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Per riuscire ad ascoltare e a cogliere questa chiamata, Hillman propone di accantonare gli schemi
psicologici generalmente usati in terapia che si limitano ad adattare le vite allo schema studiando
la biografia come la successione di una fase dopo laltra della vita: infanzia, crescita come sviluppo,
giovinezza, mezza et, vecchiaia, morte. Gli eventi sono frantumati come in un curriculum vitae
organizzato esclusivamente sulla base della cronologia. Una vita simile come una narrazione
priva di trama. Hillman si contrappone in particolare allanalisi della psiche in base ai traumi
infantili, che vede la guarigione attraverso lautobiografia come percorso delle fasi dellinfanzia.
Hillman pensa che la nostra vita non sia determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dalla
modalit traumatica con cui ricordiamo linfanzia come un periodo di disastri arbitrari e provocati
da cause esterne che ci hanno plasmati male. Secondo Hillman abbiamo smarrito il senso della
nostra vocazione, la ragione per cui siamo vivi, la sensazione che ciascuno responsabile di fronte
a unimmagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia.
Quello della biografia un problema che ossessiona la soggettivit occidentale, come dimostra il
suo ricorso alle terapie psicoanalitiche. Chi in terapia alla ricerca di una biografia soddisfacente;
la domanda che si pone sostanzialmente questa: "Come posso mettere insieme in unimmagine
coerente i pezzi della mia vita?"
Siamo stati derubati della nostra vera biografia ed entriamo in analisi
proprio per
riappropriarcene. Ma, ed questo il punto, il tentativo sar sempre fallimentare se si procede
con i mezzi convenzionali, freudiani: limmagine innata non si potr mai trovare, finch non
disporremo di una teoria psicologica che attribuisca realt psichica primaria alla chiamata
del destino. La rimozione, che tutte le scuole terapeutiche considerano la chiave daccesso
alla struttura della personalit, non riguarda il passato, bens la "ghianda" e gli errori che in
passato abbiamo compiuto nel rapportarci ad essa.
Se spiego la mia esistenza sulla base di qualcosa che gi presente nei miei cromosomi, o sulle
scelte dei miei genitori, o di altri fattori esterni, la vita che io vivo sar una sceneggiatura
immodificabile, scritta dal mio codice genetico, dalleredit ancestrale, da accadimenti
traumatici, da comportamenti inconsapevoli dei miei genitori, da incidenti sociali. Il libro di
Hillman vuole smascherare la mentalit della vittima: noi siamo vittime delle teorie, ancor prima
che vengano messe in pratica. Pi in particolare, noi siamo vittime della psicologia accademica,
della psicologia scientistica, della psicologia terapeutica, i cui paradigmi, ancora saldamente legati
alla visione positivistica del mondo, non spiegano e non affrontano in maniera soddisfacente - cio
rimuovono - il senso della vocazione, quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita
umana, portatore di ununicit che chiede di essere vissuta e che - questo il punto - gi
presente prima di essere vissuta.
Quest'ultima frase solleva dei dubbi su un altro importante paradigma: quello temporale. Anche il
tempo per Hillman va accantonato: altrimenti, il prima determiner sempre il dopo, e noi
rimarremo incatenati a cause remote sulle quali non possiamo intervenire. La vita deve quindi
poter essere letta a ritroso. Hillman non vede la persona come un processo o unevoluzione. La
persona limmagine stessa del nostro destino innato, ed solo quellimmagine che si sviluppa, se
lo fa. Come disse Picasso: Io non mi evolvo, io sono. Questo aspetto della teoria hillmaniana
ricorda da vicino la concezione del tempo di pensatori distanti fra di loro nel tempo, ma
accomunati da un identico scetticismo circa la concezione del tempo "lineare", come Sant'Agostino
e Henri Bergson.
Hillman nellesporre le sue tesi si rif ad un mito molto antico: il mito di Er di Platone raccontato
nella Repubblica. Il mito racconta che ancor prima della nascita ognuno di noi sceglie unimmagine
o un disegno che poi vivremo sulla terra e riceve un compagno che ci guidi, un daimon che unico
e tipico nostro. Quando veniamo al mondo dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere
venuti vuoti. Il daimon ci risveglia e porta alla luce il nostro destino e la nostra immagine: la
cosiddetta Vocazione. Platone usa in specifico la parola pardeigma o forma fondamentale, che
abbraccia l'intero destino di una persona.
Questa immagine portatrice del nostro destino non va confusa con una guida morale o la voce
della coscienza: Socrate ad esempio parla di un daimon o spirito-guida che lo assiste in ogni sua
decisione (si veda ad esempio l'Apologia di Socrate platonica), ma i critici sono profondamente in
disaccordo sullesatto significato di questo termine, tanto pi che Platone afferma chiaramente che
si tratta di una presenza che si fa avvertire non gi per indurre Socrate a compiere certe azioni, ma
solo per distoglierlo: C' dentro di me non so che spirito divino e demoniaco [] Ed come una
voce che io ho dentro sin da fanciullo; la quale, ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi dissuade
da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte (Apologia di Socrate, 31 d).
particolare che "atterrato" tra di loro. Invece che dire: "questo mio figlio", devono chiedersi:
"Chi questo figlio che risulta essere mio?" Cos possono sviluppare molto pi rispetto per il
bambino e cercare di stare vigili per occasioni nelle quali il suo destino possa mostrarsi, come una
resistenza alla scuola, per esempio, o degli strani sintomi, o un'ossessione verso qualcosa.
Hillman sceglie come punto di partenza quindi linfanzia; analizzando alcune biografie, smonta e
rielabora le interpretazioni freudiane che vi si potrebbero applicare.
Il guaio che queste urgenze del destino sono spesso frenate da percezioni distorte e da un
ambiente poco ricettivo, sicch la vocazione si manifesta attraverso i sintomi del bambino difficile,
del bambino autodistruttivo, del bambino iper, tutte espressioni inventate dagli adulti in difesa
della propria incapacit di comprendere.
I bambini si trovano in una situazione difficilissima: cercano di vivere due vite
contemporaneamente, quella con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo a
cui sono nati. La voce interiore che li chiama altrettanto imperiosa delle voci repressive
dell'ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle
ritrosie che sembrano indirizzare il bambino contro il nostro mondo, mentre servono forse a
proteggere il mondo che egli porta con s.
Senza una teoria che lo sostenga dai suoi inizi e senza una mitologia che lo riconnetta a qualcosa
che viene prima di tali inizi, il bambino fa il suo ingresso nel mondo come mero prodotto,
casuale o pianificato, ma privo della sua autenticit. Anche i suoi disturbi saranno privi di
autenticit, trattati asetticamente come "incapacit di adattamento" ad un ambiente la cui positivit
(o inevitabilit) data per scontata dagli adulti anche quando palesemente infondata.
Analizzando dettagliatamente alcune biografie, da quella del filosofo inglese R. G. Collingwood a
quella della biologa statunitense Barbara McClintock, o ancora quella della scrittrice francese
Colette o quella della first lady americana Eleanor Roosvelt, Hillman dedusse che il genio dentro
ognuno di noi non un bambino, e non vuole essere trattato come tale; il genio non limitato
dallet, status, taglia, istruzione, tutti i bambini nutrono unambizione smodata, e sembrano
sapere esattamente quello che vogliono. Inoltre not come nella maggior parte di queste biografie
il genitore abbia un ruolo importante; mentre un occhio freudiano attribuirebbe tutte le cause a
quest'ultimo, Hillman invece va contro la psicologia classica, smentendo come la presenza dei
genitori possa influire sulla vocazione del bambino. Questo concetto lo chiama superstizione
parentale: siamo cos perch i nostri genitori ci hanno fatti cos o hanno voluto che fossimo cos.
Unaltra teoria contro la quale Hillman si scontra, la cosiddetta Teoria della compensazione.
Questa teoria afferma che le future superiorit siano date dalle inferiorit e limitatezze iniziali; ad
esempio, i bambini esili e malaticci sono indotti, per compensazione, a diventare capi forti e
autoritari. Per esempio, Gandhi da bambino era magro, malaticcio e timoroso; aveva paura dei
serpenti, del buio e degli spiriti (Cradles of Eminence, Victor Goertzel e Mildred Goertzel, Little
Brown, Boston, 1962), e avrebbe sviluppato la sua eccezionale forza a partire dal superamento
delle sue debolezza. La teoria della compensazione nasce con Alfred Adler, terzo membro del trio
terapeutico Freud-Jung-Adler. Tutto ci si connette alla teoria freudiana della sublimazione, che
sostiene che le debolezze iniziali non sono semplicemente trasformate in punti di forza, ma in
prodotti darte e della cultura, al cui fondo rimarrebbero le scorie di quelle offese infantili, che
costituiscono il vero germe originario dei prodotti artistici.
Ebbene, secondo Hillman la teoria della compensazione uccide lo spirito, derubando le persone e
le azioni eccezionali della loro precipua autenticit. Questa teoria tende a svilire quindi tutti i
talenti, le particolarit, gli eroismi, considerandoli semplicemente come inferiorit
E' facile vedere le conseguenze sul piano etico di questa immagine capovolta: la virt
consisterebbe nel rivolgersi verso il basso, come nell'umilt e nella carit.
Finch la cultura non riconoscer che crescere in realt discendere, gli uomini si troveranno ad
annaspare alla cieca per dare un senso agli obnubilamenti e alle disperazioni di cui l'anima ha
bisogno per penetrare nello spessore della vita.
Due dei pi durevoli miti della creazione della civilt occidentale, quello biblico e quello platonico,
confermano questa impressione: la Bibbia dice che Dio impieg sette giorni a creare tutto
l'universo. Dio affronta prima le grandi astrazioni e le operazioni pi elevate, come separare la
luce dalle tenebre, fino al sesto giorno; soltanto allora si arriva alla molteplicit degli animali e
infine all'uomo. La creazione procede all'ingi, dal trascendente all'immanente.
Della "teoria della ghianda" Hillman porta numerosissimi esempi: da Ella Fitzgerald a Yehudi
Menuhin a Colette al torero Manolete a Golda Meir a Josephine Baker a Adolf Hitler, la carrellata
delle sue "vocazioni" impressionante, e tutti i personaggi presi in esame mostrano in modo
inequivocabile i segni della loro predestinazione nei loro comportamenti infantili, spesso
stravaganti quando non aberranti. Del resto, come fa notare l'autore, non dissimile era
l'atteggiamento di biografi antichi come Plutarco e Svetonio, che sempre davano il massimo risalto
alle manifestazioni precoci della personalit dei "grandi uomini": si pensi ad esempio al racconto
plutarcheo dell'infanzia di Alessandro Magno o a quello svetoniano delle perversioni giovanili di
Caligola o Nerone.
Conclusioni
Quello cui mira Hillman con quest'opera e con la sua teoria una vera e propria "ristrutturazione
della percezione", soprattutto per quanto riguarda la psicologia infantile: "voglio che vediamo il
bambino che eravamo, ladulto che siamo e i bambini che per qualche motivo richiedono le nostre
cure in una luce che sposti la valenza da sciagura a benedizione o, se non proprio benedizione,
almeno a sintomo di una vocazione." Ma decifrare il senso dell'immagine lavoro di tutta una
vita: se pure percepita tutta in una volta e visibile gi nel bambino, la si comprende solo
lentamente. Il tempo pu renderla manifesta soltanto come futuro. Del resto ne vale la pena:
l'alternativa brancolare nel buio alla cieca, senza mai percepire l'esistenza di un senso.