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La Mediazione Culturale Nel Settore Socio-Sanitario PDF
La Mediazione Culturale Nel Settore Socio-Sanitario PDF
Relatore:
Prof.ssa Mette Rudvin
Cremonini
Presentato da:
Giulia
Correlatore:
Prof.ssa Maxine Lipson
Sessione III
Anno Accademico 2009/2010
1
INDICE
1 Introduzione......................................................................................................................pag. 3
1.1 L'interprete nella storia.................................................................................................5
1.2 Definire il concetto di interpretazione..........................................................................7
1.3 I partecipanti................................................................................................................11
1.4 Le relazioni fra i partecipanti.......................................................................................20
2 Il ruolo dell'interprete...............................................................................................................25
2.1 L'interprete nella metafora...........................................................................................27
2.2 Invisibilit vs Visibilit.................................................................................................30
2.3 La cortesia linguistica nell'interpretazione...................................................................37
2.4 Decidere cosa e come interpretare................................................................................43
6 La Regione Emilia-Romagna...................................................................................................142
6.1 L'immigrazione straniera in Emilia-Romagna.............................................................142
6.2 La mediazione culturale in Emilia-Romagna: la legislazione italiana e regionale......148
6.3 Alcuni dati sui mediatori culturali della Regione........................................................156
7 Conclusioni................................................................................................................................159
- Bibliografia
- Appendice
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende analizzare il ruolo dell'interprete che opera nell'ambito dei
servizi pubblici e sociali: il cosiddetto interprete di comunit descritto dal modello
anglosassone. Come si dir ampiamente nello svolgimento dell'analisi che segue, si
tratta di una figura professionale non ancora uniformemente definita e riconosciuta, sia
da un punto di vista normativo-istituzionale e terminologico, sia per ci che concerne
l'immagine sociale e professionale che comunemente viene associata a tale profilo.
Antiche costruzioni metaforiche e stereotipiche continuano ad imbrigliare il ruolo
dell'interprete per i servizi pubblici in una serie di luoghi comuni che ne pregiudicano la
vera essenza. La prima parte di questo lavoro sar dedicata all'impianto teorico e
letterario nel quale si inserisce il soggetto dell'indagine: partiremo dal ruolo prescritto
dagli studiosi della comunicazione interculturale, soffermandoci su ci che l'interprete
dovrebbe essere in un'ideale situazione di scambio interlinguistico fra locutori di
diversa appartenenza culturale. Saranno quindi presentati i vari partecipanti coinvolti
nell'interazione mediata, le relazioni che questi intrattengono reciprocamente, il loro
ruolo conversazionale e la funzione stessa della mediazione linguistico-culturale.
L'annoso dibattito sulla dicotomia che riguarda la visibilit o invisibilit dell'interprete, i
concetti di fedelt, imparzialit e neutralit saranno discussi e confrontati con i risultati
emersi dagli studi empirici di alcuni fra i maggiori studiosi della materia. L'obiettivo
quello di mettere in luce la vastit e la complessit del campo di indagine e della figura
dell'interprete, vero perno della comunicazione mediata.
Rifiutando l'immagine dell'interprete come mero mezzo di decodificazione e
codificazione linguistica, cercheremo di definire la moltitudine di competenze e
funzioni comunicative che questo ruolo implica. Osserveremo cio l'interprete come
gate-keeper dello scambio internazionale, considerando la comunicazione mediata non
solo come produzione testuale, ma anche come attivit e interazione sociale che
sottende ad un complesso sistema di relazioni e azioni in gioco.
Nella seconda parte del lavoro, invece, restringeremo il campo d'indagine all'interprete
1.1
L'interpretazione, qui intesa come forma di traduzione, un'antica attivit umana che
naturalmente precede l'invenzione della scrittura e della traduzione scritta. In molte
lingue indoeuropee, il concetto di interpretazione espresso da parole etimologicamente
indipendenti rispetto a quelle utilizzate per la traduzione scritta. Come ricorda il docente
e interprete austriaco Franz Pchhacker (2004), locuzioni di lingue germaniche,
scandinave e slave utilizzate per denotare la figura dell'interprete erano gi presenti
nell'accado, l'antica lingua semitica di Assiria e Babilonia intorno al 1900 a.C. La radice
accadica targumanu diede infatti origine al termine dragomanno utilizzato per
indicare l'interprete. La parola interprete, invece, deriva dal latino interpres (persona
che spiega ci che oscuro) ma le radici semantiche non sono chiare; alcuni studiosi
ritengono che la seconda parte del termine derivi da partes o pretium adattandosi cos al
significato di intermediario o uomo fra le parti; mentre altri studiosi sostengono che
la parola provenga dal sanscrito. In ogni caso, il termine latino interpres, cio colui
che spiega ci che altri hanno difficolt a comprendere, particolarmente rivelatore
dalla natura di questa professione. Nel corso della storia, gli interpreti sono sempre stati
necessari, non solo per consentire la comunicazione fra individui appartenenti a civilt
plurilingui, ma anche per sopperire a diversit socio-culturali. Come ricorda Hermann
(in Pchhacker e Shlesinger 2002:15), nell'antico Egitto il titolo di essere umano era
prerogativa degli egiziani, mentre gli stranieri erano considerati barbari meschini e
l'interprete era colui che parlava le sconosciute lingue dei barbari. Nell'antica Grecia,
invece, l'interprete non era semplicemente il mediatore linguistico impiegato nelle
abituali transazioni economiche, era anche una figura semi-divina in grado di svolgere
svariate funzioni e che risultava imprescindibile nelle comunicazioni con i senatori
romani d'alto rango e i rappresentanti dei popoli celtici ed egizi. L'Impero Romano, poi,
rappresentava un caso unico in quanto al valore attribuito a lingue diverse dalla propria:
l'Impero era sostanzialmente bilingue, latino e greco, infatti, erano posti sullo stesso
piano nell'insegnamento scolastico e gli interpreti godevano di grande prestigio sociale
come attest lo stesso Cicerone descrivendo il ruolo degli interpreti che gli prestavano
servizio (Ibid.). In epoca moderna, emblematica la figura dell'interprete ai tempi della
conquista dell'America da parte della Corona Spagnola (Angelelli 2004:9). Quando
1.2
Per definire cosa si intende con il termine interpretazione e per distinguere quest'ultima
da altre tipologie di attivit traduttive, fondamentale il concetto di immediatezza:
l'interpretazione si svolge infatti nel qui ed ora dell'evento comunicativo a beneficio di
uno scambio interlinguistico e interculturale fra i partecipanti presenti. Per superare la
dicotomia scrittura/oralit spesso utilizzata come criterio discriminante nella definizione
di traduzione ed interpretazione, Otto Kade (1968), studioso dell'Universit di Leipzig,
propose di descrivere l'interpretazione come una forma di traduzione nella quale:
il testo nella lingua d'origine presentato solo una volta e non pu quindi essere
rivisto o ripetuto;
il testo nella lingua di arrivo viene prodotto sotto la pressione del tempo, con
limitate possibilit di revisione e correzione.
Nel prosieguo della nostra indagine utilizzeremo tale griglia di parametri per definire le
caratteristiche salienti di un particolare tipo di interpretazione, obiettivo centrale del
presente lavoro appunto lo studio dell'interpretazione di comunit (community
interpreting o liaison interpreting) ossia, l'interpretazione o mediazione culturale nei
servizi sociali, ad esempio nell'ambito di scuole, ospedali, stazioni di polizia, centri per
l'immigrazione, consultori, questure ecc. Secondo la definizione proposta da Cecilia
Wadensj (1998:49):
Interpreting carried out in face-to-face encounters between officials and laypeople, meeting for a
particular purpose at a public institution is (in English-speaking countries) often termed community
interpreting.
Mentre paesi come la Svezia e l'Australia gi dai primi anni Sessanta hanno risposto con
mirate azioni governative al bisogno di servizi di interpretariato che aiutassero gli
immigrati nelle attivit sociali quotidiane, altri paesi si sono dimostrati pi lenti nel far
fronte a queste esigenze comunicative intra-sociali. Solo negli anni Ottanta e Novanta,
davanti alla crescente difficolt di comunicazione nell'ambito delle istituzioni
del
fattori
che
differenziano
questa
tipologia
di
interpretazione
Come
10
traduttologia, solo per nominarne alcune, significa riconoscere la complessit e la vastit del
campo di ricerca nel quale si inserisce lo studio dell'interpretazione di comunit, per
decenni relegata ai margini della ricerca accademica che ne ha sottostimato l'importanza
all'interno di una societ sempre pi multiculturale.
Obiettivo del presente lavoro considerare i diversi interlocutori per i quali lavora
l'interprete, l'influenza esercitata dai vari contesti comunicativi nei quali si svolge
l'interpretazione e la variet di limitazioni e condizionamenti che i diversi contesti
impongono ai rapporti interpersonali fra l'interprete e i cosiddetti partecipanti primari.
Circoscrivere lo scopo dell'incontro mediato all'accuratezza linguistica dell'interprete
consentirebbe di individuare con una certa sicurezza regole di condotta che prescrivano
cosa fare e cosa non fare, si creerebbe, inoltre, l'illusione di poter comunicare fra lingue
e culture diverse preoccupandosi esclusivamente della fedele resa linguistica del testo
originale nella lingua di arrivo, indipendentemente dal contesto e dai partecipanti
coinvolti. Al contrario, come si dir pi dettagliatamente in seguito, fattori sociali e
contestuali sono imprescindibili nell'analisi della complessit dell'evento mediato
nell'ambito dei servizi sociali. Nessuna interazione si svolge in un vuoto sociale e
nessuna delle parti coinvolte pu essere considerata invisibile o imparziale. Ciascun
partecipante all'interazione porta con s il proprio io, i propri valori, i propri
pregiudizi e la propria cultura. Credere che l'interprete sia immune a questo intreccio di
fattori sociali sarebbe poco saggio. Come argomenta Angelelli (2004:29):
When two or more interlocutors interact, they bring to the interaction the self. Many times the interaction
occurs within an institution, which constrains it, and often times, the institution is a reflection of the
society in which it is embedded. In other words, the interaction does not happen in a social vacuum,
several forces affect it. These forces can be found at the level of the interaction itself, the institution in
which it takes place, the society at large, or the interplay of all three levels at the same time.
11
1.3
I partecipanti
Qui il concetto di potere si basa sulla teoria weberiana secondo la quale il potere
influenza negativamente il comportamento degli altri o li porta a compiere azioni che
altrimenti questi non avrebbero scelto di compiere. Come argomentano Bowe e Martin
(2007:84), le relazioni di potere esistono come parte del tessuto sociale della
12
13
competenze linguistiche,
14
competenze culturali,
competenze tecniche,
capacit mnemoniche,
competenza professionale.
15
ability to recognize and reproduce domain-specific expressions in a form which will be regarded
as natural by the respective users,
ability to combine verbal and non-verbal communication cues from the source language and
reproduce them in appropriate combinations in the target language,
ability to identify and exploit rhythm and tone patterns of the languages in order to determine
and utilize the chunks of speech so as to maximize the efficiency of the interpreting,
ability to speedily analyze the utterance in the context of the communication in order to
anticipate the direction in which the argument is proceeding and the strategy being used in
developing the argument.
In quanto alla competenza culturale, l'interprete, per far s che la comunicazione fra i
partecipanti primari abbia successo, deve tener conto delle loro differenze culturali e dei
comportamenti verbali e non verbali culturalmente definiti; la consapevolezza e la
responsabilit di gestire tali differenze sono dovere dell'interprete, da questo punto di
vista operante come mediatore culturale fra le parti coinvolte. Le competenze culturali
di un interprete sono fondamentali per garantire la mutua comprensione di quei
comportamenti divergenti fra le varie culture e che, senza la professionalit
dell'interprete, rischierebbero di dar luogo a malintesi se non a vere e proprie situazioni
di conflitto. Secondo Richard Brislin et alii (1986:41), alla base delle differenze
culturali si trovano differenze nel modo di: 1) categorizzare, culture diverse pongono gli
stessi elementi in categorie differenti (per esempio il concetto di buon amico o di bravo
lavoratore); 2) differenziare, ovvero, trattare l'informazione nuova ed inserirla nelle
categorie conosciute; alcune culture possono dare pi o meno rilevanza a certi aspetti o
elementi (per esempio gli obblighi nelle relazioni di parentela); 3) distinguere i membri
del gruppo da quelli fuori dal gruppo (chi non appartiene al gruppo, outgroup member,
trattato con maggior distanza); 4) stili di apprendimento (il cambiamento, la crescita
personale, il miglioramento ecc. comportano l'apprendimento di nuove informazioni
secondo modalit e stili diversi fra le culture); 5) attribuzione, gli individui osservano il
comportamento di altri individui e a loro volta riflettono sul proprio; i giudizi sulle
2
Wills, W. (1982) The Science of Translation, Tubingen, Gunter Narr Verlag In Gentile et alii
(1996) p.66.
16
17
taking); tecniche per ordinare l'informazione data dagli interlocutori primari in modo da
ridurre al minimo le omissioni; tecniche volte alla produzione vocale per rendere
l'interpretazione intelligibile e chiara; tecniche finalizzate alla riduzione delle differenze
fra incontri mediati e incontri non mediati dalla presenza di un interprete (es. controllo
del ritmo, delle ripetizioni e delle ridondanze ecc.) (Gentile et alii,1996:67). Agli aspetti
tecnici dell'interpretazione si aggiunge la capacit mnemonica richiesta all'interprete;
nel caso dell'interpretazione di comunit, la modalit consecutiva quella utilizzata pi
di frequente, il che significa generalmente che l'interprete chiamato a tradurre il
messaggio dopo un minuto, o qualche minuto, che il parlante originario lo ha enunciato.
In questi casi, il ruolo della memoria riguarda in particolare la capacit di fare
collegamenti fra ci che stato detto e ci che un individuo gi conosce a proposito del
tema o argomento in oggetto. Di certo, l'interprete pu avvalersi di un aiuto prezioso per
facilitare il processo mnemonico e prendere appunti, soprattutto in caso di elenchi,
termini tecnici, nomi propri ecc. L'interprete che prende appunti non meno
professionale o meno competente dell'interprete che si affida esclusivamente alle
proprie facolt mnemoniche, anzi, in alcuni casi, gli appunti sono fondamentali per
garantire l'accuratezza dell'interpretazione e per minimizzare il rischio di omissioni o
distorsioni del messaggio originale. Gentile et alii (1996:28) puntualizzano che:
while in some circumstances note-taking will be essential, in others is completely out of place and indeed
detrimental () The technique must be unobtrusive and the emphasis must remain on the face-to-face
communication which is the hallmark of liaison interpreting.
18
professionale, sono reclutati fra l'equipe medica degli ospedali, fra gli amici e parenti
dell'interessato, fra gli inservienti che operano nella struttura in questione, o pi
semplicemente fra coloro che parlano una determinata lingua straniera. Come vedremo
in seguito, a proposito dell'interpretazione di comunit in ambito medico, le
conseguenze di errori di traduzione dovuti all'inesperienza e spesso all'incoscienza di
questi interpreti improvvisati possono essere estremamente serie.
Il quarto partecipante all'evento mediato, nonostante spesso non venga preso in
considerazione, l'agenzia di interpretariato che rappresenta il terzo cliente cui
l'interprete deve rendere conto. Questo tema stato trattato, fra gli altri, anche in
occasione della quarta conferenza internazionale sull'interpretazione di comunit, The
Critical Link 4, in particolare se ne occupato Uldis Ozolins (2007:121):
Interpreting agencies are crucial in determining outcomes in community interpreting, but have been little
studied. () We identify problematic issues for both parties in agencies' relations with interpreters:
agencies vary in their expectations of interpreters, their own work practices, and engagement in
professional issues; interpreters vary in their own required business practices and professionalism, and the
ability to see the agency as their client. Agencies also crucially set expectations of end-user clients who
purchase language services.
Mentre alcuni interpreti di comunit sono impiegati a tempo pieno e altri lavorano come
volontari, la tendenza che sta emergendo in questi anni quella dell'interprete freelance,
cio, un libero professionista che presta servizio in diverse istituzioni e che spesso viene
reclutato tramite agenzie di interpretariato. In paesi come la Svezia e l'Australia,
precursori di politiche regolatrici di questo ambito, tale tendenza sempre pi forte e le
istituzioni governative che inizialmente si occupavano di offrire servizi di interpretariato
sono state ormai sostituite da agenzie private, associazioni locali no profit, e agenzie
statali. Le agenzie di interpreti sono determinanti nel definire l'ambiente lavorativo,
etico e professionale nel quale operano gli interpreti. Per quanto riguarda la relazione
che questi ultimi hanno con le agenzie, bisogna riconoscere l'anomalia di questo settore
data dalla frequente mancanza di standard e codici deontologici e dalla conseguente
eterogeneit di questa categoria professionale; tutto ci fa s che le agenzie debbano
spesso confrontarsi con una grande variet di comportamenti e di attitudini da parte
degli interpreti contraenti. Come spiega Ozolins (2007), dal punto di vista delle agenzie,
la variet di qualit, professionalit e competenze pratiche che si riscontra fra gli
19
essi.
Uno dei motivi della carenza di professionalit fra gli interpreti si ricollega proprio alla
loro incapacit di considerare l'agenzia come un terzo cliente: un cliente, cio, che
seleziona l'interprete per svolgere una prestazione retribuita e che rappresenta quindi,
non solo una fonte di reddito, ma anche il referente al quale rivolgersi per delucidazioni
e commenti prima e dopo la sessione di lavoro svolta presso l'istituzione. Un altro punto
rilevante per comprendere la cornice contestuale entro la quale lavorano gli interpreti,
riguarda poi il rapporto fra le agenzie e il mercato di riferimento composto da coloro
che commissionano i servizi di interpretariato; spesso il mercato nutre false aspettative
nei confronti degli interpreti o addirittura non ha aspettative, molto frequente, infatti,
la tendenza a vedere l'interprete come un male necessario da sopportare per poter
riuscire a comunicare con interlocutori stranieri, ignorando il tipo di ruolo, di
competenze e di impegno effettivamente richiesti.
La centralit delle agenzie in merito alla professionalizzazione degli interpreti dovuta
alla loro posizione intermedia fra acquirenti (del servizio/prestazione) e interpreti.
Come abbiamo gi detto, molto dipende dall'etica dell'agenzia e dall'attitudine che
questa mostra verso il lavoro dell'interprete, Ozolins (2007) sostiene che l'agenzia possa
20
realmente ricoprire un ruolo cruciale a patto che non si accontenti semplicemente che
l'interprete arrivi puntuale e che non sia fonte di lamentele, ma che sia interessata a
sviluppare un rapporto di lavoro professionale e che osservi con occhio critico e
consapevole il ruolo dell'interprete. Per trasformare questo cerchio di relazioni vizioso
in un cerchio virtuoso, fondamentale che ogni anello sia collegato all'altro, in questo
senso, sarebbe importante che le istituzioni per le quali l'interprete presta servizio
fornissero un feedback, un commento a posteriori, circa il suo operato e che questo fosse
comunicato non solo all'agenzia (referente dell'istituzione) ma anche all'interprete (che
di solito ha come unica referente l'agenzia). Un ulteriore punto di esclusione
dell'interprete da questo cerchio di relazioni riguarda la stipula dei termini
contrattuali:
contracts or service agreements between agencies and purchaser, where they exist, are in most cases
negotiated and finalised without reference to the people who will be carrying them out the contract
interpreters. This leaves the interpreters in the position of being very much price-takers, and in only rare
instances can they be price makers. (Ozolins 2007:128)
Non ci soffermeremo qui sul problema dei bassi livelli remunerativi che gli interpreti di
comunit, in particolare, sono costretti ad accettare, ma l'obiettivo di questo primo
capitolo introduttivo la presentazione dei partecipanti all'evento mediato, siano essi
fisicamente presenti nel contesto d'enunciazione, siano essi partecipanti del pi ampio
sistema di relazioni come forze condizionanti il sistema stesso.
Per comprendere in che modo le relazioni di potere stabilite dal e nel contesto socioculturale di riferimento influiscono sul ruolo dell'interprete, utilizzeremo il concetto di
participation framework elaborato da Goffman (1981) nel descrivere l'interazione
sociale dal punto di vista del coinvolgimento individuale dei co-partecipanti. Il principio
base della teoria di Goffman che l'organizzazione dell'interazione il risultato di un
continuo processo di valutazione e rivalutazione dei ruoli (participation status) da parte
degli individui coinvolti, il quale si ripete ad ogni turno di parola. Il contenuto e la
progressione dell'interazione, cos come la posizione interazionale dei partecipanti,
21
dipendono dalle relazioni e dalle posizioni reciproche che si instaurano fra gli individui
ad ogni enunciato attraverso potenziali cambiamenti nel loro allineamento
conversazionale (footing). Secondo Goffman, la tradizionale dicotomia parlanteascoltatore che propone due ruoli interazionali opposti e reciprocamente escludenti, si
rivela insufficiente e non permette di scomporre queste macro-categorie in elementi
analitici pi piccoli e coerenti. Nell'introduzione al suo libro, Forms of talk, l'autore
definisce il concetto di participation framework come segue:
When a word is spoken, all those who happen to be in perceptual range of the event will have some sort
of participation status relative to it. () If one starts with a particular individual in the act of speaking,
one can describe the role or function of all the several members of the encompassing social gathering
from this point of reference (...) The relation of any one such member to this utterance can be called his
participation status relative to it, and that of all the persons in the gathering the participation
framework for that moment of speech.(1981:3-137)
autore (author) che seleziona i sentimenti che vuole esprimere e le parole con le
quali intende codificarli;
22
reporter, che ascolta per ripetere le parole che sente senza assumersene alcuna
responsabilit;
responder, colui che ascolta per poi parlare come partecipante primario, o
principale;
23
somewhat
closed,
self-compensating,
self-terminating
circuit
of
24
mediato) e in tal caso, un sistema di attivit in situazione coinvolge solo una parte
dell'individuo, ci che quest'ultimo in altri contesti e in altri momenti non rilevante;
ci che interessa sono le rispettive azioni dei partecipanti, diverse ma interrelate, e il
modo in cui tali azioni rispondono a schemi che definiscono un sistema di attivit in
situazione.
La chiave di Volta che ci permette di apprezzare la complessit dell'evento mediato sta
nell'adottare una prospettiva dialogica ed abbandonare la visione monologica che la
letteratura ha tradizionalmente utilizzato per osservare la funzione dell'interprete.
L'approccio monologico descrive l'uso linguistico dal punto di vista del parlante: il
significato delle parole e degli enunciati considerato come derivante esclusivamente
dalle intenzioni e dalle strategie comunicative del parlante, mentre i co-partecipanti
sono visti come ricettori delle informazioni codificate dal parlante. I co-partecipanti si
troverebbero cos in una sorta di vuoto sociale (Wadensj 1998:8). Il modello
dialogico, al contrario, implica la costruzione e l'elaborazione congiunta del significato
da parte dei co-partecipanti. Il significato creato nella e dalla attivit comunicativa. La
responsabilit del flusso comunicativo e di eventuali incomprensioni distribuita fra le
parti. Secondo Wadensj (Ibid.), il primo approccio corrisponderebbe al discorso come
testo (Talk as text), mentre il secondo risponderebbe al discorso come attivit (Talk as
activity) Considerare la comunicazione mediata non solo come produzione testuale ma
anche come attivit e interazione sociale consente di analizzare pi a fondo il complesso
sistema di relazioni e azioni in gioco. Da un punto di vista sociolinguistico, i fattori
contestuali assumono grande rilievo nell'analisi del discorso come interazione e il
modello mnemonico di Hymes3 costituisce una griglia schematica di partenza:
SPEAKING (Situation Participants Ends Act sequences Key Instrumentalities
Norms Genres); utilizzando una prospettiva dialogica possiamo osservare la
produzione discorsiva come un' inter-attivit che coinvolge tutti i partecipanti e, come
vedremo in seguito, il sistema turnazionale evidenzia con grande chiarezza l'aspetto
corale e partecipativo dell'evento mediato.
25
CAPITOLO 2
IL RUOLO DELL'INTERPRETE
corrispondente alla
Il
ruolo
26
Bakhtin, M., M., (1979) Estetika Slovesnogo Tvorchestva. Moscow:Isskusstvo. In Wadensj (1998: 3839)
27
collegamento fra gli individui e la situazione d'uso. Come denuncia Angelelli (2004),
molte scuole che offrono corsi di interpretariato condividono questa idea monolitica del
linguaggio e durante le lezioni non raro che gli studenti si sentano dire dai loro
insegnanti: il tuo compito catturare il significato e trasmetterlo in un'altra lingua,
senza contribuire a ci che si dice, oppure, il tuo unico compito conferire il
significato espresso da un parlante alla lingua dell'altro parlante. In questo modo, il
ruolo dell'interprete ridotto a quello di mero codificatore-decodificatore linguistico e
la complessit dell'interazione mediata viene del tutto sminuita; anche da un punto di
vista prettamente linguistico, per, le due lingue interessate durante l'evento mediato
possono presentare differenze lessicali, grammaticali e prosodiche, cos come possono
differire in quanto a costruzioni sintattiche, usi idiomatici ecc. Sistemi linguistici diversi
non sono, cio, sovrapponibili e il messaggio originale spesso pu essere reso tramite
pi versioni, in questo modo i concetti di adeguatezza, fedelt e accuratezza risultano
sempre pi ambigui.
Reddy (1979:165) spiega il potere che la metafora e l'uso metaforico del linguaggio
possono avere nell'influenzare il nostro modo di pensare e concepire il mondo:
I am going to present evidence that the stories English speakers tell about communication are largely
determined by semantic structures of the language itself. This evidence suggests that English has a
preferred framework for conceptualizing communication, and can bias thought process toward this
framework.
28
1)
2)
3)
Espressioni simili si possono riscontrare anche in italiano (es. non ho colto l'idea,
non ho afferrato il significato delle sue parole), possiamo notare come le parole e le
idee siano concepite come pacchetti di informazioni che si trasmettono da un parlante
all'altro ma, come obietta lo stesso Reddy, se ricevere e scartare questi pacchetti di
informazioni un'azione cos semplice e passiva, perch in alcuni casi si verificano
intoppi, incomprensioni, se non veri e propri fallimenti comunicativi? Per spiegare
quanto la metafora del condotto sia pervasiva nel nostro modo di concepire e descrivere
il linguaggio, Reddy elabora una contro-metafora che chiama the toolmakers
paradigm; in base a questo paradigma, il messaggio comunicativo, pi che veicolo di
pacchetti informativi, presentato come un progetto la cui interpretazione da parte
dei co-interlocutori non garantisce una corrispondenza esatta tra i significati elaborati da
chi realizza il progetto e i significati elaborati dal destinatario. Il paradigma del
progetto indica inoltre che la comunicazione implica intenzionalit, pianificazione e
considerazione del destinatario al quale rivolgiamo il nostro messaggio. Tornando al
ruolo dell'interprete, possiamo ora affermare che la concezione del linguaggio che
insita nella nostra cultura e quindi nella nostra forma mentis una convenzione culturale
radicata che, ad un'analisi pi profonda, risulta eccessivamente semplicistica e
fuorviante.
Un'interessante panoramica della variet di metafore riguardanti la figura dell'interprete
stata proposta da Roy (in Pchhacker 2002:345-353) che, in particolare, si occupata
dell'interpretazione della lingua dei segni per non udenti negli Stati Uniti ed ha
individuato quattro descrizioni che esemplificano il ruolo dell'interprete. Queste quattro
descrizioni
vanno
da
un
estremo
coinvolgimento
personale
all'assenza
di
gli interpreti come aiutanti: per molto tempo gli interpreti di persone non udenti
sono stati gli stessi familiari ed amici; fino agli anni Sessanta, infatti, non vi era
distinzione fra interprete e aiutante e l'intervento di quest'ultimo spesso sconfinava
dall'interpretazione vera e propria e comprendeva la possibilit di dare consigli e
addirittura prendere decisioni al posto del parente o amico non udente;
29
2)
gli interpreti come condotti o canali: questa descrizione che gli interpreti stessi
gli interpreti come facilitatori della comunicazione: non appena la metafora del
condotto inizi a decadere, gli interpreti ricorsero ad una nuova descrizione che
attingeva dalla teoria della comunicazione, secondo la quale, l'evento comunicativo
costituito da tre elementi base: mittente, messaggio e destinatario. Questa base teorica
presentava l'interprete come canale interposto fra mittente e destinatario deputato a
facilitate la trasmissione del messaggio fra due parlanti di lingue diverse. La descrizione
dell'interprete come facilitatore della comunicazione fu sostenuta anche dal Code of
Ethics della lingua dei segni americana (ASL) che, fra i principi costituenti, stabiliva:
The interpreter's only function is to facilitate communication. He/she shall not become
personally involved because in doing so he/she accepts some responsibility for the
outcome, which does not rightly belong to the interpreter (Ibid.)
4)
gli interpreti come specialisti bilingui bi-culturali: fra la fine degli anni Settanta
30
2.2
Invisibilit vs Visibilit
Il ruolo dell'interprete, o meglio, la percezione che ne hanno gli interpreti, gli studiosi e
i clienti stessi, ha subito varie trasformazioni nel corso degli anni ma la descrizione
meccanicistica ancora radicata nell'immaginario collettivo e spesso anche nella
valutazione dei diretti interessati. Angelelli (2004) parla del mito dell'invisibilit
dell'interprete, una sorta di fantasma fra i partecipanti che, come fosse un canale, si
lascia attraversare dal flusso comunicativo convertendolo da una lingua ad un'altra.
Questa prospettiva presuppone l'assenza di interazione fra interprete e partecipanti
primari, l'assenza di interazione fra i partecipanti stessi e, in definitiva, presuppone
l'assenza di fattori culturali e contestuali, come se la comunicazione avvenisse in un
luogo totalmente asettico fra partecipanti privi di ogni connotazione sociale. In questo
non-luogo comunicativo l'interprete fungerebbe da modem-linguistico, un modulatore e
demodulatore della lingua.
In questo modello teorico, l'interprete una non-persona e pertanto non . Il ruolo
della non-persona uno dei ruoli discrepanti definiti da Goffman (1981) e che
Wadensj (1998:66) definisce come persona presente ma trattata come assente; La
non-persona fisicamente presente all'evento comunicativo ma non detiene n il
ruolo di partecipante attivo n quello di ascoltatore o partecipante passivo. Fra gli
esempi forniti da Goffman (Ibid.), un esempio classico di non-persona il servitore, un
individuo la cui presenza deve risultare come una non presenza. Altri esempi si
riferiscono ai molto giovani, ai molto anziani, ai malati e a volte agli stranieri che si
presuppone non capiscano, totalmente o in parte, ci che si dicono i parlanti coinvolti in
una interazione comunicativa. Per molti versi, il concetto di non-persona pu essere
equiparato a quello dell'interprete invisibile, entrambi propongono infatti un ruolo
meramente tecnico secondo il quale l'interprete non apporta nulla alla sostanza e al
contenuto della comunicazione in atto. Questo ruolo, che spesso coincide con il ruolo
normativo dell'interprete (ossia ci che l'interprete dovrebbe fare ed essere), si discosta
dalla realt pratica di questa professione, dalla effettiva performance del ruolo. Una
concezione alternativa del ruolo dell'interprete quella che considera quest'ultimo come
co-costruttore dell'interazione, ci che Angelelli (2004) chiama il modello della
visibilit. Questo modello presenta l'interprete come individuo visibile, non solo dal
31
punto di vista linguistico, ma visibile anche dal punto di vista delle sue caratteristiche
sociali e culturali attraverso le quali costruisce l'interazione insieme agli altri copartecipanti. Secondo Angelelli (2004:11), la visibilit si manifesta quando l'interprete
fa un'azione, o pi, delle seguenti:
1)
2)
3)
4)
5)
filtra le informazioni;
6)
7)
degli
individui
stranieri
dipende
interamente
dall'interprete,
32
della Malinche verificando che ci che stava dicendo corrispondesse alle parole
originarie di Corts. Questo episodio dimostra quanto la compagine dominante si
preoccupasse dell'accuratezza dell'interpretazione e, allo stesso tempo, non si fidasse
dell'interprete. Data la posizione di potere di Corts, Orteguita rispondeva unicamente a
quest'ultimo, il quale aveva il privilegio di esigere accuratezza e verificare la plausibilit
dell'interpretazione. Quando la Malinche mediava gli scambi comunicativi fra Corts e i
nativi vi era una netta disparit fra lo status di potere dei partecipanti coinvolti. La
giovane schiava, attraverso la propria interpretazione, permetteva alle voci e alle
esigenze dei nativi di essere ascoltate ma faceva s che il messaggio degli oppressori
prevalesse su quello di primi. Il suo ruolo, insomma, non era affatto neutrale e tanto
meno invisibile. Al contrario, la giovane interprete rappresentava un fattore
determinante nell'alterare o nel perpetuare relazioni di potere e solidariet durante la
mediazione della comunicazione. La visibilit della Malinche come interprete non un
caso isolato e, come ha testimoniato la storia, gli interpreti hanno continuato nel tempo a
mediare la comunicazione fra la grandi potenze economiche e culturali. Se riteniamo
che gli interpreti e l'interpretazione siano elementi cruciali nella comunicazione fra
parlanti pi dominanti e meno dominanti, allora necessario analizzare l'evento mediato
nella sua complessit; bisogna cio valutare i diversi interlocutori per i quali lavora
l'interprete, i diversi contesti interazionali e le limitazioni imposte sul ruolo
interpersonale dell'interprete da tali differenze contestuali. Limitare lo scopo dell'evento
mediato all'accuratezza del contenuto o alla competenza linguistica dell'interprete
permette l'identificazione di regole precise riguardo a ci che l'interprete dovrebbe o
non dovrebbe fare
33
2)
3)
4)
5)
L'IPRI il risultato di un'indagine svolta fra 293 interpreti di U.S.A., Canada e Messico
considerando tutti i contesti e le combinazioni linguistiche disponibili nell'ambito
dell'interpretazione di conferenza, dell'interpretazione di comunit (ambito legale e
medico) e dell'interpretazione telefonica. La ricerca stata improntata a partire da tre
quesiti principali: 1) se esiste una relazione fra il contesto sociale d'appartenenza
dell'interprete e la sua percezione di visibilit a partire dalle variabili di: et, sesso,
livello d'istruzione, reddito e identificazione col gruppo dominante o col gruppo
subordinato; 2) la collocazione di interpreti operanti in diversi contesti lavorativi
(medico, legale, conferenza) lungo il continuum della visibilit/invisibilit del loro
ruolo; 3) se interpreti operanti in ambiti differenti concepiscono il proprio ruolo in
maniera diversa. I risultati di questo studio hanno evidenziato che gli interpreti
considerano il proprio ruolo visibile in ognuno dei contesti lavorativi analizzati; tale
responso si rivelato particolarmente importante rispetto a quei gruppi per i quali
inizialmente si ipotizzava una natura invisibile e monologica (l'ambito legale e di
conferenza), anche se gli interpreti del settore medico-sanitario percepiscono il proprio
ruolo come pi visibile rispetto agli altri. L'indagine ha poi dimostrato che gli interpreti
ritengono di avere un ruolo visibile sia in interazioni faccia a faccia che non, come nel
caso della comunicazione telefonica. Infine, emerso che esiste una correlazione fra il
contesto di appartenenza sociale dell'interprete e la sua percezione del ruolo, ma
quest'ultima determinata dal contesto lavorativo pi che dai fattori sociali individuali.
A tal proposito, riportiamo alcune delle risposte collezionate da Angelelli (2004:79)
35
all'interno dei questionari sottoposti agli interpreti selezionati nel campione: many of
the questions are not applicable to my experience as conference interpreter. I can see my
self giving very different answers with respect to a community interpreting situation. I
am not sure that the two are really comparable communication situations. Questa
risposta emblematica dell'importanza del contesto situazionale a conferma che gli
eventi mediati non sono tutti uguali (come affermerebbe la metafora del condotto) e che
gli interpreti stessi riconoscono che le loro opinioni potrebbero differire a seconda di
quale dei loro cappelli stanno indossando nel momento in cui rispondono al
questionario. Lo studio ha inoltre dimostrato quanto il mito dell'invisibilit sia
saldamente radicato nell'ideologia professionale, nonostante la dichiarata visibilit del
ruolo confermata dagli intervistati. Molti di loro danno per scontato il concetto di
neutralit-invisibilit come capo saldo del quadro normativo della loro professione ed
alcuni hanno espresso anche un certo fastidio di fronte alle domande che indagavano il
loro posizionamento lungo il continuum invisibilit-visibilit, quasi percependo il
proprio mestiere come trascendente rispetto ad ogni parametro umano: our work is
serious, and we must be respectful no matter what. Of course we can have feelings we
are human but we keep them to ourselves. We are not participants; we are channelling
other people's words and feelings and give our all to do so. Come mostra questa
risposta, la tensione continua fra il ruolo normativo e la performance del ruolo un
elemento ricorrente; gli interpreti vivono cio una condizione di dualit eticaprofessionale; aderire al ruolo prescritto ma anche rendere la comunicazione da un
punto di vista pragmatico e quindi andare oltre la prescrizione del Codice. Come risulta
da altre risposte, la neutralit dell'interprete plausibile ma non necessariamente
naturale e spontanea, anzi, qualcosa che l'interprete professionista raggiunge
faticosamente: A consecutive interpreter, doing political work, has to be very careful to
be neutral (Ibid.). Anderson (1976:213) afferma, a questo proposito, che dietro la
facciata dell'interprete neutrale, (the nonpartisan interpreter che agisce come una
fedele eco dei partecipanti primari), si nasconde in realt una considerevole
manipolazione del contenuto comunicativo a favore della moderazione e della
razionalit; in questo modo, l'interprete neutrale rischia di mistificare il messaggio
originale e di violarne la fedelt attraverso la mitigazione delle parole pi forti e
potenzialmente conflittuali. Inoltre, mentre da una parte, gli interlocutori primari si
36
Mason (1999) e Berk-Seligson (in Pchhacker and Shlesinger 2002) parlano di ingroup loyalties, ossia, di lealt nei confronti dei membri di uno stesso gruppo etnicoculturale o solidariet culturale (Garzone 2003), mentre Anderson (1976) parla di
role overload e role conflict. D'altro canto, per auspicabile la creazione di un
sano rapporto lavorativo fra i tre partecipanti, positive bonding (Rudvin 2003:147),
che consentirebbe di instaurare un'atmosfera di generale fiducia e agio per facilitare lo
svolgersi dell'interazione mediata. Come avverte Rudvin (Ibid.) per, un eccessivo
legame fra i partecipanti rischierebbe di inficiare l'imparzialit dell'interprete e di
aumentare la pressione psicologica che grava su quest'ultimo. Nell'ambito medico e
legale per esempio, l'interprete, anche inconsapevolmente, pu compromettere o
danneggiare la comunicazione fra i partecipanti; un legame eccessivamente stretto con
una delle due parti (creare un rapporto d'amicizia, ma anche dispensare consigli o
informazioni di propria iniziativa) potrebbe creare delle aspettative nei confronti
dell'interprete che quest'ultimo non sarebbe poi in grado di soddisfare, se non
commettendo illeciti deontologici. Come argomenta Anderson (1976: 212-213),
l'interprete, per qualsiasi motivo, pu scegliere di allearsi con uno dei partecipanti e
divenire il cosiddetto Tertium Gaudens (Simmel 1964)6 della triade interazionale; il
proverbiale terzo che gode fra i due litiganti, nel caso in cui l'interprete come uomo
6
Simmel, G. (1964) The Triad in Wolf, K. trans. and ed.The Sociology of Georg Simmel, New
York: The Free Press. Citato in Anderson (1976:213-214)
37
nel mezzo tragga un vantaggio personale nello schierarsi con l'uno o l'altro
interlocutore.
L'interprete, come detto finora, ha un potere interazionale notevole e persino maggiore
rispetto a quello dei partecipanti primari; in seguito descriveremo in che modo
l'interprete esercita concretamente questo potere all'interno della comunicazione
partendo dalle strategie della cortesia linguistica, la cosiddetta politeness (Brown and
Levinson 1987), attraverso le quali protegge la propria faccia o quella del proprio
interlocutore, influenzando, come vedremo, la percezione dei co-partecipanti.
2.3
Goffman, E. (1967) Interaction ritual: essays on face to face behavior, New York: Doubleday.
38
effectively claims for himself by the line others assume he has taken during a particular
contact. Per non danneggiare questa immagine pubblica, i parlanti adottano strategie
interazionali che evitano il crearsi di situazioni potenzialmente minacciose per la faccia
(avoidant face-work): ad esempio, le formule di cortesia che accompagnano ordini e
richieste o gli espedienti utilizzati per gestire argomenti delicati o imbarazzanti. Brown
e Levinson (1978) fanno una distinzione fra la cosiddetta faccia positiva e la faccia
negativa; la prima l'immagine di s che ogni individuo reclama e proietta
nell'interazione e che desidera che gli altri apprezzino; la faccia negativa riguarda
invece la rivendicazione del proprio territorio e della propria libert d'azione rispetto
alle imposizioni altrui. Come scrivono Bowe e Martin (2007:27): The notion of
avoiding conflict or confrontation is an integral element of appropriate language usage,
finding its way into the language of almost all social groups and it is this that is
generally recognised as politeness. Al contrario, nel caso in cui uno dei partecipanti
commetta un atto di minaccia, seppur involontariamente, come nelle gaffes,
participants try to give accredited status as an incident to ratify it as a threat that
deserves direct official attention and to proceed to try to correct for its effects
(Goffman 1967:19). Nel contesto dell'evento mediato, le strategie di cortesia cui i
parlanti primari ricorrono devono essere decodificate e ricodificate opportunamente
dall'interprete, il quale, oltre a barcamenarsi nella corretta resa di atti potenzialmente
minacciosi o difensivi della faccia dei partecipanti, anch'egli coinvolto con la propria
faccia in qualit di terzo co-parteciapante, visibilmente e attivamente presente. Il
modo in cui gli interpreti non professionisti affrontano la gestione della politeness
molto significativo delle insidie e della complessit dell'evento mediato. Lo studio sugli
interpreti naturali di Harris e Sherwood (in Mason 1999:18) racconta il caso di una
trattativa commerciale fra un immigrato italiano in Canada e un canadese anglofono che
comunicano tramite l'interpretazione della figlia bilingue del primo. I partecipanti
primari si comportano seguendo le proprie norme culturali e quando in un momento
cruciale del negoziato, l'italiano nel quadro delle proprie aspettative culturali- si
rivolge all'interlocutore dandogli dell'imbecille, la giovane interprete ad hoc, mostra
contemporaneamente una consapevolezza bi-culturale ed un'istintiva mossa di
autodifesa della faccia:
Padre:
39
Ci che l'interprete non professionista pu in questo caso non aver considerato che
una mossa simile pu rivelarsi controproducente. Nel caso specifico infatti, il padre, che
conosce l'inglese abbastanza bene da monitorare almeno in parte la performance della
figlia, obietta immediatamente: perch non gli hai detto quello ti ho detto?,
smascherando cos il face-saving act della figlia. Anche Knapp-Patthoff e Knapp
(1987:181-201) si sono occupati approfonditamente della prestazione di interpreti ad
hoc, in particolare riportiamo il caso di una conversazione fra un interlocutore tedesco e
uno coreano mediati da una studentessa coreana di venticinque anni, quest'ultima ha
vissuto in Germania per tre anni ed ha appreso la lingua anche nell'ambito scolastico e
universitario. Come notano gli autori, la mediatrice (termine qui utilizzato per denotare
l'interprete non professionista) in alcune circostanze prende iniziative di proprio conto,
per esempio ricorrendo a strategie volte ad evitare conflitti ed incomprensioni. In
particolare, in merito all'uso delle strategie di cortesia (politeness strategies), si descrive
il comportamento del parlante tedesco che, nel formulare una richiesta all'interlocutore
coreano, mette in atto due tipi di strategie di cortesia per mitigare il potenziale facethreatening act. Il primo tipo di strategia viene denominata claiming common ground,
ossia, l'affermazione di un terreno comune che secondo Brown e Levinson (1978:108):
occurs by indicating that S and H both belong to the same set of persons who share
specific wants, including goals and values. Tale strategia consente al parlante di
instaurare un'atmosfera amichevole facendo sembrare l'imposizione meno pesante; il
parlante tedesco, infatti, riconosce gli sforzi dell'interlocutore, afferma di comprendere
la posizione dell'altro e mostra solidariet nel raccontare che lui stesso si era trovato in
precedenza nella medesima situazione. La rivendicazione di un terreno comune viene
ugualmente espressa in risposta al rifiuto o all'accettazione tramite frasi del tipo: ah s,
capisco, certo, posso comprendere, oh s, evidente. Ci che emerge con chiarezza
da questo studio, che la mediatrice sceglie in ogni occasione di non tradurre
linguisticamente la strategia di cortesia adottata dal parlante tedesco. Gli autori
escludono la possibilit che l'interprete non abbia capito o che abbia deciso di non
tradurre per motivi di sensibilit culturale nei confronti del partecipante coreano; anche
in coreano, infatti, la strategia dell'affermazione del terreno comune risulta appropriata.
La seconda strategia utilizzata dal parlante tedesco si configura, poi, come atto di
40
41
are employees of the court, and that they are expected to act just as obsequiously before the judge as any
lawyer, defendant, or clerk. (Ibid.)
In questo caso, l'interprete difende la propria faccia e mostra anche un certo grado di
parzialit in quanto maggiormente schierato con l'istituzione che rappresenta, piuttosto
che impegnato a mantenere una posizione equidistante fra le parti. Mason (1999)
concorda nel riconoscere che anche la faccia dell'interprete coinvolta nell'evento
mediato:
Interpreters are keenly aware of threats to face and adopt politeness strategies aimed at protecting their
own or their addressee's face: downtoning or hedging; introducing conventional apologies. (Mason
1999:13)
Susan Berk-Seligson (Ibid.), inoltre, ha condotto uno studio empirico che evidenzia
quanto gli interpreti in sede processuale possano influenzare la percezione dei giurati
riguardo alle dichiarazioni dei testimoni. L'uso del linguaggio durante il processo, e in
particolare il ricorso alle strategie di cortesia, un'arma di notevole importanza. Come
emerge dall'analisi sociolinguistica dell'autrice, in questo contesto il modo col quale si
formula un enunciato pu essere tanto significativo quanto il suo contenuto
proposizionale. L'indagine parte dalla consapevolezza che la reazione di un individuo
alle parole del suo interlocutore pu variare a seconda di alcune caratteristiche
sociolinguistiche quali l'impiego di un variet dialettale, il tono della voce, l'et, il sesso
ecc. Il metodo selezionato per condurre l'esperimento quello della cosiddetta matched
guise technique, l'indagine sperimentale utilizza, infatti, due registrazioni audio (in cui
un testimone spagnolo viene tradotto all'inglese da un interprete) che sono identiche tra
loro in ogni dettaglio salvo una sola eccezione: nella prima versione l'interprete traduce
dallo spagnolo all'inglese ogni istanza del vocativo di cortesia seor-sir che ricorre negli
enunciati prodotti dal testimone; nella seconda versione, invece, l'interprete omette di
tradurre il vocativo di cortesia. I giurati fittizi chiamati a giudicare il testimone sono
stati selezionati per formare un campione rappresentativo dal punto di vista
sociolinguistico8 ed stato chiesto loro di fingersi membri della giuria e fornire le loro
8
42
Dal momento che il testimone spagnolo risponde esattamente nella stessa maniera in
entrambe le versioni, lo studio di Berk-Seligson dimostra che solo ed esclusivamente
l'interprete a determinare la differenza nella valutazione dei giurati. Ancora una volta,
l'interprete non solo attivamente coinvolto e visibile all'interno dell'interazione
mediata, ma anche una figura determinante dell'andamento della comunicazione
interlinguistica e interculturale. Come ha evidenziato il caso presentato, la sola assenza
del vocativo signore (sir) in risposta alle domande dell'avvocato sufficiente per
suscitare una valutazione pi negativa da parte della giuria. Un'omissione
apparentemente irrilevante, che l'interprete ha il potere di gestire sapientemente, ma che
pu modificare la reazione dell'interlocutore. Da notare poi, che questa manipolazione
della reazione, se in ambito processuale, ha certamente conseguenze assai pi
consistenti che nel contesto di una informale conversazione faccia a faccia.
Nell'esperimento considerato, le strategie della cortesia linguistica hanno consentito di
modificare la valutazione del testimone accrescendo o diminuendo il suo grado di
persuasione, competenza, intelligenza e attendibilit agli occhi della giuria. Come
abbiamo detto in precedenza, la politeness o cortesia linguistica si pu esprimere
39,4% ispanici, 6,75 afro-americani, 7% orientali, 0.4% nativi indiano-americani (ecc). (Berk-Seligson
2002:283)
43
attraverso vari strumenti linguistici e paralinguistici; nel caso sopra citato, la cortesia
resa esplicita dal vocativo sir, ma ci sono molti altri modi di esprimere la cosiddetta
negative politeness nei confronti della faccia negativa dell'interlocutore (espressioni
che esprimono deferenza, formalit, scuse convenzionali ecc.). La complessit delle
relazioni soggiacenti l'interazione mediata molto pi grande di quanto si possa credere
a primo acchito e dagli esempi riportati finora si dimostrato quanto il ruolo
dell'interprete sia centrale e condizionante. La tradizionale visione meccanicistica
dell'interprete come convertitore automatico della lingua poco a poco smentita e
smontata dagli esempi offerti dai vari studiosi che si sono interessati a questo tema; a
proposito dell'azione visibile dell'interprete nell'interscambio comunicativo, possiamo
osservare la visibilit dell'interprete proprio a partire dalla sua produzione testuale.
2.4
close
renditions,
interpretazioni
strette:
il
contenuto
proposizionale
substituted
renditions,
interpretazioni
sostituite:
consistono
nella
44
5)
vengono tradotti
Contrariamente a quanto prescriva la norma, la produzione testuale dell'interprete pu
presentare varie forme a dimostrazione della complessit del sistema turnazionale
dell'evento mediato e della strategia interpretativa selezionata dall'interprete di turno in
turno. Stando alla prescrizione di codici e studiosi, l'interprete dovrebbe produrre il
proprio turno dopo ogni enunciato di un partecipante primario e questo dovrebbe
configurarsi come copia del messaggio in lingua1 ricodificato nella lingua2 secondo il
seguente schema (dove DI sta per dialogue interpreter, P per professionista e S per
straniero che si rivolge all'istituzione o struttura del paese ospitante):
P: Enunciato 1 (nella lingua maggioritaria di P )
DI: Enunciato 1' (= interpretazione di E1 nella lingua straniera)
S: Enunciato 2 (nella lingua straniera di S)
DI: Enunciato 2' (= interpretazione di E2 nella lingua di P)
P: Enunciato 3 (nella lingua di P)
DI: Enunciato 3' (=interpretazione di E3 nella lingua di S)
ecc.
La tassonomia proposta da Wadensj (1998) risulta dall'analisi di un corpus di dati
autentici che l'autrice ha registrato nel reparto immigrazione di una stazione di polizia
45
46
Tornando alla teoria di Goffman (1981), possiamo affermare che l'interprete cofautore e co-costruttore del quadro partecipativo dell'evento mediato in quanto
condiziona e controlla lo status partecipativo degli interlocutori principali; in altre
parole, l'interprete si occupa contemporaneamente di mediare e coordinare la
comunicazione fra i parlanti coinvolti.
Oltre ai tipi di interpretazione che l'interprete pu deliberatamente scegliere di produrre,
un'ulteriore prova della sua visibilit e della sua azione data dal modo col quale i
partecipanti primari si rivolgono a quest'ultimo nell'interscambio mediato. Un aspetto
rivelatore delle dinamiche interazionali che si sviluppano durante l'evento mediato
costituito, infatti, dal modo in cui i partecipanti primari comunicano fra di essi, se cio
47
parlano direttamente l'uno all'altro come se non fossero presenti barriere linguistiche fra
di loro, oppure se si rivolgono all'interprete sia da un punto di vista paralinguistico
(indirizzando lo sguardo e il linguaggio corporale nella sua direzione) che propriamente
linguistico (in particolare considerando la deissi personale: pronomi di persona,
appellativi, forme verbali). L'analisi della deissi personale fondamentale per
comprendere il ruolo dei partecipanti all'evento comunicativo e la loro relativa
posizione all'interno dell'interazione. Da una parte il partecipante primario potrebbe dire
penso che... oppure, rivolgendosi direttamente all'interprete: Gli riferisca che penso
che...; analogamente, l'interprete pu utilizzare la prima persona, fingendo di parlare al
posto del parlante primario, oppure rendere il messaggio originale in terza persona, es.
ha detto che.... Come afferma Garzone (2003.103), generalmente si pu dire che
citare, presentare cio l'enunciato nella stessa forma grammaticale nella quale stato
formulato (attraverso il discorso diretto), preferibile rispetto al riportare in quanto
permette di prevenire tutte quelle distorsioni che derivano dal trasformare il discorso
diretto in discorso indiretto. La letteratura e i codici di condotta professionale esistenti
prescrivono l'utilizzo della prima persona singolare nell'interpretazione ma, ancora una
volta, la pratica spesso contraddice tale prescrizione, soprattutto nel caso di interpreti
che si improvvisano tali, ma anche nel caso di interpreti professionisti quando, per
esempio, l'interprete decide di proteggere la propria faccia e distanziarsi da un enunciato
potenzialmente conflittuale. Dallo studio che Berk-Seligson (in Pchhacker 2002) ha
condotto sull'interpretazione legale (detta anche interpretazione giudiziaria o di
tribunale) emerso che la maggior parte dei testimoni che durante il processo depone
tramite un interprete, poco dopo l'inizio dello scambio mediato, inizia a rispondere
direttamente all'interprete, come se fosse quest'ultimo a porre le domande, piuttosto che
rispondere all'avvocato che effettivamente le ha formulate. Questo comportamento si
riflette a sua volta in due atteggiamenti frequenti: il primo legato allo sguardo. Nel
rispondere alla domanda, infatti, l'interrogato mantiene il contatto visivo non con
l'avvocato ma con l'interprete; il secondo riguarda le forme di cortesia linguistica che
spesso corrispondono al sesso dell'interprete piuttosto che a quello dell'avvocato.
Quest'ultimo caso evidente quando l'interprete donna e l'avvocato uomo, o viceversa.
Come puntualizza la studiosa (Ibid.), negli eventi mediati in ambito legale, necessario
che l'imputato si rivolga direttamente all'avvocato o al giudice e bisogna evitare che si
48
rivolga all'interprete come persona. In ogni caso, di frequente accade l'esatto contrario e
nell'eventualit di una discordanza fra il genere utilizzato dall'imputato e quello
dell'avvocato che lo interroga, l'interprete ha la possibilit di scegliere fra le seguenti
alternative: 1) interpretare letteralmente la forma allocutiva con il rischio di creare
qualche imbarazzo; 2) tradurre la forma allocutiva non correttamente ma in modo tale
che il genere dell'espressione linguistica corrisponda al sesso dell'avvocato; 3) eliminare
la forma allocutiva dall'interpretazione (esempio di zero-rendition); 4) sollevare il
problema davanti al giudice o avvocato. Secondo l'analisi di Berk-Seligson
(Ibid.2002:281), la seconda e la terza opzione sono le pi frequenti e la discordanza
delle forme allocutive nel contesto dell'interazione mediata porterebbe ad alcune
conclusioni significative:
even though ideally the interpreter is supposed not to have her own persona in the proceeding, in fact she
is spoken to directly by the witnesses () and she often is addressed by lawyers and judges, even though
she is there merely to be a medium through which court officials can communicate with the non-English
speaking and hearing impaired.
In questo capitolo, abbiamo raccolto gli aspetti salienti della partecipazione attiva
dell'interprete all'evento mediato. Partendo dalla metafora meccanicistica dell'interprete
come canale comunicativo strumentale alla comunicazione interlinguistica ma invisibile
dal punto di vista interazionale, abbiamo poi raccolto i risultati emersi dalle analisi di
alcuni fra i maggiori studiosi di questo campo evidenziando quanto il ruolo
dell'interprete sia visibile, presente, condizionante, attivo e decisivo nel contesto
interazionale. L'interprete presente come persona, come partecipante a tutti gli effetti,
nella pratica gode di uno status interazionale estremamente potente, seppur in modo
implicito e a volte inconsapevole. L'interpretazione di comunit sulla quale si focalizza
il presente lavoro, si svolge in un contesto comunicativo molto interessante dal punto di
vista del ruolo detenuto dall'interprete; il contesto istituzionale di riferimento (il
tribunale, l'ospedale, l'ufficio immigrazione ecc.) presenta infatti alcune peculiarit
rispetto all'asimmetria dei ruoli conversazionali e allo schema interazionale che viene
a crearsi. Barlett (1982)9 propone il termine schemata per descrivere l'insieme di
conoscenze ed esperienze che l'individuo immagazzina all'interno di strutture mentali le
quali determinano le sue aspettative, il suo modo di concepire i ruoli, le responsabilit e
9
49
CAPITOLO 3
L'INTERPRETE E LA GESTIONE DELLO SCAMBIO INTERAZIONALE
50
3.1
In primo luogo, il parlato una delle due strategie duso della lingua (Bernardelli /
Pellerey 1999:54) insieme alla modalit scritta. Poich la lingua scritta e la lingua
parlata vengono impiegate in contesti comunicativi diversi, queste due modalit
presentano differenze notevoli. Da una parte, il testo scritto che si fonda su un progetto
e su una elaborazione pi accurati, dallaltra, il testo parlato che viene pianificato nel
momento stesso dellenunciazione e che, di conseguenza, ricco di pause, segnali
discorsivi, riformulazioni, esitazioni e ripetizioni. Carla Bazzanella (1994:14) individua
tre macro-tratti situazionali che caratterizzano il parlato canonico:
1.
il mezzo fonico-acustico;
2.
3.
Nel caso dell'evento mediato, la coincidenza fra tempo di codifica e tempo di ricezione sar
valida per gli scambi monolingui fra partecipante primario e interprete.
51
Ahlberg, N., (2000) No five fingers are alike. What exiled Kordish women in therapy told me,
Oslo, Solum. Citato in Garzone/Rudvin 2003:175.
52
scrive Wadensj
(1998:235): primary interlocutors may sometimes utlize the pauses- when the
interlocutor talks in the unknown language- to reflect upon how to act next. Gli
interlocutori primari, a differenza di quanto accade nella conversazione canonica, non
sono costretti a seguire il ritmo d'enunciazione l'uno dell'altro, ma devono adeguarsi al
ritmo d'enunciazione del loro interlocutore diretto che l'interprete; come si dir in
seguito, anche la possibilit di feedback modificata, e a volte, compromessa, dalla
partecipazione dell'interprete. Proseguendo con l'analisi del parlato dialogico;
Bazzanella (1994:21-7) associa ai macro-tratti situazionali i corrispettivi linguistici, qui
di seguito riassunti. Al mezzo fonico-acustico corrispondono: frammentariet della
costruzione del discorso; stile nominale; dislocazioni e topicalizzazioni, frasi scisse;
ellissi e brachilogie; prevalenza di paratassi sullipotassi12; cambiamenti di
pianificazione autoindotti, anacoluti; bassa coesione testuale; esitazioni, pause; uso di
connettivi semantici polivalenti; lessico generico; ripetizioni; segnali discorsivi. Al
contesto extra-linguistico comune corrispondono: autocorrezioni; parafrasi; particelle
modali o hedges; tendenza alla ridondanza e ampio uso di deittici. Infine, i corrispettivi
linguistici del terzo macro-tratto situazionale (compresenza di parlante e interlocutore/i)
sono: la deissi (in genere), uso frequente di fatismi; ampio uso di strategie di cortesia;
forte presenza di pronomi di prima persona; cambiamenti di pianificazione indotti
dallesterno; discorsi simultanei ed interruzioni; segnali discorsivi di conferma o di
disconferma; maggior livello di implicitezza. Nel caso della comunicazione dialogica
mediata, sono soprattutto i corrispettivi linguistici associati al primo macro-tratto (il
mezzo fonico-acustico) a presentare delle discordanze: il turno prodotto dall'interprete
risulta essere infatti pi pulito rispetto all'originale, proprio perch ne costituisce una
12
53
13
54
3.2
Esistono diversi modelli teorici per affrontare lo studio della conversazione, questi si
possono distinguere in due tipi principali: lanalisi del discorso e lanalisi della
conversazione. Lapproccio cui si far riferimento in questo lavoro il secondo.
Entrambe le analisi mirano a fornire una spiegazione del modo in cui avviene la
produzione e la comprensione del discorso, tuttavia differiscono nei metodi adottati che,
in gran parte, secondo alcuni autori, risulterebbero incompatibili. Come scrive infatti
Levinson, le procedure utilizzate dallanalisi del discorso (AD) sarebbero:
a)
b)
doveroso, per, precisare che la descrizione che Levinson d dellAD non condivisa
unanimemente, anzi, si tratta di una posizione alquanto controversa; Brown e Yule,
analisti del discorso, si dissociano, infatti, da un metodo analitico che escluda
aprioristicamente frasi male strutturate e attribuiscono questo modo di procedere alla
55
56
16
Levinson, in merito al modello conversazionalista, scrive: si presta poca attenzione alla natura
del contesto cos come potrebbe essere concepito teoricamente in sociolinguistica o nella psicologia
sociale (ad esempio, se i partecipanti siano amici o lontani conoscenti, se appartengano ad un certo
gruppo sociale, se il contesto sia formale o informale, ecc.) [] limportanza di questi fattori non
negata a priori: semplicemente, non presunta. Se possibile dimostrare in modo rigoroso che i
partecipanti utilizzano queste categorie nella produzione di una conversazione, allora possiamo sostenere
che rivestano un interesse per lAC. (Levinson 1985:299)
17
Per competence Chomsky intende la consapevolezza interiorizzata che ogni parlante ha della
propria lingua. Actual speech behaviour, speech performance, for him (Chomsky) is only the top of a
large iceberg of linguistic competence distorted in its shape by many factors irrelevant to linguistics. La
citazione tratta da: J. R. Searle (1972). Chomskys revolution in linguistics. The New York Review of
Books. June, 29 (1972), pp. 60-1.
57
I primi analisti della conversazione sono quindi i partecipanti stessi che, una volta
identificata la strategia dellinterlocutore, sono in grado di coordinarsi a questa e di
continuare congiuntamente lo sviluppo dellinterazione. Le conversazioni, anche quelle
pi informali, sono altamente strutturate e in modo niente affatto casuale: le regole di
interazione (es. distanza fisica tra i soggetti, volume di voce, turni di parola, frasi
standard che aprono e chiudono la conversazione) sono numerose e le persone vi
aderiscono senza accorgersene. Gli etnometodologi osservano e classificano il
comportamento esterno (cio che pu essere osservato direttamente) e inferiscono
lesistenza delle regole che causano le regolarit comportamentali, nel contesto di
ciascuna situazione specifica. La scelta del metodo da adottare rappresenta un tema
alquanto dibattuto, gli analisti del discorso possono accusare i teorici dellAC di essere
poco chiari nelluso delle categorie concettuali e di non prestare la necessaria attenzione
ai fattori contestuali dell'interazione; daltra parte, questi ultimi possono opporre ai
teorici dellAD (cos come connotati da Levinson) il pericolo che uneccessiva
preoccupazione per la costruzione di teorie aprioristiche porti a sottostimare i dati
empirici; il dibattito rimane aperto. Cynthia Roy nel suo libro Interpreting as discourse
process (2000:9-10) afferma:
discourse is language as it is actually uttered by people engaged in social interaction to accomplish a goal.
My use of the concept is that developed in linguistics where a central goal of most discourse approches is
to discover and demonstrate how participants in a conversation make sense of what is going on within the
social and cultural context of face-to-face interaction.
3.3
58
7)
Ora, com possibile che al verificarsi della seconda caratteristica venga mantenuta la
prima?
The question is, then, how does it happen that when somebody stops - though the notion stop is clearly
a very problematic kind of notion- somebody starts up. And only one starts up. That is to say, on the one
hand, people dont start up talking just anywhere in that talk of others. And on the other, if conversations
take place with more than two people present, then theres a question as to how it could happen that at
each given point somebody stops and somebody starts up, only one starts up. (Sacks 1992:32)
59
Garzone (2003:72) osserva che, durante l'interazione mediata, tali divergenze culturali
possono emergere in maniera problematica, in questo caso, compito dell'interprete
professionista riuscire a supplire a queste differenze attraverso la gestione del sistema
turnazionale.
Nella conversazione si pu individuare una classe di luoghi nei quali le due
caratteristiche di fondo descritte da Sacks (1992) risultano particolarmente
problematiche. Questi luoghi sono detti punti di transizione o punti di rilevanza
transizionale (PRT), definiti in termini sintattici e intonativi19. Nel PRT intervengono le
regole per il passaggio del turno da un parlante allaltro, questo non significa per che in
quel punto il parlante debba necessariamente cambiare, ma solo che tale passaggio pu
verificarsi. Il cambio ordinato del turno visto come gestito attivamente dai partecipanti
che collaborano a costruire unit di discorso al termine delle quali appropriato il
cambio. Sacks et alii20 (cit. in Zorzi 1990:15) distinguono due parti: la componente
costitutiva del turno e la componente allocativa. Le unit sulle quali opera il sistema
turnazionale sono determinate da vari tratti della struttura linguistica superficiale: sono
unit sintattiche (frasi, proposizioni, sintagmi nominali, ecc.) parzialmente identificate
come unit di turno da strumenti prosodici e, soprattutto, intonazionali (Levinson
1985:301). Una volta che il parlante di turno inizia il proprio intervento dovrebbe essere
possibile per lascoltatore prevedere quali unit il parlante ha intenzione di utilizzare
19
Allinterno di un discorso pi largo, che comprende tutto il comportamento del parlante (e non
solo quello verbale), Duncan (1973:37) ha identificato sei elementi che funzionano come segnali indicanti
la fine del turno in atto : intonazione discendente; allungamento della sillaba finale; termine dei gesti delle
mani; sequenze sociocentriche, tipo but uh, or something, you know; diminuzione del volume della voce
in concomitanza delle sequenze sociocentriche; completamento dellunit sintattica. (Zorzi 1990:56) [S.
Duncan (1973). Some signals and rules for taking speaker turns in conversations, in non-verbal
communication. New York, Oxford University Press.]
20
Herbert Sacks / Emanuel A. Schegloff / Gail Jefferson (1974). A simplest systematics for the
organization of turn-taking in conversation. Language, 50, 4, pp. 696-735.
60
cos da capire quando lespressione completa. In altre parole, sembra che il parlante,
fin dalle prime parole, possa far comprendere allascoltatore con quale unit sintattica
si accinge a formare il proprio turno. Al punto di completamento, PRT, possibile il
passaggio della parola secondo le seguenti regole (Sacks et alii 1974 cit. in Levinson
1985:302) in cui P la persona che detiene il turno e S il parlante successivo:
Regola 1: si applica inizialmente al primo PRT di ogni turno
a)
Se P seleziona S nel corso del suo turno, deve smettere di parlare e far proseguire S; il passaggio
avviene al primo PRT dopo la selezione di S;
b)
c)
In merito all'interazione mediata, balza immediatamente all'occhio che tali regole per il
passaggio del turno risultano in parte sospese; data la barriera linguistica che divide i
partecipanti primari; questi ultimi per comunicare devono ricorrere all'interprete, quindi,
nonostante l'enunciato originale sia rivolto al co-interlocutore primario selezionato, sar
in ogni caso l'interprete a detenere il turno di parola successivo per rendere il messaggio
dalla lingua1 alla lingua2; in altre parole, l'interprete che si occupa della gestione e
della allocazione dei turni conversazionali. Inoltre, si pu affermare che, almeno in linea
teorica, l'individuazione del PRT palesata dal fatto che i partecipanti primari
segmentano
il
proprio
intervento
per
consentirne
l'interpretazione.
Questa
21
Data la flessibilit delle unit sintattiche costitutive dei turni e i modi di proseguire consentiti
dalla regola (1c), non ci sono limiti rigidi per lestensione temporale del turno. (Levinson 1985:303)
61
the non-standard dependence on a mediator's understanding, or, seen from the point of view of
the person in the middle;
Il fatto che ogni turno, almeno in linea di principio, sia seguito dal turno di
interpretazione, pone l'interprete al centro dell'intero sistema di alternanza dei turni e
limita lo spazio interazionale di ogni partecipante; chi parla, infatti, non pu occupare
uno spazio interazionale a propria discrezione, ma deve tener conto della capacit
mnemonica dell'interprete che, ovviamente, non illimitata. Come nota Wadensj
(Ibid.), a volte pu accadere che la segmentazione del messaggio in pi parti
inframezzate dai turni di interpretazione possa compromettere la coesione del
messaggio; inoltre, al termine del turno prodotto dall'interprete, l'altro partecipante
primario potrebbe auto-selezionarsi e assumere il controllo dell'interazione anche se il
62
Il turno regolare cos chiamato proprio perch costituisce un passaggio che avviene
con facilit e naturalezza; diverso il caso dei turni che nascono intorno a pause, ritardi
o silenzi. Un particolare tipo di silenzio, tipico della conversazione mediata, il silenzio
che si produce mentre i partecipanti ascoltano (o guardano nel caso della lingua dei
segni) il turno di interpretazione. Il grado di tolleranza rispetto alla lunghezza di una
63
Un altro tipo di turno, poi, quello iniziato dall'interprete. Nella gestione del sistema
turnazionale l'interprete si occupa dell'allocazione del turno di parola ai partecipanti
primari e questo costituisce l'intervento principale dell'interprete nel sistema di
alternanza dei turni. Ci sono per altri esempi in cui il turno nasce dall'iniziativa
dell'interprete: il primo il turno offerto dall'interprete ad un partecipante che ha
segnalato il proprio desiderio di dire qualcosa, un particolare interessante che per
64
offrire un turno l'interprete deve a sua volta occuparne uno, segno della complessit del
sistema interazionale. L'interprete, inoltre, pu anche prendere il turno per sollecitare o
favorire l'intervento di uno dei partecipanti; Roy (2000) esaminando la registrazione
dell'evento mediato, osserva che ad un certo momento la comunicazione arriva ad un
punto di stallo e l'interprete esorta lo studente a dire qualcosa attraverso un semplice
gesto (l'interprete apre la mano e si sporge lievemente in avanti guardando il ragazzo).
Con questo gesto, cio attraverso il comportamento non verbale, l'interprete influenza
sia la direzione che il risultato dell'evento comunicativo; d'altra parte, lo studente
riconosce l'indizio paralinguistico dell'interprete ed inizia a parlare. In questo caso: the
interpreter takes a self-motivated turn and influences the outcome of the interaction ()
he has assisted the student in behaving appropriately during this interaction (Roy
2000:98). Ancora una volta, l'interprete emerge come figura di primo piano, non solo
come tecnico della lingua, ma anche come gestore/direttore della comunicazione
stessa. Infine, un ulteriore tipo di turno ricorrente durante lo scambio conversazionale
il turno sovrapposto. A questo proposito, bene fare una distinzione preliminare fra
sovrapposizione ed interruzione: la prima descrive un momento nel quale due o pi
partecipanti parlano contemporaneamente; la seconda riguarda invece la percezione dei
partecipanti rispetto ai diritti e doveri conversazionali di ogni individuo (determinata
dalla lunghezza, dall'effetto e dal punto in cui si interrompe), la sovrapposizione, quindi,
non necessariamente considerata interruzione. A quest'ultimo tipo di turno, data la sua
frequenza e ricchezza di sfumature, nonch risvolti interazionali, dedicheremo la
prossima sezione.
3.4
Le interruzioni
65
ritenute devianti dal normale andamento della conversazione, sono cio considerate
eccezioni, eventi unitari, errori casuali dei parlanti; al contrario, la regolarit con la
quale tali deviazioni si manifestano permette di riconoscerle come strategie
conversazionali che i parlanti utilizzano per il conseguimento di determinati effetti
comunicativi. Questi intoppi della comunicazione costituiscono una fonte di verifica
delle strategie seguite, cio implicitamente riconosciute dai parlanti, perch si
presentano quando lorganizzazione ipotizzata non opera nel modo previsto. Si crea
quindi un problema che i partecipanti devono risolvere o ponendovi un rimedio o
traendo forti inferenze dallassenza del comportamento atteso. In questo modo le regole
della conversazione vengono ribadite e rafforzate, in alcuni casi linfrazione di una
regola viene marcata con un intervento del tipo: Sto parlando io! Lasciami finire! che
ne palesa lesistenza.
Definire cosa intendiamo con il termine interruzione non affatto semplice
contrariamente alla familiarit che il parlante comune percepisce nel suo utilizzo.
Studiosi di diverse aree hanno tentato in vari modi di precisare la natura concettuale di
questa parola; Zorzi raggruppa i molteplici punti di vista in due macro-categorie: gli
approcci psicologici e gli approcci descrittivi. I primi provengono dallambito della
psicologia sociale e, per quanto eterogenei, possono essere accomunati per due aspetti:
non affrontano il problema definitorio delle interruzioni, usando perlopi il termine nellaccezione
comune, con il rischio - ovvio- di mescolare fenomeni diversi; collegano le interruzioni a un certo numero
di variabili sociali e individuali (sesso, ruolo sociale, intelligenza, caratteristiche della personalit, ecc.)
con particolare attenzione al rapporto interruzioni/potere. [] Un limite dellapproccio, per quanto
interessante, lindefinitezza di categorie concettuali quali intelligenza, loquacit, aggressivit, fiducia in
se stessi, ecc., inoltre questo approccio non aiuta a distinguere n i vari tipi di parlato simultaneo, n tanto
meno, a collegarli ad altri aspetti dello scambio verbale22. (Zorzi 1990:85)
il tempo;
22
Zorzi (1990:85) riporta alcuni risultati: gli uomini interrompono pi delle donne; le donne pi
sicure di s interrompono quelle meno sicure; la frequenza delle interruzioni inversamente
proporzionale allansiet sociale e direttamente proporzionale alla disponibilit e alla loquacit
dellinterlocutore.
66
b)
c)
23
Questo studio stato condotto da Zimmerman e West nel 1975 (cit. in Zorzi 1990:85). Per un
approfondimento si veda: D. Zimmerman / C. West (1975). Sex role, interruptions and silence in
conversation. In B. Thorne / N. Henley (eds.). Language and sex. Rowley MA, Newbury House, pp. 29105.
24
E. Schegloff (1978). On some questions and ambiguities in conversation. In W. U. Dressler
(ed.). Current trend in textlinguistics. Berlino, De Gruyter, pp. 81-102.
67
68
Per quanto concerne, poi, le interruzioni prodotte dai partecipanti primari nel corso dello
scambio interazionale, utilizziamo la classificazione proposta da Bazzanella (1994:175181) la quale prende in considerazione tre variabili:
- il discorso simultaneo (DS);
- il completamento dellenunciato da parte del primo parlante (CE);
- lottenimento del cambio di turno da parte di chi interrompe (CT).
Dallincrocio di queste variabili Bazzanella (1994) individua cos vari tipi di
interruzione:
69
prende il turno senza che il parlante di turno abbia terminato il suo enunciato (perch si
trova in un momento di difficolt, o nella pianificazione del discorso, o nella ricerca di
un termine che gli sfugge), approfittando cos del silenzio altrui (sovente anche per
supportarlo).
abbastanza
naturale
che
questo
voglia
rispondere
pi
parlanti
contemporaneamente;
come
abbiamo
detto
la
70
continuare. Se l'interprete blocca entrambi, o l'interprete indica chi dei due pu prendere
la parola, oppure uno dei due seleziona il parlante successivo.
2)
4)
inoltre
l'importanza
dei
cosiddetti
segnali
di
contestualizzazione
71
Rispetto alla conversazione spontanea che prevede parit di diritti dintervento per i
partecipanti, l'evento mediato nell'ambito dei servizi pubblici presenta l'asimmetria dei
ruoli posizionali e la presenza dell'interprete come terzo partecipante il cui status
interazionale pu essere giudicato inferiore agli occhi dei co-interlocutori ma, alla luce
di quanto detto finora, si pu affermare che certamente diverso rispetto a quello dei
partecipanti primari e, per molti versi, superiore in quanto alla gestione dell'evento
stesso. In particolare, si visto come il sistema turnazionale della comunicazione
mediata presenti delle peculiarit in merito all'allocazione e all'alternanza dei turni di
parola. Nella conversazione quotidiana, la presa del turno unattivit competitiva nella
quale ogni partecipante potenzialmente coinvolto:
a)
b)
c)
di
72
interruzioni
competitive
sono:
linterruzione
semplice,
la
sovrapposizione,
1.
tipi di interruzione classificati sotto una categoria possono assumere il valore funzionale
opposto in determinate situazioni;
2.
Una volta superata questa dicotomia, Bazzanella suggerisce che i vari tipi di
interruzione possano essere identificati attraverso la co-occorrenza di parametri
acontestuali od oggettivi, e di variabili contestuali; i primi sono indipendenti dal
contesto situazionale, mentre i secondi sono strettamente collegati al contesto
particolare:
riassuntivamente consideriamo parametri oggettivi i seguenti: tono alto e/o volume alto, durata della
sovrapposizione, insistenza e persistenza, vicinanza di PRT, presenza o assenza di modalizzatori, accordo
o disaccordo preposizionale, cambio di topic, passaggio del turno ad un terzo partecipante
conversazionale. Consideriamo parametri contestuali: i rapporti di status, gli stili individuali e le abitudini
culturali, lo scopo socialmente costituito e riconosciuto, lurgenza psicologica, la causa di forza
maggiore. (Bazzanella 1994:193)
Fra i parametri contestuali rientrano, oltre ai rapporti di status di cui abbiamo gi fatto
menzione, gli stili individuali e le abitudini culturali; lo studio degli stili individuali
appartiene alla macro-categoria degli approcci psicologici in quanto si concentra su
aspetti soggettivi, quali sono le caratteristiche della personalit, difficilmente
inquadrabili in analisi sistematiche; tuttavia innegabile che a livello individuale ci
possa essere una corrispondenza fra il tipo di personalit e la maggiore o minore
tendenza ad interrompere. Anche per quanto concerne le abitudini culturali si individua
una certa correlazione fra stereotipi comportamentali di una popolazione rispetto al
modo e alla frequenza con le quali gli individui della stessa trattano le interruzioni; il
25
Lottenimento del turno da parte di chi interrompe , infatti, il vero elemento discriminante in
questo tipo di classificazione polare.
73
brano che segue pone a confronto la cultura italiana e quella anglosassone dal punto di
vista del comportamento interazionale:
First impressions suggested a sharp contrast between the quieter (surface) manners of English meetings
and the Italian meetings. In all of the recorded Italian interactions the tone of the voice was often loud, the
pace faster, and the apparent lack of concern for turn-taking practices was sometimes disconcerting,
particularly to Anglo-Saxon ear. [...] Non-native observers may be baffled by the frequency of what we
have defined previously as overlaps. Recent work on intercultural negotiation seems to confirm that the
Italians take the floor through successful interruptions at least twice as frequently as their Dutch
counterparts. (Bargiela Chiappini / Harris 1997:69-224)
26
Le variabili culturali che possono contribuire a differenziare latteggiamento dei partecipanti alla
conversazione sono numerose; la dicotomia: Deal-focus vs. Relationship-focus una di queste; ci sono
cio culture che attribuiscono maggior importanza allinstaurarsi di buone relazioni sociali fra i
partecipanti, mentre per altre culture pi rilevante la conclusione degli affari anche a scapito dei rapporti
interpersonali.
27
S. Ervin-Tripp (1987). Cross cultural and developmental sources of pragmatic generalization.
In J. Verschueren / M. Bertucelli Papi. (eds.). The pragmatic perspective. Amsterdam, Benjamins, pp. 4760.
74
richiesta e la risposta stessa), ci spiega perch le interruzioni sono pi numerose in italiano28. (Zorzi
1990:105)
28
75
alto coinvolgimento. Per i partecipanti che adottano questo stile, la sovrapposizione non solo ben
vista, ma anche cercata (al contrario del silenzio o delle pause fra i turni che sono accuratamente evitate
come antisociali). (Tannen 1984:3029 cit. in Zorzi 1990:91)
3.5
I segnali discorsivi
Ai fini della nostra analisi, vogliamo comprendere in che misura l'evento mediato, e
quindi l'azione dell'interprete, comporti delle differenze rispetto alla comune
conversazione spontanea; i segnali discorsivi costituiscono unimportante risorsa
interazionale a disposizione dei partecipanti, in quanto indicano lintenzione di chi parla
rispetto al turno di parola. Attraverso luso di certi segnali discorsivi, infatti, il parlante
pu manifestare lintenzione di prendere, mantenere oppure cedere il turno, cosicch gli
altri partecipanti sappiano quando possibile intervenire nel rispetto delle regole
conversazionali. Secondo la definizione proposta da Bazzanella (2001):
I segnali discorsivi sono quegli elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario,
assumono dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere
elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dellenunciato in una dimensione
interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione. (Bazzanella 2001:225)
Tannen, D. (1984) Conversational style: analyzing talk among friends, Norwood (N. J.) : Ablex
76
devices which provide contextual coordinates for ongoing talk. (Schiffrin 1987:31-41)
Linsieme dei segnali discorsivi forma appunto una classe funzionale, cio raggruppa
elementi alquanto eterogenei dal punto di vista delle classi grammaticali di
appartenenza, accomunati per dalla funzione che svolgono:
Possono fungere da segnali discorsivi: operatori di coordinazione (es. e, ma), operatori di coordinazione
avverbiale (es. cio), avverbi frasali (es. praticamente), interiezioni (es. eh?), sintagmi verbali (es.
guarda), sintagmi preposizionali (es. in qualche modo), ed espressioni frasali (es. come dire). (Bazzanella
2001:225)
30
77
reporter. (Ibid.)
Oltre a produrre un effetto di maggior espressivit e aderenza al parlato, i markers che
troviamo in apertura di DD sono uno dei segnali tangibili che si sta introducendo un
discorso diretto e, solitamente, si giustappongono alle cosiddette cornici, che sono:le
parti introduttive con verbo di dire (o equivalenti contestuali come fare) (Calaresu
2004:18). La presenza o assenza dei segnali discorsivi allinterno dellenunciato non ha
alcuna ripercussione sul contenuto semantico di questultimo; la non incidenza di questi
elementi linguistici sul contenuto proposizionale data da propriet sintattiche quali:
linterrogabilit, la sostituzione tramite pro-forme, leliminabilit e la negazione. La
prima e la seconda propriet riguardano rispettivamente limpossibilit di formulare
domande che abbiano come risposta segnali discorsivi e limpossibilit di sostituzione
tramite pro-forme; la terza propriet si riferisce alla possibilit di cancellazione dei
segnali discorsivi senza che ci alteri il contenuto semantico del discorso; la quarta
propriet, infine, indica limpossibilit di negazione dei segnali discorsivi, grazie anche
alla loro frequente parenteticit che li mantiene esterni al contenuto proposizionale
(Bazzanella 2001:230). Queste caratteristiche costituiscono il motivo principale della
frequente omissione di tali particelle all'interno del turno formulato dall'interprete;
nonostante l'interprete sia tenuto a riportare l'enunciato originale nella sua totalit e
completezza parlando in prima persona come a simulare una conversazione
monolingue, generalmente i segnali discorsivi vengono eliminati nella versione
interpretata. Se i segnali discorsivi sono cos ricorrenti negli enunciati dei parlanti
primari perch assolvono ad una molteplicit di funzioni interazionali, anche se i
parlanti ne sono inconsapevoli, che permettono loro di gestire il sistema turnazionale ed
esprimere la propria posizione in merito allo scambio comunicativo.
I segnali discorsivi con funzione interattiva utilizzati dal parlante di turno possono
essere finalizzati a:
- prendere il turno, il partecipante manifesta la propria intenzione di prendere la parola;
- mantenere il turno: questa funzione svolta dai cosiddetti riempitivi, ossia da segnali
discorsivi (diciamo, praticamente, come posso dire, non so, per cos dire) utilizzati per
riempire spazi che, data la difficolt di pianificazione da parte del parlante, rimarrebbero
vuoti e potrebbero essere interpretati dallinterlocutore come PRT, inducendolo quindi a
prendere la parola. Spesso questi segnali discorsivi sono accompagnati da pause piene
78
(e_, ehm, mm), da pause vuote (silenzi), dallallungamento della vocale precedente e da
indicatori di correzione (cio)
- richiedere lattenzione: delle forme imperative alla II pers. sing. o pl. (o alla III sing. o
pl., o alla II pl. come forme di distanza) vengono usate per richiamare e mantenere
lattenzione. [] il caso di: senti/a; senti un po, mi segui/e?, di/dimmi/dica, ehi,
guarda/guardi/guardate, vedi/vede/veda. (Bazzanella 2001:235) In inglese troviamo due
segnali discorsivi ricorrenti nel richiamare/mantenere lattenzione dellinterlocutore,
yknow e I mean: yknow gains attention from the hearer to open an interactive focus
on speaker-provided information and I mean mantains attention on the speaker. [] I
mean displays speaker orientation, and as a byproduct it invites hearers attention;
yknow invites hearer attention and thus directly invites hearer assessment; as a
byproduct, yknow displays speaker orientation (Schiffrin 1987:267-310).
- controllare la ricezione. I segnali discorsivi di controllo della ricezione sono utilizzati
dal parlante per accertarsi della corretta ricezione dellenunciato da parte
dellinterlocutore. I segnali pi comuni sono: eh?, capisci?, capito?Uno dei segnali
discorsivi deputati , in inglese, al controllo della ricezione da parte di chi parla , ancora
una volta, yknow, come spiega Schiffrin, infatti: Yknow allows a speaker to check on
how the discourse is creating an interactional progression away from an initially
asymmetric distribution: is knowledge now more equitably devided? Is opinion now
shared? (Schiffrin 1987:279).
- richiedere accordo e/o conferma. Qui troviamo segnali discorsivi come: no?, vero?,
non vero?, eh?, non cos?, giusto?. Tali elementi discorsivi si trovano in posizione
finale ed hanno intonazione interrogativa. Questi segnali discorsivi di richiesta
daccordo e/o conferma possono allo stesso tempo svolgere unaltra funzione
interazionale, ossia, cedere il turno. In questi casi, data la presenza di un segnale
apposito, il passaggio del turno rimarcato e i partecipanti sono cos avvisati
dellimminente transizione del turno di parola. In inglese, il segnale discorsivo
maggiormente utilizzato per indicare la disponibilit del parlante a cedere il turno
so. Come osserva Schiffrin (1987:218): in contrast to and which marks a speakers
continued turn so is a turn-transition device which marks a speakers readiness to
relinquish a turn. Since so is a turn-transition device, it should not be surprising to find
it followed by explicit turn-transition phrases if a next speaker does not avail
79
him/herself of the opened turn space. Such phrases explicitely open a participation slot
to a hearer. i.e. Jack: Were considering the...more or less: the oppressors. So eh...take it
from there.
Il fatto che durante l'evento mediato questi segnali discorsivi siano spesso omessi nella
versione interpretata si deve proprio alla natura mediata dell'evento; i vari riempitivi
legati alla pianificazione in tempo reale, per esempio, perdono la loro valenza nel turno
di ricodificazione dell'interprete (che costituisce una seconda versione dell'originale); gli
eventuali riempitivi, false, partenze o esitazioni, quando presenti nel turno di
interpretazione, sono da attribuire all'interprete stesso e non al parlante primario. Cos
anche i segnali discorsivi finalizzati a verificare l'attenzione e la comprensione
dell'interlocutore vedono in parte alterata la propria funzione dalla mediazione
dell'interprete
il
quale,
come
abbiamo
detto,
il
principale
regolatore
esprimere accordo e/o conferma (s, esatto, certo, vero, infatti, assolutamente,
benissimo) o accordo parziale, se non perplessit (beh/be', mah, insomma)
80
Secondo Wadensj (1998), cio, offrire una traduzione letterale dei back-channels
prodotti dai parlanti, da una parte permetterebbe all'interprete di aderire ai precetti dei
codici di deontologia professionale per i quali si deve tradurre tutto ci che viene
proferito dai partecipanti primari; d'altra parte, per, una traduzione letterale
sminuirebbe l'unicit dell'interprete all'interno dell'interazione dal momento che
interpretare questi elementi discorsivi rischierebbe di far risultare superflua
l'interpretazione stessa:
In interpreter-mediated encounters, a kind of joyful relief can sometimes be observed when primary
parties suddenly find themselves understanding one onother directly, and they can laugh at the interpreter
being excessively helpful. (Wadensj 1998:122)
she agrees al posto di enunciati del tipo: oh yes, that' nice, clear etc.) (Ibid.).
Dato che l'elaborazione di tali enunciati rende ancora pi complesso il compito
dell'interprete, ragionevole presupporre che nella maggior parte dei casi quest'ultimo
si astenga in partenza dal fornire una traduzione e che tali porzioni di enunciato siano
rese attraverso una zero rendition (Wadensj 1998), ovvero, non siano tradotte affatto:
thus, these utterances pose a problem of mediatibilty for M (mediator), which does not
arise from the structures of the languages involved, but from the very structure of
mediator discourse (Knapp et alii.1987:194). Come spiegano
generalmente questi tipi di enunciato
82
CAPITOLO 4
L'interprete in ambito medico
83
censimento del 2000 dal quale risulta che negli Stati Uniti circa 21 milioni di persone
hanno una limitata padronanza della lingua inglese; tale risultato equivale ad una
notevole variet etnica e linguistica che rende certamente impegnativo il compito di
fornire un'adeguata assistenza socio-sanitaria ai pazienti che possiedono una conoscenza
limitata dell'inglese.
Come scrive Angelelli (2004:19),
the most important communication skills for an HCP (healthcare provider) in cross-cultural setting are
those that assist in patient assessment and elicitation skills to understand the patient's perspective of
symptoms and explanatory health-beliefs models.
Per esempio, pazienti che provengono da ambienti culturali diversi mostrano diverse
attitudini circa il modo di ascoltare le notizie, soprattutto le brutte notizie; per alcune
culture il semplice proferimento di cattive notizie pu venire associato a conseguenze
infauste. La maggior parte dei pazienti preferisce ricevere tutte le informazioni
disponibili sul proprio stato di salute e sulle possibili opzioni terapeutiche. Per i medici,
d'altro canto, pu rivelarsi estremamente importante la consapevolezza che pazienti di
culture diverse possono differire nelle preferenze che riguardano il modo di ricevere
l'annuncio di un referto negativo. Anche i pazienti che sono interessati ad una
informazione specifica, per esempio nel caso di una prognosi, potrebbero astenersi dal
fare qualsiasi domanda ai medici; questi ultimi, secondo un'ottica multi-culturale, non
dovrebbero interpretare il silenzio del paziente al quale stato chiesto di esporre
eventuali dubbi come equivalente all'assenza di dubbi o domande da rivolgere loro;
spesso, infatti, la non verbalizzazione di una domanda nasconde al contrario l'interesse
verso la risposta. Alcuni temi particolarmente delicati e sensibili, inoltre, possono
divenire veri e propri tab per alcune culture; in Italia, per esempio, tipico soprattutto
fra i pi anziani evitare la parola tumore e sostituirla con locuzioni pi vaghe che ne
possano mitigare l'impatto, l'espressione pi ricorrente in questo caso brutto male.
Gli interpreti specializzati ad operare in ambito socio-sanitario e chiamati ad assistere i
pazienti delle minoranze etno-linguistiche pi deboli, non solo dovrebbero essere
consapevoli di atteggiamenti determinati culturalmente, ma dovrebbero anche essere
mediatori competenti nel gestire eventuali divari interculturali. Dallo studio di Angelelli
emerso che i pazienti delle culture minoritarie, specialmente quando non
padroneggiano l'inglese, pi raramente ricevono risposte empatiche dai medici,
84
85
reciprocit non verbale fra i due partecipanti primari, rendendo cos l'incontro meno
personale e diminuendo il senso di legame fra i due; questo accade soprattutto quando
gli operatori della struttura ospedaliera o socio-sanitaria non sanno come comportarsi
durante l'evento mediato e non sanno come utilizzare l'interprete. Secondo Angelelli,
la presenza di una terza persona pu influenzare negativamente la relazione che si
instaura fra medico e paziente a causa di un ridotto senso di privacy e intimit fra i due,
anche nel caso in cui l'interprete e il medico abbiano ricevuto un'ottima formazione
preventiva in merito alle dinamiche dell'evento mediato. Alcune ricerche condotte in
questo ambito nell'arco degli ultimi vent'anni mostrano che i pazienti che comunicano
attraverso un interprete hanno pi difficolt a conoscere la propria diagnosi e con una
frequenza significativa esprimono una certa insoddisfazione verso l'esito dell'incontro
ritenendo che il medico avrebbe potuto spiegarsi meglio; d'altra parte, i pazienti che
comunicano direttamente con gli operatori esprimono un maggior grado di
soddisfazione cos che, in definitiva, possiamo considerare la comunicazione mediata
come un'arma a doppio taglio:
When used improperly, it can pose a barrier to establishing a therapeutic patient-provider relationship.
However, adequate communication brokered through an interpreter can facilitate the exchange of
information between HCP (healthcare provider) and patient, and have a profoundly positive impact on the
wellbeing of the patient (Angelelli 2004:25).
86
legame di tipo emotivo fra i due partecipanti primari; sostegno, empatia, interesse e
legittimazione da parte del medico, cos come domande mirate e puntuali, sono tutti
elementi importanti nella costruzione del rapporto interpersonale col paziente che, in tal
modo, si sente ascoltato e capito.
A questo punto, interessante indagare gli effetti che
la presenza dell'interprete
provoca sulle dinamiche di questo rapporto triadico. Gli eventi mediati al California
Hope (pseudonimo che Angelelli utilizza per riferirsi all'ospedale nel quale ha svolto la
sua ricerca) coprono una serie di attivit: concordare o cancellare un appuntamento;
dare notizie o consegnare referti; condurre un una visita orale (per le patologie del
linguaggio); condurre una visita medica di controllo; condurre una procedura (es. TAC);
e telefonare per ricordare un appuntamento. In queste attivit, pu presentarsi ognuna
delle seguenti funzioni: lamentarsi, rimproverare, spiegare, manifestare sostegno,
giustificare/si, domandare e rispondere, esprimere solidariet, dare istruzioni, informare
e ricordare.
Siccome solo una piccola percentuale pari al 4% dei casi studiati dall'autrice ha
confermato la teoria dell'invisibilit dell'interprete, la conclusione che ne deriva che la
visibilit dell'interprete pu essere pi legata e dipendente dal contesto situazionale che
al tipo di interazione. La presenza di altri ascoltatori ha un impatto significativo
sull'interazione; a differenza dell'interpretazione di tribunale e di conferenza che sono
pubbliche di natura, l'interpretazione in contesto medico si svolge generalmente in un
luogo privato (ad eccezione dello staff medico presente); questo contesto intimo,
tuttavia, pu offrire all'interprete pi occasioni di visibilit. Come ogni altro evento
comunicativo, anche l'evento mediato caratterizzato dalla struttura tripartita: apertura,
corpo centrale e chiusura. Come ogni consulto medico monolingue, anche l'evento
mediato pu essere suddiviso in sei fasi che Byrne e Long (1976)32 hanno identificato
nel loro studio; queste fasi comprendono:
1)
2)
3)
4)
32
Byrne, P. S., Long, B., E., I. (1976) Doctors talking to patients: a study of the verbal behaviours
of doctors in consultation. London: HMSO.
87
5)
6)
concludere.
89
(It is a needle thet is inserted, it injects a little liquid under the skin and you have to go back in two or
three days so that they can see if you have changed your skin.)
P: No
HI: No, she hasn't had that. I just described for her what it was as she said she's had different tests but she
wasn't sure if she has had tuberculosis; so I explained to her how PPD works.
Relazioni del silenzio, in quanto ci che non viene detto o non pu essere
espresso verbalmente ha comunque un impatto sul testo; l'interprete svolge il
33
Baker, A. (1995) Beyond translation: essays towarda a modern philology. Michigan: University
of Michigan Press.
90
proprio compito durante i silenzi (le pause dei parlanti primari), interpreta il
silenzio, provoca o richiede il silenzio e riempie il silenzio altrui.
L'interprete, come abbiamo visto, detiene una moltitudine di ruoli e il termine utilizzato
dagli interpreti per definire il proprio ruolo evidenzia, ancora una volta, la tensione fra il
ruolo prescritto (invisibile) e il ruolo effettivo (visibile). In ogni caso, questa tensione
sembra esistere solo a livello percettivo, astratto; nella pratica, infatti, gli interpreti
diventano partecipanti visibili e attivi nel corso dell'interazione mediata. Molti di loro
hanno descritto il loro ruolo attraverso varie metafore:
Gli interpreti come detective; i pazienti non sempre danno risposte precise alle domande
formulate loro dai medici o dagli altri operatori sanitari; a volte, addirittura, i medici
chiedono agli interpreti di ottenere le informazioni necessarie senza definire una
domanda precisa; Interpreters then take the lead in a line of questioning, in order to get
the answer. In other words, they become detectives, questioning the patient carefully,
hoping to discover the answer (Angelelli 2004:131)
Gli interpreti come ponti multiuso; grazie alla loro capacit di adottare la prospettiva
culturale di entrambi i partecipanti primari, medico e paziente, gli interpreti colmano
questo divario culturale; They provide a service to both patients and HCPs, sometimes
by educating the parties on cultural differences and other times by simply smoothing the
differences without making either party aware of the process. (Ibid.)
Gli interpreti come intenditori di diamanti; i racconti dei pazienti sono molto diversi fra
loro in termini di contenuto e generalmente presentano un misto di informazioni
rilevanti, meno rilevanti, oppure del tutto irrilevanti; In the telling of a story, the patient
opens up a bag full of rocks, diamonds, and dirt; it is important that interpreters be
capable of distinguishing diamonds from ordinary rocks (Ibid.)
Gli interpreti come minatori; mentre ad alcuni pazienti piace raccontare la propria
storia, altri sono pi restii a fornire le informazioni necessarie all'interprete o al medico.
In these cases, interpreters have to find a way to extract information excavating until
they get to the gold (the necessary information), as miners do (Ibid.)
91
4.1
Il briefing
interprete
paziente)
durante
la
quale
spiegare
il
ruolo
detenuto
Secondo gli autori, necessario chiarire che le informazioni fornite durante la fase di
briefing non verranno utilizzate dall'interprete per integrare ci che verr detto durante
la successiva interazione a tre; questo comportamento vizierebbe la vera essenza della
figura professionale dell'interprete alterandone il ruolo. Inoltre, se l'interprete utilizzasse
l'informazione ricevuta durante la sessione preliminare per aggiungere e completare
l'enunciato del paziente in sede di consulto medico, potrebbe dare adito a conseguenze
sfavorevoli di cui sarebbe ritenuto responsabile. Per evitare tutto ci, l'interprete
dovrebbe organizzare la sessione informativa preliminare nel miglior modo possibile
senza entrare troppo nel dettaglio con i partecipanti: this may be to obtain as much
information as possible when the booking is made and to avoid waiting in the company
of one client before the assignment (Ibid 1996:22).
Piccinini (in Luatti 2006) parla di stipula preventiva di un contratto di mediazione,
92
traduzione operare, come spiega Marta Castiglioni (in Luatti 2006), fornire una
traduzione fedele e completa pu significare cose molto diverse a seconda dei casi e
93
presuntuosa.
Richard
Gesteland
(1997),
proposito
della
Eco, U. (2001) Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, Milano. Citato in Luatti 2006:149.
94
culturale spiega all'utente il motivo della sua presenza per ottenere il consenso a
partecipare alla visita o al colloquio, oltre a ricordare la regola del segreto professionale;
citando Gentile et alii. (1996), la disposizione delle sedie durante l'evento mediato
95
dovrebbe permettere di riprodurre il triangolo e, nel caso non sia possibile rispettare una
posizione triangolare, il mediatore dovrebbe collocarsi accanto all'utente per bilanciare
la situazione di disparit di potere e a volte d'ineguaglianza in cui ogni utente si viene a
trovare (disuguaglianza d'accesso alle risorse d'informazione e asimmetria di status
posizionale) Ancora una volta, il colloquio etnopsichiatrico costituisce un ambito di
ricerca a parte, in quest'ultimo infatti preferibile una disposizione circolare dei
partecipanti per favorire e facilitare il flusso comunicativo;
In questa sezione, abbiamo voluto riassumere i motivi principali che stanno alla base di
un'ideale sessione di briefing in vista dell'evento mediato fra paziente ed operatore
sanitario, come verr detto nel prosieguo di questo lavoro utilizzando le testimonianze
dirette di alcune mediatrici culturali, spesso la sessione informativa preliminare (cos
come quella conclusiva) non rientra per nella prassi del servizio di mediazione
culturale offerto dalle aziende socio-sanitarie, o meglio, nella pratica si riscontra (se
prevista) una forma di briefing molto pi breve e concisa di quella postulata in via
teorica; spesso infatti, la sessione di briefing col paziente, inglobata nello stesso
scambio mediato medico-paziente e si riduce ad una brevissima presentazione del
mediatore prima di iniziare la visita o consulto medico.
96
4.2
35
Kleinman, A. (1980) Patients and healers in the context of culture : an exploration of the
borderland between anthropology, medicine, and psychiatry. Berkeley: University of California press.
97
professionale tuttora confuso, basti pensare alla stessa terminologia che ad oggi manca
di una definizione standardizzata ed ufficialmente riconosciuta. Tale mancanza di
strutturazione, sia a livello professionale che disciplinare, rende ancora pi complessa e
problematica la definizione del ruolo dell'interprete-mediatore in ambito socio-sanitario,
cos come si ripercuote sul servizio sociale offerto agli utenti stranieri. Rudvin
(2005:336) parla di trasversalit del problema nei diversi ambiti sociali (sanitario,
giuridico, amministrativo), aggravata da un reclutamento spesso casuale e
improvvisato che minaccia la credibilit e l'immagine stessa di una professione che
richiede notevoli competenze tecniche e personali. Il reclutamento di interpreti
qualificati per le cosiddette lingue a diffusione limitata, poi, rappresenta un' ulteriore
criticit del sistema italiano: hospitals and immigration services tend to use a colleguefriends-yellow pages network (Ibid.), pi raro invece il caso di team stabili di
mediatori linguistico-culturali all'interno delle strutture socio-sanitarie del Paese.
L'Italia di oggi attraversa un momento storico di transizione, nel quale proliferano e
spesso si sovrappongono profili professionali, percorsi formativi (offerti dalle universit
o quelli di carattere pubblico offerti dalle ONG) e denominazioni sempre pi ambigue
ed incerte; Belpiede (in Luatti 2006:246) propone un riassunto della caotica
terminologia italiana rispetto alla figura dell'interprete-mediatore:
Mediatore interculturale, mediatore culturale, mediatore linguistico-culturale, operatore sociale,
operatore sociale e culturale, agevolatore/facilitatore, tecnico esperto in mediazione, tecnico
qualificato in mediazione,...: la variet delle definizioni evidenzia come il nome, e di conseguenza il
profilo del mediatore, siano oggetto di discussione nella maggior parte delle Regioni italiane. C' da
chiedersi se tali opzioni definitorie siano l'esito di riflessioni o piuttosto di scelte che non riflettono una
disamina precisa, ma semplicemente espressione del contesto territoriale e del suo linguaggio.
Come sostiene la stessa autrice, tale situazione imputabile in particolare a due processi
istituzionali: le autonomie regionali e universitarie (Ibid.) In assenza di una
regolamentazione a livello nazionale, ogni regione, e ciascuna universit, ha creato ex
novo una moltitudine di profili formativi e di corsi di laurea che si differenziano solo
per minime variabili dei rispettivi piani didattici non facendo altro che aumentare la
frammentazione delle professioni cosiddette sociali. Rudvin (2006:59) descrivendo il
quadro italiano, individua una sostanziale, seppur non precisa, differenziazione: In
Italy a distinction albeit not yet standardized is made between language mediator
98
(cummunity interpreter/public service interpreter) and cultural mediator (culturebroker). Come spiega Rudvin, per motivi di ordine geo-politico, il ruolo del mediatore
culturale in Italia stato nettamente predominante rispetto a quello dell'interprete e
l'interpretariato semplicemente considerato come una delle tante attivit svolte dal
mediatore culturale: The main task of a language mediator is to translate. The assumed,
and mistaken, simplicity of this task leads to the frequent recruitment of ad-hoc
interpreters. (Rudvin 2006:60)
In Italia, la distinzione fra interprete e mediatore linguistico-culturale risulta spesso
confusa, farraginosa, se non addirittura deviante rispetto alla reale definizione di tali
figure professionali:
Entrambe le figure condividono gli stessi obiettivi di base dell'operatore sanitario, ovvero capirsi, aiutarsi
vicendevolmente per arrivare a un'intesa, giungere a una diagnosi ed una terapia. Tradizionalmente, il
ruolo del mediatore in questo processo pi pro-attivo che non quello dell'interprete. (Rudvin 2005:338)
Rudvin propone una descrizione delle qualifiche professionali del mediatore culturale
(Ibid.):
- deve essere (preferibilmente) straniero;
- deve avere un vissuto migratorio (per stabilire l'empatia emotiva e culturale);
- attitudine all'ascolto e capacit di immedesimazione;
- livello di istruzione elevato;
- alte competenze linguistiche nella propria lingua madre sia scritta sia orale;
- buon livello culturale;
- conoscenza della realt italiana.
L'interprete, d'altro canto, traduce ed interpreta in maniera pi distaccata durante la
relazione
interculturale,
utilizza
un
approccio
dissociativo
nei
confronti
i tab culturali;
99
il consenso informato;
la riservatezza.
Detto questo, sarebbe incauto asserire che la figura del mediatore linguistico-culturale e
quella dell'interprete sono figure antitetiche; queste due figure professionali
rappresentano piuttosto ruolo diversi ma appartenenti ad uno stesso continuum, o spettro
professionale nel quale si ha, da una parte, una figura pi pro-attiva e partecipante, e
dall'altra, una figura pi distaccata ed imparziale che svolge un compito di
traduzione/interpretazione pi automatico (ma non per questo pi facile!).
Come conclude Rudvin (Ibid.)
si potrebbe ipotizzare una distinzione di ruoli che vede il mediatore culturale chiamato nei casi di
necessit di mediazione (dove si sono gi verificati problemi di comprensione o di altra natura che
necessitano di un intervento pi attivo e per pazienti con difficolt psicologiche o sociali). Dato che la
formazione del mediatore culturale richiede tempi pi lunghi e un pool di mediatori pi ristretto, si
potrebbe ricorrere ad interpreti per compiti pi mirati, brevi e circoscritti e per casi standard.
100
CAPITOLO 5
La ricerca sul campo: un'indagine nel settore sanitario emiliano
Dopo aver presentato l'impianto teorico sul quale poggia il presente lavoro, in questa
sezione verr proposta una breve ricerca sul campo; l'ambito di studio circoscritto alle
strutture ospedaliere emiliane e la selezione degli ospedali stata in parte guidata dalla
possibilit di reperimento dei dati d'interesse, e in parte basata su un criterio di tipo
demografico, legato sia al numero di abitanti dell'area di riferimento, sia alla
proporzionale presenza di stranieri sul territorio.
Il metodo utilizzato stato quello dell'intervista, tale strumento metodologico stato
selezionato fra le altre opzioni possibili (questionario, conversazione registrata, video
ecc.) per la relativa facilit d'impiego nel contesto in questione avendo scelto di
strutturare l'intervista in maniera da non risultare invadente o impositiva rispetto ai
soggetti intervistati, ossia le mediatrici culturali. In altre parole, la struttura, seppur
conservando una griglia di base che stata mantenuta uniforme per tutte le interviste
svolte, non presenta una scaletta di domande rigidamente definita; ci che costituisce la
struttura fissa dell'intervista sono piuttosto gli spunti tematici proposti a ciascuna delle
mediatrici culturali intervistate. L'organizzazione strutturale dell'intervista utilizzata
nella nostra ricerca pu essere descritta come segue:
1)
2)
3)
4)
5)
101
mediazione contattata telefonicamente o via e-mail, oppure con la mediatrice stessa (con
la quale ho potuto parlare telefonicamente, utilizzando i recapiti telefonici pubblicati sul
sito Internet dell'azienda socio-sanitaria relativa). Le strutture sanitarie presso le quali si
sono svolte le interviste sono:
il Policlinico di Modena;
102
Questo in sintesi il quadro che mi si prospettato dinnanzi una volta entrata nel vivo
della ricerca sul campo: un mondo quasi esclusivamente femminile, composto da donne
in gamba che svolgono la loro professione con grande impegno e dedizione ma anche
con grande sacrificio.
103
Contratto e remunerazione
Ora ha un contratto a chiamata con questa cooperativa e occasionalmente, per lo pi
quando c' bisogno di sostituire un'altra mediatrice, la chiamano uno o due giorni prima
per sapere se disponibile. Mi dice che molto felice di fare questo mestiere, certo
lavora poco (a volte passano settimane intere senza ricevere nessuna telefonata dalla
cooperativa) e quando le chiedo se soddisfatta della remunerazione che percepisce mi
risponde: prendo 11 l'ora, per non me lo sono mai chiesto se lo stipendio poco. A
me piace questo lavoro.
Gli operatori della Cooperativa coprono oggi una ventina di gruppi linguistici tra cui: arabo,
russo, albanese, rumeno, urdu, ucraino, indi, cinese, oltre naturalmente a inglese, francese, tedesco e
spagnolo. Grazie alle loro competenze si sono attivati progetti e servizi di mediazione linguisticoculturale in: ambito scolastico, ambito sanitario, ambito penitenziario, ambito sociale, ambito
informativo. (v. sito ufficiale: http://www.coopcamelot.org )
104
durante la comunicazione mediata (per esempio in merito alla gestione e allocazione dei
turni di parola, alla disposizione logistica dei partecipanti, ai problemi di carattere
interculturale e, soprattutto, in merito alla figura del mediatore stesso), la ragazza mi
risponde sommariamente di s, che si presenta al paziente e gli dice che una
mediatrice. Le chiedo poi se durante l'evento mediato parla in prima o in terza persona e
mi risponde che loro, i mediatori, parlano sempre in terza persona; la comunicazione,
non solo linguistica ma anche paralinguistica dei parlanti monolingui, sarebbe quindi
sempre rivolta al mediatore. Sadia porta il velo, musulmana e parla cinque lingue:
l'urdu, il punjabi, l'inglese, l'italiano e, a livello ancora scolastico, lo spagnolo; quando
lavora come mediatrice culturale negli ospedali di Ferrara e provincia, le capita
prevalentemente di mediare per pazienti pakistani, indiani e bangladeshi. Da un punto di
vista terminologico-lessicale, mi spiega che durante la mediazione cerca di tradurre ci
che dice il medico nella maniera pi semplice possibile (abbassamento del registro
linguistico) e, siccome il medico italiano utilizza spesso vocaboli tecnici che non
possiedono un equivalente lessicale in lingua urdu, la giovane mediatrice ricorre
frequentemente alla parafrasi e nel caso in cui si trovi di fronte ad un nome proprio (di
un medicinale o di una procedura medica per esempio) che non esiste o non
conosciuto in Pakistan, allora prima spiega di cosa si tratta, e poi fornisce direttamente il
termine italiano. Sadia dice che a volte potrebbe fornire il termine corrispondente in
inglese, lingua co-ufficiale del Pakistan utilizzata negli affari e nella redazione di atti
governativi oltre che dall'lite urbana, ma generalmente gli immigrati pakistani che
giungono in Italia non hanno una conoscenza sufficiente dell'inglese per poterlo
utilizzare come lingua veicolare.
Differenze interculturali
Mi racconta poi che l'aspetto pi complicato del suo lavoro riguarda le differenze
culturali, riferendosi in particolare al rapporto uomo-donna e al modo di trattare la
malattia e di relazionarsi col paziente. Quando le capita di rapportarsi con un paziente
pakistano di sesso maschile, spesso si trova in imbarazzo, arrossisce e vede che anche
l'uomo, almeno inizialmente, in una situazione di disagio quando si ritrova a parlare
direttamente con la giovane ragazza di questioni piuttosto intime, se non veri e propri
tab. Poi continua: qui il dottore dice tutto subito! In Pakistan non cos, non dici
105
subito al paziente che ha qualcosa di brutto, mi spiega che la cosa pi difficile per lei
quella di dover comunicare direttamente al paziente una notizia o un referto negativo;
nella sua cultura le cattive notizie si comunicano ai familiari, non al paziente, e in
maniera pi indiretta, lasciando ad intendere, ed utilizzando un linguaggio pi criptico
nel contesto di una comunicazione meno esplicita. Noi siamo molto pi chiusi dice
Sadia, se il dottore dice una frase, poi io ne devo dire cinque di frasi per spiegare;
allora le chiedo: quindi non traduci solo quello che dice il medico ma puoi parlare di
pi? e mi risponde: S aggiungo molto, perch devo spiegare piano piano che cosa
succede. In questo caso la mediatrice non ha il ruolo di semplice animatore
(Goffman 1981) dell'enunciato originale ma agisce in qualit di vero e proprio autore
(Ibid.), assumendosi la responsabilit di ci che dice e di ci che aggiunge di propria
iniziativa in caso di non-renditions (Wadensj 1998).
106
presso la palestra del reparto di ortopedia, cos mi presento e le chiedo di poterle fare
qualche domanda in merito al suo ruolo professionale. Da subito si mostra molto
disponibile, si chiama Aziz, ha una cinquantina d'anni, ha il capo coperto dal velo e
lavora come mediatrice da circa dieci anni.
Contratto e formazione
Anche lei lavora all'interno della Cooperativa Camelot e oltre a collaborare con
l'ospedale di Cento, due giorni a settimana per sei ore complessive presta servizio
presso lo sportello dell'Azienda USL di Ferrara in via Boschetto dove si trovano
consultori familiari e ambulatori ginecologici. Le chiedo che tipo di formazione ha
avuto e mi risponde che, quando ha iniziato lei, non era ancora previsto nessun tipo di
tirocinio, cos ha maturato l'esperienza direttamente sul campo.
Registro linguistico, 1^ o 3^ persona e briefing
Mi spiega che durante la mediazione utilizza un linguaggio semplice, comune, evitando
i tecnicismi utilizzati dal medico e semplificando ci che viene detto il pi possibile, la
mediazione avviene sempre in terza persona. Il suo ruolo, oltre alla mediazione
linguistico-culturale, comprende anche l'aiuto alla comprensione dei documenti
necessari ai pazienti immigrati e il servizio di accoglienza indirizzato a questi ultimi
(quando lavora allo sportello della USL). Aziz mi dice che quando incontra un nuovo
paziente, presenta brevemente il proprio ruolo: dico che sono l per aiutare a parlare col
dottore.
Aspetti interculturali e temi tab
Le chiedo poi se si mai trovata di fronte a difficolt comunicative legate alla diversit
culturale, mi risponde che durante gli appuntamenti ginecologici, per esempio, le donne
pakistane sono un po' a disagio nello scoprire il proprio corpo, cos utilizzano un
lenzuolo per lasciare scoperta solo la zona interessata.
Rapporto coi pazienti e alleanze
Mi racconta inoltre, che a volte le pazienti cercano un aiuto che vada oltre l'incontro di
mediazione in ospedale, spesso chiedono ad Aziz di poter avere il suo numero di
telefono o di poterla incontrare al di fuori, ma io dico di no, non si pu dice Aziz, e
107
spiega loro che se vogliono possono tornare in ospedale per parlare di nuovo con lei. In
questo modo rispetta la deontologia professionale e sfugge al rischio di creare
aspettative che non dovrebbe e non sarebbe in grado di soddisfare.
5.2
37
http://www.ior.it/curarsi-al-rizzoli/clinica-ortopedica-e-traumatologica-iv-prevalente-indirizzooncologico
108
http://poliziadistato.it/articolo/219-Ricongiungimento_familiare
109
5.3
110
mediazione accoglienza e vengono poi forniti tutti i contatti necessari (mail, indirizzi,
numeri di telefono e fax), oltre ad una breve descrizione dei servizi di mediazione
offerti e alle tabelle relative agli orari durante i quali si svolge il servizio nelle varie
lingue. Durante l'intervista a Dhouha, tenutasi nell'Ufficio Accoglienza e Mediazione,
presente, qualche scrivania pi distante, anche la coordinatrice C. Gallerani e, di tanto in
tanto, entra qualcuna delle altre mediatrici in servizio (questo forse ha in parte
condizionato la libert di risposta di Dhouha in conseguenza al monitoraggio, seppur
indiretto e discreto, esercitato dalla semplice compresenza della coordinatrice e delle
colleghe di passaggio). La mediatrice di lingua araba ha un'agenda colma di
appuntamenti dovuta alla forte presenza di arabofoni nella zona, Dhouha tunisina e
vive in Italia da nove anni, lavora per la Cooperativa Camelot (come Sadia e Aziz) e dal
2007 si occupa di mediazione in ambito socio-sanitario, mentre prima lavorava come
mediatrice per le scuole.
Confronto fra la mediazione in ambito scolastico e in ambito sanitario
Di sua iniziativa mi racconta che quando lavorava nelle scuole spesso si trovava di
fronte a ragazzi che vivevano situazioni difficili e ai quali, dopo essersene guadagnata la
fiducia, era chiamata a dare un sostegno psicologico-assistenziale; nel mondo arabo, mi
racconta, l'istruzione utilizza metodi didattici pi formali cos, dopo un primo periodo di
sostanziale ottimismo di fronte alla informalit del sistema italiano, spesso gli studenti
immigrati si ritrovano disorientati, hanno difficolt durante il loro percorso scolastico e
soffrono l'emarginazione sociale da parte dei loro coetanei. In ospedale, continua
Dhouha, molto diverso, la frustrazione per la non-accettazione un tema a parte e il
mediatore ha il compito di aiutare il paziente a comunicare col medico e viceversa.
Formazione
Le chiedo poi che tipo di formazione richiesta per ricoprire il suo ruolo e, davanti alla
sua titubanza, le chiedo se ha dovuto frequentare un corso o un tirocinio per poter
praticare, Dhohua mi risponde vagamente dicendomi che l'anno scorso hanno
partecipato ad un corso nazionale sulla mediazione.
Dialetti e registro linguistico
Per quanto riguarda la terminologia tecnica e le eventuali difficolt di traduzione, mi
111
racconta che deve cercare di spiegare ci che dice il medico nella maniera pi semplice
e chiara per il paziente (abbassamento di registro); quando si tratta di vocaboli di
difficile traduzione o impossibili da tradurre con un corrispettivo termine in lingua
araba, a volte ricorre al francese (data la francofonia di una parte della comunit araba
che ha studiato il francese a scuola; Dhouha mi spiega per che le giovani generazioni
parlano sempre meno il francese in seguito ad un processo di arabizzazione iniziato
negli anni '90). Un altro punto rilevante per quanto riguarda l'aspetto linguistico, ha a
che fare con la frammentazione del mondo arabo in una moltitudine di variet39
regionali o locali che sono solo in parte mutuamente intelligibili per i rispettivi locutori;
solo l'arabo classico dei testi scritti condiviso da tutti, mentre l'arabo parlato presenta
un quadro piuttosto eterogeneo. A volte Dohuha chiamata a mediare per un paziente
arabofono che parla una variet di arabo diversa dalla sua, in questi casi, mi racconta,
cerca di fare il possibile per farsi capire, anche aiutandosi con disegni attraverso i quali
spiega il problema medico rilevato ed illustra le azioni e le cure (terapeutiche) che il
medico prescrive. A questo proposito, Rudvin scrive:
Interpreters for clients from the large international language groups such as English, Spanish, French and
Arabic will often not be from the client's own country; apart from the fact that the vast variety of
englishes, frenches, spanishes, etc., have different semantic and grammatical features from the
standard models of the world languages, they clearly do not share their culture referents so not only
do the communication models differ (directness, distance, politeness, semantic overlap, etc.) - even if they
are speaking the same language (indeed many interpreters find it difficult to even understand varieties of a
particular language), but their real-world referents do not overlap. Varieties of standard languages
(especially colonial languages) are sometimes described as cross-cultural, or nativized - that is, the
language has been adapted -semantically, grammatically- to its new terrain and culture (for example,
English in the Indian subcontinent or East or Central Africa), and reflects that reality and world-vision,
rather than, say, the UK or the US. (Rudvin 2006:67)
1^ o 3^ persona
In seguito alla domanda circa l'utilizzo della prima o della terza persona durante la
mediazione, risponde: so che bisognerebbe usare la prima persona, per il paziente se
parlo dicendo io al posto di lui pu non capire...molti di quelli che arrivano sono
39
La lingua araba parlata in: Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq,
Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Qatar, Sudan, Siria, Tunisia, Autorit
Nazionale Palestinese (Cisgiordania e Gaza), Sahara Occidentale, Yemen (parlato dalla maggioranza dei
cittadini) e in molti altri paesi, fra i quali Israele, come lingua di minoranza.
112
Il distacco
Le chiedo allora se si siano mai verificati casi in cui diventa difficile mantenere una
posizione di distacco e imparzialit e mi risponde che con i pazienti precisa sempre i
limiti del suo ruolo e che, in caso di bisogno, dice loro di utilizzare il servizio
dell'ospedale per avere un supporto di mediazione. La mediatrice tunisina si mostra
molto disponibile di fronte alle mie domande e mi racconta qualche aneddoto del suo
lavoro; mi racconta che le successo in due occasioni di assistere il paziente anche in
sala operatoria durante l'intervento, la prima volta si trattava di una turista siriana che, a
seguito di un incidente, dovette subire un intervento d'emergenza al S. Anna e, non
conoscendo l'italiano, si avvalse dell'aiuto di Dhouha la cui presenza fu richiesta anche
durante l'operazione chirurgica. Il secondo caso riguarda un uomo che dovette subire un
intervento al cervello, Dhouha mi spiega che si tratt di un episodio molto delicato, il
113
paziente parlava una variet dialettale di arabo che Dhouha conosceva solo in parte,
quindi, a seguito di una decisione presa dallo staff medico, si pens di preparare una
serie di disegni per spiegare al paziente il tipo di intervento che avrebbe subito; la
presenza di Dhouha in sala operatoria le fu richiesta perch l'uomo sarebbe rimasto
cosciente durante l'operazione ed era necessaria la presenza di una persona che potesse
capire la sua lingua. Dhouha mi racconta che fu una giornata piuttosto stressante ma che
decise di accettare quell'impegno per sostenere il paziente, poi mostrandomi il dito, mi
racconta che l'uomo le strinse la mano con forza durante tutta l'operazione e una volta
uscita dalla sala operatoria si ritrov con le mani tutte indolenzite.
Quando le chiedo degli aspetti pi difficili del suo mestiere a livello interculturale,
risponde che in Tunisia si ha un rapporto meno diretto col paziente, cos, quando al
corrente che la situazione clinica di un paziente molto grave, cerca di dare coraggio e
di infondere fiducia nel paziente, lo invita a pregare, a rivolgersi alla religione (in
Tunisia si prega Allh per avere conforto); anche con lo staff medico del S. Anna,
continua, c' un grande lavoro di squadra, quando la situazione un po' delicata i medici
hanno prima un incontro con la mediatrice (briefing) per spiegarle il problema medico
in questione, cosa intendono fare e come affrontare il paziente.
Compiti aggiuntivi
Mi racconta inoltre che nel caso delle gestanti di lingua araba, Dhouha le segue durante
tutto il percorso della gravidanza e, una volta giunte alla 38^ settimana, la mediatrice
stessa che si preoccupa di controllare che la cartella clinica sia completa di tutti i
documenti necessari affinch non manchi nulla; la mediatrice diviene cos una figura di
supporto sia in termini linguistico-assistenziali che operativi, (per esempio quando
controlla i documenti della partoriente).
Rapporti con la comunit e fiducia
Quando le domando poi se non ha mai avvertito il rischio di prendere troppo a cuore il
caso di un malato, suo connazionale, o col quale condivide la lingua e in parte la
cultura, mi risponde che ci che le ha permesso di mantenere il giusto distacco il fatto
di non frequentare la comunit arabofona locale; questo le ha garantito, fra l'altro, una
certa credibilit come professionista neutrale: loro sanno che non vado a dire tua
moglie ha questo o tuo fratello ha questo, cos capiscono che possono fidarsi di me...se
114
5.4
115
Formazione
In quanto al suo percorso formativo come mediatrice, Nadia ha frequentato un corso per
la mediazione culturale predisposto dalla provincia di Bologna e strutturato in 100 ore
di insegnamento teorico e 200 ore di tirocinio pratico per 300 ore complessive; mi dice
per che il corso non prevedeva una sessione curriculare di specializzazione nell'ambito
socio-sanitario ma una preparazione pi generale sulla mediazione interculturale.
116
comunque nonostante la difficolt; spesso il termine tecnico che usa il medico italiano
manca di un corrispondente in lingua araba cos si cerca di parafrasare il concetto e
trasmetterlo al paziente nel modo pi chiaro possibile.
Genere e mediazione
A questo punto chiedo a Nadia come mai il servizio di mediazione culturale in ambito
socio-sanitario (come ho potuto constatare anche grazie alle interviste svolte) sia una
prerogativa prevalentemente femminile, mi risponde che negli ospedali lavorano solo
mediatrici donne perch, soprattutto nei reparti di ginecologia e maternit, si richiede
una presenza femminile per consentire alla donna straniera di sentirsi a proprio agio (in
alcuni casi la presenza di una mediatrice e non di un mediatore la sola via di
comunicazione interculturale, tanto pi durante una visita ginecologica); Nadia mi
40
Dal 1993 lassociazione di medici e operatori sanitari volontari Sokos fornisce assistenza medica
gratuita ai migranti, anche senza permesso di soggiorno, e alle persone emarginate. Nata dapprima come
unit mobile di intervento nei campi dei rifugiati bosniaci e kosovari allestiti lungo le rive del Reno e a
Borgo Panigale, dal '98 Sokos ha anche un ambulatorio a Bologna, dove i volontari promuovono e
tutelano il diritto alla salute delle persone che non sono raggiunte dal servizio sanitario avendone
comunque pieno titolo. (v. http://www.meltingpot.org/articolo857.html )
41
(v. http://www.meltingpot.org/articolo857.html )
118
spiega per che esistono ovviamente anche mediatori culturali di sesso maschile, si
tratta pi che altro di una differenza di carattere contestuale: si pu dire che
generalmente le donne sono impiegate nei servizi di mediazione culturale nelle strutture
ospedaliere e socio-sanitarie, mentre si riscontra una netta presenza maschile nella
mediazione culturale che ha luogo nei penitenziari o presso i centri di tossicodipendenza
per esempio. Alla base di tale differenziazione di genere si trova l'esigenza di
comunicare col cittadino straniero, l'obiettivo primario la comunicazione, il cittadino
straniero deve essere posto in una condizione di scambio interazionale che gli sia il pi
favorevole possibile; la scelta del sesso del mediatore non costituisce certo un esempio
di discriminazione sessuale, quanto la necessit di andare incontro alle esigenze del
paziente-utente straniero e della comunicazione interculturale in s. Un mediatore uomo
in sala parto o in ambulatorio ginecologico, oppure una mediatrice donna in un carcere
maschile, risulterebbero inadeguati non dal punto di vista della loro competenza
professionale ma unicamente per la loro identit sessuale che, in questi casi, potrebbe
mettere a repentaglio se non rendere del tutto impossibile lo scambio comunicativo con
l'utente straniero di sesso opposto. In tali contesti, non tanto la differenza di cultura,
quanto soprattutto la condizione psicologica-emotiva del cittadino straniero e la
delicatezza della situazione contestuale rappresentano elementi di primaria importanza;
la credibilit, la fiducia che il mediatore deve infondere nel cittadino straniero sono
presupposti irrinunciabili per permettere la comunicazione interlinguistica e
interculturale. Nadia mi racconta che saltuariamente ha lavorato anche presso la Casa
delle donne per non subire violenza di Bologna, qui le mediatrici sono tutte donne,
Nadia mi dice che questa stata per lei l'esperienza pi dura da un punto di vista
emotivo e personale, una volta ho pianto davanti ad una ragazza marocchina che era
stata stuprata..secondo me in questi casi non ci si deve nascondere, se mi scendeva una
lacrima davanti a lei non la nascondevo... A questo punto dell'intervista con Nadia mi
rendo conto di quanto possa essere complesso e difficile il suo mestiere, mi rendo conto
che i codici di deontologia professionale sono tanto necessari quanto (forse) difficili da
applicare in situazioni di estrema delicatezza e sensibilit nelle quali l'interpretemediatore deve cercare di controllare la propria emotivit e mantenere quel giusto
distacco che gli si chiede.
119
Mediazione integrata
L'ospedale di Bentivoglio fa parte di quelle strutture socio-sanitarie della Regione che
offrono un servizio di mediazione integrata; l'Italia negli ultimi quindici anni stato uno
dei paesi pi soggetto al dinamismo dei nuovi ingressi di cittadini stranieri e la
situazione dell'area bolognese caratterizzata dall'alta percentuale di cittadini stranieri
presenti, pi alta quasi del doppio della media nazionale.
Dall'elaborazione dei dati delle Anagrafi condotta dall'Ufficio di Statistica della
Provincia di Bologna relativa al 31/12/200642, si osserva che sulla popolazione totale
residente a Bologna pari a 373.026 abitanti, la popolazione straniera era costituita da
30.319 individui; mentre per quanto riguarda il resto della provincia, la popolazione
totale residente ammontava a 581.656 abitanti dei quali 35.471 stranieri. Data la
consistente presenza di cittadini stranieri sul territorio bolognese, le strutture sociosanitarie hanno dovuto adottare strumenti e metodi di mediazione linguistico-culturali
volti a consentire l'erogazione dei servizi assistenziali e sanitari di cui ogni cittadino ha
diritto. Come si legge sul sito dellazienda Usl regionale (v. nota precedente), le
maggiori criticit della comunicazione interculturale sono dovute alla diversit
linguistica, alla diversit culturale (prevenzione, profilassi, modalit di accesso,
trattamenti medici, visite periodiche, calendario di vaccinazione ecc.), alla diversa
percezione della salute e al luogo in cui il paziente straniero si trova (ambulatorio,
Pronto Soccorso o reparto, che prevedono modalit di mediazione differenti:
mediazione programmata vs. mediazione urgente). Fra gli strumenti di cui si avvale
l'Ausl di Bologna per erogare un servizio di mediazione culturale integrata troviamo:
42
V. www.ausl.re.it/HPH/FRONTEND/Home/DocumentViewer.aspx?document_id=799
120
5.5
Policlinico di Modena
Mediatrice di lingua araba
Vedi bibliografia.
121
122
Briefing e alleanze
Le chiedo come avviene la presentazione della mediatrice al paziente straniero, mi
risponde che ormai non c' bisogno di nessuna presentazione (briefing) perch il
servizio di mediazione conosciuto dalla comunit immigrata, quindi non vi la
necessit di spiegare la funzione e la figura della mediatrice. Le chiedo poi se abbia mai
incontrato resistenza da parte del paziente straniero nei suoi confronti e mi dice che, al
contrario, i pazienti sono generalmente molto contenti di essere affiancati da una
persona che parli la loro lingua, si sentono pi protetti e pi sereni nel dialogo col
medico.
123
1^ o 3^ persona
Le domando poi se utilizzi la prima o la terza persona durante la mediazione e, con un
giro di parole, mi fa capire che utilizza la prima persona perch il paziente in grado di
riconoscere che l'autore delle parole il medico e viceversa il medico comprende che le
parole proferite dalla mediatrice appartengono al paziente. Khira si toglie anche il
copricapo, nell'ufficio siamo solo donne e l'atmosfera rilassata ed informale, ha i
capelli tinti di un rosso ramato raccolti in una coda.
Il distacco
Per quanto riguarda eventuali difficolt di comunicazione interculturale, Khira mi
racconta che dopo tanti anni di esperienza si sente pi forte, ora sa come gestire
situazioni difficili o imbarazzanti in maniera pi matura, a volte un po' pi distaccata
di quanto non avrebbe saputo fare all'inizio della sua carriera. Mi racconta che poco
prima di incontrare me, ha mediato per una bambina araba di 12 anni arrivata in Italia
con i genitori da due giorni, dopo 48 ore non ancora possibile attribuire al paziente un
medico di base per ragioni burocratiche; la bambina ha bisogno di una vaccinazione
particolare...sta molto male..c' gi tutto il pus che le scende dal naso..., ma al
Policlinico c' una lista di attesa di tre mesi, cos l'hanno indirizzata verso un'altra
struttura. Khira mi dice che in casi come questo molto difficile riuscire a mantenersi
distaccati e a controllare la propria parte emotiva, che fa rabbia il fatto di non poter fare
niente per motivi di burocrazia e mi dice che, una volta fuori dall'ambulatorio, ha
124
spiegato meglio ai genitori come raggiungere l'altra struttura medica e ha detto loro che
avrebbe chiesto nuovamente ai medici circa la possibilit di curare la bambina. Se sei
sensibile, facendo questo lavoro lo diventi ancora di pi..per capisci anche quanto sei
fortunato...
Mediazione e genere
Le chiedo se anche la Cooperativa Integra impiega soltanto mediatrici donne oppure se
ci sono anche mediatori, mi risponde che per la mediazione negli ospedali e agli
sportelli delle strutture socio-sanitarie lavorano quasi sempre donne (nel team di
mediatori di Integra lavorano attualmente solo tre uomini), Se vai al SER.T [Servizio
Tossicodipendenze dell'Ausl di Modena], invece, l trovi dei mediatori uomini perch in
quei casi c' bisogno di una figura pi autoritaria e la tua parola [cio quella di una
donna] meno forte. Come scrivono Shlesinger e Voinova (2010:1)44 a proposito del
concetto di genere:
Gender as a social (rather than biological) construct is one of the features that organizes our view of the
world and remains an over-arching analytical category. It results in explicit and implicit forms of
difference (leading, in many cases, to explicit and implicit forms of inequality), whether embedded in
social policy and social institutions or internalized by the individual men and women themselves.
Il genere come costrutto sociale, dunque, modella e guida il nostro modo di concepire la
realt e le relazioni con gli altri; quando Khira afferma che la parola della donna meno
forte rispetto a quella delluomo sta appunto esprimendo una visione del genere
culturalmente determinata:
A central theme running through the discussions of the role of gender in shaping professional identity
relates to the premise that contemporary societies assign decision-making qualities, a public voice and
political power primarily to men (Von Flotow 1997: 100, citato in Shlesinger e Voinova 2010:3)
Le domando poi come sia il rapporto uomo-donna nella sua professione. Nessun
problema, dice, anche in Tunisia ci sono dottori uomini che curano pazienti di sesso
femminile e medici di sesso femminile che curano uomini. Al Policlinico, quando ci
sono pazienti molto religiose che chiedono solo donne, si cerca di trovare una
dottoressa.; a Khira capitato varie volte di essere presente durante una visita
44
Shlesinger, M. and Voinova, T. (2010) Self-perception of female translators and interpreters in Israel.
125
Temi tab
La difficolt maggiore da un punto di vista psicologico, poi, riguarda i casi di malattie
sessualmente trasmissibili, veri e propri tab (termine utilizzato dalla mediatrice in
pi occasioni), soprattutto l'AIDS, anche l'epatite pu essere trasmessa sessualmente,
per diverso, suscita meno vergogna e imbarazzo perch si pu contrarre in altri modi,
126
127
5.6
128
telefono qualche giorno prima per fissare l'incontro. Arrivo allo sportello dell'URP dove
di servizio il luned pomeriggio e dopo esserci salutate ci appartiamo in uno degli
studi adiacenti per iniziare l'intervista.
1^ o 3^ persona e briefing
Riguardo allo svolgimento della mediazione in ambulatorio, Sun mi dice che pu
avvenire sia in prima persona che in terza persona, dipende dai casi; anche la pratica
del briefing, o sessione informativa preliminare, pu essere previsto o meno a seconda
dei casi; generalmente richiesto quando si rende necessario l'intervento di un
assistente sociale per esempio, allora Sun prepara il paziente e i familiari ad affrontare
la situazione, spiegando loro l'iter quale si dovr seguire e la funzione della figura
professionale chiamata ad intervenire.
45
La lingua cinese, parlata sotto forma di mandarino standard, la lingua ufficiale della
Repubblica Popolare Cinese e della Repubblica della Cina sotto Taiwan, nonch una delle quattro lingue
ufficiali di Singapore ed una delle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite.
130
131
46
I risultati di questo progetto sono stati raccolti e pubblicati nel libro omonimo a cura del Servizio
Sanitario Regionale Emilia-Romagna, AUSL di Reggio Emilia. In seguito riporteremo alcuni dati tratti da
tale fonte, v. http://www.lacosapsy.com/DRAGOEFENICE.pdf
132
V. www.lacosapsy.com/DRAGOEFENICE.pdf
133
134
in cucina. Una donna al settimo mese di gravidanza ha fatto i ravioli cinesi e suo figlio
nato con un orecchio a forma di raviolo.
Oltre alle credenze e alle superstizioni, la cucina cinese e il tipo di alimentazione
tradizionale molto diverso da quello italiano, Sun mi dice per che oggi le donne
cinesi in Italia modificano mano a mano le loro abitudini e mangiano un po' di tutto.
Come avverte il dossier, le donne cinesi per la maggior parte sono recettive allinfezione
da toxoplasma e conservare le abitudini alimentari cinesi (che prevedono uno scarso
consumo di carne e un abbondante consumo di riso e vegetali) le protegge fino alla
prima visita ginecologica in cui viene spiegato loro quali precauzioni igienicoalimentari attuare durante il corso della gravidanza. La toxoplasmosi pu essere
contratta mangiando carni crude o poco cotte (specie di agnello), di insaccati, di verdure
lavate male o di latticini non pastorizzati. Semplici avvertenze sul consumo di alcuni
cibi possono quindi permettere alle donne cinesi di seguire, se lo vogliono, una dieta
alimentare diversa rispetto a quella d'origine.
Alcune importanti differenze interculturali riguardano poi il momento stesso del parto:
negli ospedali cinesi il marito non pu entrare in sala parto ed assistere alla nascita del
figlio, ma di solito le donne sono accompagnate dalle proprie mamme e anche i medici
sono tutte donne. Qui in Italia le donne cinesi si fanno per accompagnare dal marito e
i mariti sono contenti di poter assistere al parto anche se mostrano a volte un po' di
timore. La situazione in Cina sta lentamente cambiando, oggi gli uomini non possono
ancora entrare in tutti gli ospedali. Forse in quelli delle grandi citt pi facile ma
sicuramente negli ospedali pi piccoli ancora vietato lingresso agli uomini, proprio
scritto sulla porta. La credenza cinese che abbiano un'influenza negativa sulla donna e
sul parto.
Un' usanza importante da un punto di vista interculturale (che un occidentale
difficilmente potrebbe comprendere senza essere messo al corrente della tradizione
cinese) riguarda il divieto per le mamme di toccare l'acqua per un certo periodo dopo il
parto. Le testimonianze raccolte da Sun e dall'equipe medica che ha realizzato il
progetto il Drago e la Fenice riportano che:
a XF, alla nascita del primo figlio, hanno proposto di fare la doccia, lei sapeva di non
poterla fare ma non ha avuto il coraggio di dire di no. Per il secondo figlio vorrebbe
seguire la tradizione. Anche i denti non si potrebbero lavare, perch se no si crede che
135
136
5.7
Marted 4 gennaio incontro Cecilia allo Spazio Salute Immigrati nel centro di Parma,
ho concordato l'appuntamento telefonicamente con la mediatrice stessa una settimana
prima; quando mi accoglie ci accomodiamo nello studio ed inizia a raccontarmi della
sua esperienza. Cecilia la mediatrice di rumeno e moldavo, arrivata in Italia dalla
Romania nel '99, ha pi o meno cinquanta anni ed sposata con un italiano, di Napoli,
conosciuto due anni dopo il suo arrivo.
Contratto e remunerazione
Lavora come mediatrice dal 2003, ha un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa (co.co.co.) che prevede 7 ore settimanali distribuite su due giorni (marted
e venerd); Cecilia mi dice che il suo stipendio attuale di 524 euro; quando ha iniziato
questa professione le mediatrici percepivano dai 1000 ai 1200 euro mensili a fronte del
doppio (o pi) di ore lavorative settimanali.
Formazione
Riguardo alla formazione di Cecilia, avendo intrapreso la professione prima
dell'approvazione della Legge Regionale n.5 del 24 marzo 2004 (v. Cap. 6.2), la
mediatrice non ha compiuto il tirocinio formativo attualmente previsto ma, agli inizi
della sua professione, insieme alle altre mediatrici dell'Ausl di Parma, ha seguito un
corso di formazione (che non prevedeva il rilascio di un attestato ma solo la frequenza)
tenuto da vari operatori socio-sanitari, in particolare dalla Dott.ssa Adele Tonini,
ginecologa e responsabile dello Spazio Immigrati dell'Azianda Usl di Parma; e al quale
hanno contribuito attivamente i mediatori dell'Ausl di Torino, portando la loro
esperienza come testimonianza diretta, furono infatti i primi in Italia ad intraprendere un
progetto di mediazione culturale rivolto agli immigrati nel nostro Paese; il corso fu
organizzato dalla Direzione Uffici Comunali di Parma (D.U.C).
Compiti aggiuntivi
Parlando della sua routine lavorativa, Cecilia mi racconta che solitamente compila
insieme al paziente la sua biografia raccogliendo i dati anagrafici ed altre
informazioni relative al suo trascorso e alla sua permanenza in Italia; in questo modo,
138
prima della visita con il medico, Cecilia e il paziente hanno modo di parlare a tu per tu
(secondo Gentile et alii. 1996, v. Cap. 4, il mediatore-interprete dovrebbe evitare di
trascorrere del tempo da solo con il paziente; ancora una volta, le opinioni sono
divergenti e la teoria sembra essere smentita dalla pratica).
Fiducia
Cecilia mi spiega l'importanza di conquistare la fiducia del paziente, devi puntare al
cuore, dice, devi fargli capire che sei l per aiutarlo; molti immigrati, specie se
clandestini, hanno paura di rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche perch temono di
essere consegnati alla Questura. Grazie alla mediatrice, vengono informati dei servizi
offerti e vengono assistiti anche per ci che riguarda le eventuali pratiche burocratiche.
sottolineare la comune discendenza delle due culture e aggiunge che gli immigrati
rumeni e moldavi imparano l'italiano molto velocemente, soprattutto se arrivano in
Italia da giovani. Dopo non hanno pi bisogno di me!, dice ridendo, non come i
cinesi che hanno bisogno della mediatrice anche per andare in bagno!, Cecilia fa un
paragone con la collega cinese, (sono rimaste solo loro due come mediatrici fisse allo
S.S.I.) e mi fa notare che gli immigrati cinesi imparano la lingua pi lentamente, a volte
non vogliono o non hanno bisogno di impararla perch vivono prevalentemente
all'interno della comunit cinese, mentre rumeni e moldavi imparano velocemente per
motivi di sopravvivenza.
48
139
Temi tab
A questo punto riporto il discorso sul tema della mediazione culturale e le domando se
ha mai riscontrato difficolt o se si sia mai trovata in situazioni di mediazione
complesse, la risposta stata: i rumeni non sono tutti balordi... i balordi ci sono
dappertutto. Allora la interrompo e le dico che ovviamente io non credo questo e le
spiego che mi riferivo a situazioni di particolare delicatezza o stress; Cecilia mi
risponde che ci sono parecchi casi di infezioni e malattie sessuali ma sempre un po'
sulla difensiva, quasi a voler giustificare i pazienti e la loro disperazione. Mi fa capire
che alla sua et certe cose passano in secondo piano ma quando un uomo e una donna
sono giovani, allora pi facile lasciarsi trasportare. Le chiedo se per lei imbarazzante
parlare di malattie sessualmente trasmissibili con pazienti uomini e mi risponde di no,
ormai ha superato il disagio che provava all'inizio e comunque durante la visita
andrologica, la mediatrice si volta prima che il paziente si svesta e continua a mediare
rimanendo voltata. A volte, quando capisce che la situazione piuttosto delicata o
quando il medico stesso glielo fa presente, esce dall'ambulatorio e rimane dietro la porta
per essere a disposizione nel caso sia necessario tradurre una parola o una frase; poi,
terminata la visita, se c' bisogno di spiegare qualcosa al paziente, o se il paziente
necessita di chiarimenti, Cecilia fornisce tutte le spiegazioni dovute.
140
Salute mentale
Altri casi particolarmente toccanti riguardano poi le badanti rumene e moldave che
giungono allo Spazio Salute Immigrati per avere un supporto psicologico; Cecilia
estremamente sensibile all'argomento, anche lei durante il primo anno di permanenza in
Italia ha lavorato come badante per un'anziana della citt. Dice che una vita durissima,
un inferno, la mia vecchia mi svegliava alle due di notte e poi passava il dito sopra
un mobile o un quadro e mi diceva c' polvere e io pulivo..se non metti i tappi nelle
orecchie non ce la fai; la mediatrice mi dice che se una donna troppo sensibile rischia
di sprofondare in una forte depressione, dice che ci si sente umiliate e la giornata di 24
ore sembra interminabile. Non so cosa intendesse esattamente, ma mi ha detto che a fare
questo lavoro ci si pu ammalare molto (credo si riferisse a stress ed esaurimento
nervoso). Mi racconta di sentirsi molto fortunata, io sono arrivata in Italia con invito,
aveva il biglietto aereo pagato ma la maggior parte delle donne rumene che arrivano nel
nostro Paese vive esperienze molto dure. Per pagarsi il viaggio hanno bisogno di cinque
o sei mila euro (inclusi gli interessi degli usurai) perch spesso sono costrette a
rivolgersi a degli sfruttatori per ottenere prestiti di denaro; una volta arrivate in Italia,
continua Cecilia, il primo anno si ritrovano a mangiare alla Caritas e vivono col
pensiero fisso di saldare il loro debito e di trovare il modo per sopravvivere; in pi,
spesso hanno lasciato la famiglia in Romania, a volte dei figli, e quindi vivono nella
costante preoccupazione di racimolare un po' di soldi da mandare a casa. La situazione
in questi casi comprensibilmente durissima, disperata. Nel '99, aggiunge, la situazione
era notevolmente pi difficile rispetto ad oggi Parma era chiusa. Non c'erano stranieri e
se arrivavi ti portavano alla Polizia. Le parole di Cecilia sono enfatiche, ma
sicuramente dieci anni fa la vita degli immigrati era pi dura rispetto ad ora.
La chiacchierata con Cecilia volge al termine, la mediatrice conclude ripetendomi di
sentirsi fortunata a fare questo lavoro, lei ha vissuto in prima persona le sofferenze e le
difficolt delle sue connazionali che arrivano in ambulatorio con storie tragiche.
Durante l'intervista, inoltre, ha ribadito pi volte che i rumeni non sono tutti delinquenti
e che la vita degli immigrati che arrivano in Italia pu essere davvero difficilissima. La
sua voglia di raccontare e raccontarsi mi ha colpita. Quando ci salutiamo le porgo la
mano, lei me la stringe e mi chiede se pu baciarmi. Poi aggiunge che posso passare a
trovarla quando voglio.
141
142
(v. Cap. 6.2), mentre le altre quattro hanno imparato sul campo e hanno frequentato al
pi qualche conferenza o breve corso sulla mediazione culturale disposti dall'Ausl di
competenza.
L'aspetto certamente pi forte che risulta dalle interviste quello che riguarda il
rapporto umano con il paziente straniero e il grande dispendio di energie, da un punto di
vista psicologico ed emotivo, richiesto alle mediatrici che, pur sottopagate e in
situazioni di forte stress, sono impegnate in prima linea a svolgere un compito tutt'altro
che semplice.
CAPITOLO 6
La regione Emilia-Romagna
6.1
In questa sezione ci occuperemo di fornire una breve sintesi sull'attuale situazione della
Regione in quanto a flussi migratori e presenza di cittadini stranieri sul territorio
regionale e presenteremo in questa sede alcuni dei dati pubblicati nel decimo rapporto
sull'immigrazione straniera nella Regione49.
Il rapporto reca l'introduzione di Anna Maria Dapporto, Assessore alla Promozione delle
politiche sociali e di quelle educative per linfanzia e ladolescenza, Politiche per
limmigrazione, Sviluppo del volontariato, dellassociazionismo e del terzo settore della
Regione Emilia-Romagna, ed stato pubblicato nel 2010 facendo riferimento ai dati
dell'anno 2008. Come scrive l'Assessore A. M. Dapporto:
Negli ultimi anni, le politiche regionali in materia di immigrazione hanno mirato alla
realizzazione di azioni organiche, multisettoriali, al fine di trovare risposte adeguate a
un fenomeno divenuto strutturale per la nostra societ. () Nel corso del 2008 gli
immigrati stranieri in regione hanno oltrepassato le 421.000 unit e il 9,7% della
popolazione residente, allineandosi a quanto avviene nel resto del continente: la media
europea , infatti, superiore al 9% e nei paesi dellEuropa centrosettentrionale essa
49
Vedi Bibliografia
143
144
nel 2009, continuata una decurtazione del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali
dopo quella avvenuta nel 2005; questi tagli mettono in difficolt le politiche della
Regione e degli enti locali sullintegrazione, mancando anche un quadro di riferimento
di programmazione nazionale.
Gli immigrati sono sempre pi, ed in maniera crescente, utenti dei servizi di welfare
della regione: non soltanto nel campo delle politiche sociali, ma anche di quelle
sanitarie, scolastiche, lavorative, abitative, ecc Per la prima volta nel corso del 2009,
il lavoro dellOsservatorio regionale sul fenomeno migratorio si arricchito di un
importante elemento: uno studio sul gettito contributivo e fiscale dei lavoratori
immigrati. anche per questo motivo che limmigrazione rappresenta una risorsa per la
nostra comunit, una possibilit di crescita e di arricchimento per tutti, nellambito di un
quadro di regole condivise.
Passiamo ora ai dati relativi all'immigrazione straniera nella Regione comparandoli al
quadro dell'immigrazione nazionale ed europea.
Secondo le Nazioni Unite sono pi di 200 milioni i migranti nel mondo ovvero, circa il
3% della popolazione mondiale dimora abitualmente in un paese diverso da quello in
cui nato. Si tratta di un fenomeno difficile da misurare poich caratterizzato da una
grande rapidit di evoluzione, da una grande mobilit anche allinterno del territorio
italiano, da una componente di lavoro sommerso e pi in generale dalla clandestinit;
tanto difficile da misurare quanto necessario da capire, anche attraverso i numeri,
delineandone i tratti caratterizzanti.
Una stima della popolazione straniera regolarmente presente sul territorio possibile
integrando le informazioni contenute nellarchivio dei permessi di soggiorno in corso di
validit gestito dal Ministero dellInterno e nellarchivio dei residenti con cittadinanza
straniera gestito dallIstat in collaborazione con le anagrafi comunali.
Anche nello scenario di crisi economica e occupazionale delineatosi nel corso del 2008
limmigrazione in Italia non ha arrestato al sua crescita. Secondo la Caritas/Migrantes50
in Italia i soggiornanti stranieri sono passati dai 500.000 di fine anni ottanta ai circa
4.330.000 della fine del 2008 di cui 3.891.295 iscritti in anagrafe.
La Caritas/Migrantes aggiunge che se si tiene conto del fatto che la regolarizzazione di
settembre 2009, pur in tempo di crisi, ha coinvolto quasi 300mila persone nel solo
50
145
146
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/product_details/publication?p_product_code=KSHA-09-001
147
148
notare anche il quarto posto occupato dalla comunit cinese nelle province di Rimini,
Forl-Cesena e Reggio Emilia, dai senegalesi nella provincia di Ravenna, dagli ucraini
in quella di Ferrara, dai filippini a Bologna e dai macedoni a Piacenza.
Questa breve panoramica sul quadro dell'immigrazione straniera in Emilia-Romagna
estremamente utile per comprendere pi a fondo il contesto nel quale si situano i servizi
di mediazione culturale predisposti dalla Regione. Come emerso dalle testimonianze
delle mediatrici intervistate, spesso le lingue di mediazione presso le strutture sociosanitarie regionali rappresentano solo le lingue maggiormente diffuse; a fronte della
grande variet dei flussi di immigrazione che caratterizzano il territorio della Regione,
in alcuni casi il servizio di mediazione culturale risulta pertanto insufficiente rispetto
alle lingue cosiddette minoritarie e ai rispettivi parlanti che, come tutti i cittadini
stranieri, dovrebbero poter usufruire di tale servizio.
6.2
In questa sezione cercheremo di delineare l'attuale situazione della regione EmiliaRomagna rispetto alla figura del mediatore linguistico-culturale e alle politiche regionali
che regolano tale profilo professionale, in particolare facendo riferimento al processo di
definizione di questo ruolo avvenuto fra il 2004 e il 2005. Prima per, opportuno
fornire una breve descrizione del quadro normativo italiano in merito al tema
dell'immigrazione per poi focalizzare l'attenzione sulla legislazione regionale.
Da un punto di vista normativo, cos come descritto da Camilotti e Sebastianis (in Luatti
2006), il termine mediatore stato utilizzato per la prima volta dal Ministero della
Pubblica Istruzione nella circolare n. 205 del 26 luglio 1990 Accoglienza ed
organizzazione scolastica degli alunni stranieri, in cui si parla dell' impiego di
mediatori di madre lingua per agevolare la comunicazione nell'ambito scolastico e nella
comunicazione scuola-famiglia, nonch [dell'] utilizzo di esperti di madre lingua per
attuare le iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d'origine, senza per
definirne il ruolo, le competenze e i requisiti. Fino a venti anni fa, dunque, la
mediazione culturale stata relegata ad una posizione marginale ed accessoria, priva di
149
un assetto strutturato che ne stabilisse i caratteri sotto il profilo normativo. Ma solo nella
legge 40/98 (Legge Turco-Napolitano), in seguito confluita nel Decreto legislativo
286/9852, si fa riferimento per la prima volta al mediatore come figura qualificata.
L'ambiguit della terminologia utilizzata, tuttavia, rende la definizione del mediatore
qualificato ancora piuttosto farraginosa, poich si parla di mediatori culturali
qualificati e di mediatori interculturali, senza esplicitarne le eventuali differenze
(Ibid.)53
Secondo quanto scrive Fiorucci (in Luatti 2006) utilizzando toni piuttosto forti per
esprimere il proprio disappunto, la legge sull'immigrazione attualmente in vigore, Legge
Bossi-Fini del 30 luglio 2002, n.189, sembra caratterizzarsi per almeno due aspetti
principali:
150
legge quadro sull'immigrazione, la Legge n. 40 del 6 marzo 1998 (Legge TurcoNapolitano), la quale, nonostante i limiti e gli elementi controversi54 che mostrava,
presentava alcuni aspetti innovativi gi nel titolo Disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero:
-
non parlava pi di norme urgenti in materia di immigrazione, quasi a voler prendere atto del
carattere non pi transitorio dell'immigrazione nel nostro paese;
non faceva riferimento esclusivamente alla dimensione lavorativa dell'immigrato, parlando per la
prima volta di condizione dello stranieroe prendendo in considerazione una vasta gamma di
aspetti tra loro interrelati per giungere all'acquisizione del pieno diritto di cittadinanza (casa,
lavoro, assistenza sanitaria, istruzione, formazione e riqualificazione professionale, possibilit di
accesso ai servizi)
presentava un articolo, art. 36 Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale, che per la
prima volta in una legge italiana introduceva il concetto di educazione interculturale, con
riferimento alla figura dei mediatori culturali (senza per regolamentarne la qualifica e la
formazione).
Fiorucci si riferisce qui alla questione delle impronte digitali e alla situazione dei Centri di permanenza
temporanea (CPT) italiani: ICPT , istituiti con la legge Turco-Napolitano e mantenuti in vita e rinforzati
nella loro funzione repressiva dalla Legge Bossi-Fini, rappresentano dei veri e proprio lager dove
vengono sospesi tutti i diritti (Fiorucci in Luatti 2006: 107)
151
La nuova legge regionale si configura quindi come strettamente collegata al tema della
mediazione interculturale e la Regione Emilia-Romagna stata la prima regione italiana
a legiferare in materia di politiche per l'integrazione dei cittadini immigrati dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione55 e dopo la modifica della normativa nazionale
55
Con la legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 viene riformata la parte della Costituzione
riguardante il sistema delle Autonomie Locali e dei rapporti con lo Stato. La riforma comporta la
revisione degli articoli 114-133 della Carta Costituzionale. Attraverso la conferma di alcuni articoli,
labrogazione di altri e la modifica di altri ancora, viene cambiato in profondit lordinamento
istituzionale della Repubblica.
Quanto alla organizzazione istituzionale, il nuovo testo dellarticolo 114 (il primo del Titolo V), secondo
una logica di equiordinazione, indica che la Repubblica (intesa come Stato-ordinamento) costituita da
152
(approvazione del D.Lgs. 286/98) e delle sue successive modifiche previste dalla L.
189/2002.
Come argomentano Facchini e Martelli (2006), l'approvazione di una nuova normativa
regionale si rendeva necessaria per almeno tre ragioni:
La nuova legge regionale per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri, LR n. 5 del 24
marzo 2004, Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati.
Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2 (v.
Appendice), nata dunque per promuovere e garantire una maggiore coesione sociale
tra nuovi e vecchi cittadini residenti sul suolo italiano e prevede attivit di mediazione
culturale al fine di:
garantire per i cittadini stranieri immigrati pari opportunit di accesso all'abitazione, al lavoro,
all'istruzione ed alla formazione professionale, alla conoscenza delle opportunit connesse connesse
strutture paritetiche, senza distinzione tra livelli gerarchici: Comuni, Province, Citt metropolitane,
Regioni e Stato (inteso come Stato-persona) Larticolo 114 prevede, inoltre, il riconoscimento
costituzionale della funzione di capitale della Repubblica per la citt di Roma. In considerazione della
nuova forma di Stato decentrato, i nuovi importanti compiti costituzionali della capitale saranno
disciplinati con legge dello Stato.
La rilevanza del nuovo orientamento federalista si manifesta, in particolare, nella inversione, disposta con
il nuovo testo dellarticolo 117, della enunciazione delle materie di competenza esclusiva, che pone
implicitamente come pi rilevante la competenza regionale rispetto a quella statale. Il secondo comma di
tale articolo, infatti, definisce lambito di materie in cui deve essere esercitata la potest legislativa
esclusiva da parte dello Stato; nel vecchio testo erano, invece, stabilite in modo esplicito le materie di
competenza regionale. Il comma successivo indica le materie concorrenti, sulle quali, tuttavia,
liniziativa legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla normativa dello Stato. Il comma 4, infine, attribuisce alle Regioni la potest legislativa
residuale, cio relativamente a ogni materia non espressamente riservata allo Stato. () Secondo il
principio di sussidiariet, che attribuisce le funzioni al livello pi basso di governo, lambito regionale,
con la riforma, divenuto quello legislativamente pi rilevante, mentre ai Comuni (articolo 118) spettano
le funzioni amministrative. (Espa e Felici 2003:29:30, v. http://www.isae.it/ra_fed_cap3_2003.pdf )
153
all'avvio di attivit autonome ed imprenditoriali, alle prestazioni sanitarie ed assistenziali [e, rispetto
all'assistenza sanitaria afferma che] la Regione promuove, anche attraverso la Aziende sanitarie, lo
sviluppo di interventi formativi destinati ai cittadini stranieri immigrati ed attivit di mediazione
interculturale in campo socio-sanitario, finalizzati ad assicurare gli elementi conoscitivi idonei per
facilitare l'accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari. (artt. 1 e 13)
Con la delibera
V. http://bur.regione.emilia-romagna.it/bur/area-bollettini/n.-132-del-07.10.2010/adeguamentoed-integrazione-degli-standard-professionali-del-repertorio-regionale-delle-qualifiche/allegato-1_schedemonografiche
154
corsi di 500 ore, con una quota di ore di stage pari almeno al 35-45% del monte
ore complessivo, rivolti a giovani non occupati, che hanno concluso un percorso
di istruzione e formazione con il conseguimento del relativo titolo finale;
155
favorire:
la promozione all'approccio interculturale attraverso una serie di possibilit operative con lo scopo di
conoscere e valorizzare gli apporti culturali diversi al fine di costruire assieme nuove solidariet, nuove
comunit socialmente coese in una logica di pari opportunit di diritti e di rispetto dei doveri socialmente
definiti. (citato da Camilotti e Sebastianis in Luatti 2006:218)
http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/news/2008/dicembre/17_immigrazione
pp.htm
156
lavoro e il sistema formativo per cui, ad oggi, le cooperative o associazioni che erogano
servizi di mediazione linguistico-culturale non hanno alcun vincolo che le porti ad
impiegare mediatori qualificati, come succede invece per le professioni sociali
ufficialmente regolamentate. Un altro punto di divaricazione, infine, dato dai corsi
universitari da una parte, e dai corsi di formazione professionale dall'altra. Come spiega
Piccinini (in Luatti 2006:104):
Da un lato abbiamo giovani interessati a lavorare nel settore del management interculturale con nozioni
raffinate di sociologia, antropologia, psicologia, dall'altro abbiamo adulti stranieri, principalmente donne,
che hanno vissuto a loro volta un'esperienza di migrazione, sono portatori del loro patrimonio linguistico
e culturale d'origine e sanno dialogare con la societ italiana e i servizi diversi. (...) Rischiamo di trovarci
in una situazione dove ci sono mediatori culturali italiani, laureati, che lavorano per le pubbliche
amministrazioni e gestiscono il lavoro della manovalanza composta da mediatori interculturali stranieri.
6.3
v.
http://ermes.regione.emilia-romagna.it/ermes/notizie/copy_of_attualita/luglio/pronto-il-primocensimento-sui-mediatori-interculturali/Ricerca_Mediatori_in_E-R_-web.pdf
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158
159
CAPITOLO 7
Conclusioni
Al termine del lavoro di indagine sin qui presentato si propongono ora alcune note di
sintesi e considerazioni conclusive.
Abbiamo iniziato la nostra analisi partendo dal ruolo normativo attribuito allinterprete
per i servizi pubblici, o community interpreter, e abbiamo quindi presentato il profilo
teorico che la letteratura e gli studiosi della materia conferiscono a questa figura
professionale. Una volta prese le distanze dalla concezione meccanicistica
dellinterpretazione, spesso sminuita da antichi luoghi comuni che la equiparano alla
mera decodificazione e codificazione linguistica, ci siamo soffermati sulla natura
dialogica, sociale e contestuale dellevento mediato. Considerare la lingua come un
sistema di relazioni complesso che rispecchia il modello cognitivo della cultura nella
quale immerso costituisce un presupposto fondamentale per comprendere la
comunicazione interlinguistica e interculturale. Linterpretazione non consiste dunque
nellassociazione automatica di termini corrispondenti fra lingue diverse, ma significa
piuttosto rielaborare il messaggio originale in unaltra lingua e cultura cercando di
conservarne il pi possibile la natura semantica e pragmatica. Le leggi della matematica
non appartengono quindi alluniverso della mediazione linguistica e linterpretemediatore, ben lontano dallimmagine di scatola parlante o condotto fra i locutori
primari, chiamato a svolgere un compito che richiede grandi capacit comunicative,
oltre che propriamente tecniche, e una grande preparazione professionale. Competenze
linguistiche, culturali, tecniche, mnemoniche e professionali costituiscono cos il
bagaglio necessario allinterprete o mediatore linguistico-culturale nellambito dei
servizi pubblici.
Proseguendo nella nostra analisi, abbiamo poi osservato il ruolo attivo e partecipante di
questa figura durante lo svolgersi della comunicazione mediata; il pas-de-trois nel
quale gli interlocutori primari e linterprete sono coinvolti rappresenta un lavoro di
concertazione e co-partecipazione di cui linterprete il vero perno centrale. Stabilire
cosa e come tradurre, regolare e condurre linterazione fra parlanti di lingue diverse,
rapportarsi al contesto situazionale e allo status relativo dei partecipanti, considerare le
160
161
162
una spinta propulsiva allevoluzione dei servizi gi esistenti e alla nascita di nuovi.
Come spiega Rudvin (2005), infatti, anche la storia dellimmigrazione nel nostro Paese,
fra i vari fattori, ha contribuito a plasmare la situazione odierna e le sue peculiarit
rispetto a paesi di pi lunga tradizione migratoria quali U.S.A., Regno Unito, Canada e
Australia; in Italia il coinvolgimento delle associazioni di volontariato e della Chiesa (in
particolare attraverso la Caritas) molto pi forte che in altre realt nazionali, mentre a
livello governativo si registra un intervento meno incisivo sulle politiche che riguardano
lintegrazione della popolazione immigrata. Questo ha dato origine ad una tendenza
allassistenzialismo nei confronti dellimmigrato che ha portato poi a preferire il
concetto di mediatore rispetto a quello di interprete.
Tornando alla nostra analisi, comparando la griglia teorica delineata nella prima sezione
del lavoro con lindagine e la presentazione di dati empirici della seconda, si riscontra
una relazione dicotomica fra la figura normativa dellinterprete-mediatore e quella
concretamente osservata nella pratica. Da una parte si prescrive un ruolo fin troppo
asettico e distaccato dalla realt interazionale dellevento mediato, dallaltra si rileva un
grado di partecipazione del mediatore interculturale che rischia di sfociare nella
prevaricazione dei partecipanti primari.
Forse dosare e miscelare le caratteristiche delluno dellaltro potrebbe essere una giusta
soluzione, ossia, modulare la razionalit e il rigore scientifico del ruolo normativo con
la partecipazione empatica e spesso auto-gestita del ruolo effettivo. Di certo, questo
sarebbe
possibile
soltanto
raggiungendo
un
livello
di
standardizzazione
163
164
Ringraziamenti...
Un ringraziamento speciale alla Prof.ssa Rudvin per aver nutrito il mio interesse verso
la mediazione linguistico-culturale e per aver stimolato una curiosit che mi ha portata a
conoscere realt nuove e affascinanti. Grazie a Sadia, Aziz, Dhouha, Nadia, Khira, Sun
e Cecilia, le mediatrici culturali che hanno accettato di rispondere alle mie domande
raccontandosi con grande generosit e dedicandomi tempo preziosissimo.
Grazie ai miei genitori che mi hanno sostenuta durante tutto il percorso di studi e grazie
a mio fratello Giacomo che mi ha pazientemente accompagnata durante le trasferte per
realizzare le interviste. Infine, grazie a Giulio che in questi mesi mi ha incoraggiata e
consigliata nella progettazione del mio lavoro.
165
Bibliografia
166
167
168
Web-sites
-
www.ausl.re.it/HPH/FRONTEND/Home/DocumentViewer.aspx?documentid=799
www.caritasitaliana.it
www.coopcamelot.org/
www.coopintegra.it
www.ec.europa.eu/policies/index_en.htm
www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/home/immigrazione/Os
servatorio/Dati_i mm2009/Par3/volumeImmigr_dati2008_leggero.pdf
www.ermes.regione.emilia-romagna.it/notizie/copy_of_attualita/luglio/pronto-ilprimo-censimento-sui-mediatori-interculturali
www.imiaweb.org
www.informafamiglie.it/emiliaromagna/lugo/salute-bambini/salute-donne-ebambini-extracomunitari-e-migranti/assistenza-sanitaria-per-stranieri-insoggiorno-temporaneo/user_view
www.isae.it/ra_fed_cap3_2003.pdf
www.lacosapsy.com/DRAGOEFENICE.pdf
www.lex.iaconet.com/diritto_amministrativo_lex.bossi.fini.artt.1_12.htm
www.mediatoreinterculturale.org/
www.mediazionebologna.com/amiss/progetti.htm
www.mediazioneculturale.it
www.meltingpot.org/articolo4167.html
www.meltingpot.org/articolo857.html
www.policlinico.mo.it
www.saluter.it/news/regione/il-primo-rapporto-sulla-mediazione-interculturale-inemilia-romagna
www.sokos.it/
169
APPENDICE
170