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giovanni haussmann

Il suolo dItalia nella storia

Sommario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.

I terreni e le loro caratteristiche produttive


Antecedenti alla fine dellImpero romano
Il Medioevo e la prima ripresa dellagricoltura
Il Rinascimento e il suo declino
Il secolo precedente lunit dItalia
La valorizzazione del suolo nello Stato italiano
La nuova situazione dopo lavvento della Repubblica

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Storia dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

Da: Storia dItalia, vol. 1, I caratteri originali, Giulio Einaudi Editore, Torino 1972.

Storia dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

I. I terreni e le loro caratteristiche produttive.


Fra le componenti geografiche di una regione il suolo non certo la
meno importante, se si riflette al suo legame diretto con unattivit umana primaria, qual lagricoltura. Pertanto non sembra ingiustificato, dopo un esame generale degli aspetti geografici del nostro paese, dedicare
unattenzione particolare a questo fattore fondamentale dello sviluppo
di una civilt, tenendo presente che se da esso dipendono indubbiamente
alcuni tratti caratteristici dellevoluzione storica di una popolazione, esso medesimo condizionato di rimbalzo dallevoluzione in parola, in
una dialettica di reciproca interazione, risultato della simbiosi obbligata tra uomo e terra.
Per altro, quantunque i nessi tra suolo, agricoltura e storia appaiano
intuitivi, il loro dispiegarsi in una prospettiva cronologica e prammatica non facile a cogliere, anche per la lentezza dei processi in esso coinvolti, ci che spiega probabilmente il silenzio di solito mantenuto dalla
storiografia sul fattore terreno, ancorch ovviamente non altrettanto succeda per le vicende agricole; e se ora tentiamo di ristabilire una
visione pi coerente della storia, considerando specificamente il ruolo
dinamico che vi spetta al suolo, gli perch crediamo che ne possano
emergere alcuni contrassegni peculiari che nel corso dei secoli hanno
contraddistinto il divenire formativo degli abitanti dellItalia, pur essendo consapevoli dellaleatoriet del tentativo stesso, in quanto lincidenza del fattore studiato non pu essere agevolmente scissa da quella
di altri molteplici e preponderanti.
E primo fra tutti il clima, da cui il suolo medesimo in gran parte
determinato nelle sue propriet, se per suolo sintende quello strato superficiale del detrito minerale che provvisto di sostanza organica viva
o morta: questa invero deriva dalla flora e dalla fauna ospitate sulla superficie terrestre e differenziate essenzialmente in funzione del clima,
e soprattutto delle sue componenti termica e idrica. In difetto e talora
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anche in eccesso di tali componenti, la vegetazione delle piante superiori si attenua e perfino scompare, precludendo ogni possibilit allattivit agricola, prima ancora che si possa dire cessato il processo della
formazione del terreno, avviata dalla persistente vita microorganica ipogea. Per quanto riguarda il territorio italiano, le condizioni climatiche
maggiormente avverse sia alla pedogenesi, sia allagricoltura sono rappresentate dalla compresenza di eccessi termici e da difetto idrico per
periodi estivi dellanno che possono durare da un paio di mesi nel Nord
a cinque-sette mesi nel Sud; tale combinazione di fattori climatici, assai diffusa in pianura, ma riscontrabile anche in altitudine man mano
che si procede verso le zone meridionali, tipica delle regioni mediterranee e determina una duplice stasi vegetativa pi o meno espressa nel
semestre estivo e in quello invernale, anche se questultimo, specie nel
Mezzogiorno, concentrando la massima parte della piovosit e godendo
nel contempo di temperature miti, si presti in complesso meglio allo sviluppo delle piante e ai processi pedogenetici costruttivi.
Invero, adottando la scala climatica di Emberger per gli ambienti mediterranei, si constata che lItalia rientra nel settore comprensivo dei climi semiarido superiore (con piovosit annuale minima di 450 mm e massima di 600 mm) e subumido (piovosit di 500-900 mm), annoverando
per altro aree estese nelle zone pedemontane e sulle crinali alpine e appenniniche a clima umido (piovosit di 800-1200 mm) od anche perumido (piovosit di 1200-1500 mm ed oltre); quanto alle caratteristiche termiche invernali, si passa nello stesso ordine dagli inverni temperati (con media delle temperature pi basse nel mese pi freddo pari
a 3-5C) a quelli freschi (media di 0-3C) e infine freddi (media minore di 0C). Ne consegue una notevole variet di ambienti agrari e nel
contempo di suoli, questi ultimi largamente condizionati inoltre dallassai differenziata natura geologica delle matrici minerali, nonch dalla
configurazione orografica del paese, decisamente favorevole, nellinsieme, ai fenomeni erosivi. A questi contribuiscono in misura precipua la
distribuzione, lentit e la violenza delle precipitazioni: quantunque piuttosto irregolari da un anno allaltro (e ci costituisce uno dei principali
impedimenti ad unagricoltura non precaria nelle prevalenti zone non
irrigue), le piogge tendono a convergere nei brevi mesi invernali (clima
mediterraneo tipico) o nelle due stagioni intermedie (autunno-primavera, clima litoraneo)1, riversando talora in pochi giorni quasi la totalit
1 da notare che, pur rispondendo in complesso alle caratteristiche qui indicate dei climi umido-fresco e perumido-freddo, lItalia settentrionale specie per il tipo di distribuzione delle piog-

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dellacqua che cade nellanno, e provocando in tal caso lasportazione di


milioni di metri cubi di terreno e di detriti, specie su pendici declive,
che occupano daltra parte buoni due terzi del territorio. Come si vedr
pi oltre, le predette caratteristiche delle precipitazioni sono state determinanti nel conferire allagricoltura indigena alcuni dei suoi tratti distintivi, cui per altro contribuiscono non poco, da una parte, la diversificazione dei suoli, dallaltra la tradizione tecnica e le strutture sociali
delle entit etniche che popolarono via via la penisola e le isole.
La diversificazione dei suoli, quale si manifesta prima di ogni intervento umano, pu essere interpretata con prospettive alquanto dissimili, a seconda che si prenda per metro linfluenza della roccia-madre originaria (prospettiva geologica), o la consistenza morfologica e chimica
del profilo (prospettiva pedologica), oppure linsieme delle cause preminenti nella formazione e nellevoluzione del terreno (prospettiva pedogenetica). Non ovviamente questa la sede per esaminare da presso
lestesa gamma dei terreni che secondo le singole classificazioni rispecchia la situazione dei suoli nel nostro paese, tanto pi che un significato agronomico, e quindi storico-umano, assumono non gi le semplici unit di classificazione (grandi gruppi o tipi di suolo), bens le loro
ben pi numerose associazioni pi comuni, potendosi osservare anche
in una sola area aziendale lalternarsi di formazioni differenti, che tuttavia postulano soluzioni agrarie unitarie, il pi da vicino adeguate a
ogni siffatta associazione. Daltra parte pure da tener presente che i
terreni agrari coltivati da tempi antichissimi (e in Italia linsediamento
dellagricoltura risale in vaste plaghe ad almeno 4000 anni a. C.) hanno
spesso ben poco in comune con i suoli naturali originari, avendo luomo
agito da fattore principale della loro evoluzione, ora provocandone o accelerandone la degradazione, ora invece operando in senso inverso, ma
conseguendo allora lenuclearsi di un substrato che, pur nelle situazioni
di partenza pi varie, tende ad assumere caratteristiche fondamentali
uniformi e si avvicina in misura maggiore o minore ad un unico tipo, definito come terreno agrario perfetto (fra i due estremi suaccennati si collocano le molteplici forme di transizione). Ne deriva, dal punto di vista
della storia, il particolare interesse delle modificazioni in un senso o
nellaltro subentrate nei suoli naturali per azione umana, in quanto da
esse dipeso lorientamento economico e sociale delle generazioni successive.

ge pi o meno nettamente prevalenti nel semestre estivo va considerata come zona di trapasso
che risente sia del clima continentale, sia di quello atlantico.

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Non per questo riveste minore importanza la conoscenza delle situazioni di partenza, rivelatrici dei rapporti tra uomo e suolo, tra suolo
e sviluppo della societ. Per dare unidea sia pure sommaria di tali situazioni, converr anzitutto precisare che la zonalit climatica prima ricordata si rispecchia, anche se imperfettamente (per il sovrapporsi di altri fattori), nella zonalit latitudinale e altitudinale dei terreni, definendone le propriet pi generali, attinenti cio allaccumulo di sostanza
organica e al tipo di umificazione, da cui dipende essenzialmente il grado di fertilit agronomica o integrale del suolo. Cos, al clima semiarido proprio delle zone pianeggianti e delle basse colline dellItalia meridionale (isole comprese) corrisponde molto schematicamente una fascia di terreni quasi privi di humus attivo, sia per la scarsit dei residui
organici, sia per la rapidit della loro decomposizione e mineralizzazione o per la natura dei loro prodotti di degenerazione; la fertilit agronomica potenziale vi dunque mediocre, anche se suscettibile di essere
radicalmente migliorata mediante lirrigazione. Risalendo la penisola,
od anche solo le falde montane, si passa al clima subumido e nel contempo ai terreni alquanto pi ricchi di sostanza organica e soprattutto
soggetti ad un ciclo di umificazione pi lungo, ci che assicura loro un
maggior rigoglio vegetativo e una migliore rispondenza alle esigenze delle colture agrarie: vi si inquadrano in particolare alcune valli fluviali
dellItalia centrale e massimamente buona parte della pianura padana,
mentre in altitudine il predetto stato di cose viene compromesso non di
rado dalla ripidit delle pendici e dai connessi fenomeni erosivi, preclusivi nei riguardi della stabilit del suolo e seguiti dallaffioramento
della nuda matrice. Il clima umido interessa larco subalpino ai piedi della catena montana e nei suoi contrafforti, nonch la maggior parte della crinale appenninica: i terreni vi accusano processi di lisciviazione che
accompagnano quelli di deposito organico relativamente abbondante,
ma la cui umificazione procede alquanto lenta, con effetti talora negativi sulla fertilit attuale; a parte ci, in montagna simili terreni hanno
di norma uno spessore minimo, ci che ne limita ulteriormente lutilizzazione da parte dei vegetali. Una situazione analoga, ma esasperata,
corrisponde poi al clima perumido delle maggiori alture delle Alpi e in
qualche tratto degli Appennini, specie sul versante tirrenico.
In tale schema semplificato allestremo sinserisce, con tutte le sue
conseguenze per lagricoltura, la natura diversificata delle matrici, di cui
lo stato di disgregazione o di metamorfosi arreca necessariamente varianti supplementari ai terreni che ne derivano. Tali varianti, anzi, diventano non di rado determinanti per lopera che viene richiesta dalluomo nei riguardi del suolo e fanno s che una attenzione particolare va
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accordata a giusto titolo in Italia allorigine geologica delle matrici. Questa risale a tre formazioni principali: prepliocenica, pliocenica e quaternaria, alle quali si riconnettono rispettivamente le massime elevazioni
montuose, le zone collinari e quelle di pianura, le due ultime essendo
quelle pi interessate dagli insediamenti agricoli, mentre la maggiore differenziazione delle matrici si riscontra ovviamente nella prima formazione. Qui invero si annoverano le rocce granitiche e affini, gli scisti argillosi, le arenarie pi o meno cementate, i calcari marnosi, compatti e
dolomitici, alcune rocce vulcaniche, ecc.; le formazioni plioceniche per
contro presentano un quadro pi semplice, in quanto derivanti da depositi marini emersi per sollevamento della crosta terrestre, e comprendono matrici composte di ciottolame variamente grossolano, di ghiaie,
sabbie (in parte lacustri), di argille sabbiose e argille pure, materiale tutto non cementato e perci di norma instabile ed esposto a facile erosione; per altro, appartengono alla stessa epoca le maggiori manifestazioni
effusive vulcaniche sparse in varie zone del territorio. Infine, al Quaternario fanno capo essenzialmente i depositi diluviali e alluvionali procurati dai corsi dacqua e quindi costituiti di detrito di trasporto, pi
ricco di scheletro e di particelle voluminose vicino alle sorgenti o allo
sbocco delle valli montane, di limo e argilla presso le foci: in sostanza le
matrici sono analoghe a quelle dei depositi marini prima menzionati, ma
la loro diversa giacitura e la relativa stabilit conferiscono loro un ruolo differente nella genesi dei terreni, pi decisamente legato alla zonalit climatica e allincidenza della vegetazione.
I terreni che derivano dalle formazioni geologiche accennate risentono, come si detto, in misura maggiore o minore delle diverse matrici su cui si trovano a poggiare, e offrono pertanto possibilit ben distinte
alla loro utilizzazione agraria. Restringendo la casistica ai raggruppamenti di rocce pi comprensivi, comunque da rilevare che la stessa prevalenza delle formazioni montuose e collinari conferisce un peso non indifferente allinfluenza degli aggregati minerali che ne sono lossatura:
tra le rocce preplioceniche eruttive, i magmi granitici e sienitici, i porfidi quarziferi, come pure gli scisti cristallini (rocce metamorfiche), che
costituiscono larco alpino e si riscontrano per brevi tratti in Calabria e
in Sicilia (monti Peloritani), nonch occupano gran parte della Sardegna
nordorientale, dnno origine a terreni di scarsa fertilit, che abbiano subito processi di podzolizzazione in zone di pi alte precipitazioni (i podzol delle Alpi in altitudine) o semplicemente di lisciviazione (suoli bruni acidi, lisciviati, eventualmente pseudogley in ambiente umido della
cerchia alpina e prealpina; suoli bruni mediterranei in ambienti semiaridi o subumidi): tali terreni dnno sede di solito a una vegetazione arStoria dItalia Einaudi

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borea ed erbosa di prati e pascoli e mal si prestano ai seminativi, se non


nelle zone di accumulo e di argillificazione. La loro utilizzazione per
per colture agrarie, specie nelle regioni meridionali, ha avuto in passato una certa estensione, oggi ridotta ma non scomparsa; in futuro si prevede il ritorno, almeno dei terreni declivi, alla loro vocazione forestale
o pabulare.
Ad analoghi tipi di terreni dnno luogo altre rocce magmatiche intrusive, come i magmi dioritici e i gabri, anchessi collegati con i sistemi montani, i primi con lalpino (e ne derivano terreni pi ricchi di calce, adatti a svariate colture), i secondi con lAppennino settentrionale,
e ne discendono terreni di fertilit mediocre, perch vi abbonda lo scheletro e scarseggiano le basi alcaline. Qui del resto, come in Piemonte, si
riscontrano rocce peridotitiche e serpentine, che dnno luogo a terreni
di scarso spessore, poverissimi di argilla e di elementi nutritivi, e quindi tendenzialmente sterili.
Di natura nettamente diversa sono di norma i suoli originatisi da rocce magmatiche effusive recenti (del Pliocene o del Quaternario, ed anche quelle pi antiche delle Prealpi venete e della Sardegna), come i basalti, le trachiti, le tefriti, le leucititi e altri tipi di lave, riscontrabili nelle formazioni vulcaniche (parte dei monti Berici e Lessini, monte
Amiata, zona dei laghi laziali, del Vulture e dei Campi Flegrei, nei pressi del Vesuvio, di Roccamonfina e dellEtna, di monte Lauro in Sicilia
e del monte Ferru in Sardegna). Ne possono derivare terreni altamente
fertili, profondi, provvisti di argilla e ossidi di ferro, di calce e di potassa, non privi di fosforo, e adatti alle colture pi varie. N di minore
fertilit, ma anzi maggiore, si presentano i suoli sviluppatisi dalle rocce
piroclastiche (tufi vulcanici terrosi), estese pi o meno nelle zone gi citate, e in particolare nelle alture laziali, nella campagna romana e nel Viterbese, nellOrvietano, nella Campania e nel Sassarese.
Unarea tuttavia di gran lunga pi ampia occupano in Italia le rocce
sedimentarie, che accusano una notevole variet di tipi e perci anche
di terreni derivati. La massa pi imponente rappresentata dalle rocce
sedimentarie pi antiche (preplioceniche), calcaree e dolomitiche, le prime dominanti nelle Prealpi, nella parte pi alta dellAppennino centrale e meridionale, nel Ragusano-Siracusano, nel Trapanese-Palermitano,
nonch in zone limitate del Cagliaritano e del Sassarese: ad esse sono
dovuti anche gli altipiani calcarei contraddistinti spesso da fenomeni
carsici (Carso, Cansiglio, Asiago, Serle, Matese, Murge, Materano). Le
seconde costituiscono lossatura delle Alpi Dolomitiche (Carniche e Giulie, Cadorine, del Brenta, tra il lago di Garda e quello di Como), ma si
riscontrano pure nellAppennino campano-lucano, in Sicilia, nella NurStoria dItalia Einaudi

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ra e nel Nuorese. I terreni formatisi su questa categoria di rocce (come


pure sulle affini rocce organogene) sono di scarso spessore, aridi, poco
fertili, ma atti ad ospitare in zone di maggiore piovosit cotiche pabulari ottime e foreste conifere imponenti, formazioni tutte assai preziose per la loro funzione antierosiva su detti substrati, suscettibili di intensa degradazione.
Tale degradazione conduce alloriginarsi, nelle regioni contermini
temperate, di rocce sedimentarie propriamente dette o clastiche, dalle
quali derivano qualora non difetti largilla (in presenza di marne)
suoli pi produttivi, bruni calcarei e renzina, simili a quelli della categoria precedente, ma oltrech boscati (con latifoglie nellAppennino),
adibiti anche a seminativi, sia pure destinati a ridursi in avvenire. Ad
altitudini minori, sui terrazzi morenici e nelle zone pedemontane, in cui
confluiscono anche detriti silicati e si verificano processi di argillificazione pi spinta e talora di lisciviazione, si hanno ancora terreni del medesimo tipo ma quasi interamente coltivati (a seminativi o vite), per cui
la loro natura riflette nettamente lintervento del fattore antropico, di
regola nel senso di arricchimento e risaturazione.
Dal disfacimento chimico delle rocce soprattutto calcaree per azione dellacqua in clima caldo mediterraneo e in microclimi azonali analoghi prendono origine per contro le terre rosse tipiche (prive di carbonati e talora inframezzate da suoli bruni pi profondi e pi umiferi), diffuse nelle zone litoranee della Liguria e della Toscana, nel Gargano, in
Puglia da Barletta a Lecce, nei monti Lepini, dal Cilento a Castrovillari in Calabria, in prossimit del mare in Sicilia e in Sardegna, dove nel
Sassarese e nella Nurra vi si associano suoli rossi calcarei (con discreto tenore in carbonati), meglio rappresentati nel Carso, nelle Prealpi bresciane, ma anche in Puglia e altrove. Vi allignano la macchia (su substrati acidi) o la gariga (su substrati calcarei) e pascoli magri, e nelle condizioni migliori leccete e coltivi nudi o promiscui, con vigneti, oliveti,
agrumeti ed altre piante arboree, a seconda della varia profondit del
suolo e della disponibilit di acqua. Nelle zone pi aride della stessa formazione si riscontrano suoli aventi molte caratteristiche in comune con
le terre nere degradate, coltivate per lo pi a cereali.
Unalterazione ancora pi profonda delle rocce originarie calcaree,
marnose, arenarie, ecc. d luogo ai vari tipi di argille, caratteristiche
soprattutto dellItalia centro-meridionale, dove vaste plaghe collinari sono dovute a questi depositi in buona parte marini, emersi nel Pliocene.
Di norma ne derivano terreni compatti, impermeabili, talvolta fortemente alcalini, sempre assai erodibili e di difficile messa a coltura; anzi, lo strato del suolo sovente molto sottile, sede di una vegetazione
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erbacea xerofitica, pi di rado di boschi degradati, e le lavorazioni agricole interessano largamente la stessa matrice, creando problemi tecnici
di non facile soluzione. Vi appartengono i regasuoli, i vertisuoli, e anche i suoli bruni, bruni calcarei e bruni mediterranei che coprono unarea
non indifferente dellambiente submediterraneo dallEmilia a tutto il
versante adriatico fino a Vasto; in Toscana emergono le argille plioceniche con le crete senesi e i calanchi e balze volterrane, che danno
i substrati pi impervii, sparsi inoltre in altre zone preappenniniche
dellItalia centrale (Valle Tiberina) e meridionale (Ariano Irpino, Potenza, Matera, Pisticci); meno ardue a coltivare le argille mioceniche,
presenti in larga misura in Sicilia centro-occidentale, nelle Langhe e nel
Monferrato, ecc.
Sorvolando su diverse altre formazioni di estensione limitata e distribuzione sporadica, resta a dire delle matrici di trasporto del Quaternario, diluviali e alluvionali, insediate nei compluvi e nelle valli fluviali, e che grazie anche alla loro costituzione eterogenea procurano
i terreni caratterizzati dal pi alto grado di fertilit integrale, anche se
ancor qui frutto in parte dellattivit antropica: ne il massimo esponente la Valle Padana, con una propaggine nel Vicentino, nel Trevigiano e fino al Friuli, con i suoi suoli alluvionali accompagnati a sud delle
Alpi da suoli lisciviati idromorfi a pseudogley e suoli bruni lisciviati, di
derivazione fluvio-glaciale, alquanto meno fertili, come la baraggia vercellese. I suoli alluvionali hanno laspetto di regosuoli profondi disposti
su sedimenti recenti e attuali, che possono essere a grana grossa (nel fondovalle), limoso-sabbiosi o limoso-argillosi (nel tratto medio della valle),
e infine prevalentemente argillosi (nel tratto basso), quantunque tale distribuzione sia tuttaltro che regolare: le plaghe pi fertili sono normalmente limitate alle ultime due formazioni, nonostante che anche queste
non siano prive di difetti, nella prima riscontrandosi talora in profondit orizzonti impermeabili (concrezioni calcaree e ferruginose, come
caranto, castracane, ecc.), nella seconda essendo piuttosto generale un
drenaggio difficile per la presenza di colloidi reversibili. Per altro, la costituzione fondamentalmente vantaggiosa dei terreni in esame, la loro
giacitura in piano e soprattutto la diffusione in essi, sempre pi estesa,
dellirrigazione (lacqua essendo il maggiore fattore limitante della vegetazione nella penisola e nelle isole), fanno s che i suoli medesimi ospitano di norma lagricoltura pi redditizia e pi varia, che spazia dai fruttiferi agli ortaggi e ai fiori, dai cereali alle piante industriali e alle foraggere, con possibilit della massima diversificazione e di rapida
conversione da un tipo di ordinamento allaltro. Simili condizioni tuttavia si riscontrano su appena un quinto circa del territorio, e fino ai
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tempi recenti neanche tale quota poteva essere interamente utilizzata,


a causa del disordine idrico in alcune pianure e la persistenza della malaria; per il futuro, lecito prevedere che le coltivazioni erbacee comunque orientate si verranno a concentrare quasi esclusivamente sui
terreni in parola, tendendo oggi lagricoltura a impegnare una percentuale vieppi ridotta della popolazione, insediata pertanto negli ambienti
pi favorevoli allattivit coltivatrice: ci semprech le contrade di pianura alluvionale non finiscano per essere totalmente invase da agglomerati urbani e industriali, oggi in via di rapida espansione proprio in
tali zone, sedi delle maggiori vie di comunicazione. Loccupazione non
agricola di questi suoli comporta gi sin da ora, ogni anno, la perdita di
migliaia di ettari di buona terra che non si ricupereranno mai, non solo
perch definitivamente assoggettati alle costruzioni e alla viabilit, ma
anche perch deteriorati fuori dalle aree cos occupate dai rifiuti tossici delle industrie, che inquinano laria e le acque irrigue ed eliminano
gradualmente dalle coltivazioni tutte le specie sensibili agli agenti nocivi, riducendo le scelte tecniche ed economiche convenienti e finalmente costringendo lagricoltore ad abbandonare il terreno isterilito.
Emerge dal panorama esposto che la natura dei suoli italiani, almeno nella sua consistenza originaria, tuttaltro che confacente nella
maggior parte del territorio allesercizio agevole e altamente remunerativo dellagricoltura, a prescindere dalle primeggianti condizioni climatiche che a tale attivit oppongono quasi ovunque rilevanti ostacoli.
E tuttavia linsieme di questi fattori si trova ad essere sensibilmente meno restrittivo nei confronti dellattivit in questione, che non nei restanti paesi rivieraschi del mare Mediterraneo, tanto che considerando le zone di pi antico popolamento nel bacino, comprese lAsia Minore, le coste africane, la Grecia, il lembo meridionale della Gallia
transalpina e la penisola Iberica non si pu negare che sin dai tempi
pi remoti lItalia si trovasse, e si trovi tuttora, in una situazione privilegiata, essendovi assai meno esasperati gli estremi ambientali negativi,
caratteristici della fascia semiarida indicata, confinante ad est e a sud
col predeserto. Da qui nacque il mito dellAusonia tellus, magna parens frugum, polo dattrazione per le migrazioni e le colonizzazioni
provenienti dalle terre pi povere, elleniche, fenicie, cartaginesi, colonizzazioni agricole appunto e che gi con linsediamento degli etruschi
diedero allagricoltura un impulso e uno sviluppo preminente, non pi
destinato a spegnersi fino allera contemporanea. Che il territorio non
fosse in realt una terra promessa e non bastasse, gi qualche secolo
avanti Cristo, a soddisfare una popolazione agricola crescente ma dotata di tecnica rudimentale (sia pure progredita rispetto ai tempi), lo diStoria dItalia Einaudi

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mostra la tendenza allespansione fuori dai limiti del paese, provocata


inizialmente forse come reazione alle invasioni dallesterno, ma culminata in senso a sua volta decisamente colonizzatore con lImpero romano; tendenza che riaffior dopo la lunga parentesi delle migrazioni barbariche e del nuovo riassetto durante lalto Medioevo, con laffermarsi
delle repubbliche commerciali marinare. Laltra componente integrativa di quella agricola (insufficiente) nelle risorse della popolazione si dipan di pari passo con quella commerciale, e fu lartigianato e lattivit
trasformatrice, tipiche occupazioni delle citt uscite dal dominio feudale e cresciute nellesplosione della rinascenza, gi allora in concorrenza
e competizione con la vita rurale: e non appena il paese, dopo la successione di dominazioni straniere, riprender una sua autonomia, saranno ancora le componenti industriale e commerciale a imporsi come
preminenti rispetto allagricoltura, non solo per la loro intrinseca maggiore forza nelle strutture sociali, ma per le oggettive carenze dellambiente pedo-climatico in cui opera il coltivatore italiano, come stato
pi sopra tratteggiato. E quando questultimo nei periodi di scompensi
forse inevitabili fra le attivit agricola e industriale si trover ancora
una volta senza risorse per campare in un mondo in repentina trasformazione economica (fine Ottocento, met Novecento, ecc.), sar proprio lui costretto a riprendere la via dellespansione fuori del suo territorio, in una forma per lui nuova (essendo devoluti i tempi degli imperi di conquista) ma non insolita in situazioni analoghe, la forma di
emigrazione in massa di genti venute dalla terra, con scarsa o nessuna
specializzazione di mestiere ma con una sorprendente capacit di adattarsi e anche primeggiare in qualunque lavoro, che espatrieranno temporaneamente o definitivamente, popolando in questultimo caso le contrade pi lontane dei continenti di recente scoperta e creandovi ancora
non di rado colonie agricole fra le pi evolute della regione.
Ci non toglie che la componente agricola abbia avuto per lunghi
tratti dellarco storico considerato un ruolo comprimario nel determinare levoluzione della societ e nel conferirle caratteristiche culturali
inconfondibili; e poich il suo dispiegarsi non poteva far a meno di un
intimo condizionamento da parte del suolo che ne era il supporto obbligato, lattivit coltivatrice fu diretta ogniqualvolta le fu consentito
dalle vicende dellambiente umano a limitare al massimo tale condizionamento, nel senso di indurre nei substrati coltivati le propriet di
una fertilit integrale stabile, eliminandone fin dove possibile i difetti
originari. I diversi terreni naturali venivano in tal modo gradualmente
trasformandosi in un tipo di terreno relativamente pi uniforme (identiche essendo le esigenze delle colture maggiormente diffuse nel terriStoria dItalia Einaudi

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torio), almeno nelle zone pi intensamente coltivate, anche se le misure per raggiungere il traguardo di un suolo agrario ideale fossero da caso a caso sensibilmente differenziate. Da questa interazione reciproca
tra suolo e coltivatore sono derivati non solo la elevata perizia agricola
in molteplici regioni del nostro paese e un potenziamento corrispondente
della fertilit agronomica del terreno, ma ne hanno tratto vigore le tecniche accessorie e le stesse industrie di trasformazione, inizialmente innestate in prevalenza sui prodotti agricoli. Pertanto, lincidenza del suolo sullo sviluppo storico della popolazione va ravvisata, nella maniera
forse pi esplicita, precisamente in quelle molteplici misure che lagricoltura elabor via via per rendere maggiormente efficiente la simbiosi
tra luomo e la terra: misure che con termine moderno si possono indicare come bonifica integrale. A questa dunque sar rivolta, nellesame che segue, una particolare attenzione.
2. Antecedenti alla fine dellImpero romano.
Non v dubbio che il primo condizionamento esercitato dal suolo
sulle scelte umane, e quindi sulla storia, sia stato quello che concorse, in
ogni epoca, nella determinazione degli insediamenti agricoli; e poich
da questi dipendeva in gran parte (se non esclusivamente), fino allera
industriale, la formazione continuativa e pi consistente della societ, i
rapporti tra colonizzazione agricola e natura del terreno presentano un
interesse eccezionale per chi voglia enucleare il ruolo esplicito del suolo nellevoluzione storica di un popolo. Purtroppo, manca tuttora in Italia una ricerca sistematica sullargomento che possa illuminare questo
particolare aspetto dellinterdipendenza uomo-terra, per cui una sua trattazione esauriente non oggi affrontabile: tuttal pi se ne potranno
prospettare alcuni elementi nel corso della presente esposizione e so prattutto nel capitolo successivo, che concerne la colonizzazione del territorio.
Daltro canto per, rester sempre difficile stabilire, fino a che punto in ogni insediamento considerato il suolo sia stato un fattore determinante della scelta, mentre di peso certamente maggiore ai fini dellindagine storica rimane il modo con cui il coltivatore ha reagito al condizionamento in questione, ora adattando le sue tecniche alle
caratteristiche del terreno, ora cercando di trasformare la natura di questultimo, adeguandolo alle esigenze di una tecnica elaborata altrove,
oppure combinando i due procedimenti in una soluzione di compromesso. Da tali reazioni dipende infatti lo sviluppo economico e sociale
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della civilt, di cui in ultimo vogliamo interpretare il punto darrivo a


noi contemporaneo, cogliendo il significato di una successione di interventi che risalgono ai margini della preistoria. dunque su questo insieme di reazioni che conviene far luce in primo luogo, per larco di tempo qui considerato ed essenzialmente nellambito dellattivit agricola,
quella cio per la quale il suolo costituisce lo strumento produttivo per
eccellenza, e che daltra parte lunica fra le attivit di maggior rilievo a far leva direttamente sul predetto fattore. Non basta: riferendosi alle condizioni prevalse finora in Italia, dice il Romagnosi: La terra
non solo uno strumento produttivo fra gli altri: nella nostra storia lo
strumento preminente fino al secolo xx, e perci pure sede della vita
sociale, la quale ne atteggiata e plasmata. In altre parole, il suolo e
lagricoltura, con i suoi interventi sul terreno e con la bonifica in modo
particolare, sono parti integranti precipue dellevoluzione storica del
paese, per cui sembra perfettamente giustificato esaminarle sotto il profilo pi sopra specificato, nellintento di approfondire la comprensione
delle vicende umane che ne hanno subito linfluenza.
Ora, levoluzione agricola a met del secolo v d. C. aveva gi percorso in Italia una parabola estremamente significativa, per le ragioni
accennate nel precedente paragrafo, investendo buona parte dei terreni pi facilmente coltivabili di pianura e di collina e toccando perfino
alcune zone montane, vuoi con le coltivazioni (nelle vallate maggiormente accessibili o di transito), vuoi col pascolo (nelle plaghe via via disboscate). Attraversata la fase della piccola impresa familiare, orientata
anzitutto allautosufficienza, ma indotta nel contempo a elaborare una
tecnica culturale che con le attrezzature disponibili in allora aveva
acquisito un notevole grado di efficienza e in particolare aderiva alle esigenze fondamentali del suolo coltivato, lagricoltura era stata spinta successivamente col crescere del centro imperiale di Roma alla produzione speculativa o di mercato, assai meno attenta ai problemi posti dalla conservazione della fertilit che non alla soddisfazione immediata di
una domanda vieppi intensa da parte delle popolazioni urbane e degli
eserciti dislocati alle frontiere: domanda di cereali in primo luogo, ma
anche di bestiame, di legno per le navi, per i fabbricati e da ardere.
La pressione di tale domanda non avrebbe forse da sola scardinato i
precedenti ordinamenti, se nel frattempo la struttura primitiva delle
campagne non si fosse profondamente mutata in seguito al loro progressivo spopolamento (dovuto alle guerre e alla miseria, nonch allinurbamento) e alla conseguente sostituzione della piccola azienda contadina col latifondo imperniato sul lavoro servile, incurante di seguire le
buone tecniche e privo di iniziative e di stimoli per il miglioramento delStoria dItalia Einaudi

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le rese. Soccombono per prime a tale indirizzo le regioni meridionali e


centrali, pi direttamente e duramente controllate dalla metropoli e in
parte anche ritenute pi opulente per lantica fioritura di alcune colonie greche e cartaginesi; la tendenza alla monocultura cerealicola estensiva si manifesta soprattutto in Sicilia, fino a quando di fronte alle importazioni massicce di grano dalle terre conquistate nel Vicino Oriente
e in Africa settentrionale non appare conveniente rivolgersi a prodotti
meno soggetti a concorrenza e a prezzi dimperio: prodotti della vite,
dellolivo, dei pascoli sempre pi estesi e carichi di greggi.
Questultimo orientamento, ristretto progressivamente di preferenza alla sola utilizzazione, appunto, dei pascoli naturali o di coltivi abbandonati alla vegetazione spontanea, e comparso gi sul finire dellet
repubblicana, guadagna dopo Augusto, e pi ancora durante il Basso Impero, anche le plaghe dellItalia settentrionale, provocando ulteriori disboscamenti ed esaltando i fenomeni erosivi, gi operanti invero (e sia
pure in misura contenuta) nella fase precedente della piccola impresa familiare, dappoich non sembra che il sistema agrario romano, al pari di
quelli greco ed etrusco che ne furono i precursori, abbia cercato soluzioni per la sistemazione idraulica del suolo, salvo quelle che riguardavano la tecnica dellirrigazione. Quando, invero, la testimonianza di Plinio ci parla di canali di scolo scavati dagli etruschi in corrispondenza del
Po, si tratta essenzialmente di una misura contro il pericolo ricorrente
delle inondazioni, per il deflusso irregolare del fiume; le uniche tracce
di interventi importanti ai fini agricoli restano, da parte degli etruschi,
la cosiddetta Tagliata, presso Ansedonia in Maremma (che serviva da
emissario alla laguna di Burano verso il mare, mediante un taglio nella
roccia), e da parte dei romani, il canale scavato tra Piacenza e Parma da
Scauro, verso la fine del secolo ii a. C., per prosciugare le paludi locali.
certo comunque che lespansione delleconomia pastorale alla fine
dellImpero , assai pi indifferente alla natura dei terreni rispetto a
quella coltivatrice, esasper con la distruzione della vegetazione forestale e col sovraccarico delle cotiche pabulari quel processo di degradazione di tutti i suoli declivi (e soprattutto quelli ancorati al sistema appenninico) che ha dato limpronta maggiore agli interventi successivi sul
suolo stesso dellattivit agricola posteriore nella penisola: il processo
che si configura nel disordine idrico e che denudando del substrato
fertile le pendici montane e collinari origina in pianura le alluvioni, il
ristagno delle acque e la palude.
forse necessario precisare a questo punto che il disordine idrico
non in alcun modo riconducibile unicamente al fattore antropico, concorrendovi anzitutto gli agenti climatici e pedogenetici naturali, da cui
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dipende lo stesso ciclo geologico delle disgregazioni delle rocce e della


modellazione del rilievo della crosta terrestre. Pertanto, il processo che
d origine al disordine idrico permanente nella storia del suolo e viene solo attenuato, ma non estinto, in determinate circostanze, di cui qui
sar sufficiente ricordare due di maggior peso: a) quando la roccia madre o il detrito minerale per le loro caratteristiche costitutive presentano una pi pronunciata resistenza agli agenti disgregatori (in tal
senso le argille e in grado minore le arenarie dimostrano la massima instabilit); b) quando tali matrici sono ricoperte da terreno relativamente profondo e protetto da fitta vegetazione, arborea od erbacea, questultima atta in modo particolare attraverso la strutturalit indotta
nel suolo a regolare il regime idrico del substrato, frenandone lerosione superficiale. Ora, come gi stato indicato, fra le rocce sedimentarie, preponderanti in Italia, le argille di vario tipo occupano unestensione notevole, specie nelle regioni centro-meridionali, ma non mancano neanche altrove, per cui da ritenere che il disordine idrico e le sue
conseguenze si siano manifestate nel nostro paese sin dalle et pi remote e nonostante il rivestimento vegetale, che con una popolazione ancora rada poteva mantenersi pressoch indisturbato. Fra le manifestazioni pi frequenti e appariscenti di tale disordine da menzionare limpaludamento dei compluvi (connesso oltretutto con il progressivo ritiro
del mare nellera pliocenica e nel Quaternario superiore), il quale ove
non fosse seguito da un prosciugamento spontaneo (di solito per progressiva colmata) rendeva agrariamente inutilizzabili molte zone pianeggianti, contrassegnate di norma dai terreni pi fertili. In tal caso, gli
insediamenti umani respinti di necessit sulle alture (e ne riscontriamo ovunque nel paese le vestigia antichissime) comportavano sempre
il rischio di aggravare il disordine idrico, anche se allinizio il danno dovesse essere trascurabile per la scarsit degli stanziamenti, risalenti ad
almeno 3000 anni a. C. (4000 nel Sud). Per altro, col crescere della densit delle popolazioni, era inevitabile che il fattore antropico divenisse
vieppi attivo nel turbare gli equilibri naturali tra suolo e vegetazione:
e se le colonie greche rivierasche nel Mezzogiorno (secolo viii a. C.) e
quelle etrusche nel Lazio, in Toscana e in Val Padana (quivi sostituite
dai celti nel secolo v a. C.) mantennero probabilmente ancora una simbiosi non pregiudizievole per il terreno, dato il sistema agrario dominante che si trasmise anche alla piccola impresa familiare romana, tuttavia gi nel secolo v a. C. fece a quanto sembra la sua comparsa in
Italia la malaria, satellite consueto degli impaludamenti e causa ulteriore (insieme con quella della difesa militare) della fuga degli insediamenti verso le alture. Da allora il disordine idrico non far che aggravarsi
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per circa duemila anni, con un apice verso la fine dellImpero, e diventer il problema principale dei rapporti tra luomo e il suolo sin da quando alluscita dallEvo Medio lagricoltura riprender la sua ascesa,
con linvenzione di nuove tecniche, e in pi favorevoli condizioni sociali: la soluzione integrale di tale problema potr dirsi impostata, se non
ovunque attuata, solo a met del secolo xx.
Tornando al declino dellImpero romano, v da sottolineare che insieme alla restrizione delle terre coltivate e alla diffusione del pascolo
estensivo, incontrollato e invadente, a quellepoca che avviene il primo grande e indiscriminato denudamento di vaste plaghe nella crinale
appenninica e nella sottostante collina, con la scomparsa delle foreste
preesistenti e con il depauperamento anche della vegetazione erbacea,
dando luogo ad associazioni floristiche assai degradate e talora irreversibili. Il fenomeno interess massimamente la fascia semiarida del paese, con terreni poveri di sostanza organica e pi esposti perci a rapida
degradazione, dato anche il peculiare regime delle piogge, violente e concentrate in brevi periodi, e traducentisi in corsi dacqua torrentizi di cospicua forza distruttiva. Lo stesso fenomeno, e per cause non dissimili,
si era gi manifestato con diversi secoli di anticipo in altre regioni del
bacino mediterraneo (Grecia, Asia Minore, Africa settentrionale), contrassegnate da aridit maggiore e nel contempo da stanziamenti umani
pi antichi. Per converso, risalendo la penisola e passando alla fascia subumida, leconomia pastorale era meno suscettibile di spingere la degradazione dei terreni ai predetti estremi e si tradusse pi che altro in
incoltura, che consent anzi non di rado la ricostituzione di una vegetazione spontanea, prativa e forestale, forse non molto diversa da quella
originaria, e comunque atta a ridurre il disordine idrico a proporzioni
pi modeste. Gi questo solo fatto veniva a predisporre condizioni pi
propizie per lo sviluppo futuro dellagricoltura nelle regioni pi a nord
rispetto ai maggiori centri tradizionali, e una volta fiorenti, della civilt
mediterranea: qui in piccolo si ripeteva il processo generale, per cui il
progresso della coltivazione della terra, che aveva avuto la sua culla nelle zone semiaride del globo, era destinato a spostarsi definitivamente
verso le zone temperate, meno aleatorie dal punto di vista pedogenetico nei riflessi delle possibilit produttive.
Gli imperatori romani, a cominciare da Augusto, avevano cercato di
contrastare labbandono delle terre e il dilagare dellincoltura, ma con
scarso successo: fra gli ultimi, Giustiniano estese listituto dellenfiteusi alle terre private (per quelle pubbliche il contratto in parola era da
tempo applicato), e Teodorico concedeva in propriet (a Spoleto,
nellAgro Pontino, ecc.) territori paludosi o deserti a condizione che veStoria dItalia Einaudi

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nissero riscattati alla coltura. Ma nei secoli v e vi le campagne erano ormai spopolate, e lo stesso numero complessivo degli abitanti metropolitani era dimezzato rispetto al periodo aureo dellImpero, essendo sceso
a soli 5-6 milioni. La maggior parte del grande dominio fondiario rimaneva incolta, lasciata in uso comune o del tutto abbandonata e vacante,
perch eccedente il bisogno di utilizzazione; le poche terre coltivate
ovviamente le pi fertili del fondo erano in mano a servi padronali (gi
schiavi) e a servi della gleba o coloni soggetti a prestazioni dominicali,
privi di incentivi a incrementare la produzione, di fronte allarbitrio del
possidente e allincertezza e alla disorganizzazione dei mercati. Le colture erano destinate essenzialmente allauto-consumo, e le tecniche culturali subivano una netta involuzione, lasciando da parte per lungo tempo ogni problematica rivolta alla pi razionale valorizzazione e al miglioramento del suolo.
3. Il Medioevo e la prima ripresa dellagricoltura.
I prodromi di una rinascita agricola vanno ravvisati nella nuova situazione in cui viene a trovarsi il coltivatore della terra dopo la conquista longobarda, nei secoli vi e vii, che spezza lunit del paese, tra la
Longobardia barbarica e la Romania bizantina. Se in questultima continua a espandersi una societ prevalentemente pastorale ereditata dallo scomparso Impero, nella prima la vita nelle campagne riprende in un
primo abbozzo della struttura feudale, allombra dei castra o casali fortificati, che presiedono il grande dominio curtense (talora regio o ecclesiastico); riprende in sede delle curtes o massae, corrispondenti alle villae romane di una volta, ora possesso di un signore barbaro che concede in enfiteusi o partinato (per dissodamento delle terre), oppure
livello (simile allenfiteusi, ma di minore durata e con obblighi di patronato), frazioni del suo fondo a coloni oriundi del luogo o suoi scherani, per avviare con lagricoltura quella formazione di ricchezza che era
stata lo stimolo allinvasione. In tal modo, almeno inizialmente, il coltivatore si trova a potersi comportare alla stregua di un piccolo proprietario quasi indipendente (data la relativa labilit del controllo dominicale), esercitando liniziativa dellimprenditore individuale sia nella messa a coltura di terre incolte, sia nella piantagione di viti e olivi, sia
nella sistemazione superficiale di terreni acquitrinosi, debole e incerto
tentativo di bonifica idraulica. Se questattivit rimane assai precaria
per la stessa instabilit delle improvvisate signorie e il ripetuto passaggio di altre schiere migranti, per altro verso proprio tali circostanze conStoria dItalia Einaudi

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sentono una certa libert di organizzazione del lavoro e in particolare


dei rapporti col suolo.
Daltra parte, i domini pi solidamente radicati, come quelli dei monasteri e delle chiese, sono in grado di agire su scala pi vasta e con obiettivi finora trascurati dal mondo antico (del quale per altro si conservano tuttora non poche acquisizioni tecniche), ma diventati impellenti in
seguito alle vicende prima tracciate: i benedettini iniziano in Alta Italia il risanamento delle paludi e delle lagune della bassa Val Padana (mediante affossamento e varie forme di drenaggio), in Lombardia (dopo il
1000) estendono la rete dei canali irrigui e introducono (nel secolo xii)
la sistemazione dei prati a marcita (abbazia di Chiaravalle); altri monaci in Emilia (a Nonantola, Pomposa, San Vitale), in Maremma (Amiata, Monteverdi, ecc.) e i papi nellAgro Romano lottano contro le paludi e la malaria favorendo la colonizzazione di quelle terre basse, mediante lappoderamento (domuscultae). Per consentire linsediamento dei
coltivatori, era necessario ben spesso liberare il terreno dal dominio della foresta, in parte originaria, in parte ricomparsa nelle zone spopolate.
Cos, nellepoca carolingia (quantunque per non poche distese boscate
esistesse la riserva di caccia per il signore del luogo, che le proteggeva
dalla manomissione) si procedette a disboscamenti cospicui in Val Padana, s che foreste vastissime, presenti nel Veronese nei secoli viii e ix,
risultavano gi quasi scomparse nel secolo xii; e analoghe iniziative si
registravano nel secolo ix nel Modenese, a Nonantola, ecc., dietro patti con coloni livellari che provvedevano al taglio del bosco. opportuno notare subito come in quellepoca e in quella situazione la colonizzazione potesse di per s assumere il ruolo e il valore di vera bonifica,
in un paesaggio dominato quasi ovunque da silvae e saltus, intesi
come terreni incolti e improduttivi; ma tale modo di vedere, che si affermer a lungo per le sue ovvie implicanze economiche, non scevro
di un equivoco pericoloso, giacch appunto in virt di esso la colonizzazione finir con lo spingersi indipendentemente da ogni bonifica
preventiva in zone che avrebbero dovuto essere del tutto precluse ai
soliti seminativi, in quanto disadatti, e anzi rovinosi per i terreni interessati; cos invero che lAppennino, colonizzato nei secoli successivi
fino alle altitudini estreme, ha visto ulteriormente degradare i suoi boschi e pascoli, con danno crescente anche dei fondovalle. Quanto alla
bonifica idraulica, si tratti di prosciugamenti o di irrigazione, essa si trova localizzata sin dallalto Medioevo in zone ben definite, che ne richiederanno lintervento quasi fino ai giorni nostri, perch soggette a
crisi croniche e talora esasperate, vuoi per il disordine idrico, vuoi per
carenza di acqua: e se ne vedranno appresso altre testimonianze
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Comunque, non bisogna credere che la ripresa dellattivit agricola


sopra accennata avesse carattere di continuit e fosse ovunque generalizzata: al contrario, erano di massima sforzi isolati, che cambiavano di
poco laspetto selvaggio delle campagne, e che correvano sempre lalea
di essere interrotti da incursioni di armati, da lotte tra feudatari, da rappresaglie e spoliazioni; le stesse condizioni economiche e tecniche erano ancora troppo depresse per poter sortire unaffermazione durevole
dellagricoltura. Pertanto molte iniziative bonificatorie vengono ripetutamente abbandonate, riprese, ancora rinviate a tempi migliori. Ma
soprattutto, con la graduale stabilizzazione del regime feudale (specie
dopo linsediamento della dominazione franca, nel secolo viii), la situazione sociale del coltivatore diventa meno predisponente alle opere di
miglioramento dei terreni, in quanto dagli iniziali rapporti di beneficio
reciproco (difesa e protezione da parte del signore del luogo, prestazioni di lavoro e conferimento di prodotti da parte del colono) si passa
(verso il secolo x) ad una struttura, in cui le varie categorie dei lavoratori della terra (con legami pi o meno flessibili di dipendenza dal signore) vengono a livellarsi in uno stato di servaggio della gleba, poco
o punto interessato allincremento della produzione. la consueta vicenda che da sempre ha contrapposto la soggezione del coltivatore, in
seno alla societ, allo sviluppo appropriato della tecnica agricola: mentre a perfezionare questa, anche nei riguardi del suolo, non mai mancata al coltivatore labilit congenita (come in ogni altra attivit umana), loppressione di un edificio sociale che codificava lo sfruttamento
pi o meno totale della sua opera metteva il coltivatore stesso nella condizione non solo di non poter progredire nel proprio mestiere, ma di
smarrire per lunghi periodi e per intere generazioni i ritrovati tecnici
una volta acquisiti che rendevano compatibile la coesistenza continuativa delluomo e del terreno fertile; s che le stesse cause naturali (compresa la presenza di terreni adatti) che avevano inizialmente orientato
la collettivit verso una agricoltura redditizia, finivano per ritorcersi
contro loperatore agricolo, quale sorgente di ricchezza per la societ
differenziata a lui sovrapposta e in buona parte parassitaria.
Sta di fatto che solo col sorgere, fra lxi e il xiii secolo, dei Comuni
cittadini, contrapposti nelle loro strutture e nella dinamica economica
ai grandi feudatari, si attenua la precariet della vita nelle campagne gravitanti intorno ai centri urbani, e si torna con maggiore impegno al riscatto dei terreni alle colture, mediante dissodamento e bonifica improntata a concezioni di pi ampia e durevole portata. Non estranea
ma anzi decisiva nel determinare questo rinnovamento la nascita,
nei territori gi dipendenti da Bisanzio, dei nuclei che formeranno sucStoria dItalia Einaudi

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cessivamente le repubbliche marinare di Venezia, delle coste meridionali, di Genova e Pisa (che dopo il 1000 sinsedia anche in Sardegna),
nascita che cerca di supplire con i commerci alla depressione delle terre, ma proprio con ci crea il presupposto per una ripresa degli investimenti agricoli (piantagioni di viti e olivi, opere irrigue), utili oltretutto
a procurare merce di scambio. Vi concorre pure loccupazione della Sicilia da parte degli arabi, che introducono fra laltro colture nuove
agrumi, cotone, canna da zucchero, zafferano, riso, gelso, carrubo, pistacchio , e nuovi metodi dirrigazione (con laghi artificiali e gallerie
filtranti, conche a sommersione, ecc.): ne vengono indotti nei terreni,
almeno localmente, processi pedogenetici rigeneratori, e il Mezzogiorno riemerge come sede di agricoltura ricca, raffinata e intensiva, ultimo
bagliore prima di una decadenza profonda e fino ai tempi moderni
irrimediabile. La svolta verso tale involuzione verr con la conquista
normanna (secoli xi-xii) che riporter il dominio del feudo nellItalia meridionale continentale e in Sicilia, come avverr in Sardegna con gli Aragonesi (secolo xiv); per altro, in quellisola, anche prima continua a prevalere leconomia pastorale, con la divisione temporanea delle terre messe a seminativo (Vidazzone: colture alternate a pascolo): e la natura
particolare dei suoli qui una evidente remora ad ogni innovazione.
Altrove ad ogni modo come in Italia centrale e settentrionale la
lotta fra le citt comunali e i grandi feudatari che si svolge nella medesima epoca sfocia nellaffermazione del mondo cittadino mercantile, con
uneconomia di scambio tra citt e campagna, che viene a sostituire quella dellagricoltura per autoconsumo. Non che nel cambio il coltivatore
venga a sortire una posizione sensibilmente pi vantaggiosa, in quanto
al feudo dellantico padrone subentra il latifondo o la tenuta del proprietario borghese, con conseguenze talora deteriori: infatti il potere
pubblico del feudo cede il posto al potere economico-giuridico del latifondista, privo di ogni cura sia pure formale per il benessere del
contado, che resta nellabituale condizione di inferiorit rispetto ai detentori del potere. Tuttavia non si tratta pi di uno stato di servit, bens di un rapporto contrattuale e monetario (colonia parziaria, mezzadria,
pi di rado affitto); si diffonde pure la piccola propriet contadina, anchessa interessata alleconomia di mercato. Questa viene esaltata dal
notevole aumento della popolazione, che postula a sua volta una migliore
valorizzazione dei terreni coltivabili, anzi una loro creazione laddove il
suolo esistente si appalesa privo dei requisiti appropriati. Invero, la consapevolezza del ruolo determinante della natura del suolo nei riflessi della produzione e soprattutto la sollecitudine per la messa in valore e il miglioramento dei terreni si manifestano di pari passo con lintensificaStoria dItalia Einaudi

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zione dellattivit agricola: fino a quando questa permane allo stadio primitivo, con finalit prevalentemente autarchiche e con ambizioni produttive modeste, il fattore suolo non ha modo di emergere nel condizionamento delle tecniche e delle iniziative della collettivit, e quindi dellevoluzione storica della medesima. Il nuovo assetto della societ,
viceversa, profilatosi con il sorgere dei Comuni, viene ad attribuire
allagricoltura una funzione speculativa con caratteristiche ignote al mondo antico e al regime feudatario: ci procura non solo un pi attento atteggiamento verso il potenziale produttivo dei terreni, ma anche lo studio di tecniche inedite per la sua esaltazione: alcune alla portata dei singoli coltivatori, altre coinvolgenti i poteri pubblici, che daranno lavvio
allopera bonificatoria propriamente detta, non pi destinata a spegnersi
fino ai giorni nostri e fortemente incisiva nel conferire al paese il radicamento della sua economia nelle risorse agrarie del territorio.
Le tecniche che pi direttamente vengono suggerite dalla costituzione del suolo riguardano la lavorazione e la sistemazione superficiale
del medesimo e la correzione del suo regime idrico. Se nel corso dellalto Medioevo il disordine idrico, prevalente durante la decadenza romana, non dovette subire un apprezzabile peggioramento, almeno da parte delluomo (data la mediocre densit della popolazione nelle campagne e lutilizzazione assai ridotta dei terreni), tuttavia gli agenti naturali
di degradazione, scatenati nellepoca precedente, avevano continuato
ad investire indisturbati vaste aree del paese, anche se in alcune di esse
lo stesso abbandono di ogni sfruttamento aveva consentito la ricomparsa
di una vegetazione spontanea, protettrice pi o meno valida contro lerosione. Nellet comunale il disboscamento riprese a intensificarsi sia in
pianura, sia in collina, con la messa a coltura di terre da tempo incolte;
e finch si trattava, sulle pendici pi scoscese, di piantagioni di viti, di
olivi o di agrumi (in Toscana, sulle coste della Liguria e del Mezzogiorno continentale, in Sicilia), la difesa del suolo veniva in qualche modo
ottenuta mediante le sistemazioni a terrazze, a ripiani, a fasce o a lenze; comunque a filari trasversali alla linea di massima pendenza; ma nei
declivi pi lavorabili sinsediava il seminativo con laratura a rittochino, e i fenomeni erosivi non potevano che esserne esaltati. Non solo:
laumento degli allevamenti, e specie degli ovini mandati sin dai tempi feudali regolarmente allalpeggio intaccava anche le foreste montane, per dar luogo a pascoli soggetti a transumanza, non meno in Piemonte, in Lombardia e nel Friuli, che nelle Puglie, nella Maremma e
nellAgro Romano, in Calabria e in Sardegna: seguendo in ci le orme
gi tracciate nel periodo feudale dalle grandi abbazie, dai latifondi, dai
domini regali, ma con unincidenza assai pi sensibile sul disordine idriStoria dItalia Einaudi

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co (nei feudi, sin dal secolo xi esistevano restrizioni per il pascolo nelle
foreste adibite a riserve di caccia e sorvegliate da guardaboschi). Ne era
derivata unestensione del processo di ristagno idrico e di impaludamento nelle terre piane, le pi adatte alle colture e che maggiormente
sollecitavano una rapida valorizzazione sotto la spinta demografica ed
economica impartita dalle strutture comunali: cos, gli affluenti in destra del Po avevano cessato di sfociarvi direttamente (per un processo
erosivo maturato forse a cominciare dal Basso Impero, se non prima),
formando vaste zone paludose nella pianura emiliana, e occorreva immetterne le acque in sbocchi artificiali, come in effetti si inizi a provvedere nel secolo xii. Pertanto le nuove tecniche sono rivolte anzitutto
alla regimazione delle acque nei terreni di pianura e alla bonifica delle
paludi: alliniziativa individuale accessibile laffossamento (gi noto ai
romani), la sistemazione a porche (o mangolato) nei terreni depressi
tendenzialmente argillosi dellItalia centrale e di altre regioni , o a piantata nei suoli alluvionali di medio impasto, se non anche tenaci, e soggetti comunque a periodi di saturazione idrica, a causa della piovosit
stagionale; i dissodamenti sono agevolati dalladozione del traino a cavallo, pi spedito rispetto a quello con i buoi. Sono queste opere sistematorie gi adombrate nei suoi Ruralium commodorum dal bolognese
Pietro dei Crescenzi (1305) a differenziare la nuova agricoltura da
quella dellet romana e perfino da quella feudale. Ma le grandi imprese di bonifiche sono frutto di una organizzazione collettiva che risale al
Comune e che trova i suoi antecedenti in varie forme di associazioni tra
agricoltori cointeressati (condomae, viciniae, colliberti, consortes), operanti gi nellalto Medioevo. Tali imprese cui provvedevano in passato anche per conto di terzi, le abbazie cistercensi, specializzatesi in trasformazioni fondiarie con manodopera di conversi e di servi sono intese di solito alla difesa idraulica e allestensione della rete irrigua, alla
manutenzione delle arginature e dei canali, e investono ancor esse i terreni vallivi e acquitrinosi, e i corsi fluviali soggetti a straripamento.
Il teatro pi vistoso delle operazioni la valle del Po, che vede delinearsi un sistema di arginature del grande fiume e dei suoi affluenti, un
sistema di canali di navigazione e irrigui, e un altro di collettori e di
emungimento. Il prosciugamento delle paludi, imperniato inizialmente
sullo scavo di fossi (che per dovevano trovare una via di sgrondo, non
sempre reperibile o funzionante), si avvale ora sempre pi di un nuovo
accorgimento, tratto dallosservazione sugli effetti dellerosione stessa:
il rialzo del livello del suolo mediante la tecnica della colmata, che trover il suo massimo sviluppo nei secoli successivi, fino a quando i progressi industriali della meccanica non avranno procurato allagricoltura,
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nel secolo xix, il mezzo delle pompe idrovore. La canalizzazione serve


talora contemporaneamente a irrigare e a scongiurare le piene e le inondazioni, come nel caso del canale Muzza che assorbe quasi tutta lacqua
dellAdda (secolo xii); anche le acque dei fontanili vengono curate e incanalate. In tali opere si uniscono non solo le comunit rurali dipendenti
da un comune e costituite in consorzi, talora obbligatori (in Lombardia,
Veneto, Emilia), ma anche diversi comuni fra loro, quando invece non
sono antagonisti asprissimi (specie nella lotta per luso delle acque irrigue).
Ad arginare i disboscamenti, particolarmente indiscriminati intorno
alle citt (per le opere edilizie e manufatturiere, ma anche per i cantieri navali) i poteri pubblici cominciano a provvedere (a Venezia, a Siena
e in altri comuni toscani) solo nel secolo xiv: la prima presa di coscienza
collettiva del rapporto fra effetto e causa che esiste tra disordine idrico
e denudamento dei terreni in pendio, il quale viene fra laltro a frustrare lavviata bonifica di piano. Ed naturale che tale coscienza si faccia
strada anzitutto laddove lindole del suolo si appalesa maggiormente instabile di fronte allirruenza delle precipitazioni, come appunto nelle argille dellItalia centrale o nelle dolomie del retroterra veneto, il cui detrito rialza il letto dei fiumi e determina linsabbiamento della laguna.
ovvio per, anche, che i provvedimenti protettivi restano saltuari e
isolati, data liniziativa dispersa dei molteplici ed eterogenei centri di
potere tra cui diviso il paese, i quali di rado si preoccupano del bene
comune, che non sia di immediato tornaconto; cos pure i provvedimenti
stessi si limitano alla tutela del patrimonio forestale esistente, senza curare ancora il ripopolamento di alberi nelle zone smantellate, mentre i
privati continuano per conto proprio ad allargare larea di queste ultime. Con tutto ci, il bosco sia pure diradato riveste tuttora buona
parte del territorio; e dove scompare, spesso sostituito dalla coltura
promiscua, che ne assume parzialmente le funzioni.
Nel contempo, crescendo le esigenze alimentari e artigianali delle
citt, acquista maggiore importanza come gi si detto lallevamento
del bestiame (da carne e da lana: lattivit laniera, anzi, in pieno sviluppo, come in tutta lEuropa), oltrech degli animali da lavoro e da cavalcatura (le razze equine della Calabria, della Capitanata, della Maremma, della Sardegna), e quindi la produzione foraggera, che in passato nelle aziende coltivatrici era ricavata in gran parte dagli alberi
da frasca, quando mancava il pascolo saltuario negli incolti, nelle stoppie o altrove. Fa pertanto la sua comparsa, anche in mezzo ai seminativi, il prato di lunga durata, con vegetazione spontanea o riseminato con
fiorume, e chiuso come i coltivi contro luso incontrollato: il fieno diStoria dItalia Einaudi

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venta oggetto di commercio sin dal secolo xiii. Linnovazione predetta


dellordinamento culturale quasi inavvertita dapprincipio, e anzi motivo di contestazioni, in seguito, a causa di chiusure abusive da parte di privati, per foraggiamento, di aree soggette a usi civici destinata a trasformarsi, nelle epoche successive, in uno dei pi potenti fattori del miglioramento agronomico del suolo, in quanto il prato specie
quando entrer in regolare rotazione con le altre colture il mezzo pi
efficace per ripristinare nei terreni stanchi (dopo i seminativi sfruttanti) uno stato di elevata fertilit, dovuta alla sostanza organica indotta
dalle radici delle foraggere, dalla particolare natura dellumificazione
imputabile ad una specifica flora-fauna microorganica delle cotiche erbose, e ad una struttura peculiare conferita cos agli aggregati terrosi,
che non solo regola in modo ottimale il regime idrico del substrato, ma
condiziona con ci stesso lalimentazione minerale delle piante e labitabilit, per esse, del terreno agrario. E insieme al prato aziendale e alla conseguente stabulazione, in maggior copia, del bestiame allevato, subisce un apprezzabile incremento la produzione del letame e di terricciati, altri surrogati della fertilizzazione di primaria importanza, la cui
disponibilit consente sin da ora di evitare un eccessivo esaurimento del
substrato nei seminativi e di elevarne le rese.
Troviamo cos, nellEt di Mezzo, accanto a non pochi interventi
pregiudizievoli nei riguardi della conservazione del suolo, una serie di
iniziative, dirette o indirette, e talora fortuite, che pongono le basi tecniche per una simbiosi pi solida fra la terra e il coltivatore; e se non
sempre questultimo si trova in condizione di trarne profitto, data la sua
subordinata posizione sociale, tuttavia linteressamento della comunit
medesima per le sorti dellagricoltura finisce col procurare a questa e
di riflesso ai suoli ad essa investiti benefici temporanei non indifferenti, che collocheranno tra laltro lItalia rinascimentale, per un breve
tratto della sua storia, allavanguardia del mondo agricolo europeo.
4. Il Rinascimento e il suo declino.
Levoluzione della societ comunale in Stati autonomi di una certa
ampiezza che si consolidavano nella forma di signorie, principati, regni
o repubbliche, senza per altro giungere alla grande monarchia centralizzata di tipo occidentale, confer al paese le possibilit materiali, oltrech lo stimolo, per una competizione interna, che se da un lato giocava a sfavore di uno sviluppo unitario duraturo, dallaltro suscitava una
ricerca particolarmente intensa di mezzi per far prevalere le economie
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singole, in funzione di potere politico e di prestigio. In tali temperie,


non poteva non ricevere un impulso ulteriore anche la valorizzazione
del suolo, come fonte non solo di prodotti alimentari, ma pure di materie prime per le manifatture e i commerci (lino, canapa, seta, lana) in rigogliosa espansione. Le grandi scoperte geografiche aggiunsero pure,
gradualmente, qualche nuova pianta alla gamma delle colture tradizionali, e prima fra tutte il granturco che introdotto come foraggera da
erbaio divenne ben presto alimento principale nelle zone rurali depresse del Mezzogiorno europeo. La nuova impresa, affermatasi con laccumulo di ricchezza di origine mercantile, non tollera pi le classiche rotazioni discontinue a base di maggese nudo o di riposo e tende a sottoporre il terreno ad una utilizzazione ininterrotta, che si risolverebbe di
certo in una rapida degradazione del substrato, se non soccorresse al
mantenimento della fertilit lavvicendamento periodico col prato, il
quale comincia a met del secolo xvi ad assumere sia pure a stento
laspetto di monofito imperniato sulle leguminose: lerba medica (reimportata in Italia e in Spagna dagli arabi), la lupinella e il trifoglio violetto, questultimo chiamato a guadagnare terreno maggiormente
nellEuropa centrosettentrionale, ma raccomandato anzitutto dagli umanisti e agronomi italiani insieme alla medica (i fiorentini Tanaglia e Alamanni, il Barilli e il Tarello, entrambi operanti in Val Padana). Il prato
di leguminose, quantunque restauratore inferiore della fertilit integrale rispetto a quello naturale o polifito (ricco di graminacee, ma bisognoso
per prosperare di sufficiente umidit), aveva il vantaggio (senza che in
allora lo si sapesse) di ripristinare nel suolo la riserva di azoto, sommamente richiesto dai cereali; inoltre, la lupinella e la medica, assai resistenti alla siccit e a condizioni pedologiche meno propizie (terre compatte, calcaree o alcaline), erano atte a fornire foraggio anche nella collina asciutta dellItalia centromeridionale che meno si prestava ad una
praticoltura redditizia, ossia irrigua.
Purtroppo, per molte regioni di quel territorio linnovazione tecnica rest a lungo priva di applicazione, in un ambiente rimasto legato a
strutture feudali che favorivano la conservazione di forme primitive di
sistemi agrari: a campi aperti (o campi ed erba), con coltura cerealicola discontinua, con allevamenti ovini fondati sulla transumanza. Questultima anzi assunse nel Quattrocento, ai fini fiscali, una organizzazione specifica come la Dogana delle pecore nellAgro Romano, la
Dogana di Puglia nel Tavoliere (attuata dopo lintroduzione dei merinos da parte di Alfonso V dAragona). Daltra parte, la sopravvivenza
del latifondo di antichi feudatari, ormai sciolti da ogni obbligo verso il

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sovrano ma non inseriti nella nuova corrente di traffici e di adeguamento


ai mercati, escludeva sia nello Stato pontificio dellItalia centrale, sia
nel Regno meridionale (passato dai normanni agli Svevi e agli Angioini,
indi agli Aragonesi e infine al dominio della Spagna) ogni seria prospettiva di tenere il passo con i progressi tecnici che, con la rinascenza, andavano verificandosi nel Settentrione: la depressione economica delle
plebi contadine, mantenute in uno stato semiservile, si risolveva in rivolte provocate dalla fame e in spopolamento della campagna, cui poco
o nessun sollievo potevano recare i timidi conati di bonifica e trasformazione fondiaria promossi ogni tanto dallautorit statale. Si ricordano fra questi, nel Regno di Napoli, il prosciugamento in Terra del Lavoro mediante lo scavo di canali, noti tuttora come Regi Lagni, e nello Stato pontificio listituzione, da parte di Sisto V, di una Sacra
Congregazione delle acque, intesa fra laltro a combattere il disordine
idrico nellAgro Romano, per estendere la coltura del grano, senza tuttavia ottenere alcun successo: la zona rimase adibita a pascolo; Bonifacio VIII intraprese il prosciugamento (gi tentato dai romani nel secolo
ii a. C., e poi da Nerva, Traiano e Teodorico e dallo stesso Sisto V cui
si deve lescavo del canale collettore, detto Fiume Sisto, tuttoggi esistente) dellAgro Pontino tra Sezze e Sermoneta, e un canale fu aperto
da Martino V allo stesso scopo, sempre con esito insignificante. Si ricorreva allopera di grandi imprenditori, talora anche olandesi, compensati con la met del territorio bonificato, ma i risultati continuavano a deludere, in quanto la palude ricompariva per mancanza di manutenzione dei canali. Solo il prosciugamento della valle del Rieti, sotto
Clemente VIII, ebbe sorte migliore, ma quello della Val di Chiana condotto per emungimento, deviazione di torrenti e successiva colmata, insieme allo Stato mediceo (che vi prese parte con idraulici famosi, come
il Torricelli) venne ultimato solo nel secolo xix. N meglio andarono
le iniziative nel Regno meridionale, giacch i prosciugamenti avviati intorno a Brindisi, nel vallo di Diano e nelle piane di Fondi, come pure le
opere per rendere navigabile il Volturno, ebbero effetti trascurabili e
largamente controbilanciati dallintensificazione dei disboscamenti per
vendita di legname, seguita da frane e allagamenti paurosi e da ricrudescenza del paludismo; il quale con lo spopolamento di intere contrade
rendeva vani gli sforzi rivolti alla colonizzazione, perfino con popolazioni straniere (greci, ebrei, provenzali, albanesi, dalmati, oltrech lombardi).
Fu cos che lItalia meridionale, mantenutasi ancora sotto i normanni e gli Svevi in una relativa floridezza agricola, retaggio dellet

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precedente, conservando perfino per tutto il Quattrocento una posizione di rilievo per i suoi prodotti della terra (specie per il riso, lo zucchero, la seta, la lana), vide sfuggirle poco a poco questo primato, mentre i
suoi terreni riprendevano non per colpa dellambiente naturale (come
spesso si disse), ma degli uomini il loro ciclo di degradazione, sia pure indubbiamente accelerato dalle condizioni climatiche peculiari della
fascia tipicamente mediterranea. Intanto molte delle colture tradizionali del Mezzogiorno, quali il riso, il gelso, perfino gli agrumi, migravano al Nord del paese, dove lo slancio tecnologico e agronomico rinascimentale aveva preparato loro possibilit di sviluppo adeguate. Sar questo insieme di cause a occasionare lo squilibrio economico, sociale e
culturale tra il Sud e il resto dellItalia, che esasperandosi per la sovrapposizione di altri fattori storici porter in primo piano dopo lunit
della nazione la cosiddetta questione meridionale, complessissima,
in cui lestrema rovina del suolo sar una delle remore principali e meno facili a rimuovere, per un assetto armonico delle popolazioni interessate.
Maggiore influenza diretta sulle sorti differenziate dellagricoltura
nellepoca considerata ebbe la natura dei terreni negli Stati emersi
nellItalia centrosettentrionale: in Toscana, la stretta valle dellArno non
consentiva un crescente investimento agricolo se non risalendo le pendici collinari e montane, con suoli superficiali ed erodibili, oltrech condannati alla coltivazione in asciutto; dallaltro versante dellAppennino,
viceversa, la spaziosa vallata del Po invitava a infittire gli insediamenti
in pianura, su profondi terreni alluvionali e per lo pi irrigui o suscettibili di irrigazione. Di conseguenza le rispettive collettivit, partite in
competizione da situazioni sociali analoghe, e forse con un lieve vantaggio nello Stato mediceo, si trovarono poi dispari nella corsa a seguito delle predette condizioni ambientali, pi favorevoli in Val Padana; e
nonostante le vicende politiche del Settentrione sfociassero poi in assestamenti sotto un certo aspetto (lungo dominio spagnolo e varie ridistribuzioni del territorio fra gli Stati contendenti) meno incoraggianti
per il processo di sviluppo, questo si dimostr in quella regione decisamente pi costruttivo e fruttuoso, s da conferirle strutture agricole non
superate altrove in Italia, e nemmeno in Europa, e destinate a promuovere in ultimo il predominio economico della regione stessa su tutto il
paese.
In Toscana, invero, la spinta della borghesia arricchita, oltrech laumento della popolazione, sollecitano il dissodamento di nuove terre collinari e il loro appoderamento a mezzadria, contratto per sua natura poco propizio a imprimere un moto dinamico allagricoltura, anche se non
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privo per quei tempi di agevolazioni per il perfezionamento graduale


di tecniche culturali. Fra queste, un valore fondamentale nei riflessi del
suolo rivestono le sistemazioni collinari, per le quali vengono cercate le
prime soluzioni razionali atte a correggere la regimazione idrica e a prevenire lo smottamento dei terreni in pendio. Laratura a rittochino, prevalsa finora a causa della maggiore facilit di trazione, manifesta adesso con lestensione dei seminativi tutti i suoi difetti, favorendo il ruscellamento incontrollato, lasportazione dello strato superficiale e la
formazione dei burroni, con laggravio di piene improvvise e deleterie
in pianura. Per permettere una lavorazione per traverso, occorrono ripiani orizzontali, allapprestamento dei quali si provvede, nelle pendenze
minori e nei terreni poveri di scheletro (su argille, tufi pliocenici o arenarie), alla sistemazione a ciglioni e a quella a gradoni nelle pendenze
pi ripide e con rilievo irregolare, semprech il substrato contenga elementi sassosi o rocciosi, idonei a trattenere il terriccio, quando non si
sia obbligati a passare addirittura alla sistemazione a terrazzi, nota sin
dallantichit, ma assai pi costosa e richiedente sul posto molta pietra
per la costruzione dei muri a secco, e talora molta manodopera per il trasporto di terra dal piano nei ripiani cos ottenuti. Tutte queste sistemazioni per, essendo a superficie divisa, vengono applicate laddove
a motivo del forte pendio non sia proponibile la sistemazione a superficie unita, che comporta un impegno di opere ben minore, e in
cui i seminativi e le piantagioni che di norma li accompagnano possano
disporsi a girapoggio (contornando laltura con unaffossatura a spirale
piana, che poco si sposta dalle curve di livello), o pi di frequente a cavalcapoggio, se laccidentalit delle pendenze multiple non asseconda un
andamento orizzontale dei solchi e dei filari di piante. Nessuno di tali
sistemi esente da imperfezioni, specie se non si pone sufficiente attenzione al deflusso delle acque lungo gli acquidocci rinforzati da piote
o sassi, ma laccuratezza dellesecuzione da parte degli ingegnosi coltivatori toscani servir a lungo da modello per le altre regioni collinari, in
cui i sistemi medesimi non tardano a diffondersi2. Per altro, se con es-

2 Va aggiunto, precorrendo quanto si dir ancora in seguito, che lo sviluppo delle sistemazioni in Toscana si estender fino al secolo xx, investendo una larga parte del bacino dellArno (racchiuso in 882 000 ettari), con una intensit valutabile in 70-100 per cento sul 64 per cento di tale
bacino, in 50-70 per cento sul 28 per cento dellarea stessa e in 0-50 per cento su appena l8 per
cento della superficie medesima. La massima intensit sistematoria si verifica in coincidenza con
la prevalente coltura arborea (olivo, vite) pura o promiscua, a sua volta condizionata dalla natura
dei terreni, di norma non privi di scheletro, cui a loro volta corrispondono determinati tipi di sistemazione (terrazzi nelle arenarie e nei calcari alberesi, ciglionamento inerbito sui substrati sabbiosi, purch in zone a piovosit estiva sufficiente con minimi di 100 millimetri e con lavora-

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si si riesce ad attutire la violenza dei fenomeni erosivi, la formazione del


terreno agrario fertile resta lenta e non lascia molta scelta tra le colture
adatte per limpianto in collina e per il conseguimento ivi di elevati raccolti, se si escludono la vite e lolivo, che pure alimentano un mercato
molto attivo, ma ristretto; di rimbalzo per, con le nuove tecniche sistematorie la colonizzazione incitata a salire sempre pi per i monti e
a denudarne i fianchi, preparando per lavvenire un netto peggioramento
della stabilit del substrato, specie non appena debba cessare, per qualunque ragione, loculata sorveglianza delluomo.
Di fronte ai molteplici inconvenienti (di cui erano consci gli scrittori georgici del tempo) dellespansione agricola in collina, promossa essenzialmente da privati, lo Stato mediceo non manc di compiere qualche tentativo di riscattare nuovi terreni nelle modeste zone pianeggianti, tuttora soggette a disordine idrico: gi si accennato alla bonifica
della Val di Chiana, iniziata di concerto con lo Stato pontificio; e pure
per colmata venne intrapreso il risanamento di terre in Maremma (a
Campiglia e Piombino), rimasto inefficace, mentre a Pisa contro limpaludamento veniva costituito (1475) il Consorzio di Fiumi e Fossi,
giunto fino a noi. Ma il permanere a lungo del latifondo nella parte occidentale e meridionale della Toscana non favor simili iniziative, che si
spegnevano di l a poco, per essere riprese solo dopo un paio di secoli.
Ben pi imponente risult, per le ragioni dianzi prospettate, la valorizzazione del suolo nellItalia settentrionale. Perfino il Piemonte, relegato alquanto ai margini del risveglio rinascimentale in seguito alle persistenti lotte tra feudatari e alla scarsa affermazione della vita comunale indipendente, ebbe a segnalarsi per lampliamento della rete dei canali
irrigui (gi impostata precedentemente dai monasteri e dai comuni, e in
ultimo curata anche dai Savoia, diventati padroni del territorio, e da alcuni grandi proprietari, concessionari delle acque), nonch per una pi
intensa colonizzazione, non disgiunta da disboscamenti, circoscritti per
altro alla pianura. In tal modo lirrigazione che annoverava gi alcuni
canali come la Vercellina, il Moirano, la Roggia Novarese, il Canale del
Rotto si arricch di altri corsi importanti, come la Roggia Biraga derivata dal Sesia, il Naviglio dIvrea che serviva il basso Canavese e il Vercellese, e molti minori, da cui ebbe origine la rete irrigua attuale della
pianura piemontese.
zioni poco profonde). Lintensit minima delle sistemazioni viceversa di tipo a girapoggio o a piccoli ciglioni si riscontra nelle zone a preminente coltura estensiva erbacea (poco adatte per le pi
ricche piantate), su terreni argillosi compatti, con pendenza massima del 30-40 per cento.

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Il pi grandioso, per, sviluppo dellirrigazione si manifest in Lombardia, sotto le signorie dei Visconti e degli Sforza, non senza contrasti
tra queste e i comuni per i benefici economici (derivanti dalla cessione
dellacqua) e i diritti dacqua irrigua: risalgono a quellepoca lescavo dei
canali di Binasco, della Martesana, della Roggia Mora, del Naviglio Sforzesco; e una regione per linnanzi ancora in gran parte costretta a colture povere su terreni spesso piuttosto sciolti e carenti di umidit, deficienti di humus e mal sistemati, si trasformava rapidamente in campagne livellate e squadrate dallintreccio regolare delle rogge e accoglieva
ovunque il prato generatore di fertilit (qui assai ricco di specie spontanee, leguminose i trifogli e graminacee i loietti, le poe, ecc.), nonch nuove colture ricche, come il riso e il gelso che anche in Piemonte
faceva fiorire lindustria della seta; la diffusione del mais, poi, come
pianta alimentare del ceto pi povero, consentiva una maggiore disponibilit di frumento per redditizi commerci. Fra proprietari e utenti delle opere irrigue si formavano consorzi e congregazioni e sorgeva quel sistema fondamentale delluso delle acque che, non pi abbandonato nel
corso dei secoli, diventato il perno dellagricoltura lombarda, quale ancor oggi la conosciamo: non solo perch ne vennero integrate le insufficienti precipitazioni estive, ma anche perch tramite il prato irriguo
i mediocri terreni una volta sotto bosco cambiarono nettamente costituzione, evolvendosi verso formazioni tipiche delle praterie, con
profondo strato umifero, e con alta fertilit stabile e continuamente rinnovata. Fu su questa base che la Lombardia pot costruire in seguito il
primo gradino della sua potenza economica, tradottasi alla fine nel dominio industriale.
Non meno ragguardevoli le imprese bonificatorie sorte nella repubblica veneta, sollecitata in parte dalla preoccupazione di deviare i fiumi
ricchi di torbida dalla laguna, che ne veniva interrata (alluopo il Brenta fu portato da Dolo nel Bacchiglione a mezzo del Taglio Nuovo,
mentre corsi minori nella zona di Mestre venivano deviati verso Altino); con tali torbide viceversa potevano essere colmate, col sistema tradizionale, le paludi litoranee: e poich i fiumi della regione andavano regolati contro le facili piene, si costruirono argini (quello in destra del
Piave, e quelli tra la laguna e le valli a occidente) e canali sfioratori,
e si costitu per la sorveglianza del loro regime e per gli interventi pertinenti il Magistrato delle Acque di Venezia (1501), oltrech un Provveditorato sui beni inculti (1545) che controllava nelle opere inaccessibili ai privati un terzo del territorio della terraferma, mentre cresceva il numero dei consorzi per retratti (terreni invasi da acque

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stagnanti che esigevano opere di bonifica di vario genere a carico dei


privati), i quali verso il Settecento ammontavano a 240.
In Emilia, dove sin dal secolo xiii comuni e privati si erano adoperati alle arginature degli affluenti del Po, gli Estensi intorno al 1465 curavano il prosciugamento delle valli di San Martino e Ferrara (col Cavo
del Duca) e la loro successiva colmatura con le torbide del Reno; e poich la bonifica delle paludi polesane, col tempo, provocava il costipamento del suolo e ne comprometteva gli sgrondi nel Po, si rese necessario dopo circa un secolo (1559) affidare lulteriore sistemazione del comprensorio ad un concessionario finanziatore privato, procedura che in
seguito divenne assai comune e diffusa in molti Stati, cos in Italia come in Francia; simili convenzioni (per cui limprenditore veniva compensato con una quota del terreno bonificato) venivano stipulate anche
fra i finanziatori e i proprietari privati delle terre. Gli stessi Estensi si
adoperarono a rendere navigabile il Po di Volano, a utilizzare mediante un canale di irrigazione le acque dellEnza, a costruire quattro canali di emungimento nel Polesine ferrarese, di bonificare le zone di San
Giorgio e dellOltrep, di prosciugare i territori tra Po di Volano e Po
Grande, le valli di SantAmbrogio, ecc. Proseguendo inoltre nella sistemazione dei corsi dacqua iniziata dai monasteri e dai comuni a sud
del Po, i Bentivoglio svolsero, tra il Cinquecento e il Seicento, opere notevoli di bonifica, perfezionate ulteriormente in tempi successivi, fino
al secolo xx (quando vi hanno provveduto i grandi consorzi Parmigiana-Moglia e Bentivoglio); la medesima famiglia lavor, per conto dei
Gonzaga, nel Mantovano e nel Veronese, nonch al confine delle Valli
grandi veronesi, in destra del Tartaro. Cavi e chiaviche vennero costruiti, dietro accordi tra Estensi e Gonzaga, per risanare gli scoli nel
territorio tra il Secchia e il Panaro, che ebbero la loro sistemazione definitiva ai tempi di Napoleone. Per la manutenzione delle opere compiute si costituivano sotto la vigilanza dello Stato conservatorie, serragli, congregazioni, giunte fino allOttocento. Ancora agli Estensi
si deve linizio della regolazione dei fiumi, lo scavo di canali e il prosciugamento per colmata nella Romagna, dove nel secolo xvi subentra
lo Stato pontificio, qui pi attivo che in Italia centrale: esso prosegue
infatti le bonifiche in corso con un vasto piano, dovuto a Clemente VIII,
dopo che quello della bonifica gregoriana (nelle valli tra il Lamone, il Po
di Primaro, il mare e la Via Faentina) ha avuto scarso successo; il piano,
che contempla il prosciugamento con canali e colmate dei territori ferrarese, bolognese e ravennate, e soprattutto mira a regolare il corso del
Reno, sar continuato a varie riprese e con molte modifiche fino al secolo xix, ma intanto consolida nellambiente uniniziativa che per la
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natura stessa del permanente dissesto idro-geologico locale non pi


destinata a spegnersi. Oltre alle opere pubbliche, degno di nota in Val
Padana anche il miglioramento della tecnica culturale da parte dei privati, che interviene a seguito della bonifica idraulica, come attestano gli
scrittori del tempo, Clemente e Gallo: anzitutto si delinea una successione nella messa a coltura dei terreni riscattati, con una prima sistemazione a larghe (grandi quadri solcati da scoline e coltivati a cereali e prato), indi con una definitiva divisione in campi rettangolari, sistemati a prese, (colle o prace) alquanto larghe; queste sono
separate tra loro da scoline, mentre alla testata lo sgrondo facilitato
(sia pure imperfettamente) dalle capezzagne o cavedagne e dalle stesse
strade camperecce, lungo le quali si piantano i filari di alberi vitati. Lalberatura anzi diventa un carattere permanente della piantata padana; il sistema a porche viene criticato e abbandonato, in quanto inefficiente in terreni poco permeabili. Gli attrezzi aratori medesimi vengono perfezionati e resi pi rispondenti alle nuove esigenze.
Cos durante il periodo rinascimentale tutta lItalia settentrionale
coinvolta nella grande impresa della redenzione dei suoli di pianura, difettosi non tanto per costituzione, quanto per il regime delle acque, che
ne costituisce il problema pregiudiziale. A risolverlo concorrono i maggiori scienziati e tecnici del tempo, a cominciare da Leonardo da Vinci,
che elabor progetti e studi non solo per la Val Padana, ma anche per il
bacino dellArno e per le Paludi Pontine; e lassetto che ne assume lagricoltura in questa parte del paese, come pure le sistemazioni collinari toscane, diventano motivo di ammirazione e rinomanza presso le genti
straniere che visitano tali regioni (esemplare al riguardo il Journal de
voyage di Montaigne). Purtroppo, gi alla fine del Cinquecento lopera
bonificatoria comincia la sua parabola decrescente che seguir il suo corso fino al secolo xviii: lattivit extraagricola dei grandi centri urbani,
che alimentava con i suoi capitali gli investimenti a lungo termine nei
possedimenti terrieri, segna una battuta darresto con la crisi della produzione artigiana e manufatturiera in seguito alla chiusura di alcuni mercati tradizionali, con i dissesti conseguenti delle grandi compagnie bancarie, con il declino dei commerci marinari per la presenza di nuove potenze navali che ne contrastano lulteriore espansione. Gli interessi della
borghesia cittadina rifluiscono verso la terra come principale fonte di
sfruttamento immediato, da gestire con la massima parsimonia di spese, n gli Stati (mai assurti nel frattempo a grande imperio centralizzato) hanno pi i mezzi sufficienti per intervenire ove fallisce il privato.
Si sovrappongono al processo economico fatti politici, col dominio spagnolo che frena le iniziative locali e anzi favorisce il concentramento del
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possesso terriero in mano di pochi latifondisti (processo di rifeudalizzazione); lo stesso fenomeno si ripete per i beni ecclesiastici, dopo la
Controriforma, mentre i coltivatori soggetti economicamente ai grossi proprietari scendono ad un livello di vita bassissimo, premuti come
sono dai pesanti patti di lavoro, n possono in tali condizioni essere solleciti per le cure del suolo e per la manutenzione in efficienza di quanto conseguito con le bonifiche precedenti. Nelle campagne meridionali
si giunge perfino alla rivolta contadina contro loppressione, nel Regno
di Napoli, a Palermo, come nelle Marche, lontana eco delle lotte contadine alla fine del feudalesimo in Francia, Inghilterra, Germania.
Ne deriva non solo un rallentamento quando non una stasi nelle imprese bonificatorie di carattere pubblico, ma la sospensione delle
indispensabili opere, anche da parte dei privati, per assicurare il funzionamento degli impianti gi esistenti, s che terre ormai prosciugate
tornano a impaludarsi, nella media e bassa Val Padana, nelle valli del
Serchio e dellArno, in Maremma toscana e romana, nellAgro Pontino
e altrove sulle coste meridionali. Nel Centro e nel Sud della penisola,
accanto allestendersi della monocultura cerealicola in alternanza col riposo (sistema primitivo a campi ed erba), si riafferma la pastorizia transumante (perfino con sottrazione delle terre al seminativo, analoga alle
enclosures inglesi), ma in Alta Italia le conquiste tecniche dellagricoltura pi che cedere alla recessione, si adattano con relativa flessibilit alle nuove circostanze, con linsediamento della risaia stabile nei terreni
acquitrinosi (e anzi con lintroduzione dellallagamento artificiale di tale coltura), con il predominio di prati permanenti irrigui (ed altri avvicendati) e quindi dellallevamento di bestiame grosso, che promuove sin
da allora lindustria casearia.
Le colture inoltre seguono qui una rotazione continua, spesso con
piante a utilizzazione industriale (canapa, lino), che rendono pi ampio
e polivalente il potere mercantile della propriet terriera, ed ormai ben
radicata lalberatura con gelsi (e quindi lindustria serica) sovente maritati con viti, nella versione locale della coltura promiscua che la piantata.
Si approfondisce in tal modo il divario gi segnalato tra lo sviluppo
del Settentrione e del Mezzogiorno, assecondato s dalla differenziazione fisica degli ambienti, ma massimamente esaltato dal diverso modo di ripercussione delle sovrastrutture politiche e sociali sulla vita della campagna, per cui nel Nord lazienda contadina attraverso contratti
meno precari di mezzadria, livello o affitto ha acquistato una sua relativa stabilit e quindi una certa simbiosi col suolo. Anche nel Nord,
comunque, il ristagno di iniziative nel settore agricolo si fa sentire e crea
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il presupposto come altrove di quellatteggiamento nuovo verso la


produzione ottenibile dalla terra che verr a maturare nel secolo xviii,
determinando nel contempo la ripresa dellinteresse per il miglioramento
dei terreni.
5. Il secolo precedente lunit dItalia.
La spinta verso una prospettiva diversa nei riguardi del suolo deriva
da tre ordini di fattori: anzitutto, intorno alla seconda met del Settecento e sempre pi in seguito, con lincalzante evoluzione della societ
e la pressione della classe borghese, la propriet fondiaria comincia a
passare in misura massiccia (ma sotto forma prevalente di aziende di medie dimensioni) nelle mani di questa classe, senza pi vincoli feudali, affrancandosi da prestazioni come censi, rendite, pensioni, decime, ecc.,
e con il consolidamento di un dominio unico al posto di quello diviso fra
quello diretto (dominus) e quello utile (del concessionario agricoltore).
Nel contempo si riducono le propriet collettive di enti, comuni, chiese e via dicendo, si sopprimono la manomorta ecclesiastica e i fedecommessi, scompaiono le restrizioni relative alla destinazione produttiva della terra (ad esempio divieti di dissodamento dei pascoli, o di disboscamento, con effetti per altro ben spesso pregiudizievoli per il terreno), si
liberano i coltivatori da servit personali (equivalenti in pratica alla
servit della gleba, e consistenti in vincoli dovuti a privilegi padronali
e simili).
In secondo luogo, questa borghesia che subentra nel possesso privato o nellaffitto capitalistico della terra alla nobilt e al clero, e li trascina nelle riforme su accennate, una classe scaltrita nella lotta per lemancipazione e che intende mettere a frutto i notevoli progressi delle discipline scientifiche, via via compiuti, anche nel campo della conoscenza
della natura, durante il Seicento e nel secolo dei lumi: a differenza
della scienza aristotelica che aspirava alla pura conoscenza, la nuova
scienza ha dichiarati fini applicativi e si traduce in ritrovati tecnici che
gi hanno procurato sensibili vantaggi alle industrie (in Lombardia prosperavano specialmente quelle tessili). Lesempio di queste attraente,
poich in virt di procedimenti razionali le attivit delle categorie cittadine si sono moltiplicate e valorizzate, e la ricchezza che ne viene accumulata se non minaccia ancora di competere vittoriosamente con
quella terriera tuttavia invita a investimenti produttivi anche nella terra stessa.
Ed ecco, in ultimo, a conseguenza dellaffermazione della propriet
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fondiaria borghese e dellapporto tecnologico del terzo ceto, farsi strada una concezione inconsueta dellesercizio dellagricoltura: questo non
pi un mestiere fondamentalmente legato alla tradizione e asservito
alle condizioni ambientali, il cui detentore proprietario della terra
pu contare su un reddito elevato solo se grandi sono i suoi possedimenti, giacch le rese medie per unit di superficie e per unit di lavoro sono sempre necessariamente basse; al contrario: lagricoltura, purch vi si applichino in ogni suo oggetto e strumento, a partire dal terreno, i princip scientifici e la tecnologia appositamente studiata,
suscettibile di trasformazione radicale, tale da assicurare anche su superfici modeste degli utili per nulla inferiori a quelli delle attivit cittadine. Lagricoltura, insomma, comincia a essere vista e trattata alla
stregua di una moderna industria, e segno esplicito ne sono le molteplici accademie sorte in quasi ogni regione dItalia per discutere i modi pi
efficienti di rendere produttiva la terra, e la comparsa di numerosi scritti che affrontano tale materia con metodo attinto alle scienze, e con
esempi tratti anche dallesperienza estera inglese, olandese, francese
ormai pi progredita di quella italiana nel settore in questione.
Fra questi esempi non si pu tacere il ricorso sistematico al prato di
leguminose in rotazione, preconizzato come si visto due secoli prima in Italia, ma qui diffusosi assai mediocremente, fino a che il collaudo avutone in altri paesi non lo ebbe reimportato nella sua patria di origine. Anche adesso, e per le ragioni gi esposte, la diffusione del prato
avvicendato non oltrepassa di norma i territori dellItalia centrosettentrionale, ma qui acquista vieppi un carattere di generalit e il significato esplicito di coltura miglioratrice del suolo, oltrech di fonte di foraggiamento per gli allevamenti in espansione. Le cure culturali delle
piante in rotazione (come pure tutte le operazioni di raccolta e di trasformazione dei prodotti agricoli) vengono migliorate con la progressiva introduzione di mezzi meccanici apprestati dallindustria secondo gli
aggiornati dettami della tecnica, e nella prima met del secolo xix, sempre dallindustria vengono forniti i primi concimi chimici, che esaltano
ulteriormente la fertilit dei terreni. Ma a salvaguardare questultima
sotto laspetto della regimazione idrica interviene ancora una volta la
particolare abilit acquisita dagli agricoltori italiani nella tecnica delle
sistemazioni: quelle di piano in terreni generalmente pesanti della bassa pianura padana vengono perfezionate con la baulatura permanente
dei campi, ottenuta mediante apposito trasporto di terra verso il centro,
in modo da favorire gli sgrondi laterali, convogliati entro scoline o capezzagne. Esse subentrano nella tipica piantata alle sistemazioni temporanee a prosoni o prace e prendono forme diverse a seconda della magStoria dItalia Einaudi

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giore o minore permeabilit del suolo: ove questa molto deficiente, come ad esempio nel Bolognese e nel Ferrarese, si adotta il cavalletto emiliano a campi rettangolari baulati in senso longitudinale e affiancati in
tale senso da scoline, mentre nello scarso trasversale le acque vengono
raccolte nelle cavedagne; fra due campi contigui, e in mezzo alle rispettive scoline, corre il cavalletto o strena, spazio largo 3-6 metri e
piantato a viti alberate. Il colmo longitudinale pu pure utilmente assumere un doppio spiovente (anche in senso trasversale), dando luogo
ad una baulatura a padiglione. In terreni meno argillosi (siti di norma pi a monte dei precedenti, nel Modenese, Reggiano, Parmense, Piacentino e nellOltrep mantovano) la piantata fa a meno delle scoline
lungo i campi, pure conservando questi la baulatura longitudinale. Infine, nella pianura veneta, si afferma la sistemazione a cavini (cavedagne ristrette), in cui il colmo, piuttosto pronunciato, ha andamento trasversale al campo, e la piantata pertanto non affiancata da scoline parallele al lato lungo del campo stesso. In tutte queste sistemazioni, e
specie nei terreni pi colloidali, gli agronomi della prima met dellOttocento Filippo Re, Berti-Pichat, ecc. raccomandano le arature
profonde e la ravagliatura, come mezzi integranti per lo smaltimento
delle acque in eccesso; tale pratica, razionale nel dato caso come rimedio temporaneo, si diffonder largamente in seguito con la motorizzazione della trazione, anche in modo indiscriminato e non sempre a vantaggio del substrato vegetativo e delle colture. Un contributo originale
al miglioramento del suolo nelle zone collinari viene recato dalla tradizione sistematoria toscana, che alla fine del Settecento con Landeschi,
Lastri e altri elabora il sistema a tagliapoggio, correzione importante di
quello a cavalcapoggio, in quanto conferisce al profilo del rilievo settori a pendenza unica, le cui acque di scolo vengono raccolte in fosse disposte secondo le curve di livello e sfociano in acquidocci a rittochino
rivestiti di pietra. Lerosione in tal modo viene arrestata, semprech si
operi in substrati pietrosi (galestri, alberesi); per quelli argillosi (pliocenici) di difesa assai pi ardua verr proposto a met dellOttocento
dal Ridolfi e dal Testaferrata il complesso sistema a spina, basato su
preventive colmatelle e successivo modellamento analogo al tagliapoggio, il quale per altro data la sua laboriosit non trover seguaci fuori della zona dorigine, se non in zone limitate delle Marche e dellEmilia. Altre sistemazioni collinari che permettano la lavorazione in traverso
vengono eseguite intorno al 1780 nel Veneto dal Lorenzi, che esortava
inoltre di restituire alla foresta e alle cotiche erbose le pendici montane, ormai troppo degradate da disboscamenti e dissodamenti inconsulti; per cui la tecnica antierosiva per i terreni declivi diventa in tempi
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successivi un canone agronomico largamente osservato nellItalia centrosettentrionale, e perfino nel Mezzogiorno si avvertono misure rivolte in tal senso, sin dalla met del Settecento, con i ripetuti rescritti per
la tutela del patrimonio forestale nel Napoletano, per altro rimasti praticamente inoperanti. Daltronde, laccrescimento rapido della popolazione e la ripristinata convenienza della coltura granaria congiurano
ovunque in Italia, nel secolo xviii, nel senso di estendere i seminativi in
altitudine, al di l di ogni limite di cautela, mentre allintensificazione
irresponsabile dei disboscamenti (specie in Lombardia, nel Veneto e in
Toscana) concorre il capitale commerciale e usurario, che approfitta
dellindebitamento dei privati o dei comuni per procedere ad uno sfruttamento mercantile sfrenato delle risorse legnose.
Non stupisce pertanto che fra gli interventi tecnici in agricoltura venissero ripresi con un nuovo vigore, anche da parte delle autorit pubbliche, le bonifiche idrauliche, atte a rendere lambiente pi confacente allattivit e alle iniziative private: finalit che verr teorizzata nel
concetto (imprestato dallindustria) rigidamente liberale delle funzioni
dello Stato nel dato settore, e che per ora contempla solo la regimazione del fattore acqua, mediante la lotta contro il disordine idrico e le inondazioni, il prosciugamento delle paludi, limpiego dellirrigazione; anche se non mancher chi come Afan de Rivera nel Regno delle Due
Sicilie, nella prima met dellOttocento prospetter una concezione
delle bonifiche in senso pi integrale e pi impegnativo per lo Stato: sistemazioni di piano e di monte, intensificazione delle colture, regolazione del popolamento delle campagne. Del resto, proprio il concetto
liberale sopra accennato a consentire lincontrollata messa a coltura di
terreni di colle e di monte, con diretta minaccia alla stabilit del suolo,
nonch laccelerato denudamento delle pendici boscate per le esigenze
delle industrie del legno; ed significativo che lintesa sempre pi stretta tra capitale e industria finir per peggiorare la predetta situazione anche dopo lunificazione del Regno, manovrando ai suoi fini di immediato profitto lo Stato parlamentare, e rendendo ancor pi difficili le
condizioni per una bonifica efficace.
Si ha cos il duplice paradosso: di uno Stato che interviene nei rimedi
a danni, di cui trascura le cause per un mal inteso principio di non-ingerenza; e dellindustria che mentre indubbiamente procura allagricoltura metodi e mezzi pi razionali di gestione e di utilizzazione del
suolo per altro verso espone la terra stessa ad una spregiudicata spoliazione. Lo Stato finir, nel secolo xx, col modificare profondamente
la sua dottrina circa la pubblica utilit, a favore di una difesa ben pi
ampia contro i fenomeni erosivi, e di una valorizzazione generale dei
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terreni agrari; lindustria per contro, per molteplici ragioni (come si dir
meglio in seguito), manterr al riguardo un ruolo ambiguo, il cui bilancio finale tuttora sub judice: non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Se ora si considerano gli interventi bonificatori statali dalla seconda
met del Settecento in poi, nelle diverse regioni del paese, si viene a ripercorrere invariabilmente le stesse zone gi incontrate nelle precedenti epoche storiche, e a imbattersi nelle medesime iniziative di fondo, anche se allargate nello spazio e perfezionate nella tecnica. Alle opere gli
Stati provvedono direttamente, oppure le appaltano a concessionari,
spesso rappresentati da societ, talora anche estere. In Piemonte, data
laffermazione della risaia nel Vercellese e in Lomellina, prosegue lo sviluppo dellirrigazione; sotto Carlo Emanuele III si registrano prosciugamenti nel Novarese, nellAlessandrino e nel Tortonese, mentre a Carlo Alberto si deve il passaggio al demanio della grande canalizzazione e
del suo mantenimento. La Lombardia integra la propria rete irrigua con
nuove derivazioni dai fontanili, con lo scavo del Naviglio di Pavia e di
altri canali nel Bresciano e nel Mantovano, e migliora il livellamento dei
terreni, provvedendo anche (con Maria Teresa) ad alcuni prosciugamenti
di paludi. Questi interessano nel Veneto le Valli veronesi, gli acquitrini di Montagnana, del Polesine, di Treviso e del Friuli, nei quali in ultimo verranno usate per la prima volta, da parte dei consorzi, le pompe
idrovore, rivoluzionando tutta la tecnica bonificatoria. In Emilia si continua con i lavori per la sistemazione del corso del Po e dei suoi affluenti,
laddove in Toscana, sotto i Lorena, una bonifica di tipo integrale ha luogo in Maremma (con i fossi di scolo e con le colmate ottenute dallOmbrone, arginato dallo Ximenes), e altre colmate si susseguono in Val di
Chiana, dove il corso del fiume viene rettificato dal Fossombroni mediante il Canale di Mezzo; n si trascurano i prosciugamenti nella Valdinievole e nelle paludi di Fucecchio e di Bientina. Ristagnano invece
le iniziative nello Stato pontificio (con qualche intervento in Val di Chiana e nellAgro Pontino, dove Pio VI fa scavare un canale di scolo, detto Linea Pia) e nel Regno di Napoli, data la persistenza quivi di regimi
feudale o latifondista, anche se qualche tentativo di bonifica (col concorso di privati) viene fatto (da Ferdinando IV) nel Tavoliere (Saline di
Barletta, Ortona) e in Calabria, in questa essenzialmente per opera di
un concessionario (V. Nunziante); inoltre lirrigazione viene estesa derivando acque dal Sarno e dal Volturno. In Sardegna, infine, passata al
Piemonte, pi che di bonifiche, si tratt di incentivi indiretti per la messa a coltura, mediante colonizzazione con manodopera forestiera, con
la liberazione della propriet dalle forme feudali o collettive, e perci
con la concessione ai proprietari della facolt di chiudere le terre per
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sottrarle alluso di pascolo e sottoporle a colture pi intensive: a coloro


che ricorressero a tale facolt di chiusura, erano conferiti privilegi particolari. Daltronde, qui come altrove, la stabilizzazione degli imponibili per limposta fondiaria, che consentiva una lunga franchigia per i
maggiori redditi, sollecitava da sola i miglioramenti fondiari da parte dei
privati, a completamento della bonifica idraulica di base curata dagli organi statali.
Giova rilevare a questo punto, come la bonifica idraulica in Italia,
risalente al Medioevo e via via arricchitasi di un cospicuo apporto di studi e di realizzazioni, fosse rivolta in sostanza (a prescindere dalle opere
di irrigazione) al risanamento e alla difesa dei terreni alluvionali di piano, da assicurare allagricoltura, e rappresentasse pertanto leffetto di
uno stimolo permanente particolare, esercitato dal suolo paludoso sullattivit degli uomini, e fronteggiato di rimbalzo da questi ultimi con un
diretto intervento pedogenetico. La massima espressione di tale intervento, che pu essere ravvisata in Emilia e nel Veneto, consisteva in due
ordini di misure, strettamente connesse: la regolazione dei corsi inferiori dei fiumi e il prosciugamento delle terre affette da ristagno idrico.
Tutti i fiumi italiani hanno origine in zone montane di cui trasportano
a valle materiale eroso, quello pi fine (torbida) venendo depositato nel
corso inferiore e alla foce, normalmente tendente a formare un delta.
Tale deposito, riempiendo e rialzando lalveo, costringe il fiume a straripare periodicamente e a ricoprire di torbida le terre vicine, che in tal
modo crescono di livello, per cui un certo equilibrio si stabilisce automaticamente tra il corso dacqua e il territorio circostante. Per altro, lirregolarit stessa delle piene torrentizie e dellentit e localizzazione dei
depositi abbandonati di volta in volta fa s che il fiume sia non di rado
indotto a cambiare letto, non senza lasciarsi dietro aree acquitrinose senza pi sgrondo naturale, specie se lo stesso sbocco al mare reso difficoltoso dalla barriera deltizia; la quale, per parte sua, d luogo a lagune
dacqua dolce che col tempo vengono a insabbiarsi con nuovi depositi,
trasformandosi in valli, paludi, sortumi e altri acquitrini. Il primo passo per la regolazione dei fiumi quindi sempre stato quello di costruire
lungo il loro percorso degli argini che ne fermassero gli spostamenti o
rotte e impedissero le inondazioni; con ci per altro i depositi (non
pi sparsi sui terreni allagati) acceleravano il rialzo dellalveo e imponevano un progressivo innalzamento e rafforzamento degli argini, con la
formazione dei pericolosissimi fiumi pensili, quali sono oggi ad esempio
il Po e lAdige; inoltre, ne veniva impedito lo sbocco degli affluenti nel
fiume principale: occorreva pertanto deviarli direttamente al mare, magari riunendone due o pi insieme, per rendere pi consistenti i corsi
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dacqua ed evitare altri impaludamenti; ma le soluzioni di solito non erano facili, dato linsufficiente dislivello di deflusso e lapporto di altra
torbida dagli stessi affluenti.
Si ricorreva allora allutilizzazione delle torbide medesime per la preventiva colmata delle bassure paludose, da cui le acque ormai chiare venivano smaltite tramite canali o il corso rettificato del fiume, reso spoglio di depositi, ma ben spesso si dovette tentare ora luna, ora laltra
soluzione, cambiando nello stesso comprensorio sia i metodi di lotta, sia
i tracciati degli alvei e dei canali, come dimostra la storia della persistente bonifica alla foce del Po e del corso dei suoi affluenti emiliani,
specie di quelli scendenti dallAppennino. A Venezia poi si poneva anche il problema dellinterramento della laguna, che minacciava lesistenza della citt, per cui gi nel Cinquecento Alvise Cornaro preconizzava la deviazione di tutti i fiumi sfocianti nella laguna (e in primo
luogo del Brenta), in modo da impedire ad essi la altrimenti inevitabile
colmata del bacino.
Solo dopo aver in qualche modo irreggimentato i corsi dacqua, si
poteva passare alla fase riguardante la messa in valore dei terreni soggiacenti, incontrando per altro nuove difficolt per il loro risanamento,
se il dislivello tra essi e il corso emissario risultasse insufficiente (ci che
avveniva di frequente anche nelle colmate, dopo il loro assestamento,
mentre il fiume interessato tendeva a rialzare nel contempo il proprio
alveo); in queste situazioni che lintroduzione delle idrovore permise
il prosciugamento sollecito delle terre a sgrondo difettoso, senza pi ricorrere alla lentissima e aleatoria tecnica delle colmate. Restava tuttavia il fatto fondamentale e originario dei fiumi carichi di materiale eroso, che pur arginati, continuavano a minacciare le campagne adiacenti:
fatto gi grave e non facile a contrastare nelle condizioni naturali della
manifestazione del processo erosivo, ma reso immensamente pi pernicioso con il denudamento secolare, anzi millenario, delle montagne sia
per il taglio dei boschi, sia per lestensione eccessiva degli arativi, sia per
il sovraccarico di greggi nei magri pascoli.
Ora, questi ultimi interventi umani perturbatori continuavano, come si detto, a crescere di intensit nel periodo considerato, minando
tutta lopera bonificatoria compiuta in pianura e conferendole in ogni
caso salvo rare eccezioni un carattere provvisorio, che obbligava a
considerarla in molte plaghe come fattore costante e ineliminabile
dellesercizio dellagricoltura. Il compito di affrontare il problema alla
sua radice, ossia nel controllo antierosivo delle pendici montane, doveva toccare in tutta la sua imponenza soltanto ai governi dellItalia
unita.
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6. La valorizzazione del suolo nello Stato italiano.


Alla costituzione del Regno (1870), oltre la met della superficie convenzionalmente indicata dalle statistiche come suscettibile di produzione agricola era impegnata in seminativi (comprese le risaie permanenti
nelle zone paludose) e in colture arboree (vigneti, oliveti, fruttiferi); un
terzo era rappresentato da pascoli e incolti produttivi, meno di un quinto da boschi. Nonostante le numerose imprese di miglioramento del suolo, antiche e recenti, via via descritte, tutto il territorio suddetto si prestava largamente ad ulteriori bonifiche, oltre ad esigere la manutenzione di quelle esistenti. Dei 26,5 milioni di ettari complessivi della
superficie in questione, solo 1 357 677 ha erano in misura varia soggetti a irrigazione, di cui ben 1 053 278 ha concentrati in Lombardia e Piemonte, e appena 185 324 ha nel Mezzogiorno, regione che dellacqua
aveva maggiormente bisogno. Nella stessa regione erano localizzate poco meno della met delle paludi (su un totale di 764 000 ettari), mentre
la massima, se non addirittura lunica risorsa della popolazione meridionale era ancora lagricoltura, a differenza del Nord, dove stavano
prendendo piede le industrie.
Ma in tutta lItalia lattivit agricola, sebbene indubbiamente potenziata in vario grado alla vigilia dellunit nei diversi Stati che entrarono a far parte del Regno, rispecchiava un malessere generale, dovuto
al persistere di prevalenti strutture inadeguate per una razionale utilizzazione del suolo: le terre migliori e i possedimenti pi ampi si trovavano tuttora in mano di latifondisti nobili o della Chiesa, che poco si
curavano di intensificarne la produzione; relativamente scarsa la propriet dei borghesi, intenti allammodernamento delle tecniche produttive; diffusa invece la piccola propriet contadina, relegata nelle plaghe
meno fertili e non solo ancorata, per mancanza distruzione, a sistemi
di coltura primitivi, ma economicamente non in grado di tentare modi
culturali pi evoluti; inoltre, se la densit degli agricoltori risultava assai alta (21 per kmq), il 57 per cento era costituito da braccianti, senza
legame fisso con la terra epper senza altro mestiere allinfuori del lavoro saltuario nei campi. Conseguenza inevitabile di tali strutture era la
bassa resa delle colture, anche se fra queste potessero essere annoverate alcune assai redditizie, come le tessili (canapa, lino, cotone), il tabacco, lo zafferano, il riso, oltre alle arboree (vite, olivo, gelso): la produzione agraria lorda, per ettaro, equivaleva in media (per il Regno) a 4
quintali di grano, e a soli 2,7 quintali nel Mezzogiorno (escluso il Lazio)
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cifre da 15 a 20 volte inferiori a quelle ritenute minime rimunerative


un secolo pi tardi.
La classe dirigente, composta da esponenti di censo e pertanto di
orientamento conservatore, era poco propensa a modificare le difettose
strutture, correndo il rischio di veder compromessa la stabilit economica e politica dello Stato appena nato. Daltra parte, la dominante dottrina liberale assegnava ai privati il massimo degli oneri in ogni campo,
facendo intervenire lo Stato con opere pubbliche solo laddove mancasse totalmente la possibilit di attivit privata, con criterio fortemente
restrittivo: cos, per quanto concerne la valorizzazione del suolo, ai privati era addossato il compito dei prosciugamenti e delle migliorie, e solo nel 1882 un limitato intervento statale fu sancito per le bonifiche
idrauliche, ma in una prospettiva del tutto sfasata rispetto a quella tradizionale di riscatto delle terre allagricoltura. E precisamente, si assumeva come scopo preminente, a giustificazione dellintervento diretto,
la lotta contro la malaria, e cio un motivo essenzialmente igienico, ritenendosi che in sua mancanza dovessero provvedere alla bonifica i privati interessati. Per altro, anche in tale limitato intervento (classificato
di prima categoria) lo Stato si assumeva solo la met della spesa: un
quarto doveva essere sostenuto dal comune e dalla provincia, e laltro
quarto dai proprietari, salvo il rimborso allo Stato, da parte di questi,
della plusvalenza (legge Baccarini). Le altre bonifiche (di seconda categoria) a carico totale dei proprietari o dei consorzi potevano aspirare ad un concorso dello Stato e degli enti locali solo nel caso di rilevante interesse pubblico e solamente nella misura del 30 per cento.
Sintende dunque come ai suoi esordi lo Stato italiano si dimostrasse impreparato non solo a risolvere la questione di fondo della struttura agraria, ma ad assumersi la ben pi modesta funzione di apprestare
nuova terra coltivabile per la popolazione agricola in continuo aumento. Del resto, ben presto conscio della propria insufficienza, lo Stato risolveva (con leggi del 1886 e 1893) di affidare anche le bonifiche di prima categoria a consorzi, societ o imprenditori privati, pagando ad essi
la propria quota della spesa e rinunciando al rimborso della plusvalenza; ma nemmeno in tal modo si ebbe a conseguire progressi di qualche
rilievo. Infatti, se nellAlta Italia i consorzi svolsero qualche attivit,
nessuna tradizione in tal senso esisteva nel Mezzogiorno, per cui questo rimase praticamente privo di ogni intervento.
N meglio stavano le cose col problema basilare del controllo del disordine idrico in montagna, per curare la causa dei dissesti dei terreni
in pianura: quantunque il nesso fra i due tipi di bonifica fosse ben chiaro, e anzi non mancasse proprio nel Sud la concezione di una boniStoria dItalia Einaudi

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fica montana intesa a migliorare non solo la regimazione delle acque a


difesa del piano, ma anche la stessa economia rurale locale (come avente un valore in proprio), si continu a lungo nel considerare distaccate
le istanze della bonifica idraulica montana, e rispettivamente, del rimboschimento, nonostante una legge del 1877 stabilisse un vincolo forestale per i terreni declivi: le disposizioni in essa contenute non ebbero
concreta applicazione, data la forte pressione dei montanari sulla terra
e lintensificato sfruttamento mercantile del legname, facilitato dalla
estensione dei trasporti per ferrovia; n miglior esito sort una legge sui
rimboschimenti del 1888.
Ugualmente abbandonate alliniziativa privata venivano le opere irrigue, e tanto pi lo Stato si disinteressava di quegli interventi minori
(ma indispensabili) che concernevano la messa a coltura dei terreni bonificati, e che vennero in seguito indicati come bonifica agraria: per un
cambiamento dindirizzo si dovette attendere il nuovo secolo, con parlamenti non insensibili alle correnti socialiste che intanto avevano investito nel Nord i ceti operai addetti alle industrie e allignavano anche
nelle campagne della bassa Valle Padana. Non per questo manc del tutto, nel primo trentennio dello Stato italiano, ogni opera bonificatoria:
che vennero proseguiti i lavori gi in corso presso i vecchi Stati, anche
se con qualche rallentamento e perfino arresto, su circa 400 000 ettari
(26 bonifiche, di cui 10 nella zona di Napoli-Caserta-Salerno-Avellino,
8 distribuite tra la Maremma toscana, Pisa, Regi Lagni, Catanzaro, Foggia, Taranto, Lecce, 3 fra il Bolognese, il Ravennate e la Val di Chiana,
e 5 eseguite da consorzi o concessionari nelle zone delle Valli grandi veronesi e Ostigliesi, nel Ferrarese, nelle paludi pontine, nel lago di Fucino e quello di Agnano); lavori tutti di prosciugamento o sistemazioni dei
fiumi, cui vanno aggiunti quelli su altri 242 000 ha nellAgro Romano
e altre localit della penisola e della Sicilia (21 bonifiche), in gran parte
di nuova iniziativa. Di tali lavori, per, solo parte pot dirsi realmente
ultimata alla fine del secolo, e in questa va compreso il prosciugamento
del Lago Fucino (14 000 ettari) che conquist allagricoltura terreni particolarmente fertili; di notevole rilievo fu pure linizio della grande bonifica ferrarese mediante prosciugamento meccanico, posta in opera da
una societ concessionaria.
Ma non certo di minore importanza appare nello stesso periodo lopera dei privati, eseguita in prevalenza in Alta Italia quasi senza concorso
statale ed essenzialmente dietro a quellimpulso gi segnalato alla fine
del Settecento, che dellagricoltura mirava a creare una industria. Cos
nel Veneto e in Emilia si continu nel prosciugamento, ricorrendo a sollevamento meccanico delle acque, riscattando, verso il 1900, circa 150
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000 ettari; in Piemonte dove lirrigazione aveva gi raggiunto uno sviluppo di 1000 chilometri di canali (comprese le diramazioni) si volle
ampliare la rete soprattutto allovest del Sesia, nel Novarese e nella Lomellina, con un nuovo complesso di canali intitolati a Cavour, attuati
da una compagnia concessionaria, da comuni e consorzi interessati, canali interamente riscattati dallo Stato nonostante la scarsezza di mezzi,
e che con uno sviluppo di 1500 chilometri dominano 500 000 ettari nelle province di Torino, Aosta, Vercelli, Alessandria, Novara, Pavia.
Analogamente, si costruirono canali irrigui nella Lombardia (Villoresi,
Marzano), nel Friuli (Ledra-Tagliamento, con utenze pi industriali che
irrigue), nel Veneto (Veronese), ecc., coprendo una superficie complessiva irrigabile di oltre 120 000 ettari. N mancarono altri interventi minori dei privati, che per seguendo le tendenze gi delineatesi nel periodo precedente, e approfittando della carenza di controllo statale seguitarono ad estendere i seminativi in zone collinari e montane,
dissodando pascoli e tagliando boschi per insediarvi colture cerealicole
estensive, specie nel Mezzogiorno e nelle Isole, con palese danno dei terreni interessati. Contribu a ci non poco e ne fu maggiormente aggravato il divario fra i regimi fondiari, pi o meno progrediti, dellItalia settentrionale e quelli del tutto primitivi prevalenti nelle Maremme
e nelle regioni del Sud, quali vi erano gi presenti prima dellunit e che
da questa non vennero in alcun modo alterati.
forse il caso di sottolineare in proposito che tutte le suddette manifestazioni del capitalismo terriero, affermatosi nel paese nel corso del
Settecento a sostituzione delle varie forme feudali delluso della terra,
e quale conseguenza dellassunzione dellagricoltura a ruolo di unindustria (fenomeno riscontrabile anche in altre parti dEuropa), erano state ovunque accompagnate da un peggioramento nelle condizioni sociali
degli effettivi lavoratori del suolo, essendo stato fin l trascurato e ci
era successo anche nelle industrie il fattore umano, considerato mero
esecutore di uno schema di operazioni meccaniche; e nei riguardi dei
rapporti con la terra e della sua massima valorizzazione, il fatto acquistava un significato particolarmente negativo, dato che nel caso dei coltivatori, lesito del lavoro dipende largamente dal grado di iniziativa ad
essi attribuito e dalla competenza con cui questa pu essere esercitata.
Ora, nellAlta Italia, con la diffusione dellimpresa capitalistica (sia di
proprietari, sia di grossi affittuari), la manodopera agricola si era trasformata, in gran parte, in salariati e braccianti, alla stregua doperai a
salario fisso, in nessun modo cointeressati allandamento dellazienda,
ed era retribuita miseramente, data lofferta esuberante di contadini in
cerca di lavoro; tanto che proprio qui, nelle province pi ricche e pi inStoria dItalia Einaudi

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dustrialmente organizzate scoppiano i primi scioperi del proletariato


agricolo (nel 1880-82 nel Cremonese, Lodigiano, Bresciano, Vercellese,
Parmense; nel 1884 nel Mantovano e nel Polesine, spostandosi poi in
Emilia e coinvolgendo tutte le categorie lavoratrici delle campagne).
NellItalia centrale, dove la mezzadria pur criticata come remora al
progresso si mantiene radicata in un ambiente imprenditoriale meno
intraprendente e pi restio a correre i rischi di una conduzione diretta
(qui infatti, con la preminenza della viticoltura, si richiede maggior lavoro cointeressato, intelligente e responsabile da parte del contadino),
i vecchi patti giocano a sfavore del coltivatore, in conseguenza dei bassi prezzi delle derrate agricole e dellesosa interferenza dei fattori, veri arbitri della gestione, per cui il mezzadro non esce quasi mai dallindigenza; anche perch occorrendogli molte braccia per far fruttare il
podere a coltura promiscua la famiglia devessere numerosa e ogni guadagno si perde nel suo modestissimo mantenimento. Nel Mezzogiorno
infine, e in altre zone pi arretrate, la prevalente pastorizia e cerealicoltura cui si rivolta limpresa capitalistica subentrata a quella feudale, senza modificare di questa lindirizzo produttivo tradizionale si
avvale essenzialmente di manodopera bracciantile, perfino nelle piantagioni arboree (oliveti, vigneti, agrumeti); la netta prevalenza di lavoratori stagionali, pagati a giornata, terraticanti o pastori, non predispone alla costituzione di una stabile azienda contadina, n ad un legame
funzionale tra coltivatore e terreno, lasciando per converso disoccupata per gran parte dellanno la maggioranza della popolazione agricola,
con conseguenze economiche disastrose. Va aggiunto che nel corso
delleversione del regime feudale (specie nel periodo napoleonico), i nuovi capitalisti terrieri, oltre a impossessarsi delle terre migliori escludendone la piccola propriet contadina, hanno largamente manomesso il diritto di questa agli usi civici sullex feudo, impoverendo ancora maggiormente le gi scarse risorse delle classi rurali. Di qui nasce non solo
quella fame di terra che sospinge lazienda familiare sulle estreme alture dei monti e sulle pendici pi scoscese (con danni al suolo ormai ben
noti), ma provoca alla fine dellOttocento e proprio a cominciare
dallItalia meridionale, in coincidenza di una crisi agraria sopravvenuta
in seguito a vicende di mercato internazionale quel grande esodo di
lavoratori della terra che alimenter a lungo lemigrazione italiana nei
paesi pi lontani America Latina e settentrionale, Australia, ecc. investendo tutte le zone del nostro territorio ove le condizioni dei contadini diventano man mano troppo insopportabili, e trasferendo nel contempo nelle plaghe di nuova colonizzazione lesperienza agricola indi-

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gena, lunica di cui le diseredate genti migranti fossero in possesso, sia


pure ad un livello tecnico infimo.
Tutto ci non poteva non ripercuotersi in modo preoccupante sulla
produttivit dei terreni e di tutta lagricoltura nazionale; ma i rimedi
vennero cercati comera da attendersi al di fuori di ogni riforma sociale, procedendo essenzialmente nella riorganizzazione della produzione e nelladattamento delle diverse colture alle zone per esse meglio confacenti, che in tal guisa acquistavano un certo grado di specializzazione. Cos ad esempio, lAlta Italia svilupp massimamente la coltura del
frumento, quasi dimezzata nel Mezzogiorno continentale (anche per le
rese bassissime), e concentr in poche province irrigue la produzione del
riso (notevolmente accresciuta, anche perch la risaia era entrata in regolare rotazione, anzich essere riservata a coltura stabile in terreni paludosi, e vi si cominciava a praticare il trapianto, per migliorare le rese),
mentre nellItalia centromeridionale tale coltura era completamente
scomparsa. Per contro, nellItalia meridionale (comprese le isole) crescevano a ritmo accelerato gli impianti degli ulivi, la cui produzione in
Liguria e Toscana si restringeva nel ventennio 1870-90 rispettivamente del 75 e del 34 per cento; anche la produzione del vino subiva
una flessione nel Settentrione, per essere aumentata 1,5 volte nel Sud,
dove inoltre importanza sempre maggiore assumeva lagrumicoltura da
esportazione. Tale specializzazione, resa ormai agevole con la caduta
delle barriere doganali nellinterno del paese e con la partecipazione attiva dellItalia ai mercati esteri, anche per lo sviluppo delle linee di comunicazione ferroviarie, rispondeva a criteri razionali di investimento
di capitali indipendentemente da quel che potevano essere le condizioni dei coltivatori adibiti alla produzione.
Non si manc inoltre, da parte dei privati, di proseguire anche nei
quindici anni precedenti la prima guerra mondiale in quelle opere di
bonifica che potevano intensificare la produttivit dei terreni, tanto pi
che lo Stato si dimostrava male attrezzato e troppo lento in simili interventi, nonostante nella legislazione il concetto di bonifica venisse gradualmente ampliato e devolvesse agli organi statali nuovi compiti, oltre
alla sistemazione idrologica: la viabilit, i rimboschimenti, i rinsaldamenti delle pendici, ecc., sempre per con prevalente interesse igienico, e per i territori idraulicamente dissestati. Solo nel 1910, e ancora in
connessione con la lotta antimalarica, venne sancito il principio che il
risanamento dei terreni acquitrinosi dovesse essere seguito da una bonifica agraria (ossia messa a coltura continuativa), addossata s a carico dei proprietari, ma resa obbligatoria e controllata dallo Stato. Si
giungeva cos a delineare una visione di bonifica integrale, che dopo
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la guerra sarebbe stata ripresa con motivazioni ben diverse e con finalit schiettamente economico-agricole, indipendenti da ogni considerazione igienica. Intanto, con la legge Luzzatti, pure del 1910, si provvedeva finalmente alla tutela dei boschi demaniali e comunali e a incoraggiamenti finanziari della riforestazione privata, nonch al miglioramento
dei pascoli, anche al fine di una sistemazione idraulica montana: si dava cos inizio a quella impostazione globale del contenimento del disordine idrico che fin l era sempre mancata allopera bonificatoria italiana, e che in seguito doveva essere vieppi ribadita nella legislazione e
nella prassi.
Secondo queste nuove e ampliate concezioni intorno alla bonifica, le
terre ad essa soggette venivano necessariamente a crescere in estensione, rispetto al passato: nel 1915 vi rientravano 1 827 000 ettari, di cui
1 023 000 nella sola Italia settentrionale (in prevalenza in Emilia e nel
Veneto), 113 000 ettari nellItalia centrale, 553 000 ettari nellItalia meridionale e 138 000 ettari nelle isole. In tale cifra globale erano compresi
i 614 000 ettari di bonifiche ereditate dal regno alla sua costituzione o
da esso iniziate prima del 1900, di cui 440 000 ettari avevano subito un
avanzato miglioramento idraulico, ma richiedevano tuttavia opere di
completamento; ne erano viceversa esclusi i 26 000 ettari totalmente
bonificati degli Stagni di Marcianise, del Fucino, del Lago Bivona e di
Idice-Quaderna. Dellarea totale soggetta a bonifica, sopra indicata, facevano parte 760 000 ettari gi idraulicamente bonificati, 450 000 ettari in corso di attuazione, 600 000 ettari da iniziare; anche fra quelli
idraulicamente bonificati, la maggior parte spettava allItalia settentrionale (400 000 ettari, sempre nelle due regioni anzidette), dove operavano i consorzi dei privati, attivi ivi anche nellimmediato dopoguerra; solo in questultimo periodo aumentarono a 220 000 ettari le terre
da bonificare in Italia centrale, mentre nel Mezzogiorno lo Stato interveniva assai meno, anche se gli investimenti unitari vi erano maggiori,
rispetto al Nord: 414 L/ha contro 180 L/ha nel periodo 1860-1915. Nel
Sud tuttavia tali maggiori investimenti si dimostravano scarsamente efficaci per mancanza di coordinamento tra bonifica di piano (antimalarica) e quella che avrebbe dovuto interessare i relativi bacini montani,
integrandoli (anche sotto laspetto della utilizzazione delle terre) in un
unico comprensorio, ci che invece appariva meno impellente nelle bonifiche della pianura padana.
Comunque sia, nel primo quarto del secolo xx le bonifiche di maggior rilievo si attuavano, come si detto, nellAlta Italia: nel Veneto veniva realizzato il canale della Vittoria, derivato dal Piave, con cui si rendevano irrigui ben 30 000 ettari; altre bonifiche di prosciugamento inStoria dItalia Einaudi

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vestivano il litorale del Basso Friuli e del Veneto, seguite da bonifica


agraria e da appoderamento. In Emilia, la superficie a seminativi veniva raddoppiata grazie ai prosciugamenti completati nelle province di
Ferrara, Ravenna, Modena e allultimazione delle bonifiche Mantovana-Reggiana e Parmigiana-Moglia; quivi la messa a coltura veniva tentata da gestioni collettive dei lavoratori della terra (di ispirazione socialista), per la prima volta impostesi nel clima politico cambiato dopo i
grandi sconvolgimenti locali, dovuti alle dure lotte sociali dei braccianti. Nella Maremma toscana venivano pure riscattati allappoderamento
mezzadrile 115 000 ettari, mentre nellAgro Romano i progressi compiuti davano luogo allinsediamento di grandi aziende capitalistiche, come quella del Maccarese. Si procedette inoltre allinvaso delle acque in
grandi laghi artificiali del Tirso in Sardegna, di Muro Lucano in Basilicata, di Val dArda e Val Tidone in provincia di Piacenza a scopo
irriguo ma anche industriale (energia elettrica), sia pure con beneficio
agricolo limitato dal costo eccessivo dellacqua. Assai meno rilevanti le
opere eseguite nel frattempo nel Mezzogiorno e rivolte essenzialmente
alla viabilit e agli acquedotti: lattivit ivi svolta da alcune societ capitalistiche e dallOpera Combattenti non rec un sensibile cambiamento
della situazione. N di qualche importanza risultano i rimboschimenti,
attuati su terreni acquistati dal demanio, e che dal 1860 al 1923 non
superavano i 30 000 ettari.
La fine della guerra, per altro, e le agitazioni sociali e politiche che
ne seguirono, avevano inferto un colpo decisivo alla dottrina liberale
dello Stato fino allora prevalsa: la terra non apparteneva pi, in prevalenza, ai soli grandi capitalisti, ma specie nelle zone di bonifica era
passata in mano a contadini proprietari, il cui numero nel decennio
successivo al 1918 si accrebbe di ben 500 000 unit (vuoi di proprietari ex novo, vuoi di coloro che ebbero a ingrandire le proprie aziende);
esistevano vaste terre assegnate allOpera Combattenti: lo Stato non poteva pi ignorare le loro esigenze di evoluzione, anzi era tenuto a intervenire a loro favore, se non altro per evitare contrasti in sede politica.
Di qui una crescente casistica dei contributi dello Stato a vantaggio
dellesercizio dellagricoltura, e nel contempo una revisione completa e
sistematica della legislazione riguardante la valorizzazione del suolo, concepita ormai come bonifica integrale, imperniata sullaspetto idraulico ma integrata dallutilizzazione agraria (ed eventualmente industriale), e perci comprensiva dellirrigazione e dellapprestamento delle acque come forza motrice, o come acqua potabile, dei rimboschimenti e
dei rassodamenti dei terreni montani e delle dune a scopo antierosivo,
oltrech economico, della viabilit terrestre e dei canali navigabili: opeStoria dItalia Einaudi

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re tutte che diventano di competenza statale, anche se in varia misura


vi partecipano necessariamente i privati. Invero, lintegrazione agraria
della bonifica idraulica viene affidata a concessioni di opere pubbliche a
consorzi dei proprietari del territorio, in cui lo Stato non interviene quasi affatto direttamente, se non concorrendovi col maggiore contributo
alle spese. Si tende in altre parole a giungere nelliter bonificatorio
fino allultima fase dellavvaloramento agricolo, ponendo in sostanza
questultimo a carico (sia pure parziale) dellintera societ: indirizzo che
ove fosse inteso a sollevare i coltivatori dallo stato di relativa arretratezza e indigenza in cui allora si trovavano potrebbe avere la sua piena
giustificazione; ma che fece osservare a taluno che a quella stregua tutti i terreni erano da considerarsi soggetti alla bonifica, in quanto interessati (per lindole stessa dellattivit agricola) alla predetta ultima fase di avvaloramento: e una simile estensione di interventi non solo appariva troppo gravosa per le finanze dello Stato, ma dopotutto avrebbe
favorito in misura preponderante i grandi proprietari terrieri non coltivatori, cui il concorso statale era palesemente sovrabbondante, se non
del tutto superfluo per la fase in questione.
Comunque, se il Testo Unico 1923 che stabiliva le norme su accennate si limitava a considerare i territori idraulicamente dissestati, anche
questa limitazione venne a scomparire nella successiva legge del 1924
(n. 753, del Serpieri), che concedeva la qualifica di bonifica a tutte le
trasformazioni fondiarie ritenute di pubblico interesse, e ci ai fini
dellincremento della produzione: la giustificazione generica e vaga
per gli interventi dello Stato consentiva al regime fascista insediatosi
in allora con la pretesa di soddisfare alle istanze sociali, ma con la riserva di mantenere lappoggio delle classi capitalistiche un felice compromesso tra le due predette aspirazioni, lasciandolo arbitro nel valutare le iniziative o nellimporne delle proprie; e rispondeva anche perfettamente a quellindirizzo politico di autosufficienza o indipendenza dal
mercato internazionale che in seguito prese nome di autarchia, nellintento ingenuo di eludere le importazioni (anche di generi alimentari) e
con esse le ripercussioni negative dei prezzi esteri (pi bassi) sulleconomia dei coltivatori. Nella legge Serpieri, dunque, rientrava qualunque opera pubblica di bonificamento e di colonizzazione, questultima
riemersa alla ribalta dopo un secolo di abbandono in cui era caduta con
la scomparsa dei piccoli Stati regionali; nei riflessi del suolo, ad ogni modo, la legge mirava ad un miglioramento radicale, sanzionando il vincolo idrogeologico a scopi antierosivi (predisposto dalla legge forestale del
1923, n. 3267), delimitando i comprensori interessati e obbligando (con
sanzioni) i proprietari in essi inclusi a completare le opere nei singoli
Storia dItalia Einaudi

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fondi; i comprensori, poi, potevano contemplare una bonifica idraulica,


ma anche una trasformazione fondiaria priva di opere idrauliche, coinvolgendovi pure limpianto di borgate rurali, specie nella ulteriore frantumazione dei latifondi, i cui proprietari non erano in grado di compiere gli interventi voluti dalla legge. La colonizzazione comunque per le
finalit produttive e sociali prima accennate diventava il criterio preminente, tanto che le bonifiche, ove essa aveva la prevalenza, venivano
classificate di prima categoria, di seconda le altre; le bonifiche stesse infine venivano distinte in idrauliche, montane e delle terre di latifondo,
e dovevano rispondere ad un piano generale per i relativi comprensori,
dal quale per altro erano indipendenti i miglioramenti fondiari, pur essi imposti dalla legge. E poich questultima interferiva con compiti prima devoluti ad altri ministeri (oltre a quelli propri del ministero dellagricoltura), un coordinamento generale in merito venne raggiunto con la
legge del 1933, che rappresent la formulazione definitiva della bonifica integrale.
Lazione dello Stato fu affiancata da altri provvedimenti intesi a renderla pi efficace: venne istituito il segretariato per la montagna che doveva aiutare i comuni nella cura dei boschi e dei pascoli, quantunque per
questi ultimi poco o nulla si fece specificamente, in quellepoca, essendone del tutto sottovalutata la funzione, e anzi considerandoli il corpo
forestale quasi un impedimento allespansione dei rimboschimenti. Il
suddetto segretariato passava nel 1929 alle dipendenze del sottosegretariato dello Stato per la Bonifica, di nuova creazione, cui erano sottoposti anche i consorzi di bonifica, riuniti in unassociazione nazionale
(ne era per escluso, e con effetti negativi, lente di colonizzazione
dellOpera nazionale combattenti).
Finanziamenti continuativi vennero stanziati a varie riprese per gli
interventi statali, e in particolare per lirrigazione (con acque del Garigliano, del Volturno, del Sele, ecc.) e la costruzione degli acquedotti,
per la realizzazione del Canale Emiliano-Romagnolo, la regolazione dei
grandi laghi e dellAdige; con legge apposita (1940) fu insediato in Sicilia un ente di colonizzazione autorizzato per concessione ad eseguire
opere pubbliche, con partecipazione dei proprietari. Si radicava nel frattempo, anche nel Codice Civile, il concetto che la bonifica non dovesse pi avere un carattere temporaneo, legato ad una data zona del territorio, bens fosse unesigenza normale di progresso tecnico e un modo
di essere della propriet privata della terra, suo dovere e responsabilit:
la continuit dellazione bonificatrice si affermava decisamente come
fatto permanente.
Lillusione di tradurre in pratica un concetto siffatto (apparenteStoria dItalia Einaudi

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mente ineccepibile) in una societ a struttura capitalistica fu ben presto


smentita dai fatti: gi nel 1934, su 11 milioni di ettari interessati con
opere pubbliche ad una trasformazione agraria, questultima dimostrava un avviamento molto lento e non sempre razionale su due terzi della superficie, e su un terzo non era stata affatto incominciata, a causa
della difficolt di passare dalla fase delle opere pubbliche (controllate
dallo Stato) a quella degli interventi privati. Invero, i proprietari non
intendevano osservare i pur previsti obblighi, mentre lo Stato era restio
per ragioni politiche ad applicare le sanzioni (tra cui figurava anche
lesproprio), oscillando tra la tendenza a far rispettare la legge e quella
di ovviarne i rigori, sollecitando con altri mezzi la collaborazione degli
inadempienti. Il principio della bonifica integrale risultava inapplicabile e inoperante, finch vigeva la propriet privata della terra.
Con tutto ci, lattivit bonificatoria fra le due guerre mondiali ebbe uno sviluppo non indifferente e manifest la tendenza a estendersi
su territori sempre pi vasti, data anche la prima segnalata ampiezza del
concetto di bonifica integrale, che poteva praticamente trovare applicazione su tutto il territorio agrariamente utilizzato in Italia (circa 28,5
milioni di ettari, di cui per circa 12,5 milioni ripartiti fra boschi, cotiche erbose montane e incolti produttivi). Invero, nel 1930 i terreni soggetti a bonifica idraulica si valutarono in 2,75 milioni di ettari in cifra
tonda (escluse le bonifiche gi ultimate: ma si visto che queste occupavano unarea modesta forse meno di 0,5 milioni di ettari , specie
dovendo accettare anche per essa il criterio della continuit permanente della bonifica nel tempo); della predetta superficie, su 2 milioni di ettari le bonifiche erano in corso (per tre quarti eseguite in concessione), su 0,75 milioni di ettari erano ancora da iniziare. Come gi in passato, le bonifiche in corso interessavano massimamente lItalia
settentrionale (per 1 milione di ettari, quasi interamente nel Veneto e
in Emilia), mentre solo 0,26 milioni di ettari si trovavano nel Centro
(Toscana e Lazio) e appena 0,74 milioni nel Mezzogiorno. Ma gi nel
1934 la superficie soggetta a bonifica si allargava a 15,7 milioni di ettari, in quanto oltre alle bonifiche idrauliche per 8,2 milioni di ettari
vi venivano inclusi 7,5 milioni di sistemazioni montane, intese in senso
piuttosto vago; di fatto la situazione si presentava nel modo seguente:
Opere non iniziate
Opere in corso
Opere ultimate

3,45 milioni di ettari + 0,5 milioni nei bacini montani


4,65 milioni di ettari (di cui 3,95 in concessione)
+ 0,168 nei bacini montani
0,10 milioni di ettari + 0, 125 nei bacini montani.

Storia dItalia Einaudi

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Fra le opere in corso e ultimate (in totale 4,75 milioni di ettari) una
ripartizione meno squilibrata si osserva fra le grandi regioni: 2,05 milioni nel Nord, 0,9 nel Centro, 1,8 nel Sud; in tali opere vengono pure
distinte quelle di bonifica di difesa, in aree con agricoltura intensiva
ben avviata (su 2,05 milioni di ettari), e quelle di trasformazione, con
agricoltura tuttora primitiva (su 2,7 milioni di ettari, di cui 1,6 milioni
con opere pubbliche gi iniziate, e 1,1 con tali opere gi ultimate, ma
con trasformazione avviata solo su 0,8 milioni di ettari). Infime, nel
1938, i comprensori di bonifica idraulica salivano a 9 milioni di ettari e
quelli dei bacini montani a 7,8 milioni, assommando circa il 50 per cento della superficie nazionale e poco meno di due terzi di quella agrariamente utilizzabile; per altro, dei 9 milioni a bonifica idraulica, solo 5,7
milioni risultavano con opere ultimate o in corso, di cui quelle pubbliche erano tuttora in corso su 3,1 milioni, erano ultimate ma attendevano la trasformazione fondiaria da parte dei privati su 1,7 milioni, e soltanto su 0,9 milioni avevano subito anche questultima; epper, anche
di tale esigua frazione solo circa un quarto (220 - 250 000 ettari) poteva dirsi realmente trasformato e valorizzato con densi insediamenti colonici e con notevoli risultati produttivi: meno del 10 per cento dellarea
ormai approntata dalle opere pubbliche per una completa redenzione.
Riassumendo, nei quindici anni intercorsi fra 1923 e 1938, a confronto col periodo 1870-1923 (cinquantatre anni), le opere compiute
possono essere sintetizzate nelle cifre sotto esposte:
1923-38

1870-1923

Km 12 942
4 585
6 280
608
3 737
HP 118 058
25 500

Km 6 785
684
790
13
?
HP 34 081
?

a) Opere pubbliche.
Canali di scolo
Canali di irrigazione
Strade di bonifica
Condutture acquedotti rurali
Arginature
Impianti idrovori di prosciugamento
Impianti di sollevamento per irrigazione
b) Opere private sussidiate dallo Stato.
Strade interpoderali
Case coloniche
Stalle per n. capi

Km 4 449
n. 34 425
250 000

I sussidi non
esistevano
prima del 1923

In complesso, fra opere pubbliche e private, nei quindici anni considerati si erano resi irrigabili 800 000 ettari e appoderati 300 000 ettari, tra cui i 140 000 ettari dellAgro Romano e Pontino, finalmente
redento, e circa 100 000 ettari in Emilia e nel Veneto. La bonifica conStoria dItalia Einaudi

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tinu anche negli anni successivi (1939-42), ormai perturbati dalla seconda guerra mondiale, con lo sviluppo della colonizzazione in Sicilia e
con le iniziative di appoderamento da parte dellOpera nazionale combattenti in Campania e Puglia. Per altro, occorre riconoscere che la nuova impostazione data alla trasformazione del territorio se partiva
da premesse teoricamente sostenibili e anzi confacenti alla valorizzazione non effimera n frammentaria del suolo agrario peccava di proponimenti troppo ambiziosi, spesso spettacolari e demagogici, cui mancava una oculata scelta dei comprensori, proporzionata alle possibilit
tecniche e finanziarie e orientata su direttive ben tracciate per un lungo periodo di tempo, se non per un tempo illimitato, data la visione
dellintervento bonificatorio continuativo. Si segu viceversa una procedura troppo rapida, improvvisata e mal coordinata, su basi legislative
imperfette e talora tra loro contrastanti, con lintento (sin dal 1928) di
utilizzare comunque i notevoli fondi stanziati, e perci con opere di
frequente inutili, o difettose, o avulse da un contesto di provvedimenti che ne consentisse la funzionalit; in tal modo veniva pregiudicata
quellevoluzione lenta ma sostanziale che in agricoltura la condizione
di benefici durevoli, non solo, ma venivano pure screditati per decenni
molti interventi pregevoli almeno nellintenzione. Daltra parte leccessiva vastit dei programmi procurava la dispersione dei mezzi, la cui disponibilit del resto cess ben presto a causa delle guerre di Abissinia e
di Spagna (nel triennio 1935-38) e in ultimo di quella mondiale (1940);
di conseguenza la bonifica solo in casi limitati ebbe a raggiungere risultati finiti; in troppi altri le opere rimasero a met strada, senza un sensibile miglioramento della produzione e della vita rurale, fallendo in tal
modo lo scopo precipuo della bonifica integrale.
Un effetto non marginale della politica bonificatoria e agraria del
ventennio fascista fu invece il rafforzamento del capitalismo terriero.
Nel periodo precedente, e specie nellimmediato dopoguerra, si era manifestata con relativa continuit la tendenza gi prima segnalata allincremento della piccola propriet contadina: il numero dei conduttori dei
terreni propri, tra il 1911 e il 1931, era pi che raddoppiato sia in cifre
assolute, sia in valore relativo alla popolazione contadina globale, con
moto ascensionale che raggiunse lapice intorno al 1925 e poi si ferm.
Esso interess massimamente lAlta Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia), dove il 7 per cento della superficie lavorabile pass in mano dei coltivatori diretti; in Italia centrale gli acquisti furono assai pi
scarsi, investendo solo il 3,5 per cento della superficie lavorabile, e ci
in relazione alla staticit delle strutture mezzadrili; nel Sud invece laumento della propriet contadina si estese al 6 per cento della superficie
Storia dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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lavorabile, specie in Campania e Puglia, ma anche in Sicilia, in seguito


a quotizzazioni di ex feudi: in totale, per tutto il territorio nazionale, si
tratt di circa i milione di ettari trasferiti a contadini proprietari, quasi un avvio a quel tipo di evoluzione che da tempo si era verificato in
molte regioni dellEuropa centrosettentrionale. Senonch il nuovo regime non tard a rendersi conto che i suoi naturali alleati sulla via verso lautosufficienza autarchica nel settore agricolo erano le grosse imprese capitalistiche, non la piccola azienda contadina tuttora orientata
alla produzione per autoconsumo: il capitalismo terriero nonostante
la dichiarata lotta contro il latifondo improduttivo venne ampiamente difeso e favorito sia dalle garanzie fornite alla propriet fondiaria, sia
dai contributi per le opere di miglioramento, sia dalla protezione doganale accordata alla coltura cerealicola, prediletta dellautarchia, sia della completa inefficienza delle cosiddette Corporazioni che non attenu
in alcun modo il maggior peso dei grandi complessi economici agrari rispetto alle esigenze dei lavoratori dei campi. Nel contempo gli investimenti pubblici nella bonifica aumentavano il valore della terra, troppo
spesso senza alcuna contropartita da parte dei proprietari, da cui lo Stato non aveva la forza di esigere lattuazione delle trasformazioni private obbligatorie; e con laumento del valore terriero, la propriet fondiaria diventava sempre meno accessibile al contadino, con tanto maggior aggravio che il regime aveva fatto forzosamente cessare
lemigrazione, esasperando la fame di terra e di rimbalzo facendone salire ulteriormente i prezzi: di fronte a questo fenomeno generale, le modeste colonizzazioni attuate erano appena un palliativo e tali si rivelarono nellimmediato dopoguerra.
Se la predetta involuzione pregiudicava su larga scala quei benefici
che venivano faticosamente conseguiti nei riguardi del suolo, con la bonifica, su poche centinaia di migliaia di ettari, non minor danno derivava ai terreni tutti dalla voluta preponderanza della granicoltura su altri possibili indirizzi agricoli, e in particolare su quello zootecnico, con
conseguente riduzione dei prati: ne stato gi illustrato il ruolo nellincremento della fertilit agronomica; ma largomento, non certo ignoto
ai tecnici del tempo, veniva superato baldanzosamente col solito ricorso ai concimi minerali, a beneficio delle rispettive industrie chimiche in
pieno sviluppo, anche se per il suolo i conti non tornassero affatto. La
contrazione del bestiame, specialmente ovino e caprino, colpisce soprattutto il Mezzogiorno, gi per lunga tradizione costretto a vedere nei
cereali la sua maggiore risorsa, che ora postula la soppressione di larghe
aree di pascoli, rimasti fin l a proteggere alla meglio i terreni dallerosione. Anche nelle zone di bonifica, la fase di messa a coltura si orienta
Storia dItalia Einaudi

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su soluzioni cerealicole piuttosto che zootecniche o miste, e altrettanto


accade nelle contrade montane, specie appenniniche, dove i fenomeni
erosivi sono maggiormente da temere e di fatto si vogliono combattere
con le sistemazioni montane. In sostanza, in troppe zone si era tornati
a sistemi di agricoltura estensiva su larga scala, con manifestazioni di
sfruttamento di rapina, specie nei latifondi cerealicoli, di cui si veniva
a favorire la persistenza: e che la produttivit della terra non ne fosse
avvantaggiata, si desume anche dagli indici di incremento della produzione agraria lorda, i quali secondo M. Bandini nel venticinquennio
1887-1913 sarebbero passati da 100 a 270, e in quello successivo
(1913-38) soltanto da 270 a 280 (aumento del 4 per cento rispetto al
1913). Pur senza attribuire a tali calcoli un valore assoluto, tuttavia
sorprendente il divario tra la somma delle iniziative e di mezzi finanziari messi in opera dal regime per la valorizzazione del suolo, e lesito
insignificante che ne ebbe a trarre il paese.
7. La nuova situazione dopo lavvento della Repubblica.
Limmediato dopoguerra, con la nuova Costituzione, sembr dover
recare una svolta notevole anche nel settore agricolo: gli stessi effetti
bellici, con le ingenti distruzioni nei centri urbani e la disorganizzazione dei collegamenti tra le varie regioni, avevano esaltato lattivit degli
imprenditori agrari, consentendone un relativo arricchimento ma provocando nel contempo una maggiore ricerca della terra e laumento del
suo valore, ci che rendeva sempre pi difficile il possesso al piccolo coltivatore diretto, mentre la manodopera disponibile era cresciuta anche
in seguito alla stasi di altri campi di lavoro. Le sollecitazioni sociali che
ne derivavano come contingenza immediata (non ultime le occupazioni
delle terre incolte da parte dei braccianti nel Mezzogiorno e altrove), e
la convinzione tuttora persistente (ereditata dal fascismo) che la leva
economicamente pi importante del paese ai fini della produzione globale fosse lagricoltura (a prescindere dalle considerazioni puramente
elettorali che ponevano il ceto rurale dato il suo peso numerico alla
merc delle manovre politiche), sfociarono in quella serie di iniziative
che vanno sotto il nome di riforma agraria e che ebbero la loro manifestazione pi vistosa nella riduzione del diritto di propriet della terra e
nella conseguente divisione dei latifondi, con la connessa distribuzione
delle terre (circa 760 000 ettari) ai contadini poveri. Ne furono beneficiate 109 000 famiglie, con assegnazioni per di lotti spesso minuscoli
(in maggioranza di 2-5 ettari nelle zone pi popolate dellItalia meriStoria dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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dionale); e poich lindirizzo politico prevalente temeva ogni parvenza


di orientamento verso la collettivizzazione di tipo comunistico, le nuove aziende specie nel Meridione nacquero anemiche e spesso del tutto incapaci a reggersi in un ambiente che per le sue caratteristiche ecologiche avrebbe richiesto per i fondi dimensioni minime intorno ai 50
ettari. Gli assegnatari daltra parte, in gran parte privi di preparazione
tecnica, di capitale desercizio e di esperienza cooperativa, si trovarono
a dover affrontare limpresa con mezzi inadeguati, nonostante le facilitazioni offerte dallo Stato con listituzione di enti appositi (Cassa del
Mezzogiorno, Enti di riforma, Enti di sviluppo, ecc.). Non si vuole con
ci disconoscere in alcun modo il merito della riforma di aver finalmente
cercato di tradurre nella realt il principio da tempo maturato nelle coscienze: la terra a chi la lavora; ma le conseguenze per il suolo non furono, nellinsieme, favorevoli, anche se in alcune localit si avvi sin da
allora una trasformazione nettamente promettente: su larghe estensioni comunque prevalse lagricoltura cerealicola e autarchica tradizionale,
sostituendosi al latifondo capitalista il latifondo contadino, che aveva
bens introdotto la coltura continua laddove prima vigeva il sistema di
lunghi riposi pascolivi, ma non aveva in alcun modo provveduto a rigenerare la fertilit agronomica dei terreni sfruttati con procedimenti
di rapina e a supplire con prati e bestiame alla funzione del riposo,
imprescindibile nelle plaghe considerate; n avrebbe potuto provvedervi, fintantoch lagricoltura simperniava su lembi di terra frazionatissimi, in conduzione familiare, appena sufficienti e non sempre a fornire lalimento annuo al lavoratore-imprenditore individuale. Ne deriv
dunque un incremento dei fenomeni erosivi, con qualche episodio di
proporzioni catastrofiche (in Calabria), e solo laddove lassoluta impossibilit di assicurarsi una produzione per autoconsumo, i disagi della residenza o altre cause avevano reso preferibile agli assegnatari labbandono delle terre tanto agognate, il ritorno su queste della vegetazione
spontanea ebbe a ripristinarvi in qualche misura le difese naturali del
substrato contro la degradazione.
Non meno deludente, allinizio, si dimostr il proposito di impostare la produzione agricola del paese in una prospettiva antiautarchica di
scambi internazionali e di riduzione della cerealicoltura a vantaggio della zootecnia, e quindi delle colture foraggere: gi si visto che in molte
zone di riforma (del resto limitate solo alla parte pi depressa del territorio agricolo) tale indirizzo non era in grado di affermarsi; ma anche
nel resto del paese il sostegno politico dei prezzi accordato al grano frenava non poco levoluzione auspicata, per cui larea investita ai foraggi
rimase a lungo stazionaria, e con essa i benefici prevedibili per i terreStoria dItalia Einaudi

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G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

ni. E anche quando lindustria zootecnica in seguito alle finalmente


mutate condizioni di mercato nellambito della Comunit europea assunse un peso maggiore nelle scelte imprenditoriali, soprattutto nelle
contrade irrigue, essa ricorse pi che allintensivazione delle colture foraggere, allintegrazione dellalimentazione con mangimi e con cereali
(senza, del resto, che ne venisse ristretta sensibilmente la coltura granaria). Invero, le statistiche quantunque spesso incomplete e discordi
ci indicano degli incrementi delle superfici a foraggere avvicendate
nel decennio 1948-57 dellordine di poco pi del 10 per cento per la
Val Padana e per lItalia centrale, e del 40 per cento per il Mezzogiorno, qui soprattutto in seguito alla diffusione degli erbai prima quasi inesistenti, in alcune zone soggette alla riforma; nel decennio successivo un
ulteriore progresso pure avvertibile, pi interessante nel Nord (dove
compaiono aziende zootecniche totalmente specializzate), e proporzionalmente pi accentuato in alcune regioni centromeridionali (Toscana,
Puglia, qualche plaga della Lucania e della Calabria, nonch in Sardegna); tuttavia in gran parte del territorio asciutto si tende verso ordinamenti semiarboricoli, che incidono molto modestamente sul miglioramento del suolo (notevole nel Mezzogiorno stata lespansione del vigneto e soprattutto delloliveto, stazionario il primo e in netto regresso
il secondo nellItalia centrosettentrionale).
Quanto alle opere di bonifica, esse non potevano non ispirarsi ai concetti codificati nel periodo precedente, anche perch gli uomini preposti a tali opere erano ancora gli stessi del passato, o venivano da quella
scuola; n si poteva improvvisare una legislazione diversa da quella che
aveva guidato finora la bonifica integrale. Va osservato per altro, che
se i ritocchi a cotesta legislazione (come ad esempio la legge del 1952,
particolarmente rivolta ai territori montani) non si discostano nei criteri dai procedimenti consueti, gli obiettivi che viene a porsi adesso la bonifica specie in seguito a circostanze che verranno illustrate pi oltre
cambiano gradualmente di inquadratura: fermo restando il principio
acquisito dellintegralit della bonifica come inclusione in essa di tutte
le opere occorrenti per lo svolgimento del lavoro agricolo normale, si
indotti anche per le limitate possibilit di finanziamento a ridurre
le zone dintervento, scegliendole in base a considerazioni prevalentemente economiche e sociali (i motivi igienici essendo praticamente scomparsi dopo il debellamento radicale della malaria con i trattamenti chimici, alla fine della guerra). In altre parole, si rivolge la maggiore attenzione alle aree suscettibili di sviluppo economicamente promettente
nellassetto internazionale del mercato (fruttiferi e agrumi, primizie orticole, ecc.), tralasciando decisamente la pretesa di bonificare a spese
Storia dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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dello Stato tutto il territorio nazionale, ma nelle zone dintervento cos circoscritte si attribuisce alla bonifica compiti pi complessi e in un
certo senso pi integrali, mirando a soddisfare le accresciute esigenze
sociali (per lattrezzatura dei nuovi insediamenti, le scuole e altri servizi, i collegamenti con i mercati, ecc.). Se tale sembra essere lorientamento di massima degli organi responsabili, non mancano per alcune
incertezze dindirizzo nelle zone sicuramente destinate al declino perch meno adatte allagricoltura (ad esempio alta collina, montagna), ma
che per la loro estensione e la tuttora non trascurabile popolazione ivi
residente presentano problemi sociali che difficilmente potrebbero
ignorarsi: al movente sociale qui viene ad aggiungersi sempre pi impellente la necessit della difesa del suolo, emersa in primo piano dopo
alcune disastrose alluvioni.
Al riguardo va menzionato che gi nel 1952 venne approvato il cosiddetto Piano dei fiumi che prevedeva una lotta particolarmente intensa contro il disordine idrico, specie in relazione al dissesto dei corsi
dacqua in montagna e in pianura, diretta conseguenza della degradazione dei terreni in altitudine, giunta alla fase critica. In virt di tale piano, fino al 1965 vennero spesi per gli interventi progettati 700 miliardi,
senza per altro realizzare se non parzialmente il programma apprestato,
n esaurire i relativi fondi gi stanziati. Pertanto, anche in seguito allalluvione del 1966, nel piano quinquennale 1966-70 fu introdotto un apposito capitolo per la difesa e conservazione del suolo, il cui preventivo con la legge del 27 luglio 1967 n. 632 venne portato da 760 a
960 miliardi, intendendosi inoltre concentrare gli interventi in zone di
preminente importanza, intorno ai fiumi principali (Po, Arno, zona di
Venezia, ecc.); e un nuovo piano generale veniva messo allo studio, ispirato ad una visione globale della difesa del suolo e della sistemazione dei
corsi dacqua, con obiettivi antierosivi specifici e con consapevole intento di porre argine ai grandi fenomeni geologici considerati. Purtroppo lattuazione del piano ha continuato a procedere con lentezza, e tra
il 1967 e 1968 solo circa un terzo della spesa deliberata per tali anni
stato in effetti impegnato in opere attinenti al programma.
Daltra parte, le finalit economiche predominanti (come gi accennato pi sopra) negli interventi bonificatori hanno fatto nel contempo
convergere gli sforzi verso quelle misure tecniche di miglioramento che
promettevano gli incrementi produttivi pi cospicui, e perci soprattutto verso lirrigazione, ossia verso il reperimento di quel fattore limitante in tutta larea mediterranea lacqua , di cui i mezzi moderni di
captazione e distribuzione avevano aumentato sensibilmente, rispetto
al passato, la potenziale disponibilit, e che era in grado di trasformare
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G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

radicalmente lagricoltura povera di vaste plaghe centromeridionali (anche socialmente pi arretrate), avviandone di rimbalzo i terreni ad un
processo evolutivo di rigenerazione pedogenetica. Quanto fosse stato,
sin dallantichit, compreso e considerato il valore dellacqua irrigua da
parte dei coltivatori, lo si visto a pi riprese nel corso di questa esposizione: il ricorso allirrigazione, per altro, ai tempi degli etruschi e dei
romani, non ebbe di norma carattere collettivo e venne praticato essenzialmente per iniziativa di privati, su aree modestissime; solo con la
dominazione araba in Sicilia comparvero le prime opere irrigatorie pubbliche (di tipo oasistico), che si diffusero indi in Calabria, Campania e
Puglie, e di cui si hanno tuttora tracce ad esempio nelle derivazioni
dallAterno (nella valle di Sulmona). Altre derivazioni (a scopo molitorio, oltrech irriguo), pure agli albori del Medioevo, furono introdotte
nel Nord della penisola (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia) dai benedettini, che gi in Italia centrale (a Norcia e nella Conca Ternana) avevano praticato le prime marcite collettive. Lesercizio collettivo dellirrigazione raggiunse per uno sviluppo decisivo ed una codificazione giuridica soprattutto allepoca dei Comuni e pi ancora delle Signorie, con
il riconoscimento dei consorzi irrigui e degli obblighi che ne derivavano anche ai dissenzienti, in fatto di osservanza delle regole duso e degli oneri di spesa comuni. Come si ricorder, fu invero intorno al 1500
un fiorire di opere irrigatorie, specie nel Settentrione, mentre poche ormai ne sorgevano, per le note ragioni, nel Mezzogiorno: tra queste, la
diga di Grotticelli (durata fino al 1950), alcuni canali nel Palermitano,
in Calabria (Castrovillari), in Campania (Sarno), ecc.
Dovranno trascorrere oltre tre secoli, perch allirrigazione si dia un
nuovo impulso di rilievo: i nuovi canali (cui per tanta parte legato il
nome di Cavour) vengono assunti direttamente dallo Stato e acquistano carattere demaniale (pubblicistico), estendendosi in tutte le regioni
settentrionali, compreso il Veneto, dove viene introdotta la disciplina
per uso collettivo dellacqua. Lirrigazione diventa sempre pi lintervento basilare per la creazione di nuove zone agricole (su precedenti incolti, boschi o pascoli) e perci si impone come attivit pubblica ai governi, accompagnata dopo lunit dItalia da una legislazione apposita, che sancisce (nel 1873) il concetto dellobbligatoriet dei consorzi
irrigui e (con le leggi del 1883 e 1886) il valore pubblicistico delle opere. Giova precisare che con le disposizioni succedutesi per le bonifiche
in generale stato riconosciuto il concorso dello Stato anche per le iniziative irrigatorie private (consorzi, associazioni, ecc., secondo il T.U.
del 1900), e che nel periodo 1911-19 i contributi statali sono stati
estesi pure ad opere di minor mole, intese per superfici piccole; nel
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G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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1925-26, anzi, si abolisce al riguardo la distinzione tra grande e piccola


irrigazione e si riconosce una veste giuridica ai consorzi, quali emanazioni dello Stato, mentre la legge sulla bonifica integrale (1933) apre la
via a interventi pi cospicui in Val Padana, sulla dorsale appenninica e
nel Mezzogiorno, anche per grandi invasi.
Nel dopoguerra, le disposizioni del 1954 stabiliscono un finanziamento particolare delle opere irrigue, per le quali vengono sanzionate la
continuit e linterdipendenza tra la rete principale e quelle aziendali,
queste ultime connesse con il miglioramento fondiario da esse derivato;
la delimitazione dei comprensori soggetti a irrigazione segue il principio
che lintroduzione dellacqua nelle zone considerate debba essere sicuramente redditizia. Qualche cifra servir a illustrare lo sviluppo dellirrigazione nei tempi pi recenti: le statistiche relative al primo quarantennio del Regno sono alquanto incerte, ma sembrano consentire una
valutazione prudenziale dei terreni irrigui in Italia, intorno al 1900-905,
in 13 000 000 ettari circa; nel 1931 si era passati ad almeno 15 000 000
ettari, e nel 1942 a 150 000; rispetto al 1905, laumento dellarea relativa nel 1962 stato del 127 per cento, e del 42 per cento rispetto al
1948; attualmente, in cifra tonda si sono raggiunti 13 milioni di ettari
irrigui, che rappresentano il 14,4 per cento della totale superficie agraria del paese (21,5 milioni di ettari); nonpertanto la distribuzione territoriale delle aree irrigue rimasta tuttora estremamente sperequata, toccandone il 72,5 per cento allItalia settentrionale (dove, in Lombardia,
pi della met dei terreni coltivati irrigata), mentre meno del 7 per
cento appartiene alle isole. Inoltre, ben di rado le disponibilit di acqua
corrispondono alle esigenze reali delle imprese agricole: cos, nel Settentrione si riscontrano di frequente dotazioni unitarie eccessive, in seguito ad antichi diritti duso, tenacemente difesi anche se tecnicamente non giustificati; nel Centro e nel Mezzogiorno prevale lirrigazione
di soccorso, per carenza idrica, che solo parzialmente consente di valorizzare il potenziale produttivo dei terreni: un riordino delle utenze (in
base a sperimentazione esatta) simpone da tempo per smuovere le tradizioni empiriche, ma limpresa trova ostacoli nellambiente umano che
soltanto una riforma delle strutture potrebbe eliminare.
Finora, daltra parte, mentre non sono mancate grandi opere di raccolta e adduzione delle acque, insufficientemente si curata di queste
la distribuzione capillare che poi quella pi direttamente coinvolta nella trasformazione agraria dei terreni. Tuttavia, oltre ai grossi serbatoi e
sbarramenti (che di norma servono pi allindustria che allagricoltura),
la tecnica costruttiva moderna ha agevolato linvaso di acque per uso
agricolo in migliaia di laghetti collinari, che hanno permesso tra laltro
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G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

lestensione dei prati sui declivi, con netta funzione antierosiva. La distribuzione dellacqua, accanto ai sistemi tradizionali tuttora pi diffusi per scorrimento e infiltrazione (questultima nelle zone pi siccitose) ha conosciuto nellultimo dopoguerra laffermazione sempre pi
decisa dellirrigazione a pioggia (un quindicennio prima giudicata ancora antieconomica), la quale ha sorpassato per estensione il sistema per
sommersione (riservato essenzialmente alle risaie e agli agrumi), come si
scorge dallo specchio seguente.
Irrigazione
per scorrimento
e infiltrazione

Irrigazione
a pioggia

Irrigazione per
sommersione

Superficie (in ha)

2 329 000

500 000

253 380

Nord
Centro
Sud

1 735 700
136 000
457 000

331 000
134 000
49 000

173 000
640
79 700

Lintroduzione dellaspersione nella tecnica irrigatoria non di poco momento ai fini pedogenetici (oltrech a beneficio delleconomia
dellacqua), vuoi perch consente lintervento anche su terreni non sistemati, vuoi perch insieme al sistema per infiltrazione privo di
effetti negativi connessi con gli altri sistemi, effetti dovuti a dilavamento
superficiale e lisciviazione profonda. Inoltre lirrigazione a pioggia ampiamente meccanizzata tende a ridurre, per la distribuzione dellacqua limpiego delle unit lavorative per ettaro, con appiattimento di
esso, anche rispetto alle colture asciutte, e in armonia con la contrazione progressiva di manodopera nellagricoltura contemporanea.
Tornando allevoluzione avvenuta in cento anni dello Stato italiano,
si constata che tra il 1861 e il 1947 lincremento medio della superficie
irrigua stato di 8 - 10 000 ettari allanno; dal 1947 al 1962 il ritmo si
notevolmente accelerato, portando gli aumenti annui a 50 000 ettari
in media. Le regioni che pi hanno risentito, proporzionalmente alla
propria area, dellestensione della superficie irrigua rispetto alla data di
partenza, tra il 1905 e il 1962, sono state lUmbria, le Marche e le Puglie, dove larea irrigata pi che decuplicata (data linfima estensione
di quella iniziale); in Emilia tale area sestuplicata, e minori aumenti
proporzionali si sono registrati altrove; essi sono stati particolarmente
sensibili dopo la seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno, dove progetti importanti sono stati impostati per le vallate del Garigliano, Volturno, Sele, Pescara, Ofanto, Neto, piana di Catania, Metaponto, Sibari Campidano, ecc. Ciononostante, come si detto, nellItalia setStoria dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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tentrionale (dove la rete dei canali, in Val Padana, ha raggiunto la densit impressionante di 1 chilometro per ogni 80-100 ettari) che concentrata la massima parte dei terreni irrigui, su 2 240 000 ettari circa
(29,7 per cento della superficie agraria): al Centro spettano appena 274
000 ettari circa (7,2 per cento della superficie agraria), e allItalia meridionale 586 000 ettari (che occupano sul continente 6,7 per cento della
superficie agraria, e 4,3 per cento nelle isole). Si riscontra cio per le
congiunte ragioni ambientali e storiche che sono state via via messe in
evidenza una distribuzione della rete irrigua decisamente inversa a
quella che sarebbe stata desiderabile dal punto di vista pedogenetico,
ove si perseguisse su tutto il territorio nazionale la formazione omogenea e uniforme di terreno agrario perfetto, ricordando che proprio la
fascia meridionale a risentire maggiormente di carenza stagionale di precipitazioni e di eccessi termici. Dir la pianificazione delleconomia futura, se una correzione sia pure parziale alla situazione esistente si debba intraprendere con i mezzi che la tecnica moderna mette a disposizione; al presente, lulteriore espansione dellirrigazione sembra possibile
su altri 0,9-1,2 milioni di ettari, s da oltrepassare i 4 milioni complessivi di territorio irrigato, secondo il prospetto riprodotto qui sotto (in
cifre arrotondate):
italia settentrionale

italia centrale

italia meridionale

Piemonte
970
Liguria
7 400
Lombardia
72 000a
Trentino-Alto Adige 16 000
Veneto
213 050
Friuli-Venezia Giulia 60 540
Emilia
50 000?
420 000 C.

Toscana
Marche
Umbria
Lazio

Campania
24 600
Abruzzi e Molise31 550
Puglia
107 260
Basilicata
20 830
Calabria
152 550
Sicilia
61 910
Sardegna
158 700
557 400b

a Pi integrazioni, di acqua su 30 - 55
b Totale per lItalia: 1 217 300 ettari.

24 000?
32 900
83 000
100 000
239 900

000 ettari.

Tale sviluppo ha un significato particolarissimo sullevoluzione dei


suoli italiani e della loro fertilit agronomica: gli incrementi di produzione che ne conseguono variano dal 30 al 400 per cento a seconda dei
casi, e sono accompagnati da modifiche profonde degli indirizzi culturali e degli ordinamenti aziendali; nuovo spazio conquistano le colture
orticole, floricole e legnose (vite, fruttiferi, agrumi), specie nel Mezzogiorno, ma ne beneficiano pure le foraggere poliennali, induttrici di processi costruttivi nel terreno, sebbene la loro diffusione sia assai ineguale secondo le regioni (maggiore nel Nord) e risenta molto dallandamento
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del mercato dei prodotti zootecnici e delle tecniche di allevamento. Comunque, le rese delle colture tutte tendono a stabilizzarsi su livelli pi
alti, ci che fa prevedere la concentrazione dellagricoltura futura prevalentemente nei terreni irrigui. Ecco perch fra gli interventi bonificatori lirrigazione acquista oggi unimportanza preminente e merita di
essere messa qui in maggiore rilievo.
Per altro, non lattenzione pi marcata per la ricerca dellacqua (cui
si devono pure i tentativi di dissalazione delle acque marine), n le altre innovazioni prima descritte negli indirizzi generali della bonifica,
che hanno influito maggiormente nel periodo postbellico sui rapporti tra
luomo e il suolo in Italia. Il fatto nuovo che ha sconvolto gli assetti delineatisi nel primo dopoguerra e che giunto non preordinato e nemmeno previsto, verificandosi nel corso di un decennio tra il 1954 e il
1963, stato il cosiddetto miracolo economico, limprovvisa e rapidissima espansione delle industrie (specie nel Nord), le quali richiamavano un forte afflusso di manodopera, innalzavano il livello di vita delle masse operaie e determinavano con ci un esodo massiccio dalle campagne dei lavoratori della terra, in cerca di quei guadagni pi immediati
e consistenti che lincerta riforma agraria (che aveva interessato meno
del 5 per cento della superficie agraria e forestale complessiva) e il difficile inserimento dei prodotti agricoli nei mercati internazionali non
erano in grado di assicurare. Fu una svolta sconcertante, dopo tante lotte per il possesso della terra, e segn una rottura definitiva con una tradizione millenaria, che ravvisava nellagricoltura la risorsa pi solida del
paese; rottura, si badi, che era iniziata gi assai prima nelle altre nazioni fortemente industrializzate dellOccidente europeo, e fu perci maggiormente diluita nel tempo, mentre lItalia riguadagnava in modo irruente il tempo perduto dopo una stasi artificiosamente isolazionista e
perci causa di profonda arretratezza. Il capitalismo terriero perdeva
quota a tutti i livelli, lasciando il posto al neocapitalismo industriale.
superfluo diffondersi ora su tutti i benefici che lindustrializzazione intensiva era suscettibile di recare al paese: lesame non potrebbe
che essere superficiale e incompleto; baster accennare ai principali, che
hanno ripercussione sullagricoltura e pi specificamente in modo diretto o indiretto sul terreno. Ovvia la diffusione accelerata dei prodotti industriali, quali i concimi chimici, i fitofarmaci, i diserbanti; egualmente vistosa la motorizzazione e la meccanizzazione dei lavori campestri, come quelle di bonifica e di irrigazione menzionate pocanzi. La
loro introduzione allarga lorizzonte tecnico degli operatori agricoli, li
sollecita (ma non necessariamente, e non sempre ragionatamente) ad
adottare anche metodi industriali di gestione aziendale, su basi econoStoria dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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miche che consentano il progresso dello standard vitale. Ma se tutti questi benefici sono potenzialmente da attendersi dallo sviluppo delle industrie, nessuno privo di un rovescio della medaglia, cui si accompagnano altri fattori eventualmente sfavorevoli alle sorti del suolo. I concimi chimici tendono a sostituire totalmente quelli organici, carenti nelle
aziende sbarazzatesi del bestiame (da lavoro o da produzione), perch
economicamente non profittevole: tendenza, cui la tradizione cerealicola meridionale non oppone, certo, resistenza. Limpiego di macchinari potenti e pesanti, di trazione veloce e di lavori indiscriminatamente profondi contribuisce sovente alla degradazione della strutturalit del
suolo, cui legata la fertilit agronomica, e provoca fenomeni erosivi
specie nei terreni colloidali di cui ricca la penisola, tanto pi che per
semplificare e abbreviare i lavori, e renderli meno costosi si fa a meno delle sistemazioni nelle zone declive. La specializzazione delle colture (indirizzo suggerito dai metodi di gestione industriale, ma anche
imposto dalle industrie, ove queste provvedono alla trasformazione dei
prodotti) sfocia nella monocultura, di norma pregiudizievole per la conservazione della fertilit integrale, eccetto nel caso delle foraggere di
lunga durata, che per come si osservato non sono di fatto in apprezzabile progresso tra i seminativi del paese, anche se finora saldamente radicate, per lunga abitudine, nelle rotazioni dellItalia centrosettentrionale. Gli interventi elencati, potenziati dallindustrializzazione, palesano soprattutto i loro effetti negativi in mano ad operatori
impreparati ad usarne con discernimento tecnico sufficiente, o mal guidati da propagandisti interessati.
Allimpreparazione tecnica, poi, cos frequente per le ragioni storiche prima tratteggiate che hanno tenuto il ceto agricolo in stato di soggezione nella societ, non si rimedia tanto facilmente nelle nuove strutture che pongono lindustria in posizione di preminenza assoluta
nelleconomia dello Stato, lasciando il lavoratore della terra ancora una
volta allultimo gradino della scala sociale e culturale, e aggravando col
tempo il dislivello economico tra le regioni industrializzate e quelle eminentemente agricole, come avvenuto in Italia tra il Nord e il Sud nel
periodo considerato. Nonostante tutti gli sforzi di adeguamento, lagricoltura non diventa mai una vera industria, sia perch non pu manovrare con la voluta sicurezza tutti i suoi fattori di produzione (in gran
parte biologici o climatici, e perci incostanti), sia perch al contrario
dellindustria deve fronteggiare una domanda assai rigida, e a prezzi
forzatamente bassi, sopportando il peso di tutte le altre classi o categorie sociali, laddove lindustria si regge sulle esigenze artificiosamente suscitate nel consumatore, e sul mantenimento dei prezzi dimperio atStoria dItalia Einaudi

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G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

traverso larvati monopoli e il peso politico dei suoi rappresentanti (relativamente debole, per non dire carente, nei lavoratori della terra). In
pi, la piccola impresa familiare, sostenuta dagli ideatori della riforma
agraria e dai governi succedutisi fino ad oggi, non si presta ad una organizzazione funzionale di tipo industriale, e spesso nemmeno allimpiego dei mezzi tecnici apprestati dallindustria, se non qualora si associ ad una struttura cooperativa, di cui in Italia solo nella media e bassa
Val Padana si hanno esempi di qualche consistenza, e che nonostante
incitamenti anche governativi stenta ad affermarsi in forme agili e moderne. Ecco perch il lavoratore della terra (ormai informato dalla stessa industria tramite televisione, radio, pubblicit, degli agi e allettamenti
della vita cittadina) finisce per fuggire dai campi tanto meno rimunerativi del lavoro industriale, abbandona le aree prossime ai grossi centri
urbani, o invece troppo lontane dal vivere civile (montagna, alta collina), o infine contrassegnate da terreni poveri e aridi (come la maggior
parte del territorio del Mezzogiorno), ed emigra nelle regioni pi industrializzate della patria o allestero, lasciando dietro a s un suolo non
pi curato e perci esposto ad una evoluzione naturale non sempre positiva.
In realt, occorre ricordare che sin dallepoca rinascimentale le colture agrarie si erano spinte a pi riprese ad altitudini e su pendii che
oltretutto per la natura erodibile del substrato avrebbero dovuto essere mantenuti sotto la protezione della vegetazione spontanea permanente, erbacea o arborea che fosse; ad attenuare i danni che le terre messe a nudo nei seminativi subivano dallo scorrimento delle acque superficiali luomo provvide con le sistemazioni e con gli affossamenti, che
per potevano conservare la loro efficienza a condizione della continua
cura e sorveglianza dellagricoltore. Lesodo imponente dalle campagne
collinari, specie nellItalia centrale dove le sistemazioni erano maggiormente sviluppate, concorse indubbiamente alle manifestazioni violente
di disordine idrico che culminarono con le inondazioni di Firenze e nel
Grossetano, nonch nel Friuli, del 1966. Va per ritenuto che tolte simili manifestazioni locali nella maggioranza dei casi la discesa degli
operatori agricoli dal monte al piano fu in complesso benefica per la stabilit dei terreni declivi, i quali non tardavano a inerbirsi e ricoprirsi di
macchia, avviandosi in buona parte alla ricomparsa del bosco: laffermazione che la presenza delluomo sulle alture una garanzia contro gli
effetti dellerosione non devessere intesa come unattribuzione di un
ruolo di difesa allo sfruttamento agricolo (tesi insostenibile), bens come
il riconoscimento dellopportunit che un controllo assiduo sia esercitato, da parte dei tecnici competenti, sullandamento della degradazione
Storia dItalia Einaudi

G. Haussmann - Il suolo dItalia nella storia

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geologica naturale nelle zone in pendio, onde predisporvi quelle misure


di bonifica montana che sono atte a prevenire (fin dove possibile) i fenomeni erosivi da combattere: manufatti per la lotta contro le frane e
per la regolazione dei corsi dacqua, inerbimento e rimboschimento artificiali, ecc. Di fatto, attualmente la montagna annovera tuttora un eccesso di colture agrarie, e se lo Stato ha vincolato per la difesa del suolo
ben 13 milioni di ettari, gli interventi che vi si operano risultano insufficienti, tanto da venire considerati molti terreni sotto vincolo cieco,
ossia di nessun profitto per la collettivit. I boschi si estendono al presente su 6 milioni di ettari circa, ma su 2 milioni di questi sono assai dissestati e adempiono malamente alla loro funzione protettiva. Labbandono delle zone scoscese da parte degli agricoltori appare dunque in linea di massima una conseguenza favorevole dellindustrializzazione del
paese, anche se non priva di alcuni inconvenienti, soprattutto sociali, derivanti fra laltro dal distacco delle generazioni giovani dalle vecchie (rimaste di regola attaccate agli antichi insediamenti) e dallo sfasamento
tra il ritmo dellesodo e quello di assorbimento in attivit non agricole.
Comunque lo spopolamento delle campagne non riveste per ora un
aspetto patologico, almeno per la generalit del territorio: se prima della guerra il 42 per cento della popolazione era occupato in agricoltura,
tale quota si ridotta al 23 per cento verso il 1966, e nella pianura padana industrializzata scesa al 18 per cento, sempre con un margine apprezzabile per un ulteriore abbassamento in confronto con altri paesi
europei altamente industrializzati (Inghilterra 5 per cento). Il movimento
migratorio che ne deriva, e che investe soprattutto le regioni pi affollate (il 15 per cento parte dal Veneto, il 65 per cento dal Mezzogiorno)
si risolve in buona parte allinterno del paese, in parte nellemigrazione
allestero, che per se diretta ai paesi europei di carattere temporaneo o addirittura stagionale, mentre quella verso paesi extraeuropei
tende a essere prolungata o permanente, ma rappresenta numericamente circa un quarto della precedente: laccentuarsi dello sviluppo economico nazionale ne ha infatti ridotto le proporzioni, dalle 113 - 159 000
partenze annuali tra il 1949 e il 1956 alle 40 - 60 000 tra il 1964 e il
1967 (mentre la popolazione totale raggiungeva i 50 milioni). Anche
lemigrazione nellambito europeo ha subito una contrazione a 220 - 230
000 unit (dal 1964 al 1966), dopo aver superato le 300 000 nel periodo anteriore. Il saldo migratorio complessivo (differenza tra espatriati
e rimpatriati), alquanto elevato ancora fino al 1961 (177 000 unit)
calato nel 1966 a 90 000 e non pare destinato ad accrescersi. Se si confrontano tali cifre con lemigrazione esistente tra il 1906 e 1913, quando si ebbe quasi un milione di partenti allanno, si deve convenire che
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pure sotto tale aspetto lattuale esodo dalle campagne non ha provocato squilibri eccessivi nella compagine della popolazione e anzi sta assumendo un ritmo fisiologicamente sano, anche perch la manodopera migrante tende ad essere meglio qualificata che non in passato.
In sostanza, nel ventennio postbellico e in seguito allindustrializzazione, la pressione demografica sul suolo, in Italia, sensibilmente diminuita, riconducendo in complesso i terreni disponibili ad una utilizzazione pi razionale. Ma anche il ruolo medesimo del suolo nellevoluzione storica della nazione ha perduto molto della sua importanza ed
destinato a restringersi ancora, se e vero che lagricoltura in un mercato internazionale aperto ha compiti complementari, che per lItalia
si configurano quasi esclusivamente nella fornitura di prodotti ortofrutticoli, di cui il mercato europeo avverte gi la saturazione. Gli eventi recenti di sovraproduzione di frutta, ortaggi e perfino agrumi, con la
prevedibile e prevista crisi delleccessiva specializzazione (pur essa conseguenza dellindustrializzazione), non lasciano dubbi in proposito. Non
per questo lecito pensare che la funzione del suolo sia stata completamente esaurita nel nuovo assetto del paese: come attestano gli esempi
di altri numerosi paesi intensamente industrializzati, lattivit agricola
non solo ineliminabile (anche se pu essere molto limitata), ma devessere salvaguardata in una societ oculatamente organizzata, sia per alimentare alcuni consumi non altrimenti soddisfatti, sia per fronteggiare
casi di emergenza relativamente facili a verificarsi, sia infine per considerazioni di carattere sociale, per cui lagricoltura sia pure circoscritta a pochi operatori pu inserirsi utilmente nel gioco delle forze produttrici di una nazione.
Orbene, per quanto attiene ai terreni italiani, non azzardato presumere che nel prossimo avvenire i meno adatti allattivit agricola saranno abbandonati definitivamente, e quelli di qualit mediocre e soprattutto privi di irrigazione saranno adibiti semmai soltanto ad unagricoltura estensiva, che per potrebbe essere non esente da pericoli per
levoluzione pedologica regressiva, per le ragioni prima indicate, ove
mancasse un adeguato controllo. Ma la frazione veramente vitale del lavoro agrario si concentrer con ogni probabilit su quei suoli prevalentemente alluvionali che dieci secoli di opere bonificatorie hanno saputo
maggiormente mettere in valore, rendendoli potenzialmente pi fertili
e perci economicamente pi redditizi. La bonifica di cui in questi paragrafi si tratteggiato lo sviluppo resta dunque un fattore valido e
attivo anche nella prospettiva futura dei terreni coltivati, ristretti come
si voglia ne siano larea e il significato prammatico. palese che anche
nei terreni bonificati le insidie di unindustrializzazione mal compresa
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dellagricoltura saranno da sventare, elevando il livello tecnico degli operatori; alle tendenze deteriori, purtroppo avvertibili anche oggi, potrebbe contrapporsi vittoriosamente una coscienza agronomica millenaria. profondamente attaccata ad alcuni capisaldi fondamentali per lambiente pedologico mediterraneo: fra gli altri, bestiame e prati longevi,
oltretutto consoni alla crescente domanda di prodotti zootecnici. E poich il perno dellagricoltura intensiva sar sempre lirrigazione, occorrer evitare che lindustria invada indebitamente con i propri impianti
come avviene al presente i migliori terreni irrigui, inquini gravemente lacqua con i propri rifiuti o la sottragga addirittura per i suoi bisogni: gi ora si constata la diminuzione dellacqua nei canali della Val
Padana, non solo in seguito alla retrocessione dei ghiacciai, ma a causa
dellaccresciuto impiego idroelettrico; e negli ultimi ventanni la portata dei fiumi affluenti al solo Canale Cavour si ridotta di 20 metri cubi per secondo. Altro motivo di allarme (dovuto allindustria delle costruzioni) e labbassamento degli alvei dei fiumi (specie nelle regioni appenniniche e nel Veneto) in conseguenza dello scavo di materiale
ciottoloso dal fondo, per cui aumenta la velocit e il potere erosivo dei
corsi dacqua, mentre se ne restringono in pianura le golene e il letto,
per deposito di materiale fine; ne derivano anche un abbassamento corrispettivo delle acque freatiche, lessiccamento di sorgenti in prossimit
dei fiumi cos sfruttati, e la necessit di pompare lacqua per scopi irrigui, laddove la sua distribuzione poteva essere fatta prima per semplice
derivazione (un effetto secondario non trascurabile dello stesso processo lo scalzamento dei ponti ed altri manufatti, e la diminuzione delle
sabbie trasportate al mare, per cui aumenta lerosione delle spiagge litoranee). La competizione per lacqua tra industria e agricoltura un
fatto che non manca di preoccupare, in quanto troppo spesso sin da ora
la seconda di dette attivit si trova soccombente (e non solo in Italia).
Ci non toglie che ai terreni bonificati e irrigui riservato un posto
di primo piano in quel settore di lavoro agricolo che riuscir a sopravvivere dopo la scomparsa di tutte le imprese coltivatrici insufficientemente attrezzate per reggere il confronto nei risultati economici e sociali con le imprese industriali. Si deve certamente non poco alle opere bonificatorie se a met del secolo xx il paese ancora cento anni prima
sottoalimentato nonostante la sua prevalente-economia agricola sia stato in grado di raggiungere la piena autosufficienza nel suo alimento di
base, il grano, e ci con una popolazione decuplicata dai tempi romani,
che gi ricorrevano allimportazione dei cereali. Non per altro da credere che lutilizzazione dei terreni bonificati potr segnare anche in futuro un progresso crescente, se nel contempo non si eleva il livello tecStoria dItalia Einaudi

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nico, economico e sociale degli addetti ai lavori agricoli: la rivalutazione di questa categoria in seno alla societ assolutamente indispensabile per proseguire sulla strada di una appropriata e non deteriore industrializzazione dellagricoltura. Che i tempi siano mutati rispetto al
passato quando il contadino compiva opere mirabili pur accettando di
vivere di stenti e non di rado di vessazioni lo dimostra la fuga dai campi cui si accennato e che abbandona allincoltura anche i terreni migliori. Solo qualora alla bonifica del suolo si vorr innestare una superiore bonifica umana, il lavoro di generazioni per rendere fertili le nostre terre non sar stato vano.

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