Sei sulla pagina 1di 9

1 Democrazia e mercato Marco Revelli

Quello del rapporto tra DEMOCRAZIA e MERCATO senza dubbio uno dei temi ricorrenti pi rivisitati e pi contrastati nella riflessione politica. Uno di quelli su cui ci si divide davvero, e non solo teoricamente. E anche uno dei temi pi drammaticamente attuali, intorno al quale ruotata buona parte della vicenda globale negli ultimi due decenni, in cui la democrazia sembra essere stata quasi senza residui assorbita dal mercato, prima; e dopo (ora!) rischia di cadere col mercato, quando questo minaccia di crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni. E anche, occorre aggiungere, un tema controverso. Intanto perch facile fraintendere. Credere di confrontarsi parlando in realt di cose diverse. Sovrapporre i piani del discorso. Realizzare monologhi anzich dialoghi. I due termini del binomio, infatti la Democrazia, da una parte, e il Mercato, dallaltra -, intanto sono, ognuno per la sua parte, di incerta e molteplice definizione: lo certamente la Democrazia, di cui si sa quanto numerose e varie siano le definizioni e le concezioni, peraltro moltiplicatesi negli ultimi anni con laggiunta di una catena crescente di aggettivi (deliberativa, partecipativa, associativa, ecc.). Ma lo anche il Mercato, di cui assai incerto il modo in cui lo si debba intendere: come regime di libera concorrenza o di concorrenza perfetta con radicale esclusione di ogni pratica monopolistica? O come affermazione dellintangibilit assoluta della propriet privata e di ogni limite posto al suo utilizzo? O, ancora, come esclusivit del principio della massimizzazione dellutile individuale? O, ancora, come piena e totale autonomia della sfera economica? E poi, anche una volta definiti con unaccettabile precisione e consenso, i due termini, entrano tra loro in rapporto in una molteplicit di modi assai diversi, secondo modalit di relazione differenziate. Ho contato almeno tre diversi tipi di rapporto tra Democrazia e Mercato, tenendo conto del dibattito dispiegatosi nella parte centrale del XX secolo (il secolo, potremmo dire, della tormentata diffusione della Democrazia su scala mondiale e del conflittuale trionfo del mercato): A) La democrazia come sistema assimilabile al mercato per analogia: il Mercato cio come forma di democrazia economica e la Democrazia come forma di mercato politico. B) La democrazia come forma politica connessa alla forma economica mercato da una relazione (biunivoca, e variamente interpretabile) di causa-effetto: il Mercato come precondizione della Democrazia e/o la Democrazia come pre-condizione per lemergere di una piena economia di mercato. C) La democrazia come forma politica destinata a interagire (in senso positivo o negativo) col mercato. Ovverossia il Mercato come funzione o limite della Democrazia; e, simmetricamente, la Democrazia come funzione o ostacolo al Mercato. Detto in termini di Teoria dei giochi, la questione se quello tra Democrazia e Mercato sia da considerare come un gioco a somma zero o un gioco a somma positiva. Il primo tipo di approccio pone la relazione sul piano logico-concettuale; il secondo sul piano storico; il terzo su quello politico. Vorrei affrontarli analiticamente (seppur in breve) tutti e tre questi livelli, perch il chiarimento terminologico ci aiuta a districare la matassa dei significati, evitando appunto i fraintendimenti. E quindi ad affrontare con maggior chiarezza il secondo aspetto della questione quello su cui appunto ci si divide aspramente per ragioni di contenuto e che riguarda la drammatica attualit della questione: i termini drasticamente nuovi in cui il rapporto tra Democrazia e Mercato stato tematizzato di recente, nel quadro dellondata neo-liberista. E la portata politicamente ed eticamente impegnativa delle risposte che se ne possono dare.

2 1. Il piano logico-concettuale Democrazia e Mercato come sistemi assimilabili. Quando parlo di assimilazione tra Democrazia e Mercato per analogia, penso, naturalmente, a Joseph Schumpeter e alla sua definizione procedurale e competitiva della democrazia. Quando egli scrive, infatti, che il metodo democratico lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare, opera, con tutta evidenza, un trasferimento della logica di funzionamento del mercato (in condizione di libera concorrenza) dalla sfera economica a quella politica. Applica cio, per analogia, lo statuto logico di funzionamento della produzione e distribuzione della ricchezza attraverso lo scambio in condizioni di competitivit concorrenziale, al processo di produzione e di definizione delle decisioni collettive. Analoga infatti la struttura comportamentale dei soggetti: esattamente come limprenditore economico ingaggia una competizione con i propri concorrenti per conquistare le quote maggiori di domanda da parte dei consumatori, allo stesso modo limprenditore politico compete con i propri avversari per massimizzare le proprie quote di consenso da parte degli elettori. Analogo, daltra parte, il codice operativo dei due sistemi, fondato in entrambi i casi sul calcolo e dunque sulla riduzione delle grandezze in gioco alla dimensione quantitativa, allequivalente generale, per cos dire, computabile in unit omogenee e confrontabili (il computo del profitto realizzato come misura del successo o dellinsuccesso nel primo caso, il conto dei voti ottenuti nel secondo). Analogo, infine, il piano di razionalit che entrambi assumono (o si presume che dovrebbero assumere per essere fedeli alle proprie premesse e promesse): razionalit strumentale, in cui cruciale appare, tra le determinanti fondamentali dellagire, ladeguatezza dei mezzi ai fini proposti e, in sostanza, la ricerca - da parte di tutti gli attori in gioco sia sul mercato che nellarena politica del massimo risultato ottenibile con la quantit di risorse disponibili. E lo stesso principio su cui, radicalizzandolo, Anthony Downs costruir la sua ben nota Teoria economica della democrazia, fondata, appunto, sullidea che in un regime di Democrazia, la politica funzioni come un mercato. E che di conseguenza i comportamenti politici - i comportamenti dei politici, di coloro che offrono politiche pubbliche, e quelli dei cittadini/elettori, di coloro che domandano politiche - possano e debbano essere analizzati nello stesso modo in cui nellanalisi del mercato vengono studiati i comportamenti di chi offre e domanda beni e servizi. Ci significa che, come nel mercato economico i produttori offrono i loro prodotti non per il bene dei consumatori ma perch motivati dal desiderio di ottenere un profitto proprio (mentre il beneficio per i consumatori non che un sottoprodotto incidentale, direbbe Schumpeter, di quel desiderio di guadagno), allo stesso modo nel mercato politico lofferta formulata da parte delle lites competitive al fine di ottenere un vantaggio misurabile in termini di consenso e quindi di potere. E la domanda (cio il cittadino-elettore) valuta il prodotto con lo stesso criterio razionale del consumatore, cio in base al rapporto tra prezzo e qualit. Limprenditore politico, cio, formuler le proprie proposte programmatiche non al fine di perseguire il Bene comune ma piuttosto di ottenere un vantaggio competitivo in termini di consenso, e lelettore fonder la propria scelta non tanto su principii ideali [considerati in questa teoria addirittura pericolosi nella misura in cui si traducono in una cambiale in bianco rilasciata ai politici], ma sul confronto tra promesse dei candidati e probabilit di realizzazione concreta. Questo tipo di approccio, che concepisce la politica intesa in senso democratico come un sottosistema incluso nella pi generale logica economica (sottoposto allo stesso modello di razionalit), era stato introdotto da Schumpeter come noto - come forma esplicita di critica e di contestazione non solo al concetto classico di Democrazia alla democrazia degli antichi, alla democrazia diretta o, meglio, alla democrazia intesa come governo del popolo per il popolo (come direbbe Sartori) -, ma anche alla democrazia dei moderni (allidea settecentesca di democrazia): alla democrazia rappresentativa, come governo pur sempre per il popolo ma non

3 pi del popolo bens dei suoi rappresentanti, o fiduciari. Allidea, in sintesi, che il metodo democratico serva a perseguire il bene comune permettendo al popolo di decidere attraverso lelezione di singoli individui tenuti a riunirsi per esprimere la sua volont: dove la scelta dei rappresentanti appare secondaria rispetto al compito di esprimere la volont popolare. Mentre, al contrario, nella nuova impostazione proposta da Schumpeter e qui sta il rovesciamento -, lespressione della volont popolare (un concetto che gli appariva indefinibile e inaccertabile, esattamente come quello di bene comune) diventer secondaria rispetto al compito primario di produrre un governo. Cio unlite decidente. O meglio: di fornire a questa il capitale di voti necessario per permetterle laccesso al potere decisionale. Era dunque una svolta ulteriore. Il passaggio a un terzo tipo di democrazia, ancor pi ristretta di quella rappresentativa. La democrazia dei contemporanei, potremmo chiamarla (per distinguerla dalla democrazia dei moderni), ormai apertamente al di l rispetto alla critica che i teorici delllite - Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Michels - avevano mosso al principio democratico. Anzi, ormai compiutamente in grado di incorporarsela, facendola propria, con dichiarato disincanto. Essa otterr un indubbio successo, influenzando direttamente o indirettamente la politologia secondo-novecentesca, in buona misura tributaria di quel paradigma. Tanto che, si pu dire, non esiste analitica descrittiva della democrazia contemporanea che non ne sia, in maggiore o minor misura, influenzata. E tuttavia non appare irresistibile. O meglio, funziona come pu funzionare una connessione analogica: per allusioni, appunto, per accostamenti e nessi simbolici. Non regge, invece, a un confronto analitico sistematico. Intanto perch i due metodi quello dello scambio di mercato e quello dello scambio politico condividono, con buona approssimazione, come si visto, struttura comportamentale dei soggetti e codici operativi, ma non il contenuto dello scambio. E neppure la sua finalit. Un conto ci che si scambia nel circuito mercantile (nel mercato economico dove oggetto della transazione una merce, come tale sempre dotata di un prezzo e accessibile solamente a chi quel prezzo pu pagarlo); un altro conto ci che si scambia nel circuito politico, dove non ha corso (o non dovrebbe averlo) il concetto di merce, ma esistono, al contrario, prodotti dotati di una destinazione universale (accessibili alla totalit dei cittadini), e come tali privi di prezzo (oggetto appunto di diritti, che sono la ratio dello scambio politico in regime democratico). Nello scambio politico il valore di ci che il destinatario riceve dal produttore (beni, servizi, policies) e ci che gli fornisce (consenso, voti) non sono commensurabili. Non esiste un equivalente generale a cui possano essere ridotti (che permetta di dire che il prezzo giusto), n principio di compensazione che configuri il saldo tra i due flussi. In secondo luogo perch lanalogia, se spinta oltre il confine della semplice assonanza, finirebbe per ignorare e cancellare la distinzione essenziale per ogni discorso sulla sfera politica tra dimensione pubblica e dimensione privata. Tra ci che, in quanto destinato ad un uso privato, o esclusivo, assoggettato alla logica privatistica dello scambio mercantile (di per s escludente), e ci che al contrario, in quanto classificato come di pubblico interesse, segue necessariamente una logica pubblicistica (in quanto tale includente, insofferente alla selezione dellaccesso non motivata con criteri universalistici, sottratta allappropriazione privata). La stessa razionalit del decisore pubblico (del produttore pubblico di decisioni politiche) e quella del produttore privato di merci sono qualitativamente diverse, anzi diametralmente opposte: come ha osservato opportunamente Elmar Altvater, mentre la massima espressione della razionalit economica la deregulation, la massima espressione della razionalit politica la regolazione. Allo stesso modo sono simmetricamente opposte le rispettive razionalit del consumatore privato in un sistema di scambi di mercato e del formulatore di domande politiche in un sistema democratico, come ha dimostrato Jan Elster affermando che la nozione di sovranit del consumatore accettabile perch e nella misura in cui egli sceglie tra azioni che differiscono solo per il modo in cui producono effetti sul consumatore medesimo [su se stesso]. Nella scelta politica,

4 invece, il cittadino deve esprimersi su soluzioni che differiscono anche per gli effetti prodotti sugli altri cittadini. E ci fa una differenza qualitativa. Infine, a ben guardare, e volendo completare sistematicamente le differenti aporie del concetto di razionalit esteso trasversalmente a coprire le azioni dei rispettivi attori dello scambio politico la Downs, potremmo aggiungere che nemmeno le rispettive razionalit del produttore di offerta pubblica e del cittadino consumatore di essa giocano lo stesso ruolo virtuoso o quantomeno produttivo che svolgono invece nel mercato. Non producono sviluppo. Al contrario: minacciano lapertura di un circolo vizioso. Il politico, infatti, considera i programmi (i prodotti) che elabora e propone allelettorato come semplici mezzi per raggiungere un fine implicito (la conquista dei voti e laccesso al potere); il consumatore-elettore, al contrario, vede i programmi politici come fini e il proprio voto come mezzo. Il vero fine del primo (i voti) sono il mezzo del secondo, mentre il semplice mezzo del primo (i programmi) sono il fine rilevante per il secondo. Come per le merci, appunto, dove il prodotto del produttore non che un mezzo per ottenere il denaro del consumatore. Con la rilevante differenza che, per questa via, il decisore pubblico sar portato a subordinare gli interessi autentici della societ (e del consumatore stesso in quanto parte della societ) interessi a media e lunga scadenza -, alle preferenze e ai desideri immediati dellelettore-consumatore (quelli che possono motivarlo a permettergli di raggiungere il proprio vero fine implicito), provocando un danno sociale e, in ultima istanza, sacrificando il fine autentico dei propri elettori. Tutto ci finisce per capovolgere letteralmente la dottrina classica della democrazia. In una prospettiva simile, infatti, non pi la volont dei cittadini a dar vita alla decisione politica (come accadeva per Kelsen), ma, al contrario, il consenso dei cittadini la posta in gioco della battaglia elettorale che i politici ingaggiano per conquistarlo.

2. Il piano storico Il nesso di causalit tra Democrazia e Mercato. Pi semplice il secondo tipo di rapporto. Quello che ho definito il nesso di causa-effetto tra democrazia e mercato. La questione, a lungo dibattuta in chiave storiografica e concettuale, del loro rapporto cronologico e sequenziale, diciamo cos. O, forse meglio, la risposta alla domanda se laffermarsi di una forma politica democratica abbia costituito, storicamente, una condizione necessaria o comunque favorevole per laffermarsi di una economia di mercato; o simmetricamente se la pre-esistenza di uneconomia di mercato fiorente abbia costituito una pre-condizione dello sviluppo democratico. Una domanda incrociata che, spesso, stata formulata con un intento prevalentemente ideologico, o diciamo cos, persuasivo e prescrittivo, diretto a favorire lidea di un rapporto dintrinseca interdipendenza e di tendenziale identificazione pratica tra societ democratiche ed economie di mercato. Di un reciproco rapporto di necessit e di sufficienza tra democrazia e mercato. In realt le cose non stanno esattamente cos. E storicamente il rapporto piuttosto lasco per cos dire -, e per larga parte incerto nelluna e nellaltra direzione. Lidea che democrazia e mercato debbano stare necessariamente insieme o insieme cadere non trova sufficiente riscontro empirico nei fatti. Valga per tutte, in materia, limpostazione di un autore non certo sospettabile di antipatia o di ostilit verso il mercato e le teorie ad esso favorevoli, come Giovanni Sartori. Il Sartori di Democrazia e definizioni, e di Democrazia. Cosa . Sartori, dunque, incomincia col dirci che il mondo abbonda di sistemi di mercato senza democrazia , e che dunque se ne pu ricavare con certezza la constatazione che il mercato non condizione sufficiente di democrazia (o viceversa, possiamo aggiungere, che la democrazia non la condizione necessaria per laffermarsi del mercato); e pone, insieme, il quesito se la democrazia trovi nel mercato una sua condizione necessaria. Sulle prime due constatazioni, si potrebbe affermare, tuttal pi, che non tanto la

5 democrazia, quanto piuttosto la diffusione di un pragmatico liberalismo orientato alla difesa dei diritti civili sta allorigine dello sviluppo in senso mercantile, per lo meno in Inghilterra e pi in generale nellarea anglosassone. Ma che, con altrettanta evidenza storica, in Europa si assistito anche allaffermarsi di forti economie di mercato in condizioni politiche illiberali, autoritarie e autocratiche (come nellarea tedesca). E attualmente lesempio del turbo-capitalismo cinese, in condizioni di esplicita dittatura, ne una clamorosa conferma. Sul secondo quesito, invece - se il mercato non sia condizione necessaria della democrazia (e la democrazia condizione sufficiente del mercato) - Sartori articola maggiormente il discorso. E vero, infatti, che se sono numerosi i casi di economie di mercato senza democrazia, dallaltra parte sono rarissimi, anzi oggi inesistenti (dopo il crollo clamoroso delle finte democrazie socialiste dellEst Europeo: le cosiddette democrazie popolari, rivelatesi appunto non-democrazie) i casi di democrazie senza mercato. Il che suggerisce la considerazione, tutto sommato scontata, e ancora assai generica, secondo cui la disponibilit di una ricchezza (e quindi di un benessere) crescente messa a disposizione dal sistema economico (e il mercato, indubbiamente, una macchina economica che, in condizioni positive, produce ricchezza a un ritmo e con unefficienza maggiore di ogni altro sistema conosciuto) facilita, sul piano politico, soluzioni di tipo democratico. E che, dallaltra parte, in condizioni di indigenza estrema, e di scarsit di risorse, quali appunto si determinano in societ senza mercato, la Democrazia non si impianta e non decolla, dal momento che essa una forma politica costosa. E la tesi, ricorda Sartori, formulata cautamente a suo tempo da Seymour Lipset, per il quale tanto pi un paese prospero, tanto pi probabile che sostenga la democrazia. Ci dice semplicemente che la Democrazia un metodo politico particolarmente adatto a gestire e a distribuire quote di risorse economiche crescenti. Che essa presuppone cio un surplus di ricchezza consistente, oltre la soglia della sopravvivenza. E che tende ad affermarsi e a rafforzarsi l dove si manifesta una dinamica di crescita economica solida o si affermano aspettative di estensione del benessere ampiamente condivise. Non l dove devono ancora essere costruite le pre-condizioni dello sviluppo (laccumulazione originaria, potremmo dire). E dove per lungo tempo appare problematico o impossibile redistribuire risorse a sostegno di una diffusa crescita dei consumi. E daltra parte, anche l dove la forma democratica si affermata da tempo, che accadrebbe se la dinamica di crescita rallentasse, si arrestasse o addirittura si rovesciasse? Se il mercato incominciasse a funzionare a rovescio (e nulla garantisce che cos non possa essere: il mercato, di per s, non d garanzia di crescita irreversibile - se non governato, lo si visto storicamente, reca con s la possibilit della crisi e della stagnazione, della recessione e della caduta). Infatti, in condizioni di crisi economica grave sono numerose le democrazie che sono crollate. Che accadrebbe se le nostre societ entrassero in una fase prolungata di inversione della crescita? Se fossero chiamate a gestire e redistribuire risorse non crescenti ma declinanti? Non sempre pi abbondanti ma sempre pi scarse? Ipotesi, lo ripeto, che il modello di mercato di per s non esclude, anzi. Se ne pu concludere che non il Mercato, ma il Benessere per alcune fasi prodotto da questo, ma non indefinitamente certo, ha favorito laffermarsi di forme di governo democratiche in condizioni di economia di mercato. E che, come suggerisce Sartori, alla domanda se la democrazia postuli il mercato si pu rispondere probabilmente s in chiave di ottimizzazione (e in particolari condizioni economiche favorevoli); forse no in chiave di necessit (e a maggior ragione di sufficienza).

6 3. Il piano politico Il nesso di compatibilit tra Democrazia e Mercato. Il che ci porta alla nostra terza questione: al rapporto tra Democrazia e Mercato dal punto di vista politico, per cos dire. Della governance delle dinamiche che si instaurano tra Democrazia e Mercato, una volta stabilito che la coppia Democrazia e Mercato non solo non incompatibile, ma tendenzialmente e, in determinate circostanze potenzialmente (anche se non necessariamente) virtuosa. Il dibattito, su questo tema, stato lungo. Ha attraversato tutto il XX secolo, ed ha avuto per oggetto i limiti reciproci che si tratta di porre sul versante del Mercato (della libert del Mercato) o, viceversa, sul versante dello Stato (dell intervento statale nelleconomia), strutturandosi come noto nella polarizzazione tra posizioni liberal-liberiste, da una parte, e social-democratiche o socialiste, dallaltra. Non lo percorrer nei dettagli. Mi limito a schematizzare, molto sommariamente (forse troppo sommariamente) le matrici contrapposte di argomentazione. Da una parte la posizione di chi sostiene che: poich il Mercato di per se stesso socialmente virtuoso (produce risultati economici e sociali non solo accettabili ma ottimali date le risorse disponibili, ed in quanto tale politicamente democratico, nel senso che favorisce e sostiene la Democrazia politica), ne consegue, sullaltro versante, che la Democrazia politica deve astenersi dallinterferire col Mercato e dallintervenire nella sua sfera. E la posizione dei liberisti classici (non necessariamente dei liberali): di von Hayeck, di Mises, di Downs, dello stesso Schumpeter (con alcune riserve), ma non, per esempio, di Luigi Einaudi Se il Mercato in quanto tale, nel suo statuto di funzionamento, il migliore alleato della Democrazia ci si dice, in sostanza (o la sua pi necessaria pre-condizione) perch interferire politicamente con i suoi meccanismi spontanei? Perch segare il ramo su cui la Democrazia sta, sia pur scomodamente, posata? Perch regolarlo dallesterno, con i diversi strumenti dellintervento pubblico: programmazione, pianificazione, politiche economiche redistributive, fino ai limiti delle nazionalizzazioni e delle socializzazioni dei mezzi economici? Dallaltra parte larticolato fronte di chi contesta almeno uno degli assunti liberisti, formulando perplessit sia sul funzionamento di per s e comunque virtuoso del mercato, sul piano economico (la sua capacit di auto-equilibrio e di ottimizzazione) e su quello sociale (la migliore allocazione possibile delle risorse). Sia sulla sua funzione politica: sulla sua naturale alleanza con la Democrazia o, se si preferisce, sulla sua indiscutibile vocazione democratica. Vorrei ricordare solo due esempi, significativi, di queste pur articolate posizioni su questultimo punto. Luno pi antico, potremmo dire (di un ventennio fa), il secondo recentissimo. Il primo riguarda largomentazione con cui Norberto Bobbio interloqu con Giovanni Sartori, in occasione della pubblicazione della nuova edizione del suo Theory of Democracy Rivisited , nel 1987. In particolare con cui interpret uno dei passaggi pi profondi, e pi allarmanti del discorso di Sartori, in cui questi, dopo aver affermato che necessariamente la democrazia ha dei fondamenti morali - una considerazione impegnativa per un autore che si definisce e in senso proprio un realista politico, almeno sul versante dellanalisi dichiarava eplicitamente la propria preoccupazione per levidente erosione che essi venivano subendo per effetto di una visione puramente economicistica della Democrazia stessa (la crisi attuale della democrazia very much a crisis of ethical foundations). Diceva allora Bobbio: Sartori non sar daccordo, ed io stesso non sono cos sicuro di quello che sto per sostenere, ma la ragione della crisi morale della democrazia potrebbe essere cercata nel fatto che sinora la democrazia politica convissuta, o stata costretta a convivere, con il sistema economico capitalistico. Un sistema che non conosce altra legge che quella del mercato, che di per se stesso completamente amorale, fondato com sulla legge della domanda e dellofferta, e sulla conseguente riduzione di ogni cosa a merce, purch per questa cosa, sia pure la dignit, la coscienza, il proprio corpo, un organo del proprio corpo, e perch no?, giacch stiamo parlando di un sistema politico come la democrazia che si regge sul consenso espresso col voto, il voto

7 medesimo, si trovi chi disposto a venderla e chi disposto a comprarla. Un sistema continuava Bobbio in cui non dato poter distinguere fra quello che indispensabile e quello che non lo . Partendo dalla sovranit del mercato, come si pu impedire la prostituzione e il commercio della droga? Con quale argomento si pu impedire la vendita dei propri organi? E del resto i fautori del mercato non vanno sostenendo che lunico modo per risolvere il problema della penuria di reni da trapianto quello di metterli in vendita?. Di fronte a tutto ci, si chiedeva Bobbio, che cos la vendita di un voto? Perch ce ne dovremmo scandalizzare, se applicassimo lo stesso ordinamento normativo e valoriale che riguarda il mercato? Anzi: se lo giudicassimo quello socialmente prevalente? Non si tratterebbe, appunto, di una normale compravendita in cui seguendo Schumpeter e Downs - il cittadino con il suo voto consente alluomo politico dinsediarsi in un posto da cui pu trarre benefici economici, e il signor rappresentante del popolo compensa il sostegno ricevuto con una parte delle risorse di cui, anche grazie a quel voto, pu disporre? E concludeva, con un balzo di tigre che ci porta nel cuore del nostro problema: Bisogna pur lealmente riconoscere che sinora non si vista sulla scena della storia altra democrazia che non sia quella coniugata con una societ di mercato. Ma incominciamo a renderci conto che labbraccio del sistema politico democratico col sistema economico capitalistico insieme vitale e mortale, o meglio anche mortale anche se vitale. Il secondo esempio che vorrei portare riguarda un recente libro di Jean-Paul Fitoussi, intitolato appunto Le democrazia e il mercato. Un testo di quattro anni fa circa in cui lautorevole economista francese ( stato, vale la pena ricordarlo, Presidente del Consiglio Economico della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ed attualmente professore presso il mitico Iep Institut dtudes politiques oltre che Presidente dellOcfe lOsservatorio francese della congiuntura economica) rovescia radicalmente la tesi liberista sulla primogenitura e sul primato del Mercato rispetto alla Democrazia, per sostenere, da una parte, la tendenziale tensione per non dire lantagonismo tra Democrazia e Mercato; e per dichiarare, dallaltra, la funzionalit (e dunque il primato) della Democrazia nei confronti del Mercato. Come Bobbio, infatti, anche Fitoussi registra un intrinseco contrasto di valori e di statuto tra la Democrazia (regime politico fondato sulluniversalismo dei diritti e sulla vocazione allinclusione sociale) e il Mercato (struttura relazionale fondata su unideologia dellesclusione e su un livello distruttivo di individualismo: su un oceano di individui atomizzati scrive -, ciascuno per s e Dio, non certo lo Stato, per tutti). E, spingendosi oltre lo stesso Bobbio, da economista, sottolinea il ruolo terapeutico, per cos dire, che la Democrazia le funzioni attive dello Stato democratico - pu svolgere nei confronti di tutte le malattie (non solo quelle sociali, anche quelle economiche) del Mercato. La Democrazia, cio secondo Fitoussi lungi dal dipendere dal Mercato, pu essere considerata la pi importante tutrice del Mercato: il regime politico ottimale per le economie di Mercato. O, come ha efficacemente parafrasato Massimiliano Panarari, lunico sistema politico capace in virt delle reti di sicurezza collettiva presenti al suo interno di garantire unautentica efficienza economica, come evidenziano, dati alla mano per lappunto (e non, come Fitoussi le definisce, chiacchiere da bar sport o da hall di hotel superluxe) statistiche e indagini, dalle quali si evince come siano precisamente le societ pi solidali a risultare anche quelle maggiormente performanti dal punto di vista produttivo. Ci, almeno, fino a ieri. O, per meglio dire, fino alla svolta radicale operata dalle principali democrazie di Mercato (Stati Uniti e Inghilterra in prima fila) negli ultimi due decenni del Novecento, e collocata immediatamente a ridosso con lesplosione (e lapologetica) della Globalizzazione. Da allora, in forma esplicita sul piano della propaganda politica e della teorizzazione economica (per lo meno da parte della scuola economica neo-liberista) i consolidati patti sociali che tenevano insieme le democrazie di mercato sono stati spezzati ad uno ad uno. Le societ anche quelle altamente sviluppate hanno incominciato ad allungarsi drammaticamente (con una distanza tra i primi e gli ultimi via via crescente). E la Democrazia in quanto forma politico-statuale (concreto sistema di politiche pubbliche) ha incominciato ad apparire un

8 vincolo sempre meno tollerato. E ad arretrare. Negli Stati Uniti egli scrive - si assiste a uno strano ritorno a Maria Antonietta: il 50% del surplus di ricchezza prodotto tra il 1983 e il 1998 andato a vantaggio dell1% delle gestioni pi agevoli (alla rendita finanziaria, potremmo dire) e il 90% di tale ricchezza andato al 20% delle gestioni pi favorite. Il calcolo degli intessi composti rischia di aprire un abisso tra gli strati sociali, tanto che landamento del sistema economico diventerebbe incompatibile con il normale funzionamento della democrazia. Una profezia che nel decennio successivo ha continuato ad adempiersi, fino allattuale orlo dellabisso. In questo contesto aggiunge Fitoussi, ma concetti analoghi li possiamo trovare in Joseph Stigliz - nelle centenarie democrazie occidentali si manifesta una tendenza alla regressione pacifica della democrazia, che segue schemi diversi sulle due sponde dellatlantico, ma che si orienta nella stessa direzione: essa appare sempre pi un lusso inutile e voluttuario, secondo lespressione brutale di Robert Barro: la giustizia sociale, i diritti e le questioni delleguaglianza tra gli uomini sono diventati di per s un ostacolo non solo al mercato, ma al rendimento economico e allo sviluppo. Vengono cio conteggiati come costi. Superflui.

Considerazioni attuali (e finali). E, questa, la chiave di un nuovo iper-liberismo, che travolge persino la vecchia definizione schumpeteriana e che pone ormai apertamente il mercato non solo come equivalente della forma democratica, ma come sostitutivo (o surrogato) di essa. Come forma politica tout court, che pu in ampi campi della vita associata sostituirsi allo strumento (statuale) di regolazione, per determinare in assoluta autonomia, e con pretese totalizzanti, lallocazione di valori e risorse (di tutti i valori, senza esclusione, e di tutte le risorse, senza eccezioni, comprese quindi quelle vitali e considerate fino a ieri res omnium). E a ben vedere - la conclusione di quellidentificazione originaria tra democrazia e mercato (tra codici logici delluna e dellaltro) portata alle estreme conseguenze: trapassata dalla dimensione analogica a quella sostanziale. Se la Democrazia funziona, nel suo processo di definizione e formulazione delle scelte collettive, esattamente come il mercato, perch mantenere il doppione? Perch non assumere come criterio dirimente le propensioni dell homo oeconomicus anzich doverle affiancare, mediare o peggio subordinare a quelle dell homo tout court o, appunto, del cittadino? Tanto pi se si ritiene che le prime esprimano lessenza dellagire razionale nella sua dimensione pura (quella che Max Weber chiamava la razionalit strumentale in senso stretto), mentre le altre si complicano per le interferenze di un sociale sempre pi magmatico, meno visibile nelle sue articolazioni e nei suoi soggetti collettivi, sempre meno coeso per lallentarsi dei precedenti legami sociali, ma pur sempre vissuto come perturbatore della pura logica economica calcolistica. E questo, in fondo, il credo che ha dominato il pi recente passato. E comunque la transizione al nuovo secolo. E che sancisce, insieme alla caduta dei confini politici tra i differenti Paesi, anche la caduta di quel confine concettuale ma fondante della moderna categoria di Politica che distingue pubblico e privato: la safera pubblica degli interessi collettivi e dei diritti universali dalla sfera privata degli interessi individuali e degli affari. Quali ne siano stati gli effetti distruttivi, oggi sotto gli occhi di tutti: gli scricchiolii terribili che giungono dalle fondamenta dellordine economico contemporaneo, dal sistema del credito, dai circuiti finanziari, dalla cosiddetta economia reale (quella che oggi invoca, a gran voce, dopo averlo esorcizzato per anni, il ruolo salvifico dello Stato), e il timore di un possibile effetto di contagio dal sottosistema economico a quello politico e istituzionale, ci parlano di un fallimento annunciato. Appaiono drammatica conferma di quellabbraccio mortale di cui parlava Bobbio gi negli anni Ottanta, quando tutto ci era incominciato.

9 Potremmo dire che, in qualche modo, il Mercato nella propria irragionevole corsa a mimare la politica, a farsi regolatore politico totale abbia finito per assumere il ruolo che in politica, appunto, svolge il Demagogo. Colui che promette ci che non pu essere mantenuto (preparando la rovina della citt): la crescita infinita, il benessere senza limiti, lo sviluppo illimitato (nonostante e contro ogni idea di sostenibilit), la soddisfazione senza misura dei bisogni, anzi dei desideri, il consumo smodato non pi sostenuto dal salario ma dal credito. Questo ha fatto, in questi due ultimi decenni, il Mercato, contaminando la Democrazia. Determinandone la corruzione: la sua esasperazione e identificazione come regime dellabbondanza. Della redistribuzione indolore delle risorse, garantita dalla crescita continua e irreversibile della torta da spartire la quale non tollera rallentamenti, raffreddamenti, stasi a costo di forzare i limiti dello sviluppo. Di alimentarne artificialmente la dinamica, secondo la logica, appunto, della bolla. Cosicch, allimplodere di quella dimensione virtuale e drogata dellinvolucro economico, quella che rischia di destrutturarsi anche larchitettura istituzionale che a quella dimensione era venuta affidando, in misura crescente e pressoch esclusiva, la propria legittimazione. Quello che rischia cio di rimanere sul terreno, sotto le macerie di quella bolla, la sostanza democratica delle nostre societ. In questo senso, la sfida politica attuale diventa la possibilit e la necessit di ripensare la democrazia per lo meni nei paesi pi ricchi - in un contesto di sviluppo limitato (diciamo pure di crescita zero). O, per dirla con unespressione scandalosa, ripensare la Democrazia nell epoca della decrescita della riscoperta del limite, del consumo sobrio -: tutte espressioni, queste, che rinviano a un duro, forse inevitabile, corpo a corpo col Mercato che finanche allespressione lessicale di quei concetti appare ostinatamente refrattario.

Potrebbero piacerti anche