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1) Pillole di protezione civile

Per poter parlare di un piano di protezione civile è necessario prima di tutto definire il rischio, che è
il motivo primo della sua esistenza.
Il rischio è il prodotto di due fattori, tre in realtà, ma al terzo ci arriviamo dopo: la
possibilità/probabilità che un evento – naturale o antropico - accada (pericolosità) e la popolazione e
i beni che a questo evento saranno esposti (valore esposto, noi, le nostre case, le nostre strade, le
nostre scuole).
Ovvio dunque che non vi è rischio laddove un pericolo non esiste, come non vi è rischio laddove il
pericolo esiste ma non vi è valore esposto. Come è ovvio che il rischio aumenta enormemente al
crescere del valore esposto, anche in caso di pericoli non necessariamente grandi.
Di fronte ad un rischio, e in funzione di questo, delle sue caratteristiche (gli scenari, di impatto e di
danno, che i diversi possibili eventi che le fonti di pericolo possono generare in relazione al
territorio esposto – questa attività, che rientra nelle attività di protezione civile, è l’attività di
PREVISIONE), si pianifica, ossia si elaborano misure e strategie per salvaguardare in primo luogo
la vita umana, poi tutto ciò che è possibile. Si pianifica quindi per mitigare il rischio, in particolare
per ridurre il danno, che un evento calamitoso può arrecare. E’ questa l’attività di PREVENZIONE.
Esistono due tipologie di interventi per mitigare il rischio: gli interventi strutturali e quelli non
strutturali.
Gli interventi strutturali sono quelle opere tese a ridurre o la pericolosità di un evento (si pensi alle
opere di prevenzione degli incendi boschivi, ad esempio, quelle di regimazione delle acque, gli
interventi sulla stabilità dei versanti; no, non si può evitare un terremoto e no, non si può impedire
un’eruzione), o a ridurre la vulnerabilità (ecco il terzo termine della nostra equazione!) del valore
esposto (l’adeguamento sismico degli edifici ad esempio serve a questo; no, mi spiace, non protegge
dalle nubi ardenti).
Vengono definiti interventi non strutturali generalmente quelli che agiscono sul valore esposto
riducendo il livello di esposizione dei vari elementi che lo costituiscono: rientrano tra questi i
sistemi di allertamento, monitoraggio e sorveglianza, gli interventi legislativi e normativi ai diversi
livelli di competenza (dalle norme sismiche al divieto di nuova edificazione, ad una pianificazione
territoriale e urbanistica e vincolistica rispettosa del territorio e della memoria, che integri e si
coordini con i Piani di Protezione Civile – come disposto dall’art. 3 della Legge 100//2012 ed oggi
dal comma 3 dell’art.18 del Codice di Protezione Civile, a tanti altri, compreso l’obbligo, magari
fosse sanzionato, di dotarsi di piani di protezione civile), la Pianificazione di Emergenza, la
formazione del personale chiamato alla gestione della stessa, l’informazione alla popolazione e la
diffusione di una cultura di protezione civile che promuova la resilienza nelle comunità e l’adozione
di comportamenti consapevoli e di autoprotezione negli individui.
Aggiungerei che interventi legislativi potrebbero ulteriormente ridurre il danno favorendo politiche
assicurative, così come potrebbero intervenire più decisamente – mi rendo conto della estrema
difficoltà e delicatezza dell’argomento, considerando anche che, persino nelle ricostruzioni post
disastri è estremamente difficile far sì che esperienza e memoria abbiano la meglio su radici e
appartenenza - nella riduzione quantitativa dell’esposto nelle aree a rischio sia favorendo la
delocalizzazione di attività, anche e soprattutto residenziale, sia pianificando per le stesse possibili
modelli di riconversione.

E siamo dunque arrivati ai piani.


Ma dovrei dire a quali piani, se già parlando di previsione e prevenzione ho parlato di
pianificazione e già, en passant, ho nominato in poche righe i Piani di Protezione Civile e i Piani di
Emergenza.
Oggi le due denominazioni a livello comunale si usano ormai come sinonimi: il PEC (Piano di
Emergenza Comunale) è a tutti gli effetti un Piano di Protezione Civile, e i suoi contenuti, ivi
comprese le attività di Previsione con l’analisi dei rischi e la definizione degli scenari e la
programmazione delle attività di Prevenzione, dai sistemi di allertamento al Piano di
Comunicazione, sono normati da linee guida regionali e nazionali, che ne regolano anche i formati
grafici e i database. In realtà un Piano di Emergenza è più strettamente quella parte del piano che
sulla base dei rischi presenti sul territorio e in funzione delle risorse del sistema di protezione civile
locale definisce l’insieme di azioni e attivazioni necessarie alla gestione di una emergenza, mentre il
Piano di Protezione Civile è il più ampio contenitore nel quale si esplicitano le analisi e gli scenari,
la Previsione appunto, le attività di Prevenzione (per esempio i sistemi di allertamento esistenti ed
implementati o implementabili in emergenza o il citato piano di comunicazione), la Gestione
dell’Emergenza (nel modello operativo di Emergenza) e le attività (questo, va detto, è raramente
affrontato) da porre in essere per il superamento dell’emergenza.
Ancora, i Piani di Protezione Civile più completi comprendono un cronoprogramma di azioni per
rendere vitale il piano: dalla formazione del personale del sistema di protezione civile locale, agli
schemi di convenzione con gruppi di volontariato e con ordini professionali – per le verifiche
sismiche e tecniche in genere, all’organizzazione di un servizio h24, alla predisposizione di
protocolli di collaborazione e di attività, alla programmazione di esercitazioni di vario livello, ecc.
Ma anche azioni più impegnative ed interventi strutturali, come aprire una nuova strada, creare
nuove aree aperte e sicure (aree di attesa, punti di raccolta per la popolazione destinati ad ospitarla
per alcune ore, dove portarsi a piedi e ricevere assistenza e informazioni), ma anche edifici e aree
polifunzionali che possano essere rapidamente in emergenza convertite in strutture ed aree di
ricovero e accoglienza (per assistere la popolazione che non può rientrare nelle proprie abitazioni
per periodi più lunghi di un giorno) o in aree di ammassamento (no, non sono aree per ammassare la
popolazione, sono aree destinate ad accogliere i soccorritori), programmare l’adeguamento di
edifici strategici e sensibili, realizzare sistemi di monitoraggio locali (pluviometri, stazioni
meteorologiche) e sistemi di comunicazione dedicati, approfondire le conoscenze sulla risposta
sismica delle diverse aree del territorio (dotandosi di microzonazione sismica di terzo livello) e
sull’edificato (analisi di vulnerabilità qualitative), analizzare nel complesso le criticità del sistema
urbano (Condizione Limite per l’Emergenza CLE) a fronte di un evento avverso per programmare
ulteriori interventi strutturali.

A questo punto potremmo dire che un Piano di Evacuazione è quella parte del Piano di Protezione
Civile che rientra a pieno titolo nel Piano di Emergenza, essendo di fatto una strategia e una azione
da porre in essere per la gestione di un evento, al suo approssimarsi, ma di questo parliamo più
avanti, o meglio in una parte del Modello Operativo di Emergenza, nella specifica fase dell’allarme
(dunque non ad evento in corso o dopo l’evento).
Diventa così evidente che non tutti i Piani di Emergenza sono Piani di Evacuazione.
Da quando si parla più diffusamente del Piano Nazionale Campi Flegrei questo è l’equivoco più
ricorrente: di fronte ai terremoti connessi al bradisismo sembra non esistano altro che le fasi di
allerta del piano vulcanico, le zone rosse e le zone gialle, l’evacuazione, l’esodo, i gemellaggi,
l’allarme, il preallarme. Che è giustissimo, che se ne parli, del piano nazionale, del piano di
evacuazione, delle fasi di allerta e di quelle operative, sia perché comunque il bradisismo è legato
all’attività del vulcano, che c’è, si fa sentire, sia perché dal 2012 il vulcano è in allerta giallo, come
stabilito da Dipartimento della Protezione Civile su indicazioni della Commissione Grandi Rischi,
stato di allerta cui, nel modello operativo del piano corrisponde una fase operativa di Attenzione, ed
è giusto quindi che si diffonda la conoscenza del piano. Ma.
Non esiste solo il piano per il rischio vulcanico.
E che oggi si parli di un piano per il bradisismo da realizzare, che dunque non c’è, anche se volendo
potremmo dire che ben due volte è stato applicato, in modo diverso e al mutare delle conoscenze,
non significa che di fronte ad un terremoto non si possano applicare (da parte dei cittadini nei
comportamenti, ma anche delle amministrazioni, e va sottolineato) i modelli operativi del rischio
sismico. Che non sono piani di evacuazione – anche se comportano talvolta che ci siano sfollati,
evacuati, allontanati, anche per periodi più o meno lunghi - ma sono piani per la gestione
dell’emergenza, non legati ad alcuna fase di allerta ma direttamente all’evento, all’interno dei piani
di protezione civile.
Ho nominato più volta il termine allerta.
C’è una confusione sull’uso di questo termine, spesso anche negli amministratori e in chi comunica
che è spaventoso. Molto credo sia legato alle allerte meteo, che sono sempre più frequenti ai nostri
giorni.
L’allerta discende direttamente da una analisi, dal monitoraggio, e da una previsione, per lo più
basata su modelli probabilistici: sta succedendo questo (lo vedo), che può, se procede, diventare
quest’altro, quindi devo stare più attento (nel monitorare gli sviluppi) e se posso, devo fare anche
delle cose in anticipo per evitare danni maggiori o di doverle fare ad evento in corso, se arriva.
Abbiamo – in genere - quattro livelli di allerta:
- Allerta verde: non sta succedendo proprio niente, continuo a controllare che le cose restino così.
- Allerta giallo: sta cambiando qualcosa (o sta arrivando il maltempo, ma solo in una zona, e non è
poi una cosa così terribile), devo avvisare chi è interessato, devo stare più attento nel monitorare
quello che può ancora cambiare; sono stato avvisato: devo anticipare delle azioni (forse) ? = scatta
la fase di protezione civile di Attenzione, che NON è l’allerta ma sono l’insieme delle azioni di
protezione civile da attivare in corrispondenza a quell’allerta (non è strettamente necessario nel
rischio idrogeologico, può bastare un preallerta, in attesa degli sviluppi, ma non è il rischio
idrogeologico il tema di questo testo); nel rischio vulcanico viene implementato il monitoraggio, la
comunicazione e l’informazione).
- Allerta arancione: beh accidenti sta cambiando qualcosa di più, la situazione peggiora (il
maltempo che sembra arrivare è proprio bello pesante), continuo a monitorare, più attentamente e
devo avvisare perchè è il caso che si cominci a fare delle cose, ora, prima che sia tardi = scatta la
fase di protezione civile di Preallarme (perché questo avvenga nel rischio idrogeologico deve già
piovere, si devono superare dei livelli di soglia – quantità di acqua caduta; ciò non toglie che pur
non avendo dichiarato il Preallarme io posso prendere dei provvedimenti sulla base dell’allerta =
chiudo i parchi, chiudo le scuole se so di avere possibili problemi di gestione dei flussi di traffico,
chiudo i sottopassi, interdico la circolazione ai camion telati, ecc); nel rischio vulcanico, vedremo
tra poco, dichiaro lo stato di emergenza, chiudo gli accessi all’area più a rischio, posiziono le
strutture operative, metto al sicuro le persone più fragili e agevolo l’evacuazione spontanea.
- Allerta rosso: beh sembra proprio che ci siamo (non è ancora detto, neanche per il vulcano), non
posso rischiare assolutamente, monitorare monitoro ma mo’ basta si deve mettere tutto al sicuro =
Allarme (beh se in allarme meteo il COC non è almeno in preallerta o in attenzione qualche
problema l’ufficio ce l’ha, anche e soprattutto se poi l’evento arriva ed arriva rapido e non si riesce
a costituire per tempo la struttura operativa; in allarme il COC può andarci al superamento delle
relative soglie o in relazione a quanto si ritiene possa avvenire a breve sul territorio e, qualora
necessario, udite udite, anche per il rischio idrogeologico è in questa fase che, all’occorrenza, si
attiva l’evacuazione preventiva, non di tutto il comune o dell’area rossa ovviamente, ma dell’area
rossa per il rischio idrogeologico nella quale i pluviometri, ah averli, o l’esperienza, ci dicono che
potremmo avere più danni); nel rischio vulcanico scatta l’evacuazione preventiva dell’area rossa.
Che viene dopo? Nel rischio meteo l’evento in corso che può diventare emergenza o può diventare
il nulla (ha chiuso le scuole ed è tornato il sole; non è successo niente! io aggiungo, meno male!) ma
anche nel rischio vulcanico eh. Nulla, e si ripristinano lentamente le condizioni precedenti
all’allarme; o si perpetuano a lungo le condizioni di allarme; o il vulcano erutta ed allora è vero,
evento in corso. La zona rossa è vuota. Ora devo capire tante cose per pensare alla zona gialla. Ma a
questo ci arriviamo dopo.

Ultime cose: un terremoto può avere un’allerta e di conseguenza le fasi di attenzione, preallarme e
allarme, compresa la messa in salvo preventiva? NO. Non può. Sebbene sappiamo che tutta l’Italia
è sismica, che i terremoti hanno periodi di ritorno e si ripetono, noi non possiamo sapere in anticipo
quando e dove. Niente allerta e dunque niente fasi. Neanche evento in corso. Emergenza e gestione
dell’emergenza. Fase unica. Rischio NON prevedibile.
Un evento meteo avverso e le sue possibili conseguenze anche e soprattutto idrauliche e
idrogeologiche invece è un rischio prevedibile e va affrontato per fasi. Anche il rischio vulcanico lo
è. Eh ma dicono che un’eruzione non si può prevedere con certezza, che non si possono prevedere
le sue dimensioni e, in una caldera, dove si aprirà la bocca. Vero. Ma anche di un evento meteo, di
quello che provocherà, dove, la sua durata, la sua potenza. L’incertezza della previsione è
inevitabile, ma direi meglio questo che niente. E gli scenari? Anche gli scenari cambiano, possono
cambiare, anche in corso di evento, è parte della necessaria flessibilità dei piani, la capacità per
come sono strutturati di adeguarsi agli eventi, attraverso un sistema decisionale costruito su
competenze ed esperienze di settore, è anche questo compreso.

2) Scenari

Bene, eccoci pronti ad addentrarci nelle spire di quello che io chiamo Briareo, il mostro mitologico
dalle tante braccia e tante teste: il piano nazionale di protezione civile per il rischio vulcanico dei
Campi Flegrei.
Tante braccia e tante teste perché pianificazioni del genere (i Flegrei, il Vesuvio) sono pianificazioni
così complesse e articolate che richiedono necessariamente non soltanto una serie di competenze
diversissime ma anche sia una suddivisione in verticale per livelli di competenza, che, a ciascun
livello, una suddivisione orizzontale per settori di competenze. Solo così si può arrivare a definire
ogni singola azione di ogni singolo momento, di ogni singolo luogo, per strutturare un modello che
tenga e che funzioni. Sulla carta! è la risposta più facile. La più difficile è conoscere e comprendere.
Comprendere perché funziona affinché funzioni.

Per andare con ordine dobbiamo partire dal rischio. Il rischio è uguale al pericolo per il valore
esposto (v. par.1).
Chiariamo subito che il piano nazionale Campi Flegrei è un piano per il rischio vulcanico, per il
rischio eruzione della caldera dei Campi Flegrei. Sottolineo eruzione, perché, sebbene citati
nell’analisi di pericolosità anche i fenomeni vulcanici secondari, il bradisismo è uno di questi, e
sebbene sia approfondita l’analisi del rischio sismico connesso ad un evento eruttivo o comunque
alla fase di unrest del vulcano, fino alla definizione di uno specifico scenario, basato su analisi di
vulnerabilità effettuate dal Centro Studi Plinius, Centro di Competenza del Dipartimento di
Protezione Civile, tuttavia la strategia di risposta delineata dal piano si applica al solo scenario
eruttivo, considerando l’eruzione il fenomeno di gran lunga più significativo, tanto da richiedere
appunto una pianificazione di livello nazionale.

Se vi chiedete se è corretto, se penso che lo sia, potrei rispondervi che metodologicamente lo è: è


questo l’evento che richiede l’intervento nazionale per la gestione dell’emergenza, dovendosi
considerare il bradisismo un evento di tipo locale, sia pure sovracomunale. Eppure. Eppure la storia
ci racconta di due crisi bradisismiche (almeno) così significative da aver richiesto di fatto
l’intervento dello stato (e l’evacuazione di circa 30.000 abitanti del comune di Pozzuoli).
Probabilmente dunque si sarebbe potuto considerare, internamente al piano, uno scenario diciamo
più piccolo, che fosse appunto tarato su questo tipo di evento, così come sembra si stia andando a
fare oggi con il recente decreto a firma del ministro Musumeci, sebbene a me sembri che la
perimetrazione richiesta tenda più alla prevenzione che alla gestione dell’emergenza, mi auguro ci
siano i dovuti distinguo invece per quest’ultima. Verosimilmente non si è fatto proprio a causa del
gap metodologico: di fatto, le fasi antecedenti la fase di evacuazione contemplano gli scenari di
rischio sismico. Quello che ahimè non è contemplato è che la gestione del rischio sismico, di questo
particolare rischio sismico, comporta azioni (come l’evacuazione preventiva appunto) che di fatto
richiedono, come hanno richiesto in passato, un intervento che nel piano attuale non c’è, che, anzi,
per certi aspetti con esso addirittura contrastano (aree di accoglienza, allontanamento della
popolazione sfollata per inagibilità e danni, dove? Eccetera). Ma stiamo correndo troppo.
Rischio eruzione. Scenari.
Mi sono ripromessa di non parlare del vulcano, se ne parla anche troppo - mai abbastanza se è
ancora possibile che ci sia qualcuno che lo identifichi con la Solfatara o che addirittura ancora
addebiti i fenomeni in corso all’unico vulcano campano riconosciuto e temuto (neanche tanto a
giudicare da quel che si è costruito e ricostruito attorno, la labilità della memoria), il Vesuvio – e,
soprattutto, io non sono un vulcanologo. La storia e l’estensione della nostra caldera sono esposte
dettagliatamente sul sito dell’Osservatorio Vesuviano, dove sono inoltre descritti ampiamente i
sofisticati sistemi di monitoraggio che fanno dei Flegrei il vulcano più sorvegliato al mondo (sul
sito sono pubblicati settimanalmente i bollettini di monitoraggio, mensilmente gli approfondimenti,
ed è possibile seguire in tempo reale gli eventi sismici).
https://www.ov.ingv.it/index.php/monitoraggio-sismico-e-vulcanico/campi-flegrei
https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-monitoraggio
https://terremoti.ov.ingv.it/gossip/

Entriamo quindi direttamente negli scenari.


Nel dicembre 2012 il Gruppo di Lavoro incaricato dal DPC dell’aggiornamento dello scenario di
riferimento per l’aggiornamento del piano per il rischio vulcanico Campi Flegrei, consegna il
proprio elaborato, redatto (semplificando) sulla base di studi scientifici sulla storia eruttiva della
caldera che individuano l’evento di riferimento (pericolosità) e sul territorio interessato all’evento
stesso (valore esposto), valutandone altresì la vulnerabilità.
L’evento di riferimento scelto per la definizione dello scenario, attraverso (sempre semplificando)
calcoli probabilistici basati sullo studio delle eruzioni passate e sul comportamento della caldera, è
una eruzione definita MEDIA, di magnitudo pari a 4,3 - 5, tra le eruzioni storiche viene considerata
tale l’eruzione denominata Astroni 6, la cui probabilità di accadimento è stimata pari a circa il
23,8%. L’eruzione definita PICCOLA, Montenuovo ne è un esempio, di magnitudo minore di 4,3 ha
una probabilità di accadimento pari a circa il 59,6%. L’11,9% delle probabilità di accadimento
comprende eruzioni effusive, mentre solo il 4.0% comprende le eruzioni GRANDI, di magnitudo
superiore a 5, una eruzione pliniana tipo quella di Monte Spina, la cui ricostruzione ha fatto il giro
di tutte le testate giornalistiche e di tutti i social seminando il terrore, e lo 0,7% quelle Molto
Grandi, superiori a 6, considerando tali solo l’eruzione del Tufo Giallo e quella dell’Ignimbrite
Campana.
Voglio precisare che ho ritenuto descrivere la tabella di probabilità che contiene la storia eruttiva più
lunga, e quindi anche le grandi eruzioni, sebbene quella di definizione sia quella calcolata sugli
ultimi 5000 anni, e nonostante motivi strutturali facciano ritenere che la caldera non possa più
esprimere simili eruzioni, per evidenziare quanto poco incida l’effetto di queste sulle percentuali di
accadimento laddove oltre il 95% è rappresentato da eruzioni effusive, piccole e medie e meno del
5% dalle grandi e le molto grandi, per le quali, tra l’altro, data la portata, neanche avrebbe senso una
pianificazione (come dire, pianifichiamo per la caduta di un asteroide).
Se vi state chiedendo perché si scelga un’eruzione media piuttosto che una piccola che ha più
probabilità di accadimento, la risposta è semplice: in protezione civile si pianifica in sicurezza e
pianificare per una eruzione di scala maggiore racchiude il maggior numero di eventi possibili.
Cosa prevede un’eruzione di taglia media?
Questo tipo di eruzione prevede i seguenti fenomeni:
• formazione di una colonna eruttiva composta da gas e brandelli di lava incandescenti, alta
fino a decine di chilometri;
• caduta di materiale vulcanico sia di grosse dimensioni nell’area più vicina alla bocca
eruttiva, sia di ceneri e lapilli anche a diverse decine di chilometri di distanza, lungo la
direzione del vento;
• scorrimento di flussi piroclastici (valanghe di gas, cenere e frammenti vulcanici) formati dal
collasso della colonna eruttiva. Questi flussi hanno velocità e temperature elevate e possono
scorrere per alcuni chilometri.
In aggiunta, ai Campi Flegrei possono verificarsi particolari fenomeni esplosivi legati al
coinvolgimento di acqua esterna, noti come esplosioni freatiche, in aree con intensa attività
idrotermale (area Solfatara/Pisciarelli), o dove esistono attualmente significative disponibilità di
acqua superficiale, quali ambienti lacustri (Agnano), laghi intra-craterici (Averno) e mare (Golfo di
Pozzuoli).
Ma dove avviene l’eruzione?
Questo è il grande problema delle caldere, che, a differenza degli altri vulcani, non hanno un unico
condotto, ma generano nuove bocche ad ogni eruzione, anche più di una.
Non potendo definire dunque il luogo di apertura della o delle bocche, lo studio ha valutato diverse
sedi eruttive, sempre in funzione di storia e comportamento della caldera, oltre che sulla base delle
conoscenze strutturali e orografiche acquisite, e, attraverso l’inviluppo di tutte le possibili curve di
ricaduta delle possibili eruzioni, ha definito due aree di invasione differenziate: la prima, la più
pericolosa perché soggetta ai flussi piroclastici, incompatibili con la vita (per una più attenta
definizione c’è sempre il sito dell’osservatorio), la cosiddetta zona rossa, e una più esterna, soggetta
alla ricaduta di ceneri vulcaniche, la cui pericolosità è legata sia ai possibili cedimenti dei tetti (la
cenere pesa di più della neve), sia a problemi per l’apparato respiratorio e in genere la salute, la
zona gialla.

https://rischi.protezionecivile.gov.it/it/vulcanico/vulcani-italia/campi-flegrei/
https://rischi.protezionecivile.gov.it/it/vulcanico/vulcani-italia/campi-flegrei/piano-nazionale-
protezione-civile-campi-flegrei/

La zona rossa comprende per intero i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, una
piccola porzione dei comuni di Giugliano e di Marano e diversi quartieri di Napoli: Bagnoli,
Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Posillipo e Chiaia per intero, San Ferdinando, Montecalvario,
Arenella, Vomero e Chiaiano pro parte. San Ferdinando fu aggiunto all’area rossa su richiesta
motivata di variazione del Comune di Napoli. Monte di Procida rientra in area rossa non per diretta
esposizione ai flussi ma per motivi logistici in quanto, in caso di eruzione, resterebbe isolato per un
tempo non definito. Il totale dei residenti in area rossa, secondo l’ultimo aggiornamento del piano
di allontanamento di competenza regionale del 19 aprile 2023, è pari a 481.000 unità. L’unica
strategia possibile a salvaguardia della popolazione è l’evacuazione preventiva, PRIMA
dell’eruzione.

La zona gialla, esterna alla zona rossa, così come individuata dalla D.G.R. Campania n. 175 del
3/4/2015 e DPCM 24/6/2016, è costituita dai territori di 6 comuni campani Villaricca, Calvizzano,
Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Casavatore e di parte di 24 circoscrizioni
del Comune di Napoli (tutte tranne Ponticelli), interni o intersecati dalla curva di probabilità di
superamento del 5%, per eruzione di taglia media da una qualsiasi bocca eruttiva all’interno della
caldera flegrea, relativa al carico di 300 kg/mq determinato dall’accumulo di ceneri vulcaniche. La
definizione di quest’area è basata su studi e simulazioni della distribuzione a terra di ceneri
vulcaniche, tenendo conto delle statistiche storiche del vento in quota. I residenti in zona gialla sono
circa 840.000 e tuttavia, non necessariamente tutta l’area gialla sarà investita da carichi eccedenti,
proprio in virtù dei venti prevalenti al momento dell’eruzione. La strategia di gestione
dell’emergenza per questa area è quindi necessariamente successiva alla formazione della colonna
eruttiva, che consentirà rapidamente di calcolare, in funzione della localizzazione e dell’altezza di
questa, della potenza espressa e dei venti presenti, le aree della zona gialla che saranno interessate
da carichi di cenere incompatibili con la vulnerabilità dell’edificato presente e quindi da evacuare
preventivamente.

Se, dunque, per la zona gialla, quando di parla di evacuazione preventiva si parla di evacuazione in
corso di evento, inteso come evento l’eruzione e come fase dell’evento la formazione della colonna
eruttiva, per la zona rossa invece, data la velocità dei flussi piroclastici e l’impossibilità di
prevedere localizzazione della bocca, altezza e potenza espressa nella colonna eruttiva e quindi la
durata e il sostegno della stessa, l’evacuazione DEVE avvenire prima che l’evento inizi.

Siamo dunque di fronte ad un evento prevedibile?


NI
Ni significa che ogni vulcano ha una sua storia e una sua prevedibilità e imprevedibilità. Le caldere
in genere sono più imprevedibili e per la nostra, avendo solo un evento in epoca storica, è
sicuramente più complessa l’analisi dei fenomeni precursori. Tuttavia sia lo studio di altre caldere
“simili” alla nostra (nessuna lo è), sia le cronache della precedente eruzione e le analisi sui depositi
di quelle più antiche, sia il potente sistema di monitoraggio, lasciano aperte possibilità più che
buone di leggere per tempo, e con tempo si intende settimane se non mesi, cambiamenti tali da
considerare l’avvicinarsi di una possibile eruzione, e giorni, se non settimane per leggere incrementi
di quei cambiamenti tali da considerare l’eruzione più che probabile.

Siamo finalmente arrivati al piano.


Un piano per un rischio prevedibile che procede dunque per fasi.

3) Le fasi del piano

Abbiamo fin qui definito gli scenari alla base della pianificazione e classificato il rischio eruzione
come prevedibile. Tale prevedibilità comporta, come abbiamo compreso nel primo paragrafo, un
piano che procede per fasi: fasi di allerta (determinate da osservazioni scientifiche) cui
corrispondono attivazioni per gradi delle varie componenti e strutture operative di protezione civile:
le fasi operative.
Per il rischio vulcanico le fasi di allerta sono quattro (verde, gialla, arancione e rossa) cui
corrispondono quattro fasi operative (base, attenzione, preallarme ed allarme). A queste si
aggiunge l’evento (eruzione) in corso ed una serie di attività che vanno dalla gestione complessa
delle persone già evacuate, all’evacuazione delle zone dell’area gialla soggette a maggior ricaduta
di cenere, e dunque a rischio crolli, come verranno a determinarsi in funzione dei venti prevalenti al
momento dell’eruzione, al supporto alle altre zone dell’area gialla che saranno comunque
interessate da fenomeni, ivi comprese aree esterne ad essa.

Prima di addentrarci nella descrizione delle fasi però, ed entrare nel vivo delle strategie e,
soprattutto nel piano di allontanamento della popolazione residente in zona rossa, credo sia
d’obbligo una riflessione sulla strategia dei gemellaggi. E’ noto infatti, ed è stato pubblicato e
ampiamente criticato un po’ ovunque, che il piano di allontanamento, redatto dalla Regione
Campania su indicazioni del Dipartimento della Protezione Civile (Dpcm del 24 giugno 2016:
Disposizioni per l'aggiornamento della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico dei
Campi Flegrei), prevede che esso si realizzi attraverso il trasferimento della popolazione allontanata
dall’area rossa nelle diverse regioni del territorio nazionale attraverso il sistema del gemellaggio:
Ogni comune dell’area rossa, o quartiere, se parliamo della città di Napoli, è gemellato ad una
regione o provincia italiana, in alcuni casi a due, in ogni caso tra loro confinanti. Tra le critiche più
ricorrenti a questa strategia c’è quella più banale o anche folkloristica del perché Posillipo va in
Sardegna e Pozzuoli in Lombardia ma anche quella più comprensibile che chiede ragione del perché
non si possa restare in regione o nei dintorni, spesso in relazione alle attività lavorative o
semplicemente alla possibilità di tornare quanto prima, di restare vicino. La risposta a quest’ultima
domanda è forse più semplice, anche se più dolorosa: anche in caso di un’eruzione di piccole
dimensioni e di breve durata, un’area non piccola dell’area rossa – e come abbiamo visto non
determinabile anticipatamente - sarebbe devastata e a lungo inabitabile (bisognerebbe aggiungere
che mai dovrebbe essere in seguito abitata come ora): questo comporta che gli evacuati di questa
area non potranno tornare nelle loro case nel breve periodo, o non potranno tornarci affatto. Di
contro i residenti della zona gialla che verranno evacuati sebbene parzialmente, pur essendo
possibili crolli e danni ingenti ai fabbricati più vulnerabili, potranno nel tempo, un tempo più breve,
rientrare nei quartieri e nei comuni di residenza, nei quali, da subito, sarà possibile provvedere alle
attività post-emergenza, comprese le ricostruzioni. Il loro allontanamento sarà dunque più breve.
C’entra tutto questo con la diaspora sul territorio nazionale dei residenti della zona rossa? Ahimè sì:
la regione Campania non è in grado di accogliere in strutture esistenti o da crearsi in regime
emergenziale la somma degli evacuati per breve periodo dell’area gialla (ricordate? Sono un
parziale sì, ma di 840.000 persone circa) e di quelli evacuati per quanto? Per sempre? Dell’area
rossa, altri 480.000. Ed è ovvio che, anche per una più rapida attuazione dell’evacuazione stessa e
del successivo recupero delle aree danneggiate è bene che siano i residenti dell’area gialla a restare
in regione. In relazione invece alla critica che ho definito folkloristica, anche perché spesso
accompagnata da tesi che vanno dal complotto alla raccomandazione all’estrazione a sorte, la
risposta è più complessa perché comprende considerazioni che vanno dalle capacità ricettive delle
regioni e delle provincie accoglienti, alle vocazioni economiche delle regioni stesse (una regione a
vocazione turistica avrà paradossalmente minor capacità ricettiva di una regione a vocazione
industriale o terziaria, a meno di non stravolgerne le possibilità di sviluppo e sopravvivenza), dalla
capacità economica ed organizzativa della regione o provincia accogliente che deve essere in grado
di fornire adeguati servizi essenziali e possibilità di inserimento lavorativo e scolastico, a principi
propri della medicina e della psicologia delle catastrofi che – in uno finanche con le teorie
sociologiche alla base dell’urbanistica, laddove la città è sì identità degli individui nei luoghi ma
anche nelle persone che li riconoscono e si riconoscono – vede innegabile alle comunità che
subiscono una catastrofe il diritto a restare unite. Nessun bussolotto della tombola dunque per gli
accoppiamenti, ma studi e analisi multidisciplinari, riscontri, verifiche, previsioni. E’ così che
l’unica regione capace di ospitare i quasi 80000 abitanti di Pozzuoli sia la Lombardia.
Vedremo più avanti gli altri gemellaggi e i mezzi previsti nel piano di allontanamento e
trasferimento per raggiungere le regioni di destinazione.

Torniamo dunque alle fasi.


Nella prima fase, verde, nella quale purtroppo non siamo più dal 2012, nessuno dei parametri
controllati dai centri di competenza cui è affidato il monitoraggio dei nostri vulcani – INGV-OV e
CNR-IREA – presenta delle variazioni significative. La fase operativa corrispondente è quella base
e prevede esclusivamente che le attività di monitoraggio proseguano secondo quanto programmato
e periodicamente (ogni mese) venga emanato un bollettino riportante gli esiti dei monitoraggi e la
loro valutazione. E’ la fase in cui attualmente si trovano il Vesuvio e Ischia. E’ questa la fase delle
attività di pianificazione ed aggiornamento, di comunicazione e formazione, delle esercitazioni.

Nella seconda fase, gialla, cui corrisponde la fase operativa di attenzione, che è stata dichiarata per
la caldera flegrea nel 2012, sussiste una variazione significativa di alcuni dei parametri controllati.
In questa fase si intensificano le azioni di monitoraggio e di comunicazione dai centri di
competenza al Dipartimento – i bollettini di sorveglianza redatti dall’osservatorio vesuviano
diventano settimanali, in aggiunta ad una più ampia relazione mensile; con cadenza più o meno
mensile, il Dipartimento della protezione civile, di concerto con la Direzione generale per il
governo del territorio, i lavori pubblici e la protezione civile della Regione Campania, organizza
una videoconferenza con i Centri di competenza preposti al monitoraggio dell’attività vulcanica dei
Campi Flegrei; sulla base delle fenomenologie e delle valutazioni di pericolosità rese disponibili dai
Centri di Competenza, e in stretto raccordo con la struttura di protezione civile della Regione
Campania, il Dipartimento della protezione civile valuta l’opportunità di convocare la Commissione
Grandi Rischi - Settore Rischio Vulcanico, al di fuori della già prevista in questa fase riunione
semestrale, per esprimere un parere sullo stato di attività e il livello di allerta dei Campi Flegrei. Dal
punto di vista più strettamente operativo si intensificano le attività di aggiornamento/verifica dei
piani di emergenza a tutti i livelli e di quelli di settore, le esercitazioni, le attività di comunicazione
alla popolazione, quelle di formazione per gli operatori di protezione civile, dai tecnici ai volontari.
Il passaggio dal livello di allerta verde a quello giallo, sulla base delle evidenze espresse nelle
relazioni dei centri di competenza per il monitoraggio, è dichiarato dal Capo del Dipartimento della
protezione civile, in stretto raccordo con le strutture di protezione civile regionali, sentito il parere,
della Commissione Grandi Rischi - Settore Rischio Vulcanico.

Il passaggio dal livello di allerta giallo a quello arancione, che prevede la dichiarazione dello stato
di emergenza, e il passaggio alla fase operativa di preallarme, è decretato invece dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri, in raccordo con la Regione Campania, su indicazione del Capo del
Dipartimento della Protezione Civile, sentito il parere della Commissione Grandi Rischi – Settore
Rischio Vulcanico, sulla base di ulteriori significative variazioni dello stato del vulcano
accuratamente sottoposte a valutazione. In questa fase, che ha durata indefinita, da mesi a settimane,
e che può in ogni caso rientrare ad un livello di allerta precedente, si intensifica ancora il
monitoraggio e la comunicazione tra gli enti preposti, al fine di anticipare le evoluzioni dei
fenomeni attraverso le valutazioni. Dal punto di vista operativo tutta la macchina della protezione
civile si attiva perché un gran numero di azioni, significative per l’area rossa, si svolgono in questa
fase: la DiComaC (Direzione Comando e Controllo) si insedia a San Marco Evangelista, nella sede
operativa della Regione Campania, si attiva il CCS presso le prefetture coinvolte e le sale operative
di tutte le strutture che compongono il sistema nazionale di protezione civile, si attivano i COC
presso i comuni dell’area rossa e il Centro Operativo e le strutture regionali e metropolitane. In
questa fase vengono evacuati ospedali, case di cura e istituti penitenziari, messi in sicurezza i beni
culturali e le industrie a rischio, evacuati allevamenti e rifugi. Il perimetro dell’area rossa verrà
presidiato e i non residenti e i turisti dovranno lasciare l’area, alla quale si potrà accedere solo per
lavoro o per rientrare nelle proprie abitazioni. La popolazione residente, che dispone di autonoma
sistemazione fuori dalla zona rossa e da quella gialla, sia essa una seconda casa, un alloggio in
affitto, la sistemazione presso amici o parenti, può, con mezzi propri o comunque utilizzando i
mezzi di trasporto esistenti, allontanarsi spontaneamente, comunicando la propria decisione ed il
luogo in cui si recherà, per le successive indicazioni e comunicazioni, usufruendo del contributo di
autonoma sistemazione (CAS) ed in seguito dell’assistenza necessaria per l’accesso ai servizi
essenziali, alla scuola, al trasferimento delle attività lavorative. Coloro che scelgono di lasciare la
zona rossa in fase di preallarme, potranno rientrarvi solo in caso di rientro dell’allerta arancione.

Il passaggio dal livello di allerta arancione a quello rosso, e dunque alla fase operativa di allarme,
decretato anche questo dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in raccordo con la Regione
Campania, su indicazione del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, sentito il parere della
Commissione Grandi Rischi – Settore Rischio Vulcanico, è determinato dalla comparsa al
monitoraggio di fenomeni che indicano una dinamica preeruttiva. In questa fase, che ha una durata
ancora indefinita, da giorni a settimane, e che può in ogni caso rientrare ad un livello di allerta
precedente, la sorveglianza è affidata a sistemi di monitoraggio in remoto, è costante e
costantemente comunicata. L’unica strategia utile alla salvaguardia della vita umana
all’approssimarsi dell’eruzione di riferimento è, a questo punto, l’evacuazione preventiva,
attraverso il piano di allontanamento e trasferimento predisposto dalla Regione Campania e
declinato nei territori dei comuni dell’area rossa dagli uffici comunali competenti, in raccordo con
la Regione e le indicazioni da questa emanate. Dunque è la fase di allarme la fase dell’evacuazione.

4) Il piano di allontanamento e trasferimento

Affrontiamo finalmente il piano di allontanamento, previsto per la salvaguardia della vita della
popolazione dell’area rossa flegrea, da porsi in essere in caso di passaggio alla fase di allerta rossa e
dunque alla dichiarazione della fase di allarme.
Ricordiamo che questa fase è stata preceduta dalla fase di preallarme, nella quale,
indipendentemente dalla durata della stessa, tutte le forze operative di protezione civile si sono
attivate e portate sul territorio, già molte attività sono state effettuate e, probabilmente, parte della
popolazione si è allontanata spontaneamente.
Il piano di allontanamento è stato redatto dalla Agenzia Campana per la Mobilità le Infrastrutture e
le Reti (ACaMIR), di concerto con gli uffici regionali preposti e gli altri soggetti della
pianificazione (Dipartimento della Protezione Civile, Conferenza Unificata delle Regioni,
Prefettura-UTG di Napoli, Comuni ospitanti le Aree di incontro, Forze dell’Ordine, Gestori della
rete infrastrutturale,…), ivi compresi i Comuni stessi, per il raccordo e l’armonizzazione dei piani di
evacuazione locali, attraverso uno specifico Tavolo di lavoro, su indicazioni del Dipartimento della
Protezione Civile - Decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile Nazionale del 9 Febbraio
2015, relativo all’emergenza vulcanica del Vesuvio e contenente le “Indicazioni alle componenti e
alle strutture operative del Servizio Nazionale per l’aggiornamento delle pianificazioni d’emergenza
ai fini dell’evacuazione della popolazione della zona rossa dell’area vesuviana” e successivo
Decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile Nazionale del 27 Giugno 2016, che sancisce
la riperimetrazione della Zona Rossa dei Campi Flegrei e l’aggiornamento dei gemellaggi tra i
Comuni rientranti in essa e le Regioni e Province Autonome ospitanti, confermando la validità delle
“Indicazioni…” del precedente Decreto, fatti salvi i necessari adattamenti territoriali. Il piano è
stato, inoltre, in seguito ad indicazioni derivate dall’esperienza di EXE Flegrei 2019, aggiornato,
con Delibera di Giunta dalla Regione Campania, nello scorso aprile.
Il Piano si sostanzia in due fasi e due modalità.
Le due fasi sono: quella propriamente detta di allontanamento, a cura e con i mezzi della regione
Campania, dalla zona rossa alle Aree di Incontro fuori della stessa, e quella di trasferimento, dalle
Aree di Incontro ai Punti di Prima Accoglienza nelle province o regioni gemellate; il trasferimento
avviene con mezzi e modalità definite dalle province e regioni ospitanti che avranno cura anche di
disporre, secondo i relativi piani di accoglienza, il trasferimenti dai punti di prima accoglienza alle
strutture di accoglienza.
Le due modalità sono invece definite come allontanamento autonomo, con propri mezzi di
trasporto, per la popolazione che ne dispone ed intende utilizzarli, per il quale sono definiti nel
piano i cosiddetti Gate di primo livello (punti di uscita dal comune presidiati) e la viabilità
principale di allontanamento e allontanamento assistito, per chi ne ha necessità o non intende
utilizzare mezzi propri, con mezzi di trasporto messi a disposizione dal sistema di protezione civile,
dalle Aree di Attesa (o Terminal) alle Aree di Incontro, per il quale sono state definite dai comuni
interessati le prime, dalla regione le seconde e i percorsi delle navette dalle aree di attesa alle aree di
incontro.
Le ipotesi alla base della pianificazione di allontanamento sono state:
• ipotesi cautelative sul comportamento della popolazione - NESSUNO si allontanerà
volontariamente durante la fase di pre-allarme, né con mezzi individuali né con mezzi collettivi, per
cui si assume che TUTTA la popolazione dovrà allontanarsi dalla Zona Rossa durante la fase di
allarme;
• ipotesi cautelative sull’impiego delle infrastrutture stradali - TUTTE le autovetture immatricolate
a nome di residenti in Zona Rossa saranno disponibili e funzionanti e si allontaneranno durante la
fase di allarme;
• il piano di allontanamento con i mezzi collettivi messi a disposizione dalla Regione Campania e
dalle strutture operative della Protezione Civile dev’essere dimensionato per un’aliquota di residenti
privi di mezzi propri di trasporto pari al 50% della popolazione.
• la scelta di utilizzare per il trasferimento tutti i modi di trasporto collettivo disponibili (treni,
autobus Gran Turismo, navi per il trasporto di soli passeggeri e navi per il trasporto di passeggeri
con veicolo al seguito);
• l’articolazione temporale delle attività di allontanamento entro le prime 72 ore – tre giorni - dalla
proclamazione della Fase di Allarme.

Per definire, invece, le caratteristiche del sistema di offerta di trasporto che deve soddisfare la
domanda di allontanamento sono state formulate le seguenti ipotesi di lavoro:
- per la gestione dei flussi di autovetture generati dall’allontanamento e per garantire la fluidità della
circolazione sulle rampe degli svincoli individuati come Gate di I livello per l’accesso alla rete
stradale principale, si è assunta una capacità di progetto di 600 autovetture/ora, corrispondente alla
metà del valore di capacità teorica di una rampa in condizioni di deflusso libero.
- le infrastrutture di trasporto considerate nei piani non comprendono quelle oggetto di
programmazione o per le quali i lavori di realizzazione siano in corso ma non completati al
momento della redazione/aggiornamento del piano;
- le forze dell’ordine presidieranno la rete stradale principale a monte ed a valle dei Gate di I livello
in modo da garantire la piena fruibilità della medesima da parte dei residenti che si allontanano e da
parte dei mezzi delle Strutture di Protezione Civile, inclusi gli autobus navetta organizzati dalla
Regione Campania – i percorsi di questi ultimi sono quasi sempre differenziati da quelle delle auto;
- durante la Fase di Allarme, l’ingresso e l’attraversamento della Zona Rossa saranno rigidamente
controllati. I residenti evacuati non potranno rientrare fino alla revoca dello stato di allarme e solo
gli addetti alle operazioni di soccorso potranno attraversare in ingresso i gate di I e di II livello.
L’organizzazione dei presidi rientra nella pianificazione di settore assegnata alla Prefettura.
Le ipotesi cautelative adottate, anche palesemente incongruenti tra loro (il tasso di motorizzazione è
superiore al 60%, per cui, anche nell’ipotesi improbabile che a bordo auto ci sia esclusivamente il
conducente, che voglia ad esempio usare l’auto per portare con sé quanto desidera e far allontanare
la famiglia invece con il trasporto assistito, la popolazione che si allontana con mezzi propri è
comunque superiore al 60% del totale), danno evidenza delle scelte operate a vantaggio di
sicurezza, impostate in modo da appurare quale possa essere il massimo carico possibile sulle reti di
trasporto generato dai due flussi di allontanamento: autovetture private e veicoli di trasporto
collettivo.

Ma vediamo ora nel dettaglio come si articola il piano di allontanamento.

Decretata la fase di allarme la popolazione della zona rossa DEVE obbligatoriamente lasciare l’area
entro 72h.

- Le prime 12 ore a partire dalla decretazione della fase di allarme saranno utilizzate per:
a) l’eventuale rientro in Zona Rossa dei residenti che al momento del passaggio dalla fase di pre-
allarme alla fase di allarme risultano momentaneamente fuori area per lavoro, studio od altro, ai fini
del ricongiungimento dei nuclei familiari e dell’organizzazione della partenza;
b) l’attivazione sul territorio dei cancelli (=posti di blocco) di primo e di secondo livello.
c) le FF. OO. controlleranno il territorio e la viabilità di allontanamento per verificarne la piena
usufruibilità, provvedendo alla rimozione di veicoli in sosta e qualsivoglia ostacolo al fine di
prevenire la formazione di ingorghi sulla rete stradale.
d) l’attivazione delle procedure di emergenza (comunali, regionali, nazionali);
e) il reperimento degli autobus, e dei conducenti necessari, occorrenti alla Regione Campania per il
trasferimento alle Aree di Incontro dei residenti non automuniti.
f) il reperimento da parte delle Regioni e Province Autonome gemellate degli autobus, e
l’approntamento dei treni e delle navi;
g) l’allestimento degli scali marittimi di corrispondenza da parte delle Regioni Sardegna e Sicilia;
h) la diffusione continua ed aggiornata delle informazioni specifiche ai residenti circa: gli orari di
partenza (scaglionamenti comunali, sia per i residenti automuniti che per quelli che necessitano dei
servizi di trasferimento), i percorsi di allontanamento, la posizione delle Aree di Attesa, delle Aree
di Incontro, la posizione dei Punti di Prima Accoglienza nelle Regioni gemellate;
i) l’allestimento delle Aree di Attesa, delle Aree di Incontro e dei Punti di Prima Accoglienza;
j) la chiusura e messa in sicurezza di quei distributori di carburante che NON potranno effettuare
servizio durante l’allontanamento della popolazione e il rifornimento e la messa in sicurezza di quei
distributori di carburante che, al contrario, DOVRANNO garantire il servizio durante il periodo di
allontanamento della popolazione.

- le successive 48 ore sono dedicate all’allontanamento della popolazione residente. In tale fase è
vietato a chiunque, tranne che alle persone ed ai veicoli autorizzati inseriti nelle apposite liste della
Protezione Civile, l’ingresso nella Zona Rossa ed il transito sulle arterie stradali dedicate
all’evacuazione;

- le ultime 12 ore costituiscono un margine di tempo di riserva destinato:


a. alla risoluzione delle criticità che dovessero essersi verificate nelle precedenti 48 ore (incidenti
stradali, ingorghi, ritardi, ...);
b. agli interventi delle Forze dell’Ordine occorrenti per il soccorso e per l’allontanamento della
popolazione che necessita di assistenza per il trasporto e che non sia stata registrata in transito per le
“Aree di Attesa” del Comune di appartenenza;
c. all’allontanamento coatto di chi si sia rifiutato di farlo spontaneamente;
d. al ritiro del personale di protezione civile e delle forze dell’ordine che è stato dispiegato sul
territorio per gestire ed assistere l’attività di allontanamento della popolazione.

E’ evidente che, nelle 48 h destinate all’allontanamento, la popolazione residente in Zona Rossa


deve mettersi in salvo allontanandosi in modo ordinato e programmato secondo i piani di
evacuazione comunali che si raccordano alle indicazioni del piano regionale.
Sia chi si allontana utilizzando la propria autovettura, sia chi si allontana con l’assistenza del
sistema di protezione civile, dovrà farlo in base ad un rigido e prefissato programma orario delle
partenze, che comporterà un impegno costante ed ordinato delle infrastrutture e dei servizi
disponibili senza la formazione di punte di traffico che possano congestionare il sistema
interrompendo il deflusso.

La popolazione che in Allarme si allontana dalla Zona Rossa in modo autonomo, con autovettura
propria, sia che intenda raggiungere il Punto di Prima Accoglienza nella regione gemellata, sia che
intenda raggiungere una destinazione autonoma, potrà farlo solo seguendo i percorsi imposti dalla
pianificazione di allontanamento, utilizzando i Gate assegnati e rispettando gli orari di partenza
fissati dal piano comunale del comune di residenza.
La popolazione che si allontana dalla Zona Rossa con trasporto assistito si raccoglie, secondo le
modalità e gli scaglionamenti definiti nel Piano Comunale di Protezione Civile, nelle Aree di Attesa
– Terminal - comunali; da queste, la popolazione viene trasportata a cura della Regione Campania
nelle Aree di Incontro, esterne all’area rossa, dalle quali, con i mezzi di trasporto organizzati dalle
Regioni e Province Autonome viene trasferita ai Punti di Prima Accoglienza secondo le modalità
individuate nel Piano di trasferimento redatto a cura della Regione/Provincia autonoma gemellata.

I gate di primo livello assegnati a ciascun comune o quartiere, di accesso alla viabilità primaria, con
le direzioni di allontanamento, sono riportati e mappati nella relazione illustrativa allegata alla
delibera n. 187 della Regione Campania del 19/04/2023, facilmente rinvenibile sul sito della
Regione stessa o sul BURC, così come le aree di attesa di ogni comune, le aree di incontro
assegnate e le regioni o province gemellate.

http://lavoripubblici.regione.campania.it/index.php?
option=com_content&view=article&id=2039:rischio-vulcanico-campi-flegrei-percorsi-per-l-
allontanamento-assistito-e-per-l-allontanamento-autonomo-della-popolazione-dalla-zona-
rossa&catid=102&Itemid=113

E’ chiaro ed evidente che tali informazioni sono parte integrante dei piani comunali di evacuazione
che devono contenere altresì le indicazioni riguardanti lo scaglionamento orario delle partenze per
aree e le modalità e i percorsi per raggiungere i gate o le aree di attesa ed è a questi che il cittadino
deve riferirsi.

Per completezza si riassumono i gemellaggi, le aree di incontro e i mezzi di trasferimento previsti e


i gate assegnati per comune o quartiere di residenza:
Assistita Mezzo proprio
Comune / Destinazione Mezzo Area Incontro Gate I Livello Percorso
Quartiere
Napoli San Sicilia nave porto stazione gate G14 Via A3, dir. Est, A2
Ferdinando marittima Marina
Napoli Chiaia Sicilia nave porto stazione gate G14 Via A3, dir. Est, A2
marittima Marina
Napoli Sardegna nave porto stazione gate G14 Via A3, dir. Est, A2
Posillipo marittima Marina
Napoli Sicilia nave porto stazione gate G14 Via A3, dir. Est, A2
Montecalvario marittima Marina
(parte)
Napoli Vomero Piemonte e treno stazione AV gate G12 tangenziale di Napoli, dir. Est,
Valle d’Aosta Afragola Arenella A1
Napoli Veneto treno Stazione RFI gate G13E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Arenella Villa Literno Capodimonte A1
Napoli Friuli, Venezia treno Stazione RFI gate G13E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Chiaiano Giulia Villa Literno Capodimonte A1
Napoli Emilia treno stazione RFI gate G11E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Soccavo Romagna Napoli Camaldoli A1
Centrale
Napoli Pianura Puglia pullman stazione RFI gate G10E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Napoli Vomero A16
Centrale
Napoli Bagnoli Basilicata e treno Stazione RFI gate G07E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Calabria Napoli Agnano A2
Centrale
Napoli Lazio treno Stazione AV gate G08O tangenziale di Napoli, dir. Ovest,
Fuorigrotta Afragola Italia 90 e SS7 Quater
G090
Fuorigrotta
Marano (parte) Liguria treno Stazione AV gate G13E tangenziale di Napoli, dir. Est,
Afragola Capodimonte A1
Quarto Toscana treno Stazione RFI gate G03N SS7 Quater, dir.Nord - A1
Aversa Quarto
Pozzuoli Lombardia treno Stazione RFI gate G04N SS7 Quater dir. Nord - A1
Napoli Monterusciello
Centrale sud e G05N
Cuma
Giugliano in Trento e treno Stazione RFI gate G02N SS7 Quater, dir. Nord - A1
Campania Bolzano Villa Literno Licola
(parte)
Bacoli Umbria e pullman istituto gate G05E1 Tangenziale di Napoli, dir. Est,
Marche scolastico Don Cuma e G05E2 A16
Diana a Arco Felice
Giugliano
Monte di Abruzzo e pullman istituto gate G05E1 Tangenziale di Napoli, dir. Est,
Procida Molise scolastico Don Cuma e G05E2 A16
Diana a Arco Felice
Giugliano
Il racconto del piano finisce qui, non il lavoro, di costante perfezionamento ed aggiornamento. Tutto
quello che io, personalmente posso aggiungere è che, se la critica ad un lavoro così impegnativo,
dettagliato, minuzioso, deve essere “non funzionerà mai, perché noi non siamo giapponesi”, la
critica non è al piano, ma a noi stessi. Perché in protezione civile ognuno di noi per salvarsi ha
bisogno delle azioni di tutti. E solo rispettando quelle regole necessarie a coordinarle ci si salva
tutti.

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