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VANITYclub

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È l’appuntamento con la lettura che «Vanity Fa
questa settimana ai suoi amici più fedeli
getty

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

L a baracca
dei tristi
piaceri
«“Lei è stata... a Ravensbrück?”.
L’altra serrò la bocca, sembrava
che non volesse rispondere. Poi confermò,
controvoglia: “Sissignora, sono stata in
quell’inferno”». Una scrittrice, in trasferta
a Berlino per lavoro, si imbatte
in una donna misteriosa. Che inizia
a raccontarle la tragedia sua
e di migliaia di donne
di Helga Schneider

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

Helga Schneider
La scrittrice Sveva, che si trova e seppellirla. Raccontandola,
in trasferta a Berlino per un ciclo nel suo nuovo romanzo
di conferenze, incontra un’anziana La baracca dei tristi piaceri
signora, Frau Kiesel, che inizia a (Salani, pagg. 132, 14 euro;
raccontarle la storia della sua vita. in libreria dal 1° ottobre),
È un dramma taciuto a lungo: la scrittrice Helga Schneider,
quello delle prigioniere dei lager 71 anni, originaria della Slesia,
nazisti scelte e destinate ai bordelli da 46 anni in Italia, continua,
allestiti all’interno dei campi dopo libri come Porta
di concentramento. Queste di Brandeburgo, Il piccolo
donne alla fine della guerra, Adolf non aveva le ciglia
oppresse dall’umiliazione e Io, piccola ospite del Führer,
e dalla solitudine, invece la sua opera di testimonianza
di denunciare la loro tragedia sulle vittime della Shoah
fecero di tutto per nasconderla e della violenza nazista.

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

Primavera 2001

L
a sala conferenze distava poche centinaia di
metri dall’Hotel, Sveva la raggiunse su un
marciapiede lucido di pioggia affiancato da
alberi frustati dal vento. Un tragitto breve ma
estenuante.
Il rinfresco era già cominciato. Due camerieri, uno dei
quali dalla pelle scura, si aggiravano tra gli ospiti offren-
do dei cocktails.
Sveva fu presentata agli altri invitati, frasi di circo-
stanza, cortesi battute. Rilasciò due interviste: una a un
giornale e l’altra a una nota emittente televisiva tedesca.
Il pubblico era elegante, in ossequio al prestigioso even-
to che si svolgeva nel bellissimo edificio e monumento
storico Martin-Gropius-Bau.
Tra un contatto e l’altro Sveva fu avvicinata da una si-
gnora anziana fasciata in un vestito di shantung nero.
«Mi chiamo Herta Kiesel, ho letto il suo libro d’un
fiato. Mi piace come scrive.»
«Grazie, molto gentile...»
«So che è venuta dall’Italia. Posso domandarle quan-
to tempo si tratterrà a Berlino?»
© 2009 Adriano Salani Editore S.p.A.
dal 1862 Milano
www.salani.it

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

«Forse una settimana.» Qualcuno avvisò Sveva che Sotto un’immensa cupola luminosa si affacciavano
entro pochi minuti avrebbe dovuto spostarsi sul palco sette edifici di vetro e acciaio su una piazzetta inondata
in sala. di luce; una visione avveniristica che toglieva il fiato.
«Mi chiedevo» continuò la signora, «se potesse tro- Lo vide seduto a un tavolino all’aperto di uno dei
vare un’ora per bere insieme un caffè. Non so, domani, numerosi café popolati di turisti provenienti da tutto il
dopodomani...» mondo. I suoi occhi si illuminarono all’arrivo di Sveva;
Sveva esitò, ma già la donna traeva dal suo borselli- lei notò subito il nuovo taglio di capelli e un deciso cam-
no di perle rosa un biglietto con un numero di telefono. biamento del look.
«Aspetto la sua chiamata... Nel pomeriggio sono «Eccoti finalmente!» esclamò Marco. «Scusami an-
sempre in casa.» cora se non ho potuto assistere alla tua conferenza, ma
«Io non...» provò a obiettare Sveva, ma l’altra prose- come ti avevo detto...»
guì: «Anche fra due o tre giorni, davvero ci conto. E ora «Dovevi partecipare a un convegno dall’altra parte
mi concederò una tartina al salmone affumicato che è della città» lo prevenne lei. «Sei scusato.»
proprio ciò che mi sconsiglierebbe il mio medico.» Gli si sedette di fronte. «Che bello vederti! Come
Detto questo si diresse verso il buffet. stai?»
Lui esitò per una frazione di secondo: «Bene...»
La mattina dopo, aprendo la finestra della sua stanza «Problemi?»
d’albergo, Sveva trovò un cielo terso. «Non proprio... solo una piccola complicazione.»
Aveva appuntamento con Marco, un caro amico, da «Di che genere?»
alcuni anni ricercatore e collaboratore di studi storici Marco scosse la testa: «Ti racconterò tutto con cal-
per una nota università della capitale. Si erano cono- ma, adesso voglio godermi la tua presenza.»
sciuti a Firenze durante la presentazione di un libro sul- Arrivò la cameriera. Lui aveva già la sua birra, lei
la vita di Mussolini. All’epoca lei non era ancora vedo- chiese un caffè americano. Si stava bene all’aperto; il
va e il matrimonio di Marco sembrava saldo; successi- sole batteva già forte.
vamente, dopo il divorzio, lui aveva deciso di lasciare «Sei ringiovanito» osservò Sveva. «Cosa hai fatto?»
l’Italia e si era ambientato perfettamente in Germania. «Non dimostro i miei quarantasei anni appena com-
Amava Berlino: la definiva una metropoli giovane, fre- piuti?» domandò Marco con un’ombra di civetteria per
sca, affascinante e piena di fermenti in ogni settore. lui insolita.
L’appuntamento era al Sony Center sulla Potsdamer «Ne dimostri quaranta... due» concesse lei, bene-
Platz. vola.
L’amico sembrò deluso, così lei aggiunse ridendo:

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

«Ehi, ti sei forse innamorato e ne vorresti dimostrare «A cosa stai pensando?»


trenta?» Lei si riscosse: «Alla conferenza... C’era tanta gen-
Lui non rispose. Ebbe un sorriso strano che lei non te, e alla fine in molti si sono complimentati per la
seppe interpretare e che le suggerì discrezione. mia relazione.» «Sono fiero di te» disse Marco af-
Per un po’ Sveva si abbandonò al tranquillo fluire di fettuosamente.
parole, suoni, passi e risate che la circondavano, unito «Ma come succede sempre in queste occasioni, qual-
al senso di piacevole benessere che la pervadeva ogni cuno mi ha rivolto la solita domanda: ‘sta già pensando
volta che ritornava a Berlino. Un luogo al quale si senti- a un nuovo libro?»
va legata, perché era la città natale di suo padre; anche La sua voce aveva una sfumatura di amarezza. Mar-
se poi, alla vigilia della guerra, la famiglia paterna si era co aggrottò le sopracciglia.
trasferita in Italia, dove già vivevano altri parenti. «E allora? Non stai lavorando da mesi a una nuova
«Mi piacerebbe stabilirmi qui» dichiarò Sveva, presa storia?»
da un improvviso entusiasmo. «Non sto lavorando» ammise Sveva, a occhi bassi.
«Sarebbe magnifico» approvò Marco con calore, «Non più.»
«Berlino è il posto ideale per chi scrive. Qui l’editoria «Che significa? Qual è il problema?»
è vivacissima, ci sono laboratori di scrittura, fiere del li- «Mi sono arenata. Per quanto mi sforzassi, non riusci-
bro, festival della poesia. E si legge dovunque: in vec- vo ad andare avanti. Avevo l’impressione che la struttu-
chi bunker o gasometri, nei salotti bene, in piccoli loca- ra non reggesse. Come quando a una casa manca una
li improvvisati della zona est, o nei grandi palazzi di ve- colonna portante, ma non si capisce dove.»
tro sul Ku’damm. Perché non ci pensi seriamente?» «E quindi?»
«Lo farei se non fosse per papà. Da quando mia ma- «Alla fine mi sono così innervosita che ho cancella-
dre non c’è più lui ha bisogno di me. È anziano, in pen- to tutto.»
sione, e io non ho fratelli.» «Ma come! Senza salvare una copia?» protestò Marco.
«Sei una brava figlia» disse Marco. «Senza salvare niente» ribadì lei.
«Vorrei esserlo di più. D’altronde, devo pensare an- «Sei stata precipitosa. Avresti potuto far riposare il
che alla mia vita, al mio lavoro che mi porta spesso in lavoro e riprenderlo in un secondo momento.»
viaggio. Ma mio padre mi comprende. Rimane tran- «No, qualcosa in quella trama non funzionava. Ah,
quillo in Italia perché sa che ritornerò.» Marco, dicono che il secondo libro è più difficile del
«Peccato» fece Marco «vorrei averti qui, ma capisco primo, ma comincio a temere che non ne avrò mai più
le tue ragioni.» un altro!»
Ci fu una pausa, Sveva era improvvisamente assorta. «Stai scherzando, spero. Hai talento, fra qualche set-

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timana o qualche mese troverai un’altra storia e magari


sarà un capolavoro.»
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«Ma io non ho tutto questo tempo!» esclamò Sveva,
accorata. «Il mio libro vende a meraviglia, è stato già
tradotto in quattro lingue e ha vinto due premi lettera-
ri... non posso fermarmi ora! I lettori e il mercato di-
menticano presto, lo sai.»
«Sì, ma anche se fosse, e non è detto» considerò Mar-

P
co, «potresti sempre contare sul tuo vero mestiere.»
oiché Marco aveva insistito, dotato com’era di
«Io voglio scrivere libri e non tornare a fare la giorna-
indole altruista e generosa, Sveva telefonò alla
lista!» Sveva si scaldò, sbattendo la mano sul tavolino.
sua ammiratrice il pomeriggio del giorno do-
Rimasero qualche istante in silenzio, poi lei disse,
po, ma quando si presentò, la risposta che ri-
contrita: «Scusami, ho perso il controllo.»
cevette fu sorprendente.
«Va bene, va bene» replicò lui, conciliante. «Ma ve-
«Chi sarebbe lei, scusi?»
drai che...»
Sveva ripeté nome e cognome.
«Non dirlo!» lo interruppe lei, ma stavolta rideva.
«D’accordo, ma cosa vuole da me?»
«Non devo dire cosa?»
«Scusi... Parlo con Frau Kiesel?»
«Che prima o poi scriverò un capolavoro!»
«Precisamente, e con chi altri?»
Marco sollevò le mani in segno di resa, chiamò la ca-
«Signora, sono la scrittrice che...»
meriera e ordinò un’altra birra.
«Ne conosco tanta di gente che scrive» sbottò l’altra.
Erano di nuovo rilassati; Sveva gli raccontò della don-
Colpa di Marco, pensò Sveva. Non voleva che delu-
na che le aveva chiesto un incontro.
dessi un’ammiratrice, e invece questa mi tratta come
«Francamente, non ho nessuna voglia di andare» so-
un’importuna.
spirò.
«È lei che mi aveva chiesto di chiamarla» puntualiz-
«Accontentare un’ammiratrice è come gettare un
zò, un po’ seccata.
sasso nello stagno» sentenziò Marco. «Lei consiglia il
«Quando sarebbe successo?»
tuo libro alle amiche che a loro volta lo consigliano ad
«L’altro ieri, al Martin-Gropius-Bau, prima della
altre amiche e il cerchio si allarga.»
conferenza. Mi ha dato il suo numero di telefono, non
«Ottimo argomento di marketing» annuì Sveva, co-
si ricorda?»
micamente solenne. «Ma sai cosa ti dico? Mi è venuta
Ci fu un silenzio. Poi la donna esclamò: «Mein Gott,
fame. Ordinerò un toast.»

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| La Baracca dei Tristi Piaceri |

ma sì! È tutta colpa dei miei buchi!» ro, una teiera araba, stivali di gomma verdi e un telefo-
«Prego?» no bianco tipo Hollywood, ma Sveva dubitava che fos-
«La memoria recente, ogni tanto fa cilecca. E pen- se originale. Avrebbe voluto comprare la radio, ma poi
sare che tengo il cervello in allenamento, leggo in con- rinunciò. Le sarebbe stata d’impiccio.
tinuazione! Perfino il bollettino della parrocchia. Vuol Il locale esibiva una facciata restaurata, ma l’inter-
perdonarmi?» no era rimasto in stile anni trenta. Dietro un massiccio
«Certo...» bancone rivestito di radica trafficava un uomo di mez-
«In compenso la mia memoria remota è prodigiosa. za età con i capelli legati in un codino. Il ragazzo che lo
Ricordo perfino il colore del vestito che indossavo il pri- affiancava ostentando un’aria annoiata, esibiva vistose
mo giorno di scuola. Quando possiamo incontrarci?» mèches bionde.
Sveva non rispose subito. Le era passato anche quel C’erano due salette. Nella prima, con quattro tavoli
po’ di buona volontà che l’aveva spinta a comporre il occupati, saettava una giovanissima cameriera in mini-
numero, e ora avrebbe dato chissà cosa per trovare un gonna, calze nere a rete, scarponi militari e un piercing
valido pretesto e rinunciare all’incontro. Oltre il vetro al lobo dell’orecchio destro. Sveva non vedeva nessuna
della finestra il cielo si era rabbuiato. signora con un tailleur fuori moda. Passò oltre.
«Potrebbe fra un’ora?» sentì proporre. Nella seconda saletta, più piccola e intima, l’illumina-
Guardò l’orologio, esitò. Frau Kiesel aggiustò il tiro: zione era morbida. Un greve odore di birra si mischiava
«Ha ragione, facciamo fra due.» a qualcosa che le sembrò cera da pavimenti. Due alti fi-
«In verità avevo pensato che...» cominciò Sveva, ma nestroni si affacciavano su un cortile stretto in cui un so-
la donna le indicò l’indirizzo di un locale. «Si trova qua- litario alberello nudo e triste si dondolava al vento.
si sotto casa mia. È un posto niente male, un po’ rusti- Una coppia di mezza età era seduta davanti a due
co, ma preparano un ottimo caffè.» grandi boccali di birra chiara. Quando Sveva passò lo-
Sveva si arrese. «D’accordo.» Prima succedeva e pri- ro accanto, la donna le sorrise.
ma se ne sarebbe liberata. Poi la vide all’ultimo tavolino in fondo, vicino a un
«Se vede una vecchia con un tailleur fuori moda, so- vecchio pianoforte dall’aria vissuta. Un istante di esita-
no io» concluse Frau Kiesel. «A fra poco.» zione, poi si avvicinò.
A circa dieci passi dall’entrata del café, un uomo dal- «Frau Kiesel?»
la pelle olivastra vendeva roba usata: vecchie medaglie «S...sì» rispose l’altra con sorpresa.
della prima guerra mondiale, una radio a transistor de- «Eccomi, sono la scrittrice.»
gli anni cinquanta color avorio, due manifesti di propa- «Ah... bene. Ma si sieda, prego.»
ganda politica della ex Germania Est in bianco e ne- Sveva si accomodò, a disagio per la tiepida accoglien-

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za. Ma ormai era lì: avrebbero bevuto insieme una taz- «Chi?»
za di caffè, fatto un po’ di conversazione, alla fine si sa- «I nazisti! E il pensiero mi spaventa a morte, perché
rebbero salutate e amen. io quell’epoca me la sono vissuta sulla pelle e non è sta-
«Il tempo è di nuovo peggiorato» esordì Frau Kie- to uno scherzo, glielo garantisco».
sel, guardando verso il cortile buio. Un cielo ormai ne- Ritirò il braccio e cadde in un cupo silenzio, fissando
ro aveva risucchiato la già fioca luce del pomeriggio. il contenitore dei tovaglioli di carta. Sveva ne approfittò
Poi si mise a scrutare Sveva come se non ricordasse per per guardarla meglio.
quale motivo si trovava in sua compagnia. Sembrava più vecchia di quando l’aveva vista alla
«Ho sentito al telegiornale che hanno di nuovo am- conferenza, pareva aver superato abbondantemente la
mazzato un nero» dichiarò, forse per guadagnare tem- settantina. Il volto era segnato dagli anni, l’espressione
po. «Sono sempre loro!» recava tracce di passate sofferenze. La fronte, altissima,
«Mi scusi, loro chi?» era solcata da tre profonde rughe perpendicolari, una
«I neonazi! C’era anche sui giornali. Dovrebbe leg- delle quali terminava in una specie di croce distorta. Le
gere queste cose!» mani erano forti, con dita affusolate, il dorso finemen-
«Non ho ancora avuto modo di...» te venato.
«È stato tutto inutile!» si scaldò l’altra. «Fiumi di di- Quando rialzò il capo, Sveva poté notare il colore
scussioni e dibattiti in tivù, il divieto di organizzarsi in straordinario dei suoi occhi: quello nobile e raro dell’ar-
partiti palesemente razzisti... e sa qual è il risultato?» gento martellato. Doveva essere stata bella, un tempo.
«N...o.» «Non creda che abbia dimenticato il motivo per il
«Che il Partito nazionale tedesco, razzista e xenofo- quale lei si trova qui» Frau Kiesel cercò di rimediare al-
bo, è ormai insediato in molti parlamenti comunali! l’iniziale defaillance. «Noi dovevamo...»
Siamo alle solite! Lei cosa pensa?» «Non si preoccupi» disse Sveva, gentile. Stava per fa-
«Io veramente...» re un commento sui partiti di estrema destra, ma Frau
«Ci saranno grandi discorsi pieni di indignazione, si Kiesel era già altrove. Cambiando tono, dichiarò am-
invocherà una maggiore giustizia sociale e politica, poi mirata: «La sua relazione è stata eccellente. Acuta, so-
si metterà a tacere tutto.» bria, chiara. Le faccio i miei complimenti.»
Allungò il braccio attraverso il tavolo e sfiorò una ma- «Oh, grazie...»
no di Sveva. «Scusi lo sfogo, ma certe notizie mi man- Arrivò la cameriera: ordinarono caffè e due fette di
dano in bestia. Sono molto preoccupata, sa?» crostata di mele. Frau Kiesel domandò se fosse un dol-
«Per che cosa, signora?» ce artigianale o industriale; e la ragazza raccontò di
«Che prima o poi possano ritornare al potere.» un’amorevole nonnina che notte e giorno preparava

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con le sue mani le crostate per il café. Quando si fu al- rietà. Di nuovo Sveva approfittò dell’occasione per os-
lontanata, Frau Kiesel dichiarò con aria indulgente: servarla meglio.
«Naturalmente non c’è nessuna nonna nel retrobotte- Indossava un tailleur stile Chanel color rosa pastello,
ga, ma apprezzo che la ragazza abbia voluto rassicurar- e i capelli tinti color castano chiaro le sfioravano appe-
mi sulla genuinità dei loro prodotti.» na le spalle. Portava un orologio da polso anni cinquan-
Sul suo volto spuntò un sorriso tenero: «Ho conosciu- ta. Poi, come aveva già fatto prima, all’improvviso levò
to solo la mia bisnonna, la veneravo. Le devo molto.» lo sguardo e ripeté: «Cosa devo dire ai miei amici?»
Per qualche istante si immerse nel ricordo, traccian- «Accetto, grazie» rispose Sveva, per mera inerzia.
do con l’indice piccoli cerchi sulla superficie del tavo- «Ah, ne sono proprio felice! Per i dettagli, l’orario,
lino. Poi a un tratto alzò il capo e disse: «Prima che mi l’indirizzo e tutto il resto le saprò dire.»
dimentichi, devo comunicarle un messaggio.» «D’accordo.»
«Davvero? Da parte di chi?» «Melanie e Jost vivono per i libri» riprese Frau Kie-
«La mia amica Melanie e suo marito Jost possiedo- sel. «Per loro sono un po’ i figli che non possono avere.
no una piccola ma prestigiosa casa editrice, e due vol- Leggono come dei dannati... E anch’io sono diventa-
te al mese organizzano serate in cui scrittori noti leggo- ta una lettrice accanita. Divoro di tutto, perché non ho
no qualcosa dei propri libri. Il loro salotto è molto am- più voglia di fare molto altro.»
bito, vi si incontrano sempre persone interessanti e di Solo in quel momento Sveva notò il sottile nastro ne-
alto profilo.» ro che cingeva la manica della sua giacca. L’altra colse
Sveva intuì la richiesta. lo sguardo e disse senza enfasi: «Mia sorella. È manca-
«Be’, mi hanno incaricata di chiederle se volesse par- ta due mesi fa.»
tecipare alla prossima serata.» Sveva stava per farle le condoglianze, ma fu blocca-
«Ma io non sono poi così nota» si schermì Sveva, ma ta da un movimento brusco della mano: «Lasci stare.
l’altra protestò: «Non dica sciocchezze! Detesto la falsa In tutta onestà non posso affermare di essere in lutto
modestia. Cosa devo riferire ai miei amici?» per lei.»
«Quando sarebbe?» Una franchezza secca, ostile.
«Questo sabato. Melanie mi ha pregato di insistere, ci «Eravamo in rottura fin dai tempi dei nazisti, un con-
terrebbe molto.» trasto insanabile. L’ho rivista solo il giorno prima che
Mancavano quattro giorni. morisse. Non mi ha nemmeno riconosciuta perché era
«Ci pensi su un attimo» propose Frau Kiesel. Prese sotto l’effetto della morfina.»
un tovagliolo di carta e lentamente lo piegò in più par- Qualcosa era rimasto non detto.
ti, compiendo la piccola operazione con la massima se- «Una rottura così definitiva deve aver avuto un moti-

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vo non indifferente» Sveva non poté trattenersi dall’os- trimonio misto, definito dai nazisti ‘privilegiato’. Erano
servare. immuni dai decreti emessi contro gli ebrei e non dove-
La donna piegò il capo da un lato e con un gesto ra- vano portare la Stella di David.»
pido fissò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che le «Immagino che malgrado questo non vivessero in un
era scivolata sulla fronte. clima troppo rassicurante» obiettò Sveva.
«Sì, grave» rispose, laconica. Ricominciò a traccia- «Con i nazisti non si poteva mai sapere. A volte di-
re cerchi sul tavolino, infine dichiarò, lo sguardo basso: sposizioni, norme o leggi cambiavano dalla mattina al-
«Successe a causa del mio ragazzo.» Guardò verso il la sera e quando non ne venivi a conoscenza in tempo,
pianoforte: «Uwe voleva diventare pianista.» spesso era troppo tardi e cadevi nella loro trappola.»
«Uwe?» Guardò di nuovo verso il pianoforte: «Fu un colpo
«Era il mio fidanzato, tanto tempo fa. Aveva un talen- di fulmine...»
to straordinario per la musica. Un giovane perbene... «Fra lei... e Uwe?»
di ottima famiglia.» «Sì. Un ragazzo speciale, meraviglioso. Era estate...
«E ci riuscì?» aspetti... 1942. Una giornata caldissima. Mi ero rifu-
Lei ebbe un sorriso amaro, tra i più amari che Sveva giata con un’amica in un cinema dove si stava al fresco.
avesse mai visto: «No, non lo diventò. E non restò nem- Davano un film con la Garbo. E all’uscita...»
meno il mio ragazzo.» Si arrestò, rifletté. «Non ricordo con chi fosse, ma
«Come mai?» Sollevò le spalle e di nuovo abbandonò Uwe mi urtò e mi fece cadere la borsetta. Lui la raccol-
le mani sul tavolo, vecchie mani belle e dignitose. se e tutto iniziò in quel momento.»
«Uwe aveva tutte le virtù del mondo, ma per i miei Il suo viso si rabbuiò: «In seguito commisi un grave
genitori non significava nulla. Nulla, capisce?» errore. Fui stupida.»
«Veramente...» «Cosa fece?»
«Ha ragione, non potrebbe capire» fece, sdegnosa. «Una sciocchezza imperdonabile. Dissi ai miei geni-
Per qualche istante Sveva resistette alla tentazione tori della famiglia di Uwe, ma appena sentirono la pa-
di saperne di più, poi mandò la prudenza alle ortiche: rola ‘ebreo’ successe il finimondo! Fino ad allora non
«Lui era forse... ebreo?» mi ero mai accorta che i miei fossero così ferocemen-
L’altra esitò, poi snocciolò in fretta la risposta come te antisemiti. Mia madre mi riempì la testa di prediche,
se volesse liberarsene: «La madre era cattolica, il padre mio padre mi strapazzò. Mia sorella disse addirittura
per metà ebreo, ma non era membro della Comunità che si vergognava di me, che se il suo fidanzato, uno del-
ebraica. I due figli, Uwe e la sorella, erano stati educa- le SA, avesse saputo che frequentavo un ragazzo con
ti secondo la religione della madre. Si trattava di un ma- sangue giudeo nelle vene, l’avrebbe lasciata e lei non

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me lo avrebbe perdonato per il resto della vita!» di Sveva come se fosse incerta se continuare o tronca-
«E lei lo lasciò?» re il discorso. Infine scosse la testa: «Mi perdoni, sono
La sua bocca prese una piega caparbia: «Niente af- una vecchia logorroica. La sto annoiando.»
fatto! Lo amavo.» «Non mi annoia affatto» dichiarò Sveva gentilmente.
Diventò pensosa. Si dondolò un poco avanti e indie- L’altra indugiò, poi propose in tono leggero, loqua-
tro in un movimento strano, poi domandò di punto in ce: «Perché non mi racconta qualcosa di lei? Ad esem-
bianco: «È vero che per il giovane protagonista della pio, notizie che i giornali non riportano.»
prima parte del suo libro ha preso per modello suo pa- Sveva non aveva nessuna voglia di raccontare di sé,
dre?» ma volle accontentarla.
«È vero. La sua testimonianza è stata per me molto «Be’, dipende da cosa ha letto sui giornali.»
importante. Dopo tutto, anche se all’epoca era solo un «Che è anche giornalista, ma che ha deciso di dedi-
ragazzino, ha potuto raccontarmi molti particolari su- carsi interamente alla scrittura.»
gli anni del nazismo che precedevano la guerra.» «Effettivamente sarebbe questa la mia intenzione.»
«Quindi il suo ottimo tedesco...» Frau Kiesel allungò di nuovo il braccio e, battendo
«La prima parola che imparai fu Vati. Babbo. Parlo una mano su quella di Sveva, disse: «Sono sicura che lei
la madrelingua di papà praticamente fin dalla nascita.» pubblicherà molti altri libri, mia cara.» Poi tornò ad ap-
Ci fu una pausa, Frau Kiesel era diventata pensie- poggiarsi allo schienale della sedia: «Lei ha una figlia.
rosa. Cosa fa? Studia? Lavora?»
«Povera Germania» disse infine. «Da una cattiva de- «Frequenta la Queen Margaret University di Edim-
mocrazia è caduta in una feroce dittatura. Anche Mela- burgo.»
nie e Jost sono figli di quel regime e di tutto ciò che ha «Caspita! Perché così lontano?»
causato. «È fidanzata con uno scozzese.»
Durante la guerra hanno vissuto a Berlino. Allora «Di solito gli scozzesi sono gente molto chiusa» sen-
erano adolescenti, ma ricordano tutto perfettamente: la tenziò Frau Kiesel.
fame, i bombardamenti, il dolore per i parenti caduti al «Il ragazzo di mia figlia invece è spontaneo e aperto»
fronte...» rispose Sveva. «L’ho conosciuto, una volta a Edimbur-
Aggiunse, malinconica: «Anch’io abitavo in questa go e un’altra quando è venuto in Italia. Si chiama Ed-
città, perlomeno fino a un certo periodo.» win. Uno stangone con le lentiggini. Ha subito legato
Sveva domandò, garbata: «Dopo... che successe?» con mio padre. Era uno spasso vederli insieme.»
«Ebbi dei problemi... a causa di Uwe.» «Il mondo è bello perché è vario» chiosò Frau Kie-
I suoi occhi indagarono per qualche istante in quelli sel, ormai disinteressata all’argomento.

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Si chiuse in un nuovo silenzio rovistando nella sua dispensabile.»


borsetta, senza tuttavia estrarre nulla. «E dove andò?»
Passati che furono un paio di minuti, Sveva tentò di «I genitori di Uwe possedevano diversi appartamen-
ricondurla alla storia di Uwe, ma l’altra rispose rilut- ti e me ne misero a disposizione uno piccolo ma molto
tante: «Non voglio annoiarla, l’ho già detto.» grazioso dalle parti di Zehlendorf. Lasciai gli studi di
Sveva tornò a rassicurarla nel tono più convincente di psicologia e andai a lavorare in fabbrica. I miei non mi
cui era capace che non la annoiava affatto, quindi le ri- cercarono mai più.»
volse una domanda precisa: «Che problemi ebbe a cau- «Nemmeno sua sorella?»
sa di Uwe?» «Elisabeth?» esclamò, sarcastica. «Un giorno mi ave-
L’altra fece un gesto d’impotenza, come se fosse tra- va chiamata Judenhure, puttana ebrea. Mi disprezzava
volta da qualcosa di inarrestabile. Poi si arrese: «D’ac- profondamente.»
cordo, ma l’ha voluto lei.» Arrivò la cameriera con le ordinazioni e cominciaro-
«L’ho voluto io» confermò Sveva. no a dedicarsi al caffè e alla crostata di mele.
«Ma devo fare un passo indietro. Non le secca?» «Io dovrei stare lontana dai dolci» si crucciò Frau
«No, assolutamente.» Kiesel, «ma sono troppo golosa. La mia amica Mela-
Attese ancora qualche istante, poi cominciò. nie non è una gran cuoca, ma è un genio nel prepara-
«A causa di Uwe mio padre era cambiato, non lo ri- re torte e ciambelle. La sua Mohnstrudel ogni volta è un
conoscevo più. Lo scoprivo ottuso e odiosamente fana- capolavoro.»
tico. Sapere che io amavo un ragazzo con sangue ebreo Sveva ascoltava con un orecchio solo, impaziente in-
nelle vene lo offendeva nel suo onore di ariano con tan- vece di conoscere il seguito della storia. Ma Frau Kiesel
to di certificato di purezza.» continuò a divagare.
«Che lavoro faceva?» «Quando era più giovane, Melanie faceva la giorna-
«Era un funzionario del ministero della Sanità e te- lista. Per un certo periodo intervistò i sopravvissuti ai
meva ripercussioni per colpa della nostra storia. Co- campi di sterminio per un importante settimanale te-
minciò a tenermi chiusa in camera per impedirmi di ve- desco; un giorno mi contattò per avere un colloquio.
dere Uwe, ma un giorno scappai. Uscii dalla finestra, Erano gli anni Ottanta e qui in Germania la stampa co-
mi calai da un albero, chiamai lui da una cabina telefo- minciava a essere piena di articoli e servizi su Hitler,
nica e ci incontrammo al Tiergarten. Quando rientrai, sui campi di sterminio, sul genocidio degli ebrei e via
mio padre mi prese a cinghiate, e la mattina dopo mi dicendo.»
cacciò di casa. Mia madre era totalmente d’accordo, Vuotò la tazzina con manifesto piacere. «Se non fos-
mi aveva già preparato una valigetta con il minimo in- se veleno per il mio cuore berrei caffè dalla mattina al-

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la sera.» ta. Si consideravano al riparo da brutte sorprese, e an-


«Una o due tazzine al giorno non fanno male» so- che Uwe e io ci credevamo al sicuro. Ma da un giorno
stenne Sveva. «Lo dicono anche i medici.» all’altro tutto cambiò. La Gestapo lanciò la cosiddet-
«Non si saranno messi d’accordo con i produttori di ta Grossaktion Juden, grande azione ebrei. Eravamo...
caffè?» domandò Frau Kiesel maliziosamente. aspetti... Sì, fu nel febbraio del 1943.»
«Chi lo sa» Sveva sorrise. «A proposito: perché Me- «Cosa accadde?» domandò Sveva, sempre più presa
lanie le chiese un’intervista?» dal racconto della donna.
«Voleva che le parlassi del lager di Ravensbrück, ma «Una mattina, Gestapo e SS bloccarono gli ingressi
all’ultimo momento cambiai idea e non volli più saper- di circa cento fabbriche di Berlino e caricarono gli ebrei
ne. In principio lei insistette, ma quando si rese conto su camion. Poi li trasportarono in vari posti di raccol-
che sarei rimasta irremovibile si rassegnò e mi invitò a ta già stabiliti in precedenza. A sorpresa la Gestapo fe-
cena. Cominciò così la nostra amicizia.» ce anche irruzione in case private rastrellando famiglie
«Lei è stata... a Ravensbrück?» miste ed ebrei definiti ‘di valore’, come il padre di Uwe,
L’altra serrò la bocca, sembrava che non volesse ri- portandoli a forza nei posti di raccolta. Il fanatico mi-
spondere. Poi confermò, controvoglia: «Sissignora, so- nistro Goebbels aveva promesso a Hitler che entro bre-
no stata in quell’inferno.» ve tempo avrebbe ripulito la capitale da ogni residuo
«Mi dispiace...» Sveva fu molto colpita dalla notizia. giudaico. Ormai anche le famiglie privilegiate erano nel
«So che è stato un posto tremendo.» mirino del regime.»
«Tremendo è dir poco, cara signora.» Sospirò profondamente e aggiunse, guardando nel
«Ma, mi perdoni, per quale motivo è stata depor- vuoto: «Accadde una domenica, lo ricordo come se
tata?» fosse ieri.»
Nuovo indugio, poi cedette: «Perché ero stata arre-
stata e accusata di Blutschande, di aver contaminato il
sangue ariano con quello ebreo! Era un reato.» 1943, Berlino, quartiere Lankwitz
Si irrigidì, sbottò fra i denti: «Blutschande! E loro era-
no una famiglia perbene... Il padre di Uwe era stato de- Era stata invitata a pranzo dai genitori di Uwe. Molto
corato con la Croce di ferro di Prima classe del 1914, si affezionate a Herta, le due buone persone cercavano di
rende conto?» offrirle il calore familiare che non aveva più.
Proseguì, accorata: «In principio sembrava che i nu- La giornata era insolitamente mite, considerando la
clei ‘misti’ non dovessero avere grandi problemi, infatti stagione ancora precoce.
la famiglia del mio ragazzo viveva a Berlino indisturba- Uwe viveva in un ambiente sereno, di sobria elegan-

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za. I suoi erano agiati, ma non lo ostentavano. Scala di Milano» dichiarò Herta con amorevole impe-
Herta, frequentando quella gente, aveva notato che to. «Me lo sento!»
in casa non c’era nessun oggetto che richiamasse la reli- Mai sentore fu più fallace.
gione del padre. Al contrario, su una parete del soggior- Lui le sorrise, grato, ma un attimo dopo il suo volto
no c’era una piccola croce in ferro battuto. si rattristò.
Quella mattina lei arrivò presto e i due ragazzi anda- «Cosa c’è?» chiese la ragazza, allarmata dalla sua
rono nel giardino che confinava con una grande terraz- espressione.
za. Si sedettero su una panchina godendosi il sole tiepi- Uwe si avvicinò e, stringendola a sé, disse: «Mio padre
do. C’era fra loro una tenerezza silenziosa, riservata. Si ha sentito certe voci sul destino degli ebrei a Berlino.»
udiva in lontananza il leggero rumoreggiare della me- Herta si staccò da lui per guardarlo negli occhi: «Ma
tropoli domenicale. voi siete una famiglia privilegiata! E tua madre è tede-
L’aria era luminosa, le ombre lievi. Una gentile brez- sca e cattolica. Hai sempre detto che non avete nulla da
za si aggirava fra gli alberi nei cui fusti scorreva già la lin- temere dai nazisti!»
fa nuova. In quei momenti i due giovani sembravano al «Scusami, non volevo spaventarti» rispose Uwe, pen-
riparo dalla follia che imperversava nel paese. Lei non tito per averla agitata.
pensava a nulla, si beava della presenza del suo ragazzo. «Ma voi non avete nulla da temere, non è vero?» in-
Poi lui si alzò. Le sue dita percorsero il bordo di una sistette lei.
cicatrice che scavava il tronco di un frassino. Herta se- «No, certo, mi sono lasciato prendere dalla mia soli-
guì, incantata, quel movimento. Lei amava le mani di ta emotività.»
Uwe, sembravano essere nate per i tasti di un pianofor- «Tu non puoi essere in pericolo! Dimmi che non lo
te. Tuttavia, non erano di aspetto delicato, pallide e affu- pensi!»
solate come in genere si immagina siano le mani dei pia- Lui guardò un gelsomino su cui rami brillava ancora
nisti. Le sue invece erano larghe con dita agili e forti. la rugiada: «E tu dimmi che mi ami.»
All’improvviso lui si girò e chiese in tono accorato: «Rispondi alla mia domanda!» replicò Herta, peren-
«Tu credi che diventerò un buon pianista e che un gior- toria.
no farò concerti nelle importanti città europee e forse «Non penso di essere in pericolo» disse lui, menten-
anche in America?» do. «E poi, mio padre ha amici influenti al governo.»
Lei lo amava anche per quella sua incertezza che Lei volle accontentarsi della sua risposta, ma qual-
contrastava con la grande ammirazione che il suo ta- cosa rimase nel suo animo come un confuso presenti-
lento suscitava in chiunque ne venisse a contatto. mento.
«Sono sicura che suonerai all’Opera di Vienna e alla

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Fu un pranzo sereno. Al termine Uwe suonò il piano- In seguito fecero una passeggiata nei dintorni. Co-
forte per loro. Aveva un talento naturale di cui i genito- steggiarono lunghi fronti di palazzi distrutti dai bom-
ri si erano accorti presto: all’età di otto anni aveva preso bardamenti, a un chioschetto sgangherato comprarono
la prima lezione con una pianista russa che viveva a Ber- due limonate che sapevano di detersivo. Si sedettero su
lino, a nove frequentava già un corso al conservatorio. un muretto rimasto miracolosamente in piedi davanti a
Herta avrebbe voluto che non smettesse mai, ma una triste rovina e si tennero per mano.
Uwe si fermò nel mezzo di una sonata di Mozart, con «Non sarò mai un pianista» disse Uwe, fissando il
grande sorpresa della famiglia. Era una cosa che non marciapiede bucherellato.
succedeva mai, a meno che lui non fosse malato. «Sì che lo sarai!» ribadì Herta, ardente. «Te l’ho già
«Non ti senti bene?» si informò subito la madre, ta- detto, me lo sento!»
standogli la fronte. Ma lui si ritrasse e disse, volutamen- Ma a casa li aspettava la Gestapo. Avevano appena
te leggero: «Ho solo voglia di aria fresca, mamma!» arrestato i genitori di Uwe.
Prese Herta per mano e la condusse nel garage dove I due ragazzi, spaventati a morte, dovettero dare le ge-
c’era l’automobile del padre e tre biciclette. Uwe indicò neralità. Poi un agente chiese a Herta che rapporti aves-
quella di sua sorella, che studiava in Svizzera. se con quella famiglia. Lei rispose senza esitare di esse-
«Prendi questa, è di Julia.» re la fidanzata di Uwe.
«Cosa vuoi fare?» chiese Herta. Li portarono via tutti, ‘per ulteriori accertamenti’.
«Un giretto nei dintorni» rispose lui. «Per un po’ vo- La Grossaktion Juden era iniziata.
glio dimenticarmi della guerra.»
Lei sorrise con tenera indulgenza: «Ma, amore mio, Si ritrovarono nella Rosenstrasse, in un edificio in
la guerra c’è e poi... io non so andare in bicicletta.» precedenza appartenuto alla Comunità ebraica. Vi era-
«Non hai mai imparato?» si stupì lui. no già tenute in stato di fermo circa duemila persone, le
«No.» donne separate dagli uomini.
«Però ti farò lo stesso una foto per il mio album» di- Dopo cinque ore di attesa, Herta fu interrogata. Fu
chiarò il ragazzo. Andò in casa e ritornò con la sua costretta a firmare una carta in cui confermava di esse-
Leica. re la fidanzata di Uwe. Poi fu rinchiusa in una cantina
«Su, monta in sella» la esortò. insieme a una trentina di donne di tutte le età, compre-
Lei ubbidì, benché con molta perplessità. sa una bambina di appena quattro anni.
«Sorridi, amore!» Nei giorni successivi migliaia di donne si radunarono
Ma lei si accorse di non riuscirci. L’otturatore in Rosenstrasse per chiedere a gran voce il rilascio dei
scattò. propri congiunti, ignorando le minacce delle SS. Caso

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più unico che raro nella storia del nazismo, la protesta lo stesso tempo sembrava subire la spinta di voler ri-
andò avanti per due settimane e di fatto impedì la de- spondere.
portazione dei prigionieri. «Fu l’autunno del 1942, se ricordo bene...» comin-
I nazisti cedettero: quasi tutti gli arrestati, compresi ciò, esitante, «quando a Roby capitò la stessa cosa che
i genitori di Uwe, furono rilasciati, a eccezione di un avevo dovuto subire io: suo padre lo cacciò di casa.»
gruppetto di uomini (tra cui inspiegabilmente Uwe), «Perché era omosessuale?»
che era stato deportato in tutta fretta ad Auschwitz, e «Esatto. Appena venne a saperlo lo mandò via senza
una quindicina di donne accusate di Blutschande. Ma pietà. Lo rinnegò. Lui, insieme al resto della famiglia.
a differenza della madre di Uwe, lasciata libera nono- Roby studiava medicina. Era bravo, un ottimo studen-
stante fosse accusata anch’essa di aver macchiato il te; la materia lo appassionava. Ma non poté sopporta-
sangue ariano con quello ebraico, Herta subì un tratta- re quel rifiuto.»
mento ben diverso. A un tratto si alzò in piedi come se si fosse ricordata
Fu trasferita nel carcere della Gestapo. di un’urgenza; o se avesse necessità di andare in bagno.
Poi fissò Sveva con uno sguardo indecifrabile: «Vuole
«Non seppi mai più niente di Uwe» concluse Frau davvero sentire tutte queste disgrazie?»
Kiesel, amara. «Sì» rispose in tono fermo. Allora l’altra tornò a
La saletta era vuota, anche la coppia se ne era andata. sedersi.
«Il nazismo non mi privò solo del mio fidanzato, ma «Ci vedevamo di nascosto» esordì. «Lui era in diffi-
anche di un cugino» aggiunse tristemente. coltà, senza la famiglia gli mancava la terra sotto i pie-
«Cosa gli accadde?» domandò Sveva. Cominciò a di. Non aveva soldi, ogni tanto gli davo qualcosa, ma
sentirsi catturata dalla storia della donna come in una nemmeno io navigavo nell’oro. Vivevo con uno stipen-
malia irresistibile. dio striminzito. Dovevamo incontrarci in un posto se-
«Fu vittima della dura repressione che subirono al- greto, frequentato da altri come lui. Per ordinanza della
l’epoca gli omosessuali» rispose Frau Kiesel. «Si chia- Gestapo e della Polizia criminale, i locali dove, secon-
mava Robert, ma per tutti era solo Roby. Insomma, lui do i nazisti, ‘si promuoveva l’immoralità pubblica’, era-
era di quella sponda.» no stati chiusi e gli omosessuali erano costretti a riunir-
Detto questo consultò l’ora, e Sveva ebbe un tremito si clandestinamente.»
interiore: non poteva andarsene adesso! «Ma... come si manteneva, povero ragazzo?»
«Che successe a Robert?» incalzò senza curarsi di «Era questo il problema. In Germania imperversa-
apparire invadente, importuna. va una feroce campagna omofoba come se si trattasse
Frau Kiesel si accigliò e fece di no col capo. Ma nel- di mettere il popolo in guardia da una specie di peste

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bubbonica. Alla radio e sui giornali si faceva “proseli- cortile si agitava, ostaggio del vento.
tismo” per un’eterosessualità di regime, pensi che idio- «Era un posto orribile» ricordò, «un ricettacolo di
zia! A ogni modo, gli omosessuali non venivano più as- sesso proibito. Vi giungevano uomini, per la maggior
sunti da nessuna parte perché semplicemente era vieta- parte di mezza età e oltre, da tutte le parti del paese per-
to. I trasgressori rischiavano la prigione.» ché attratti dalla giovane ‘merce’ che sapevano di trova-
«E allora cosa fece?» re al Bahnhof Zoo di Berlino. C’erano diciottenni, ven-
«Vuol saperlo davvero?» tenni, ma anche ragazzini di quattordici, quindici an-
«Sì.» ni... una piaga sociale che nemmeno la polizia segreta
«Finì al Bahnhof Zoo.» era riuscita a debellare, il che è tutto dire nella Germa-
«In che senso?» nia nazista, mi creda.»
«Andava con gli uomini per denaro.»
«Intende...» Herta, Uwe e il ragazzo, del quale ignoravano il no-
«Si prostituiva. Ma fece una brutta fine.» me, sbucarono da un’entrata secondaria su un bina-
«Che accadde?» rio di manovra scarsamente illuminato. I pochi operai
«Il peggio. Una sera bussarono alla porta del mio ap- addetti ai lavori di smistamento merce erano perlopiù
partamento. C’era anche Uwe. Vidi un giovane terro- complici e fiancheggiatori dei giovani prostituti che pa-
rizzato che mi implorò di seguirlo perché Roby era nei gavano lautamente il loro silenzio.
guai. Subito dopo si lanciò giù per le scale. In un pri- Nell’area immersa nelle tenebre guizzavano qua e là del-
mo momento mi irritai, perché avevo raccomandato a le ombre. Si udivano bisbigli, mormorii e voci soffocate.
mio cugino di non rivelare a nessuno il mio indirizzo, Trovarono Roby disteso sul fondo di un carro merci
ma poi l’angoscia fu più forte e decisi di andare con lui. vuoto. Emetteva gemiti appena udibili. L’altro ragaz-
Uwe volle accompagnarmi.» zo accese una piccola torcia elettrica, gettando un de-
Fu presa da una tossettina nervosa: «Mi scusi...» bole cono di luce sul suo amico che giaceva in una poz-
Durò per un bel po’. Bevve un bicchiere di acqua, za di sangue.
lentamente passò. «Un cliente gli ha piantato un coltello nella pancia»
«Il ragazzo ci aspettava giù al portone» continuò infi- spiegò finalmente. «Quel porco pretendeva delle cose
ne, coraggiosa, «ma non riuscimmo a tirargli fuori nul- schifose. Roby non voleva e quello si è imbestialito.»
la. Prendemmo la piccola auto di Uwe. Il giovane disse Herta si chinò sul cugino trattenendo il fiato.
che dovevamo raggiungere il Bahnhof Zoo. A quel pun- «Bisogna portarlo all’ospedale, subito» disse Uwe.
to cominciai ad avere un brutto presentimento.» «Io non potevo chiamare nessuno...» gemette il ra-
Si arrestò, guardò verso la finestra. L’alberello nel gazzo, «perché sono ricercato. Capite? Io avrei voluto

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Sveva guardò oltre le finestre. Pioveva rabbiosamen- piegate che esercita per libera scelta. La mia situazione
te e i rami dell’alberello nello spoglio cortile oscillavano di allora era molto diversa, perché l’unica alternativa al
avvolti da un’irreale aura di vapore argenteo. Le fece bordello era crepare a Ravensbrück.»
uno strano effetto e per un momento ebbe l’impressio- Premette i pugni contro gli occhi in un gesto peno-
ne che più nulla là fuori avesse mantenuto la sua consi- so. Poi con un tonfo sordo lasciò cadere le mani sul ta-
stenza, che tutto si stesse liquefacendo per dissolversi e volo e ripeté con voce carica di un rancore mai sopi-
finire miseramente in qualche canale di scarico. to: «...‘se accetti di lavorare al Sonderbau sarai liberata
«Tutta quest’acqua sembra voler sciogliere il mondo» dopo sei mesi’. Dissero proprio così, quei bastardi!»
sentì infine dire Frau Kiesel. «A Buchenwald, quando «E lei... ci credette?»
pioveva, si diffondeva un orribile odore di catrame ba- Per un istante la donna rimase come impietrita, non
gnato che penetrava in tutte le baracche. Se ci ripenso si capiva se di sconcerto o di sdegno. Poi ebbe come
lo sento ancora nelle narici.» uno scatto. I suoi occhi lampeggiarono, i lineamenti si
Scivolò sulla sedia e si strinse nelle spalle come se trasformarono in una maschera di furibondo dolore.
avesse freddo. Sveva si sorprese a contemplare affascinata il contrasto
Era più forte di lei, e Sveva le fece la domanda che le fra la sua età e l’incredibile mutevolezza del suo viso.
premeva in gola come se bruciasse: «Per quale motivo Passò qualche minuto prima che l’altra fosse in gra-
dopo Ravensbrück era finita a Buchenwald?» do di riprendere la parola.
L’altra prese tempo, gli occhi solo fessure. Poi rispo- «Ci credetti perché ero maledettamente giovane e ine-
se con un tono nuovo, aspro e metallico: «Perché ci dis- sperta!» dichiarò poi, la voce bassa, acrimoniosa. «Se
sero che chi si fosse fatta avanti per il Sonderbau sareb- non mi fossi fatta avanti ‘spontaneamente’ – si fa per di-
be stata liberata entro sei mesi!» re – in un modo o nell’altro a Ravensbrück ci avrei la-
«Sonderbau » ripeté Sveva, colta alla sprovvista. sciato la pelle. Nella mia grande ignoranza mi illusi che
Negli occhi dell’altra avvampò una luce quasi di il Sonderbau fosse il male minore. Vedevo l’orrore at-
gioia maligna: «È così che chiamavano il bordello di torno a me. Le altre prigioniere che morivano una dopo
Buchenwald, cara signora. Vedo che l’ho spiazzata.» l’altra... e oltre duemila di internate erano già state tra-
«No... è solo che...» sferite ad Auschwitz e si sapeva cosa era stato di loro...
«È solo che non se lo aspettava. Ma non se ne cruc- Per giunta avevano cominciato a usare molte donne co-
ci. Il bordello è quello dove si trovano le prostitute, do- me cavie per i loro esperimenti!»
po tutto. Non è un bel concetto. Anche se oggi le donne Si arenò, riprese fiato come se avesse fatto una corsa.
che si vendono per denaro le chiamano ‘lavoratrici del Arrivò la cameriera con il bis. In un primo momento
sesso’, quasi fosse una categoria un po’ bizzarra di im- Frau Kiesel allontanò il piatto, come se il terribile ricordo

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farlo ma...» rente, spesso insopportabile. Mi sentivo pressata da


Fu allora che Roby morì. troppi problemi. Ho visto piangere Albert molte volte
per me... ma Buchenwald mi aveva distrutta.»
Frau Kiesel tacque, spossata dal ricordo. Sveva disse, credendo che si fosse sbagliata: «Inten-
Dalla prima saletta si udiva un concitato vocio ma- deva Ravensbrück, non è vero?»
schile e dai frammenti che giungevano fino a loro si ca- Ma l’altra rispose, a un tratto con un tono duro e ri-
piva che un gruppetto di clienti stava commentando sentito: «Intendevo Buchenwald!»
una partita di calcio. «Lei è stata a...»
«Forse avevo bisogno di parlare ancora una volta di Annuì, compiendo un gesto di improvvisa insoffe-
queste cose» ammise Frau Kiesel. «Quando mio mari- renza. Diventò nervosa, si mosse inquieta sulla sedia,
to era ancora vivo toccava a lui ascoltarmi, era sempre apriva e chiudeva la borsetta. Infine guardò di nuovo
disponibile ogni volta che sentivo la necessità di tirare l’orologio e dichiarò, risoluta: «Le ho portato via anche
fuori i brutti ricordi... quando cominciavano a bruciar- troppo tempo, ora devo andare.»
mi dentro come acido. Confidandogli i miei strazi mi Era ricomparsa la fanciulla col piercing che inveiva
sembrava di espellere quell’acido, capisce? Anche se al cellulare: «Ma sei sordo? Ti ho detto che ora non pos-
in genere il sollievo durava poco e presto mi trovavo al so parlare!»
punto di prima.» Quando terminò di strillare scrutò in direzione delle
La voce cambiò, assunse un tono tenero, struggente. due donne come a chiedere se fossero a posto.
«Mio marito era un angelo, un essere umano dota- «Un’altra fetta di crostata?» domandò Sveva in tono
to di una sensibilità squisita, un uomo raro, speciale. allettante. Ormai era determinata a trattenere Frau Kie-
Con lui riuscivo a essere assolutamente sincera, al con- sel a ogni costo, ma la risposta fu un deciso no.
trario di quanto accadeva con i miei terapeuti. Li de- «Non posso, mi creda!»
testavo perché avevo l’impressione che volessero suc- «Coraggio! Perché no?»
chiarmi via ogni più remoto pensiero. Insistevano e in- « Il mio medico non fa altro che raccomandarmi di
sistevano e io mi ribellavo. Facevo di tutto per salvare andarci piano con gli zuccheri.»
un angolino dentro di me che restasse solo mio. Conti- «Un pezzetto di crostata in più non farà alcuna diffe-
nuai il trattamento solo perché Albert lo riteneva indi- renza» la esortò Sveva in perfetta malafede. L’altra esi-
spensabile.» tò, sospirò, poi si arrese: «E va bene!»
Sospirò, negli occhi il riverbero dell’antico affetto. Così ordinarono anche dell’altro caffè. Quando la
«Non so come abbia fatto a non stancarsi di me, po- cameriera si fu allontanata, Frau Kiesel si alzò, si scusò
ver’uomo. Ero una moglie complicata, sempre soffe- e andò al bagno.

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le avesse tolto l’appetito. Ma alla fine cedette al profumo


del dolce e prese a mangiare con evidente piacere.
«Il mio Albert diceva che ogni tanto la gratificazione
dei sensi è un balsamo per l’anima» dichiarò a mo’ di
giustificazione.
Sveva annuì, distratta.
Le arrivò un’occhiata rapida: «Non vede l’ora, eh?»
«Prego?»
«Il Sonderbau. Non vede l’ora di saperne di più. Ma
la capisco, è normale.»
Sveva sorrise disarmata. «Non posso negarlo. Sono
davvero molto incuriosita da tutto ciò che mi sta rac-
contando.»
Frau Kiesel disse in tono a un tratto bonario e indul-
gente: «Va bene, va bene, mia cara signora curiosa e in-
curiosita, saprà qualcosa di più di quel posto spregevo-
le che era il bordello di Buchenwald.»

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