
b) Opere private sussidiate dallo Stato.
Strade interpoderali
Case coloniche
Stalle per n. capi
Km 4 449
n. 34 425
250 000
I sussidi non
esistevano
prima del 1923
In complesso, fra opere pubbliche e private, nei quindici anni considerati si erano resi irrigabili 800 000 ettari e appoderati 300 000 ettari, tra cui i 140 000 ettari dellAgro Romano e Pontino, finalmente
redento, e circa 100 000 ettari in Emilia e nel Veneto. La bonifica conStoria dItalia Einaudi
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tinu anche negli anni successivi (1939-42), ormai perturbati dalla seconda guerra mondiale, con lo sviluppo della colonizzazione in Sicilia e
con le iniziative di appoderamento da parte dellOpera nazionale combattenti in Campania e Puglia. Per altro, occorre riconoscere che la nuova impostazione data alla trasformazione del territorio se partiva
da premesse teoricamente sostenibili e anzi confacenti alla valorizzazione non effimera n frammentaria del suolo agrario peccava di proponimenti troppo ambiziosi, spesso spettacolari e demagogici, cui mancava una oculata scelta dei comprensori, proporzionata alle possibilit
tecniche e finanziarie e orientata su direttive ben tracciate per un lungo periodo di tempo, se non per un tempo illimitato, data la visione
dellintervento bonificatorio continuativo. Si segu viceversa una procedura troppo rapida, improvvisata e mal coordinata, su basi legislative
imperfette e talora tra loro contrastanti, con lintento (sin dal 1928) di
utilizzare comunque i notevoli fondi stanziati, e perci con opere di
frequente inutili, o difettose, o avulse da un contesto di provvedimenti che ne consentisse la funzionalit; in tal modo veniva pregiudicata
quellevoluzione lenta ma sostanziale che in agricoltura la condizione
di benefici durevoli, non solo, ma venivano pure screditati per decenni
molti interventi pregevoli almeno nellintenzione. Daltra parte leccessiva vastit dei programmi procurava la dispersione dei mezzi, la cui disponibilit del resto cess ben presto a causa delle guerre di Abissinia e
di Spagna (nel triennio 1935-38) e in ultimo di quella mondiale (1940);
di conseguenza la bonifica solo in casi limitati ebbe a raggiungere risultati finiti; in troppi altri le opere rimasero a met strada, senza un sensibile miglioramento della produzione e della vita rurale, fallendo in tal
modo lo scopo precipuo della bonifica integrale.
Un effetto non marginale della politica bonificatoria e agraria del
ventennio fascista fu invece il rafforzamento del capitalismo terriero.
Nel periodo precedente, e specie nellimmediato dopoguerra, si era manifestata con relativa continuit la tendenza gi prima segnalata allincremento della piccola propriet contadina: il numero dei conduttori dei
terreni propri, tra il 1911 e il 1931, era pi che raddoppiato sia in cifre
assolute, sia in valore relativo alla popolazione contadina globale, con
moto ascensionale che raggiunse lapice intorno al 1925 e poi si ferm.
Esso interess massimamente lAlta Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia), dove il 7 per cento della superficie lavorabile pass in mano dei coltivatori diretti; in Italia centrale gli acquisti furono assai pi
scarsi, investendo solo il 3,5 per cento della superficie lavorabile, e ci
in relazione alla staticit delle strutture mezzadrili; nel Sud invece laumento della propriet contadina si estese al 6 per cento della superficie
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dello Stato tutto il territorio nazionale, ma nelle zone dintervento cos circoscritte si attribuisce alla bonifica compiti pi complessi e in un
certo senso pi integrali, mirando a soddisfare le accresciute esigenze
sociali (per lattrezzatura dei nuovi insediamenti, le scuole e altri servizi, i collegamenti con i mercati, ecc.). Se tale sembra essere lorientamento di massima degli organi responsabili, non mancano per alcune
incertezze dindirizzo nelle zone sicuramente destinate al declino perch meno adatte allagricoltura (ad esempio alta collina, montagna), ma
che per la loro estensione e la tuttora non trascurabile popolazione ivi
residente presentano problemi sociali che difficilmente potrebbero
ignorarsi: al movente sociale qui viene ad aggiungersi sempre pi impellente la necessit della difesa del suolo, emersa in primo piano dopo
alcune disastrose alluvioni.
Al riguardo va menzionato che gi nel 1952 venne approvato il cosiddetto Piano dei fiumi che prevedeva una lotta particolarmente intensa contro il disordine idrico, specie in relazione al dissesto dei corsi
dacqua in montagna e in pianura, diretta conseguenza della degradazione dei terreni in altitudine, giunta alla fase critica. In virt di tale piano, fino al 1965 vennero spesi per gli interventi progettati 700 miliardi,
senza per altro realizzare se non parzialmente il programma apprestato,
n esaurire i relativi fondi gi stanziati. Pertanto, anche in seguito allalluvione del 1966, nel piano quinquennale 1966-70 fu introdotto un apposito capitolo per la difesa e conservazione del suolo, il cui preventivo con la legge del 27 luglio 1967 n. 632 venne portato da 760 a
960 miliardi, intendendosi inoltre concentrare gli interventi in zone di
preminente importanza, intorno ai fiumi principali (Po, Arno, zona di
Venezia, ecc.); e un nuovo piano generale veniva messo allo studio, ispirato ad una visione globale della difesa del suolo e della sistemazione dei
corsi dacqua, con obiettivi antierosivi specifici e con consapevole intento di porre argine ai grandi fenomeni geologici considerati. Purtroppo lattuazione del piano ha continuato a procedere con lentezza, e tra
il 1967 e 1968 solo circa un terzo della spesa deliberata per tali anni
stato in effetti impegnato in opere attinenti al programma.
Daltra parte, le finalit economiche predominanti (come gi accennato pi sopra) negli interventi bonificatori hanno fatto nel contempo
convergere gli sforzi verso quelle misure tecniche di miglioramento che
promettevano gli incrementi produttivi pi cospicui, e perci soprattutto verso lirrigazione, ossia verso il reperimento di quel fattore limitante in tutta larea mediterranea lacqua , di cui i mezzi moderni di
captazione e distribuzione avevano aumentato sensibilmente, rispetto
al passato, la potenziale disponibilit, e che era in grado di trasformare
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radicalmente lagricoltura povera di vaste plaghe centromeridionali (anche socialmente pi arretrate), avviandone di rimbalzo i terreni ad un
processo evolutivo di rigenerazione pedogenetica. Quanto fosse stato,
sin dallantichit, compreso e considerato il valore dellacqua irrigua da
parte dei coltivatori, lo si visto a pi riprese nel corso di questa esposizione: il ricorso allirrigazione, per altro, ai tempi degli etruschi e dei
romani, non ebbe di norma carattere collettivo e venne praticato essenzialmente per iniziativa di privati, su aree modestissime; solo con la
dominazione araba in Sicilia comparvero le prime opere irrigatorie pubbliche (di tipo oasistico), che si diffusero indi in Calabria, Campania e
Puglie, e di cui si hanno tuttora tracce ad esempio nelle derivazioni
dallAterno (nella valle di Sulmona). Altre derivazioni (a scopo molitorio, oltrech irriguo), pure agli albori del Medioevo, furono introdotte
nel Nord della penisola (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia) dai benedettini, che gi in Italia centrale (a Norcia e nella Conca Ternana) avevano praticato le prime marcite collettive. Lesercizio collettivo dellirrigazione raggiunse per uno sviluppo decisivo ed una codificazione giuridica soprattutto allepoca dei Comuni e pi ancora delle Signorie, con
il riconoscimento dei consorzi irrigui e degli obblighi che ne derivavano anche ai dissenzienti, in fatto di osservanza delle regole duso e degli oneri di spesa comuni. Come si ricorder, fu invero intorno al 1500
un fiorire di opere irrigatorie, specie nel Settentrione, mentre poche ormai ne sorgevano, per le note ragioni, nel Mezzogiorno: tra queste, la
diga di Grotticelli (durata fino al 1950), alcuni canali nel Palermitano,
in Calabria (Castrovillari), in Campania (Sarno), ecc.
Dovranno trascorrere oltre tre secoli, perch allirrigazione si dia un
nuovo impulso di rilievo: i nuovi canali (cui per tanta parte legato il
nome di Cavour) vengono assunti direttamente dallo Stato e acquistano carattere demaniale (pubblicistico), estendendosi in tutte le regioni
settentrionali, compreso il Veneto, dove viene introdotta la disciplina
per uso collettivo dellacqua. Lirrigazione diventa sempre pi lintervento basilare per la creazione di nuove zone agricole (su precedenti incolti, boschi o pascoli) e perci si impone come attivit pubblica ai governi, accompagnata dopo lunit dItalia da una legislazione apposita, che sancisce (nel 1873) il concetto dellobbligatoriet dei consorzi
irrigui e (con le leggi del 1883 e 1886) il valore pubblicistico delle opere. Giova precisare che con le disposizioni succedutesi per le bonifiche
in generale stato riconosciuto il concorso dello Stato anche per le iniziative irrigatorie private (consorzi, associazioni, ecc., secondo il T.U.
del 1900), e che nel periodo 1911-19 i contributi statali sono stati
estesi pure ad opere di minor mole, intese per superfici piccole; nel
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lestensione dei prati sui declivi, con netta funzione antierosiva. La distribuzione dellacqua, accanto ai sistemi tradizionali tuttora pi diffusi per scorrimento e infiltrazione (questultima nelle zone pi siccitose) ha conosciuto nellultimo dopoguerra laffermazione sempre pi
decisa dellirrigazione a pioggia (un quindicennio prima giudicata ancora antieconomica), la quale ha sorpassato per estensione il sistema per
sommersione (riservato essenzialmente alle risaie e agli agrumi), come si
scorge dallo specchio seguente.
Irrigazione
per scorrimento
e infiltrazione
Irrigazione
a pioggia
Irrigazione per
sommersione
2 329 000
500 000
253 380
Nord
Centro
Sud
1 735 700
136 000
457 000
331 000
134 000
49 000
173 000
640
79 700
Lintroduzione dellaspersione nella tecnica irrigatoria non di poco momento ai fini pedogenetici (oltrech a beneficio delleconomia
dellacqua), vuoi perch consente lintervento anche su terreni non sistemati, vuoi perch insieme al sistema per infiltrazione privo di
effetti negativi connessi con gli altri sistemi, effetti dovuti a dilavamento
superficiale e lisciviazione profonda. Inoltre lirrigazione a pioggia ampiamente meccanizzata tende a ridurre, per la distribuzione dellacqua limpiego delle unit lavorative per ettaro, con appiattimento di
esso, anche rispetto alle colture asciutte, e in armonia con la contrazione progressiva di manodopera nellagricoltura contemporanea.
Tornando allevoluzione avvenuta in cento anni dello Stato italiano,
si constata che tra il 1861 e il 1947 lincremento medio della superficie
irrigua stato di 8 - 10 000 ettari allanno; dal 1947 al 1962 il ritmo si
notevolmente accelerato, portando gli aumenti annui a 50 000 ettari
in media. Le regioni che pi hanno risentito, proporzionalmente alla
propria area, dellestensione della superficie irrigua rispetto alla data di
partenza, tra il 1905 e il 1962, sono state lUmbria, le Marche e le Puglie, dove larea irrigata pi che decuplicata (data linfima estensione
di quella iniziale); in Emilia tale area sestuplicata, e minori aumenti
proporzionali si sono registrati altrove; essi sono stati particolarmente
sensibili dopo la seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno, dove progetti importanti sono stati impostati per le vallate del Garigliano, Volturno, Sele, Pescara, Ofanto, Neto, piana di Catania, Metaponto, Sibari Campidano, ecc. Ciononostante, come si detto, nellItalia setStoria dItalia Einaudi
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tentrionale (dove la rete dei canali, in Val Padana, ha raggiunto la densit impressionante di 1 chilometro per ogni 80-100 ettari) che concentrata la massima parte dei terreni irrigui, su 2 240 000 ettari circa
(29,7 per cento della superficie agraria): al Centro spettano appena 274
000 ettari circa (7,2 per cento della superficie agraria), e allItalia meridionale 586 000 ettari (che occupano sul continente 6,7 per cento della
superficie agraria, e 4,3 per cento nelle isole). Si riscontra cio per le
congiunte ragioni ambientali e storiche che sono state via via messe in
evidenza una distribuzione della rete irrigua decisamente inversa a
quella che sarebbe stata desiderabile dal punto di vista pedogenetico,
ove si perseguisse su tutto il territorio nazionale la formazione omogenea e uniforme di terreno agrario perfetto, ricordando che proprio la
fascia meridionale a risentire maggiormente di carenza stagionale di precipitazioni e di eccessi termici. Dir la pianificazione delleconomia futura, se una correzione sia pure parziale alla situazione esistente si debba intraprendere con i mezzi che la tecnica moderna mette a disposizione; al presente, lulteriore espansione dellirrigazione sembra possibile
su altri 0,9-1,2 milioni di ettari, s da oltrepassare i 4 milioni complessivi di territorio irrigato, secondo il prospetto riprodotto qui sotto (in
cifre arrotondate):
italia settentrionale
italia centrale
italia meridionale
Piemonte
970
Liguria
7 400
Lombardia
72 000a
Trentino-Alto Adige 16 000
Veneto
213 050
Friuli-Venezia Giulia 60 540
Emilia
50 000?
420 000 C.
Toscana
Marche
Umbria
Lazio
Campania
24 600
Abruzzi e Molise31 550
Puglia
107 260
Basilicata
20 830
Calabria
152 550
Sicilia
61 910
Sardegna
158 700
557 400b
a Pi integrazioni, di acqua su 30 - 55
b Totale per lItalia: 1 217 300 ettari.
24 000?
32 900
83 000
100 000
239 900
000 ettari.
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del mercato dei prodotti zootecnici e delle tecniche di allevamento. Comunque, le rese delle colture tutte tendono a stabilizzarsi su livelli pi
alti, ci che fa prevedere la concentrazione dellagricoltura futura prevalentemente nei terreni irrigui. Ecco perch fra gli interventi bonificatori lirrigazione acquista oggi unimportanza preminente e merita di
essere messa qui in maggiore rilievo.
Per altro, non lattenzione pi marcata per la ricerca dellacqua (cui
si devono pure i tentativi di dissalazione delle acque marine), n le altre innovazioni prima descritte negli indirizzi generali della bonifica,
che hanno influito maggiormente nel periodo postbellico sui rapporti tra
luomo e il suolo in Italia. Il fatto nuovo che ha sconvolto gli assetti delineatisi nel primo dopoguerra e che giunto non preordinato e nemmeno previsto, verificandosi nel corso di un decennio tra il 1954 e il
1963, stato il cosiddetto miracolo economico, limprovvisa e rapidissima espansione delle industrie (specie nel Nord), le quali richiamavano un forte afflusso di manodopera, innalzavano il livello di vita delle masse operaie e determinavano con ci un esodo massiccio dalle campagne dei lavoratori della terra, in cerca di quei guadagni pi immediati
e consistenti che lincerta riforma agraria (che aveva interessato meno
del 5 per cento della superficie agraria e forestale complessiva) e il difficile inserimento dei prodotti agricoli nei mercati internazionali non
erano in grado di assicurare. Fu una svolta sconcertante, dopo tante lotte per il possesso della terra, e segn una rottura definitiva con una tradizione millenaria, che ravvisava nellagricoltura la risorsa pi solida del
paese; rottura, si badi, che era iniziata gi assai prima nelle altre nazioni fortemente industrializzate dellOccidente europeo, e fu perci maggiormente diluita nel tempo, mentre lItalia riguadagnava in modo irruente il tempo perduto dopo una stasi artificiosamente isolazionista e
perci causa di profonda arretratezza. Il capitalismo terriero perdeva
quota a tutti i livelli, lasciando il posto al neocapitalismo industriale.
superfluo diffondersi ora su tutti i benefici che lindustrializzazione intensiva era suscettibile di recare al paese: lesame non potrebbe
che essere superficiale e incompleto; baster accennare ai principali, che
hanno ripercussione sullagricoltura e pi specificamente in modo diretto o indiretto sul terreno. Ovvia la diffusione accelerata dei prodotti industriali, quali i concimi chimici, i fitofarmaci, i diserbanti; egualmente vistosa la motorizzazione e la meccanizzazione dei lavori campestri, come quelle di bonifica e di irrigazione menzionate pocanzi. La
loro introduzione allarga lorizzonte tecnico degli operatori agricoli, li
sollecita (ma non necessariamente, e non sempre ragionatamente) ad
adottare anche metodi industriali di gestione aziendale, su basi econoStoria dItalia Einaudi
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miche che consentano il progresso dello standard vitale. Ma se tutti questi benefici sono potenzialmente da attendersi dallo sviluppo delle industrie, nessuno privo di un rovescio della medaglia, cui si accompagnano altri fattori eventualmente sfavorevoli alle sorti del suolo. I concimi chimici tendono a sostituire totalmente quelli organici, carenti nelle
aziende sbarazzatesi del bestiame (da lavoro o da produzione), perch
economicamente non profittevole: tendenza, cui la tradizione cerealicola meridionale non oppone, certo, resistenza. Limpiego di macchinari potenti e pesanti, di trazione veloce e di lavori indiscriminatamente profondi contribuisce sovente alla degradazione della strutturalit del
suolo, cui legata la fertilit agronomica, e provoca fenomeni erosivi
specie nei terreni colloidali di cui ricca la penisola, tanto pi che per
semplificare e abbreviare i lavori, e renderli meno costosi si fa a meno delle sistemazioni nelle zone declive. La specializzazione delle colture (indirizzo suggerito dai metodi di gestione industriale, ma anche
imposto dalle industrie, ove queste provvedono alla trasformazione dei
prodotti) sfocia nella monocultura, di norma pregiudizievole per la conservazione della fertilit integrale, eccetto nel caso delle foraggere di
lunga durata, che per come si osservato non sono di fatto in apprezzabile progresso tra i seminativi del paese, anche se finora saldamente radicate, per lunga abitudine, nelle rotazioni dellItalia centrosettentrionale. Gli interventi elencati, potenziati dallindustrializzazione, palesano soprattutto i loro effetti negativi in mano ad operatori
impreparati ad usarne con discernimento tecnico sufficiente, o mal guidati da propagandisti interessati.
Allimpreparazione tecnica, poi, cos frequente per le ragioni storiche prima tratteggiate che hanno tenuto il ceto agricolo in stato di soggezione nella societ, non si rimedia tanto facilmente nelle nuove strutture che pongono lindustria in posizione di preminenza assoluta
nelleconomia dello Stato, lasciando il lavoratore della terra ancora una
volta allultimo gradino della scala sociale e culturale, e aggravando col
tempo il dislivello economico tra le regioni industrializzate e quelle eminentemente agricole, come avvenuto in Italia tra il Nord e il Sud nel
periodo considerato. Nonostante tutti gli sforzi di adeguamento, lagricoltura non diventa mai una vera industria, sia perch non pu manovrare con la voluta sicurezza tutti i suoi fattori di produzione (in gran
parte biologici o climatici, e perci incostanti), sia perch al contrario
dellindustria deve fronteggiare una domanda assai rigida, e a prezzi
forzatamente bassi, sopportando il peso di tutte le altre classi o categorie sociali, laddove lindustria si regge sulle esigenze artificiosamente suscitate nel consumatore, e sul mantenimento dei prezzi dimperio atStoria dItalia Einaudi
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traverso larvati monopoli e il peso politico dei suoi rappresentanti (relativamente debole, per non dire carente, nei lavoratori della terra). In
pi, la piccola impresa familiare, sostenuta dagli ideatori della riforma
agraria e dai governi succedutisi fino ad oggi, non si presta ad una organizzazione funzionale di tipo industriale, e spesso nemmeno allimpiego dei mezzi tecnici apprestati dallindustria, se non qualora si associ ad una struttura cooperativa, di cui in Italia solo nella media e bassa
Val Padana si hanno esempi di qualche consistenza, e che nonostante
incitamenti anche governativi stenta ad affermarsi in forme agili e moderne. Ecco perch il lavoratore della terra (ormai informato dalla stessa industria tramite televisione, radio, pubblicit, degli agi e allettamenti
della vita cittadina) finisce per fuggire dai campi tanto meno rimunerativi del lavoro industriale, abbandona le aree prossime ai grossi centri
urbani, o invece troppo lontane dal vivere civile (montagna, alta collina), o infine contrassegnate da terreni poveri e aridi (come la maggior
parte del territorio del Mezzogiorno), ed emigra nelle regioni pi industrializzate della patria o allestero, lasciando dietro a s un suolo non
pi curato e perci esposto ad una evoluzione naturale non sempre positiva.
In realt, occorre ricordare che sin dallepoca rinascimentale le colture agrarie si erano spinte a pi riprese ad altitudini e su pendii che
oltretutto per la natura erodibile del substrato avrebbero dovuto essere mantenuti sotto la protezione della vegetazione spontanea permanente, erbacea o arborea che fosse; ad attenuare i danni che le terre messe a nudo nei seminativi subivano dallo scorrimento delle acque superficiali luomo provvide con le sistemazioni e con gli affossamenti, che
per potevano conservare la loro efficienza a condizione della continua
cura e sorveglianza dellagricoltore. Lesodo imponente dalle campagne
collinari, specie nellItalia centrale dove le sistemazioni erano maggiormente sviluppate, concorse indubbiamente alle manifestazioni violente
di disordine idrico che culminarono con le inondazioni di Firenze e nel
Grossetano, nonch nel Friuli, del 1966. Va per ritenuto che tolte simili manifestazioni locali nella maggioranza dei casi la discesa degli
operatori agricoli dal monte al piano fu in complesso benefica per la stabilit dei terreni declivi, i quali non tardavano a inerbirsi e ricoprirsi di
macchia, avviandosi in buona parte alla ricomparsa del bosco: laffermazione che la presenza delluomo sulle alture una garanzia contro gli
effetti dellerosione non devessere intesa come unattribuzione di un
ruolo di difesa allo sfruttamento agricolo (tesi insostenibile), bens come
il riconoscimento dellopportunit che un controllo assiduo sia esercitato, da parte dei tecnici competenti, sullandamento della degradazione
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pure sotto tale aspetto lattuale esodo dalle campagne non ha provocato squilibri eccessivi nella compagine della popolazione e anzi sta assumendo un ritmo fisiologicamente sano, anche perch la manodopera migrante tende ad essere meglio qualificata che non in passato.
In sostanza, nel ventennio postbellico e in seguito allindustrializzazione, la pressione demografica sul suolo, in Italia, sensibilmente diminuita, riconducendo in complesso i terreni disponibili ad una utilizzazione pi razionale. Ma anche il ruolo medesimo del suolo nellevoluzione storica della nazione ha perduto molto della sua importanza ed
destinato a restringersi ancora, se e vero che lagricoltura in un mercato internazionale aperto ha compiti complementari, che per lItalia
si configurano quasi esclusivamente nella fornitura di prodotti ortofrutticoli, di cui il mercato europeo avverte gi la saturazione. Gli eventi recenti di sovraproduzione di frutta, ortaggi e perfino agrumi, con la
prevedibile e prevista crisi delleccessiva specializzazione (pur essa conseguenza dellindustrializzazione), non lasciano dubbi in proposito. Non
per questo lecito pensare che la funzione del suolo sia stata completamente esaurita nel nuovo assetto del paese: come attestano gli esempi
di altri numerosi paesi intensamente industrializzati, lattivit agricola
non solo ineliminabile (anche se pu essere molto limitata), ma devessere salvaguardata in una societ oculatamente organizzata, sia per alimentare alcuni consumi non altrimenti soddisfatti, sia per fronteggiare
casi di emergenza relativamente facili a verificarsi, sia infine per considerazioni di carattere sociale, per cui lagricoltura sia pure circoscritta a pochi operatori pu inserirsi utilmente nel gioco delle forze produttrici di una nazione.
Orbene, per quanto attiene ai terreni italiani, non azzardato presumere che nel prossimo avvenire i meno adatti allattivit agricola saranno abbandonati definitivamente, e quelli di qualit mediocre e soprattutto privi di irrigazione saranno adibiti semmai soltanto ad unagricoltura estensiva, che per potrebbe essere non esente da pericoli per
levoluzione pedologica regressiva, per le ragioni prima indicate, ove
mancasse un adeguato controllo. Ma la frazione veramente vitale del lavoro agrario si concentrer con ogni probabilit su quei suoli prevalentemente alluvionali che dieci secoli di opere bonificatorie hanno saputo
maggiormente mettere in valore, rendendoli potenzialmente pi fertili
e perci economicamente pi redditizi. La bonifica di cui in questi paragrafi si tratteggiato lo sviluppo resta dunque un fattore valido e
attivo anche nella prospettiva futura dei terreni coltivati, ristretti come
si voglia ne siano larea e il significato prammatico. palese che anche
nei terreni bonificati le insidie di unindustrializzazione mal compresa
Storia dItalia Einaudi
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dellagricoltura saranno da sventare, elevando il livello tecnico degli operatori; alle tendenze deteriori, purtroppo avvertibili anche oggi, potrebbe contrapporsi vittoriosamente una coscienza agronomica millenaria. profondamente attaccata ad alcuni capisaldi fondamentali per lambiente pedologico mediterraneo: fra gli altri, bestiame e prati longevi,
oltretutto consoni alla crescente domanda di prodotti zootecnici. E poich il perno dellagricoltura intensiva sar sempre lirrigazione, occorrer evitare che lindustria invada indebitamente con i propri impianti
come avviene al presente i migliori terreni irrigui, inquini gravemente lacqua con i propri rifiuti o la sottragga addirittura per i suoi bisogni: gi ora si constata la diminuzione dellacqua nei canali della Val
Padana, non solo in seguito alla retrocessione dei ghiacciai, ma a causa
dellaccresciuto impiego idroelettrico; e negli ultimi ventanni la portata dei fiumi affluenti al solo Canale Cavour si ridotta di 20 metri cubi per secondo. Altro motivo di allarme (dovuto allindustria delle costruzioni) e labbassamento degli alvei dei fiumi (specie nelle regioni appenniniche e nel Veneto) in conseguenza dello scavo di materiale
ciottoloso dal fondo, per cui aumenta la velocit e il potere erosivo dei
corsi dacqua, mentre se ne restringono in pianura le golene e il letto,
per deposito di materiale fine; ne derivano anche un abbassamento corrispettivo delle acque freatiche, lessiccamento di sorgenti in prossimit
dei fiumi cos sfruttati, e la necessit di pompare lacqua per scopi irrigui, laddove la sua distribuzione poteva essere fatta prima per semplice
derivazione (un effetto secondario non trascurabile dello stesso processo lo scalzamento dei ponti ed altri manufatti, e la diminuzione delle
sabbie trasportate al mare, per cui aumenta lerosione delle spiagge litoranee). La competizione per lacqua tra industria e agricoltura un
fatto che non manca di preoccupare, in quanto troppo spesso sin da ora
la seconda di dette attivit si trova soccombente (e non solo in Italia).
Ci non toglie che ai terreni bonificati e irrigui riservato un posto
di primo piano in quel settore di lavoro agricolo che riuscir a sopravvivere dopo la scomparsa di tutte le imprese coltivatrici insufficientemente attrezzate per reggere il confronto nei risultati economici e sociali con le imprese industriali. Si deve certamente non poco alle opere bonificatorie se a met del secolo xx il paese ancora cento anni prima
sottoalimentato nonostante la sua prevalente-economia agricola sia stato in grado di raggiungere la piena autosufficienza nel suo alimento di
base, il grano, e ci con una popolazione decuplicata dai tempi romani,
che gi ricorrevano allimportazione dei cereali. Non per altro da credere che lutilizzazione dei terreni bonificati potr segnare anche in futuro un progresso crescente, se nel contempo non si eleva il livello tecStoria dItalia Einaudi
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nico, economico e sociale degli addetti ai lavori agricoli: la rivalutazione di questa categoria in seno alla societ assolutamente indispensabile per proseguire sulla strada di una appropriata e non deteriore industrializzazione dellagricoltura. Che i tempi siano mutati rispetto al
passato quando il contadino compiva opere mirabili pur accettando di
vivere di stenti e non di rado di vessazioni lo dimostra la fuga dai campi cui si accennato e che abbandona allincoltura anche i terreni migliori. Solo qualora alla bonifica del suolo si vorr innestare una superiore bonifica umana, il lavoro di generazioni per rendere fertili le nostre terre non sar stato vano.
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