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LE SOCIETà NEL PROCESSO

Spiegazioni di diritto societario e processuale


attraverso la giurisprudenza
In copertina:
Adam Frans Van der Meulen, Scontro di cavalleria, 1680 circa (collezione privata).
LE SOCIETà
NEL PROCESSO
Spiegazioni di diritto societario e processuale
attraverso la giurisprudenza

a cura di
Claudio Consolo, Giuseppe Guizzi, Ilaria Pagni

G. Giappichelli Editore – Torino


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Il potere di informazione degli amministratori
di società per azioni
di Gianluca Perone

TRIBUNALE LECCO 14-15 OTTOBRE 2008

Il potere-dovere di informazione dei componenti del consiglio di amministrazione, il


quale ricomprende tanto la potestà di richiedere agli organi delegati di fornire informazioni
relative alla gestione sociale quanto la facoltà di esaminare personalmente i documenti so-
ciali la cui conoscenza è opportuna ai fini dell’esercizio delle funzioni di amministrazione e con-
trollo, deve essere esercitato nei confronti degli organi delegati ed in sede consiliare, senza
che i singoli consiglieri possano richiedere le informazioni direttamente ai dipendenti e/o
esercitare autonomi atti ispettivi presso la struttura aziendale.

TRIBUNALE LECCO 21-22 AGOSTO 2008

L’art. 2381, sesto comma, cod. civ., nel prevedere che ciascun amministratore possa
chiedere informazioni agli organi delegati e nello stabilire che tali informazioni vengano da-
te in seno al consiglio di amministrazione, non esclude che gli amministratori siano anche
titolari del diritto di prendere visione personalmente e direttamente e di acquisire copia del-
la documentazione sociale in qualunque momento, senza necessità di formalità di sorta.

TRIBUNALE LECCE 1-2 DICEMBRE 2010

Il potere assentito ad ogni amministratore di società a responsabilità limitata, ancorché di


minoranza e sprovvisto di deleghe, di acquisire informazioni sui fatti aziendali ai fini del cor-
retto e consapevole esercizio delle sue prerogative di amministrazione e controllo, implica la
libera facoltà di accesso ai locali aziendali e di controllo, consultazione e verifica diretti di
qualsiasi dato e documento inerente la gestione sociale.

Se è vero che nelle società a responsabilità limitata il diritto all’informazione, e quindi


l’accesso alla documentazione sociale, è espressamente previsto solo per il socio, questo
non significa che analogo diritto non competa ad ogni amministratore, anche se sfornito di
delega. Deve, infatti, ritenersi che la carica di amministratore implichi necessariamente la
facoltà di acquisire direttamente ed in piena autonomia ogni informazione e dato relativo
2 Gianluca Perone

all’impresa, non essendo immaginabile lo svolgimento di un simile incarico disgiunto dalla


approfondita conoscenza di tali informazioni [Massima pubblicata su Il Caso.it].

Il potere assentito ai consiglieri di amministrazione di società per azioni sprovvisti di deleghe


di acquisire informazioni sulla gestione sociale si limita alla potestà di esigere che gli organi dele-
gati comunichino al consiglio ogni elemento, dato e chiarimento la cui acquisizione sia necessaria
ai fini del controllo dell’operato degli amministratori esecutivi e alla consapevole compartecipa-
zione di tutti i consiglieri alle decisioni gestorie assunte collegialmente. In assenza di una specifica
attribuzione statutaria, invece, gli amministratori non esecutivi risultano privi di poteri di indagine
individuali in forza dei quali ricercare liberamente le informazioni mediante la conduzione di au-
tonome ispezioni negli uffici della società, la consultazione diretta di atti e documenti sociali e/o
l’interrogazione personale di dipendenti e collaboratori aziendali. L’esercizio di poteri istruttorî
tanto estesi e discrezionali non appare, infatti, coerente con la funzione di destinatari e controllo-
ri dell’informazione fornita dagli amministratori delegati che il nuovo statuto dell’informazione
consiliare introdotto dal legislatore della riforma ha inteso assegnare ai consiglieri non esecutivi e,
più in generale, contrasta con la rigorosa delimitazione dei doveri di vigilanza e controllo dei
consiglieri sull’operato degli organi delegati che, per specifica opzione normativa, contraddistin-
gue il rinnovato assetto dell’organo amministrativo della società azionaria.

SOMMARIO: 1. I casi. – 2. Informazione ed attività dell’organo amministrativo. – 3. Contenuto


ed esercizio dei poteri di informazione dell’amministratore di società di capitali nella di-
sciplina previgente. – 4. Il nuovo regime dell’informazione consiliare. – 5. Segue. Collegiali-
tà e poteri ispettivi dei componenti del consiglio di amministrazione. – 6. L’ammissibilità
della tutela d’urgenza.

1. I casi

I consiglieri di amministrazione privi di deleghe gestorie di due società di ca-


pitali (nella fattispecie all’esame del Tribunale di Lecce, espressione della “mino-
ranza” azionaria), nell’esercizio del loro diritto di essere informati in merito alla
gestione sociale, intendevano avere accesso diretto ed esaminare personalmente
la documentazione custodita presso i locali aziendali. Ambedue le società ammi-
nistrate negavano la possibilità di consultazione individuale dei documenti, obiet-
tando che il diritto all’informazione si sarebbe esaurito nella mera facoltà di ri-
chiesta di chiarimenti al consiglio ed agli organi delegati a mente dell’at. 2381,
ult. cpv., c.c., nel rispetto dei ruoli e delle procedure proprie del collegio, senza
possibilità di consultazioni e/o ispezioni individuali.
A fronte del rifiuto loro opposto, gli amministratori pretermessi si rivolgevano
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 3

all’Autorità giudiziaria domandando la pronuncia di provvedimenti d’urgenza


atipici, volti a superare la resistenza frapposta dalle rispettive società all’esercizio
del diritto di verifica documentale di cui si dichiaravano titolari.
In entrambi i casi, i Tribunali, disattendendo le argomentazioni difensive svol-
te dalle società resistenti, accoglievano le domande dei ricorrenti, affermando,
con argomentazioni logico-giuridiche per ampi versi coincidenti, il principio se-
condo cui ogni amministratore, anche se sprovvisto di specifiche deleghe operati-
ve, debba poter avere pieno accesso ai documenti aziendali. E ciò sia per acquisi-
re i dati necessari a colmare le asimmetrie informative che, in caso diverso, po-
trebbero privare di effettivo contenuto la dialettica consiliare con gli organi dele-
gati voluta dall’ordinamento; sia, più in generale, per essere in grado di esercitare,
in maniera realmente consapevole ed efficiente, il suo potere/dovere di controllo
sulla gestione secondo il canone normativo dell’agire informato.
Parzialmente divergenti, tuttavia, risultavano le ricostruzioni delle modalità e
delle forme di attuazione del diritto di accesso alla documentazione ed ai dati so-
ciali. L’ordinanza collegiale del Tribunale di Lecce e quella monocratica pronun-
ciata in sede di prime cure dal Tribunale di Lecco, nella loro sinteticità, sembre-
rebbero configurare un potere ispettivo del singolo amministratore pressoché illi-
mitato, capace di esplicarsi in ricerche autonome dei documenti nei locali azien-
dali e nella formulazione di domande e quesiti direttamente ai funzionari ed ai
dipendenti della società. Lo stesso Tribunale di Lecco, in sede di reclamo, all’e-
sito di un iter motivazionale più articolato, parrebbe, invece, accedere ad una so-
luzione maggiormente restrittiva, tale da circoscrivere il potere in questione alla
sola facoltà di esigere l’esibizione dei documenti e la comunicazione dei dati al-
l’interno e per il tramite del consiglio di amministrazione, senza possibilità di in-
dagini personali presso i locali e nei confronti dei dipendenti aziendali.
Quanto al requisito del periculum in mora, i giudici ritenevano che l’attua-
zione di simili prerogative individuali degli amministratori non potesse essere
limitata neppure temporaneamente in attesa della definizione del giudizio ordi-
nario, in ragione del rischio immanente e, a loro avviso, irrimediabile che, nel
normale fluire della gestione sociale, i consiglieri rimanessero privati degli stru-
menti necessari ad adempiere ai doveri di vigilanza loro imposti dalla legge nel-
l’interesse della società. E incorressero, pertanto, in responsabilità per scelte ge-
storie illecite, che, però, gli stessi non avevano potuto valutare adeguatamente
ed in ordine alle quali non avevano potuto esercitare il rimedio della dissocia-
zione ex art. 2392 c.c.
Sulla scorta di tali percorsi argomentativi, le ordinanze in commento ordina-
vano alle società resistenti di consentire agli istanti l’esame e lo studio di ogni do-
cumento sociale al quale gli stessi avevano manifestato interesse ad accedere,
nonché l’acquisizione di tutti i dati e le informazioni necessari all’esercizio dei lo-
ro doveri di controllo sulla gestione.
4 Gianluca Perone

2. Informazione ed attività dell’organo amministrativo

Le vicende controverse hanno offerto ai giudici lo spunto per tornare ad oc-


cuparsi, nel mutato assetto normativo delineato dalla riforma del 2003, di alcuni
profili di rilevante valore teorico in materia di diritto societario, inerenti la titola-
rità e l’esercizio del potere di informazione dell’organo amministrativo di società
per azioni, già ampiamente dibattuti nel vigore della disciplina previgente.
Il tema muove dal comune convincimento della centralità (dell’acquisizione e
della distribuzione) dell’informazione ai fini del corretto esercizio delle funzioni
1
attribuite dall’ordinamento ai componenti dell’organo amministrativo .
Si osserva che la consapevole adozione di scelte imprenditoriali, come noto
connotate intrinsecamente da ineliminabili margini di incertezza, per non tradursi
in atto eminentemente aleatorio, implica di necessità, in capo a chi sia chiamato a
compierla, il possesso e l’elaborazione delle nozioni, dei dati e degli elementi di
fatto utili a disporre di una conoscenza ed a compiere una valutazione adeguata
delle varie alternative e dei rischi connessi a ciascuna di esse, in vista di una co-
sciente comparazione dei vantaggi e dei costi potenzialmente associati a ciascuna
opzione e di una consapevole assunzione dei rischi connessi.
Occorre, inoltre, che tale nucleo essenziale di informazioni circoli all’interno
dell’organo amministrativo e sia reso materialmente attingibile da parte di cia-
scun componente dello stesso. Ne verrebbe, in caso contrario, pregiudicata la ca-
pacità degli amministratori non impegnati nella gestione operativa dell’intrapresa
societaria di assolvere al compito, loro assegnato dall’ordinamento, di controllo
sull’operato degli organi delegati. E, più in generale, diverrebbe mera apparenza
la stessa collegialità dell’azione del consiglio di amministrazione – la quale, evi-
dentemente, presuppone la possibilità di una consapevole partecipazione di tutti
i suoi membri al processo decisorio – sì da compromettere l’attuazione delle fina-
lità ponderatorie e/o compositorie alle quali tipicamente risponde la natura colle-
2
giale dell’organo .

1
Le questioni accennate nel testo, oggetto di specifico approfondimento anche da parte della
letteratura aziendalistica, attraggono da tempo l’attenzione della giurisprudenza pratica e teorica,
non solo italiana, ed hanno costituito oggetto di un’ampia messe di contributi. Per una recente sin-
tesi del dibattito e per un’esposizione critica delle conclusioni raggiunte, anche in chiave comparati-
stica, può sin da ora rinviarsi alla trattazione monografica contenuta in G.M. ZAMPERETTI, Il dovere
di informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005, passim
(in particolare pp. 1 ss. e 45 ss.). Da ultimo, per una rassegna estesa pure ai più recenti orientamen-
ti, si veda G. MERUZZI, L’informativa endo-societaria nella società per azioni, in Contr. e impr., 2010,
p. 737 ss.
2
La dottrina italiana, pur con impostazioni e conclusioni non sempre coincidenti, è solita indi-
viduare le funzioni alle quali propriamente risponde il principio della collegialità dell’organo am-
ministrativo pluripersonale di società azionarie in quelle di ponderazione nella formazione delle
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 5

In tale prospettiva, la coscienza dell’urgenza che gli amministratori svolgano il


loro incarico sulla scorta di un patrimonio di conoscenze sufficiente all’esercizio
consapevole ed efficace delle funzioni gestorie e/o di supervisione loro assegnate
ha da tempo indotto gli interpreti ad individuare, anche prima di un espresso aval-
lo positivo, nell’informazione l’oggetto di uno specifico dovere dell’ammini-
stratore di società di capitali, sino a declinare il generale dovere di vigilanza dei
componenti dell’ufficio amministrativo anche (e, si direbbe, soprattutto) in un
dovere di azione informata. In un dovere, cioè, di partecipare, secondo i loro ri-
spettivi ruoli, all’attività gestoria ed alle decisioni nelle quali la stessa si articola in
maniera avvisata e meditata, curando di disporre e, in caso di insufficienze cogni-
tive, di acquisire tutte le informazioni occorrenti ad un’adeguata ponderazione
dei rischi alle stesse connesse.
Di qui la tendenza di dottrina e giurisprudenza a ricostruire il sistema della re-
sponsabilità degli amministratori di società di capitali attorno al generale princi-
pio – il quale parrebbe aver ricevuto conferma positiva ad opera del legislatore
della riforma – secondo cui l’insindacabilità, in termini di opportunità, del merito
delle valutazioni imprenditoriali alla base degli atti gestori dell’organo ammini-
strativo e la conseguente generale irresponsabilità dello stesso per gli eventuali
esiti negativi di simili valutazioni in quanto tali, non impedisce, invece, il vaglio
delle modalità con cui tali valutazioni ed atti siano stati posti in essere. E, in parti-
colare, non impedisce di accertare e giudicare se il compimento degli stessi sia
stato preceduto o si sia accompagnato ad un’istruttoria capace di garantire agli
amministratori l’acquisizione delle nozioni, dei dati e delle informazioni che sa-
3
rebbe stato razionale assumere in relazione alla concreta decisione da adottare .

scelte imprenditoriali, di coerenza ed unità dell’azione gestoria e di composizione tra i molteplici


interessi che possano assumere rilievo nella dialettica societaria. Per una disamina critica del tema,
si veda, per tutti, M. STELLA RICHTER jr., La collegialità del consiglio di amministrazione tra pondera-
zione dell’interesse sociale e composizione degli interessi sociali, in Amministrazione e amministratori
di società per azioni, a cura di B. Libonati, Milano, 1995, p. 277 ss.
3
La distinzione tra rischio e responsabilità, tra rischio connaturato all’esercizio dell’intrapresa
sociale, come tale addossato dall’ordinamento ai soci destinatari dei relativi risultati, e responsabili-
tà per il compimento di atti di mala gestio, da imputarsi all’amministratore che, nell’espletamento
del suo mandato, abbia violato gli obblighi gestori imposti dalla norma o dallo statuto, ha rappre-
sentato sin da principio uno dei capisaldi attorno ai quali il codice ha impiantato l’architettura delle
società di capitali. E si pone in certo modo alla base del canone – comunemente denominato busi-
ness judgment rule con chiaro riferimento all’omonima regola giurisprudenziale di origine statuni-
tense (per la quale si veda l’enunciazione contenuta nella nota sentenza Kamin v. American Express
Co., 383N.Y.S.2d 807 (Sup.Ct.1976), aff’d, 387 N.Y.S.2d 993 (App. div. 1976) e, in chiave critica,
F.A. GEVURTZ, The Business Judgment Rule: Meaningless or Misguided Notion?, 67 S. Cal. L. Rev.
287 [1994]) – accolto, ancorché con cogenza e portata precettiva non sempre coincidenti, nella
maggior parte gli ordinamenti moderni, secondo cui sarebbe dato sottoporre a sindacato non già il
merito delle valutazioni imprenditoriali compiute dagli amministratori, sì da interferire con la loro
sfera di discrezionalità, al fine di accollare a costoro gli eventuali esiti negativi, in termini di perdita
e/o danno, dalle stesse derivanti, quanto, invece, il processo decisionale seguito e la sua risponden-
6 Gianluca Perone

Con la conseguenza che incorre in responsabilità l’amministratore che assuma o


concorra alla decisione di atti gestori, rivelatisi nocivi, in assenza delle cautele,
delle verifiche e delle informazioni che, nelle circostanze date, sarebbe stato logi-
4
co adottare, espletare e possedere , non potendo essere addotta a sua discolpa

za ai canoni di diligenza e perizia di volta in volta fissati dall’ordinamento. In tal senso, valga ricor-
dare il principio, espressione di un orientamento consolidato, enunciato dalla Suprema Corte di cas-
sazione nel vigore della previgente disciplina, ma senz’altro riferibile anche a quella attuale, secon-
do cui «la responsabilità ipotizzata dall’art. 2392 c.c. discende unicamente dalla violazione di obbli-
ghi giuridici, gravanti sui gestori del patrimonio sociale, cui non potrebbe invece essere mai imputa-
to, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico:
giacché una valutazione di tal fatta atterrebbe alla sfera dell’opportunità, e dunque della discrezio-
nalità amministrativa […] Donde consegue che la responsabilità dell’amministratore non può esse-
re semplicemente desunta dai risultati della gestione e che, perciò, al giudice investito dell’azione di
responsabilità non è consentito sindacare i criteri di opportunità e di convenienza seguiti
dall’amministratore nell’espletamento dei suoi compiti»: Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, in Giur. it.,
1998, p. 287, con nota di R. Ventura. Per l’approfondimento delle ragioni, in primo luogo ricondu-
cibili alla sfera della opportunità e della politica del diritto, che giustificano un simile approccio e
della loro intima derivazione, in una delicata ricerca di equilibrio tra esigenze contrapposte, dalla
struttura e dalle logiche dell’economia di mercato può rinviarsi alla classica trattazione di R. WEIG-
MANN, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, passim e, successiva-
mente alla riforma del 2003, a C. ANGELICI, Diligentia quam in suis e business judgment rule, in
Riv. dir. comm., 2006, I, p. 675 ss.
4
Ricorrente risulta, in giurisprudenza, la massima per la quale «la scelta tra il compiere o meno
un certo atto di gestione, oppure di compierlo in un certo modo o in determinate circostanze, non è
mai di per se sola (salvo che non denoti addirittura la deliberata intenzione dell’amministratore di
nuocere all’interesse della società) suscettibile di essere apprezzata in termini di responsabilità giu-
ridica, per l’impossibilità stessa di operare una simile valutazione con un metro che non sia quello
dell’opportunità e perciò di sconfinare nel campo della discrezionalità imprenditoriale; mentre, vi-
ceversa, è solo l’eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle veri-
fiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che
può configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazio-
ne e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società». In
tal senso cfr., tra le altre, Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, p. 1517, con nota di A. Fu-
si; Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, cit.; Trib. Milano 2 maggio 2007, in Corr. merito, 2007, p. 1116;
Trib. Reggio Emilia 23 febbraio 2006, in Dir. e prat. soc., 2006, p. 64, con nota di E. Disetti; Trib.
Milano 29 maggio 2004, in, Giur. it., 2004, p. 2333, con nota di G. Cottino; Trib. Milano 14 aprile
2004, in Giur. it., 2004, p. 1897, con nota di A. Bertolotti; Trib. Milano 20 febbraio 2003, in Società,
2003, p. 1268, con nota di D. Piselli; Trib. Milano 10 febbraio 2000, in Giur. comm., 2001, II, p.
326, con nota di A. Tina. Per una completa rassegna dell’orientamento giurisprudenziale in parola
si veda F. BONELLI, Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 159
ss. È da notare che le statuizioni enunciate nelle massime citate siano fatte proprie, anche testual-
mente, dalla Relazione di accompagnamento al decreto legislativo di riforma organica del diritto
delle società di capitali, al cui paragrafo 6.III.4. è dato leggere che le scelte compiute dagli ammini-
stratori «nell’adempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto […] devono essere infor-
mate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irre-
sponsabili o negligente improvvisazione». Il Testo integrale della Relazione è pubblicato in M.
VIETTI et al. (a cura di), La riforma del diritto societario. Lavori preparatori. Testi e materiali, Mi-
lano, 2006, p. 207 ss.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 7

l’ignoranza di circostanze rilevanti ogni qual volta la stessa dipenda da sua inerzia
5
o disinteresse .

3. Contenuto ed esercizio dei poteri di informazione dell’amministrato-


re di società di capitali nella disciplina previgente

Il codice del ’42 – in ragione del ridotto interesse che l’argomento general-
mente suscitava nella cultura giuseconomica del tempo – mancava di una disci-
plina positiva espressa dell’informazione degli amministratori di società di capitali.
Giurisprudenza e dottrina, a misura che la consapevolezza della rilevanza teo-
rica ed operativa del tema è andata diffondendosi, si sono fatte carico del compi-
to di sopperire alla lacuna, impegnandosi nella ricostruzione di uno statuto giuri-
dico dell’informazione dell’organo gestorio capace di assicurare tutela e composi-
6
zione ai numerosi interessi coinvolti .
In tale sforzo, l’affermazione di puntuali obblighi informativi in capo a ciascun
componente dell’ufficio amministrativo, strumentali all’adempimento del genera-
le dovere di vigilanza sulla gestione, ha presto attirato l’attenzione degli interpreti
sulla definizione dei poteri istruttori necessari all’acquisizione dei dati inerenti
7
l’attività sociale occorrenti all’adempimento di un obbligo siffatto , ponendosi

5
Il rilievo per il quale agli amministratori non è dato mantenere atteggiamenti di inerzia, i quali
si esauriscano nel mero atto di presenza alle riunioni consiliari, nell’indifferenza degli interessi della
società e senza coscienza delle responsabilità connesse all’ufficio si rinveniva già in G. FRÈ, Società
per azioni, in Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca (art. 2325-2461), IV ed., Bolo-
gna, 1972, p. 480.
6
Giova, peraltro, rammentare che, nel quadro delineato, a partire dalla fine degli anni ’90 il te-
ma della circolazione dell’informazione consiliare ha costituito oggetto di interventi autodisciplina-
ri, regolamentari e, quindi, normativi, nell’ambito della disciplina delle società quotate. Ci si riferi-
sce, in particolare, alla necessità che le società anzidette si dotassero di regole organizzative capaci
di garantire l’esistenza di adeguati flussi informativi tra i componenti del consiglio di amministra-
zione disposta dalla Comunicazione Consob 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574, recante “Rac-
comandazioni in materia di controlli societari” (in Riv. dir. soc., 1997, p. 2005), e dal Codice di auto-
disciplina del comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana S.p.A., nonché all’obbligo in-
formativo imposto agli amministratori in favore del collegio sindacale dall’art. 150 t.u.i.f., dal quale
parte della dottrina ha desunto l’esistenza di un (preliminare) dovere di trasmissione ed elaborazio-
ne dell’informazione all’interno dell’organo amministrativo. In tal senso, in particolare, P. MONTA-
LENTI, Corporate governance: la tutela delle minoranze nella riforma delle società quotate, in Giur.
comm., 1998, I, p. 329 ss.
7
Sostanzialmente incontroverso si è presto rivelato il convincimento che l’imposizione agli am-
ministratori, ad opera dell’art. 2392 c.c., di uno specifico dovere di vigilanza sul generale andamen-
to della gestione dovesse indurre ad ammettere, pur in assenza di analogo riconoscimento positivo,
il conferimento ai medesimi amministratori di corrispondenti poteri istruttori, strumentali all’adem-
pimento di tale dovere. Rilievo, questo, già rinvenibile in O. CAGNASSO, Gli organi delegati nella
società per azioni, Torino, 1976, p. 100.
8 Gianluca Perone

l’esigenza, tuttora attuale, di individuare contenuti e modalità di esercizio di sif-


fatti poteri che potessero risultare coerenti alla natura pluripersonale tipicamente
assunta dall’organo gestorio. Ponendosi, in altre parole, la necessità di appurare,
ogni qual volta l’amministrazione della società non avesse struttura monocratica,
se i poteri in parola fossero attribuiti all’organo gestorio in quanto tale e, comun-
que, dovessero essere esercitati secondo i moduli e gli schemi collegiali che ne scan-
discono l’attività; oppure se gli stessi potessero dirsi di titolarità di ciascun ammi-
nistratore, con il conseguente bisogno di verificare la compatibilità di un loro
esercizio individuale con i principi della collegialità ai quali l’azione amministrati-
va risulta informata.
Gli interrogativi così posti hanno ricevuto risposte tra loro discordanti – spes-
so frutto di opzioni sistematiche di vertice parimenti divergenti – le quali, pur
con sfumature diverse, possono essere ordinate in due orientamenti contrapposti,
l’eco dei quali è dato rinvenire, nonostante il mutato assetto normativo, nelle stes-
se ordinanze in questa sede commentate, e che, pertanto, conviene ripercorrere
per brevi cenni.
Ricorrendo a necessarie semplificazioni, è dato isolare, da un lato, la posizione
di coloro che, prendendo le mosse dalla distinzione delle funzioni amministrative
8
di vigilanza da quelle di intervento , hanno inteso limitare alle seconde l’ambito
di operatività delle regole collegiali, affermando, di contro, il carattere schietta-
mente individuale dei poteri di istruzione e controllo nei quali le prime possono
essere scomposte: l’esercizio di questi ultimi, svincolato da schemi prefissati, sa-
rebbe rimesso all’iniziativa del singolo amministratore, il quale, non solo sarebbe
legittimato a provvedervi autonomamente, ma disporrebbe ulteriormente della

8
La dicotomia potere di vigilanza/potere di intervento evocata nel testo vale, in estrema sintesi,
ad identificare e contrapporre i due momenti nei quali, in ispecie in presenza di organi delegati, si
riteneva si articolasse l’azione degli amministratori non esecutivi. Consistenti, il primo, nel controllo
sul generale (ed intero) andamento della gestione societaria; il secondo, nella successiva adozione
delle misure correttive utili a prevenire o far cessare condotte gestorie non corrette e, più in genera-
le, ad impedire il compimento di atti pregiudizievoli per la società o contenerne le conseguenze
dannose. Al riguardo, si veda per tutti O. CAGNASSO, Gli organi delegati, cit., p. 93. La rilevanza, si-
stematica ed operativa, di siffatta contrapposizione nel sistema vigente, peraltro, potrebbe essere
revocata in dubbio, ove si aderisca alla lettura incline a ricavare dalle modifiche introdotte dal legi-
slatore della riforma un sostanziale ridimensionamento, se non la soppressione vera e propria, del
generale dovere di vigilanza degli amministratori sulla gestione. In tal senso, tra gli altri, cfr. P. AB-
BADESSA, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in AA.VV., Il nuovo diritto
delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2,
Torino, 2006, p. 501 ss. e F. BONELLI, Gli amministratori, cit., p. 51 ss., nonché, in giurisprudenza,
Cass. pen. 19 giugno 2007, n. 22838, in Giur. comm., 2008, p. 369 ss. In senso diverso, invece, si
vedano F. BARACHINI, La gestione delegata nella società per azioni, Torino, 2008, p. 134; P. MONTA-
LENTI, Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali, in AA.VV., Il nuovo diritto delle so-
cietà. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2, cit., p. 835 ss., spec. p. 850 ss.; V. SALAFIA, Am-
ministratori senza deleghe fra vecchio e nuovo diritto societario, in Società, 2006, p. 293.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 9

facoltà di determinarne discrezionalmente le forme e l’intensità di volta in volta


9
ritenute più convenienti in relazione alle circostanze concrete .
In tale prospettiva, una volta identificata, secondo un’impostazione diffusa nel
10
sistema previgente , la funzione del principio della collegialità dell’azione ammini-
strativa nella salvaguardia dell’interesse alla coerenza della gestione societaria – mes-
sa, invece, a repentaglio da un agire disgiunto dei singoli consiglieri –, si è osser-
vato che la rilevanza (e la necessità di protezione) di un interesse siffatto si sareb-
be profilata nel solo esercizio delle funzioni di intervento dell’organo amministra-
tivo, manifestandosi soltanto in tale contesto l’esigenza che l’adozione e l’attua-
zione delle misure all’uopo più opportune fosse rimessa, non all’iniziativa disor-
ganica di ciascun amministratore, ma alla unitaria e concorde determinazione del
consiglio, con il concorso ordinato di tutti i suoi componenti. Nel momento, logi-
camente ed operativamente precedente, del controllo, invece, non solo un pro-
blema di armonia dell’azione non si sarebbe posto, non giustificandosi, perciò,
l’applicazione di uno strumento, quale sarebbe quello collegiale, volto a ridurre
ad unità l’operato potenzialmente multiforme degli amministratori. Ma, anzi,
l’esercizio autonomo, da parte di ciascuno di essi, di un’attività ispettiva di ricerca
di dati ed informazioni in ordine alle determinazioni da adottare avrebbe garanti-
to l’acquisizione complessiva di un maggior numero di elementi di giudizio desti-
nati ad essere trasfusi nelle successive deliberazioni del consiglio, così da accre-
11
scere l’efficienza e la precisione dei relativi processi decisionali .

9
E, pertanto, si è ritenuto, ad esempio, che i singoli amministratori potessero liberamente con-
sultare i dipendenti della struttura aziendale e formulare loro quesiti e domande, assistere alle sedu-
te dei singoli comitati ed alle riunioni con direttori e dirigenti in genere, avere pieno ed illimitato
accesso a tutta la documentazione relativa alla gestione dell’impresa: in termini, cfr. P. ABBADESSA,
I poteri di controllo degli amministratori «di minoranza» (membro del comitato esecutivo con «voto
consultivo»?), in Giur. comm., 1980, I, p. 816 ss.; O. CAGNASSO, Gli organi delegati, cit., p. 93; A.
DALMARTELLO-G.B. PORTALE, I poteri di controllo degli amministratori «di minoranza» (membro
del comitato esecutivo con «voto consultivo»?), in Giur. comm., 1980, I, p. 797 ss.; V. GIORGI, Poteri,
doveri degli amministratori e principio della collegialità nell’amministrazione pluripersonale di società
per azioni, in Riv. not., 1990, I, p. 317. L’orientamento considerato risulta accolto, in giurispruden-
za, da Trib. Milano 17 marzo 1986, in Società, 1986, p. 619, con nota di B. Marescotti e Trib. Cata-
nia 23 marzo 1995, in Società, 1995, p. 1092, con nota di M. Morelli. Quest’ultima sentenza, tutta-
via, ne tempera la portata con l’affermazione della legittimità di deliberazioni consiliari volte a limi-
tare il potere-dovere di controllo spettante ai singoli amministratori attraverso la predeterminazione
delle modalità di esercizio di un siffatto potere-dovere.
10
In termini, tra gli altri, cfr. O. CAGNASSO, Gli organi delegati, cit., p. 248 ss.; V. CALANDRA
BUONAURA, Amministrazione disgiuntiva e società di capitali, Milano, 1984, p. 16 ss.; G. ZANARONE,
La clausola di amministrazione disgiuntiva nella società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 1979, p.
90 ss., spec. p. 136 ss. Per una riconsiderazione critica di tale impostazione, condotta sulla scorta di
argomentazioni rimaste attuali anche alla luce della disciplina vigente, si veda M. STELLA RICHTER
jr., La collegialità del consiglio di amministrazione, cit., p. 286 ss.
11
«L’esercizio individuale [dei poteri istruttori connessi all’adempimento del dovere di vigilan-
za] non espone […] la società a rischio alcuno di condotta incoerente, rischio che il principio di col-
10 Gianluca Perone

La conferma del carattere individuale del dovere di vigilanza – e, quindi, del


correlato potere di controllo ed istruttoria – veniva, inoltre, desunta dalla natura
solidale e personale della responsabilità ascritta agli amministratori inottemperan-
ti, dalla quale sarebbe stato lecito evincere la natura parimenti personale del po-
12
tere necessario al relativo adempimento . Ed ancora dal carattere personale del-
l’obbligo, imposto dal codice in capo ad ogni amministratore, di adoperarsi per
prevenire, impedire o attenuare le conseguenze del compimento di atti gestori
dannosi e del potere di dissociazione al cui esercizio il codice attribuisce funzione
13
esimente da detta responsabilità .
La rispondenza di una simile ricostruzione al dato positivo è stata, tuttavia, re-
vocata in dubbio da un contrastante indirizzo interpretativo, volto a negare l’esi-
stenza di spazi normativi per l’esercizio di poteri individuali di controllo – il cui
contenuto e le cui modalità potessero risultare rimessi alla discrezionale determi-
nazione dei singoli consiglieri di amministrazione – nella disciplina della società
azionaria.
L’affermazione, in sé non necessariamente contrastata, di un diritto individua-
le di ciascun amministratore all’espletamento di un’attività istruttoria (da condur-
si anche nei confronti della struttura aziendale ed attraverso la consultazione del-
la documentazione sociale) capace di assicurare al consiglio di amministrazione,
ed allo stesso amministratore quale membro del collegio, l’acquisizione dei dati e
delle informazioni necessarie alla vigilanza sul generale andamento della gestione
e alla consapevole partecipazione alle decisioni consiliari, non avrebbe, infatti,
consentito di escludere che il relativo esercizio rimanesse comunque assoggettato
alle regole della collegialità e dovesse avvenire all’interno o per il tramite del con-
siglio, risultando gli amministratori pur sempre tenuti ad esercitare queste, come
tutte le altre loro, competenze nell’ambito dell’organo collegiale e secondo le
14
norme che ne regolano il funzionamento .
Quello all’informazione, in altre parole, si sarebbe configurato come un diritto
individuale ad esercizio collettivo: l’espletamento materiale delle operazioni istrut-
torie, strumentali ad attuare l’interesse, tutelato dall’ordinamento, dei singoli

legialità vuole specificamente rimuovere, ma consente piuttosto di acquisire ulteriori elementi di


giudizio, destinati a meglio orientare le decisioni del consiglio»: P. ABBADESSA, I poteri di controllo,
cit., p. 816.
12
«Proprio perché è personale e solidale la responsabilità che la legge pone a carico di ogni sin-
golo amministratore per la violazione del dovere di vigilanza, non può non essere personale e solida-
le (dal lato attivo) il mezzo che l’amministratore deve avere per non incorrere in quella responsabili-
tà: vale a dire l’esercizio della vigilanza considerata nel suo aspetto di “potere”»: A. DALMARTELLO-
G.B. PORTALE, I poteri di controllo, cit., p. 798.
13
A. DALMARTELLO-G.B. PORTALE, I poteri di controllo, cit., p. 798.
14
Così, S. SCOTTI CAMUZZI, I poteri di controllo degli amministratori «di minoranza» (membro
del comitato esecutivo con «voto consultivo»?), in Giur. comm., 1980, I, p. 787 ss.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 11

consiglieri di disporre delle informazioni sulla gestione sociale necessarie al com-


pimento delle funzioni a ciascuno di essi attribuite all’interno dell’organo, lungi dal-
l’essere rimesso all’iniziativa disgiunta dei medesimi, sarebbe rimasto di pertinen-
za del consiglio. Quest’ultimo, pertanto, ferme restando la legittimazione dei suoi
componenti a sollecitarne l’intervento e la necessità di soddisfare i loro menzio-
nati interessi individuali, sarebbe rimasto l’organo chiamato a decidere quali do-
cumenti potessero essere esaminati e quali dipendenti interpellati; il luogo e le
forme in cui ciò dovesse avvenire (in sede consiliare o presso gli uffici societari);
chi dovesse concretamente provvedere ai relativi incombenti (il consiglio nel suo
complesso o suoi singoli membri all’uopo delegati); le cautele da osservarsi a sal-
vaguardia della riservatezza dei segreti aziendali, ecc. Sarebbe rimasto, cioè, l’or-
gano chiamato a determinare contenuto ed intensità dell’attività istruttoria, non-
ché a dare concreta attuazione alla stessa.
Una simile soluzione, pur ponendo il problema dell’individuazione dei rimedi
giudiziali e/o stragiudiziali di cui gli amministratori potessero avvalersi qualora i
loro diritti informativi risultassero pretermessi da singole determinazioni consilia-
15
ri , avrebbe risposto, meglio delle altre, tanto ad esigenze di coerenza sistemati-
ca, quanto a ragioni di opportunità.
Sotto il primo profilo, l’affermazione di un’esclusiva competenza consiliare al-
l’esercizio dei poteri ispettivi sarebbe risultata maggiormente rispettosa del prin-
cipio di collegialità cui l’ordinamento ha inteso assoggettare, in via generale, l’am-
16
ministrazione pluripersonale nelle società capitalistiche , senza che una deroga
del cennato principio potesse risultare giustificata, come invece assunto dagli au-
tori in precedenza citati, dall’osservazione della natura solidale della responsabi-
lità ascrivibile agli amministratori – trattandosi, a tacer d’altro, di responsabilità
conseguente alla violazione di tutti i doveri imposti agli amministratori e che
quindi mai potrebbe ritenersi indice del loro carattere individuale, pena la nega-
zione sostanziale dello stesso principio collegiale – ovvero dei doveri di preven-

15
Ci si è interrogati, ad esempio, se gli amministratori potessero dirsi, in tali eventualità, legitti-
mati all’esercizio di un’azione di rendimento dei conti nei confronti dell’amministratore delegato o
degli altri componenti del consiglio ovvero a proporre la denuncia di gravi irregolarità gestorie ex
art. 2409 c.c., così come se gli stessi, in sede stragiudiziale, potessero legittimamente formulare ri-
chieste di informazioni ai sindaci o rivolgersi direttamente ai soci mediante la comunicazione di re-
lazioni ed avvisi: S. SCOTTI CAMUZZI, I poteri di controllo, cit., p. 792.
16
L’attribuzione agli amministratori di poteri di vigilanza da esercitarsi in regime collegiale deve
reputarsi ragionevole e compatibile con le regole di funzionamento della società azionaria, le quali
sono organizzate secondo un’articolazione complessa dalla legge stabilita con norme prevalente-
mente inderogabili, per la tutela variamente composita degli interessi dei soci, dei terzi e della col-
lettività in generale, in un gioco delicato di pesi e di contrappesi, posto che specificamente all’eser-
cizio della funzione di controllo è predisposto, con poteri penetranti, altro organo della società per
azioni, il collegio sindacale, cui sarebbe rimesso il compimento di atti di ispezione e di controllo
anche individuali: G. MINERVINI, I poteri di controllo, cit., p. 813.
12 Gianluca Perone

zione ed eliminazione di atti dannosi e di dissociazione di cui all’art. 2392 c.c.,


risultando gli stessi ben compatibili con un esercizio collegiale delle relative fun-
17
zioni .
Quanto, invece, alle considerazioni di opportunità, la necessaria mediazione del-
l’organo consiliare avrebbe scongiurato il pericolo, particolarmente temuto, che
l’esercizio indiscriminato di poteri istruttori individuali da parte di ciascun ammini-
stratore, in assenza di criteri e limiti prefissati, onerando la società ed i suoi uffici del
compito di provvedere alle relative attività informative, potesse distogliere l’atten-
zione della struttura aziendale dalla cura degli affari correnti, così da arrecare intral-
18
cio all’efficiente gestione dell’intrapresa sociale .

4. Il nuovo regime dell’informazione consiliare

L’introduzione di una compiuta regolamentazione dell’informazione endo-


consiliare probabilmente costituisce – assieme alla modifica del regime di respon-
sabilità degli amministratori, che, del resto, ad essa risulta strettamente connessa
19
e risponde ad una logica comune – l’innovazione sistematicamente più rilevante
introdotta dalla riforma del diritto societario nella disciplina dell’organo ammini-
20
strativo della società azionaria .
La consapevolezza, ormai sedimentata, dell’importanza di un continuo e
completo scambio informativo infra ed inter-organico, quale essenziale strumen-
to di corporate governance capace di promuovere, al contempo, la corretta gestio-
ne dell’intrapresa societaria e l’efficiente controllo sulla stessa, ha, infatti, indot-
to il legislatore a colmare la lacuna normativa di cui si è fatto cenno nelle pagine
precedenti mediante la previsione di un articolato regime dei flussi (e dei corre-
lati poteri/doveri) di informazione all’interno del consiglio di amministrazione.

17
In tal senso, si veda G. MINERVINI, I poteri di controllo, cit., p. 812.
18
C. GRASSETTI, I poteri di controllo, cit., p. 808; G. MINERVINI, I poteri di controllo, cit., p. 814.
19
Basti, in questa sede, accennare alla sostituzione dell’indistinto dovere di vigilanza sul generale
andamento della gestione imposto dalla formulazione originaria dell’art. 2392, comma 2, c.c. – l’ar-
bitraria estensione dell’ambito applicativo del quale, nel sistema previgente, aveva costituito la
chiave di volta per preoccupanti abusi interpretativi volti a trasfigurare surrettiziamente la respon-
sabilità per inadempimento degli amministratori delineata dal codice in una omnipervasiva fattispe-
cie di responsabilità oggettiva ai confini con la responsabilità patrimoniale – con il più puntuale e
circoscritto dovere di agire in modo informato introdotto dal nuovo art. 2381, comma 6, c.c.
20
Per l’illustrazione del significato sistematicamente centrale, anche in chiave tipologica, della
nuova disciplina dell’informazione endoconsiliare introdotta nel 2003 si vedano, tra gli altri, G.M.
ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 23 ss.; ID., Il dovere di informazione endoconsiliare
degli amministratori di s.p.a., in Società, 2005, p. 1466 e P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza,
cit., p. 836.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 13

L’acquisizione e la circolazione dell’informazione da parte e tra gli amministra-


tori ha, dunque, cessato di essere rimessa alla sola opera conformatrice – nel
tempo rivelatasi inadeguata ad assolvere efficacemente ad un simile incombente
– dell’autonomia statutaria ed alla libera (e sostanzialmente indeterminata) ini-
ziativa degli amministratori medesimi. Essa costituisce, invece, oggetto di una
complessa trama di obblighi imperativamente ascritti ai componenti dell’organo
gestorio, in forme ed intensità commisurate alle funzioni da questi concretamen-
te assolte all’interno dello stesso, onde far sì che ciascuno di essi (e l’organo nel
suo complesso) sia sollecitato e posto nella condizione di svolgere effettivamen-
te, e non solo nominalmente, il suo ruolo in forza di un patrimonio di conoscen-
ze a ciò adeguato.
Cercando di sintetizzare le linee generali della nuova disciplina, conviene muo-
vere dal suo primo, e fondamentale, tassello costituito dal generale dovere di
«agire in modo informato» imposto dall’art. 2381, comma 6, c.c., a tutti gli am-
ministratori di società per azioni in quanto tali, indipendentemente dalla configu-
razione concretamente assunta dall’ufficio amministrativo, dall’esistenza di organi
delegati, nonché dalle speciali funzioni dagli stessi eventualmente esercitate (il
21
c.d. dovere riflessivo di informazione) .
Riceve, con tale prescrizione, espressa enunciazione positiva il già accennato
canone generale al quale è tenuta a conformarsi l’azione di ogni amministratore, i
cui tratti caratterizzanti potevano dirsi già in precedenza ricostruiti in via inter-
22
pretativa da dottrina e giurisprudenza , in forza del quale ciascun componente del-
l’organo amministrativo è chiamato a svolgere le sue funzioni – siano esse di ge-
stione attiva, individuale o collegiale, oppure di controllo sull’operato degli am-
ministratori esecutivi – in maniera effettiva e consapevole, sulla scorta di una co-
noscenza adeguata degli elementi e delle circostanze all’uopo rilevanti, da acqui-

21
È questa la definizione con la quale, all’indomani della riforma, nell’opera di riordino sistema-
tico della materia, si è inteso individuare (e distinguere dagli altri) il dovere in parola, così da sotto-
lineare come si tratti di una situazione giuridica soggettiva avente ad oggetto il compimento di
un’attività rivolta verso lo stesso soggetto della stessa onerato: la ricezione ed il possesso del-
l’informazione necessaria ad una diligente attività gestionale. Così, G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di
informazione, cit., p. 259 ss., cui si deve, più in generale, la tripartizione, cui nel prosieguo del pre-
sente scritto si farà riferimento, dei doveri informativi imposti ai componenti del consiglio di am-
ministrazioni in doveri riflessivi di informazione (degli amministratori non delegati), doveri transiti-
vi di informazione (degli organi delegati) e doveri di interazione informativa (del presidente del
consiglio di amministrazione).
22
Sottolinea, peraltro, il carattere fortemente innovativo («di rottura») assunto dal riconosci-
mento normativo del dovere di agire in modo informato in ordine alla configurazione dei compiti e
delle responsabilità degli amministratori, pur dando atto come la sua introduzione fosse stata anti-
cipata dalla più avveduta elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in tema di responsabilità degli
amministratori (per la quale si rinvia, supra, alle nt. 4 e 5), G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informa-
zione, cit., pp. 272 e 287.
14 Gianluca Perone

sirsi, ove necessario, all’esito di apposita attività istruttoria e/o di verifica dei dati
23
appresi . Canone che, peraltro, risultando intimamente connesso al dovere di di-
ligenza di cui all’art. 2392, comma 1, c.c. e venendosi a sostituire al previgente
obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, dovrebbe concorrere,
in termini più ampi, ad una complessiva rimodulazione della disciplina dell’azio-
ne e della responsabilità degli amministratori in una prospettiva di contenimento
dei c.d. costi di agenzia e promozione della maggior efficienza delle scelte im-
24
prenditoriali .
Al riconoscimento normativo del dovere di informarsi si accompagna – e non
avrebbe potuto essere altrimenti, pena, come già osservato, il sostanziale avvili-
25
mento del precetto – quello del convergente potere (e non diritto ) degli ammi-
nistratori medesimi di ricercare, domandare e ricevere, là dove sono serbati, i dati
e gli elementi necessari all’adeguata conoscenza della gestione sociale e delle ope-
razioni da intraprendere. Dispone in tal senso il citato art. 2381, comma 6, se-
condo cui «ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in con-
siglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società». Formulazio-
ne, questa, che, per un verso, testualmente legittima – chiaramente con riguardo
al funzionamento di strutture amministrative pluripersonali nelle quali si diano
deleghe gestorie – ciascun consigliere a pretendere un’esaustiva informativa sul-
l’intera conduzione dell’attività societaria, escludendo che allo stesso siano oppo-

23
In tal senso già si esprimeva la Relazione governativa alla riforma, la quale chiariva come la
nuova disciplina si proponesse di far sì che le scelte gestorie fossero «informate e meditate, basate
sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente im-
provvisazione» (§ III.4). È, peraltro, intuitivo che il contenuto precettivo del criterio di condotta
dell’agire informato venga ad atteggiarsi diversamente – e da ciò può ricevere probabilmente spie-
gazione la formulazione elastica prescelta dal legislatore – a seconda che lo stesso debba applicarsi
all’amministratore investito di piena ed individuale autonomia decisionale (amministratore unico o
delegato), oppure all’amministratore più semplicemente chiamato a concorrere alla gestione in qua-
lità di componente di un organo pluripersonale (consigliere di amministrazione non esecutivo). Nel-
l’un caso si esige che l’amministratore adotti le scelte imprenditoriali allo stesso demandate sulla
scorta (di un processo istruttorio che garantisca il compimento) di una consapevole e ponderata
valutazione del contesto di riferimento, delle alternative disponibili e delle possibili conseguenze;
nell’altro, che ciascun consigliere curi di disporre del patrimonio cognitivo adeguato a permettergli
di far valere, nel dibattito consiliare, la propria opinione in maniera consapevole, senza recepire
supinamente l’indirizzo espresso dagli organi delegati, onde garantire la ponderazione e/o la com-
posizione degli orientamenti espressi e, più in generale, l’efficace controllo sulla gestione operativa
dell’impresa sociale. Per una più diffusa disamina dei temi evocati può, nuovamente, rinviarsi a
G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 274.
24
Giova ricordare come già la legge delega avesse individuato nel principio dell’agire in modo
informato il fondamentale criterio al quale, in sede di attuazione della delega, avrebbero dovuto
vincolarsi tanto le modalità di esercizio delle funzioni gestorie, quanto la valutazione della corret-
tezza dell’operato dei singoli componenti dell’organo amministrativo (art. 4, comma 8, lett. g), legge
3 ottobre 2001, n. 366).
25
Sul punto si veda quanto osservato infra, § 6.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 15

nibili veti o rifiuti che, precludendogli la conoscenza della materia sulla quale sa-
rebbe chiamato ad intervenire, lo ridurrebbero ad acritico esecutore degli indiriz-
zi degli amministratori esecutivi; ma, per altro verso, induce ad individuare nei
consiglieri delegati (e, a maggior ragione, nell’eventuale amministratore unico) i
soggetti istituzionalmente dotati, in conseguenza delle loro funzioni gestorie di
vertice, di un potere di accesso diretto ed illimitato ai dati ed ai documenti della
società, in quanto tali costituiti naturali custodi delle informazioni sociali e pri-
26
maria fonte di loro divulgazione agli altri consiglieri .
Nell’architettura generale dei canali informativi delineata dall’art. 2381 c.c., il
dovere di informarsi gravante su tutti gli amministratori trova simmetrico com-
plemento nel dovere, imposto – sempre nel ricorrere della distinzione funzionale,
reputata tipica della società azionaria, tra amministratori esecutivi e non esecutivi
– agli organi delegati, di trasmettere agli altri consiglieri, e pure per loro tramite
agli altri organi della società, le informazioni prescritte dall’ordinamento, nei
termini e con le modalità dallo stesso specificati (il c.d. dovere transitivo di in-
27
formazione ).
In tal guisa, il legislatore non solo ha onerato gli amministratori esecutivi del-
l’obbligo – implicito nel riconoscimento normativo, in favore degli altri ammini-
stratori, del già menzionato potere di domandare informative supplementari (cit.
art. 2381, comma 6, c.c.) – di offrire al consiglio ogni informazione sulla gestione
sociale dallo stesso richiesta e ritenuta necessaria per lo svolgimento delle sue
funzioni, così introducendo un dovere di informazione di natura atipica ed occa-
sionale. Ma si è, ancora prima, premurato di regolare un flusso informativo tipico
e costante tra consiglieri incaricati della gestione corrente e consiglieri chiamati
alla loro supervisione, predeterminando e, per quanto possibile, standardizzando
il contenuto di un nucleo essenziale di informazioni sulla organizzazione e sulla
attività della società dovute, anche in assenza di sollecitazione, dai titolari degli
organi delegati al consiglio nella sua interezza, nonché la periodicità, le forme, i
momenti ed i luoghi della sua comunicazione.
E così, l’art. 2381, comma 5, obbliga gli organi delegati a fornire al consiglio
(ed al collegio sindacale), con cadenza almeno semestrale, un’adeguata informati-
va circa lo stato attuale dell’attività dell’impresa societaria (il «generale andamen-
to della gestione»), lo sviluppo della stessa in chiave prospettica (la «sua prevedi-
bile evoluzione»), ed i più rilevanti affari conclusi nel recente passato (le «opera-
zioni di maggior rilievo, per dimensioni e caratteristiche, effettuate dalla socie-
tà»). Informativa destinata ad estendersi ulteriormente, come è possibile ricavare
dalla lettura del terzo comma del medesimo articolo, alla rappresentazione del-

26
G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 325.
27
G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 176 ss.

2.
16 Gianluca Perone

l’«assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società» ed all’illustra-


zione, ove elaborati, dei suoi «piani strategici, industriali e finanziari».
Risulta, in tal guisa, delineata un’informazione tipica, articolata e completa, vol-
ta a rendere edotto il consiglio in maniera esaustiva della struttura e dell’andamen-
to passato, presente e futuro dell’impresa societaria, da rendersi indifferentemen-
te in forma orale nel corso dell’adunanza consiliare ovvero tramite apposita rela-
zione scritta trasmessa, previamente, a ciascun componente dell’organo ammini-
strativo (e sindacale) in vista di una successiva disamina collegiale del suo conte-
nuto. Purché ciò avvenga in modo sufficientemente analitico, e quindi anche con
l’ausilio di un’idonea rappresentazione contabile dei fatti di gestione comunicati e
28
delle relative conseguenze, da non tradire la ratio normativa .
Il regime dell’informazione endoconsiliare risulta, infine, completato – con
funzione di chiusura del sistema – dal dovere attribuito dal primo comma del-
l’art. 2381 c.c. al presidente del consiglio di amministrazione di soprintendere alle
dinamiche informative, curando, a salvaguardia dei vari interessi coinvolti, il
coordinamento e la completezza dei flussi di informazione forniti al collegio: di-
spone in tal senso la norma richiamata che il presidente, nel convocare e coordi-
nare i lavori del consiglio, «provvede affinché adeguate informazioni sulle mate-
rie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri» (il c.d. dovere
29
di interazione informativa) .
La figura del presidente del consiglio di amministrazione viene, in tal modo,
tratta dal sostanziale disinteresse nel quale giaceva alla luce della disciplina detta-
ta dal codice del ’42 per levarsi ad una posizione, essenziale ai fini del corretto
funzionamento del nuovo sistema, di garanzia dell’efficienza e della trasparenza
30
dei processi decisionali consiliari . Risulta, così, come una figura deputata ad as-
sicurare, anche in forza dei penetranti poteri organizzativi alla stessa oggi espres-
samente ricondotti, che il circolo informativo tra gli amministratori che l’ordina-
mento ha inteso realizzare con l’imposizione dei menzionati doveri a carico dei
consiglieri delegati e deleganti si realizzi effettivamente – sollecitando, in caso di
inadeguatezza e/o intempestività dell’informazione fornita rispetto alle determi-
nazioni da adottare, ogni più opportuna integrazione – sì da consentire ad ogni

28
In tal senso, per tutti, si veda G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 192 ss., cui
si rinvia anche per ulteriori approfondimenti circa il perimetro ed il contenuto dell’informazione
gestoria obbligatoria.
29
G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 97 ss.
30
Per una più ampia disamina dei poteri di impulso, coordinamento e garanzia dell’attività col-
legiale dell’organo amministrativo che, il nuovo art. 2381 c.c., recependo la prassi affermatasi nel
vigore del sistema precedente, ha inteso espressamente attribuire al presidente del consiglio di am-
ministrazione, si veda P.M. SANFILIPPO, Il presidente del consiglio di amministrazione nelle società
per azioni, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2,
cit., p. 441 ss.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 17

componente dell’organo gestorio di partecipare al procedimento deliberativo in


31
modo consapevole ed incisivo .

5. Segue. Collegialità e poteri ispettivi dei componenti del consiglio di


amministrazione

L’occasione dell’introduzione di uno statuto legale, articolato e dettagliato,


dell’informazione consiliare e, soprattutto, di una specifica regolamentazione del
potere di ciascun consigliere di sollecitare agli organi delegati la comunicazione
dei dati e degli elementi ritenuti utili per l’esercizio delle sue funzioni, peraltro,
non ha offerto al legislatore della riforma lo stimolo – come invece sarebbe stato
ragionevole attendersi, considerate la rilevanza sistematica del tema e le ricadute
applicative che l’esperienza ha mostrato dallo stesso derivare – per la predisposi-
zione di una disciplina esaustiva del contenuto e delle modalità di esercizio dei
poteri ispettivi dei componenti dell’organo consiliare: una disciplina finalmente
capace di superare in maniera definitiva le incertezze interpretative che, come il-
lustrato nei paragrafi precedenti, nel vigore della normativa previgente avevano
diviso dottrina e giurisprudenza.
Sin dai primi commenti successivi alla riforma, infatti, si è riproposta presso-
ché immutata la contrapposizione – di cui, del resto, è traccia pure nelle soluzio-
ni, parzialmente divergenti, cui sono giunte le ordinanze qui commentate – tra
coloro che, pur dando atto dell’emersione positiva di una specifica capacità di
impulso dei singoli consiglieri, ravvisano comunque nelle nuove norme la con-
ferma della necessità di contenere l’esercizio dei poteri informativi nell’ambito
delle sfera collegiale del consiglio; e coloro che, invece, risultano inclini ad una
lettura meno restrittiva, volta ad estendere ad ogni amministratore la potestà, da
considerarsi, in certo modo, connaturata alla carica, di ricercare autonomamente
e liberamente, anche presso la struttura aziendale, tutte le informazioni reputate
utili.
A favore della prima opzione, la quale ha sin qui ricevuto il favore dell’orien-
tamento prevalente, viene, innanzitutto, richiamato il tenore letterale dell’art.
2381, ult. cpv., c.c. La disposizione – si osserva diffusamente – limitandosi a legit-
timare il singolo amministratore a richiedere agli organi delegati di riferire «in

31
È rimasto, peraltro, irrisolto l’interrogativo circa forme, tempistica ed eventuali limiti che il
presidente del consiglio di amministrazione è tenuto ad osservare nel mettere a disposizione dei
consiglieri le informazioni dovute, problematica per l’approfondimento della quale si rinvia a P.M.
SANFILIPPO, Il presidente del consiglio di amministrazione, cit., p. 462 ss. e G.M. ZAMPERETTI, Il
dovere di informazione, cit., p. 138 ss.
18 Gianluca Perone

consiglio» notizie e chiarimenti circa l’andamento della gestione, sembrerebbe, di


contro, escludere il potere dello stesso amministratore di ricercare autonomamente
quelle stesse informazioni interrogando personalmente dipendenti e collaboratori
della società o compulsando la documentazione sociale al di fuori della sede con-
32
siliare . In assenza di diversa disposizione statutaria, pertanto, dovrebbe ritenersi
rimesso al consiglio di amministrazione – e, se esistenti, ai soli amministratori ti-
tolari di cariche o funzioni particolari che implichino di per sé una potestà di ac-
cesso diretto agli atti ed ai documenti della società (quali, ad esempio, quelle ine-
33
renti il c.d. controllo interno) – lo svolgimento di ogni attività di indagine volta
all’acquisizione o all’integrazione di un’informazione carente. La quale attività
può essere eseguita direttamente dal consiglio, mediante l’audizione dei soggetti
in possesso delle informazione e/o la consultazione dei documenti in sede colle-
giale, oppure tramite uno o più amministratori all’uopo specificamente delegati,
con il compito, poi, di trasmettere al consiglio medesimo le risultanze delle loro
34
operazioni ispettive .
Una limitazione siffatta, d’altronde, sarebbe giustificata in più ampia prospet-
tiva – e troverebbe in ciò ulteriore supporto – dall’esigenza di offrire adeguata ri-
sposta alla preoccupazione, avvertita sin da principio, di evitare che un esercizio
ripetuto ed invadente dei poteri ispettivi da parte dei singoli amministratori, in
ispecie in presenza di organi collegiali ad ampia composizione, distolga l’atten-
zione della struttura aziendale dalla cura degli affari correnti e, perciò, finisca per
intralciare la normale gestione dell’impresa societaria, così da contravvenire al

32
Nel senso indicato nel testo si esprimono, tra gli altri, P. ABBADESSA, Profili topici della nuova
disciplina della delega amministrativa, cit., p. 506 (modificando, sulla scorta del nuovo dato positivo,
la contraria opinione espressa nel vigore della disciplina precedente); C. ANGELICI, Diligentia quam
in suis, cit., p. 692; F. DENOZZA, L’«amministratore di minoranza» e i suoi critici, in Giur. comm.,
2005, I, p. 769; P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza, cit., p. 845; ID., Amministratori deleganti
e dovere di agire informato, in Giur. comm., 2008, II, p. 386; F. VASSALLI, Note in margine all’art.
2381 c.c., in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, III, tomo 3, Milano, 2006, p. 4041; G.M. ZAM-
PERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 339. A medesima conclusione giunge pure L. CALVOSA,
Sui poteri individuali dell’amministratore nel consiglio di amministrazione di società per azioni, in
AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Tori-
no, 2010, p. 363, salvo, poi, mitigarne la rigidità, ammettendo l’eventualità, in caso di insufficienza
o inattendibilità dei dati comunicati dagli amministratori delegati, di una sopravvivenza del potere
di ciascun consigliere di procedere individualmente al controllo sull’operato dei medesimi ammini-
stratori onde ottemperare al suo dovere di perseguire l’interesse sociale, di evitare il compimento di
azioni pregiudizievoli, nonché di attenuarne o eliminarne le possibili conseguenze dannose. Nega,
ancora, l’esistenza di un’autonoma potestà d’indagine dell’amministratore uti singulus, Cass. pen., 4
maggio-19 giugno 2007, n. 22838, in Giur. comm., 2008, II, p. 369.
33
Per tale notazione si vedano P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza, cit., p. 845 e G.M.
ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 340.
34
Così, tra gli altri, P. ABBADESSA, Profili topici, cit., p. 506; P. MONTALENTI, Amministratori de-
leganti, cit., p. 386.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 19

generale principio di efficienza dell’azione amministrativa, che, invece, tradizio-


35
nalmente dovrebbe informare l’ordinamento della società azionaria .
La condivisibilità di simili argomentazioni, tuttavia, viene revocata in dubbio
da chi propone una diversa lettura dell’ultimo comma dell’art. 2381, la quale de-
suma dal testo legislativo l’esistenza di una disciplina divergente da quella sin qui
tratteggiata e comunemente accettata dall’orientamento maggioritario, sulla cui scor-
ta riconoscere autonomi poteri individuali di indagine ad ogni amministratore.
Si obietta, in tal senso, che la disposizione, nell’accordare a ciascun consigliere
di amministrazione un formale potere di interpello nei confronti degli amministra-
tori esecutivi, debba inscriversi (ed in essa esaurisca la sua portata precettiva) nella
disciplina dei rapporti tra amministratori deleganti ed organi delegati, apprestando
a favore dei primi lo strumento per ottenere dai secondi informazioni sulla gestione
corrente. In ispecie quelle la cui acquisizione necessariamente richieda la media-
zione dell’esperienza e della sensibilità dell’amministratore coinvolto in prima per-
sona nella conduzione quotidiana dell’attività della società e che, perciò, difficil-
mente potrebbero essere ritratte dalla mera consultazione della documentazione e
36
delle scritture sociali da chi da tale conduzione sia escluso .
Il dettato normativo, in un simile contesto, si limiterebbe a regolare le modali-
tà con cui gli organi delegati sono tenuti ad assolvere ai loro doveri informativi, ob-
bligandoli, una volta che gli altri amministratori abbiano domandato loro chiari-
menti ed integrazioni, a riferire in sede consiliare secondo i tipici moduli relazio-
nali dell’organismo collegiale, onde consentire a tutti i componenti del consiglio
37
una conoscenza piena, contestuale ed omogenea dei dati comunicati . Risulte-
rebbe, invece, estranea all’ambito precettivo della norma l’imposizione di una de-
limitazione dei poteri informativi dei consiglieri di amministrazione alla sola fa-

35
Riprendendo notazioni già svolte, anche con ricorso ad immagini suggestive, in costanza della
disciplina previgente da G. MINERVINI, I poteri di controllo, cit., p. 814, osservano che la soluzione
prescelta dall’ordinamento si proporrebbe di prevenire e/o rimuovere gli intralci alla gestione socie-
taria che potrebbero derivare da continue richieste di informazioni e trasmissioni documentali ad
opera di singoli amministratori L. CALVOSA, Sui poteri individuali, cit., p. 363 e G.M. ZAMPERETTI,
Il dovere di informazione, cit., p. 339.
36
Così, V. SALAFIA, Amministratori senza deleghe, cit., p. 292. In tale chiave interpretativa, la
funzione della norma consisterebbe essenzialmente nella predisposizione, in favore dei consiglieri
non delegati, di uno strumento di accesso a quella che viene comunemente definita con il termine
di soft information, ossia l’informazione che, riposando essenzialmente su elaborazioni e valutazioni
soggettive, risulterebbe priva del requisito della verificabilità che invece contraddistinguerebbe la
c.d. hard information, idonea ad esser ridotta e rappresentata in termini quantitativi e numerici e,
come tale, da chiunque oggettivamente attingibile e comparabile. Per la contrapposizione, invero
non aliena da suggestioni positivistiche, tra soft e hard information e la descrizione dei rispettivi
tratti distintivi, si veda M.A. PETERSEN, Information: Hard and soft, working paper, Kellog School
of Management, Northwerstern University, 2004.
37
Lo osserva F. BARACHINI, La gesione delegata, cit., p. 154 ss.
20 Gianluca Perone

coltà di sollecitare delucidazioni agli amministratori esecutivi, rimanendo impre-


giudicato, ove non sia richiesta la collaborazione degli amministratori delegati o
non sia diversamente disposto dallo statuto, il potere di ciascun consigliere di
compiere individualmente gli atti di ispezione e controllo necessari per adempie-
re al dovere di agire informato che la norma medesima impone ad ogni ammini-
38
stratore .
I rilievi suesposti, e le diverse soluzioni che, almeno apparentemente, il testo
normativo parrebbe capace di legittimare, sembrano, dunque, confortare l’impres-
sione, già accennata, che la risposta all’interrogativo cui le ordinanze in commento
sono state chiamate a dare risposta – e cioè quello inerente il contenuto e le forme
di esercizio del potere dei componenti dell’organo consiliare di acquisire le infor-
mazioni occorrenti all’esercizio delle loro funzioni – non possa desumersi da un’in-
terpretazione meramente letterale dell’ultimo capoverso dell’art. 2381 c.c.
Non solo, infatti, il ricorso al ragionamento a contrario, al quale è, in sostanza,
costretto ad affidarsi qualunque tentativo di negare autonomi poteri ispettivi del
singolo amministratore sulla sola scorta della contrapposta previsione positiva del
potere di interpello in sede consiliare, si rivela tradizionalmente incapace di ga-
39
rantire approdi ermeneutici appaganti . Ma, soprattutto, è la stessa osservazione
della dinamica del dibattito sviluppatosi dopo l’introduzione delle nuove disposi-
zioni a confermare come la lettera della norma, isolatamente considerata, si presti
ad interpretazioni divergenti, persino antitetiche, le quali, in maniera più o meno
consapevole, finiscono per dipendere (e ad essi si ancorano) a più generali convin-
cimenti di cui l’interprete si rende portatore nella ricostruzione del fenomeno
considerato, che, pertanto, conviene trarre in superficie e sottoporre a verifica. Il
che, del resto, non deve sorprendere ove si consideri come la disposizione in
esame, lungi dal costituire una prescrizione isolata ed in sé conchiusa, rappresenti
soltanto un frammento della più ampia disciplina dell’informazione consiliare
40
dettata dal codice , alla luce di un esame complessivo della quale, soltanto, appa-
re perciò possibile individuare e selezionare, tra le tante astrattamente prospetta-

38
In tal senso, F. BARACHINI, La gesione delegata, cit., p. 157 e V. SALAFIA, Amministratori senza
deleghe, cit., p. 292. Ad analoghe conclusioni approda, ancorché sulla scorta di un percorso rico-
struttivo più ampio e, per certi versi, divergente, V. GIORGI, Libertà di informazione e dovere di ri-
servatezza degli amministratori nei gruppi di società, Torino, 2005, p. 61 ss.
39
Per una disamina critica del modello di argomentazione ermeneutica a contrario può rinviarsi
a G. TARELLO, L’interpretazione delle leggi, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo,
Milano, 1980, p. 346 ss. ed a G. CARCATERRA, L’argomento a contrario, in S. CASSESE et al. (a cura
di), L’unità del diritto. Massimo Severo Giannini e la teoria giuridica, Bologna, 1994, p. 177 ss., ove,
pure, ulteriori riferimenti bibliografici.
40
Osserva che l’intero comma 6 dell’art. 2381 c.c. non rappresenta una previsione isolata, ma è
inserito in un contesto normativo di natura circolare, costituito da norme elastiche, G.M. ZAMPE-
RETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 267.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 21

bili, la lettura che garantisca la soluzione più soddisfacente del problema affron-
tato dalle ordinanze in commento.
Né a risultati più convincenti, in diversa prospettiva, parrebbe condurre l’altro
41
argomento interpretativo, di stampo sostanzialistico, già accennato , il quale in-
tenderebbe ricavare conferma della esclusione di potestà informative individuali
degli amministratori dall’esigenza di evitare che un loro esercizio eccessivamente
zelante, se non, addirittura, emulativo, possa procurare intralcio all’efficiente ge-
stione dell’attività sociale e, così, tradursi in un danno a quello stesso interesse
della società alla cui cura, invece, l’esercizio del potere/dovere di informarsi degli
amministratori dovrebbe risultare funzionale.
Pur muovendo da preoccupazioni operative tutt’altro che infondate, infatti,
un simile approccio argomentativo desta perplessità laddove intenderebbe desu-
mere (o, anche solo, trarre riprova del) la regola applicabile dalla volontà di pre-
venire le criticità associate a manifestazioni patologiche della fattispecie. Laddove
cioè vorrebbe dedurre un generale divieto di iniziative individuali degli ammini-
stratori dall’urgenza di evitare che l’abuso che singoli consiglieri possano fare del
loro potere informativo danneggi la società e la sua attività. Questo tralasciando
di considerare che, se effettivamente la preoccupazione determinante del legisla-
tore fosse quella sopra indicata, risulterebbe certamente più appropriato, pena un
eccesso assiologico della disciplina, apprestare idonei rimedi atti a prevenire o
sanzionare possibili abusi nell’impiego delle prerogative sociali, così come avvie-
ne, ad esempio, per il diritto di voto ed i suoi possibili abusi, piuttosto che inibire
in via generale ed indiscriminata l’esercizio dei poteri ispettivi individuali degli
amministratori privi di deleghe.
Tali perplessità, del resto, parrebbero ricevere ulteriore conferma dall’osserva-
zione dell’inversione logica sulla quale risulta, in certo modo, fondarsi il ragio-
namento qui considerato, il quale intenderebbe desumere l’inibizione di iniziative
informative individuali degli amministratori dall’affermazione, almeno implicita,
di un generale principio di efficienza volto a vietare qualsiasi attività degli ammi-
nistratori non esecutivi (pur, astrattamente, strumentale all’esercizio delle loro
funzioni) capace, anche solo potenzialmente, di distrarre l’attenzione della socie-
tà, del suo management e della sua struttura, dalla conduzione degli affari sociali.
Principio la cui esistenza, invece, non solo non potrebbe darsi per presupposta,
ma richiederebbe una apposita specifica dimostrazione onde giustificare la com-
pressione dei poteri informativi dei componenti del consiglio di amministrazione;
ma, ancor prima, parrebbe contraddetta, almeno in una formulazione così ampia
come quella dinanzi tratteggiata, dalla stessa previsione positiva del dovere degli
amministratori delegati – e quindi, almeno indirettamente, della struttura azien-
dale posta alle loro dirette dipendenze – di rispondere in maniera tempestiva ed

41
Si vedano la nt. 35 ed il testo corrispondente.
22 Gianluca Perone

esaustiva ad ogni domanda di chiarimenti ed informazioni formulata dagli ammi-


nistratori non delegati, nonché, in termini ancora più generali, dalle funzioni di
controllo a questi ultimi confermate anche dal legislatore della riforma.
Simili considerazioni, dunque, inducono ad escludere che il contenuto e l’am-
bito di operatività del dovere/potere di informazione degli amministratori non
esecutivi possano essere identificati e delimitati soddisfacentemente sulla scorta
di una mera esegesi letterale dell’ultimo capoverso dell’art. 2381 c.c. o, all’oppo-
sto, dell’affermazione di una generica tensione efficientistica sottesa alla discipli-
na dell’organo amministrativo della società azionaria. Una risposta appagante e
sistematicamente coerente agli interrogativi che così si pongono, invece, sembra
potersi trarre solo da una considerazione complessiva della disciplina dell’infor-
mazione consiliare in cui la questione considerata trova collocazione e, più in ge-
nerale, dei principi – tra i quali devono includersi, certamente, quelli della colle-
42
gialità e dell’agire informato – che, in punto di vertice, regolano l’organizza-
zione e l’attività dell’organo amministrativo della società per azioni.
In una simile angolatura, interessanti spunti di riflessione possono ritrarsi
dall’osservazione delle forme con le quali il legislatore della riforma, nel più gene-
rale disegno volto a comporre i vari ed eterogenei interessi coinvolti nel fenome-
no societario, ha inteso articolare il funzionamento del consiglio di amministra-
zione e raccordare le funzioni attribuite ai singoli componenti dello stesso.
Nel nuovo disegno normativo della società per azioni, difatti, l’organo consilia-
re ha cessato di rappresentare – ed in ciò può ravvisarsi uno dei più rilevanti tratti
di divaricazione del tipo azionario da quello della società a responsabilità limitata
– un organismo monolitico, composto, così come voleva il codice del ’42, da una
pluralità di membri collocati in posizione (almeno formalmente) paritetica e titola-
ri, in via generale e per effetto della mera accettazione della nomina, di eguali po-
teri e doveri. Tale organo, invece, coerentemente alla maggiore complessità del-
l’attività imprenditoriale che, nella logica normativa, dovrebbe essere preordinata
a gestire la società per azioni, si articola in una struttura ben più complessa, alla
cui azione ciascun membro è chiamato a concorrere sulla scorta di ruoli e funzioni
eterogenei e tra loro non comparabili. E questo sia in termini oggettivi, per effetto
della distinzione, tradizionale ma oggi più marcata, tra amministratori delegati e
deleganti e della natura dei vari incarichi di cui, di volta in volta, i singoli ammini-
stratori possono risultare destinatari, anche nei vari comitati nei quali tende a
43
scomporsi l’attività del consiglio ; sia in termini più propriamente soggettivi, do-

42
Sottolinea come il tema dell’informazione endoconsiliare debba essere studiato in stretta con-
nessione a quello della collegialità, essendo quest’ultima il tipico modulo di sviluppo del processo
decisionale in funzione del quale si pone la disciplina legale dell’informazione, G.M. ZAMPERETTI,
Il dovere di informazione, cit., p. 47.
43
Per l’approfondimento delle modalità di organizzazione del controllo interno all’organo am-
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 23

vendo commisurarsi la diligenza con la quale ogni consigliere è chiamato ad


adempiere ai suoi doveri – lo dispone espressamente, con previsione dal rilevante
significato innovativo, l’art. 2392, comma 1, c.c. – alle sue specifiche competenze
personali, così confermandosi il riconoscimento positivo della diversa attitudine di
ciascuno di essi a concorrere allo svolgimento delle funzioni amministrative.
Da ciò deriva una nuova configurazione della struttura e della disciplina del-
l’organo amministrativo della società per azioni, la quale, in prima istanza, rispon-
de – sia concesso osservarlo in estrema sintesi – all’esigenza, espressamente enun-
ciata nella relazione governativa e già richiamata nelle pagine precedenti, di con-
tenere i profili di responsabilità di ciascun amministratore entro margini coerenti
con la posizione allo stesso attribuita nell’amministrazione dell’ente e con le sue
personali competenze professionali. E risponde, del pari, all’obiettivo, sempre
più rilevante nelle moderne dinamiche imprenditoriali, di stimolare, in una logica
tecnocratica di divisione del lavoro, la più ampia integrazione di competenze e,
quindi, la convergenza di apporti tra loro eterogenei (per professionalità, cono-
scenze, impegno, interessi perseguiti, ecc.) funzionale alla miglior ponderazione
delle scelte da adottarsi, alla più puntuale composizione dei diversi interessi (cui
l’ordinamento riconosca rilevanza) in esse coinvolte e, in definitiva, alla maggior
efficienza dei processi decisionali inerenti l’organizzazione e la gestione dell’intra-
44
presa sociale .
Ne risulta, dunque, una rinnovata collegialità dell’organo consiliare – la cui
centralità nell’amministrazione della società si rivela, se possibile, ulteriormente
45
accentuata – nella quale, abbandonata l’irrealistica idea che i consiglieri possano
e debbano tutti partecipare in maniera paritetica alle scelte gestorie, ogni ammi-

ministrativo e della differenza di funzioni in capo agli amministratori che ne derivano, anche ai fini
di una differenziazione della loro responsabilità, si veda, da ultimo, M. STELLA RICHTER jr., Control-
lo all’interno dell’organo amministrativo, scritto destinato ad essere pubblicato in U. TOMBARI (a
cura di), Corporate Governance e “sistema dei controlli” nella s.p.a., atti del convegno tenutosi a Fi-
renze il 14 e 15 aprile 2011, consultato per cortesia dell’Autore.
44
Le determinazioni dell’organo amministrativo non si risolvono più, come invece voleva l’inse-
gnamento tradizionale, nella mera sommatoria delle opinioni espresse, con obbligo di assoluta neu-
tralità, da soggetti assegnatari, per tipizzazione legislativa, di funzioni e responsabilità equiparabili e
tra loro fungibili. Ma costituiscono, invece, il punto di approdo di una dialettica intercorrente tra
soggetti collocati in posizioni sostanzialmente diverse e chiamati a concorrervi con apporti, quanti-
tativamente e qualitativamente, differenti, alla ricerca di una sintesi nella quale possano trovare re-
cepimento e composizione, spesso non agevole, competenze, patrimoni cognitivi, sensibilità, visioni
tra loro anche assai lontane, la cui acquisizione ed il cui vaglio dovrebbero contribuire ad offrire
una maggiore garanzia di adeguatezza delle scelte da adottarsi. Per l’approfondimento dei temi
evocati nel testo e delle implicazioni sistematiche che dagli stessi derivano si vedano, per tutti, C.
ANGELICI, Diligentia quam in suis, cit., p. 677 ss. e ID., La riforma delle società di capitali. Lezioni di
diritto commerciale, II ed., Padova, 2006, p. 163 ss.
45
In tal senso, si rinvia a quanto osservato, all’indomani della riforma, da G. FERRI jr., L’ammi-
nistrazione delegata nella riforma, in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 636 ss.
24 Gianluca Perone

nistratore concorre all’azione comune in posizione, con poteri e con responsabili-


tà specifici e differenti da quelli degli altri amministratori.
Una simile ripartizione di funzioni e responsabilità, d’altronde, spiega i suoi ri-
flessi anche sulla disciplina della informazione endoconsiliare, di cui, anzi, costi-
tuisce uno dei tratti distintivi.
Come anticipato nelle pagine precedenti, infatti, il regime della circolazione del-
l’informazione tra i componenti del consiglio amministrativo si fonda su di una
netta, e tendenzialmente rigida, separazione di ruoli, diretta conseguenza della
più ampia posizione assunta da ciascun consigliere nella struttura dell’organo.
Agli amministratori delegati è attribuito il compito di radunare, ordinare e tra-
smettere periodicamente agli altri consiglieri i dati e le informazioni relativi
all’organizzazione ed all’attività della società – a cui i primi hanno naturalmente
accesso per effetto della conduzione quotidiana dell’impresa sociale loro attribui-
ta – nel rispetto delle forme, delle modalità e dei termini predeterminati dall’or-
dinamento (art. 2381, comma 5, c.c.), con obbligo di integrare ulteriormente l’in-
formativa fornita con la comunicazione di tutti i chiarimenti e gli elementi ag-
giuntivi di volta in volta sollecitati dagli amministratori non esecutivi (art. 2381,
comma 6, c.c.). Questi ultimi, per parte loro, oltre ad essere destinatari dei ri-
chiamati flussi informativi e disporre del potere, precedentemente esaminato, di
provocarne la più opportuna integrazione, hanno il compito di valutare, «sulla
base delle informazioni ricevute … [e] della relazione degli organi delegati», l’a-
deguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, i
piani strategici, industriali e finanziari della società, nonché il generale andamen-
to della gestione (art. 2381, comma 3, c.c.). Spetta, infine, al presidente, nell’eser-
cizio dei poteri di supervisione e garanzia già in precedenza richiamati, assicurare
il rispetto degli obblighi normativi e l’adeguata circolazione dell’informazione.
46
L’articolata architettura organizzativa che ne deriva si fonda, dunque, su di
un circuito stabile, e sostanzialmente unidirezionale, di dati ed informazioni dagli
amministratori titolari di deleghe agli altri consiglieri. Circuito nel quale, come
autorevolmente osservato, mentre ai primi è coerentemente assegnato il ruolo di
fonte informativa, ai secondi è riservata la posizione, complementare, di destina-
tari dell’informazione societaria (tipica ed atipica), con specifici compiti di con-
47
trollo e sollecitazione . Ed è, appunto, con riguardo a tale precipua posizione

46
La quale riproduce la tripartizione, già segnalata nelle pagine precedenti, proposta dalla dot-
trina che più ha approfondito il tema dopo la riforma del 2003, tra doveri di informazione transiti-
va, di informazione riflessiva e di interazione informativa.
47
La centralità di tale contrapposizione (e complementarità) di ruoli nella ricostruzione del si-
stema è posta in luce da C. ANGELICI, Diligentia quam in suis, cit., p. 692 ss. e ID., La riforma, cit.,
p. 186 ss.; ed è, variamente, ribadita da P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza, cit., p. 851; G.
OLIVIERI, I controlli “interni” nelle società quotate dopo la legge sulla tutela del risparmio, in Giur.
comm., 2007, I, p. 411; G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione, cit., p. 180.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 25

che si sostanzia il dovere di azione informata e, più in generale, di controllo della


gestione proprio degli amministratori non esecutivi: dovere di esaminare, appro-
fondire e vagliare criticamente, sulla scorta delle specifiche competenze e profes-
sionalità di cui ciascuno risulta portatore, i dati e gli elementi periodicamente ri-
cevuti in comunicazione dagli organi delegati, domandandone, se del caso, l’op-
portuna integrazione; e dovere di esercitare il controllo sulla gestione e sull’or-
ganizzazione della società (nello stesso ricomprendendosi il controllo sull’orga-
nizzazione dello stesso sistema informativo interno) sulla base del patrimonio di
conoscenze così acquisito. Con conseguente limitazione della responsabilità di
tali amministratori, a differenza di quanto, invece, avviene per quelli muniti di
deleghe, alla sola ipotesi di inadempimento di siffatti, ben circoscritti, obblighi, in
aperta, e dichiarata, contrapposizione con la prassi interpretativa previgente, la
quale, come già ricordato, si era rivelata incline, in contrasto con la lettera della
disciplina normativa ed i più generali principi della materia, ad abnormi dilata-
zioni di siffatta responsabilità.
È alla luce di un simile quadro d’assieme, dunque, che il quesito da cui il pre-
sente scritto ha preso le mosse può ricevere ragionevole risposta – ed il testo del-
l’art. 2381, ult. cpv., c.c. trovare un significato sistematicamente appagante – nel
senso dell’esclusione di un potere di indagine individuale dei consiglieri privi di
deleghe tale da consentire loro di ricercare autonomamente documenti sociali e/o
interpellare personalmente i dipendenti della struttura aziendale. Un tale potere
istruttorio, difatti, non solo non troverebbe idonea collocazione nella dinamica
dei flussi informativi sin qui tratteggiata, nella quale, come detto, l’amministra-
tore non esecutivo si colloca essenzialmente quale ricettore, ancorché vigile e con
compiti critici, dei dati e degli elementi forniti dagli amministratori esecutivi, sul-
la cui base – lo chiarisce il menzionato terzo comma dell’art. 2381 – è chiamato a
svolgere le sue funzioni di controllo e compartecipazione alle decisioni gestorie;
ma eccederebbe lo stesso dovere di controllo in funzione del quale il potere di
48
informazione dovrebbe configurarsi .

48
Si è, peraltro, osservato come la rinnovata configurazione della struttura informativa dell’or-
gano amministrativo muova dalla presa d’atto della sostanziale ed incolmabile asimmetria in cui gli
amministratori privi di deleghe vengono a trovarsi nei confronti di quelli affidatari della gestione
corrente. Se, infatti, è lecito ipotizzare che, in linea teorica, il riconoscimento agli amministratori
non esecutivi di un potere di accesso diretto ai dati ed ai documenti della società possa stimolare i
consiglieri delegati ad una maggiore trasparenza sulla gestione, e quindi favorire una più ampia cir-
colazione delle informazioni tra i componenti dell’organo amministrativo, è al tempo stesso realisti-
co rilevare che tale stimolo il più delle volte rischia di essere solo apparente, dal momento che la
capacità di ricercare ed individuare in maniera idonea le informazioni sulla gestione della società e,
quindi, di esercitare effettivamente un simile ruolo di pungolo, di norma presuppone – e ciò tanto
più quando si tratta della gestione di imprese complesse – una conoscenza dell’attività sociale di cui
i soli amministratori in essa personalmente coinvolti possono disporre. Il corretto funzionamento
del circuito informativo, pertanto, non può darsi senza l’essenziale contributo degli amministratori
26 Gianluca Perone

Se, difatti, a fronte dell’espressa menzione positiva del solo potere di interpel-
lo contenuta nell’ultimo capoverso dell’art. 2381, il riconoscimento a ciascun am-
ministratore privo di deleghe di un più ampio, ed autonomo, potere di attingere
aliunde informazioni, anche mediante atti ispettivi individuali, dovrebbe dedursi
dalla necessità di adempiere ad un corrispondente dovere di generale vigilanza
sull’andamento della società, gli è che nella nuova disciplina dell’organo ammini-
strativo non parrebbe residuare più spazio per un dovere siffatto. Lo stesso, come
già accennato, risulta oggi sostituito dai più circoscritti obblighi di controllo ed
azione informata di cui al citato art. 2381, da esercitarsi nei limiti e sulla scorta
del patrimonio cognitivo sopra precisati, sicché un potere informativo individuale
e sostanzialmente illimitato, esorbitante l’ambito della formulazione normativa,
non parrebbe poter ricevere giustificazione neppure sotto il profilo considerato.
I superiori rilievi, d’altro canto, se conducono a negare spazio, nell’odierna
configurazione dell’organo amministrativo e del suo funzionamento, a poteri
ispettivi individuali esercitabili dai singoli amministratori al di fuori dai moduli
procedimentali dell’organismo collegiale, così incidendo essenzialmente sulle
modalità di esercizio del potere informativo, al tempo stesso non devono indurre
a sminuire la rilevanza (sistematica ed operativa) e la cogenza del medesimo pote-
re. Ciò sia nel senso della centralità, ulteriormente enfatizzata dalla riforma, della
(circolazione e della elaborazione) dell’informazione nella disciplina della gestio-
ne della società per azioni; sia nel senso della riaffermazione di uno stringente
obbligo degli organi delegati di comunicare e trasmettere al consiglio di ammini-
strazione, senza reticenze o possibilità di appellarsi a esigenze di riservatezza, tutti
i dati ed i documenti inerenti la gestione della società domandati dai singoli con-
siglieri.
Trova così soluzione la questione affrontata dai provvedimenti in commento
nel senso indicato dall’ordinanza pronunciata, in sede di reclamo, dal Tribunale
di Lecco. Ogni amministratore, pur se privo di deleghe, è titolare di un ampio
potere di accesso ai dati ed alla documentazione sociali onde esercitare compiu-
tamente le sue funzioni gestorie e/o di controllo. Tale potere, tuttavia, si concre-
tizza non già, come invece ritengono gli altri provvedimenti giurisdizionali in
esame, in una, pressoché illimitata, facoltà di ricerca, autonoma ed individuale, di

esecutivi, i quali soltanto, perché quotidianamente a contatto con i dati e degli elementi necessari a
rappresentare lo stato della gestione e dell’organizzazione sociali, possono veramente garantire il
trasferimento di un adeguato flusso informativo agli altri consiglieri. Conviene, invece, riservare a
questi ultimi, piuttosto che la veste illusoria di liberi ricercatori di un’informazione di cui essi non
conoscono esistenza, contenuto e collocazione, quella di soggetti incaricati di passare ad un vaglio
critico le informazioni ricevute, provocandone, ove necessario, l’integrazione, e, sulla scorta di esse,
di esercitare i poteri di controllo ed intervento loro propri. In tal senso, si veda G.M. ZAMPERETTI,
Il dovere di informazione, cit., p. 325 ss.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 27

tali elementi presso i locali aziendali, alla quale risponda un generale stato di sog-
gezione della struttura e dei dipendenti della società; bensì, nella potestà, questa
sì ineludibile ed insopprimibile, di esigere la comunicazione al consiglio di am-
ministrazione di ogni informazione e chiarimento di cui sia ritenuta opportuna
l’acquisizione ai fini dell’esame e del controllo della gestione sociale, esercitata la
quale agli amministratori esecutivi (e, per quanto di sua pertinenza, al presidente
del consiglio di amministrazione) non è data alcuna possibilità di sottrarsi all’ob-
bligo di fornire ogni dato o chiarimento utile a dare compiuta soddisfazione delle
richieste ricevute.

6. L’ammissibilità della tutela d’urgenza

Ulteriori riflessioni merita l’iter argomentativo all’esito del quale le ordinanze


commentate hanno ravvisato la sussistenza del requisito del periculum in mora e,
prima ancora, hanno (almeno tacitamente) ritenuto ammissibile il ricorso alla tu-
tela d’urgenza a salvaguardia del potere informativo di cui gli amministratori ri-
correnti lamentavano la lesione.
Si è già illustrato nel paragrafo introduttivo come i tre provvedimenti – ritenu-
ta implicitamente proponibile in sede cautelare l’azione anticipatoria di future
domande di merito di tutela del diritto di esame dei documenti relativi alla ge-
stione riconosciuto ai singoli amministratori – con motivazioni sostanzialmente
coincidenti abbiano individuato, «già in astratto», un pericolo di pregiudizio im-
minente ed irreparabile nel mero impedimento frapposto all’esercizio del diritto:
una tale situazione, ha osservato il Tribunale, si tradurrebbe in un intollerabile
ostacolo allo svolgimento dei compiti dell’amministratore «in modo informato e
quindi nell’interesse della società», con ulteriore preclusione al ricorso della fa-
coltà che ogni amministratore ha di dissociarsi dalle scelte gestorie non condivise
ex art. 2392, comma 3, c.c., e conseguente rischio di responsabilità nei confronti
dell’ente.
Le conclusioni così raggiunte, al pari delle argomentazioni addotte a loro sup-
porto, destano più di un motivo di perplessità.
Esse si rivelano, innanzitutto, inappaganti per l’erroneo, e comunque insuffi-
ciente, accertamento della natura delle situazioni giuridiche soggettive di cui gli
amministratori ricorrenti hanno lamentato la lesione ed a salvaguardia delle quali
sono state concesse le misure cautelari. Questo a dispetto del rilievo che un simile
accertamento non solo si sarebbe imposto al fine di identificare appropriatamen-
te gli interessi effettivamente protetti dall’ordinamento nelle fattispecie conside-
rate e, quindi, vagliare la necessità che i diritti assentiti a loro salvaguardia benefi-
ciassero della tutela anticipata garantita dal procedimento d’urgenza; ma, più in
28 Gianluca Perone

generale, avrebbe dovuto indurre ad interrogarsi se le menzionate situazioni giu-


ridiche potessero costituire oggetto della specifica domanda di tutela formulata
con i rimedi azionati in sede cautelare e da formularsi in via ordinaria.
In (apparente) assenza di una effettiva consapevolezza e nonostante il ricorso
ad una terminologia largamente atecnica – nella quale, in ossequio all’uso della
lingua corrente, le parole diritto e potere parrebbero più di una volta utilizzate,
più che nello specifico significato tecnico-giuridico che a ciascuna di esse il giuri-
sta è solito riconoscere, quali semplici sinonimi volti ad indicare una generica
49
prerogativa personale del loro titolare – le ordinanze parrebbero qualificare la
posizione giuridica di cui l’amministratore risulterebbe titolare in merito alla con-
sultazione della documentazione ed all’acquisizione delle informazioni sociali alla
stregua di un diritto soggettivo, come tale suscettibile di essere azionato in giudi-
zio a norma dell’art. 99 c.p.c. e tutelato, in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 700
c.p.c.
Una simile (tacita) qualificazione, tuttavia, merita di essere revocata in dubbio.
Ciò sia per la generale e nota difficoltà di inquadrare le situazioni giuridiche pre-
disposte dall’ordinamento a tutela degli interessi coinvolti nel fenomeno societa-
rio (e dell’attività di impresa nel suo complesso) nella categoria, tipicamente
chiamata a governare semplici relazioni intersoggettive di natura bipolare, del di-
50
ritto soggettivo . Sia, più in particolare, per la difficoltà di ricondurre la specifica
situazione giuridica di cui risulterebbero titolari gli amministratori sociali nel caso
trattato nell’alveo della categoria menzionata.
È stato, in tal senso, correttamente obiettato come la relazione intercorrente
tra l’amministratore e l’informazione sulla gestione e sull’organizzazione sociali
sia in prima battuta connotata dal carattere della doverosità, venendo l’informa-
zione innanzitutto in rilievo quale oggetto dell’obbligo di azione informata gra-
vante sull’amministratore; e, solo in via successiva e strumentale all’esecuzione
del comportamento doveroso, quale posizione pretensiva all’acquisizione dei dati
e delle informazioni occorrenti allo svolgimento dei compiti gestori in conformi-

49
Per la distinzione delle nozioni di potere e diritto soggettivo e l’individuazione dei rispettivi
tratti caratterizzanti può rinviarsi alla classica trattazione di teoria generale contenuta nella voce
Poteri. Potestà in S. ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947 (rist. inalterata
1983), p. 172 ss.
50
Sia, al riguardo, consentito richiamare, anche per l’ulteriore approfondimento del tema evoca-
to, il tradizionale insegnamento della dottrina giuscommercialistica, il quale, a sottolineare la strut-
turale incapacità dello strumento del diritto soggettivo, elaborato con riguardo alla realtà elementa-
re e sostanzialmente statica del rapporto intersoggettivo tra parti portatrici di due interessi con-
trapposti, a cogliere la complessità, assai maggiore, riscontrabile nel rapporto organizzativo e nel
suo divenire, ritiene che «ove vi è il diritto soggettivo in senso proprio si è per noi fuori o al termine
del fenomeno associativo»: P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971 (rist. 2001), p. 240
e, in particolare, ivi, nt. 10.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 29

51
tà al canone legale di condotta imposto all’amministratore . La prerogativa con-
siderata, d’altro canto, è assentita e deve essere esercitata per l’attuazione, nuo-
vamente doverosa, di un interesse oggettivamente altrui, quale certamente deve
considerarsi l’interesse sociale, indipendentemente dalle varie ricostruzioni nel
tempo fornite circa la natura ed il contenuto dello stesso; ed assume una conno-
tazione propriamente organizzativa, quale momento di conformazione dell’orga-
nizzazione societaria e dello svolgimento dell’attività dell’ente, al di fuori della lo-
gica orizzontale del rapporto giuridico e del binomio diritto/dovere sul quale la
stessa si fonda.
Si tratta, dunque, di caratteristiche non compatibili con la figura del diritto
soggettivo, tradizionalmente inteso come libera e discrezionale facoltà di realizza-
zione dell’interesse del suo titolare (alla conservazione o al conseguimento di un
bene della vita), il cui esercizio è rimesso all’incoercibile autodeterminazione del-
lo stesso. E che, invece, devono indurre a qualificare la situazione considerata, al
pari delle altre nelle quali si manifestino le attribuzioni organiche dell’ammini-
stratore sociale, in termini di potere o, meglio, di potestà.
Se la qualificazione così proposta risulta condivisa, appare lecito porre ulte-
riormente il quesito se la posizione di potere di cui dispone l’amministratore pos-
sa essere legittimamente tutelata in sede contenziosa, nelle forme della tutela d’ur-
genza ed ordinaria, dinanzi all’Autorità giudiziaria, potendosi opinare, in senso
contrario, che i citati artt. 99 e 700 c.p.c. testualmente riservano la legittimazione
all’esercizio dell’azione civile ed alla formulazione della domanda di provvedi-
menti giudiziali alla parte che si affermi titolare di un «diritto», ne lamenti la le-
sione e ne invochi la riparazione.
Né sarebbe corretto eludere il problema sostenendo trattarsi di una questione
meramente nominale.
A meno di non voler ritenere, infatti, che il termine diritto, a dispetto dell’im-
52
piego consapevole e ripetuto che ne è fatto nel codice di rito , nell’ambito delle
disposizioni considerate debba essere inteso in un’accezione meramente atecnica,
quale semplice espressione riassuntiva di ogni situazione giuridica attiva contem-
plata dall’ordinamento, l’estraneità della fattispecie considerata alla lettera della
norma pone all’interprete l’onere di domandarsi – ci si limita in questa sede ad

51
Per le notazioni richiamate nel testo, e per la sottolineatura delle diversità strutturali e funzio-
nali del potere di informarsi dell’amministratore, qualunque siano le relative modalità di esercizio,
rispetto allo speculare diritto di informazione del socio (ammesso e non concesso che in tale secon-
da ipotesi sia appropriato l’uso della categoria del diritto soggettivo), si veda G.M. ZAMPERETTI, Il
dovere di informazione, cit., p. 39 ss.
52
Oltre alle disposizioni di cui agli artt. 99 e 700 c.p.c. citate nel testo, si pensi al sistematico uti-
lizzo del termine diritto rinvenibile, ad esempio, negli artt. 75, 81, 105 e 111, in tema, rispettiva-
mente, di capacità processuale, sostituzione processuale, intervento volontario e successione a titolo
particolare nel diritto controverso.
30 Gianluca Perone

accennarlo, sfuggendo certamente la trattazione dei temi evocati, per l’ampiezza


degli stessi, ai limiti del presente scritto – se sia possibile, ricorrendo ai canoni
dell’interpretazione estensiva o analogica, forzare l’ambito semantico delle dispo-
sizioni in esame sino a ricondurvi situazioni giuridiche soggettive, quale quella di
potere privato, che, in quanto caratterizzate da esigenze di protezione in certo
modo assimilabili a quelle del diritto soggettivo, risulterebbe incongruo escludere
dalla tutela assicurata dall’azione civile. E, prima ancora, se la figura del potere
informativo degli amministratori di società per azioni, al pari delle altre posizioni
di potere note alla disciplina societaria, possa trovare adeguata tutela nei comuni
rimedi del processo civile, siano essi quelli dell’azione ordinaria di merito di cui
agli artt. 163 ss. c.p.c. o quelli dei procedimenti d’urgenza di cui agli artt. 669-bis ss.
c.p.c., la cui configurazione essenzialmente binaria, fondata sulla contrapposizio-
ne tra (soggetti portatori di) interessi posti in relazione di reciproca antitesi, par-
rebbe riprodurre, in ambito processuale, la struttura logico-giuridica del tipico
rapporto giuridico intersoggettivo, come già detto spesso incapace di cogliere e
regolare in maniera appropriata la complessità del fenomeno societario. Oppure,
se la stessa figura debba trovare più adeguata tutela in rimedi di altro genere,
maggiormente idonei a fornire risposta conforme alle specifiche necessità di pro-
tezione proprie della fattispecie, quali, ad esempio, quelli, di natura non conten-
ziosa, riconducibili alla categoria della volontaria giurisdizione, come parrebbe in
qualche modo suggerire l’esame dei peculiari strumenti rimediali apprestati dagli
artt. 2367, comma 3, e 2409 c.c. in caso di lesione e/o scorretto esercizio dei po-
teri degli organi sociali; ovvero quelli, di natura meramente stragiudiziale, tipici
del diritto societario, quale l’annotazione di formale riserva nei libri sociali ad
opera dell’amministratore privato dell’informazione necessaria a norma dell’art.
53
2392, comma 3, c.c. .
Al di là dell’irrisolto nodo di vertice relativo all’applicabilità degli ordinari
strumenti di tutela dei diritti nel processo civile alla lesione del potere degli am-
ministratori non esecutivi di acquisire i dati e gli elementi necessari all’esercizio,
in modo informato, delle loro funzioni di (compartecipazione alla) gestione e di
controllo, non immuni da rilievi si rivelano anche le argomentazioni sulla scorta
delle quali le ordinanze commentate sono pervenute ad accertare lo specifico re-
quisito del periculum in mora alla cui sussistenza il legislatore condiziona l’acces-
so alla cautela atipica.
Nei tre provvedimenti, invero, non è dato rinvenire, neppure nelle forme sem-
plificate consentite dal rito sommario, l’individuazione di un effettivo pericolo di
danno grave, imminente ed irreparabile, il cui timore potesse giustificare, nella

53
Spunti nel senso da ultimo indicato sono rinvenibili in G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di infor-
mazione, cit., p. 344 ss. e, con riguardo alla disciplina previgente, in S. SCOTTI CAMUZZI, I poteri di
controllo, cit., p. 792.
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 31

situazione data, la concessione della misura cautelare, giungendosi, di fatto, al-


l’affermazione (inespressa) di una di quelle ipotesi codificate dalla prassi giudizia-
ria in termini di periculum in re ipsa. Un’ipotesi in cui, cioè, il giudice, dichiara-
54
tamente o dietro lo schermo di semplici petizioni di principio , è giunto a ritene-
re, sulla scorta di indici soltanto astratti ed a sue intuizioni soggettive, ambedue
55
sottratti a reali opportunità di verifica , che il pericolo nel ritardo della tutela de-
rivi inevitabilmente, e sia ad essa indistricabilmente connesso, dalla mera viola-
zione della situazione giuridica azionata, pervenendosi così ad una opinabile
identificazione del requisito del periculum in mora in quello del fumus boni iuris,
per effetto della quale l’accertamento di tale violazione legittimerebbe di per sé
sola la concessione della misura cautelare, atteso il carattere sempre grave ed ir-
56
reparabile delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero . Ciò, tutta-
via, senza alcuna idonea identificazione dell’evento lesivo che, in concreto, rischie-
rebbe di verificarsi in assenza del rimedio d’urgenza, né, tanto meno, degli ele-
menti concreti che, nella singola fattispecie, possano indurre a ritenere verosimi-
57
le, probabile o, anche solo, possibile il suo verificarsi .
Si tratta, del resto, di un canone argomentativo rispondente ad un modello
58
non isolato (nei provvedimenti d’urgenza pronunciati) in materia societaria e,

54
Quali, ad esempio, quelle addotte in un ampio numero di motivazioni facenti leva su di una
difficoltà, di norma affermata in via astratta in assenza di alcun riscontro concreto, di accertamento
del danno cagionato dalla violazione del diritto e del suo ammontare.
55
Stigmatizza una simile tendenza della giurisprudenza, M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici,
Milano, 1992, p. 336.
56
Per una rinnovata considerazione della rilevanza del requisito del periculum in mora, volta a
sottolinearne l’autonomia rispetto a quello del fumus boni iuris e, anzi, la centralità nella struttura
dei procedimenti cautelari, può rinviarsi a C. CONSOLO, Periculum in mora e fumus boni iuris, in Il
nuovo processo cautelare, Torino, 1998, p. 32 ss.
57
Per l’essenzialità, nell’ambito del giudizio sul requisito del periculum in mora affidato al giudi-
ce della cautela, dei due momenti della concreta identificazione dell’evento da evitarsi e della fon-
data prevedibilità, sulla base di indici materiali, del suo futuro accadimento, si rinvia a M. TARUFFO,
Il giudizio prognostico del giudice tra scienza privata e prova scientifica, in Sui confini. Scritti sulla giu-
stizia civile, Bologna, 2002, p. 332 ss. Più in generale, per una rivisitazione sistematica del requisito
del pericolo nella fattispecie cautelare e dei criteri del relativo accertamento, si veda S. RECCHIONI,
voce Periculum in mora (nel processo cautelare civile), in Dig. disc. priv. sez. civ., III Agg., tomo II,
Torino, 2007, p. 892 ss.
58
Si veda, ad esempio, la giurisprudenza formatasi sul tema, in certo modo speculare a quello
oggetto del presente scritto, del diritto dei soci di società a responsabilità limitata esclusi dalla ge-
stione a ricevere notizie sulla gestione ed a consultare i libri ed i documenti sociali di cui all’art.
2376, comma 2, c.c., secondo la quale la frapposizione di ostacoli volti a procrastinare ingiustifica-
tamente l’esercizio di tale diritto – in quanto direttamente lesiva del diritto di controllo del socio
sull’amministrazione della società nonché dell’esercizio dei poteri ad esso connessi, i quali si espli-
cano sia nello svolgimento dei rapporti sociali sia attraverso la proposizione di eventuali azioni giu-
diziarie – integrerebbe di per sé il presupposto del periculum in mora. In tal senso, tra le altre, cfr.
Trib. Santa Maria Capua Vetere 10 giugno 2011, in Società, 2011, p.1014; Trib. Pavia 1° agosto
32 Gianluca Perone

59
più in generale, in materia di diritto dell’impresa . Esso, probabilmente, rispon-
de alla condivisibile aspirazione dell’interprete a porre rimedio all’insoddisfazio-
ne provata di fronte ai tempi abnormemente dilatati della giustizia ordinaria ed al
timore che gli stessi possano frustrare le aspettative di tutela delle parti; nonché
alla sensazione, spesso genericamente percepita in assenza di piena consapevolez-
za del fenomeno, della necessità che le situazioni giuridiche connesse all’esercizio
dell’attività di impresa costituiscano oggetto di peculiare considerazione. Aspira-
zione e sensazioni che, tuttavia, non possono indurre ad obliterare il testo delle
norme e non possono esonerare, quindi, l’interprete medesimo dal compito di
ricercare nelle fattispecie sottoposte al suo vaglio e portare in superficie, se del
caso ricorrendo a percorsi ricostruttivi originali, i segni di quella qualificata con-
dizione di pericolo postulata dall’ordinamento quale indefettibile cancello di in-
gresso ai procedimenti cautelari.
Nel senso da ultimo indicato, peraltro, utili spunti di approfondimento, capaci
di fornire fondamento sistematicamente appagante all’orientamento in parola,
parrebbero potersi trarre dall’osservazione dei diversi criteri di valutazione che si
impongono al giudice nel momento in cui lo stesso è chiamato a conoscere del-
l’atto giuridico non già nella sua tradizionale veste di singolo ed autonomo fram-
mento della realtà produttivo di effetti giuridici, bensì quale elemento, più o me-
no rilevante, della generale attività economica dell’impresa societaria.
Mentre, infatti, nel primo caso, si tratta di giudicare di un atto giuridico isola-
tamente e staticamente considerato, i cui effetti, quindi, possono e devono essere
accertati e valutati con esclusivo riguardo all’atto medesimo ed alle singole norme
che lo regolano. Nel secondo, invece, l’atto viene in considerazione nella sua di-
mensione dinamica, quale momento esplicativo, necessariamente concatenato agli
altri, dell’attività di impresa, nel cui fluire, allora, deve essere calato e dalla cui
complessiva valutazione, soltanto, possono adeguatamente ricavarsi il significato
60
e gli effetti, economici e giuridici, che ne discendono .

2007, ivi, 2009, p. 504; Trib. Taranto 13 luglio 2007, in Giur. it., 2008, c. 122; Trib. Biella 18 mag-
gio 2055, in Società, 2005, p. 50.
59
Possono, al riguardo, ricordarsi i noti e risalenti orientamenti in tema di concorrenza sleale e
violazione dei diritti esclusivi dell’impresa su segni distintivi, invenzioni industriali ed opere del-
l’ingegno, inclini ad associare invariabilmente il requisito del periculum al mero accertamento della
condotta antigiuridica denunciata, per i quali, tra i tanti, si richiamano, rispettivamente, Trib. Roma
30 novembre 2005, in Riv. dir. ind., 2006, II, p. 285 e Trib. Torino 19 dicembre 2002, in Giur. it.,
2003, p. 956, da un lato; Trib. Torino 12 marzo 2009, in Rep. Foro it., 2009, voce Proprietà indu-
striale, n. 628; Trib. Bari 30 novembre 2004, in Giurisprudenza barese.it, 2005; Trib. Torino 19 di-
cembre 2002, in Giur. it., 2003, 956; Trib. Catania 21 maggio 1998, in Giur. dir. ind., 1998, p. 674,
dall’altro.
60
Per la disamina dei differenti piani di valutazione che, sotto il profilo sostanziale, l’atto e
l’attività impongono all’interprete e per le deviazioni che la disciplina dell’atto subisce ove lo stesso
costituisce momento di una più ampia attività, con specifico riferimento al fenomeno dell’impresa,
è doveroso il rinvio agli studi che ha dedicato al tema P. FERRO-LUZZI, in particolare I contratti as-
Il potere di informazione degli amministratori di società per azioni 33

L’osservazione delle logiche profondamente dissimili che presiedono alla con-


figurazione ed alla disciplina delle categorie sostanziali dell’atto e dell’attività in-
duce a supporre che un’analoga alterità di criteri di valutazione posso trovare im-
piego allorché tali figure transitino nel processo civile e debbano costituire ogget-
to del giudizio del magistrato. E suggerisce, allora, con specifico riferimento alla
problematica in questa sede evocata, che possa in ciò trovare appagante giustifi-
cazione la tendenza ad utilizzare canoni di giudizio particolari, ed apparentemen-
te eterodossi, allorquando si tratti di ricostruire ed accertare il requisito del peri-
culum in mora in merito a fattispecie in materia societaria.
Se, infatti, nella valutazione di tale requisito in presenza di una controversia
relativa al singolo atto giuridico, il giudice della cautela è chiamato a ricercare ad
individuare l’evento lesivo che potrebbe discendere dalla situazione antigiuridica
portata al suo esame ed a vagliarne l’avverabilità in una prospettiva prettamente
statica, con esclusivo ed autonomo riguardo all’atto medesimo, al rapporto giuri-
dico in cui lo stesso si iscrive ed ai soggetti che ne sono parte, ove, invece, tale at-
to sia privo di una sua autonomia e costituisca, invece, un semplice momento di
un’attività sociale più ampia, appare corretto supporre che l’oggetto dell’accerta-
mento si ampli e si colori di nuovi significati, dovendo necessariamente abbrac-
ciare, oltreché il singolo atto, l’attività nel suo complesso e le conseguenze che, su
quest’ultima, il comportamento illegittimo è destinato a produrre. È, appunto, in
questa prospettiva – in considerazione della maggiore capacità espansiva degli ef-
fetti lesivi della condotta antigiuridica in presenza di una serie concatenata e,
tendenzialmente, continuativa di atti, posti in relazione di reciproca interdipen-
denza, e della diversa valutazione che di tale serie è data dall’ordinamento – che
può trovare soddisfacente spiegazione, nel caso considerato così come negli altri
contrassegnati da simili tratti distintivi, il cennato orientamento incline ad am-
pliare, mediante una rivisitazione dei criteri di definizione del periculum in mora,
i limiti della tutela d’urgenza in materia di diritto societario e la deviazione (sol-
tanto apparente) dai principi generali che ne deriva.

sociativi, cit., passim e spec. p. 188 ss., L’impresa, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985, p. 9 ss. e Le-
zioni di diritto bancario, II ed., Torino, 2004, p. 19 ss.
34 Gianluca Perone

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