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93/94
The Ladies
Of Rhythm
Squarepusher
Afterhours
Love To Hear You Baby
KEVIN
SAUNDERSON
Barbagallo
Saint Etienne
Roses Gabor
Recensioni p. 82
Campi magnetici 126
Classic album 127
Turn On
Ty Segall, Krewella, Bear In Heaven, Nguzunguzu, Monki
p. 4
Tune-In p. 10
Barbagallo, Saint Etienne, Roses Gabor
Drop Out p. 22
Love To Hear You Baby: The Ladies Of Rhythm
Afterhours
Kevin Saunderson
Squarepusher
MGripi
Direttore
Edoardo Bridda
Direttore Responsabile
Antonello Comunale
Ufficio Stampa
Alberto Lepri, Teresa Greco
Coordinamento
Gaspare Caliri
Progetto Grafico
Nicolas Campagnari
Redazione
Alberto Lepri, Antonello Comunale, Edoardo Bridda, Fabrizio Zampighi,
Gabriele Marino, Gaspare Caliri, Marco Braggion, Nicolas Campagnari,
Stefano Pifferi, Stefano Solventi, Teresa Greco
Staff
Nino Ciglio, Carlo Affatigato, Marco Boscolo, Viola Barbieri, Fabrizio Gelmini,
Antonio Laudazi, Simone Caronno, Diego Ballani, Antonio Cuccu,
Giulia Antelli, Federico Pevere
Copertina
Donna Summer
Guida spirituale
Adriano Trauber (1966-2004)
93/94
luglio/agosto
SENTIREASCOLTARE
SentireAscoltare
online music magazine
Registrazione Trib.BO N 7590
del 28/10/05
Editore: Edoardo Bridda
Provider NGI S.p.A.
Copyright 2012 Edoardo Bridda.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con
qualsiasi mezzo, proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare.
4
Lo stereotipo californiano probabilmente un qualcosa
che va avanti dai tempi dei Beach Boys. La terra pro-
messa del surf, le spiagge da sogno al crepuscolo, e poi
le ragazze, i party eccetea eccetera, unimmagine che
rimasta indissolubile nel mondo occidentale. Il suo co-
rollario quello di un luogo consacrato alla culture gio-
vanili (e quante ne son passate nel corso dei decenni, tra
surf, rivoluzioni hippie, psichedelia, punk hardocore e chi
pi ne ha pi ne metta), che oggi sembrano giungerci
cristallizzate tra i programmi teen di Mtv e quellapprocc-
cio sfrontato, scazzato, assolutamente gioioso alla vita
che in fn dei conti lo stesso del surf. Ma questo non
lo dico io, la storia di Ty Segall a raccontarlo. Guar-
datevi il video Teeny Boppers, imitazione ironica delle
superpatinate sit-com adolescenziali realizzata da una
band liceale, al secolo gli Epsilons, e ditemi se non
cos. Siamo nel 2006, Ty Segall il biondino al centro
della mise en scne.
Parte da qui la sua avventura: un ragazzo di Laguna Be-
ach che, come tanti altri, salta tra una band e laltra, se
la spassa, e impara quello che serve per diventare un
musicista. In un paio danni, dal 2006 al 2008, i gruppi
allattivo sono gi tre: gli Epsilons, i Traditional Fools, i
Party fowl. Tutta roba che suona lo-f e garage con va-
rianti a piacere: gli Epsilons per esempio - con allattivo
due album - sono la formazione pi punk e probabil-
mente anche la importante del lotto, perch un paio di
amici seguiranno Segall fno al recente Slaughterhouse:
nello specifco Mikal Cronin, autore anche di un ottimo
esordio solista nel 2011, e Charles Moothart dei Charlie
& the Moonhearts. I tre diventano come una piccola
famiglia, condividono un bagaglio musicale che va a pe-
scare dai 50 ai 70 senza dimenticare lupdate ai Black
Lips e al catalogo In the red, mentre Ty si sbizzarisce con
la brillantina rockabilly dei Party Fowl e le trame surf dei
Traditional Fool, sfornando dischi buoni ma, nel com-
plesso, trascurabili.
Il momento di provarci in solo arriva proverbialmente
subito dopo. Horn the Unicorn esce nel 2008 per la
poco conosciuta Wizard Mountain, label che aveva gi
dato alle stampe il lavoro dei Traditional Fool. E una
cassetta con 9 brani dal lo f approssimativo e mal regi-
TY SEGALL
In love with the sixties
Alla luce dellennesimo ottimo album - il recente Slaughterhouse -
arrivato il momento di mettere un p dordine nella discografia del
garager pi in vista della Bay Area
5
strato, tanto che la Captcha Records ha gi provveduto
a ristampare il tutto a tempo di record in una versione
completa di qualche outtakes. Per la serie: qualcuno che
ama recuperare vecchie lost tape si trova sempre. Lo spi-
rito appare ancora punk e loperazione allinsegna del
divertimento (vedi la cover in falsetto di Bike dei Pink
Floyd), ma alcuni pezzi lasciano intravedere gi una buo-
na dimestichezza con il pop: su tutti The Drag, che pur
non muovendosi dal contesto Black Lips comunque
tra le migliori cose dellalbum.
E sempre il 2008, Ty Segall ha i cassetti colmi di canzoni
gi pronte, e puntuale arriva il secondo album. Questa
volta John Dwyer dei Thee Oh Sees a notarlo e pro-
durre il disco omonimo, Ty Segall, per la personale Ca-
stle Face. Le cose girano subito a dovere: lapproccio do
it yourself ha fnalmente una logica, un fascino, cos il
nostro pu iniziare a esplorare con pi dedizione anche
la fase di scrittura, subendo in prima istanza linfuenza
sixties di Sonics, Beatles, Tyrannosaurus Rex, e poi la-
sciandosi andare al primo episodio acustico, An ill Jest,
e qualche infuenza blues riciclata dai Black Keys come
Dont do it, anticipando, tra laltro, lhipsteria di Lonely Boy
con il pi o meno ufciale video di So Alone.
A questo punto, lagenda degli avvenimenti si intensif-
ca. Segall si sposta a San Francisco, citt fondamentale
per la crescita del ragazzo che salda nuove e vecchie
amicizie con varie collaborazioni, prima su tutte un 7?
con Thee Oh Sees e una ottima cassetta con Mikal Cro-
nin, Reverse Shark Attack, prodotta da Kill Shaman e
probabilmente uno dei lavori pi interessanti del suo
2009. Il disco, rumoroso e pieno di fuzz, da una parte af-
fna il gusto sixities, dallaltra prova a esplorare i territori
che potrebbero essere di un Beefhearto dei Mothers of
invention, specie nei dieci minuti fnali di Reverse Shark
Attack. La prova fa da contraltare al terzo disco solista,
Lemons, uscito qualche settimana prima su Goner re-
cords, lavoro che rappresenta invece il momento pi
pop della sua discografa, se vogliamo, il momento in
cui sinizia a parlare di Ty come di un nuovo Jay Reatard
(vedi It #1ma soprattuttoCents). Dodici canzoni strofa
ritornello della durata media di due minuti, in cui luni-
ca novit rilevante dal punto di vista musicale ancora
linfuenza del Capitano in un paio di tracce, In your car
e la cover omaggio di Drop out Boogie, tutto comunque
ricondotto ai classici binari garage.
Arriviamo cos al 2010, a Melted, il quarto disco solista in
due anni. Un ritorno allapproccio ruvido e fuzzato degli
esordi. Tornano i Beatles di Rubber Soul, ancora mas-
sacrati da distorsioni di ogni tipo e sommersi in un mare
di psichedelia che ogni tanto sfocia nella paranoia dei
Thee Oh Sees (Finger) ma, pi spesso, fnisce in territori
psych pop (Alone), passando quasi per casa Ariel Pink
(Mike Ds coke). Non un cambiamento sostanziale, ma il
songwriting viene fuori con pi personalit: la questione
non riguarda pi la riproduzione del modello sixties, ma
la ricerca di una chiave di lettura personale. La cosa fun-
ziona, il disco piace tanto al pubblico quanto alla critica,
e il ragazzo comincia ad essere chiamato con insistenza
nel panorama underground americano (e non solo).
La frenesia di Segall aumenta di conseguenza: si cimen-
ta alla corte dei Sic Alps e intensifca lattivit dal vivo
scalpitando tra i palchi di mezza America, aumentando
la forza durto live e lasciando alle registrazioni in stu-
dio il compito meticoloso di ricreare una grana sonora
adatta al proprio sound. Da questa ricerca nasce Goo-
dbye Bread, il disco che lo consacra anche in Europa,
una summa di quello che stato, quasi a chiudere un
capitolo di vita musicale. Ty prende casa presso la pre-
stigiosa Drag City, la pi lesta a metterlo sotto contratto
per un nuovo disco, ovviamente senza contare i soliti 7?
seminati in giro ancora una volta con Thee Oh Sees e
poi con Jef the Brotherhood. Si abbassano i volumi e
le distorsioni ma dentro centra tutto il mondo made in
Segall dei vari Reatard, Strage Boys, The Standelles ma
anche, a conti fatti, il suo modo garagista di frullare pop,
psichedelia e good vibes. E il disco pi lento dellintera
carrira, con molte ballads elettrifcate, lincedere della
batteriain costante downtempo e pi spazio alla voce,
che arriva fnalmente in chiaro. SeMelted era un disco
con pi idee, Goodbye bread lo sdogana ed anche
tempo di prendersi una meritata pausa. Nel 2011 si con-
ta solo un tour accompagnato dai Feeling of love con cui
Ty incide un 7?per Permanent Records. Il resto invece
storia di questanno.
Il ragazzo ritorna in pista con due album. Hair, in col-
laborazione con il losangelino White Fence (nessuna
novit: la valigia garage sixties con un pizzico di paisley
underground) e Slaughterhouse, un disco che il disco,
quello giusto. Conferma ad altissimi livelli di un perso-
naggio che ora pu confrontandosi sia con il protopunk
di Stooges, Mc5 sia con il progressive, che ora si frma
Ty Segall Band mettendo in ragione sociale la famiglia
damici con i quali partito da Laguna Beach.
In soli sei anni, il (quasi) venticinquenne Ty Segall di-
ventato pi di un culto. E gi una star.
STEFANO GAZ
6
I Bear In Heaven negli Stati Uniti spopolano: oltre 200
date a seguire il disco della ribalta Beast Rest Forth Mouth,
tutte sold out. Il successo italiano invece tutto da co-
struire. La band resta un hype indie e nulla pi, nono-
stante che Beast Rest Forth Mouth e il recentissimo I Love
You, It?s Cool siano dischi pi che solidi e con tanto di
blogosfera al seguito. Abbiamo raggiunto telefonica-
mente il bassista e chitarrista della band Adam Wills, per
approfondire il quadro attuale di una formazione che
proprio in questi giorni in Italia per la promozione di
un ultimo album caratterizzato da valanghe di turbinanti
synth, psichedelia e stravaganze, cultura dello spazio e
del dancefoor. Siamo sempre in zona 80s ma con un
colto taglio revisionista.
Potresti dirci della storia che sta dietro al titolo del
vostro ultimo album, I Love You, It?s Cool? Ne ho tro-
vate diferenti versioni online. Sono piuttosto sicuro
che sia coinvolto il vostro ex compagno di band Sa-
dek Bazarra...
Adam Wills: Quando devi dare un nome a un disco, il
suo titolo o ti viene immediatamente o hai da lottarci
un po?. Sadek, che era con noi da tanti anni, ha lasciato
la band subito dopo il disco precedente (Beast Rest Forth
Mouth, ndr). fnito per ritrovarsi troppo impegnato e
ha altri suoi progetti in corso, ma resta parte dei Bear In
Heaven in molti sensi. Ha realizzato la cover, il design
del nuovo album ed il merchandise. passato in studio
una notte e ha lasciato a John (Philpot) e Joe (Stickney)
un paio di note nascondendole sotto i loro strumenti:
una di queste recitava ?I love you, it?s cool?. All?epoca
stavamo lavorando davvero troppo, scrivendo troppo
ed eravamo tutti ultra-stressati, persino vicini al sentirci
addirittura stanchi di stare in una band. Quella nota ri-
suon per noi anche a livello emozionale. Ci siamo messi
quindi a dircelo a vicenda di continuo, fno a chiamare
cos anche il disco.
Sempre a proposito della fuoriuscita di Sadek: come
ha infuenzato le dinamiche della band?
AW: Ha cambiato le nostre dinamiche in positivo. Come
abbiamo detto, Sadek balzato fuori dalla band giusto
prima che partissimo per il tour dello scorso disco. Ci ha
costretti a trovare il modo di suonare dal vivo come trio
un disco che testimoniava quattro persone. Non aveva-
mo soldi per assumere un turnista e abbiamo quindi do-
BEAR
IN HEAVEN
Watch The Drone
Dai cambi di lineup alle bizzarre mosse anti-promozionali, dalle arti visive
al bel I Love You, Its Cool, ultimo album della band.
Due chiacchiere con Adam Wills
MGripi
7
vuto imparare un mucchio di nuovi trick durante il tour.
Questi hanno fnito per infuenzare ci che facciamo ora
in pi d?una maniera.
Avete rallentato lo streaming ufciale di I Love You,
It?s Cool del 400,000%, dandogli un ciclo vitale di
2700 ore. Quale stata la motivazione dietro a que-
sta strategia? Volevate semplicemente provocare,
stata una mossa in risposta al leak precoce subto dal
disco o intendevate indicare o criticare altro?
AW: Provocare era decisamente secondario. Puoi vederla
in altro modo e a me starebbe bene, ma amiamo la mu-
sica ambient e quel che mi stavo chiedendo era come
fare a realizzare una versione ambient del disco. Mi sa-
rei efettivamente fermato a scriverne una, ma stavamo
fnendo sia il tempo che il denaro. Il slowed-down stre-
aming era un?idea ludica completamente realizzabile,
per cui siamo andati avanti con quella. Alcune persone
hanno pensato fosse arte, come pensiamo anche noi,
altri ci hanno visto una critica all?industria musicale e
altre cose ancora. Resta musica prima di tutto.
Mettete anche in vendita un ?super-deluxe
bundle?da 350$ che include un disco rigido conte-
nente tutte le 2,700 ore del drone...
AW: S, e abbiamo pure piccole chiavette USB contenenti
ognuna cinque ore di una sezione casuale del drone.
(ride)
La mia ipotesi riguardo al messaggio dietro allo stre-
aming rallentato prendeva in considerazione una
metafora della natura grower dell?album. Vedo in-
fatti I Love You, It?s Cool come un disco pi ambizioso
del precedente Beast Rest Forth Mouth, un disco che
funziona al meglio come entit intera piuttosto che
colpire immediatamente con forze singole. Da qui la
mia domanda: era questo ci a cui volevate punta-
re? Avete deliberatamente evitato singoli istantanei
quali erano Wholehearted Mess o Lovesick Teenager
per raggiungere questo obbiettivo?
AW: Per quanto ci riguarda siamo soliti ascoltare i dischi
dall?inizio alla fne. Siamo per pure DJ e quindi com-
prendiamo perfettamente l?importanza di un hit single.
Quando sei intento a fare un disco vorresti realizzare en-
trambi ed efettivamente avevamo entrambe le cose in
mente. Certo per che fare un disco da mettere su e
da ascoltare per intero prima di passare all?artista suc-
cessivo, era comunque il nostro obbiettivo principale.
Sono interessato al vostro processo compositivo: ho
letto che perlopi sottrattivo. Potresti spiegare?
AW: S, la sua parte maggiore sottrattiva e abbiamo
usato tantissimo questo metodo di lavoro per I Love
You, It?s Cool. Nello spazio dove lavoriamo abbiamo
la possibilit di scrivere e registrare musica contempo-
raneamente. Funziona cos per ogni pezzo: John porta
50/60 parti di synth, io altre 40 bassline diverse e poi la-
voriamo all?indietro: muta questa layer, fltra quest?altro,
riascolta e eventualmente riparti, togli altro, fltra ancora
e cos via.
So che tu e John avete fatto anche qualche lavoro di
video-editing in passato. Continuate a lavorare an-
cora su questo genere di cose?
AW: L?editing una grossa parte di me e John. Io l?ho
studiato a scuola e John ha lavorato come flm-maker
per pi di una decade. L?essere musicisti a tempo pieno
arrivato come una enorme sorpresa per tutti noi, non
qualcosa a cui abbiamo sempre aspirato. La musica era
pi che altro un hobby, una passione che portavamo
avanti. Per cui sono certo che torneremo all?editing, a
un certo punto.
Dimmi anche degli aspetti visivi di uno show dei Bear
In Heaven. Usate multimedia anche durante i vostri
concerti?
AW: S. Ci preoccupiamo degli aspetti visivi di ogni cosa.
Forse non quanto ci preoccupiamo della musica, ma
vengono comunque immediatamente dopo. Lavoriamo
davvero duro per rendere i nostri concerti anche una
personale esperienza visiva. Abbiamo quindi assunto
un paio di amici a lavorare sulla programmazione e la
sincronizzazione dei light-shows. Al momento stanno
combattendo con qualche power issue tutto europeo:
nel giro di due show abbiamo gi fatto saltare le centra-
line di due location. Spero ci sia qualcuno pronto a tutto
questo in Italia... (ride)
Avete appena terminato il vostro tour negli Stati Uni-
ti con Blouse e Doldrums. Conosciamo tutti i Blouse
ma... potresti introdurci a Doldrums?
AW: Doldrums sbalorditivo. Non c nemmeno bisogno
che sia io a presentarvelo: ne sentirete parlare senz?altro
nei prossimi sei mesi. Ad ogni modo, Doldrums suona
dal vivo con suo fratello e un altro ragazzo e fa musica
come nessun altro in questo momento. Sai, noi sceglia-
mo davvero minuziosamente le band che ci accompa-
gnano in tour e questo non solo perch ci interessa che
abbiano musicalmente senso accanto a noi, ma anche
perch vogliamo assistere alle loro performance ogni
singola notte. Ebbene, Doldrums lungo sei settimane
di tour, non ha mai replicato lo stesso set. genuino e
originale, mi aspetto davvero grandi cose per lui.
MASSIMO RANCATI
8
Strani intrecci si verifcano a volte dietro la consolle. Per-
sonaggi provenienti da percorsi e contesti diversissimi,
luno accanto allaltro rivolti allo stesso pubblico, per tra-
smettere le stesse sensazioni liberatorie gettando nella
mischia qualsiasi stile/pezzo/mood capiti a tiro, seppur
in modi diversi tra loro. cos che presumibilmente an-
dr il 9 Giugno per i festeggiamenti dei 5 anni di attivit
di Trash-Dance, la serata elettronica vicentina appena re-
duce dalla spettacolare serata con Rustie e Nightwave,
di cui vi abbiamo raccontato di persona.
Protagonista stavolta sar una scuderia di personaggi
femminili dal carattere diferente: Monki, 19 anni, londi-
nese, gi con una sua etichetta (la Zoo Music), la ragaz-
zina terribile che in soli due anni passata dallanonima-
NGUZUNGUZU, MONKI
DJing without limits
Monki da Rinse FM, Nguzunguzu dal producing pi arty, personaggi di diversa
estrazione si incontrano alla consolle dopo unesperienza comune: il supporto
a grandi tour accanto a M.I.A. e Katy B.
9
to alla Rinse FM, dove al momento ha una fnestra fssa
settimanale, il mercoled pomeriggio; e Nguzunguzu,
linaferrabile coppia di producers statunitensi che ne-
gli ultimi due anni sta facendo colpo in diverse riviste
specializzate per le loro afascinanti produzioni a base
di ritmi sghembi, spazi emozionanti e oscurit assortite.
Della prima sotto gli occhi di tutti lebbrezza dei suoi dj-
set, riscontrabile in uno qualsiasi dei dj-mix che circolano
in rete, sempre coi piedi ben piantati nei meccanismi
house ma ricca di svariati spunti euforici che coinvolgo-
no tutto quel che di divertente e irriverente pu essere
abbinato ai 4/4. Per farvene unidea, vi consigliamo pro-
prio il podcast Rinse di Maggio, che ben rappresenta le
smanie bass, funky e mainstream della ragazza. I secondi
invece si fanno notare per una serie di EP pubblicati dal
2010 ad oggi, capaci di ogni sorta di salto stilistico, dalla
soft techno ipnotica di Mirage al bass-dubstep di Got
U, dalla frenetica tech-house tribale di Unfold alla pi
recente piega thrilling suggestiva di Wake Sleep. Senza
dimenticare che Dj Asma, met del duo, anche abile
ed eclettica DJ: la prova? Scopritela da soli nello show
per Red Bull Music Academy.
Caratteristiche diferenti eppure una grande esperienza
in comune, quella di supporto al tour di due delle star
pi chiacchierate della dance-mainstream di oggi: Monki
ha fatto da opening DJ per i concerti di Katy B, Dj Asma
invece per quelli di M.I.A. Abbiam chiesto anche di que-
so alle due protagoniste, oltre a farci raccontare lessenza
dei loro stili e del loro carattere. Ecco a voi le loro parole
esclusive per SA.
A proposito: quella sera sar presente anche un altro
personaggio di lusso: Roses Gabor. Ma questa tutta
unaltra storia...
c
d
&
l
p
luglio/agosto
AGATA & ME - THERE ARE SONGS ABOUT YOU
(SOPA, GIUGNO 2012)
GENERE: EMO FOLK
Quattro anni fa cintrigarono con lep Overnite, folk sul
punto di farsi -tronica con evidenti contagi dreamy, il
potenziale evocativo inversamente proporzionale alla
quantit di ingredienti messi sul piatto, le voci intense
e sfuggenti al servizio di costrutti melodici giocati sul
flo tra apprensione e trasporto. Proposta minimale e
suggestiva, cos come poche erano (sono) le notizie su
di loro, tuttavia particolari: lei siciliana - Agata Foti - e
lui bosniaco - Emir Pasic - a tramare lintesa artistica in
quel di Nstved, quarantamila anime (fonte Wikipedia)
ad unora da Copenhagen, nella diversamente dinamica
Danimarca.
Li ritroviamo oggi con un album che espande quel mini
mettendo in fla quattordici tracce, sempre nel segno di
quella concisione trepida, di quel magnetismo onirico,
scorie wave e slarghi cameristici come fantasmi sonori
dalla stanza accanto, dove saccendono acquerelli Mm
via Notwist (City), suggestioni Mark Hollis con fregole
Rachels (Herself) o calde paturnie Elbow (lincalzante
Mirror). La scrittura procede per poche ma dense idee da
far sbocciare con le attenzioni del caso, vedi la tensione
rappresa di We Choke (il banjo e un accenno di fauto),
Wrong Way (alla chitarra risponde dimprovviso un vibra-
fono piovuto dal pianeta delle palpitazioni giocattolo)
e A While Ago (una brezza darchi in mezzo al languore
folk).
In un paio di casi canta Emir con voce empaticamente
problematica (come un cugino basale di Guy Garvey),
mentre Agata una Sinead OConnor dalle inquietu-
dini rabbonite (la toccante Let Go), una Nina Nastasia
disposta a concedersi in close up (Fork, Camoufage). Hai
limpressione che si muovano in una prospettiva deflata,
che il loro percorso sia destinato a svolgersi periferico,
e che tutto ci sia un bene perch magari consentir
loro - se vorranno - di salvaguardare quella che oggi ap-
pare come una torbida, struggente purezza. Cos rara
da incontrare.
(7.2/10)
STEFANO SOLVENTI
ALTERA - ITALIA SVEGLIA! (PRODUZIONI DAL
BASSO, GIUGNO 2012)
GENERE: ROCK DAUTORE
La fnalit encomiabile: creare un progetto discografco
che funga da manifesto dellItalia degli ultimi ventanni
e quindi, implicitamente, metta in guardia il futuro dagli
errori del passato. Il paese descritto ovviamente quello
berlusconiano, in un excursus che - come da note ripor-
tate sul booklet - denuncia una ad una le aberrazioni di
un regime costruito e foraggiato dalla televisione: dalla
promessa del milione di posti di lavoro mai mantenuta
agli scandali legati al terremoto dellAquila, dalle leggi
ad personam ai conflitti di interesse, dalla licenziosit
festaiola alla corruzione. Il tutto in unottica barricadera
che vorrebbe risvegliare le coscienze - emblematico, a
tal proposito, il sottotitolo del disco Note per destare un
paese - ma fnisce, invece, per suonare retorica. Quasi si
trattasse di una serie di istruzioni per luso o di un ma-
nifesto programmatico, pi che di una poetica musicale
vera e propria.
Quel che importa la linearit del messaggio, insom-
ma, e pazienza se per veicolarlo ci si deve afdare a un
rock in italiano in stile Timoria / Liftiba (la title track),
a qualche spoken word che sembra richiamare forma-
zioni come gli Ultimo Attuale Corpo Sonorosenza
eguagliarne lintensit(la parte iniziale di Mi hanno ru-
bato il prete, brano dedicato a Don Gallo) o a certi toni
evocativi generalisti alla U2 (La Bandiera). Ne vien fuori
un citazionismo freddo - testi come hai timore dello
straniero / anche del buio e del lavoro nero / hai timore
del precariato / di restare disoccupato non aiutano - che
sa di ideologia spicciola e di luoghi comuni, abile nel
non tralasciare particolari scabrosi di un ventennio di-
sastroso ma non abbastanza a fuoco per trasformarli in
una formula convincente.
(5/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
AMAVO - GRACEFOOL (FROMSCRATCH, APRILE
2012)
GENERE: POST MATH
Erano quattro anni ormai che non si avevano pi notizie
discografche delle Amavo, rimaste al palo con il buon
83
A PLACE TO BURY STRANGERS - WORSHIP (DEAD OCEANS, GIUGNO 2012)
GENERE: SHOEGAZE NOISE
Non c una-nota-una che sia originale nel nuovo album degli A Place To Bury Strangers.
Eppure non c una nota che sia una fuori posto. Contraddizioni? Confusione? Caldo
che da alla testa? No, semplice dato di fatto.
Tutte le note suonate nelle 11 tracce che compongono latteso comeback del trio new-
yorchese hanno al loro interno rimandi, citazioni, intuizioni che chi mastica un minino
di rock rumoroso non potr non riconoscere. Eppure, la sapienza con la quale il terzetto
newyorchese ha saputo introiettare quel background fatto di chitarre rumorose, ritmi
medi, indolenza vocale e montante feedback ha un suo fascino e soprattutto un suo
perch.
Le avvisaglie ce le avevano mostrate le prove precedenti, con un crescendo qualitativo che ci mostrava come via
via la Ackerman family si distaccasse progressivamente dai clich di genere per mostrare una personalit sempre
crescente. Ora Worship , a tutti gli efetti, il capolavoro degli APTBS e forse la cartina al tornasole per tutto il (semi)
revival shoegaze: basta violenza shock e maggiore attenzione alla forma canzone, ok i noti punti di riferimento ma
sotto con una via sempre pi personale alla interpretazione.
Worship, nomen omen rivolto alle generazioni presenti e future di rock addicted, un concentrato di bellezza in
eccellente equilibrio, in cui il caratteristico wall of sound dei tre smorzato per lasciare spazio ad una maturit che
difcilmente ci saremmo aspettati da coloro che consideravamo solo dei patologici shoegaze/feedback addice o
al limite epigoni dalto livello.
Tra post-punk militante (Fear, Why Cant I Cry Anymore), aggressivit di spie al rosso (Revenge), clangori industriali
dolci come fele (Alone), ruvidezze alla ges&maria (Mind Control) vengono incastonati due o tre pezzi che si di-
staccano dalle asperit ben disseminate lungo tutto il resto dellalbum: Dissolved, And Im Up e Slide mettono la
melodia dinanzi al rumore, senza perdere in ossessivit e di volta in volta dolcezza, cupezza, astrazione. Riesumano
la wave, scontornano il rumore, rivitalizzano il rock e portano nuova linfa ad alberi vecchi.
S, si dir che tutto gi risentito, noto, metabolizzato, ma non si potr assolutamente negare che nel percorso
interno della band Worship non sia dimostrazione di una evidente crescita. E poi, come dicevamo in apertura, non
c una nota che sia una fuori posto e tanto pu bastare.
(7.3/10)
STEFANO PIFFERI
math rock di HappyMess. Ed proprio da l che il duo
veneto composto da Anna Lot e Silvia Lovo riparte, da
quelle geometrie schizofreniche e asincrone che poi il
suo marchio di fabbrica.
Stavolta per il risultato fa un passo ulteriore, e pi che
altro un discorso di personalit e immediatezza. Cer-
to c il synth che entra a far parte delle composizioni
e il suono si arricchisce, ma soprattutto la forma ad
essere pi concreta, perdendo qualcosa sul versante
free ma guadagnando in compattezza e slancio. E uno
schema volutamente ripetitivo e martellante quello
delle otto tracce di Gracefool, un ronzio continuo al
cervello inoculato dalle chitarre grezze e ruvide della
Lovo, sempre pronte a spaziare tra noise e no wave.
Un bel sentire insomma, specie quando arriva il sin-
golo Jello(per chi ha gli occhialini c anche il video in
versione 3d), la vorticosa e claudicante For Commons
Sense Is Not So Commonpi la sbronza in paranoia di
Vinaccia. Avanti cos.
(7/10)
STEFANO GAZ
ANTONY AND THE JOHNSONS - CUT THE WORLD
(ROUGH TRADE, AGOSTO 2012)
GENERE: ART POP ROCK
Di Antony Hegarty conosciamo bene ormai il mistero lu-
minoso, il romanticismo transgender condotto sul flo di
un impressionismo struggente, prima teatrale che cine-
matico, come una frontiera spirituale che esiste discreta
e formidabile. Queer e asceta dal crooning angelico, non
ha fatto fatica a farsi apprezzare dai grandi del pop rock
come il suo mentore Lou Reed e la ex-folletta Bjrk, che
lo hanno utilizzato come guest star deccezione, fnendo
per cucirgli addosso loro malgrado una ingrata sagoma
MGripi
84
da freak ultraterreno. Il buon Antony ha comunque sa-
puto mettere assieme una discografa formalmente e
poeticamente rigorosa, quattro album allinsegna di un
art-pop cameristico punteggiato da intuizioni melodi-
che - e relative interpretazioni - straordinarie.
Con Cut The World arrivato il momento di fare anto-
logia e nel modo migliore, proponendo una selezione
di dieci tracce eseguite live in quel di Copenhagen con
lapporto della Danish National Chamber Orchestra su
arrangiamenti dei sodali Rob Moose (gi al lavoro con
Ryuichi Sakamoto e Sufjan Stevens), Maxim Moston
(David Byrne, Dave Gahan...), del giovane lanciatissimo
prodigio Nico Muhly e dello stesso Antony. Il risulta-
to splendido, intenso, sontuosamente sobrio. La sola
Cripple And the Starfsh con le sue vampe accorate vale
il prezzo del biglietto, ma lo sdilinquimento lunare di
The Crying Light ed il crescendo emotivo di Epilepsy Is
Dancing non sono da meno, per non tacere della gravit
agrodolce di Another World e del gospel angelicato di
Swanlights. Completano loperazione linedita title track,
dal lirismo quasi muscolare, e lo speaking programma-
tico di Future Femminism, tanto per ribadire con che
persona(ggio) abbiamo a che fare.
Se pu sembrare unostentazione estetica eccessiva, un
esercizio di rafnatezza camp per costruirsi una colloca-
zione espressiva peculiare s ma artefatta, vero altres
che fatichi ad immaginare un abito migliore per queste
tracce, sensazione simile a quella provata in occasione
dellottimo Composed di Jehrek Bischof. Due indizi
che non fanno certo una prova: solo con una cospicua
dose di faciloneria potremmo azzardarci a sostenere che
classic is the new loud. In ogni caso, staremo a sentire.
Come sempre.
(7.1/10)
STEFANO SOLVENTI
ATARI/DRINK TO ME/CASA DEL MIRTO/
ESPERANZA - RMXS (UNHIP RECORDS, GIUGNO
2012)
GENERE: INDIETRONICA
S stato un buonissimo disco di indie italiano, che ha
ottenuto consensi anche fuori dalla penisola. Il suo mix
di electro e indie ha visto bene tra le pieghe dello zei-
tgeist musicale contemporaneo, mixando sapientemen-
te ingredienti che potremmo con una formula defnire
le principali estetiche musicali anni zero: tastiere post-
Animal Collective, sentimenti di nostalgia e un pizzico
di DIY.
Oggi la Unhip rilascia solo per gli abbonati questo EP
di remix della band di Torino. In fla per ripensare le
tracce abbiamo i Silent Panda | Deadly Panda (proget-
to electro di Luca G. dei Julies Haircut) che cura una
versione Tarwateriana di Space, tutta echi e riverberi
glo, i Casa del Mirto che rivedono Picture Of The Sun
e ricordano lo scazzo slacker mescolato alle estati del
synth-glo di Washed Out. C poi Dariella degli Ama-
ri sotto il moniker Bunuels Sound Of The Wall che
ripensa Henry Miller con chitarrine la Peter Gabriel e
la solita maestria di taglio che in un crescendo guarda
sia allo UK Bass che a Four Tet. Per chiudere gli Espe-
ranza in fssa synth pop warpiano su Future Days (uno
dei pezzi migliori del disco) e gli Atari che rivedono
Disaster Area con tastierine ed efetti che ricordano i
Suicide senza punkness.
Un buon invito per lestate a proporre i pezzi dei Drink
To Me anche sul dancefoor e una riconferma della loro
eterogeneit, aperta a pi fronti. Non solo palco, anche
pista.
(7.1/10)
MARCO BRAGGION
BEAK - >> (INVADA, GIUGNO 2012)
GENERE: PSYCH MOTORIK
Geof Barrow sembra mantenere la posizione, con il mo-
niker Beak>, che aveva proposto con lesordio del 2009.
Il secondo episodio unaltra profonda rifessione per
strutture sullinerzia della ritmica tedesca di provenienza
krauta dentro lelettrorock odierno. Nel loro viaggio, i
Beak di >> vanno ancor pi a ritroso ed entrano nelle
macchine morbide - o nelle accoglienti sabbie mobili
- della psichedelia dei tardi anni Sessanta, quella pi
distante dallacid-rock tradizionale, e pi orientata al
viaggio tramite la pulsazione.
Spinning Top trova cos una sovrapposizione utile con i
Silver Apples, e da l il disco intreccia numerosi anel-
li di congiunzione tra Simeon Coxe e Danny Taylor e i
Neu!. Il rif mediorientale al ralenti di Wulfstan II (dal
nome di un vescovo inglese di Worcester degli anni mil-
le) suona allorecchio dellascoltatore italiano come una
reminiscenza diretta di Punk Islam dei CCCP. Nessunal-
tra analogia, se non lincaponimento sulla ripetizione
paranoica, del resto tratto essenziale della pratica mo-
torik tutta. Anzi, superata la rima, si procede, nella lunga
suite, verso le lande dei Pink Floyd da poco orfani di
Syd Barrett, e si potrebbe essere tanto a Beirut quanto
a Pompei. Oppure nelle esplorazioni ascendenti delle
canzoni psichedeliche alla Mushroom di Tago Mago
(Elevator).
Il motorik una delle invenzioni della musica pop pi
geniali e infuenti di sempre. un pattern tanto sem-
plice quanto ricco. Barrow, che delle formule semplici
portate alle conseguenze pi complesse e accessibili
85
ALEX NIGGEMANN - PARANOID FUNK (POKER FLAT, MAGGIO 2012)
GENERE: HOUSE
Fai tanto parlare di Jamie Jones come il talento house assoluto, quello che sa raggiun-
gere la forma pi coinvolgente e rigorosa del genere, ma di fatto, nelle due occasioni
avute per sfoderare il disco house defnitivo per gli anni 10 (Dont You Remember
The Future e il Tracks From The Crypt in uscita), il pupillo di Crosstown ha solo dise-
gnato un suo percorso personale, niente che avesse la validit in senso assoluto che
ci si aspettava. Ora che invece arriva il debutto in lunga distanza di Alex Niggemann
(stesso percorso artistico di Jones solo su etichette meno blasonate e lontane dalla
Londra che conta), ti vien naturale fare paragoni, e ci metti poco a capire qual il lavoro
di mestiere e qual lalbum di qualit superiore.
Paranoid Funk ha tutto quello che la house deve avere oggi: il groove deep killer che fa da assist al disagio soul
(Dont Wait), lintransigente circolarit che non sente cali dattenzione (non coi sample e i pattern ritmici di The
Sweetest Thing), i tempi e le consistenze del clubbing tech-house ma senza barriere allingresso (Curious), laggancio
alla durezza techno che non guasta (Easy Love, I Dont Care), il basso assassino che tira fuori il meglio dellimpianto
audio (That Is...!?), a tratti persino un certo candore melodico che guarda alla space (Come Into My World). Pi in
generale, c unarmonia degli elementi che mette tutto sotto la luce giusta, senza forzare la mano (non ce n bi-
sogno: in fondo old school) ma lavorando sulla semplicit degli attori (voce e cassa su tutti, vedi lo splendore di
una Lovers) e sulle loro afnit elettive.
Non un capello fuori posto, nessuna sbavatura: ogni cosa ha il giusto spazio e sa soddisfare tutti i tipi di sensibilit
house a portata di mano, da quella di sentimento alla pi muscolare. Disco senza colpi epocali ma praticamente
perfetto, di quella perfezione che viene raggiunta solo da chi punta tutto sulla solidit delle forme. Un certo Paul
Kalkbrenner ha fatto qualcosa di simile lanno scorso, lato techno, ma Niggemann ha il vantaggio di non avere
paragoni ingombranti che vengono dal proprio passato. E quel tocco fresco e spigliato che pu avere solo la nuova
generazione.
(7.3/10)
CARLO AFFATIGATO
maestro (i suoi Portishead ce lo testimoniano con for-
za), ne ha capito e carpito lenorme potenziale. Basta ag-
giungere qualche variante e il gioco fatto - anche sulla
lentezza, e sullutilizzo della voce che canta un mantra
nella bellissima Deserters, tanto aliena da s che quasi ci
porta dentro Above dei Mad Season. Ma, soprattutto,
capito il gioco, Barrow sa come non rimanere imbriglia-
to, e tornare nellintensit pi catarticamente rock della
fnale Kidney. Un ponte verso qualcosa che vorremmo
ascoltare subito.
(7.2/10)
GASPARE CALIRI
BEE AND FLOWER - SUSPENSION (CHEAP
SATANISM, APRILE 2012)
GENERE: NOIR POP
Bee And Flower: una carriera iniziata pi di dieci anni fa
a New York, frammentata e caratterizzata dalle tempisti-
che dilatate dettate anche da spostamenti tra la Gran-
de Mela e Berlino. Esordio nel 2003 con Whats Mine Is
Yours, a cui fece seguito quattro anni dopo linterlocuto-
rio Last Sight of Land; altri cinque lunghi anni dattesa
- e ritorno a New York - per la pubblicazione via Cheap
Satanism del terzo lavoro Suspension.
Dana Schechter (voce e basso) e Roderick Miller (tastie-
re) plasmano ancora una volta quel suono che evoca
atmosfere fumose da pianobar di classe, sorretto da
arrangiamenti sinuosi e delicati di archi (Jon Petrow) e
varianti chitarristiche (Lynn Wright) che si insinuano tra
le accoglienti trame (In The Dawn and Dusk).
La voce di Dana - tra le fla anche del progetto anni zero
di Michael Gira, Angels of Light- riesce a veleggiare
costantemente su tappeti noir, su uno slow-folk oscuro
alla Nina Nastasia e su certe murder ballads (presen-
te Thomas Wydler dei Nick Cave and Bad Seeds) con
grande pulizia melodica, addentrandosi con eleganza
in temi come la solitudine.
Seriet, onest artistica e una buona scrittura riescono
a rendere comunque interessante un disco che oltre a
non portare grosse novit e a non intaccare il DNA della
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band, rischia di suonare leggermente sorpassato.
(6.5/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
BONNIE PRINCE BILLY - NOW HERES MY PLAN
(DOMINO, LUGLIO 2012)
GENERE: FOLK
Luomo del Kentuky non nuovo alla rilettura del pro-
prio repertorio, vedi il pi noto Sings Greatest Palace Mu-
sic del lontano 2004. Qui ci ricasca nella sintesi di un
EP di sei brani in occasione delluscita di una biografa
che va sotto il titolo di Will Oldham on Bonnie Prince
Billy. A dire che il gioco tra i moniker non si fermer qui.
Nonostante si tratti di un momento quasi di bilancio.
Oltre alla biografa, infatti, il 30 giugno saranno messe
in circolazione di alcune ristampe del catalogo Palace
Music. Insomma, si fa ordine: dovrebbe rimanere solo
la sigla Palace Music, lasciando da parte Palace Brothers
e Palace Songs.
Rispetto allepica della recente collaborazione con i
Trembling Bells, qui Oldham appare completamente
se stesso, a proprio agio oramai con una produzione
corposa e in grado di ricucirsela addosso sempre in
modo diverso. Come in quella I See A Darkness che fece
impazzire la critica nel 1999 e che diede la stura a lon-
data country/alt.country/folk che segu. Dopo la celebre
rinterpretazione di Jonnhy Cash, Oldham se la riprende
mettendola tutta in toni luminosi e allegri: si gioca per
contrasti leggeri, piuttosto che lasciare spazio a cupezze
da Uomo in Nero.
Prodotto da Steve Albini e suonato assieme alla backing
band che lo segue in tour da Wolfroy Goes to Town, pe-
sca dalla met degli anni Novanta fno a tempi contem-
poranei. Non aggiunge niente alla statura che Oldham
ha raggiunto, aumenta solamente la voglia di sentirlo
presto dal vivo, magari per scoprire se ha nuovamente
riarrangiato queste o altre canzoni.
(7/10)
MARCO BOSCOLO
CARMELO AMENTA - I GATTI SE NE FANNO UN
CAZZO DELLA TRIPPA (SEAHORSE RECORDINGS,
MAGGIO 2012)
GENERE: CANTAUTORATO
Musica ombrosa e scarnifcata: in una parola, blues. Car-
melo Amenta arriva allappuntamento con il secondo
disco rinnovando una scrittura che nellesordio Lerba
cattiva del 2010 aveva mostrato invece un efcace vena
elettrica, pur attratta dai signifcati profondi tipici del
cantautorato. Si sfronda idealmente il parco strumenti,
ci si attorciglia alle chitarre acustiche e ai toni intimisti,
si preferisce un cantato quasi sussurato eredit pesante
del Cesare Basile dellultimo periodo (Storia di Caino,
Sette pietre per tenere il Diavolo a bada) e che respiri un
po dappertutto: dallinizialeI gatti se ne fanno un cazzo
della trippa ai chiaroscuri da drumming spazzolato di
Frammenti, alla flastrocca di Per i vermi siamo tutti uguali.
Tanto che le parentesi pi intriganti fnoscono per es-
sere quelle che non ti aspetteresti: i Bachi da pietra di
un brano come Ciuf Ciuf, le declinazioni jazz di episodi
come Coriandoli e polvere, i suoni essenziali ma sognanti
di Aria.
Spaccati musicali obliqui, meno legati alle formule con-
solidate - a testimonianza, anche i cinque brani dellEP
allegato -, fgli di una strada personale che tende al mi-
nimalismo e alla fne convince. Rimane qualche dubbio
sui testi: meglio aveva fatto Lerba cattiva in termini di
essenzialit del messaggio e sviluppo. Qui si respira, in
qualche caso, uneccessiva verbosit - il confronto natu-
rale e inevitabile con la poetica tagliente di Basile non
aiuta - che cozza con le ruvidezze di una parte musicale,
invece, perfettamente a fuoco.
(6.5/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CAST OF CHEERS - FAMILY (SCHOOLBOY ERROR,
GIUGNO 2012)
GENERE: WAVE POP
Piccoli wavers irlandesi crescono. E il caso dei quattro
ragazzi che si propongono al mondo sotto la ragione
sociale di The Cast Of Cheers. Dopo un disco autopro-
dotto e difuso via bandcamp, ecco il primo lavoro pro-
fessionale della loro carriera. Lattesa dei media anglo-
sassoni stata stemperata da singoli come lipercinetico
e infarcito di chitarre wave Familye Animals, che hanno il
pregio di sembrare tagliati a modino per lairplay.
Lambizione quella di costruire un sound che concili
le chitarre secche e taglienti dei Gang Of Four e larty
rock dei Battles. Dei primi, per, non hanno unoncia
dellafato ideologico, dei secondi manca il cerebralismo
cubista. Siamo pi che altro di fronte a una versione pi
Futureheads dei Franz Ferdinand, tutti marcette e svi-
satone synth per darsi un contegno.
Nel complesso, per, bisogna riconoscere che il giocatto-
lo tutto sommato funziona. Nella totale derivativit della
proposta, a fare la diferenza qualche buona melodia
come Human Elevator, o il ritmo spezzato che avrebbe
fatto la fortuna di una band sgonfatasi come i Maxmo
Park di una Goose. Una volta avremmo detto college-
wave-pop.
(6.5/10)
MARCO BOSCOLO
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CHAINS OF LOVE - STRANGE GREY DAYS
(MANIMAL VINYL, GIUGNO 2012)
GENERE: GARAGE-SHOEGAZE
Tutto nasce nel Little Red Sound di Vancouver: Felix
Fung, chitarrista, produttore nonch proprietario dello
studio suddetto decide di mettere su una formazione al
femminile sul modello delle The Ronettes e chiama a
raccolta alla voce Nathalia Pizarro e alle armonie Rebecca
Marie Law Gray. In testa il Phil Spector dei ffties/sixties,
un asse ritmico in puro stile Motown (Steve Ferreira alla
batteria e Brian Nicol al basso, mentre alle tastiere c
Henry Beckwith) e unestetica aggiornata allhipsterismo
attuale. Fuor di metafora, i soliti The Jesus And Mary
Chains richiamati dagli echi clautrofobici del cantato,
dal beat ruvido ed essenziale, dalle chitarre sporche e
slabbrate. A fare da contorno una bruma psichedelica
rubata a certi sixties stoned - per intenderci, quelli delle
Electric Prunes di I Had Too Much To Dream Last Night o
del Kenny Rogers di Just Dropped In (To See What Condi-
tion My Condition Was In) -, ch se di retromania si deve
trattare, almeno sia di quella pi giocosa, riconoscibile
e popular.
Una volta identifcati gli antecedenti, il gioco dura giusto
il tempo di un paio di ascolti, tra lineluttabilit blues del
singolo Hes Leaving (With Me) e le Crystals richiamate da
All The Time. Un po perch la voce piuttosto monocorde
della Pizarro di soul non ha praticamente nulla, un po
perch tirando le somme, la formazione canadese si li-
mita alla didattica applicata. Tolta la fedelt didascalica ai
modelli, insomma, rimane ben poco: forse solo le atmo-
sfere dreamy di un pezzo come la title track. Tanto vale,
allora, recuperare gli originali, rinunciando alla coolness
un po posticcia tipica degli esperimenti da laboratorio.
(6.2/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CHEWING WITH GUSTO - CHEWING WITH GUSTO
VOL.1 (CWG RECORDINGS, APRILE 2012)
GENERE: ELECTRO-PSYCH
Italiani allestero che uniscono le forze? La storia simi-
ALT-J - AN AWESOME WAVE (INFECTIOUS, GIUGNO 2012)
GENERE: ALT-ART POP
Si chiamano Alt-J, ma potete chiamali anche ∆ - delta o triangolo se preferite - ovvero il simbolo che su
Mac il risultato della combinazione dei tasti Alt e J.
Gi dal nome chiaro che siamo di fronte ad una band che ragiona guardando avanti,
captando le microrivoluzioni concettuali della musica degli anni dieci: per entrare nel
cuore degli indie-kid ormai superfuo cercare lhit da indieclub, necessario piuttosto
ricercare e sperimentare senza perdere di vista la fruibilit del prodotto.
I banchi delluniversit di Leeds hanno fatto incontrare questi quattro ragazzi stanziati
a Cambridge che, dopo il promettente EP Matilda/Fitzpleasure, pubblicano il debut
An Awesome Wave su Infectious.
Con i Wild Beasts come padri tutelari, gli Alt-J mettono in scena un frullato incredibile
di infuenze che arrivano sia da Inghilterra che USA. Si potrebbe chiamare in causa la
presenza dei cori e di alcune armonie folkish dei Fleet Foxes - Bloodfood, Ms - scalfte da strofe soul-hop/white
r&b (Breezeblocks, Matilda... forse lapice melodico del disco), di synth-drop corposi (lo stacco di Fitzpleasure), di un
post-tutto con piccole dosi di elettronica a fare da collante, di saliscendi Everything Everything, senza per riuscire
a descrivere fedelmente quanto mettono in campo - con una sicurezza disarmante per una band al debutto - Joe
Newman e soci.
Proprio leccentrica vocalit di Joe Newman - da non escludere una futura carriera solista pop/soul - il valore ag-
giunto dellAlt-J sound, capace com di muoversi abilmente tra generi e tonalit diferenti e di arricchire ritmiche
arty fglie in parte dei Radiohead mid-00s.
Nonostante i riferimenti pi o meno velati (e probabilmente anche forzati), la proposta degli Alt-J suona gi oggi
unica, personale, difcilmente inquadrabile e allo stesso tempo ipoteticamente di successo. Simbiosi perfetta tra
sperimentazione e gusto pop, un concetto che in un mondo ideale sarebbe alla base della musica mainstream del
futuro (leggasi Grimes).
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
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le a quella di Walls/Banjo Or Freakout. I Chewing With
Gusto sono infatti il risultato dei Chewing Magnetic
Tape, siciliani - al secolo Fabrizio Bandini, Enzo Mazzu-
ca e Giovanni Romano - non nuovi a collaborazioni ad
ampio spettro (Fovea Hex, Graham Lewis degli Wire),
e Gusto Extermination Fluid, ovvero Paul Taylor, un
producer e musicista elettronico.
Fatte le dovute presentazioni, tanto difcile inquadra-
re lo spettro sonoro in cui si muovono i tre (+ uno) quan-
to facile lasciarsi trasportare da quello stesso flusso.
Esoterismo dark-psichedelico in battuta bassa, stando
allopener A Way (reminiscenze Coil e procedere malin-
conico) o a Zhoovo Loe Pt.2 (sorta di trip-hop infernale
da grey area impreziosito dal canto alieno di Zuki Ki).
Musica lenta e suadente come un montare di marea
ma il cui retrogusto industriale ed esoterico, misto alle
atmosfere notturne e pagane con cui Taylor ha ripen-
sato e rivestito alcune prove precedenti dei tre italiani
(la citata Zhoovo Loe, Section Dub e Sunset) e modellato
le nuove, assume quel senso di alienante alterit che
non stanca afatto.
Le derive post-techno-dub con voci subacquee di Soft-
core e le atmosfere dreamin malvagie di Lights reiterano
il processo di fusione tra composizione rock e rielabo-
razione elettronica, suonando stordenti per equilibrio
e fnalizzazione. Il romanticismo alieno della conclusiva
Sunset - una murder ballad trasposta sul lato oscuro del-
la Luna? - conclude un lavoro che sorprende e stordisce,
opera di una formazione di outsiders cui difcile dare
una collocazione. Sorprendere e spiazzare dopotutto
ci che si chiede oggigiorno.
(7.2/10)
STEFANO PIFFERI
CHRISTIAN ALATI - AN ELEPHANT INTO THIS
BUILDING (CANEBAGNATO, MAGGIO 2012)
GENERE: FOLK STRUMENTALE
La cosa pi difcile, in dischi strumentali come questo,
evitare di trasformarli in una dimostrazione di auti-
smo autorizzata dalla necessit di provare a s stessi
le proprie virt solistiche. Per fortuna non il caso di
Christian Alati, uno che fn qui ha realizzato ottimi la-
vori con Don Quibl, suona nei Gatto Ciliegia contro
il grande freddo e scrive colonne sonore.
Ecco spiegata, allora, la capacit di far interagire tutti
gli strumenti coinvolti in An Elephant Into This Building
nella maniera migliore, pur partendo dalla chitarra acu-
stica: una visione musicale comunque ad ampio raggio
messa in pratica grazie a un disco che unisce approccio
roots (evidente anche nella title-track) e aromi folktro-
nici artigianali (riposta in un angolo lelettronica, brani
come Where Is The Turntable, Nine Billion Marks o Auto-
matically In The Water Now sopperiscono con una se-
rie di automatismi tra batteria, pianoforte e sei corde
che richiamano, comunque, quellimmaginario). Suoni
spaziosi, puliti, perfettamente miscelati e in bilico tra
tradizione americana (Cathodic Resistance scoperchia un
blues ripetitivo e allungato) e modernit di approccio (i
contributi concreti alla voce), capaci di creare itinerari
melodici ben riconoscibili e quasi narrativi. Materiale
che con il passare degli ascolti, guadagna in spessore
e credibilit.
Il disco lo trovate in free download - per il formato digi-
tale - nella pagina Bandcamp delletichetta(e tempora-
neamente qui sotto), ma il consiglio di procurarselo in
formato fsico, non fossaltro per i bei disegni di Caterina
Pinto.
(6.9/10)
FABRIZIO ZAMPIGHI
CORPUS CHRISTI - II (JEETKUNE, FEBBRAIO
2012)
GENERE: PREWAR FOLK
E un gran bel lavoro questo II dei Corpus Christi, al se-
colo Cristina dei Capputtini I Lignu, Tina degli Intellec-
tuals e il banjoista americano Sam Crawford. Il motivo
semplice: II un disco che parla di e con il linguaggio
prewar americano (sui generis dellantologia di Harry
Smith) ma capace anche di raccontare qualcosa di
diverso, ovvero quel senso di vuoto e perdita legato alla
tradizione che a partire dai racconti di Raymond Carver
- non per niente citati nel booklet - arriva dritto dritto
ai giorni nostri.
E cos alle giornate passate tra bivacchi e fal si aggiun-
ge inevitabilmente una componente noir, ed un qual-
cosa che afascina: basta un kazoo in West Virginia Gals
o un synth in Poor Alfredo per piombare tra gli spettri di
un mondo che non c pi, salvo poi riesumarne la me-
moria attraverso il banjo di Willwood Flowero della disa-
ster song The Cyclone Of Rye Cove. Pungono nellintimo
questi piccoli momenti rubati alla vita rurale americana
(vedi la ninna nanna di I Know A Little Girl), oltretutto
raccordati in maniera eccellente da qualche breve pas-
saggio strumentale: il carrillion settecentesco di Sophia,
la strimpellata bagnata di Astrid,il fnale per violino di
Elodie,tutto nel segno di un old time che diventa sempre
pi caleidoscopico.
Alla resa dei conti quasi un peccato che il disco duri
venti minuti scarsi, ne avremmo acoltati volentieri al-
meno il doppio.
(7.3/10)
STEFANO GAZ
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AUCAN - BLACK RAINBOW REMIXES (LA TEMPESTA INTERNATIONAL, APRILE 2012)
GENERE: ELECTRO-STEP
Che gli Aucan siano uno scalino sopra molti gruppi italiani lo si era capito dallarcobaleno nero dello scorso anno.
Oggi il trio bresciano torna a proporre le tracce di quella bombetta in una compilation di remix (liberamente sca-
ricabile qui) che ha dellottimo potenziale per indagare il suono dellelettronica degli anni 10. Il suono sintetico
usato infatti per costruire nuove trasversalit che per un lungo attimo sembrano prescindere dal rock, pur conser-
vandone lamore per il groove e il ritmo.
Si va infatti dal rap mutante in ricordo cLOUDDEAD/Antipop Consortium di Storm
(con il carichissimo featuring di MC Dalek), al nu-metal peso tagliato col fdgeting
(Away! con lex voce degli Asian Dub Foundation Spex) passando per lelectro im-
maginifca di paesaggi accostabili al dubstep-ambient della recente Hyperdub (Save
Yourselfremixata dagli Ambassadeurs), visitando le stanze electro-progressive che
chiamano in causa da una parte Four Tet (Underwater Music) e dallaltra echi di Burial
(Red Minoga). Il tutto si completa infne con il dub Photek-iano di Scorn (che remixa la
titletrack) e la grazia nipponica di Ccile (Embarque) e di Shigeto (Blurred).
Ologrammico e mentale, lo spostamento di camera che muta loriginale (sono solo 3
su 11 i pezzi autoremixati dagli stessi Aucan) azzeccato e in qualche modo necessario per cogliere le possibilit
messe sul tavolo dal trio. Il gruppo non si focalizza su ununica idea e respira con i preziosi contributi internazio-
nali arie diverse, mondi blacktronici su cui puntare per il futuro. Posizionandosi su una linea che eredita le visioni
dellhip-hop alternativo americano e degli esperimenti caleidoscopici di Mike Patton, Dassenno DAbbraccio e
Ferliga propongono un massimalismo sonico deciso, che conserva una cupezza di fondo ammaliante e personale,
fortunatamente non troppo ancorata alla lezione londinese del dubstep-wonky Rustie-ano. Per ora uno dei migliori
mix di electro-alt-hip-nu-rock dellanno.
(7.5/10)
MARCO BRAGGION
DEON - LP (HIPPOS IN TANKS, GIUGNO 2012)
GENERE: NEW AGE SYNTH-POP
dEon , come Grimes e Purity Ring, parte della nuova
scena di musicisti elettronici con gusto per lesoterismo
a base Montral. Lo abbiamo conosciuto lo scorso anno
grazie a Darkbloom (in split proprio con Claire Boucher),
maPalinopsia, lesordio in sordina, era datato 2010. A
quellEP dal corposo minutaggio (poco meno di unora)
fa seguito il presente LP di ben 77 minuti a portare avan-
ti un ideale tutto rivolto allo stressare al massimo le ca-
pacit del supporto fsico.
Il primo full-lenght del canadese carico delle versioni
pi rafnate ed elaborate delle componenti, sia soniche
che testuali, delle precedenti release: synth New Age e
hook electro-pop a scontrarsi con pattern ritmici che
vanno dalla moderazione ambient-like ai jungle break-
beats (Signals Intelligence), la produzione full-spectrum
e la cantilena chill ma passionale di Peter Gabriel (Now
Your Do), le continue allusioni nave a mode orientali,
fede e rituali echeggianti il periodo speso in meditazione
in un monastero sullHimalaya. tutto un dj vu ma
pure il punto focale della musica di dEon, artista che
cerca le variazioni attraverso le ripetizioni. Queste pos-
sono essere sottili, ma la ricchezza di dettagli e la quasi-
ipnotica densit dello spettro sonoro permettono al me-
todo -esemplifcato ottimamente nel mixtape Music For
Keyboards Vol.II, composto da 14 arrangiamenti di Whats
My Age Again? dei Blink 182- di funzionare su larga scala.
Lunicit di LP risiede a livello concettuale: flo condutto-
re fra le tracce il grave disagio causato dal consumismo
moderno, dal razionalismo leggero e non fltrato dellera
digitale che intrappola ad un proflo Facebook o alla co-
municazione via iPhone. Al contrario dellapproccio alla
tematica sarcastico e proiettato in leggera approssima-
zione del futuro del compagno di label James Ferraro
(Far Side Virtual, 2011), dEon fltra il proprio attraverso un
inedito, serioso romanticismo da XXI secolo, cerca rispo-
ste e liberazione per vie artistiche in uno stato redentore
di spiritualit autonoma. Emblemi del concetto sono i
due momenti migliori, Chastisement (If I have access to
everything digitized, then why am I looking for a scripture?)
e Al-Qiyamah (If were stuck in here, what happens on Jud-
gement Day?), mentre altrove (Transparency Pt. II, Gabriel
Pt. I) il disco non musicalmente forte a sufcienza per
90
reggere il discorso e fnisce per farne pesare la mole.
LP resta comunque uno sforzo interessante, un ascolto
obbligato per chiunque sia interessato alla pop music
contemporanea ed al suo attuale contesto sociale.
(7/10)
MASSIMO RANCATI
DENT MAY - DO THINGS (PAW TRACKS, GIUGNO
2012)
GENERE: BEACH CHILL-POP
Dent May una di quelle icone di culto che vivono pe-
rennemente sul flo immaginario che divide la genialit
dal ridicolo.
Lavevamo lasciato con un ukulele in mano nel debutto
The Good Feeling Music of Dent May & His Magnif-
cent Ukulele e lo ritroviamo ora in una nuova veste per
il sophomore album Do Things.
Lamichetto degli Animal Collective si libera dellukule-
le e si sdraia sotto sulle spiagge californiane - nonostan-
te canti Dont want to move to Southern California in
Home Groan - e cerca di cullare lascoltatore in un post
acid trip decisamente sunshine.
I Beach Boys sono, ovviamente, il punto di riferimen-
to pi evidente che scorre lungo le dieci tracce del di-
sco. Laddove i sapori sixties lasciano spazio a sprazzi
di modernit si va a lambire territori funky-chilly/glo-f
(Fun, Dont Want Too Long). Anni 60 rivisitati in menta-
lit post-80s con landazzo di chi, dopo una giornata
passata abbrustolirsi, si trascina a fatica verso il primo
beach-bar per laperitivo al tramonto. Spazio anche per
lold-times ballad Do Things e per Find It, dove Dent May
ricorda alla lontana Damon Albarn in versione psyche-
delic pop.
Come un Panda Bear meno sperimentale e looposo,
il Dent May di Do Things si concede a modo suo allo
svacco estivo e scrive poco pi di mezzora di sugge-
stioni da bagnasciuga che non fanno male a nessuno,
soprattutto in queste giornate afose.
(6.5/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
BLUES CONTROL - VALLEY TANGENTS (DRAG CITY, GIUGNO 2012)
GENERE: AVANT-KRAUT
Lo avevamo capito gi durante la loro apparizione flo-cosmica al Live Arts Week di Bologna di questanno, insieme
a Laraaji - e ancor di pi ascoltando FRKWYS Vol. 8, il frutto su disco della loro collaborazione. Se dopo Local Flavor
la strada era segnata, a meno di cambi di direzione repentini, ormai sembrava certo che i Blues Control volessero
uscire fuori dal tempo noise per sposare la linea krauta.
Ma Valley Tangents - quinto lavoro del duo, primo sulla sempre pi accorta Drag City -
uno scrigno di densit di idee e mondi stupefacente, che non pensa solo ai Popol Vuh
ma raccoglie i frutti di ventanni di parentele tra musica colta e rock. Suona met con la
trascendenza delle progressioni del rock tedesco dei primi Settanta, met con il piglio
furbetto del jazz modale che si avvicina al jazz rock. Loves A Rondo e Iron Pigs, prime due
tracce delle sei, mettono in campo un metodo di costruzione esotico e dosato, tanto
pensiero dietro la musica, ma anche le percussioni di Tatsuya Nakatani, iperprolifco
auto costruttore di pelli di Osaka. Ci che a prima vista sembra easy-listening un
complesso gioco di fltri che fanno guardare il mondo con gli occhi delle avventure musicali di Terry Riley. Non una
parentela strutturale, musicologica, ma un sentore straniero da tutto come un cammello a Parigi (Walking Robin).
Limprovvisazione e gli episodi di assolo volutamente manualistici di cui cosparso Valley Tangents sono soprat-
tutto frutto della tastiera-pianoforte di Lea Cho che della chitarra di Russ Waterhouse, che quando emerge torna
inevitabilmente in terra tedesca. Il duo resta un punto di riferimento per la capacit di ibridare quelle tradizioni
oblique con lambiguit lo-f dellapproccio sporco, oleoso, deliberatamente non trasparente della messa a sistema
degli efetti sonori (espressione pi fedele di strumentazione). Per poi non dire che bastano due note (quelle di A
Love Supreme di Coltrane?) per accompagnare il monologo fnale di Gypsum, pianoforte giapponese e semplice
batteria anni settanta. Per chi scrive, un album che potr rimanere molto in alto, nelle classifche e nei mesi.
(7.4/10)
GASPARE CALIRI
li di T Ril N
MGripi
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DEUS - FOLLOWING SEA (AUTOPRODOTTO,
GIUGNO 2012)
GENERE: NOIR ROCK
Abbiamo gi detto come e quanto i dEUS abbiano gi
dato, e si accontentino di perpetuarsi allinsegna di un
mestiere pi che dignitoso, ben rappresentato dal re-
cente discreto Keep You Close. Sorprende tuttavia che
la nostra band belga preferita abbia confezionato un
altro disco fatto e fnito nel volgere di pochi mesi, con-
fessando oltretutto che trattasi di tracce avanzate dalle
sessioni precedenti, troppo convincenti (o troppo poco
malvage) per lasciarle ad ammufre per i canonici due
anni tra un lavoro e laltro. Considerando poi che c un
tour estivo da pasturare, ecco servito al gentile pubblico
Following Sea, album lungo numero sette in diciotto
anni di attivit.
Ora, sar che appunto il mestiere diventato il bari-
centro espressivo di Barman e soci, metti poi che certe
evoluzioni pindariche ti restano sia pure a livello ome-
opatico nel DNA, insomma va a fnire che con la sua
mancanza di pretenziosit, con la sua dichiarata vena
interlocutoria, una raccolta che si fa ascoltare. Man-
cano le idee soniche (si ravvisa un pi marcato estro
electro, comunque pi arredo che sostanza) e le intui-
zioni compositive che ti facciano imbizzarrire ventricoli
e sinapsi, certo, ma quello in cui si cimentano sempre
convincente, senti che pesca dal pozzo delle cose pu-
tride e struggenti, ha il passo delle situazioni che ac-
cadono giusto sotto il palcoscenico. Nella sua ovviet
funky, Girls Keep Drinking arriva dove i Red Hot Chili
Peppers non riescono pi da un bel pezzo. Quatre Mains
sciorina talking in francese come un trip noir di Gain-
sbourg infervorato wave. Gli arabeschi ghignanti di Fire
Up The Google Algorithm sono una lama Afghan Whigs
con laflatura scabra. Hidden Wounds si aggira sornio-
na tra mollezze trip-hop ed electro-dark, mentre One
Thing About Waves un ballatone dei loro - inquietudini
e trasporto - screziato di vampe sintetiche quasi Japan.
Finch la leggerezza dellapproccio insomma non svac-
ca in episodi come il poppettino-soul di Crazy About You
- troppo ansiosa di limonare con gli airplay radiofonici
per non suonare fuori luogo - ci si pu stare. Se poi fra
un pezzo e laltro vi viene da rimpiangere Worst Case
Scenario, ok, siete stupidini, ma siete perdonati.
(6.5/10)
STEFANO SOLVENTI
DFB - DANIELE FARAOTTI BAND - CANZONI IN
SALITA (BOMBANELLA RECORDS, LUGLIO 2012)
GENERE: ART ROCK
La dfb, acronimo che sta per Daniele Faraotti Band,
un trio bolognese capitanato da Daniele Faraotti, can-
tautore, chitarrista e compositore desperienza con alle
spalle importanti collaborazioni (Patty Pravo,Claudio
Lolli). Con Canzoni in salita, in uscita per la Bombanella
Records, la dfb si muove con rinnovata consapevolez-
za nei multiformi territori dellart-rock arginando certe
dispersivit di un esordio - Ci che non sei pi (Alka re-
cord, 2008) - che ai tempi rappresent un po lambizioso
manifesto artistico del gruppo.
Il disco colpisce subito, fno a disorientare, per la quan-
tit di risorse messe in campo: ogni canzone ununit
complessa, un mondo generatore di altri mondi plasma-
ti da una creativit senza briglie che abolisce schemi
e ritornelli in favore di sperimentazioni compositive
di generi, ritmi e sonorit. Sbottonato - Vivace 135 in
apertura d limprinting a ci che seguir: inversioni
ritmiche e controtempi, orgie di strumenti e ritmi (i fa-
ti latineggianti di Carmensita in Kawasaki, i violini del
divertissement Tram Golem, gli spettrali theremin di
Melanconia 2) e citazioni seminali di band ispiratrici (i
Beatles di Hello, Goodbye/Im The Walrusin Uh Mani, la
Faust Arp dei Radiohead in Melanconia 2). Rimandi colti
disseminati qua e l (La sagra della primavera di Stra-
vinskij in Le cose,linnesto di Bach sul fngerpicking di
Radioarmadio, un haiku del poeta Junichiro Kawasaki in
Carmesita), mescolati con intelligenza a riferimenti pi
pop (la Down Town di Petula Clark in Sbottonato - Vivace
135, ilnotocarosello del caf in Carmensita in Kawasaki)
perfezionano la cifra stilistica del cantautorato della dfb,
fglio di unattitudine prog-rock la King Crimson, intel-
lettuale ed esteta, deciso a destrutturare ogni certezza,
anche linguistica (il non sense di Tram Golem, i nippo-
nismi di Sakura, il dialetto romagnolo in Radioarmadio).
Con questo secondo album, la dfb sperimenta corag-
giosamente percorsi in salita, alzando la temperatura
quasi fno alla massima entropia. Il risultato un bel
lavoro fuori dagli schemi, che rivela a chi non ha paura
di bruciarsi la propria ricchezza ascolto dopo ascolto.
(7.2/10)
VIOLA BARBIERI
DIIV - OSHIN (CAPTURED TRACKS, GIUGNO
2012)
GENERE: GUITAR-(DREAM)POP
I DIIV sono la band di Zachary Cole Smith, il (fake)bion-
do chitarrista dei Beach Fossils. Il nome originario del
progetto era Dive, un nome-tributo al brano dei Nir-
vana che malauguratamente apparteneva gi allomo-
nima band industrial belga. Lamore per Kurt Cobain
evidente soprattutto a livello di immagine - Zachary
sembra faccia di tutto per somigliare a Kurt - ma an-
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che in una certa indolenza che traspare a livello musi-
cale e attitudinale.Come nel caso dei Beach Fossils, la
scena ovviamente quella dei Brooklyn e letichetta di
riferimento la Captured Tracks. Nellalbum di debutto
Oshin, Zachary Cole Smith e compagni si tufano e si
immergono in un mare di riferimenti appartenenti al
periodo compreso tra il 1985 e il 1990: i The Wake (tra
laltro ristampati su Captured e coverizzati dagli stessi
Beach Fossils) svuotati della componente synth, i ritmi
C86, melodie dream pop, 4AD-sound fno a derivazioni
shoegaze e jangle-pop.
Guitar-pop etereo e ovattato, caratterizzato - molto pi
rispetto alla main band di Zachary - dallabbondante
spazio riservato a lunghi melodico-ossessivi giri chitar-
ristici: le ariose linee vocali spesso fungono infatti da
semplice contorno in un contesto che fa della nostalgia
riverberata il suo punto di forza. Spiccano il singolo di
lancio How Long Have You Know che racchiude lessenza
del disco in poco pi di tre minuti, le qui rivisitare So-
metime e Human - gi presentate nel periodo Dive - e
gli intrecci sonori di Doused, mentre forse convincono
meno quando rallentano i ritmi come in Earthboy.
Derivativo dalla testa ai piedi ma altrettanto gradevole.
Non solo, nonostante siano ancora abbastanza mono-
corde, rispetto a tante band alle prese con un certo tipo
di revival, i DIIV sembrano avere personalit da vendere,
tanto da ritagliarsi uno spazio importante allinterno di
questo 2012 allinsegna del dream pop.
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
COOLY G - PLAYIN ME (HYPERDUB RECORDS, LUGLIO 2012)
GENERE: HOUSE/DUBSTEP
Merrissa Campbell, da Brixton, South London, giocatrice semiprofessionista di calcio, meglio conosciuta come la dj,
produttrice e vocalist Cooly G, una che ha le idee chiare. Al contrario dellaltra ragazza di casa Hyperdub, Ikonika,
che ci ha praticamente mandato a quel paese quando le abbiamo chiesto cose a riguardo, Merrissa rivendica con
ferezza il proprio ruolo di prominent female in un giro decisamente maschio come
quello dellunderground dance UK. Le idee Merrissa le ha chiare anche e soprattutto
per quanto riguardo la defnizione e la collocazione della propria musica: deep house
tribal dubstep vibe. Si sente fglia della tradizione UK Funky, che con lei prende le forme
clubbistiche di una deep house al tempo del dubstep: nel senso che Cooly non fa
dubstep guardando alla house, ma esattamente il contario. Pezzi come la splendida,
ormai classica,Love Dub (2009) spiegano questa prospettiva meglio di tante parole.
Con alle spalle produzioni e release almeno dal 2008, anche accanto a big come Mala
(che aspettiamo al varco dellLP, se mai arriver) e outsider di lusso come DVA (un primo
album sulla stessa linea di Cooly, ma con rnb e grime come estremi del continuum; assolutamente ricco di ottimi
spunti, ma un po troppo embrionale nel suo voler essere a tutti i costi omnicomprensivo), Merrissa per lesordio
lungo sceglie la soluzione di fno e punta tutto su un impatto non tanto sonoro-produttivo, quanto atmosferico-
evocativo. Di dubstep ci sono le scansioni e le scelte timbriche legate alla componente squisitamente ritmica (molto
ben esposte ad esempio, per parossismo, nellossuta What Airtime), ma il resto sono afondi in una ambience hou-
se fatta di tempi rilassati (i pezzi non partono mai davvero) e atmosfere chiaroscurali, di un intimismo misterioso
(particolarmente Trying). Modi in qualche modo paralleli a quelli con cuiDeniz Kurtel e Amirali stanno trattando
la materia electro - invece che dubstep - per defnire la propria maniera house.
Le tastiere in delay di pezzi come come Come Into My Room e la soulness che trasuda dai vocals - e dalle lyrics - di
pezzi come Landscapes (sono due pezzi splendidi), le cadenze reggae sotto di Sunshine e il pathos disco/romantico
di Trouble spiegano questa prospettiva meglio di tante parole. Il footwork, nuovo dialetto di koin per i producer
pi sul pezzo, e se vogliamo, in tal senso, nuovo-dubstep, si afaccia nei loop samba di Its Serious.
Debutto lungo non esplosivo questo di Cooly G, anzi piuttosto - volutamente - trattenuto (solo nella title track, sul
fnale, afora certa cattiveria grime-Terror Danjah), giocato tutto in sottrazione, ma decisamente maturo e autorale.
Nonch possibile volano per remix dancefoor da paura.
(7.3/10)
GABRIELE MARINO
l i di i i
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DIVA (ITA) - IL PARADISO SU RETEQUATTRO EP
(AUTOPRODOTTO, MAGGIO 2012)
GENERE: WAVE POP
La retronostalgia un albero complicato dai frutti dol-
ciastri che, se maturi al punto giusto, si fanno apprez-
zare dai palati pi insospettabili. C il problema della
post-modernit che, diciamolo, ha rotto ampiamente
le palle, ma lentusiasmo dellapproccio pu ancora fare
la diferenza. Un prostrarsi per la causa con sferzante
languore. Raggranellando tutta lempatia possibile in
un gioco basato sostanzialmente su pose ed espedienti,
i Diva da Padova sostanzialmente ci riescono. Sembra-
no dei cuginastri dei Baustelle con pi Righeira che
Human League nelle sinapsi, pi Mina che Tenco, pi
fgurine Panini che Cattelan.
Esordiscono con questo ep di sei tracce cos composto:
una Il paradiso su Retequattro in versione disco wave 80s
infarcita di trash senziente citazionista, chorus adesivo/
ossessivo che gli basterebbero cinque passaggi giusti
per sbranare airplay; il giochino sferzante e psicotico
vagamente anni Zero di Narciso lava i piatti, aflatura
Franz Ferdinand ammorbidita Belle And Sebastian;
la disco-glam sfrontata di Autostop, cover languida e
ruvidella da un orginale di Patty Pravo; il dub wave
sordidello con chitarra eniana di Un uomo, una donna,
peccato per il ritornello un po piatto. A ci si aggiun-
gano le versioni alternative di Narciso lava i piatti (quasi
smithsiana) e Il paradiso su Retequattro, questultima
in guisa piano-voce in punta dapprensione cotonata
come fecero appunto i Righeira - lo vedi? - con Lestate
sta fnendo. Ho la sensazione che ne sentiremo parlare.
(6.8/10)
STEFANO SOLVENTI
DJ RASHAD - TEKLIFE VOL. 1: WELCOME TO THE
CHI (LIT CITY, GIUGNO 2012)
GENERE: JUKE
La base che grida necessit di evoluzione, dicevamo re-
centemente sul juke dei pezzi grossi di Chicago, e dire
che gi lultimo Traxman i suoi passi avanti li faceva,
intesi come eclettismo in grado di svariare tra i generi
suonando funk o rnb. DJ Rashad invece rimane quel-
lo meno tollerante agli strappi alla regola: il suo juke
sempre originario ed essenziale, il pi vicino alle radi-
ci del ghetto e dei balli da strada. Quello che esplicita
meglio la peculiarit del footwork come nuova cosa di
questo decennio, i ruoli invertiti tra ritmica e voce, dove
il tempo lo d il campionamento martellante e tuttin-
torno drums, bass e synth fanno da coprotagonisti di
spalla.
E rispetto a Just A Taste anche Rashad si dato la sua
ripulita. Teklife meno esasperato, si controlla e punta
in venti tracce a chiudere un cerchio che rappresenti il ri-
ferimento statuario dellevoluzione juke frmato Rashad
e Spinn: solito citazionismo colto che passa dal soul (il
tocco virtuoso di Feelin You) alla techno (Walk For Me,
dalla Swims di Boddika e Joy Orbison, uno spettaco-
lo) insieme ovviamente a tutto il ghetto rap possibile
(puntuale lautocelebrazione We Trippy Mane), bassline
sibilanti a dare altezza agli spazi (guardate lo spettro di
frequenze di We Leanin o Welcome To The Chi, quelle
bassissime son sempre in cima) e pattern ritmici dilatati
a disorientare le tempistiche (in Over Ya Head ci son tutti,
da quelli tranquilli a pi compulsivi).
Trattasi della vetrina allestita sul suo sound personale,
e lunica pecca complessiva una visibile rigidit che fa
s che le tracce si aprano quasi tutte allo stesso modo.
Piace vedere i pezzi che spezzano lo schema, come la
tempesta acida di iPod, la furia di beat di Fly Spray, le
velocit su melodia armonica di CCP, ma esporre un giro
di 72 minuti fatto su poche e poco variegate intuizioni
roots signifca farne una questione da puristi, funziona-
le agli afcionados ma poco aperta a chi sta fuori dalla
community. E non ci di cui il genere ha bisogno, so-
prattutto adesso che inizia a non essere pi una novit.
(6.5/10)
CARLO AFFATIGATO
DNTEL - AIMLESSNESS (PAMPA RECORDS,
GIUGNO 2012)
GENERE: INDIETRONICA
Storicizzando la lezione pseudoambient di Aphex in un
modo che non ha nulla a che vedere con le nuove voci
dellUK Bass, il quinto disco di Dntel ti fa sentire vecchio.
Vecchio, s: in media con quello che luomo Figurine ci
aveva gi fatto sentire, Tamborello ricrea mondi, suoni e
pattern che pescano - ancora una volta - dal serbatorio
di Boards Of Canada, Richard D. James, Mm, Tarwa-
ter, e da tutto il mescolone folktronico di inizio Duemila
quando si ibridavano rock e IDM e i Radiohead patro-
cinavano dallalto. Ascoltato oggi DNTEL un progetto
incartapecorito ed essenzialmente conservatore, che
per viene citato dai giovani massimalisti inglesi (Ru-
stie o Slugabedtanto per fare due nomi).
Afdandosi al tedesco DJ Koze (il disco esce su Pampa)
si potrebbe pensare che il Postal Service si sia aggan-
ciato alle geometrie precise della krautedine da dan-
cefoor, invece grazie anche ai featuring di Nite Jewel
(Santa Ana Winds), Baths (aka Will Wiesenfeld, nuova
voce della Anticon) e ai samples deiPopol Vuh (Paper
Landscape), Jimmy porta a casa un lavoro che come
dice il titolo non si prefgge uno scopo e che non va da
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nessuna parte. Anche se ha una produzione stellare, lo
dimenticheremo dopo qualche ascolto.
(5.5/10)
MARCO BRAGGION
FABIO ORSI - VON ZEIT ZU ZEIT (BACKWARDS,
MAGGIO 2012)
GENERE: INDUSTRIAL-KOSMISCHE
Non poteva che essere Fabio Orsi a inaugurare il cata-
logo Backwards, label italiana nata dalle ceneri di altre
esperienze fondamentali per lo sviluppo di certi suoni
come A Silent Place.
Il vinile limitato - gi esaurita la prima tiratura e pronta la
ristampa, anchessa limitata, in vinile arancione - ci ofre
due estatiche progressioni droning di matrice industrial
fglie di una session live registrata a Berlino con synth,
chitarra e fltri e poi lasciata sedimentare e rieditata sul
fnire dello scorso anno. Siamo dalle parti dellacclamato
Wo Ist Behle?, a cui Von Zeit Zu Zeit vicino per genesi
e sensibilit: roba oscura, magmatica e materica, in pe-
renne crescendo e in cui, per, spariscono i rimandi al
pregresso del tarantino. A farla da padrone dunque
una kosmische fredda e oscura, estremizzata nel suo
essere costruita su stratifcazioni montanti e dai risultati
totalmente ipnotici.
Le due intese tracce di muovono su coordinate droning
estatiche e futtuanti, il caso di Von Zeit, o ingrigite da
colate di atmosfere dark-industrial, in cui fanno capoli-
no minacciose nubi alla Deutsch Nepal (Zu Zeit col suo
percussivismo sottotraccia) lasciando presagire nulla di
buono fno allo sforire su lande quasi ambient. Forse il
buon Orsi ha introiettato defnitivamente lhumus mit-
teleuropeo della adottiva Berlino?
(7/10)
STEFANO PIFFERI
FARGAS - IN BALIA DI UN DIO PRINCIPIANTE
(SNOWDONIA, GIUGNO 2012)
GENERE: NARRATIVA, ROCK
Dopo cinque anni di silenzio, i Fargasricompaiono in
gran forma sulle scene della musica dautore italiana
con un progetto ambizioso. Lidea quella di dare alle
luce quattro dischi, uno per stagione da qui allanno che
verr, lavori nei quali sar contenuta la produzione in
studio di questi ultimi cinque anni.
Potremmo defnire i Fargas lennesimo gruppo che spe-
rimenta qualcosa che ormai non neppure pi def-
nibile come sperimentale: quella musica narrativa che
non ricerca il matrimonio perfetto e pop tra il testo e
la musica. In questo primo episodioIn bala di un dio
principiante, la musica ignora il concetto di tappeto
sonoro facendosi asse portante e insieme caleidoscopio
di un eccezionale lavoro sulla parola.
I testi di Luca Spaggiari sono tra i migliori in cui possia-
te incappare. Ispirati e cesellati, faticano naturalmente
a farsi tuttuno con un sound ugualmente ricco e capa-
ce di porsi in primo piano. Da episodi che ricordano il
lavoro de Le luci delle centrale elettrica -per vocalit
e incedere, non certo per scelte narrative - fno alla me-
ravigliosa e quasi pop Dolce amica, i Fargas raccolgono
tanta lunga tradizione italiana: dalla vocalit del primo
Vasco Rossia quella di Rino Gaetano,passando per
una autorialit romana che arriva fno alla prima pro-
duzione di Francesco De Gregori.
Dimenticate quellidea di narrazione accompagnata da
sound di chiara derivazione post rock e immaginate un
suono difusamente 70s, confuso o schiarito tra chitarre
rock e armonica a bocca. Intendiamoci, non siamo da-
vanti a canzoncine di facile assimilazione ma abbiamo
fnalmente testi da imparare a conoscere ascolto dopo
ascolto, assieme a una materia musicale altamente stra-
tifcata.
(7/10)
GIULIA CAVALIERE
FILASTINE - LOOT (POST WORLD INDUSTRIES,
APRILE 2012)
GENERE: ETHNO BEATS
Grey Filastine incarna un po lidea che possiamo avere
oggi di nomadismo e di engagismo artistico. Losange-
lino di nascita, a Seattle fonda la Infernal Noise Brigade,
collettivo/marching band attivo nel circuito delle pro-
teste no global (la cosiddetta battaglia di Seattle, 1999),
gira il mondo per studiare musiche e ritmi ( stato a
lungo in Marocco), prima di stabilirsi defnitivamente
nella cosmopolita Barcellona.
Il primo album, Burn It (2006), prodotto e pubblicato
sotto legida dello spirito afne Dj Rupture, ne scopre
lo stile fortemente terzomondista, ma senza facili oleo-
grafsmi: grime cantato in spagnolo, hip hop croccante
(Palmares) innervato di breaks (Crescent Occupation),
seppiato (The Last Redoubt), imbevuto di etnicismi dal
feel jazzato (Judas Goat), un mood perfettamente sin-
tetizzato da un pezzo come Dance of Garbageman. Il
secondo album, Dirty Bomb (2009; sempre sulla Soot di
Rupture), intriso di umori apocalittici fn dal titolo e dalla
copertina, oltre che nei suoni, continua il discorso con
pi occhio al dancefoor, tra electro e fdget.
oot/Loot un terzo album breve ed essenziale, come
sempre per Filastine lavorato in punta di stilo, e forse qui
anche pi che in passato. Sulle basi del retaggio illbient,
che ce lo fa mettere per certi versi in parallelo con Raz
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Mesinai/Badawi (anche per il forte sapore arabeggian-
te delle produzioni), il focus restano la contaminazione
e la ricerca timbrico-percussiva: potremmo chiamarlo
ethno-dubstep o pi genericamente ethno-bass. E se
un paio di numeri non sono altro che ottimo artigianato
(una passeggiata nel souq, Shanty Tones), intermezzi o
volani per remix forse anche ravey (Lost Records), altri
sono semplicemente delle perle, grandissime prove di
DARGEN DAMICO - NOSTALGIA ISTANTANEA (GIADA MESI, GIUGNO 2012)
GENERE: STREAMOFRAP/FREEFORM
Dire che con Dargen siamo stati prudenti un eufemismo: siamo stati duri, gli abbiamo sempre spaccato il capello
in quattro. Ma lo abbiamo fatto per il suo bene. E siamo pur sempre quelli che a un certo punto hanno detto che
un suo disco era, nello spazio interstiziale tra distacco critico e innamoramenti privati, uno dei dischi dellanno. Chi ha
orecchie da intendere, intenda.
Oggi Dargen una superstar, luomo giusto nel posto e al momento giusto. Dopo che
Zingo lo ha dischiuso come solo lui sa fare e fno allo sfnimento, dopo lammirazione
di Jacopo Incani/Iosonouncane, di Prete Criminale dei Klippa Kloppa ( degno di
stare accanto ai classici come Battisti e Dalla), di Morgan, ovviamente di Fibra ( quello
che scrive meglio), guru intoccabile per i suoi fan che aprono pagine su Facebook tipo
Le Migliori frasi di Dargen DAmico e lo chiamano poeta e genio, il proflo che ne viene
fuori uno e trino, se non divino, sicuramente Cerbero: comunicatore (videodiarista e
brillante imbarazzatore di intervistatori, lo sappiamo per esperienza diretta), impren-
ditore di se stesso (la collezione di occhiali specimen nascondiocchi lanciata un anno fa), un tipo consapevole (gli
dicono geniale ma sa bene che oggi i ragazzi se apprezzano un paio di scarpe dicono geniali ste scarpe, geniale sto
bus che va da capolinea a capolinea). Le parole insomma sono importanti e D allora soprattutto un artista, capace
di regale a chi entrato anche solo un pizzico oltre la superfcie della sua poetica emozioni vere.
Annunciato da mesi e per mesi procrastinato (anche e soprattutto per curare la pubblicazione su Giada Mesi
dellesordio del supervocalista Andrea Nardinocchi), Nostalgia Istantanea ha spiazzato tutti per il formato, due pezzi
lunghissimi, uno di 18 minuti (messo in streaming su Rockit), che chiameremo A, uno di 20, che chiameremo B,
messi in vendita su iTunes e in un costoso vinile limitato. A e B sono le due facce della stessa medaglia. In entrambi,
immagini e parole si accumulano come in un infnito freestyle, e alla fne lingolfamento abbacinante, un fusso
di coscienza propiziato dal sonno (Dargen il furbacchione parla di narcolessico), con rime e giochi di parole come
sempre in grande spolvero (fno al fnale di A, che spiega la natura mistica e tuttologa del pezzo con lequazione:
bibbia + enciclopedia = enciclopedio). In A Dargen apodittico e poetico-sloganistico, pi del solito (prende per il
culo alcuni luoghi comuni), aiutato in questo anche dai bpm bassi, senza momenti al fulmicotone, con la musica
co-frmata dal fdo Emiliano Pepe tra certo minimalismo funky battistiano solarizzato e un insinuante pathos soft
electro. A un divertissement dichiarato e viene fuori come un esperimento ben fatto, assolutamente godibile,
docile, ideale da sentire in un viaggio in auto da soli di notte ( un complimento).
B ne il rovescio, la sua trasfgurazione espressionista, deformata, selvatica, drogata. Senza troppi giri di parole,
uno dei capolavori di Dargen, che sapeva di potere azzardare e ha azzardato, se non il suo picco assoluto (sicuramen-
te il suo picco - pardon - sperimentale). Come a dire - visto forma e formato - la sua Sister Ray, la sua Miss Fortune, la
sua Moon in June, il suo Lumpy Gravy. Nel rabdomantico vagare del testo si pu isolare un nucleo onirico-carcerario
originario, ma poi dentro c di tutto, per la serie mettimi una musica che ti dico tutto quello che mi passa per la
testa. Ma il vero grande scarto la musica, una free form psichedelica, forse anche post-rock, frmata dal solo D,
tutta frullati e vortici, arranchi e rilasci. Il risultato un pezzo visionario, che per chiuderlo in una defnizione ci
vorrebbero tutte le caricaturali espressioni zingalesiane. Ecco, vanno bene tutte.
Stavolta alziamo le mani e ci arrendiamo, seguiamo il consiglio del saggio, raccogliamo i petali ma senza analizzarli
troppo. Dargen prende il volo con un Giano bifronte che pu fare ancora proseliti: bimbiminkia, pentiti del rap,
rappofli e indie. Adesso D pu dire le sue cose anche a chi prima non lo seguiva.
(7.5/10)
GABRIELE MARINO
) i l ( li
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compiutezza produttiva ed efcacia comunicativa, ca-
paci di costruire con sottili trame percussive ordite in
incisi strumentali memorabili (Skirmish, Circulate False
Notes, Spectralization) scenari in cui seduzione (la scam-
panellante Colony Collapse, con la vocalist indonesiana
Nova) fa rima con tensione (linno da stadio ma con
addosso lo smoking - tribal - Informal Sector Parade, la
caracollante Sidi Bouzid, dal nome della citt tunisina
epicentro della rivoluzione dei gelsomini del dicembre
2010).
Da incorniciare anche lunico pezzo non scritto da Fi-
lastine, lo splendido remix della gi splendida Juniper
degli Y La Bamba, eclectic indie folk pop band from
Portland, gioioso inno di attivismo panteistico ed eco-
logista, uno di quei pezzi che pu valere una carriera.
Dal vivo Grey suona con le bacchette della batteria un
carrello della spesa, mentre su uno schermo scorrono
immagini-collage che fanno a pezzi il consumismo ne-
oliberista. Ma quel carrello lo fa suonare, eccome. Ecco,
che bello se la musica di protesta avesse tutta questo
proflo e, soprattutto, tutta questa qualit dietro e dentro.
(7.3/10)
GABRIELE MARINO
GEORGE FITZGERALD - CHILD EP (AUS MUSIC,
GIUGNO 2012)
GENERE: HOUSE, TECHNO
Nella serie di uscite che abbiamo apprezzato lanno scorso
mancava in efetti il volto pi dritto ed esplicito che Ge-
orge FitzGerald sa ofrire dietro la consolle. Fa piacere
dunque vederlo concentrato nellepp di ritorno su Aus,
con quattro tracce sfrontate e inattaccabili fatte ad hoc
per il club: Child la bomba tech-house dalle rifniture
di pregio, con quei groovebass killer e quei giochi vocali
di precisione millimetrica che non possono non infam-
mare il pubblico in pista, Lights Out e Hindsight il risvolto
techno dal proflo pi duro e minimale per la fase calda
della notte e Unilateral la ripresa del cerchio deep house,
ideale per la distensione di fne set.
Discesa negli inferi e risalita in meno di mezzora: il ta-
lento londinese maneggia alla perfezione tutti i mec-
canismi formali che girano intorno alla dance, colpen-
do duro sia alla testa che allo stomaco. Che botto far
nellalbum in arrivo?
(7/10)
CARLO AFFATIGATO
I MOSTRI - LA GENTE MUORE DI FAME
(GOODFELLAS, MAGGIO 2012)
GENERE: ROCK, GARAGE
I Mostri vengono da Roma, hanno raccolto discreta
fama nella loro citt e sfornano oggi, sulla lunga distan-
za, un disco desordio che, gi nel titolo, porta con s la
scelta programmatica. Una scelta che tocca gli aspetti
sociali della citt capitolina, prima, e dellintero Paese
poi. Trentacinque minuti di chitarre elettriche, citazioni
ska, brit-pop della meglio generazione, con i quattro
romani che stendono sul lettino le psicosi e le smanie
di una citt che vive da alcuni anni un clima di terrore e
disagio, che si adagia sulla monotonia della vita quoti-
diana, che accetta troppo passivamente i luoghi comu-
ni: La gente muore di fame , appunto, uno di questi.
I punti pi alti delle (sole) nove tracce del disco sono la
canzone-manifesto Questa la mia citt, in cui, su rit-
mi Nineties doltremanica, si denuncia il crollo sociale
e culturale dellUrbe; Cento lame, intensa rilettura di un
(brutto) brano dei Fratellis, guadagna in profondit e
armonia; Camilla e Piazza Trilussa, con le loro chitarre
aspre e sempre pungenti, sorprendono luna per la di-
sinvoltura, laltra per laccurata analisi di un fenomeno
tutto metropolitano: la monotonia.
Certo, il cantautorato di scuola romana non pi quello
degli anni Sessanta, e, certo, I Mostri non hanno labi-
lit nella scrittura dei loro concittadini I Cani, complici
una certa autoreferenzialit e un briciolo di piattezza
nei contenuti. I meccanismi tuttavia, sono ben rodati e
il disco scivola via con gusto.
(6.4/10)
NINO CIGLIO
IAMAMIWHOAMI - KIN (COOPERATIVE MUSIC,
GIUGNO 2012)
GENERE: ELECTRO ART POP
Viral viral viral e ancora viral. Erano i primi giorni 2010
e su forum e blog musicali non si parlava daltro: allim-
provviso iniziarono a circolare videoclip caricati su you-
tube a nome iamamiwhoami, nessunaltra informazio-
ne se non le atmosfere oscure, le fgure distorte e i titoli
enigmatici (fguriamoci, si era in piena LOST-mania) che
caratterizzavano le composizioni audio-visive del miste-
rioso progetto.
Le ipotesi pi disparate - e disperate - parlavano a ro-
tazione di un nuovo progetto dei Goldfrapp, di Fever
Ray/The Knife, Bjrke perfno di dive tra$h-pop (Lady
Gaga e Christina Aguilera) in cerca di una improbabile
redenzione artistica. Insomma vinceva chi la sparava pi
grossa.Qualcuno poi inizio a fare il nome di Jonna Lee -
allepoca semplice cantautrice svedese di scarsa fama - e
nonostante le prime smentite, nel dodicesimo video (t)
Jonna decise di mostrare il suo vero volto, mettendo la
parola fne ad ogni tipo di speculazione.
Il 2012 del progetto iamamiwhoami iniziato con il
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DIRTY PROJECTORS - SWING LO MAGELLAN (DOMINO, LUGLIO 2012)
GENERE: EXOTIC FOLK POP
Una piccola rivoluzione nel momento pi strategico, con le proverbiali afnit elettive tra i progetti a schiumare
in modo spontaneo salvo far emergere sostanziali diferenze e ambizioni. Parliamo di Dirty Projectors e Vampire
Weekend, nel senso, di un songwriting al centro e di unesotica pop che si piazza oggi in una perfetta convergenza
parallela tra le velleit di David Longstreth e il successo planetario di Ezra Koenig, un
tempo sassofonista e turnista proprio negli sporchi proiettori.
Fermo restando la passione per la musica africana e unidea di colore/istinto/freschezza
applicato alla melodia gi ai tempi di Bitte Orca (e che tuttora lo accomuna allamico),
Longstreth riprende, asciugandoli al sole, gli umori folk respirati lungo lintera esperien-
za DP, sostanziando melodia e scrittura. Rimane lanima free, ma mai come in queste
canzoni il prefsso s fatto dettaglio di produzione o sfumatura (lintonazione di certe
strofe, la microfonazione degli strumenti appresa dallex produttore Chris Taylor dei
Grizzly Bear, la scelta dutilizzare dei vecchi trucchi da albori della stereofonia e molto
altro).
Uno splendido esempio il singolo Gun Has No Trigger: canto che dici vagamente David Byrne, crooning e shouting
da memorabilia 60s, poi le solite coriste, prima tra tutte Amber Cofman (Angel Deradoorian non ha parteciapto al
disco), un nuovo batterista dal passato hardcore Mike Johnson, automatico a mimare un breakbeat e Nat Baldwin
felpato al basso sotto a tutti gli strumenti, in un dinoccolato jazz-funk. E un ideale singolo per lestate di una formula
capovolta eppure coerente, ricca di rimandi al recente passato: sul lato pi farcito abbiamo lopener con gli inserti
di chitarra garagista e il singalong afro nellattacco, in quello pi asciutto un gioiello pop prezioso chiamato About
to Die per clapping, tamburellare leggero e unaria davvero vampireweekendiana.
Con un posizionamento ideale per sdoganare (completamente?) il progetto dopo illustri collaborazioni (Bjork e
David Byrne), Swing Lo Magellan trova una via naturale per proporsi a un pubblico pi ampio e trasversale senza
rinunciare a una cifra stilistica che, da Rise Above in poi, comprende guizzi prog (Just From Chevron), shouting
dantan, gusto texturizzato per le percussioni (uno dei liet motiv della produzione) e interventi operistici (qui na-
scosti come segreti, ad esempio, in unaltra chicca: la ballad elettrica - ma unplugged - Dance For You, con archi,
chitarra e drum machine).
La canzone per eccellenza del disco indubbiamente Impregnable Question con limmancabile controcanto della
Cofer. Miglior album dei Dirty Projectors per chi scrive.
(7.4/10)
EDOARDO BRIDDA
video di mezzo minuto kin 20120611, una sorta di trailer-
promo - con tanto di release date gi fssata - per lalbum
di debutto Kin. Da quel 1 Febbraio ad oggi sono stati
caricati altri nove video. Una sequenza di brani che ri-
troviamo intatta - anche nellordine - allinterno di Kin:
Sever, Drops, Good Worker, Play, In Due Order, Idle Talk,
Rascal, Kill e Goods.
Nove tracce scritte e prodotte da Jonna Lee e Claes
Bjrklund che gi hanno fatto proseliti tra gli utenti di
RateYourMusic. Punti di riferimento abbastanza chiari:
scuola electropop svedese (The Knife su tutti), art pop
al femminile post-Bjork (per non dire post-Kate Bush)
e vellutose aperture trip hop/downtempo (Portishead).
Si tratta di un disco valido, ben prodotto, con intuizioni
molto interessanti (Sever, Kill e Idle Talk) ma che proba-
bilmente, ragionando esclusivamente a livello musicale,
oggi farebbe fatica ad emergere allinterno di una scena
che negli ultimi tempi - attendiamo con ansia i Purity
Ring - sta raggiungendo la saturazione. Lintero proget-
to visuale-mediatico-2.0. invece crea un precedente ed
incorpora come poche altre cose levoluzione del music
business ai tempi di Internet. Con un po di fortuna - e
meritocrazia - potrebbe diventare un punto di riferimen-
to negli anni a venire.
(7.1/10)
RICCARDO ZAGAGLIA
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IKONIKA - I MAKE LISTS EP (HUM + BUZZ,
LUGLIO 2012)
GENERE: SYNTH, STEP, HOUSE
Mentre londa dubstep classica pu ormai dirsi defunta,
i suoi reduci possiamo raggrupparli tra quelli che an-
cora sopravvivono grazie a uno stile personale netto
e distinto (Kode9, Skream, Shackleton), quelli river-
satisi su floni di tuttaltra caratura intellettuale (Vexd,
Boxcutter) e i non pervenuti nel quadro delle trame
evolutive (a parte il gi discusso Burial, stiamo ancora
aspettando Benga). Ikonika non era certo una big del
flone, ma era proprietaria di uno dei sound pi caratte-
ristici, cristallizzato con quel Contact Love Want Hate
che nei ragionamenti dubstep tirava a lucido il midollo
pi nostalgico della chip music, la parabola 8 bit che
abbiamo largamente approfondito lanno scorso.
Tornata alle stampe con un EP di 6 tracce sulla sua Hum
+ Buzz, la ragazza sembra seguire lidea che del nuovo
dubstep ha mostrato Pinch nel suo ultimo FabricLive,
dunque una durezza ritmica pi marcata e la liberazione
delle prerogative dance: in un generale tripudio di groo-
ve sintetici che da sempre caratterizza lo stile di Ikonika,
I Make Lists afonda a pie pari nei meccanismi step per
club, mentre Take Pictures e Catch Vibes rifettono un
classicismo 4/4 vicino agli anni 90 e With Your Mouth
ritorna a tratti proprio al sentire bleepnbass di LFO e
dintorni. Eppure i pezzi pi efcaci rimangono quelli
meno fuori schema, PR812 che carica euforia ritmica
per valorizzare i giri synth e Cold Soaking, un gancio di
oscurit, spazi e tinte thrilling che grafa al contatto.
il ritorno ufciale dopo lalbum, e suona fnalmente
ferrato e preciso, meno peculiare forse ma valido adesso
su un piano pi generale. Oltre al talento ora c auto-
coscienza e confdenza col mestiere.
(7/10)
CARLO AFFATIGATO
IL SOGNO IL VELENO - PICCOLE CATASTROFI
(RED BIRDS, GIUGNO 2012)
GENERE: .....
Francamente ha del commuovente questo amore pro-
fondo per lItalia sparita. Un amore per il dolore onesto
ben distante da quello mediatico e per le cose come
stanno, una certa purezza umana che ci sembra difci-
lissima da trovare oggi e da recuperare nella memoria.
Siamo la generazione artistica del vagheggiamento, in-
chiodati al sogno di glorie emotive smarrite, persi nelle
bramosie damore per un mondo felliniano o da nouvel-
le vague francese. Tutti fgli, per nostra volont e di certo
non per sua, di un Pasolini a cui forse faremmo schifo.
Il sogno Il veleno un progetto musicale dalle volont
intellettuali ambiziose, formalmente costruito su bobi-
ne e lo-f, perfettamente rispondente alla domanda so-
gnante di cui quass. Un sogno musicale sinceramente
e genuinamente ancorato a un universo retr perlopi
60s.
Il qui presente disco un progetto musicalmente ete-
rogeneo, per nulla pretenzioso dal punto di vista della
produzione e diviso equamente tra ballate quasi sus-
surrate (Le cose importanti, Comizi damore),pezzi scan-
zonati contemporanei - quelli per intenderci del flone
scuola Brunori SascomeIl tram, Favole, Viola - e pezzi
vicini al Capossela wannabe Waits (Bistrot, Storia quasi
damore),fno a un unico episodio strettamente rock:
Signora in foulard nero.
Registrato da Paolo Messere (Blessed Child Opera)e
ricco di volont autorale dalle infuenze intriganti, Picco-
le catastrof si muove per in un terreno eccessivamente
scivoloso per una scrittura di fatto ancora divisa tra di-
versi afati e spinte e, nelle linee, decisamente immatu-
ra. La bellezza di trovare un pezzo intitolato Paese sera
che vuole essere omaggio pi che sfoggio si disperde
in segni retorici, nellennesimo tentativo italiano di dare
voce al Pier Paolo Pasolini di Comizi damore. Buoni in-
tenti, insomma, per una scrittura ancora da mettere a
fuoco.
(6.2/10)
GIULIA CAVALIERE
INSOONER - CAIMANI (FOREARS, APRILE 2012)
GENERE: ALT. ROCK
Dopo lautoproduzione Assemblando oceani per an-
negare in pace del 2010, gli Insooner esordiscono sulla
lunga distanza con Caimani, uscito lo scorso 16 aprile
per la toscana Forears.Il giovane trio varesino - Juan Ma-
nuel Di Stefano alla voce e al basso, Matteo Renna alle
chitarre e ai cori, Gian Maria Gallicchio alla batteria e
alle percussioni - si presenta con un album di otto trac-
ce collocabile sotto il grande ombrello dellalternative
rock italiano, pur con le dovute proporzioni: nonostante
sia facile avvicinarlo ai grandi nomi nostrani del gene-
re (Verdena, Il Teatro degli Orrori, i primi Ministri),
infatti, con questo Caimaniil gruppo sembra avere lin-
tenzione di seguire sonorit pi internazionali.Se con
le iniziali Alluvioni e Caimani infernali il paragone con le
formazioni di cui sopra pare pi che legittimo - rock tra-
dizionale incalzante e melodico in aria stoner che, anche
per la visionariet delle liriche, trova qualche punto di
contatto soprattutto con la formazione di Alberto Fer-
rari -, conIl mare di Okinawasi devia verso i territori pi
sperimentali del post-grunge, grazie ad unarchitettura
melodica costruita su distorsioni maggiormente psi-
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chedeliche.Gli otto minuti di Giuda (uno dei pezzi pi
convincenti dellalbum) invertono ancora le atmosfere
con il loro acido incedere baustelliano, in un ben riuscito
equilibrio wave-prog impreziosito dal violino di Nicola
Manzan/Bologna Violenta. La velocit ritmica di Ica-
ro nel fango richiama le infuenze stoner dellapertura,
mentre la conclusiva Istantanea della fne, introdotta da
voce e pianoforte, chiude il cerchio con accenti pi in-
timi rispetto al resto del disco, protagonista sempre la
melodia.Nel complesso, gli Insooner mettono insieme
un lavoro il cui pregio maggiore quello di cimentarsi
con un rock familiare (o usurato, in certi casi), mante-
EL-P - CANCER FOR CURE (FAT POSSUM, MAGGIO 2012)
GENERE: PROG-HOP
Non possibile approcciare El-P in maniera unilaterale. Il rapper di Brooklyn dedito ad una costante sovrapposi-
zione di narrative che si impongono allattenzione simultaneamente, impedendo un qualsiasi piano di lettura che
non sia molteplice. Il titolo di questo ultimo album non da meno. Cancer 4 Cure sia una dedica allamico Camu
Taomorto di cancro ai polmoni, sia espressione della sua paranoia e della sua visio-
ne distopica-They wanna kill you, you are the cancer, you are the fucking problemcanta
Maline su True Story-, che il suo stesso raccontarsi. El Producto il cancro della cura, il
guastafeste, quello sempre pronto a sputare fuori il suo veleno, a rovinarsi la vita con
le sue mani. Sempre pronto a ricordare allascoltatore che alla fne il mondo una nave
che afonda come la Costa Concordia, e allora tanto vale passare sopra tutto e tutti pur
di sopravvivere.
Questi sono i tre piani attraverso i quali El-P dipana il suo discorso: una narrazione
distopica di una societ tirannica che sia a venire quanto gi presente (il suo Drones
Over Brooklynpredice sinistramente luso domestico dei drones di ritorno dallAfghanistan), il discorso dellhip hop
e della cultura pop, ed infne la narrazione prettamente autobiografca. Nessuno di questi piani fondamentale
rispetto allaltro. Spesso si presentano insieme, stratifcati in una unica fgura come succede in the Jig is Up e Sign
Here dove lincontro e la seduzione prendono la forma di una spy story, si tingono di paranoia ma anche di insicu-
rezza maschile, con mosse di contro-spionaggio ed il sesso viene raccontato nella forma di un interrogatorio dove
la safe-word Yes. Altre volte i piani si susseguono uno dopo laltro senza un ordine preciso. Request Denied apre
il disco con la voce Burroughs, a delineare come questo sia un atto di resistenza personale contro la societ del
controllo, per poi sfociare in una delle vette di lirismo pi alta dellhip hop degli ultimi dieci anni. Meline ricorda la
sua infanzia quando seduto sulle ginocchia di suo padre, pianista jazz, questi gli insegnava larmonia al pianoforte.
Ci racconta come le note erano una pioggia che cadeva al ritmo degli spari e delle sirene, e come quelle corde
legate ai tasti-Could relieve us of doom / Give the room some silence, stop violence.
Nonostante questo non bisogna accumunare El-P allondata di intimismo, dalla prosa purpurea, che stato pro-
tagonista dellhip hop sotto la protezione dei suoi due santi Yeezy e Drake. InOh Hail NoEl-P sfotte apertamente
il sentimentalismo di questi artisti e si dichiara completamente ostile a questa svolta verso la soggettivit della
classe media. El-P orgoglioso del suo esser ancora legato alla strada, delle sue droghe da povero (principalmente
ossicodone da qualche dollaro a botta), e nella sua dichirazione di intenti dichiare che ogni suo respiro-is a crimi-
nal, critical breach, bloody guns, speech, beat minimalismo. Anche la forma di Oh Hail No un throw back alle rap
battles. El-P, Mr. Mutherfuckin Esquire e Danny Brown si alternano al microfono lanciando dissing ed esibendo
un notevole virtuosismo della parola. Ogni strofa meticolosamente costruita ed include complesse polisemie.
Su un forum si riusciti a contare addirittura sei possibili signifcati per la strofa Inspector Gadget with the ratchet.
Cancer 4 Cure un album solidissimo, al limite dellimpeccabile. Ma la sua importanza, per questo 2012, sarebbe
diminuita se non si menzionasse il suo essere in compagnia di due altri album: R.A.P. Music di Killer Mike e Machi-
nes that Make Civilization Fun di Bigg Jus. Questa triade mostra, soprattutto considerato limpatto sulla critica,
un riassestamento che in atto allinterno della musica indepipendente e come lhip hop, dopo anni in sordina,
sia ancora una volta rilevante.
(7.4/10)
ANTONIO CUCCU
) il di d llhi h
MGripi
100
nendo per sempre alta lattenzione dellascoltatore. Un
buon debutto per questi tre giovani, in attesa di sentirli
anche alla prova live.
(7/10)
GIULIA ANTELLI
JAMES BLACKSHAW - LOVE IS THE PLAN, THE
PLAN IS DEATH (IMPORTANT RECORDS, MAGGIO
2012)
GENERE: FOLK
E naturale che Blackshaw cerchi da tempo di allargare lo
spettro espressivo della sua musica giocando per lo pi
ad ampliare la tavolozza della strumentazione, anche se
questo tipo di percorso ci sembra diventato ormaisteri-
le. La fgura del chitarrista solitario che gioca con le inf-
nite tonalit del fngerpicking cominci a stargli stretta
quando fece il grande passo nel roster della Young God
con The Glass Bead Game.
La stanchezza di un disco come Love is the Plan, the
Plan is Death si spiega quindi con uno studio estenuan-
te sul lato formale alla ricerca di non si sa bene cosa,
forse di una nota acuta di piano nel fraseggio svagata-
mente jazzy di And I Have Come Upon This Place by Lost
Ways- con guest vocalist Genevive