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Zuppiroli Milena

matricola 00003049664
corso di studi: specialistica in pedagogia
Tesina fotografica per sociologia del territorio
Docente Ghigi Rossella
anno 2008/2009

“Tutto inizia da chi a fede in cui crede e negli originatori si ritiene


l’erede. Non è questione di spazi ma di come ti poni rispetto agli
altri, nel rispetto degli altri. Con i muri davanti, con la notte
amica, non per forza vandali, non li giudicare guardali,
comprendili, capisci che è un mondo complesso con le
bombolette di colore acrilici. E’ una gioventù bruciata ma
l’idealismo latente comprende gente che se ne intende di
strada. Chi la guarda distratta ne comprende solamente il dieci
percento e il resto l’ha dimenticata, se quel treno porta in giro
un nome che in ogni stazione viene colto come abbellimento
del vagone è una cultura che cresce e detta le regole sempre
valide per un flusso che riempie. Con gli spray, e vai nella city
che riempie di colore i muri grigi, chi compra bombolette di
vernici, dal grafico si arriva all’underground ….”
(canzone rep di D.J. e repper Zesta tratto da – Documentario
realizzato dall'Ufficio Giovani del Comune di Bologna nell'ambito
del progetto "Ricoloriamo insieme Bologna Off The Wall").

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PARTE I
CENNI STORICI DEL GRAFFITO – WRITING E DELLE
SUE ORIGINI

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CENNI STORICI DEL GRAFFITO – WRITING E DELLE SUE ORIGINI

Il termine graffiti proviene dal verbo greco “γραφειν" che significa scrivere.
Originariamente designava l’incisione preistorica, la scritta rupestre oppure i segni trovati
nell’architettura della Roma antica. Solitamente confusi con i murales i graffiti si discostano da questi ultimi per
il loro utilizzo e significato. Il murales infatti, termine di origine spagnola, proveniente dal Messico dei primi
decenni del novecento indica una composizione artistica astratta di ampie dimensioni su muro, utilizzato
utilizzata per
esprimere messaggi politici e sociali marxisisti, richiesti su commissione e realizzati su spazi preparati ad ok
(http://www.poust.cz/Data/files/Graffiti%20come%20una%20sfida%20pastorale.pdf – PEŠEK Jiří). I graffiti invece
sono fenomeni artistici e sociali strettamente connessi all’ambiente urbano del ventesimo secolo: denominati
più precisamente come writing o Graffiti writing rappresentano “una manifestazione sociale, culturale e
artistica” (Baldieri, 1990) diffusa globalmente attraverso cui esprimere la propria creatività tramite interventi
diretti sul tessuto urbano ( http://wikipedia.org/Graffiti_writing ). La città diventa il supporto su cui imprimere
significati socio-culturali, personali e artistici, una tela vivente tramite cui dare forma e visibilità a ciò che si
vuole comunicare o, dal punto di vista psicologico, al mondo interiore di ogni individuo in un determinato
momento storico e culturale. Associato spesso ad atti di vandalismo, il writing si concretizza nell’azione dello
scrivere il proprio nome sui muri della città, una pratica che nel tempo è esplosa evolvendosi in quelli che noi
tutti oggi possiamo osservare: disegni, scritte artistiche dai connotati tipografici, applicazioni grafiche e
artistiche sulle strutture architettoniche cittadine.
Le radici del writing posso essere rintracciate nel contesto sociale americano degli anni sessanta, in
particolare l’arte dei graffiti nacque e si evolse nei sobborghi newyorkesi degradati dei quartieri
prevalentemente ispanico-americani come forma di protesta e di comunicazione, attraverso cui le giovani
generazioni cercarono di far conoscere “alla città” la propria esistenza, “il proprio nome”, caratterizzandosi
come “attività” utile per delimitare un territorio urbano controllato da uno specifico clan. I graffiti, infatti,
fenomeno da sempre esistente, trovarono proprio in quegli anni una crescita tale da divenire, col passare
degli anni, un vero e proprio movimento sociale rappresentato dalle Tags, nel gergo firme dei grafittisti, la
prima forma espressiva del writing, il seme attraverso cui è possibile identificare l’artista, il suo stile, il territorio
urbano. La creatività e la voglia di comunicare si espresse in quegli anni grazie all’alfabeto e alla città stessa:
muri, edifici, vagoni del treno e della metropolitana si trasformarono in tele a cielo aperto su cui milioni di
giovani dipinsero il loro nome, o il loro pseudonimo d’arte.
Ma come iniziò concretamente questa nuova forma di arte e di comunicazione?
Secondo diverse fonti (Lucchetti D., 1999; www.liceopertini.net; http://wikipedia.org; Baldieri I., 1990) l’evento
decisivo che consentì al writing di diffondersi socialmente consacrandolo a livello storico, coincise con
l’apparizione, il 21 luglio 1971, di un articolo sul New York Times, che aveva come protagonista Taki 183, un
giovane americano che nel giro di un anno bombardò letteralmente i muri della città newyorkese con il
proprio nome, ispirandosi ad una firma ricorrente comparsa alla fine degli anni sessanta per le strade di Upper
Manhattan “Julio 204” (Lucchetti, 1999), ma aumentando considerevolmente le dimensioni delle lettere, per
evitare di passare inosservato. La storia di Taki e della sua firma ebbe una diffusione e un impatto inaudito tra i
giovani, tanto da trasformare questa inusuale pratica in un’attività per lo più clandestina e competitiva tra i
ragazzi americani, la cui maggioranza scelse in particolare gli spazi abbandonati e fatiscenti delle periferie
urbane come supporto su cui imprimere il propri nome. Negli anni settanta nacquero, le prime Crews1, bande

1
Più precisamente secondo Brighenti e Regellin (2006, p. 377) “Le crew sono gruppi di writer che si consociano sotto un nome, spesso una

sigla, rappresentativa dell’operato di tutti.”


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di giovani ragazzi e ragazze che, muniti di bombolette spray, iniziarono a sfidare l’ordine pubblico, facendo
della “strada” il proprio codice di vita; un codice per altro capace di demolire pregiudizi, di abbattere le
discriminazioni e di andare oltre la diversità socio – culturale: non esistevano differenze di pelle, di origini e di
stato sociale, le crews rappresentano una vera e propria famiglia (o banda) il cui obiettivo principale era
quello di diffondere il più possibile per la metropoli il proprio nome acquistando così prestigio e rispetto. Le
crews possono rappresentare dal punto di vista etno-sociologico un “piccolo gruppo, che non può crescere
oltre un certo limite, orientato verso il raggiungimento di una meta comune, o persino, con in mente una sola
cosa.” (Canetti, 1960).
Nello specifico in Italia le crews di writer si sono sviluppate anzitutto come gruppo di “attori territoriali” ognuno
caratterizzato rispetto all’altro da un proprio stile artistico particolare. Spesso la funzione di questi gruppi,
soprattutto oggi, è quella di legare writers che operano (e operavano) in modo sparso sul territorio, all’interno
di spazi cittadini diversificati e spesso distanti. A questo proposito secondo la ricerca etnografica condotta da
Andrea Brighati e Michele Reghellin (2006) si tratta di un fenomeno oggi in crescita: le crews italiane del XXI
secolo si costituiscono in definitiva come un luogo deteritorializzato capace di creare un ponte e uno zona di
scambio tra writers sia a livello culturale che a livello sociale; sono crews non urbane, non strettamente
dipendenti cioè dal contesto territoriale cittadino e di quartiere, dove writers di città diverse possono da un
lato ritrovarsi a dipingere insieme, dall’altro costruire legami affettivi e relazionali solidi e forti. In questo senso
credo che il writing oggi in particolare nel contesto italiano, svolga tra i giovani una forte funzione di coesione
sociale promuovendo la collaborazione, incentivando la nascita di legami solidali e costituendo occasioni di
incontro e di aggregazione spontanea tra soggetti differenti. Il writing si riteritorializza così nel locale,
accorciando distanze geografiche, temporali e culturali. In Italia assistiamo sempre più spesso ad eventi e
iniziative in cui i writers gareggiano, giocano e si ritrovano. Il writing, infatti, nacque anche come “possibilità
implicita” attraverso cui riappropriarsi della città, dei contesti urbani “dimenticati”, a cui ridare un volto e un
significato. Luoghi vuoti da riempire, da decorare da vivere concretamente, forse per fuggire alla noia della
routine quotidiana, o se vogliamo un mezzo di comunicazione urbano attraverso cui emergere, venire
apprezzati, dare forma alla propria voce, troppo spesso lasciata ai margini. Il writing aiutò molti giovani a
uscire dall’anonimato e a trovare nuove forme di espressione e sopratutto di aggregazione spontanea.
Dunque, da questo punto di vista, possiamo anche considerare il writing un potente collante sociale e una
pratica spontaneamente interculturale fin dalle sue origini, se pensiamo a come questa nuova forma d’arte,
all’interno di una società americana gerarchizzata e classista, riuscì a costituire uno spazio di mediazione e di
confronto paritario tra attori sociali differenti per sesso, età, cultura e origini, portando lo scontro tra bande e
gruppi “culturalmente” altri a trovare altri canali di conflitto e di sfida. A questo proposito, Daniela Lucchetti
nel suo libro “Writing. Storie, linguaggi, arte nei graffiti di strada” in cui analizza il fenomeno del writing, la sua
storia e la sua evoluzione, esprime chiaramente il significato più profondo che il writing rappresentò in quegli
anni e che ancora oggi in parte conserva. La ricercatrice, infatti, scrive: “i malati di metropoli devono
macchiare lo spazio che li ha condannati alla morte dell’identità, interferire con le sue forme di
comunicazione e appropriarsi dei suoi spazi per farsi conoscere […].” (Lucchetti, 1999, p. 29). Ecco il fulcro
centrale del writing e delle sue manifestazioni – espressione di identità individuali, sociali e collettive, di periodi
storici e di mutamenti giovanili – il writing si caratterizza al di là delle sue evoluzioni di stile nel corso della storia,
in un fenomeno che ha portato alla ribalta i giovani e il loro bisogno/voglia di comunicare ed esprimersi
attraverso nuovi strumenti e mezzi che rispecchiassero pensieri, ansie e delusioni per riappropriarsi di luoghi
anonimi ormai lontani dal poter rappresentare spazi veri di partecipazione e crescita in cui formare e giocare
con la propria identità.

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La città per eccellenza rimane da sempre l’oggetto di contesa tra soggetti, ma certamente l’arte e le sue
forme di espressione in quegli anni determinò uno scontro maggiormente pacifico e dialogante tra comunità
differenti. Come ricordato in precedenza, infatti, le crews non si caratterizzarono come bande composte da
soggetti portatori di valori e radici culturali similari, ma di giovani, anche molto diversi tra loro uniti dal desiderio
di riappropriarsi dei contesti cittadini esprimendo la propria identità come singoli e come gruppo attraverso
l’arte di strada2.
L’evoluzione dei graffiti – writing, chiaro segno di ribellione nei confronti delle regole sociali3 e dei valori
edificanti della società americana, coincise così anche con una progressione degli stili e dei segni grafici
attraverso cui fare writing (Lucchetti, 1999).
Sul finire degli anni settanta compaiono i primi veri e propri “pezzi” caratterizzati dal wild style
(http://it.wikipedia.org/wiki/Graffiti_writing#Origini_del_Graffiti_Writing) uno stile di writing evoluto in cui le
lettere arrivavano ad intrecciarsi e fondersi tanto da non essere più riconoscibili agli occhi dei meno esperti,
spopolando nelle città, soprattutto nelle metropolitane e sui vagoni dei treni. E’ proprio questo il periodo delle
guerre e delle lotte più intense tra crews, dalla guerra newyorkese delle linee, in cui ogni writer “mandava” se
stesso nei quartieri avversari dipingendo la tag del proprio pseudonimo sui vagoni dei treni per dominare i
percorsi ferroviari, alla guerra di stile per sfidare se stessi e gli altri nella ricerca e nella sperimentazione di
lettere e modalità artistiche sempre nuove e d’impatto (www.inward.it/portfolio-evoluzioni-inward.pdf). Il Wild
style quindi, nato dall’innovazione e dallo scontro tra crews, integrava in sé idee grafiche ed artistiche
introdotte pian piano dai writers di quegli anni: le lettere paffute e squadrate con dimensioni enormi sui treni
introdotte nel 1972 da Super Kool; lo sfondo a forma di nuvola chiamato cloud, sperimentato per la prima
volta da Phase II e più tardi modificata tramite contorni festosi e bordi simili a fiamme da Tracy 168 e RC-162,
l’utilizzo di più colori, di forme grafiche e fumettistiche, la sperimentazione, le lettere in 3D, la connotazione
politica dei messaggi ecc. (Lucchetti, 1999). Non si tratta più di firme e scritte,ma di immagini grafico-artistiche
allungate, disegnate con spruzzi di colori, con caratteri simili a quelli in tre dimensioni che divamparono in città
per rompere la noia quotidiana, aprendo la strada all’areosol art, tecnica pittorica realizzata attraverso l’uso
della bomboletta spray con applicazioni pittoriche aerografiche ( http://www.urbanvisionproject.org/ ).
Eppure lo sviluppo artistico e creativo del writing e la sua evoluzione stilistica, coincise contemporaneamente
con l’adozione da parte delle autorità delle prime misure repressive nei confronti dei graffitti-writing: mentre il
fenomeno balzava alle cronache e diventava oggetto di studi sociologici universitari, pesanti misure di
repressione vennero approvate per punire i writers e per ripulire i vagoni della metropolitana provocando
però un effetto contrario e inaspettato: vagoni e metrò potevano così essere nuovamente colpiti con più
tranquillità.
Il writing americano continuò, pertanto, la sua inarrestabile crescita caratterizzata dall’obiettivo condiviso da
moltissimi writers di divenire a tutti gli effetti graffiti artists, attraverso un passaggio quasi obbligato del writing
verso tappe di legalità e di collaborazione con le istituzioni locali. Il primo esempio di ciò fu segnato dalla
nascita dell’unione dei writers artisti (UGA) nata per volere di Hugo Martine, sociologo alla City College, deciso
a strappare gli artisti alla vita di strada e fare della loro arte uno
un studio. L’impresa dell’UGA si concluse
negativamente per le difficoltà di conciliare, all’interno dello spazio urbano, autorità e creatività. Fu
comunque un’esperienza significativa che segnò il successivo sviluppo del writing degli anni '80,
80’,

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Bisogna comunque ricordare che, come ogni fenomeno, questo appena descritto è solo una mia interpretazione parziale, una delle tante
sfaccettature che caratterizzano la complessità del writing. Non possiamo dimenticare come gli scontri con l’ordine pubblico, l’illegalità e la
lotta tra bande, sono aspetti fondamentali insiti nelle radici del writing e nelle sue successive evoluzioni.
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L’idea del writing come fenomeno legato alla devianza e ai gruppi sociali marginali e poveri è sicuramente una concezione parziale, tipica
delle prime origine del writing nato nelle zone metropolitane del Bronx e analizzato in questa senso dagli studi sociologici più classici iniziali
(vedi capitolo successivo).
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consacrandolo come vera e propria arte grazie alle diverse mostre all’interno delle gallerie d’arte di Soho a
cui gli artisti della UGA parteciparono dal 1974 al 1975 prima di sciogliersi definitivamente (Lucchetti D., 1999).
Anche l’esperienza culturale e artistica del Bronx influenzò l’arte dei graffiti americana e la sua maturazione.
L’organizzazione d’arte nata nel 1962, Bronx Cuncil on the Arts, sostenne lo sviluppo culturale del quartiere
incrementando la fioritura negli anni '80
80’di numerosi progetti per scuole, biblioteche, parchi ecc… nella
speranza di ridare al Bronx un nuovo volto, strappandolo dall’ormai diffuso stereotipo di sobborgo ghettizzato.
L’idea riuscì a concretizzarsi grazie alla presenza di molti artisti che fecero di quella zona la loro casa di
ispirazione. In particolare la figura decisiva, che rese possibile ciò, fu Stefan Eins fondatore di Fashion Moda,
organizzazione mondiale d’arte, che rappresentò e tutt’oggi rappresenta, un ambiente dinamico aperto alla
collaborazione collettiva e cooperativa di persone legate dalla fantasia e dalla creatività, caratterizzato dal
desiderio di comunicazione e scambio; una porta aperta a tutti su tutto il mondo. La “galleria” grazie a John
Ahearn, artista vicino ai writers e residente nel Bronx, si espanse nella nuova coalizione CoLab, Collaborative
Projects, la cui finalità principale fu quella di rappresentare l’esperienza e l’emozione della strada tramite
l’arte, quella che nasce dall’illegalità, dalla quotidianità, dai conflitti e dagli scambi (Lucchetti, 1999). In
questo modo le periferie urbane acquistarono significato diventando punti centrali e laboratori a cielo aperto
per la città stessa. Il Bronx rinasceva come contesto d'arte metropolitana urbana, riportando al centro i
margini, mescolando razze, valorizzando le differenze, aprendo nuove strade e possibilità per chi ancora non
ne aveva avuta una, virando i percorsi e le traiettorie esistenziali già scritte per coloro che, nati nei ghetti,
erano intenti a superare gli stenti che la vita riservava loro. Anche il writing naturalmente si intrecciò alla nuova
fucina artistica del Bronx. Tramite Fashion Moda molti writers iniziarono a muovere i primi passi verso la legalità
portando le proprie opere, all’interno di esposizioni e mostre fotografiche. Tuttavia, non ostante la positività di
quelle esperienze il mondo dei writing, ieri come oggi, si divise in due differenti correnti di pensiero
contrapposte: da una parte colore che indignati ritenevano che diventare veri artisti, spingere cioè il writing
verso la legalità rappresentava la negazione della propria appartenenza e delle sue origini rivoltose; dall’altro
coloro che ricercando la qualità artistica e stilistica credevano fermamente nelle nuove sperimentazioni da
galleria, tanto da fare del writing una professione che, nella prima metà degli anni '80, prese piede tramite
Graffiti Production Inc., laboratorio e luogo di vendita di oggetti, magliette e articoli decorati dai graffiti artists
(Lucchetti, 1999).
Fu così che quel writing di periferia, che dalle strade approdò alle gallerie d’arte al mondo della moda e dei
fumetti fino a diventare un vero e proprio business commerciale, si espanse in Europa grazie ad alcuni artisti di
Fashion Moda che sempre nel 1981 produssero il primo video cult sui giovani writers, Style Wars, trasmesso e
diffuso poi nel 1983 dalla PBS. Negli anni ottanta il writing spopolò così in Europa. In particolare Svezia,
Germania, Spagna, Amsterdam e Parigi furono i contesti urbani in cui la corrente artistica attecchì
maggiormente. In Italia, invece, il fenomeno si consolidò in due differenti periodi tra il 1986 e il 1995,
soprattutto nelle città di Milano, Roma, Napoli, Pesaro, Bologna, Bari, Firenze, Torino e Ascoli Piceno
(http://it.wikipedia.org/wiki/Graffiti_writing).
Gli stili e le innovazioni iniziarono anche qui ad evolversi rispecchiando la complessità e le turbolenze
dell’esperienza urbana. In particolare in Italia il writing riuscì ad attecchire e a svilupparsi, seguendo le orme
più fortunate del rap e della musica. Le diverse manifestazioni del writing, infatti, già di per se complesse nelle
forme e nei significati, fanno parte di una vera e propria cultura che riflette a 360 gradi i sentimenti e lo spirito
delle nuove generazioni, quella dell’hip hop, commistione di musica, arte e danza come il rap e la
breakdance nate anch’esse nelle periferie del Bronx. Musica e arte si fondono come pratiche di
competizione in strada e di nuove modalità per vivere e sentire il mondo.

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Luoghi di partenza per lo sviluppo della cultura dell’hip hop e del writing italiano furono i Centri Sociali giovanili
da cui gli artisti partirono per comporre i loro primi pezzi sia in campo musicale che in quello artistico su muro. I
centri sociali permisero la sperimentazione e il perfezionamento degli stili al sicuro dagli occhi vigili della polizia
writers ancora pochi
e nello stesso tempo si configurarono come luoghi ideali di ritrovo e socializzazione tra writing,
Un importante canale di diffusione e di
sulle scene, contribuendo alla formazione delle prime crews. Un’importante
conoscenza reciproca per i writers italiani fu rappresentato dai Books di foto di chi aveva viaggiato, oggi
riviste o magazine specializzati, tramite cui i writers potevano conoscere e scoprire i lavori che erano stati
prodotti a livello europeo e a volte mondiale, specie i progetti mai realizzati che rimanevano solo su carta. Era
un modo questo per copiare gli stili dei colleghi europei e per costruirsene uno proprio. La cultura italiana del
writing, infatti, non avendo ancora consolidato le proprie radici e i propri valori, stentò inizialmente a decollare
poiché pressata da una forte analisi critica generale verso chi veniva accusato di copiare i pezzi definiti “neri”
del Bronx utilizzando significati e rappresentazioni stilistiche che non appartenevano al contesto italiano.
writer Bolognese di quegli
Lucchetti (1999) a questo proposito, riporta la testimonianza di Dayaki, scrittore e writers
anni : “[…] Non possiamo riprodurre il modello americano, non si adatta alla nostra situazione sociale
possiamo però creare qualcosa di nuovo, di italiano, partendo dai motivi di fondo dell’hip hop […]. Inutile
imitare i neri americani, non siamo come loro, comportiamoci da italiani, noi la sera torniamo in famiglia con
la mamma […].” (Lucchetti, 1999)
Fermi nell’anonimato e un po’ in disparte i writers italiani devono anche la loro esplosione artistica agli studi e
alle ricerche universitarie compiute intorno al 1981/82 da una giovane ricercatrice Bolognese, Francesca
Alinovi, per il Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna. L’interesse per questo nuovo fenomeno
ancora di nicchia portò l’Alinovi a pubblicare diversi articoli che avevano come protagonisti i writers. Uno di
questi in particolare, pubblicato su “Flash Art”, dal titolo “Arte di frontiera” rappresentava il writing come la
nuova arte del futuro sulla scia delle esperienze oltre oceano di Fashion Art. Come scriveva la ricercatrice,
infatti, molti writers italiani, specie bolognesi, erano (e sono) giovani studenti di arti visive che superata
l’esperienza scolastica avevano deciso di cimentarsi con quella dell’arte di strada. Francesca Alinovi con il
suo articolo metteva in evidenza un aspetto per me fondamentale del writing italiano: questo, pur non
avendo come abbiamo detto, alla base una cultura valoriale caratterizzante, aveva trovato però la forza di
esistere grazie a chi aveva deciso di provarci nei bassi fondi e nelle periferie operando una scelta culturale,
mettendosi ciò alla pari di coloro che nei ghetti del Bronx vivevano in una condizione socio-culturale dettata
invece da condizioni naturali poco fortunate(Lucchetti, 1999).
Può sembrare una riflessione a primo acchito stereotipata e “razziale”, ma per lo scopo che aveva l’Alinovi si
rivelò giusta al punto da risvegliare gli spiriti dei giovani writers italiani. “Arte di frontiera” accentuò così
l’interesse dell’opinione pubblica verso questa nuova forma d’arte, intensificando la presenza di alcuni spray
artists sulle scene urbane.
emergere nuovi giovani writers, la cultura del writing si consolida,
Gli anni 90’ italiani vedono finalmente emergono
nascono nuovi stili e si genera la competizione tra artisti e l’esplosione del bombing con conseguenti
irrigidimenti delle sanzioni penali e dei progetti di prevenzione. Il writing italiano si fa strada tra polemiche
durissime: atti di criminalità o forma d’arte innovativa? E intanto writing e writers vengo sempre più spesso
spettacolarizzati e utilizzati dai media, loro malgrado, come fonte pubblicitaria o come modalità attraverso
cui indurre loro, appunto i writers, a muoversi verso altri orizzonti più legali e meno “vandalistici”. Nasce sempre
più spesso nell’immaginario collettivo la rappresentazione del “graffitaro” come di colui che è deviante o
criminale; troppo spesso si perde il senso e il valore che il writing porta con sé.

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Questo brevissimo viaggio attraverso la storia del writing non può essere esaustivo, ma ci aiuta a tracciare il
contesto temporale che lo ha portato oggi ad essere ciò che è. Se da un lato l’arte di strada corre di pari
passo con l’illegalità e la protesta, è anche vero che già negli anni settanta diversi furono gli artisti che
cercarono di impegnarsi per trasformare il writing in una vera e propria forma artistica riconosciuta
istituzionalmente e culturalmente,”trasferendolo” pian piano dalle strade alle gallerie d’arte.
Anche oggi come allora siamo di fronte ad un fenomeno denso di contraddizioni: il graffito rimane una forma
artistica adatta per esprimere la propria identità di gruppo o di singolo individuo, per dare voce a ciò che
altrimenti non si potrebbe dire, per riappropriarsi di spazi e luoghi asettici, per rompere noia e monotonia, per
costruire nuovi spazi di aggregazione, nuovi movimenti giovanili in grado di sviluppare una città e una cultura
“dei giovani” o di coloro che vogliono esserne parte. Ma il writing oggi è anche vera e propria arte, uscendo
dai confini dell’illegalità è stata ormai assunta come nuova forma alternativa di espressione, capace di
cancellare stereotipi e pregiudizi, riunendo intorno a se persone provenienti da tutto il mondo. Il fenomeno
artistico “di frontiera”è oggi anche in parte riconosciuto dalle istituzioni, utilizzato come strumento artistico
urbano, come mezzo educativo originale per attirare adolescenti e giovani stranieri di seconda generazione.
Rimane l’ombra dell’illegalità sul quel writing sporco che Pani definisce come un fenomeno “praticato da chi
imbratta i muri con scritte incomprensibili, scarabocchi, parolacce, che si prefiggono unicamente di sporcare
gli edifici; l’obiettivo è solo quello di danneggiare lo scenario del mondo urbano, per il puro piacere di farlo”
(Pani, Sagliaschi, 2008, pp. 90-91). Le tante polemiche, le analisi, le considerazioni sul significato che il writing
ha oggi, dopo l’analisi effettuata forse perdono di spessore. Mi chiedo cioè se il “problema” non sia più che
altro italiano. Come abbiamo visto esso nasce e si sviluppa in Italia, come riflesso di ciò che è diventato nel
tempo in America. Sono due le considerazioni allora da fare. La prima è che il writing è nato in un contesto
differente da questo per motivi e contingenze che hanno spinto le generazioni a combattere per difendere
valori, per raggiungere scopi e obiettivi verso cui credere. I giovani americani degli anni sessanta hanno fatto
delle scritte sul muro inizialmente uno strumento insolito per emergere rispetto ad altri giovani, per esprimersi,
per uscire dall’anonimato e dalla noia, per conquistarsi lo spazio urbano ed esserne parte attiva. Se vogliamo
estremizzare la solita sparatoria o le risse tra bande nei sobborghi poveri americani hanno lasciato pian piano
il posto, o almeno parzialmente, ad altri fenomeni, che proprio in quegli anni si sono caratterizzati attraverso la
cultura dell’HIP HOP, dunque anche dal writing e pian piano questa corrente si è evoluta e ha preso altre
forme anche commerciali. Esisteva però uno sfondo di valori e motivazioni che hanno riempito di significati e
di sostanza quello che si stava facendo e che hanno permesso inseguito a ciò di assumere aspetti e
prospettive differenti. La seconda considerazione legata alla prima, è che senza scopi, motivi e valori di
writer bolognese, è una copia che non si addice
sfondo una cultura non è tale. Come diceva lo scrittore e writing
ne al contesto ne alle persone che la vogliono fare propria, perciò non ha necessità di esistere. In Italia allora
forse il writing rimane più che altro un hobby che ha preso piede assumendo poi valori e significati attraverso
un percorso inverso. Prima è stato praticato e si è diffuso come moda ricalcando ciò che già altri avevano
fatto, poi si è riempito di significati ; anche se leggendo le interviste dei writers rimane per lo più un gioco, un
passatempo, un divertimento, o una modalità alternativa per andare contro le regole. La maggioranza di chi
lo pratica ha studiato in qualche università o scuola d’arte e così via. Ma certamente i tempi sono cambiati e
così forse è impossibile pensare al writing come a quello delle origini … certo rimane il dubbio visto che poi le
mode dilagano anche senza bisogno di grandi scopi e motivazioni da perseguire … Penso allora sia più
interessante a questo punto seguire il percorso inverso attraverso cui si è evoluto il writing italiano e adottarlo
oggi come strumento utile per scopi sociali ed educativi, scoprendo come si mescola nelle città dialogando
con ciò che la dimensione urbana veicola e racchiude in sé.

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PARTE II
PASSEGGIANDO PER BOLOGNA:
UNA RICERCA FOTOGRAFICA TRA QUARTIERI ALLA
RICERCA Dei GRAFFITI-WRITING E DEL LORO
SIGNIFICATO

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Introduzione

Le origini e le radici del writing sono importantissime per capire il significato che questo
fenomeno racchiude in sé. Tuttavia oggi il writing è cambiato nella forma e nei suoi

contenuti valoriali e concettuali: nuovi contesti, nuovi soggetti, mutamenti sociali,


culturali ed epocali trasformano e modificano fenomeni e correnti di ogni sorta; sono mutati i protagonisti e le
città. Ciò che una volta era espressione di protesta e di voglia di emergere oggi, senza comunque scordarsi
delle radici da cui è nato, ha assunto una connotazione nuova adattandosi a quello che i writers di oggi sono,
al contesto e all’epoca in cui tali attori vivono. “I writers italiani degli ultimi due decenni non appartengono a
minoranze etniche deprivate e senza prospettive” (Brighenti, Reghellin 2006, p. 1), ma danno vita ad un nuovo
tipo di writing i cui confini difficilmente possono essere rintracciati, in quanto “spesso si intersecano ad altri
campi, rispetto ai quali – pur tentando di sottrarvisi – non riescono a distinguersi interamente: l’arte e il design
(in quanto opera estetica), il diritto penale (in quanto reato, ex art. 369 del codice penale), la politica (in
quanto messaggio), il mercato (in quanto prodotto), la pubblicità (in quanto concorrente nell’ottenimento
dell’attenzione pubblica), e persino gli hobby.” (Brighenti, Reghellin 2006, p. 371). Secondo Reghellin e
Brighati, ricercatori e autori di “Writing, etnografia di una pratica interstiziale” il writing si sviluppa e prende
forma all’interno degli spazi e degli interstizi lasciati liberi e informi dalle altre discipline. A livello sociale,
aggiungerei che i graffiti emergono e nascono allo stesso modo nelle insenature della città, miscelandosi con
essa a livello visivo e a livello del contenuto di cui sono portatori, contribuendo giorno dopo giorno a
modificare il volto e “il carattere” delle zone urbane.
In particolare, partendo da un’analisi generale del fenomeno graffiti-writing, il mio obiettivo è quello tentare di
cogliere il significato che i graffiti possono avere nel cotesto di Bologna e come il writing si integra o si scontra
con ciò che è il tessuto urbano, ma anche il contrario, ovvero ciò che l’anima della città offre ai graffiti
investendoli di altri significati, prendendo in considerazione i protagonisti della scena cittadina e il loro essere
in bilico tra la legalità e l’illegalità.

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Dall’illegalità all’utilizzo del writing come percorso comunicativo socio-culturale

Tenendo presente che il graffito è di per sé una via di espressione e di comunicazione


artistica, una tecnica pittorica in cui il muro è il supporto e lo spray lo strumento per
realizzare opere (c.f.r intervista Dado e Stefy), possiamo in primo luogo riflettere sui
risvolti psicologici che esso rappresenta, alla pari di ogni altra forma d’arte e di canale
espressivo utilizzato dall’uomo. Riprendendo il pensiero di Freud mi viene spontaneo pensare al graffito come
al famoso iceberg che metaforicamente viene utilizzato per rappresentare il nostro mondo psichico interiore:
la punta dell’iceberg, ciò che a prima vista è visibile, equivale all’insieme di significati consci e conosciuti che
il writer riflette e imprime nel suo intervento sul contesto urbano. L’artista elabora cioè un progetto
grafico/artistico/espressivo con consapevolezza, avendo in mente cosa esprimere e comunicare. Tuttavia,
come è ben noto, nel momento in cui si impegna in questa operazione, agisce contemporaneamente anche
tutto ciò che sfugge al suo controllo: volenti o meno il nostro mondo inconscio emerge e si fa strada all’interno
di ogni possibile artefatto artistico e culturale. Anche nel writing, quindi, significati personali e socio-culturali si
legano, si mescolano. Sempre Freud in uno dei suoi studi sul sogno, ci conduce attraverso l’analisi del simbolo.
Esso contiene significati diversi, divergenti, a volte a noi incomprensibili, condensati in un nuovo “prodotto”
inedito. Come nel sogno, dunque, forme, colori e linee possono rappresentare una condensazione di
significati consci ed inconsci, culturali, sociali e personali che appartengono a colui che ha realizzato il
graffito, al contesto urbano, sociale, culturale e storico in cui esso si colloca e vive.
Continuando in questa direzione è interessante riprendere le riflessioni sull’essenza del gioco e della coazione
a ripetere che Freud elaborò attraverso l’osservazione di Ernest, suo nipote di 18 mesi, mentre si intratteneva in
un gioco particolare, quello del rocchetto: il piccolo “prendeva un rocchetto e lo lanciava lontano
facendolo sparire sotto il letto, il tutto era accompagnato da esclamazioni vocali connotate da intensa
affettività. Il gioco pareva ripetere, in una sorta di drammatizzazione affettivo - motoria […] la separazione
dalla madre, come tentativo di gestire ed elaborare psichicamente l’evento (l’assenza della madre e il
conseguente senso di abbandono). […] Il tentativo sotteso è la ripetizione del trauma per cercare di
eliminarlo.” (http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/infanzia/articoli/infa1.htm - Daniele Marenco). Da qui
Freud vede soprattutto nel gioco uno strumento attraverso cui il bambino costruisce il suo mondo e tramite cui
può rappresentare la sua realtà interna. Non a caso in psicoanalisi sempre di più si è fatta strada l’uso del
disegno e delle attività ludico-espressive come strumenti privilegiati attraverso cui il materiale psichico, le
libere associazioni e i simboli, utili allo psicoanalista per comprendere il mondo interiore del paziente, possono
emergere prendendo forma. Il gioco, uno dei principali canali tramite cui dominare e controllare le
esperienze dolorose nell’infanzia, e sotto forma diversa in quella adulta, dà la possibilità al soggetto di
diventare protagonista attivo di un evento passato in cui invece aveva interpretato un ruolo di passività ed
impotenza, come il processo di separazione dalla madre per Ernest (Pani, 2007). In età adulta l’arte e le forme
espressive artistiche come la musica, il disegno, la cultura stessa, diventano strumenti capaci di sostituire la
funzione che aveva nell’infanzia il gioco e di essere al contempo più consoni ad un soggetto ormai uomo
responsabile nella società. Pertanto le pulsioni mortifere e gli eventi negativi che la mente non riesce ad
elaborare per essere controllati e celati trovano altre vie espressive degne di rispetto nella cultura stessa che è
alla base di ogni civiltà. L’arte alla pari del gioco permette all’uomo di sognare, fantasticare, accedere al
proprio mondo interiore, dominare una realtà che spesso delude e verso cui ci si deve conformare. Sembra,
infatti, che la prima vera fonte di delusione e di disagio che l’uomo adulto sperimenta derivi
fondamentalmente dalla struttura sociale, dalle regole e dalle norma che impongono un certo tipo di

11
comportamento e di “adeguamento totale”. L’arte e l’espressione creativa si configurano allora in relazione
a ciò come possibili via di fuga, come un percorso attraverso cui dominare ciò che nel nostro inconscio ci
spaventa, ma anche per ribellarsi al controllo che la civiltà ci impone.
Il graffito-writing, fin dalle sue origini, ha rappresentato proprio questo, un movimento di protesta e di
comunicazione non convenzionale, un gioco per sfidare la società e se stessi. A questo proposito una famosa
writer di Bologna, Stefy, e il suo compagno di arte Dado scrivono (vedi intervista da me condotta tramite
posta elettronica a Dodo e Stefy): “Questo è il nostro game interno […] più fai e più ti fai notare per quantità
di pezzi e qualità di stile, e più conti tra i writers come writer. E tutti gli altri non contano. Chi non è writer non è
nel game […]. Nel blog http://www.graffiti-writing.blogspot.com/ (dove è possibile trovare interviste e
immagini dei lavori realizzati da alcuni famosi writing italiani) Kaso, alias Simone Poggiali, writer, grafico e web
designer di Genova (www.mentelocale.it) afferma “Il writing dal mio punto di vista è media, una estensione
dei nostri corpi e del nostro sistema nervoso. Questo è il messaggio.”
Ma quali sono le connessioni di questo “gioco artistico con la città e il tessuto sociale in cui i writers si
muovono?
In relazione a ciò può essere interessante il punto di vista di Dado e Stefy. I due artisti raccontano: “Quando
ami un luogo ti viene spontaneo abbellirlo decorarlo, puoi farlo con la tua stanza …. Bhè noi amiamo la
nostra città. […]”. Dalle loro parole appare chiaro che il writing può rappresentare un valido strumento
attraverso cui, anche coloro che solitamente non vengono coinvolti direttamente nella costruzione del senso
estetico della città, possono invece dire la loro ed assumere un ruolo attivo: un segno, un immagine da
imprimere su un muro per appropriarsi del contesto urbano, per fare della città un luogo più familiare e
proprio. Molti sono i soggetti sociali che iniziano a non sentirsi più parte di un contesto e di un luogo, anche
per effetto della globalizzazione, che disintegra i confini e accorcia le distanze: se da un lato tutti ormai siamo
“cittadini” del mondo (in senso lato però viste le discriminazioni e le problematiche connesse all’immigrazione
e alle difficoltà ormai storiche di guardare verso l’altro con dignità e rispetto qualunque esse siano le
differenze, e non le diversità, di cui è portatore!!!) e se ormai è consolidata l’idea che l’identità personale
vada costruendosi attraverso l’integrazione di una pluralità di appartenenze e modi di esistere molteplici e
spesso differenti tra loro, dall’altro lato, invece, cresce l’esigenza per i singoli e per i gruppi di fare fronte alla
crisi e alla perdita di legami con il territorio. Si sente più spesso la necessità di sentirsi nuovamente parte
integrante degli spazi e dei contesti in cui si costruisce la propria esistenza.
Elisabetta Forni (2002) in “La città di Barman” riflette sulla crisi dello spazio pubblico urbano trasformato sempre
più spesso in spazio di consumo. Costruiti a dovere su valori quali il consumismo e la sicurezza a tutti i costi, i
luoghi pubblici contemporanei hanno perso ormai la loro connotazione sociale di contesti di aggregazione, di
cultura, di incontro e di scambio. Dalla dimensione estetica a quella storico – culturale – generazionale,
Secondo Barman (1986), stiamo assistendo oggi alla perdita del valore fondamentale che gli spazi pubblici
rappresentavano, ovvero quello di dare la possibilità agli attori sociali di convivere nonostante le differenze, la
non conoscenza reciproca, attraverso la relazione e il contatto positivo o al contrario conflittuale con l’altro,
tessendo relazioni (Forni, 2002). Oggi sembra piuttosto che le differenze siano cancellate, messe al margine ed
eliminate per assicurare l’ordine, la sicurezza e l’omologazione delle masse. Il writing sembra rispondere
perfettamente a ciò. Se troppo spesso gli spazi sociali vengono dimenticati, strumentalizzati senza interpellare i
cittadini, coloro che in prima persona rendono vivi tali luoghi, e se tali luoghi troppo spesso diventano asettici,
omologati e resi inaccessibili dalla paura della violenza, dal degrado o da colui che è diverso, il writing ridona
un volto a questi luoghi, li investe di nuovi messaggi e di soggetti capaci, quando ciò viene fatto con
responsabilità, con l’obiettivo implicito di riappropriarsi del territorio, di renderlo vivo, aperto alle differenze e
alle contaminazioni, di sentirlo anche proprio.

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Il writing è provocazione verso i cittadini, verso se stessi, verso le autorità. Il “graffitismo” vive della città, delle
relazioni che in essa si creano intrecciandosi, prende forma e si sviluppa anche in relazione alla percezione
che i cittadini hanno degli spazi urbani e della loro diversa fruizione.
Pertanto, “I luoghi” e gli spazi su cui praticare il writing sono un elemento su cui non è possibile non riflettere, in
quanto determinano in un certo senso il writer e la sua opera, influenzandolo e portandolo a compiere
determinate scelte. Lo spazio urbano, qualunque esso sia, è infatti un supporto al servizio dell’artista: muri
esterni e interni di edifici; treni e altri mezzi pubblici di trasporto pubblico; arredi urbani e infrastrutture di vario
genere (cabine telefoniche, isolette pedonali, cassonetti, centraline elettriche ecc…). Ogni spazio si
caratterizza per una certa visibilità rispetto ad alcuni principali attori sociali: altri writers, passanti, custodi e
forze dell’ordine (Brighati, Reghellin, 2006). In questo modo ogni contesto concorre a creare una determinata
competizione e un certo tipo di writing tra i diversi artisti che lo frequentano. Ad esempio i graffiti dei bombers 4
un'elevata
sui vagoni del treno producono un elevata visibilità e competitività tra i writers in quanto le opere realizzate
possono così viaggiare ed essere viste anche in luoghi geografici differenti dalla propria città. I luoghi sono
scelti per la loro visibilità e per la loro possibilità di essere utilizzati.
A Bologna, in particolare, i giardini pubblici e i parchi costituiscono vere e proprie gallerie d’arte a cielo
aperto, assumendo una doppia identità e funzione sociale, così come le stazioni ferroviarie. Riprendendo il
concetto di eterotopia elaborato da M. Foucault, S. Parker (2004) ci fa notare come la città odierna sia
ampiamente popolata da luoghi eterotopici, come ad esempio, tanto per rimanere in tema, il parco
pubblico che si trasforma in un dormitorio per senza tetto o un magazzino dismesso che è diventato sede di
ritrovo per artisti, e così via. I contesti eterotopici sono infatti luoghi collocati al di fuori di tutti i luoghi, ma per i
quali possiamo tuttavia indicarne la collocazione nella realtà (Parker, 2004). più
Più semplicemente uno stesso
luogo assume un doppio volto: nel nostro caso quello fisico e reale ovvero il parco pubblico e l’altro, quello di
ritrovo per writers, si configura come galleria d’arte transitoria, ovvero un luogo non fisico, ma facilmente
rintracciabile nel parco stesso, anche se in realtà non esiste. “Il concetto di eterotopia designa luoghi aperti su
altri luoghi, luoghi la cui funzione è di far comunicare tra loro degli spazi. Laddove però le utopie designano
ambienti privi di localizzazione effettiva, le eterotopie sono luoghi reali.”
(http://it.wikipedia.org/wiki/Eterotopia_(filosofia)) . Una mia considerazione al riguardo è che laddove la città
e l’ordine pubblico non permette l’integrazione di determinati soggetti, questi stessi soggetti allora potranno
sentire l’esigenza di connotare i luoghi della città, da cui sono banditi, attraverso altre funzioni e significati per
loro funzionali. Come se esistessero luoghi della città reali e quegli stessi luoghi diversi in una dimensione
parallela, invisibile però agli occhi di chi continua a credere che esistano “diversità” da omologare o, nella
peggiore delle ipotesi, da eliminare in quanto pericolose essendo diverse. Così il parco è semplicemente tale
per chi ha l’onore di essere riconosciuto cittadino normale, è invece una casa provvisoria per il senza tetto
che per vivere costruisce come può una sua città dentro la città.
All’interno degli spazi urbani, si sviluppa anche un'altra contraddizione che il writing porta da sempre con se.
Quello della costante dicotomia tra writing legale e illegale, tra l’idea di questa pratica come di arte e
comunicazione o al contrario di mero vandalismo gratuito, del graffito come processo artistico o di quello
ormai soggiogato dalle regole del consumismo e della commercializzazione per fini economici.

4
Secondo diverse fonti letterarie e multimediali, i i writer
writers possono differenziarsi in diverse tipologie a seconda del tipo di opera prodotta,

nonché per il tipo di tecnica utilizzata:


1 - I Bomber sono writer solitamente agli esordi che preferiscono muoversi la notte nell’illegalità utilizzando uno stile minimalista per produrre
prevalentemente TAG. Il bomber è il writer che per eccellenza rimane legato alle origini.
2 - Gli Stylist, coloro che sono impegnati a ricercare una continua evoluzione stilistica e si concentrano sulla ricerca estetica. Questi writer sono
quelli che solitamente prendono parte a convention e lavorano su muri dati in concessione da altre crew
crews o da singoli writer.

3 - Writer che operano in maniera solitaria


4 - Writer che operano all’interno di crews
crew
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Ozmo, artista, writer e freelance, afferma “[…] la componente di ribellione e vandalismo (che) e' importante,
e fa di questo fenomeno un qualcosa di molto energico. Questo non significa che non esiste writing senza
illegalità. il punto credo sia comunque andare oltre ai limiti, poi ognuno lo interpreta secondo la propria
sensibilità e aspirazioni.”(www.urbantrashnet.net – Intervista). Allo stesso modo anche Kaso pone in luce il
legame strettissimo tra illegalità e legalità nell’evoluzione che il writing oggi sta avendo. L’artista infatti
ribadisce che il writing per essere considerato a tutti gli effetti arte comunicativa si configura come un arte
che deve quasi obbligatoriamente passare attraverso il riconoscimento e quindi la legalizzazione da parte dei
media e dell’opinione pubblica (www.urbantrashnet.net – Intervista).
D’altra parte questo fenomeno artistico fin dalle sue origini nasce come movimento di protesta sociale ed è
proprio questo che ha fatto del writing una pratica artistica densa di significati per certi versi anche
contraddittori. Scegliere come tecnica pittorica il writing, significa anche scegliere di esporsi per andare
contro un ordine sociale implicito stabilito, per comunicare un messaggio alla popolazione, alle istituzioni
locali, per partecipare attivamente alla vita della città contribuendo a dotarla di un volto e di un identità
estetica che possa parlare anche delle singoli individualità.
Non è possibile parlare del writing dal punto di vista sociale, ovvero delle sue connessioni con il tessuto
urbano, senza prendere in considerazione appunto il suo essere anche considerato un fenomeno illegale, un
insieme di azioni vandaliche atte a deturpare la città e il suo patrimonio storico-culturale e nello stesso tempo
una corrente artistica che nel corso degli anni si è evoluta adattandosi anche a certe tendenze
contemporanee o configurandosi come strumento per comunicare con lo stesso territorio e con i suoi
abitanti. Per le città, come ad esempio Bologna il problema principale è infatti quello di porre riparo agli atti
illegali di vandalismo che i writers compiono deturpando il territorio urbana e il suo arredo, nonché edifici
architettonici antichi e di valore e nasce quindi l’esigenza di saper distinguere, sia per le istituzioni locali che
per i cittadini, tra colui che pratica arte e chi invece violenta gli spazi cittadini.
Anche Stefy, mette in evidenza il bisogno, per gli stessi writers, di puntualizzare che chi fa seriamente
“graffitismo o street art rispetta la città e i suoi edifici a differenza invece di chi ne vede solo una moda a cui
conformarsi andando in giro ad imbrattare senza raziocinio tutta la città, opere d’arte comprese. Tanto per
citare un episodio di cronaca recente, tra i tanti che da anni appaiono sui rotocalchi, quello di Milano mi
sembra esemplare: il sindaco della città ha dichiarato ufficialmente che saranno attivati al più presto sanzioni
disciplinari durissime contro i writers. Il disegno di legge sicurezza, già approvato al Senato, prevede infatti, in
caso di recidiva, una pena fino a due anni di reclusione. Provvedimenti e sanzioni sono già stati messi in opera
contro i 43 writers che nel 2008 sono stati segnalati all'autorità giudiziaria dal Nucleo Decoro Urbano della
Polizia Municipale lo scorso anno. Tra le accuse più pesanti, quelle di aver imbrattato scuole, il duomo di
Milano e alcuni edifici privati della città (http://www.ilvelino.it). Altro articolo interessante sembra essere quello
apparso sul Corriere della Sara il 5 gennaio 2008. A Ravenna due giovani innamorati, lui 15 anni e lei 13, hanno
scelto di suggellare il loro amore scrivendo i loro nomi su un muro antico che ha più di 1500 anni di storia,
quello vicino alla Basilica di San Vitale. Fermati dalla polizia i due giovani saranno poi processati dal tribunale
minorile di Bologna. Come ci suggeriva Stefy, dunque, anche una ricerca della polizia municipale di Milano
(www.hqantigraffiti.com/fenomeno%20graffiti.html) confermerebbe che un ragazzino su due, tra i tredici e i
diciotto anni, almeno una volta si è esercitato su un muro con una bomboletta o un pennarello. Nel sito però
questa forma di vandalismo viene identificato come “graffito”. Stefy e dado e i writers intervistati da Flash
giovani, invece, precisano che queste forme di vandalismo non hanno nulla a che fare con chi pratica writing
in modo professionale. Anzi nel popolo dei writers c’è chi sostiene che fare tag (scrivere il proprio nome sul
muro) non è nemmeno più tanto funzionale.

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Anche a Bologna il Sindaco Cofferatti ha preso seri provvedimenti nei confronti di coloro che imbrattano la
città e in particolare il centro storico. Nel contesto bolognese anche l’Università ha deciso di scendere in
strada per studiare il fenomeno. La ricerca condotta ha censito circa 1.713 opere, circa 119 graffiti per ogni
centro urbano5.
Lo stesso Sgarbi, politico e critico d’arte ha più volte espresso la sua opinione al riguardo, in diversi trasmissioni
televisive, precisando che solitamente chi fa arte ha rispetto per l’arte stessa e quindi, conseguentemente,
sarebbe necessario distinguere tra coloro che per passatempo si divertono ad imbrattare i muri e gli edifici
della città e coloro che invece, rispettosi del patrimonio storico, dipingono con consapevolezza per dare al
contesto urbano un volto più umano e meno anonimo. Siamo di fronte appunto all’etica insita nella cultura
del writing. Per il famoso critico d’arte “[…]E’ dalla tensione di una lotta con la società che derivano queste
espressioni liberatorie di creatività, le quali sono certamente favorite dalla condizione di emergenza,
dall’essere nate in situazioni di conflitto. Non si può giudicare questa arte di strada come le opere da museo o
da galleria, ha un’altra ragione d’essere, una diversa destinazione e funzione sociale […]”
(http://www.associazionegraffiti.it – “graffiti, Testo di Vittorio Sgarbi) “[…] Se parliamo di graffiti su monumenti
storici e palazzi diciamo fino agli anni Cinquanta. Lì la deturpazione è un delitto e quelli sono vandali, anche
se parlare di galera è naturalmente iperbolico. Ma se parliamo di graffiti sugli orribili palazzoni delle periferie, lì
i graffitari diventano inventori, artisti, migliorano la realtà […]” (http://www.fondoambiente.it). Sempre sul
tema, Stefy scrive “[…] Mille ragazzi incapaci di usare lo spray, lo impugnano e fanno firme dappertutto, simili
a scarabocchi. Perché illegale e allora è divertente dai 14 ai 22 anni, come tutto quello che non si può fare e
allora le città contemporanee ad altezza uomo sono tutte piene di scritte (soprattutto una città come
Bologna, che ospita universitari fuori sede che non sono bravi come noi e che sanno fare solo firme e
schifezze con uno spray in mano). E quindi si sono tutti incazzati ed è iniziata una polemica tragicomica
attorno a questo argomento e la fobia e l’urgenza di ridipingere tutti i muri come se fossero scritte offensive.
Ma sono solo firme. E i muri stanno in piedi anche ci sono le scritte e portoni e serrane si aprono anche se con
le scritte sopra. E si ostinano a voler cancellare tutto come se non sapessero tutti che l’indomani quello stesso
muro sarà di nuovo pieno di scritte […]. Il writing è di moda e passerà presto [...]”.
Proprio per questo da diversi anni gli spazi urbani scelti da writers, in particolare dai writers stylist, sono quelli
concessi dalle istituzioni locali, ceduti con lo scopo esplicito di far praticare un writing legale in città. il writing
di oggi è ormai cresciuto costruendo rapporti e collaborazioni positive con i comuni, i quartieri e le
amministrazioni pubbliche, ma anche con i privati. Lucchetti (ricercatrice universitaria) già nel 1999 aveva
visto come a Bologna il “graffitismo” si integrasse positivamente con le istituzioni e le associazioni sociali. A
Bologna, ci dice la ricercatrice, si respirava nell’aria l’arte e la voglia di comunicare.
Nello specifico, in questa città, Il dialogo tra writers e istituzioni appare un processo consolidatosi attraverso
anni e anni di sforzi e di confronti. Stefy mi scrive che precisamente è dal 1993 che i writers Bolognesi hanno
avuto il permesso di dipingere legalmente in molti punti del bolognese. Dal 2000 poi la loro arte è diventata
quasi una professione e in tante occasioni sono state commissionate e retribuite opere artistiche usate per
l’arredo urbano (ad esempio, a Bologna in San Donato una scultura stile murales di Stefy e Dado è stata usata
per decorare una piccola rotonda cittadina). L’artista scrive anche che questo è stato possibile perché “lo
stile bolognese è estremamente evoluto rispetto a molte altre città nel mondo. Questo è avvenuto perché
alcuni tra i primi writers storici di n.y. hanno vissuto a Bologna e ci hanno insegnato tanto […] Inoltre siamo un

5
Il sito purtroppo non parla dei criteri attraverso cui si sono scelti i graffiti da censire, ovvero penso: si sono considerati graffiti anche firme,
scritte e frasi di ogni sorta alla pari delle vere opere che i writers producono, oppure si sono selezionate e censite solo queste ultime? Si sono
considerate le differenze tra chi pratica il bombing e chi invece lo stayling? Mi sembra rilevante capirlo visto che abbiamo appena affermato
che gli atti di vandalismo e la deturpazione dei centri urbani sono associabili non tanto al writing quanto piuttosto ad una generalizzata moda
diffusa tra i giovani che in verità non ne conoscono nemmeno le basi (www.hqantigraffiti.com/fenomeno%20graffiti.html).
15
gruppo di artisti formatosi al liceo artistico, all’istituto d’arte, all’accademia di belle arti […]. Tutti noi abbiamo
sudato per affinare stili sempre più evoluti e
possiamo dire di esserci riusciti. Le
collaborazioni continuano col Comune di
Bologna e con altri.” Insisto per avere
informazioni più precise sul tipo di
collaborazione tra writers e Comune, ma
Stefy non sembra gradire … forse, penso, a
queste domande avrà risposto chissà
quante volte ed effettivamente sembra
proprio così. La mia idea di intervistare
questa giovane coppia di artisti affermati,
non è poi così originale. Sono molte sul web
le interviste o le dichiarazione di Dado e
Stefy a questo proposito. Sul sito internet
www.lastefani.it (settimanale bolognese di
inchieste e servizi) trovo infatti un
interessante articolo con relativa intervista ai
due giovani bolognesi. Qui Stefy sembra
offrirci quelle precisazioni che tanto mi
interessavano. L’artista, ribadendo come il
writing oggi sia una moda passeggera,
Foto 1/2/3/4 – L’edificio che ospitava l’Opus magisteri, Bologna – 2009 –
Quartiere Savena destinata prima o poi a decadere, che ha
portato molti artisti ha trasformare questo
fenomeno in una professione e quindi, in un certo senso strumentalizzando ciò che una volta era un
movimento di liberazione e di protesta, fa luce su alcune vicende che hanno coinvolto il sindaco Cofferratti.
Gli atti disciplinari che il sindaco aveva emanato contro i writers, secondo Stefy, erano in verità rivolti solo ad
un piccolo gruppo circoscritto di loro. Con il sindaco di Bologna anche nel 2001 la collaborazione è sempre
stata molto intensa, tanto da portare Cofferratti a chiedere ai due writers (Dado e Stefy) di dipingere il suo
seggio elettorale a Via dell’Orsa. Nello stesso hanno fu creata l’associazione Opus Magisteri, con l’obiettivo di
costruire e consolidale un rapporto più duraturo di collaborazione tra writers bolognesi e il Comune. Nel 2004
per motivi finanziari, l’associazione fu sciolta, ma ancora oggi i writers coltivano e portano avanti l’obiettivo
iniziale: collaborare legalmente con le istituzioni locali. I luoghi urbani concessi legalmente ai writers sono
dunque il frutto di quel dialogo (www.lastefani.it/settimanale - attualità - “Bologna Graffiti” - 7 aprile 2008).

Foto 2 Foto 3 Foto 4

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Foto 6

Foto 7

Foto 5/6/7 – L’edificio che ospitava l’Opus magisteri, Bologna – 2009 - Quartiere Savena

Foto 8 – Foto 9

Foto 10 Foto 11

Foto 8/9/10/11 – Area interna all’Opus Magisteri, Bologna – 2009 – Quartiere savena

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Foto 12

Foto 12 e 13 graffiti del Campetto Savena – 2009 – Quartiere Savena/Quartiere San Donato – (spazi dati in concessione ai
writers). Le due foto sono anche un chiaro esempio di “crossaggio”, termine tecnico che indica la stratificazione in uno
stesso punto di più graffiti.

Foto 13

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Foto 14 Foto 15

Foto 16

Foto (gruppo) graffiti del Parco Savena – 2009 – Quartiere Savena/Quartiere San Donato – Zona data in concessione ai wiriters

Foto 17 Foto 18

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Foto 20

Foto 19

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Foto (gruppo) graffiti del Parco Savena –


2009 – Quartiere Savena/Quartiere San
Donato – Zona data in concessione ai
writers

Foto 22

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Foto 23

Foto (gruppo) graffiti del Parco Savena –


2009 – Quartiere Savena/Quartiere San
Donato – Zona data in concessione ai
writers

Foto 24

Foto 25

Foto 26

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Foto 27 graffiti ponte di San Donato – 2009 – Quartiere San Donato

Foto 28 graffiti sui pannelli di protezione di un cantiere edile - Centro storico Bologna - 2009

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Foto 31

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Foto (gruppo) graffiti sui pannelli di protezione di un cantiere edile - Centro storico Bologna - 2009

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Foto (gruppo) graffiti sui pannelli di protezione di un cantiere edile - Centro storico Bologna - 2009

Foto 36

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Concretamente, almeno nella città di Bologna; la volontà generale e istituzionale è quella di far conoscere
maggiormente ai cittadini il writing, sensibilizzare l’opinione pubblica sulla cultura e l’etica che è alla base di
questo movimento artistico “sovversivo”, valorizzando le espressioni creative innovative e divergenti rispetto a
quelle considerate le arti maggiori o classiche; utilizzare il writing come strumento positivo, sfruttandone le
potenzialità attraverso un uso diretto sul territorio tramite la riqualificazione estetica di quartieri, muri ed edifici;
diffondere e promuovere (anche tra le stesse comunità di writers) il rispetto nei confronti di opere pubbliche,
zone urbane, strutture architettoniche ecc.. di valore storico.
Ritengo che a questo proposito si possa pensare di attuare un vero e proprio programma di “educazione
civica” permanente con lo scopo di implementare la partecipazione civile e urbana coinvolgendo i cittadini
nella presa di decisioni concrete che riguardano la loro città anche dal punto di vista estetico, ma anche
promuovere e implementare occasioni in grado di incanalare l’attività artistica dei writers verso progetti e
sperimentazioni utili a riqualificare zone urbane e spazi cittadini dismessi, fatiscenti e abbandonati. Si tratta di
aprire un canale di comunicazione e dialogo tra le diverse componenti della città che già si sta muovendo a
livello Nazionale. Alla base del lavoro sinergico e della comunicazione, tra writing, istituzioni locali, cittadini e
spazi urbani, vi è anche, come abbiamo già detto, la necessità per tutti di riuscire a distinguere tra coloro che
sono impegnati nella realizzazione di percorsi artistici veri e propri e coloro che imbrattando muri ed edifici
storici, violentano la città e il suo patrimonio.
Ecco che allora, Il graffito, per essere considerato arte a tutti gli effetti ha iniziato a muoversi verso un piano di
legalità, conquistando il rispetto non solo di altre comunità di writers, ma anche di coloro che vivono nella
città e nelle sue periferie. Proprio per questo in Italia si è costituita ISA - Associazione Italian Street Art’, nata nel
2007 “grazie alla collaborazione di alcune delle più significative realtà associative, artistiche e professionali
italiane che applicano le tendenze visive legate ai fenomeni artistico-culturali del graffitismo, del muralismo e
della street-art al design urbano, all’arte contemporanea ed ai progetti socio-culturali. Isa è un progetto
indipendente, senza scopo di lucro, di aggregazione sociale e politica super-partes, al servizio di artisti e
progetti nel pieno rispetto delle culture che li sostengono” (http://www.associazionegraffiti). L’associazione di
cui il presidente onorario è proprio Vittorio Sgarbi promuove e coordina eventi espositivi sul territorio nazionale
ed all’estero; favorisce la diffusione e la produzioni di materiali saggistici che possano guidare l’operato di
critici d’arte, studiosi di sociologia e dare piena dignità artistica a tutti gli operatori del settore; e in particolare
coordina e realizza interventi di riqualifica estetica di superfici pubbliche che versano in stato di degrado.
La nascita e le attività dell’ISA sono un chiaro segnale di come il writing si sia globalizza, e di come, in tutto il
mondo, questa pratica artistica si possa porre, se gli viene consentito, al servizio della città in modo concreto,
cogliendone le potenzialità e i suoi possibili utilizzi. E laddove questo non avviene? Si assiste allora crescita di
soggetti che per praticare writing infrangono la legge e di continue “lotte” per la conquista simbolica degli
spazi urbani, frutto soprattutto di una dura repressione del fenomeno artistico tramite pene severissime e
tolleranza zero. E’ questo il caso della Francia i cui artisti, per poter dar libero sfogo alla creatività, sconfinano
al di là della Costa Azzurra e di Monntpellier per arrivare in Liguria, evitando il rischio di incorrere nelle
salatissime ammende francesi pari a circa 30.000 euro e carcere sino a due anni 6.
(http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/la-frontiera-dei-graffiti-arte-e-battaglie-i-writer-francesi-scatenati-
in-liguria/2108305). I rapporti tra crews italiane e click francesi non sono mai state effettivamente buone, tanto
da degenerare, almeno secondo il parere di un famoso writers della zona, in vere e proprie risse
notturne(http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/la-frontiera-dei-graffiti-arte-e-battaglie-i-writer-francesi-
scatenati-in-liguria/2108305).

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In Italia, fino al 2007 le sanzioni previste dal regolamento di polizia municipale equivalevano a multa di 50 euro e quelle del codice penale
da 103 euro fino a 1.032 per deturpamento e imbrattamento di beni con valore artistico o la reclusione fino a un anno.
25
Tuttavia, per nostra fortuna, le collaborazioni positive tra writers e Comuni esistono e sono sempre più
numerose, anche in Europa. Su Glamur – rivista di moda e attualità – è stato pubblicato nel 2009 – un articolo
in cui la giornalista spiegava come in Germania il “graffitismo” venga utilizzato per rendere più accoglienti le
strade dei quartieri periferici, tramite graffiti e disegni sui tombini e sugli scarichi fognari.
I progetti pilota e sperimentali sono ormai diffusi in tutto il mondo a livello internazionale, tanto che, secondo
Blu, famoso writer italiano, il writing ha ormai formato una grande comunità di artisti e di creativi. Sono
persone, molto diverse tra loro per classe, sesso, estrazione sociale, esperienze di vita e provenienza, che
hanno imparato a lavorare con il disegno, con il colore e con le forme architettoniche, prendendo coscienza
delle proprie capacità e facendo del writing una possibile soluzione e risposta al degrado urbano.
Aree e zone cittadine poco qualificate possono ritrovare valore e senso grazie all’arte dei writers. Sono
soprattutto eventi e manifestazione di street art gli spazi e le occasioni in cui i cittadini possono osservare gli
artisti in azione sulla città. Le location sono sempre più in aumento: Ad esempio, nel 2008 a Brescia “una
selezione di artisti di talento appartenenti alla classe creativa contemporanea, influenzata dalla cultura del
graffitismo” (http://www.laprovinciaonline.info/spip.php?article2246) è intervenuta nella riqualificazione di più
di 600 mq di cemento armato; nel 2004 a San Giorgio a Cremano giovani creativi urbani, tra cui i wild boys,
che a Roma, in Piazza di Spagna, hanno realizzato la performance artistica dedicata all’apertura del
ventennale della caduta del Muro di Berlino, alla quale ha partecipato anche il Ministro della Gioventù
Giorgia Meloni, si sono impegnati nella riqualificazione cromatica dei muri del ponte della Circumvesuviana
tra via Recanati e via Mazzini (http://www.laprovinciaonline.info/spip.php?article2246). L’iniziativa, realizzata
grazie all’assessore alla comunicazione del Comune di Napoli, Giorgio Zinno, rappresenta la prima tappa del
tour campano “Circumwriting” per la riqualificazione delle periferie urbane, nelle città italiane, promossa da
Inward, l’osservatorio internazionale sulla cultura del writing in Italia. Più precisamente, Inward è un progetto
del gruppo Evoluzioni/Arteteca Network, impegnato da diversi anni nello studio scientifico del writing e nello
sviluppo di progetti, percorsi, consulenze ecc… intorno a queste tematiche (www.Inward.it).
Nel complesso il tour campano ha coinvolto 150 artisti esperti di street art che hanno “ricolorato” circa 10
stazioni della linea Napoli - Sorrento della società ferroviaria Circumvesuviana: la già citata San Giorgio a
Cremano, Comuni di Napoli, Torre Annunziata, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Trecase, per un
totale di oltre 1 km di pareti lineari (portfolio-evoluzioni-inward-pdf. Dall’home page www.inward.it). E’
opportuno precisare che la riqualifica cromatica ed estetica della città è intesa come miglioramento e
abbellimento soprattutto dei muri e delle pareti fatiscenti rovinate da scritte scurrili, scarabocchi, graffiti ormai
vecchi, sostituiti da grafiche, stickers e immagini di “valore”. Inward si sta muovendo sempre di più verso la
promozione di progetti atti alla riqualificazione dell’ambiente urbano attraverso il writing e le performance di
street art in città, soprattutto grazie al confronto di buone prassi tra le amministrazioni di Amsterdam,
Barcellona, Berlino, Liegi, Parigi, Bologna, Firenze, Milano, Roma, Torino che hanno trovato, nel 2004 a Roma,
uno spazio di dialogo durante il seminario “Per una città più bella e vivibile: esperienze a confronto”,
organizzato dall’Ufficio Decoro Urbano del Comune di Roma. Secondo Luca Borriello, presidente di Inward
“La riqualificazione realizzata a San Giorgio a Cremano è un’occasione per comprendere come il writing sia
una particolare forma espressiva che va valorizzata tra le professioni della creatività […]”
(www.laprovinciaonline.info/spip.php?article2246). La riqualificazione dei centri urbani consente infatti di
portare il writing a configurarsi come uno strumento di comunicazione capace di veicolare messaggi e valori
sociali ed educativi di ampio significato, come nel caso di San Giorgio a Cremano, dove i concetti
rappresentati sui muri avevano come tema l’importanza dei diritti dei bambini e la libertà d’espressione delle
giovani generazioni.

26
Anche Bologna riqualifica la sua città scegliendo la ripulitura vera e propria dei muri e delle pareti delle zone
urbane e dall’altra l’utilizzo mirato del writing in alcuni punti della città legalmente consentiti e legalizzati. Il
progetto “Ricoloriamo insieme Bologna – of the wall”, documentato attraverso un cortometraggio da Antonio
Saracino per Codec video – Settore giovani, è stato inaugurato nel 2007 per contrastare il fenomeno di
vandalismo grafico in aumento. Grazie al patto di intesa stipulato tra Comune e Associazioni Artigiane si sono
concordate diverse attività a pagamento per un servizio di ripulitura e ripristino dei muri e dei diversi arredi
urbani, tra cui anche le saracinesche dei commercianti, attivabile da questi ultime contattando un numero
verde specifico. Alla pulizia, della città partita dal Ghetto ebraico e da Via Andrea Costa, si sono affiancati e
integrati diversi percorsi7 attivati per coinvolgere studenti, cittadini e writers affermati. Il focus del progetto
bolognese si concentrava sulla partecipazione attiva della cittadinanza e della sua responsabilizzazione. Si è
cercato cioè di creare azioni di autogestione degli spazi pubblici tramite la scelta di luoghi specifici in cui
poter praticare writing, e in cui permettere ai ragazzi dei quartieri della città di esprimersi responsabilizzandosi.
Pertanto anche gli istituti scolastici hanno preso parte all’iniziativa organizzando laboratori gestiti dai writers, il
cui obiettivo era quello di insegnare ai giovani tecniche artistiche e grafiche per realizzare graffiti di qualità
(http://www.flashgiovani.it/arte/approfondimenti/pagina/184/).
In particolare la Lunetta Gamberini, parco pubblico di Bologna, è stato teatro del percorso di riqualificazione
cromatica “Ricoloriamo insieme la Lunetta Gamberini” mentre il quartiere Savena ha inaugurato il graffito di
Erikailcane, concepito per parlare di temi sociali.
Il Quartiere S. Stefano, in accordo con l’Amministrazione comunale, ha così individuato nel Parco “il luogo più
adatto per avviare esperienze concrete di collaborazione tra writers e Istituzioni: in particolare sono stati
individuati spazi autorizzati per la libera espressione dei giovani artisti e, su proposta di una classe della Scuola
Secondaria di 1° grado stessa, è stato studiato un intervento di riqualificazione dei muri esterni della palestra
delle Scuole Pepoli. Inoltre, in base ad un progetto promosso dal Coordinamento Pedagogico del Quartiere,
sono stati recentemente realizzati alcuni graffiti sulle pareti esterne del nido “Lunetta” e “Monello” che hanno
reso più gradevole e accogliente l’accesso alle due strutture. In entrambi i casi si tratta di iniziative che
intendono rappresentare un laboratorio di espressività e insieme di educazione alla civile convivenza.”
(www.comune.bologna.it/dettaglioIpNews.php?newsitemID=2840&channelID=9 dal manifesto del progetto –
murales.pdf. -). Oggi a distanza di 2 anni circa, dall’omonimo progetto, ecco come si è presentata al mio
sguardo “la Lunetta Gamberini”:

Foto 37 – Interno del Parco “Lunetta Gamberini”, Bologna – 2009

7
Nel complesso le azioni del progetto prevedevano: il concorso fotografico “Anche i muri parlano”, per raccontare tramite 60 fotografie
selezionate, il disagio e la piacevolezza con cui osserviamo pareti ed edifici della nostra città; un documentario fotografico sul writing per
valorizzarlo come corrente artistica d’avanguardia, la riqualificazione del parco Lunetta Gamberini e di altre aree cittadine partendo dai muri
imbrattati dell'ex Ghetto Ebraico, che tra il 20 e il 21 ottobre 2007 era stato scenario di numerosi eventi di vandalismo grafico; l’inaugurazione
del graffito di Erikailcane alla scuola di pace del quartiere Savena; due giornate dedicate ai giovani creativi di Bologna ancora alle prime
armi; “Graffiti” di Antonio Saracino, prodotto dalla Redazione di Codec.Tv dell'Ufficio Giovani del Comune di Bologna.

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Foto 38

Foto 39

Foto 40

Foto (gruppo) – Entrata del parco, Bologna – marzo 2009


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Foto 41

Foto (gruppo) – Lunetta Gamberini - Parete laterale del


campo sportivo, Bologna – 2009

Foto 42

29
Foto 43

Foto 44

Foto 45

Foto (gruppo) – parete laterale con gradi nette campo sportivo, a destra dell’entrata, Bologna –
marzo 2009 – Writer Dave to: RAIN, NANDO E RAMON

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Foto 46 - parete laterale con gradi nette campo sportivo, a destra dell’entrata, Bologna – marzo
2009 – Writer Dave

Foto (gruppo) – pareti campo sportivo- Bologna – 2009

Foto 47

Foto 48

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Foto 49 Foto 50

Foto (gruppo) – parete laterale con gradi nette campo sportivo, a


destra dell’entrata, Bologna – marzo 2009 – Writer Masel

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Foto 51 – parete laterale con gradi nette campo sportivo, a destra dell’entrata, Bologna - 2009

Foto 52 -retro del campo sportivo, a destra dell’entrata, Bologna – 2009

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Foto 54

Foto 53

Foto (gruppo) – parete Bologna – marzo 2009 – writer Dado


Foto 55

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Foto 56 e 57 – palestra – Bologna 2009

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Foto 58 e 59 – palestra - Bologna – marzo 2009

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Foto 60

Foto 61 Foto (gruppo) – palestra -


Bologna – marzo 2009

Foto 62

Foto 63

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Foto 64 e 65 - scuola media - Bologna – marzo 2009

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Gli interventi eseguiti alla Lunetta Gamberini hanno migliorato notevolmente la qualità dello spazio pubblico,
così come della scuola del campo sportivo e della palestra.
Tuttavia, rimangono alcune zone e pareti fatiscenti e degradate come questa (Foto 66 - parte della parete
laterale del campo sportivo).

Foto 66 – Parte della parete laterale del campo sportivo - Bologna – marzo 2009 – Esempio di “vandalismo grafico”

Purtroppo le considerazioni da fare a questo proposito sono un po’ povere, dato che, nonostante abbia
cercato di fare diverse ricerche sul web, non mi è data la possibilità di sapere con certezza se le azioni di
“vandalismo grafico” su alcuni muri del parco, sono precedenti o anteriori al progetto “ricoloriamo Bologna –
of the wall”. Si può azzardare l’ipotesi di un muro “di malacopia” su cui i ragazzi coinvolti nell’iniziativa hanno
potuto liberamente utilizzarlo a proprio piacere. Ad ogni modo due anni sono un periodo abbastanza lungo e
forse semplicemente scarabocchi, scritte ecc.. si sono ancora una volta andati ad accumulare sulle pareti in
precedenza decorate. E probabilmente quest’ultima risulta l’ipotesi più probabile: i percorsi e i progetti come
“ricoloriamo insieme Bologna” dovrebbero crescere di numero e diventare una buona prassi quotidiana,
capace di solidificare una diffusa cultura cittadina attenta al rispetto dell’ambiente urbano.
La partecipazione di coloro che abitano la città diventa, pertanto una componente indispensabile per
creare contesti capaci di garantire al writing spazi legittimati e legali in cui “esplodere”, senza per questo
generare a livello urbano scontri e proteste, ma al contrario facendo emergere il valore e i significati
comunicativi di cui il “graffitismo” è portatore. Simone Pallotta, ex writer romano, oltre a ribadire che non ha
alcun senso per un artista fare arte dove questa esiste già, nota come non sia sempre facile il rapporto con i
cittadini in quanto solitamente chi non fa graffiti non li capisce (http://writers-
connection.noblogs.org/post/2007/09/05/giro-di-vite-contro-i-writers) e non riesce a cogliere il lavoro
preliminare e l’impegno necessario per realizzare il proprio progetto, prima su carta e poi sul supporto urbano.
Ci sono un enormità di stili, ed è una gara a chi va sempre più in la (cfr. video flash giovani – Graffiti). La

39
partecipazione sociale, che può assumere diverse forme a seconda del contesto urbano in cui il writing si
sviluppa, mira a costruire città più democratiche. Gli esempi da riportare, sia a livello italiano che europeo,
sono molteplici. Come abbiamo visto, a Bologna, il Comune per contrastare il vandalismo grafico in aumento
ha cercato da un lato di dare la possibilità a chi ne ha interesse di esprimere la propria creatività artistica in
spazi consentiti; dall’altro si sono chiamati in causa i cittadini per riportare le superfici murarie di edifici privati
al loro stato originario mediante trattamenti adeguati. Milano, Roma, Napoli, Parma, Palermo così via sono
tutti comuni impegnati in questa direzione, ma anche centri e città di dimensioni più piccole, periferiche e di
provincia non sono da meno.
A livello Europeo invece un’esperienza significativa di democrazia urbana può essere considerata quella di
Bristol, in Inghilterra. Qui l’assessore all’ambiente ha lasciato che i cittadini potessero decidere quali graffiti
cancellare in quanto sintomo di atti di vandalismo e degrado urbano, e quali invece salvare in quanto opere
artistiche (www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/i_graffiti_democratici030909.html).
Queste appena citate sono tutte iniziative rivolte anche a favorire l’uso condiviso della spazio urbano,
migliorare l’immagine della città e la diminuzione del degrado, responsabilizzare i cittadini alla cura e al
rispetto del contesto in cui vivono. Tuttavia, l’utilizzo del writing per scopi comuni al benessere del territorio e
per fini socio-educativi è possibile come abbiamo visto solo se soggetti un tempo in conflitto riescono a
trovare forme di collaborazione e dialogo reciproco per un fine comune: migliorare lo spazio urbano
vivendolo in prima persona. Writers, cittadini ed enti locali possono, quindi, lavorare insieme per trovare nel
writing una risorsa comune capace di farsi anche strumento di comunicazione sociale, come nel tour
campano “circumwriting”. A Bologna infatti l’utilizzo del graffito come mezzo di sensibilizzazione e
comunicazione per parlare di temi quali il disagio dei gruppi emarginati, l’handicap, l’integrazione ecc…
sembra andare verso sperimentazioni positive che hanno permesso al writing stesso di ritrovare quella cultura
di valori e motivazioni che per certi versi sembrava essersi persa. Nel 2008 Erikailcane, writer residente a
Bologna, parla di ambiente e immigrazione attraverso un orso ed un elefante impressi su una delle pareti della
Scuola di Pace di Via Lombardia. Lo fa quindi attraverso il writing. Il pezzo, commissionato alla giovane artista,
dal Quartiere Savena, si lega, tramite la libera interpretazione, alle attività in cui la scuola di pace è
impegnata. L’artista, che come la maggior parte dei writers, non da modo di risalire alla sua biografia ne ci
consegna il significato che attribuisce ai suoi lavori, preferendo restare nell’anonimato e facendo parlare per
lei i suoi “pezzi”, ribadisce lo sviluppo e il valore che a Bologna, ma non solo, il writing ha assunto in dialogo
con le istituzioni che hanno permesso la legalizzazione di spazi appositi su cui esprimersi, come la parete del
circolo sportivo in via Due Madonne o alcune zone del quartiere Savena e San Donato. A differenza del
murales in cui è insita una connotazione di tipo politico, le applicazione come il writing e la street art sono già
di per se strumenti di condivisione. Per Erikailcane “Non c'è differenza tra realizzare un graffito o un disegno,
cambia il supporto ma il gesto artistico è lo stesso. Gli spazi per le culture giovanili sono sempre meno, non solo
a Bologna, quello che serve non è solo un muro bianco ma uno spazio mentale aperto a queste iniziative» (da
http://ricerca.repubblica.it articolo di Chiara Pilati).

Foto 67 e 68
– graffito di
Erikailcane
sulla
facciata
della
Scuola di
Pace di
Bologna –
2009 –
Quartiere
Savena

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Foto 69 – graffito di Erikailcane sulla facciata della Scuola di Pace di Bologna – 2009 – Quartiere Savena

Riqualificazione dunque anche per parlare e far emergere nel tessuto urbano le problematiche che ne
costituiscono le maglie tra cui quella citata dalla giovane artista: la mancanza di luoghi di aggregazione in
cui aprire e dare spazio alla mente per i giovani ma non solo, Il graffito contamina la città e le persone.
Con “ricoloriamo insieme Bologna of the wall” dal 2007 Bologna è impegnata a trovare concrete vie di
partecipazione e rinnovare il dialogo tra writers, istituzioni e cittadini, per valorizzare il writing come pratica
artistica d’avanguardia, ma anche per riqualificare la città. Infatti sono sempre eventi pensati all’interno del
progetto bolognese, la giornata di street art dedicata in particolare al writing, un open space in cui artisti
giovani e ormai affermati hanno potuto incontrarsi e mettersi all’opera; e la Mostra fotografica del quartiere S.
Donato, area cittadina ricchissima di graffiti, a dedicata al writing dal titolo “Spray. Graffiti d’artista nelle
fotografie di Leonardo Casadei” in collaborazione con l’Istituto per i beni artistici, Culturali e Naturali della
Regione Emilia Romagna e il Circolo Culturale Hera. La mostra, anche se meno pratica di altre iniziative, può,
a mio avviso, essere considerata un’occasione importante per sensibilizzare cittadini e artisti sul valore e le
potenzialità che questa forma d’arte, non sempre riconosciuta come tale, può esprimere (www.ciaoradio.it).
Come per molti fenomeni, inoltre, la documentazione diventa un processo significativo per tenere memoria di
un’esperienza “effimera e passeggera” che si svolge nel “qui ed ora”, che mai potrà ripetersi nel medesimo
modo e che per questo, se non monitorata e appunto documentata, rischia di andare persa e dimenticata. I
graffiti sono proprio così: opere destinate a scomparire in breve tempo per essere sostituite da altre nuove,
forse più belle e brillanti, ma sempre diverse anche quando la mano dell’artista è la stessa. Come ogni opera
d’arte si tratta di un pezzo unico e a mio avviso varrebbe la pena tracciarne una mappatura fotografica8
8
I progetti e le esperienze in cui si sono prodotte mappature diversificate del graffitismo in alcune città italiane, come Napoli e Milano, sono
ancora esperienze isolate, ma importanti. Tra queste il web ospita alcune location urbane: 1- http://www.ozmo.it/mipublicspace/ è il Progetto
realizzato per la mostra 'Con altri occhi' del 2005, realizzato da dal writer Ozmo, nella città di Milano. “Mipublicspace” nasce con l’obiettivo di
41
annuale, almeno dei pezzi migliori, visto che forse sarà la prossima arte di avanguardia e in parte già lo è,
tanto da parlare nel gergo di post-graffiti. Un fenomeno quest’ultimo che porta lo stile dei graffiti writing a
spopolare stilisticamente nelle discipline artistico culturali maggiori: pittura, scultura, cinema, design,
illustrazioni e grafica risentono dell’influsso del writing mescolandosi con esso. Tutta via a differenza dei graffiti
writing gli artisti che praticano post graffiti non compiono opere in spazi pubblici, ne si cimentano per
guadagnare notorietà e gareggiare con altri artisti provenienti da esperienze comuni. Non è un caso
comunque che molti writers finiscano per appassionarsi e sperimentarsi con il web e le nuove tecnologie …
infondo possono essere considerati artisti a 360°.
“Ricoloriamo Bologna – of the wall”, progetto cooperativo che ha saputo lavorare attivamente in modo
sinergico con tutti i protagonisti del territorio, ha aperto il sipario a molti altri eventi ed iniziative dislocate nel
bolognese e nella sua provincia.
Il 18 ottobre 2008 presso la Galleria SPAZIO GIANNI TESTONI a Bologna è stato inaugurato, insieme agli artisti
invitati provenienti da Milano, Bologna e Firenze, l’evento LET ME WRITE curato da Alberto Mattia Martini.
L’evento che si è concluso con l’inizio del 2009, ha coinvolto tutta la città, mettendo a disposizione dei writers
diversi metri di pannelli bianchi per realizzare dal vivo i loro “pezzi” e, attraverso la convezione stipulata con
Acer, rinnovare alcuni condomini degradati. I cittadini sono stati invitati ad assistere alla realizzazione dal vivo
delle opere in galleria e in diverse ubicazioni della città con l’intento di far conoscere maggiormente il writing
e i suoi protagonisti capaci, in quanto artisti metropolitani, di ridare un nuovo volto e una nuova immagine agli
spazi urbani anonimi, tanto da modificare tramite l’azione umana stili di vita e contesti della quotidianità
(http://www.senzafumo.com/visual.asp?num=3949). Anna Patullo, al tempo assessore del Comune di Bologna
ai Giovani ha posto in evidenza il valore non solo artistico di quell’iniziativa ma anche sociale; un percorso che
come quello descritto in precedenza vuole anche essere il tentativo per discutere del valore del writing
distinguendo tra chi pratica arte e chi invece imbratta i muri e merita per questo di essere punito (Il Domani .
Bologna, 17 ottobre 2008, p. 8). Aumentano così e vengono ridefinite le aree di quartiere in cui praticare un
writing legale in tutta libertà: la lunetta Gamberini per il quartiere s. Stefano, alcune zone del quartiere Barca,
Reno, Porto e San Vitale, e nello stesso tempo si intensificano i controlli per monitorare l’acquisto e l’uso delle
bombolette spray da parte dei minori, categoria in aumento nel fenomeno del vandalismo grafico urbano.

Foto 70 Foto 71

Foto 70/71 – graffito parete divisoria (forse di Blu – tag non leggibile) Bologna – 2009 – Zona San Donato

studiare e capire la fruizione e la percezione degli spazi pubblici attraverso la mappatura di alcune categorie di attività in movimento tra
l’illegalità e il controllo: Prostituzione, Buskers - Artisti di strada, Police, Skaters, Writing - Street Art, Clochard - Punks, Luoghi di attentati
terroristici, Attività illegali, CSOA – Occupazioni. L’intento è quello di portare i cittadini a ridimensionare la percezione che fino a quel
momento avevano elaborato rispetto alla città e alla fruizione dei luoghi urbani. Ogni utente può contribuire personalmente
all’implementazione della mappa interattiva. 2- www.wildstylers.com/wstr/index.php?module=article&view=342 “Urban culture media”
presenta un mappatura del writing nella città di Napoli condotta nel 2006. 3- i portali di writing in cui, anche se non siamo in presenza di una
vera e propria mappatura urbana del fenomeno, vengono raccolte come documentazione le foto dei graffiti in Italia e in Europa come
http://www.graffiti.org/; http://www.urbantrash.net/graffiti/; http://www.sacrepitture.com/; http://www.aerosolart.it/; ecc… Tutte le home
page e i blog degli stessi writers.
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Foto 72 Foto 73 Foto 74

Foto 72/73/74 – graffito parete divisoria (forse di Blu – tag non leggibile) Bologna – 2009 – Zona San Donato

Foto 75 Foto 76

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Foto 80
Foto 79

Foto (gruppo) – ex Centro Civico del quartiere San Donato Bologna – 2009

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Foto 81 Foto 82

Foto 81/82 – ex Centro Civico del quartiere San Donato Bologna – 2009

Foto 83

Foto 83 – Nuovo Centro Civico del quartiere San Donato Bologna – 2009

Foto 84 Foto 85

Foto 84/85 – Via Azzo Gardini (di fronte alla Cineteca) graffito Erikailcane/Blu, Bologna – 2009

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Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

Il Servizi Sociali Adulti del Comune di


Bologna è un Servizio centralizzato
per un percorso socio-educativo di
prevenzione e recupero
dell'autonomia nei confronti degli
adulti che presentano uno stato di
bisogno.

Foto 87

Foto 88

I destinatari sono adulti italiani e


stranieri in stato di grave disagio
sociale e/o senza fissa dimora,
cittadini immigrati regolarmente
presenti sul territorio,cittadini
italiani o stranieri dimessi dalla
casa circondariale di Bologna,
famiglie di detenuti ristretti a
Bologna presenti sul territorio
comunale,vittime del delitto
residenti a Bologna, imputati non
detenuti in libertà provvisoria o agli
arresti domiciliari presenti sul
territorio comunale,detenuti della
Casa Circondariale del Comune di
Bologna,cittadini italiani non
residenti a Bologna o
anagraficamente senza fissa
dimora, rifugiati o richiedenti
rifugio politico.

Foto 89 Foto 90

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Foto 91

Foto 92

Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

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Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

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Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

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Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

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Foto 102

Foto 103

Foto (gruppo) - Servizi Sociali Adulti del Comune di Bologna Via Sabatucci 2 - 2009

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Il divieto di vendere bombolette spray non è sicuramente però la strada migliore da scegliere per arginare i
già citati episodi di vandalismo urbano, anche secondo diversi writers, come Mambo, che si esprime dall'età
saper “distinguer tra chi fa
da ormai dodici anni sulla scena bolognese. L'artista afferma infatti che bisogna saaper
writing e chi va in giro con lo spray perchè annoiato. Vietare l'acquisto degli spray ai minori è assurdo, lo spray
è alla pari di un pastello ecc.. non è il mezzo ad essere criminale ma il modo in cui le persone lo utilizzano.”
(http://www.diregiovani.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=4429 – c.f.r da Video intervista a
Manmbo, su web tv di diregiovani). L'uso responsabilizzato e mosso da scopi positivamente condivisi rendono
invece il “graffitismo” un mezzo comunicativo per dare voce alle mille identità urbane della città e di chi le
abita.
Così, tra iniziative ed eventi che si susseguono negli anni, a Bologna i graffiti hanno caratterizzato sempre più
zone e luoghi della quotidianità rendendoli unici, capaci di raccontarsi, come il tunnel sottomarino

denominato “il tunnel sotto la ferrovia”, della zona “Fossolo”, realizzato nel 1999 da Caliumi Sara, st udentessa
all’Accademia di Belle Arti, grazie ad un'iniziativa del Centro Antartide e dal Settore Qualità Urbana del
Comune di Bologna (http://www.flashgiovani.it/arte/news/9/846/).
Arte e creatività hanno così trasformato un luogo inospitale dal punto di vista urbano (buio, nascosto, poco
rassicurante) in un fondale marino con anfore, pesci e conchiglie. Un chiaro esempio, questo, di come il
writing può diventare strumento a disposizione della città per rendere anfratti, zone urbane e vicoli più familiari
e accoglienti. Un tentativo artistico di ripopolare e ricreare un clima sereno e ospitale in quei luoghi cittadini
meno frequentati o percepiti come pericolosi e insicuri.

Foto (gruppo) graffiti nel sottopasso della zona “fossolo” di Bologna realizzati da Caliumi Sara

Foto 104

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Foto 114 Foto 115

Le foto mostrano i graffiti del tunnel sottomarino metropolitano della zona Fossolo nel periodo di marzo 2009.
Come si può evincere dalle immagini, l’opera realizzata da Sara nel tempo è stata inquinata da scritte, tag e
scarabocchi, riportando il sottopasso ad una zona fatiscente di degrado e di trascuratezza. Proprio per
grazie al sostegno della Conad, nel maggio 2009 hanno preso il via i progetti di restauro realizzati
questo, Grazie
dalla scuola secondaria di primo grado “Farini” nell’ambito del progetto "La città civile", che coinvolgendo
venti scuole bolognesi propone un percorso pratico e teorico atto a riflettere sui temi dell’educazione civica e
dei beni comuni e dell’ambiente con azioni rivolte alla città (http://www.flashgiovani.it/arte/news/9/846/) .
innaugurato il 16 luglio 2009 per la seconda volta in dieci anni. A
Il nuovo Tunnel così rinnovato è stato inaugurato
settembre 2009 ecco come si presenta:

Foto 116

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Foto 118
Foto 117

Foto 119

Foto 120

Foto 122
Foto 121

Foto 123

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Concepire la città come una galleria artistica openspace richiama la necessità di promuovere occasioni di
democrazia partecipata e di condivisione responsabile degli spazi pubblici attraverso forme creative e di
espressione. Non esiste una città perfetta, ma le società odierne possono disporre di una vasta gamma di
strumenti per fare del proprio habitat metropolitano un contesto meno ostile che auto genera così occasioni
di incontro e di socialità. Quello che può cambiare sotto questo punto di vista è la percezione che le persone
possono avere degli ambienti in cui vivono: avere l’idea di abitare una città bella anche visivamente, che
attraverso le sue strutture e i suoi edifici ci racconta anche la nostra storia, poter investire di significato gli spazi
urbani della quotidianità, sono tutti fattori che incrementano una maggior attenzione verso la città stessa, ma
soprattutto nei confronti di zone suburbane solitamente attraversate per raggiungere centri commerciali o
multisale, ma mai vissute nella loro fisicità.
Un esempio concreto
della voglia di fare della
città un luogo “estetico -
emozionale” (almeno
secondo il mio parere)
può essere rappresentato
da Dozza Imolese,
cittadina medioevale in
provincia di Bologna.
Questo piccolo centro
abitato arroccato intorno
ad un castello, ha una
caratteristica particolare:
muri, porte, negozi sono
tutti dipinti da disegni,

Foto 125 quadri su muro, story


board fumettistici. Qui
infatti ogni due anni si svolge una biennale dia arte del muro dipinto dove artisti di fama nazionale e
internazionale “eseguono opere permanenti sui muri delle case della piccola cittadina conferendole la
peculiare caratteristica di città dipinta.” (www.wikipedia.it).
Nel 2007 La biennale ha ospitato anche molti writers come Erika il cane e Blu, artisti bolognesi. La possibilità di
l'entrata sempre
lasciare spazio anche a questa tipologia di arte ha voluto rappresentare anche un tentativo di
distinguere
maggior impatto
nettamente del
coloro writing,
che fannoall'interno delle che
arte e coloro prestigiose
invece arti visive, nonchè
continuano come pratica
a imbrattare la città creativa capace
e i suoi muri con
di porsieanche
scritte al servizio
scarabocchi di della città. Dozza imolese e in particolare la biennale di arte del 2007 ha permesso
ogni sorta.
così di costituire "[...]un museo a cielo aperto [...] che precorre l'idea di pubblic art, grazie al rapporto
intrinseco che si sviluppa tra artista, pubblico e luogo". In poche parole, "un esempio di senso civico" (
www.diregiovani.it ). Una città e allo stesso tempo uno spazio artistico condiviso capace di valorizzare l'arte e
le sue diverse manifestazioni espressive annoverando a tutti gli effetti anche i graffiti writing tra le forme di arte
e cultura contemporanea apprezzabili. Dozza Imolese inoltre con la sua iniziativa nel 2007 ha dato la
possibilità ai writer di usufruire di contesti urbani legalizzati, voluti e vissuti dai cittadini in prima persona
rendendo visibile tecniche, strumenti e significati racchiusi nei graffiti.

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Foto 126

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Strumentalizzazione del graffito – writing? Parlano le saracinesche artistiche di Bologna
Tra illegalità e legalità dunque il writing sembra essere sostanzialmente mutato. Così,
anche l’arte dei graffiti pare non essere sfuggita al ciclone del consumismo.
Strumentalizzato da molti forse, legalizzato certo, il writing di oggi è anche una
professione, un mestiere, un fenomeno in via di evoluzione che guarda alla città per renderla più vicina ai
desideri o ai sogni di molti cittadini, di molti giovani, anche di tanti politici o economisti impegnati a sfruttare
questo fenomeno. Ribellione, passatempo, arte o vandalismo. Tuttavia il writing continua ad essere utilizzato
per decorare, abbellire e sentire più vicine alla propria identità la città e i suoi spazi, ma direi anche i suoi
negozi! Stefy ci ha ricordato che in fondo pubblicità e grafica hanno insegnato tanto all’arte dei graffiti, e io
credo anche viceversa. Cito lo spot pubblicitario messo in
onda per sponsorizzare un nuovo zainetto Seven9, che
appare così esemplificativa … : in una strada di periferia
un ragazzo stilizzato di un graffito, si anima: corre, fa
evoluzioni nei muri e sui cornicioni di un edificio grigio, un
prefabbricato tanto caro alla nostra contemporaneità,
ma reso più vivo e meno anonimo dai graffiti su cui questo
Figura 1- Pubblicità zaino Seven giovane “schizzo” salta, scivola sul collo di un dinosauro e
arriva finalmente in strada. Sul muro si vede la pubblicità di uno zainetto anch’esso così ostinatamente
anonimo e cupo. Il giovane allora prende dalla pubblicità lo zaino, lo indossa, lo mette dentro al suo zaino, e
subito il tutto si colora, prende vita nello stile di un graffito
murales, e il giovane che compare accanto al manifesto
pubblicitario ora privo di zaino ritorna ad essere parte del muro e del graffito stesso.
Writing
Writer quindi anche come pubblicità. Alla mia domanda a Stefy su cosa ne pensava della strumentalizzazione
che mi sembrava avesse assunto il writing usato da molti commercianti come mezzo per decorare a tema le
loro serrande, la giovane artista mi risponde sorpresa e un po’ indignata di come io non avessi notato che
sono gli stessi writers ad eseguire quei disegni. Effettivamente l’avevo solo ipotizzato, ma non essendomi
ancora immersa in un’analisi più accurata del fenomeno non avevo considerato, forse come poi la maggior
parte di persone, che alcuni writers praticassero writing su commissione. Questo mio modo di considerare
inizialmente la questione credo sia anche frutto della rappresentazione mediatica che del graffitismo viene
data: illegalità, deturpazione degli spazi pubblici, disordine e devianza giovanile ecc…
Per essere più chiara cito l’episodio di cronaca recentissimo pubblicato dal giornale gratuito “Bologna” dal
titolo a piena pagina “Graffiti, Questura al contrattacco di via al writer dell’onda”: uno studente di 21 anni
fuori sede di Como, incensurato e senza precedenti per reati di questo tipo, dopo essere stato fermato il 9
luglio dalla polizia mentre scriveva, sui muri del centro, messaggi di solidarietà nei confronti di alcuni ragazzi
bolognesi arrestati dall’operazione rewind, è stato non solo denunciato, ma anche citato in giudizio con la
prescrizione di tenersi lontano dalla città (foglio di via). Un provvedimento quello emanato dalla procura forse
fuori luogo per l’accusa di imbrattamento urbano. Per il giornalista sembra quasi che writing, proteste
studentesche e vandalismo grafico urbano siano tutti fenomeni prodotti da un'unica categoria di attori
sociali. L’articolo dice infatti “ La decisione del Questore Luigi Merolla coglie due obiettivi con un solo colpo:
guardia alta verso gli studenti dell’onda, di cui il comasco fa parte e in nome di cui il 9 luglio compose scritte
di solidarietà agli studenti arrestati per il G8 di Torino, e allo stesso tempo, uno scacco ai writers. Un avviso al
9
All’interno della ricerca condotta da D. Lucchetti (1999) l’analisi del writing in Italia si conclude con le problematiche legate all’uso che i
medi ne hanno fatto fin da subito. Già nel 1998 la stessa Seven utilizza lo stile grafico del writing per
media per isuoi
suoi prodotti! Nel numero 2189 di Topolino
dello stesso anno appare il personaggio di Pippo in una nuova versione: quella di writer mentre cerca di dipingere la sua Tag sulla copertina
stessa del fumetto e così via fino ad arrivare ad oggi.
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movimento studentesco e un messaggio politico che non si era mai spinto così in là nella condanna agli
imbrattatori del centro.”( Bologna, 9 settembre 2009 – p. 19).
L’idea che viene veicolata è che i writers, per la maggior parte studenti fuori sede, compiono nelle proteste
studentesche o di natura politica atti di vandalismo imbrattando gli arredi urbani cittadini, quindi praticando
illegalmente writing. Che il writing venga condotto anche illegalmente, su questo, possiamo essere
un'idea
d’accordo, ma che esso coincida con la deturpazione grafica della città, risulta un idea stereotipata diffusa
spesso dalla mancanza di conoscenza al riguardo e dall’immagine che i mezzi di comunicazione fanno
circolare, diventando così una convinzione generalizzata dell’opinione pubblica, dando inoltre anche degli
studenti fuori sede un giudizio implicito discriminatorio. Non c’è l’attenzione che in precedenza abbiamo visto,
fondamentale e ricercata anche da tante amministrazioni comunali, di distinguere e fare chiarezza fra due
fenomeni ben differenti come quello del writing e dei comportamenti illeciti atti a deturpare il decoro del
contesto cittadino.
Tornando a noi, dunque non viene sempre
considerato come il writing possa stringere
collaborazioni in primis come le istituzioni per fini
comunitari e sociali, ma anche con i privati, per
guadagnare compensi e nello stesso tempo
comunque visibilità sulla scena cittadina. A Bologna
sono moltissimi i negozianti che hanno scelto come
decorazione della saracinesca del proprio esercizio
commerciale, un graffito. Forse stanchi di ritrovare la
mattina portoni e serrande scarabocchiate (anche
se ciò non preserva da atti di vandalismo – è
sempre la stessa storia: rispetto verso gli altri, verso le
proprietà private e verso altre forme d’arte già
presenti sulla scena urbana) o forse certi di ottenere
maggior visibilità, pubblicizzandosi anche di notte,
quando il negozio è ormai chiuso, i commerciati di
Bologna fanno del writing anche una forma di
comunicazione pubblicitaria veloce e di impatto
immediato sulle strade della città. In Via Massarenti
frutta e verdura, pasticceria e bar hanno decorate
le saracinesche; così come in Via Saragazza le
serrande chiuse dei negozianti ci parlano di una
copisteria, di una pizzeria, e di un negozio
“stravagante” di cui non mi è chiara la tipologia di
prodotti o di servizi che potrebbe vendere o
erogare; in Via Lenin in invece parrucchiere,
Foto 152/153 – areografia su saracinesca – negozio in via tabacchi ed edicola di giornali si pubblicizzano
Saragozza – Bologna 2009
anche da chiusi.
Se osserviamo le foto scattate nelle diverse zone di Bologna noteremo subito che il writing assume una forma
e una valenza diversa, tanto da poter non essere più considerato nemmeno tale. Parlerei piuttosto di
areografie o immagini grafiche vere e proprie e di comunicazione pubblicitaria.

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Foto 154/155/156 areografia su saracinesca – pizzeria e copisteria – Bologna 2009

Foto 157/158/159 areografia su saracinesca – negozio di frutta verdura e bar pasticceria in Via Massarenti – Bologna
2009

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Quello che è importante sottolineare è che se
da un lato viene rimarcato come il fenomeno
graffiti-writing abbia assunto ormai da diversi
anni nuove forme, mutando in altre correnti
artistiche metropolitane o entrando a pieno
titolo come disciplina delle arti visive, il writing al
servizio di enti, privati o soggetti terzi, desta
comunque malumori e incertezze. Ecco che
nuovamente si fanno sentire le voci polemiche
di coloro che da sempre rimangono
fermamente convinti di non poter esercitare la
propria arte all’interno di schemi dati e
preconfezionati, di recidere le radici storiche di
una cultura artistica e metropolitana: alcuni
writers non ci stanno, e come un tempo
protestano all’idea di perdere l’essenza stessa
del graffitismo limitando creatività ed estro su
commissione. Se almeno gli enti pubblici
impongo limitazione e “paletti” alla location in
cui praticare writing, i privati che sfruttano l’arte
metropolitana per scopi propri e di guadagno
(anche se poi è reciproco, anche il writer ha il
suo compenso per ciò che fa), decidono il
come e il cosa si debba realizzare …. Ripeto
non siamo più allora di fronte al graffiti-writing,
ma a qualcosa di ben diverso realizzato però
dagli stessi protagonisti.
Wany, writer girovago e ormai di spicco come
artista sulle scene internazionali, che aveva
iniziato a dipingere sui muri sul finire degli anni
’80 e l’inizio dei primi anni ’90, oggi crede che
“a quel tempi c’era meno esibizionismo, meno
voglia di fare soldi attraverso il writing […]. Il mio
ingresso nel mercato delle gallerie, delle mostre
e dei festival è stato quasi inconsapevole. Agli
inizi della mia carriera qualche negoziante mi
pagava perché io dipingessi le porte della sua
bottega. Ho smesso di accettare queste
Foto 160/161/162 areografia su saracinesca – edicola – Bologna commissioni quando ho capito che non avevo
2009
più la libertà di creare” (www.lastefani.it).
Fenomeno legalizzato, sfruttato dai media, o semplicemente evoluzione del writing in un contesto e in un
epoca che lo vogliono anche così. Per alcuni writers la questione è molto più complessa. Rode, artista e
writer, sull’argomento non ha dubbi “legalizzazione di che? Forse si può parlare di un processo teso a
trascinare il writing in una fossa mediatica, mi riesce difficile credere che ci siano altri propositi” e continua

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smontando le precedenti considerazioni ottimistiche sull’importanza di dialogo e collaborazione con le
istituzioni “ogni tentativo di legalizzazione per scopi preventivi è destinata a fallire miseramente. L’unico
tentativo che la società può attuare è quello di comprendere l’importanza del fenomeno a livello urbanistico,
a livello architettonico e addirittura paesaggistico!” (www.sacrepitture.com 2007 – 2008). Al contrario di Rode,
Senso, altro writer italiano, concepisce il processo di legalizzazione del writing una tappa positiva voluta in
primis da alcuni writers “quelli che hanno voluto trasformare la loro attività in un lavoro vero e proprio,
attraverso il dialogo con le istituzioni e l’ambiente artistico più ufficiale […], la legalizzazione è un percorso
positivo su cui vi è ancora tanto da lavorare per un riconoscimento più concreto del proprio lavoro”
(www.sacrepitture.com 2007 – 2008).
In accordo con il fatto che la mera prevenzione non può condurre a nulla, credo che questa possa dare i
suoi frutti se attuata nella convinzione che, come sosteneva Rode, il writing possa rappresentare un fenomeno
urbano che alla città può dare molto proprio perché vive della sua essenza. Il nocciolo del problema rimane
a mio avviso la modalità con qui questa tendenza artistica viene praticata: è questione di scelte e
responsabilità; di punti di incontro e di interessi reciproci.
Comuni e cittadini, artisti contemporanei e writers possono trovare vie di mediazione pur partendo da
presupposti diversi. I primi certamente hanno tentato la strada del dialogo per sopperire al dilagante
fenomeno del vandalismo grafico che comporta spese elevatissime di pulizia, che poi a breve termine sono
vanificate. Le istituzioni locali però nella maggior parte dei casi hanno anche cercato di affiancare alle
compagne preventive e punitive percorsi di sensibilizzazione e valorizzazione del graffitismo puntando, in
molte città, sulla partecipazione attiva dei cittadini stessi. Gallerie d’arte, studiosi, amministrazioni locali,
comuni hanno iniziato a intravedere nel writing un potenziale certamente utile anche a loro, ma comunque
edificante per il contesto urbano. Hanno concesso zone specifiche, ma non hanno imposto cosa “dipingere”
e come farlo. D’altronde il vivere sociale implica anche adattamento alle sue norme, altrimenti prevarrebbe
l’anarchia più totale. I writers del resto possono scegliere di muoversi nell’illegalità o meno, ma pur sempre
con responsabilità. Chi fa arte non violenta l’arte qualsiasi sia la sua forma.
Sempre in movimento, il writing abita le nostre città e le rende vive, illegalmente, per mettersi alla prova e
ribellarsi alla quotidianità scontata con le sue norme e le sue regole, che spesso stanno strette, per
divertimento e hobby, per fare della città un luogo aperto alle contaminazioni, comunicando facendosi
strada per dialogare, a volte scontrandosi con altri soggetti che abitano la scena urbana. Provvedimenti,
sanzioni, collaborazioni e progetti daranno il suo frutto forse, ma non saranno mai sufficienti per fare del writing
qualcosa di altro da ciò che è: un fenomeno complesso con mille sfaccettature che nel contesto urbano
odierno ha preso più direzioni e strade di sviluppo evolvendosi in altre correnti artistiche ed espressive, ma
rimanendo nello stesso tempo ciò che oggi come un tempo viene chiamato graffiti-writing - “una
manifestazione sociale, culturale e artistica” (Baldieri, 1990) diffusa globalmente attraverso cui esprimere la
propria creatività tramite interventi diretti sul tessuto urbano. Possiamo allora sfruttarne le potenzialità per
migliorare la città e i suoi luoghi.
Penso, infatti, al writing come ad un percorso artistico ed espressivo interculturale, ovvero capace di abitare i
luoghi e gli spazi e di porli in comunicazione reciproca, rendendosi aperto e disponibile alla valorizzazione
delle differenze e delle divergenze di pensiero – non solo negli stili e nei contenuti che vanno oltre l’apparenza
e il pregiudizio - ma anche coinvolgendo soggetti diversi per età, sesso, cultura e classe sociale. Il writing di
oggi e quello nato in America negli anni sessanta hanno promosso l’aggregazione spontanea, il dialogo tra
appartenenze culturali e sociali diverse, la valorizzazione delle capacità individuali e dei gruppi. Gruppi e
soggetti che oggi la città la vivano e la rendono in un certo senso viva. Le strade, i parchi pubblici, i quartieri
meno frequentati e le zone degradate cittadine possono diventare spazi di socializzazione veri in cui ognuno

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ha la possibilità di esprimere la propria identità correndo però un rischio: andare contro all’ordine che
presiede lo spazio urbano, quell’ordine che garantisce sicurezza, conformismo, monolitismo tanto caro alla
società perché intrappola e non da la possibilità di agire diversamente, di protestare. Nonostante tutto, molte
ricerche sociologiche hanno mostrato come oggi parchi e spazi pubblici sembrano essere nuovamente
rianimate e dotate di senso, di routine e di significati sociali grazie ai soggetti immigrati e ai ragazzi di seconda
generazione che trovano in tali contesti spazi di aggregazione in cui costruire relazione amicali tra pari, ma
anche tra generazioni differenti, con soggetti appartenenti alla loro stesa cultura o con altri gruppi di
provenienza. Mi sembra positivo sapere che i luoghi che da sempre hanno costituto il tessuto urbano di
Bologna possano trovare nuovamente un senso e un identità chiudendo la porta alla paura e al terrore che
però purtroppo continua ad essere uno dei sentimenti prevalentemente diffuso tra i cittadini autoctoni, che
proprio non hanno intenzione di investire con la propria presenza la città. La maggior parte preferisce
passeggiare nei centri commerciali, o magari nelle vie principali del centro storico. A Bologna molti writers
famosi sono italiani, hanno studiato arte all’accademia o sono figli d’arte “ come Draw, figlio del fumettista
Magnus e Walker figlio dell’artista “Manai”(intervista Dado e Stefy) e credo che tutti loro possano, attraverso il
writing, sensibilizzare i cittadini a ritrovare le origini, e le radici che hanno costituto l’essenza e la cultura di
Bologna; una città che da sempre, almeno nei miei ricordi, ha saputo mettere in comunicazione le differenze
e valorizzare gli spazi sociali del contesto urbano utilizzandoli positivamente, investendoli di significati forti che
hanno accompagnato le generazioni fino ad oggi. Forse in una visione un po’ troppo utopica, ma tutta via
auspicabile, credo che i nuovi “artisti di frontiera” possano oggi provare a porre le basi per facilitare il
processo di riappropriazione culturale e sociale dello spazio pubblico da parte dei cittadini autoctoni e non10,
e soprattutto dei giovani, senza cadere in quello che Zukin (1995, 28) definisce “pacificazione per mezzo del
cappuccino” ovvero evitando di porre ai margini determinati soggetti non proprio ben voluti dall’opinione
pubblica, senza che la città e determinate aree di questa si trasformino in città per “utenti normali”eliminando
dagli spazi di aggregazione gli “indesiderabili” (Parker, 2004).
Si potrebbe obiettare che i writers stessi facciano parte di questa scomoda categoria posta sulla soglia, ma il
writing di oggi ha ormai superato l’esame di normalizzazione e “accettazione” che l’ordine civile impone a
tutti noi, rimanendo però ancora in bilico tra legalità, illegalità, accettazione o al contrario rifiuto. Forse il
writing oggi è in una zona franca intermedia che proprio per questo gli consentirebbe di profilarsi come un
canale di mediazione essendo da entrambe le parti: quelle delle istituzioni con cui da tempo ha iniziato a
dialogare, quella dello spazio urbano sentito come luogo da vivere e in cui partecipare attivamente, quella di
coloro che non vogliono rimanere in disparte e sentono l’esigenza di cambiare le regole del gioco.

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In questo caso chi è portatore di origini culturali differenti a Bologna, come abbiamo visto per i giovani di seconda generazione, ha già
avviato un processo originale di riutilizzazione dei luoghi e degli spazi urbani. Forse un po’ obbligati per l’essere tagliati fuori da altri spazi e
contesti, sentiti come proprietà private da parte dei cittadini autoctoni, gli immigrati sovente, senza rendersene conto, hanno ridato un ruolo
e una funzione a contesti ormai dimenticati, facendoci riflettere sull’importanza che svolgono nella nostra vita i luoghi cittadini e periferici.
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PARTE III
Breve intervista a Dado e Stefy, Writers e artisti
contemporanei a Bologna

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INTERVISTA VIA E-MAIL A DADO E STEFY, WRITER BOLOGNESI
Sarebbe bene anche dare voce a chi vive in prima persona questo “gioco” per
comprenderne meglio il significato. Il web potrebbe essere il primo luogo in cui cercare
contatti e blog di writers
writer che vivono a Bologna: riesco così a trovare il sito internet di due
famosi writing bolognesi Dado e Stefy che da diversi anni collaborano con le istituzioni
istutuzionei della città e che
pullula di interviste interessanti ai
hanno fatto della loro arte una professione lavorativa. Anche se “la rete” pullola
de writing in Italia e all’estero decido di provare a contattare tramite e-mail Dado
maggiori esponenti del dado e Stefy
stefy
per proporgli un'intervista.
un intervista. I due giovani artisti mi rispondono subito scrivendomi che accettano volentieri ma
che data la scarsità di tempo a loro disposizione preferirebbero rispondere alla mie domande attraverso la
posta elettronica. Riporto dunque l’intervista completa a dado e stefy

1) Come avete iniziato a fare graffiti writing?


Abbiamo iniziato da piccolissimi. Sui 13 anni. È sempre molto bassa l’età in cui si inizia come writer. Abbiamo sentito il
fascino delle insegne pubblicitarie, quello dei Font delle scritte dei Brand. Le scritte luminose sormontavano la città. Sovrane.
La scritta disegnata e il disegno che si legge erano le stesse cose. Big babol, coca cola, best company, Metallica: cen’erano
tantissime di belle. E fin da bambini piccoli, sentivamo che erano loro a contare, quelli che avevano il loro nome dappertutto.
Poi abbiamo visto il nostro primo disegno fatto a spray nel muro, la prima firma. E per emulazione, come tutti a quell’età,
impugni il tuo primo spray, e ti innamori di quello strumento pittorico, gestuale, veloce, difficilissimo da governare. Ti
innamori di quell’odore forte e di quel colore lucido e denso. Abbiamo iniziato così e crediamo che forse, si inizia tutti così.
2) Come scegliete i luoghi della città in cui fare le vostre “opere”?
Proprio come ci hanno insegnato i signori della pubblicità di cui siamo ovviamente i figli. I muri più grandi, più in vista, più
luminosi, e nei luoghi più prestigiosi e di maggior passaggio. Perché più sei visibile più ti conosceranno e sarai riconosciuto
tra i writers come writer che conta. Questo è il nostro game interno. Più fai e più ti fai notare per quantità e pezzi o qualità di
stile e più conti come writer tra i writers. E tutti gli altri non contano. Chi non è writer non è nel game. È totalmente altrove.
Vengono scritti solo fiumi di stronzate, fraintendimenti. Critici d’arte e giornalisti, accademici e aziende di ogni sorta sono tutti
ridicoli ai nostri occhi quando parlano di writing: nessuno ha ancora capito e tutti parlano rendendosi ridicoli ai nostri occhi,
e guadagnano briciole alle nostre spalle.
3) A Bologna che rapporto hanno i writers con le istituzioni e con l’opinione pubblica?
Dal 1993 abbiamo permessi per dipingere in molti punti della città. Dal 2000 veniamo pagati e utilizzati come strumenti
dell’arredo urbano per decorare i muri (vedi sul nostro sito www.dadostefy.com sotto la voce esterni). Nel writing lo stile
bolognese è estremamente evoluto rispetto a molte altre città nel mondo. Questo è avvenuto perché alcuni tra i primi writers
storici di n.y. hanno vissuto a Bologna e ci hanno insegnato tanto. Ovviamente ciò è successo perché Francesca Alinovi era di
Bologna e le mostre arte di frontiera e anni ottanta e ciò che accadde in quegli anni diede i suoi frutti in città.
Inoltre siamo un gruppo di artisti formatosi all’accademia di belle arti. Alcuni tra noi sono figli d’arte come Draw, figlio del
fumettista Magnus e Walker figlio dell’artista Manai.
Comunque tutti noi abbiamo sudato per affinare stili sempre più evoluti. E possiamo dire di esserci riusciti. Le collaborazioni
continuano con il comune di Bologna e con tanti altri.
4) Che significato ha per voi fare graffiti writing?
Quello di sempre. Lo spray è una tecnica pittorica. Il muro è il supporto. Noi siamo artisti. Il writing è una delle tante
discipline pittoriche che adoperiamo per realizzare le nostre opere.
5)Oggi si è aperta un enorme polemica, che poi c’è sempre stata,
È successo che il writing purtroppo va di moda. E allora sono arrivati i vampiri: galleristi, critici d’arte, industriali, case
editrici, griffe vogliono guadagnare su di noi, perché in questo momento siamo trandy. Ed è successo anche che, mille ragazzi
incapaci di usare lo spray, lo impugnano e fanno firme dappertutto, simili a scarabocchi. Perché è illegale e allora è divertente

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dai 14 ai 22 anni, come tutto quello che non si può fare. E allora le città contemporanee ad altezza uomo sono tutte piene di
scritte (soprattutto una città come Bologna, che ospita universitari fuori sede che non sono bravi come noi e che sanno fare
solo firme e schifezze con uno spray) quindi si sono tutti incazzati ed è iniziata una polemica tragicomica attorno a questo
argomento. E la fobia e l’urgenza di cancellare le scritte e di ridipingere tutti i muri come se fossero scritte offensive ma sono
slo firme. E i muri stanno in piedi anche se ci sono le scritte e portoni e serrande si aprono anche con le scritte sopra, ma si
ostinano a voler cancellare tutto, come se non sapessero che tanto, sui muri della nostra città, ci sono da sempre scritte
politiche, e quelle degli ultrà e scritte come “dio esiste”, “silvia ti amo” e mille cagate che ci saranno sempre e che invece il
writing è solo una moda, e come tale, passerà presto. Sarebbe ben più furbo aspettare quel momento e smetterla di gettare al
vento così tanti soldi e mentre i giornalisti servi riempiono i rotocalchi di allarmismo contro le scritte, nessuno, tranne noi si è
accorto delle enorme speculazione che vi è dietro. Hera è l’azienda designata a ridipingere tutta la città da ogni scritta, e
guadagna cifre impressionanti pagate dal comune . E chi ci dice che Hera non paghi lei stessa dei finti writers per sporcare la
città e guadagnare sulla stupidità dei cittadini due volte? Bisogna riaccendere il cervello. La nostra città è in mano a
punkabbestia e spacciatori. E’ tornata pesantemente di moda l’eroina. Ci sono stupri e crimini di ogni genere. Ogni giorno.
Piscio, merde di cane e stagnole dappertutto. E sui giornali si parla di degrado, dicendo che il degrado della città sono i
graffiti e che bisogno assolutamente coprirli tutti. Come se cambiando scenografia, su uno sfondo a tinta unita i tossici e tutto il
resto non restasse esattamente uguale a se stesso. Noi crediamo che il degrado sia nel cervello delle persone che non pensano
più e si fanno abbindolare da astuti speculatori. Gli anziani invece che sono più sani e lucidi che con onore ci dicono che
preferiscono la città a tinta unita, hanno ragione. Se la sono scelta e dipinta loro, da giovanissimi e l’hanno avuta a tinta unita
per un sacco di anni. Ma oggi ci siamo noi, e amando Bologna quanto loro, però la preferiamo colorata e ce la dipingiamo noi
e quando gli anziani passano, ci fanno comunque un sacco di complimenti. Perché i nostri disegni sono belli e piacciano anche
a loro che hanno un senso estetico così lontano dal nostro.
6 – Come sentite la città nel vostro essere writers?
Quando ami un luogo ti viene spontaneo abbellirlo, decorarlo. Puoi farlo con la tua stanza, noi amiamo e lo facciamo con la
nostra città
7 – Secondo voi, anche il writing ha subito gli influssi tipici della nostra epoca, come il consumismo e le modo a tutti i costi?
Ci sono vampiri che speculano su tutto cià che va di moda per poi buttarlo nel cesso al prossimo trand.
8 – Secondo voi le areografie su molte serrande di attività commerciali possono essere collegate al writing?
Buongiorno! Guarda che le serrande le facciamo noi. E chi sennò?Ci chiamano i commercianti, ci pagano e ci commissionano
le immagini da disegnare. Pensavo fosse palese, lasciamo anche la nostra tag ogni volta.

DAL SITO DI DADO E STEFY - http://www.dadoestefy.com/index.php

HOME PAGE DADO-SPRAY SU MURO-Bologna, 2004

DADO&STEFY-INTERVENTO ALL OVER- MAGGIO 2007-


SASSUOLO (M0)

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