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Salve a tutti e rieccoci qui, pronti ad addentrarci nelle spire di quello che io chiamo Briareo, il

mostro mitologico dalle tante braccia e tante teste: il piano nazionale di protezione civile per il
rischio vulcanico dei Campi Flegrei.
Tante braccia e tante teste perché pianificazioni del genere (i Flegrei, il Vesuvio) sono pianificazioni
così complesse e articolate che richiedono necessariamente non soltanto una serie di competenze
diversissime ma anche sia una suddivisione in verticale per livelli di competenza, che, a ciascun
livello, una suddivisione orizzontale per settori di competenze. Solo così si può arrivare a definire
ogni singola azione di ogni singolo momento, di ogni singolo luogo, per strutturare un modello che
tenga e che funzioni. Sulla carta! è la risposta più facile. La più difficile è conoscere e comprendere.
Comprendere perché funziona affinché funzioni, ed è quello che cercheremo di fare.

Per andare con ordine dobbiamo partire dal rischio. Vi ricordate? Il rischio è uguale al pericolo per
il valore esposto.
Chiariamo quindi subito che il piano nazionale Campi Flegrei è un piano per il rischio vulcanico,
per il rischio eruzione della caldera dei Campi Flegrei. Sottolineo eruzione, perché, sebbene citati
nell’analisi di pericolosità anche i fenomeni vulcanici secondari, il bradisismo è uno di questi, e
sebbene sia approfondita l’analisi del rischio sismico connesso ad un evento eruttivo o comunque
alla fase di unrest del vulcano, fino alla definizione di uno specifico scenario, basato su analisi di
vulnerabilità effettuate dal Centro Studi Plinius, Centro di Competenza del Dipartimento di
Protezione Civile, tuttavia la strategia di risposta delineata dal piano si applica al solo scenario
eruttivo, considerando l’eruzione il fenomeno di gran lunga più significativo, tanto da richiedere
appunto una pianificazione di livello nazionale.
Se vi state chiedendo se è corretto, se penso che lo sia, potrei rispondervi che metodologicamente lo
è: è questo l’evento che richiede l’intervento nazionale per la gestione dell’emergenza, dovendosi
considerare il bradisismo un evento di tipo locale, sia pure sovracomunale. Eppure. Eppure la storia
ci racconta di due crisi bradisismiche (almeno) così significative da aver richiesto di fatto
l’intervento dello stato (e l’evacuazione di circa 30.000 abitanti del comune di Pozzuoli).
Probabilmente dunque si sarebbe potuto considerare, internamente al piano, uno scenario diciamo
più piccolo, che fosse appunto tarato su questo tipo di evento, così come sembra si stia andando a
fare oggi con il recente decreto a firma del ministro Musumeci, sebbene a me sembri che la
perimetrazione richiesta tenda più alla prevenzione che alla gestione dell’emergenza, mi auguro ci
siano i dovuti distinguo invece per quest’ultima. Verosimilmente non si è fatto proprio a causa del
gap metodologico: di fatto, le fasi antecedenti la fase di evacuazione contemplano gli scenari di
rischio sismico. Quello che ahimè non è contemplato è che la gestione del rischio sismico, di questo
particolare rischio sismico, comporta azioni (come l’evacuazione preventiva appunto) che di fatto
richiedono, come hanno richiesto in passato, un intervento che nel piano attuale non c’è, che, anzi,
per certi aspetti con esso addirittura contrastano (aree di accoglienza, allontanamento della
popolazione sfollata per inagibilità e danni, dove? Eccetera). Ma stiamo correndo troppo.

Rischio eruzione. Scenari.


Mi ero ripromessa di non parlare del vulcano, se ne parla anche troppo - mai abbastanza se è ancora
possibile che ci sia qualcuno che lo identifichi con la Solfatara o che addirittura ancora addebiti i
fenomeni in corso all’unico vulcano campano riconosciuto e temuto (neanche tanto a giudicare da
quel che si è costruito e ricostruito attorno, la labilità della memoria), il Vesuvio - e soprattutto io
non sono un vulcanologo. La storia e l’estensione della nostra caldera sono esposte dettagliatamente
sul sito dell’osservatorio vesuviano, dove sono inoltre descritti ampiamente i sofisticati sistemi di
monitoraggio che fanno dei Flegrei il vulcano più sorvegliato al mondo (sul sito sono pubblicati
settimanalmente i bollettini di monitoraggio, mensilmente gli approfondimenti, ed è possibile
seguire in tempo reale gli eventi sismici).
Entriamo quindi direttamente negli scenari.
Nel dicembre 2012 il Gruppo di Lavoro incaricato dal DPC dell’aggiornamento dello scenario di
riferimento per l’aggiornamento del piano per il rischio vulcanico Campi Flegrei, consegna il
proprio elaborato, redatto (semplificando) sulla base di studi scientifici sulla storia eruttiva della
caldera che individuano l’evento di riferimento (pericolosità) e sul territorio interessato all’evento
stesso (valore esposto), valutandone altresì la vulnerabilità.
L’evento di riferimento scelto per la definizione dello scenario, attraverso (sempre semplificando)
calcoli probabilistici basati sullo studio delle eruzioni passate e sul comportamento della caldera, è
una eruzione definita MEDIA, di magnitudo pari a 4,3 - 5, tra le eruzioni storiche viene considerata
tale l’eruzione denominata Astroni 6, la cui probabilità di accadimento è stimata pari a circa il
23,8%. L’eruzione definita PICCOLA, Montenuovo ne è un esempio, di magnitudo minore di 4,3 ha
una probabilità di accadimento pari a circa il 59,6%. L’11,9% delle probabilità di accadimento
comprende eruzioni effusive, mentre solo il 4.0% comprende le eruzioni GRANDI, di magnitudo
superiore a 5, una eruzione pliniana tipo quella di Monte Spina, la cui ricostruzione ha fatto il giro
di tutte le testate giornalistiche e di tutti i social seminando il terrore, e lo 0,7% quelle Molto
Grandi, superiori a 6, considerando tali solo l’eruzione del Tufo Giallo e quella dell’Ignimbrite
Campana. Voglio precisare che ho ritenuto descrivere la tabella di probabilità che contiene la storia
eruttiva più lunga, e quindi anche le grandi eruzioni, sebbene quella di definizione sia quella
calcolata sugli ultimi 5000 anni, e nonostante motivi strutturali facciano ritenere che la caldera non
possa più esprimere simili eruzioni, per evidenziare quanto poco incida l’effetto di queste sulle
percentuali di accadimento laddove oltre il 95% è rappresentato da eruzioni effusive, piccole e
medie e meno del 5% dalle grandi e le molto grandi, per le quali, tra l’altro, data la portata, neanche
avrebbe senso una pianificazione (come dire, pianifichiamo per la caduta di un asteroide).
Se invece vi state chiedendo perché si scelga un’eruzione media piuttosto che una piccola che ha
più probabilità di accadimento, la risposta è semplice: in protezione civile si pianifica in sicurezza e
pianificare per una eruzione di scala maggiore racchiude il maggior numero di eventi possibili.
Cosa prevede un’eruzione di taglia media?
Questo tipo di eruzione prevede i seguenti fenomeni:
formazione di una colonna eruttiva composta da gas e brandelli di lava incandescenti, alta fino a
decine di chilometri;
caduta di materiale vulcanico sia di grosse dimensioni nell’area più vicina alla bocca eruttiva, sia di
ceneri e lapilli anche a diverse decine di chilometri di distanza, lungo la direzione del vento;
scorrimento di flussi piroclastici (valanghe di gas, cenere e frammenti vulcanici) formati dal
collasso della colonna eruttiva. Questi flussi hanno velocità e temperature elevate e possono
scorrere per alcuni chilometri.
In aggiunta, ai Campi Flegrei possono verificarsi particolari fenomeni esplosivi legati al
coinvolgimento di acqua esterna, noti come esplosioni freatiche, in aree con intensa attività
idrotermale (area Solfatara/Pisciarelli), o dove esistono attualmente significative disponibilità di
acqua superficiale, quali ambienti lacustri (Agnano), laghi intra-craterici (Averno) e mare (Golfo di
Pozzuoli).
Ma dove avviene l’eruzione?
Questo è il grande problema delle caldere, che, a differenza degli altri vulcani, non hanno un unico
condotto, ma generano nuove bocche ad ogni eruzione, anche più di una.
Non potendo definire dunque il luogo di apertura della o delle bocche, lo studio ha valutato diverse
sedi eruttive, sempre in funzione di storia e comportamento della caldera, oltre che sulla base delle
conoscenze strutturali e orografiche acquisite, e, attraverso l’inviluppo di tutte le possibili curve di
ricaduta delle possibili eruzioni, ha definito due aree di invasione differenziate: la prima, la più
pericolosa perché soggetta ai flussi piroclastici, incompatibili con la vita (per una più attenta
definizione c’è sempre il sito dell’osservatorio), la cosiddetta zona rossa, e una più esterna, soggetta
alla ricaduta di ceneri vulcaniche, la cui pericolosità è legata sia ai possibili cedimenti dei tetti (la
cenere pesa di più della neve), sia a problemi per l’apparato respiratorio e in genere la salute, la
zona gialla.

La zona rossa comprende per intero i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, una
piccola porzione dei comuni di Giugliano e di Marano e diversi quartieri di Napoli: Bagnoli,
Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Posillipo e Chiaia per intero, San Ferdinando, Montecalvario,
Arenella, Vomero e Chiaiano pro parte. San Ferdinando fu aggiunto all’area rossa su richiesta
motivata di variazione del Comune di Napoli. Monte di Procida rientra in area rossa non per diretta
esposizione ai flussi ma per motivi logistici in quanto, in caso di eruzione, resterebbe isolato per un
tempo non definito. Il totale dei residenti in area rossa, secondo l’ultimo aggiornamento del piano
di allontanamento di competenza regionale del 19 aprile 2023, è pari a 481.000 unità. L’unica
strategia possibile a salvaguardia della popolazione è l’evacuazione preventiva, PRIMA
dell’eruzione.

La zona gialla, esterna alla zona rossa, così come individuata dalla D.G.R. Campania n. 175 del
3/4/2015 e DPCM 24/6/2016, è costituita dai territori di 6 comuni campani Villaricca, Calvizzano,
Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Casavatore e di parte di 24 circoscrizioni
del Comune di Napoli (tutte tranne Ponticelli), interni o intersecati dalla curva di probabilità di
superamento del 5%, per eruzione di taglia media da una qualsiasi bocca eruttiva all’interno della
caldera flegrea, relativa al carico di 300 kg/mq determinato dall’accumulo di ceneri vulcaniche. La
definizione di quest’area è basata su studi e simulazioni della distribuzione a terra di ceneri
vulcaniche, tenendo conto delle statistiche storiche del vento in quota. I residenti in zona gialla sono
circa 840.000 e tuttavia, non necessariamente tutta l’area gialla sarà investita da carichi eccedenti,
proprio in virtù dei venti prevalenti al momento dell’eruzione. La strategia di gestione
dell’emergenza per questa area è quindi necessariamente successiva alla formazione della colonna
eruttiva, che consentirà rapidamente di calcolare, in funzione della localizzazione e dell’altezza di
questa, della potenza espressa e dei venti presenti, le aree della zona gialla che saranno interessate
da carichi di cenere incompatibili con la vulnerabilità dell’edificato presente e quindi da evacuare
preventivamente.

Se, dunque, per la zona gialla, quando di parla di evacuazione preventiva si parla di evacuazione in
corso di evento, inteso come evento l’eruzione e come fase dell’evento la formazione della colonna
eruttiva, per la zona rossa invece, data la velocità dei flussi piroclastici e l’impossibilità di
prevedere localizzazione della bocca, altezza e potenza espressa nella colonna eruttiva e quindi la
durata e il sostegno della stessa, l’evacuazione DEVE avvenire prima che l’evento inizi.
Siamo dunque di fronte ad un evento prevedibile?
NI
Ni significa che ogni vulcano ha una sua storia e una sua prevedibilità e imprevedibilità. Le caldere
in genere sono più imprevedibili e per la nostra, avendo solo un evento in epoca storica, è
sicuramente più complessa l’analisi dei fenomeni precursori. Tuttavia sia lo studio di altre caldere
“simili” alla nostra (nessuna lo è), sia le cronache della precedente eruzione e le analisi sui depositi
di quelle più antiche, sia il potente sistema di monitoraggio, lasciano aperte possibilità più che
buone di leggere per tempo, e con tempo si intende settimane se non mesi, cambiamenti tali da
considerare l’avvicinarsi di una possibile eruzione, e giorni, se non settimane per leggere incrementi
di quei cambiamenti tali da considerare l’eruzione più che probabile.

Siamo finalmente arrivati al piano.


Un piano per un rischio prevedibile che procede dunque per fasi. Di questo, ne parleremo la
prossima volta.

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