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VITA DELL’AUTORE

 Pedro Calderón de la Barca (Madrid, 17 gennaio 1600 – Madrid, 25 maggio 1681)


è stato un drammaturgo e religioso spagnolo.È considerato l'ultima grande voce
del Siglo de Oro spagnolo.Figlio di un cancelliere del consiglio delle finanze, tra il
1609 e il 1614 intraprese gli studi presso il collegio dei Gesuiti a Madrid, per poi
iscriversi all'Università di Alcalá de Henares e in seguito a quella di Salamanca,
dove visse dal 1617 al 1620, diventando baccelliere e acquisendo una salda
formazione teologica. Accusato nel 1621 di aver ucciso un servo del duca di Frías,
per evitare la cattura si rifugiò presso l'ambasciatore di Germania.Nel 1626 si recò
nuovamente a Madrid, al servizio del duca di Frías, ma tre anni dopo fu arrestato
con l'accusa di aver attaccato un prete che dal pulpito l'aveva rimproverato perché
era entrato in un convento di clausura per catturare un commediante che aveva
ferito suo fratello. Nel 1636 fu nominato cavaliere dell'ordine di Santiago. Nel
1638 prese parte a una campagna in Francia e qualche anno dopo (1640) in
Catalogna, nell'ambito della Guerra dei trent'anni. Nel 1641 fu nominato
comandante di squadra, l'anno seguente combatté a Lérida e poi ottenne il
congedo.Dopo aver convissuto per qualche tempo con una donna che gli diede un
figlio, nel 1645 divenne segretario del duca d'Alba, mentre nel 1650 entrò
nell'ordine terziario di san Francesco e fu ordinato sacerdote nel 1651. Gli fu
assegnata la parrocchia dei Reyes Nuevos di Toledo, ma non poté prenderne
possesso per l'opposizione del cappellano maggiore. Entrò così nella confraternita
del Rifugio, ma nel 1663 divenne cappellano d'onore del re e si trasferì a Madrid.
Nel 1666 fu nominato cappellano maggiore e nel 1679 Carlo II stabilì che il suo
mantenimento fosse a carico della corte fino alla sua morte.
CONTESTO
 La vita è sogno di Carderon De La Barca è un’opera in cui mancano di certo
spunti di riflessione. Per questo motivo potrebbe essere definita come una
commedia filosofica che oscilla fra la semplicità delle fiabe e la complessità
della costruzione simbolica. Affronta temi diversi, costruendo un vero e
proprio percorso all’interno dell’animo umano nel periodo barocco e non solo.

 L'opera si struttura intorno a due storie parallele:

1) Quella di Segismundo: la sua prigione, la sua liberazione e la conversione.

2) Quella di Rosaura: il suo arrivo in Polonia per riparare il suo onore, le ansie
di Clotaldo allo scoprire che è sua figlia, la vita di questa nella corte e il
ripristino dell'onore.
 Questo è un testo che veniva rappresentato nei corrales. Il Corrales è un teatro
all’aperto dove il palcoscenico sta su un lato corto. Gli spettatori stanno sia
seduti che in piedi, a seconda della loro importanza. Sono luoghi in cui
vengono messe in luce le capacità dell’attore. Il teatro del Siglo de Oro è
caratterizzato dalla notevole variabilità di generi e di testi messi in scena, a
seconda del gusto degli spettatori. I testi vengono scritti di getto continuo e
rientrano nel genere della comedia nuova. È un genere teatrale molto ricco
nell’intreccio, ma che possiede comunque dei ruoli in cui gli attori tendono a
specializzarsi (es: dama, gracioso, galan…). I drammi perdevano parte del loro
realismo e usavano un linguaggio più complesso. Si ebbe un’evoluzione verso
il gusto barocco
TEMI
PRINCIPALI:
 Rilettura cristiana dell’Edipo Re di Sofocle.

Edipo è colpevole di incesto, Sigismondo no. Ma l’incesto


altro non è che un’uccisione simbolica e Sigismondo in
qualche modo uccide la madre durante il parto (sua madre
muore di parto). La profezia in Edipo arriva tramite un
oracolo, ne la vida es sueno la profezia (il bambino ucciderà
la madre per poi prendere il posto del padre dopo averlo
ucciso) giunge tramite un sogno premonitore e la scienza
astrologica. Infine, Sigismondo prenderà il posto del padre.
L'opera di Calderón ha come protagonista un personaggio che
avverte con sgomento la futilità di ogni esperienza umana.
L'intera esistenza è sogno, caratterizzata quindi da illusorietà,
fugacità del tempo, vanità delle cose terrene. L'unica realtà
possibile è la morte, che svela all'uomo la vera natura
dell'esistenza, cioè l'illusorietà, e quindi l'inconsistenza del
mondo. Per queste idee l'opera teatrale è emblematica del
clima culturale dell'età barocca ed è un'opera fondamentale
della letteratura barocca europea.
 Ruolo dell’astrologia

Il re Basilio, padre di Sigismondo, legge le stelle


in occasione della nascita del figlio. In questo
periodo questa disciplina ha un ruolo molto
importante, tanto da essere considerata una
scienza. Si fanno letture astrologiche
principalmente in concomitanza con eventi reali
importanti, come appunto una nascita. Inoltre, tra
i gesuiti c’erano i migliori astrologi. Per cui si
crede all'influenza degli astri sulla vita degli
uomini, ci rendiamo conto che il testo ci propone
una riflessione quanto mai attuale, ovvero: se
l'astrologia incarna una delle forme del sapere
scientifico e la sua consultazione induce a una
conclusione tanto estrema, deve prevalere
l'adesione incondizionata a quest'ultima, oppure la
ragione morale deve intervenire a ponderare tale
risultato "scientifico"? Qual è, in breve, il confine
tra scienza e morale? Si potrebbe, seguendo la
partizione hegeliana tra etica e morale,
interpretare il gesto di Basilio come moralmente
riprovevole ma eticamente giustificato: sacrifica il
figlio, ma per il bene dello Stato.
 Libertà dell’uomo:

Il dramma si può considerare una grande


riflessione sul concetto di predestinazione e di
libero arbitrio proprio a partire dalle premesse:
un padre che, a seguito di cattivi presagi,
condanna il figlio appena nato al carcere a vita. È
un tema posto al centro anche nella tradizione
cristiana: nel momento in cui l’uomo cerca di
contrastare ciò che è predestinato (uomo
assimilabile all’ibris), fa in modo che il destino si
compia. Infatti, è Basilio che, tramite la
reclusione, fa in modo che il figlio diventi una
bestia. In realtà, però, nella storia Sigismondo
otterrà il ruolo del padre senza ucciderlo,
smentendo così la profezia. Questo tema è inoltre
strettamente legato a quello del governo delle
passioni tramite la razionalità: il mancato
dominio degli impulsi produce solo violenza e
dolore. Il concetto di “libero arbitrio” è uno dei
più importanti della filosofia e della teologia. Fra
i tanti, Cartesio individua il libero arbitrio come
la maggior perfezione dell'uomo, per definizione
artefice del proprio destino, citando Appio
Claudio Cieco e dotato di un'estesissima libertà.
Nella visione Spinoziana invece neanche Dio
possiede una volontà: sebbene sia assolutamente
libero ed agisca per le sole leggi della sua natura,
 Rapporto padre-figlio:

Sia Sigismundo che Rosaura riscoprono le proprie origini. Il


tema del conflitto familiare va a legarsi anche con il tema
dell’onore, molto importante nel teatro e nella letteratura di
questo periodo. L’onore è quello che cerca di recuperare
Rosaura: il suo è stato macchiato da Astolfo.
-Natura dell’esistenza caduca e illusoria:

L’unica esperienza di libertà che il padre concede al figlio, gli


è fatta vivere come un sogno e ciò porta a riflettere Sigismondo. Si supera l’opposizione tra sogno e
realtà, tra teatro e vita (in realtà ciò avviene fin dal titolo dell’opera). La presa di coscienza di
Sigismondo che la vita è sogno e quindi teatro, gli permette di riconquistarsi il diritto all’esistenza,
uscendo dalla condizione di recluso.
Re Basilio parlando al suo fedele vassallo Clotaldo gli sussurra: Tutti quelli che vivono, sognano.
Questa frase ci fornisce la piega interpretativa di tutta l’opera e ci fa capire come anche (e forse
soprattutto) nella vita si annidi il sogno (inteso come finzione). Chiunque vede il mondo lo intende
davvero nella sua realtà? La risposta di Basilio evidentemente è no. La maggior parte delle persone
non vive davvero perché la loro attenzione viene catturata da ciò che non è reale, proprio nella
stessa misura in cui chi sta sognando non sa che ciò che vede è immaginato. Questa è la situazione di
Sigismundo nel momento in cui viene liberato a corte per vivere un giorno da re. Sigismundo è
totalmente irretito dalla libertà fisica, sciolto dalle catene della torre come se essa fosse un sogno
ormai lontano. Si abbandona alle pulsioni. Il principe verrà narcotizzato e riportato nella torre dove
Clotaldo lo convince di aver sognato. Ma Sigismundo ha davvero sognato come sognano tutti quelli
che si basano sull’apparenza come egli ha appena fatto. Egli è stato attratto dall’aspetto materiale
delle cose. Tutto questo è apparenza, e di questo si convince Sigismundo quando Clotaldo gli dice di
aver sognato. Non è importante sapere il suo giorno da re appena finito è accaduto davvero, se era
un sogno o realtà, ma possedere un criterio di verità con cui sapere se qualcosa è realtà o no. Solo
così possiamo raggiungere la consapevolezza che qualcosa non è come sembra, che in realtà ciò che
pensavamo è solo un sogno. In questo modo raggiungiamo una verità non transitoria ma una stabile
e permanente sulla quale ci possiamo poggiare con sicurezza (l’agire secondo il bene).
Una volta conquistata questa consapevolezza, e di conseguenza superato il piacere dettato dalla
volontà soggettiva, Sigismundo può tornare a corte e prendere il trono per cercare di risvegliare
questa consapevolezza in chiunque lo circondi; insomma per usare la posizione di re per il bene di
tutti.
Quindi tutto ciò che ruota intorno alla vita è in realtà un sogno. La vita può presentare le sue
sfaccettature più diversificate: essa può essere glorificata dal potere e dalla ricchezza così come può
essere vissuta in povertà e prigionia. Ma anche quando si regna e si riceve gloria ed onori, questi
sono tramutati nel nulla dalla morte. La riflessione sulla vita in quanto sogno va interpretata come un
declassamento importante del significato della stessa vita che non è altro che illusione e finzione.
L’unico vero sogno nel testo è quello di Clarino all’inizio del terzo atto. Egli alluderà comunque
quattro volte al teatro. Inoltre, noi siamo introdotti nel mondo della teatralità da una battuta posta
pressappoco all’inizio, in cui si cita un ippogrifo violento
Uno dei passi più importanti dell'opera, se non il più importante, è il monologo di Sigismondo. Risvegliatosi nella torre, credendo che tutto ciò che ha visto e vissuto a corte non sia stato altro che un sogno, Sigismondo conia, in un
celebre monologo, la definizione di vita come sogno:
«Cos’è la vita? Un’illusione,
Un’ombra, una finzione,
e il bene maggiore non è che un’inezia:
perché tutta la vita non è altro che un sogno,
e i sogni, non sono altro che sogni.»

L’inconsistenza, la fallibilità, l’insensatezza della vita umana sono poeticamente descritte in queste parole solenni e rassegnate. Una vita in cui l’uomo non è altro che una marionetta, i cui fili sono mossi dall’alto da un’entità suprema e
imperscrutabile: così come la vita di Sigismondo è controllata dal pavido e impietoso padre. Anche se Sigismondo riuscirà a rientrare nella vita reale liberandosi dalla torre, ha ormai capito che la vita non è altro che un gioco di ruoli. E
se l’uomo è marionetta, cosa è il mondo se non un grande teatro? E chi è Dio, se non il più grande regista di tutti i tempi? Proprio su questo si fonda un’altra disincantata opera teatrale di Calderón, ovvero “El gran teatro del mundo”, in
cui il grande autore spagnolo apre il sipario sul fascino e la dannazione della condizione dell’uomo, attore legato a un palco da cui non può scendere mai, costretto a recitare un copione che non ha scelto. In questo modo "La Vita è
sogno" è un esempio del grande tema del desengaño e aggiunge una profondità filosofica al teatro barocco.

Il dramma di Sigismondo è mosso dal filo conduttore del sogno. Sonno, o sogno: da notare che in spagnolo con la parola “sueño” si possono intendere entrambi. Tradurre La vita è sogno trasporta dunque fin nel titolo la
contrapposizione essenziale che si manifesta nell’opera. L’idea stessa di vita come sogno non è del tutto originale. La citazione “e al mondo, in conclusione, tutti sognano ciò che sono benchè nessuno lo sappia” sembra richiamare la
citazione della Tempesta di William Shakespeare (1564 – 1616), in cui Prospero afferma: “Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra vita breve è circondata dal sonno”. Un altro esempio che pare in
tutto analogo, sia nella struttura sintattica, sia nel significato apotegmatico, al sintagma che ci interessa: la frase biblica «Militia est vita hominis super terram» (Giobbe, 7:1, versione della Vulgata) che in traduzione sarebbe «La vita
dell’uomo sulla terra è una milizia». Frase atta a significare che la vita è in genere una lotta o che essa va spesa al servizio di un nobile ideale. A proposito della futilità ed effimerità della vita, non si può non menzionare il poeta greco
Pindaro (518 a. C. – 438 a.C.) e la sua famosa citazione: “L’uomo è il sogno di un’ombra. Siamo doppiamente inconsistenti, sia come sogno sia come ombra”. Con questa espressione, il poeta intende sottolineare il fatto che noi esseri
umani siamo impalpabili, illusori e quindi della stessa consistenza di un sogno. Il concetto viene ulteriormente rimarcato ed iperbolicamente estremizzato e drammatizzato attraverso il termine epameroi (esseri della durata di un giorno).
La definizione di ciò che siamo è resa problematica dalla consapevolezza che dopo la morte saremo polvere. Ciò richiama proprio parte del passaggio del monologo di Sigismondo già menzionato in precedenza a proposito della potenza
annichilitrice della morte: “l’applauso che il re riceve la morte converte in cenere”. Ma se volessimo citare un qualcosa di più vicino ai nostri tempi, sarà il caso di ricordare proposito Salvatore Quasimodo, che scelse proprio questo
titolo per una raccolta di sue poesie composte tra il 1946 e il 1948, caratterizzate da una vena di consapevolezza civile e di impegno etico: La vita non è sogno (1949). Il titolo "La vita è un sogno" viene così progressivamente
abbandonato, fino al punto di perdere le sue risonanze “alte”, connesse con la citazione intertestuale del dramma calderoniano. Infine si potrebbe dire che neanche il mondo della cinematografia esula da questo elenco, nel film Matrix
del 1999, il rapporto tra mondo onirico e mondo reale rappresenta uno dei suoi elementi suggestivi e che lo hanno reso celebre. In particolare, nel dialogo tra Morpheus e Neo, il primo spiega al secondo che non vi è alcuna differenza tra
sogno e realtà:
Morfeo : Cos’è il reale? Come definisci il reale? Se tu parli di ciò che provi con i cinque sensi, ciò si tratta semplicemente di segnali elettrici interpretati dal tuo cervello.
Neo : Cosa stai cercando di dirmi? Che posso schivare i proiettili?
Morfeo : No, Neo. Sto solo cercando di dirti che quando sarai pronto non ne avrai bisogno.
Morfeo : Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se non fossi capace di svegliarti da un sogno così? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?.

Questo concetto di vita come sogno è un concetto che ancora oggi ci portiamo dietro. A partire dal dubbio cartesiano: ci possiamo fidare dei sensi? Fino ad arrivare a romanzi come Il piccolo principe o
V per vendetta in cui è sempre presente questo tentativo di riconoscere e distinguere sogno e realtà. Questo perché anche nelle azioni più quotidiane ci ritroviamo quasi avvolti da questo velo di fantasia che non ci permette di vivere
appieno la realtà o averne consapevolezza. Potrebbe essere definito come uno strascico dell’infanzia: i bambini, ad esempio, vivono tutto come fosse un sogno e non si pongono chissà quali domande sulla realtà che li circonda.

Ad inizio pandemia eravamo tutti non coscienti di quella che era effettivamente la situazione, e le brutte notizie che attraverso le reti di comunicazioni ci arrivavano sembravano qualcosa di troppo lontano dalla realtà per essere vere, un
sogno. Da un anno a questa parte forse ci siamo abituati o forse no. Magari siamo ci sentiamo ancora come un Sigismondo che si ritrova per la prima volta ad affrontare la vita sprovvisto degli strumenti che la stessa vita gli ha tolto.
Quella vita che, Calderon de la Barca continua a dircelo, è e rimane sostanzialmente sogno. L’ossimoro degli ossimori. Qualcuno potrebbe dire che se l’autore fosse vissuto oggi avrebbe scritto un testo dal titolo La vita è incubo. Forse è
così. O forse no. Gli orrori non mancavano di certo neanche nella sua epoca, nel mondo che gli è toccato in sorte. Il trucco forse (e la necessità), è continuare a sognare, vedendo e immaginando architetture fisiche e mentali
lussureggianti. Senza scordarci, magari, la responsabilità fondamentalmente umana di provare, nonostante tutto, a trasformare il sogno in realtà.
MARISTELLA GIULIANO
GIANLUCA GIUSTOLISI
DIEGO NASTI
LORENZO SILVIA
FABIO ZITO

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