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Prima della indagine che ora qui esporrò, tutte le letture e gli approfondimenti fin qui fatti e riportati erano rimasti
relativamente “lontani” dagli scritti di Paolo, scritti che solo occasionalmente e parzialmente avevo letto. Ed è
forse anche questa “relativa libertà” da Paolo che mi ha permesso di “vedere” parole di Gesù tanto “diverse” da
quelle da lui viste e che la Cristianità ha assunto: quasi tutto, quanto fin qui visto, è nato infatti prima di questa
indagine su Paolo. Naturalmente quella mia “lontananza” era con evidenza relativa poiché le nozioni religiose
che io ho ricevuto, Cattolico Cristiane, nascono proprio da Paolo.
Ma quel mio quasi necessitato, e certo “casualmente-fatalmente determinato”, cammino-non cammino in cui sono
occorso, mi ha fatto vedere, lentamente e poi sempre più fortemente, che le discrasie e le antitesi tra quel “Gesù
diverso” che lentamente ai miei occhi si svelava e ciò che invece la Cristianità insegnava, nascevano proprio dagli
insegnamenti di Paolo. Nascevano da Saulo di Tarso poi San Paolo.
Due cose, come già anticipato, si mettono in evidenza, grandi ed enigmatiche, alle prime letture delle lettere di
Paolo e di Pietro. La prima è che Paolo, in 2Cor 11.5 e 12.11 ma anche in Galati 1.7,8, dice apertamente che :
--- alcuni <... SuperApostoli ..> predicavano un <.. "altro" Vangelo-Annuncio.. > ed insegnavano
un <.. Gesù “diverso”.. > da quello che insegnava lui ---
La seconda riguarda Pietro che, contrariamente a Paolo, con Gesù ha vissuto: Egli in 2Pt 3.16 ci dice che :
--- le lettere di Paolo possono essere travisate e possono portare alla <.. rovina.. > chi le legge ---
A queste due allarmanti affermazioni si affiancano poi, vedremo più avanti, sia la enigmatica lettera di Giacomo
che la lettera di Giuda, lettera questa che Pietro riprende ampiamente e quasi letteralmente nella sua citata
2°lettera.
Dicono esattamente gli scritti di Paolo e Pietro:
<..( è) un Gesù “diverso” da quello che vi abbiamo predicato noi ( io ndr)...
...un “altro vangelo” che non avete ancora sentito...(vi predicano ndr)... questi “Superapostoli”...>(2Cor 11.4-5)
< (nelle lettere di Paolo).. ci sono alcune cose
difficili da comprendere e gli incompetenti e gli incerti le travisano, al pari delle altre Scritture,
per loro propria rovina. Voi..avvisati prima, state in guardia..> (2Pt 3.16,17)
Un Gesù “diverso” da quello insegnato dalla Cristianità paolina certo qui si è ben evidenziato in quel “ filo a
piombo” delle “sole Sue parole” in cui queste analisi sono rimaste, ma quale era il Gesù “diverso” che quei
SuperApostoli andavano insegnando, in cosa consisteva questa diversità, e ancora perché ed a cosa si riferiva
Pietro con quelle sue preoccupatissime e gravi parole ?.
Queste domande non possono essere trascurate, la Cristianità è nata “con” la “interpretazione” della figura di
Gesù fatta da Paolo e nulla è stato corretto o scartato dei suoi insegnamenti, nessun possibile travisamento essa ha
visto né ha invitato ad alcuna cautela rispetto alla lettura delle esegesi "paoline" lasciando così inascoltata ed al
vuoto più completo la grave ed allarmata messa in guardia di Pietro.
Quale poteva essere e dove poteva nascere, nei testi di Paolo, quell'errore che, per Pietro, può portare alla “propria
rovina” ?
Quel “filo a piombo” delle parole di Gesù suggerito da don Fortunato si dimostrava nel tempo sempre più
indispensabile, ma anche approfondire Paolo diveniva infine a me importante : è così che infine mi sono portato a
leggere con un certo buon impegno i suoi testi e quelle che farò ora seguire sono le considerazioni così nate su
Paolo e sui suoi scritti.
Ma non si esaurirà qui ciò che si può dire su Paolo, altro, e importante, alla fine di questi scritti e con l'aiuto di un
testo Cristiano del 120 dC circa, “La Ascensione di Isaia”, potremo vedere e dire.
LA LEGITTIMAZIONE CRISTOLOGICA
Nascerà soprattutto grazie all'esperto in Scritture Paolo, arbitrariamente agganciata alle Scritture giudaiche, la
cosiddetta “legittimazione Cristologia” ovvero la legittimazione del Gesù “visto” da Paolo sulla base di supposte
“dirette ed uniche” relazioni tra Lui, il Gesù “fisico” visto quale unico Messia-Unto-Cristo-Logos-Parola-Figlio,
ed alcuni passi di Legge e Profeti.
Per “legittimazione Cristologica” si intende infatti il processo e lo sviluppo del tentativo di “dimostrazione”, sulla
base di alcuni incompresi passi di Legge e Profeti, che “le Scritture hanno parlato di un “unico e fisico” Messia-
Unto-Cristo-Figlio-Logos-Parola e che questi è Gesù”. É così che, al nome di Gesù, si affiancherà il titolo di
“Unico Cristo-Figlio”: a causa della farisaico-separatrice comprensione, vera incomprensione da parte di un
Paolo che influenzerà gli evangelisti Marco e Luca e che come visto forse porterà a “correggere” lo scritto di
Matteo, di un Gesù che invece è in una “messianicità” che è lontanissima da ogni “singolarità ed unicità”.
E su quella strada di totale incomprensione non potrà succedere altro:
finiti sempre più lontani ed evanescenti il Padre la Santa Ruah-Vento-Spirito-Madre e l' “universale” Figlio-
Cristo-Logos, non resterà che un “materiale”, se pur di natura divina, “unico” Figlio.
Nascerà soprattutto con Paolo, sulla scia della giudeo-farisaica errata lettura delle Scritture, una Cristologia cieca e
limitata, “personalizzante e separatrice”, che vedrà in Gesù la “personificazione unica” di una esperienza di
“illuminazione” e “divina con-prensione” che invece per le Scritture e per Gesù era ed è assolutamente
“inesclusiva e di tutti i tempi”, era ed è “condizione e stato” a tutti disponibile ed auspicabile, strada di tutti.
Esperienza, stato e condizione, forza divina, cui “tutti” si arriva e perviene per la strada che la Scrittura e Gesù,
ma non solo, segretamente ed unitariamente, indicano.
< ..(il Signore) mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato..”>(Sal 2.7)
A quello stato e condizione, già approfonditi in precedenza, si perviene in quell' “oggi” che ci “rivede”, “rinati”,
visceralmente legati, inesistenti in sé ma in-esistenti al Tutto, figli di un Assoluto che è Tutto.
Chi ha orecchie per capire capisca: così con parole di Verità, se pur in apparenza sbrigative, chiudeva spesso le
Sue spiegazioni Gesù.
Paolo, invece vedrà in Gesù unicamente il giudeo-farisaico “Unico Messia” che ancora oggi gli Ebrei, nello stesso
errore, aspettano e si compirà così il “trasferimento” nascosto ed involontario, alla Cristianità, di quel ben più
largo “ipocrita errore farisaico” condannato da Gesù.
IL CRISTO REDENTORE
Nascerà solo grazie a Paolo, e ancora arbitrariamente agganciata alle Scritture giudaiche, la credenza e tesi,
fondante per la Cristianità, di un Gesù quale "Cristo Redentore" della umanità, di un Gesù Figlio unico di Dio che
col suo sangue si è caricato dei peccati dell’uomo:
< Cristo morì per i nostri peccati “secondo le Scritture”(la Legge)..>(1Cor 15.3)
<.. tutti hanno peccato... ma sono giustificati ... in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù...>(Rm
3.24,24).
<... Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è divenuto per noi sapienza, giustizia, santificazione e
redenzione ...>(1Cor 1.30)
<...Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo... suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati....>(Ef 1.3-7)
<...(Cristo Gesù) ... per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati..>(Col 1.13,14)
Mons. Ravasi in “La buona Novella” come visto dirà che:
< in queste righe (Paolo 1Cor 15.3) è raccolto il cuore dell'intero Nuovo Testamento...
( in esse) la.. morte (di Gesù) è “interpretata” come segno di redenzione alla luce dell'Antico Testamento >
Tragicamente si avrà così grazie a Paolo la cristiana dottrina di una “Salvezza” che all’uomo deriva dal sangue
della crocefissione di Gesù: nessun impegno a portarsi a “capire e vedere”, nessun bisogno di “cercare” come
invece indica Gesù, nessuna “saggezza” raggiungere e all’uomo non resta così che il seguire ciecamente dei
comandamenti che, pur divina saggezza, così divengono “regole” comportamentali, “precetti per uomini”, precetti
per chi forzatamente così resta nella “caduta”.
Un disastro, si cancellerà così per l’intero Occidente quel necessario sforzo di ricerca, quella filosofica dottrina
pagana ma anche della prima cristianità, come vedremo con Origene in particolare, oltre che di Gesù, che
insegnava ed invitava alla personale elevazione-saggezza. Una dottrina che vedeva, e non può non vedere,
prefigurata la possibile reincarnazione, una dottrina e insegnamento inconciliabile con il Gesù ed il vangelo di
Paolo come conferma la cristiana Commissione Teologica Internazionale:
<...(nella dottrina della reincarnazione) l'anima si salva solo attraverso il proprio sforzo. In questo modo si
sostiene una soteriologia autoredentrice, del tutto opposta alla soteriologia eteroredentrice cristiana. Ebbene, se
si sopprime l'eteroredenzione, non si può più parlare di Cristo Redentore. Il nucleo della soteriologia del N.T. è
contenuto in queste parole:
"E questo a lode e gloria della sua grazia che (Dio) ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la
redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia" (Ef 1,68).
Con questo punto centrale -sta in piedi o cade- tutta la dottrina sulla Chiesa, i sacramenti e la grazia..>
( Commissione teologica internazionale. Documenti 1969-2004 pag 462)
E' solo grazie a Paolo, alla sua incongruente, assurda e pericolosa "interpretazione" di A.Testamento e Salmi e
Profeti, che la cristianità "sta in piedi", conferma la su citata Commissione Teologica. Niente di peggio si poteva
dare e si può accettare.
IL GIGANTE DELL' IO
Dicevo che Paolo è un vero “gigante” biblico-enochico: gigantescamente grande è l'”io” che farisaicamente-
separatamente si è costruito e che sempre lo ha accompagnato nella vita: nonostante quell'inconsistente mantello
di umile bontà che egli mostrerà, sempre il “proprio io” sarà al centro di ogni volontà e parola di questa figura:
< io ho autorità datami dal Signore >(2Cor 10.8);
< io non sono un profano nella dottrina >(2Cor 11.6); <fatevi miei imitatori >(1Cor 11.1)
< io non ritengo di essere in nulla inferiore ai “Superapostoli” >(2Cor 11.5); <(si) deve riconoscere che quanto
scrivo è comando del Signore > (1Cor 14.37); <..la nostra (mia) capacità viene da Dio..>(2Cor 3.5)
Paolo, gigante dell' “io” che nulla ha compreso dell' “abbassamento di vento” suggerito da Gesù come anche delle
Sue parole in cui invita a “non chiamare nessuno -Padre- su questa terra”, arriverà ad autoeleggersi “Padre” dei
nuovi cristiani :
< Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché
sono io che vi ho generato in Gesù Cristo ..>(1Cor 4.15)
Il “gigante dell'io” Saulo arriverà a sentirsi colui che “completa l'opera incompleta di Gesù”, lavoro che con
farisaica ipocrisia dirà di fare “per quei -suoi- discepoli” che egli vuole fare “corpo di Gesù”, Chiesa Corporale:
< sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e
completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo ... >(Col 1.24)
Ma non solo, il suo “gigantesco io” arriverà ad attribuirsi il “potere di Gesù” per fare addirittura ciò che Gesù ha
sempre invitato a non fare : “ giudicare” e, quindi, condannare :
< io (vi dico): nel nome del Signore nostro Gesù ( e)
con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana..>(1Cor 5.45)
<.. Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana..)(1Tim 1.18)
L'errore “farisaico dell'io” che “separa” e “si separa”, errore in cui Paolo resta sempre in pieno, si trasporterà
interamente ad una Cristianità che vede, insegna, proclama e sostiene, sempre e solo l' “io”.
Un “io” che, essa dice, deve “salvar-si”, “amare un prossimo altro da sé” e “perdonare”: ma “perdonare” implica
un “giudicare” che Gesù condannava : “non giudicate” Egli diceva.
Una Cristianità che, seguendo quel S.Agostino che nel suo “compito di difensore” della Cristianità assorbe
interamente e solamente Paolo, insegnerà un “io” che anziché “perdersi-annullarsi” in Dio, “si riempie” di Esso
con il fine di lenire i “propri” dolori e pene :
< unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena. Sarà vera vita la mia, tutta piena di Te >
(CCC 44- S.Agostino-)
La “conversione” di Paolo, quella caduta da cavallo di cui sappiamo solo per le sue parole ed alla quale forse non
fu completamente estraneo quel < male oscuro >, l'epilessia, che egli stesso ci dice di tanto in tanto coglierlo, non
arriva a cambiare “al fondo” la sua natura.
Egli nell'animo rimarrà l' “uomo di lotta” che è sempre stato, un “uomo di battaglia”: la “sua” opera ha solo
cambiato direzione, prima combatteva a morte i seguaci di Gesù, poi la lotta di quel suo “gigantesco io” che deve
così “sentir-si vivo” e che deve potere “vivere in eterno”, si è rivolta ad una diversa “battaglia” :
< Ogni giorno io affronto la morte...ed ho combattuto ad Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe?
Se i morti non risorgono...>(1Cor 31.32)
< ..noi (io) ..non militiamo secondo la carne… le armi della nostra (mia) battaglia… hanno da Dio la
potenza..> ( 2Cor 10.3)
< ..combattete unanimi..senza lasciarvi intimidire..dagli avversari..>(Fil 1.27)
<.. vi ho.. mandato.. Epafrodito..mio compagno di lavoro e di lotta >(Fil 2.25)
La “nuova battaglia” del “gigante dell' io” Paolo sarà rivolta alla conquista di adepti “da presentare” al Signore,
egli infatti riferendosi alla “sua” opera di evangelizzazione dirà :
< .. perché i pagani divengano una oblazione gradita…
questo è il mio vanto...di fronte a Dio..> ( Rm 15.15), <.. voi siete la mia opera..> (1Cor 9.1),
<..voi siete la mia speranza, la corona di cui mi potrò vantare davanti al Signore..> (Col 2.19)
<...mi sono fatto un punto di onore.. per avere annunciato il vangelo..>(Rm 15.20)
<..la vostra fede cresce rigogliosamente.. così noi (io) possiamo gloriarci di voi..>(2Ts 1.3)
E, gigante travolgente, scriverà parole piene di livore mal celato quando qualche “Super-Apostolo” avvicinerà i
“suoi” seguaci: la “sua” arguzia e scaltrezza gli suggerirà la strada della falsa dolcezza per “contrastare” quegli
“avversari”.
Con parole sottili e piene di acredine infatti egli dirà che costoro non avrebbero dovuto dire, “vantarsi” Paolo dirà,
che erano “testimoni diretti” delle parole di Gesù.
Quella ben legittima credenziale di questi, o questo, SuperApostolo ma “avversario” di Paolo, da questi sarà
prontamente presentata, con intento denigratorio, come “vanto” e Paolo, dichiarandosi “divinamente geloso” di
quei “suoi” discepoli che ascoltano i Super-apostoli, dirà, non certo umilmente, che egli non è “in nulla inferiore a
loro” :
< Io provo...per voi una specie di gelosia divina,
avendovi promessi ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.....>( 2Cor 11.2)
< ..in quello in cui qualcuno osa vantarsi...oso vantarmi anch'io...>(2Cor 11.21)
< ..non sono per nulla inferiore a quei Super-apostoli..>(2Cor 12.11)
E a fianco di queste parole egli, con “orgoglio vestito di sofferenza”, elencherà tutti i “propri”, del suo “io”,
meriti:
“ fatiche, prigione, percosse, viaggi e pericoli, fame e sete, freddo e nudità (ecc.)”(2Cor 6.5)
Infine per ribattere alla accusa, di cui con evidenza ero oggetto, di “vivere sulle spalle dei fedeli”, egli sottolineerà
ai Corinzi di non essere stato di aggravio ad alcuno “di loro” avendo accettato il “necessario di cui vivere” dai
fratelli Macedoni : accusa non certo superata !.
Cercando poi, sicuramente in buona fede, di trasmettere le parole di un Gesù che ha insistentemente detto e
predicato < non giudicate > < io non giudico >, Paolo, dopo avere ancora con falsa modestia affermato:
< io non giudico nemmeno me stesso > (1 Cor 4.3),
giudicherà e decreterà del bene e del male:
< ..io...ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione..>(1Cor 5.3)
< sono pronto a punire qualsiasi disobbedienza >(2Cor 10.6), < quando verrò di nuovo non perdonerò più
>(2Cor 13.2), < potrei fare valere la mia autorità di apostolo! > (1Tes 2.6)
< Imeneo e Alessandro che ho consegnato a Satana perché imparino a non più bestemmiare >(1Tm 1.20)
< Dovrebbero farsi evirare coloro che vi turbano > (Gal 5.12)
A fondate critiche ed a non ligi comportamenti non saprà rispondere che con minacce:
<..non avvenga che io debba mostrare...quell'energia che
ritengo di dovere adoperare contro alcuni che pensano che noi (io) camminiamo secondo la carne >(2Cor 10.2)
< che volete? Debbo venire a voi con il bastone..? >(1Cor 4.21)
e condannerà poi il “giudizio” altrui solo in quanto “ipocrita” e non in sé in quanto “giudizio”, in quanto “errore
dell'io” che “giudica”:
< ...sei dunque inescusabile...o uomo (peccatore) che giudichi, poiché...fai le medesime cose >(Rm 2.1,2)
Paolo, gigante dell' “io” come qui ben visto, non poteva capire e comprendere la “conversione-cambiamento di
mentalità-rinnegamento e morte all'io” che Gesù ha sollecitato e suggerito, solo -gloria- “propria dell'io”, suo e
dei suoi discepoli, egli saprà vedere :
<..una Sapienza divina, misteriosa,..nascosta.. che Dio ha preordinato .. per la nostra Gloria..>(1Cor 2.7)
Ma vi è un altro aspetto che si può vedere e sottolineare in Paolo : nelle sue lettere egli quasi esclusivamente
parlerà di sé stesso usando il “noi”.
Abbiamo già visto in precedenza come l'aggettivo “io” fosse, nella sostanza, abolito dal linguaggio di Gesù e dei
suoi apostoli. Paolo conosce questo aspetto ma “al fondo” egli non capisce da cosa “nasce” questo fatto: per lui
sarà solo una buona “regola o norma” cui attenersi. Egli infatti userà il “noi” solamente quale “formale”
sostituzione di un “io” che tutte le sue frasi e discorsi portano in sé implicito.
Con quel “noi” egli non invita mai a “non vedere sé stesso”, non proporrà mai l'annullamento di un “io” che anzi
egli predica potrà essere “materialmente eterno”: quel suo “noi” sarà solo “farisaicamente ipocrita” !.
LA UMILTÀ - STOLTEZZA
La “farisaica” comprensione di Paolo del messaggio di Legge e Profeti ovvero la loro comprensione “letterale”,
vera incomprensione che è anche incomprensione di un Gesù che invece vuole solo confermare il messaggio
profondo e non letterale di quei testi, è ciò che lo porterà a vedere come < stoltezza > la strada per l'Assoluto:
non umiltà di cuori o abbassamento di vento o semplicità d'animo egli vede ma
“stoltezza” di insegnamento ed ascolto.
Egli non comprenderà che la umiltà o servitù “necessaria” all'uomo unicamente è la “libertà” delle anime che non
vivono l'abisso della prigione dell' “io”, dirà Paolo:
<... la parola della croce è stoltezza... sta scritto :
“distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti (Is 29.14)”..
a Dio è piaciuto salvare i credenti con la stoltezza della predicazione > (1Cor 1.19).
Il passo di Isaia qui richiamato come già visto non è, come dice e come ha inteso Paolo, contro “intelligenza e
sapienza” in sé e nemmeno voleva o cercava alcuna “stoltezza” Gesù che nella sua predicazione sempre nasconde
il suo messaggio affinché possa essere compreso solo da chi, non certo “stoltamente”, potrà comprendere.
Quel passo di Isaia è contro coloro che “ritengono di -essere- sapienti ed intelligenti”: è per quel loro “sentir-si”,
sapienti e intelligenti, un “sentirsi” che mette in luce “l’errore dell’io”, che in quel passo sono condannate la
“sapienza dei sapienti” e l' “intelligenza degli intelligenti”.
Nasceranno dalla incomprensione di passi delle scritture come questo tante altre “prove” della bontà
dell’insegnamento di Paolo, della “sua” teologia, di quella “sua” interpretazione del messaggio di Gesù che egli
appunto supporterà con incompresi passi di Legge e Profeti.
I DOGMI PAOLINI
Questa paolina teologia fonderà la Cristianità : è dalle “parole di Paolo” che nasceranno tanti “principi stabiliti”, i
“dogmi”, etimologicamente “qualcosa da credere” ! :
--- I) La resurrezione dei corpi e l'anima individuale
E' da Paolo, dai suoi insegnamenti, dalle sue lettere assunte quale “indiscutibile” esegesi delle parole di Gesù,
dalle sue lettere lungamente studiate ed indagate da quei “padri della Cristianità” primo dei quali come detto è
Agostino, che nasce il dogma-verità della resurrezione dei corpi alla fine dei tempi.
Il personale “io-creato” che farisaicamente Paolo insegna, “io separato”, diabolicamente secondo il senso
etimologico della parola, naturalmente non può che veder-si “personalmente eterno” secondo queste parole di
Paolo:
< ..noi saremo trasformati..il corpo corruttibile si (deve) rivestire di incorruttibilità
e il corpo mortale..di immortalità >(1Cor 15.52,53)
Parole di Paolo che per la Cristianità dicono, seppure non proprio in modo limpido, di:
“ resurrezioni in cui l’anima riprende la materia ricostruendo il corpo” (CCC 990)
Le parole di Paolo sulla “ripresa-ricostruzione della materia” non sono limpide e molti sono stati e sono gli
esperti che vogliono vedere altro in quelle parole e parlano di un “corpo immateriale” o altro di simile, la sostanza
comunque in ogni caso non cambia: l'errore è sempre quello di un “io” che, separato, “si cerca” eterno.
Con questo “dogma” poi oltre a proporre una “eterna” separazione dal Tutto, dall'Assoluto, da Dio, si renderà
definitivo ed indiscutibile il principio, ed errore, di
“ anima individuale e separata ”
Difficile vedere “spiritualità” in tutto ciò e le parole che “spiegano” spesso solo confondono chi spiega; difficile
ancora è vedere tutto ciò in unisono con le parole di un Gesù che dice:
< Io.. prego.. affinché tutti siano una cosa sola.
Come tu, o Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi “una cosa sola” > (Gv 1.17-20)
Questa < sola cosa > che Gesù prega avvenga, è la “Unità” del “ri-conoscimento”, da parte dell’uomo, di un
Assoluto Uno e Tutto: condizione cui Gesù, ci dicono quelle sue parole, si sente pervenuto.
Non “unione di singoli” è quella < cosa sola >.
Solo chi “si sente” orgogliosamente e diabolicamente, in senso etimologico, separato dall'Assoluto, “altro da Dio”
e quindi “altro Dio”, solo chi si sente separato e chiuso in sé, natura e spirito, solo questi in quelle righe non sa
leggere altro che un Padre ed un Figlio legati in sé ma separati dagli altri !.
--- II) Il peccato originale
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma del “peccato originale” :
< Per la disubbidienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori >(Rm 5.19)
< Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte,
così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato..>(Rm 5.12)
Così recita il Catechismo della paolina Cristiana Chiesa Cattolica:
< Sulle orme di S.Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l'immanente miseria che opprime gli uomini e la loro
inclinazione al male e alla morte..(sono) il legame con la colpa di Adamo... >(CCC 403)
Il “peccato d'origine” che è la “nascita all'io”, incompreso con Paolo così si trasformerà in una assurda
“trasmissione per nascita” della naturalissima “morte materiale” e, impossibilitati a chiarire e spiegare tutto ciò,
con dubbia “biblica sapienza” si “certificherà” che:
< Tuttavia, la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno..>
(CCC 404)
E', ci viene detto, un fatto che non si capisce, che razionalmente non ha spiegazione ma che <..tuttavia..> si deve,
sulla base di Paolo, insegnare e sostenere!.
--- III) L'unigenito
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma di “Gesù unigenito figlio di Dio”:
< Generato prima di ogni creatura… per mezzo di Lui sono state create tutte le cose > ( Col 1.15 ).
Con parole che ancora confondono, Paolo così trasporterà alla “materia”, al Gesù che la “materia” appunto vive,
quello “spiritualissimo” concetto di “Sapienza” che vediamo in Proverbi ma che similmente troviamo anche nel
mondo Greco e non solo :
< ( la Sapienza fu)...creata prima di ogni Sua ( del Dio ) opera..>(Prv 8.22)
Una “Sapienza” che a lui, ed alla -sua- Cristianità resterà incompreso “mistero”: <..una sapienza divina,
misteriosa..>(1Cor 2.7)
--- IV) La fede e la grazia
Nascerà dalle parole di Paolo il dogma della “giustificazione per fede”; egli dirà:
<..è con la fede che l’uomo sarà giustificato..>(Rm 5.28) , poiché <..sta scritto :
“il giusto vivrà mediante la fede”..>(Rm 1.17).
Il passo di Abacuc 2.4 richiamato nella lettera ai Romani mette in luce ed evidenzia la “fede” come “base” della
“giustizia” o “giustificazione”. Abacuc quindi qui usa il termine “fede” in una accezione molto precisa, accezione
che, in quel termine in sé, non è scontata e automatica : nelle Scritture infatti il termine “fede” è usato, oltre che
nei confronti di Dio (Salmi e Maccabei), anche in riferimento ai più disparati soggetti :
i profeti (Sir 36.41); la spiegazione dei sogni (Dn 2.45); il re Demetrio (1Mac 19.46);
gli anziani giudici (Dn 13.41); il sovrintendente ai tributi (1Mac 1.30) ; la Legge (Sir 33.3);
Il termine tradotto con “fede” nelle Scritture è quindi utilizzato in modo molto vario e largo che arriva sino ad
esprimere una “fiducia” lontana dalla “credenza” cui oggi invita a pensare il termine “fede” ma ancor più lontana
sia da ciò che esprimeva Abacuc che dalla origine etimologica del termine stesso.
La etimologia del termine “fede” infatti, derivante dal sanscrito Bandh=legare, esprime e manifesta una
condivisione, un “legame”, di profondità tali che non si trovano nel termine “credenza” ed ancor meno in quello di
“fiducia”. Sia “credenza” che “fiducia” lasciano i soggetti ben divisi e distaccati mentre la fede che riflette il
senso etimologico ed originario del termine, ed anche quella di cui Abacuc ci dice, “lega” in una con-
partecipazione e com-unione che è Vera Unità.
Abacuc ci dice che è grazie alla “fede-legame” con l'Assoluto che il giusto “Vive” : è grazie a quel “legame” che
si ha quando l'uomo si “con-verte” e, “servo” dell'Assoluto ovvero senza “proprie” volontà, si porta ad Esso, che
l'uomo diviene, inesistente in sé, Vita ed Eternità. La “fede-legame” di Abacuc, è dunque lontanissima da quel :
< atto esterno alla creatura, “teofania” > (G.Ravasi)
atto arbitrario ed irrazionale che Paolo e la Cristianità vedranno.
Essa è atto “consapevole, cercato e voluto”, è la “unione” con Dio, con l'Assoluto, che passa dalla “rinuncia
all'io” o “circoncisione”, è il “ritorno al Regno”. È il “ritrovamento”, la “resurrezione” cui invitavano Gesù e tutto
il mondo antico. Paolo, che “non vede e non può vedere” questa fede si meraviglierà di una frase del Profeta Elia
che lui non sa e non può comprendere:
< Isaia arriva ad affermare (in Is 65.1 ): “(Jhwh:).. mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano,
mi sono rivelato anche a quelli che non si rivolgevano a me” ..>(Rm 10.20)
Egli allora, come la Cristianità oggi, non può capire che “quel farsi trovare da chi non lo cerca” e quel “rivelarsi
a chi non si rivolge a lui” non sono altro che la “immanente presenza divina” a quegli “umili” ed “abbassati di
vento” che non “cercano” e non si “ri-volgono” perché, “senza io”, inseparati dal Tutto in Esso, nell'Assoluto, già
sono e mai da questo si sono “volti”.
Solo ai < ribelli >, sottolinea lo stesso passo di Isaia, solo a coloro che “si separano”, a coloro che così, al fondo,
<..dicono: “ Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te io sono sacro..>, ai divisi-farisei, ai separati e “chiusi”
nel proprio “io”, solo a loro, < in-equi >, Jhwh < calcolerà la loro paga > (Is 65.7)
È di “questa” fede-legame degli inseparati che parla il passo biblico di Abacuc citato da Paolo, una fede che è
“non separazione”, una fede che non vede alcun “io”, diviso, che “crede”: solo l’annullamento ed il silenzio dell’
io permette quella “unità-fede” nell’Assoluto che “è” la Vita, dice Abacuc.
Ma Paolo, e la Cristianità oggi, non possono vedere Unità, essi vedono solo <..assemblea di fedeli..>, “unione”
fra diversi e separati: “unione” fisica oggi e spirituale domani:
< il cielo è la beata “comunità” di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in Cristo >(CCC 1026)
Solo “unione e assieme” di “io” e “separate entità” essi possono vedere, “io separati” che pertanto possono solo
essere distintamente “creati”, e la “creazione”, questo irrinunciabile puntello e sostegno dell' “io” non potrà che
essere dichiarato “dogma”:
< La.. “creazione” è il fondamento della vita... Cristiana > (CCC 282)
La “profondità” di quella “unità”, e non “unione-assieme”, che la parola “fede” per Abacuc ed etimologicamente
evoca, non ha nulla a che vedere con la “impotenza” di un uomo “giustificato per fede -mediante- una grazia
divina di cui Dio dispone a piacere” essendo le capacità umane <..doni diversi secondo la grazia data ( da Dio
ndr) a ciascuno..>.
E questa “indisponibilità” di una “grazia che è da Dio data”, si riflette sulla “fede” giacché <..per grazia si è
salvati...mediante la fede..>(Ef 2.5-8), e così per la Cristianità, che segue Paolo, essa diviene :
“ una fede che può solo essere data ”.
Questa “fede con grazia” in cui l'uomo può solo essere “cieco”, si contrapporrà, per quella totale eliminazione
della “decisione di unione” dell’uomo all’Assoluto che essa vede, a quelle “saggezza, sapienza e scienza” tanto
presenti nelle Scritture come in tutto il mondo antico, “saggezza, sapienza e scienza” che non più comprensibili
finiranno rimosse e cancellate.
La “fede con grazia” paolina e Cristiana si contrapporrà, annullandoli, a qui principi poiché questi vedono, al
contrario di essa, la ricerca, la volontà e la “razionale” decisione dell’uomo per quel “ritorno” che deve seguire al
suo distacco dall’Assoluto o “caduta”.
Per Abacuc, per tutto il mondo antico e per Gesù che dice <..chi cerca trova.. (e) a chi ha sarà dato..>(Mt 7.8;
13.12) , l’uomo morirà senza quella “fede-legame” che “vedendo lega”, fede Viva nella umiltà servitù e semplicità
di colui che è “inseparato” dall'Assoluto; fede che nasce, dopo il distacco, grazie a quella cercata e voluta
“saggezza, sapienza e scienza” che unicamente “riporta” il “separato” all'Assoluto :
<..(Sapienza:)..quelli che mi cercano mi troveranno..(e) chi trova me trova la Vita..> (Prv 8.14,35)
Per Paolo e la Cristianità invece l’uomo morirà se resterà senza una “fede e grazia” che solo da Dio gli potrà
essere data e consegnata :
<..per mezzo suo (di Gesù ndr) abbiamo.. ottenuto, mediante la fede, di accedere alla grazia..>(Rm 5.2)
<..grazia di Dio che ci è stata data in Gesù Cristo..>(1Cor 1.4)
E non certo umilmente Paolo dirà di una <.. grazia nella quale (i cristiani ndr) si trovano e di cui si
vantano..>(Rm 5.2). Una grazia citata da Paolo circa 100 volte ma assente sia in Matteo che in Marco e presente
solo 7 volte in Luca e 4 in Giovanni.
Ma questa “fede” così condizionata da una “grazia data” che unicamente lei “giustifica” l'uomo, <..giustificati
dalla sua (di Dio) grazia diventiamo eredi..>(Tt 3.6,7), è morte di ogni pur proclamato “libero arbitrio” e, per
rimediare a questa irrazionalità, si dirà che nell’uomo:
< il..libero arbitrio..-dovrà “muoversi”- ad accettare il dono della Grazia - che porta alla fede -,
Grazia che Dio infonde > (Summa Teologica I,2 q113 a3).
Ma chi “si muove ad accettare” non è nella stessa condizione di “ colui che cerca” come chiede invece Gesù, a
lui manca la “ricerca”, “intima e personale”, che è la base di ogni <..sapienza, scienza, saggezza..>.
L’uomo, in questa triste condizione, resta così senza alcuna possibilità di con-prensioni spirituali, resta
inevitabilmente ed unicamente un “io che si muove” ma che spiritualmente nulla può, resta sempre più
“materialmente legato”, resta solo la “fisica” < immagine di Dio >.
È di “questa” fede, cieca, senza “saggezza, sapienza e scienza”, che Kierkegaard potrà dire: <..la fede comincia
dove la ragione finisce..>.
“Questa” fede si potrà giustificare solo con la visione Cristiana di un Dio che “ mette alla prova”: Abramo prima,
con la richiesta del sacrificio del figlio, e poi l’intera umanità senza però farle capire, o dirle, il “perché” di questa
prova, prova che, inconnotata e buia, finirà con l'essere la stessa vita umana.
Ultima triste condizione questa prospettiva terrena è senza alternative: la vita sarà solo “prova”, senza alcun Dio
che possa “ passeggiare con l'uomo”.
Ho già detto che una tale visione vede un Dio inaccettabilmente lontano e certo, per me, anche molto distante dal
Dio Amore che pure, ancora antiteticamente, viene comunque proposto.
Il solo Amore che Paolo, e la Cristianità ad egli legata, riescono a vedere è un “amore-dato”, la “carità”.
Amore dato da un “io” che ne rimane il vero protagonista anche quando questo gesto, comunque auto gratificante,
si dichiara < incondizionato > come vuole suggerire la Cristianità dimentica che nessuno può, in questo gesto,
“non essere condizionato” dall' “io-creato” che essa insegna.
--- V) La Carità
Il termine greco usato da Paolo e tradotto in “Carità”, Agapé, è un termine che in origine, quale Agapé, designa un
“Amore di carattere spirituale, cosmico, divino”, esso “è in sé” e solo si può con-prendere : è diverso e lontano
dal Philia “amore di carattere umano quale quello visto verso persone vicine e care”, e diverso anche dall'Eros
che è amore come “pulsione sensuale e sessuale”, carnale, fisica.
Della Agapé ben ci dice la prima lettera di Giovanni :
< Dio è Agapé-Amore >(1Gv 4.8)
Anche l'ebraico “ahav” delle scritture giudaiche, tradotto in greco quale “agapé”, dice di un sentimento che
travalica i confini umani e si spinge verso l'Assoluto richiedendo da parte dell'uomo uno sforzo che lo investe in
tutta la sua persona:
< .. Amerai Jhwh con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le tue forze..>(Dt 6.5)
Secondo i Vangeli sinottici Gesù parlerà di Agapé-amore praticamente quasi solo nel ricordare il verso della Torah
che dice: < amerai il tuo prossimo come (quale) te stesso...>(Lv 19.18)
Qui, come già visto, il sentimento che viene chiesto è travolgente e tale da fare perdere all'uomo ogni “identità” :
il prossimo deve “essere noi stessi”, si deve andare oltre ogni singolarità, verso l'Assoluto.
Il termine Agapé usato da Paolo, termine che mal si prestava per la sua natura cosmica, universale e divina, a
parlare di un sentimento che doveva, per Paolo appunto, essere “dato” dall'uomo, giustamente, credo, seguendo il
pensiero di Paolo sarà tradotto non già in “Amore” ma in “Carità”. Le parole di Paolo, un po' ambiguamente,
dicono :
<..tre cose rimangono: fede..speranza..agapé, ma la più grande è agapé >,
ed esse saranno così tradotte:
<.. tre cose rimangono: fede..speranza..carità, ma la più grande di tutte è la carità >.
L'ambiguità di queste parole nasce dal fatto che la visione di una Agapé “cosmica, universale e divina” non può
prevedere al suo fianco né la “speranza” né la “fede” nel senso, prima approfondito, con cui sono intese da Paolo.
Per questo ritengo corretta la traduzione di “quella” Agapé con Carità: la Agapé-Amore di Paolo, ricolma dell'”io”
che “dà”, non è “cosmica, divina e spirituale”, non è Agapé, ma “personale, umana e materiale” Carità e diverrà
infine :
< .. il più grande comandamento sociale >(CCC1889)
Ma non solo, il percorso della incompresa Agapé di Legge e Gesù continuerà per sfociare infine in una Carità
proposta quale “Eros-Agapé” assieme: legame tra l' “amore sensuale-sessuale” ed il cosmico e divino “Amore
spirituale”, componenti, termini e fattori che, in questa nuova < Eros-Agapé >,
< non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro > ( Deus Caritas Est, Benedetto XVI)
Gesù ci insegna e ci invita ad un “amore-umiltà-servitù” che “vede” la eliminazione dell’ “io” mentre la “carità”
in cui cadono Paolo e la Cristianità è solo l’ultima illusione, quella che vede l’“io” mantenersi in vita con
l’inganno di una “carità-data” dallo stesso ”io”.
Carità che subito, così, si trasforma in una “materiale-beneficenza” che Gesù però dice “sacra” solamente se non
mossa da alcun “io”, solo se la “destra non sa quello che fa la sinistra”, e “quella” carità così non è.
Quella è carità si trasforma subito in un “pietismo patetico e bigotto” che nasce e si alimenta della totale
mancanza di Verità, di solidità e di Saggezza dell'uomo, un “pietismo lacrimevole e spesso mieloso” che solo è
“malattia” dirà Nietzsche ovvero “non solidità-salute-certezza”, spirituale e materiale assieme.
Una “malattia” che è della stessa natura di quella da cui si sentirà “guarito” Socrate, un “pietismo
compassionevole”, erratamente abbiamo visto detto “misericordia”, di cui Dionisio di Eraclea (361-306 aC) così
diceva : <..il saggio non è soggetto a turbamento..al saggio non capita di sentire invidia.... e neppure di provare
misericordia...>.
Un pietismo poi che è lontanissimo dalla vita di un Gesù che pur dicendo “ama il tuo prossimo -quale- te stesso”
dirà anche, nella visione di un Assoluto che è divino Accadere e con parole “dure” che per chi ha orecchie restano
piene di divina “Agapé” :
<..che i morti seppelliscano i loro morti >(Lc 9.60), <.. cagnolini..>(Mt 15.26),<..Satana...>(Mt 16.23),
<.. porci..>(Mt 7.6), < Andate...ed imparate..>(Mt 9.13) <..chi ha orecchie per capire capisca..>,
ed anche, sempre insegnando:
<. non vedano !...non comprendano !..>(Mc 4.10-12), <..a chi ha sarà dato..>(Mc 4.25), <..meglio..non fosse
mai nato..>(Mc 14.21), < Non sono venuto a portare pace, ma una spada.>(Mt 10.34), <..chi non è con me è
contro di me..>(Mt 12.30) < Se uno … non odia “suo” padre, “sua” madre, la moglie, i figli, le sorelle … non
può essere mio discepolo >(Lc 14.26) e, tante volte : <..guai a voi scribi e farisei..>(Mt 23.13)!.
Un pietismo che Gesù quindi non ha mai visto come ben si può vedere anche in un altro fatto ed episodio già
sottolineato : Egli infatti pur continuamente passando da quella piscina di Bezaeta che era piena di <..un gran
numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici..>(Gv 5.3) una sola volta decise di guarirne uno, e non più, ma per di
più lo guarì -non già per carità cristiana- : < vuoi guarire ? > gli domandò e non prevede certo una simile
domanda un atto di carità, ma lo guarì “solo per insegnare” come è per ogni Suo gesto e parola e seppur
insegnamento come sempre limitato, anche questo senza alcun cristiano pietismo, a chi aveva “orecchie ed
occhi”.
Un pietismo che anche nell'episodio della Cananea ben si vede che Gesù non aveva :
<..una donna Cananea ..si mise a gridare: “Pietà di me Signore..” Ma Egli non gli rivolse neppur una parola..>
(Mt 15.22,23)
Solo la supplica dei Suoi discepoli fece sì che Egli la ascoltasse !.
L'amore-umiltà-servitù che Gesù e le Scritture ci indicano è “condizione” spirituale e mentale e non già quell'
“atto materiale” che diviene, poiché tale nella sua sostanza è, la cristiano-paolina “carità”.
--- VI) La Preghiera
Non “dogma” ma cardine della religione Cristiana che nasce con Paolo è la “preghiera comune, la preghiera dei
fedeli riuniti assieme", la S.Messa.
É ancora per la incomprensione “nel profondo” della “umiltà-abbassamento di vento” di Gesù che si pregherà
assieme per “distinguersi” dal resto della comunità con un forte atto di demarcazione e separazione, tutto sempre a
rafforzare un “io personale” che così si fortifica nell' “io appartenenza”: si apre così la strada per ogni altro “io”,
categoriale, societario, etnico, razziale ecc..
E tutto ciò dimenticando, perché non si capisce e non si può capire in quanto si resta nel farisaico errore dell' “io”,
che Gesù invece così invitava a fare:
< .. quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta chiusa, prega nel segreto >(Mt 6.6)
Anche con queste parole Gesù insegna profondamente quanto sopra evidenziato: nessun accenno qui Egli fa ad
alcun superficiale e generico “mettersi in mostra-distinguersi”.
Altrettanto grave, e non di Gesù, è poi la “prescrizione-obbligo” alla preghiera, alla S.Messa : Gesù è molto cauto
e sospettoso quasi dicendo di un senso di inutilità del “pregare” :
< ..pregando.. non sprecate parole.. credendo di venire ascoltati a forza di parole..
il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima che gliele chiediate..>(Mt 6.7,8)
In quel “Padre nostro” che egli insegna dopo queste parole, non vi è infatti alcun accenno alla “personale”
preghiera, solo, quelle parole, dicono dell'augurio-invito a che termini la condizione di “caduta” della umanità.
La preghiera che cerca “personali dell'io” aiuti ed attenzioni, preghiera oggi nella Cristianità ben diffusa, certo si
può dire che anche per Gesù non fosse lontana da ciò che era per Omero il quale vede le “Preghiere” figlie di Zeus
<..zoppe, raggrinzite e con gli occhi di traverso..>(Iliade 9.502,503): non possono fare strada, non sono guardate
volentieri e non vedono giustamente.