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93/94
The Ladies
Of Rhythm
Squarepusher
Afterhours
Love To Hear You Baby
KEVIN
SAUNDERSON
Barbagallo
Saint Etienne
Roses Gabor
Recensioni p. 82
Campi magnetici 126
Classic album 127
Turn On
Ty Segall, Krewella, Bear In Heaven, Nguzunguzu, Monki
p. 4
Tune-In p. 10
Barbagallo, Saint Etienne, Roses Gabor
Drop Out p. 22
Love To Hear You Baby: The Ladies Of Rhythm
Afterhours
Kevin Saunderson
Squarepusher
MGripi
Direttore
Edoardo Bridda
Direttore Responsabile
Antonello Comunale
Ufficio Stampa
Alberto Lepri, Teresa Greco
Coordinamento
Gaspare Caliri
Progetto Grafico
Nicolas Campagnari
Redazione
Alberto Lepri, Antonello Comunale, Edoardo Bridda, Fabrizio Zampighi,
Gabriele Marino, Gaspare Caliri, Marco Braggion, Nicolas Campagnari,
Stefano Pifferi, Stefano Solventi, Teresa Greco
Staff
Nino Ciglio, Carlo Affatigato, Marco Boscolo, Viola Barbieri, Fabrizio Gelmini,
Antonio Laudazi, Simone Caronno, Diego Ballani, Antonio Cuccu,
Giulia Antelli, Federico Pevere
Copertina
Donna Summer
Guida spirituale
Adriano Trauber (1966-2004)
93/94
luglio/agosto
SENTIREASCOLTARE
SentireAscoltare
online music magazine
Registrazione Trib.BO N 7590
del 28/10/05
Editore: Edoardo Bridda
Provider NGI S.p.A.
Copyright 2012 Edoardo Bridda.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con
qualsiasi mezzo, proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare.
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Lo stereotipo californiano probabilmente un qualcosa
che va avanti dai tempi dei Beach Boys. La terra pro-
messa del surf, le spiagge da sogno al crepuscolo, e poi
le ragazze, i party eccetea eccetera, unimmagine che
rimasta indissolubile nel mondo occidentale. Il suo co-
rollario quello di un luogo consacrato alla culture gio-
vanili (e quante ne son passate nel corso dei decenni, tra
surf, rivoluzioni hippie, psichedelia, punk hardocore e chi
pi ne ha pi ne metta), che oggi sembrano giungerci
cristallizzate tra i programmi teen di Mtv e quellapprocc-
cio sfrontato, scazzato, assolutamente gioioso alla vita
che in fn dei conti lo stesso del surf. Ma questo non
lo dico io, la storia di Ty Segall a raccontarlo. Guar-
datevi il video Teeny Boppers, imitazione ironica delle
superpatinate sit-com adolescenziali realizzata da una
band liceale, al secolo gli Epsilons, e ditemi se non
cos. Siamo nel 2006, Ty Segall il biondino al centro
della mise en scne.
Parte da qui la sua avventura: un ragazzo di Laguna Be-
ach che, come tanti altri, salta tra una band e laltra, se
la spassa, e impara quello che serve per diventare un
musicista. In un paio danni, dal 2006 al 2008, i gruppi
allattivo sono gi tre: gli Epsilons, i Traditional Fools, i
Party fowl. Tutta roba che suona lo-f e garage con va-
rianti a piacere: gli Epsilons per esempio - con allattivo
due album - sono la formazione pi punk e probabil-
mente anche la importante del lotto, perch un paio di
amici seguiranno Segall fno al recente Slaughterhouse:
nello specifco Mikal Cronin, autore anche di un ottimo
esordio solista nel 2011, e Charles Moothart dei Charlie
& the Moonhearts. I tre diventano come una piccola
famiglia, condividono un bagaglio musicale che va a pe-
scare dai 50 ai 70 senza dimenticare lupdate ai Black
Lips e al catalogo In the red, mentre Ty si sbizzarisce con
la brillantina rockabilly dei Party Fowl e le trame surf dei
Traditional Fool, sfornando dischi buoni ma, nel com-
plesso, trascurabili.
Il momento di provarci in solo arriva proverbialmente
subito dopo. Horn the Unicorn esce nel 2008 per la
poco conosciuta Wizard Mountain, label che aveva gi
dato alle stampe il lavoro dei Traditional Fool. E una
cassetta con 9 brani dal lo f approssimativo e mal regi-
TY SEGALL
In love with the sixties
Alla luce dellennesimo ottimo album - il recente Slaughterhouse -
arrivato il momento di mettere un p dordine nella discografia del
garager pi in vista della Bay Area
5
strato, tanto che la Captcha Records ha gi provveduto
a ristampare il tutto a tempo di record in una versione
completa di qualche outtakes. Per la serie: qualcuno che
ama recuperare vecchie lost tape si trova sempre. Lo spi-
rito appare ancora punk e loperazione allinsegna del
divertimento (vedi la cover in falsetto di Bike dei Pink
Floyd), ma alcuni pezzi lasciano intravedere gi una buo-
na dimestichezza con il pop: su tutti The Drag, che pur
non muovendosi dal contesto Black Lips comunque
tra le migliori cose dellalbum.
E sempre il 2008, Ty Segall ha i cassetti colmi di canzoni
gi pronte, e puntuale arriva il secondo album. Questa
volta John Dwyer dei Thee Oh Sees a notarlo e pro-
durre il disco omonimo, Ty Segall, per la personale Ca-
stle Face. Le cose girano subito a dovere: lapproccio do
it yourself ha fnalmente una logica, un fascino, cos il
nostro pu iniziare a esplorare con pi dedizione anche
la fase di scrittura, subendo in prima istanza linfuenza
sixties di Sonics, Beatles, Tyrannosaurus Rex, e poi la-
sciandosi andare al primo episodio acustico, An ill Jest,
e qualche infuenza blues riciclata dai Black Keys come
Dont do it, anticipando, tra laltro, lhipsteria di Lonely Boy
con il pi o meno ufciale video di So Alone.
A questo punto, lagenda degli avvenimenti si intensif-
ca. Segall si sposta a San Francisco, citt fondamentale
per la crescita del ragazzo che salda nuove e vecchie
amicizie con varie collaborazioni, prima su tutte un 7?
con Thee Oh Sees e una ottima cassetta con Mikal Cro-
nin, Reverse Shark Attack, prodotta da Kill Shaman e
probabilmente uno dei lavori pi interessanti del suo
2009. Il disco, rumoroso e pieno di fuzz, da una parte af-
fna il gusto sixities, dallaltra prova a esplorare i territori
che potrebbero essere di un Beefhearto dei Mothers of
invention, specie nei dieci minuti fnali di Reverse Shark
Attack. La prova fa da contraltare al terzo disco solista,
Lemons, uscito qualche settimana prima su Goner re-
cords, lavoro che rappresenta invece il momento pi
pop della sua discografa, se vogliamo, il momento in
cui sinizia a parlare di Ty come di un nuovo Jay Reatard
(vedi It #1ma soprattuttoCents). Dodici canzoni strofa
ritornello della durata media di due minuti, in cui luni-
ca novit rilevante dal punto di vista musicale ancora
linfuenza del Capitano in un paio di tracce, In your car
e la cover omaggio di Drop out Boogie, tutto comunque
ricondotto ai classici binari garage.
Arriviamo cos al 2010, a Melted, il quarto disco solista in
due anni. Un ritorno allapproccio ruvido e fuzzato degli
esordi. Tornano i Beatles di Rubber Soul, ancora mas-
sacrati da distorsioni di ogni tipo e sommersi in un mare
di psichedelia che ogni tanto sfocia nella paranoia dei
Thee Oh Sees (Finger) ma, pi spesso, fnisce in territori
psych pop (Alone), passando quasi per casa Ariel Pink
(Mike Ds coke). Non un cambiamento sostanziale, ma il
songwriting viene fuori con pi personalit: la questione
non riguarda pi la riproduzione del modello sixties, ma
la ricerca di una chiave di lettura personale. La cosa fun-
ziona, il disco piace tanto al pubblico quanto alla critica,
e il ragazzo comincia ad essere chiamato con insistenza
nel panorama underground americano (e non solo).
La frenesia di Segall aumenta di conseguenza: si cimen-
ta alla corte dei Sic Alps e intensifca lattivit dal vivo
scalpitando tra i palchi di mezza America, aumentando
la forza durto live e lasciando alle registrazioni in stu-
dio il compito meticoloso di ricreare una grana sonora
adatta al proprio sound. Da questa ricerca nasce Goo-
dbye Bread, il disco che lo consacra anche in Europa,
una summa di quello che stato, quasi a chiudere un
capitolo di vita musicale. Ty prende casa presso la pre-
stigiosa Drag City, la pi lesta a metterlo sotto contratto
per un nuovo disco, ovviamente senza contare i soliti 7?
seminati in giro ancora una volta con Thee Oh Sees e
poi con Jef the Brotherhood. Si abbassano i volumi e
le distorsioni ma dentro centra tutto il mondo made in
Segall dei vari Reatard, Strage Boys, The Standelles ma
anche, a conti fatti, il suo modo garagista di frullare pop,
psichedelia e good vibes. E il disco pi lento dellintera
carrira, con molte ballads elettrifcate, lincedere della
batteriain costante downtempo e pi spazio alla voce,
che arriva fnalmente in chiaro. SeMelted era un disco
con pi idee, Goodbye bread lo sdogana ed anche
tempo di prendersi una meritata pausa. Nel 2011 si con-
ta solo un tour accompagnato dai Feeling of love con cui
Ty incide un 7?per Permanent Records. Il resto invece
storia di questanno.
Il ragazzo ritorna in pista con due album. Hair, in col-
laborazione con il losangelino White Fence (nessuna
novit: la valigia garage sixties con un pizzico di paisley
underground) e Slaughterhouse, un disco che il disco,
quello giusto. Conferma ad altissimi livelli di un perso-
naggio che ora pu confrontandosi sia con il protopunk
di Stooges, Mc5 sia con il progressive, che ora si frma
Ty Segall Band mettendo in ragione sociale la famiglia
damici con i quali partito da Laguna Beach.
In soli sei anni, il (quasi) venticinquenne Ty Segall di-
ventato pi di un culto. E gi una star.
STEFANO GAZ
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I Bear In Heaven negli Stati Uniti spopolano: oltre 200
date a seguire il disco della ribalta Beast Rest Forth Mouth,
tutte sold out. Il successo italiano invece tutto da co-
struire. La band resta un hype indie e nulla pi, nono-
stante che Beast Rest Forth Mouth e il recentissimo I Love
You, It?s Cool siano dischi pi che solidi e con tanto di
blogosfera al seguito. Abbiamo raggiunto telefonica-
mente il bassista e chitarrista della band Adam Wills, per
approfondire il quadro attuale di una formazione che
proprio in questi giorni in Italia per la promozione di
un ultimo album caratterizzato da valanghe di turbinanti
synth, psichedelia e stravaganze, cultura dello spazio e
del dancefoor. Siamo sempre in zona 80s ma con un
colto taglio revisionista.
Potresti dirci della storia che sta dietro al titolo del
vostro ultimo album, I Love You, It?s Cool? Ne ho tro-
vate diferenti versioni online. Sono piuttosto sicuro
che sia coinvolto il vostro ex compagno di band Sa-
dek Bazarra...
Adam Wills: Quando devi dare un nome a un disco, il
suo titolo o ti viene immediatamente o hai da lottarci
un po?. Sadek, che era con noi da tanti anni, ha lasciato
la band subito dopo il disco precedente (Beast Rest Forth
Mouth, ndr). fnito per ritrovarsi troppo impegnato e
ha altri suoi progetti in corso, ma resta parte dei Bear In
Heaven in molti sensi. Ha realizzato la cover, il design
del nuovo album ed il merchandise. passato in studio
una notte e ha lasciato a John (Philpot) e Joe (Stickney)
un paio di note nascondendole sotto i loro strumenti:
una di queste recitava ?I love you, it?s cool?. All?epoca
stavamo lavorando davvero troppo, scrivendo troppo
ed eravamo tutti ultra-stressati, persino vicini al sentirci
addirittura stanchi di stare in una band. Quella nota ri-
suon per noi anche a livello emozionale. Ci siamo messi
quindi a dircelo a vicenda di continuo, fno a chiamare
cos anche il disco.
Sempre a proposito della fuoriuscita di Sadek: come
ha infuenzato le dinamiche della band?
AW: Ha cambiato le nostre dinamiche in positivo. Come
abbiamo detto, Sadek balzato fuori dalla band giusto
prima che partissimo per il tour dello scorso disco. Ci ha
costretti a trovare il modo di suonare dal vivo come trio
un disco che testimoniava quattro persone. Non aveva-
mo soldi per assumere un turnista e abbiamo quindi do-
BEAR
IN HEAVEN
Watch The Drone
Dai cambi di lineup alle bizzarre mosse anti-promozionali, dalle arti visive
al bel I Love You, Its Cool, ultimo album della band.
Due chiacchiere con Adam Wills
MGripi
7
vuto imparare un mucchio di nuovi trick durante il tour.
Questi hanno fnito per infuenzare ci che facciamo ora
in pi d?una maniera.
Avete rallentato lo streaming ufciale di I Love You,
It?s Cool del 400,000%, dandogli un ciclo vitale di
2700 ore. Quale stata la motivazione dietro a que-
sta strategia? Volevate semplicemente provocare,
stata una mossa in risposta al leak precoce subto dal
disco o intendevate indicare o criticare altro?
AW: Provocare era decisamente secondario. Puoi vederla
in altro modo e a me starebbe bene, ma amiamo la mu-
sica ambient e quel che mi stavo chiedendo era come
fare a realizzare una versione ambient del disco. Mi sa-
rei efettivamente fermato a scriverne una, ma stavamo
fnendo sia il tempo che il denaro. Il slowed-down stre-
aming era un?idea ludica completamente realizzabile,
per cui siamo andati avanti con quella. Alcune persone
hanno pensato fosse arte, come pensiamo anche noi,
altri ci hanno visto una critica all?industria musicale e
altre cose ancora. Resta musica prima di tutto.
Mettete anche in vendita un ?super-deluxe
bundle?da 350$ che include un disco rigido conte-
nente tutte le 2,700 ore del drone...
AW: S, e abbiamo pure piccole chiavette USB contenenti
ognuna cinque ore di una sezione casuale del drone.
(ride)
La mia ipotesi riguardo al messaggio dietro allo stre-
aming rallentato prendeva in considerazione una
metafora della natura grower dell?album. Vedo in-
fatti I Love You, It?s Cool come un disco pi ambizioso
del precedente Beast Rest Forth Mouth, un disco che
funziona al meglio come entit intera piuttosto che
colpire immediatamente con forze singole. Da qui la
mia domanda: era questo ci a cui volevate punta-
re? Avete deliberatamente evitato singoli istantanei
quali erano Wholehearted Mess o Lovesick Teenager
per raggiungere questo obbiettivo?
AW: Per quanto ci riguarda siamo soliti ascoltare i dischi
dall?inizio alla fne. Siamo per pure DJ e quindi com-
prendiamo perfettamente l?importanza di un hit single.
Quando sei intento a fare un disco vorresti realizzare en-
trambi ed efettivamente avevamo entrambe le cose in
mente. Certo per che fare un disco da mettere su e
da ascoltare per intero prima di passare all?artista suc-
cessivo, era comunque il nostro obbiettivo principale.
Sono interessato al vostro processo compositivo: ho
letto che perlopi sottrattivo. Potresti spiegare?
AW: S, la sua parte maggiore sottrattiva e abbiamo
usato tantissimo questo metodo di lavoro per I Love
You, It?s Cool. Nello spazio dove lavoriamo abbiamo
la possibilit di scrivere e registrare musica contempo-
raneamente. Funziona cos per ogni pezzo: John porta
50/60 parti di synth, io altre 40 bassline diverse e poi la-
voriamo all?indietro: muta questa layer, fltra quest?altro,
riascolta e eventualmente riparti, togli altro, fltra ancora
e cos via.
So che tu e John avete fatto anche qualche lavoro di
video-editing in passato. Continuate a lavorare an-
cora su questo genere di cose?
AW: L?editing una grossa parte di me e John. Io l?ho
studiato a scuola e John ha lavorato come flm-maker
per pi di una decade. L?essere musicisti a tempo pieno
arrivato come una enorme sorpresa per tutti noi, non
qualcosa a cui abbiamo sempre aspirato. La musica era
pi che altro un hobby, una passione che portavamo
avanti. Per cui sono certo che torneremo all?editing, a
un certo punto.
Dimmi anche degli aspetti visivi di uno show dei Bear
In Heaven. Usate multimedia anche durante i vostri
concerti?
AW: S. Ci preoccupiamo degli aspetti visivi di ogni cosa.
Forse non quanto ci preoccupiamo della musica, ma
vengono comunque immediatamente dopo. Lavoriamo
davvero duro per rendere i nostri concerti anche una
personale esperienza visiva. Abbiamo quindi assunto
un paio di amici a lavorare sulla programmazione e la
sincronizzazione dei light-shows. Al momento stanno
combattendo con qualche power issue tutto europeo:
nel giro di due show abbiamo gi fatto saltare le centra-
line di due location. Spero ci sia qualcuno pronto a tutto
questo in Italia... (ride)
Avete appena terminato il vostro tour negli Stati Uni-
ti con Blouse e Doldrums. Conosciamo tutti i Blouse
ma... potresti introdurci a Doldrums?
AW: Doldrums sbalorditivo. Non c nemmeno bisogno
che sia io a presentarvelo: ne sentirete parlare senz?altro
nei prossimi sei mesi. Ad ogni modo, Doldrums suona
dal vivo con suo fratello e un altro ragazzo e fa musica
come nessun altro in questo momento. Sai, noi sceglia-
mo davvero minuziosamente le band che ci accompa-
gnano in tour e questo non solo perch ci interessa che
abbiano musicalmente senso accanto a noi, ma anche
perch vogliamo assistere alle loro performance ogni
singola notte. Ebbene, Doldrums lungo sei settimane
di tour, non ha mai replicato lo stesso set. genuino e
originale, mi aspetto davvero grandi cose per lui.
MASSIMO RANCATI
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Strani intrecci si verifcano a volte dietro la consolle. Per-
sonaggi provenienti da percorsi e contesti diversissimi,
luno accanto allaltro rivolti allo stesso pubblico, per tra-
smettere le stesse sensazioni liberatorie gettando nella
mischia qualsiasi stile/pezzo/mood capiti a tiro, seppur
in modi diversi tra loro. cos che presumibilmente an-
dr il 9 Giugno per i festeggiamenti dei 5 anni di attivit
di Trash-Dance, la serata elettronica vicentina appena re-
duce dalla spettacolare serata con Rustie e Nightwave,
di cui vi abbiamo raccontato di persona.
Protagonista stavolta sar una scuderia di personaggi
femminili dal carattere diferente: Monki, 19 anni, londi-
nese, gi con una sua etichetta (la Zoo Music), la ragaz-
zina terribile che in soli due anni passata dallanonima-
NGUZUNGUZU, MONKI
DJing without limits
Monki da Rinse FM, Nguzunguzu dal producing pi arty, personaggi di diversa
estrazione si incontrano alla consolle dopo unesperienza comune: il supporto
a grandi tour accanto a M.I.A. e Katy B.
9
to alla Rinse FM, dove al momento ha una fnestra fssa
settimanale, il mercoled pomeriggio; e Nguzunguzu,
linaferrabile coppia di producers statunitensi che ne-
gli ultimi due anni sta facendo colpo in diverse riviste
specializzate per le loro afascinanti produzioni a base
di ritmi sghembi, spazi emozionanti e oscurit assortite.
Della prima sotto gli occhi di tutti lebbrezza dei suoi dj-
set, riscontrabile in uno qualsiasi dei dj-mix che circolano
in rete, sempre coi piedi ben piantati nei meccanismi
house ma ricca di svariati spunti euforici che coinvolgo-
no tutto quel che di divertente e irriverente pu essere
abbinato ai 4/4. Per farvene unidea, vi consigliamo pro-
prio il podcast Rinse di Maggio, che ben rappresenta le
smanie bass, funky e mainstream della ragazza. I secondi
invece si fanno notare per una serie di EP pubblicati dal
2010 ad oggi, capaci di ogni sorta di salto stilistico, dalla
soft techno ipnotica di Mirage al bass-dubstep di Got
U, dalla frenetica tech-house tribale di Unfold alla pi
recente piega thrilling suggestiva di Wake Sleep. Senza
dimenticare che Dj Asma, met del duo, anche abile
ed eclettica DJ: la prova? Scopritela da soli nello show
per Red Bull Music Academy.
Caratteristiche diferenti eppure una grande esperienza
in comune, quella di supporto al tour di due delle star
pi chiacchierate della dance-mainstream di oggi: Monki
ha fatto da opening DJ per i concerti di Katy B, Dj Asma
invece per quelli di M.I.A. Abbiam chiesto anche di que-
so alle due protagoniste, oltre a farci raccontare lessenza
dei loro stili e del loro carattere. Ecco a voi le loro parole
esclusive per SA.
A proposito: quella sera sar presente anche un altro
personaggio di lusso: Roses Gabor. Ma questa tutta
unaltra storia...
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l
p
luglio/agosto
AGATA & ME - THERE ARE SONGS ABOUT YOU
(SOPA, GIUGNO 2012)
GENERE: EMO FOLK
Quattro anni fa cintrigarono con lep Overnite, folk sul
punto di farsi -tronica con evidenti contagi dreamy, il
potenziale evocativo inversamente proporzionale alla
quantit di ingredienti messi sul piatto, le voci intense
e sfuggenti al servizio di costrutti melodici giocati sul
flo tra apprensione e trasporto. Proposta minimale e
suggestiva, cos come poche erano (sono) le notizie su
di loro, tuttavia particolari: lei siciliana - Agata Foti - e
lui bosniaco - Emir Pasic - a tramare lintesa artistica in
quel di Nstved, quarantamila anime (fonte Wikipedia)
ad unora da Copenhagen, nella diversamente dinamica
Danimarca.
Li ritroviamo oggi con un album che espande quel mini
mettendo in fla quattordici tracce, sempre nel segno di
quella concisione trepida, di quel magnetismo onirico,
scorie wave e slarghi cameristici come fantasmi sonori
dalla stanza accanto, dove saccendono acquerelli Mm
via Notwist (City), suggestioni Mark Hollis con fregole
Rachels (Herself) o calde paturnie Elbow (lincalzante
Mirror). La scrittura procede per poche ma dense idee da
far sbocciare con le attenzioni del caso, vedi la tensione
rappresa di We Choke (il banjo e un accenno di fauto),
Wrong Way (alla chitarra risponde dimprovviso un vibra-
fono piovuto dal pianeta delle palpitazioni giocattolo)
e A While Ago (una brezza darchi in mezzo al languore
folk).
In un paio di casi canta Emir con voce empaticamente
problematica (come un cugino basale di Guy Garvey),
mentre Agata una Sinead OConnor dalle inquietu-
dini rabbonite (la toccante Let Go), una Nina Nastasia
disposta a concedersi in close up (Fork, Camoufage). Hai
limpressione che si muovano in una prospettiva deflata,
che il loro percorso sia destinato a svolgersi periferico,
e che tutto ci sia un bene perch magari consentir
loro - se vorranno - di salvaguardare quella che oggi ap-
pare come una torbida, struggente purezza. Cos rara
da incontrare.
(7.2/10)
STEFANO SOLVENTI
ALTERA - ITALIA SVEGLIA! (PRODUZIONI DAL
BASSO, GIUGNO 2012)
GENERE: ROCK DAUTORE
La fnalit encomiabile: creare un progetto discografco
che funga da manifesto dellItalia degli ultimi ventanni
e quindi, implicitamente, metta in guardia il futuro dagli
errori del passato. Il paese descritto ovviamente quello
berlusconiano, in un excursus che - come da note ripor-
tate sul booklet - denuncia una ad una le aberrazioni di
un regime costruito e foraggiato dalla televisione: dalla
promessa del milione di posti di lavoro mai mantenuta
agli scandali legati al terremoto dellAquila, dalle leggi
ad personam ai conflitti di interesse, dalla licenziosit
festaiola alla corruzione. Il tutto in unottica barricadera
che vorrebbe risvegliare le coscienze - emblematico, a
tal proposito, il sottotitolo del disco Note per destare un
paese - ma fnisce, invece, per suonare retorica. Quasi si
trattasse di una serie di istruzioni per luso o di un ma-
nifesto programmatico, pi che di una poetica musicale
vera e propria.
Quel che importa la linearit del messaggio, insom-
ma, e pazienza se per veicolarlo ci si deve afdare a un
rock in italiano in stile Timoria / Liftiba (la title track),
a qualche spoken word che sembra richiamare forma-
zioni come gli Ultimo Attuale Corpo Sonorosenza
eguagliarne lintensit(la parte iniziale di Mi hanno ru-
bato il prete, brano dedicato a Don Gallo) o a certi toni
evocativi generalisti alla U2 (La Bandiera). Ne vien fuori
un citazionismo freddo - testi come hai timore dello
straniero / anche del buio e del lavoro nero / hai timore
del precariato / di restare disoccupato non aiutano - che
sa di ideologia spicciola e di luoghi comuni, abile nel
non tralasciare particolari scabrosi di un ventennio di-
sastroso ma non abbastanza a fuoco per trasformarli in
una formula convincente.
(5/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
AMAVO - GRACEFOOL (FROMSCRATCH, APRILE
2012)
GENERE: POST MATH
Erano quattro anni ormai che non si avevano pi notizie
discografche delle Amavo, rimaste al palo con il buon
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A PLACE TO BURY STRANGERS - WORSHIP (DEAD OCEANS, GIUGNO 2012)
GENERE: SHOEGAZE NOISE
Non c una-nota-una che sia originale nel nuovo album degli A Place To Bury Strangers.
Eppure non c una nota che sia una fuori posto. Contraddizioni? Confusione? Caldo
che da alla testa? No, semplice dato di fatto.
Tutte le note suonate nelle 11 tracce che compongono latteso comeback del trio new-
yorchese hanno al loro interno rimandi, citazioni, intuizioni che chi mastica un minino
di rock rumoroso non potr non riconoscere. Eppure, la sapienza con la quale il terzetto
newyorchese ha saputo introiettare quel background fatto di chitarre rumorose, ritmi
medi, indolenza vocale e montante feedback ha un suo fascino e soprattutto un suo
perch.
Le avvisaglie ce le avevano mostrate le prove precedenti, con un crescendo qualitativo che ci mostrava come via
via la Ackerman family si distaccasse progressivamente dai clich di genere per mostrare una personalit sempre
crescente. Ora Worship , a tutti gli efetti, il capolavoro degli APTBS e forse la cartina al tornasole per tutto il (semi)
revival shoegaze: basta violenza shock e maggiore attenzione alla forma canzone, ok i noti punti di riferimento ma
sotto con una via sempre pi personale alla interpretazione.
Worship, nomen omen rivolto alle generazioni presenti e future di rock addicted, un concentrato di bellezza in
eccellente equilibrio, in cui il caratteristico wall of sound dei tre smorzato per lasciare spazio ad una maturit che
difcilmente ci saremmo aspettati da coloro che consideravamo solo dei patologici shoegaze/feedback addice o
al limite epigoni dalto livello.
Tra post-punk militante (Fear, Why Cant I Cry Anymore), aggressivit di spie al rosso (Revenge), clangori industriali
dolci come fele (Alone), ruvidezze alla ges&maria (Mind Control) vengono incastonati due o tre pezzi che si di-
staccano dalle asperit ben disseminate lungo tutto il resto dellalbum: Dissolved, And Im Up e Slide mettono la
melodia dinanzi al rumore, senza perdere in ossessivit e di volta in volta dolcezza, cupezza, astrazione. Riesumano
la wave, scontornano il rumore, rivitalizzano il rock e portano nuova linfa ad alberi vecchi.
S, si dir che tutto gi risentito, noto, metabolizzato, ma non si potr assolutamente negare che nel percorso
interno della band Worship non sia dimostrazione di una evidente crescita. E poi, come dicevamo in apertura, non
c una nota che sia una fuori posto e tanto pu bastare.
(7.3/10)
STEFANO PIFFERI
math rock di HappyMess. Ed proprio da l che il duo
veneto composto da Anna Lot e Silvia Lovo riparte, da
quelle geometrie schizofreniche e asincrone che poi il
suo marchio di fabbrica.
Stavolta per il risultato fa un passo ulteriore, e pi che
altro un discorso di personalit e immediatezza. Cer-
to c il synth che entra a far parte delle composizioni
e il suono si arricchisce, ma soprattutto la forma ad
essere pi concreta, perdendo qualcosa sul versante
free ma guadagnando in compattezza e slancio. E uno
schema volutamente ripetitivo e martellante quello
delle otto tracce di Gracefool, un ronzio continuo al
cervello inoculato dalle chitarre grezze e ruvide della
Lovo, sempre pronte a spaziare tra noise e no wave.
Un bel sentire insomma, specie quando arriva il sin-
golo Jello(per chi ha gli occhialini c anche il video in
versione 3d), la vorticosa e claudicante For Commons
Sense Is Not So Commonpi la sbronza in paranoia di
Vinaccia. Avanti cos.
(7/10)
STEFANO GAZ
ANTONY AND THE JOHNSONS - CUT THE WORLD
(ROUGH TRADE, AGOSTO 2012)
GENERE: ART POP ROCK
Di Antony Hegarty conosciamo bene ormai il mistero lu-
minoso, il romanticismo transgender condotto sul flo di
un impressionismo struggente, prima teatrale che cine-
matico, come una frontiera spirituale che esiste discreta
e formidabile. Queer e asceta dal crooning angelico, non
ha fatto fatica a farsi apprezzare dai grandi del pop rock
come il suo mentore Lou Reed e la ex-folletta Bjrk, che
lo hanno utilizzato come guest star deccezione, fnendo
per cucirgli addosso loro malgrado una ingrata sagoma
MGripi
84
da freak ultraterreno. Il buon Antony ha comunque sa-
puto mettere assieme una discografa formalmente e
poeticamente rigorosa, quattro album allinsegna di un
art-pop cameristico punteggiato da intuizioni melodi-
che - e relative interpretazioni - straordinarie.
Con Cut The World arrivato il momento di fare anto-
logia e nel modo migliore, proponendo una selezione
di dieci tracce eseguite live in quel di Copenhagen con
lapporto della Danish National Chamber Orchestra su
arrangiamenti dei sodali Rob Moose (gi al lavoro con
Ryuichi Sakamoto e Sufjan Stevens), Maxim Moston
(David Byrne, Dave Gahan...), del giovane lanciatissimo
prodigio Nico Muhly e dello stesso Antony. Il risulta-
to splendido, intenso, sontuosamente sobrio. La sola
Cripple And the Starfsh con le sue vampe accorate vale
il prezzo del biglietto, ma lo sdilinquimento lunare di
The Crying Light ed il crescendo emotivo di Epilepsy Is
Dancing non sono da meno, per non tacere della gravit
agrodolce di Another World e del gospel angelicato di
Swanlights. Completano loperazione linedita title track,
dal lirismo quasi muscolare, e lo speaking programma-
tico di Future Femminism, tanto per ribadire con che
persona(ggio) abbiamo a che fare.
Se pu sembrare unostentazione estetica eccessiva, un
esercizio di rafnatezza camp per costruirsi una colloca-
zione espressiva peculiare s ma artefatta, vero altres
che fatichi ad immaginare un abito migliore per queste
tracce, sensazione simile a quella provata in occasione
dellottimo Composed di Jehrek Bischof. Due indizi
che non fanno certo una prova: solo con una cospicua
dose di faciloneria potremmo azzardarci a sostenere che
classic is the new loud. In ogni caso, staremo a sentire.
Come sempre.
(7.1/10)
STEFANO SOLVENTI
ATARI/DRINK TO ME/CASA DEL MIRTO/
ESPERANZA - RMXS (UNHIP RECORDS, GIUGNO
2012)
GENERE: INDIETRONICA
S stato un buonissimo disco di indie italiano, che ha
ottenuto consensi anche fuori dalla penisola. Il suo mix
di electro e indie ha visto bene tra le pieghe dello zei-
tgeist musicale contemporaneo, mixando sapientemen-
te ingredienti che potremmo con una formula defnire
le principali estetiche musicali anni zero: tastiere post-
Animal Collective, sentimenti di nostalgia e un pizzico
di DIY.
Oggi la Unhip rilascia solo per gli abbonati questo EP
di remix della band di Torino. In fla per ripensare le
tracce abbiamo i Silent Panda | Deadly Panda (proget-
to electro di Luca G. dei Julies Haircut) che cura una
versione Tarwateriana di Space, tutta echi e riverberi
glo, i Casa del Mirto che rivedono Picture Of The Sun
e ricordano lo scazzo slacker mescolato alle estati del
synth-glo di Washed Out. C poi Dariella degli Ama-
ri sotto il moniker Bunuels Sound Of The Wall che
ripensa Henry Miller con chitarrine la Peter Gabriel e
la solita maestria di taglio che in un crescendo guarda
sia allo UK Bass che a Four Tet. Per chiudere gli Espe-
ranza in fssa synth pop warpiano su Future Days (uno
dei pezzi migliori del disco) e gli Atari che rivedono
Disaster Area con tastierine ed efetti che ricordano i
Suicide senza punkness.
Un buon invito per lestate a proporre i pezzi dei Drink
To Me anche sul dancefoor e una riconferma della loro
eterogeneit, aperta a pi fronti. Non solo palco, anche
pista.
(7.1/10)
MARCO BRAGGION
BEAK - >> (INVADA, GIUGNO 2012)
GENERE: PSYCH MOTORIK
Geof Barrow sembra mantenere la posizione, con il mo-
niker Beak>, che aveva proposto con lesordio del 2009.
Il secondo episodio unaltra profonda rifessione per
strutture sullinerzia della ritmica tedesca di provenienza
krauta dentro lelettrorock odierno. Nel loro viaggio, i
Beak di >> vanno ancor pi a ritroso ed entrano nelle
macchine morbide - o nelle accoglienti sabbie mobili
- della psichedelia dei tardi anni Sessanta, quella pi
distante dallacid-rock tradizionale, e pi orientata al
viaggio tramite la pulsazione.
Spinning Top trova cos una sovrapposizione utile con i
Silver Apples, e da l il disco intreccia numerosi anel-
li di congiunzione tra Simeon Coxe e Danny Taylor e i
Neu!. Il rif mediorientale al ralenti di Wulfstan II (dal
nome di un vescovo inglese di Worcester degli anni mil-
le) suona allorecchio dellascoltatore italiano come una
reminiscenza diretta di Punk Islam dei CCCP. Nessunal-
tra analogia, se non lincaponimento sulla ripetizione
paranoica, del resto tratto essenziale della pratica mo-
torik tutta. Anzi, superata la rima, si procede, nella lunga
suite, verso le lande dei Pink Floyd da poco orfani di
Syd Barrett, e si potrebbe essere tanto a Beirut quanto
a Pompei. Oppure nelle esplorazioni ascendenti delle
canzoni psichedeliche alla Mushroom di Tago Mago
(Elevator).
Il motorik una delle invenzioni della musica pop pi
geniali e infuenti di sempre. un pattern tanto sem-
plice quanto ricco. Barrow, che delle formule semplici
portate alle conseguenze pi complesse e accessibili
85
ALEX NIGGEMANN - PARANOID FUNK (POKER FLAT, MAGGIO 2012)
GENERE: HOUSE
Fai tanto parlare di Jamie Jones come il talento house assoluto, quello che sa raggiun-
gere la forma pi coinvolgente e rigorosa del genere, ma di fatto, nelle due occasioni
avute per sfoderare il disco house defnitivo per gli anni 10 (Dont You Remember
The Future e il Tracks From The Crypt in uscita), il pupillo di Crosstown ha solo dise-
gnato un suo percorso personale, niente che avesse la validit in senso assoluto che
ci si aspettava. Ora che invece arriva il debutto in lunga distanza di Alex Niggemann
(stesso percorso artistico di Jones solo su etichette meno blasonate e lontane dalla
Londra che conta), ti vien naturale fare paragoni, e ci metti poco a capire qual il lavoro
di mestiere e qual lalbum di qualit superiore.
Paranoid Funk ha tutto quello che la house deve avere oggi: il groove deep killer che fa da assist al disagio soul
(Dont Wait), lintransigente circolarit che non sente cali dattenzione (non coi sample e i pattern ritmici di The
Sweetest Thing), i tempi e le consistenze del clubbing tech-house ma senza barriere allingresso (Curious), laggancio
alla durezza techno che non guasta (Easy Love, I Dont Care), il basso assassino che tira fuori il meglio dellimpianto
audio (That Is...!?), a tratti persino un certo candore melodico che guarda alla space (Come Into My World). Pi in
generale, c unarmonia degli elementi che mette tutto sotto la luce giusta, senza forzare la mano (non ce n bi-
sogno: in fondo old school) ma lavorando sulla semplicit degli attori (voce e cassa su tutti, vedi lo splendore di
una Lovers) e sulle loro afnit elettive.
Non un capello fuori posto, nessuna sbavatura: ogni cosa ha il giusto spazio e sa soddisfare tutti i tipi di sensibilit
house a portata di mano, da quella di sentimento alla pi muscolare. Disco senza colpi epocali ma praticamente
perfetto, di quella perfezione che viene raggiunta solo da chi punta tutto sulla solidit delle forme. Un certo Paul
Kalkbrenner ha fatto qualcosa di simile lanno scorso, lato techno, ma Niggemann ha il vantaggio di non avere
paragoni ingombranti che vengono dal proprio passato. E quel tocco fresco e spigliato che pu avere solo la nuova
generazione.
(7.3/10)
CARLO AFFATIGATO
maestro (i suoi Portishead ce lo testimoniano con for-
za), ne ha capito e carpito lenorme potenziale. Basta ag-
giungere qualche variante e il gioco fatto - anche sulla
lentezza, e sullutilizzo della voce che canta un mantra
nella bellissima Deserters, tanto aliena da s che quasi ci
porta dentro Above dei Mad Season. Ma, soprattutto,
capito il gioco, Barrow sa come non rimanere imbriglia-
to, e tornare nellintensit pi catarticamente rock della
fnale Kidney. Un ponte verso qualcosa che vorremmo
ascoltare subito.
(7.2/10)
GASPARE CALIRI
BEE AND FLOWER - SUSPENSION (CHEAP
SATANISM, APRILE 2012)
GENERE: NOIR POP
Bee And Flower: una carriera iniziata pi di dieci anni fa
a New York, frammentata e caratterizzata dalle tempisti-
che dilatate dettate anche da spostamenti tra la Gran-
de Mela e Berlino. Esordio nel 2003 con Whats Mine Is
Yours, a cui fece seguito quattro anni dopo linterlocuto-
rio Last Sight of Land; altri cinque lunghi anni dattesa
- e ritorno a New York - per la pubblicazione via Cheap
Satanism del terzo lavoro Suspension.
Dana Schechter (voce e basso) e Roderick Miller (tastie-
re) plasmano ancora una volta quel suono che evoca
atmosfere fumose da pianobar di classe, sorretto da
arrangiamenti sinuosi e delicati di archi (Jon Petrow) e
varianti chitarristiche (Lynn Wright) che si insinuano tra
le accoglienti trame (In The Dawn and Dusk).
La voce di Dana - tra le fla anche del progetto anni zero
di Michael Gira, Angels of Light- riesce a veleggiare
costantemente su tappeti noir, su uno slow-folk oscuro
alla Nina Nastasia e su certe murder ballads (presen-
te Thomas Wydler dei Nick Cave and Bad Seeds) con
grande pulizia melodica, addentrandosi con eleganza
in temi come la solitudine.
Seriet, onest artistica e una buona scrittura riescono
a rendere comunque interessante un disco che oltre a
non portare grosse novit e a non intaccare il DNA della
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band, rischia di suonare leggermente sorpassato.
(6.5/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
BONNIE PRINCE BILLY - NOW HERES MY PLAN
(DOMINO, LUGLIO 2012)
GENERE: FOLK
Luomo del Kentuky non nuovo alla rilettura del pro-
prio repertorio, vedi il pi noto Sings Greatest Palace Mu-
sic del lontano 2004. Qui ci ricasca nella sintesi di un
EP di sei brani in occasione delluscita di una biografa
che va sotto il titolo di Will Oldham on Bonnie Prince
Billy. A dire che il gioco tra i moniker non si fermer qui.
Nonostante si tratti di un momento quasi di bilancio.
Oltre alla biografa, infatti, il 30 giugno saranno messe
in circolazione di alcune ristampe del catalogo Palace
Music. Insomma, si fa ordine: dovrebbe rimanere solo
la sigla Palace Music, lasciando da parte Palace Brothers
e Palace Songs.
Rispetto allepica della recente collaborazione con i
Trembling Bells, qui Oldham appare completamente
se stesso, a proprio agio oramai con una produzione
corposa e in grado di ricucirsela addosso sempre in
modo diverso. Come in quella I See A Darkness che fece
impazzire la critica nel 1999 e che diede la stura a lon-
data country/alt.country/folk che segu. Dopo la celebre
rinterpretazione di Jonnhy Cash, Oldham se la riprende
mettendola tutta in toni luminosi e allegri: si gioca per
contrasti leggeri, piuttosto che lasciare spazio a cupezze
da Uomo in Nero.
Prodotto da Steve Albini e suonato assieme alla backing
band che lo segue in tour da Wolfroy Goes to Town, pe-
sca dalla met degli anni Novanta fno a tempi contem-
poranei. Non aggiunge niente alla statura che Oldham
ha raggiunto, aumenta solamente la voglia di sentirlo
presto dal vivo, magari per scoprire se ha nuovamente
riarrangiato queste o altre canzoni.
(7/10)
MARCO BOSCOLO
CARMELO AMENTA - I GATTI SE NE FANNO UN
CAZZO DELLA TRIPPA (SEAHORSE RECORDINGS,
MAGGIO 2012)
GENERE: CANTAUTORATO
Musica ombrosa e scarnifcata: in una parola, blues. Car-
melo Amenta arriva allappuntamento con il secondo
disco rinnovando una scrittura che nellesordio Lerba
cattiva del 2010 aveva mostrato invece un efcace vena
elettrica, pur attratta dai signifcati profondi tipici del
cantautorato. Si sfronda idealmente il parco strumenti,
ci si attorciglia alle chitarre acustiche e ai toni intimisti,
si preferisce un cantato quasi sussurato eredit pesante
del Cesare Basile dellultimo periodo (Storia di Caino,
Sette pietre per tenere il Diavolo a bada) e che respiri un
po dappertutto: dallinizialeI gatti se ne fanno un cazzo
della trippa ai chiaroscuri da drumming spazzolato di
Frammenti, alla flastrocca di Per i vermi siamo tutti uguali.
Tanto che le parentesi pi intriganti fnoscono per es-
sere quelle che non ti aspetteresti: i Bachi da pietra di
un brano come Ciuf Ciuf, le declinazioni jazz di episodi
come Coriandoli e polvere, i suoni essenziali ma sognanti
di Aria.
Spaccati musicali obliqui, meno legati alle formule con-
solidate - a testimonianza, anche i cinque brani dellEP
allegato -, fgli di una strada personale che tende al mi-
nimalismo e alla fne convince. Rimane qualche dubbio
sui testi: meglio aveva fatto Lerba cattiva in termini di
essenzialit del messaggio e sviluppo. Qui si respira, in
qualche caso, uneccessiva verbosit - il confronto natu-
rale e inevitabile con la poetica tagliente di Basile non
aiuta - che cozza con le ruvidezze di una parte musicale,
invece, perfettamente a fuoco.
(6.5/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CAST OF CHEERS - FAMILY (SCHOOLBOY ERROR,
GIUGNO 2012)
GENERE: WAVE POP
Piccoli wavers irlandesi crescono. E il caso dei quattro
ragazzi che si propongono al mondo sotto la ragione
sociale di The Cast Of Cheers. Dopo un disco autopro-
dotto e difuso via bandcamp, ecco il primo lavoro pro-
fessionale della loro carriera. Lattesa dei media anglo-
sassoni stata stemperata da singoli come lipercinetico
e infarcito di chitarre wave Familye Animals, che hanno il
pregio di sembrare tagliati a modino per lairplay.
Lambizione quella di costruire un sound che concili
le chitarre secche e taglienti dei Gang Of Four e larty
rock dei Battles. Dei primi, per, non hanno unoncia
dellafato ideologico, dei secondi manca il cerebralismo
cubista. Siamo pi che altro di fronte a una versione pi
Futureheads dei Franz Ferdinand, tutti marcette e svi-
satone synth per darsi un contegno.
Nel complesso, per, bisogna riconoscere che il giocatto-
lo tutto sommato funziona. Nella totale derivativit della
proposta, a fare la diferenza qualche buona melodia
come Human Elevator, o il ritmo spezzato che avrebbe
fatto la fortuna di una band sgonfatasi come i Maxmo
Park di una Goose. Una volta avremmo detto college-
wave-pop.
(6.5/10)
MARCO BOSCOLO
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CHAINS OF LOVE - STRANGE GREY DAYS
(MANIMAL VINYL, GIUGNO 2012)
GENERE: GARAGE-SHOEGAZE
Tutto nasce nel Little Red Sound di Vancouver: Felix
Fung, chitarrista, produttore nonch proprietario dello
studio suddetto decide di mettere su una formazione al
femminile sul modello delle The Ronettes e chiama a
raccolta alla voce Nathalia Pizarro e alle armonie Rebecca
Marie Law Gray. In testa il Phil Spector dei ffties/sixties,
un asse ritmico in puro stile Motown (Steve Ferreira alla
batteria e Brian Nicol al basso, mentre alle tastiere c
Henry Beckwith) e unestetica aggiornata allhipsterismo
attuale. Fuor di metafora, i soliti The Jesus And Mary
Chains richiamati dagli echi clautrofobici del cantato,
dal beat ruvido ed essenziale, dalle chitarre sporche e
slabbrate. A fare da contorno una bruma psichedelica
rubata a certi sixties stoned - per intenderci, quelli delle
Electric Prunes di I Had Too Much To Dream Last Night o
del Kenny Rogers di Just Dropped In (To See What Condi-
tion My Condition Was In) -, ch se di retromania si deve
trattare, almeno sia di quella pi giocosa, riconoscibile
e popular.
Una volta identifcati gli antecedenti, il gioco dura giusto
il tempo di un paio di ascolti, tra lineluttabilit blues del
singolo Hes Leaving (With Me) e le Crystals richiamate da
All The Time. Un po perch la voce piuttosto monocorde
della Pizarro di soul non ha praticamente nulla, un po
perch tirando le somme, la formazione canadese si li-
mita alla didattica applicata. Tolta la fedelt didascalica ai
modelli, insomma, rimane ben poco: forse solo le atmo-
sfere dreamy di un pezzo come la title track. Tanto vale,
allora, recuperare gli originali, rinunciando alla coolness
un po posticcia tipica degli esperimenti da laboratorio.
(6.2/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CHEWING WITH GUSTO - CHEWING WITH GUSTO
VOL.1 (CWG RECORDINGS, APRILE 2012)
GENERE: ELECTRO-PSYCH
Italiani allestero che uniscono le forze? La storia simi-
ALT-J - AN AWESOME WAVE (INFECTIOUS, GIUGNO 2012)
GENERE: ALT-ART POP
Si chiamano Alt-J, ma potete chiamali anche ∆ - delta o triangolo se preferite - ovvero il simbolo che su
Mac il risultato della combinazione dei tasti Alt e J.
Gi dal nome chiaro che siamo di fronte ad una band che ragiona guardando avanti,
captando le microrivoluzioni concettuali della musica degli anni dieci: per entrare nel
cuore degli indie-kid ormai superfuo cercare lhit da indieclub, necessario piuttosto
ricercare e sperimentare senza perdere di vista la fruibilit del prodotto.
I banchi delluniversit di Leeds hanno fatto incontrare questi quattro ragazzi stanziati
a Cambridge che, dopo il promettente EP Matilda/Fitzpleasure, pubblicano il debut
An Awesome Wave su Infectious.
Con i Wild Beasts come padri tutelari, gli Alt-J mettono in scena un frullato incredibile
di infuenze che arrivano sia da Inghilterra che USA. Si potrebbe chiamare in causa la
presenza dei cori e di alcune armonie folkish dei Fleet Foxes - Bloodfood, Ms - scalfte da strofe soul-hop/white
r&b (Breezeblocks, Matilda... forse lapice melodico del disco), di synth-drop corposi (lo stacco di Fitzpleasure), di un
post-tutto con piccole dosi di elettronica a fare da collante, di saliscendi Everything Everything, senza per riuscire
a descrivere fedelmente quanto mettono in campo - con una sicurezza disarmante per una band al debutto - Joe
Newman e soci.
Proprio leccentrica vocalit di Joe Newman - da non escludere una futura carriera solista pop/soul - il valore ag-
giunto dellAlt-J sound, capace com di muoversi abilmente tra generi e tonalit diferenti e di arricchire ritmiche
arty fglie in parte dei Radiohead mid-00s.
Nonostante i riferimenti pi o meno velati (e probabilmente anche forzati), la proposta degli Alt-J suona gi oggi
unica, personale, difcilmente inquadrabile e allo stesso tempo ipoteticamente di successo. Simbiosi perfetta tra
sperimentazione e gusto pop, un concetto che in un mondo ideale sarebbe alla base della musica mainstream del
futuro (leggasi Grimes).
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
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le a quella di Walls/Banjo Or Freakout. I Chewing With
Gusto sono infatti il risultato dei Chewing Magnetic
Tape, siciliani - al secolo Fabrizio Bandini, Enzo Mazzu-
ca e Giovanni Romano - non nuovi a collaborazioni ad
ampio spettro (Fovea Hex, Graham Lewis degli Wire),
e Gusto Extermination Fluid, ovvero Paul Taylor, un
producer e musicista elettronico.
Fatte le dovute presentazioni, tanto difcile inquadra-
re lo spettro sonoro in cui si muovono i tre (+ uno) quan-
to facile lasciarsi trasportare da quello stesso flusso.
Esoterismo dark-psichedelico in battuta bassa, stando
allopener A Way (reminiscenze Coil e procedere malin-
conico) o a Zhoovo Loe Pt.2 (sorta di trip-hop infernale
da grey area impreziosito dal canto alieno di Zuki Ki).
Musica lenta e suadente come un montare di marea
ma il cui retrogusto industriale ed esoterico, misto alle
atmosfere notturne e pagane con cui Taylor ha ripen-
sato e rivestito alcune prove precedenti dei tre italiani
(la citata Zhoovo Loe, Section Dub e Sunset) e modellato
le nuove, assume quel senso di alienante alterit che
non stanca afatto.
Le derive post-techno-dub con voci subacquee di Soft-
core e le atmosfere dreamin malvagie di Lights reiterano
il processo di fusione tra composizione rock e rielabo-
razione elettronica, suonando stordenti per equilibrio
e fnalizzazione. Il romanticismo alieno della conclusiva
Sunset - una murder ballad trasposta sul lato oscuro del-
la Luna? - conclude un lavoro che sorprende e stordisce,
opera di una formazione di outsiders cui difcile dare
una collocazione. Sorprendere e spiazzare dopotutto
ci che si chiede oggigiorno.
(7.2/10)
STEFANO PIFFERI
CHRISTIAN ALATI - AN ELEPHANT INTO THIS
BUILDING (CANEBAGNATO, MAGGIO 2012)
GENERE: FOLK STRUMENTALE
La cosa pi difcile, in dischi strumentali come questo,
evitare di trasformarli in una dimostrazione di auti-
smo autorizzata dalla necessit di provare a s stessi
le proprie virt solistiche. Per fortuna non il caso di
Christian Alati, uno che fn qui ha realizzato ottimi la-
vori con Don Quibl, suona nei Gatto Ciliegia contro
il grande freddo e scrive colonne sonore.
Ecco spiegata, allora, la capacit di far interagire tutti
gli strumenti coinvolti in An Elephant Into This Building
nella maniera migliore, pur partendo dalla chitarra acu-
stica: una visione musicale comunque ad ampio raggio
messa in pratica grazie a un disco che unisce approccio
roots (evidente anche nella title-track) e aromi folktro-
nici artigianali (riposta in un angolo lelettronica, brani
come Where Is The Turntable, Nine Billion Marks o Auto-
matically In The Water Now sopperiscono con una se-
rie di automatismi tra batteria, pianoforte e sei corde
che richiamano, comunque, quellimmaginario). Suoni
spaziosi, puliti, perfettamente miscelati e in bilico tra
tradizione americana (Cathodic Resistance scoperchia un
blues ripetitivo e allungato) e modernit di approccio (i
contributi concreti alla voce), capaci di creare itinerari
melodici ben riconoscibili e quasi narrativi. Materiale
che con il passare degli ascolti, guadagna in spessore
e credibilit.
Il disco lo trovate in free download - per il formato digi-
tale - nella pagina Bandcamp delletichetta(e tempora-
neamente qui sotto), ma il consiglio di procurarselo in
formato fsico, non fossaltro per i bei disegni di Caterina
Pinto.
(6.9/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CORPUS CHRISTI - II (JEETKUNE, FEBBRAIO
2012)
GENERE: PREWAR FOLK
E un gran bel lavoro questo II dei Corpus Christi, al se-
colo Cristina dei Capputtini I Lignu, Tina degli Intellec-
tuals e il banjoista americano Sam Crawford. Il motivo
semplice: II un disco che parla di e con il linguaggio
prewar americano (sui generis dellantologia di Harry
Smith) ma capace anche di raccontare qualcosa di
diverso, ovvero quel senso di vuoto e perdita legato alla
tradizione che a partire dai racconti di Raymond Carver
- non per niente citati nel booklet - arriva dritto dritto
ai giorni nostri.
E cos alle giornate passate tra bivacchi e fal si aggiun-
ge inevitabilmente una componente noir, ed un qual-
cosa che afascina: basta un kazoo in West Virginia Gals
o un synth in Poor Alfredo per piombare tra gli spettri di
un mondo che non c pi, salvo poi riesumarne la me-
moria attraverso il banjo di Willwood Flowero della disa-
ster song The Cyclone Of Rye Cove. Pungono nellintimo
questi piccoli momenti rubati alla vita rurale americana
(vedi la ninna nanna di I Know A Little Girl), oltretutto
raccordati in maniera eccellente da qualche breve pas-
saggio strumentale: il carrillion settecentesco di Sophia,
la strimpellata bagnata di Astrid,il fnale per violino di
Elodie,tutto nel segno di un old time che diventa sempre
pi caleidoscopico.
Alla resa dei conti quasi un peccato che il disco duri
venti minuti scarsi, ne avremmo acoltati volentieri al-
meno il doppio.
(7.3/10)
STEFANO GAZ
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AUCAN - BLACK RAINBOW REMIXES (LA TEMPESTA INTERNATIONAL, APRILE 2012)
GENERE: ELECTRO-STEP
Che gli Aucan siano uno scalino sopra molti gruppi italiani lo si era capito dallarcobaleno nero dello scorso anno.
Oggi il trio bresciano torna a proporre le tracce di quella bombetta in una compilation di remix (liberamente sca-
ricabile qui) che ha dellottimo potenziale per indagare il suono dellelettronica degli anni 10. Il suono sintetico
usato infatti per costruire nuove trasversalit che per un lungo attimo sembrano prescindere dal rock, pur conser-
vandone lamore per il groove e il ritmo.
Si va infatti dal rap mutante in ricordo cLOUDDEAD/Antipop Consortium di Storm
(con il carichissimo featuring di MC Dalek), al nu-metal peso tagliato col fdgeting
(Away! con lex voce degli Asian Dub Foundation Spex) passando per lelectro im-
maginifca di paesaggi accostabili al dubstep-ambient della recente Hyperdub (Save
Yourselfremixata dagli Ambassadeurs), visitando le stanze electro-progressive che
chiamano in causa da una parte Four Tet (Underwater Music) e dallaltra echi di Burial
(Red Minoga). Il tutto si completa infne con il dub Photek-iano di Scorn (che remixa la
titletrack) e la grazia nipponica di Ccile (Embarque) e di Shigeto (Blurred).
Ologrammico e mentale, lo spostamento di camera che muta loriginale (sono solo 3
su 11 i pezzi autoremixati dagli stessi Aucan) azzeccato e in qualche modo necessario per cogliere le possibilit
messe sul tavolo dal trio. Il gruppo non si focalizza su ununica idea e respira con i preziosi contributi internazio-
nali arie diverse, mondi blacktronici su cui puntare per il futuro. Posizionandosi su una linea che eredita le visioni
dellhip-hop alternativo americano e degli esperimenti caleidoscopici di Mike Patton, Dassenno DAbbraccio e
Ferliga propongono un massimalismo sonico deciso, che conserva una cupezza di fondo ammaliante e personale,
fortunatamente non troppo ancorata alla lezione londinese del dubstep-wonky Rustie-ano. Per ora uno dei migliori
mix di electro-alt-hip-nu-rock dellanno.
(7.5/10)
MARCO BRAGGION
DEON - LP (HIPPOS IN TANKS, GIUGNO 2012)
GENERE: NEW AGE SYNTH-POP
dEon , come Grimes e Purity Ring, parte della nuova
scena di musicisti elettronici con gusto per lesoterismo
a base Montral. Lo abbiamo conosciuto lo scorso anno
grazie a Darkbloom (in split proprio con Claire Boucher),
maPalinopsia, lesordio in sordina, era datato 2010. A
quellEP dal corposo minutaggio (poco meno di unora)
fa seguito il presente LP di ben 77 minuti a portare avan-
ti un ideale tutto rivolto allo stressare al massimo le ca-
pacit del supporto fsico.
Il primo full-lenght del canadese carico delle versioni
pi rafnate ed elaborate delle componenti, sia soniche
che testuali, delle precedenti release: synth New Age e
hook electro-pop a scontrarsi con pattern ritmici che
vanno dalla moderazione ambient-like ai jungle break-
beats (Signals Intelligence), la produzione full-spectrum
e la cantilena chill ma passionale di Peter Gabriel (Now
Your Do), le continue allusioni nave a mode orientali,
fede e rituali echeggianti il periodo speso in meditazione
in un monastero sullHimalaya. tutto un dj vu ma
pure il punto focale della musica di dEon, artista che
cerca le variazioni attraverso le ripetizioni. Queste pos-
sono essere sottili, ma la ricchezza di dettagli e la quasi-
ipnotica densit dello spettro sonoro permettono al me-
todo -esemplifcato ottimamente nel mixtape Music For
Keyboards Vol.II, composto da 14 arrangiamenti di Whats
My Age Again? dei Blink 182- di funzionare su larga scala.
Lunicit di LP risiede a livello concettuale: flo condutto-
re fra le tracce il grave disagio causato dal consumismo
moderno, dal razionalismo leggero e non fltrato dellera
digitale che intrappola ad un proflo Facebook o alla co-
municazione via iPhone. Al contrario dellapproccio alla
tematica sarcastico e proiettato in leggera approssima-
zione del futuro del compagno di label James Ferraro
(Far Side Virtual, 2011), dEon fltra il proprio attraverso un
inedito, serioso romanticismo da XXI secolo, cerca rispo-
ste e liberazione per vie artistiche in uno stato redentore
di spiritualit autonoma. Emblemi del concetto sono i
due momenti migliori, Chastisement (If I have access to
everything digitized, then why am I looking for a scripture?)
e Al-Qiyamah (If were stuck in here, what happens on Jud-
gement Day?), mentre altrove (Transparency Pt. II, Gabriel
Pt. I) il disco non musicalmente forte a sufcienza per
90
reggere il discorso e fnisce per farne pesare la mole.
LP resta comunque uno sforzo interessante, un ascolto
obbligato per chiunque sia interessato alla pop music
contemporanea ed al suo attuale contesto sociale.
(7/10)
MASSIMO RANCATI
DENT MAY - DO THINGS (PAW TRACKS, GIUGNO
2012)
GENERE: BEACH CHILL-POP
Dent May una di quelle icone di culto che vivono pe-
rennemente sul flo immaginario che divide la genialit
dal ridicolo.
Lavevamo lasciato con un ukulele in mano nel debutto
The Good Feeling Music of Dent May & His Magnif-
cent Ukulele e lo ritroviamo ora in una nuova veste per
il sophomore album Do Things.
Lamichetto degli Animal Collective si libera dellukule-
le e si sdraia sotto sulle spiagge californiane - nonostan-
te canti Dont want to move to Southern California in
Home Groan - e cerca di cullare lascoltatore in un post
acid trip decisamente sunshine.
I Beach Boys sono, ovviamente, il punto di riferimen-
to pi evidente che scorre lungo le dieci tracce del di-
sco. Laddove i sapori sixties lasciano spazio a sprazzi
di modernit si va a lambire territori funky-chilly/glo-f
(Fun, Dont Want Too Long). Anni 60 rivisitati in menta-
lit post-80s con landazzo di chi, dopo una giornata
passata abbrustolirsi, si trascina a fatica verso il primo
beach-bar per laperitivo al tramonto. Spazio anche per
lold-times ballad Do Things e per Find It, dove Dent May
ricorda alla lontana Damon Albarn in versione psyche-
delic pop.
Come un Panda Bear meno sperimentale e looposo,
il Dent May di Do Things si concede a modo suo allo
svacco estivo e scrive poco pi di mezzora di sugge-
stioni da bagnasciuga che non fanno male a nessuno,
soprattutto in queste giornate afose.
(6.5/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
BLUES CONTROL - VALLEY TANGENTS (DRAG CITY, GIUGNO 2012)
GENERE: AVANT-KRAUT
Lo avevamo capito gi durante la loro apparizione flo-cosmica al Live Arts Week di Bologna di questanno, insieme
a Laraaji - e ancor di pi ascoltando FRKWYS Vol. 8, il frutto su disco della loro collaborazione. Se dopo Local Flavor
la strada era segnata, a meno di cambi di direzione repentini, ormai sembrava certo che i Blues Control volessero
uscire fuori dal tempo noise per sposare la linea krauta.
Ma Valley Tangents - quinto lavoro del duo, primo sulla sempre pi accorta Drag City -
uno scrigno di densit di idee e mondi stupefacente, che non pensa solo ai Popol Vuh
ma raccoglie i frutti di ventanni di parentele tra musica colta e rock. Suona met con la
trascendenza delle progressioni del rock tedesco dei primi Settanta, met con il piglio
furbetto del jazz modale che si avvicina al jazz rock. Loves A Rondo e Iron Pigs, prime due
tracce delle sei, mettono in campo un metodo di costruzione esotico e dosato, tanto
pensiero dietro la musica, ma anche le percussioni di Tatsuya Nakatani, iperprolifco
auto costruttore di pelli di Osaka. Ci che a prima vista sembra easy-listening un
complesso gioco di fltri che fanno guardare il mondo con gli occhi delle avventure musicali di Terry Riley. Non una
parentela strutturale, musicologica, ma un sentore straniero da tutto come un cammello a Parigi (Walking Robin).
Limprovvisazione e gli episodi di assolo volutamente manualistici di cui cosparso Valley Tangents sono soprat-
tutto frutto della tastiera-pianoforte di Lea Cho che della chitarra di Russ Waterhouse, che quando emerge torna
inevitabilmente in terra tedesca. Il duo resta un punto di riferimento per la capacit di ibridare quelle tradizioni
oblique con lambiguit lo-f dellapproccio sporco, oleoso, deliberatamente non trasparente della messa a sistema
degli efetti sonori (espressione pi fedele di strumentazione). Per poi non dire che bastano due note (quelle di A
Love Supreme di Coltrane?) per accompagnare il monologo fnale di Gypsum, pianoforte giapponese e semplice
batteria anni settanta. Per chi scrive, un album che potr rimanere molto in alto, nelle classifche e nei mesi.
(7.4/10)
GASPARE CALIRI
li di T Ril N
MGripi
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DEUS - FOLLOWING SEA (AUTOPRODOTTO,
GIUGNO 2012)
GENERE: NOIR ROCK
Abbiamo gi detto come e quanto i dEUS abbiano gi
dato, e si accontentino di perpetuarsi allinsegna di un
mestiere pi che dignitoso, ben rappresentato dal re-
cente discreto Keep You Close. Sorprende tuttavia che
la nostra band belga preferita abbia confezionato un
altro disco fatto e fnito nel volgere di pochi mesi, con-
fessando oltretutto che trattasi di tracce avanzate dalle
sessioni precedenti, troppo convincenti (o troppo poco
malvage) per lasciarle ad ammufre per i canonici due
anni tra un lavoro e laltro. Considerando poi che c un
tour estivo da pasturare, ecco servito al gentile pubblico
Following Sea, album lungo numero sette in diciotto
anni di attivit.
Ora, sar che appunto il mestiere diventato il bari-
centro espressivo di Barman e soci, metti poi che certe
evoluzioni pindariche ti restano sia pure a livello ome-
opatico nel DNA, insomma va a fnire che con la sua
mancanza di pretenziosit, con la sua dichiarata vena
interlocutoria, una raccolta che si fa ascoltare. Man-
cano le idee soniche (si ravvisa un pi marcato estro
electro, comunque pi arredo che sostanza) e le intui-
zioni compositive che ti facciano imbizzarrire ventricoli
e sinapsi, certo, ma quello in cui si cimentano sempre
convincente, senti che pesca dal pozzo delle cose pu-
tride e struggenti, ha il passo delle situazioni che ac-
cadono giusto sotto il palcoscenico. Nella sua ovviet
funky, Girls Keep Drinking arriva dove i Red Hot Chili
Peppers non riescono pi da un bel pezzo. Quatre Mains
sciorina talking in francese come un trip noir di Gain-
sbourg infervorato wave. Gli arabeschi ghignanti di Fire
Up The Google Algorithm sono una lama Afghan Whigs
con laflatura scabra. Hidden Wounds si aggira sornio-
na tra mollezze trip-hop ed electro-dark, mentre One
Thing About Waves un ballatone dei loro - inquietudini
e trasporto - screziato di vampe sintetiche quasi Japan.
Finch la leggerezza dellapproccio insomma non svac-
ca in episodi come il poppettino-soul di Crazy About You
- troppo ansiosa di limonare con gli airplay radiofonici
per non suonare fuori luogo - ci si pu stare. Se poi fra
un pezzo e laltro vi viene da rimpiangere Worst Case
Scenario, ok, siete stupidini, ma siete perdonati.
(6.5/10)
STEFANO SOLVENTI
DFB - DANIELE FARAOTTI BAND - CANZONI IN
SALITA (BOMBANELLA RECORDS, LUGLIO 2012)
GENERE: ART ROCK
La dfb, acronimo che sta per Daniele Faraotti Band,
un trio bolognese capitanato da Daniele Faraotti, can-
tautore, chitarrista e compositore desperienza con alle
spalle importanti collaborazioni (Patty Pravo,Claudio
Lolli). Con Canzoni in salita, in uscita per la Bombanella
Records, la dfb si muove con rinnovata consapevolez-
za nei multiformi territori dellart-rock arginando certe
dispersivit di un esordio - Ci che non sei pi (Alka re-
cord, 2008) - che ai tempi rappresent un po lambizioso
manifesto artistico del gruppo.
Il disco colpisce subito, fno a disorientare, per la quan-
tit di risorse messe in campo: ogni canzone ununit
complessa, un mondo generatore di altri mondi plasma-
ti da una creativit senza briglie che abolisce schemi
e ritornelli in favore di sperimentazioni compositive
di generi, ritmi e sonorit. Sbottonato - Vivace 135 in
apertura d limprinting a ci che seguir: inversioni
ritmiche e controtempi, orgie di strumenti e ritmi (i fa-
ti latineggianti di Carmensita in Kawasaki, i violini del
divertissement Tram Golem, gli spettrali theremin di
Melanconia 2) e citazioni seminali di band ispiratrici (i
Beatles di Hello, Goodbye/Im The Walrusin Uh Mani, la
Faust Arp dei Radiohead in Melanconia 2). Rimandi colti
disseminati qua e l (La sagra della primavera di Stra-
vinskij in Le cose,linnesto di Bach sul fngerpicking di
Radioarmadio, un haiku del poeta Junichiro Kawasaki in
Carmesita), mescolati con intelligenza a riferimenti pi
pop (la Down Town di Petula Clark in Sbottonato - Vivace
135, ilnotocarosello del caf in Carmensita in Kawasaki)
perfezionano la cifra stilistica del cantautorato della dfb,
fglio di unattitudine prog-rock la King Crimson, intel-
lettuale ed esteta, deciso a destrutturare ogni certezza,
anche linguistica (il non sense di Tram Golem, i nippo-
nismi di Sakura, il dialetto romagnolo in Radioarmadio).
Con questo secondo album, la dfb sperimenta corag-
giosamente percorsi in salita, alzando la temperatura
quasi fno alla massima entropia. Il risultato un bel
lavoro fuori dagli schemi, che rivela a chi non ha paura
di bruciarsi la propria ricchezza ascolto dopo ascolto.
(7.2/10)
VIOLA BARBIERI
DIIV - OSHIN (CAPTURED TRACKS, GIUGNO
2012)
GENERE: GUITAR-(DREAM)POP
I DIIV sono la band di Zachary Cole Smith, il (fake)bion-
do chitarrista dei Beach Fossils. Il nome originario del
progetto era Dive, un nome-tributo al brano dei Nir-
vana che malauguratamente apparteneva gi allomo-
nima band industrial belga. Lamore per Kurt Cobain
evidente soprattutto a livello di immagine - Zachary
sembra faccia di tutto per somigliare a Kurt - ma an-
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che in una certa indolenza che traspare a livello musi-
cale e attitudinale.Come nel caso dei Beach Fossils, la
scena ovviamente quella dei Brooklyn e letichetta di
riferimento la Captured Tracks. Nellalbum di debutto
Oshin, Zachary Cole Smith e compagni si tufano e si
immergono in un mare di riferimenti appartenenti al
periodo compreso tra il 1985 e il 1990: i The Wake (tra
laltro ristampati su Captured e coverizzati dagli stessi
Beach Fossils) svuotati della componente synth, i ritmi
C86, melodie dream pop, 4AD-sound fno a derivazioni
shoegaze e jangle-pop.
Guitar-pop etereo e ovattato, caratterizzato - molto pi
rispetto alla main band di Zachary - dallabbondante
spazio riservato a lunghi melodico-ossessivi giri chitar-
ristici: le ariose linee vocali spesso fungono infatti da
semplice contorno in un contesto che fa della nostalgia
riverberata il suo punto di forza. Spiccano il singolo di
lancio How Long Have You Know che racchiude lessenza
del disco in poco pi di tre minuti, le qui rivisitare So-
metime e Human - gi presentate nel periodo Dive - e
gli intrecci sonori di Doused, mentre forse convincono
meno quando rallentano i ritmi come in Earthboy.
Derivativo dalla testa ai piedi ma altrettanto gradevole.
Non solo, nonostante siano ancora abbastanza mono-
corde, rispetto a tante band alle prese con un certo tipo
di revival, i DIIV sembrano avere personalit da vendere,
tanto da ritagliarsi uno spazio importante allinterno di
questo 2012 allinsegna del dream pop.
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
COOLY G - PLAYIN ME (HYPERDUB RECORDS, LUGLIO 2012)
GENERE: HOUSE/DUBSTEP
Merrissa Campbell, da Brixton, South London, giocatrice semiprofessionista di calcio, meglio conosciuta come la dj,
produttrice e vocalist Cooly G, una che ha le idee chiare. Al contrario dellaltra ragazza di casa Hyperdub, Ikonika,
che ci ha praticamente mandato a quel paese quando le abbiamo chiesto cose a riguardo, Merrissa rivendica con
ferezza il proprio ruolo di prominent female in un giro decisamente maschio come
quello dellunderground dance UK. Le idee Merrissa le ha chiare anche e soprattutto
per quanto riguardo la defnizione e la collocazione della propria musica: deep house
tribal dubstep vibe. Si sente fglia della tradizione UK Funky, che con lei prende le forme
clubbistiche di una deep house al tempo del dubstep: nel senso che Cooly non fa
dubstep guardando alla house, ma esattamente il contario. Pezzi come la splendida,
ormai classica,Love Dub (2009) spiegano questa prospettiva meglio di tante parole.
Con alle spalle produzioni e release almeno dal 2008, anche accanto a big come Mala
(che aspettiamo al varco dellLP, se mai arriver) e outsider di lusso come DVA (un primo
album sulla stessa linea di Cooly, ma con rnb e grime come estremi del continuum; assolutamente ricco di ottimi
spunti, ma un po troppo embrionale nel suo voler essere a tutti i costi omnicomprensivo), Merrissa per lesordio
lungo sceglie la soluzione di fno e punta tutto su un impatto non tanto sonoro-produttivo, quanto atmosferico-
evocativo. Di dubstep ci sono le scansioni e le scelte timbriche legate alla componente squisitamente ritmica (molto
ben esposte ad esempio, per parossismo, nellossuta What Airtime), ma il resto sono afondi in una ambience hou-
se fatta di tempi rilassati (i pezzi non partono mai davvero) e atmosfere chiaroscurali, di un intimismo misterioso
(particolarmente Trying). Modi in qualche modo paralleli a quelli con cuiDeniz Kurtel e Amirali stanno trattando
la materia electro - invece che dubstep - per defnire la propria maniera house.
Le tastiere in delay di pezzi come come Come Into My Room e la soulness che trasuda dai vocals - e dalle lyrics - di
pezzi come Landscapes (sono due pezzi splendidi), le cadenze reggae sotto di Sunshine e il pathos disco/romantico
di Trouble spiegano questa prospettiva meglio di tante parole. Il footwork, nuovo dialetto di koin per i producer
pi sul pezzo, e se vogliamo, in tal senso, nuovo-dubstep, si afaccia nei loop samba di Its Serious.
Debutto lungo non esplosivo questo di Cooly G, anzi piuttosto - volutamente - trattenuto (solo nella title track, sul
fnale, afora certa cattiveria grime-Terror Danjah), giocato tutto in sottrazione, ma decisamente maturo e autorale.
Nonch possibile volano per remix dancefoor da paura.
(7.3/10)
GABRIELE MARINO
l i di i i
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DIVA (ITA) - IL PARADISO SU RETEQUATTRO EP
(AUTOPRODOTTO, MAGGIO 2012)
GENERE: WAVE POP
La retronostalgia un albero complicato dai frutti dol-
ciastri che, se maturi al punto giusto, si fanno apprez-
zare dai palati pi insospettabili. C il problema della
post-modernit che, diciamolo, ha rotto ampiamente
le palle, ma lentusiasmo dellapproccio pu ancora fare
la diferenza. Un prostrarsi per la causa con sferzante
languore. Raggranellando tutta lempatia possibile in
un gioco basato sostanzialmente su pose ed espedienti,
i Diva da Padova sostanzialmente ci riescono. Sembra-
no dei cuginastri dei Baustelle con pi Righeira che
Human League nelle sinapsi, pi Mina che Tenco, pi
fgurine Panini che Cattelan.
Esordiscono con questo ep di sei tracce cos composto:
una Il paradiso su Retequattro in versione disco wave 80s
infarcita di trash senziente citazionista, chorus adesivo/
ossessivo che gli basterebbero cinque passaggi giusti
per sbranare airplay; il giochino sferzante e psicotico
vagamente anni Zero di Narciso lava i piatti, aflatura
Franz Ferdinand ammorbidita Belle And Sebastian;
la disco-glam sfrontata di Autostop, cover languida e
ruvidella da un orginale di Patty Pravo; il dub wave
sordidello con chitarra eniana di Un uomo, una donna,
peccato per il ritornello un po piatto. A ci si aggiun-
gano le versioni alternative di Narciso lava i piatti (quasi
smithsiana) e Il paradiso su Retequattro, questultima
in guisa piano-voce in punta dapprensione cotonata
come fecero appunto i Righeira - lo vedi? - con Lestate
sta fnendo. Ho la sensazione che ne sentiremo parlare.
(6.8/10)
STEFANO SOLVENTI
DJ RASHAD - TEKLIFE VOL. 1: WELCOME TO THE
CHI (LIT CITY, GIUGNO 2012)
GENERE: JUKE
La base che grida necessit di evoluzione, dicevamo re-
centemente sul juke dei pezzi grossi di Chicago, e dire
che gi lultimo Traxman i suoi passi avanti li faceva,
intesi come eclettismo in grado di svariare tra i generi
suonando funk o rnb. DJ Rashad invece rimane quel-
lo meno tollerante agli strappi alla regola: il suo juke
sempre originario ed essenziale, il pi vicino alle radi-
ci del ghetto e dei balli da strada. Quello che esplicita
meglio la peculiarit del footwork come nuova cosa di
questo decennio, i ruoli invertiti tra ritmica e voce, dove
il tempo lo d il campionamento martellante e tuttin-
torno drums, bass e synth fanno da coprotagonisti di
spalla.
E rispetto a Just A Taste anche Rashad si dato la sua
ripulita. Teklife meno esasperato, si controlla e punta
in venti tracce a chiudere un cerchio che rappresenti il ri-
ferimento statuario dellevoluzione juke frmato Rashad
e Spinn: solito citazionismo colto che passa dal soul (il
tocco virtuoso di Feelin You) alla techno (Walk For Me,
dalla Swims di Boddika e Joy Orbison, uno spettaco-
lo) insieme ovviamente a tutto il ghetto rap possibile
(puntuale lautocelebrazione We Trippy Mane), bassline
sibilanti a dare altezza agli spazi (guardate lo spettro di
frequenze di We Leanin o Welcome To The Chi, quelle
bassissime son sempre in cima) e pattern ritmici dilatati
a disorientare le tempistiche (in Over Ya Head ci son tutti,
da quelli tranquilli a pi compulsivi).
Trattasi della vetrina allestita sul suo sound personale,
e lunica pecca complessiva una visibile rigidit che fa
s che le tracce si aprano quasi tutte allo stesso modo.
Piace vedere i pezzi che spezzano lo schema, come la
tempesta acida di iPod, la furia di beat di Fly Spray, le
velocit su melodia armonica di CCP, ma esporre un giro
di 72 minuti fatto su poche e poco variegate intuizioni
roots signifca farne una questione da puristi, funziona-
le agli afcionados ma poco aperta a chi sta fuori dalla
community. E non ci di cui il genere ha bisogno, so-
prattutto adesso che inizia a non essere pi una novit.
(6.5/10)
CARLO AFFATIGATO
DNTEL - AIMLESSNESS (PAMPA RECORDS,
GIUGNO 2012)
GENERE: INDIETRONICA
Storicizzando la lezione pseudoambient di Aphex in un
modo che non ha nulla a che vedere con le nuove voci
dellUK Bass, il quinto disco di Dntel ti fa sentire vecchio.
Vecchio, s: in media con quello che luomo Figurine ci
aveva gi fatto sentire, Tamborello ricrea mondi, suoni e
pattern che pescano - ancora una volta - dal serbatorio
di Boards Of Canada, Richard D. James, Mm, Tarwa-
ter, e da tutto il mescolone folktronico di inizio Duemila
quando si ibridavano rock e IDM e i Radiohead patro-
cinavano dallalto. Ascoltato oggi DNTEL un progetto
incartapecorito ed essenzialmente conservatore, che
per viene citato dai giovani massimalisti inglesi (Ru-
stie o Slugabedtanto per fare due nomi).
Afdandosi al tedesco DJ Koze (il disco esce su Pampa)
si potrebbe pensare che il Postal Service si sia aggan-
ciato alle geometrie precise della krautedine da dan-
cefoor, invece grazie anche ai featuring di Nite Jewel
(Santa Ana Winds), Baths (aka Will Wiesenfeld, nuova
voce della Anticon) e ai samples deiPopol Vuh (Paper
Landscape), Jimmy porta a casa un lavoro che come
dice il titolo non si prefgge uno scopo e che non va da
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nessuna parte. Anche se ha una produzione stellare, lo
dimenticheremo dopo qualche ascolto.
(5.5/10)
MARCO BRAGGION
FABIO ORSI - VON ZEIT ZU ZEIT (BACKWARDS,
MAGGIO 2012)
GENERE: INDUSTRIAL-KOSMISCHE
Non poteva che essere Fabio Orsi a inaugurare il cata-
logo Backwards, label italiana nata dalle ceneri di altre
esperienze fondamentali per lo sviluppo di certi suoni
come A Silent Place.
Il vinile limitato - gi esaurita la prima tiratura e pronta la
ristampa, anchessa limitata, in vinile arancione - ci ofre
due estatiche progressioni droning di matrice industrial
fglie di una session live registrata a Berlino con synth,
chitarra e fltri e poi lasciata sedimentare e rieditata sul
fnire dello scorso anno. Siamo dalle parti dellacclamato
Wo Ist Behle?, a cui Von Zeit Zu Zeit vicino per genesi
e sensibilit: roba oscura, magmatica e materica, in pe-
renne crescendo e in cui, per, spariscono i rimandi al
pregresso del tarantino. A farla da padrone dunque
una kosmische fredda e oscura, estremizzata nel suo
essere costruita su stratifcazioni montanti e dai risultati
totalmente ipnotici.
Le due intese tracce di muovono su coordinate droning
estatiche e futtuanti, il caso di Von Zeit, o ingrigite da
colate di atmosfere dark-industrial, in cui fanno capoli-
no minacciose nubi alla Deutsch Nepal (Zu Zeit col suo
percussivismo sottotraccia) lasciando presagire nulla di
buono fno allo sforire su lande quasi ambient. Forse il
buon Orsi ha introiettato defnitivamente lhumus mit-
teleuropeo della adottiva Berlino?
(7/10)
STEFANO PIFFERI
FARGAS - IN BALIA DI UN DIO PRINCIPIANTE
(SNOWDONIA, GIUGNO 2012)
GENERE: NARRATIVA, ROCK
Dopo cinque anni di silenzio, i Fargasricompaiono in
gran forma sulle scene della musica dautore italiana
con un progetto ambizioso. Lidea quella di dare alle
luce quattro dischi, uno per stagione da qui allanno che
verr, lavori nei quali sar contenuta la produzione in
studio di questi ultimi cinque anni.
Potremmo defnire i Fargas lennesimo gruppo che spe-
rimenta qualcosa che ormai non neppure pi def-
nibile come sperimentale: quella musica narrativa che
non ricerca il matrimonio perfetto e pop tra il testo e
la musica. In questo primo episodioIn bala di un dio
principiante, la musica ignora il concetto di tappeto
sonoro facendosi asse portante e insieme caleidoscopio
di un eccezionale lavoro sulla parola.
I testi di Luca Spaggiari sono tra i migliori in cui possia-
te incappare. Ispirati e cesellati, faticano naturalmente
a farsi tuttuno con un sound ugualmente ricco e capa-
ce di porsi in primo piano. Da episodi che ricordano il
lavoro de Le luci delle centrale elettrica -per vocalit
e incedere, non certo per scelte narrative - fno alla me-
ravigliosa e quasi pop Dolce amica, i Fargas raccolgono
tanta lunga tradizione italiana: dalla vocalit del primo
Vasco Rossia quella di Rino Gaetano,passando per
una autorialit romana che arriva fno alla prima pro-
duzione di Francesco De Gregori.
Dimenticate quellidea di narrazione accompagnata da
sound di chiara derivazione post rock e immaginate un
suono difusamente 70s, confuso o schiarito tra chitarre
rock e armonica a bocca. Intendiamoci, non siamo da-
vanti a canzoncine di facile assimilazione ma abbiamo
fnalmente testi da imparare a conoscere ascolto dopo
ascolto, assieme a una materia musicale altamente stra-
tifcata.
(7/10)
GIULIA CAVALIERE
FILASTINE - LOOT (POST WORLD INDUSTRIES,
APRILE 2012)
GENERE: ETHNO BEATS
Grey Filastine incarna un po lidea che possiamo avere
oggi di nomadismo e di engagismo artistico. Losange-
lino di nascita, a Seattle fonda la Infernal Noise Brigade,
collettivo/marching band attivo nel circuito delle pro-
teste no global (la cosiddetta battaglia di Seattle, 1999),
gira il mondo per studiare musiche e ritmi ( stato a
lungo in Marocco), prima di stabilirsi defnitivamente
nella cosmopolita Barcellona.
Il primo album, Burn It (2006), prodotto e pubblicato
sotto legida dello spirito afne Dj Rupture, ne scopre
lo stile fortemente terzomondista, ma senza facili oleo-
grafsmi: grime cantato in spagnolo, hip hop croccante
(Palmares) innervato di breaks (Crescent Occupation),
seppiato (The Last Redoubt), imbevuto di etnicismi dal
feel jazzato (Judas Goat), un mood perfettamente sin-
tetizzato da un pezzo come Dance of Garbageman. Il
secondo album, Dirty Bomb (2009; sempre sulla Soot di
Rupture), intriso di umori apocalittici fn dal titolo e dalla
copertina, oltre che nei suoni, continua il discorso con
pi occhio al dancefoor, tra electro e fdget.
oot/Loot un terzo album breve ed essenziale, come
sempre per Filastine lavorato in punta di stilo, e forse qui
anche pi che in passato. Sulle basi del retaggio illbient,
che ce lo fa mettere per certi versi in parallelo con Raz
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Mesinai/Badawi (anche per il forte sapore arabeggian-
te delle produzioni), il focus restano la contaminazione
e la ricerca timbrico-percussiva: potremmo chiamarlo
ethno-dubstep o pi genericamente ethno-bass. E se
un paio di numeri non sono altro che ottimo artigianato
(una passeggiata nel souq, Shanty Tones), intermezzi o
volani per remix forse anche ravey (Lost Records), altri
sono semplicemente delle perle, grandissime prove di
DARGEN DAMICO - NOSTALGIA ISTANTANEA (GIADA MESI, GIUGNO 2012)
GENERE: STREAMOFRAP/FREEFORM
Dire che con Dargen siamo stati prudenti un eufemismo: siamo stati duri, gli abbiamo sempre spaccato il capello
in quattro. Ma lo abbiamo fatto per il suo bene. E siamo pur sempre quelli che a un certo punto hanno detto che
un suo disco era, nello spazio interstiziale tra distacco critico e innamoramenti privati, uno dei dischi dellanno. Chi ha
orecchie da intendere, intenda.
Oggi Dargen una superstar, luomo giusto nel posto e al momento giusto. Dopo che
Zingo lo ha dischiuso come solo lui sa fare e fno allo sfnimento, dopo lammirazione
di Jacopo Incani/Iosonouncane, di Prete Criminale dei Klippa Kloppa ( degno di
stare accanto ai classici come Battisti e Dalla), di Morgan, ovviamente di Fibra ( quello
che scrive meglio), guru intoccabile per i suoi fan che aprono pagine su Facebook tipo
Le Migliori frasi di Dargen DAmico e lo chiamano poeta e genio, il proflo che ne viene
fuori uno e trino, se non divino, sicuramente Cerbero: comunicatore (videodiarista e
brillante imbarazzatore di intervistatori, lo sappiamo per esperienza diretta), impren-
ditore di se stesso (la collezione di occhiali specimen nascondiocchi lanciata un anno fa), un tipo consapevole (gli
dicono geniale ma sa bene che oggi i ragazzi se apprezzano un paio di scarpe dicono geniali ste scarpe, geniale sto
bus che va da capolinea a capolinea). Le parole insomma sono importanti e D allora soprattutto un artista, capace
di regale a chi entrato anche solo un pizzico oltre la superfcie della sua poetica emozioni vere.
Annunciato da mesi e per mesi procrastinato (anche e soprattutto per curare la pubblicazione su Giada Mesi
dellesordio del supervocalista Andrea Nardinocchi), Nostalgia Istantanea ha spiazzato tutti per il formato, due pezzi
lunghissimi, uno di 18 minuti (messo in streaming su Rockit), che chiameremo A, uno di 20, che chiameremo B,
messi in vendita su iTunes e in un costoso vinile limitato. A e B sono le due facce della stessa medaglia. In entrambi,
immagini e parole si accumulano come in un infnito freestyle, e alla fne lingolfamento abbacinante, un fusso
di coscienza propiziato dal sonno (Dargen il furbacchione parla di narcolessico), con rime e giochi di parole come
sempre in grande spolvero (fno al fnale di A, che spiega la natura mistica e tuttologa del pezzo con lequazione:
bibbia + enciclopedia = enciclopedio). In A Dargen apodittico e poetico-sloganistico, pi del solito (prende per il
culo alcuni luoghi comuni), aiutato in questo anche dai bpm bassi, senza momenti al fulmicotone, con la musica
co-frmata dal fdo Emiliano Pepe tra certo minimalismo funky battistiano solarizzato e un insinuante pathos soft
electro. A un divertissement dichiarato e viene fuori come un esperimento ben fatto, assolutamente godibile,
docile, ideale da sentire in un viaggio in auto da soli di notte ( un complimento).
B ne il rovescio, la sua trasfgurazione espressionista, deformata, selvatica, drogata. Senza troppi giri di parole,
uno dei capolavori di Dargen, che sapeva di potere azzardare e ha azzardato, se non il suo picco assoluto (sicuramen-
te il suo picco - pardon - sperimentale). Come a dire - visto forma e formato - la sua Sister Ray, la sua Miss Fortune, la
sua Moon in June, il suo Lumpy Gravy. Nel rabdomantico vagare del testo si pu isolare un nucleo onirico-carcerario
originario, ma poi dentro c di tutto, per la serie mettimi una musica che ti dico tutto quello che mi passa per la
testa. Ma il vero grande scarto la musica, una free form psichedelica, forse anche post-rock, frmata dal solo D,
tutta frullati e vortici, arranchi e rilasci. Il risultato un pezzo visionario, che per chiuderlo in una defnizione ci
vorrebbero tutte le caricaturali espressioni zingalesiane. Ecco, vanno bene tutte.
Stavolta alziamo le mani e ci arrendiamo, seguiamo il consiglio del saggio, raccogliamo i petali ma senza analizzarli
troppo. Dargen prende il volo con un Giano bifronte che pu fare ancora proseliti: bimbiminkia, pentiti del rap,
rappofli e indie. Adesso D pu dire le sue cose anche a chi prima non lo seguiva.
(7.5/10)
GABRIELE MARINO
) i l ( li
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compiutezza produttiva ed efcacia comunicativa, ca-
paci di costruire con sottili trame percussive ordite in
incisi strumentali memorabili (Skirmish, Circulate False
Notes, Spectralization) scenari in cui seduzione (la scam-
panellante Colony Collapse, con la vocalist indonesiana
Nova) fa rima con tensione (linno da stadio ma con
addosso lo smoking - tribal - Informal Sector Parade, la
caracollante Sidi Bouzid, dal nome della citt tunisina
epicentro della rivoluzione dei gelsomini del dicembre
2010).
Da incorniciare anche lunico pezzo non scritto da Fi-
lastine, lo splendido remix della gi splendida Juniper
degli Y La Bamba, eclectic indie folk pop band from
Portland, gioioso inno di attivismo panteistico ed eco-
logista, uno di quei pezzi che pu valere una carriera.
Dal vivo Grey suona con le bacchette della batteria un
carrello della spesa, mentre su uno schermo scorrono
immagini-collage che fanno a pezzi il consumismo ne-
oliberista. Ma quel carrello lo fa suonare, eccome. Ecco,
che bello se la musica di protesta avesse tutta questo
proflo e, soprattutto, tutta questa qualit dietro e dentro.
(7.3/10)
GABRIELE MARINO
GEORGE FITZGERALD - CHILD EP (AUS MUSIC,
GIUGNO 2012)
GENERE: HOUSE, TECHNO
Nella serie di uscite che abbiamo apprezzato lanno scorso
mancava in efetti il volto pi dritto ed esplicito che Ge-
orge FitzGerald sa ofrire dietro la consolle. Fa piacere
dunque vederlo concentrato nellepp di ritorno su Aus,
con quattro tracce sfrontate e inattaccabili fatte ad hoc
per il club: Child la bomba tech-house dalle rifniture
di pregio, con quei groovebass killer e quei giochi vocali
di precisione millimetrica che non possono non infam-
mare il pubblico in pista, Lights Out e Hindsight il risvolto
techno dal proflo pi duro e minimale per la fase calda
della notte e Unilateral la ripresa del cerchio deep house,
ideale per la distensione di fne set.
Discesa negli inferi e risalita in meno di mezzora: il ta-
lento londinese maneggia alla perfezione tutti i mec-
canismi formali che girano intorno alla dance, colpen-
do duro sia alla testa che allo stomaco. Che botto far
nellalbum in arrivo?
(7/10)
CARLO AFFATIGATO
I MOSTRI - LA GENTE MUORE DI FAME
(GOODFELLAS, MAGGIO 2012)
GENERE: ROCK, GARAGE
I Mostri vengono da Roma, hanno raccolto discreta
fama nella loro citt e sfornano oggi, sulla lunga distan-
za, un disco desordio che, gi nel titolo, porta con s la
scelta programmatica. Una scelta che tocca gli aspetti
sociali della citt capitolina, prima, e dellintero Paese
poi. Trentacinque minuti di chitarre elettriche, citazioni
ska, brit-pop della meglio generazione, con i quattro
romani che stendono sul lettino le psicosi e le smanie
di una citt che vive da alcuni anni un clima di terrore e
disagio, che si adagia sulla monotonia della vita quoti-
diana, che accetta troppo passivamente i luoghi comu-
ni: La gente muore di fame , appunto, uno di questi.
I punti pi alti delle (sole) nove tracce del disco sono la
canzone-manifesto Questa la mia citt, in cui, su rit-
mi Nineties doltremanica, si denuncia il crollo sociale
e culturale dellUrbe; Cento lame, intensa rilettura di un
(brutto) brano dei Fratellis, guadagna in profondit e
armonia; Camilla e Piazza Trilussa, con le loro chitarre
aspre e sempre pungenti, sorprendono luna per la di-
sinvoltura, laltra per laccurata analisi di un fenomeno
tutto metropolitano: la monotonia.
Certo, il cantautorato di scuola romana non pi quello
degli anni Sessanta, e, certo, I Mostri non hanno labi-
lit nella scrittura dei loro concittadini I Cani, complici
una certa autoreferenzialit e un briciolo di piattezza
nei contenuti. I meccanismi tuttavia, sono ben rodati e
il disco scivola via con gusto.
(6.4/10)
NINO CIGLIO
IAMAMIWHOAMI - KIN (COOPERATIVE MUSIC,
GIUGNO 2012)
GENERE: ELECTRO ART POP
Viral viral viral e ancora viral. Erano i primi giorni 2010
e su forum e blog musicali non si parlava daltro: allim-
provviso iniziarono a circolare videoclip caricati su you-
tube a nome iamamiwhoami, nessunaltra informazio-
ne se non le atmosfere oscure, le fgure distorte e i titoli
enigmatici (fguriamoci, si era in piena LOST-mania) che
caratterizzavano le composizioni audio-visive del miste-
rioso progetto.
Le ipotesi pi disparate - e disperate - parlavano a ro-
tazione di un nuovo progetto dei Goldfrapp, di Fever
Ray/The Knife, Bjrke perfno di dive tra$h-pop (Lady
Gaga e Christina Aguilera) in cerca di una improbabile
redenzione artistica. Insomma vinceva chi la sparava pi
grossa.Qualcuno poi inizio a fare il nome di Jonna Lee -
allepoca semplice cantautrice svedese di scarsa fama - e
nonostante le prime smentite, nel dodicesimo video (t)
Jonna decise di mostrare il suo vero volto, mettendo la
parola fne ad ogni tipo di speculazione.
Il 2012 del progetto iamamiwhoami iniziato con il
97
DIRTY PROJECTORS - SWING LO MAGELLAN (DOMINO, LUGLIO 2012)
GENERE: EXOTIC FOLK POP
Una piccola rivoluzione nel momento pi strategico, con le proverbiali afnit elettive tra i progetti a schiumare
in modo spontaneo salvo far emergere sostanziali diferenze e ambizioni. Parliamo di Dirty Projectors e Vampire
Weekend, nel senso, di un songwriting al centro e di unesotica pop che si piazza oggi in una perfetta convergenza
parallela tra le velleit di David Longstreth e il successo planetario di Ezra Koenig, un
tempo sassofonista e turnista proprio negli sporchi proiettori.
Fermo restando la passione per la musica africana e unidea di colore/istinto/freschezza
applicato alla melodia gi ai tempi di Bitte Orca (e che tuttora lo accomuna allamico),
Longstreth riprende, asciugandoli al sole, gli umori folk respirati lungo lintera esperien-
za DP, sostanziando melodia e scrittura. Rimane lanima free, ma mai come in queste
canzoni il prefsso s fatto dettaglio di produzione o sfumatura (lintonazione di certe
strofe, la microfonazione degli strumenti appresa dallex produttore Chris Taylor dei
Grizzly Bear, la scelta dutilizzare dei vecchi trucchi da albori della stereofonia e molto
altro).
Uno splendido esempio il singolo Gun Has No Trigger: canto che dici vagamente David Byrne, crooning e shouting
da memorabilia 60s, poi le solite coriste, prima tra tutte Amber Cofman (Angel Deradoorian non ha parteciapto al
disco), un nuovo batterista dal passato hardcore Mike Johnson, automatico a mimare un breakbeat e Nat Baldwin
felpato al basso sotto a tutti gli strumenti, in un dinoccolato jazz-funk. E un ideale singolo per lestate di una formula
capovolta eppure coerente, ricca di rimandi al recente passato: sul lato pi farcito abbiamo lopener con gli inserti
di chitarra garagista e il singalong afro nellattacco, in quello pi asciutto un gioiello pop prezioso chiamato About
to Die per clapping, tamburellare leggero e unaria davvero vampireweekendiana.
Con un posizionamento ideale per sdoganare (completamente?) il progetto dopo illustri collaborazioni (Bjork e
David Byrne), Swing Lo Magellan trova una via naturale per proporsi a un pubblico pi ampio e trasversale senza
rinunciare a una cifra stilistica che, da Rise Above in poi, comprende guizzi prog (Just From Chevron), shouting
dantan, gusto texturizzato per le percussioni (uno dei liet motiv della produzione) e interventi operistici (qui na-
scosti come segreti, ad esempio, in unaltra chicca: la ballad elettrica - ma unplugged - Dance For You, con archi,
chitarra e drum machine).
La canzone per eccellenza del disco indubbiamente Impregnable Question con limmancabile controcanto della
Cofer. Miglior album dei Dirty Projectors per chi scrive.
(7.4/10)
EDOARDO BRIDDA
video di mezzo minuto kin 20120611, una sorta di trailer-
promo - con tanto di release date gi fssata - per lalbum
di debutto Kin. Da quel 1 Febbraio ad oggi sono stati
caricati altri nove video. Una sequenza di brani che ri-
troviamo intatta - anche nellordine - allinterno di Kin:
Sever, Drops, Good Worker, Play, In Due Order, Idle Talk,
Rascal, Kill e Goods.
Nove tracce scritte e prodotte da Jonna Lee e Claes
Bjrklund che gi hanno fatto proseliti tra gli utenti di
RateYourMusic. Punti di riferimento abbastanza chiari:
scuola electropop svedese (The Knife su tutti), art pop
al femminile post-Bjork (per non dire post-Kate Bush)
e vellutose aperture trip hop/downtempo (Portishead).
Si tratta di un disco valido, ben prodotto, con intuizioni
molto interessanti (Sever, Kill e Idle Talk) ma che proba-
bilmente, ragionando esclusivamente a livello musicale,
oggi farebbe fatica ad emergere allinterno di una scena
che negli ultimi tempi - attendiamo con ansia i Purity
Ring - sta raggiungendo la saturazione. Lintero proget-
to visuale-mediatico-2.0. invece crea un precedente ed
incorpora come poche altre cose levoluzione del music
business ai tempi di Internet. Con un po di fortuna - e
meritocrazia - potrebbe diventare un punto di riferimen-
to negli anni a venire.
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
98
IKONIKA - I MAKE LISTS EP (HUM + BUZZ,
LUGLIO 2012)
GENERE: SYNTH, STEP, HOUSE
Mentre londa dubstep classica pu ormai dirsi defunta,
i suoi reduci possiamo raggrupparli tra quelli che an-
cora sopravvivono grazie a uno stile personale netto
e distinto (Kode9, Skream, Shackleton), quelli river-
satisi su floni di tuttaltra caratura intellettuale (Vexd,
Boxcutter) e i non pervenuti nel quadro delle trame
evolutive (a parte il gi discusso Burial, stiamo ancora
aspettando Benga). Ikonika non era certo una big del
flone, ma era proprietaria di uno dei sound pi caratte-
ristici, cristallizzato con quel Contact Love Want Hate
che nei ragionamenti dubstep tirava a lucido il midollo
pi nostalgico della chip music, la parabola 8 bit che
abbiamo largamente approfondito lanno scorso.
Tornata alle stampe con un EP di 6 tracce sulla sua Hum
+ Buzz, la ragazza sembra seguire lidea che del nuovo
dubstep ha mostrato Pinch nel suo ultimo FabricLive,
dunque una durezza ritmica pi marcata e la liberazione
delle prerogative dance: in un generale tripudio di groo-
ve sintetici che da sempre caratterizza lo stile di Ikonika,
I Make Lists afonda a pie pari nei meccanismi step per
club, mentre Take Pictures e Catch Vibes rifettono un
classicismo 4/4 vicino agli anni 90 e With Your Mouth
ritorna a tratti proprio al sentire bleepnbass di LFO e
dintorni. Eppure i pezzi pi efcaci rimangono quelli
meno fuori schema, PR812 che carica euforia ritmica
per valorizzare i giri synth e Cold Soaking, un gancio di
oscurit, spazi e tinte thrilling che grafa al contatto.
il ritorno ufciale dopo lalbum, e suona fnalmente
ferrato e preciso, meno peculiare forse ma valido adesso
su un piano pi generale. Oltre al talento ora c auto-
coscienza e confdenza col mestiere.
(7/10)
CARLO AFFATIGATO
IL SOGNO IL VELENO - PICCOLE CATASTROFI
(RED BIRDS, GIUGNO 2012)
GENERE: .....
Francamente ha del commuovente questo amore pro-
fondo per lItalia sparita. Un amore per il dolore onesto
ben distante da quello mediatico e per le cose come
stanno, una certa purezza umana che ci sembra difci-
lissima da trovare oggi e da recuperare nella memoria.
Siamo la generazione artistica del vagheggiamento, in-
chiodati al sogno di glorie emotive smarrite, persi nelle
bramosie damore per un mondo felliniano o da nouvel-
le vague francese. Tutti fgli, per nostra volont e di certo
non per sua, di un Pasolini a cui forse faremmo schifo.
Il sogno Il veleno un progetto musicale dalle volont
intellettuali ambiziose, formalmente costruito su bobi-
ne e lo-f, perfettamente rispondente alla domanda so-
gnante di cui quass. Un sogno musicale sinceramente
e genuinamente ancorato a un universo retr perlopi
60s.
Il qui presente disco un progetto musicalmente ete-
rogeneo, per nulla pretenzioso dal punto di vista della
produzione e diviso equamente tra ballate quasi sus-
surrate (Le cose importanti, Comizi damore),pezzi scan-
zonati contemporanei - quelli per intenderci del flone
scuola Brunori SascomeIl tram, Favole, Viola - e pezzi
vicini al Capossela wannabe Waits (Bistrot, Storia quasi
damore),fno a un unico episodio strettamente rock:
Signora in foulard nero.
Registrato da Paolo Messere (Blessed Child Opera)e
ricco di volont autorale dalle infuenze intriganti, Picco-
le catastrof si muove per in un terreno eccessivamente
scivoloso per una scrittura di fatto ancora divisa tra di-
versi afati e spinte e, nelle linee, decisamente immatu-
ra. La bellezza di trovare un pezzo intitolato Paese sera
che vuole essere omaggio pi che sfoggio si disperde
in segni retorici, nellennesimo tentativo italiano di dare
voce al Pier Paolo Pasolini di Comizi damore. Buoni in-
tenti, insomma, per una scrittura ancora da mettere a
fuoco.
(6.2/10)
GIULIA CAVALIERE
INSOONER - CAIMANI (FOREARS, APRILE 2012)
GENERE: ALT. ROCK
Dopo lautoproduzione Assemblando oceani per an-
negare in pace del 2010, gli Insooner esordiscono sulla
lunga distanza con Caimani, uscito lo scorso 16 aprile
per la toscana Forears.Il giovane trio varesino - Juan Ma-
nuel Di Stefano alla voce e al basso, Matteo Renna alle
chitarre e ai cori, Gian Maria Gallicchio alla batteria e
alle percussioni - si presenta con un album di otto trac-
ce collocabile sotto il grande ombrello dellalternative
rock italiano, pur con le dovute proporzioni: nonostante
sia facile avvicinarlo ai grandi nomi nostrani del gene-
re (Verdena, Il Teatro degli Orrori, i primi Ministri),
infatti, con questo Caimaniil gruppo sembra avere lin-
tenzione di seguire sonorit pi internazionali.Se con
le iniziali Alluvioni e Caimani infernali il paragone con le
formazioni di cui sopra pare pi che legittimo - rock tra-
dizionale incalzante e melodico in aria stoner che, anche
per la visionariet delle liriche, trova qualche punto di
contatto soprattutto con la formazione di Alberto Fer-
rari -, conIl mare di Okinawasi devia verso i territori pi
sperimentali del post-grunge, grazie ad unarchitettura
melodica costruita su distorsioni maggiormente psi-
99
chedeliche.Gli otto minuti di Giuda (uno dei pezzi pi
convincenti dellalbum) invertono ancora le atmosfere
con il loro acido incedere baustelliano, in un ben riuscito
equilibrio wave-prog impreziosito dal violino di Nicola
Manzan/Bologna Violenta. La velocit ritmica di Ica-
ro nel fango richiama le infuenze stoner dellapertura,
mentre la conclusiva Istantanea della fne, introdotta da
voce e pianoforte, chiude il cerchio con accenti pi in-
timi rispetto al resto del disco, protagonista sempre la
melodia.Nel complesso, gli Insooner mettono insieme
un lavoro il cui pregio maggiore quello di cimentarsi
con un rock familiare (o usurato, in certi casi), mante-
EL-P - CANCER FOR CURE (FAT POSSUM, MAGGIO 2012)
GENERE: PROG-HOP
Non possibile approcciare El-P in maniera unilaterale. Il rapper di Brooklyn dedito ad una costante sovrapposi-
zione di narrative che si impongono allattenzione simultaneamente, impedendo un qualsiasi piano di lettura che
non sia molteplice. Il titolo di questo ultimo album non da meno. Cancer 4 Cure sia una dedica allamico Camu
Taomorto di cancro ai polmoni, sia espressione della sua paranoia e della sua visio-
ne distopica-They wanna kill you, you are the cancer, you are the fucking problemcanta
Maline su True Story-, che il suo stesso raccontarsi. El Producto il cancro della cura, il
guastafeste, quello sempre pronto a sputare fuori il suo veleno, a rovinarsi la vita con
le sue mani. Sempre pronto a ricordare allascoltatore che alla fne il mondo una nave
che afonda come la Costa Concordia, e allora tanto vale passare sopra tutto e tutti pur
di sopravvivere.
Questi sono i tre piani attraverso i quali El-P dipana il suo discorso: una narrazione
distopica di una societ tirannica che sia a venire quanto gi presente (il suo Drones
Over Brooklynpredice sinistramente luso domestico dei drones di ritorno dallAfghanistan), il discorso dellhip hop
e della cultura pop, ed infne la narrazione prettamente autobiografca. Nessuno di questi piani fondamentale
rispetto allaltro. Spesso si presentano insieme, stratifcati in una unica fgura come succede in the Jig is Up e Sign
Here dove lincontro e la seduzione prendono la forma di una spy story, si tingono di paranoia ma anche di insicu-
rezza maschile, con mosse di contro-spionaggio ed il sesso viene raccontato nella forma di un interrogatorio dove
la safe-word Yes. Altre volte i piani si susseguono uno dopo laltro senza un ordine preciso. Request Denied apre
il disco con la voce Burroughs, a delineare come questo sia un atto di resistenza personale contro la societ del
controllo, per poi sfociare in una delle vette di lirismo pi alta dellhip hop degli ultimi dieci anni. Meline ricorda la
sua infanzia quando seduto sulle ginocchia di suo padre, pianista jazz, questi gli insegnava larmonia al pianoforte.
Ci racconta come le note erano una pioggia che cadeva al ritmo degli spari e delle sirene, e come quelle corde
legate ai tasti-Could relieve us of doom / Give the room some silence, stop violence.
Nonostante questo non bisogna accumunare El-P allondata di intimismo, dalla prosa purpurea, che stato pro-
tagonista dellhip hop sotto la protezione dei suoi due santi Yeezy e Drake. InOh Hail NoEl-P sfotte apertamente
il sentimentalismo di questi artisti e si dichiara completamente ostile a questa svolta verso la soggettivit della
classe media. El-P orgoglioso del suo esser ancora legato alla strada, delle sue droghe da povero (principalmente
ossicodone da qualche dollaro a botta), e nella sua dichirazione di intenti dichiare che ogni suo respiro-is a crimi-
nal, critical breach, bloody guns, speech, beat minimalismo. Anche la forma di Oh Hail No un throw back alle rap
battles. El-P, Mr. Mutherfuckin Esquire e Danny Brown si alternano al microfono lanciando dissing ed esibendo
un notevole virtuosismo della parola. Ogni strofa meticolosamente costruita ed include complesse polisemie.
Su un forum si riusciti a contare addirittura sei possibili signifcati per la strofa Inspector Gadget with the ratchet.
Cancer 4 Cure un album solidissimo, al limite dellimpeccabile. Ma la sua importanza, per questo 2012, sarebbe
diminuita se non si menzionasse il suo essere in compagnia di due altri album: R.A.P. Music di Killer Mike e Machi-
nes that Make Civilization Fun di Bigg Jus. Questa triade mostra, soprattutto considerato limpatto sulla critica,
un riassestamento che in atto allinterno della musica indepipendente e come lhip hop, dopo anni in sordina,
sia ancora una volta rilevante.
(7.4/10)
ANTONIO CUCCU
) il di d llhi h
MGripi
100
nendo per sempre alta lattenzione dellascoltatore. Un
buon debutto per questi tre giovani, in attesa di sentirli
anche alla prova live.
(7/10)
GIULIA ANTELLI
JAMES BLACKSHAW - LOVE IS THE PLAN, THE
PLAN IS DEATH (IMPORTANT RECORDS, MAGGIO
2012)
GENERE: FOLK
E naturale che Blackshaw cerchi da tempo di allargare lo
spettro espressivo della sua musica giocando per lo pi
ad ampliare la tavolozza della strumentazione, anche se
questo tipo di percorso ci sembra diventato ormaisteri-
le. La fgura del chitarrista solitario che gioca con le inf-
nite tonalit del fngerpicking cominci a stargli stretta
quando fece il grande passo nel roster della Young God
con The Glass Bead Game.
La stanchezza di un disco come Love is the Plan, the
Plan is Death si spiega quindi con uno studio estenuan-
te sul lato formale alla ricerca di non si sa bene cosa,
forse di una nota acuta di piano nel fraseggio svagata-
mente jazzy di And I Have Come Upon This Place by Lost
Ways- con guest vocalist Genevive Bealieu dei Menace
Ruin- o nella brutta coppia di Yann Tiersen che ci viene
servita con The Snows Are Melted, the Snows Are Gone.
Altra cosa quando Blackshaw posa la mano sulle corde
della chitarra.
Siamo pur sempre distanti dallintensit di dischi come
Sunshrine e O True Believers che qualche anno or
sono, insieme a Raag Manifestos di Jack Rose, por-
tarono alla riscoperta di Robbie Basho, ma non si pu
certo dire che brani come Her Smoke Rose Up Forever
siano alla portata di chiunque. Eppure, tutto suona un
po troppo automatico per uno come lui. Blackshaw ha
ormai bisogno di voltare pagina, di trovare un percorso
che lo riporti indietro. Magari alla semplicit dellesordio
Celeste, riletta con la maturit del professionista. Sem-
bra facile a dirsi ma da realizzare piuttosto difcile,
considerato anche che le ultime scelte vanno esatta-
mente nella direzione opposta.
(6/10)
ANTONELLO COMUNALE
JK FLESH - POSTHUMAN (3BY3, GIUGNO 2012)
GENERE: HEAVY DUBSTEP
Dopo laggiornamento sonico dellex Napalm Death
Mick Harris nel 2007 con Stealth (in minor misura il suc-
cessore Refuse; Start Fires), un altro membro della sto-
rica formazione di Birmingham esce allo scoperto con
un progetto analogo, a fondere il solito quadrilatero
industrial-ambient-metal-noise alle battute spezzate
di casa Digital Mystikz e Hyperdub. JK Flash la bestia
nera di Justin Broadrick. Un moniker che a dir il vero, a
punteggiatura variabile - J. K. Flesh, J.K. Flesh, JK. Flesh,
JK.Flesh - avevamo gi incontrato negli anni 90 e primi
00s sotto svariate etichette - dalla Earache alla Mille Pla-
teaux, da Matador alla City Slang - ma che ora soltanto
emerge sotto il proflo dubstep e UK Bass.
Posthuman un album che suona esattamente come
lo simmagina: un succo di Godfesh, Techno Animal e
Final aggiornati ai Duemila. La buona notizia che il
disco solido tanto nelle parti anthemiche (le bombe
Dogmatic e Idle Hands) quanto nei bordoni pi techno-
industrial (Earthmover con Broadrick in death grunt) o
nelle pieghe pi notturne (lhalf step di casa Distance
richiamato nella titletrack). Inoltre, la tracklist, imbastita
con molta testa e artigianato, alternando stasi a drop o
groove, viscere della terra e immaginario da zomby mo-
vie (Knuckledragger con le chitarre ambient, Punchdrunk
dai connotati pi tipicamente ambient death-metal) sa
essere varia e avvincente. Non c niente che suoni come
un riempitivo o una furba smaltata ai suoni che furono.
Un Broadrick rinvigorito e galvanizzato che suonato a
volumi esagerati ancora pi coinvolgente.
(7.1/10)
EDOARDO BRIDDA
JOY AS A TOY - DEAD AS A DODO (CHEAP
SATANISM, MAGGIO 2012)
GENERE: HORROR SOUNDTRACK
I Joy As A Toy - terzetto belga composto da Gil Mortio,
Clment Nourry and Jean Philippe De Gheest - nasco-
no come soundtrack band ela missione di Dead As A
Dodo quella di musicare vecchi horror degli anni 70,
con particolare riferimento a Dario Argento. Una scelta
un po trita se vogliamo ma che avr dalla propria una
sicura nicchia di fan.
Per tali fan il disco sar un buon disco, a met tra i synth
dei Goblin e la schizofrenia dei Mr. Bungle(vediLove
Zombie, conla partecipazione di Stefania Pedretti degli
Ovo) con uno spettro di infuenze che varia dal Morri-
cone pi scuro agli ultimi Zombi. Tutti gli altri invece
possono tranquillamente soprassedere e continuare ad
ascoltarsi i Goblin, Morricone e Mr. Bungle, perchnon
c niente di nuovo dietro le tenebre.
(6/10)
STEFANO GAZ
101
JULIAN COPE - PSYCHEDELIC REVOLUTION
(HEADHERITAGE, FEBBRAIO 2012)
GENERE: FOLK
Psychedelic Revolution , a detta dello stesso Julian
Cope, il disco pi politico che abbia mai concepito.
Un doppio cd, come da tempo ci ha abituato nella sua
discografa, incentrato su Che Guevara e Leila Khaled,
fgure simbolo delle rivoluzioni popolari occorse nel
ventesimo secolo. A ben vedere levoluzione di un
percorso intrapreso nel 2009 con i Black Sheep, perch
gi in Kiss my sweet apocalypse i due personaggi erano al
centro dellattenzione con brani che titolavano Ernesto,
Che, Khaled.
Siccome non sappiamo mai cosa aspettarci da quel paz-
zerello di Cope, diciamo subito che questo lavoro rientra
nella sua discografa pi compiuta, fondamentalmente
un susseguirsi di ballads dipanate tra chitarra acustica,
synth, mellotron e qualche fiato a corredare il tutto.
Suona come uno dei migliori dischi partoriti nellultimo
decennio. Musicalmente si ritrovano i temi tradiziona-
li del folk inglese (la bettola vittoriana di Cromwell in
Ireland, la struggente e popolare As the beer fows over
me), un po di barocchismo vichingo(Because he was
wooden)giusto per ribadire che esistesse mai un erede
di Moondog lui sarebbe il primo della lista, ma soprat-
tutto qualche grafata degna dei tempi doro, che non
impallidisce al confronto con i dischi storici come Fried
o Peggy Suicide. Tra queste Raving on the Moor, che
parte in sordina ma fnisce in una spirale di ribellione
e catarsi mentre fuori incalzano le esplosioni delle gra-
nate, il synth pop malinconico di X-mass in the womans
shelter, lululato stonato di Roswell, o ancora Vive le Sui-
cide, unaltra ballata dal sapore vittoriano che vive della
voce carismatica di Cope.
Poi ci sono i contenuti, che lo sciamano ha voluto sinte-
tizzare cos: aspettatevi storie di insurrezione, storie sulla
costruzione di nuove tradizioni culturali e storie di sessi-
mo, razzismo e specismo. Si, sia a livello intellettuale che
dal punto di vista sonoro, questo un disco che impegna
profondamente linconscio dellascoltatore. In attesa di sa-
pere cosa proporr il lavoro gemello previsto per fne
anno,Revolutionary Suicide, dategli credito.
(7.3/10)
STEFANO GAZ
JULIES HAIRCUT - THE WILDLIFE VARIATIONS
(TROVAROBATO, MAGGIO 2012)
GENERE: POP KRAUT
Prossimi al rientro in pista a tre anni di distanza dallot-
timo Our Secret Ceremony, i Julies Haircut solleticano
lappetito dei fan con un mini vinilico niente male. Ben
saldi nelle radici di un suono costruito nel corso di una
carriera lunga e rispettabile, ma mossi sempre da una
irrequietezza di fondo che ne mina da dentro il tutto,
portando alla ricerca e alla sperimentazione.
Non un fatto nuovo per i Julies, quello di sperimentare
forme nuove e tentazioni varie nelle produzioni corte.
Solo ultimamente si possono contare le collaborazioni
con Sonic Boom, prima, per il 10 N-Waves/U-Waves, e
coi Mariposa, poi, per avventurarsi nellomaggio a Nino
Rota e Jodorowsky. Ora questa variazioni sulla fauna
- sorta di indagine sul rapporto uomo/natura/universo
- che giocano col calembour su un doppio piano. In pri-
mis, con un immaginario flosofco-letterario che gioca
con rimandi e sponde citando a vario titolo o ispirandosi
a Leopardi, Yeats, Keplero, Von Humboldt e (chiss?) col
saggio sulla alterazione della percezione The Marriage
Of The Sun And Moon di Andrew Weil.
Percezione che si dilata, com ormai tradizione, anche
sul versante musicale del quintetto, sempre in equilibrio
tra strumentazione acustica e digitale. Cos tra psiche-
delia addolcita e incalzante (Bonfre), incanto di deliqui
alien(at)i tra sussurri, ritmi jazzati e languide carezze
(The Marriage Of The Sun And Moon), ossessive cifre
kraut-Spacemen 3 rotte da echi del passato (Dark Le-
opards Of The Moon) e pop cosmico e romanticamente
indolente (Johannes), i cinque mischiano sapientemente
trademark e tentativi di innovazione, canovaccio ormai
caratterizzante e slanci verso il nuovo. Ottimo pream-
bolo al nuovo lavoro lungo.
(7/10)
STEFANO PIFFERI
KING TUFF - KING TUFF (SUB POP, MAGGIO
2012)
GENERE: GARAGE POP
C da scommettere che King tuf il disco che far
conoscere Kyle Thomas al grande pubblico. Luomo ha
gi allattivo una buona gavetta con un paio di dischi
solisti, e poi collaborazioni nei Witch di J Mascis e con
gli Happy Birthday, sempre in casa Sub Pop. Ora con
questa nuova prova the King si sbarazza dei soliti giri
psych-sixties per dare spazio alla vena pi pop e can-
tautoriale.
Sia chiaro non un cambiamento epocale e viaggiamo
di sottigliezze, eppure rimane indubbio che lappeal di
King Tuf pi commerciale ed estivo. Si trovano giri
divertiti e zuccherosi replicati daHunx(Bad Thingma
sopratuttoKeep on movin), una buona dose di vecchio
rocknroll tirato a lucido (Strangers), e qualche passag-
gio pi raccolto come Unusual Word.
Di tutto un po insomma, ed ecco spiegato perch il
102
disco suona pi rotondo e pop, completato anche da
qualche intrusione punkettina (Baby just break) e classic
rock (Stupid superstar) che certifca un songwriting at-
testato su buoni livelli qualitativi. Per diventare la next
big thinggli manca ancora qualcosa in termini di perso-
nalit, ma intanto ha posato un buon mattoncino per il
futuro.
(6.9/10)
STEFANO GAZ
KTL - V (MEGO, MAGGIO 2012)
GENERE: DRONE-MINIMAL
Un lungo ohm che viene dalle viscere il modo mi-
gliore per presentare il quinto capitolo di KTL. E non
solo perch la prima traccia (Phill 1) realmente cos,
un drone meditativo che sembra sprigionare dal synth
di un curandero. tanto azzeccato perch prende le
distanze dal metal / noise comunque occhieggiato dai
primi quattro episodi della saga di OMalley e Rehberg.
E perch ci introduce al tipo di avanguardia a cui i due
hanno realmente guardato per V. Quellohm diventa
grandioso (e potrebbe fgurare nel catalogo Zeitkratzer)
nella versione 2, co-composta con lislandese Jhann
Jhannsson. Ma soprattutto si divincola ed esplicita
in un lavoro di studio maniacale, fatto di ricerca dei
timbri e di un minimalismo mai tanto lontano dal rock
e mai tanto vicino allo stress acustico dellharsh-noise
(Study A).
Lottimo livello di qualit della ricerca sonora di Ste-
phen e Peter non una novit. E sapere che i due han-
no ponderato con tempi pi lunghi del solito il nuovo
disco - e lavorato in due templi come lEMS di Stoc-
colma e il GRM di Parigi - non poteva che amplifcare
laspettativa. Di fatto, abbiamo di fronte il punto pi
alto della loro collaborazione, e a un ascolto da appun-
tarsi, da prendere con cura e concentrazione, almeno
nei primi secondi del trip. Il resto verr con il traspor-
to garantito dallesito della ricerca dei due, che, pre-
gio raro ma inequivocabilmente qualit di KTL, non
mai esterna alla corporeit pi massiccia della musica,
pur in scenari di rafnatezza inediti. Chiude la medi-
tazione un fuori-campo: laccompagnamento sonoro
a una installazione di Gisle Vienne, tenuta in climax
costante dallo spoken teatrale di Jonathan Capdevielle.
FILIPPO GATTI - IL PILOTA E LA CAMERIERA (SUNNY BIT, LUGLIO 2012)
GENERE: FOLK ROCK
Nove anni son passati da quel Tutto sta per cambiare destinato ad imprimersi come uno dei gioielli misconosciuti
del rock dautore (in) italiano degli anni Zero. Unera geologica in termini di shobiz. Perci il ritorno sugli scafali
di Filippo Gatti col secondo lavoro solista a parere di chi scrive una delle notizie migliori dellanno. Diciamo su-
bito che lex-Elettrojoyce non delude, dimostra uno spostamento lieve ma deciso in
direzione concretezza piazzando otto tracce di folk rock autorale dal lirismo asciutto e
intenso. La pensosit sanguigna del Folkstudio incontra particelle minimali Americana,
estro acido funk blues e spasmi power muovendosi su una linea di confne che impasta
prima di separare, cogliendo sintesi sempre credibili, frutti di una calligrafa che dietro
la levigatezza delle forme nasconde il piglio brusco della necessit.
Il primo singolo Tutti mi vogliono quando mi va bene stempera limpeto incalzante del
primo Venditti con turbe indie, costituendo assieme a Cattivi esempi e Non sei nessuno
(echi del John Martyn pi ingrugnito) il trio energico della scaletta, sempre efcaci
malgrado una certa semplicit strutturale che comunque non scade mai nel banale. Semplicit che nei pezzi pi
quieti diventa tenerezza fera e indolenzita, a partire da Country Song (dna Will Oldham mischiato a quello di Fossati
tra slide cremose, armonica e spazzole) per arrivare a Qui (riverbero magico west coast in un incantesimo basale
ossessivo Jim ORourke), passando dalla sardonica Lettera del cantautore ai presidenti del consiglio, da una Limbo
che stuzzica memorie Tiromancino e da una title track tesa e palpitante come un sentimento clandestino. Testi
al solito ad alto peso specifco malgrado limmediatezza, interpretati col timbro caldo e febbrile che ricordavamo.
Potr rimanere deluso chi (come ad esempio il sottoscritto) sperava in un (altro) lavoro meravigliosamente schivo,
pi incline allastrazione che alla sensazione. Ma da un album che va al sodo con ispirazione, dimostrando talento
nella cura dei dettagli e idee chiare su come vuole suonare, non si pu restare delusi.
(7.3/10)
STEFANO SOLVENTI
li i h i i i
103
Un ritorno allinquietudine dellumanit, dopo averci
assordato con lastrazione.
(7.3/10)
GASPARE CALIRI
LAETITIA SADIER - SILENCIO (DRAG CITY,
GIUGNO 2012)
GENERE: AVANT POP
Due anni son passati dallinizio del trip solitario di La-
etitia, dismesso il progetto Monade e messi a frollare
criogenicamente gli Stereolab (in attesa forse di un
futuro pi adeguato), ed ecco il sophomore Silencio
a ricordarci che la cantante francese non ha voglia di
consegnarsi alla Storia anzi ha qualche motivo per riven-
dicare attualit ai propri... motivi. Il principale forse la
particolare contingenza storica, la marea speriamo non
vana dei vari occupy che fermentano qui e l una rin-
novata critica al sistema sociale ed economico. Laetitia
ci sguazza e ne fa rapimento impegnato, levigando il
tutto con la consueta solennit marmorizzata di aciderie
cosmiche vintage blas.
Dribblando tuttavia la trappola del monocorde che
stava giusto dietro langolo, anzi squadernando un bel
ventaglio di suggestioni: dalla bossa ruspante in un
trepido luccichio Terry Riley di Between Earth and He-
aven alla Nico col patema french, le vaghezze kraute
e le pennellate eniane di Merci de mavoir donn la vie;
dal post-tribalismo stecchito funky la David Byrne
di Fragment pour le future de lhomme al Robert Wyatt
in bilico tra Radiohead e Jefferson Airplane di The
Rule of the Game, passando quindi dalle glasse spacey
di Silent Spot (Badalamenti ipnotizzato Zero 7), dalla
fragranza indolenzita di Next Time You See Me (un fore
malsano Cobain nel bouquet Stereolab) e dalla levita-
zione synth-wave con marezzature psych/downtempo
di There is a Price to Pay for Freedom (and it isnt Security).
La maturit ha regalato alla Sadier - compositrice e in-
terprete - uno spiegazzato calore, una sparsa pastosi-
t, un tumulto sottopelle che rendono plausibili pezzi
come Find Me the Pulse of the Universe (Veloso rapito
dagli alieni) o la mestizia jazzy di Lightning Thunderbolt.
Tuttavia le mancano (ancora) quei grammi di empatia
che la liberino dal proprio castello incantato di teoremi e
ossessioni. Il gioco della radical chic con le sinapsi pren-
sili e lerotismo diferito rischia di rinchiuderla ermetica-
mente in una bara di vetro, assieme a quel silenzio che
ossimoricamente cinvita a riscoprire come chiave per
riscoprirci.
(6.6/10)
STEFANO SOLVENTI
LAUREL HALO - QUARANTINE (HYPERDUB
RECORDS, MAGGIO 2012)
GENERE: HYPNAGOGICA
Nata 26 anni fa ad Ann Arbor, Michigan, vero nome Ina
Cube (ma ci crediamo poco), Laurel Halo ha alle spal-
le una formazione classica - ha studiato pianoforte - e
anni di esperienza in orchestre, ensemble impro e gruppi
noise. Dal 2009 attiva a Brooklyn come producer: due
EP su Hippos in Tank tra 2010 e 2011 (Hour Logic, esal-
tato dalla critica) e poi la superjam di lusso Frkwys vol.
7, su Rvng Intl., incontro tra elettroniche, tra tradizione
e contemporaneit, synthorama registrata nellagosto
2010 assieme a James Ferraro, Daniel Lopatin, David
Borden (compositore minimalista, fondatore - anno 1969
- dellensemble synth-only Mother Mallards Portable Ma-
sterpiece Co., amico personale di Robert Moog e oggi
prof universitario) e Samuel Godin (compositore, sound
designer, turnista per tanti artisti soprattutto black, da
George Clinton a Lauryn Hill, autore di sigle tv e di jin-
gle per colossi come la Pepsi). Kode9 adocchia Laurel e
la mette nel mucchio dei nuovi volti con cui da qualche
tempo sta riposizionando limmagine della propria label.
Questo 14esimo LP Hyperdub non il magnifco compi-
mento di un percorso difcile e accidentato (ovviamen-
te stiamo parlando degli Hype Dean e Inga e di Ebo-
ny), ma un buon lavoro di hypnagogica e un ottimo
debutto. Introdotti dalle icastiche Harakiri Schoolgirls di
Makoto Aida, ci troviamo immersi nellennesimo fut-
tuoso galleggiare tra sonno, sogni e ricordi targato anni
duemilaedieci. Laurel non crea la tensione narrativa dei
cugini Hype, ma sa dosare molto bene gli elementi e
costruire con sapienza le atmosfere. Ne viene fuori una
specie di world music amniotica e metropolitana, come
un Jon Hassel sperduto tra i grattacieli e le vetrine del-
la Grande Mela, come una Oxyegene di Jarre ripensata
per la hipster generation (questa defnizione labbiamo
rubata al Guardian), come una Kate Bush - riferimento
citato da molti e che qui esplode in uno dei pezzi pi
lunghi ed elaborati del disco, Carcass - ambient e dre-
amy messa a cantare dentro My Life in the Bush of Ghosts.
Tanti ottimi bignamini hypn che restano in testa, un po
confusi tra loro come giusto che sia (il mantra Airsick,
gli specchietti come coriandoli di Years e Joy, i Sa-Ra re-
mixati da Cristian Vogel di MK Ultra, i palpiti di Morcom,
le stratifcazioni vocali di Tumor e Light + Space), e qual-
che intermezzo un po troppo esercizietto (Thaw, Wow,
Holoday, Nerve), ma in fondo funzionale, per un disco
che ci fa taggare Laurel non pi solo come la fdanzata
di mr. Oneohtrix Point Never.
(7/10)
GABRIELE MARINO
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LAZER SWORD - MEMORY (MONKEYTOWN
RECORDS, MAGGIO 2012)
GENERE: MODERN BEATS
ora di riconoscere un importante merito al 2011 elet-
tronico, ossia quello di aver consolidato unestetica di
ricerca modern beats grazie a dischi cult della nuova
generazione come quelli di Rustie, Machinedrum, SB-
TRKT o Sepalcure. I frutti post-dubstep e post-wonky
dellanno scorso han costituito un sostrato di base ca-
pace di staccare con lavantieri e dar lassist allo stuolo
di giovani producers di oggi quali Jam City, MYRRYRS,
Submerse, Girl Unit, Duct, tutti dediti allindagine in-
telligente sui nuovi ritmi senza inseguire con nettezza
n ambizioni strettamente dance n alleggerimenti lato
puro listening (come il soul tanto battuto fno a poco
tempo fa).
La Monkeytown ha a riguardo due cavalli di razza,
Phon.o (prossimo al primo album) e i Lazer Sword. Di
questi ultimi abbiam gi apprezzato talento e inventiva
nel 2010 con lalbum omonimo, ma il ritorno li vede pro-
tagonisti di un piglio pi sperimentale e acuto, aperto a
interpretazioni ben ambiziose: un sound liquido capa-
ce sia di momenti di carica emotion come Better From
U (riecco appunto il soulstep di SBTRKT) e Sky Burial
(astrazioni e virogi ritmici su stile libero UK bass), sia di
durezze lato electro come Point Of Return (vecchia scuo-
la Detroit, vero, ma che grinta) e Pleasure Zone (sembra-
no umori deep ma in realt tech-house dimpronta
Hotfush). Coscienza storica, eleganza ma anche senso
di appartenenza alleuforia dei tempi moderni.
Memory vanta anche due collaborazioni deccellenza,
Lets Work con Jimmy Edgar in pieno stile Majenta e
CHSEN con un Machinedrum particolarmente appun-
tito, pi un paio di spunti inaferrabili, vedi i breaks di
Toldyall che tra bassline e schizzetti soul rinnovano gra-
titudine al footwork oppure gli spasmi incontrollati di
Missed A Spot, che spezzano le catene eppure restano
al loro posto, una corsa che non vuole inseguire alcuna
traiettoria nota. Pura esibizione di mezzi e attitudini per-
sonali. Forse la forma non ancora pienamente defnita,
ma tira aria di novit in questo 2012.
(7.1/10)
CARLO AFFATIGATO
LINKIN PARK - LIVING THINGS (WARNER MUSIC
GROUP, GIUGNO 2012)
GENERE: 00S ROCK FM
I Linkin Park sono stati, assieme ai Coldplay, il gruppo
che ha venduto pi album durante gli anni zero. Dopo
aver dato la mazzata defnitiva alla credibilit del movi-
mento nu metal con il best-seller Hybrid Theory - che
comunque era un buon contenitore di singoli - repli-
carono la formula con successo in Meteora. Segu poi
la U2-izzazione (che non ha risparmiato neanche lal-
tro nome citato in precedenza) del dimenticabilissimo
Minutes to Midnight e lenorme pasticcio - spacciato
da alcuni addirittura come album sperimentale... - di A
Thousand Suns, colpevole di aver fatto ulteriormente
calare le quotazioni della band americana anche a livello
di charts.
Due anni dopo e con una macchina promozionale, for-
tunatamente e giustamente ridimensionata, tornano
con il quinto album Living Things, prodotto in com-
pagnia dellormai fdato Rick Rubin.
Living Things sotto molti punti di vista un ritorno ai
territori meno impervi, quelli che hanno fatto la fortuna
di Chester Bennington e compagni: melodie easy-liste-
ning, break hip-hop, chorus da mano sul cuore ed elet-
tronica funzionale alla forma canzone. Probabilmente
pi coeso rispetto alle ultime due uscite, Living Things
porta a zero lefetto sorpresa: stacchi, armonie, bridge e
ripartenze sono talmente rodate e prevedibili da strap-
pare addirittura qualche amaro sorriso.
I creatori di Anime Music Videos si staranno gi sfregan-
do le mani e probabilmente anche i fan apprezzeranno,
ma - nostalgie a parte - chi li amava dieci anni fa ormai
dovrebbe aver raggiunto un livello di maturit che ine-
vitabilmente contrasta con un prodotto di questo tipo.
Con i Nickelback uno dei pi grandi rock-bluf degli
ultimi due decenni.
(4.5/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
MAIL AND CHOCOLATE - MAIL AND CHOCOLATE
(MAG-MUSIC, MAGGIO 2012)
GENERE: CHAMBER POP
Laspetto pi interessante dellesordio di Mail And Cho-
colate - al secolo, Alessandra Meneghello, Silva Cantele,
Elisa De Munari (gi Le-Li) - lestrema naturalezza che
dimostra nellintercettare immaginari completamente
diferenti. Prendete la formazione: contrabbasso, pia-
noforte e chitarra elettrica per un chamber pop che,
nelle intenzioni, non immaginereste poi cos distante
da quello di band come i Comaneci. E invece, dal punto
di vista dei richiami sonori, si va a parare da tuttaltra
parte, come dimostra una The Smile Anthem che cita i
Sodastream e i crescendo dei Sigur Rso una Postman
in cui Jonathan Richman sonorizza Buster Keaton sul
pianoforte scherzoso dellaBeatrice Antolini dei primi
dischi. Non tutto, visto e considerato che Pretex rie-
sce a scomodare il punk pur rimanendo dalle parti di
Carlot-ta, Chocolate Girl fa il verso ai System Of A Down
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senza usare un solo overdrive di chitarra, Set Free e Let
All The Children Play riportano tutto entro i canoni di una
musica da camera immaginifca e con qualche infuenza
post rock.
In allegato, unirruenza nei suoni senza tanti fltri che
giova alla personalit ma paga pegno in termini di ri-
cerca formale: adattare la musica da camera ai ritmi pi
sghembi senza perdere eleganza e creativit si pu,
come hanno dimostrato anche i primi Quintorigo. I
Mail and Chocolate sopperiscono con una freschezza
contagiosa che limita i danni - su certi arrangiamenti si
sarebbe forse dovuto lavorare di pi - e rappresenta un
ottimo punto di partenza.
(6.7/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
MAN FOREVER - PANSOPHICAL CATARACT
(THRILL JOCKEY, MAGGIO 2012)
GENERE: DRUM MADNESS
Dietro loscuro moniker si nasconde una personalit ben
nota dellunderground americano. Man Forever infatti
il progetto (quasi) solista di John Colpitts, ai pi noto
HERMETIC BROTHERHOOD OF LUX-OR - ETHNOGRAPHIES VOL II. MUSE DE LHOMME HERMETIQUE
(TRASPONSONIC, MAGGIO 2012)
GENERE: FREE-NOISE
Della folle congrega sarda facente capo alla Trasponsonic abbiamo gi avuto modo
di parlare. Ma ogni uscita, pur diradata nel tempo rispetto ai pirotecnici esordi, del
collettivo di innominati e innominabili degna della massima considerazione. Specie
se, come nel caso di questo Ethnographies Vol. II, non si parla di un album a concetto
bens di due album distinti riuniti sotto la volta dellindagine etno-antropologica che
il collettivo sta svolgendo sulla propria terra dorigine, trasformata quasi in paradigma
vivente della decadenza del mondo occidentale, afrontata trasversalmente sotto la
lente distorcente della musica industrial tutta.
Due nuovi capitoli, dicevamo: Jesus And John Wayne e And Justice For Hollywood, ovvero due (non)luoghi/stati
della mente tipici dellisola. Da una parte il deserto, dallaltra le fabbriche con in mezzo un legame apparentemente
distante ma in realt saldissimo: quello dellessere antitetici fratelli in terra sarda, vere e proprie cattedrali sulla
sabbia.
Il primo come stato della mente, luogo di perdizione e espiazione, scenario di vecchi western riproposti nellattualit
con un procedimento che sa di quella hypnagogia oggigiorno tanto cara. Roba che si esprime musicalmente in
quattro lunghissime suite dimpostazione free-psichedelica, in cui efuvi pagani e rimandi ancestrali riuniscono su
un stesso terreno - sabbioso, ovviamente - Current 93 (Hyperion Sunset) e psichedelia desertica post-Morriconiana
(HydrogenWhiskey, un Neil Young baritonale abbandonato da Jodorosky nelle location de El Topo), litanie spirituali
che guardano ad oriente, come se gli Om fossero cresciuti tra carcasse di fabbriche e desolazione in Barbagia (Gra-
vity Sucks), ohm malefci e ossessivi (Orbitronio).
Sempre dilatato ma pi radicale il contenuto di And Justice For Hollywood, per forza di cose legato ad un aspet-
to industriale, materico e ossessivo delle fabbriche disseminate sul territorio sardo e ricalcato sui sette peccati
capitali. Musica retta sul flo rosso che dai TG arriva ai Liars, passando per Godfesh e Scorn, in cui riecheggia una
versione nostrana della Shefeld cara ai Cabaret Voltaire. Roba da catena di montaggio, come nellopener Azure
Acedia - i Test Dept dei tempi andati che jammano con gli Swans di Cop o Greed? - e densa di fumi tossici come
nella maggior parte delle tracce tra epiche cavalcate tribal-noise (Red Ira) e groovey (Blue Luxuria). La disillusione
per uno sviluppo industriale mancato che si trasforma in archeologia invadente, il crollo dellideale del progresso,
la decadenza visibile nel disfacimento del costruito, trova la sua catarsi nei 34 minuti della ciclopica chiosa di Yellow
Avaritia, tra ambient meftica, risuonare sinistro di sirene dallarme, metalliche percussioni che sono eco lontano di
un american dream trasformatosi in world night mare su cui scende una pioggia acida di white noise.
Pi che un disco, una vera e propria ricognizione nel passato/presente di una terra che, ci ripetiamo, esempio,
micro-mondo atonale e ruvido, di un sistema in overdrive e molto prossimo al collasso. Sipario.
(7.8/10)
STEFANO PIFFERI
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come Kid Millions, ovvero batterista e membro fondante
dei campioni Oneida uso a trastullarsi come multistru-
mentista con altre band del giro cittadino (vedi alla voce
Akron/Family).
Pansophical Cataract, terzo album a nome MF e primo
per Thrill Jockey, consta di sole due tracce, lunghissi-
me e sfancanti in cui il nostro mette a fuoco lidea pri-
migenia del progetto MF: esplorare i limiti della drum
performance cercando di investigare le sfumature della
musica reiterata. Missione compiuta, dato che le due
tracce di cui sopra, per le quali Millions si avvale, al soli-
to, di numerosi batteristi - Brian Chase degli Yeah Yeah
Yeahs, Ryan Sawyer degli Stars Like Fleas, Greg Fox dei
Liturgy - e altrettanti strumentisti - Richard Hofman dei
Sightings al basso, Shahin Motia (Ex Models, Oneida)
e James McNew (Yo La Tengo) alle chitarre - un tour
de force in quella sottotraccia tribal che lunderground
newyorchese ha dimostrato di amare alla follia. Vedi alla
voce 77Boadrum o new tribal america tutta.
Ridotte al minimo sindacale per riempire i solchi di un
vinile, Surface Patterns e Ur Eternity sarebbero da apprez-
zare nella loro sede pi confacente, ossia quella live. In
cui cio il maelstrom percussivo, reiterato e ossessiva-
mente minimale raggiunge spesso i 30 o 40 minuti col
collettivo che si amplia a dismisura, proprio come una
versione ridotta dei citati happening cittadini voluti dai
Boredoms.
Il risultato non quello auspicato - la rendition punk-in-
fused della Metal Machine Music loureediana per sole
batterie - ma probabilmente il medium a troncare la
modalit trance-inducing che una musica del genere
pu e vuole sortire. In mancanza di un live sottocasa,
accontentiamoci di un lavoro che, pur partendo da pre-
supposti diversi, ha molto in comune con le ricerche
della casa madre e che si fa apprezzare anche per la co-
raggiosa volont di superare il rock senza perderne di
vista mai il succo e lattitudine demistifcatoria e punk.
(6.7/10)
STEFANO PIFFERI
MAROON 5 - OVEREXPOSED (A & M, GIUGNO
2012)
GENERE: HATEFUL POP
Si chiamavano Karas Flowers ed erano una sorta di
power-pop band post-Weezer. Un solo album - The
Fourth World - prima di cambiare il nome in Maroon 5.
Nel 2002 lalbum di debutto con il nuovo moniker, quel
Songs About Jane esploso due anni pi tardi - anche
in Italia - grazie ad una sequenza di singoli decisamente
azzeccata (Harder to Breathe, This Love, She Will Be Loved
e Sunday Morning). Cifre enormi che non seppero bissa-
re n con It Wont Be Soon Before Long n con il suc-
cessivo Hands All Over, un vero fallimento prima che
venisse ripubblicato con allinterno la terribile hit Moves
Like Jagger con la partecipazione di Christina Aguilera.
Rispetto ad altri nomi mainstream pop-rock/funk (Red
Hot Chili Peppers o Lenny Kravitz) i Maroon 5 han-
no da sempre avuto un tipo di appeal smaccatamente
pop, un aspetto che viene ulteriormente esasperato nel
quarto disco Overexposed.
Come altri pop acts, anche Adam Levine e compagni
si sono fatti aiutare sia in fase di scrittura che di produ-
zione da svariati colleghi quali Max Martin, Benny Blan-
co Ryan Tedder e Shellback. Come nel caso dei Linkin
Park, siamo di fronte ad una variante del concetto di
boy band.
Musicalmente Overexposed, se possibile, abbassa nuo-
vamente la credibilit della band andando a seguire e
in modo risibile il soldo facile: lopener One More Night
potrebbe essere un pezzo di Rihanna, Payphone il
cervello che si spegne e in Daylight vorrebbero essere i
Coldplay (gli ultimi, sfortunatamente) ma lodiosa voce
di Adam non certo accogliente quanto quella di Chris
Martin (vedi anche gli o-o-oooh di The Man Who Never
Lied).
Ritmi uptempo a cassa dritta al limite del trash-dance-
pop (Fortune Teller, Doin Dirt), qualche smorfa black
80s mista a moderno soul-funk (Ladykiller) e un paio
di ballads fnto-malinconiche (Sad) sono gli ingredienti
base di Overexposed, un disco in cui lormai quaran-
tatreenne Adam Levine gioca sempre pi a fare lidolo
delle teenager. Entro breve nei cestoni degli autogrill...
(3.9/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
MISS O - INFECTION (ADDICTIVE NOISE
RECORDS, MAGGIO 2012)
GENERE: TRIP HOP
La O della ragione sociale Odette Di Maio, gi voce
dei Soon negli anni 90. Una volta scioltosi il guppo di
Scintille, Odette passata tra varie esperienze e colla-
borazioni (fnendo anche nella colonna sonora di CSI
Miami con i Bedroom Rockers) che ad un certo punto
lhanno portata ad incontrare il belga Jan De Block, col
quale nel tempo ha creato (anche a distanza, come vuo-
le la pratica della musica ai tempi di internet) il materiale
di questo disco e il duo che ne titolare.
Rispetto alla vecchia band sparita la vivacit pop-rock
che la rendeva degna coesordiente dei Prozac + (ben-
ch fossero molto diversi), a vantaggio di unelettronica
che neiSooncompariva solo occasionalmente; eppure
non siamo cos lontani dagli anni 90.
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Il disco infatti, pur usando spesso strumenti veri (col
piano al centro di molti pezzi, o la chitarra col tremolo),
si colloca nellambito del trip-hop che ai tempi del primo
gruppo di Odette conosceva la sua stagione doro, quel-
la dei gruppi che gi da qualche anno annunciavano
un pezzo di revival 90s (lattesto terzo dei Portishead,
la reunion dei Lamb, o la nuova ispirazione di Tricky).
La loro declinazione del genere passa dalla classicit
delle iniziali In Motion e Talk To Me al pop accennato
(Sensitivity), malinconico (The Girl) e rifessivo (My Wil-
dest Time, con accenni di Morricone) con una spolve-
rata qua e l di Rickie Lee Jones o Suzanne Vega (The
Country), alle venature quasi bucoliche di Butterfy, con
loccasionale virata del divertissement sotto forma di
blues lynchiano in Night Ride.
I testi intimisti e il tono generale sommesso fanno del
disco una sorta di versione sonora del grembo net-
tuniano evocato appunto in The Neptunian, ossia un
luogo confortevole dove ritrovarsi, coccolati da un pop
delicato ed elegante.
(7/10)
GIULIO PASQUALI
JHEREK BISCHOFF - COMPOSED (LEAF, GIUGNO 2012)
GENERE: POP ORCHESTRALE
Jherek Bischof da Seattle produttore e arrangiatore (per Evangelista, Xiu Xiu, Parenthetical Girls...), autore di
soundtrack per videogames nonch bassista per i Dead Science. Uno insomma che la musica la crea con premes-
se e obiettivi particolari, approdando ad esiti ampiamente e diversamente pop, casomai pervasi dimmaginario
orchestrale cinematografco, di quello che nella cultura USA ha spennellato celluloide fno a diventarne il naturale,
immancabile riverbero. Come gi accadde sei anni fa, luomo si fatto prendere dal ghiribizzo di confezionare un
album di nove tracce, ma diversamente da quellomonimo esordio le canzoni hanno
un titolo e usufruiscono del prezioso contributo di pregiati ospiti.
Jherek sceglie lapproccio giusto alla materia, si mette abilmente al servizio di sensibilit
diverse e variamente alternative (da David Byrne a Dawn McCarthy passando da Carla
Bozulich a Caetano Veloso...) che conduce lungo le sontuose scenografe da lui stesso
escogitate. Presenza ad un tempo immanente e impalpabile, ordisce trame dietro le
quinte e conduce le danze dal piedistallo del direttore dorchestra con un gesto solo.
Lambito musicale che ne ottiene ricco e credibile, coeso ed afascinante, come se
il campionario dinquietudini e suggestioni che emozionava i nostri padri (e i di loro
padri) galleggiasse nello stesso torbido calderone degli sperimentatori pop-rock dei decenni successivi. Ci riferia-
mo certo alla milonga maliarda allestita assieme a Byrne nella sontuosa Eyes, ma pi ancora alle vampe languide e
alle cupezze in minore di quella Blossom che sfrigola di scorie art-wave grazie anche alla calligrafa chitarristica di
Nels Cline, oppure ad una Young And Lovely che incalza a passo di carica Arcade Fire (in un tripudio da brass band
paradisiaca) prima dincantarsi in una fatamorgana jazzy gershwiniana (imprescindibile il contributo vocale di Zac
Pennington e della cantante e attrice francese Soko).
Altrove ci simbatte in un Veloso che si aggira con cauta arguzia tra impressionismi romantici e disarticolazioni sin-
tetiche quasi The Books (The Secret Of The Machines), in una Bozulich che sfoglia petali folk saturi dapprensione
come una Kate Bush fanciulla (Counting), in quella specie di power-pop cameristico - lanello di congiunzione tra
Antony e Alex Chilton? - tratteggiato con stordente leggerezza da Craig Wedren (degli Shudder to Think) in Your
Ghost. A chiudere, la ieratica freakeria di Insomnia, Death And The Sea, empito Peter Hammill, tenerezza solenne
Joanna Newsom e progressione marziale per linterpretazione di una quanto mai inefabile McCarthy (vocalist dei
Faun Fables).
A stare stretti un gran bel disco di pop assieme alto e altro, ma allargando un po la prospettiva potrebbe per-
sino rappresentare un episodio emblematico del sound anni Dieci, in grado di compiersi al massimo della potenza
espressiva rielaborando elementi classici senza necessariamente pagare dazio alla post-modernit. Benvenuti nel
decennio della neo-tradizione? Staremo a sentire (ascoltare).
(7.5/10)
STEFANO SOLVENTI
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MORITZ VON OSWALD/VLADISLAV DELAY/MAX
LODERBAUER - MORITZ VON OSWALD TRIO -
FETCH (HONEST JONS RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: ELECTRO-JAZZ
Non si ferma la macchina di Maurizio e co. Quarto disco
(e secondo dal vivo) per il combo techno-meets-dub-
and-jazz, registrato in sole quattro ore lo scorso agosto.
Fetch presenta quattro lunghi pezzi jammati che con-
fermano le capacit tecniche dei tre, con laggiunta del
bassista ECM Marc Muellbauer (gi presente in Hori-
zontal Structures) e del musicista elettronico Tobias
Freund (collaboratore fsso da Vertical Ascent) e con in
pi anche gli overdub di fauto, clarinetto e sax di Jonas
Schoen e la tromba di Sebastian Studnitzky.
Descrivere le tracce facile: Jam un tunnel dark rit-
mato dalle percussioni ostinate di Ripatti che svisa con
trombe e organetti Farfisa 70, Dark un passaggio
rumoristico, incuneato su posizioni catacombali che
prelude alla seconda parte del set, pi votata alle re-
miniscenze berlinesi technoidi (Club) o tribali che siano
(Yangissa).
I dischi del trio stanno diventando diari live compatti,
veloci e intensi. La destinazione diventa sempre pi spe-
rimentale e mima quello che Miles Davis aveva fatto
dopo la svolta elettrica di Bitches Brew: chiamare a s
una cricca scelta di turnisti del momento per improvvi-
sare e far nascere nuove idee dallo scontro di stili e po-
etiche musicali apparentemente agli antipodi. L cera
la contrapposizione tra jazz e rock psichedelico, oggi il
jazz viene traftto dalle armi ritmiche del clubbing. Che
questa sia una delle possibilit della musica elettronica
contemporanea pu anche starci, ma dopo unora di
jam, viene un dubbio sulla longevit del documento
sonoro che abbiamo davanti.
Fissare su un supporto (/cristallizzare) limprovvisazione
sempre rischioso, a meno di eccellenze. Per questo
ensemble sembra pi corretto andare sotto al palco a
percepire le good vibrations; per il mentasm conviene
tornare dietro alle consolle...
(6.8/10)
MARCO BRAGGION
MOUNT EERIE - CLEAR MOON (P.W. ELVERUM &
SUN, MAGGIO 2012)
GENERE: SONGWRITER
Lo sguardo attonito verso la drammatica indiferenza
delluniverso; il millimetrico e angoscioso spostarsi degli
oggetti del quotidiano, mentre luomo - un uomo - resta
fermo; il dubbio, poi, angoscioso, che forse siamo noi a
non prestare attenzione mentre il mondo intorno vibra
e respira di piccoli grandi mutamenti.
Phil Elvrum, aka Mount Eerie - ex Microphones, dai
quali eredita il moniker recuperandolo dal titolo di un
loro album - confeziona il suo lavoro pi domestico e
intimo. Cantautorato evoluto afollato di dettagli, spes-
so afogato nella lentezza, sottilmente apocalittico se si
presta attenzione alle tensioni che si muovono dietro
(ma anche davanti, in brani come Clear Moon), in retro-
vie armoniche ben mascherate dai timbri afabili delle
chitarre, delle tastiere avvolgenti, delle batterie muta-
te e ovviamente della voce leggera ma assolutamente
pregnante.
Molte le sfumature, pur allinterno di uno stesso pen-
siero. Folk rurale e malinconico nella apertura afdata a
Through the Trees pt.2, tra Eluvium e Steve Von Till,ma
anche tappeti liquidi e oscuri bordoni badalamentiani
nascosti nella calma, come in The Place I Live e Yawning
Sky; o ancora, quando le ritmiche si accentuano, ecco il
Nostro passare a registri di unavanguardia pop ricca di
inquietudine e tensione (Lone Bell, House Shape).
Nel complesso, laddove il precedente Winds Poem rega-
lavainterferenze provenienti dalla musica estrema, con
distorsioni brutali a creare una frattura che si (purtrop-
po?) persa, oggi apprezziamo una scrittura pi a fuoco,
piacevolmente tentata dalle delizie della melodia, raro
convergere di grazia sonora e intensit emotiva.
(7.4/10)
ANTONIO LAUDAZI
MOUSTACHE PRAWN - BISCUITS (PICCOLA
BOTTEGA POPOLARE, GIUGNO 2012)
GENERE: INDIE ROCK
Trio pugliese vincitore delle selezioni regionali di Italia
Wave 2011, i Moustache Prawn afdano il loro esor-
dio ad una piccola - come dice il nome - realt dei loro
dintorni, pi associazione culturale che vera e propria
etichetta discografca.Questa dimensione locale rischia
per di durare poco: il disco infatti ha tutte le potenzia-
lit per ottenere riscontri ben pi ampi, come pare stia
gi accadendo.
Senza grosse rivoluzioni musicali o idee clamorose, i no-
stri mettono insieme un disco efcace. La voce del can-
tante, molto Casablancas anche in senso positivo (ossia
nellabilit con cui oscilla tra slacker e sorrisetto, ruvidit
e divertimento), ben esemplifca ci che i MP fanno con
buona verve: un rock essenziale che oltre appunto agli
Strokes (lopener Oil, Mixer) sa guardare ai primissimi
Cure (Crucus) o allindie anni 00, in particolare a quello
che si rif al post-punk pi grintoso (i cambi di tempo di
Never Think So Long, primo video del disco, i Bloc Party
di Aeroplane, una vaga aria generale tra Arctic Monkeys
e Vaccines).
109
Ci che ci impedisce di rigirare al gruppo il titolo Is This
It? chiedendo appunto tutto qui? non solo la disin-
voltura e la spigliatezza con cui superano il gi sentito,
quanto certe aperture che per il futuro lasciano imma-
ginare buoni sviluppi e allargamento della paletta: vedi
una A Lucky Charm tra Lennon, Nashville e i Coral o
lo psych soleggiato e pigro della conclusiva Nail Hand
Wrist.
Per un esordio va pi che bene cos.
(7/10)
GIULIO PASQUALI
NEIL YOUNG/CRAZY HORSE - NEIL YOUNG & THE
CRAZY HORSE - AMERICANA (WARNER MUSIC
GROUP, GIUGNO 2012)
GENERE: FOLK ROCK
Neil Young non pu essere certo defnito uno sperimen-
tatore. Nella sua carriera si limitato - si fa per dire - ad
esplorare il proprio linguaggio sostanzialmente folk rock
ed i suoi rifessi anche distorti nellimmaginario popo-
lare, bazzicando estremi soul e punk con sporadiche
digressioni noise ed electro, queste ultime a dire il vero
abbastanza dimenticabili. Nei suoi ultimi lavori ci sim-
batte spesso in un piglio lo-f che potremmo quasi def-
nire dopolavorista, sorta di noncuranza programmatica
che pone laccento sullo zampillio ruspante del verbo
rock in brusca opposizione alla professionalit standard
di tanta produzione contemporanea. I risultati quasi mai
sono stati allaltezza del passato, ma se non altro tradi-
scono unansia di cavalcare musica che va al sodo senza
niente concedere ad autoindulgenze e narcisismi vari,
e che ci ha condotti di gran carriera allalbum numero
34 - !!! - frmato dallinefabile canadese, per loccasione
di nuovo in sella ai sempre dirompenti Crazy Horse.
Con Americana per Young scopre ancora pi le car-
te del suo gioco e ci ofre una tappa nuda e cruda del
suo journey through the past, pescando dal calderone
della memoria (personale e collettiva) undici pezzi che
hanno accompagnato in modi e tempi diversi la Sto-
ria - appunto - americana. Molti i pezzi defnibili come
traditional (una Oh Susanna irruente come una trafelata
rilettura di Venus, la macabra baldanza di Gallows Pole,
una ombrosa Shell Be Coming Round the Mountain e
linnodia fera di This Land Is Your Land con nientepopo-
dimeno Stephens Stills ai cori...), ma anche doo wop
proletari (Get A Job) e archetipi psych-folk (una intensa
High Flyin Bird). Agli antipodi dellimpeto fracassone di
Clementine e Travel On - non lontane dallo sferragliare
scomposto di Ragged Glory - c una Wayfarin? Stranger
a lume di candela, quasi a mettere laccento sul dark side
di questo carosello che s funky, come puoi sentire
pronunciare dallo stesso Neil of the record, ma anche
grave come un controcanto a questepoca di crisi prima
di valori che economica.
Stesso spirito che anima il flm A Day At The Gallery,
ideato e diretto da Young (col consueto moniker Ber-
nard Shakey), realizzato con la supervisione artistica di
Shepard Fairey (lautore del celebre poster in tricromia
di Obama) e visibile sul sito ufciale: il taglio vagamente
ispirato a The Artist e le canzoni a fare sottofondo di re-
perti cinematografci come fantasmi di unepopea tragi-
ca e formidabile. Operazione nel complesso interessan-
te oltre i meriti strettamente musicali, i quali comunque
testimoniano il buon stato di forma del vecchio lupo
grigio. Non stupiscono quindi i rumors circa un immi-
nente nuovo album di inediti, sempre coi Crazy Horse.
(6.4/10)
STEFANO SOLVENTI
OTTAVEN/AQUARIUS OMEGA - A4GOD (SONIC
BELLIGERANZA, MARZO 2012)
GENERE: COSMICA
uno split tra musicisti, ma soprattutto tra mondi, che
si vengono incontro e non si danno le spalle, come po-
trebbero senza resistenze fare i due lati di un vinile 12?.
Tra la cosmica di Ottaven e il noise di dj Balli e com-
pagnia non un passo brevissimo. Eppure percorribile
insieme, come dimostra A4GOD, vinile in edizione li-
mitata stampato in occasione di A4GOD - An Inquiry
into Eidolatria and Contemporary Drawing in Italy,
progetto sul mondo dellillustrazione italiana curata da
studio Pomo di Marco Cendron e Alessandro Cavallini,
responsabili anche dello splendido artwork del vinile.
Di Giovanni Donadini / Canedicoda sappiamo gi
molte cose. Anche in Dea (lato A del disco), Ottaven ci
delizia con una cosmica glitch da manuale, sorniona e
a suo modo struggente. Matura come solo un coltivato-
re diretto, a fliera cortissima, sa creare. Equilibratissima
e delicata, con una manciata di loop che si inseguono
senza fretta, rimanendo poi imbrigliati nei nostri neu-
roni. La sorpresa semmai Aquarius Ω, colpo
di coda mistico/ironico di - Belligeranza (leggi: meno
Belligeranza, versante meno crudele della label madre
Sonic Belligeranza). Progetto che sar attivo solo nel
2012, anno dellacquario, ultima possibilit per una ri-
conversione alla Nuova Era, come suggerisce con il sor-
riso sotto i baf chi sta dietro al moniker. Ritorneranno
Dal Cielo, brano che copre tutto il lato B, inizia con un
collage sonico con annunci massmediali e prosegue con
un tappeto pulsante di tastiere che rimanda a una ver-
sione disturbata magistralmente della cosmica di Jarre
e dei divulgatori delle avanguardie dei primi Settanta.
110
Una dilatazione delliperuranio tra quel decennio e il
successivo che oggi diventa un dtournement. E spe-
riamo non rimanga isolato.
(7/10)
GASPARE CALIRI
PATTI SMITH - BANGA (SONY, GIUGNO 2012)
GENERE: ROCK
Con questa fanno tre volte che Patti Smith artistica-
mente rinata dopo uneclissi di circa otto anni. Capit
nel 1988 con quel Dream Of Life che gli regal il cla-
moroso successo di People Have The Power dopo il buen
retiro dedicato al menage familiare. Capit nel 1996 con
Gone Again, guizzo vitalistico e rabbioso a compensare
(molto) parzialmente la tragica perdita del marito Fred
Sonic Smith. Capita oggi appunto otto anni dopo
il solo discreto Trampin, non contando la raccolta di
cover Twelve che nel 2007 ci aveva semmai fatto so-
spettare un irreversibile inaridimento della vena. Se la
comparsata a Sanremo di spalla - si fa per dire - ai Mar-
lene Kuntz non aveva innescato certo aspettative pi
rosee, lascolto di Banga - undicesimo album in carriera
- si rivela invece una piacevole sorpresa.
Disco lontanissimo dal sacro furore della tetralogia dei
70s, certo, ma sostenerlo signifca coglierne la principa-
le qualit, perch pare proprio che la sessantaseienne
chicagoana abbia fnito di fare i conti con quei formida-
bili precedenti per approdare ad un dorato equilibrio tra
lirismo e immediatezza, tra energia ed essenzialit. Libe-
ra quindi di non dover ricorrere alla grossolana frenesia
elettrica del periodo a cavallo tra 90s e anni Zero, sorta
di tardiva infatuazione grunge liberamente interpretabi-
le come una cortina fumogena dietro cui mascherare il
fsiologico imbolsimento. Oggi la Smith - aiutata in fase
di produzione dalla fdata band con a capo lo storico
sodale Lenny Kaye - suona con la rilassata intensit del
Tom Petty maturo, con quella capacit cio di apparire
accomodante senza smettere di sembrare rock. Le bal-
late hanno il passo dinoccolato e acidulo (dalle nuances
balcaniche di Mosaic al caracollare struggente di Maria),
KID606 - LSDMTB303 EP (TIGERBEAT6, GIUGNO 2012)
GENERE: COSMIC ACID IDM
Non c due senza tre: dopo Squarepusher e Venetian Snares il turno di Kid606,
un altro mostro sacro che ritorna dai 90 breakcore a rammentare ai presenti (per la
terza volta) cosa signifchi vecchia scuola e quanto si possa essere efcaci in suggestio-
ni ed emozioni anche con gli spigoli intelligenti, battendo sullo stesso campo londa
neoclassica della nuova generazione. La fascinazione delluniverso IDM pronta per la
riscoperta consapevole, ma un conto risalire il fusso e rinfrescarsi alla sorgente, un
altro aver gi determinato il corso degli eventi e lavorare ora di maestria, ricondu-
cendo quegli spunti alle nuove teorie soniche.
da un po che il venezuelano folle ha abbandonato le convulsioni rave di Dont Sweat
The Technics, ma mai come adesso le nuove sperimentazioni ambient son piantate in maniera cos armonica nei
giorni nostri. Per dire, Everything Is Business stilisticamente una magia: ragiona per spazi halfstep, inventa lungo
beats wonky, si trattiene sullimplicito UK bass e tocca le corde oscure che temiamo. Praticamente un giallo psico-
logico di Fritz Lang. Le tangenti cosmiche son quelle dellinduzione mentale di When Things Come Together ma
hanno anche il piglio pi convinto di LSDMTB303, fatta di ritmica Kuedo e intuito del Moby commerciale. Dark
Archipelago poi sembra lappendice ordinata dei viaggi sghembi dellultimo Last Step, quegli stessi percorsi acid
emozionali portati sul giro simmetrico che ne maggiora lassorbimento.
Nemmeno mezzora per 8 tracce, ma gli spunti sono ovunque: prendi Temporary Revelations, che racconta le sto-
rie diverse del krautrock pi ambizioso e sembra sempre sul punto di sfociare nellemozione soul esplicita, con la
diferenza che Kid606 stavolta non improvvisa e tiene tutto sotto il controllo degli analogici, solleticando anche la
nostalgia in I Want Her Wings e nella Vangelisiana Hood Gone Mad. La modernit eppure c eccome, e se chiudi gli
occhi e ascolti Love Me pensi di stare nelle teorie avanzate della giovent ipnotica postdubstep che corre tra Jamie
XX e MYRRYRS. Non si mai vecchi fnch non inizi a pensarlo e questanno a darci lezioni di mental passion son
stati tre dei cosiddetti anziani. Chapeau.
(7.2/10)
CARLO AFFATIGATO
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i folk giocano su mezzitoni cameristici (la solenne Se-
neca) oppure si spampanano con astrazioni jazz-psych
(vedi Tarkovsky The Second Stop is Jupiter, morbida ten-
sione Nick Cave tra fatamorgane Jeferson Airplane),
mentre le zampate elettriche smazzano tensione iera-
tica (Fuji-san, pensando alle vittime del terremoto/tsu-
nami giapponese) e strascichi blues-wave (la title track)
ammiccando distorsioni quasi industrial senza perdere
un grammo di coesione.
Venendo al contenuto - ingrediente sempre cruciale
nellevocativo verbo smithsiano - si parte da una agro-
dolce meditazione sul viaggio di Vespucci alla scoper-
ta del nuovo mondo (Amerigo) per approdare - dopo
un lungo sottofnale ad alto tasso lirico (Constantines
Dream, dedicata al capolavoro di Piero Della France-
sca, scritta e realizzata in Italia assieme ai La Casa Del
Vento) - alla younghiana After The Gold Rush riletta con
sobria padronanza, al netto di un fnale retoricamente
afdato ad un coro di bambini (look at mother nature
on the run/ in the 21st century). Nel mezzo, c tempo
per una dedica tra il blando e lappassionato ad Amy
Winehouse (This Is The Girl) e un happy birthday non
trascendentale allamico Johnny Depp (Nine), nonch
per il singolo April Fool che sciorina romanticismo afa-
bile tardo 80s benedetto dalla liquida chitarra di Tom
Verlaine. Credo si possa dire che dei tre ritorni suddetti
questo il pi convincente.
(6.9/10)
STEFANO SOLVENTI
POLYSICK - DIGITAL NATIVE (PLANET MU
RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: RETRO-FUTURE AMBIENT
Staremo peccando di sopravvalutazione, ma ad osser-
vare la recente serie di uscite Planet Mu tra Kuedo, The
Host e Last Step sembra di scorgere una traiettoria
particolarmente ambiziosa: la defnizione di un neo-
classicismo colto che serva da direttiva prospettica per
la nuova generazione, uno storicismo rafnato che non
solo riscoperta cosmic, ambient o acid, ma pi in gene-
rale funge da base stilistica di riferimento per i ventenni
di oggi, come a voler colmare un vuoto nella coscienza
storica dei giovanissimi che si son persi i 70 pi nobili.
La new entry Planet Mu Polysick un producer romano
gi avvistato su Strange Life e 100% Silk e rientra benis-
simo in questo discorso: lamore per il classico investe
stavolta la fase nascente house (tra le tangenti acid di
Transpelagic e le ambizioni ambient di Taito), il culto per
le ambientazioni sviluppato dalla vecchia scuola cosmic
(Lost Holidays, Gondwana) e le smanie intelligent pi a
portata di mano (Drowse, Loading..), il tutto ovviamente
riproposto in chiave personale, con un particolare as-
setto minimal/abstract che sboccia in Tic-Tac Toe, certe
propensioni droniche (Meltinacid) e una cura certosina
del mood sghembo e misterioso che oggi fa tanto cool
(Caravan e Preda le pi intriganti).
Il disco mostra sufciente passione e ispirazione da non
suonare retr ed ha lo spessore giusto per far colpo sui
ricercatori di buona musica (soprattutto su coloro che
lo accolgono come novit del tempo, vedi il vuoto di
pocanzi). Eppure resta netta limmagine di un sound che
non vuol dare concretezza, ma disegnare circonvoluzio-
ni nellaere, un percorso coltivato come esperimento sul
suono e sulle sue potenzialit induttive (Polysick stes-
so focalizza lattenzione sulle associazioni visive che si
legano alle tracce). Unambizione astratta che ne fa pi
una questione per cultori: intenzione che fa pienamente
parte dei binari Planet Mu odierni, lecita e appagante a
patto di non trasformarsi in dottrina aristocratica calata
dallalto, che punta a dettare i tempi invece che seguirli.
Il retrofuturismo va bene, ma occhio alle misure.
(6.6/10)
CARLO AFFATIGATO
POP ETC - POP ETC (ROUGH TRADE, GIUGNO
2012)
GENERE: SYNTH-POP
Nel sophomore e disco della ribalta datato 2010, Big
Echo, i Morning Benders costruirono un sound av-
vincente fatto di chitarre jangly e armonie sature di
riverberi intriso di infuenze lungo cinque decadi pur
restando inserito nel momento musicale contempora-
neo. Lintento di mescolare passato e presente informa
pure il primo lavoro della band comePop Etc(cambio di
moniker costretto dalla connotazione omofobica che il
termine bender ha in Gran Bretagna), ma le similitudini
fra le due release terminano qui.
Il sound rock-based di matrice 60s rimpiazzato da un
90s synth-pop dozzinale con a corollario un parco suo-
ni stantio ed obsoleto che va a toccare triti dialogue
sample (New Life), ritmi clip-clap e auto-tuned vocals
(Live It Up). Lintento, palesemente orientato al salto ra-
diofonico (e magari a prendere il posto dei Foster the
People nel cuore di qualche alt-teen), viene afossato
da prevedibili strutture inscatolate in loop elettronici
da Owl City e scimmiottamenti vocali la Yeasayer,
atmosfere difuse di basso proflo e prive di alcun hook
degno di nota.
Non aiutano nemmeno le liriche: dai clich sulle rela-
zioni problematichea improbabili critiche socialmente
utili al mondo malato inflate dentro a ideali party-jam
(I dont own an SUV / so dont you judge me / when I roll
112
up on this Schwinn / I aint guzzlin, inR.Y.B.), rime eye-
roll-worthy (Let me take this strainght from the top /
we were making love and we couldnt stop, apre Back
To Your Heart) e scialbi R&B.
N fumo, n arrosto, il self-titled dei Pop Etc non ofre
nulla pi di un paio di fller per le compilation estive (Keep
It For Your Own, Halfway To Heaven). Tra i peggiori follow
up ad un ottimo album che la storia recente ricordi.
(4/10)
MASSIMO RANCATI
RICHARD HAWLEY - STANDING AT THE SKYS
EDGE (PARLOPHONE, MAGGIO 2012)
GENERE: BRIT ROCK, PSYCH
Richard Hawley uno di quelli di cui bisogna tener
conto. Sul serio. Lo dice chiaramente il terzo posto in
classifca raggiunto da questo album (pi alta posizione
mai raggiunta dal chitarrista di Shefeld), giunto dopo
i riconoscimenti (pi che altro mancati: il Mercury del
2006), le varie collaborazioni (Elbow e Arctic Monkeys,
ma anche Nancy Sinatra e Lisa Marie Presley) e, signif-
cativo ricordarlo, a ben sette anni da quel Coles Corner
che ce lo rivel in tutta la sua maturit, crooner ombroso
e nostalgico, ultimo dei romantici, musicista di indub-
bio gusto e artigiano del songwriting dautore. E poco,
davvero poco importa che con le atmosfere di quel la-
voro - e dei successivi e altrettanto buoni Ladys Bridge e
Trueloves Gutter - Standing On The Skys Edge condivida
appena la sognante Seek It e la magistrale ballad Dont
Stare At The Sun (languida come il Bowie di Wild Is The
Wind, con qualche fraseggio melodico a sei corde vol-
pescamente trafugato a The Edge).
A partire dalle scale indiane di She Brings The Sunlight
ecco, infatti, lHawley che non ti aspetti: chitarrone
acidissime e pesanti, bassi gonf e groove vorticosi e
lisergici, in uno smaccato revival psych tardi 60, che a
sua volta riecheggia - non di poco - quello targato 90
dei Kula Shaker e - seppur alla lontana - quello invero
recente dei Tame Impala. Verrebbe in mente lultimo
Paul Weller di Sonik Kicks, che ha dichiarato di essersi
ispirato proprio agli appena citati australiani, se non ci si
rendesse subito conto che il gusto di Richard resta sem-
pre ed esclusivamente brit-oriented (vedi anche le tirate
shoegaze di Time Will Bring You Winter), e che dietro la ri-
gorosa veste sonica (a ben vedere, in Down In The Woods
tratta il garage acido dei Sixties con lo stesso rigore con
cui in passato tratt Elvis, Roy Orbison e Scott Walker), la
calligrafa resta sempre e comunque cantautorale (vedi
la murder ballad camufata che la title track).
Non un caso se abbiamo citato pocanzi il Modfather:
insieme al coetaneo Noel Gallagher, Hawley mostra qui
di avere tutte le credenziali per candidarsi ad erede di
quella stessa nobile tradizione brit-rock (e il successo
di pubblico, oltre che di critica, ce lo conferma). Chiss
se voleva davvero dimostrarlo, o piuttosto voleva solo
divertirsi un po a suonare ad alto volume; il sospetto
che il suo cuore sia rimasto dalle parti del Coles Corner
(come tutti i titoli dei suoi dischi, un luogo di Shefeld)
pi che palpabile ?
(6.7/10)
ANTONIO PUGLIA
ROM - FOOT SIGNAL (PINGIPUNG, MAGGIO
2012)
GENERE: CUT&PASTE
Citare le esperienze passate del duo formato da Matt
Crum e Roberto Carlos Lange potrebbe bastare a in-
quadrare in maniera esaustiva il sound di questoFoot
Signal. Membri del progetto electro-latin-chill-folk
Savath & Savalas con Mr. Prefuse 73 Gulliermo Scott
Herren, rigorosamente su Warp (e sottolineo Warp) ma
insieme anche nei misconosciuti Comic Wow con il bat-
terista dei Tortoise (e sottolineo Tortoise) Jonh McEn-
tire, fanno convergereneiROMmodulazione elettroni-
ca e destrutturazione ritmica, dando vita a una sorta di
freak-pop-giocattolo strumentale travestito da lounge
(Orca), ma capace anche di lanciarsi in post-rockeggiate
quasi alla Mogwai (Flat Top Afro).
Pare che per la realizzazione del disco, gi edito in
Giappone su limited cd e ristampato oggi in vinile per
il mercato occidentale, siano stati usati anche strumenti
rotti o scordati - e fn qui niente di nuovo - alcuni dei
quali suonati addirittura con i piedi - gi meglio -, per
poi tagliare e ricucire il tutto con amabile approccio ana-
logico, mettendo insieme scampoli di improvvisazione
e suoni riprocessati. Del risultato fnale si apprezzano il
calore timbrico e la spontaneit delle (s)composizioni,
che ben si confanno alla solarit delle atmosfere ripetiti-
ve e diritte, ma anche deflate e dameublement. Queste
ultime sottofondo discreto per una Pia Colada fatta
come si deve.
(6.5/10)
ANTONIO LAUDAZI
SCISSOR SISTERS - MAGIC HOUR (POLYDOR,
MAGGIO 2012)
GENERE: DISCO
Non solo il primo singolo (Only The Horses, co-pro-
dotto da Calvin Harris) ad assomigliare al lavoro prece-
dente: il quarto full degli Scissor Sisters tutto impron-
tato sui soliti ingredienti che costituiscono da anni la
loro palette sonica, vale a dire synth pomposi, ritmiche
113
squadrate, falsetti e altri ammennicoli che esaltano i fan.
In pi tanto per aggiungere qualche paillette di novit,
si va a chiedere la consulenza ai produttori del jet set
internazional-sonico che dovrebbero fare la diferenza,
per entrare in fantomatici nuovi territori, appetibili al
turn over dei teen.
Abbiamo quindi accenni al fdget e a suoni pi acidini
con le casse squadrate di Alex Ridha (aka Boys Noize)
su Keep Your Shoes On; un buon rnb caldo nellopener
Baby Come Home o nella traccia co-scritta e co-prodotta
da Pharrell Williams (Inevitable) che fa il verso ai falsetti
degli immancabili Bee Gees. Ci sono poi le ritmiche triba-
liste di Lets Have A Kiki e ancor di pi lo pseudobanghra
con il feat. della giovanissima promessa dellhip-hop
Azealia Banks (Shady Love).
Novit posticcie e plastifcate, che mimano un trompe
loreille scontato e ingombrante. Gli Scissor meritano
comunque lascolto per due motivi: sono uno dei pochi
gruppi dance a portare avanti il baraccone disco tout
court e hanno una produzione stellare. Purtroppo han-
no bisogno di uno svecchiamento vero, non di facciata,
come emerge dallascolto di questora scarsa di musica.
(6.3/10)
MARCO BRAGGION
LAST STEP - SLEEP (PLANET MU RECORDS, MAGGIO 2012)
GENERE: ACIDTRONICA
Last Step, ovvero il risvolto atmosferico di Venetian Snares, quello che ha sempre
trattenuto il futurismo terroristico breakcore per correre lungo viaggi situazionistici
sul versante acid. Gi due album di ottima qualit, Last Step e 1961, ma se fnora la
presenza della nota vena ritmica compulsiva faceva di questo side project poco pi di
un lato B nella discografa del producer canadese, al terzo album Aaron Funk compie il
suo inchino reverenziale alla suggestione, sacrifcando le proprie spigolosit in favore
di un sound atemporale, che ben si inserisce lungo il flone neoclassico gi battuto su
Planet Mu da Jamie Vexd/Kuedo e Boxcutter/The Host.
Con la passione intima messa in gioco, Sleep diventa il momumento defnitivo alle
potenzialit inespresse del sound acid, per loccasione sterilizzate dalle varie sfrenatezze intelligent o accelerazioni
in breakbeat. I roland della vecchia guardia si lanciano in straordinari disegni, capaci di toccare le potenzialit in-
trospettive rimaste fnora inaccessibili dai fgli sonori dellinsolenza post-rave. Ce ne aveva parlato di recente Squa-
repusher, della piega emozionale di cui la nuova fase IDM capace, ma questa volta un vero tripudio di enigmi
e tensioni da scenario post-apocalittico, il nichilismo sci-f ballardiano in una trasposizione sonora fatta apposta
per lisolamento a lungo termine.
Il passo indietro del carisma ritmico funziona a meraviglia ed funzionale allapertura dei mood, dal thrilling an-
siogeno di Xyrem (lomaggio ai Kraftwerk di Radioactivity) ai misteri taglienti e oscuri di My Of Days (lalba del
giorno dopo Blade Runner), comprese certe soggezioni astratte targate Autechre (Somno, spigolosa e attraente
al punto giusto). I synth analogici danno il tocco classico, ritornando alla solida consistenza psichica del sempre pi
presente Carpenter ( Obispo lentit aliena che cammina tra noi), ma attenzione: non la horrorwave esplicita di
Xander Harris, bens un suo distillato sottile e ipnotico, che ragiona sullimplicito, secondo un metodo di approccio
ai contenuti gi usato da Actress nei suoi ultimi lavori.
35 minuti in cui i livelli di attenzione son tenuti alti da giochi di spazi abilissimi come quelli di Microsleeps (music
for space stations, direbbe Eno) e dalla costante ricerca di pattern ritmici laterali: i 5/8 e 7/8 coprono quasi tutta la
tracklist, limitando la ritmica regolare solo ai momenti in cui pi importante il riferimento classico (vedi Lazy Acid
3, piena riscoperta intelligent-acid anni 90). Sleep perch, secondo la dichiarazione di Aaron stesso, sono tracce
composte proprio un attimo prima di addormentarsi, ideate su synth e sequencers quando hai la mente ofuscata dal
sonno, ed bello leggere in questottica la dimensione altra trasmessa da questo disco, cos vicina alle immagini
cariche di energia psichica che popolano i nostri sogni dangoscia.
Per dipingere il pi intenso viaggio di sensazioni e disagi mai compiuto dallacid sound ci voluto il Venetian
Snares pi impegnato di sempre. il suo orologio molle.
(7.8/10)
CARLO AFFATIGATO
MGripi
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SEX EX - SEX EX (AUTOPRODOTTO, MARZO 2012)
GENERE: NOISE-ROCK 90S
Tutto comincia in scia ai Massimo Volume originari, tra
tensione strumentale di matrice (noisy&post)rock, spi-
goli e curve a gomito, disagio esistenziale espresso tra
urlato e declamato, come se (di nuovo) la letteratura po-
tesse essere applicata al rock rumoroso. Ne esempio il
dittico dapertura Vuoi Giocare e Ti Ascoltavo tra vigorose
sonorit 90s (gli Uzeda sono pi di un rimando) e rac-
conti di vita vissuta e soferta, con questultima modalit
che pi che un tributo, una sorta di rivendicazione di
padri putativi e originario humus comune.
Nei Sex Ex, apolide quartetto originario della Sicilia ma
disperso dalla moderna, classica diaspora e giunto ora
allesordio feramente autoprodotto e autopromosso, si
ritrovano infatti personaggi dei giri giusti come il Tony
Arrabito gi dietro le pelli per 3/4 Had Been Elimina-
ted,il chitarrista/cantante Emiliano Ereddia collabora-
tore di Stefano Pilia, (ospite a sua volta in Mezza Parola)
ela voce di Laura Loriga (Mimes Of Wine) a impreziosi-
reI Want To Go. Questo per dire che i quattro (Luca Gu-
glielmino alla chitarra e Giuseppe Guglielmino al basso
completano la formazione senza essere afatto dei meri
comprimari) tutto sono tranne che degli sprovveduti
e che Sex Ex un lavoro vibrante, teso, ostico per certi
versi, ma che non si mostra come un mero revival del
rock italiano - defnizione orrenda ma intelligibile - della
prima met degli anni 90.
Laggro-punk esistenziale di Cane Minore, la stasi pulvi-
scolare quasi post-rock di Mansardato A 3, le melodie
stranite di I Pesci o la dolcezza ruvida di Mezza Parola
sono buoni viatici di un approccio personale, appassio-
nato e ben riuscito ad un sound abusato quanto si vuole,
ma che quando ben fatto si sente eccome.
(7.2/10)
STEFANO PIFFERI
SHACKLETON - MUSIC FOR THE QUIET HOUR
/ THE DRAWBAR ORGAN (WOE TO THE SEPTIC
HEART!, APRILE 2012)
GENERE: MINIMAL / DUBSTEP
Dallunderground Skull Disco allepifania di Three EPs,
dalla messa minimal-tribal del suo Fabric da urlo, al disco
a quattro mani con laltra vecchia volpe Pinch (che per
non c piaciuto), Shackleton ha segnato tappe impor-
tanti nel dubstep ma prima e ancora di pi in unestetica
personale, sempre riconoscibile e sempre irrequieta.
Adesso fa debuttare la sua nuova label Woe To The Sep-
tic Heart con un progetto complesso (forse anche com-
plicato), due album diversi e complementari, entrambi
sfacciatamente sperimentali fn dai titoli programmatici
(Musica per le ore quiete e Lorgano a tiranti) e dal formato
(il primo ununica suite in 5 lunghi movimenti). Lalbum
nel complesso far la gioia dei dubsteppers pi avant,
dei frequentatori esterni del genere versante elettro-
acustico, degli audiofli e dei producer che vogliono im-
parare, e unanalisi al microscopio (lha fatta ad esempio
un Luca Galli particolarmente zingalesiano sullultimo
Blow Up) ne sottolinea lindiscutibile e ammirabile
craftmanship.
Shack qui scopre soprattutto nuove sfumature del suo
inoccultabile tribalismo, ma forse pi semplicemente ci
mostra la techno che ha in testa, una techno tattile e
organica alle cui ossa sta attaccata una ricca ricchissima
cartilagine: certe atmosfere haunted Demdike Stare e
del Prefuse di The Only She Chapters, ma senza losses-
sione esoterica; il lussureggiante minimalismo ritmico e
percussivo di Steve Reich fltrato dal Four Tet bolloso e
campanelloso di Wolf Cub (tirando le somme, la compo-
nente quantitativamente pi rilevante); lambient glitch
e il micro-noise della Raster Norton, ma senza lossessio-
ne razionalista; lo spoken tra ricordi delle distopie della
primissima tech-house e il Kode9/Spaceape di Black
Sun (responsabile linglesissimo e misterioso Vengeance
Tenfold); certi etnicismi tra il gitano e larabeggiante in
odore di Filastine.
Quiet Hour, chill in - pi che chill out - un po inquietante,
espone questi elementi paradigmaticamente, in un lun-
go viaggio ondeggiante, ondivagante, alla fne sflaccia-
to, afascinante da studiare, un po sfnente da ascoltare.
Drawbar Organ (lorgano a tiranti dove i tiranti sarebbero
quei tasti che permettono di variare a piacere il volume
relativo al missaggio generale delle armoniche - grazie
Wiki - e che qui davvero sono un piccolo grande ponte
Demdike-Goblin, vedi Seven Present Tenses), li ripesca
dalla nebulosa e li mette a quadrare (si parte dai 02:44
di Love of Weeping), costruendo un bazaar di dubstep
reichiana e oriental-tropicale (emblematicamente, Wish
You Better), giocosa (limpaccio wonky di It Is Not Easy) e
solare, orchestrato divinamente.
Grandi momenti di appagamento squisitamente sonoro
e strutturale, ma nel complesso lavoro un po frustrante,
macchinoso, troppo impantanato nel suo gigantismo
progettuale, che estremizza certi discorsi gi nellaria
(la ripresa di Reich, giusto per dire) e che per comun-
que apre la visuale su unelettronica tanto contaminata
da tornare ad essere elettronica pura, pi che dubstep.
Shackleton stavolta per pi importante che bello.
(6.9/10)
GABRIELE MARINO
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SLUGABED - TIME TEAM (NINJA TUNE, MAGGIO
2012)
GENERE: UK MAXIMALISM
Il disco desordio di Greg Feldwick arriva dopo una ple-
tora di uscite su svariati format (white-label, EP, singoli,
etc.) per Stuf, Ramp e Planet Mu. Il full su Ninja lo fa
uscire dallunderground con un suono che non parla
house, ma che si bea di synth la Luke Vibert, tagliati
con le idee dellultima generazione maximal (Rustie o
Digi GAlessio), coniugando lanalogico con la nostalgia
del cheap tuning (genere su cui Sluga ha mosso i primi
passi).
Questo senso di futuro-che-incontra-il-passato non
una posizione arroccata su isterismi nerdy (come poteva
essere lapproccio di Zomby in Where Were You In 92).
Per Greg luso delle macchine analogiche e delle vocine
in elio (Climbing A Tree) taglia in due loscurit Burial-
iana e apre squarci di nuova e sorridente luce su tutto
il bass britannico. I cieli UK si ri-animano di personaggi
a 8 bit (quelli del post-rave che vedevamo ballare nella
copertina di Hard Normal Daddy di Squarepusher) e di
nostalgie per le partitone con il Nintendo.
Ma non solo una questione di ricordo e lacrimucce: il
ragazzo vede bene nel futuro perch taglia anche con
citazioni a strumentini early techno (Earth Claps), me-
scolati a layer sinfonici che devono molto alla lezione
IDM di Boards Of Canada e probabilmente anche a
gente pi indie (DNTEL o Books). In pi ci sono anche
le grandi ombre del prog (Mountains Come Out Of The
Sky) e del math-hop la Anticon (Moonbeam Rider).
Sluga mescola poli opposti in un mix coerente, che get-
ta le basi per un futuro interessante, ancorato al passato
ma consapevole delle sue potenzialit (New Worlds). Ci
piace questo suo senso di informalit e di convivio sono-
ro, questo uso pacato dei suoni oldy e di humour che da
un po mancava nella scena. Non pu comunque essere
disco dellanno per qualche sbavatura qui e l, ma per
chi scrive il potenziale del ragazzo altissimo.
(7.4/10)
MARCO BRAGGION
SMASHING PUMPKINS - OCEANIA (EMI, GIUGNO
2012)
GENERE: ROCK PSYCH
Ad inizio 2011 una notizia scuote la rete: Nicole Fiorenti-
no, la nuova bassista dei riesumati Smashing Pumpkins,
sarebbe una delle due bambine ritratte nella copertina
di Siamese Dream. Quella di sinistra, per la precisione.
La fronte spaziosa, il taglio degli occhi e della bocca non
lascerebbero dubbi in proposito. Illazioni? Macch: Cor-
gan lo ammette. La Fiorentino conferma a stretto giro di
posta. Incredibile. Poi per arriva la smentita, per voce
della bambina di destra, quella immortalata mentre se la
ride di brutto, tale Ali Laenger. E quindi? Probabilmente
tutta una boutade. In ogni caso la vicenda rimasta in
sospeso, o almeno lo rimasta per il sottoscritto il quale,
LAWRENCE ARABIA - THE SPARROW (BELLA UNION, GIUGNO 2012)
GENERE: VINTAGE POP
Giunto alla prova del terzo album, il songwriter neozelandese Lawrence Arabia
(allanagrafe James Milne) confeziona un gioiellino vintage pop lussuoso e melanconico
che trova riferimenti immediati negli chanteur dantan presenti e passati, quali Richard
Swift, Rufus Wainwright, e il primo Scott Walker, ma che pure sa incorporare i fati
intristiti del Beirut pi occidentale (Lick Your Wounds) cos come le melodie rurali degli
Okkervil River (The Listening Times) con i quali Milne ha peraltro collaborato. Ovun-
que, poi, aleggiano i Beatles pi scuri e romantici (Bicycle Riding, Early Kneecapppings),
spettri onnipresenti in un album brillante e sottilmente decadente.
I sixties, luogo e tempo privilegiato per limmaginario sonoro di The Sparrow, riemergono forti di una nuova luce
(aggiornato e non didascalico il replicare di certi impasti sonori), ancora un po piacioni a sollazzarsi nel puro revi-
valismo (Travelling Shoes), ma al contempo veicolo carico di senso nel tradurre un presente che ancora non riesce
a rappresentare s stesso se non attraverso brandelli del millennio passato.
Il trucco sta poi nel mescolare il tutto sapientemente, secondo unestetica della sofsticazione leggera (i dettagli
che determinano la percezione del tutto) e con i Novanta albionici a fare da contrappeso tra il ieri, nostalgico e
familiare, e loggi, eclettico e fuggevole.
(7.4/10)
ANTONIO LAUDAZI
f ti di l
116
perdonatelo, se ne sbattuto riccamente le palle.
Per emblematica lattrazione fatale esercitata nei fan
dallimmaginario di quei primi fatidici lavori, in un gio-
co di rimandi e suggestioni cui lo stesso Corgan non
si sottrae afatto. Anzi, volendo potremmo interpretare
anche la formazione attuale del quartetto come una su-
blimazione di quello storico. Insomma, in questo che
nominalmente il nono album delle zucche - dopo che il
formato album era stato ripudiato in favore di modalit
distributive pi elastiche, dinamiche, espanse, vedi la
ciclopica dispersione del progetto Teargarden By Ka-
leidoscope - agisce chiaramente il tentativo a tratti spa-
smodico di mostrare al mondo che la creatura SP viva
e lotta, sogna, scalcia, sinfamma assieme a noi. Non
per questo il buon Billy merita biasimo. Certo, personal-
mente non posso fare a meno di rimpiangere ci che un
talento come il suo avrebbe potuto se avesse superato
i fantasmi della propria tormentata post-adolescenza.
Ma tant. Il talento appunto duro a morire e spunta
ogni tanto tra le rievocazioni malcelate che strutturano
la scaletta.
Panopticon, ad esempio, sviluppa una buona appros-
simazione del limbo tra power psych e pop abbozzato
nel glorioso Mellon Collie. Quasar sbriglia chitarre e
sincopi aciderrime la Siamese, mentre The Celestials
organizza languore tenerello in salsa wave pop con mal-
sana sdolcinatezza Adore. Corgan sembra aver rimesso
in sesto la penna e azzecca alcune melodie degne di
PURITY RING - SHRINES (4AD, LUGLIO 2012)
GENERE: FUTURE POP
I Purity Ring sono un duo di Halifax/Montral formato da Megan James e Corin Rod-
dick, ex-membro della band electro-pop Gobble Gobble (ora Born Gold). La loro asce-
sa viene tutta dalla blogosfera e ha inizio nel Gennaio 2011, quando il blog-collettivo
Altered Zone riporta la prima traccia self-released, Ungirthed. Ne seguono altre due,
Lofticries e Belispeak, riconoscimenti (Best New Track) ed uno spot (Top 50 Songs of the
Year) su Pitchfork.
Pitchfork sesalta e non a caso: i Purity Ring sono i nuovi portavoce della sintesi major
indie pompata dal planetario portale, unestetica che traccia linee e ponti tra il main-
stream USA e lormai sdoganatissimo alternative daSleigh Bells a Grimes. Parliamo
di patina post-80s, glo/synthwave unita a boombastica hip-hop e R&B, non pi citazionismo di prima mano bens
di sonorit plasmate sotto unestetica che inizia a delinearsi come generazionale.
Il patrocinio fghetto 4AD, label sempre pi attenta alle nuove leve della coerenza goth-synth british sul mercato
internazionale, mette lultimo sigillo. Le tracce disponibili su Soundcloud vengono rimosse per tornare ora oppor-
tunamente remissate nel debuttoShrines.
Cura del dettaglio e coerenza. I Purity Ring impastano elementi usati difusamente negli ultimi anni (MPC balbet-
tanti, chopped beats, synth dreamy, indizi di witch e wobble dubstep, le pitched-down post-Burial vocals riprese
di recente da producer hip-hop quali Clams Casino) e li mettono al servizio di scontri tra correnti calde e fredde,
fabe e macchine, euforia trap-rap e surrealismi pop.
Megan James, mutevole fra pose da childlike spettrale ed impennate stordenti, il gioco a contrasto tra innocenza
e sensualit che riecheggia nel moniker, il centro gravitazionale in full-display delle canzoni. Corin Roddick la
fusione tra dna hip-hop e synth britannico.
Limmaginario, pur richiamando paragoni facili con quello deiKnife(giustifcati anche da similitudini di formazione
e teatralit dei live), va in realt oltre.Di fatto, se gli svedesi fermano il proprio al livello ultraterreno, i Purity Ring
scendono nel pi vicino grottesco (costole che diventano corona per un afetto non corrisposto in Fineshrine, fori
praticati attraverso gli occhi in Belispeak, la pelle strappata dalle caviglie in Obedear), in una maniera viscerare di
raccontare limplicito lato creepy dellessere umano.
Lussureggiante nella produzione, sofsticato eppure accessibile, Shrines uno dei pi potenti manifesti di pop fu-
turista degli ultimi tempi. un esordio, ed il passaggio debole Grandloves (col campionamento di You With Air dei
Young Magic)/Cartographist lo evidenzia, ma il culto totale.
(7.4/10)
MASSIMO RANCATI
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nota, concedendosi pure qualche disinvolta libert (le
fantasie prog wave di Wildfower, le turbolenze glam di
The Chimera, Pinwheels col suo technicolor psych - echi
evidenti di Baba ORiley - e le digressioni folk medita-
bonde...), mentre la band a onor del vero tiene botta,
dimostrando anche una certa personalit.
Il pesce per, come spesso capita, puzza dalla testa. Il
vizio di forma lo avverti fn nella voce e nel piglio di Cor-
gan, nel suo stare sui pezzi sempre un po sfalsato anzi
inadeguato e vagamente retrogrado, come il Benigni
cinquantenne con addosso i panni di Pinocchio. Quanto
al resto, aleggia unaria difusa da amarcord fero ma in
fondo arreso che sembra quasi esplicita in pezzi come
Violet Rays, ballad grunge androide pi confezione che
sostanza, o nella title track che prova la carta della su-
ite pasticciando languori wave, venature gospel-folk e
ripartenze spacey con la ciliegina di un assolo da alluci-
nazione salottiera Mike Oldifeld.
Peggio ancora, quelle digressioni pop wave che un
tempo certifcavano le doti corghiane, non suonano
pi come sfaccettature di una sensibilit enigmatica e
proteiforme ma come espedienti, variazioni di mestie-
re a caccia di hook, vedi il bignami New Order di One
Diamond, One Heart o il David Sylvian wannabe di Pale
Horse. Disco nel complesso mediocre con qualche pa-
gliuzza di splendore, a confermare londa lunga di de-
clino che sta sommergendo questo ex-ragazzone rock
con troppo genio da padroneggiare.
(5.2/10)
STEFANO SOLVENTI
SURGERY - RESET (ALTIPIANI, MAGGIO 2012)
GENERE: DIGITAL HARDCORE
I romani Surgery, sulle scene da un buon decennio con
il loro electro-industrial in italiano, si giocano la carta
per lespatrio e inseriscono la lingua inglese in met del
loro ultimo disco. La formula composta da chitarroni
distorti, campionamenti aggressivi, drum machine e
doppia voce maschile-femminile divisa tra urla efera-
te e melodie dark, il tutto alternandosi tra brani spinti
verso la dance (Un dolore fa, il remix di Enemy Domine
a cura di Nachtmahr), altri con unaccezione pi metal
(Il galeone), e momenti di raccoglimento cantautoriale
(La ballata dei caduti).
Luso dellitaliano applicato a queste sonorit rimane il
tratto distintivo del gruppo, rischio e virt allo stesso
tempo, che per alcuni potrebbe suonare straniante o
indigesto, ma per altri innovativo e apprezzabile. Le
sezioni anglofone, invece, si lasciano godere per una
maggior attinenza al genere di riferimento, pur senza
regalare niente che non abbia precedenti anche tra i
vari Icon Of Coil, Combichrist, Rammstein, Deathstars
e via dicendo, indebolite inoltre da una pronuncia non
sempre perfetta.
Ottimo gruppo live, anche per la presenza scenica ca-
ratterizzata dalle maschere e dai costumi di Sergio Sti-
valetti (Dario Argento), i Surgery confermano in Reset
lo status di insider nel panorama nazionale. Per eriger-
si oltre confne, tuttavia, c bisogno probabilmente di
emanciparsi da riferimenti ancora troppo invadenti.
(6.3/10)
ANTONIO LAUDAZI
THE BEACH BOYS - THATS WHY GOD MADE THE
RADIO (EMI, GIUGNO 2012)
GENERE: POP
Spiegandoci i motivi per cui il buon Dio ha creato la ra-
dio, i Beach Boys ci spiegano perch sono stati chiamati
a calpestare questo triste pianeta: per cantare lestate
utopica e radiante del Sogno Americano. Il cinquante-
simo anniversario un evento simbolico, certo, ma il
caso di cavalcare londa del simbolico fno in fondo, per-
ch la dimensione in cui le loro canzoni, quel suono,
quelle sequenze di pellicola pescate nel paradiso delle
aspettative, accadono. Fa giusto mezzo secolo quindi
dacch le impagabili sciocchezzuole surfste dei fratelli
Wilson e compagni di merende ampliarono la percezio-
ne della giovinezza California-style divenendo dambl
archetipo globale. Una gabbia dorata stilistica da cui
evasero con una delle pi spettacolari progressioni so-
niche della storia della popular music, un balzo espo-
nenziale dal ruolo di formidabili hit-maker generazio-
nali a cesellatori del pi serico, visionario, immaginifco
classic-pop mai udito.
Tra le band in possesso di un sound peculiare, i Beach
Boys sono forse quelli pi riconoscibili per calligrafa
compositiva, arrangiamenti ed interpretazione. Un im-
maginario da cui hanno pescato innumerevoli e dispa-
rati epigoni, nessuno per avvicinandosi a quel livello
di arrendevole e pervadente candore. Sia benedetta la
spinta centripeta che ha fatto riunire per quanto uma-
namente possibile la gloriosa compagine - Brian Wilson,
Mike Love, Al Jardin, Bruce Johnston e persino quel Da-
vid Marks che se ne and nel lontanissimo 63 - chiamata
a sfornare una dozzina di tracce nuove venti anni dopo
la precedente raccolta dinediti. Com andata? Molto
bene e abbastanza male. La scaletta inizia nel migliore
dei modi, sorta di dissolvenza malinconica e vaporosa
Think About The Days, poi quintessenza beachboysiana
a passo medio la title track, quasi muscolare nella sua
afabilit sapendo di poter contare su un immaginario
titanico a cui si aggrappa morbida e implacabile. Da
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Isnt It Time in avanti inizia per un esercizio di mestiere
senza troppo genio, talora con gusto (il tepore caraibi-
co di Daybreak Over The Ocean) ma pi spesso facco
(il bignami pop-soul di Spring Vacation, la bolsamente
funky Beaches In Mind, il doo wop salottiero di Shelter)
o comunque sfocato (una Strange World che semmai si
riprende qualcosa di quanto prestato agli Alan Parsons
Project di Dont Answer Me).
Quando gi stai per arrenderti allinevitabile, ecco spun-
tare From Here To Back Again, traccia numero dieci, e
SCUOLA FURANO - 108 (NANO REC, GIUGNO 2012)
GENERE: HOUSE / POP
Il secondo disco si sa, sempre uno spauracchio per ogni musicista o band che si ri-
spetti anche nellepoca dello shufe e della frammentazione dei formati discografci.
La tendenziale aspettativa di un conferma o di una cosiddetta maturit sempre pi
inversamente proporzionale al tempo in cui un progetto artistico trova una propria
forma espressiva autentica. Le cose si complicano ancora di pi quando si parla di artisti
che gravitano nel variegato mondo della dancedove il disco il traguardo dopo una
lunga gavetta a suon di singole tracce, rmx ed Ep.
In luce a quanto detto fnora, il caso diBorut Viola, in arteScuola Furano, decisa-
mente paradossale: un esordio a quattro mani (conMarco Busolini) nel 2004 con un
disco genuinamente ibrido tra pulsioni pop-house pubblicato da unetichetta trasversale come Riotmaker records
ed un seguito di ep, singoli e rmx feramente impermeabili allestetica giovanilistica che ha caratterizzato lesplosione
elettronica italiana negli ultimi 5 anni (Crookers,B.B.S.,Congorockecc ecc.).Diciamolo chiaramente, se108 il
risultato, ben vengano i ripensamenti, il dosaggio con il contagocce delle uscite e soprattutto lostinata scelta di
concentrarsi sulle proprie ossessioni musicali rispetto alle mode del momento.
La prima novit importante di108 una produzione maniacale (Dj Color) che subito lo avvicina ai big dance
album dei primi 2000 a cui Borut sembra sempre fare riferimento, ovvero, quelli dei variDaft Punk,Basement
JaxxoGroove Armada;poi c il ritorno prepotente delle vocals che contribuiscono a delineare un immaginario
solare e rassicurante. Su tutto per, c la House in tutte le su declinazioni possibili,dalle origini fno ad oggi pas-
sando per Chicago, New York, Parigi e Londra.
Il disco si apre con un classico radio dj skit dal sapore orgogliosamente mitteleuropeo e la giocosaBeep Popche
sono lantipasto aDanceteria, prima bomba dancefoor e vero e propriostandard della nuova estetica Furana. Il
featuring vocale diFiorious(Passion Pitarea) innestato su solidi beat Chicago ed i tastierismi Saundersoniani
disegnano subito lossessione sonora diBorut. Questo connubio, guarda caso una costante anche negli altri 2
singoli straccia pista della raccolta, rispettivamente,On Firee la DaftpunkianaFollow Me; in questa triade riassunta
tutta lestetica retronostalgica dellintero lavoro.
Ma in108non c solo questo colore, c anche la girl-friendly house strumentale diPollensamorbida come
unaladydiModjoo la sognante deephouse diSunlight, con vocal oniriche da tramonto balearico a frmaXander
Ferreira. Sul versante pi dancefloor oriented c la leggerezza di numeri old school comeKendoue lantemi-
caH.O.U.S.Eche tra jackin scuola Chicago e sampledelie vocali varie, riportano orecchie (e gambe) a templi danze-
recci come il Warehouse o il Loft diMancuso. Per completezza c pure la ballataAloneche in termini di micioneria fa
invidia anche aVikter Duplaixripercorrendo le atmosfere Carpenteriane nel classico mode ipercollaudato daFelix
da Housecat.
A conti fatti,108 pi di una conferma ponendosi assieme aWe love animalsdeiCrookerscome uno dei dischi
pi importanti che la dance italiana ha dato alla luce nellultimo decennio anche in virt del fatto che con questa
prova Borut ha fnalmente colmato una grande lacuna nella discografa italiana: il saper dare una giusta visone
retrospettiva della house culture dagli esordi a oggi. Dopo le prove di artisti qualiHercules & love Afairo diAzari
& III, il punto di vista di un italiano era decisamente atteso e necessario. Grandissimo ritorno e gran bel colpaccio
per la Nano Rec diSpiller.
(7.5/10)
DARIO MOROLDO
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tutto cambia: piano, cori languidi e chitarra per mini-
suite meditabonda che tinfonde un senso dabbandono
sciropposo, ottima per preparare il terreno allincantesi-
mo struggente di Pacifc Coast Highway, sorta di ipotesi
power pop accorata e teatrale nella scenografa onirica
dello spaziotempo surfsta. A chiudere c poi Summers
Gone, pensata in origine da Wilson come lultima can-
zone dellultimo disco dei Boys, e non fatichi a capirne
il motivo visto il passo letargico e lestro crepuscolare,
come una marea di nostalgia polposa, senso di perdita
ovunque ma anche di ferezza per ci che si defniti-
vamente posseduto (curioso - quasi incredibile - che vi
abbia contribuito con alcune idee anche Jon Bon Jovi,
presente durante le sessioni dincisione).
Tirate le somme, ok, un album pi celebrativo che altro.
Giusto e bene in fondo che sia andata cos: se i ragazzi
si fossero accontentati di un ep, rinunciando a tutte le
bagatelle centrali, avremmo dovuto raccontarvi un pro-
digio difcilmente spiegabile, con strascichi di aspettati-
ve - ne converrete - piuttosto sconvenienti. Buona estate.
(6.7/10)
STEFANO SOLVENTI
THE HUNDRED IN THE HANDS - RED NIGHT
(WARP RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: DREAM ELECTROPOP
The Hundred in the Hands: Eleanore Everdell e Jason
Friedman sono una delle tante coppie uomo-donna (o
meglio donna-uomo) dellattuale panorama musicale ad
unire velleit pop (dallindie al rock) e beat elettronici,
basti pensare a Sleigh Bells, Crystal Castles, Phan-
togram, gli ultimi School of Seven Bells o gli appena
sciolti Handsome Furs.
La frase erano meglio ai tempi del primo EP un detto
che ha fatto letteralmente scuola tra i music nerds. Un
modo di dire che per tristemente si adatta alla perfe-
zione su i The Hundred in the Hands, i quali dopo un
promettente This Desert EP non seppero confermare
quanto di buono mostrato, pubblicando, ormai due anni
fa, un dimenticabile omonimo album di debutto.
La volont di riscatto e il rinnovato appoggio della Warp
Records facevano ben sperare, dopotutto una seconda
possibilit la si concede a tutti, o quasi. In Red Night
limpatto sonoro di quelli importanti, merito di un bel
lavoro produttivo che rende corpose, profonde ed av-
volgenti (a volte forse fn troppo, vedi lopener Empty
Stations) le composizioni: stratifcazioni, tappeti di synth,
4AD-Dream e drum machines sono allordine del giorno.
E la scrittura il vero problema del duo di Brooklyn, a livel-
lo melodico soprattutto si ha la sensazione che sia tutto
un po forzato o semplicemente poco a fuoco. In pi a
Eleanore Everdell - in perenne echo chamber - manca
forse il carisma vocale di alcune sue colleghe e caratteri-
stiche in grado di renderla unica. Lungo le dieci tracce di
Red Night si passa dallelektrock sfrenato di Come With
Me a soft-sofsticherie (la titletrack o leterea Lead In The
Light) con disinvoltura, passando anche per territori 80s-
revival (Tunnels) senza mai per centrare completamente
lobiettivo.
Nonostante non manchino le buone intuizioni, i The
Hundred in the Hands faticano ancora una volta a la-
sciare traccia. Occasione in parte persa... e la prossima
volta potrebbe essere gi troppo tardi.
(6/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
THE OFFSPRING - DAYS GO BY (COLUMBIA
RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: OFFSPRINGS POP-PUNK
Nel 1994 la morte di Kurt Cobain mise probabilmente la
parola fne al movimento grunge, favorendo lesplosione
del pop-punk a livello mainstream - ben spalleggiato
dalla third wave of ska -e dando il via a tutta la scena
post-grunge made in USA.Gli Ofspring, insieme a Gre-
en Day, NOFX e Rancid furono tra i protagonisti del revi-
val annacquato del punk e album come Smash vengono
giustamente ancora considerati passaggi obbligatori per
chiunque inizi ad ascoltare il genere in giovane et.
Dopo lincredibile high rotation su MTV - anche in Euro-
pa -del periodo Americana, Dexter Holland e soci han-
no continuato, sempre con minore frequenza, ad azzec-
care qualche singolo, ma in linea di massima gli anni zero
della band californiana possono tranquillamente essere
etichettati come inutili.
I palazzetti continuano a riempirli, tra i quindicenni le
loro magliette non passano mai di moda e sono forse
fattori di questo tipo che hanno spinto gli Ofsrping ad
afacciarsi negli anni dieci con un nuovo album, prodot-
to dal guru del tamarrock Bob Rock. Si intitola Days Go
By e si apre con The Future Is Now, brano che pi che
guardare al futuro riprone ancora una volta il classico,
rodatissimo e prevedibile Ofspring-sound.
Stesso discorso per la successiva Secretes From the Un-
derground (qui trovano spazio addirittura gli o-oh-uoh
gi sentiti in almeno una decina dei loro brani) e per il
90% del disco. Quando escono dai loro binari (lindecen-
te Cruising California, la beach-jamaican Oc Guns) fanno
pi danni che altro.
Ennesimo album trascurabile per gli Ofspring i quali ve-
rosibilmente si accontentano di rifare se stessi ( presen-
te pure un remake del loro pezzo del 1992 Dirty Magic,
tra le cose migliori del disco) a vita. Se siete venticinque/
120
trentenni in nostalgia post-adolescenziale, meglio ascol-
tare il nuovo dei Lit, il che tutto dire.
(4.8/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
THE TEMPER TRAP - THE TEMPER TRAP
(INFECTIOUS, MAGGIO 2012)
GENERE: SWEET POP
Sono passati pi di tre anni dal botto di Conditions, e
tutti aspettavanoThe Temper Trapal varco. Il successo
di Sweet Disposition (ricordate il tema principale del flm
- ahi - generazionale 500 Giorni Insieme?) ha lanciato
questi giovani australiani - di stanza e di carriera a Londra
- come peso morto tra lolimpo delle masse popettare e
danzar ecce, senza ofesa. Se volessimo defnirlo, sweet
pop. E il 2009, il tutto grazie ad un ammasso indistinto
di appiccicosetti singalong, che, seppur non esaltando,
ridanno un sorriso capace di accompagnare il ticchettio
del piede appassionato. Un successo basato sulle voca-
lit intraprendenti del cantante, Dougy Mandagi e su
una notevole capacit di incastro, tra spensieratezza pop
appunto e romanticismo a randellate, poi. E le canzoni?
Non cerano - o meglio, ancora acerbe - e poco sembra
cambiato, a spulciare nel nuovo eponimo album.
Gli arrangiamenti tengono quando osano, le soluzioni
sonore adottate sono ben diversifcate, immediate, quasi
fresche; a mancare la scrittura, la qualit dei pezzi, la
ciccia, il talento insomma. Liniziale I Need Your Love un
manifesto programmatico, senza sorprese eppure quasi
carezzevole. C magnifcenza eighties come se luccicas-
se e la voce a fare da semplice lustrino. Fanno bene il ver-
so agli ultimi The Rapture, o meglio, agli U2 se prodotti
dalla Dfa o dalle SS. In Londons Burning Mandagi fa il
verso - scimmiottandone lepica - a James Dean Bradfeld
dei Manic Street Preachers, tra ritmiche fnto sandini-
ste e ritornelli impacchettati come fosse bigiotteria indie
pop. Larpeggio fruttato dellagrodolce Trembling Hands
ha esiti tragici, scivolando inesorabilmente tra il pantano
dellinconsistenza e della prevedibilit. Soprassedendo
su The Sea is Calling - dei Grizzly Bear cresciuti a pane
e qualcosa di poco originale - meglio concentrarsi sui
sospiri di una rarefatta Miracle, un po sciupatella ma
quasi godibile nei suoi intarsi synth e nei suoi coretti
animalcolletiviani (esagerando un po). Dopo la quasi
piacevolezza post soul di Never Again, la successiva Dre-
ams ci riporta con i pensieri in territorio spudoratamente
pop a cavallo tra un poco ispirato Justin Timberlake e
una deriva autolesionista che potrebbe sfociare nel fal-
limento brillantinato dei Grammy, o peggio ancora, di X
Factor. Ci fermiamo qui, noi, e di loro, dei The Temper
Trap, ci rimane fra le dita la patina troppo surgelata di un
prodotto esageratamente impomatato, distantissimo da
qualsiasi principio emozionale. Se non desiderate verit
e sensazione, ma esclusivamente spensieratezza a sec-
chiate, accomodatevi.
(6/10)
FEDERICO PEVERE
THE VAN HOUTENS - FLOP! (FACE LIKE A FROG,
GIUGNO 2012)
GENERE: INDIE-POWER-POP
Menomale che qualcuno, ogni tanto, si ricorda che pop
non una parolaccia. Eccoli qui, The Van Houtens, friz-
zantissima combo originaria di Verbania ma milanese
dadozione, che deve il nome non si sa ancora se a Leslie
Van Houten, nota alle cronache nere di mezzo mondo
per aver fatto parte della Family di Charles Manson, o
per laltrettanto celebre nerd dei Simpson Milhouse.Il
gruppo di Alan Ramon, deus ex machina del progetto,
si invece fatto conoscere nel 2008 per Its A Beatiful
Day, power hit richiesta nientemeno che da McDonald
come jingle per lo spot di un nuovo panino. Non si indi-
gnino gli indie kids di casa nostra, perch fuorviante
circoscrivere la biografa musicale dei Van Houtens alla
singola canzone: lesordio sulla lunga distanza, intitola-
to autoironicamente Flop!, uscito per Face Like A Frog
lo scorso 29 maggio, e a dispetto del titolo ha tutte le
intenzioni - e i numeri - per farsi strada. il caso di John
Ferrara & Betty Karpof, singolo di lancio e manifesto pro-
grammatico di tutto lalbum. Pop, dicevamo, di quello
spontaneo e ultra contagioso che in due minuti riesce
a intercettare lorecchio dellascoltatore senza risultare
appiccicoso, come dimostra la verve poliglotta del ri-
tornello (John is contento confusion sentimento).Stesso
discorso per I Want To Tell You e il suo allegro incede-
re da marcetta post-beatlesiana con inserti afro-beat
a l Vampire Weekend, forse il riferimento pi vicino
al quintetto, peraltro confermato dalla successiva Ma-
tala, dove lukulele in apertura esalta lidentit di un
cantautorato balearico parallelo a quello dei quattro
newyorchesi. Pezzi perfettamente in equilibrio tra hype
e aggancio radiofonico, costruiti su arrangiamenti curati,
efcaci ma non pedanti che lasciano trasparire un lavo-
ro in studio libero e la cui vera forza soprattutto una
punta di cristallina irriverenza.Se ad un primo ascolto
limpressione quella di avere tra le mani un gradevo-
le pop da aperitivo in spiaggia, il piglio solare e ironico
che colora tutto lalbum fnisce per consolidarsi in un
prodotto che ha lostinazione per essere qualcosa in pi
di un temporaneo sottofondo estivo. Anche per labilit
del frontman di sfornare brani perfettamente pop nella
forma ma di innegabile freschezza indie nella sostanza,
121
come Paper Plane e Baby Dont Lie.Le conclusive Waiting
For The Sun e 1987 Souvenir si allontanano leggermente
dal paradigma fnora elencato, con echi di cantautorato
folk da una parte e sonorit electro-eighties dallaltra,
ma il risultato fnale non cambia.
(7.4/10)
GIULIA ANTELLI
THE VINDICATORS - GREATEST HITS (GO DOWN
RECORDS, MAGGIO 2012)
GENERE: ROOTS-ROCK
Unarmonica a bocca blues, un sax capace di spaziare dai
Contortions a certe circolarit soul laWilson Pickett,
un impianto basso-chitarra elettrica-batteria fondamen-
talmente roots-rock: loro sono i Vindicators, formazione
nata da una costola dei Frigidaire Tango nel 1986 e co-
stretta, suo malgrado, ad esaurire la propria spinta pro-
pulsiva nellarco di sei anni, dopo aver inciso un paio di
dischi. Da allora pi nessuna notizia fno al 2011, quando
la band decide di riesumare la ragione sociale fnendo
per autocelebrarsi con il qui presente Greatest Hits +
CD live allegato.
La solita reunion per sfruttare londa lunga dei corsi e
ricorsi musicali A dire il vero non ci pare, considerato
anche un hype che attualmente va in direzione decisa-
mente diversa rispetto al genere di appartenenza della
band (insomma, non stiamo parlando di shoegaze e
nemmeno di dubstep). Come a dire che se dei Vindica-
tors non avete mai sentito parlare prima, continuerete
presumibilmente a non vederli citati nei social network
pi la page. Un peccato, vista la proposta vibrante che
la band riesce a sintetizzare nelle venti tracce del best
of e nelle diciotto del CD live: una musica infuenzata
dallpunknroll dei Clash (Lovelight) come dal funk (King
Song), da cadenze loreediane (I Wonder Why) come dal
blues (Seven Cookies), dallapproccio fsico degli MC5
(Down Down Down) come da certi mid tempo di impron-
ta pi melodica (Dont Kill Me).
TY SEGALL - TY SEGALL BAND - SLAUGHTERHOUSE (IN THE RED RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: POWER GARAGE
Ci siamo, venuto il momento per Ty Segall di agguantare la ribalta garage americana.
Non che fno ad ora fosse un perfetto sconosciuto, anzi, il curriculum a parlare per lui:
ex Sic Alps e poi cinque dischi solisti con la messa a fuoco sempre pi precisa, senza
contare una lunghissima serie di split e collaborazioni che lo indiziavano tra i pi pro-
mettenti musicisti della sua generazione. Ora Ty passa allo step successivo e se la gioca
al pari dei Thee Oh sees o Black Lips, perch Slaughterhouse gode di una ispirazione
in continua ascesa e trova benefcio nellamalgama di una formazione oramai stabile
e rodata (Mikal Cronin, Charles Mootharte Emiliy Rose Epstein), tanto che siamo qui
a parlare della Ty Segall Band, come se Segall volesse dar peso al contributo dei suoi musicisti.
E veniamo cos al disco, che fa essenzialmente due cose: primo opera una sostituzione darchivio. Spariscono i primi
sixties di Greg Shaw per approdare al proto-punk detroitiano, allhard rock e alle derive prog dei primi 70. Lincipit
di Death praticamente sabbatthiano. Diddy Wah Diddynasce dalla passione MC5 e Troggs. Wave goodbye macina
rif heavy e fnisce in una spirale di virtuosismo degna degli Hawkwind, anche se il vero momento prog scatta alla
fne con i dieci minuti di Fuzz War, titolo programmatico per una jam tutta in distorsione.
E qui sta il secondo punto di Slaughterhouse, ovvero la capacit di giocare con la struttura delle canzoni, di spaziare
dallhangover della citata Fuzz War alle pallottole punkettare di Mary Ann o Slaughterhouse, fno alle pi classiche
forme pop che continuano ad essere eredit di Jay Reatard, The Tongue e Thats the bag im in su tutte. Sono segnali
di un songwriting maturo, che non ha pi bisogno di nascondersi sotto tonnellate di rumore e che pu fare a meno
del lo-f come espediente, decodifcandolo in un piacere squisitamente estetico.
E dunque il personaggio Ty Segall a venire alla luce, se vogliamo anche pi del valore intrinseco di Slaughterhouse,
che pur rimanendo in lizza per le classifche di fne anno non pu avere la portata di un Let it Bloom. L erano altri
tempi, e il garage era nel suo momento pi cool. Ora che invece bisogna sudare per uscire con forza dal piattume
e dalla ripetizione del canovaccio sixties, Segall si dimostra tra i pi intraprendenti e preparati ad afrontare la sfda.
Meritandosi il top della categoria.
(7.5/10)
STEFANO GAZ
i i ti
122
Va da s che la dimensione ideale del gruppo rimane il
live, fotografato a dovere da un secondo disco che mette
a nudo la capacit di impattare sul pubblico con una
formula costruita principalmentesugli scambi di chitarra
elettrica e fati. Con in pi il valore aggiunto garantito
dalle qualit di performer del front-man Charlie Out
Cazale, sorta di John Belushi in salsa roots in grado di
trascinare oltremisura il pubblico.
Qui in basso potete ascoltare lo streaming integrale del
Greatest Hits.
(7/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
THE WAKE - A LIGHT FAR OUT (LTM RECORDINGS,
MAGGIO 2012)
GENERE: INDIE POP
Sbandierati ogni due per tre dai The Drums fn dallinizio
della carriera (tanto che Jacob Graham stato il primo a
video-intervistarli lo scorso dicembre per la serie di cor-
ti Visiomento), i The Wake sono uno dei segreti meglio
custoditi del pop britannico degli ultimi trentanni.La
band, formata nel 1981 a Glasgow, ha ospitato - curiosi-
t - anche il futuro Primal Scream Bobby Gillespie (an-
cor prima della comparsata nei Jesus And Mary Chain) e
rappresentato al meglio ci che oggi dovrebbe essere un
ideale esempio di indie(pendenza). Marginalmente cen-
trale, il percorso intrapreso da Gerard Caesar McInulty e
Carolyn Allen, unici membri rimasti attivi ad oggi, tra i
pi emblematici per (ri)osservare i Noughties in relazio-
ne alle vicende storiche originali. Partendo dalle fucine
post-punk di Factory Records e Postcard e passando per
la synth-wave dei New Order e la corrente alternata dei
fratelli Reid (specie i tardi Mary Chain), la band ha fnito
la propria corsa proprio tra le braccia del boogie rock psi-
chedelico dellondata madchesteriana. Un movimento,
questultimo, tornato prepotentemente in voga in questi
mesi sia per il ventennale di Screamadelica dei Primal
Scream sia per la reunion degli Stone Roses.
Ritrovare ora quella band che frm per la Factory allin-
domani della morte di Curtis e poi per Sarah Records nel
1988, un atto di devozione a una laterale maestranza
indie-pop. Pubblicato con laiuto sostanziale del bravo
Ian Catt (praticamente il quarto membro dei St Etien-
ne, il cui tocco onnipresente a partire dalloperner
Stockport) e Duncan Cameron (Teenage Fanclub) per la
LTM Recordings, A Light Far Out un po lo specchio dei
passati di Caesar e Carolyn (gi al lavoro assieme dalla
met 00s nel duo The Occasional Keepers), aggiornato
di nodale folktronica noughties.
Troviamo echi neworderiani in quelle tastiere 80s e nei
giri di basso factoryani (Methodist), jangling R.E.M. nelle
chitarre di The Back Beyonde un tipico tocco del Nord
dInghilterra nellusare charleston e percussioni. Un po
dellassuefazione che ci ha dato recentemente la risco-
perta di un gioiello come Here Comes Everybody (Fac-
tory, 1985, 8.0/10) la troviamo anche da queste parti,
sicuramente nelle sottili emozioni di If The Ravens Leave,
nei nove minuti della traccia omonima e nella magia un
po AIR della fnale The Sands. Meno in altri episodi, co-
munque facilmente perdonabili, come il plumbeo folk
diStarry Day elo strumentale Faintless.
This is 100% authentic british pop. Un culto che si ap-
propria di un nuovo tassello.
(7/10)
EDOARDO BRIDDA
THE WELCOME WAGON - PRECIOUS REMEDIES
AGAINST SATANS DEVICES (ASTHMATIC KITTY
RECORDS, GIUGNO 2012)
GENERE: FOLK
Fa un certo efetto spulciare in rete e trovarsi di fronte
una recensione di Precious Remedies Against Satans De-
vices pubblicata sul portale Christianity Today. Eppure
da quel mondo che arrivano il ministro presbiteriano
Vito Aiuto (un nome, un programma) e sua moglie Mo-
nique: un sottobosco musicale cresciuto tra gli altari, le
funzioni ecclesiastiche - Here, Vito and Monique simply
throw those welcoming arms open wider, inviting the li-
stener to join them for 51 minutes of church scrivono sul
sito ufciale riferendosi al nuovo disco - e una tradizione
folk allargata capace di arrivare fno a Sufan Stevens.
Lo stesso Stevens che ai tempi dellesordioWelcome To
The Welcome Wagon fece un po le veci del mecenate,
curando produzione, strumentazione e voci, tanto da
spingere qualcuno a defnire quel disco una gloriosa
collezione di b-sides del musicista detroitiano.
Unafermazione ingenerosa, almeno alla luce di quan-
to si ascolta in Precious Remedies Against Satans Devices
e considerato anche il fatto che in questo secondo la-
voro tutto funziona come da copione, pur con un pro-
duttore diverso ( della partita Alexander Foote). Anzi,
sembra quasi di poter parlare di passo in avanti, con un
suono senza sbavature, perfezionato, ma capace an-
che di recuperare quella naturalezza melodica che gi
in passato aveva mostrato tutte le sue potenzialit. Lo
scopo di brani come il gospel bianco di My God My God
e di ballad crepuscolari come I Know My Redeemer Lives
o Would You Come And See Me In New York, del country
di Rice And Beans (But No Beans) e del soul epidermico
di Lo, He Comes With Clouds Descendingnon ridefnire
uno stile, bens afondare le radici nella tradizione ame-
ricana afdando alla musica una funzione quasi conso-
123
latrice. E stesso Aiuto a togliere ogni dubbio in questo
senso:un pastore deve prendersi cura delle persone. Mi
piace scrivere musica che sia interessata esclusivamente
a questo.
Certo, sotto la superfcie luccicante delle soluzioni me-
lodicherimane quellhumus catto-ciellino - cos lo de-
fniremmo dalle nostre parti -con tanto di tendenza al
proselitismo che qualcuno potrebbe trovare quantome-
no fastidioso, ad esempio nello sperpero di Halleluja di
brani come The Strife Is Oer, The Battle Won. Eppure la
formazione americana abbastanza brava a mascherare
il tutto da stratagemma letterario, un p come accade
con i riferimenti biblici di autori come Leonard Cohen
o Nick Cave. Unimmaginario che indirizzi il cammino,
insomma, ma le cui storie di amicizia e fratellanza pos-
sano essere condivise senza difcolt anche da chi non
si sente rappresentato da un credo religioso specifco.
Al di l delle convinzioni ideologiche, un bel disco di cui
godere a tutte le latitudini.
(7.2/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
THE YOUNG - DUB EGG (MATADOR, GIUGNO
2012)
GENERE: PSY ROCK
The Young, la band texana guidata dallex-punk Hans
Zimmerman, usc due anni fa con un debutto lungo - Vo-
yagers of Legend - passato praticamente inosservato,
nonostante fosse fosse stato pubblicato dalla Mexican
Summers. Di qualche mese fa invece limportante pas-
saggio alla Matador, che si completa oggi con la pubbli-
cazione del sophomore Dub Egg.
Il disco si apre con Livin Free: electric guitar dal sapore
classico, psichedelia sospesa e la vocalit agrodolce di
Hans che in questa occasione, in alcuni frangenti, pu
ricordare quella dei compagni di uova - Cracking Eggs
un loro brano - My Best Fiend. E poi paesaggi acustici
in psilocybe (Only Way Out), i Silversun Pickups meno
prodotti (White Cloud), i neverending rifs di Dance With
The Ramblers, il Crazy Horse-sound spesso dietro lan-
golo e una manciata brani ideali per una colonna sonora
da Route 66 trip. Un viaggio che per i quattro di Austin
ancora allinizio: la strada da percorrere per riuscire ad
emergere defnitivamente sicuramente ancora lunga.
Come diceva qualcuno, its a long way to the top if you
wanna rock n roll...
Con lapproccio delle rock band pi classiche, i The
Young viaggiano da un lato allaltro di un arcobaleno
che fa da ideale ponte tra i tardi sixties/seventies e gli
anni 90 (dagli Smashing Pumpkins ai Flaming Lips,
passando per il lo-f dei Guided By Voices), con ancora
qualche evidente limite a livello compositivo.
(6.4/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
TOM VIOLENCE - GOD IS BUSY (BLACK CANDY,
APRILE 2012)
GENERE: INDIE-ROCK
Sembrano passati secoli da quel gran disco dei Sonic
Youth dal titolo Evol. Dentro cera una canzone chias-
sosa e tiratissima che si chiama Tom Violence: da qui
che la formazione forentina, giunta al terzo disco, trae
lorigine del proprio nome. inutile nascondere la scelta
degli intenti, sembrano dirci. Il loro un rock duro, mac-
chiato dalle ferite seattleiane del grunge, contaminato
da un pizzico si sinth(esi), che in questi anni duemila
non guasta mai.
God Is Busy un Ep che ha il compito di riprendere le
fla del discorso lasciato in sospeso con il precedente
Borderlines e di confermare le ottime impressioni di cri-
tica e pubblico. Operazione quanto mai felice, perch
pare proprio che del loro pesante bagaglio i Tom Vio-
lence abbiano fatto tesoro. Bellissima A Suit, Fake Hair,
A Diamond Smile, con le chitarre spiazzanti, la voce che
ci ricorda il buon Layne Staley degli Alice in Chains e
dei rif che farebbero invidia ai Black Keys. Piena Sky Val-
ley, per lacidissima The Wizard, brano marchiato a suon
di crossover e dal verso God is busy, recitato a lungo e
ossessivamente. I meccanismi funzionano bene anche
quando si abbassano i toni in Horizon e Brand The Damn:
luna esalta la vena sintetica, quasi alla Placebo, della
band, laltra, con i suoi retaggi melodici e orchestrali, ri-
corda le ballate degli Interpol.
Chiudono il disco due remix riuscitissimi di vecchi brani
della band. Si allarga cos il bacino dutenza, aprendosi
anche ad appassionati di diverso genere, che, tra laltro,
nella versione multimediale del disco si possono dilet-
tare a creare il proprio mix di un brano di God Is Busy.
Meglio di cos?
(6.6/10)
NINO CIGLIO
TWIN SHADOW - CONFESS (4AD, GIUGNO 2012)
GENERE: DISCOPOP GALORE
Quando intervistammo George Lewis jr., aka Twin Sha-
dow, aka il fglio del barbiere caraibico che lo port a
Brooklyn, ci parl per lungo tempo di due grandi passio-
ni, le macchine e le moto degli anni Settanta, oltre il soul
di stampo detroitiano, che lui stesso defniva la cosa pi
divina che ci sia sulla Terra. Erano i tempi dellesordio
Forget, passato per la maggior parte dei critici e dei gior-
nalisti come un riuscito clash tra sofsticato pop Eighties
MGripi
124
e revanchismo Sixties.Vero, ma ci sembrava gi allora
che a partire da moto e automobili, il fulcro dellimma-
ginario di Twin Shadow fossero gli anni Settanta. Idea
confermata dallascolto diConfess, il secondo full-leght,
nuovamente prodotto in solitudine e consegnato alle
sapienti mani della 4AD.
Se liniziale Golden Lion pu far pensare a un outtake del
primo disco, con quel suo incedere zoppicante da pop
avvolgente, gi con la seconda traccia, You Call Me On,
le cose cambiano: lentamente emerge una chitarra in
levare e lattenzione per un pump quasi da dancefoor
aumenta col passare dei minuti. Attenzione e passione
per gli albori della disco (e siamo quindi ancora in terri-
torio Seventies) che vengono confermati dalle tastiere
della successiva Five Seconds.
Sotto unapparente continuit con il precedente lavoro,
quindi, si nascondono in realt sparigliamenti di carte.
Certo mai cos sconvolgenti: pi che altro delle sfumatu-
re, ma che danno profondit al lavoro. Le chitarre pren-
dono maggiormente la scena (sentire larpeggio della
very cool ballad Run My Heart) e sono accompagnate da
accenni pi marcati alla disco (si ascolti il dittico Beg For
The Night e Patient) mentre il synth pop di marca Eigh-
ties continua a tenere banco (The One, When The Movie
Is Over).
A conti fatti George Lewis Jr. ha sfornato un secondo
disco sullo stesso piano del primo, con lattenuante che
piccole variazioni rendono pi interessante la tavolozza,
ma con laggravante che con questa formula abbiamo
limpressione che Twin Shadow possa continuare a re-
plicare se stesso allinfnito.
(7/10)
MARCO BOSCOLO
VISIONS OF TREES - VISIONS OF TREES
(SOMETHING IN CONSTRUCTION, GIUGNO 2012)
GENERE: TRANCE POP
Dio ci liberi dalla stampa musicale maldestra o peggio
ancora maligna, che ti scodella i voli pindarici pi im-
probabili per pomparti il nome, con lefetto prima di
portarti completamente fuori strada e poi di infastidirti
per esser stato trattato da mero oggetto da convincere
che non merita uno straccio di argomentazione. I Vision
Of Trees ce li han venduti come la perfetta sintesi delle
espressioni pop dagli 80 ai 00, lanello di congiunzione
tra i rave e la dance 90 per il largo audience, il nuovo astro
nascente dellelettronica da classifca, facendo di tutto per
evitare di pronunciare lunica parola sensata e centrata
ma che, guarda caso, avrebbe fatto scappare allistante
l80% dei lettori: trance.
Per lalbum desordio il duo londinese non fa altro che
giocare coi collaudatissimi meccanismi trance mainstre-
am dei soliti Tisto, Van Buuren e del terribile Guetta,
caricando sul falsetto dal timbro epic-celtico sfumato
Evanescence per dar la sensazione di novit. Solo che,
anche a voler essere bendisposti, ormai la formula pop-
trance radiofonica di Turn 2 U stanta anche pi del syn-
thpop, le pose dark di Ocean Floor suonano fuori fuoco
nellinquadratura complessiva, Glass Rain e Disapeared
sono la riproduzione da stampino delle arene sintetiche
che furono e i mood in slow-emotion da naturalismo
dreamy di With You e Were All Dust, pur nella loro veste
dignitosa, son due ipotesi isolate che vengono screditate
dal contesto.
Alla fne i due pezzi messi meglio a fuoco sono Everything
Awaits, che scopre le carte e svela lafnit con laltro
hardcore-pop act delle classifche britanniche, i Nero,
e Endless Days Of Youth, che tira fuori una fera coscien-
za dei tempi improvvisando un incrocio sghembo tra
humour post-witch e metrica halfstep. Tutto cos tanto
studiato a tavolino dallindustria che vien quasi compas-
sione per i protagonisti. Saranno le prossime release a
mostrare il loro vero carattere, ma qui non moriremo di
ansia aspettandole.
(5.4/10)
CARLO AFFATIGATO
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CAMPI MAGNETICI #16
Decibel
VIVO DA RE (SPAGHETTI REC, GIUGNO 1980)
Diciamolo subito, cos, in medias res: i primi dischi di
Enrico Ruggeri, a partire da questo Vivo da re fno al
1985 di Tutto scorre, sono tutti diversamente eccezio-
nali. Scegliere di analizzare questo secondo lavoro fr-
mato Decibel quindi e non, per esempio, il primo album
solista del cantautore milanese - Champagne molotov
- o il pi noto Polvere, signifca porre doverosamente
lo sguardo sulla prima apparizione di quelle che sareb-
bero diventate pi in l alcune cifre stilistiche del Rouge
nazionale.
Prodotto dal re dei punk-prima-di-noi, lex Rokes Shel
Shapiro, che compare anche al piano in alcuni brani,
Vivo da re la perfetta commistione di suoni dalla pro-
duzione low profle, forte tensione punk direzionata a
tratti nella pi blue new-wave e una raccolta di incipit
di capacit autorali notevoli. Pervaso di malinconia
e sgangherati male di vivere e lascivia, il disco una
raccolta di suoni elementari la cui ispirazione quella
commistione tutta nordica, dichiaratamente amata da
Ruggeri, di synth pop, pennate di puro punk e flastroc-
cheschi momenti da cabaret tedesco a-la-Kurt Weill.
Potremmo anche, certo con un maggiore sforzo imma-
ginativo, nominare Sparks, David Bowie e tutto quel
mondo oscuramente e orgogliosamente fglio delleste-
tismo letterario di Wilde e soci.
Grandi occhiali da sole dalla montatura bianca e un look
camicia+cravatta che ai Kraftwerk deve tutto, aura di
mistero e parole che hanno il grande pregio di essere
misurate, scelte, dosate. Se il primo episodio del 1978,
noto ai pi come Punk per la scritta sulla copertina, era
poco pi di una raccolta di rabbie post adolescenziali
qua le cose si fanno ben pi serie. Fanno capolino la
depressione di amori fniti pi per giovanilismo e brutto
carattere che per la fne di un sentimento e tutto il disco,
da Sepolto vivo passando per A disagio fno a Pernod,
un libero spazio occupato da incazzature ben studiate,
cinismo meditato e in alcuni casi persino interessato a
certe dinamiche sociali (Supermarket). Non mancano le
meta-narrazioni sulla vita, allora forse per Ruggeri pi
agognata che reale, del rocker maudit (Vivo da re, Tee-
nager).
Il fore allocchiello sono per le canzoni damore, un
amore unconventional come quello cantato poco pri-
ma dai Japan nel loro album desordio, amore erotico
fatto di possesso come ne Il mio show ma, soprattutto,
tormentato come in quel capolavoro di Vivo di re, brano
interamente costruito sulla negazione di un evidente
desiderio damore corrisposto che alla fne, strofa dopo
strofa non pu che essere confessato certo pensandoci
bene qualcosa mi manca... o ancora di rose e di noia devi
essere stanca. Menzione speciale per Peggio per te che
con il suo vai a piangere un po pi in l diventata un
monito a chi non abbandona la sicurezza per il tremar
damore.
Sebbene negli annali siano rimaste pi che altro Con-
tessa, grande successo di pubblico gi in 45giri grazie
a Sanremo e la title track, nonch una non eccezionale
cover di Ho in mente te, Vivo da re un eccezionale mo-
mento di musica dautore italiana dalle pi nobili ten-
sioni esterofle. Un ottimo modo per iniziare a riscoprire
lepoca doro di un grande autore.
GIULIA CAVALIERE
MGripi
127
Napalm Death
classic album
SCUM (EARACHE, 1987)
Birmingham. Periferia industriale di unInghilterra in crisi
economica. I vapori sofocanti delle industrie dellacciaio
e la low class impegnata ad afrontare la grande lotta
contro la disoccupazione. E poi i giovani, che, ancora una
volta, vivono il no future profetizzato dal punk, sotto la
scure implacabile del governo Thatcher.
lanno 1985. Culturalmente, un anno cruciale perch
spartiacque tra la fne della prima New Wave Of British
Heavy Metal e linizio di una forma pi violenta e rea-
zionaria di musica, interpretata dallo Speed Metal (poi
tramutatosi in thrash), allepoca accelerazione del suono
Heavy. Londra, i suoi fermenti. San Francisco e Miami,
le terre del suono estremo.La Svezia, culla della civilt
oltranzista del Death. Ma Birmingham, la citt natale dei
Black Sabbath, risorge come luogo di rivoluzione della
musica rock, quasi inconsapevolmente. La Earache, di
Digby Pearson, promoter locale e attivissimo tape trader,
pubblica il terzo disco della sua storia. Un disco costato
120 sterline e registrato in presa diretta in due notti. Un
disco che doveva e voleva rappresentare il sentimento,
la visione, la percezione del mondo da parte della nuova
giovent inglese: Scum. La concettualizzazione del ni-
chilismo industriale. Unopera frmata da un gruppo de-
stinato a divenire il pi grande riferimento della musica
estrema mondiale nei successivi tre decenni: i Napalm
Death. Morte al Napalm. Feccia. Dolore alle orecchie.
Brevi concetti spesso speculari a quelli, egualmente in-
cisivi, del Manifesto del Futurismo. Il Grindcore e il futu-
rismo condividevano lossessione per il dinamismo, per
lesasperazione della velocit; entrambi furono fgli della
rivoluzione culturale-industriale. Multinational Corpora-
tions, Genocide of The Starving Nations ripetuta osses-
sivamente, dalla voce inquietante di Nick Bullen prima
e di Lee Dorian poi, apriva, con lomonima canzone, la
stagione del grindcore, la musica che comprimeva e de-
costruiva la struttura musicale del rock, arrivando a pro-
durre puro caos ordinato, sviluppato in ventotto canzoni
eseguite in ventiquattro minuti. La musica si comprime.
Diventa una scheggia impazzita. Solo questione di velo-
cit. Scum, grazie alle fulminanti intuizioni di You Sufer
(della durata di due secondi), di Siege Of Power (in cui
il blastbeat dive-
niva la struttura
portante di tutta larchitettura musicale), di Caught In A
Dream, riscriveva il concetto di rock fno ad allora cono-
sciuto, polverizzandone le regole.
Contrariamente al credo comune, Scum non fu la de-
fnizione del suono grindcore, bens del suo concetto.
La sublimazione del grindsound arriv un anno dopo,
con la pubblicazione di From Enslavement To Oblitera-
tion dei Napalm Death e Reek Of Putrefaction dei Carcass.
Scum era il manifesto concettuale. Era linizio della fne.
Lalba dellapocalisse sonora. E, non appaia un parados-
so, ma Scum dei Napalm Death, pur provenendo da una
cultura prettamente pi Hardcore, divenne il disco che
cambi per sempre il metal. Non erano gli Iron Maiden
la passione dei Napalm Death, quanto i Discharge, i
Crass e i Siege. Scum fu lesempio di sperimentazione
improvvisa, di convergenza di elementi inavvicinabili tra
loro, scritto da musicisti il cui futuro sveler la vera natu-
ra: Justin Broadrick, re della sperimentazione industrial
dub elettrometal con Godfesh, Jesu, Final, Pale Sketcher;
Lee Dorrian, lanimo metal, poi artefce della grande re-
surrezione del doom metal con i Cathedral (prima di
dedicarsi interamente alla sua casa discografca, la Rise
Above); Mick Harris girovago sperimentatore con John
Zorn, Scorn, Painkiller e Almamegretta.
I Napalm Death erano spinti da unincredibile urgenza
espressiva e realizzarono in poche ore il cambiamento,
la modificazione, la decostruzione dellheavy metal,
sancendo la nascita di una nuova forma musicale che
nei ventanni successivi, sconvolse pubblico e critica.
Ledizione pubblicata per il venticinquesimo anniversa-
rio della Earache tanto pi fondamentale perch pub-
blica integralmente la prima sessione di registrazione
di Scum, i provini che poi il gruppo modifc il giorno
successivo, prima di consegnare i nastri a Digby Pearson.
E nella grezza e rozza esecuzionetecnica di una musica
incomprensibile, sintravedeva chiaramente il seme del
male, lorigine del caos. Della nuova feccia moderna.
MARIO RUGGERI
sentireascoltare.com