ATE
CO.MlTATO DIRETIIVO
MAnmm
GUSTAVO BoNTADINl
VITTORIO
SERGIO CoTTA
LUIGI PAREYSON
PIETRO PRINI
CARLO GIACON
GIOVANNI SANTlNELLO
CARLO GIACON
ORIGENE
I PRINCIPI
CONTRA CELSUM
E ALTRI SCRITTI FILOSOFICI
MANLIO SIMONETTI
SANSONI - FIRENZE
COPYRIGHT
1975
BY G.
c.
SANSONI
TIPOGRAFIA LA GARANGOLA
S.P.A. - FIRENZE
PADOVA
I PRINCIPI
CONTRA CELSUM
E ALTRI SCRITTI FILOSOFICI
PREFAZIONE
1. - VITA.
PllEP AZlO!l."E:
cur dei pericoli che gli venivano: piu volte fu sul punto
di essere arrestato e alcuni dei suoi allievi subirono il
martirio.
L'eccellenza del maestro rese subito la scuola nota al di
l del ristretto ambito in cui svolgeva la sua attivit: cominciarono a frequentarla cristiani gi battezzati e perfino pagani desiderosi di ascoltare il giovane e gi famoso maestro.
Allora Origene ritenne opportuna dividerla in due corsi:
il vero e proprio corso d'istruzione catechetica, che affid
all'amico Eracla; e un corso superiore d'istruzione cristiana,
fondato sullo studio sistematico della sacra scrittura, che
tenne egli stesso. Le accresciute responsabilit di fronte ad
un pubblico sempre piu esigente spinsero Origene ad approfondire la sua cultura filosofica alla scuola del platonico
Ammonio Sacca~ All'incirca in quel tempo Origene, spinto
da giovanile e11tusiasmo e interpretando troppo alla lettera
Mt. 19, 12, forse anche per evitare dicerie in quanto la
scuola era aperta anche alle donne, si evir.
Tra i molti che Origene riusd a convertire alla chiesa
cattolica ci fu anche un ricco gnostico, Ambrogio, che rest
poi tutta la vita mqlto legato ~ maestro. Fu lui che mise
a disposizione di Origehe ogni mezzo perh egli potesse
attendere alla ricerca e allo studio senza alcuna preoccupazione di caittere economico e gli forni scribi e calligrafi
che curassero subito la pubblicazione dei suoi scritti. Intanto
la fama del maestro si era estesa per tutto l'Oriente ed egli
fu chiamato in vari luoghi: in Arabia per istruire il governatore romano; ad Antiochia dove ebbe contatti con Giulia
Mamea, madre dell'imperatore Alessandro Severo; in Palestina, ove si leg in amicizia con i vescovi Alessandro di
Elia Capitolina (Gerusalemme) e Teoctisto di Cesarea: essi
lo pregarono - siamo intorno al 215 - di predicare in
chiesa pur essendo laico. Se ne rincrebbe Demetrio, poich
ad Alessandria non era permesso ai laici predicare in chiesa
e, nonostante le spiegazioni fornite dagli amici li Origene,
lo richiam ad Alessandria. Va ancora ricordato che verso
il 212 Origene fece un viaggio a Roma, gi allora meta di
pellegrinaggi da ogni parte della cristianit in forza del
VITA
IO
PllPAZIONE
2. - OPERE.
OPE1E
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PI.El'AZIONE
scolii sono confluiti nelle raccolte dci commentatori successivi, soprattutto nelle Catene, ma non facile identificarli rispetto ad altri frammenti di opere origcniane d'altro tipo. Le omelie sono il frutto dell'attivit di predicatore che Origene esercit con molto zelo a Cesarea. Sair
piamo che egli predicava spesso, certi periodi dell'anno tutti
i giorni, commentando sistematicamente interi libri della
scrittura o sezioni di essi. Delle .574 che furono trascritte
dagli stenografi, ce ne sono giunte circa 200, sulla Genesi,
l'Esodo, il Levitico, i Numeri, Giosu, i Giudici, i Re, Isaia,
Geremia, Ezechiele, Luca, il Cantico dei Cantici, alcuni
Salmi. 20 omelie su Geremia e una sui Re ci son giunte nel
testo greco, le altre nella traduzione latina di Girolamo e
di Rufino. Di due omelie sulla Pasqua scoperte anni fa in
un papiro a Toura si attende ancora la pubblicazione. Nelle
omelie Origene, rivolgendosi ad un uditorio non selezionato
come quello della scuola, evita di approfondire troppo certi
temi speculativi: ma in complesso la sua interpretazione,
prevalentemente allegorica, non rifugge temi anche impegnativi, pur necessariamente trattati in maniera non esaustiva. Rispetto ad esse i commentari presentano ben altra
complessit, non soltanto per l'ampiezza della interpretazione, ma anche per la sistematicit e la minuziosit: qui
Origene non ha mai timore di riuscire prolisso, e quando
affronta un tema lo sviscera a fondo, con interpretazione
prima letterale e poi soprattutto allegorica, con una serie
impressionante di richiami da altri passi della scrittura in
qualche modo connessi - anche solo esteriormente - con
quello che sta interpretando in quel dato momento: proprio da tali collegamenti scaturisce l'interpretazione che
vuole cosi spiegare la scrittura per mezzo della scrittura,
cosi come gi gli antichi grammatici alessandrini erano usi
interpretare Omero con Omero. Sono opere che anche in
certo disordine espositivo rispecchiano pienamente la pra~
tica della scuola. Di fronte ad un uditorio selezionato e ben
conosciuto Origene non aveva timore di presentare, anche
se solo in forma problematica, interpretazioni ardite, a volte
sconcertanti, sempre estremamente acute e stimolanti. Dei
tanti commentari che scrisse, ci sono rimasti nella lingua
OPEllE
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PREFAZIONE
OPERE
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P'!!.EFAZIONE
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PU:FAZlON'E
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cato ma non sempre riuscito ad armonizzare rendono difficile il tentativo di caratterizzare con esattezza il suo pensiero e d individuare in lui un preciso centro d\nteresse
intorno al quale far gravitare e ridurre ad unit i diversi
aspetti della sua speculazione e della sua attivit. D'altra
parte, proprio la presenza di elementi disparati nel pensiero di Origene e il tono problematico con cui le soluzioni piu ardite sono proposte - Origene ama discutere
e proporre piu che definire apoditticamente - hanno reso
faci.li t_en_tativj _amichi e mo~erni_ .di int~rpx:~~ar~. in maniera
unilaterale l'opera di Origene fino a farne un teologo cristiano a parole, ma effettivamente irriducibile alle premesse
del dogma cristiano. Valorizzando quegli influssi gnostici
cui sopra abbiamo accennato, si giunti a fare di Origene
addirittura uno gnostico, lui che tutta la vita ha polemizzato con questi eretici. Piu frequenti i tentativi di farne
un pensatore di fondamentale impronta ellenistica. Ma per
giungere a questo risultato il pensiero di Origene viene
sottoposto ad un drastico processo di semplificazione e di
irrigidimento: di semplificazione, in quanto si pone l'accento soltanto su alcune componenti della multiforme speculazione origeniana e le si considera preminenti o addirittura esclusive, rispetto ad altre che invece sono altrettanto importanti. In altri termini, si tien conto soltanto
di certe parti del De principiis e si trascurano opere come
il Commento al Cantico dei cantici. Di irrigidimento, in
quanto non si vuol tener conto della problematicit con
cui Origene propone tante soluzioni, a volte alternative, e
si preferisce assumere come rappresentativa del genuino
pensiero dell'autore sempre e soltanto la soluzione piu lontana dalla tradizione della chiesa.
Non v'ha dubbio che piu volte la componente cristiana
e quella ellenica della formazione, e possiamo dire della
personalit, d'Origene variamente si oppongono e si sovrappongono in un tentativo instabile di sintesi. La novit del
tentativo e la mancanza di qualsiasi punto fermo cui fare
riferimento accrescevano l'alea del risultato. Non dobbiamo
per assolutamente sottovalutare, accanto alla precisa ed
espressa volont di Origene di essere sempre e soltanto
20
Pll".FAZIONE
21
tutto nella foro significazione spirituale, di cui il rito materiale simbolq e figura. Proprio in virn1 di questa forma
mentis platonihame, che sfruttando certi spunti neotestamentari (del Vbng'ef'O di Giovanni e della Lettera agli Ebrei)
forza e dilata i'la contrapposizione paolina fra la Gerusalemme terrestre e fa Gerusalemme celeste, in tutti i campi
della sua atfr.iit la vita d'Origene fu sforzo e tensione
per passare dalla realt inferiore a quella superiore, dalla
lettera allo spirito, dal simbolo alla luminosa realt in una
progressiva asesa verso la luce sempre piu autentica, in
un progredire senz~ fine, di conoscenza e d'amore, nell'inesauribile realt divipa. Di qui l'afflato mistico che pervade
tanta parte della p*gina origeniana, che spiega e giusti.fica
certe ardite costruzioni di pensiero, certe curiose insistenze
su motivi apparent~mente esteriori, che altrimenti potrebbero sembrare 'vuota esercitazione intellettualistica, e invece
sottendono sempre 'questa tensione verso l'alto.
La sintesi drigertiana, pur con certi suoi squilibri e pericoli, rappresentava qualcosa di grande e di nuovo, di
fronte al quale rimanevano offuscati i pallidi tentativi della
riflessione anteriore. Non meraviglia perci che essa abbia
esercitato decisivo influsso su tutta la riflessione teologica
esegetica mistica delle generazioni successive. Tale influsso
non facilmente valutabile in tutta la sua portata, perch
molte delle soluzioni prospettate da Origene sono diventate
patrimonio comune della chiesa, e perci non facilmente
riconducibili a lui. Non temiamo comunque di esagerare
affermando che l'opera di Origene ha costituito una svolta
decisiva nella storia del dogma cristiano, nel senso che
quanto delle ricche e complesse tradizioni precedenti, anche
eterodosse {gnostici), confluito nella sua sintesi, ha continuato ad operare ed essere cosa viva nella speculazione
successiva, mentre quanto egli ha lasciato da parte quasi
sempre caduto nell'oblio e nella dimenticanza.
Tutto ci non deve farci dimenticare che Origene, piu
che uomo di studio e di lettere, volle essere soprattutto
maestro di spiritualit: il discorso di ringraziamento di
Gregorio Taumaturgo ci fa toccar con mano quanto zelo
e quanta intelligente cura Origene profondesse nella for-
22
PllEPAZIONE
4. - CONTROVERSIE ORIGENIANE.
CONTROVEllSIE OJUCiENlANE
23
24
Agostino e Gregorio Magno, il fondamento della spiritualit monastica. Non sfuggiva il contrasto fra l'eccellenza dci
suoi scritti e le condanne che gli erano state inflitte, che
manteneva incertezza circa quello ch'era stato il destino
finale del grande dotto: ne fa fede una visione di Elisabetta di Schona1:1, alla quale la Vergine rivolge parole che
lasciano bene sperare circa la salvezza finale di Origene
nonostante la condanna ecclesiastica. E alcuni secoli dopo
Pico della Mirandola sosteneva e discuteva la tesi della salvezza finale dell'anima di Origene. Il giudizio sostanzialmente favorevole che di Origene dette il Rinascimento si
compendia 'nell'atteggiamento di Erasmo, che di Origene
fu studioso, editore e grande ammiratore: Plus me docet
25
stata rappresentata dalla pubblicazione nel 1931 del volume di W. Volker, Das Vollkommenheitsideal des Origenes:
esso per la prima volta richiamava perentoriamente l'attenzione sulla ricchissima dottrina ascetica e mistica dd grande
Alessandrino, he i~vece fino allora era stato studiato prevalentemente, spessb esclusivamente, quale teologo ed esegeta. Soprattuho in Francia il nuovo indirizzo di studio
ha trovato seguaci entusiasti e capaci: Von Balthasar, De
Lubac, Danilou, Crouzel. Su questa via diventa molto piu
facile presentate urla facies del tutto positiva di Origene:
si corre per il rischio di eccedere in senso opposto rispetto
al primitivo iddiritzo di studi, trascurando non, l'esegeta
- fatto oggetto dj studi sempre piu numerosi ed impegnati - quanto il :teologo.
Ma ormai, al di l di queste prese di posizioni non dd
tutto imparziaH, va segnalato il completo recupero di Origene nell'interesse degli studiosi e di conseguenza nel posto
che gli spetta' di diritto nella storia del cristianesimo. Ormai
vengono meno i veechi schematismi, e gli studi che di anno
in anno si fanno sempre piU fitti sono volti a studiare
l'autore non itj base a idee preconcette ma piuttosto iuxta
propria principia. E da tali studi emerge sempre piu chiara
la convinzione' che l'Alessandrino rappresent un momento
veramente fondamentale nella storia della cristianit antica
considerata in tutti"'! i suoi diversi aspetti.
1
NOTA
NOTA
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28
P.l.EPAZIONE
sistematico ha fatto si che in essa Origene abbia dato piu completa esposizione di cer fondamentali argomenti, che in altre
opere sono variamente ripresi ma in forma molto piu frammentaria. Di queste altre opere abbiamo messo a frutto soprattutto il Contra Celsum, dove l'esigenza della polemica con il
.filosofo pagano ha spinto Origcne a trattare ripetutamente, ma
sempre in maniera piuttosto disordinata e frammentaria, problemi allora molto dibattuti dalle scuole filosofiche pagane; e
il Commento a Giovanni, il piu giovanile dei commentari
giunti a noi nel quale l'autore piu si lascia trascinare, dato
anche il carattere del testo che. commenta, a speculazioni molto
ardite. Molto piu sporadico stato il ricorso ad altre opere.
superfluo rilevare che la presentazione dei testi stata
fatta in modo da proporre il pensiero origeniano nella maniera
piu organica. Non possiamo dire, nella maniera piu completa,
perch il suaccennato carattere dell'opera imponeva di sacrificare aspetti fondamentali dell'attivit del nostro autore: quello,
p. es., di carattere specificamente e piu tecnicamente esegetico,
e anche quello di carattere mistico. Ma proprio per tal motivo
e per non favorire involontariamente proprio noi quella visione
parziale e deformata del pensiero origeniano che sopra tanto
abbiamo stigmatizzato, riteniamo indispensabile preavvertire
che dalla .1_1ostra opera vien fuori l'Origene, filosofo (nel
senso sopra accennato), cio soprattutto impegnato nella ricerca
speculativa -di. carattere p_iu razionale. Si tenga presente che lo
scrittore, che ~n certe pagine sa essere cos1 intellettualista, lo
stesso che nel. Commento ...al Cantico e in alcune omelie ci ha
lasciato aperture di carattere mistico rimaste ineguagliate per
lo slancio e la profondit che le hanno ispirate.
I testi di Origene sia nell'originale greco sia nella traduzione latina (ove manca l'original) sono stati addotti secondo
le edizioni di Die griechischen christlichen Schriftsteller der
ersten drei Jahrhunderte: per il De principiis e il Contra Cel
sum ediz. Koetschau; per il Commento a Giovanni ediz. Preuschen; per i pochi passi tratti dal Commento al Cantico e dalle
omelie ediz. Baehrens; per il frammento su Ps. 1 ediz. Holl.
Il Dialogus cum Heraclide addotto secondo l'ediz. Scherer,
Sources Chrtiennes , 6 7; la lettera di Origene a Gregorio
Taumaturgo secondo l'ediz. Crouzel, Sources Chrtiennes ,
148. Le traduzioni del Contra Celsum e del Commento a Giovanni sono di A. Colonna ed E. Corsini, edizione UTET, Torino; tutte le altre sono mie;, quelle relative al De principiis
sono tratte dalla traduzione edita anch'essa dalla UTET, Torino.
NOTA
29
di commento.
BIBLIOGRAFIA
I
H. Cornlis, Les fondements cosmologiques de 4'eschatologie
d'Origne, Paris 1959.
BIBLJOGllAFlA
31
CAPITOLO I
ORIGENE E LA FILOSOFIA
34
1. OIUGENE E LA FILOSOFlA
'
che gi all'inizio del secondo secolo si dettero certi tentativi sincretistici che cercavano di assimila.re insieme motivi
cristiani e spunti di religione e filosofia pagana: questi movimenti, definiti gnostici, furono subito sentiti come incompatibili con la retta fede cristiana e perci furono considerati eretici, col risultato di aumentare la diffidenza dei
cristiani verso la cultura e la filosofia greca.
D'altra parte, i pagani di una certa cultura che si convertivano al cristianesimo erano stati educati secondo i
moduli della tradizionale educazione classica , e spesso ne
avevano assimilato, chi piu chi men; "anche cenefonda-
mentali esigenze e certi capisaldi di carattere filosofico.
Anche per chi l'avesse desiderato, non era facile far seguire
la realizzazione pratica al ripudio teorico della filosofia
greca, e sbarazzarsi di punto in bianco di una impostazione
culturale che spesse volte aveva operato p~ofondamente
sulla formazione del giovane pagano. E alcuni di essi addirittura non se la sentivano di rinnegare in toto questa loro
precedente formazione, ravvisandone pur se oscuramente - la non completa incompatibilit col nuovo messaggio che avevano accettato, e cercando !perd di salvarne
almeno qualche residuo.
1
Da questo complesso di contrastanti fattori deriva la
sostanzial ambiguit del rapporto fra r~igione cristiana e
filosofia greca, sentita come componente di punta della formazione classica, fra il II e il IV secolo. Alcuni scrittori
cristiani programmaticamente operarono una completa chiusura verso il mondo pagano, e soprattuttq ver$o la filosofia,
definita maestra di menzogna: basti pensare a Taziano - e
anche a Teofilo - fra i greci, a Tertullian0 fra i latini.
D'altra parte abbiamo detto che all'a.ffermaziotje teorica non
era facile far seguire la realizzazione pratica, tanto profondamente la formazione giovanile aveva condizionato alcuni
di questi scrittori: vediamo perci Taziano e Tertulliano
fondare buona parte della loro speculazione proprio su concetti derivati da quella filosofia greca, platonica e stoica,
che tanto drasticamente essi condannavano a: parole. Altri
invece cercarono subito un atteggiamento pili conciliante
verso la filosofia: il caso di Giustino, di Atenagora, di
lNTllODUZlONE
3.5
2. - Il problema fu sentito particolarmente ad Alessandria, sia perch questa citt era il centro intellettualmente
piu vivace di tutto l'Oriente sia perch qui gli ambienti
cristiani erano culturalmente dominati dagli gnostici. Lo
gnosticismo infatti si presentava, rispetto alla comune fede
cristiana, come una specie di rivelazione d'ordine superiore,
tale da appagare le esigenze intellettuali di quei cristiani
che non si ritenevano paghi qei pochi e disarticolati concetti di base che allora costituivano il contenuto della fede:
per tal motivo esso era diffuso soprattutto a livelli culturalmente ambiziosi ed impegnati. Proprio attraverso la continua dura polemica con gli gnostici si formarono i dottori
ortodossi della cosiddetta scuola di Alessandria, Clemente
ed Origene, e come fine programmatico del loro insegnamento scolastico essi si prefissero proprio il recupero alla
chiesa cattolica dei ceti colti ed elevati della societ cristiana, fino allora infeudati agli gnostici. E solo la filosofia
greca poteva fornire loro quei parametri di pensiero, quei
concetti di base, la stessa tecnica di ragionamento indispensabili per articolare e comporre gli sparsi dati della
rivelazione vetero- e neotestamentaria in un organico ed
omogeneo complesso di dottrina, capace di competere, a
livello di ortodossia, con i complicati sistemi gnostici e
perci di attrarre a s quanti, nella societ cristiana, nutrivano ambizioni di carattere intellettuale.
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I. OltlGE.":E :E LA FILOSOFlA
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INTllOOUZIONE
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I. OlUGE."lE E LA FILOSOFIA
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42
I. OJUCENE E LA FlLOSOFIA
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44
I. OJUGENE E. LA FILOSOFIA
Haec vero eum verae philosophiae fondamenta ponentem et ordinem disciplinarum institutionumque condentem
quod non latuerit neque ab eo abiectus sit ctiam rationalis
locus, evidenter ostendit .in principio statim Proverbiorum
suorum, primq omnium per hoc ipsum quod Proverbia attitulavt libellum suum, quod utique nomen signi.ficat aliud
qudem palam. dici, aliud vero intrinsecus indicari. Hoc enim
et communs usus proverbiorum docet et Iohannes in Evangelio Salvatorem ita scribit dicentem: haec in proverbiis
locutus sum vobis; veniet hora, cum iam non in proverbiis
loquar vobis, sed manifeste de patre adnuntiem vobis (I o.
16, 25). H~ec interim in ipsa tituli inscriptione. In sequenti
vero statim subiungit discretiones verborum et distinguit
scientiam a sapientia et a scientia disciplinam et intellectum
verborum aliud panie et prudentiam dicit in eo esse, ut
excipere possit quis versutiam verborum (Prov. 1, 2 sgg.).
Distinguit etiam iustitiam veram a directione iudicii, sed
et astutiam quandam nominat his, quos imbuit, necessariam, illam credo, per quam sophismatum intellegi ac declinari possit argutia. Et ideo dicit innocentibus per sapientiam dari astuciain, sine dubio, ne in Verbo Dei decipiantur
fraude sophistica. Sed et in hoc videtur mihi rationalis
disciplinae meminisse, per quam doctrina verborum dictorumque significatiae discernuntur et uniuscuiusque sennonis
proprietas' cerfa cum ratione distingilitur. In qua praecipue
erudiri convenit pueros; hoc enim hortatur, cum dicit: ut
det puero iuniori sensum et cogitationem (Prov. 1, 4). Et
quia, qui in his eruditur, necessario rationabiliter per ea,
quae didicit, semet ipsum gubernat et vitam .suam moderatius librat, propterera dicit: intellegens autem gubernationem acquiret (Prov. 1, 5). Post haec vero cognoscens
in verbis divinis, quibus per prophetas humano generi traditus est ordo vivendi, diversos esse eloquii tropos et varias
dicendi species ac sciens haberi in iis aliquam figuram, quae
45
46
r.
ORJCENE E LA FtLOSOPlA
[Contra Celsum III 75] 75. - xa.t 7tp "'t't.X.U'ta. po\i't'L\la.c; <P"<; La. 't' p o <; , d.q>' W\I . "7t o "t' p bt o E \I
'tO<; LoLW"t'a.<;; o y.p oi) U1tOCX.~.\IEt.c; "t'~Lc; cpt.o<roq>OU01.
7tpocrci.yEw T}i tj'V EL<; 't'V ).61ov 7tpo'tpom)\I, t'V' b:El\loui:; volcrni:; EL\ICX.t. Lcx. "t' p o e; , d.cp' wv ci 7t o "t' .P 6 7t o E v
ove; E7t. 't'\I i}Ei:ov xa..ou.e:v .6yo\I. Tl'tOL OU\I ox .7toxpl\IE"t'CX.L ii EXW\I .yEl.\I "t' o V e; t cx. 't' po V~<; J Ti .\lcL"(X1)
O:.'t\I x a. "t' a. cp Evy EL \I 7t . "t' o e; t~t.W"t'itc;, ot xa..
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xa.t ocra. (:f)..J.. a. yoLE\I ?i\I Lor..w"t'<I.L. faa."t'pwc; OU'V ! .e y X i} ii C1 E't' CH ct"t'T}V 7tCX.pet..a.~W\I iv 't'Q .oy<c> -t \I . 7t o "t'pbtov-rcx. "t'WV 7tLCT"t'i)6vw\I Lct."t'p~v
tvcx. o: xcd c.bt -riic; 'Emxoupou cpt..ocrocplcx.~ xcx.i "t'wv
xcx."t' 'E7tlxoupov \lot.~o.vwv 'E7tt.Xovptlwv t a. "t p w\I
. 7t o 't p 7t w e v "toc; v XElvor..c; dmx.~w~'Vovc;, m7>c;
ov:x.L EV.O"(W"trl.."tCX. 1tOt:ficroe\I ccp!.CT"t'ci.V"t'E<; v6crov :X.1X.E7tfjc;,
fi\I VE7tol11crcx.v ot K.crou t a. "t p o l , "t'fjc; xa."t'cf "t'TJV c\la.lpEcrL\I 't'i'j<; 7tpOVOLIX<; xa.l Etcrcx.ywy'JV "tfj<; '}oovi).c; W<; ciya}o\j; .)..l' ~CT'tW t a. "t' p w\I l)ic; &..W\I q>t..od-6qH.'V .cpi.cr"tr.iVEL\I "tOU"tOIJ<;, ou<; "7tpO"tp.7toEv 7tl "t\I T}hipov .6yov,
"tW\/ C.1t "t'OV IlEpt.mhov, ri\la.LpOU\l"t'W\/ "t')\I 7tpc; T}ic;
7tp6vo1.cx.v 3 xcx.t "t'i)v crx.01.\1 7tp<; civ~pw~ouc; 't'OU ~elou
.E\I'
!
3 Ricordiamo che l'ateismo rimproverato dagli: antichi, pagani e
cristiani, agli epicurei va inteso non nel senso c:Pe Epicuro avesse
negato del tutto l'esistenza degli dei, che invece egli collocava felici
e sereni negli intermundia, ma nel senso che, s~ond~ 1 lui, tali dei
47
[Contro Celso III 75] 15. - Noi risponderemo a queste parole: quali sono secondo te i meclici, dai quali noi
allontaniamo la gente semplice? Poich certo tu non ammetti che noi tentiamo di convertire i filosofi al cristianesimo, e quindi non puoi pensare che siano loro quelli
indicati come medici, dai quali noi allontaniamo la gente,
che vogliamo chiamare al Verbo di Dio. Quindi, o Celso
non risponde affatto, non avendo da indicare i medici di
cui parla, oppure giocoforza che egli ripieghi sugli uomini
semplici, i quali anch'essi indulgono in maniera gretta e
servile al culto di numerosi di ed a tutto quello che tramanda il volgo. Per conseguenza, in un caso e nell'altro,
Celso verr convinto di falso, per aver evocato senza alcun
vantaggio l'uomo che allontana la gente dai bravi medici.
E supponendo che noi allontaniamo dalla filosofia di
Epicuro, e da quei seguaci di Epicuro ritenuti medici epicurei , gli uomini che sono stati da loro presi in giro, mi
sai dire se non facciamo un'azione davvero ragionevole,
strappandoli da quel grave morbo, che hanno inoculato i
.medici di Celso, e che nega la provvidenza e presenta il
piacere come un bene? Ammettiamo pure di allontanare da
altri medici filosofi questa gente che noi convertiamo alla
nostra dottrina: dai Peripatetici, per esempio, che negano
non si curavano affatto degli uomini: Epicuro, cio, negava propriamente la provvidenza divina, come qui Origene rileva con precisione
estendendo la stessa accusa anche ai seguaci di Aristotele.
48
1. OllG:ENE E LA FILOSOFIA
itW<; oxt tVO"~~E~ tv l).s~ XCX. .. CX.CTXE\HiCTOE\I xa.t i1EpaitEVc:ro~ ._o 7tpo._E"tpa.~ouc;, 7tEli}ov-rti; cx."t'ovc; :'JO:XEi:crocx.t. "Q bc. TC.<n. -&EQ, .sycD. . wv 8 -tpa.uci"twv, "t'wv
cbt .6ywv vot.~o~>wv cpt..ocr6cpwv, :mx..cb:rc:roEV "t'oc;
7tEd}o\louc; 1)i:'V; .... xa. ci...ouc; oEo6crow 'J.c;
. 'it o "t p . 7t Et. v ci 7t Let. "t p wv .l:"tw~xwv i>Ev cpiJcx.p"t\I
ELO"cx.y6v"twv xat -ri}v oO"lcr..v a.v'tou .e:y6v-rwv c:rwa. "t'pETC"tv 81.' o.Wv' Xct.. ..).,.'ot.W't\I xa.t E"tCX.~'ll't\I, XCX.L 1tO't'E
1taV"t'Cl cpi}e:1.p6V't'W\I" xcr..t 6vov "t'\I i}Ev XCX."t'CX..Et.TCO\l"t'W'\I"
itW<; ovxt xcd OU't'W<; XClXW\I \I :.7tet..ci~oE\I "t'oc; 7tEt.i>oivouc;, itpocrci;oEv o' EVO'E~EL .6y~ "t'Q 7tEp. 't'OV civct.xELcrocu. "t'Q 8111.oupyQ xcx.t i1a.udE!.\I "t'\I 1tet.'t'pet tjc; Xpt.O"'tl.ClVW\I 01.oa.a-..<.a.la.c;, q>t..cx.vi1pwit6"t'a."t'cx. EmO'"t'pEit"t't.xv xcx..
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ci."Ttooloocroa.1. i\lmcri>7]c:rla:v i1 riloyla:v 1 itct.pt.i:r"t'civ"t't. o ELvcx.l
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ci.7touc:r<tpov~, wc; xa. ot 'Ttct.'i:pc; 'tovc; xot.oi) .. \/1'}1tlouc;.
49
50
I. 01.IGE...."E E LA FILOSOFIA
'
~1
52
I. OllGENE E: LA FILOSOFIA
c:um ve! dis~idenc vd concordam. Et ideo Abimclech sec:undum hanc figuram aliquando in pace esse c:um Isaac,
aliquando 'dissidere perscribitur.
[ Philocaiia i 3] 9
wv
3. - (2) Kal. "tl E OEi: d:xcx.lpwc; 1tapExSa.lvov"t'a. xa."t'a.CiXE\Jci~El.\I, Etc; oO"a. xp1)a-1.&. a'"t't. "toi:c; vtoi:c; 'Io-pedi).
"t'.
.56
I. O.llGE."JE E LA FlLOSOFIA
ov
QUAI.E USO SI
DEBB~A
'57
terra d'Israele e 'non :gust il pane degli Egiziani, non fabbric idoli. Ma allorch fuggendo il saggio Salomone scese
in Egitto, quasi fuggendo dalla sapienza di Dio divent
parente del Faraone ~posandone la sorella della moglie e
generando un figlio che fu allevato insieme con i figli del
Faraone. Perci, se poi anche torn nella terra d'Israele,
torn per divider~ il popolo di Dio e per far dir loro, rivolti
alla giovenca d'oro: QuesJi sono i tuoi dei, Israele, che ti
hanno condotto fuori dalla terra d'Egitto (I Reg. 12, 28).
E io, avendone avuto esperienza, ti potrei dire che son rari
coloro che hann9 pr~so le cose utili dall'Egitto, le hanno
condotte fuori e.c:l hanno preparato ci che serviva per il
servizio di Dio; !invece sono molti i fratelli di Adar l'Idumeo. Son quelli che dalla greca perizia hanno generato dottrine eretiche e, 1per cosi dire, hanno fabbricnto giovenche
d'oro in Bethel, che' significa casa di Dio. Mi sembra
che in tnl modo :la p~rola (divina) abbia dimostrato in maniera figurata cHe essi sovrapposero gl'idoli fabbricati da
loro alle scritture nelle quali abita la parola di Dio e perci
simbolicamente sono denominate Bethel. Dice la parola che
un altro idolo fu collocato in Dan. Il territorio di Dan al
con.fine e vicino ai territori pagani, come risulta da quanto
scritto nel libro di Giosu figlio di Nave. Perci sono
vicini ai territori pagani al~uni degli idoli che fabbricarono,
come ho spiegato, i fratelli di Ader.
4. - Tu perci, ~io signore e figlio, attendi principalmente alla lettura delle scritture divine: ma attendi come
si deve. Infatti ,abbiamo bisogno di molta concentrazione
allorch leggiamd le eose divine, per non dire e pensare di
esse qualcosa di troppo sconsiderato. E attendendo alla lettura delle scritture divine con fede e attenzione gradita a
Dio, batti alle loro porte chiuse, e ti saranno aperte dal
portiere, del quale Gesu ha detto: A costui il portiere apre
12 Era convinzione comune fra i cristiani, e almeno parzialmente
rispondente alla verit, che a fondamento delle eresie ci fosse l'influsso malefico della filosofia greca. Questo motivo sistematicamente sviluppato nella 'Refutatio attribuita ad Ippolito, ove ogni
eresia messa in collegamento con qualche dortrina filosofica.
58
59
e con fede ferma in Dio il senso delle sacre scritture nascosto ai piu. Ma non accontentarti di battere e cercare:
infatti assolutamente necessaria anche la preghiera che
chiede di comprendere le cose divine. Per spingere ad essa
il salvatore non soltanto ha detto: Battete e vi sar aperto,
e Cercare e troverete; ma anche: Chiedete e vi sar dato
(Mt. 7, 7; Le. 11, 9). Tali cose ho avuto l'ardire di dirti
in forza dell'amore paterno che ho per te. Se bene o no
ci che ho:.osato, lo sa Dio e il suo .Cristo .e c0lui che partecipa dello spirito di Dio e dello spirito di Cristo. Possa
anche tu esserne partecipe e rendere sempre piu grande la
partecipazione per poter dire non soltanto: Siamo diventati
partecipi di Cristo (Hebr. 3, 14), ma anche: Siamo diventati partecipi di Dio.
CAPITOLO Il
DIO
62
II. DIO
crassa e consistente. opportuno tener ben presente questa concezione materialista degli stoici, perch essa influenz
non poco la cristianit asiatica del II-III secolo, innalzando
a livello filosoficamente apprezzabile una fonda.mentale
impostazione materia.list:i di pensiero ereditata dalla cultura giudaica, cui il cristianesimo asiatico fu legato in maniera molto stretta. Di qui anche l'ambiguit del termine
incorporeo (asomatos), uno dei pili frequentii. attributi della
divinit, che da un punto di vista platonico, condiviso dal
cristianesimo alessandrino, indicava. -la .c0mpleta rmmateria~
lit di Dio, mentre invece per uno stoico e spesso per il
cristiano di culcura asiatica indicava soltanto che Dio era
composto di una materia particolarmente sottile e perci
non percepibile da parte nostra.
AI di l di questa, sia pur fondamentale, differenza d'impostazione, si fa strada nel mondo cristiano la convinzione
dell'incomprensibilit di Dio, concepito come Dio personale assolutamente trascendente rispetto al mondo della
creazione. Gi gli ebrei avevano rilevato la netta separazione fra Dio e il mondo: ma ora il concetto viene elaborato e approfondito soprattutto sulla base della, problematica filosofica greca, prevalentemente d'impostazione platonica, che accentua a tal misura questa trascendenza divina
da rendere Dio del tutto remoto e addirittura estraneo al
mondo della ~reazione, e da dover perci postulare l'esistenza di uno o piu esseri divini inferiori, per.; mezzo dei
quali il Dio sommo opera provvidenzialmente nel mondo,
senza entrare con esso direttamente in c0ntatto. Ci dovremo ricordare questa concezione largamente diffusa nel
mondo greco del II e del III secolo allorch tratteremo
del Logos cristiano. Qui baster accennare :che l'inconoscibilit di questo Dio trascendente sottolineata da tutta
una terminologia apofatica, negativa, che di Di'o definisce
non ci che ma piuttosto ci che non : incomprensibile,
invisibile, inconcepibile, incircoscrittibile, ecc. Assolutamente impenetrabile nella sua essenza, il Dio sommo
per il Dio crea core e provvidenziale (sia pur per mezzo
di esseri intermediari): in tal modo l'uomo pu: arrivare a
INT!lOPUZIONE
63
64
II. DIO
siderare lo spirito come un sottile substrato corporeo, costituente la natura, l'essenza stessa di Dio: Tertulliano, fedele
rappresentante in Africa della cultura asiatica, dcl tutto
esplicito in tal senso.
Il platonismo di Origene era orientato in maniera perfettamente antitetica rispetto a questo indirizzo: il suo spiritualismo (e intendiamo il termine nella accezione usuale,
moderna, come antitesi perfetta a materialismo) respingeva
con ripugnanza l'idea di un Dio corporeo, quale che fosse
la forma in cui questo concetto era articolato; e la sua
preoccupazione fondamentale, allorch ebbe occasione di
trattare della realt stessa di Dio, fu sempre quella di sostenerne l'assoluta immaterialit, combattendo ogni concezione
materialista e antropomorfa, a qualsiasi livello, sia popolare sia culturalmente piu impegnato: abbiamo visto che
proprio questo rimprovero egli muove agli stoici. E ogni
volta che ha occasione d'interpretare Giov. 4, 24, la preoccupazione d'Origene sempre la stessa: combattere il concetto di spirito come substrato divino di natura sottilmente
corporea e materiale.
L'altro punto fondamentale della teodicea origeniana
concerne la trascendenza e l'inconoscibilit di Dio. Ma se
da un lato 'Origene sottoline~ egregiamente tale condizione,
dall'altro non nega all'intelletto umano, che ha una qualche
affinit cori' Do, di poter afferrare quasi un barlume, un'ombra della realt divina, insufficienti certo per una conoscenza
perfetta, faccia a faccia (I Cor. 13, 12), ma tali da permetterci di fissare almeno qualcuno dei fondamentali caratteri
di Dio. Siamo qui nell'ambito di una secolare questione
dibattuta nelle scuole platoniche circa i limiti della stessa
trascendenza divina; e Origene, pur non affrontando mai
ex professo la discussione su tale controversia, per vari
accenni dimostra di esserne influenzato: soprattutto sul
punto centrale se Dio potesse essere considerato nous
(mente, ragione) ed ousia (essenza, sostanza), ovvero trascendente anche le categorie della razionalit e dell'essere.
Nel presentare il pensiero di Origene su questo argomento, abbiamo addotto come passo fondamentale la trattazione su Dio che Origene ha svolto a Princ. I 1, l'unica
INTRODUZIONE
65
ampia e sistematica che leggiamo nelle sue pagine superstiti, incentrata sugli argomenti base dell'incorporeit divina
e dei suoi carat'~eri fondamentali accessibili alla mente
umana. Intorno a '.ques~o fulcro abbiamo disposto altri passi
del Contro Celso 1e del Commento a Giovanni, al fine o di
approfondire cei::t! aspetti di quegli argomenti o di presentare qualche sputjto di minore importanza (polemica antipoliteistica). L'ultimo passo (Frine. II 5, 3) tratta a livello
filosofico, in appendic a ben piu vasta trattazione sviluppa ca su base scriuri~tica, un argomento fondamentale di
polemica antigno~tica.: Gli gnostici distinguevano il Dio
creatore del VT, .divinit inferiore caratterizzata dalla giustizia, dal Dio soimmo, il padre di Cristo assolutamente e
soltanto buono, che s:i rivelato nel NT. Contro questo
assunto Origene sostkne la necessit della coesistenza, nell'unico Dio, di bont 'e giustizia.
1. - POLITEISMO E MONOTEISMO:
11. DlO
wc;
ovo' V1t.
a.
POLlTElS.MO E. MONOTEISMO
69
parti, e che pertanto non pu essere opera di una pluralit di artefici, come pure non pu essere retto da una
pluralit di anime le quali muovano tutto l'universo. Basta
infatti una sola anima, che muove tutto l'universo fisso da
oriente ad occi~ente, ed abbraccia in se stessa tutte le cose,
di cui il mon<;io ha bisogno, e che non sono complete in
se stesse. Dif~~ti tutte le cose sono parti del mondo, ma
Dio non pa~te del tutto, dal momento che Dio non pu
essere incomp~eto, come incompleta la parte,. E, forse,
un esame piu ,profondo giunger a dimostrare che a rigor
di termini Dio~ come non parte, cosf non neanche tutto,
perch il tutto si compone di parti, ed il raziocinio non
pem1etter ma,i di ammettere che Dio, sommo fra tutti,
sia composto ~H pa,rti, ognuna delle quali non pu quello
che possono le.. altre :parti.
III 40. - Considera quindi, se le dottrine della nostra
fede, che sonoi: in perfetto accordo con le nozioni comuni
originarie, non riescono a convertire quelli che ascoltano
con cura i nostri detti! Infatti, se anche la perversione,
quando viene aiutata da una notevole cultura, ha potuto
inserire nella moltitudine l'idea che le statue sono degli
di, e che gli :oggetti fatti d'oro, d'argento, d'avorio e di
pietra sono degni .di adorazione, tuttavia la comune nozione
esige di ritenere che Dio non in nessun modo una materia
corruttibile, e non pu essere onorato in materia inanimata, plasmato dagli uomini a immagine (Gen. 1, 26),
oppure secondo alcuni simboli che lo raffigurano. Per questa ragione viene spontaneo il dire, parlando delle immagini, che esse non sono divinit (Act. 19, 26), e parlando
di tali oggetti fatti dalla mano dell'uomo, che essi non
sono paragonabili al Creatore, e sono ben piccola cosa di
fronte al Dio supremo che ha creato e mantiene e governa
tutto l'universo. Ed anche in modo spontaneo, come riconoscendo i suoi legami naturali, l'anima razionale rigetta
quelli che prim le eran sembrate essere divinit, ed invece
J Origene riprende capovolgendolo il passo di Gen. 1, 26: qui
detto che Dio fece !'omo a sua immagine; invece gli uomini con
i loro idoli fanno Dio a loro immagine.
iO
JI. DIO
xcx.t TI)c;
~ac:rL.Elcx.c;
CX.U"t'OV ).6yov .
2. - INCORPOREIT DI DIO.
INCO!tPOll~lT 01 DIO
71
_ [Princ_ipi I 1,.1-4] .L .- So che alcuni, anche fondandosi sulle nostre scritture, cercheranno di sostenere che
Dio corpo, poich in Mos trovano scritto: Dio nostro
fuoco che divora (Deut. 4, 24 ), e nel vangelo di Giovanni:
Dio spirito, e quelli che lo adorano lo debbono adorare
in spirito e verit (I o. 4, 24 ): fuoco e spirito essi non
reputano esser altro che corpo. A costoro voglio chiedere
che cosa dicono del fatto che scritto: Dio luce (I Io.
1, 5 ), come Giovanni dice nella sua lettera: Dio luce e
in Lui non sono tenebre. Questa certo luce che illumina
ogni pensiero di coloro che possono comprendere la verit, come detto nel salmo XXXV: Nella tua luce vedremo
La luce (Ps. 35, 10). Ma che cosa altro diremo luce cli Dio,
nella quale uno vede la luce, se non la potenza di Dio,
illuminati dalla quale osserviamo la verit di tutte le cose
e conosciamo lo stesso Dio, che detto verit (Io. 14, 6 )?
Questo pertanto il significato dell'espressione Nella tua
luce vedremo La Luce: nella tua parola e nella tua sapienza,
che tuo Figlio, in lui vedremo te Padre. O forse perch
chiamato luce, lo crederemo simile alla luce del nostro
sole? Ma allora in che modo potrebbe darsi una anche modesta capacit di comprendere, si che con questa luce corporea uno possa intendere la causa della conoscenza e comprendere la verit?
2. - Se accettano questa nostra dimostrazione sulla natura della luce, che la ragione ci ha suggerito, e ammettono che sulla base del concetto di luce Dio non pu essere
inteso come corpo, analoga spiegazione razionale daremo
anche in merito al fuoco che divora. Che cosa infatti Dio
divora, in quanto fuoco? Forse penseremo che egli divori
72
Il. DIO
JNCOl~JlE.IT DI '.DIO
73
74
II. DIO
3. - Sed et cum de spmtu sancto 5 multi sancti participant, non utique corpus aliquod intellegi potest spiritus
sanctus, quod divisum in partes corporales percipiat unusquisque sanctorum; sed vircus profecto sanctificans est,
cuius participium habere dicuntur omnes, qui per eius gratiam sancti.6cari meruerint. Et uc facilius quod dicimus
possit intellegi, ex rebus quamvis inparibus sumamus exemplum. Multi sunt qui disciplinae sive artis medicinae participant, et numquid putandum est omnes eos, qu~ medicina.e
parcicipant, corporis alicuius, quod medicina dicitur, in medio posici sibi auferre particulas et ita eius participium sumere? an potius intellegendum est quod quicumque promptis
paratisque mentibus intellectum artis ipsius disciplinaeque
percipiunt, hi medicinae participare dicantur? Sed haec non
omnimodis similia exempla putanda sunt de .medicina sancto
spiri cui comparata; sed ad hoc tantummodo conprobandum,
quia non continuo corpus putandum est id, cuius participatio habetur a plurimis. Spiritus enim sanctus longe dHiert
a med.icinae ratione vel disciplina, pro eo quod sanctus
spiritus subsistentia est intellectualis et proprie ~ubsistit et
extat 6 ; nihil autem tale est medicina.
4. - Sed et ad ipsum iam sermonem evangeHi transeundum est, ubi scriptum est quia deus spxritus est (Io.
4, 24 ), et ostendendum est quam consequenter his quae
diximus intellegi debeat. Interrogemus namque quando ista
d.ixerit salvator noster vel apud quem vel cum quid quaereretur. Invenimus sine dubio quod ad Samaritanam mulierem
loquens ista protulerit, eam quae putabat quod in monte
Garizin secundum Samaritanorum opinionem adorari oporteret deum, dicens quoniam deus spiritus est. Quaerebat
enim ab eo Samaritana mulier, putans eum unum esse ex
Iudaeis, utrum in Hierosolymis adorari oportret deum,
aut 'in hoc monte; et ita dicebat: Patre.s no.stri omnes
in hoc monte adoraverunt, et vos dicitis :quia~ in Hiero~
s Lo Spirito santo, inteso come persona divina (cfr. n. 6), rappresenta appunto uno dei vari significati del termine spirito, di cui
a n. 4. Qui Origene si preoccupa ancora di precisare che la partecipazione dei santi allo Spirito santo non deve essere/ intesa come
INCORPORE.IT DI DIO
76
Il. DIO
INCORPOREIT Dl DIO
77
11. DIO
o!
lNCORPOJt:EJT DJ DIO
79
80
Il. DIO
01.0V 1tEpt:ti.i}tv-rw'V "ti;l E<';> xa.. E\i.61w "'(E 't'OU't'O 7tpa:t..t'OEV 4 , ou"twc; xcd m -rwv dp'Tlivw'V 6"Vo<i."w" -r .xOouito'V i'}i:v 7tOt.l}'t'EoV. xat Oij.ov "'(E G.7t 't'OU cpawoi\lov
-i'J~'V 7tpa.x-ri.xwdpou <I>wc; 1.p E<r"tw o 1'E6c;, xcn. -r'J
'lwci'V'VTl'V, xa.. CTXO't'la. ox Ecr'"t't.'V v ctv-rQ OOElt . [ 132]_
7twc; o-i} q>wc; CI"t'V \IOl}"tO'V XCI"t'cl 't' 0\J'VCX.'t''V 1}i:'V <rlJ\IE"tW"tEpo'V mO-XE~ws:i}a. Oi.xwc; 1p "t q>Wc; voti~E"t'cx.1.,
O'WlJ.(I"tl.XO\I "tE xa.. 7tVEua."tt.XO'V, 07tEP cr"tt \IOl}'t'V xa.t wc;
iv cd jpa.cpa.1. 8.:v yot.E\I 6pa."toV, wc; O' a:v "E.T)'VEc;
'Voci.0-cx.1.EV,; cX.crwa.-.ov. [ 133] xa.L -rov yE 01..anxov
itcx.pcioet. y~ o.oyovEVov "toi:c; 't"l" Lcr"t'opla.'V Ttcx.pa.oex.otvoi.c; i: ~ IIciaw O i;oi:c; utoi:c; 'Icrpa.1)). Tiv cpwc; tv Tticn.v
etc; xcx.-.eylvo'Vi:o (Ex. 10, 23 ) -.ou o 'VOT)"'tOu xa.1. 7tVE\lai;1.xov E\I "'tt.Vt. 'tW\I owoexcx. L1tELpa."t'E tcx.v"toi:c; Etc; Ot.Xa.t.oO'.l'Vl}V' -rpvyi)cra.'tE Etc; XCX.p7t'V ~wijc;, cpW"tlCTa'tE Ea.u-ro~c;
cpwc; y"Vwcri:wc; (Os. 10,12). [134] olwc; o xa.1. "t'
crx6-roc; xa.*' .va.oyla.v 01.x.wc; .EX.~CTE'tat.. xa.~ i;o v
xot. 'V6"t'Epo'\I e:yotvou 7tetpcioEt.ya. Kct.t xci.EO"EV 1'Ec;
"t' cpwc; ,;tpa.'\I, xcx.1. "t crx6-roc; bci.EcrEv vvx't'a. ( Gen.
I J 5 ) "'tOV o.~ VOTj'tOU. 'o .cx.c; o xcx.1'1)Evoc; 'V O"XO"t'ET. * *
xa.t O"Xt.~ itcx.vchou, cpwc; .'V't'Et..EV a.'t'oi:c; (I s. 9, 2 ).
3. - CONOSCIBILITA DI DIO.
\~
"'
81
CONOSClBILIT DI DIO
anche diffusa nella cristianit asiatica, la cui impostazione materialista abbiamo gi rilevato. L'argomento ripreso in Dia!. c. Heracl. 12.
82
Il. DIO
10 Cfr. supra, n. 1.
11 Con mens Rufino ha tradotto il greco nous. La definizione
1
CONOSCIBILIT DI DIO
83
detto, non gli dovremo dire che la luce del sole incomparabilmente superiore alla luce che egli vede? Analogamente quando la nostra intelligenza chiusa ndle angustie
della carne e del sangue ed resa piu tarda ed ottusa dal
contatto con questa materia, anche se al confronto con la
natura corporea di gran lunga superiore, tuttavia quando
tende alle realt incorporee e cerca di comprenderle, ha
a stento il valore di una scintilla o di una lucerna. Ma fra
le realt imellettuali, cio incorporee, che cosa tanto
-superiore'" a tutti, tanto ineffabilnrente :e inestimabilmente
eccellente quanto Dio? Perci la sua natura non pu essere
compresa dalla capacit della mente umana, anche se la
piu pura e la piu limpida.
6. - Ma non sembra fuor di luogo se, per render piu
evidente il concetto, ci serviamo di un altro paragone. Talvolta i nostri occhi non possono guardare la natura della
luce, cio la sostanza del sole; ma osservando il suo splendore e i raggi che si diffondono nelle finestre o in piccoli
ambienti atti a ricevere la luce, di qui possiamo arguire
quanto grande sia il principio e la fonte della luce materiale.
Analogamente le opere della provvidenza divina e la maestria che si rivela nel nostro universo sono, per cosi dire,
i raggi di Dio, a confronto della sua natura e della sua
sostanza. Pertanto, poich con le sue forze la nostra mente
non pu concepire Dio quale egli , dalla bellezza delle
sue opere e dalla magnificenza delle sue creature lo riconosce padre dell'universo.
Perci non si deve credere che Dio sia corpo o sia racchiuso in un corpo, bensi che egli natura intellettuale
semplice, cui assolutamente nulla si pu aggiungere, perch non si pensi che egli abbia in s qualcosa di piu o di
meno: ma egli in senso assoluto monade e, per cosi dire,
enade: intelligenza e fonte da cui deriva ogni intelligenza
dj Dio come monar corrente nella filosofia greca (Diels, Doxographi
Graeci, p. 304), e cosi quella di unum, ben. Meno corrente quella
di henas, che sembra ricorrere qui per la prima volta. Sulla definizione di Dio come nous ovvero superiore anche a questa definizione
si veda n. 17.
II. DIO
veatur ve! peretur, non indiget loco corporeo neque sensibili magnitudine ve! corporali habitu aut colore, neque
alio ullo prorsus indiget horum, guae corporis vcl materiac
propria sunt. Propter quod natura illa simple.x et tota mens
ut moveatur vel operetur aliquid, nihil dilationis aut cunctationis habere potest, ne per huiusmodi adiunctionem circumscribi vd inhiberi aliquatenus videatur divinae naturae
simplicitas, uti ne quod est principium omnium, compositum
inveniatur et diversum, et sit multa, non unum, quod oportet totius corporeae admixtionis alienum una sola, ut ita
dixerim, deitatis specie constare.
Quia autem mens non indigeat loco, ut secundum naturam suam moveatur 12 , certum est etiam ex nostrae mentis
conternplatione. Haec enim si in sua mensura consistat, nec
ex qualibet' caus'a aliquid ei obtunsionis eveniat, nihil umquam ex lo'corum diversitate tardabitur, quominus suis motibus agat; peque rursum ex locorum qualitate augmentum
aliquod vel incrementum mobilitatis adquiret. Quodsi obtendat aliqis, verbi gratia, quia navigantibus et fluctibus
maris iactatis minus aliquanto mens vigeat quam vigere in
terris solet, non eos ex loci diversitate id pati, sed ex corporis commotione ve! conturbatione credendum est, cui
mens adiuricta est vel inserta. Videtur enim velut contra
naturam in mari degere corpus humanum, et propter hoc
velut quad~n.: sui lnaequalitate motus' mentis inconposit
inordinateque suscipere et acuminis eius ictus obtunsiore
ministerio dispensare, non minus quam si qui etiam in terra
positi febribus urgeantur; quorum certum est quo_d, si minus aliquid per vim febrium mens suum servet officium,
non loci culpam, sed morbum corporis esse causandum, per
quem perturbatum corpus atque confusum nequaquam notis
ac naturalibus lineis solita menti dependit officia, quoniam
quidem nos homines animal sumus compositurn ex corporis
animaeque concursu; hoc enim modo habitare nos super
terras possibile fuit. Deum vero, qui omnium initium est,
12 Dio concepito da Origene soprattutto come attivit, piu che
come essere statico: cfr. la definizione della Trinit nel c. 4. Vedi
infra, n. 15.
CONOSCIBILIT DI ~10
85
11
e tutta la sostanza. iritellettuale. Ma l'intelligenza per muo-versi ed agire ~on ha bisogno di spazio materiale n di
dimensione sensibile :n di figura corporea o di colore, n
assolutamente di. alcun di quelle che sono le propriet del
corpo e della rriateria. Perci quella natura semplice, che
tutta intelligedza, per muoversi ed agire non pu trovare
ritardo e indugio: altrimenti sembrerebbe che per tale
aggiunta sia in qualche modo limitata ed impedita la sem
plicit della nati'..ira divina; sarebbe composto e molteplice
ci che il principio di tutte le cose; e sarebbe molteplicit non unit ci che, privo di ogni mescolanza corporea,
deve consistere, per cosi dire, nella sola forma della divinit.
Che un'intelligenza non abbia bisogno di spazio per
muoversi secondo la sua natura, risulta chiaro anche dalla
considerazione della nostra mente. Essa infatti, se si tiene
nei suoi limiti, senza essere per qualche motivo offuscata,
non viene ritardata nello svolgimento della sua attivit dalla
diversi c dei luoghi; n di contro acquista maggiore mobilit per effetto della natura di questi. Se poi qualcuno
obietter, p. es., che talvolta la mente dei naviganti agitati
dal mare grosso meno vivace di quanto suole essere a
terra, dobbiamo ritenere che ci loro avvenga non a causa
della diversit del luqgo, ma per la commozione ed il turbamento del corpo, cui la mente connessa e unita. Infatti
il corpo umano 'in mare si trova in condizione non na turale, e per tal inothro quasi per sua insufficienza accoglie
in maniera scomposta e disordinata gl'impulsi della mente
e reagisce debolmente ai suoi stimoli acuti, non men.o che
se uno in terra sia oppresso dalle febbri. Sappiamo infatti
che, se la mente di costoro a causa della violenza della
febbre non riesce ad adempiere le sue funzioni, ci dipende
non dal luogo ma dalla malattia del corpo, che lo turba e
lo sconvolge sf che non pu prestare il consueto servizio
alla mente nella: nota e naturale misura: infatti noi uomini
siamo esseri animati composti dall'unione di corpo e anima,
e solo cosi ci stato possibile abitare sulla terra. Ma Dio,
che principio .di ogni cosa, non dobbiamo crederlo composto: altrimenti verrebbero ad essere anteriori allo stesso
1
Il. DlO
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CONOSClBlLIT 01 010
87
88
'll. DIO
CONOSCIBILIT 01 010
89
90
II. DIO
CONOSClBlLIT DI DlO
91
92
Il. DIO
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Numenio identificavano Dio= uno= nous mentre Plotino (e Speusippo?) subordinavano il nous all'uno/Dio, come del resto anche gli
gnostici Valentiniani: si veda Kraemer, Der Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam 1964.
18 Cfr. IV .52 Dio non ha creato nulla di mortale i.. Qui e di
seguito Origene rileva e forza una certa incertezza di Celso derivante
dal fatto che la tradizione platonica dell'epoca da una parte insisteva sulla assoluta trascendenza di Dio rispetto al mondo della
creazione, col quale perci egli non poteva entrare direttamente in
contatto, e dall'altra rilevava al massimo l'opera provvidenziale di
Dio nel mondo, svolta per non direttamente ma mediante esseri
inferiori intermediarii.
93
CONOSCllllLJT DI DIO
94
ll. Dm
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n.
96
DIO
* * *
Ex quibus omnibus constat unum eundemque esse
iustum et 'bonum legis et evangeliorum deum, et bene fa.
cere cum iustitia et cum bonitate punire, quia nec bonum
sine iusto :nec iuscum sine bono dignitatem divinae potest
indicare naturae.
Addemu~ adhuc etiam haec, versutiis eorum conpellentibus nos. si aliud est iustum quam bonum, quoniam bono
malum contrarium est et iusto iniustum, sine dubio et
iniustum :aliud erit quam malum; et sicut iustus apud vos
non est bonus, ita neque iniustus erit malus; et rursum,
sicut bonus non est iustus, ita et malus non erit iniustus.
Quomod-i autem non videtur absurdum, ut deo quidem
bono contrarius sit malus, deo autem iusto, quem inferiorem a bono dicunt, contrarius nemo sit? Non enim sicut
Satanas est, qui malus dicitur, ita est aliquis alius, qui
dictur iniustus. Quid ergo est? Reascendamus ea, quae
descendimus. Non poterunt dicere quia malus non etiam
iniustus sit et iniustus malus. Quodsi in istis contrariis
indissociabiliter inhaeret vel malo iniustitia, vel iniustidae
malum, sine dubio et bonus indissociabilis erit iusto, et
iustus bono: ut sicut unam eandemque nequitiam malitiae
et iniustitiae dicimus, ita et bonitatis ac iustitiae virtutem
unam eandemque teneamus.
97
.i
* * *
Da tutti queiti passi chiaro che uno solo e Io stesso
il Dio giusto ~ bumo della Legge e dei Vangeli, e che
egli benefica con giustizia e punisce con bont, perch non
segno della ~gnit della natura divina n bont senza
giustizia n giustizia senza bont.
Spinti dalle loro a'stuzie aggiungiamo ancora questo: se
il giusto diverso dal bene, poich il male il contrario
del bene e l'ingiusto del giusto, l'ingiusto sar diverso dal
male. E come per voi. una persona giusta non buona, cosi
una ingiusta non cattiva, e di converso, come uno buono
non gius~o, cosi uno cattivo non sar ingiusto. Ma allora
come non ri.sulter assurdo che sia opposto al Dio buono
uno cattivo, ma nessuno contrario al Dio giusto, che riconoscono inferiore al Dio buono? Infatti, come Satana
detto il maligno, non ce n' altro che sia detto l'ingiusto.
Che dunque? Torniamo l donde abbiamo preso le mosse.
Non potranno d~~e che il cattivo non anche ingiusto e
l'ingiusto non cattivo. Ma se in questi contrari ingiustizia
e malvagit sono indissolubilmente unite, anche la bont
sar indissolubilmente unita alla giustizia e la giustizia alla
bont: e come parliamo di una sola e stessa nequizia della
malvagit e della ingiustizia, cosf affermiamo una sola e
stessa virtu della bont e della giustizia.
CAPITOLO III
CRISTO
100
IU. CltlSTO
nologia la stessa concezione, preferisce de.finire Cristo Logos, cio parola divina. I caratteri del Logos divino sono
gli stessi 'della sapienza veterotestamentaria, ma il nome
proponeva .una perentoria apertura verso il mondo greco,
ove gli stoici avevano indicato con esso la forza divina
immanente nel mondo, che d ad esso razionalit e divinit.
Non sfuggi ai teologi cristiani del II e III secolo la differenza fra il logos stoico, forza divina immanente nel mondo,
e il Logos cristiano, persona divina trascendente il mondo:
ma l'affinit dei concetti favoriva l'elaborazione della dottrina cristologica secondo parametri tipici della tradizione
filosofica greca.
Su questa strada s'incamminarono gli apologisti greci
del II secolo, Giustino Taziano Atenagora Teofilo. Essi
risentirom> in maniera pili o meno accentuata l'influsso di
una dottrina allora corrente in ambienti soprattutto filosofici, che, colmava lo iato esistente fra il sommo Dio assolutamente: _trascendente e il mondo per mezzo di un dio
inferiore, variamente denominato (secondo Dio, Nous, ecc.),
che realizz~va la provvidenziale volont del Dio sommo in
ordine alla! creazione e al reggimento del mondo e degli
uomini. Su questo schema gli apologisti approfondirono la
teologia c;U risto Logos, presentandolo come ragione e
parola divina immanente nel Dio sommo, il Padre, che viene
da lui emessa, generata come persona sussistente per procedere appunto alla creazione, al reggimento e infine alla
redenzione del mondo. Due pericoli erano insiti in questa
concezione: 1) dividere la persona di Cristo da quella del
Padre fino a farne un vero e proprio secondo Dio, contro
la fondamentale affermazione monoteistica della religione
cristiana; 2) questo secondo Dio era considerato nettamente inferiore al sommo Dio trascendente. Gli apologisti
ebbero coscienza soprattutto del primo di questi due pericoli e cercarono di ovviarvi sostenendo che Cristo , sf,
distinto dal Padre ma non separato, cosf come il raggio
distinto dal sole ma non separato totalmente da lui. Ma
non bastarono questi chiarimenti per mettere la teologia
degli apologisti a riparo delle critiche che venivano loro
avanzate da parte di chi li accusava di concedere troppo
11''TROOUZlONE
101
102
III. CJtISTO
appellativi di ongme scricturistica che ormai tradizionalmente venivano applicati a Cristo: logos sapienza potenza
immagine via verit vita porca pastore vite, ecc. Essi non
sono meri nomi bensi modi di presentare la diversa operazione di Cristo nel mondo e la sua mediazione fra il
mondo e il Padre. Alcune delle epinoiai sono particolarmente connesse con l'opera pedagogica e redentrice di
Cristo a favore dell'umanit (vita, pastore, vite, pane, pietra); altre sottolineano soprattutto il rapporto .fra Cristo
e il Padre ma sempre in ordine alla sua funzione mediatrice (sapienza, logos, potenza, immagin~): t\,l.t~e~ in.~~em.~.
caratterizzano il Figlio come pluralit rispetto aU'uni t paterna, secondo il rapporto Uno/ nom ( = plOlti) che leggiamo nelle coeve opere di Plotino. Particolare incidenza
sul pensiero di Origene hanno le epinoai di Cristo come
sapienza e logos del Padre. Esse caratterizzano la fondamentale funzione del Figlio di realizzare le opere del Padre
e di rivelarle al mondo. In questo contesto Origene affronta
la tradizionale problematica platonica del rapporto fra Dio
e il mondo delle idee: egli non crede all'esistenza di questo mondo in forma separata ed autonoma ma lo racchiude
- secondo una soluzione ben attestata nella filosofia platonica anteriore -- nel Logos, che perci viene definito
talvolta come un mondo, come un complesso di immagini
e d'idee: qt,li il massimo sforzo compiuto da Origene per
evitare ogni connotazione di carattere corporeo e animale
nella presentazione di Cristo come Figlio di Dio.
Per valutare rettamente la teologia origeniana del Logos, di cui abbiamo potuto dare qui soltanto un~brevissimo
ragguaglio, bisogna considerarla nel contes'to polemico in
cui essa stata elaborata. Proprio in opposfaione al monarchianismo modalista, che negava al Figlio, in qunto Logos
divino, ogni sussistenza personale, Origene h'a talvolta sottolineato fin troppo questa personalit e a tal fine lne ha rilevato l'inferiorit rispetto alla persona divina del Padre. Ma
piu che in questa presentazione di carattere statico, il motivo di base della teologia origeniana del Logos va ravvisato nella concezione dinamica con cui egli predilige presentare il rapporto fra il Padre e il Figlio: in tale prospet-
111.'TlODUZlONE
103
104
Ili. CRISTO
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108
Ul. ClUSTO
109
dualit e la sostanza [individualmente] circoscritta, concepita come distinta da quella del Padre. [ 17] Occorre dire
a costoro: Dio .. ( 6 ~Eoc;) Dio-in-s; e per questo anche
il Salvatore nella sua preghiera al Padre dice: Che conoscano le, unico vero Dio (lo. 17, 3 ). All'infuori del Dioin-s, tutti quelli fatti per partecipazione alla divinit di lui
si devono chiamare piu propriamente Dio e non il
Dio. Tra questi, di gran lunga il piu augusto il primogenito di ogni creatura (Col. 1, 15), in quanto, in virtu
dell'esser presso Dio, per primo trasse a s la divinit,
divenuto poi ministr> di divinizzazione per gli altri d.i che
sono dopo di lui (e dei quali Dio Dio, secondo quanto
dice la Scrittura: Il Dio degli di parl e convoc la terra)
(Ps. 49, 1 ), attingendo da Dio e comunicando loro abbondantemente, secondo la sua bont, perch fossero divinizzati. [ 18] Vero Dio dunque il Dio ; coloro invece
che sono di, in quanto prendono forma da lui, sono come
immagini d un prototipo. E l'immagine archetipa delle
varie immagini il Logos che era presso Dio, che era nel
principio; egli rimane sempre Dio per il fatto di essere
presso Dio (I o. 1, 1 ); e non avrebbe questo se non rimanesse presso Dio; non rimar.rebbe Dio se non perseverasse
nella contemplazione perenne della profondit del Padre.
3. - [ 19] Ora per pu accadere che alcuni siano urtati
da quanto abbiamo detto, che cio vi un solo vero Dio,
il Padre, e dopo questo Dio vero numerosi altri, divenuti
tali per partecipazione; costoro infatti temono che la gloria
di colui che supera ogni creatura sia equiparata a quella di
tutti gli altri che ricevono l'appellativo di di . E pertanto alla distinzione gi fatta in precedenza, secondo cui
abbiamo detto che il Logos che Dio ministro della divinit per gli altri di, dobbiamo aggiungerne un'altra. [20] Il
Logos che in ciascun essere dotato di logos ha, rispetto
altri esseri (poteniC angeliche, astri) che tradizionalmente potevano
essere denominati dei in senso lato. La distinzione, ispirata dall'uso
giovanneo, di Diq con l'articolo ( = Padre) e Dio senza articolo
( = Figlio e altri dei), di per s nettamente subordinante: di qui
lo sforzo di ridurte il pi possibile questa subordinazione nel rapporto Padre/Figlio.
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110
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112
C1l'.STO
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o: cx OV't'i..c; EOWXE xvpt.oc; o i}E6 O'O\J)) (Deut. 4, 19).
[ 26] itW y.p :.itw:t.E micn "t'oic; EWECTL\I f)t.ov xa.l.
O" TJV'l']V xa. TCciv't'a. -rv x6o-ov "tOU opa.\lou o ikc;, ox
oi.hwc; OEOWXW<; Cl.-t. "t'Q '!O'pai} 5 ; "t'@ "t'oc; ii ouvcx.lvovc; 7t. -n')v voT)-n')v d.vcx.opa.EL\I q>uCTt.V, ot.' atGh)'t'WV
l>swv Xt.\IOV_vovc; 7tEp. JEO'Ci}"t'Oc;, c.yctitT)"t'W Xet\I 'v "t'OV"t'Ot.c; tO""t'a.crl>a.1. xc:d ii itl'lt"t'Et.v TC. ELOwa. xat om.6v1.a..
[ 27] ovxov\I oL v 1'sv lxova-t. -rv "t'W\I o.wv i}E6\1 1 ot
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[ 28] Ov'tw -r:olw'V oL \I "t't.vsc; c:-r:ixouow av"t'o -ro
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eto6"t'e et 1} 'IT]aouv Xpr.,n'V xa.t -rov-tov O""t'avpwl.
towv
113
dei da altri popoli, Ja non da Israele, che adorava H solo vero Dio.
La religione astrale ha per Origene il merito, sia pur parziale, di
distogliere gli uomini da altre forme inferiori di religione idolatrica.
114
III. Clt.ISTO
115
116
117
sembra esso stesso il primo Logos: son quelli che non conoscono altro che Gesu Cristo e: lui crocifisso e vedono
soltanto il Logos ,[fatto] i::ame; terzi vengono coloro di cui
abbiamo parlato poc'linzi; che dire poi di coloro che son
ritenuti essere nel Logos, mentre invece si sono staccati
non soltanto dalla Bellezza in s ma perfino dalle tracce
impresse in coloro che vi partecipano?
118
llI. CIUSTO
119
120
'"
1'':
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UI. CJllSTO
121
cosmologica del Figlio di. Dio, in quanto creatore del mondo. Per
distinguerli in qualche modo, qui e altrove Origene puntualizza propriamente nella Sapienza l'attivit creatrice e riferisce invece al Logos
la rivelazione del piano divino messo in opera dalla Sapienza.
12 Questo scritto apocrifo perduto, da non confondere con gli
Atti di Paolo e Tecla, ricordato altre volte da Origene (Co. Io.
XX 12). La citazione qui k.ddotta riecheggia Hebr. 4, 12.
122
IU. CJJSTO
[Commentarium in Ioannem I 19-20] i9. - [ 109] Tocro\J-c:wv O'T]m.vovwv 7tl. -c:ou mx.povi:oc; i)tv u7tom:cr6v"t'WV 7tEpL px;i)c; , l)"tOV 1t1. "t'lvoc; oe:t .cx.!3cive:t.\I "t
'Ev .p:xii ijv o .oyo (Io. 1, 1 ). xcd crcx.cp'!c; o"tt. ovx
itl. "t'OV w E-.cx.!3cicre:w fi w oo xcx.I. i}xov ovx
i.oT).OV O O"tl. ov itt "tOV w ye:vCTEW. [ 11 o] it.T}\I
cSvvcnv wc; "tO ucp' ou, OitEp cr-rl. itOl.OVV 14 , e:tye: \IE"tEL.CX."t'O ih:c; xcx.I. x"tlcrih1crcx.v (Ps. 148, 5), 0111.oupyi;
ycip itW<; XPl.O'"tO fo"tW, i;l .yEt. O TCcx.Tf}p re:v11ihii:w
cpw xcx.I. re:vT}i}-i)i:w CT'tEpwcx. )) {Gen. 1,: .3; 1:, 6 ). [ 111]
071LO\Jpyo o o XPl.O''t' w .pxn. xcx.i}' o;croq>fo. O''tl, 't'Q
crocp lcx. Etvm, xcx..ovEvoc:; dpxii. ii y.p cr'ocplcx.' '1tcx.p. 't~
:Lcx..ow'V'tl cp11aw o -l>e: t'.x'tt.O"\I E cipxrrv oow'V cx.v't'ou
Etc; Ep-ycx. mhov (Prov. 8, 22), r\lcx. v d.pxi'i Ti o .oyoc;,
v 'tTI crocplq.: XCX."t. .v "tTJ'V 0"1.JO""tcx.crt.v 'ti}c; '1te:pi "'t'W\I o.w\I
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.oyoc;, O rtpc; "t'\I 7tCX."t'pct, fa' OV 't. 1tcX\l't'ct "(\IE"t'O, OU'U
'J ~wl) 'tpa. '.'O utov -cou i}Eou, o cp11crw 'Eyw El.!. 1}
ooc; xo:t ii ci)..i}i}Et.ct xa.t +i ~w'l'J (Io. 14, 6). W<rnEp OU\I
'J sw'J y"(O\/E\I v "tQ oy~ I o\hwc; .oyoc; iiv v cipxn.
[ 113] 7tLCTTI]CTO'.' o, EL o1:6'J -et CT"tt. xcd Xet't'. 't' O'T)a.t.voE\lov '.'OV'tO ExOXE<Ti}o:t. Tj<i.c; -c 'Ev cipxfi i)v ).6.
yoc; (1 o. 1, 1) i:va. xo:-c. tjv O'ocpla.v xa.t -coc; 'tU7tou<;
"'tOV O"VO'"'tTja"toc; 't'W'V V ct.'t'Q vo71ii"t'W\I 't'. 7tcl\l't'ct yl\11)"tctt.. [ 114] orm. ycip, WC"7tEP Xa.'t'. 't'O<; cipXt."t'EX"t0\11.XOc; "t'U7tOVc; otxoooEL"tctl. fi "t'EX"'tCX.l\IE'tCX.t. otxla. xo:.L va.ve;,
cipxT)v 'tiic; otxla.c; xa.L Tijc; vEw txo\1-rwv 't'oc; v 't'ci)
"tEXVLTfl "tv7touc; xa.L .6youc;, ov-cw "tt. a-V7tct'V"'tct. yEyovva:t. Xct"t. "toc; v "t'TI O"ocplq. 7tpo"tpa:vwi}v"'ta:<; uit i}Eou
'twv croivwv .oyouc; IIciv':t'a. y.p v aocplct- 7tOL'fla"E
(Ps. 103, 24). [ 115] xa..t .EX"'to\I O"t't. X"t'lcra.c;, C\I' ov"t'W<;
Et7tw, E.tl;uxov crocpla.v i}E6c;, mhn it"tpEtj;Ev ci7t -cwv
tv cx.v-tj) 't'U'itW\I 'toi:c; ovat. xa..t 't'TI U.1) ( 7tctpa.crxEi:\I xcd.)
-t')\I Ttaaw xa. "t':. EL'Tl, tyw S: cplcrtT11. EL xa.t "t'.c;
ocrla.c; 16
[ 116 J ;p xa.E7tV v OV\I 1t<t.XU"t'Epov EL1tEL\I cipX'}V
"tW\I O'\l""tW'V. Erva.1. "t'\I ut'V "tOV i7Eo, yO'V'tCX." 'Eyw ELt
1i d.pxi) xa.L 't' 't.oc:;, "t' A XU.L 't' n, 7tPW"'t'oc; xa.t o
Eo-xa.'toc; (Apoc. 22, 13 ). &.vo:.yxafo\I oS: El.oiva.t. o"tt. o
X<l."tC. miv 8 \loa~E'ta.t. tipX1J CT"tt.V mh6c;. [ 117] 1tWc;
yp xa.i}' sw'l'J a"tt OUVCX."t'(X.t. Erva.t. <ipxiJ, frnc; swi) yyo\IE\I t.v 'tQ )..6y~, OTJ.o'\lo"t'i. cipxfi "t'vyxavov't't. a.ihflc;; l-tt
O aa.cpEcr'tEpov O"t't. xo:-i}-'
1tPW"t'O"t'OX6c; fott.v X "tW\I
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126
III. CIUSTO
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11 In questo luogo, come anche a Co. lo. I 39, Origene considera la Sapienza divina non soltanto come uno dei tanti appellativi
del Figlio, ma come un determinazione anteriore (in senso logico,
non cronologico) e superiore alle altre epinoiai (nomi, appellativi)
del Figlio: in sostanza egli tende ad identificare la Sapienza col
Figlio, mentre le altre epinoiai, anche quella cosi fondamentale e
vicina alla Sapienza, di Logos, sono modi di manifestarsi di Cristo,
Sapienza divina. Su tutto ci cfr. l'art. cit. a n. 3, p. 287 sgg.
18 Concetto parallelo in Plotino: il Nous molteplice, tutte
le cose: Enn. I 8, 2; III 3, 3; III 8, 8; V 1, 4; V 3, 10. Il rapporto
uno/molti, gi posto da Platone nel Parmenide, viene risolto sia da
127
128
m.
0.lSTO
'
129
130
III. C1ISTO
.6yov xa.. -rijc; c:rocpla.c; 't'W\I xoaolivtw~ TI" u.TJ'V uxooi)ivW\I 21 [ 148] xa.1. opa. Et OV'Vct'ta.!. jl"W\/" O\ix
di. yw b. -.ou x6oov "tov't'ov (lo. 8, 23) Ti i.JNxii EL\/a.t.
"tou '!1)c:rou 7to1.-rEUobn) -rQ o.ttJ x6~ xEl'V~ xai.
itciv"ta. mhv 1tEp1.wxoivri xcx.!. XE!.pa.ywyovc:ra. 1t,
au-r\I 't'O<; a.lh)"tEVOtvouc;. [ 149] OVO\/ lx~t. :ltEL\/Ot; o
x6aoc; xci't'w, wc; OO OV't'oc;, wc; 7tpc; 't'q t.XAt.~c; t~E't'cI
o\l'tt., i\IW. 7tW<; y.p o\Na.'ta.!. EXE!.\I "tl. . x6aoc; OU't'O<;
i'JW, OU i} X"tlcnc;. XC%."t'C%.~oi} cr't't.\/; OV y.p wc; TIJ'XE'V
ci.xovc:r"toV 't'oti Ilp xa.-ta.~o.fjc; .xooou 22 (lo. .1.7, 24),
1tl't'T)OE<; 01.. -tot.a.v't'T)\I 7tl\lot.av 1t.ct<1't\l't'WV h1oa. 't'WV
<iylwv "t' TI]c; xa.'ta~oijc;- xa.l.,;01. yE ouva.:v't'o lyEw
7tp x"tlcrEwc; x6aou xa.I. "!) xP'ilcra.iroa.1., 't'Q 't'fic; xa.'t'a.()o:Tjc; 6v6a.'t'!.. [ 150] o.oc; OV'J x6aoc; . xa.L 't'. V
a't'Q v xa.'t'a.~o:fi c:rtw Ew o xa."ta.~oXi)c; x6aov
7tctV"t'<; yl'VO'V"t'CX.t. ot "tOV 'h1c:rou yvf)crt.ol a.lh)"t'cr.l, ove;
1:;Elta."t'o x "t'OU x6aou, t\la. 11xh1. wc:rw x "t'OU x6aov
arpoV"tE<; "t'V O'"tcr.vp'V ia.V"t'W\I xr.ti d:xo.~v1'-ou'.J't'E<; cr.1hQ .
131
mondo la materia prende il suo ordine non gi dalla materia ma dalla partecipazione al Logos e alla Sapienza.
[ 148] Ora, vedi un po' se quelle parole: Io non sono
di questo mondo (!o. 8, 23) non si possano per caso attribuire all'anima di Gesu, che invece ha la sua cittadinanza
nella totalit di quel mondo, muovendosi in esso liberamente e conducendo ad esso coloro che divengono discepoli. [ 149] Quel mondo non ha parti che siano quaggiu , cosf come questo nostro mondo, a ben guardare,
non.ha parti che siano lassu .~Come pu infatti questo
nostro mondo aver parti lassu , dal momento che la sua
creazione consiste in una caduta? Quando infatti noi leggiamo: Prima della costituzione del mondo (I o. 17, 24 ),
non dobbiamo accontentarci del senso immediato, ma porre
mente alla sfumatura di significato che gli scrittori sacri
han voluto indicare inventando questo termine. Avrebbero
ben potuto dire: Prima della creazione del mondo, senza
ricorrere al termine caduta. [ 150] E pertanto questo
[nostro] mondo, nella sua totalit e con tutte le cose che
contiene, in una [condizione di] caduta. Fuori di questa
condizione vengono a trovarsi invece i discepoli veri di
Gesu, che egli ha scelto dal mondo, perch non siano piu
del mondo, prendano la loro croce e lo seguano.
[Principi I 2, 4-8] 4. - Il Figlio anche verit e vita
(Io. 14, 6) di tutto ci che esiste: ed a ragione. Infatti
come potrebbero vivere le creature se non grazie alla vita?
o come potrebbero aver fondamento nella verit se non derivassero dalla verit? o come potrebbero essere sostanze
razionali se non esistesse precedentemente la ragione? o
come potrebbero le creature esser sapienti se non vi fosse
la sapienza? Per altro, poich sarebbe accaduto che alcuni
si sarebbero allontanati dalla vita e si sarebbero procurati
mente questa concezione sulla base di I o. 17, 24 e altri passi neotestamentari in cui per indicare la creazione del mondo usato il
termine xa:ta:~o)..i) (.Mt. 24, 21; Eph. 1, 4). Di per s il termine in
questi luo~hi indica soltanto creazione: ma Origene vi vede l'idea
di xa:-ra.~a:..EW = gettare dall'alto in basso, e perci il riferimento
ad una creazione concepita come un precipitare dall'alto delle creature razionali.
132
tu. CJtlSTO
133
134
III. CB.lSTO
,i
135
potenza di Dio ed effusione purissima della gloria dell'onnipotente. Perci nulla di impuro pu penetrare in lei: infatti
splmdore della luce eterna, specchio immacolato dell'attivit di Dio e immagine della sua bont (Sap. 7, 25 sg.).
Affermiamo poi, come gi abbiamo detto, che sapienza
di Dio che ha sussistenza non in altri se non in colui che
il principio di ogni cosa, dal quale anche nata. Poich
questa sapienza colui che solo Figlio per natura, chiamata anche unigenito (Io. l, 18 ).
6. - Vediamo ora che cosa si debba intendere del fatto
che egli definito immagine di Dio invisibile per comprendere cosi anche in che senso Dio a ragione sia detto Padre
di suo Figlio (Mt. 11,27; Col. 1,3; Hebr. 1,5 ecc.); e
per prima cosa consideriamo quelle che gli uomini son soliti
chiamare immagini. Talvolta diciamo immagine quella che
dipinta o scolpita in qualche materia, legno o pietra;
talvolta diciamo che il figlio immagine del padre, poich
i lineamenti del padre sono esattamente riprodotti nel figlio.
Credo che al primo esempio si possa adattare colui che
stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio (Gen. 1, 26),
l'uomo, del quale tratteremo piu accuratamente, con l'aiuto
25 Origene distingue sempre con chiarezza fra Cristo, Figlio di
Dio per natura, e gli uomini, che possono diventare figli di Dio per
grazia, per adozione: Frag. in Is., PG XIII 217; Co. lo. II 10. La
precisazione era indispensabile contro gli adozionisti, che consideravano appunto Cristo come un uomo adottato a Figlio di Dio per
i suoi meriti.
1)6
Ul. ClllSTO
137
138
III.
OJsTo
139
= Figlio)
= verit).
In realt si
m. C11STO
140
est
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m. aisro
142
10, 38).
'
31 Solo in questo punto di tutto il capitolo Origene fa ricorso
all'umanit assunta da Cristo per spiegare la sua inferiorit rispetto..
al Padre, e ci potrebbe sollevare dubbi sull'esattezza della versione
I
143
[Principi I 2, 9-12]
144
III. OJSTO
,
Ait autcm sapientiam vaporem esse .non gloriae omnipotentis neque acternae lucis ncc inopera_tionis patris nec 00nitatis eius, neque enim conveniens erat alicui horum adscribi vaporem; sed cum omni propri~tate ait virtutis dei
vaporcm esse sapientiam. Intellegenda est ergo virtus dci,
qua viget, qua omnia visibilia et invisibilia vel instituit ve!
continet ve! gubemat, qua ad omnia ~ffciens est, quorum
providentiam gerit, quibus vclut unita mnibus adest. Huius
ergo totius virtutis tantae et tam inmensae vapor et, ut
ita dixerim, vigor ipse in propria subsistentia effectus quamvis ex ipsa virtute velut voluntas ex mente procedat, tamen
et ipsa volunta~ dei nihilominus dei virtus ef.6.citur 32 Efficitur ergo virtus altera in sua propriet.ate subsistens, ut ait
sermo scriprurae, vapor quidam primae et ingenitae virrutis
dei, hoc quidem quod est inde trahens; non est autem
quando non fuerit.
Si enim quis voluerit dicere quasi prius non extiterit, sed
postea ad subsistentiam venerit, dicat causam, quare qui
eam subsistere fecit pater ante hoc non fecerit. Quodsi aliquod semel initium dederit, quo initio vapor iste ex dei
virtute processerit, iterum interrogabimus, quare non et
ante illud quod dixit initium; et ita sen,iper de anterioribus
inquirentes et verbo interrogationis ascendentes perveniemus in illum intellectum, ut quoniam semper et poterat
deus et volebat, numquam vel decuent vel causa aliqua
existere potuerit, ut non hoc, quod bonum volebat, semper.
habuerit. Ex quo ostenditur semper fuisse vaporem istum
virtutis dei, nullum habentem initium nisi ipsum deum.
Neque enim decebat aliud esse initiwn nisi ipsum, unde et
est et nascitur, deum. Secundum apostolum vero dicentem.
quia Christus dei virtus (I Cor. 1, 23) est, iam non solum
vapor virtutis dei, sed virtus ex virtute dicenda est.
10. - Videamus etiam de eo quod dictum est, quoniam
aporrhoea est (id est manatio) purissima gloriae omnipotentis (Sap. 7, 25), et prius quidem consideremus quid est
32 questo uno dei punti in cui piu chiaramente emerge l'aspetto
piu profondo del modo con cui Origene ha inteso il rapporto Dio/
14.5
Cristo. Il Figlio l'attivit del Padre nel mondo, Dio che opera
nel mondo.
146
Ul. OlSTO
gloria omnipotentis, tum deinde etiam quid sit. cius aporrhoea sentiemus. Queroadmodum pater non potest esse ~'
si .6.lius non sit, neque dominus esse quis potest sine possessione vel servo: ita ne omnipotens quidem deus dici
potest, si non sint in quos exerceat potencatum; et ideo ut
omnipotens ostendarur deus, omnia subistere necesse est.
Nam si quis est qui velit vel saecula aliqpa transisse vcl
spatia ve! quodcumque illud nominare vult, cum nondum
facta essent guae facta sunt, sine dubio hoc ostendet, quod
in illis vel saeculis vel spatiis omnipotens non .. erat deus.
et postmodum omnipotens factus est, ex quo habere cocpit
in quos ageret potentaturn: et per hoc videbitur profectum
quendam accepisse et ex inferioribus ad rneliora. venisse, si
quidem melius esse non dubitatur, esse eum omnipotentem
quam non esse.
rrwc; o ox ii"t'o1tov "t' i Exov"t'ci "t''- "t'wv 7tpmo\l"t'wv
cx."t'~ "t'v i}Ev tl "t' EXEl.\I ).i].ui}vcx.t.; EL o ox ~O""t't.\I
O"t'E 1t0.\l"t'O:Xpci"t'WP ox i)v > chi. E!\lctt. OEL "t'<XU"t'Cl., ot.'
'7tct.\l"t'O:Xpchwp c:r-rl, xcd ciEL 1jv 1t 1 cx.v"t'oV xpa."t'OVE'Va, ipxov"t'r.
cx.v"t'Q xpwEva 33
[Et quomodo non videtur absurdum, ut cum non haberet aliquid ex his deus, quae eum habere dignum erat, postmodum per profecrum quendam, in hoc venerit ut haberet?
Quodsi numquam est quando non omnipotensJ fuerit, necessario subsistere oportet etiam ea, per quae omnipotens
dicitur, et semper habuerit in quibus exercuerit patenta~
tum et quae fuerint ab ipso vel rege vel principe moderata;] de quibus plenius in locis propriis, in: quibus de
creaturis eius disputandum fuerit, disseremus. Sed et nunc
strictim licet, tarnen admonere necessarium puto, quoniam.
quidem quaestio nobis de sapientia agitatur~ quemadmodum
aporrhoea vel manatio sit sapientia gloriiae ornnipotentis
purissima, ne videatur alicui anterior esse in deo omnipotentis appellatio nativitate sapientiae, per quam pater vocatur, quoniam dieta est aporrhoea omnipotentis gloriae
purissima esse sapientia, quae est flius dei,; Audiat qui haec;:
a.
33 Questo passo in greco riportato da Giustiniano'(ep. ad Mennam, Mansi IX 528) corrisponde esattamente alla traduzione di Ru-
147
148
III. C1tSTO
ut
CRlSTO ATTIVIT
DI:
DIO
149
150
111. CJUSTO.-'
151
152
-~~t~~i
:1~1~
:'111~/
,~.~~~
34 Sulla base della perfetta coincidenza dell'operazione del Figuci.;
e del Padre (il Figlio l'operazione del Padre) Origene respinge)(
distinzione fra mondo spirituale creato dal Padre, e mondo material~:
creato dal Figlio ad imitazione del mondo spirituale. Possiamo .f~i
risalire tale distinzione agli gnostici, secondo cui il mondo spirit:Uale,.
153
proprio dal Padre, ma non temporalmente n da altro principio se non, come dicemmo, da Dio stesso.
12. - La sapicnia detta anche specchio immacolato
dell'attivit di Dio. Prima 'bisogna intendere che cosa sia
l'attivit della P<>tenza di Dio. Si tratta, per cos{ dire, di
forza mediante la quale il Padre opera quando crea, quando
provvede, quando giudica, quando dispone ed ordina ogni
cosa a suo tem:IXJ. 'E come' l'immagine che si forma nello
specchio si muove ~on tutti gli stessi gesti e movimenti,
senza la minima differenza, con i quali si muove colui che
guarda nello specch~:O. cosf vuole essere compresa anche la
sapienza quandb ~efinita specchio immacolato della potenza e dell'atti;Vit del Padre; come il signore Gesu Cristo,
che sapienza ~i Dio, afferma di s dicendo: Le opere che
fa il Padre, queste le fa anche il Figlio similmente (lo. 5,
19); e dice ancora: Il Figlio non pu fare da s alcunch
se non ci che: avr visto fare il Padre (ibid. ). Perci poich in nulla il'' Figlio differisce dal Padre per potenza di
opere, n altra l'opera del Figlio se non quella del Padre,
e uno e medesimo anche, per cosf dire, il movimento in
tutti e due, la scrittura ha definito il Figlio specchio immacolato proprio perche non si concepisse la minima differenza
del Figlio rispetto al Padre. Ma allora in che modo pu
qui ~.dat,~arsi ci? c~e al.cun.i dicono a proposito dell'imitazione e della s9miglianza del discepolo rispetto al maestro,
o che il Figlio fa nella materia corporea ci che nelle sostanze spiritualt era stato prima creato dal Padre, dato che
nel vangelo detto non che il Figlio fa cose simili, ma
che fa le stesse cose similmente?
154
Ili, C.JtISTO
155
156
m.
Cl.ISTO
157
CAPITOLO IV
1. - Lo spirito cli Dio nel VT presentato come dynamis divina, forza creatrice vivificatrice e santificatrice, perci interferente con l'attivit della sapienza di Jahv, ma
in complesso presentata con pili vasta gamma di attribuzioni. Nell'aspettativa dei Giudei il regno messianico sarebbe
stato caratterizzato da una effusione cli spirito divino particolarmente abbondante: e questa convinzione i primi cristiani sentirono come fondamento stesso del loro costituirsi
in comunit escatologica. Proprio il godere, l'esser dotato
dello spirito di Dio f del battezzato un uomo spirituale,
uomo nuovo, in contrapposizione a chi ne privo, uomo
vecchio e animale. Con tale forza pregnante fu sentita la
presenza dello spiri co di Dio nella comunit che in certe
formulazioni di Paolo e di Giovanni esso viene presentato
in forma personificata, come entit che si affianca, o meglio comincia ad affiancarsi alle altre due entit del Padre
e del Figlio. Fondamentale in questo senso il comando
di Gesu in Mt. 28, 19 di battezzare nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito santo. Ma per lungo tempo questi
spunti che tendono gi a presentare lo Spirito santo come
persona divina sembrano trascurati: il problema dell'unit/
distinzione di Dio viene ristretto nel II secolo al rapporto
Padre/Figlio; e lo Spirito santo considerato soprattutto
come forza santificante operante nella comunit e come
fonte d'ispirazione della sacra scrittura. Qualche ripresa
delle formule suddette si avverte in Giustino, in Atenagora, soprattutto in Tertulliano.
160
(=
161
INTl.OI>UZ19NE
2. - II concetto di spmto, che abbiamo visto .cosi fondamentale nella .religione cristiana, aveva accezione vasta
e generica nella! confluenza di influssi veterotestamentari
(lo spirito cornei potenza di Jahv) e stoici (spirito come
forza divina materialmente intesa, che permea il mondo):
di qui ebbe origine una certa confusione e un accavallarsi
di significati: spirito. pu indicare sia la generica natura
divina, concepita come sostrato partecipato dalle tre pc.esone divine (Tertulliano), sia specificamente lo Spirito santo
che abbiamo visto cominciare ad essere personalmente inteso
in alcuni scrittori del II e del III secolo (Atenagora, Tertulliano, Origene), sia a volte addirittura il Figlio di Dio,
o meglio la sua specifica componente divina, in contrapposizione alla componente umana (spirito/carne). Certi scrittori del II secolo (p. es., Erma) confondono del tutto il
Figlio di Dio con lo Spirito santo. Tutto ci, aggiungendosi
alla minor importanza che la riflessione teologica attribuiva
al concetto di Spirito santo, faceva si che abbia stentato
a prender quota una :vera e propria teologia trinitaria, cio
intesa come riflessione riguardante l'articolazione della divinit in tre entit fra loro unite ma anche distinte. La
Trinit ('t'pt.ac:; attestato in Teofilo d'Antiochia, trinitas
in Tertulliano) alla fine del II secolo un dato di fede,
operante soprattutto a livello sacramentale (battesimo nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo) e liturgico
(dossologia nel nome delle tre persone), ma molto meno
a livello teologico: le aperture piu significative in tal senso
prima di Origene sono di Tertulliano, in una concezione
digradante della -Trinit: piu alto il Padre, sotto di lui il
Figlio, sotto il Figlio lo Spirito santo.
162
Le linee fondamentali del pensiero di Origene in materia sono state implicitamente presentate allorth abbiamo
trattato dello Spirito santo: baster perci ricordare ancora
il suo imbarazzo nel cerca.re di inserire anche lo Spirito
santo in uno schema teologico armonico ed omogeneo, ma
anche la profondit di certe presentazioni dell'~ione intertrinitaria. Il termine stesso di Trinit, pur non molto adoperato, lungi dall'essere quasi del tutto assente in Origene, come qualche studioso ha di recente avventurosamente
sostenuto; e la definizione gi tecnicamente profilata del
Padre, del Figlio e dello Spirito santo cbme 'tre ipostasi
(hypostaseis), cio tre realt individuali e sussistenti, sarebbe diventata patrimonio comune della teologia orientale.
In polemica con il monarchianismo di Sabellio, che riduceva le tre persone divine a modi di manifestarsi di un'unica
divinit, privi di sussistenza personale, Odgene ha insistito
soprattutto sulla distinzione e la sussistenf:a d~e tre ipostasi nell'ambito della Trinit. Per presentare! l'unione di
queste tre ipostasi in un'unica divinit egli ha evitato il
concetto, gi presente in Tertulliano, di un'unica sostanza
divina partecipata dalle tre persone, perch: questo concetto
gli si presentava troppo connesso con la conce.zione di un
sostrato divino materialmente inteso e perci diviso in tre
parti. La categoria del divino stata concepita' da Origene
soprattutto ip forma dinamica: e in tal senso egli ha preferito presentare l'unit di Dio, piu che come unit di
sostanza, come unit di volere e di agire nell'operazione
divina nel mondo: in questa linea Origen ha trovato formulazioni felici, che anticipano quelle della teologia molto
piu evoluta della fine del IV secolo.
1
lNTlODUZlONE
163
166
CHU~SA
167
168
[Commentarium in Ioannem II 10] 10. - (73) 'EsE"t'c.tCT'to\I o, ci.T)i}ouc; O\l'tOc; "tOV (( miv"t'rt. 81.' rt."tOV yJ.\IE"t'O (Io. 1, 3 ), Et xaL "t' 7t'VEua 't' Ciyt.o'V 81.' cr.-rou
iy\IE"t'O. orat. ycX.p O't't. 't'@ 'V cpcicrxo'\l't'L "(E\IT)'t''V cr.1h
El\lcr.t. xaL 7tp0!.Ev~ 't' '1tci.\l't'a 81.' a't'OU yVE't'O
civayxai:o'V 7ta.pa8~a~at., O"t't. xaL -r iyi.ov 7tVEticx. ot..
"t'OU .6you y\IE"tO, 7tpECT~U't'pou 7tcx.p' ct."t' "t'OU ).6you
"t'uyxavov"t'oc;.
3 Nel passo che qui si conclude Origene formula con precisione,
in senso antignostico, il concetto del progresso della nuova economia
rispetto all'antica, ravvisandolo nel molto maggior numero di coloro
che, rispetto a prima, possono comprendere il senso spirituale della
scrittura, cio approfondire la conoscenza del mistero divino, sco-
169
l O
'
171
vuole accettare che lo Spirito santo sia stato fatto per mezzo
di Cristo, per non andare contro la verit proclamata dal
vangelo di Giovanni deve di conseguenza ammettere che
lo Spirito santo non-generato. [74] Oltre a chi ammette
che lo Spirito santo sia stato fatto per mezzo del Figlio e
a chi ritiene che sia non-generato, un terzo potrebbe opinare che non sussista neppure una sostanza propria dello
Spirito santo, distinta dal Padre e dal Figlio. Ma questa
soluzione, ammesso che salvi la differenza del Figlio dal
Padre,. forse finisce con .l'affermare l'identit dello Spirito
Santo con il Padre, dal momento che la distinzione tra
Figlio e Spirito santo appare evidente dalle seguenti parole: Se uno dir una parola contro il Figlio dell'uomo gli
sar perdonata, ma se uno la dir contro lo Spirito santo
non gli sar perdonata n in questo secolo n in quello
futuro (Mt. 12, 32). [75] Quanto a noi, persuasi come
siamo che esistono tre ipostasi, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, e che crediamo che nessuna d esse, all'infuori
del Padre, sia non-generata, riteniamo come maggiormente
consono alla piet e alla verit [pensare] che lo Spirito
santo abbia una posizione preminente su tutto d che
stato fatto per mezzo del Logos e sia appunto nell'ordine
il primo degli esseri derivati dal Padre per mezzo di Cristo.
[ 76] E forse questo il motivo per cui lo Spirito non
chiamato anch'egli Figlio di Dio, perch solo l'Unigenito
Figlio per natura fin dal principio. Lo Spirito santo semsopprimendo un passo che forse era del tipo di quello che qui
stiamo esaminando. Per ridimensionare -!'.affermazione origeni,ana
della creaturalit dello Spirito santo nei suoi giusti limiti, va aggiunto
che in altri passi Origene afferma con chiarezza che lo Spirito santo
fa parte della Trinit, che eterna, e che tutto ci che si predica
di lui, si predica sub specie aeternitatis, cio in modo autenticamente divino: Princ. I 3, 4; IV 4, l; Co. Io. X 39; Co. Gen., PG
XII 45.
s Affermazione fondamentale nella storia della teologia trinitaria,
rilevante la sussistenza individuale e la distinzione fra loro delle tre
persone trinitarie. Il concetto e la terminologia sarebbero diventate
tradizionali in quasi tutto l'Oriente nel corso del IV secolo, proponendo uno dei fondamentali argomenti di discussione al tempo della
controversia ariana.
172
iv.
173
I,
174
175
176
l7
178
179
180
ignorantiac _maculis, tantum prof~tum sinccritatis ac purltatis accipiat, ut hoc quod acccpit a deo ut csset tale sit,
quale deo ~ignum est eo, qui uc esset pure utique praestitit
ac perfecte; ut tam dignum sit id quod estJ quarn est ille
qui id esse fecir. Ita namque et virtutem semper esse atque
in aeternum. manere pe.i;cipiet a deo is, qui talis est, qualcm
eum voluit esse ille qui fecit. Quod ut accidat et ut indesinenter atque inseparabiliter adsint ei, qui est, ca, quae ab
ipso facta :sunt, sapientiae id opus est instruere atque erudire ea e't ad perfectionem perducere e.x spiritus sancti confirmatione atque indesinenti s;mctificatione, per qam solam
deum capere possunt.
I ta ergo indesinen ti erga nos opere pa tris et filii et spiri tus sancti per singulos quosque profectuum gradus instaurato, vix si fotte aliquando intueri possumus sanctam et
beatam 'vi.tam; in qua, cum post agones multos in eam
perveniri potuerit, ita perdurare debemus, ut nulla umquam
nos boni illius satietas capiat, sed quanto rnagis de illa
beatitudine percipimus, tanto magis in nobis vel dilatetur
eius deside+ium vel augeatur, dum semper ardentius et eapacius patrem et filium ac spiritum sanctum vel capimus
vel tenemus.
'
.........
4. - LA TRINIT.
181
LA T:alNIT
[Principi I 4, 3-5]
182
operibus sibi dignis et fuisse imrnobiles. Neque enim cxtrinsecus inpeditas eas esse putandum est, qJac in deo sunt,
immo quac deus sunt, neque rursum, cum nihil obsisterct,
vel piguisse eas agere et operari quae se digna erant vel
dissimulasse credendum est. Et ideo nullum prorsus momentum sentiri potest, quo non virtus illa benefica bene
fecerir. Unde consequens est fuisse semper quibus bene
faceret, conditionibus videlicet vel creaturis suis, et bene
faciens ordine et merito in his sua beneficia virtute providentiae dispensaret. Et per hoc ~onsequ.ens ,.viq~tur quod
neque conditor neque beneficus neque providens deus aliquando non fuerit 13
4. - Sed rursum in hoc humana intellegentia hebetatur
atque constringitur, quomodo possit intellegi semper ex
quo deus est fuisse etiam creaturas et sine initio, ut ita
dixerim, substitisse eas, quae utique sine dubio .creatae esse
atque a deo factae credendae sunt. Cum ergo; haec inter
se humanarum cogitationum acque intellectuum pugna sit,
rationibus utrubique validissimis occurrentibus ac repugnantibus et contemplantis sensum in partem suam quamque
torquentibus, nobis pro exiguo ac brevissimo sensus nostri
captu illud occurrit, quod sine omni pietatis periculo con.fitendum est: deum quidem patrem semper fuisse, semper
habentem unigenitum filium, qui simul et sapientia secundum ea, quae supra exposuimus, appellatur. Haec ergo ipsa
est sapientia, cui semper adgaudebat deus orbe perfecto
(Prov. 8, 30), ut per hoc etiam semper laetari intellegatur
deus. In hac igitur sapientia, quae semper erat cum patre,
descripta semper inerat ac formata conditio, et numquam
erat quando eorum, quae futura erant, praefiguratio apud
sapientiam non erat.
13 La difficolt che qui prospetta Origene, dopo averne accen
nato a I 2, 10 (dr. c. 3), molto grave (cfr. August. Civ. Dei XII 16).
Prima Origene presenta la difficolt che nasce dal considerare Dio
non attivo ab aeterno: o egli non ha voluto 01:1erare' o ne stato
impedito. Ambedue i motivi sono inammissibili,'. Quindi presentata la difficolt opposta che si imponeva ai cristiani: ammettere
un Dio attivo ab aeterno significa ammettere il mondo creato coeterno
a lui senza inizio, e ci va contro la norma di fede., Origene pro-
LA TlllNIT
183
184
nINITl.
5.
Er.hoc modo fortassis pro nostra infirmitate pium
ali quid de ; 'deo: sentire videbimur, ut neque ingcn.itas et
coaeternas: deo creaturas dicamus, neque rursum cum nihil
boni prius egerit deus, in id ut ageret esse convcrsum; cum
verus sit le sermo, qui scriprus est quia omnia in. sapientia fcisti (Ps. 103, 24). Et si utique in sapienti.a
omnia focta sunt, cum sapientia scmpcr fuerit, secundum
praefigurationem et praeformationem sempcr erant in sapientia ea, quae protinus etiam substantialiter facta sunt~
Et hoc opinar Salomonem sentientem vel intellegentem
dicere in _Ecclesiaste: quid est quod factum est? hoc
ipsum quod futurum est; et quid est quod creatum est?.
hoc ipsum quod creandum est. Et nihil recens sub sole. Si
quis quid loquetur et dicet: ecce novum est hoc, iam fuit
id in saeculis, quae fuerunt ante nos (Eccl. 1, 9 sg.). Si
ergo singula, quae sub sole sunt, fuerunt iam in illis saeculis, quae fuerunt ante nos, cum nihil recens sit sub sole;
'1tciv't'a 't'. yvi] xal -t. EtO'T) cid fiv, i...oc; O 't~ pe:t
xa.. 't' xa.i}' Ev d.p~i}Q it.T}v xa'tpw OTJ.Ov't'm. O'tt. ox
f}pcx.'t'o o. ~Ec; 0111.oup"'(E~v cipj'1}cra.c; 7tO't'. [ sine dubio omnia vel g~nera vel species fuerunt semper, et fortassis etiam
per singula. Verum tamen omnimodo hoc est, quod ostenditur, quod non deus conditor aliquando esse coeperit, cum
ante non ::fuerit.J 14
5. - UNITA DI DIO.
[Contra Celsum VIII 12] 12. - .6.6l;at. o' liv 't't.c; ~i}c;
't'ou-.01.c; m~av6v 't't. xa.fr' iiwv .iyEt.V l\I 't'~ Et : v
01} ''J')va. a..ov l~Epa7tEVOV OU't'O!. 7t.TJV
Eva ~E6v, i'i,v liv -.i.e; a"t'oi:c; (crwc; itpc; -eoc;
a..ovc; ci-tEV') ).6yoc; VV'V. o. 't'\I ~\ICX"(
XO<; q>cx.\IV't'et "t'ov"t'ov uitEp~p'l)crxEuou<rt. xcd
owc; OUO\I 7ti].EELV volsovcrt. 7tEpt
"t'\I ~E6v, d xcd itT]p't'i] tXU't'OV i}e:pa.14 Col passo dell'originale tramandato da Giustiniano (ep. ad
Mennam, Mansi IX 528) concorda bene Rufino il cui testo presen-
UNIT DI DIO
[Contro Ce!So VIII 12] 12. - Qualcuno potrebbe ritenere che vi sia qualcosa di plausibile nella critica che
segue contro di noi: ed invero, se costoro rendessero
culto a nessun altro fuorch al solo Do, forse avrebbero
un argomento valido da opporre agli altri; invece ecco che
essi venerano in maniera eccessiva questo uomo apparso di
recente, e ci non pstante credono di non recare alcuna
offesa a Dio, rendendo culto anche al suo ministro . A quetato, come al solitp, fra' parentesi quadra: ad esso si riferisce specificamente la nostra 1 traduzione.
186
IV. SPll.lTO
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UNlT DI DIO
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UNIT Dl DIO
189
190
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UNIT DI DIO
191
Origene disse: Ma poich si scandalizzano i nostri fratelli all'affermazione che ci sono due Dei, necessario presentare con attenzione il discorso e dimostrare in che senso
sono due e in che senso i due sono un solo Dio. Anche
le sacre scrirture c'insegnano piu volte che due costituiscono una cosa sola; e non solo due ma anche piu di due
e di un numero molto maggiore c'insegnano che costituiscono una cosa sola. Avendo assunto l'argomento, ora
nostro compito non sfiorarlo e girargli attorno, ma masticarlo completamente come si fa per la carne, a causa dei
pfu "spriV:Vedl.'i", " far penetrare a" poco. a'poco. i"l discorso
nelle orecchie degli ascoltatori. Piu volte la scrittura afferma
che due costituiscono una cosa sola. In quali punti? Adamo
uno, la donna un'altra. Adamo altro rispetto alla
donna e la donna. altra rispetto all'uomo: eppure nel racconto della creazione del mondo derto che i due sono
una cosa sola: Infatti i due saranno una sola carne (Gen.
2, 24 ). Perci possibile talvolta che due costituiscano una
sola carne. Ma osserva bene che a proposito di Adamo ed
Eva non detto che i due saranno un solo spirito n una
sola anima, ma i due saranno una sola carne. A sua volta
l'apostolo dice che il giusto, che altro da Cristo, per
una cosa sola rispetto a lui. Chi infatti aderisce a Cristo
un solo spirito (I Cor. 6, 17). Non forse egli di essenza
meno perfetta, degradata e inferiore, e invece Cristo di
essenza piu divina, piu gloriosa, piu beata? Ma allora non
sono due? E invece l'uomo e la donna non sono piu due
ma una sola carne; e l'uomo giusto e Cristo un solo spirito.
Cosi il nostro salvatore e signore rispetto al Padre e Dio
di tutte le cose non una sola carne, non un solo spirito,
bensf ci che piu eccelso della carne e dello spirito: un
era vescovo Eraclide. Ritiene perci necessario presentare la materia in forma accessibile:. di qui il carattere un po' superficiale della
dimostrazione fondata su considerazione di carattere analogico: come
Adamo ed Eva sono una sola carne, e Cristo e il fedele che a lui
aderisce sono un solo spirito, cosi il Padre e il Figlio sono un solo
Dio, perch una sola la loro divinit. Manca ogni riferimento a
quelle formulazioni tecniche (ipostasi, ousia), che leggiamo in altri
contesti origeniani {cfr. stq1ra, C. Cels. VIII 12).
192
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193
CAPITOLO V
LE CREATURE RAZIONALI
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lNTJlODUZlONE
197
198
.INTRODUZlONE
199
cristiana. I punti particolari saranno pm estesamente presentati nelle introduzioni dei singoli capitoli che seguono. In
questo che presentiamo qui appresso sono proposti testi inerenti alla prima parte della vicenda: creazione degli esseri
razionali, loro caratteri, diversa reazione all'atto creativo
della bont divina, conseguenze di questa diversa reazione.
Va qui precisato che nella superstite opera origeniana soltanto il De principiis tratta in maniera approfondita e anche
sistematica, per quanto possibile essere sistematico ad
Origene; la vicenda <:bsmica & ct:ti abhiamo presentato le
grandi linee. Il fatto che le critiche rivolte tra il IV e il
VI secolo ad Origene si appuntarono quasi esclusivamente
su questa opera fa ragionevolmente supporre che anche
nelle innumerevoli opere andate perdute nessuna trattasse
questa maceria in modo cosi esplicito come il De principiis.
Forse consapevole delle facili critiche cui la sua dottrina
era esposta in forza degli scarsi appoggi scritturistici e del
largo spazio accordato a teorie di origine platonica, Origene nelle opere successive si dimostra molto piu cauto
e circospetto su questo argomento, anche se qualche
spunto, presente in opere dell'ultimo periodo di attivit,
convince che egli in cuor suo ritenne la sua soluzione sem
pre valida, almeno allo stato di proposta. Probabilmente
egli era piu esplicito nell'insegnamento scolastico, mentre
nell'attivit destinata a piu largo pubblico preferiva astenersi dal proporre suggerimenti che potevano riuscire inadeguati al livello modesto di molti di coloro che ascoltavano in chiesa la sua predicazione.
Si comprende perci perch i passi che presentiamo siano
tratti tutti dal De principiis. Qui Origene tratta di questa
vasta materia a piu riprese, nel I, II e III libro, a volte
ripetendosi, a volte aggiungendo nuovi particolari: per tal
motivo abbiamo radunato e combinato fra loro passi di
libri diversi che per erano fra loro strettamente legati
per l'argomento, al fine di presentare tutti i punti salienti
della dottrina di Origene, evitando le piu vistose ripetizioni. Per forza di cosa, data la stretta connessione fra i
vari momenti dell'immensa vicenda cosmica descritta da
Origene, vengono qui ora accennati certi motivi che sa-
200
V. LE CREATURE RAZIONALI
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v. l l CllEATUU:
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206
V. U: Cl.EA'IVllE llAZlONA.
2. - LE CREATURE RAZIONALI.
207
208
[In ilio ergo iru'tio putandum est tantum numcrum rationabilium creaturarum vd intellectualium, vd quoquomodo
appellandae sunt quas mentes superius diximus, fecissc
deum, quantum sufficere posse prospexit. Certum est enim
quod pradefinito aliquo apud se numero eas fecit; non cnim>
ut quidam volunr, fnem putandum est non habere creaturas, quia ubi finis non est, nec conpraehensio ulla vd circumscriptio esse potest. Quodsi fuerit, uque nec continerl
vel ruspensari a deo quae facta sunt poterunt. Naturaliter
nempe quidquid infinitum fuerit, et inconpraehensibile erit.J
Porro autem sicut et scriptura dicit, numero et mensura
universa condidit deus (Sap. 11, 20), et idcirco numerus.
quidem r~te aptabitur rationabilibus creaturis vd mentibus, ut tantae sint, quantae a providentia dei et dispensari
et regi et onrineri possint. Mensura vero materiae corporali consequenter aptabitur; quam utique tantam a deo
creatam esse credendum est, quantam sibi sciret ad ornatum mundi p6sse sufficere. Haec ergo sunt, quae in initio,
id est ante "omnia, a deo creata esse. aestimandum est. Quod.
quidem etiam in illo initio, quod Moyses latentius introducit, inqicari putamus, cum dicit: In principio fecit deus
caelum et terram ( Gen. 1, 1 ). Certum est enim quia non'
de firmamento neque de arida ( Gen. 1, 6 sgg.) sed de ilio
caelo ac terra dicatur, quorum caelum hoc et terra quam
videmus :vocabula postea mutuat sunt 5
2. - Verum quoniam rationabiles istae naturae, quas in
initio factas supra diximus, factae sunt cum ante non essent,
hoc ipso, quia non erant et esse coeperunt, necessario convertibiles et mutabiles substiterunt, quoniam quaecumque'
illa inerat substantiae earum virtus, non naturaliter inerat'
sed beneficio conditoris effecta.
[De principiis I 6, 2] 2. - In hac enim sola trinitate,
quae est auctor omnium, bonitas substantialiter inest; ceteri
LE CJlLATUU:. JtAZl(!)NALI
209
210
V. LE Cll:ATUll llAZIONAU
211
[Principi II 9, 2-6] 2. - Pertanto la capacit di esistere non dipendeva da loro come facolt che non avrebbe
stretto da Origene alle tre persone della Trinit. Perci, se anche
il Figlio Dio per partecipazione (cfr. Co. Io. II 2-3, riportato nel
c. 2), la sua partecipazione alla divinit del Padre si configura come
partecipazione di natura, e pertanto la sua divinit divinit di
natura, il che va escluso per gli altri esseri, che possono essere definiti dei soltanto per grazia.
212
21.3
avuto mai fine, ma era stata data da Dio: infatti non c'era
sempre stata;
tutto ci che stato dato, pu esser tolto
e venir meno. La causa del venir meno dipende dal fatto
che i movimenti: degli animi non sono rettamente indirizzati. Infatti il creatore ha concesso alle intelligenze da lui
create movimenti volontari e liberi affinch esse facessero
proprio il bene loro concesso conservandolo con la propria
volont. Ma inerzia neghittosit nel conservare il bene e
avversione e trascuratezza delle cose migliori hanno dato
inizio all'allontanamento dal bene. E allontanarsi .dal bene
non altro che cadere .nel male, poich il male mancanza di bene. Per cui accade che quanto uno si distacca
dal bene,_ di tanto si avvicina al male: cosi ogni intelligenza, trascurando piu o meno il bene a causa dei suoi
movimenti, veniv.a tratta al contrario del bene, cio al male.
A causa di ci il creatore dell'universo, accogliendo tutte
quelle cause e quei prindpi di variet e diversit, in relazione alla diversit delle intelligenze, cio delle creature
razionali (abbiamo detto sopra da quale causa derivata
tale diversit), ha creato il mondo vario e diverso. E quando
diciamo vario e diverso, vogliamo indicare proprio questo.
3. - Chiamiamo ora mondo tutto ci che sopra i cieli,
nei cieli, sulla terra, in quello che chiamiamo inferno e
inqualsiasi al_tro luogo oltre a questi, e coloro che in questi
luoghi abitano: tutto ci chiamiamo mondo. In questo
mondo si dice che ci sono esseri iperurani, cio collocati
in dimore piu beate e dotati di corpi piu celesti e luminosi: fra costoro ci sono molte differenze, come, p. es., ha
detto anche l'ap~stolo che altra la gloria del sole, altra
della luna, altra delle stelle, e che una stella differisce dall'altra per gloria (I Cor. 15, 41 ). Altri esseri son detti terrestri (I Cor. 15, 40), e anche fra loro, cio fra gli uomini,
non piccola differenza: infatti alcuni sono Greci altri
214
V. LE Cll.EATUR.E L\ZIONAI.I
I
216
V. LE CllE.ATUXE .IAZ10NAU
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218
rt.
219
aver fatto risplendere altri di luce piu fulgida e fiammeggiante; di aver fatto s{ che altra fosse la gloria del sole,
altra della luna, altra delle stelle, e che una stella differisse
dall'altra per gloria (l Cor. 15, 41 ). Per dirla in una parola,
se al Dio creatore non manca n volont n capacit di compiere opera perfetcameme grande e buona, quale pu essere
stato il motivo per cui, creando le nature razionali (cio gli
esseri che ha fatto esistere), alcuni esseri ha creato in condizione piu elevata, alcri in secondo altri in terzo grado, altri
in condizione di molto inferiore? Obiettano poi, a proposito
delle creature terrene, che alcuni nascono in co.ndizione
piu fortunata, come, p. es., uno nasce da Abramo ed fatto
oggetto della promessa (Gen. 12, 2 sg.; Rom. 9, 6 sgg.), un
altro da Isacco e Rebecca e stando ancora nel ventre della
madre soppianta suo fratello e prima di nascere detto
amato da Dio (Gen. 25, 21 sgg.; Rom. 9, 10 sgg.); e per
parlare piu in generale, uno nasce fra gli Ebrei, presso i
quali trova conoscenza della legge divina, un altro fra i
Greci, uomini sapienti e molto dotti, un altro invece fra
gli Etiopi che son soliti cibarsi di carni umane, un altro
fra gli Sciti che considerano il parricidio quasi come legge,
altri ancora presso i Tauri dove gli ospiti sono immolati.
Perci ci dicono: Dal momento che tanto grande la diversit delle cose e cosi varia e diversa la condizione di
nascita, che non dipende affatto dalla facolt del libero
arbitrio (infatti uno non pu scegliere dove, da chi e in
che condizione nascere), se dunque - essi dicono - tale
situazione non deriva da diversit naturale dell'anima, per
cui ai cattivi destinata un'anima cattiva per natura ed ai
buoni un'anima buona, che altro rimane se non credere che
tutto ci avvenga fortuitamente e per caso? Ma se si accetta
questo principio non si pu piu credere che il mondo
stato creato da Dio ed governato dalla sua provvidenza,
e per conseguenza non ci si pu piu attendere che Dio
giudichi ciascuno secondo le proprie azioni.
dente dai meriti, si deve necessariamente pensare a meriti di quei
tre personaggi conseguiti prima della loro nascita nel corpo umano.
Cfr. Princ. I 7, 4 a c. 6.
220
6. - Nos vero quasi homines, ne haereticorum insolentiam reticendo nutriamus, quae pro viribus nostris occurrerc
nobis possunt ad ea, quae obtenderunt, hoc modo respon~
debimus. ,.Bonum esse et iustum et omnipotentem deum
creatorem, t:miversorum, quibus valuimus ex divinis scripturis adsertionibus in superioribus frequencer ostendimus. Hic
cum in principio crearet ea, quae creare voluit, id est rati~
nabiles nati.iras, nullam habuir alam creandi causam nisi se
ipsum, id' est bonitatem su::un. Quia ergo eorum, quae crean-.
da erant, ipse C."<titit causa, in quo neque varietas aliqua
neque permutatio neque inpossibilitas inerat, aequales creavit omnes ac similes quos creavit, quippe cum nulla ei causa
varietads ac diversitatis existeret. Verum quoniam rationa-.
biles ipsae creaturae, sicut frequenter ostendimus et in loco
suo nihilominus ostendemus, arbitrii liberi facultate donatae.
sunt, libertas unumquemque voluntatis suae vel ad pro-:
fectum per imitationem dei provocavit vel ad defectum per
neglegentiam traxt. Et haec extitit, sicut et antea iain
diximus, inter rationabiles creaturas causa diversitatis, non
ex condi tciris voluntate vel i udici o originem trahens sed
propriae .li.bertatis arbitrio. Deus vero, cui iam creaturam
suam pro rp,erito dispensare iustum videbatur, diversitates
mentium in unius mundi consonantiam traxit, quo velut
unam domuqi, in qua inesse deberent non solumvasa aurea
et argentea s:ed et lignea et fictilia, et alia quideni ad honorem alia autem ad contumeliam (II Tim. 2, 20), ex istis
diversis vasis vel animis vel mentibus adornaret. Et has
causas, ut ego arbitrar, mundus iste suae diversitatis acce"'
pit, dum unumquemque divina providentia pro varietate
motuum suorum vel animorum propositique dispensar. Qu
ratione neque creator iniustus videbitur, cum secundum
praecedentes causas pro merito unumquemque distribuit;
neque fortuita uniuscuiusque nascendi vel felicitas vel infe..licitas putabitur, vel qualiscumque acciderit illa condicio,
neque diversi creatores vel diversae naturae credentur ani
marum.
lL PECCATO DELLE
CltEATtl~E
llAZJONALJ
221
222
ot
223
[Principi I 6, 2-4] 2. - Se per trascurano questa partecipazione, per la propria inerzia chi prima chi dopa, chi
piu chi meno, diventano causa della loro caduta. Poich,
come ho gi detto, grandissima la variet di queste cadute, per cui uno decade dalla propria condizione, in rapporto ai movimenti della mente e della volont, in quanto
uno piu leggermente uno piu gravemente scende in basso,
il giusto giudizio della provvidenza di Dio fa si che a ognuno
tocchi ci che merita per il suo peccato in rapporto alla
di.versi t dei movimenti. Fra coloro che sono ..rirriast-i nella
condizione iniziale che abbiamo detto . simile alla. futura
fine, nell'ordinamento e nell'economia' del monda' alcuni
sono assegnati all'ordine degli angeli, altri delle potenze,
altri dei principati, altri delle potest (cerco per esercitare
il potere su coloro che hanno bisogno di avere su di loro
una potest [I Cor. 11,10]), altri dei troni, per giudicare
e reggere coloro che di ci hanno bisogno, ad altri viene
assegnata la dominazione su coloro che sono soggetti. Per
aver ben meritato e per aver progredito nell'imitazione e
nella partecipazione di Dio, essi hanno ottenuto tutto ci
dal giusto giudizio della provvidenza divina. Coloro poi
che sono decaduti dalla primitiva beatitudine, ma non in
maniera irrimediabile, sono assoggettati, per essere ammi-
224
V. LE CJ.EATUll UZIONAU
225
nistrati e retti, agli ordini beati di cui sopra abbiamo parlato, perch usando dd loro aiuto, migliorati da precetti e
da insegnamenti :salutari, possano essere restituiti alla primitiva condizion~ di beatitudine. Per quanto posso supporre, credo che di costoro formato l'ordine degli uomini
che nel secolo futuro o in quelli che verranno ancora appresso, quando secondo Isaia ci sar un nuovo ciclo ed una
nuova terra (Is. '65, 17; 66, 22), saranno restituiti a quella
unit che il signore Gesu promette dicendo a suo Padre
circa i discepoli: ~.Non' ti prego solo per questi ma ,per tutti
coloro che per la loro parola crederanno in me, perch tutti
siano una cosa sola; come io, Padre, sono in te e tu 'in me,
cosi anche questi, in noi siano una cosa sola (Io. 17, 20 sg.)
e ancora: Affinch siano una cosa sola come noi siamo
una cosa sola, io in loro e tu in me, a/finch anche essi
siano per/ettamente uno (Io. 17, 22 sg. ). Ed ecco la conferma dell'apostolo P~olo cbe dice: Finch arriveremo tutti
all'unit della fede a formare l'uomo perfetto nella misura
che conviene alla piena matur,it di Cristo (Eph. 4, 13 ); e
ancora l'apostolo .ci esorta, in quanto gi in questa vita partecipi della chiesa che immagine del regno futuro, ad
imitarne anche l'unit dicendo: Affinch tutti diciate le
stesse cosf!; e ndn ci siano /ra voi divisioni, ma tutti siate
perfettamente uni.ti nello stesso pensiero e nello stesso sen1
226
V. LE CJU:ATUll: llAZIONAU
O'La.1.
OV\ICX.~0..1.
CX.itO
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U'l'tO't'E"t'CX.jt\IW\I
't'O~
t;
u.
[ Iam vero si aliqui e.."< his ordinibus, qui su~ principatu
diaboli agum ac malitiae eius obtemperant, poterunt aliquando in futuris saeculis converti ad bonitatem,J pro eo
quod inest in ipsis liberi facultas arbitrii, an vero permanens et inveterata malitia velut .. in .naturam quandam ex
consuetudine convertatur: etiam tu qui legis probato, si
omnimodis neque in his quae videntur temporalibus saeculis
neque in his quae non videntur et aeterna sunt (II Cor.
4, 18) penitus pars ista ab illa etiam finali unita te ac co~
venientia discrepabit. Interim tamen tam in his quae videntur et temporalibus saeculis quam in illis quae non
videntur et aeterna sunt omnes isti pro ordine, pro ratione,
pro modo et meritorum dignitatibus dispensantur: ut in
primis .alii, alii in secundis, nonnulli etiam in ultimis temporibus et per maiora ac graviora supplicia nec non et
diuturna ac multis, ut ita dicam, saeculis tolerata asperioribus emendationibus reparati et restituti eruditionibus
primo angelicis tum deinde etiam superiorum graduum virtutibus, ut sic per singula ad superiora proveti usque ad
ea quae sunt invisibilia et aeterna perveniant, singulis videHcet quibusque caelestium virtutum officiis quadam eruditionum specie peragratis. Ex quo, ut opinar, hoc consequentia ipsa videtur estendere, unamquamque rationabilem.
naturam passe ab uno in alterum ordinem transeuntem per
singulos in omnes, et ab omnibus in singulos pervenire,
dum accessus profectuum defectuumve yarios pro motibus
vel conatibus propriis unusquisque prO: liberi arbitrii facultate perpetitur 14
l
4. - Quoniam sane visibilia quaedam dicit esse Pawus
et temporalia, alia vero praeter haec invisibilia et aeterna
7..i)pWCTEl.\I 7tO"t ci\li>pW7tOTI)'t'Cl.
brevit,
(ep. ad
dei de,
umana.
227
228
V. LE Cll.ATUl.E llAZlONALI
.,'..f:.;:?:
229
(II Cor. 4, 18),. esaminiamo in che senso queste realt visibili siano temporali: se perch non esisteranno assolutamente piu nei lWlg~ secoU futuri, nei quali la dispersione
e divisione dell'unico principio sar reintegrata in un'unica
e medesima fine e somiglianza; ovvero perch passer la
figura delle cose temporali, ma non sar completamente
dissolta la loro:. sostanza. Paolo sembra confermare la seconda ipotesi quando dice: Infatti passer la figura di questo mondo (I Cor. 7, 31). E anche Davide sembra rivelare
le stesse cose qtiando dice: I cieli periranno, ma tu resterai;
tutti invecchieranno icome un vestito, e tu come una veste
li cambierai: come un vestito saranno cambiati (Ps. lOl, 27).
Se infatti i '.cieli saranno cambiati, certo non perisce ci
che viene cambiato; e se passa la figura di questo mondo,
ci non significa che la sostanza materiale sar completamente distrutta, ma che avverr cambiamento di qualit e
trasformazione di figura. Anche Isaia senza dubbio propone
un concet~o di questo genere quando profetizza che ci sar
un nuovo cielo ed una nuova terra (I s. 65, 17 ). E rinnovamento del cielo e della terra, trasformazione della figura
di questo mondo, cambiamento dei cieli sono certamente
preparati per coloro che, percorrendo la via che abbiamo
sopra indicato, tendono a quel fine di beatitudine in cui
detto che anche. i nemici saranno sottomessi e Dio sar
tutto in tutti (I Cor. 15, 25. 28). Se qualcuno pensa che in
questa fine la natura materiale, cio corporea, perir completamente, io non riesco proprio a capire come tante sostanze possano vivere e sussistere senza corpo, l dove
prerogativa del solo Dio, cio del Padre, Figlio e Spirito
santo, esistere senza sostanza materiale e senza alcuna unione
con elementi corporei. Perci altri forse dir che in quella
fine ogni sostanza corporea sar cosf monda e purificata
da potersi intendere a mo' di etere e di celeste purezza e
integrit. Come effettivametne stia la cosa, lo sa solo Dio
e quello che per intercessione di Cristo e dello Spirito santo
gli amico (Io. 15, 15).
del bene (:::::: esserci) sono incorporee, mentre tutte le creature, in
quanto imperfette, isono corporee. Su questo concetto della materia
intesa come espressione dell'imperfezione delle creature si veda
l'Introduzione al c.. 6.
CAPITOLO VI
IL MONDO
232
VI. IL MONDO
lNTllOOUZlONE
i'
233
234
i
Vl. lL MONDO
lNTlODUZlONE
235
236
VI. lL MONDO
237
lNTllOtlUZlONE
alla religione dcl ciclo tanto e.ara ai filosofi greci, erano allora
in auge credenze astrologiche che facevano dipendere le
sorti umane proprio dall'influsso degli astri. Tutto ci
inammissibile per Origene: per egli risente di tali radicate convinzioni neJ.la interpretazione che d degli astri
nella trama dcl' suo; sistema. Anche per lui gli astri sono
esseri. viventi: fanno parte delle creature razionali, e la
loro attuale condiziOne conseguenza della loro reazione
all'atto creativo: di Dio, Essi sono al vertice della gerarchia
degli esseri mondani, e la loro condizione determinata
dal compito loro. _affidato di aiutare le creature razionali
decadute piu
ba~so nell'opera di redenzione: Princ. I
7, 2-.5.
io
-
+ne;
vciooc;
240
VI. IL MONDO
illa
241
242
Vt. IL MONDO
3 Il Figlio, in quanto potenza e logos di Dio, formalmente assimilato all'anima mundi platonica, che Albino collocava dopo il Dio
supremo (epit. 14, 3), e anche al pneuma divino innanente nel
mondo, della tradizione stoica, come gi aveva fatto Giustino (I Apol.
243
aiutati, altri possono aiutare, altri infine provocano contese e contrasti a coloro che progrediscono, per rendere piu
lodevole la loro operosit e pili stabile lo stato di dignit
recuperato dopo la vittoria e stabilito tra fatiche e difficolt.
3. - Bench sia ordinato con diversi uffici, non dobbiamo credere che lo stato del mondo risulti inorganico e
disarmonico: ma come il nostro corpo formato da molte
membra (I Cor. 12, 12) ed retto da una sola anima, cosi
dobbiamo pensare. a tutto l'universo come ad uno smisurato essere animato, retto dalla potenza e dalla parola di
Dio, che ne costituisce, per cosi dire, l'anima. Ritengo che
anche la sacra scrittura alluda a questo, l dove il profeta
dice: Non riempio cielo e terra? dice il signore {Ier. 23, 24)
e ancora: Il cielo mia sede e la terra sgabello dei miei
piedi ( Is. 66, 1 ); e questo signific il salvatore quando disse
che non bisogna giurare n per il cielo, perch sede di
Dio, n per la terra, perch sgabello dei suoi piedi (Mt.
5, 34 sg.); e Paolo, quando, parlando agli Ateniesi, disse:
In lui viviamo ci muoviamo ed esistiamo (Act. 17, 28).
Come infatti viviamo ci muoviamo ed esistiamo in Dio, se
non perch egli contiene e abbraccia il mondo con la sua
forza? Come il cielo sede di Dio e la terra sgabello dei
suoi piedi, come dice il salvatore, se non perch la sua
potenza riempie ogni cosa in cielo e in terra, secondo quanto
detto: Non riempio cielo e terra? dice il signore (Ier.
23, 24 )? Ritengo pertanto che, sulla base di quanto abbiamo esposto, nessuno far difficolt ad ammettere che Dio,
padre di tutti, riempie ed abbraccia l'universo con la pienezza della sua potenza.
D>altra parte, poich abbiamo dimostrato precedentemente che i diversi movimenti delle creature razionali e i
diversi giudizi di Dio hanno provocato la variet di questo
mondo, vediamo se anche la fine di esso non sar simile
all'inizio: infatti non c' dubbio che anche alla fine ci sar
60 ). Ma Origene non manca di rilevare la trascendenza del Logos
cristiano rispetto al mondo, di contro all'immanenza del logos stoico:
244
Vl. IL MONDO
245
246
VI. IL MONDO
2. - LA MATERIA.
dal volere del Logos a risiedere nel mondo per .venire in aiuto alle
creature effettivamente decadute a causa del peccato. In riferimento
a quanto abbiamo osservato nel c. 5 n. 8, qui abbiamo un altro
passo da cui sembra dedursi che non tutte le creature! razionali avevano peccato, ma alcune si trovavano nel mondo proprio per recare
soccorso alle creature peccatrici. Nel senso di .corporeit spessa e
pesante Origene interpreta sistematicamente la vanit cui sottomessa, contro il suo volere, la creazione, secondo R'om. 8, 20 sg.:
cfr. infra.
6 La contrapposizione fra natura intellettual~ e D!itura corporea
LA MATE.RIA
247
[Principi III 6, 7] 7. - Pertanto da tutto questo ragionamento risulta che Dio ha creato due nature generali:
la natura visibile, cio corporea, e la natura invisibile, che
incorporea. Ambedue queste nature possono subire svariati mutamenti. Quella invisibile, che dotata di ragione,
rimontava a Platone (Phaedr. 79" AB) ed era stata volgarizzata nel
medioplatonismo, che per aveva accettato per la natura materiale la
concezione stoica di un substrato amorfo modificato secondo le qualit. Origene accoglie questa concezione della natura materiale e in
certo senso trasferisce questo carattere alla sostanza intellettuale
incorporea: anch'essa substrato amorfo, destinato ad assumere
forme diverse a seconda dei diversi movimenti provocati dalle diverse
volont libere. Dal canto suo la narura materiale adegua sempre i
vari corpi alle varie condizioni degli esseri razionali.
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Vl. IL MONDO
LA MATERIA
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2.50
VI. IL MONDO
LA MATERIA
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2.:52
VI. IL MONDO
L.A MATE.lllA
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254
VI. IL MONDO
vitas fcrt et continet morus, pari cum ipsis aetcrnitate pcrduret, an vero absoluta interibit et exolescct. Quod ut
possit scrupulos.ius depraehendi, requirendum p~imo videtur, si possibile est penitus incorporeas remanerc rationabiles naturas, cum ad summum sanctitatis ac beatitud.inis
venerint, quod mihi quidem difficillimum et paene inpossibile videtur; an necesse est eas semper coniunctas esse
corporibus. Si ergo posset quis estendere rationem, qua
possibile esset eas omnimodis carere corporibus, consequens
videbatur quod natura corporea ,."'_ 11ihjlq pe,: i_~tervalla.
temporum procreata sicut, cum non esset, cffecta est; ita
et esse desineret, cum usus eius ministerii praeterisset.
2. - Si vero inpossibile est hoc ullo modo adfirmari, id
est quod vivere praeter corpus possit ulla alia na~ra praeter
patrem et filium et spiritum sanctum, necessitas consequentiae ac rationis coartar intellegi principaliter quidem creatas
esse rationabiles naturas> materialem vero substantiam opi~
nione quidem et intellectu solo separari ab eis et pro ipsis
vel post ipsas effectam videri, sed numquam sine ipsa eas
vel vixisse vel vivere: solius namque trinit-atis incorporea
vita existere recte putabitur 10 Ut ergo superius diximus,
rnaterialis ista substantia huius modi habens naturam, quae
ex omnibus ~d omnia transformetur, cum ad inferiores quosque trahitur, in crassiorem corporis statum solidioremque
formatur, ita ut visibiles istas mundi species variasque
distinguat; cum vero perfectioribus ministrar: et beatioribus,
in fulgore caelestium corporum micat et spiritalis corporis
indumentis vel angelos dei vel filios resurrectionis (I Cor.
15, 40. 44; Mt. 22, 30; Le. 26, 36) exornat, ex quibus omnibus d.iversus ac varius unius mundi conplebitur status.
Verum haec si plenius discutere libet, oportebit adtentius et dligentius cum omni rnetu dei et reverentia perscrutari scripturas divinas, si qui forte in his de: talibus arcanus
et reconditus sensus, si quid in absconsis et reconditis
(sancta spiritu demonstrante his, qui dig11i su~t) poterit
LA MATf:ltlA
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VI. IL MONDO
LA MATEJ.lA
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.Vl. IL MONDO
xcd. ST)'t'i:v .
Pl.UltAUT DI MONDI.
2~9
venga da materia priva di qualit., tenendo fermo il' principio che nessuna cosa proveniente dalla maJeria immortale. Se dunque il mondo, proveniente dalla materia, non
immortale, allora il mondo mortale risulta corruttibile, o
no? Se esso corruttibile, risulta corruttibile come opera
di Dio; in tal caso, nella corruzione del mondo, che cosa
avverr dell'anima, che opera di Dio? Forza, ce lo dica
Celso! E se invece, distorcendo il concetto di immortalit,
egli dir che il mondo immortale, perch pur essendo
soggetto alla .. corruzione non si deteriora, e pur essendo
suscettibile di morte non muore, risulta evidente in tal
caso che per Celso vi sarebbe una entit, mortale ed immortale nello stesso tempo, perch suscettibile dell'una e dell'altra cosa, e che quindi, non essendo immortale per natura, essa pu esser de.finita immortale in un senso particolare, per il fatto che essa non muore. In quale senso
dunque egli vorr che s'intenda, secondo questa distinzione, la frase: nulla che proviene dalla materia immortale? Ecco, come puoi constatare che, a discutere seriamente le idee di Celso in questo libro, si vede che non
contengono nulla di serio e di incontestabile.
Dopo aver detto tali cose, egli aggiunge infine che su
questo a_rgomento si detto abbastanza, e se qualcuno
capace di udire ed indagare ancora, quegli sapr. Consideriamo dunque, tirando i conti, noi che siamo degli stupidi per Celso, che cosa abbiamo potuto ricavare dall'avere
udito ed indagato, anche per poco, le sue idee!
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VI. IL MONDO
PLUllALlT DI MONDI
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V!. IL MONDO
-!-
PtURALlT DI MONDI
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PLtJllALIT DI MOND'I
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Vl. IL MONDO
PLURALIT DI MONDI
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VI. IL MONDO
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'ApEl~ 7tciy~ ~ou'}v xa:ta.~cplCTE~CX.L a.U'"t'OV '"t'\I 01.. '"t'OU
XW\IElou ~ciVCX.'"t'OV. O.ihw O ci 'V ci"( X T) ci E. X a '"t' c. '"t' . e;
't' E '"t' cx. y ~.-'V. cx. e; 1C E p L 6 o u e; <t><i)..a.pL\I "t'Upcx.vvfia'EL\I xa..'
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ELc; '"t'\I <I>cx..cipi.ooc; 't'cx.upov xcx. "t'cx.01.xa.~'V"t'cx.c; ci E t tv a.v"t'c{'.>
vxi)1.n:~cx.1. d.itEp v ooi}fi, oux oro 01tWc; 't' cp' i)i:v
crwlH}crE"t'cu xcx.t Ei'CCX.WOL xcx.l tJ_,6yo1. E.6ywc; EO"O\l'"t'CX.L. >.EUei:cx.1. o 7tpc; -ri)v '"t'OLCC.V"t'T)\I U7tO~EO'L\I "t'Q K.cr~ O"t'L, E[7tEp
o l cx. O''"t'.v ci 1t ' . p Xii e; d e; "t' . o e; 'i) "t' w \I i> \I T} "t'wv cid 1tEploooc;, xcx.t xa."t'. -r.c; '"t'E't'ayva.c; civa.xvx.TjO"ELc; civciyxl) 't'. cx.v"t'. .E.
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cbtEcpcicre:tc; ot ci-rt '"t'Tjc; l.:'t'ofic; ox o!o' o7twc; d.-rtcx.pa:.).J. . cix't'ovc; cpcx.cr.v ~CTE~CX.!. XCX."t'C. 1t E p l o o V '"t'OL<; d.1to 't'WV
7tPO't'pW\I 7t E p !. 6 o w \I 'ltcI\l't'CX.c;, tvcx. 1) l:wxpci't'T}<; 'ltCi.1.\1
w"
PLUl.ALIT DI MONDI
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vt; IL MONDO
271
22
VI. IL MONDO
bus et hi, qui trans ipsum sunt mundi, qui his cisdem
domina toris dei dispositionibus gubcman rur (I ' Clem.
20, 8).
'
Dicirur mundus etiam ista universitas, quae t i cado
constat et terra, sicut Paulus ait: Transiet enim habitus
huius mundi (I Cor. 7, 31 ). l;)esignat sane et alium quendam mundm praeter hunc visibile.m etiam dominus et
salvator noster, quem re vera describere ac designare difficile est; ait_;namque: Ego non sum C."'C hoc munda (Io.
17, 14 ). Tamquarn cnim qui ex alio quodam esset munda,
ita dixit q!-lia non sum ex hoc mundo . Cuius mundi
difficilem nobis esse expositionem idcirco praedixi~us, ne
forte aliquibus praebeatur occasio illius intellegentiae, qua
putent nos irnagines quasdam, quas Graeci loia.e; nominant,
ad.firmare: . quod utique a nostris rationibus alienum est,
mundum focorporeum dicere, in sola mentis fantasia vel
cogitationurn lubrico consistentem; et quomodo vel salvatorem inde esse ve! sanctos quosque illuc ituros poterunt
ad.firmare, non video 15 Verumtamen praeclarius aliquid et
splendidius, quam iste praesens est mundus, indicari a salvatore non dt,Jbium est, in quem etiam credentes in s~ tendere provocat et hortarur. Sed utrum mundus iste, quem
sentiri vult, separatus ab hoc sit aliquis longeque divisus
vel loco ~el .qualitate vel gloria, a~ gloria quidem et_ qua
litate praecellat, intra huius tamen mundi circumscriptionem cohibeatur, quod et mihi magis verisimile videtur,
incerturn tamen est et, ut ego arbitror, humanis adhuc cogitationibus et mentibus inusitatum. Ex his tamen, quae Clemens visus est indicare cum dicit: Oceanus intransmeabilis
hominibus et hi mundi, qui post ipsum sunt mundos,
(qui} post ipsum sunt, pluraliter nominans, quos et eadem
dei summi providentia agi regique significat, semina quaedam
nobis huiuscemodi intellegentiae videtur adspergere, quo,
putetur omnis quidem universitas eorum, quae sunt atque
subsistunt, caelestium et supercaelestium, terrenorum i.nfe.t-
18 Abbiamo gi visto (Princ. I 2, 2: vedi c. 3 n. 10) che Origene, uniformandosi ad una concezione vastamente diffusa al tempo
r/J
suo negli ambienti plator1ici, colloca il mondo .delle idee nel Logos:
perci ne nega l'es1stenza come mondo separato.
2H
Vt. IL MONDO
27'5
276
Vl. IL MONDO
beati ( antica sede delle creature razionali): dr. Ho. XXXVI Ps.
2,4; .5,4.
22 Cfr. n. 12. Qui appresso, a stare alla versione di Rufino, la
sede dei beati viene identificata col cielo incorruttibile delle stelle
fisse, mentre poco prima era stato detto che questa sede anche al
di sopra di questo cielo. Va comunque tenuto presente che qui
Origene presenta la sua esposizione come ripresa da altri.
23 La distinzione fra realt invisibili e realt che non si vedono
rilevata dalla identit invisibile
incorporeo, variamente sottolineata da Origene (Princ. I, praef. 8-9; I 7, l; IV 3, 1.5), che cos{
pu utilizzare la nozione di incorporeo, tanto importante nella filosofia del tempo e nella sua personale concezione e che per non
trovava attestazione specifica nella sacra scrittura, ove invece si parla
277
Quanto i:)oi al~ni dicono del nostro mondo, che corruttibile in quanto creato ma non si corrompe perch piu
forte della corruzione la volont di Dio che lo ha fatto
e lo conservk, affinch la c<?,rruzione non lo domini (Rom.
8, 21 ), ci pu pi\J esattame~te essere inteso di quel mondo
che sopra abbiarbo detto sfera delle stelle fisse, che per
volont. di Dio mm soggiac~: alla corruzione, perch non ha
ricevuto neppure le cause d~lla corruzione. Infatti quello
il mondo dei beati e di coforo che si sono completamente
purificati, non degli empi ;come il nostro. Forse proprio
gu:irdando a questo l'apostlo ha detto: A noi che osserviamo non le cose che si vedono ma quelle che non si vedono: infatti quelle che si, vedono sono temporali, quelle
che ndn si vedono sono eierne. Sappiamo infatti che, se
questa nostr~ dimora te"ena viene meno, noi abbiamo una
casa che opera di Dio, non manufatta ma eterna nei cieli
(II Cor. 4, 18; 5, 1 ). Infatti, mentre altrove detto: Perch vedr i cieli opera delle tue dita (Ps. 8, 4), e Dio per
mezzo del profeta ha detto .di tutte le cose visibili: La mia
mano ha fatto tutte queste cose (Is. 66, 2), questa casa
eterna, promessa ai santi in cielo, egli ha definito non
manufatta, rilevando proprio la differenza fra creature che
si vedono e creature che non si vedono. E non la stessa
cosa -dire cose che non vedono e cose che sono invisibili , poicn queste non solo non si vedono ma per
natura son tali da non poter essere viste e i Greci le hanno
chiamate incorporee; invece quelle che Paolo ha definito
278
VI. IL MONDO
5. - GLI. ASTRI.
GL1 ASTRI
279
cose che non si .~edono, per natura son tali da poter esser
viste, tuttavili egli dice che non sono ancora viste da coloro
ai quali sonQ prom~se.
[Principi I 7, 2-5] 2. - Prima vediamo che cosa il ragionamento ci permette di acquisire sul conto del sole, della
luna e. delle :stelle, se esatto ci che alcuni pensano, cio
che esse non possono subire mutamento; e per quanto
possibile, cominciamo col proporre ci che afferma la scrittura. Infatti 1Giobbe sembra rivelare che le steli~ non solo
possono essere soggette al peccato, ma che effettivamente
esse non so.l'lo pure dal contatto del peccato. Infatti cosi
scritto: Neppur.e le stelle sono pure al suo cospetto (lob
25, 5). E ci non va inteso dello splendore del loro corpo,
come se, p. es., dicessimo: Il vestito non pulito; perch,
se intendessimo cosi, attribuiremmo a ingiustizia del creatore l'impurit d'ella splendore del loro corpo. Se infatti
le stelle non hanno potuto ottenere corpo piu luminoso
grazie alla loro operosit n meno luminoso a causa della
loro inerzia, perch sono incolpate di non essere pure, dal
momnto che non potrebb~ro neppure essere lodate per la
loro purezza?
280
VI. IL MONDO
GLl ASTll.I
281
(lob 25,5).
4. - Ora bisogna vedere se gli esseri che il nostro ragionamento ha dimostrato dotati di anima e di ragione sono
stati creati insieme col corpo nel tempo in cui la scrittura
dice che Dio cre due grandi luci, una maggiore come
potenza del giorno ed una minore come potenza della notte,
e le stelle (Gen. 1, 16), ovvero non sono sta,ti creati insieme
con i corpi ma Dio ha inserito dall'esterno lo spirito nei
corpi gi fatti. Io suppongo che lo spirito sia stato inserito
dall'esterno, ma opportuno dimostrare ci sulla base delle
scritture, poich l'affermazione per congettura facile, ma
piu difficile suffragarla con testimonianze scritturistiche.
Infatti possibile dimostrare c per congettura in questo
modo. Se si dimostra che l'anima dell'uomo, che in quanto
tale di rango inferiore, non stata creata insieme col
corpo ma stata effettivamente inserita dall'esterno, a maggior ragione ci varr per gli esseri animati che son detti
celesti. Per quanto riguarda l'uomo, come considereremo
282
VI. IL MONDO
GLI ASTlll
283
280
I
CLI ASTKI
281
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VI. IL MONDO
285
GLI ASTl!.I
in
286
Vl. IL MONDO
GLI ASTRI
287
CAPITOLO VII
L'UOMO
290
VII. L'UOMO
INTRODUZIONE
291
cio un profondo attaccamento a Dio, torner dalla condizione di anima a quella di nous.
In altri contesti Origene tratta dell'immonalit dell'anima in relazione alle dottrine greche allora in auge (C. Cels.
III 80-81 ), rifiuta di passaggio (Princ. III 4, 1) la dottrina
platonica della partizione dell'anima in tre parti, in quanto
non scritturisticamente fondata, e discute lungamente se si
debba ammettere nell'uomo una sola anima o due, una
inclinata al bene e una inclinata al male (Princ. III 4, 2-5).
Di per s questa conce2ione si adattava abbastanza bene
allo schema antropologico binario anima/ corpo della tradizione platonica, che anche quello presupposto da Origene nella concezione dell'anima come nous, creatura razionale decaduta e inserita in un corpo a lei estraneo per natura: infatti per anima inclinata al male, detta anche anima
della carne, si poteva semplicemente intendere la vitalit inferiore del corpo umano, vista come forza che attrae l'uomo
appunto alle opere della carne e del peccato. Origene per
propone soltanto la tesi delle due anime in alternativa con
l'altra di una sola anima, senza sottoscriverla apertamente,
perch essa, attestata in area gnostica, poteva portare anche
a concludere che nell'uomo ci sono diverse nature intese
proprio come centri distinti di vitalit. Infatti l'anima della
carne o anima terrena era, per gli gnostici, il principio di
vitalit proprio degli uomini materiali, mentre la p.sych
il principio di vitalit e razionalit degli psichici, cui si
aggiunge il pneuma negli spirituali. Sempre al fine primario
di evitare ogni spunto che potesse favorire la dottrina gnostica delle diverse nature umane, Origene preferisce in piu
punti pensare ad una sola anima, che, in armonia con lo
schema paolino che abbiamo detto ben valorizzato in questa
epoca, egli concepisce come un'entit moralmente neutra,
centro della personalit dell'uomo, che tratta al bene
dallo spirito, cio dalla forza divina che in lei, ed invece
tratta al male dalla carne, intesa non staticamente bens!
dinamicamente, proprio alla maniera di Paolo, come .stimolo, incitamento al male, che presente in ognuno di noi.
292
Vl!. L'UOMO
INTRODUZIONE
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293
294
VII. L'UOMO
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81. - Mi} uitoc:i.~nc; o E ox &.pol'.;.6v-rwc; "te{) Xpi.a'tLct'Jwv y~ 7tctpi!1..T)<pvai. 1tpc; 't'v KO"ov -roc; 7CEpt
'tijc; .i>cr.vcr.alcr.c; ii tjc; moi.cr.ovijc; tjc; \jJvxljc; <pt..oO"ocpi)O"etv"to:c; itpc; ouc; xowci. "tl.\l(X. EX.OV't'Et; EVXCttp6"tEpO\I
1ta.po:O""tTJO"oe.v 15-ri. Ti .ovcrcr. a.xa.plcx. ~w-fi 6vot.c; EO"'ta.L
-roi:c; ( T)v) xcn:. "tV '!i)O"OVV ih;ocr~EL!X.'\I xcr.. E!c; "CV 't'W'V
o.wv Oi}Lovpyv EVO"~El.Ct'\I dt.xpwij xa.l xo:i>cx.p.v xo:t
i.1.x't'ov 1tpc; o-rt. 1to-r' ov ye.v11-rv 'l'to:pcr.oE!;a..voi.c;.
'l'tolwv O x p e. i. 't' -e 6 v w v x a. 't a. cp p o v Ei: v 1t a. p a. 1t Eli} o E'Il -.oc; ci 'Il i} p w1t o u e; 1tixpCX.OELXVIJtW ~ov.Oe.
voc; xa. .v't'mcr.pcr.t"tw "t xcd}' 1)ac; rccr.p. i>EQ .v Xpi.O"'t'Q,
'tov-.O"'tL 't'~ .y~ xa.l "tTI aoq>lq. xa.L milT() cipe.-tjl, 't.oc;
cr.xci.pi.ov -toi:c; ci1t"tWt; xcr.. xcd7a.pwc; ~1.WO"a.O"L xa.t T)v
7Cpc; "t'V 'tWV O.WV frE'V d:yci.1tT)'\I ci.01.cx.lpE'tOV xa.t liQ'X.1.CT"tO'\I
.vEi..ricpoO"L CTV~ricr6EVov, xa.. owpEQ. ih:ov .1ta.V-tT)cr6Evov, "tt;i xcr.il"' faci.cr-criv cpi..6crocpov a.tpEcr1.v v "E.i}oi.\i
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.7ta..cX.!;ew; et y.p Ti <popnxv EL1tEi:v, et."t'oi}Ev q>ezlvE"t'et.t.
2 In questo contesto Origene da una parte mette in rilievo la
coincidenza fra cristianesimo e alcune scuole filosofiche greche circa
l'immortalit dell'anima, ma dall'altra sottolinea la superiorit glo-bale della rivelazione cristiana.
la gente alle speranze buone, oppure - come p1u conforme alle sue idee - non infondono nessuna speranza, per
la distruzione subitanea e completa dell'anima dopo morte.
A meno che Celso e gli Epicurei vogliano rifiutarsi di considerar vana la speranza legata al loro fine, cio al piacere,
che per essi il bene supremo, il saldo equilibrio del
corpo e la fiducia assoluta in esso, secondo la dottrina
di Epicuro.
81. - Ora ti prego di non voler supporre che io abbia
agito in modo non conforme alla dottrina cristiana, quando
replicando a Celso ho accolto le opinioni dei filosofi che
affermano l'immortalit o la sopravvivenza dell'anima. Noi,
che abbiamo in comune con loro alcuni punti, dimostreremo in un momento piu adatto che la vita beata futura
apparterr solo a quelli, i quali hanno accolto la religione
di Gesu, e venerano il creatore dell'universo con venerazione limpida e pura, non contaminata da alcuna cosa creata.
Ora, ci mostri chi ne ha voglia, quali beni eccelsi noi
persuadiamo subdolamente gli uomini a disprezzare; cerchi
di porre a fronte la fine beata, secondo la nostra dottrina,
presso Dio, in Cristo che il Verbo, la saggezza ed ogni
virtu - la fine che spetter a quanti hanno vissuto in maniera irreprensibile e pura, ed hanno ricevuto indiviso ed
infrangibile l'amore per il Dio dell'universo, la fine che
verr concessa per dono di Dio - ; la metta a fronte con
la fine concepita da ciascuna scuola filosofica, o greca o
barbara, oppure proclamata dalla religione dei misteri! Ci
dimostri quindi che la fine concepita da una di quelle altre
scuole filosofiche superiore alla nostra, ed conveniente,
perch vera, mentre la nostra non adatta, n al dono
di Dio, n agli uomini che hanno ben vissuto; oppure che
tutto ci non proviene dallo Spirito Santo, il quale ha
riempito l'anima dei profeti incontaminati! Ci dimostri chi
ne ha voglia, che le dottrine riconosciute da tutti, come
schiettamente umane, sono superiori a quelle, dimostrate
divine, e proclamate per ispirazione divina! E poi, da quali
beni eccelsi noi insegniamo che meglio astenersi? In
realt, senza pretesa di millanteria, evidente per se stesso
che nulla si pu concepire di piu eccelso del confidare
300
VU. L'UOMO
o't'L ouo'V oux &nwo11 i)ii\lcxL wc; x P Ei: 't' 't' a 'V E!'VC1L Sv'Vct't'a.t""ov 7tLCi't'EVO"ctL fa\J't''V "ci) btL 7Cii.cn. i7E~ Xct. .'Vcti7Ei:'Vctt
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O OL' \jruxo\J Xct. r;wv't'oc; Myol.J, oc; O"'\'L xctt O"ocplct ~WCTct.
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yopEui1v-rw\I EL.11<p6-roc;, cr.v't'o\l 1tO\J xcr.'t'ct'ltctvcroEv 't''J
Myo'V, v 't'oi:c; ~fjc; 1tpc; "t. E"tii 't'OV"tO "(Eypa.'Jct. -r4i
KO'~ .ywvLovE\IOL.
[De principiis II 8, 1-4] 1. - Post haec iam ordo de-
poscit nos etiam de anima generaliter inquirere et ab inferioribus incipientes ad superiora conscendere. Esse namque
animas in singulis quibusque animalibus, etiam .in his quae
in aquis degunt, a nullo arbitror dubitari. Nam et communis hoc omnium servat opinio, et confirmatio sanctae
scripturae auctoritatis accedit, cum dicitur quia fecit deus
cetos magnos. et omnem animam animantium repentium,
quae produxerunt aquae secundum genus eorum ( Gen._
1, 21). Ex communi vero rationis intellegentia confi.rmatur.
etiam ab his, qui definitionem animae certis- determinant ..
verbis. Definitur namque anima hoc modo, quia sit sub~:
stantia q>ctV't'etCT't'LXT} et pT}'\'LXTJ 3, quod latine, licet noti;
tam proprie explanetur, dici tamen potest sensibilis et mo~.
bilis. Quod utique convenit etiam de omnibus animalibus:::
dici et his, quae in aquis degunt; sed et in volucribus eadem.
definitio animae convenienter ostenditur. Addit sane scrip/~
tura etiam alterius sententiae auctoritatem, cum dicit: Noh~
manducabitis sanguinem, quia anima totius carnis sanguis~i
eius est, et non manducabitis animam cum carnibus (Lev:/
17, 14); in quo evidentissime sangunem omnium anim~~;~
lium animam ipsorum esse designat. Iam vero si quis re=~
quirat, quoniam animam omnis carnis sanguinem eius <iss~]~
dixit, de apibus et vespis et formicis sed et de his, quae W.i~
aquis surit, ostreis vel codeis et quaecumque sunt alia, qu~L~
carent sanguine et esse ariimantia manifestissime dem~#.t~
~~~~t~
..
3i.~::f
L'Al'llMA
301
razionale dell'anima. Altrove_ Origene distingue bene il moto irra.zionale delle bestie da quello degli esseri dotati di ragione: C. Celr.
IV 85.
302
vn ... L'UOMO
strantur: respondendum est quoniam in huiuscemodi animantibus quam in ceteris vim habet rubri sanguinis vigor,
hanc vim obtinet in istis humor ille, qui inest in eis, licet
alterius sit coloris; nihil enim refert, qui sit color, dummodo substantia sit vitalis. De iumentis vero vel pecudibus
quod animantia sint, etiam apud communem opinionem
nulla dubitatio est. Evidens ta~en est et scripturae divinae
sententia, cum dicit deus: Producat terra animam vivam
secundum genus, quadrupedia et repentia et bestias terrae
secundum genus (Gen. 1,24}. Iam vero de'homine quamvis nulli dubium sit nec requirere aliquis possit, tamen et
scriptura divina designat quod deus in faciem eius inspiraverit spiramentum vitae, et factus sir homo in animam
vivam (Gen. 2, 7).
.
Superest de angelico ordine requirere, utrum et ipsi animas habeant an animae sint, vel 'de ceteris divinis caelestibusque virtutibus sed et de contrariis potestatibus. Auctoritatem quidem scripturae divinae nusquam ullam invenimus quod vel angeli, vel si qui sunt divini spiritus ministri
(Hebr. 1, 14) dei, vel animas habere vel anin:iae dicantur;
animantia tamen esse a quam plurimis sentiuntur. De deo. 4
autem invenimus scriptum esse ita: Et ponam animam
meam super animam illam, quae. manducaverit sanguinem,,
et eradicabo eam de populo suo et it~m alibi: Neomenias vestras et sabbata et diem magnum. acceptum non ha-:
beo. Ieiunia et ferias et dies festos vestros odit anima mea
(Lev. 17, 10; Is. 1, 13 sg.). Et in vkesimo primo psalmo
de Christo (certum est enim quia ex persona ipsius iste'
psalmus adscribitur, sicut evangelium contestatur) ita dictuni'
est: Tu autem, domine, ne longe facias auxilium tuu..m;
ad defensionem meam respice, eripe a framea animam meani
et de manu canis unicam meam (Ps. 21,20; Mt. 27,46).
Quamvis et multa alia sint testimonia de anima Christi iP,
carne positi.
.,.:
2. - Sed de Christi quidem anima omnem nobis adimt,
quaestionem ratio incarnationis occurrens. Sicut enim ver~
- ~"
/f.~i
L'ANIMA
303
c;ri~to,
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VII.
L'UOMO
.305
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VII, L'UOMO
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309
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VII. L'UOMO:
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L'ANIMA
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L'UOMO
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314
VU. L'UO.Mo-.-..
315
vn.
316
L'UOMO
317
c9nfutano l'argomento di Celso a proposito del male. Costoro hanno provato con dati storici che in un primo tempo
le cortigiane si offrivano per mercede a chi voleva, stando
fuori della citt e indossando una maschera, quindi in un
secondo tempo trascurando il pudore si tolsero la maschera,
ma rimasero fuori delle citt perch le leggi proibivano
loro l'accesso, poi crescendo la corruzione di giorno in
giorno, si avventurarono ad entrare anche nelle citt. Questo
afferma crisippo nella Introduzione al problema del bene
e del male .. Ed possibile dedurre che il male diviene maggiore o minore anche dal fatto che gli uomini chiamati
di dubbio sesso si prostituivano pubblicamente per soddisfare passivamente o attivamente i piaceri di quelli che
andavano ~a loro~ in sguito invece gli ispettorL del mercato li cacciarono via. E di tutti quei vizi innumerevoli,
che l'onda del male ha scaraventato sulla esistenza umana,
'bisogna Aire che una volta non ne esisteva alcuno. Del resto
le storie piu antiche quantunque sian piene di accuse contro
i peccatori, non fanno parola di quelli che commettono atti
innominabili.
64. - Ora, io dico, mai possibile, tenendo presenti
queste e simili constatazioni, che Celso non cada nel ridicolo, quando pensa che il male non pu divenire maggiore
o minore? 'In effetti, anche ammesso che la natura dell'universo una, sempre la stessa, non ne deriva affatto
che l'origine del male sia sempre la stessa. Poich, quantunque la natura di un dato individuo sia una e sempre
la stessa, non sempre sono identiche le ose che concernono la sua mente, la sua ragione e le sue azioni: capita
cio che uno non abbia ricevuto la facolt di ragionare,
che un altro abbia la ragione accompagnata dalla malizia,
e questa dosata .in una misura maggiore o minore; capita
che uno .si orienti verso la virtu e faccia in questo cammino piu o meno progressi, e capita talvolta che raggiunga
la perfezione, .e pervenga alla virtu con maggiore o minore
potenz~ contemplativa. Lo stesso si deve dire a maggior
ragione .anche riguardo alla. natura dell'universo; quantunque essa sia nel suo genere una e sempre la stessa, gli
avvenimenti che nell'universo accadono non sono sempre
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VU. 'L'UOMO
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L'UOMO
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Vll. L'UOMO
quae in semet ips1s causam suorum motuum habent, quaedam dicunt ex se, quaedam ab se moveri; et ita dividuot
quod ex se moveantur ea, quae vivunt quidem non tamen
animantia sunt, a se autem moveantur animantia, curo eis
fantasia, id est voluntas quaedam ve! incitamentum, adfuerit, quae ea moyeri ad aliquid vel incitati provocaverit.
Denique etiam in quibusdam arumalibus inest talis fantasia,
id est voluntas vel sensus, qui ea naturali quodam instinctu
provocet et concitet ad ordinatos et conpositos motus; sicut
videmus araneas facere, quae fantasia, id est voluntate
quadam vel studio te..'Ctrinae, ad opus texendi ordinatissime
concitantur, sine dubio naturali quodam motu intentionem
huiuscemodi operis provocante, nec tamen ultra alium aliquem sensum quam te..'Cendi naturale studium habere ipsum
animal invenitur, sicut et apis fingendi favos ac mella, ut
aiunt, aeria congregandi.
'
3. - T iv'toL oyLxv l;~ov xa.l ).6yov ~XEL 1tpc; -tj)
cpct\l"t"CX.C''tLXi) Cj)VC'EL, "t\I xpl\10\1-Ca. 't<c; cpCX.V't'CX.C'La.c; ' xa.t
't'wc; v :1toooxt<i.?;ov't'a. -cwc; o. 1tctpa.oEx6.Evov, t\la.
.i.YTJ't'CX.L -r ~@ov xa.-r' a.-.<i.c;. oi}Ev m::t v "tTI cpva'EL 't'OU
.6yov El.aiv cX.cpopa.L -rov i}EWpi)<Tc:u. 't xa.v xa.L -r
a.tcrx6v, cx.~ bt6Evot i}Ewpncri;c.v-tEc; -t xa.Mv xcx.i -r a.tcrXP" cx.tpovi.ui}a. l\I -r xa)..v xx.lvo.Ev o 't a.tcrxp6v,
hca.t.VE"'tol iv crEv mOOV"tEc; Cl.V'toc; -rn 'Jtp6.l;EL 'tOV
xa..ou, tliEx'toi O XCX.'tC. -r \la.v'tlov. ox ay\IOT}'t'o\I \l"tOT.
YE o-rt. "t 7tov -rfjc; Etc; 7t<f.v-.cx. -rE-ra. ytvTJc; cpva-Ewc; 7to<Twc;
<T"'tLV V "tOi:c; Sci>ot.c;, 'Jo;L -r "Jt.oV O: fj 1tL "t a.'t'tO\I"
WO'E yyvc; 7toV E!'Ja.L, tv' o\hwc; EL"TCW, -tou oyt.xoO -r
v -roic; LX\IEVw.i:c; xvo-tv ~pyov xa.t tv "toi:c; 7tO.ELxo~
i:"TC"JtoLc; 16 i: v o\iv uno1tEO-Ei:\I -r6oE -rL -.wv ~wl}Ev, cpa.v"ta.crla.\I -i)i:v xwouv '"t"OLcX.VOE ii 'tOt.a'llOE, oo.oyovvwc;
ox EO''tL "tW\I cp' 1).i:v "t o xpiva.L O"tW<TL xpncra.O'~CX.~
'"t"~ ")'E\IO\I~ ii -rpwc;, ox {t).).ov 'rL\Ic; itpyo\I i\ 't'OV :V
1]iv ).6you r:rrlv, ')"tOL 7ta.p. -r.c; <i.cpop.c; vEpyoi:i\1-roc;'
-i)!X.c; 'Ttpc; -.&.e; 1tL -r xa..v 7tpoxa.ov.vcx.c; xa.t "t xa.~
1)i'jxov opac;, i\ 7tL 't E'llct.\l"tLO\I x'"t"p"ltOV"tOc;.
'
.3. - Rationabile vero animal cum habeat in se et hos;
naturales motus, habet tamen amplius ceteris animalibciS.,
etiam rationis vim, qua iudicare et discernere de motibu~~
32.5
forse anche le fonti. Degli esseri che hanno in s il principio del movimento dicono che alcuni si muovono per
s altri da s: per s gli esseri privi cli anima, da s quelli
dotati di anima. Gli esseri dotati cli anima si muovono da
s, allorch sopravviene una rappresentazione che provoca
un impulso. In alcuni poi cli questi esseri animati nascono
rappresentazioni che provocano l'impulso grazie a naturale
capacit di rappresentazione che sistematicamente provoca
l'impulso: come nel ragno c' la rappresentazione del tessere e segue .la spinta a tessere, poich la sua natura capace
di rappresentazioni regolarmente lo spinge a questo, e noi
sappiamo che l'animale non dotato di altro oltre questa
capacit rappresentativa, cosi. come l'ape capace di plasmare la cera.
J. - Invece l'animale razionale oltre la capacit rappre'sentativa possiede anche la ragione, che giudica le rappresentazioni respingendone alcune ed accettandone altre, affn-
..326
VI.
L'UOMO
.,,.I
327
eh~ l'essere animato agisca secondo esse. D'altra parte poich nella natura della ragione c' capacit di giudicare il
bene ed il male, noi in base ad essa giudicando il bene
ed il male scegliamo il bene ed evitiamo il male, e siamo
degni di lode se ci diamo alla pratica del bene, degni di
biasimo se facciamo l'opposto. Per non dobbiamo ignorare che la capacit principale della forza naturale diffusa
dappertutto, in certa misura presente anche negli animali,
ora piu ora meno: sl che questa capacit nei cani da caccia
e nei cavalli da guerra vicina, per cosf dire, a quella della
ragione. (Ma noi crediamo che ci avvenga non tanto per
opera della ragione quanto per impulso, movimento naturale elargito in maggior copia per usi di questo genere.
E poich,' come avevamo cominciato a dire, l'animale razionale si trova in tale condizione, noi uomini siamo soggetti
a subire dall'esterno impressioni di vario genere che toccano la vita l'udito e gli altri sensi e ci spingono ad azioni
buone e cattive). Orbene, esser soggetti a impulsi esterni
che provocano questa o quella rappresentazione senza dubbio non dipende da noi; ma giudicare se dobbiamo servirci
in un modo oppure ,nell'altro dell'impressione subita non
opera di altri che della ragione, che in noi e che a
seconda delle occasioni ci spinge :verso gli impulsi che ci
invitano a fare ci che bene e conveniente ovvero ci dirige
in senso opposto.
328
VII. L'UOMO
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.. VII. -L'UOMO
.331
.332
VII. L'UOMO
libidinisque captivi, .si forte verbo doctrinae atque eruditionis in melius provocati sunt, tantam extitlsse commutationem, ut e."I: luxuriosis ac turpibus sobrii et castissimi,
ex ferocibus et inmanibus mitissimi ac mansuetissimi redderentur: ita rursum videmus in aliis quietis et honestis,
[qui] cum se inquietis forte hominibus ac turpibus sociarint, corrompi mores bonos conloquiis malis et effici eos
tales, quales sunt ill, quibus nihil ad turpitudinem deest;
et hoc interdum evenit matura iam aetate viris, ita ut continentiores in iuventute vbcerint, quam cum provectior aetas
facultatem vitae liberioris indulsit. Consequentia igitur rationis ostendit quod ea quidem, quae extrinsecus incidunt,
in nostra potestate non sunt; bene vero vel male uti his,
quae incidunt, ea ratione, quae intra nos est, .discernente
ac diiudicante quomodo his uti oporteat, nostrae est potestatis.
3. - TENTAZIONE E. PECCA'fO.
TENTAZIONE E PECCATO
333
334
vn~- J'OMO
TENrAZlONE .E PECCATO
33.5
3J6
VII. L'UOMO
TENTAZIONE E PECCATO
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.3.38
VII.
L'UOMO
TENTAZIONE E PECCATO
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Vll. L'UOMO
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342
vu.i.'uoMo
''..'.'.~~)
TENTAZIONE. E PECCATO.
}43
344
vn.
L'UOMO
tiae (lo. 18, 37; I Tim. 6, 20.) dogmata, contfymo quis obtegeretur incr.i.nsecus ignorantes, insidiati sunt ci; adstitcrunt, enim, reges terrae, et principes convenerunt in unum
adversus dominum et adversus Christum eius (Pr. 2, 2).
Quibus eorum insidiis cognitis et hls, quae adversum filium
dei moliti sunt, intellectis, cum dominum gloriae crucifucerunt, ait apostolus quia sapientiam loquimur inter perfectos, sapientiam autem non huius sacculi neque principum huius sacculi, qui destruuntur,
quam nemo principum huius mundi cognovit. Si enim cognovissent, numquam
dominum maiestatis cruci.fixissent (I Cor. 2, 6 sgg.) 24
3. - Quaerendum sane est, utrum istae sapicntiae principum huius mundi, quibus homines inbuere nituntur, insidiandi et laedendi studio ingerantur hominibus ab adversariis virtutib_us, an tantummodo erroris causa adhibeantur,
id est, non laedendi hominis prospectu, sed quia haec vera.
esse ipsi illi mundi huius principes arbitrentur, ideo etian).:.
ceteros docere cupiant ea, quae ipsi vera esse opinantur!".
quod et magis arbitror:z:s. Sicut enim, verbi causa, Graeco,:
rum auctores vel uniuscuiusque haeresis principes cum prius
ipsi errorem falsae doctrinae pro veritate susceperint et
hanc esse veritatem apud semet ipsos iudicaverint, tunc>
demum etiam ceteris haec eadem persuadere conantur, quae
apud semet ipsos vera esse censuerint: ita putandum -est;,
facere etiam principes huius mundi, in quo mundo certae,:
quaeque spiritales virtutes certarum gentium sortitae sun~:
principatum et propter hoc mundi hufos principes appel'.:
latae sunt.
-.$~!~
...
.~
11, 16.
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TENTAZIONE E PECCATO
345
(Io. 18, 37; I Tim. 6, 20), ignorando chi in lui si nascondesse, subito gli tesero insidie: infatti si levarono i re della
terra e. i principi si riunirono contro il signore e contro
il suo Cristo (Ps. 2, 2). Avendo conosciute le insidie e le
trame da loro tese contro il Figlio di Dio, allorch croci.fissero il re della gloria, ha detto l'apostolo: Parliamo della
sapienza fra i perfetti, ma non della sapienza di questo
mondo n dei principi di questo mondo, destinati alla distruzione, (ma parliamo della sapienza di Dio) che nessuno dei prfncipi di questo mondo ha conosciuto. Se infatti
l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il re della
gloria (I Cor. 2, 6 sgg.). .
.3. - Ora ci dobbiamo chiedere se le sapienze dei prlndpl di questo mondo con le quali cercano di istruire gli
uomini, siano comunicate a questi dalle potenze avverse
coll'intenzione di insidiare e. danneggiare, ovvero soltanto
per errore, cio non con la mira di danneggiare gli uomini
ma perch proprio i principi di questo mondo ritengono
vere queste cognizioni e perci desiderano insegnare anche
agli altri d. che essi reputano vero: e questo secondo caso
mi sembra piu probabile. Infatti, per fare un esempio, i
filosofi Greci e gli autori di qualsiasi eresia accolgono prima
essi, in luogo della verit, l'errore della falsa dottrina, e
avendo giudicato in s stessi che questa la verit, cercano poi di insegnare ad altri ci che essi hanno giudicato
essere vero: altrettanto dobbiamo pensare che fanno anche
i pdncipi di questo mondo, nel quale alcune potenze spirituali bano ottenuto il principato di alcune genti e perci
son chiamate principi di questo mondo.
2S Qui Origene prospetta come involontario l'errore in cui i principi di questo mondo inducono i loro soggetti, in conseguenza del
.foro stesso errore, mentre poco prima aveva accusato questi principi
di aver provocato la croeifissione di Gesu. Tale squilibrio nella
valutazione dell'opera di queste potenze angeliche deriva da una piu
gi:nera1e. incertezza di Origene circa questi angeli: a volte ne parla
come .di angeli buoni (Frine. I 5, 2; Ho. Le. 12, 3). anche se non
sempre in condizione di assicurare la salute dei loro soggetti (c:fr.
Frine. III. 5, 6 addotto nel c. 8); altre volte invece gli angeli delle
nazioni sono considerati piu o meno molesti in relaz~one ai peccati
delle genti poste per punizione sotto il loro dominio: C. Cels. V 30.
VII. L'UOMO
Sunt praeterea etam aliae praeter hos principes speciales quaedam mundi huius energiae, id est virtutes aliquae
spiritales, certa quaeque inoperantes, quae ipsae sibi pro
arbitrii sui libertate ut agerent elegerunt, ex quibus sunt
isti spiritus, qui inoperantur sapientiam huius mundi: verbi
causa, ut sit propria quaedam energia ac virtus, quae inspirat poeticam, alia, quae geometriam, et ita quaeque singulas quasque huiuscemodi artes disciplinasque commoveant.
Denique quam plurimi Graecorum opinati- sunt artem
poetkam sine insania non posse constare 26 ; unde et in
historiis eorum refertur aliquotiens eos, quos vates appellant, subito insaniae cuiusdam spiritu esse subpletos. Quid
autem dicendum est etiam de his, quos divinos appellant,
a quibus per inoperationem daemonum eorum, qui eis
praesunt, versibus arte modulatis responsa proferuntur? Sed
et hi, quos magos vel maleficos dicunt, aliquotiens daemonibus invocatis supra pueros adhuc parvae aetatis, versu_
eos dicere poemata admiranda omnibus et stupenda fecerunt. Quae hoc modo geri arbitranda sunt, quod sicut
sanctae et inmaculatae animae, cum se omni" affectu omnique puritate voverint dea et alienas se ab omni daemonum
contagione servaverint et per multam abstinentiam purifi~
caverint se et piis ac religiosis inbutae fuerint disdplinis,
participium per hoc divinitatis adsumunt et prophetiae.cet!!rorumque divinorum donorum gratiam promerentur: ita
putandum est etiam eos, qui se opportunos contrariis vir~
tutibus exhibent, id est industria vita vel studio amico illis
et accepto, recipere eorum inspirationem et sapientiae eorum
ac doctrinae participes effici. Ex quo fit ut eorum inopera~
tionibus repleantur, quorum se prius famulatui sub.iugarlrit;
26 Cfr. Democr. frag. 18.21 Diels; Plat. Ion. 533 E; Phaedr:
245 A. La difficolt di tutto questo contesto sta nel fatto che Oi:i,
gene, dopo aver dato apprezzamento neutro della sapienza di questci
mondo che ispira le scienze matematiche, .ecc., piu giu, a proposit
dell'ispirazione poetica e soprattutto della magia e degli incantesimi;
ne d ovviamente valutazione negativa. Del resto, n magia_ rie
incantesimi possono rientrare nell'ambito delle discipline tecniche
che per Origene costituiscono la sapienza di questo mondo. 'Possi~mti
supporre un certo slittamento nel ragionamento di Origene, nel s~s.
che egli, dopo aver cominciato a trattare della sapienza U!flana_ :~
TENTAZIONE E PECCATO
347
.348
Vll. i. 'UOMO.
.:
.),~~~
}49
4. - Riguardo poi a coloro che insegnano su Cristo diversamente da quanto permette la regola della scrittura non
ritengo ozioso esaminare se le potenze avverse, adoperandosi insidiosamente contro la fede di Cristo, abbiano inventato dottrine insieme fantastiche ed erronee, ovvero se
:anche esse, udita la parola di Cristo e non avendo capacit
n di rigettarla completamente dall'intimo della loro coscienza n di accettarla integralmente e santamente, per
mezzo cli strumenti loro adatti e, per cosi dire, per mezzo
dei loro profeti abbiano introdotto diversi errori contro
la regola della verit cristiana. Ed preferibile credere che
le potenze traditrici, che si sono allontanate da Dio, per
malvagit della loro mente e della loro inteniione e per
invidia verso coloro ai quali, grazie alla conoscenza della
verit, preparata l'ascesa a quella dignit da cui esse sono
precipitate, per impedire tali progressi preparano questi
errori e inganni di falsa dottrina.
Chiaramente e da molti indizi si dimostra che l'anima
umana, mentre sta in questo corpo, pu ricevere diverse
forze, cici attivit, di spiriti cattivi e buoni. Quelle degli
spiriti cattivi sono di due specie: cio quando essi completamente s'impadroniscono della mente degli uomini, s1 da
non permettere assolutamente ai posseduti di comprendere
e sentire alcunch, come sono, p. es., quelli che chiamano
energumeni, che vediamo insani e privi di ragione, quali
coloro di cui il vangelo riferisce che erano curati dal salvatore; ovvero quando con suggestione nemica corrompono
l'anima che sente e comprende, con vari pensieri e erronei
consigli, come, p. es., Giuda fu spinto al tradimento dalla
suggestione del diavolo, secondo quanto dice la scrittura:
.Avendo il diavolo posto nel cuore di Giuda Iscariota l'idea
di tradirlo (I o. 13, 2). Invece uno accoglie la forza e !'attiper qui tenuti distinti dai principi di questo mondo, cio dagli
angeli delle nazioni.
28 Il problema per Origene particolarmente importante in conseguenza della sua concezione che. insiste tutta sulla presenza costante
del libero arbitrio nelle creature razionali, mentre in casi di questo
genere la vqlont di colui che soggetto alla possessione demoniaca
sembra coartata.
350
:vn. L'uoi.w
TENTAZI.ONE E PECCATO
351
Cfr. III 2, 4.
vn.
352
L'UOMO
iniustitiae culpa divina providentia demonstretur, nisi priores quaedam fuisse eis causae dicantur, quibus antequam
in corpore nascerentur animae aliquid culpae contraxerint
in sensibus vel mtibus suis, pro quibus haec merito pati
a divina providentia iudicatae sint 31 Liberi namque arbitrii
semper est anima, .etiam curo in corpore hoc, etiam cum
extra corpus est; et libertas arbitrii vel ad. bona semper
vel ad mala movetur, nec umquam rationabilis sensus, id
est mens vel anima, sine motu aliquo esse vel bono vel
malo potest. Quos motus causas praestare meritorum verisimile est etiam prius quam in hoc munda aliquid agant;
ut pro his causis vel meritis per divinam providentiam
statim a prima nativitate, immo et ante nativitatem, ut itadicam, vel boni ali9uid vel mali perpeti dispensentur.
6. - Et haec quidem dieta sint .de his, quae videntur
hominibus vei a prima statim nativitate vel etiam antequam
in hanc lucem prorumpant evenire. De his vero, quae a
diversis spiritibus animae, id . es"! humanis cogitationibus~
suggeruntur, quae vel ad bona vel. ad contraria provocent,
interdum etiarn in hoc existere quaedam anteriores corpo-.
reae nativitatis causae putandae sunt. Interdum vero vigi-
lans mens et abiciens a se quae_ mala sunt, boriorum ad se
.adiutorium provocat; vel e contrario neglegens et ignava,
dum minus cauta est, locum dat his spiritibus, qui velut
latrones ex occulto insidiantes inruere humanas mentes,
cum locum sibi datum per segnitiam viderint, moliuntur,
sicut ait Petrus apostolus quia adversarius vester diabo~,
lus tamquam leo rugiens circuit, quaerens quem transvo~.(
ret (I Petr. 5, 8). Propter quod die noctuque cor nostrum .
omni custodia conservandum est, et locus non est dandu~.
diabolo (Ephr. 4, 27), sed omnia agenda sunt, quibus mP/
nistri dei (hi videlicet spiritus, qui ad ministerium missti
sunt eorum, qui ad hereditatem salutis (Hebr. 1, 14) vocati'"
sunt) inveniant in nobis locum et delectentur ingredi hospff)
.. ,::..1.~'
TENTAZIONE
PECCATO
.353
.essa immune da qualsiasi colpa di ingiustizia, non potranno dire altro - come io credo - se non che ci sono
state cause precedenti, per le quali le anime prima di nascere nei corpi hanno contratto qualche colpa nei loro
affetti e nei loro impulsi, per cui la provvidenza divina le
ha giudicate meritevoli di subire tale sorte. Infatti l'anima
sempre dotata di libero arbitrio, sia quando in questo
corpo sia quando ne fuori; e la libert di scelta spinta
sempre al bene o al male e mai il senso razionale, cio la
mente o l'anima, pu essere immune da impulsi buoni o
cattivi. lecito credere che tali impulsi siano stati causa
di meriti e demeriti anche prima di operare in questo
mondo,. _sf che per tali motivi la divina provvidenza ha
disposto che sin dalla nascita, anzi, per cos{ dire, gi prima
della nascita, le anime subissero qualcosa di buono o di
cattivo.
6. - Questo diciamo riguardo a ci che sembra accadere
all'uomo gi dalla nascita o anche prima di essa. Riguardo
'.poi alle suggestfoni che diversi" spiriti ispirano all'anima,
cio al pensiero dell'uomo, e che lo spingono al bene o al
male, talvolta anche a proposito di queste dobbiamo pensare che esistano cause anteriori alla nascita corporea. Talvolta la mnte che vigila e respinge da s le suggestioni
cattive, si attira l'aiuto degli spiriti buoni; se di contro sar
stata trascurata e inerte; perch meno cauta, offre occasione
a quegli spiriti che, insidiando occultamente come ladroni,
.cercano di entrare nelle menti umane, quando si accorgono
che per l'inerzia viene loro offerta occasione, secondo quanto
dice l'apostolo Pietro: Il vostro avversario il diavolo si
aggira come leone ruggente, cercando chi possa divorare
(I Petr. 5, 8). Perci giorno e notte bisogna custodire con
ogni cura il.nostro cuore e non bisogna offrire occasione al
diavolo (Eph. 4, 27), ma bisogna fare di tutto perch i
ministri di Dio - cio quegli spiriti che sono stati posti
questa o in una vha precedente sembra aver provocato punizione
tale da togliere al peccatore l'uso della sua libert e da assoggettarlo
totalmente al demonio. Ma forse Origene pensava che situazioni di
tal genere fossero transeunti e che in un secondo momento il posseduto avrebbe in qualche modo recuperato l'uso della sua libert.
12
354
VII. L.'UOMO
TENTAZIONE E PECCATO
355
VII. L'UOMO
357
TENTAZIONE. E PECCATO
quest'ultima dividono ancora nei due sensi della concupiscenza e dell'irascibilit. Vediamo che alcuni avanzano sull'aroma queste tre ipotesi. Di esse quella che abbiamo detto
proposta da alcuni filosofi Greci, secondo cui l'anima
divisa in tre parti, non vedo molto confermata dall'autorit
della sacra scrittura; riguardo invece alle altre due si possono addurre dalla scrittura alcuni passi che sembrano potervisi adattare.
2 ...... Di esse discutiamo prima quella, secondo cui alcuni
sostengono che c' in noi un'anima buona e celeste e un'altra inferiore e terrena, delle quali la migliore viene immessa
in noi dal cielo, quale quella che dette a Giacobbe contro
Esau, _ancora nel ventre della madre, la palma della vittoria
sul fratello ingannato (Gen. 25, 22 sgg.), che in Geremia
fu santificata nel ventre della madre (!er. 1, 5) e che ancora
nel ventre della madre fu pervasa dallo Spirito santo in
Gi.ovanni (Le. 1, 41). Quella poi che dicono inferiore asseriscono che v.iene concepita insieme col corpo per mezzo
di seme corporeo, per cui non pu vivere e sussistere senza
corpo, si che spesso viene chiamata anche carne. Infatti
ci che scritto: La carne desidera contro lo spirito (Gal .
.5, 17) in tendono come detto non della carne ma di questa
che . propriamente l'ani~a della carne. E cercano di confermare la loro opinione con quanto scritto nel Levitico:
:'L'anima di tutta la carne il suo sangue (Lev. 17, 14):
"infatti, dato che il sangue diffuso per tutta la carne le d
vita, essi dicono che nel. sangue c' questa anima che
detta anima di tutta la carne. E affermano che questa anima
per cui scritto che la carne combatte contro lo spirito
e lo spirito contro la carne e che l'anima di tutta la carne
il su~ sangue, con altro nome chiamata sapienza della
carne,_ 'cio spirito materiale che _non soggetto e non pu
34 Di questa anima terrena, materiale, irrazionale parlavano gli
anima di origine
'gnostici (Exc. ex Theod. 50). La distinzione
celeste e anima terrena si adattava bene allo schema antropologico
binario anima/corpo, che abbiamo visto sotteso dalla concezione ori_geniana dell'anima come creatura razionale incorporata in _un corpo
,,spesso e pesante: l'anima terrena rappresenta l'elemento vitale di
_9uest9 corpo e, i;i quanto irrazionale! si oppone all'anima razionale.
fra
.358
Vll. L'UOMO
subiectus, quia voluntates habet terrcnas et d~ideria corporalia. De hoc putant etiam apostolum dcisse. illud, quod
ait: Video autem aliam. legem in membris meis repugnante.m legi mentis meae et captivum me ducentem in lege
peccati, quae est in membris meis (Rom. 7, 2.3 ).
Si vero quis obiciat eis haec dici de natura corporis,
quod secundum proprietatem quidem naturae suae mortuum est, habere autem dicitur sensum ve! sapientiam, quae
inimica est deo ve! quae repugnat adversum spiritum, pro
eo velut si quis dicat quodammodo carnis ipsius esse vocem,
quae damet non esuriendum, non sitiendum, non algendum,
neque velle prorsus in aliquo molestiam pati sive ex abundantia sive ex penuria: haec illi resolvere atque .inpugnare
conabuntur, ostendentes quam plurimas alias passiones esse
animae, quae in nullo prorsus a carne originem trahant,
et tamen his spiritus adversetur, sicut est ambitio avaritia
aemulatio invidia superbia et his similia; cum quibus pugnam quandam esse humanae menti vel spiritui videntes,
non aliud quid causam horum omnium malorum ponent nisi
hanc, de qua superius diximus, velut corporalem animam
et ex seminis traduce generatam. Adhibere quoque ad assertionem horum etiam illud testimonium apostoli solent, quo
ait: Manifesta autem sunt opera carnis, quae sunt fornicatio immunditia impudicitia idolatria veneficia inimicitiae
contentiones aemulatines irae rixae dissensiones haereses
invidiae ebrietates comessationes et his sirnilia (Gal. 5, 19
. sgg.), dicentes non haec omnia de usu vel delectatione carnis originem trahere, ita ut putentur eius substantiae, quae
animam non habet, id est carnis, hi omnes motus existere.
Sed et illud, quod ait <( Videte, fratres, vocationem vestram,
quoniam. non multi inter vos sapientes secundum carnem
(I Cor. 1, 26), ad hoc videbitur inclinandum, ut propria
quaedam videatur esse carnalis .ac materialis sapientia, alia
vero sit sapientia secundum spiritum, quae utique non potest dici sapientia, nisi sit anima carnis, quae sapiat hoc,
quod carnis sapientia nominatur. Ad haec addunt etiam
illud: Si caro repugnat adversum spiritum et spiritus adversum carnem, uti non quae volumus illa faciamus : quae
sunt de quibus ~kit: Ut .non quae volumus fadamus >~
TENTAZIONE E PECCATO
359
essere soggetto alla legge di Dio (Rom. 8, 7), perch ha v0lont terrena e desideri corporei. A tale spirito riferiscono
ci che ha detto l'apostolo: Mi accorgo di un'altra legge
che sta nelle mie membra, che contrasta con la legge delta
mia mente e mi trae prigioniero nella legge del peccato,
che nelle mie membra (Rom. 7,23).
Uno potrebbe obiettar loro che tutto ci detto della
natura del corpo, che per propriet della sua natura
morto, di cui si dice che ha un senso o sapienza nemica di
Dio e che combatte contro lo spirito, nella stessa maniera
come se uno dice che la voce della carne che grida che
non vuole aver fame sete freddo n subire alcuna molestia
sia dall'abbondanza sia dalla privazione. Ma essi cercheranno di respingere e risolvere l'obiezione dimostrando che
nell'anima ci sono molte altre passioni che non traggono
assolutamente origine dalla carne, eppure sono avverse allo
spirito, quali l'ambizione l'avarizia la gelosia l'invidia la
superbia e altre dello stesso genere: poich vedono che
esse contrastano con lo spirito e l'intelligenza dell'uomo,
come causa di tutti questi mali pongono quell'anima di
cui abbiamo detto, corporea, per cosf dire, e generata per
tramite del seme. A conferma delle loro affermazioni essi
adducono anche la testimonianza dell'apostolo che dice:
Manifeste sono le opere della carne: fornicazione impurit
impudicizia idolatria magie inimicizie contese gelosie collere
risse discordie scissioni sentimenti d'invidia ubriacature bagordi e cose simili (Gal. 5, 19 sgg.): sostengono infatti che
non tutti questi peccati traggono origine dalla pratica e dal
diletto della carne, si che si possano attribuire tutti questi
impulsi alla sostanza che non ha anima, cio alla carne.
E anche questo passo: Osservate; fratelli, la vostra vocazione, perch non molti fra voi sono sapienti secondo la
carne (I Cor. 1, 26) sembra propendere a far pensare che
ci sia vera e propria sapienza materiale e carnale, diversa
dalla sapienza secondo lo spirito, e che non pu certo esser
definita sapienza se non esiste l'anima della carne che sia
sapiente di ci che definito sapienza della carne. Aggiungono anche: Se la carne combatte contro lo spirito e lo
spirito contro la carne affinch non faccia mo quello che
.360
VU. 1.'UO.MO
(=
TENTAZIONE E PECCATO
361
362
VII. L'UOMO
TENTAZIONE E PECCATO
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364
VU. X. 1UOMO
l;;~
'51 I conflitti .interiori e la lotta contro le inclinazioni cattivei.i
piuttosto che facendo ricorso alla dottrina delle due anime, yengop.~f,;
ora spiegati sulla base di una sola anima, in due modi: 1) incenezi.~J
di valutazione dell'anima, che perci tirata fo direzioni oppos,te):
.:::. '
TENTAZIONE E PECCATO
365
_vII. ,L'UOMO
TENTAZIONE E PECCATO
367
ci avvenga c' tanto poco bisogno dello stimolo di eccitazione prodotta da altri, che talvolta l'umore fuoriesce
anche da solo.
Perci quando si dice che la carne combatte contro lo
spirito, costoro intendono che la pratica la necessit e il
diletto della carne spingono l'uomo, distogliendolo e allontanandolo dalle realt spirituali e divine. Infatti distratti
dalle necessit corporee, non abbiamo la possibilit di attendere alle cose divine che ci saranno utili per l'eternit,
come inversamente, quando l'anima attende alle cose divine e spirituali ed unita allo spirito di Dio, diciamo
che combatte la carne, non permettendole di abbandonarsi
ai piaceri e di lasciarsi trascinare dalla volutt, da cui per
natura trae diletto. E spiegano il passo in cui detto: La
sapien%11 della carne nemica di Dio (Rom. 8, 7) non nel
senso che la carne abbia veramente un'anima propria e una
sua sapienza, ma nel senso che, come impropriamente diciamo che la _terra ha sete e desidera l'acqua (dove diciamo
desidera non in senso proprio ma figurato, come se dices'simo ancora che una casa desidera essere ricostruita e cose
del genere), cosf bisogna intendere anche la sapienza della
carne e il passo in cui detto che la carne desidera contro
lo spirito. Aggiungono altresi'. il passo in cui detto: La
voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra (Gen.
4, 10). Ci che grida a Dio non propriamente il sangue
versato, ma in senso figurato si dice che il sangue grida,
poich .si chiede a Dio vendetta su colui che ha versato il
sangue. E quel che dice l'apostolo: Mi accorgo di un'altra
legge nelle mie membra (Rom. 7, 23) interpretano come se
Paolo abbia voluto dire che chi vuole attendere alla parola
di Dio viene distratto e distolto dalle necessit e dalla
pratica del corpo, che di esso costituiscono come una legge
e gli impediscono di attendere alla sapienza di Dio e di
contemplare piu attentamente i misteri divini.
5. - Quanto poi al fatto che fra le opere della carne
sono ricordate anche scissioni, manifestazioni d'invidia, discordie, ecc. (Gal .. 5, 19 sgg.),. essi intendono nel senso che
l'a1:1ima, avendo acquistato sensibilit piu grossolana per
essersi abbandonata alle J?.assioni del corpo, oppressa dalla
368
vn.
L'UOMO
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~2
TENTAZIONE E PECCATO
369
CAPITOLO VIII
LA REDENZIONE
1. - Abbiamo visto come, non appena avvenuto il peccato delle creature razionali con conseguente distinzione
in varie categorie (angeli, uomini, demoni) e loro colloca
zione nell'ambito del mondo creato, cominci subito anche
l'azione pedagogica del Logos divino, tesa al recupero di
tutte le creature peccatrici. Essa si esercita attraverso una
lunghissima vicenda, che abbraccer piu mondi successivi,
e in diverse maniere: il momento culminante e decisivo
di essa rappresentato dall'incarnazione stessa del Figlio
di Dio, per cui egli disceso fra gli uomini e come uno di
loro ha operato in mezzo a loro.
In questo considerare. l'incarnazione non come avvenimento isolato bensi inserito in tutto un contesto preciso di
carattere soteriologico, abbracciante l'intera economia vetero
e neotestamentaria Origene continuava e sviluppava una
linea di pensiero che, gi abbozzata da Giustino, era stata
ampiamente elaborata da Ireneo. Essa tendeva a contrastare soprattutto la dottrina gnostica che, considerando la
economia veterotestamentaria opera del Dio inferiore, H
Dio appunto del VT creatore del mondo, la distaccava com
pletamente dall'economia del Dio sommo, il padre di Cristo
rivelatosi nel NT, e la considerava irrilevante al fine della
salvezza degli uomini. Teneva per anche presente una
obiezione che veniva da parte pagana, e che si pu riassumere nell'interrogativo: perch cosi tardi? (C. Cefr. IV 8):
cio, se Dio ha avuto intenzione di salvare l'uomo corrotto
dal peccato, p~rch ha atteso tanti secoli dopo la caduta
372
vm.
LA RE.DENZIONE
INTRODUZIONE
373
3i4
vm.
LA llEDENZIONE
!NTRODUZIO!'IE
375
376
vm.
LA IEDENZIONE
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377
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CX.V"tOV xa.xooa.tovla.c; d7tc.ciO"O"Et\I 't'V "'(WWO"XO\l'ta.. :..'
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p a. V O" W 't 'I'} p la. V y \/ WCT t V TJ !V 1t a. p a. D" XEt\/ <IV.~;;
n.
383
di Dio e per l'avvento del Verbo fra gli uoillllll, noi non
esiteremo ad affermare che si tratta di un mutamento dalla
malizia umana alla virtu, dalla dissolutezza alla temperanza
e dalla superstizione alla piet, per chiunque abbia accolto
nell'anima l'avvento del Verbo di Dio.
6. - Ora, se tu vuoi che andiamo a sbattere contro l'argomento piu ridicolo di Celso, ascoltalo quando dice: Ma
pu darsi che Dio, sconosciuto fra gli uomini, e per questo
ritenendosi menomato, abbia voluto essere riconosciuto, e
mettere alla prova i fedeli e gli infedeli, come tra gli uomini
i nuovi ricchi che vogliono mettersi in mostra? In tal
modo, si attribuisce a Dio un'ambizione eccessiva ed affatto
umana.' . Noi affermiamo intanto che Dio, sconosciuto per
gli uomini malvagi, vorrebbe essere riconosciuto, non perch egli si ritiene. menomato, ma perch la sua conoscenza
allontana dalla malvagit quello che lo riconosce. Inoltre
non certo per il desiderio di mettere alla prova i fedeli
o gli infedeli che egli alberga in taluni per la sua misteriosa
e divina potenza, oppure invia il Cristo, ma piuttosto per
allontanare da ogni malanno i fedeli che accolgono la sua
divinit, e per far si che gli infedeli non abbiano oltre scusa
alcuna, sotto il pretesto che non credono, in quanto non
hanno ascoltato
imparato il suo insegnamento. E poi,
quale argomento pu mostrare che dalla nostra dottrina
discende la conseguenza che Dio appare come i nuovi ricchi
desiderosi di mettersi in mostra? Dio infatti non desideroso di ostentazione nei nostri riguardi, quando vuole che
noi comprendiamo e immaginiamo la sua eccellenza; al contrario, egli vuole instaurare in noi la felicit, che giunge
nelle nostre anime come risultato del conoscere lui, e si
adopera, per mezzo del Cristo e dell'avvento costante del
Verbo, a farci ottenere la comunione con lui. Pert3nto la
dottrina cristiana non attribuisce a Dio alcuna ambizione
mortale.
7. - Quindi, non si capisce perch Celso, dopo avere
cianciato inutilmente su quell'argomento che abbiamo riferito ora, alla fine afferma che Do non ha bisogno di esser
conosciuto per se stesso, ma per la nostra salvezza egli vuol
dare a noi la conoscenza di se stesso, affinch coloro che la
vm. U.
384
JtEDENZtOlllE
a
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o.
wc;
38.5
386
VIII: LA llEDENZlONE
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9. - ""HlJsv ouv, xli.\/ i ~ou.i)-rct.L K.croc;, n. 1to..ovc; 7tpoqrfi-rcic; 1t a." o p 11 o u h o u e; -rr. -rou 'Icrpa.i].
XELVOU bta.\loplJwTJ)c; o.ou 'tOU x6aou XpLO"'t, o os6svoc; xa.'tr. "r"J)v 7tpo'tpa.\I o[xovola.\I 'tf}c; xa.'t'' civl1pw7tW\I
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(Mt. 13, 3 ), Cva. CT1tslp11 ":\I .6yo\I 1t0'..\l":ct.XOU 5 ~ EL o' mcrtjCTE'ta.l ne; XPO\loc;, 'ltEpLypci.cpwv -rv x6aov ctw.r.yxa.la.v
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1) OVVa[.LE'VO\I 7tO'.pctxooulJsJ:v -coJ:c; 7tOLXW't'ct't'OL -cljc;
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xal. 't4\ crw-rf}pL 't'ou yvouc; iiwv, -rou'tau t.o'll ci:pxsoiHi'\laL 't'@ ai:c; ~cpa. fi (f.).)..ou ou-rwoa-ouv.
4 La citazione di Deut. 32, 8 sg., passo fondamentale per !a dottrina degli angeli delle nazioni (dr. c. 7 n. 22) fa comprendere che
qui Origene inserisce la spiegazione del ritardo della incarnazione
di Cristo nel complesso della sua dottrina sul recupero di tutte le
creature razionali. Essa esposta con chiarezza solo nel De principiis: nelle opere piu tarde non compare se non per rapidi e generici accenni, forse in conseguenza delle critiche che gi erano state
mosse all'autore: di qui il tono coperto anche di questo passo del
C. Celsum. Quanto a Deut. 32, 8 sg., il testo che qui presenta O'ri
387
388
VIII. LA JlEDE.'IZIONE
'
2. - NECESSIT DELL'INCARNAZIONE.
6 Questo passo, .in cui Origene introduce il motivo dell'focarnazione di Cristo riproponendo rapidamente la storia delle creature
razionali e del loro peccato, tramandato nella sua interezza da
Hier. ep, 124, 9, e. ad esso si riferisce la nostra traduzione. Rufino,.
NECESSIT DELL'INCARNAZIONE
}89
390
VIII, LA REDENZIONE.
NECESSIT DELL'INCARNAZIONE'
391
53-58.
392
Vlll. LA lU'.DE."aION<:
NECESSIT DELL'INCARNAZIONE
393
.394
vm.
LA J.EDENzlONE .
L'INCARNAZIONE
395
zione, ma per la parol3, la ragione, l'insegnamento, l'emulazione dei migliori, le buone norme e anche le minacce
meritate e adatte, che a ragione sono indirizzate a quanti
trascurano la cura della loro utilit e salvezza. Infatti anche
noi uomini, quando istruiamo i servi o i figli, finch non
sono ancora nell'et della ragione, li costringiamo con le
minacce e la paura; ma quando cominciano a comprendere
che cosa sia il bene l'utile l'onesto, allora cessa il timore
delle percosse; ed essi persuasi dalla parola e dalla ragione,
trovano soddisfazione in tutto ci ch' buono. Ma in che
modo si provveda a ciascuno, salvaguardando il libero arbitrio di tutte le creature razionali - cio, chi la parola di
Dio trova gi preparati e capaci e li istruisce, chi invece
per il momento rinvia, a chi completamente si nasconde
senza ascoltarne la voce, chi di nuovo spinge alla salvezza
con correzioni e castighi per aver disprezzato la parola di
Dio annunziata e predicata, quasi esigendo e ottenendo a
forza la loro conversione, a chi invece offre anche occasioni
di salvezza, s{ che uno la pu ottenere senza fallo manifestando la sua fede anche con una sola risposta - , per quali
motivi e in che occasioni tutto ci avvenga, per quali impulsi e inclinazioni che scorge negli uomini la sapienza
divina disponga tutte queste cose: tutto ci sa solo Dio,
il suo unigenito, per mezzo del quale sono state create e
reintegrate tutte le cose e lo Spirito santo, per cui mezzo
tutte le cose vengono santificate, che procede dal Padre
(Io ... 15, 26 ), cui gloria nei secoli eterni, amen.
396
vm.
LA 1.EDENZlONE
.L'INCARNAZIONE
397
opere che con la nostra capacit conoscitiva, abbiamo osservato le sue creature visibili e abbiamo conosciuto per fede
quelle invisibili, poich la fragilit dell'uomo non pu vedere tutto con gli occhi e conoscerlo con la ragione, in
quanto l'uomo il piu debole e imperfetto fra tutti gli
esseri razionali (sono superiori gli esseri che stanno in cielo
o sopra il cielo); resta da considerare ci che sta fra Dio
e tutte queste creature, l'intermediario (I Tim. 2, 5) che
Paolo definisce il primogenito di tutta la creazione (Col.
l, 1.5 ). Esaminando ci che la scrittura riporta sulla sua
maest, vediamo che egli detto immagine di Dio invisibile
e primogenito di tutta la creazione (Col. l, 15) e che in
lui sono state create tutte le cose visibili e invisibili, troni
do.minazioni principati potest, tutto stato fatto per mezzo
di lui e in lui ed egli prima di tutti e tutto sussiste in
lui (Col. l, 16 sg. ), che il capo di tutti e di cui solo Dio
padre il capo (I Cor. 11,3), secondo quanto scritto:
Capo di Cristo Dio (I Cor. 11, 3 ). Osserviamo anche che
scritto: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre (Mt. 11, 27): chi
infatti pu conoscere quale sia la sapienza se non chi l'ha
generata? o chi pu conoscere pienamente cosa sia la verit se non il Padre della verit? chi pu scrutare a fondo
la natura della parola e di Dio, che deriva da Dio, se non
il solo Dio, presso il quale era la parola (Io. 1, 1)? Cosi
dobbiamo tener per certo che questa parola, questa sapienza,
questa verit nessun altro la conosce tranne il solo Padre,
dal momento che scritto: Credo che neppure il mondo
intero potrebbe contenere i libri che si possono scrivere
(Io. 21 25) sulla gloria e la maest del Figlio di Dio. Infatti
impossibile mettere per iscritto tutto ci che concerne la
gloria del salvatore.
Dopo aver considerato tutto ci sulla natura del Figlio
di Dio, presi da ammirazione ci stupiamo che questa natura eccelsa fra tutti, annientandosi dalla sua condizione di
maest, si sia fatta uomo e abbia vissuto fra gli uomini
13 Origene stato fra i primi a definire la componente divina
e umana in Cristo come natiira rispettivamente divina e umana.
.398
L 0 lNCA.RNAZJONE
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400
vm.
1.A .J.ED.ENZIONE
L'lNCAIL~AZlONI!
401
16 Qui, come altrove, Origene non manca. di sottolineare il carattere di semplice proposta della sua argomentazione, poich consapevole che essa muove al di l di quanto direttamente ricavabile
dal testo sacro. Altrove egli osserva che gli apostoli hanno potuto
conoscere Gt:su meglio degli altri, ma neppure essi in maniera completa: Ho. Le. 1, 4; Co. Io. XIII 5.
402
VliI. LA IU!Jl:ENZIONE
L'INCARNAZIONE
403
VIII. LA llEDE.N:z:IONE
n-a.p.
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[ Quod autem dilectionis perfectio et meri affectus sinceritas hanc ei inseparabilem cum deo fecerit unitatem, ita
ut non fortuita fuerit aut cum personae acceptione animae
eius assumptio, sed virtutum suarum ei merito delata, .audi
ad eam prophetam d.icentem: Dile.xi.sti iustitiam et adisti
iniquitatem; propterea unxit te deus, deus tuus oleo laetitiae prae participibus tuis .] Dilectionis igitur merito ungitur oleo laetitiae, id est anima cum verbo dei Christus
efficitur. Ungi namque oleo laetitiae non aliud intellegitur
quam spiritu sancto repleti 22 Quod autem prae participibus
dixit, ind.icat quia non gratia spiritus sicut prophetis ei data
est, sed ipsius verbi dei in ea substantialis inerat plenitudo,
sicut et apostolus dixit: In quo inhabitat omnis plenitudo
deitatis corporaliter (Col. 2, 9) 23 Denique propter hoc
non solum dixit. Dilexisti iustitiam , sed addidit et
adisti iniquitatem . Odisse enim iniquitatem illud est, quod
scriptura dicit de eo quia <( peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius , et quod ait: Temptatus per
omnia pro similitudine absque peccato (Is. 53, 9; Hebr.
4, 15). Sed et ipse dominus dicit: Quis vestrum me arguit
de peccato? . Et iterum ipse dicit de se: Ecce venit
mundi huius princeps et in me non invenit quidquam
(Io. 8, 46; 14, 30),. Quae omnia nullum in eo peccati sensum indicant extitisse. Quod ut propheta evidentius designaret, quia numquam eum iriiquitatis sensus intrasset, ait:
Priusquam sdret puer vocare patrem aut matrem, avertit
se ab iniquitate (!s. 8,4; 7, 16) 24
5. - Quodsi alicui difficile id videbitur, pro eo quod
rationabilem animam esse in Christo supra ostend.imus, quam
utique animarum naturam boni malique capacem per omnes
21 Non del tutto chiaro il rapporto fra il passo riportato da
Giustiniano (ep. ad Mennam, Mansi IX 528) e la versione cli Rufino:
infatti qualche espressione di questa .che non trova riscontro in
Giustiniano potrebbe rimontare al testo originale e non essere soltanto ampliamento del traduttore latino: seguiamo perci nella traduzione il testo latino, che del resto per il senso corrisp9nde bene
405
piu che i tuoi compagni (Ps. 44, 8). (Ed era giusto che
colui c~e mai si era diviso dall'unigenito, fosse chiamato
come l'unigenito e con lui glorificato). Per merito dell'amore unta con l'olio di allegrezza, cio l'anima insieme
con la parola di Dio diventa Cristo, poich esser unto con
l'olio di allegrezza non significa altro che essere riempito
di Spirito santo. Il fatto che ha detto: piu dei compagni
indica che la grazia dello Spirito non le stata data come
.ai profeti, ma che era in lei la pienezza sostanziale della
stessa parola di Dio, come l'apostolo ha detto: In cui
presente tutta la pienezza della divinit corporalmente
(Col. 2, 9). E per questa ragione non ha detto soltanto:
Hai amato la giustizia, ma ha aggiunto: hai odiato l'iniquit: infatti odiare l'iniquit equivale a ci che la scrit-
tura- dice di lui, che non fece peccato n ci fu inganno sulla
sua bocca (Is. 5.3, 9) e che stato provato in tutto, in maniera simile, ad eccezione del peccato (Hebr. 4, 15). E proprio il signore dice: Chi di voi mi convince di peccato?
(Io. 8, 46), .e ancora di s: Ecco viene il principe di questo
.mondo, ma. contro di me non pu nulla (Io. 14, .30). Tutto
ci indica che in lui non c' stato senso di peccato. E il
profeta per mostrare chiaramente che mai in lui entrato
il senso dell'iniquit dice: Prima che il bambino sappia
chiamare padre e madre, ha allontanato da s l'iniquit
(Is. 8, 4; 7, 16).
5. - Se questo concetto presenta qualche difficolt, perch sopra abbiamo fatto vedere che in Cristo c' un'anima
razionale e molto spesso nelle nostre discussioni abbiamo
col testo greco, integrandolo, fra parentesi angolata, con l'espressione
che Rufino ha totalmente omesso.
22 Il collegamento fra l'unzione sacra e l'effusione di spirito di.vino, gi tradizionale nel VT, era stato ulteriormente precisato e
valorizzato dai cristiani fin dai primi tempi della chiesa.
23 Origene chiarisce bene la distinzione fra l'unzione dei profeti
e quella dell'anima di Cristo, che ha carattere di totalit e perfe.
zione in vi.rtli dell'unione dell'anima col Logos.
24 L'impossibilit di peccare dell'anima di Cristo dimostra che
e5sa ha possesso sostanziale della bont, che abbiamo visto essere
prerogativa esclusivamente divina (dr. . 5). Invece l'ispirazione
divina di cui godono i santi " privilegio instabile e accidentale.
406
VIII. LA llDENzxONE
L 0 lNCARNAZIONE
407
408
vm. i.\
li.DENZIONE
ideo nec convertihilis aut mutabilis dici potest, quae inconvertibilitatem ex verbi dei unitate indesinenter ignita. possedit. Ad omnes denique sanctos calor aliquis verbi dei putandus est pervenisse; in hac autem anima ignis ipse divinus
substantialiter requievisse credendus est, ex quo ad ceteros
calor aliquis venerit. :Qenique quod dixit quia unxit te
deus, deus tuus oleo laetitiae prae participibus tuis (Ps.
44, 8 ), ostendit quod aliter ista anima oleo laetitiae, id est
verbo dei et sapientia, unguitur et aliter participes eius;
id est sancti prophetae et apostoli. Illi enim in odore unguentorum eius cucurrisse (Cant. 1, 4 sg.) dicuntur, ista:
autem anima vasculum unguenti ipsius fuit, ex cuius f!agrantia participantes digni quique prophetae fiebant et apostoli. Sicut ergo alius est unguenti odor et alia est unguenti
substantia, ita aliud Christus, et aliud participes sui. Et sicut
vas ipsum quod substantiam continet unguenti, nullo genere
potest aliquid recipere foetoris, hi vero, qui ex odore eius
participant, si se paulo longius a B.agrantia eius removerint,
possibile est ut incidentem recipiant foetorem: ita Christt1s
velut vas ipsum, in quo erat unguenti substantia, inpossibile_
fuit ut contrarium reciperet odorem; participes vero eius
quam proximi fuerint vasculo, tam odoris erunt participes
et capaces IT.
7. - Arbitrar sane etiam Hieremiam prophetam intellegentem, quae sit ineo natura dei sapientiae, quae etiam haec,
quam pro salute mundi susceperat, dixisse: Spi.titus vultus nostri Christus dominus', cuius dbcimus quod in umbra
eius vivemus in gentibus (Lam. 4,20) 24 Pro eo enim quod
sicut umbra corporis nostri inseparabilis est a corpore et
indeclinabiliter motus ac gestus corporis suscipit et gerit,
puto eum animae Christi opus ac motus, quae ei inseparaIl L'umanit di Cristo (per Origene la sua anima) l'.involucro
che alberga in s la divinit del Figlio di Dio. In tal senso essa non
pu accogliere il male: la nuova immagine ribadisce il concetto
espresso sopra con l'immagine del ferro .e del fuoco. Si rilevi l'insistenza cli Origene nel chiarire la differenza nella partecipazione alla
divinit di Cristo da parte della sua anima e da parte degli altri
uomini. Risultano perci infondate le accuse antiche e nuove, mosse
ad Origene, di aver presentato come esterna e insufficiente l'unione
di divinit e umanit in Cristo.
L'INCARNAZlONE:
409
cambiamento quella che, infiammata incessantemente dall'unione con la parola divina, venuta in possesso dell'im
mutabilit. Noi crediamo che a rutti i santi giunge il calore
della parola di Dio; ma in questa anima ha preso dimora
in modo sostanziale proprio il fuoco divino, di cui agli altri
giunge un po' di calore. Infatti le parole Ti ha unlo Dio,
il luo Dio con l'olio di allegrezza piu che i tuoi compagni
(Ps. 44, 8) fanno vedere che in un modo viene unta con
l'olio di allegrezza, cio con la parola e la sapienza di Dio,
quest'anima, e in altro modo. sono unti quelli che di lei
partecipano,. cio i profeti e gli apostoli. Di questi infatti
si dice che son corsi all'odore dei suoi profumi (Cant. 1, 4
sg.); invece quest'anima stata proprio il vaso di profumo,
partecipando della cui fragranza chi ne era degno. diventava
profeta q apostolo. Come altro l'odore del profumo altra
la sostanza del profumo, cosi altro Cristo e altro coloro
che di lui partecipano. E come il vaso che contiene il profumo in .nessun modo pu accogliere odore cattivo ma quelli
che. partecipano del suo odore, se si saranno allontanati
un po' troppo, possono Incorrere in odore cattivo e accoglierlo, cosi Cristo, in quanto vaso in cui era il profumo,
non. pu accogliere odore cattivo; e coloro che di lui partecipano quanto piu son vicini al vaso tanto piu partecipano
dell'odore.
7. - Ritengo che il profeta Geremia comprendendo quale
.fosse in Cristo la natura della sapienza di Dio e quale la
natura assunta per la salvezza del mondo, ha detto: Spirito
del nostro volto Cristo signore, di cui abbiamo detto: Alla
sua ombra vivremo fra le genti (Lam. 4, 20). Come infatti
l'ombra inseparabile dal corpo e di questo riproduce esattamente ogni gesto, cosi" penso che egli abbia voluto indi.
care l'opera e l'azine dell'anima di Cristo, che era inseparabilmente unita con lui e tutto operava mossa dalla sua
21 Uinterpretazione di Lam. 4, 20 (passo prediletto da Origene
come tutti quelli in cui si parla di ombra) con riferimento dell'ombra
all'umanit di Cristo era gi tradizionale: Iren, Demonstr. 71; Oem.
Exc. ex Theod. 18. Qui Origene riferisce specificamente il passo
all'anima_ di Cristo; altrove piu generico in riferimento all'umanit: Co. lo. II 6; Co. Rom .. VI 2.
410
..
I.'lNCARNAZION'E
411
412
VIII. LA l.EDENZIONE
413
le mie.
[Commento a Giovanni VI 5.3-58] 53. - [27.3] Se poi
noi rivolgiamo il nostro esame alla ragione che ispira le
parole: Ecco l'agnello di Dio che prende su di s il peccato
del mondo (lo. 1, 29), con cui Gesu indicato da Giovanni,
concentrando la nostra considerazione sull'economia stessa
della venuta del Figlio di Dio nella vita e in un corpo
umani, il termine agnello possiamo intenderlo come
riferito sc;nz'altro all'uomo (Gesu]. Egli infatti come una
pec_ora venne condotto al macello, come un agnello muto
d