20DANGELO06

Agostino Arrivabene

Storia di copertina
In copertina un ritratto austero, di tonalità
serotine di Anna Laura Cantone eseguito
dalla talentuosa mano di Agostino Arriva-
bene, avvezzo a navigare “tra la luce degli
Dei e le tenebre dell’uomo” (V. Sgarbi), rab-
domante in grado di captare l’irradiamento
interiore dell’Io, di scandagliarne i suoi o-
scuri anfratti stanando arcani da rivelare nel
magnetico enigma di uno sguardo, in una
piega sensuale delle labbra, nel bluastro
accenno di peccaminose occhiaie, nel sibil-
lino inarcarsi di un sopracciglio, nell’esuberan-
za corvina di una capigliatura, seducente tra-
slato di più segrete, rigogliose intimità.
I neri dell’Africa più arretrata erano riluttanti
ad essere fotografati, convinti che il magico
occhio buio e vitreo della macchina fotografi-
ca oltre alle fattezze risucchiasse loro anche
l’anima, secondo i non del tutto infondati
ammonimenti dello stregone.
Altri individui non amano farsi ritrarre per
non esporre se stessi al carnale occhio inda-
gatore del pittore, talvolta per una forma di
recondito pudore, talaltra per un lungimiran-
te rifiuto di far narcisisticamente cristallizzare
la propria immagine in un’epoca serena della
vita, non intendendo confrontarla più tardi
con quella deturpata dalle rovine del tempo.
Non saranno certo queste le preoccupazio-
ni della giovane Anna Laura Cantone, carat-
tere spumeggiante, occhioni scuri eloquenti,
disegnatrice affermata di originali personaggi
per la letteratura giovanile e autrice di brio-
si cartoni animati televisivi, amati da un pub-
blico di piccoli e di adulti, longilinea creatura
transitata dagli occhi e dalla mente di
Agostino Arrivabene e restituitaci così mi-
steriosa e vitale dalla sua mano di veggente,
incantatore di lucciole.
Giovanni Serafini

25
Redattori: PRENDETE NOTA
numero Barbara Frigerio di Giovanni Serafini
Giorgio Lodetti
Giovanni Serafini
GUIDO CADINI esporrà in una personale al LICIO PASSON, autore friulano noto e par-
anno VIII Collaboratori: Circolo Filologico Milanese in Via Clerici, 10 a ticolarmente affermato in America, sarà pre-
Aldo Benedetti Milano dal 16 al 22 gennaio 2010 alcuni suoi sente con una serie di opere raffiguranti
Donatella Bertoletti recenti oli raffiguranti nature morte - genere incantate istantanee, streganti momenti di
Andrea Bondanini nel quale ha ottenuto i maggiori consensi - luce, rapinose visioni di una Venezia nascosta
Maurizio Bottoni connotate da una vena di pacata malinconia, e confidenziale, rubandone quel torbido
Gabriella Brembati insieme a paesaggi che raccontano di languo- fascino di aristocratica decadenza che si riac-
Grazia Chiesa ri di fiumi veneti in liquefatti riflessi accarezza- cende nel miracolo di insinuanti riflessi di
Franco Colnaghi ti dal pianto dei salici o di scorci e di vedute acque, di cielo e di consunte facciate in una
Gianluca Corona dell’aspra terra calabrese che frequenta con silenziosa magia di disfatto splendore.
Sara Fontana assiduità appassionata, ritraendoli sempre en Licio Passon espone alla Libreria Bocca fino
Angela Govi plen air come i veri pittori capaci di immer- al 15 gennaio 2010. (www.liciopasson.it)
Emanuele Lazzati gersi fisicamente nella natura per trarne le
Alberto Mari complesse ricchezze cromatiche e fissarne i
Cristina Muccioli fuggevoli momenti di poesia.
Mariacristina Pianta Inaugurazione sabato 16 gennaio 2010 alle
Roberto Plevano ore 18.00 nella “Sala delle colonne”.
Stefano Soddu (info 02/86.46.26.89)

Testata di:
Sergio Dangelo
Progetto grafico
Massimo Petrini
Nicoletta Pellegatta
In copertina:
Opera di Agostino Arrivabene

Editoriale Vino bianco e alici, olio su masonite, 2009 Mia diletta, olio su tavola, 2009

Nasce dalla volontà sempre maggio-

re di promuovere la giovane Arte CARLO PREVITALI, scultore che sa conciliare dell’anteprima al Teatro Filodrammatici di
una solida tradizione figurativa con i paradig- Milano.
Contemporanea Italiana, l’esigenza mi di una sconcertante quanto dissacrata La lussuria qui rappresentata, scultura poli-
da parte della storica libreria Bocca attualità, ricavando croma eseguita con
di Milano di diffondere sempre più suggestioni dal mi- la complessa e
capillarmente il proprio notiziario to e travasandole rischiosa tecnica
informativo: Le Segrete di Bocca. negli allarmanti della ceramica raku,
La Rivista punta su collaborazioni stereotipi dell’oggi, fa parte del novero
mirate a migliorare i propri contenu- ha di recente pre- dei lavori esposti.
ti, attraverso l’avallo e il contributo sentato presso la La ricca e singolare
delle Gallerie d’Arte, oltre che a Biblioteca Galleria galleria di personag-
stringere rapporti di collaborazione Angelica di Roma gi nati dall’estro
con strutture organizzative di prima la sua originale ingegnoso e inesau-
linea presenti sul territorio nazionale. interpretazione de ribile di questo inci-
Unisciti a questa nuova iniziativa edi- I vizi capitali, cui si sivo scultore è mira-
toriale e collabora con Le Segrete aggiunge la signifi- bilmente compen-
di Bocca, Artisti in Rivista. cativa epitome di diata nel corposo
una vanitas, corre- catalogo Skira che,
lati ad alcuni sen- con l’abituale ele-
sazionali e contur- ganza editoriale, ha
siamo online
banti disegni a car- messo in bella evi-
www.libreriabocca.com

Articoli
boncino di fisiono- denza la forza del
mie mefistofeliche modellato e la lumi-
Rubriche
e fantasiose che nosa vitalità che le
già avevano riscos- opere di Previtali
Scritti d’artista so caloroso con- potentemente
senso in occasione esprimono.

2
Lussuria, ceramica raku, 2009
 Federico
Severino
un altare per il Pantheon
Nemo propheta acceptus est in patria sua
così recitano i Vangeli. È storia millenaria e la
storia ama ripetere i suoi errori.
Non dobbiamo quindi stupire se le fanta-
smagoriche sculture di
Federico Severino, incan-
tevoli terrecotte immorta-
late nel bronzo, vengono
più acquistate ed apprez-
zate all’estero che nel
nostro curioso Paese. Non
sappiamo se per nostra
incultura o in ossequio a
quello snobismo imposto
da élites pseudo-intellet-
tuali che credono – o fin-
gono di credere – alla
moda dell’arte come a
quella del prêt-à-porter. Ma
il clamoroso caso verifica-
tosi di recente, relativo alla
creazione da parte di
Severino di un solenne
altare e di un elegante
ambone destinati alla
Basilica di S. Maria ad
Martyres di Roma - alias
Pantheon - merita di esse-
re esposto al giudizio degli
appassionati d’arte e non solo. Il Capitolo dei
Canonici della Basilica citata, preposti al cele-
bre luogo di culto, “desiderando adeguare lo
svolgimento della celebrazione Eucaristica
alle norme del Concilio Vaticano II°”, ha con-
cordato con Federico Severino - autore da
tempo di numerosi monumenti ecclesiali
eseguiti coniugando un’inconfondibile origi-
nalità di stile con la coerenza ai temi a lungo
approfonditi della tradizione cristiana - la
Fidatevidi
LORO
L’altro 05, olio su tela, 2009
realizzazione di un altare, e relativo ambone,
rivolti verso i fedeli. L’impegnativo e lungo
lavoro del modellato in terracotta, in altori-
lievo, è stato eseguito sotto il costante con-
trollo di consulenti artistici della gerarchia
ecclesiale nel rispetto rigoroso delle simbo-
logie, delle citazioni, degli inserti, partendo
dalla scelta del materiale – il bronzo immor-
tale – fino ai contenuti e all’espressione stili-
stica, senza trascurare i più minuti particolari
e ogni riferimento sacro in considerazione
dell’importanza del luogo di destinazione,
Altare
come magistralmente spiegato nell’analitica e
ben motivata descrizione di Don Angelo
Pavesi. L’opera, sponsorizzata dalla Fonderia
Cubro di Gino Bosco & C. che ne ha curato
anche la complessa fusione, non richiede
adattamenti né ancoraggi di sorta e, con il
gradimento e la piena approvazione del
Capitolo e dell’Arciprete Rettore Mons.
Micheletti, avrebbe dovuto essere installata al
Pantheon e consacrata il 25 ottobre 2009.
Nasce con questo numero una rubrica dedicata a giovani artisti. Curata da chi scrive, si pone
come obbiettivo di individuare autori ancora poco conosciuti e di cui ancora non si parla;
ma, come è stato per l’arte di tutti i tempi, saranno le opere loro testimoni. Iniziamo con
un’opera di Simone Gilardi, esaminiamola e comprendiamola scevri da ogni commento criti-
co, attendendo fiduciosi i futuri lavori!
L’altro 09, olio su tela, 2009
L’avvenimento, divulgato con comunicato
stampa da Babele Comunicazione
(www.babelecomunicazione.it) e già illustra-
to su catalogo edito dal gallerista e coordina-
tore Franco Senesi, il 15 ottobre viene inter-
cettato e bloccato da un improvviso inter-
vento della Soprintendenza per i beni archi-
tettonici e paesaggistici per il Comune di
Roma che, sottolineando minacciosamente
per iscritto che “l’esecuzione di opere e lavo-
ri di qualunque genere su beni culturali è
subordinata all’autorizzazione della Soprin-
tendenza”, si oppone a tale
progetto. Determinando, o
più probabilmente riattizzan-
do, una zuffa di competenze
tra Stato e Chiesa per con-
trasti di predominio giurisdi-
zionale sul Pantheon e non
solo, tentando di affermare
con prevaricante albagia
canoni estetici di parte, non
condivisi dai religiosi prepo-
sti perchè non consoni a
un’ambientazione religiosa.
Corre voce infatti che la
sensibilità estetica della
Soprintendenza, dopo aver
interrotto l’iniziativa sia
orientata a suggerire per il
Pantheon un altare costituito
da un… cubo di plexiglas (!),
elemento architettonico si-
curamente in armonia con i
dettami settecenteschi di
Papa Clemente XI, ai quali il
Capitolo dei Canonici si è
voluto riferire, e trasparente (in senso figura-
to) quanto evocativo simbolo delle vicende
bibliche cui i fedeli si potranno ispirare
durante le liturgie! Sono previsti incontri
chiarificatori tra emissari del Capitolo e la
Soprintendenza per cercare di risolvere la
contesa. Senza scomodare il buon gusto,
basterebbe, per una volta, un po’ di buon
senso.
Giovanni Serafini
Giorgio Lodetti
3

I Palazzini...
del potere
No, non sono i palazzi del potere politico o
economico, sono le opere frutto del pote-
re della fantasia e dello sprigionarsi giocoso
di aliti di vita, sono le oniriche creazioni di
Angelo Palazzini.
Palazzini sembra aver assorbito il monu-
mentalismo metafisico di De Chirico, varca-
to quegli spazi silenziosi e immobili che ne
fanno il palcoscenico di un sogno indecifra-
bile, per formulare la denuncia di una vita
rassegnata a una consapevole mancanza di
regia, riscatto gioioso dall’urgenza di legger-
vi un disegno, di rivelarne necessariamente
una trama ideologica.
Palazzini è l’erede fortunato della “Scuola di
Piacenza”, cenacolo artistico di personaggi
come Spazzali, Foppiani, Cinello, Armodio e
Bertè, accesi dalla scintilla di una follia sotti-
le e avvolgente come la nebbia padana,
capace di sfumare i contorni della realtà per
renderla una fiaba avvincente e gioiosa, da
narrare con incessante meraviglia.
Se Osvaldo Bot fu l’apocalisse futurista di
una assonnata borghesia piacentina, capace
di ritagliarsi un mondo immaginario e visio-
nario, sopra le righe di una omologata
commedia sociale anestetizzata a qualsiasi
rivitalizzante frustata di trascinante energia,
Spazzali incarnò il missionario di una spiri-
tualità che sa estrarre da ogni soggetto, sia
da una natura “apparentemente morta”, tri-
dimensionalmente ricostruita, sia dai ritratti
che, come aquiloni di chagalliana leggerezza,
sembrano ribellarsi alle umane pretese di
tracciare un preciso confine della realtà, di
codificarne gli impulsi.
Foppiani più di ogni altro seppe raccogliere
questa intuizione di vita sotterranea, di
mondo da scoprire solo manifestando la
propria umanità ed esaltando la fantasia,
artefice di un trasformismo visivo e antro-
pomorfo che enfatizza ed esalta il ruolo
caricaturale cui sembriamo condannati:
Gustavo rappresenta un individualismo psi-
cologico colmato di un erotismo funambo-
lesco ed esoterico, celebrato come sistema
immunitario, sogno di oblio contro un
ingannevole vuoto che svanisce tra le vesti
L’incendio è partito dal cuore,
acrilico su tela, 2009
di una fanciulla in fuga o tra le
ali di un demone che ci acco-
glie rivali di una sfida già persa.
Cinello è il disegnatore di fiabe
arabescate, l’affabulatore di un
sogno popolato di madonne
delicate che trasfigurano la vita
in una lucente processione
laica di dolce compostezza
entro cui traspare l’ostinato
desiderio di trovare rifugio in
una fantasiosa evasione, nel
miraggio di un paradiso straor-
dinariamente vicino, che
richiede soltanto una meta-
morfosi creativa. Armodio
incarna la vena più distaccata e
surreale, la vita sezionata in
spazi geometrici dove tazze e
caffettiere, scarpe e germogli di
fiori cartacei sfilano in una
sequenza di pret a tomber che
simulano la precarietà umana,
evidenziando, con la millimetrica freddezza
di una densitometria ossea, una osteoporo-
si di estrema fragilità, una realtà pronta a
sgretolarsi gioiosamente in frammenti delle
nostre inquietudini, nel silenzio di una ironia
che diventa consapevole arma di difesa, vac-
cinazione concettuale e non istintiva e psi-
cologica come quella di Foppiani.
Quello di Bertè è invece un approccio quasi
topografico, prende le distanze dal dettaglio
personale o ironico per concentrarsi su una
spazialità dove la figura umana si avverte
come un alito sottile, sospesa in uno studia-
to equilibrio di luci e raffinati accostamenti
cromatici che ne confessano la microscopi-
ca dispersione, la cosciente vulnerabilità di
un navigatore destinato a vagare in uno sce-
nario surreale, trafitto però da ogni piccolo
raggio di sole che ne illumini la presenza, che
accenda un inno alla vita prima che sia “subi-
to sera”: il pessimismo cosmico di
Quasimodo è illuminato da un lampo di fol-
lia padana, testoriana intuizione di un rapido
assaggio d’infinito. Palazzini possiede la mae-
stria di fondere la componente psicologica e
quella scenografica dei suoi illustri sodali, sa
fornire una cornice architettonica al sogno
individuale, progetta città e ambienti specifi-
ci su cui innesta la propria vena trasfigurati-
va, come posseduto da un istintivo canone
genetico, un suo magico alfabeto strutturale.
L’opera di Palazzini è dominata dalla presen-
za di edifici e impianti scenici che suggerisco-
no manifestamente una folle
instabilità progettuale, sembra-
no astronavi pronte a decollare,
ad aprire gli sportelli di una
umanità contenuta al loro inter-
no, che ha assunto una confor-
mazione fisica adeguata alla fun-
zione istituzionale della costru-
zione o alla propria funzione
sociale: così “Il funzionario Istat”
diventa un paludato Pinocchio,
“La moglie del pilota”, commes-
sa in una boutique, sembra
custodire la propria umanità
negli scomparti di una enorme
cassettiera da cui lascia però
pendere un cuore da regalare a
chi voglia consolare una ingom-
brante solitudine, smascherare
un’eleganza artificialmente co-
struita; “L’Ufficio postale” diven-
ta il deposito di un desiderio
incontenibile di comunicazione,
edificio traboccante di un mare
increspato di lettere che paiono
vele spiegate in una collettiva
regata di salvezza.
In tutto il mondo di Palazzini si
Nuovo giovane santo cerca parrocchia anche per piccoli
miracoli. Massima serietà, olio su tela, 2009
avvertono i segni di un surrealismo realizza-
to non attraverso accostamenti impossibili o
collocazioni stranianti, ma frutto di una visio-
ne edulcorata della realtà, della capacità di
renderla una favola giocosa, un quotidiano
incantesimo: è questo l’autentico spirito della
“follia padana”, avanguardia aggregante di
rivincita su una nebbia avvolgente che è anti-
cipo di smarrimento, incosciente assuefazio-
ne.
Da qui nasce un “mistero buffo” congenito, la
sperimentazione fantastica che fa di ciascuna
vita, anche la più anonima, un vangelo apo-
crifo di episodi narrati con quello spirito irri-
verente e gioioso perfettamente stigmatizza-
to dal geniale e aristocratico critico Roberto
Longhi come fertile dono degli “eccentrici
padani”, risalendo alla tradizione pittorica di
Dosso Dossi e Cosmè Tura, alla magnifica
stagione di quella ”Officina ferrarese” che si
rivelerà prodigioso avvio di un percorso che
giungerà sino ai nostri giorni, attraversando i
fantasiosi capricci architettonici del Panini.
Palazzini stesso non è solo pittore, è l’eroe
ariostesco di una crociata cavalleresca che
incarna l’ansia della ricerca e del nuovo, il
coraggio di abbandonare una visione con-
venzionale e di fare della vita un magico
impianto scenico, quasi ad esorcizzarne la
mediocre banalità con lo stesso raffinato
intellettualismo grafico del primo Bontem-
pelli: è il recupero degli oggetti auspicato in
letteratura da Luciano Anceschi e da tutta la
neoavanguardia degli anni Sessanta, l’avven-
tura innovativa del Gruppo ’63 e dei
Novissimi di Alfredo Giuliani, vero rabdoman-
te di una gioiosa ricerca linguistica, geniale
trasformista della parola in uno strumento di
divertito stupore, amnesia del vuoto che ci
avvolge e cosciente anestesia della realtà.
Anche il Nostro utilizza un’iconografia che
ricorda il sistema semiotico dei tarocchi
delle Città invisibili di Calvino, le sue donne
sembrano crisalidi imprigionate nel silenzio
del ruolo sociale in cui sono forzatamente
costrette, lettere eloquenti di un nuovo alfa-
beto, stesura di una personale orchestrazio-
ne narrativa: è così che Palazzini ci fa parte-
cipi di una ironia dissacrante e ci insinua il
dubbio che siamo di fronte a una follia sof-
ferta e non giocosa, all’unica forma di comu-
nicazione possibile.
Ed è proprio l’assunto di Calvino, l’urgente
necessità di rifugiarsi nell’immaginario per
neutralizzare la realtà, per deformarne la
scontata visibilità: la pittura di Palazzini divie-
ne allo stesso modo arma immaginifica,
riconquista di una coscienza di apparente e
ingannevole protagonismo.
Aldo Benedetti
 Nathalie Djurberg
Biennale di Venezia
2009
Dopo l’inaugurazione di giugno sono tor-
nato all’ultimo giovedì di apertura della
Biennale di Venezia 2009 che si è
chiusa domenica 22 novembre. Alla
folla variopinta della inaugurazione,
spettacolo in uno spettacolo di un
assolato giugno, si sono sostituiti più
tranquilli visitatori, forse più interes-
sati e meditativi, e scolaresche miste
di pochi attenti e tanti turbolenti,
educatamente silenziosi. Al sereno e
estivo giugno ora è seguito un
novembrino chiaro, malinconico,
nunzio di una qualche imminente
fine. Appare una Biennale diversa, e
affascinante pure essa. Si notano più
le opere che respirano meno oppres-
se dal cicaleccio della folla che
prima ne faceva quasi parte. Ma non
perché i visitatori sono quattro gatti.
Ecco qualche cifra da stadio: 376
mila i visitatori nei mesi di apertura
(nella precedente Biennale del 2007 erano
stati 320 mila), 2200 la media giornaliera
dei visitatori con una punta di 5430 sabato
17 ottobre. I giornalisti accreditati sono
stati 5868 di cui 3986 stranieri. Ad essi si
Riccardo
Dametti
Appunti di lettura
Riccardo, di solito, non è contento quando i
suoi lavori vengono etichettati come “street
art”; meno ancora quando gli si fa notare
che fanno venire in mente il graffito urbano.
Indubbiamente non mancano prelievi da
quel repertorio visivo, anzi si può dire tran-
quillamente che la “cultura dell’occhio” da
cui prendono vita questi volti affogati in una
miriade di segni rabbiosi e convulsi, è la stes-
sa,“delocalizzata”, di quelle forme espressive.
Tuttavia, rispetto a quel modello, Riccardo ha
fatto molti passi ulteriori, consapevolmente,
in una direzione precisa: al muro ha preferi-
to la tela e la carta, il pennello alla bombo-
letta e, soprattutto, la galleria alla strada. Non
è differenza da poco, perché indica una
distinzione di fondo nell’approccio al lavoro,
nell’idea di chi possa fruirne in un secondo
momento e, soprattutto, significa anche pen-
sare alla “durata” che quell’opera può avere.
Non solo infatti il lavoro, con queste caratte-
ristiche, si presta ad essere accolto nel chiu-
so delle case private, ma è anche un’immagi-
ne fatta per essere contemplata, ferma sulla
parete, diversamente dalle scritte che inva-
dono i muri e, soprattutto, i mezzi di traspor-
to pubblici.
In quest’ultimo caso, infatti, bisogna pensare
che quell’immagine che si è appropriata clan-
destinamente del fianco di una metropolita-
na è fatta per una fruizione veloce, su di un
mezzo in movimento: non ci si può soffer-
mare sul dettaglio (che non c’è), ma si può
solo avere una impressione d’insieme fugace
di una scritta o di una forma che si sta muo-
vendo, di cui non si fa in tempo a cogliere il
senso globale che è già sparita. Per questa
serie di motivi, il paragone fra il lavoro di
questo artista e quello degli Street-artists
sono affiancate 104 TV di cui 66 straniere.
Potrei aggiungere che 90 furono gli artisti
invitati, 77 le partecipazioni nazionali e 44
gli eventi collaterali alla Biennale. Dunque
una manifestazione vitalissima a livello
internazionale altissimo raccoglie e svilup-
pa i successi delle precedenti edizioni e li
amplia, forse anche premiata dalla atten-
zione al visitatore che avevo già segnalata
nel precedente articolo di Arte Incontro in
Experiment
Libreria di giugno. Le polemiche negative
sembrano dimensionate a livelli ragionevo-
li e finalmente si comincia a capire che la
Biennale non è una selezione capricciosa di
può essere solo molto generico, senza anda-
re a fondo nella riflessione sulle implicazioni
materiali dell’oggetto-quadro. Non si tratta
nemmeno, infatti, di aver semplicemente tra-
sportato un linguaggio nato per la
strada sulla tela (che sarebbe, altri-
menti, una operazione di “archeolo-
gia urbana”). Mi fa notare Riccardo
stesso, infatti, che, rispetto a quel
modello, quando lui si accosta alla
tela cura molto il lavoro sullo sfon-
do del quadro, su quella trama di
segni selvaggi, larghi e nervosi, di cui
riempie tutta la superficie e da cui fa
affiorare le sue teste scarnite, ossute
a volte, o dei singoli dettagli. Nei
lavori recenti, un cospicuo numero
di occhi dagli sguardi sbarrati, per-
plessi o attoniti si rivolgono verso
l’esterno: guardano il riguardante, a
volte, ma spesso guardano altrove
con un velato spavento. Di certo
non vengono da un immaginario
sereno e pacificato, quanto piutto-
sto da una situazione di caos, sia visi-
vo sia emotivo: ne danno una tradu-
zione ottica, appunto, quei lunghi
tratti di acrilico rosso e nero, o
magenta, contrappuntati dal bianco;
su questa base, poi, Riccardo inter-
viene con altri segni nervosi, con
insiemi di linee spezzate che hanno
la sola funzione di muovere il fondo, di atti-
rare l’attenzione su di esso e sulle sue quali-
tà astratte e gestuali. Non mancano infatti
occasioni in cui Riccardo ha una forte tenta-
zione di lasciarsi andare all’astrazione pura,
gestuale. Se le teste affiorano da un magma
di rumori tradotti in colore, già con i soli
occhi protagonisti il volto è stato inghiottito
dalla massa: un passo ancora e la figura
umana sparirà del tutto. Allora, quel fondo
che prima supportava ancora una presenza
antropomorfa diventerà il soggetto esclusivo
del quadro. In un certo senso, si potrebbe
dire che tornerebbe ad essere protagonista
capolavori fatta da una setta di addetti, ma
è una selezione di artisti che operano signi-
ficativamente nel mondo dell’arte.
Sono accreditati, attori e produttori di opere
che hanno un pubblico, sia pure di élite. Ma
il progresso nasce dalle élite.
La svedese Nathalie Djurberg ha creato
Experiment una immaginaria foresta fiorita
di improbabili piante dove tre video in luo-
ghi diversi della foresta raccontano strane
storie di fantocci in un coacervo di
erotismo e violenza. Il visitatore si
sperde in essa con un senso di meravi-
glia e di stupore misto a incertezza e
inquietudine da una parte, e dall’altra
di felicità. Il gioco si fa tra le nostre
paure per il nuovo che non compren-
diamo e la complessità delle emozioni
suscitate dai video e dalla “foresta”.
E qui mi devo fermare. Ho scelto la
Djurberg tra 90 artisti, e sarò critica-
to perché ci sono tante altre opere
“forti”. Ma se si possono paragonare
i piccoli ai grandi ho dovuto fare come
il direttore Birnbaum di questa
Biennale che ha dovuto scegliere solo
90 artisti in una miriade, con implica-
zioni etiche assai più impegnative:
perché lui e non l’altro? Allora perché
Nathalie? Ma anche perché nel catalo-
go non si indicano dove si trovano fisica-
mente le opere? La Biennale non è una cac-
cia al tesoro.
Andrea Bondanini
la pittura, nella sua accezione gestuale di
segno non composto, di superficie senza
centro e votata a una perlustrazione palma-
re della pelle del quadro. Questo, però, var-
Occhio, tecnica mista su tela, 2008
rebbe se il lavoro di Dametti fosse un per-
corso di riflessione autoreferenziale sulle
funzioni del linguaggio pittorico e dei suoi
elementi di base, cosa che invece non è.
Se si vedono in sequenza progressiva questi
lavori, mettendo in fila prima le tele figurati-
ve e di seguito quelle più astratte, si vede
che il vettore di sviluppo del suo lavoro è
soltanto verso l’eliminazione del soggetto, di
quell’appiglio riconoscibile che era costituito
dal volto, o dalla testa: è come se questo
fosse sparito sotto l’impeto gestuale della
sprezzatura.
Luca Pietro Nicoletti
5

Walter
Morando
Walter Morando è il maggior artista vivente
in Italia che raffigura, da oltre quarant'anni, la
tematica del Porto, strappando con le sue
ceramiche le forme a ganci, bitte, catene,
rottami, maniglioni e lamiere. La sua prima
mostra risale al 1967, da allora ha esposto in
personali e collettive in Italia e all'estero.
Al suo lavoro si sono interessati i maggiori
critici come: Giorgio Segato, Marcello
Venturoli, Giorgio di Genova, Milena Milani,
Giorgio Seborga, Angelo Dragone, Paolo
Levi ed Emilio Sidotti. Nel 1988 realizza,
come sceneggiatore, un programma sul
Porto di Savona (sua città Natale), regia di
Mimmo Lombezzi per RAI3 e nel 2006, la
regista Stefania Ferraro, per la trasmissione
di RAI2 Galatea e Mimmo Lombezzi, per
il programma Cosmo di Rete4 hanno dedi-
cato due servizi televisivi al mondo delle
Polene di Walter Morando.
Nel Maggio 2009 inaugura il monumento in
ceramica Grés commissionatogli dal Co-
mune di Albisola Marina sponsorizzata dalla
Fondazione De Mari e collocato lungo la
Passeggiata degli Artisti.
Da questo momento, Morando decide di
cambiare mezzo di espressione ritornando
all'incisione calcografica, che già aveva avuto
modo di conoscere e sperimentare in pas-
sato grazie all'amicizia con l'incisore Pietro
Gatti, artista appartato del panorama ligure,
che, negli anni '80, dopo un lungo periodo
trascorso a
Claudio Monnini
hortus animae
Non sono credente. Anima però, come ter-
mine, riassume efficacemente ciò che inten-
diamo per inconscio, essenza, personalità,
campo emotivo. Dunque, apocrifamente,
userò anima per parlare di tutte queste
cose. L'anima è il luogo del nostro disordi-
ne, di ciò che emerge, nostro malgrado, dal
nostro modo di relazionarci con l'esistenza.
L'anima è il nostro sostrato interiore, con-
tiene le nostre radici, ramifica dal nostro
sguardo, struttura la nostra gestualità.
Ritrarre l'anima può essere un'impresa
complessa, sicuramente un esercizio stimo-
lante, corrisponde allo spessore di ogni pro-
dotto artistico, quale che sia il linguaggio
espressivo. Personalmente ho messo in atto
delle strategie per mettere l'anima allo sco-
perto, come un cacciatore di pelli sistema le
sue tagliole. Una di queste consiste nel met-
tere in posa una persona nuda, interprete
teatrale di una posa prestabilita e innaturale,
priva di protezione o sovrastrutture, instau-
rando con essa una conversazione intima e
disincantata. Da questo misto di agio e disa-
gio emergono, come acqua dalle crepe di un
vaso, sottili, macroscopiche incongruenze tra
il linguaggio del corpo, quello del volto, l'au-
tocontrollo e le espressioni collaterali che
inconsapevolmente la persona in posa sibila
con tutti i linguaggi che non riesce a con-
trollare. Ritagliando le pelle e isolandola
astrattamente dal contesto, circondata dai
colori della ragione e dell'emozione, scaturi-
sce un'icona che proietta il caso personale
in una prospettiva universale, archetipa.
6
Parigi ad insegnare
all'American Center
for students and ar-
tist, ritorna a Savo-
na.
Morando acquisisce
così le prime nozioni
sulle tecniche calco-
grafiche, dal bulino,
all'acquaforte, all'ac-
quatinta fino ad arri-
vare al mezzotinto
nella quale Pietro
Gatti era "Maestro".
Morando realizza, in
questo periodo, 35
lastre pubblicando
due cartelle: nel
1982 la cartella Per
la Sardegna, una
poesia di Milena Mi-
lani e quattro incisio-
Portuali al carico di riso a bordo, acquaforte, acquatinta,
cera molle, puntasecca, 2009
ni di Walter Morando, edizione Brixia
Milano, premio Sa Ferula Cagliari e, nel
2004, Enzo di Martino ha recensito la cartel-
la Oggetti del Porto Centro Internazionale
della Grafica di Venezia. Dopo questa espe-
rienza Morando riprende la sua attività di
scultore ritornando, nuovamente, all'incisio-
ne nel 2006 e pubblicando due cartelle nel
2007 L'Unione e Il Maniglione stampate pres-
so Il Corno da Nebbia di Savona, laborato-
rio di conservazione e restauro di Manufatti
Cartacei dove sono custodite le attrezzatu-
re e i torchi da stampa appartenuti al
Maestro Pietro Gatti.
Negli ultimi mesi Walter Morando dedica la
sua attività giornaliera all'incisione. Il tema è
quello del Porto, lasciando impressi sul
metallo, oltre agli umili oggetti di lavoro e le
navi in demolizione, anche la figura umana,
Un'altra strategia è quella della metafora.
Ognuno di noi, se eliminiamo la pelle, con-
tiene una pianta, un albero; questa pianta è
modellata dall'esperienza e dalla genetica,
come il tempo e le intemperie plasmano gli
algoritmi frattali con cui dovrebbe sviluppar-
si ogni vegetale. Questo albero è la stessa
materia acquosa che intuivamo fuoriuscire
dal contenitore della pelle, è struttura plasti-
ca ed espressiva, è antropomorfa e nello
stesso tempo è capace di una mimica ed
una qualità materica che parla del nostro
spessore, delle nostre stratificazioni interiori.
Una pianta piange, si contrae, si espande,
mostra le sue cicatrici; è un attore comple-
to ed un interprete intenso. Infine una terza
About life, olio su tela, 2009
ora come Polena ora
come racconto della
fatica del lavoro
umano. Tutto il lavo-
ro è il risultato di una
ricerca di libertà
creativa legata alla
voglia di conoscere
sempre di più quello
che questa magica
forma d'arte può
dare in quanto, se
pur costretta da
regole rigorose, è
un'arte libera e
spontanea. Liber tà
gestuale e tecnica si
mescolano così co-
me le tecniche diret-
te (bulino, punta-
secca, mezzotinto) si
mescolano alle tecni-
che indirette (acquaforte, acquatinta, verni-
ce molle). Formale e informale si mescolano
sulle lastre, che diventano, in alcuni casi, loro
stesse oggetti-scultura come la serie di
lastre dedicate alle Lamiere, sagomate sul
rame e poi scalfite da scalpelli, bulini e punte
tanto da ottenere sia la matrice per la stam-
pa che l'oggetto fine a se stesso. Con la rea-
lizzazione di queste incisioni è sorto il desi-
derio di raccogliere in una pubblicazione
tutto il lavoro sulla parte grafica di questo
significativo artista, testimonianza dell'amore
per questa forma d'arte e per un territorio
portuale savonese spesso poco conosciuto,
affinchè tale patrimonio non si perda, ma sia
diffuso e reso noto non solo agli "addetti",
ma ad un pubblico più vasto.
Silvia Pesce
strategia, probabilmente più didascalica, è la
rappresentazione di questa pianta in relazio-
ne alla figura. In fondo i rami e le radici pian-
tati nel volto e nel corpo sono quella che
nella cultura orientale si chiama aura. È ciò
che vediamo ma non riusciamo a descrivere
chiaramente; però c'è, e se mettiamo a
fuoco lo sguardo, se lo concentriamo oltre
la semplice operazione del vedere, possia-
mo percepirne le linee dinamiche, i flussi di
energia. Ognuno di noi procede nella pro-
pria esperienza approssimando la direzione
delle proprie scelte, per tentativi non rettili-
nei che tendono a una qualche finalità. Il
disordine è lo specchio dell'anima, perché
restituisce le sfaccettature e le contraddizio-
ni che costruiscono ciascuno di noi. Quando
una mia opera risulta in grado di interferire
con il campo emozionale di chi la osserva, e
magari di generare un fall out che riporta a
galla stati mentali che si avvertono a pelle, o
di pancia, prima ancora che razionalmente,
allora quest'opera è riuscita. Ha svolto il suo
compito, riesce a parlare al cuore, prima che
la ragione se ne renda conto. In fondo è
questa la missione dell'arte: utilizzare le
scorciatoie sinaptiche dell'intuito per guar-
dare un po' più avanti delle cose che riuscia-
mo a giustificare, gettarci nel vuoto prima di
aver avuto il tempo di allacciare il paracadu-
te, per avere una visione intensa, l'adrenalina
che trasforma la lingua in un puntaspilli. Ho
chiamato questo percorso hortus animae,
corpus animae il giardino e il corpo dell'ani-
ma, perché questi sono i luoghi di cui parlo,
i nostri alberi interni, il paesaggio della
nostra pelle, intrappolati nei recinti che ho
teso per catturarli. Recinti che odorano di
trementina e olio di lino, sporcano le dita, i
pennelli e imbrattano la mia anima di emo-
zioni contrastanti.
 mente milanese spiega Fo nel suo magistra- zioni che vorremmo tutti vedere migliorate,
Storie le e godibilissimo studio su Sant’Ambrogio, gli artisti di domani, i classici del futuro. La
poiché i fiumi, otto più tre canali maggiori, musealizzazione e il gigantismo espositivo
della nostra Storia che scorrevano sul suolo meneghino spesso previsto per il quartiere Brera toglierebbero
a rischio d’estinzione tracimavano, e si andavano a mescolare quella linfa di attività che lo denota come un
liquami fognari con l’acqua potabile. laboratorio attivo e vivo, così come la Scala
Tornando all’Accademia e al suo sradica- caratterizza il suo. Anche il Teatro più famo-
mento, Fo ha raccontato delle sue origini so del mondo è piccolo, piccolissimo. Così
C’è un filo rosso minaccioso e semaforico accalorandosi: non, come è stato scritto, con Botta l’ha ripensato, non l’ha spostato. In più
che si annoda intorno al destino dei locali pause teatrali, visto che ha ben altri palco- è nato quello degli Arcimboldi. A chi mi
storici della nostra città, non proprio bella, scenici da cui dare lezioni di stile recitativo. obiettasse che molte volte edifici antichi
come possono dirsi Firenze o Venezia, ma Ben prima di Maria Teresa d’Austria, di sono stati riutilizzati e addirittura distrutti per
ugualmente antica e fitta di storia. Una sto- Napoleone e dell’Appiani, dei Gesuiti che meglio servire a scopi più utili, rispondo subi-
ria che ci riguarda, consapevoli o no. Oggi coltivavano erbe mediche nell’Orto botani- to che lo so; che avrei, giocando a fare l’avvo-
spesso locali nati centinaia di anni fa, depo- co di Brera, quella sede venne edificata dagli cato del diavolo, interessanti esempi tratti dal
sitari quindi di molta della nostra identità, Umiliati. Correva il 1050. Invece che pregare De bello gallico. Allora però scarseggiava il
rischiano di essere spazzati via e venduti al e lavorare, questa confraternita aveva adot- materiale per costruire i ponti e le torri, da
migliore offerente con la logica del perfetto tato il motto di lavorare, e lavorare ancora cui venivano inviati segnali luminosi che fun-
cinico: colui che conosce il prezzo di tutto e per non vivere di elemosina, e solo se fosse zionavano meglio di un sistema elettrico d’al-
il valore di niente, come dardeggiava Oscar rimasto del tempo di pregare. È da loro che larme. Qui invece si tratterebbe di far posto
Wilde. Lo scorso 26 ottobre un intellettua- derivano anche le regole che dettò San a un ennesimo ristorante nella Milano da
le ha preso posizione su questo, che è ben Francesco al suo Ordine. A Brera converge- bere o a qualcos’altro con la desinenza in
più e oltre che prendere partito. Il direttore va, da Brera si dipartiva tutta la vita della città “shop” e il gerundio in ing.
dell’Accademia di Brera, Gastone Mariani, di Milano. Si emanavano leggi e strabilivano Chiudo con la raccomandazione di Fo agli
era visibilmente commosso
all’arrivo dell’ex compagno di
banco Dario Fo, sorridente e
autorevole al contempo, alto e
ben dritto a reggere il peso
degli anni e del ruolo: “Avete
fra di voi uno studente
dell’Accademia”, ha iniziato
Mariani con voce quasi incre-
dula, scaldata dal tuono frago-
roso degli applausi degli stu-
denti. È ben vero che Dario Fo
è partito da Brera, sostando al
Politecnico, per incamminarsi a
Stoccolma in nome dell’Italia
nel mondo: della sua letteratu-
ra, della sua arte, dei fatti -e dei
misfatti- che la nostra vita svita-
ta e inconsapevole mira a can-
cellare con l’oblio. Così come
molti degli autori più impor-
tanti del ‘900, da Piero Manzoni
a Vanessa Beercroft, da Cascella
a Francesco Messina. Senza
memoria, un uomo non è nien-
te. Figurarsi un luogo. Non c’è
esperienza senza memoria. E
allora, se si parla di trasloco da
un luogo ad un altro, magari da
uno malandato per incuria a
uno fresco di intonaco, non si
capisce il perché delle reazioni
stizzite di chi lo “anima”, lo
abita e lo anima: gli studenti
innanzitutto, come ha dichiara-
to Mariani: evidentemente non è così ovvio. tasse, si eleggevano i capi militari, il Podestà e
Dario Fò, Figure, tecnica mista su cartone
studenti dell’Accademia di ricordarsi molto
E ricordi chi, dal pulpito di docente dà loro persino: il Vescovo. Proprio così. L’elezione bene del rapporto vitale tra il dentro e il
con spregio arrogante dei “semianalfabeti” del Vescovo di Milano avveniva a Brera, non fuori di un luogo: l’architettura è fatta di que-
buoni a nulla e ignoranti, che lo studente da in Duomo né in altre sedi religiose, ha rac- sta dialettica basilare, e l’Accademia in questo
solo potrebbe anche essere autodidatta, contato Fo. Insomma quel luogo era il cuore momento non sta dialogando con l’esterno,
mentre il professore da solo si svuoterebbe pulsante della città, era la nostra acropoli e la con la cittadinanza. I media la mostrano solo
di senso (e di stipendio). Gli “analfabeti” nostra agorà principale insieme, luogo di nelle sue parti cariate, dirute e fatiscenti.
erano tutti là, nell’aula 10 per la cronaca, non incontri, scambi progetti e decisioni, di com- Ce ne sono altre, come l’aula di scenografia
nella maestosa Sala napoleonica dove si merci e nomine. Gli Umiliati poi verranno per esempio (la 35), con i suoi manichini
accolgono personalità importanti ed estra- repressi, cancellati da Carlo Borromeo, rivestiti di costumi teatrali disegnati e imma-
nee. Erano stretti gli uni agli altri in silenzio, come tutto ciò che minaccia di funzionare in ginati, realizzati e rifiniti da mani giovani quan-
Italiani e stranieri, ad ascoltare le parole di autonomia con un ingranaggio molto ben to esperte e appassionate. Molti attori tea-
un premio Nobel che ha parlato per ultimo: oliato dalla volontà di cooperare, e che dà trali, anche della Scala, li hanno indossati, e si
prima i rappresentanti degli studenti, poi lui. un fastidio intollerabile alle dittature. Ne sono mossi in un palcoscenico sopravvissuto
Ecco cosa fanno i grandi; dichiarano con un abbiamo avute molte, certo. Me lo ricorda il nei plastici conservati lì: una miniaturizzazio-
gesto semplicissimo di essere nani sulle spal- toro in Galleria Vittorio Emanuele, quello cui ne del sublime. Non si confonda un proble-
le dei giganti. È il pubblico e il suo entusiasti- si calpestano i testicoli di mosaico per accat- ma di restauro con quello di un’altra (tutt’al-
co favore che hanno decretato il successo di tivarsi la buona sorte. I Milanesi invece ripro- tra) Milanona, come la chiamava lo scrittore
quell’uomo geniale, attore drammatico dussero con il Toro il simbolo dei Savoia, che De Marchi, che però insieme con i Futuristi
quanto comico, capace di mescolare con vessavano la città con tasse da strozzini. Lo salutava la rivincita di una città che risorgeva
l’ironia i destini più beffardi, le ingiustizie più resero calpestabile, con il muso voltato in dalla guerra in un’ebbrezza di energia elettri-
gravi, con la generosità e il coraggio, con la direzione di Torino. La memoria conferisce ca, meccanica e industriale: l’arte colse e tra-
grinta morale del civis indignato, a testa alta, senso e significato alle mura che contengono dusse in rappresentazione di vita nuova, per
che insegna a non arrendersi nemmeno con botteghe antiquarie oppure aule, quelle in tutti.
“la merda fino al collo”, espressione tipica- cui si formano, tra mille difficoltà e in condi- Cristina Muccioli

7
 Roberto
Giavarini
la bellezza, da sola, basta a persuadere
William Shakespeare
gli occhi degli uomini, senza bisogno di oratori
Gea, punta d’argento su tavola, 2008
Quando capitano sotto il nostro insaziabile
sguardo opere di rilievo come quelle di
Roberto Giavarini, valente allievo cha ha
attinto dal Maestro Mario Donizetti tecni-
che preziose e fondanti approfondimenti
filosofici, non possiamo non provare un
moto di costernazione per quella ultracen-
tenaria accozzaglia di insensatezze e di detri-
ti posti ad avvilire piazze e musei, spacciata
per attendibile avanguardia da tracotanti
mercanti e da una cerchia di asserviti
opportunisti (critici, direttori di musei, ope-
ratori culturali… incolti), chiedendoci se e
quando il mondo saprà rinsavire. Un piace-
vole sussulto di ironia – ché tali balordaggini
contemporanee non resisteranno alla giusti-
zia del tempo se non come oscena cicatrice
del malessere di un’epoca – ci è proposto
dal talento a volte caustico di Maurizio
Bottoni, uno dei cruciali riferimenti artistici
della nostra epoca, con il suo olio unknown
esposto alla Forni in cui sopra un teschio,
catalogato appunto “sconosciuto”, spicca lo
scimmiesco parrucchino incanutito dell’inef-
fabile Andy Warhol, unico patetico residuo
di una sconsolante mistificazione.
Contemplando i lavori accurati di Giavarini
non possiamo accettare che il fare arte sia
privo di qualsiasi necessità, ancor meno che
sia divenuto inutile il saper ben disegnare,
dipingere, scolpire. Fare arte per gli autori
veramente dotati significa entusiasmo nel
riscontrare armonie di archetipo nella realtà
corrente, nutrimento ideale per l’artista
prima ancora che per l’osservatore il quale,
sorpreso dalla suggestione raffinata del sog-
getto, dello stile, degli intelligenti rimandi, si
sente attratto da un’istintiva condivisione di
bellezza - intuendovi uno dei pochi argo-
8 Il Castello...illuminato, 2009
menti di riscatto alla fatica di vivere - pro-
vando gratitudine per questa sorta di laica
devozione, di gioioso inno all’inesauribile
meraviglia di un pur controverso creato che
Giavarini va tracciando sulle sue tavole chia-
re, fissandola nell’espressività animata di un
volto, nella regale esuberanza di una donna
gravida, nel fremito di una foglia vizza, nello
stillare vivido di una melagrana, nell’allarma-
to scomporsi di una Leda in imminen-
te assalto d’amore.
Nudi femminei con fascino di un’antica
e moderna classicità, immuni da com-
piacimenti erotici, essenziali, quasi asce-
tici nella loro ideale eleganza formale.
Un lavoro lento, puntiglioso, monacale,
maniacale, da amanuense certosino
che ignora il tempo, costituito da miria-
di di segni esilissimi che non è possibi-
le cancellare né rimediare, tracciati con
punte d’argento e acuminate grafiti su
tavole accuratamente preparate, la
mano fermissima sotto il controllo
incessante della mente che deve fron-
teggiare trasalimenti d’entusiasmo,
diluendoli segmento dopo segmento
nell’estenuante e al tempo stesso esal-
tante processo di crescita dell’immagi-
ne. Immagine reale e fantasmatica
insieme che affiora con lentezza, emer-
gendo da un’ispirata interiorità tumul-
tuante controllata dalle immagini fissa-
te dall’occhio, ordinandosi in coerenza
di tracce infinitesimali amorevolmente
composte, talvolta diradando in un
“non finito” con vaghezza di rarefatte
memorie - “il difficile è sapersi ferma-
re” riconosce di fatto Roberto - che
riescono ad accrescere un compiuto
fascino d’insieme.
Tra le opere che ci fanno riflettere vi è
I progenitori, intensa immagine allusiva
che ci investe col vitalismo di una sog-
giogante pregnanza femminea in cui si
va (peccaminosamente?) reiterando l’oscu-
ro miracolo della maternità a scapito di una
segaligna figura maschile, appena accennata,
incidentale presenza in un processo di
dominio matriarcale, inconsistente meteora
destinata a gravitare intorno al nucleo di
ctonia potenza della donna vera generatrice
e garante della specie umana. Ancor più ci
colpisce l’evidente stato di gestazione nella
figurazione, apparentemente dissacrante, di
un’inconsueta Annunciazione - nel cui sfon-
do si intuiscono ieratici lineamenti di un
enigmatico Dio Padre - chiedendoci come
possa conciliarsi il tardivo Sacro Annuncio
con il clamoroso stato di gravidanza, prelu-
dio alla nascita del Figlio di Dio fattosi carne.
La vulgata iconografica ci racconta di alati
angeli poliglotti che si presentano a intimo-
rite fanciulle annunciando loro un’astrusa
predestinazione e una ancor più inverosimi-
le maternità. In realtà l’incredibile ambasce-
ria di una Paternità Divina a una vergine
indifesa, riferita da così poco rassicurante
emissario volante, sarebbe potuta risultare
incomprensibile all’onesta Maria. Perché
allora non figurare l’originale ipotesi che,
rimasta innocentemente incinta, la giovane
prescelta potesse essere illuminata circa la
superiore volontà divina proprio nel bel
mezzo del suo sacrale quanto palese stato
d’attesa? Giavarini ha il dono di natura di
conciliare naturalezza e riflessione, istinto e
meditazione, delicatezza e intrusiva energia
psicologica che esprime nei ritratti, alla cui
impressionante fedeltà somatica sa fissare
l’interiorità di uno stato d’animo. Le sue
coscienziose opere fanno arrestare lo sguar-
do, trasmettendo un afflato di assoluto cava-
to dall’apparente materialità delle cose.
Ritroviamo qui ancora quella “oltranza reali-
stica” di cui parla Testori – vendicando la tar-
diva scoperta della poderosa pittura di
Giancarlo Vitali – negata e vilipesa durante
lunghi anni di mode devianti e fraudolente,
che riafferma la sua immortale centralità per
chi ancora possegga sana autonomia di giudi-
zio, incontaminabile da parassiti cerebrali e
respinta dalle precoci muffe di buona parte
della cosiddetta arte moderna.
Giovanni Serafini
Daniela Rancati
ai Filodrammatici
Al teatro Filodrammatici di Milano si è chiu-
sa a dicembre 2009 la mostra di 8 sculture di
Daniela Rancati intitolate “Ragione Emo-
zione”. Dal concetto, con tutte le sue sfuma-
ture, che l’emozione e la ragione sono i vei-
coli da cui nasce la nostra capacità di comu-
nicare, Daniela Rancati elabora una idea che
trasforma la materia in scultura, che a sua
volta riversa al fruitore l’idea, che può essere
diversa, ma sostanzialmente confluisce in una
emozione analoga, sempre inquadrata dalla
ragione. Al di là della giustificazione concet-
tuale, le otto sculture hanno una forte valen-
za simbolica, che però non rimane solo sim-
bolo – saremmo a livello della filosofia o del
design – ma conduce la fantasia dell’osserva-
tore in un andirivieni creativo, lungo lo sten-
dersi della materia e della luce nell’opera.
L’idea fondante della scultrice ne genera nel
fruitore una nuova, anche diversa, ma emoti-
vamente affine: è il miracolo dell’arte.
Un critico di Daniela, Giuliano Boaretto, ha
magnificamente espresso ciò scrivendo: ”Le
emozioni escono dal caos dell’inconscio per
divenire realtà a tre dimensioni, e la tensione
emozione – ragione ci introduce nella quar-
ta dimensione: quella dello spazio – tempo”.
La scultura in metacrilato e legno, alta 24 cm,
“Il castello…illuminato” si propone come
progetto di comunicazione dove i differenti
piani sono le emozioni, sostenuti dal ponte-
ragione.
Ciò è legato dalla luce, “materia” fondamen-
tale per Daniela, nella quale il tutto si unisce
per costituire la via della fantasia. Il castello è
bello e misterioso con le trasparenze lumi-
nose dell’acrilico che si innalza su una foresta
di “legni” neri che nascondono il farfuglio del
nostro inconscio, mentre il tutto sta in mira-
bile bilico sul ponte, ignoto fondamento del
nostro essere. Ecco l’oscillare dei nostri pen-
sieri, dei nostri sentimenti che affermano l’ar-
te dell’opera. Ma bisogna vederle queste
opere.
Andrea Bondanini
 La Libreria Bocca

Artisti in cielo go, il 2006, in libreria è accaduto di tutto,

e in terra
Siamo giunti, per forza di volontà e determi-
nazione, al dicembre del 2009, anno della
grande crisi, peggiore per dimensione plane-
taria a quella del ’29. Anno che ha visto, fino
ad oggi, la chiusura, di oltre 70.000 negozi
(fonte Unione del Commercio).
Nella sola Galleria Vittorio Emanuele II sono
sparite per sempre tre librerie su sei, la
Garzanti, il Duomo e l’Accademia, mentre
per la Rizzoli corre voce che si trasferirà a
causa di una richiesta di canone di locazione
da parte del Comune di Milano di oltre 1,2
milioni di euro l’anno. La storica Bocca che,
nella sua plurisecolare esistenza, ha visto e
vissuto gli anni della Rivoluzione Americana,
di quella Francese, delle guerre di indipen-
denza, della prima e seconda guerra mon-
diale, è stata momentaneamente graziata
perchè votata dagli italiani “luogo del cuore”
degno di essere tutelata (fonte FAI, Fondo
per l’Ambiente Italiano).
La famiglia Lodetti, in un frangente tanto cri-
tico, mantiene per la terza volta l’impegno
sottoscritto moralmente coi propri amici
artisti sostenitori, di editare il catalogo della
mostra “Artisti in Cielo e in Terra III”, benché
le disponibilità finanziarie siano sostanzial-
mente a zero. Dall’anno del secondo catalo-
mentre l’attività per la passione dei protago-
nisti, non perdeva lo smalto dei tempi glo-
riosi. Gabriele, imbattibile nel ritrovare libri
esauriti, fuori catalogo o rarissimi, rilevava
una panetteria in via Piero della Francesca,
riducendo le sue presenze a soli due pome-
riggi la settimana. Veniva acquisita la efficace
collaborazione della giovane Drina che con
Monica, la storica efficientissima direttrice di
tutti i rapporti della libreria con l’estero, ha
dato vita alla diabolica coppia capace di sod-
disfare tutti i servizi che la Bocca offre ai
propri associati. Giorgio, l’anima culturale
dell’azienda, divenuto nel frattempo il vip
dello staff per una intensa campagna di
stampa e televisione messa in moto dall’in-
tervento del FAI a tutela della storica libre-
ria, ha incrementato la clientela artistica e
non, dando vita ad un intenso programma di
incontri, presentazioni e mostre, in collabo-
razione con Barbara Frigerio, dal titolo
“Pensieri e Parole”. la propria presenza quel filo robusto che
Ha trasformato il Premio Movimento nelle lega passato e futuro della libreria, sostenen-
Segrete di Bocca, alla quarta edizione, in una do l’impegno delle nuove generazioni.
valanga di partecipanti, attratti da una giuria Come un nocchiero di dantesca memoria,
di livello internazionale. Donatella, assieme al bianco per antico pelo, traghetta questa
sottoscritto, ha assunto il ruolo di kuntakin- nave, la Libreria Bocca, in un oceano in tem-
te, proseguendo nella sua attività di editore, pesta, in una notte dello spirito senza punti
avvalendosi della preziosa collaborazione di di riferimento, né rispetto dei valori che è
Antonio D’Amico, ormai volato per meriti, diventata la nostra società, alla sponda della
come in precedenza previsto, a livelli di atti- salvezza.
vità culturale, nazionali.
Chi scrive, non più operativo, mantiene con Giacomo Lodetti

v to il suo Studio DS-Art mente dedicate “a tutti i

Diana Byckova (www.ds-art.net) che si poveri di spirito” in cui
occupa di progetti edito- mette a nudo le miserie, il
riali, di incisione, di impagi- vuoto e la monotonia di
nuove luci da oriente nazione e pubblicazione di una vita piena di affanni,
illustrazioni e di testi, di mescolando pessimismo
rilegature pregiate, di libri e sarcasmo cui sa sovente
Diana Byckova ha spalancato i suoi attoniti d’arte, di stampe tirate a unire note di tenerezza.
v

occhi verdi sul mondo in terra ucraina nel mano, di grafica pubblicita- Diana ha in animo di edi-
1979. Ha frequentato il corso unico di ria e di altro ancora. tare quest’opera – con
dodici anni alla Scuola Artistica e si è laurea- L’inaugurazione ufficiale traduzione in italiano, per
ta all’Accademia Nazionale di Belle Arti di avvenuta a novembre la quale invita a collabora-
Kiev. Si è dedicata con volonteroso ecletti- 2009 in Via Garian, 18 a re un nostro volonteroso
smo a disparate attività tra cui insegnante di Milano. Tra i lavori più riu- poeta - corredandola di
disegno, calligrafa, rilegatrice di libri rari, gra- sciti di questa poliedrica una serie di illustrazioni
Nieva, china e collage, 2009

fica, illustratrice presso case editrici ucraine,
russe, arabe e italiane, non da ultimo colla-
borando con la rinomata Stamperia Upiglio
specializzata in tirature di incisioni dei più
importanti artisti.
Nel 2007 ha concluso il biennio all’Ac-
cademia di Brera e l’anno seguente ha aper-
artista la preziosa edizione in numero limita- da essa stessa realizzate. Tra i vari componi-
to di copie di un libro con la lunga fiaba per menti ci piace citarne uno che Diana ha così
adulti Il silenzio di Oleg Prihod’ko, da lei ele- tradotto:
gantemente composto in cirillico pagina
dopo pagina e illustrato con sue incisioni di
Lamentazione
strabiliante fantasia e di nutrita complessità
compositiva, sontuosamente rilegato e cor-
È bello leggere libri piacevoli

redato di tradu-
Al chiaro di una lampadina,

zione in italiano.
Sfogliare stampe

Tra i suoi artisti

E premere i tasti suonando il pianoforte -

preferiti Diana
v
Eccitare con delicatezza cervello e sensi
annovera il poeta Con l’incanto della bellezza,
e prosatore rus- Versare il miele fragrante dell’arte
so Sasa Cerniy,
v v
Nell’abisso del vuoto russo.
pseudonimo di
Aleksandr Gli-
Riso, lotta, cambiamenti,
kberg, nato a
Ogni volta lacerando brandelli di carne!
Odessa nel 1880
E a noi restano solo... gli angoli e i muri
e vissuto a San
Sui quali si chiude il soffitto.
Pietroburgo e a
Parigi, ove morì
Dove sono gli accadimenti della nostra vita,
nel 1932.
Oltre al raffreddore e alle pulci?
Collaboratore di
Da tanto tempo strisciamo come lumache,
riviste satiriche
Nella miseria di briciole casuali.
(dopo l’abolizio-
ne della censura
Dormiamo e frigniamo.

preventiva)v e let-
Senza partecipazione, senza amare,

terarie, Cerniy
Andiamo cercando Dio, andiamo cercando

compose Le sati-
il Diavolo,

re, raccolta di
Avendo perso se stessi.

poesie ironica- Giovanni Serafini

A tutti i poveri di spirito, china e collage, 2009

 MOVIMENTO NELLE SEGRETE DI BOCCA
La Libreria Bocca indice il 4° Premio Movimento nelle Segrete di Bocca dedicato alla

PREMIO DI PITTURA pittura. L’iniziativa è aperta a tutti gli artisti. Per concorrere è necessario far pervenire
un dipinto originale che parteciperà alla selezione, accompagnato da una foto a colo-
ri dell’opera (su supporto cartaceo o digitale). Inoltre, va allegata la documentazione
personale che attesta l’attività artistica (curriculum, depliant, foto di lavori precedenti
etc). L’opera a tema libero, dovrà essere di formato quadrato cm 70 x 70, (non
saranno accettate opere di formati e dimensioni differenti a quello indicato). Non ci
sono restrizioni né sulla tecnica, né sul supporto da utilizzare. Il Comitato Promotore,
dopo aver selezionato quindici opere, inviterà tutti gli artisti a partecipare alla mostra
che si terrà alla Libreria Bocca di Milano, Galleria Vittorio Emanuele II. L’esposizione
delle opere selezionate durerà venti giorni (dal 12 al 31 maggio 2010).
Il vincitore del Premio verrà selezionato dalla:

G I U R I A D I Q UA L I T À
Adriano Altamira (professore) - Philippe Daverio (critico d’arte)
Sergio Dangelo (artista) - Giacomo Poretti (attore)
Arturo Schwarz (professore)
Tutte le opere partecipanti dovranno essere alienabili

Il vincitore riceverà un premio di 1.500,00 euro

Le quindici opere finaliste, saranno pubblicate in un catalogo la cui copertina riprodur-
rà il quadro del vincitore. Oltre alle opere selezionate dal Comitato Promotore, verrà
data facoltà a ciascun membro della Giuria di Qualità di segnalare un’opera tra tutti i
partecipanti, che verrà pubblicata nel catalogo ed esposta insieme alle opere finaliste. I
partecipanti devono far pervenire l’opera (incorniciata o non, ma tassativamente muni-
ta di ganci, senza vetro, porto franco, con imballo adeguato) a:
Premio Segrete di Bocca - presso:

SEGRETE DI BOCCA
Via Molino delle Armi,5 (cortile interno)
20123, Milano
E n t ro e n o n o l t re i l 2 6 f e b b r a i o 2 0 1 0

Al termine del Concorso, i dipinti selezionati dovranno essere ritirati dall’autore nella
predetta sede, entro e non oltre 40 gg. dal termine dell’esposizione. Le opere non
selezionate, invece entro 40 gg. dalla notifica di non ammissione. Le opere non ritira-
te entro i termini indicati saranno considerate gradito omaggio.Tutti i quadri parteci-
panti al Premio verranno visionati dal Comitato Promotore.

L’invio dell’opera (accompagnata dalla foto) e del materiale richiesto al 4° Premio

Movimento nelle Segrete di Bocca, implicano l’accettazione di tutte le norme conte-
nute nel presente bando di concorso. L’adesione richiede un fondo spese obbligato-
rio di euro 30,00 da includere nella spedizione del materiale. L’omissione di una delle
disposizioni comporterà l’esclusione.

C O M I TATO P RO M OTO R E
Barbara Frigerio (gallerista) - Grazia Chiesa (promotore culturale)
Giorgio Lodetti (libraio) - Cristina Muccioli (critico d’arte)
Giovanni Serafini (collezionista)

Giorgio Lodetti • tel. 0286462321 - 0258302093 • fax 02876572 - 0258435413

cell. 3382966557 • e-mail: giorgio.lodetti@libreriabocca.com
 Serata alle Segrete di Bocca

Discaricart esempio l’evento per Como e per l’ex-

po 2015; prossimi appuntamenti sa-
ranno una mostra Discaricart a Ge-

l’uscita del nuovo numero di Soffoco, la

primigenia e nascita
Discaricart è un movimento composto da
vari artisti e vorrei sottolineare nell’introdu-
zione al movimento Discaricart che il nostro
intento è e rimarrà quello di non seguire le
tendenze indotte che caratterizzano gran
parte dei movimenti pseudoculturali che ci
circondano o per meglio dire attanagliano
inesorabilmente ogni forma artistica.
Pertanto non seguiamo l’onda del riciclo,
anche se la proponiamo e pratichiamo, non
seguiamo l’onda politica del rifiuto clandesti-
no e perseguitato, non cavalchiamo l’onda
ecologista per farci belli o per farci impicca-
re, non abbiamo, in poche parole, alcuna
forma di linguaggio che sia assimilabile al
regno della confusione programmata che
domina l’attualità. Il nostro vuole essere un
percorso che si cela dietro quella patina pla-
stificata della comunicazione che nasconde
la verità globale: cioè il pericolo di una cata-
strofe epocale. Ma non dobbiamo avere un
comportamento intellettuale sprezzante e
neppure un atteggiamento decadente.
Vogliamo semplicemente ascoltare la voce
pura della natura in noi stessi e ciò che que-
sta esprime per comunicare una speranza,
anche se flebile, per l’umanità.
Ester Negretti
Il poeta genovese Mauro Zo Maraschin, da sem-
pre il punto di riferimento del gruppo, negli anni
‘70 insieme al fotografo Ginko Guarnieri, fre-
quentava la discarica di Genova Prà utilizzando
nova, la presentazione dei nuovi libri,
mostra dei paesaggi di Negretti Ester a
Milano presso l’associazione culturale
Cortina nel mese di gennaio 2010.
www.discaricar t.org
Donatella Ribezzo
un volto, un leopardo
e la natura nella luce
«Tu mi ricordi l'infanzia,
...
quando la fede nel meraviglioso
mi rifioriva sempre nel cuore
come una fresca corolla...
quando insetti, uccelli e fiere,
nuvole, erbe e cespugli esercitavano
tutto il loro fascino...»
Rabindranath Tagore
Insetti, uccelli e fiere, rappresentano il mondo
animale, il fascino di un naturalismo espresso
con nitido realismo, il clima di un'esperienza
che rivela l'interesse di Donatella Ribezzo per
regali leoni, velocissimi leopardi e imponenti
elefanti. Una ricerca, iniziata a soli tredici anni,
che delinea il suo amore profondo per
l'Africa, per le tigri di un'India magica e miste-
al movimento di ogni singolo animale e, in sin-
tesi, alla volontà di raffigurare una realtà sere-
na e rasserenate, di trasmettere la lotta di
due zebre o i giochi di dell'orso nel bosco. In
queste «tavole» non vi sono segni di violen-
za, di aggressione, di sofferenza, ma una sinte-
si espressiva che si sviluppa in grandi formati,
in vedute dai risvolti narrativi ed esistenziali
che mettono in evidenza possenti rinoceron-
ti, giraffe, pantere, lupi. Dalle opere in cerami-
ca, realizzate con tecnica pittorica, al fermo
immagine di una leonessa, si snoda la creativi-
tà della Ribezzo, la sua sensibile adesione all'-
habitat naturale dove gli animali si profilano in
spazi immersi nel silenzio dell'alba, mentre il
vento piega rami e alza la sabbia del deserto.
E sono attese di notti stellate, gruppi di scim-
mie, di anziani dal viso solcato da rughe che
sembrano i sentieri di una vita difficile, di per-
corso all'interno dell'umanità con gli occhi
dolcissimi dei bambini, i vestiti coloratissimi
delle ragazze, il copricapo degli hindu. Animali
selvaggi e popolazioni ai limiti della civiltà più
avanzata, alberi e dune, oggetti e ritratti, con-
corrono a riscrivere le pagine di una storia

fantomatico gruppo Wilson e Wilson, con que-

una tessera di “accesso” con lo pseudonimo del

sta avevano la possibilità di entrare in quel luogo,

scattare fotografie, fantasticare su quel mondo,
pseudonimo riutilizzato in seguito nell’Ottobre
2004, in quell’anno l’incontro casuale ad una
mostra con le immagini di quel luogo, fra l’artista
Santino Mongiardino, Ginko e Mauro diede il via

Wilson e Wilson Discaricart artisti da discari-

alla creazione del Gruppo/movimento artistico

ca, ora denominato più semplicemente

sibili. Fu sottoscritto il Manifesto degli Artisti da
Discaricart, un gruppo eterogeneo di artisti sen-
Discarica. Il marchio del gruppo fu brevettato e
registrato nello stesso anno. Aderirono altri artisti,
li unisce la voglia di raccontare in maniera inu-
suale, a volte sconveniente ed inopportuna il
degrado, l'uomo, la città, il territorio e quanto ci
circonda, utilizzando e rappresentando nelle loro
opere anche oggetti da discarica e da riciclo.
Coordinati fin dal principio da Claudio Pozzani
direttore del Festival internazionale della poesia
di Genova. A distanza di poco tempo si unirono Fiabe nel vento, olio su tela, 2009

Genovesi. Nasce Soffoco la rivista ufficiale di
Guido De Marchi, Elisa Vignolo, ed altri artisti
Discaricart. Si sono susseguite importanti espe-
rosa, per i beduini del deserto accompagnati che le appartiene e che le ha permesso di
dai cammelli, in una sorta di viaggio in un uni- esporre al Politeama di Asti nel 2008. La sua
verso lontano dalla civiltà tecnologica, dall'as- vicenda è legata a una «scrittura» per imma-

sordante concatenarsi di rumori e suoni e gini che ha fatto dire a Gian Giorgio Massara:
rienze, partecipazioni e collaborazioni ed altri
Mercanzia di Genova durante la mostra La musiche, da cellulari e video e computer con «...i Leopardi, che occupano quasi tutta l'inte-
eventi letterari ed artistici. Alla Loggia della

Discarica delle Nuvole, nell’ambito del Festival
Internazionale della Poesia 2007 c’è l’interven-
to del grande saggista, poeta e surrealista Arturo
Schwarz che nel Marzo 2009 accetta la carica
di presidente onorario del gruppo durante un
piacevole incontro nella sua casa-studio. L’ultimo
incontro è stato con l’artista comasca Ester
Negretti, che già utilizzava una definizione per la
sua tecnica pittorica. Era suo desiderio unirsi al
gruppo perciò organizza a Milano l’ultimo impor-
tante evento Discaricart, negli spazi espositivi
stato presentato il Nuovo Manifesto degli
delle Segrete di Bocca di Giorgio Lodetti, dove è
tutto il loro «carico» di informazioni. La
Ribezzo ritorna, quindi, a una stagione di
impressioni tratte dalla visione del territorio,
dell'ambiente, dei costumi di quelle popola-
zioni che percorrono carovaniere o si soffer-
mano in oasi verdeggiati, seguendo piste che
portano alla città di Petra o ai templi tibetani,
alle tribù Masai o alle donne indiane del
deserto de Thar, sino agli sguardi penetranti
dei Tuareg: i guerrieri dagli occhi blu. L'artista
torinese, formatasi all'Accademia Albertina, è
approdata a un dipingere estremamente
ra superficie della tavola rivelano, specie nei
particolari, le indiscutibili doti tecniche di
Donatella Ribezzo: calibrati paesaggi cromati-
ci, velature, luci e ombre opportunamente
considerate...». Dopo un periodo di lavoro
appartato gli «animalier» hanno ripreso una
propria dimensione nell'ambito delle arti visi-
ve contemporanee, offrono le testimonianze
di un linguaggio che proprio nelle sale del
Museo Regionale di Scienze Naturali ha visto
la presenza, fra gli altri, di Nick Edel, Parisini,
Sergio Ramasso, Xavier De Maistre.

Artisti da Discarica, con piccole modifiche misurato nella resa delle forme, nella defini- E ora Donatella Ribezzo rinnova un tema che
zione dell'incedere di un puma o nella piace- ha lasuggestione di un'immagine ritrovata, di
vole descrizione dei cuccioli di una tigre. Il suo un'avventura, di un mondo dai segreti incan-
rispetto al passato e chiarimenti sulle linee
discorso appare permeato da un senso di tamenti.
guida. Un incontro importante che ha fatto cono-
sottile romanticismo, di una limpida adesione Angelo Mistrangelo
scere ed aderire altri interessanti artisti al grup-
po. Molti progetti sono in cantiere come per

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 GUIDO
CADINI

guido.cadini@alice.it

"BROCCA DÕARGENTO
CON CILIEGE"
olio su masonite, 4o x 40 cm
 La spiritualità
nell’arte
elementi iconografici
Il Cristo morto

Il “Cristo morto” del Mantegna è indub-

biamente una delle opere più famose del
Rinascimento italiano. Lo scorcio del suo
corpo, l’essenzialità ed il realismo della
scena, privata quasi del tutto (l’unica ecce-
zione è un’aureola posta sul capo) di una
chiara connotazione divina, ne hanno fatto
un punto di riferimento o una sfida per
tanti artisti dei secoli successivi, fino ai
nostri giorni. Alcuni ne hanno semplice-
mente ripreso l’arditezza dello scorcio (il
Pordenone nell’affresco del Duomo” di
Cremona) altri l’intero impianto composi-
tivo (Annibale Carracci, Orazio Borgian-
ni) sottolineando sempre di più l’umanità
di quel corpo, ritraendolo in tutta la sua
drammatica veridicità. La rappresentazio-
ne della morte di Cristo diviene la rappre-
sentazione della morte di un uomo, di un
corpo privo di vita, cosparso di ferite.
Addirittura Rembrandt si servirà della
medesima composizione per dipingere una
Cristo morto, olio su tavola incamottata, 2004

lezione d’anatomia e, molti secoli dopo,
Pasolini, nel finale di Mamma Roma, per
la morte del protagonista, legato in un
letto di contenzione, si rifarà al medesimo
taglio scenico. Anche ai nostri giorni l’in-
fluenza di quel dipinto non è cessata, dalla
versione fotografica di una giovane arti-
sta, Susy Caramazza, che ne dà un’inter-
pretazione in chiave sociale, legandola al
tema della droga, al pittore milanese
Maurizio Bottoni che ne ridà un nuova let-
tura, pur partendo sempre dalla sacralità
del tema. La composizione scenica del
dipinto di Bottoni rispetta l’essenzialità
dell’opera del Mantegna, pur avendo una
prospettiva della stanza più ampia.
Non vi sono altri personaggi ed il corpo si
trova su un lettino da obitorio, dal lenzuo-
lo bianco.
Alle spalle del Cristo da una nicchia del
muro, simile ad un loculo cimiteriale, è
posta la corona di spine, elemento presen-
te anche nel Compianto di Orazio
Borgianni e nel Cristo del Carracci, e,
come per il dipinto di quest’ultimo, è l’uni-
co indizio per risalire alla sacralità della
scena rappresentata.
Il corpo disteso, contrariamente alle pre-
cedenti rappresentazione, è completamente
nudo; la pelle ha un colore livido, bluastro,
che sa di morte. Le membra sono cosparse
da ferite e lacerazioni descritte con grande
verosimiglianza.
Con questa rappresentazione Bottoni sem-
bra veramente aver portato all’estremo
quella progressiva umanizzazione del
Corpo di Cristo, iniziata dal Mantegna cin-
que secoli prima; quello che viene rappre-
sentato è un cadavere, senza nessuna con-
cessione a canoni estetici o ideali, dettate
da questioni stilisticopittoriche o religiose.
È una scena di morte che porta dentro di sé
tutto il suo dolore; con il suo voluto reali-
smo Bottoni porta realmente chi guarda di
fronte al dramma della fine di una vita, che
seppur divina, è estremamente umana.
Barbara Frigerio

Massimiliano re consonanze palpi-

tanti con i nuovi
segni della comuni-
Robino cazione contempo-
ranea digitale.
e il linguaggio della pittura La chiocciola (in
Amun-ra@msm)
degli indirizzi e-mail
Con la personale Sign and design inaugu- si inscrive in un pre-
rata alla Libreria Bocca lo scorso settem- sente che affonda
bre, Robino ha corso - in salita - tutti i radici nell’era del
rischi possibili di fraintendimento. La sua mito.
pittura è di una tale evidenza figurativa, Un’innovazione che
molto ben gestita tra l’altro, da rendere la sembra tornare per-
bellezza delle immagini un muro percetti- fettamente intatta da
vo: vien da fermarsi lì, a guardarle con migliaia di anni di
ammirazione e basta. Ci sono indizi però, storia, così come i
metafore segniche, invenzioni significanti, volti della più sfol-
che invitano a superarlo quel muro para- gorante delle Nefer-
dossale. In questa raccolta Robino affron- titi, in cui i pieni
ta il tema del linguaggio parlato e scritto, sono pigmentati di
con quello della pittura. Una sfida non da solarità e i vuoti
poco, visto che l’arte è il lasciato dal non sono neri. I linea-
detto, e che non si avvale dell’espediente menti del suo soma
della scritta sulla tela, visto e stravisto, sono sema, sono se-
fiacco e nato vecchio. Del linguaggio mantica del corpo,
scritto l’artista recupera innanzitutto la ci fanno scivolare
genealogia, che ci è familiare anche se immediatamente
non siamo studiosi di sanscrito o di egitto- nella parola, per il
logia. Compie quindi uno scavo archeolo- desiderio di pronun-
gico che ci restituisce quei segni progeni- ciare il suo nome
tori del nostro alfabeto. Li rivisita con un eternamente attuale.
agglutinato inedito di forme neo-pop, di
colori forti, di contorni netti, tali da trova- Cristina Muccioli

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Nefertiti 2, olio su tela, 2009