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' NA P A SSIA T A 'A K A V U S A

Un centro culturale ed espositivo nel complesso monumentale di Santa Maria dello Spasimo in Palermo

Politecnico di Milano

Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni

Corso di studio in Architettura - Progettazione architettonica

20 aprile 2018 tesi di laurea magistrale di simona costanzo

relatore prof. marco borsotti

correlatori profs. sonia pistidda e piero pozzi

1. IL PROGETTO
Un omaggio alla mia terra
Tr acce tempo
di uomi ni -s to ri a
muovono s e ns i
s emi nano lu c e
cr eano be lle z z a

Fel i x Zi z

F.C.
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CONTENUTI
i nt r o duz io n e

1 Il mo n u men to n el c on t esto sto r ico - u r b a n o

1 .1 Il s ist em a di fensi vo del l a ci ttà ed i l s u o s v i l u ppo n el tem po


1 .2 Le f o rti fi cazi oni e l'i dea di c i ttà n el ‘50 0
1 .3 Il b ast i one del l o Spasi m o
1 .4 L a K alsa
1 .5 I Ben e detti ni O l i vetani
1 .6 Gli Oliv etani a Pal er m o
1 .7 Pale rmo capi tal e del vi cer egn o s pa gn ol o
1 .8 I rif erim enti i n ar chi tettur a
1 .9 Gli ed ifi ci r el i gi osi
1 .1 0 Con f igur azi one attual e del q u a rti ere K a l s a
1 .1 0.1 S tr uttur a soci o-m or fol ogi c a del l'a rea
1 .1 0.2 Si ntesi stor i ca dei m utam en ti c a ta s ta l i
1 .1 1 L a ch iesa del l e or i gi ni
1 .1 2 L a st or i a del l o Spasi m o
1 .1 3 Il d eg rado e l'abbandono
1 .1 4 I lavor i di r estaur o e l e m anu ten z i on i

2 Analisi sto r ic o -c r i t ica d e l m o n u m e n to

2.1 Il ch io str o
2.2 La ch iesa
2.3 Gli alt ar i
2.4 Il coro e l'absi de
2.5 Il t ran setto
2.6 La n avata
2.7 Il t o cco
2.8 Raf f a el l o e l o "Spasi m o di S i c i l i a"
2.9 Gli ester ni
2.1 0 Il b asti one
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3 I L R EGES TO sto r ic o

4 santa ma r i a d el lo s pasi m o : lo stato di fat to

4.1 Lo s t ato attual e


4.2 In d ividuazi one dei m ater i al i e dei degra di

5 santa ma r i a d el lo s pasi m o : i l p r o ge t to

5 .1 L in ee gui da del pr ogetto


5 .2 Il p e rc or so l ungo l e m ur a s tori c h e di di fes a
5 .3 rif un z i onal i zzazi one del com pl es s o
5 .4 Il p ro getto di al l esti m ento
5 .5 Il p rogetto di r estaur o

B I BLI O G R A F I A

tesi co n s u ltat e

si to gra f i a
ANIMA E CORPO

Palermo chiara, Palermo profonda, Palermo scrigno.


Palermo che racconta e si racconta, che accoglie, abbraccia e integra.
Palermo dai mille volti, che guarda con mille occhi il suo passato illustre, le più semplici
espressioni popolari, la contemporaneità.
Fin dai fenici, la città, Ziz, fu famosa per la facilità di approdo e per la sua posizione strate-
gica. Quì gli scambi avvenivano velocemente, le navi arrivavano e partivano cariche di merci
e i mercati, tutti nati vicino al mare o in prossimità dei fiumi, erano fiorenti.
La Kalsa, l’antica Al-Halisah, sede dell’Emiro, costruita dagli arabi nel 937, si presentava
come una cittadella di grande estensione e si amministrava autonomamente, con mura, ba-
gni, una moschea, l’arsenale navale, le prigioni e il palazzo emirale.
Strategicamente era connessa al porto da una parte, e dall’altra era incernierata al vicino
centro storico.
Ieri come oggi, la Kalsa conserva questa sua posizione favorevole: cuore del mandamento
Tribunali (uno dei quattro in cui il centro storico è diviso), con i suoi battiti pulsa e irradia
l’energia a tutto il tessuto urbano circostante, collocandosi proprio a ridosso dell’itinerario
arabo-normanno Unesco.
I gioielli architettonici, urbanistici e naturali qui presenti sono tanti: il complesso di Santa Ma-
ria dello Spasimo (oggetto di studio di questa tesi), la Via Alloro – asse portante vitale della
nobiltà palermitana con i suoi storici e prestigiosi palazzi, il quattrocentesco museo Abatel-
lis – splendido esempio d’architettura gotico - catalana, la cinquecentesca chiesa di Santa
Maria degli Angeli (La Gancia), le due prorompenti chiese barocche – Santa Teresa e Santa
Maria della Pietà, l’Oratorio dei Bianchi - contenente la porta araba Bab el Fotik attraverso
la quale, nel 1071, fece il suo ingresso a Palermo Roberto il Guiscardo, il Gattopardiano
Palazzo Valguarnera - Ganci, la trecentesca Basilica di San Francesco d’Assisi, la Galleria
d’arte Moderna (G.A.M.), il Regio Teatro di Santa Cecilia, Lo Steri e Porta Nuova, il bellissimo
Ficus Macrophilla di Piazza Marina, il più grande albero d’Europa.
A lambire il mandamento, l’Orto Botanico e Villa Giulia.
Un elenco lungo ma incompleto, necessario da evidenziare perché testimonia l’importanza
del contesto culturale del mandamento Tribunali su cui irrompe l’humus popolare della piaz-
za tumultuosa. Lo scenario, per certi versi scompaginato, mostra un luogo vitale che ogni
giorno, liturgicamente, ripete il rito della sopravvivenza attraverso una fitta trama di relazioni
umane e di pratiche orali.
A piazza Kalsa, quotidianamente, sono montate e dismesse impalcature effimere: improbabili
bancarelle, colorati ombrelloni, precarie pensiline, interi banconi illuminati da lampadine

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allacciate abusivamente alla corrente elettrica. I pizzini dei siminzari mostrano, approssima-
tivamente, il prezzo della merce dando una parvenza di legalità, affiancati dai coppi di gior-
nale (o carta da riciclo) disposti all’interno delle coffe, contenenti calia e semenze, mandorle,
arachidi, noci, pistacchi, nocciole o altro tipo di frutta secca del luogo.
Il cibo da strada (l’odierno street food) diffonde odori assai forti con ‘u mussu, la quarume,
le stigghiole, la meusa, le frittole, le crocchè e le immancabili panelle.
L’Ape a tre ruote folkloristico, utile per tutti gli usi, fa bella vista di sé per i turisti, e i ciclomo-
tori, rumorosi, scorrazzano con imperizia tra la gente.
Fotografie dei defunti, addobbate con ceri e fiori, adornano gli altarini delle botteghe; su di
essi spesso risalta la foto del capofamiglia, fondatore dell’attività commerciale, che, per così
dire, sovrintende e benedice.
All’interno della piazza – e lungo le sue arterie limitrofe – s’instaurano relazioni reciproche,
con scambi di saperi ed esperienze che includono, oltre la sfera commerciale, anche quelle
ludiche, sociali e religiose.
Il sistema sonoro della abbanniata, con tecnica vocale e cadenza specifica, induce il vendi-
tore ad attrarre la gente per acquistare la mercanzia multicolore.
La Kalsa, deposito di memoria, oggi però si modifica mostrando anche la contaminazione di
nuove pietanze (tra tutti il kebab) introdotte dagli extracomunitari che quì convivono insieme
alla gente locale, così come parte delle antiche botteghe sono oggi riconvertite in pub, caf-
fetterie e luoghi di ristoro per accogliere la massa variegata e informe di gente che a tutte le
ore “ciondola” per le vie.
La piazza-mercato, soprattutto, “non dorme”.
In questo contesto variegato, pieno di monili storico-artistici, l’intervento progettuale odier-
no intende partire dal complesso di Santa Maria dello Spasimo, procedendo rispettoso e in
punta di piedi ma, al contempo, deciso nel rimarcare la memoria del luogo verso una sua
connotazione polifunzionale che, ancora una volta, sancisce il carattere poliedrico di questa
magica congiuntura strutturale.
Nel tempo, lo Spasimo ha evidenziato le diverse significazioni sacre e profane, dalla fonda-
zione in chiesa e convento a cura dei Padri Olivetani, a ospizio per gli appestati, a magazzino
per il grano e cereali, fino a che ha mutato la sua funzione in teatro, a rimessaggio del carro
di Santa Rosalia, a deposito di mendicità, a sifilicomio e sezione dell’Ospedale Civico, a de-
posito di materiali artistici di risulta per la demolizione delle strade di Palermo.
Il resto è storia recente.
Oltre c’è solo il baratro con il crollo di alcune parti delle strutture per l’alluvione del 1931,

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i terremoti del 1940 e 1968 e l’incuria “solenne” a cui i palermitani si erano rassegnati.
Dal 1988 in poi, la miracolosa rinascita, fino alla pubblica fruizione delle strutture nel 1995.
Oggi, lo Spasimo, martoriato nel corpo, si rialza e, pur mostrando le sue tante ferite, diventa
“altro”, dialogando con gli aspetti materiali e immateriali della sua storia, con l’architettura
e l’urbanistica, con le persone, con il sacro e il profano, ma anche e soprattutto con la sua
nuova identità. In un mio articolo di qualche anno fa sullo Spasimo (“ Il cielo dentro la me-
moria ” - AIAM- Roma, gen./mar. 2001), sottolineavo appunto come l’elemento atmosferico
– e con esso la luce – fosse determinante nel trasformare la struttura da architettura in luogo.
Oggi, Lo Spasimo, nel suo aspetto silente e di raccoglimento, genera stupore, ma è in grado
anche di trasformarsi ogni qual volta un evento culturale chiede di essere accolto tra le sue
braccia vetuste. È questa, probabilmente, la vera eredità (e il significato più profondo) che
esso intende dare. L’anima contemplativa della sua architettura - luogo intoccabile, ne defi-
nisce la continuità in quanto traccia, memoria, spia-testimone energica e vitale di un divenire
senza tempo. La traccia, nel suo alter ego, rivela così il suo stato fluido, sublimandosi come
elemento significativo, consegnandosi – suo malgrado – al futuro nella sua forma evolutiva.
È in questa accezione che il silenzio e i rumori, l’ordine e il disordine convivono, si sostengo-
no, si rafforzano e determinano una nuova polarità di attrazione, un dialogo emozionale con
lo spazio leggibile in termini di fascino, coerenza e bellezza. Piazza Magione, pur con caratte-
ristiche diverse rispetto a Piazza Kalsa, insiste anch’essa sull’area de Lo Spasimo, mostrando,
oggi, il suo volto ferito. La piazza, svilita nella sua consistenza urbanistico - strutturale e nel
significato storico-sociale per i bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale, con-
trappone il caos notturno dei suoi fruitori al fiero raccoglimento del complesso architettonico,
esprimendo il senso - non senso di una convivenza apparentemente dissonante. E allora, se
la magia de Lo Spasimo risiede nel suo essere-divenire, e la sua anima pura ci emoziona al di
là del corpo, non possiamo che avvallare la convinzione di Eraclito che, “l’armonia invisibile
è più forte di quella visibile”. Da ciò nasce la ferma convinzione progettuale nel non aver
voluto operare nel cuore della navata centrale della chiesa, straordinariamente pervenutaci
senza la copertura, concentrando altresì l’intervento sulle altre aree collaterali e sul percorso
delle mura civiche bastionate. Quest’ultimo, quasi un viatico di depurazione fuori dalla crasi
contaminativa, come un filo rosso, procede tra il mare e la teoria dei palazzi nobiliari, lam-
bendo – e poi “bucando” – l’interno di Piazza Kalsa, attraversando la geografia esistenziale
ed esperienziale di quei luoghi in un rispettoso tentativo di ricucitura di un tessuto urbano
assai radicato e articolato.

Fabrizio Costanzo
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1 IL MONUMENTO NEL
CONTESTO STORICO-
URBANO
1.1 il sist ema di f en si v o d e lla ci t t à e d i l s u o
sviluppo n el t empo

Schema storico-topografico della Palermo Schema storico-topografico di Palermo


punica-romana nel secolo X

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Il tracciato della “Halisah” nella ricostruzione Schema storico-topografico di Palermo
di G M. Columba nei secoli XI-XIV

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Il sistema difensivo cinquecentesco condizionò l’andamento viario e morfologico della città
fino alla prima metà del XVIII sec. La cinta muraria era, infatti, un limite fisico valicabile solo
attraverso le porte urbiche.
Uno studio preliminare della cinta muraria della città e del suo sviluppo nel tempo, ci permet-
te di comprendere meglio la conformazione del quartiere oggetto di studio, e di motivarne le
proposte di intervento che si intendono adottare.
Il sistema difensivo della città ha attraversato tre essenziali fasi di sviluppo, a partire dal V
sec. con il circuito punico che, sorgendo tra i fiumi Kemonia e Papireto, delimitò prima la
zona dell’attuale Palazzo Reale, dando vita alla Paleopolis e due secoli più tardi alla Neapo-
lis, il restante territorio dell’isoletta denominata “piede fenicio”.
Tra la Paleopoli e la Neapoli, rimase un vecchio muro divisorio.
A partire dall’827, si assiste all’espansione musulmana: la città antica è insufficiente a con-
tenere l’accresciuto numero di abitanti e aldilà dei due corsi d’acqua, in meno di un secolo,
sorgono case, palazzi, edifici pubblici e moschee.
Sotto la dominazione araba, si assiste alla costruzione del Castellammare e della cittadella
fortificata della Halisah (l’eletta), attuale Kalsa.

A L L A M E TA ' D E L X S E CO LO , I Q U A R T I E RI
D I PA LE R M O S O N O I S E GU E NTI:

- I L CA S S A R O , LA CI T T À A N T I C A;
- LA K A LS A , S E D E D E LL'E M IRO
E D E LLE S U E T R U P PE ;
- L'A LB E R GHE R I A E D I Q U A R T I E R I S UD
O R E N TA LI , I Q U A LI N O N S ONO
FO R T I F I CAT I E D HA N N O UN
CA R AT T E R E M E R CA N T IL E ;
- I L Q U A R T I E R E D E GLI S CHI AVONI,
CH E S I E S T E N D E F I N O A L M ARE
A L D I LÀ D E L PA P I R E TO.

Nel periodo normanno la cinta muraria, costituita da torri ed alti e sottili paramenti murari,
cambia configurazione racchiudendo la nuova espansione urbana.
Si modificano le porte urbane, come ad esempio la porta S. Agata e la porta Termini, che fu
chiusa dentro una fortificazione con “spalti” e ponte, con un largo fossato.
Con la caduta di Costantinopoli in mano turca nel 1453, le città costiere ebbero una forte
crisi demografica, e fu quindi necessario un sistema di torri a difesa dell’isola lungo il suo
periplo.
Durante il viceregno spagnolo, dal 1513 al 1776, si gettarono le basi culturali per una nuova
politica del costruire la città, politica che ebbe come massima realizzazione la quadriparti-
zione della città nel 1600.
Durante il periodo vicereale, Palermo divenne un punto strategico per la sua posizione. Per
questa ragione, il viceré Don Ferrante Gonzaga affida all’ingegnere Antonio Ferramolino

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delle difese cittadine costituita dalla pronunciata rientranza che le mura presentavano tra il
bastione dello Spasimo e la vecchia torre del Tuono, a protezione della porta dei Greci”.
Infatti, le mura tra il mare e lo Spasimo, si affacciavano sul fiume Oreto, che creava una fossa
ed un delta tale da permettere l’ancoraggio delle navi nemiche.
Essendo tali mura fragili, si volle costruire un baluardo simmetrico al Castellammare.
Secondo i più recenti studi, l’ing. Ferramolino si occupò solo del rafforzamento della già esi-
stente ed inefficace cinta muraria, di cui sopra.
Il ruolo decisivo nel cambiamento morfologico del sistema difensivo lo giocò il Viceré Juan
de Vega, il quale si occupò sia del potenziamento del sistema delle difese siciliane, che del
rilancio e del rinnovamento della capitale dell’isola.
De Vega affidò all’ingegnere Pedro Prado il progetto di ampliamento della cinta muraria, che
prese il nome di addizione urbana del piano di porta dei Greci.
Tale intervento prevedeva la realizzazione di nuovi baluardi “consistenti in due cortine mu-
rarie, a prosieguo di quelle già esistenti dello Spasimo e del fronte a mare, fabbricate alla
moderna, disposte quindi ortogonalmente fra loro, scarpate e terrapienate, nonché protette
ai vertici da baluardi con fianchi ritratti e cannoniere casamattate”.
Venne quindi realizzato dapprima il bastione Vega, il più imponente mai realizzato a Palermo,
e successivamente il baluardo del Tuono, eretto dove sorgeva la torre adiacente all’antica
porta dei Greci.

Il baluardo del Vega

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A LLA FI N E D EL C I N Q U EC E N TO LA CI T T À R I S U LTAVA E S S E R E
CIR CO NDATA DA I S EG U EN TI B A S T I O N I :

- DEL PALA Z Z O R EA L E
- DELLA B A L ATA
- D’ ARAGO N A
- DI S. VI TO
- DI MAQU EDA
- DI S. GIO R GI O
- DEL T UO N O
- DI VEGA
- DELLO S PA S I MO
- DI PO RTA T ER MI N I
- DI VI CA R I
- DI S. AGATA
- DI MO NTA LTO
OLT R E AL C A S T EL LO A MA R E .

Con l’intervento di rafforzamento del sistema difensivo della città si attuarono, per volere del
Senato palermitano, diversi cambiamenti che interessarono particolarmente il quartiere della
Kalsa, area oggetto del presente studio, contribuendo a dargli parte della conformazione
attuale:
- Nel 1553 venne abbattuta l’antica Porta dei Greci e si avviò la costruzione della nuova
porta, ubicata nella sua posizione attuale;
- Venne prolungata la strada Magna porte Grecorum con un nuovo tratto dalla sezione quasi
raddoppiata, coincidente oggi con la via Torremuzza;
- Lungo il perimetro dall’andamento irregolare delle vecchie mura, venne aperta l’odierna via
di Santa Teresa che giungeva sino al prolungamento della strada Magna;
- Venne poi tracciata una croce di strade, attuali vicolo Savona e vicolo Spadaro, secondo un
modello abbastanza diffuso nelle urbanizzazioni palermitane cinquecentesche;
- Nel 1577 venne realizzata la strada che da S. Maria Piedigrotta arrivava a porta dei
Greci, futura strada Colonna;
- Nel 1632 fu tracciato lo stradone Alcalà o di S. Antonino, a ridosso delle mura meridio-
nali, al posto del fossato.
Tra la fine del XVII sec. ed i primi anni del XVIII, iniziò un processo di urbanizzazione extra-
moenia e, secondo la logica dell’addizione, sorsero diversi esempi di edilizia a ridosso delle
mura ed in particolare del tratto di mura che collegava il Bastione Vega a quello dello Spasi-
mo. Probabilmente, i contrafforti che si possono vedere nelle carte storiche, divennero prima
la sede di alcuni depositi dei pescatori e, successivamente, vere e proprie residenze.
La città inizia a percepire l’obsolescenza del sistema murario e, per volere del pretore Gio-
vanni Sammartino, duca di Montalbo, nel 1734 viene demolito il bastione del Tuono, ai fini
di rendere più largo il Foro Italico.

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Veduta di via Lincoln con l’Orto Botanico
e la Villa Giulia

La città viene anche dotata del primo giardino pubblico, grazie alla realizzazione di Villa Giu-
lia, su progetto di Nicolò Palma, 1777. In seguito, per facilitare l’accesso alla Villa Giulia e
collegare direttamente la spianata della Kalsa al nuovo giardino, venne aperta la attuale via
Cervello, creando un varco nella cortina e demolendo alcune case che vi si erano nel frat-
tempo addossate, e realizzando una nuova porta, chiamata Carolina in onore della Regina.
“ Si come per causa della muraglia della città collaterale al Monasterio di S. Teresa, fatta per
la formazione di una Nuova Porta da plantarsi in prospetto la pubblica Villa Giulia, furono
diroccate n.4 case solerate e terrane ”.
Quest’ultimo intervento diede inizio ad una serie di nuovi allineamenti di edilizia residenziale
sullo stradone Alcalà, includendo nel circuito della nuova edilizia i bastioni dello Spasimo,
della Pace e di S. Agata.
Dieci anni più tardi benne realizzato l’Orto botanico e demolito il bastione Vega per conti-
nuare l’allargamento del foro italico.
Così facendo, si avviò un processo di smantellamento delle mura, che portò ad una consue-
tudine di “ri-ciclo” di quei frammenti murari rimasti ancora in piedi. La consuetudine voleva
che lungo il tracciato delle mura e sui principali baluardi sorgessero nuove costruzioni, ma in
particolare nel quartiere Kalsa, a tali costruzioni vennero quasi sempre annessi dei giardini,
che hanno contribuito a dotare il quartiere di spazi pubblici sorti spontaneamente.

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1.2 Le fo rt i f ica z io n i e l’ i d e a di ci t t à n e l ‘ 50 0

Nel XVI secolo ogni iniziativa di governo del Le innovazioni tecniche, in altra sede teorizza-
territorio, volta a ristrutturare e trasformare te ed elaborate, penetrano al seguito di inge-
il paesaggio, viene sovrastata dal problema gneri militari che, sollecitati dalle possibilità
della difesa. offerte dal territorio siciliano, mettono la loro
La soluzione progettuale, che orienta le scel- preparazione e la loro esperienza a servizio
te operative sulla città, è quella militare della della corona di Spagna. La mancanza di una
definizione degli elementi difensivi. scuola locale determina che i più interessanti
L’intervento sulla città storica, nel momento in e massicci interventi alle difese dell’isola sia-
cui viene ridefinita in funzione delle necessità no opera di ingegneri bergamaschi e fiorenti-
della guerra, si configura come sede organiz- ni, come Ferramolino o Camilliani.
zata a difesa della vita civile. Come conse- Questa intensa attività, che interessa per una
guenza, la nuova parte delle fortificazioni ge- lunga fascia tutto il perimetro dell’isola, si
nera, soprattutto in Italia, un vasto movimento concentra, nella prima metà del Cinquecen-
di pensiero il cui ambito trascende i confini di to, nel riassetto e consolidamento delle città
interesse specificatamente militari, e si innesta maggiori e dei centri strategici più scoperti
in un filone che coinvolge il disegno, la com- della costa.
posizione e la geografia degli insediamenti. Palermo, capitale dell’isola, sarà oggetto del-
Le componenti ed il binomio struttura urba- le maggiori attenzioni e degli interventi più
na - struttura militare, entrano nel gioco di immediati, anche se alcuni lavori d’adegua-
un diverso rapporto: gli equilibri formali e mento delle vecchie mura erano stati avviati
le articolazioni spaziali tardo - medioevali si già da qualche anno: con un bando del 1499
piegano e si adattano alle nuove necessità, si era infatti già disposto di scavare un fossato
e la cultura dell’architetto dell’età umanistica attorno alla fortezza del Castello a mare e nel
lascia il posto alla specializzazione dell’inge- 1501 ci si preoccupava di dotare di alcuni
gnere militare. bastioni la città, mentre è del 1501 l’atto di
Tuttavia, di questo rinnovamento culturale, la concessione di Santo Spirito fatto dalla città
Sicilia ne è interessata solo di riflesso per la alla compagnia dei Bianchi di Monte Oliveto,
sua posizione di cerniera del Mediterraneo per lasciare il monastero dove verrà in seguito
e d’avamposto dell’Impero spagnolo verso i innalzato il baluardo dello Spasimo.
territori dell’Islam. Più che luogo di produzio- Il tema delle fortificazioni palermitane va con-
ni teoriche, l’isola diviene il campo ideale di siderato per il suo importante aspetto nel qua-
sperimentazioni, il terreno della pratica. dro strategico a livello non

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Pianta delle fortificazioni della città nel 1571

soltanto insulare, ma anche mediterraneo. Dal punto di vista geografico, è facile notare qua-
le importanza rivestisse tutta la Sicilia che, con il Corno d’Africa, garantiva il controllo dei
traffici navali del mediterraneo.
La Conca d’Oro, ponendosi quale fortezza naturale, con la sua corona di monti che chiude
l’orizzonte a quanti approdano in questa regione, sembra avere già determinato il suo destino
nel ruolo di avamposto del regno.
Nel 1535, Carlo V aveva posto le basi per un nuovo corso nel sistema strategico del mediter-
raneo: conquistando Tunisi, era infatti possibile avere il controllo di entrambe le sponde del
Canale di Sicilia. La grande opera delle fortificazioni che prende avvio nel corso di questo
secolo, cambierà profondamente l’immagine della città.
Nel 1536, l’ingegnere Ferramolino propone un’immagine della “città murata” disegnando
una pianta con il circuito bastionato e ponendo specificatamente il problema tecnico – archi-
tettonico in rilievo. Infine, ma non da ultimo, viene rivelato il rapporto in loco con le fortifi-
cazioni precedenti, dei singoli bastioni e delle porte urbane.

21
Questo è un momento particola-
re per la città, in cui il paesaggio
urbano e quello territoriale rag-
giungono un proprio autonomo
equilibrio, perfezionato nel Set-
tecento. D’ora in poi, la nozione
di paesaggio sarà oggetto di un
crescente interesse fino alla defi-
nizione di un campo disciplinare
specifico che non cessa ancora
oggi di essere indagato.
L’idea di città sottende la ricerca
che in questo periodo si preoccu-
pa di tradurre un modello ideale
in realtà, che vuole trovare la ri-
spondenza nell’organizzazione di
un’immagine unitaria che indivi-
dui la forma ideologica della città
e delle sue emergenze: le mura
e la croce di strade, il porto e le
porte, i moli ed i pontili, la Fonta-
na Pretoria ed i Quattro Canti, le
immagini simboliche del Grande
Vecchio, il “genio” di Palermo, le
Grandi Madri, le sante patrone, i
Grandi Padri, i Re.
Con l’abdicazione di Carlo V nel
1556, Filippo II di Spagna ave-
va ereditato la parte più ricca
dell’Impero. Oltre ai Paesi Bassi,
il dominio di Filippo si estendeva
sul ducato di Milano e sul regno
di Napoli, per poi ereditare nel
1580 anche la corona portoghe-
se e l’impero commerciale che da
Pianta dell’ingegnere Ferramolino, nel 1536
esso dipendeva: insomma, un Re-
gno sul quale non tramontava mai
il sole.
L’economia italiana del tempo era
ancora legata al predominio del
Mediterraneo, che aveva ormai
acquisito solide basi in Algeria,

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Carta di Braun e Hogenberg, 1581

e Marocco. Nella seconda metà del Cinquecento, la Spagna di Filippo II riprese la lotta per
contrastare il predominio turco nel mediterraneo, sostenuto nell’impresa dalle risorse dei
banchieri genovesi, la cui flotta navale le garantiva d’essere la maggiore potenza finanziaria
europea, grazie anche ai metalli preziosi che giungevano in quantità dalle colonie americane.
Cosi, il nuovo porto di Palermo doveva divenire base militare d’operazioni a scala mediterra-
nea secondo la strategia di riorganizzazione della flotta spagnola perseguita al fine di mettere
a segno la storica vittoria di Lepanto nell’ottobre del 1571, nella lunga battaglia antiturca.
Le componenti della struttura territoriale: il mare, la compagine urbana nel suo complesso,
con l’asse rettilineo del Cassaro a perno lineare della composizione e gli elementi fortificati
del perimetro, i giardini, i casali, le chiese ed i borghi.
Il ruolo assunto dalle mura urbane e dagli avamposti fortificati nel contesto descritto non è
quello di una rottura, di una continuità tra parte urbana e parte rurale: questa linea forte è
un momento di passaggio tra due mondi diversi, ma comunicanti.
Una città che, dopo avere rettificato la propria linea bisettrice, la prolunga, da una parte e
dall’altra, a fornire un’indicazione d’estensibilità infinita; Porta Nuova e Porta Felice sono
quasi due “Colonne d’Ercole” piantate all’estremità del Cassaro: l’una rivolta verso l’Europa,
l’altra verso l’Africa, e proprio in direzione di Tunisi, la città conquistata da Carlo V.
La costruzione delle mura cinquecentesche e la progressiva sostituzione delle torri, caratte-
ristiche del sistema difensivo medioevale, avvenne con la creazione di baluardi e di fronti
bastionate contenenti ampi siti piani, dei terrapieni delimitati da parapetti.

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Porta Nuova, Palermo

Si trattava di piccole piazze di grandezza sufficiente a svolgere le operazioni militari, in grado


di contenere un piccolo esercito di guastori e di soldati di ordinanza, munizioni e vettovaglie,
luoghi dove potersi ritirare in caso di attacco ed al tempo stesso maneggiare l’artiglieria che
occorreva a difendere la città.
Il sistema difensivo preesistente era da ritenersi senza alcun dubbio debole ed inadeguato
al modo di guerreggiare del tempo; gli ingegneri militari avevano previsto che i nuovi bas-
tioni si guardassero l’un l’altro, che le nuove mura fossero impugnabili e dotate di un ampio
fossato, anche se la realizzazione di quest’ultimo non avvenne a causa della difficoltà di re-
alizzazione, essendo il terreno di tufo.
Il progetto della “cintura di Ferro”, ideata da Ferramolino nella pianta del 1536, viene suc-
cessivamente redatto e pubblicato dal Di Giovanni nel 1571; questo importante documento,
copia di un originale in carta depositata a Firenze, fornisce solo le indicazioni sul sistema
perimetrale del quale vengono individuati i punti caratteristici,le porte, il castello, i baluardi,
ed alcuni elementi fortificati.
Nello stesso anno avviene l’inaugurazione della Fontana Pretoria, ideologizzata come centro
della conca d’oro, la cui importanza è determinante per le successive operazioni urbane, fino
alla creazione del “teatro del sole”. All’interno del perimetro delle mura, la città storica viene

24
Fontana di Piazza Pretoria, Palermo

riordinata secondo una concezione unitaria dello spazio urbano, che sottintende la conce-
zione unitaria dello Stato stesso: è la strada rettilinea, che si pone come strumento di mo-
dernizzazione della città medesima, attraverso un regolamento meccanico d’esproprio che
si estende alla strada quale veicolo di un principio innovatore, che ordina nel separare lo
spazio pubblico da quello privato. La strada rettilinea diventa lo strumento di una conoscenza
orientata dal progetto finalizzato alla trasformazione della realtà secondo un ordine raziona-
le. È espressione della cultura del ‘500 questa indole ordinatrice del disordine della natura a
volte imperfetta, dove l’architettura vince su di essa.
Questa chiave interpretativa rende possibile quanto avviene a Palermo con il taglio di via
Maqueda e la formazione della Piazza Vigliena all’incrocio con via Toledo; tutta la città com-
presa entro il perimetro delle mura viene ad essere quadripartita da un segno di croce.
Il segnale di un atto archetipico, affermatore di certezza, è l’atto che segue la conquista, la
presa di possesso di un territorio sconosciuto; è il segno che permette di definire, attraverso
l’incrociarsi di due segmenti, il punto come riferimento assoluto.
L’incrocio fra i due assi, tradendo la funzione originaria del Cassaro, assume il carattere di
centralità assoluta nel negare dialetticamente la totalità del costruito e definisce un ordine
tutto ideologico, che cancella quello della città reale, che resta dietro i nuovi fronti stradali.

25
1.3 il bast io n e d el lo s pasi m o

Il tema delle fortificazioni palermitane va considerato per il suo importante aspetto nel qua-
dro strategico a livello non soltanto insulare, ma mediterraneo.
Dal punto di vista geografico, è facile notare quale importanza rivestisse tutta la Sicilia, che
con il Corno d’Africa garantiva il controllo dei traffici navali nel mediterraneo. La Conca
d’Oro, ponendosi quale fortezza naturale con la sua corona di monti che chiude l’orizzonte,
sembra avere già determinato il suo destino nel ruolo di avamposto del regno.
Quando, nel 1536, si decise di dotare la città di baluardi per rafforzare le mura, l’area su cui
ricadeva il complesso dello Spasimo, allora fuori dal centro abitato, fu scelta per la costru-
zione di un “belguardo”, ed i monaci vennero trasferiti nel convento di S. Spirito, fuori dalla
città, nel 1575.
Tutto il fronte meridionale della chiesa venne incorporato nel bastione dello Spasimo, visibile
da via Lincoln, e lo spazio fu colmato da un terrapieno che occupava, dall’esterno, la vista
della chiesa, facendola somigliare ad un torrione di guardia.

26
1 . 4 l’ ha lisa h (ka lsa)

L’emiro Halil-ibn Ishaq fece


erigere, nel 937 d.C., una
cittadella fortificata, l’Halisah
(l’Eletta), su un’area di circa
8 ettari fra la Paleopolis ed il
mare; ciò con il fine di mette-
re al sicuro l’Emirato, con una
autonoma struttura fortificata,
dalle azioni sovversive che fin
dai primi tempi della conqui-
sta travagliarono la signoria
araba in Sicilia.
La cittadella, sede del potere
fatimita, era di forma trape-
zoidale e fu subito cinta da
mura, lungo le quali si apri-
rono quattro porte. Due di
queste, erano rivolte verso il
porto, che allora copriva l’a-
rea di piazza Marina: la porta
bab as-sanah e la porta Ko-
toma, in prossimità dell’attua-
le convento di S. Francesco
d’Assisi. Una terza porta era
rivolta verso sud (porta bab al
Futuh), ed una quarta verso il
quartiere del Cassaro (bab el
Bonud).
Individuare il perimetro esatto
della cinta muraria della Kal-
Dettaglio del quartiere Kalsa, dalla cartografia di Matteo sa è abbastanza difficile per
Florimi (1577-1581);
indicato con la freccia, il complesso dello Spasimo

27
diversi motivi: le mura non erano robuste come quelle del Cassaro, e soprattutto non segui-
vano un andamento naturale, dato dal corso delle acque e dai dislivelli altimetrici.
Si riporta di seguito un’ipotesi fatta da G. M. Columba.

Il tracciato della Halisah nella ricosttruzione di G.M. Columba

La Kalsa dunque costituì il primo grande tentativo di espansione urbana oltre le mura del
Cassaro, sebbene in realtà rimase per secoli quasi isolata rispetto alla città medioevale in
espansione, dalla quale era separata dal braccio di mare e dagli orti della Magione, che si
estendevano ad occidente del quartiere.
Attualmente, delle mura medievali delimitanti il quartiere, rimane qualche traccia.
Ad ogni modo, l’evento che più di tutti ha contribuito a dare alla Kalsa l’aspetto contempo-
raneo, riguarda l’addizione urbana del piano di porta dei Greci, di cui sopra.
In seguito a questa scelta di urbanizzazione, la Kalsa divenne la sede delle principali famiglie
dell’aristocrazia palermitana, come evidente testimonianza di volere mantenere un’autono-
mia dal potere vicereale (trasferito nel 1553 nel Palazzo dei Normanni), mantenendo un più
stretto legame con le sedi del potere cittadino (palazzo Pretorio) e parlamentare (Steri), grazie
anche alla rettifica dell’antico asse del Cassaro.

28
1 . 5 i b e n e d e t t i n i o li v e tani

I monaci Olivetani, dalla “cocolla” bianca (man-


tello con cappuccio), seguaci della regola di San
Benedetto, erano già presenti in Sicilia sin dal
1489.
Come narrano le cronache del periodo, riordina-
te da padre Olimpio da Giuliana, Placido Casta-
neda, abate del ricco ed importante convento di
santa Maria del Bosco di Calatamauro (in provin-
cia di Palermo), andato in Spagna “ s’era mirabil-
mente innamorato et invaghito… ” dei monaci di
quella congregazione per la perfetta osservanza
monacale della regola benedettina.
Più verosimilmente, con l’adesione ad una con-
gregazione non isolana, ( S. Maria in Monte Oli-
veto si trova a Chiusure, in provincia di Siena ), l’abate intendeva sfuggire alla coercizione
del potere vicereale, nel tentativo di far rispettare le esenzioni tributarie spettanti ai beni
ecclesiastici dipendenti direttamente da Roma. L’abate, però, abilmente, meditava a seguito
delle lotte tattiche del composito mondo benedettino e della più generale crisi dell’Ordine
stesso, di definire un’isola d’indipendenza, attraverso una forma di autonomia fiscale, anche
rispetto alla curia romana, che consentisse di spendere in Sicilia i tributi provenienti dall’isola
stessa.
Dopo la generale riforma benedettina del 1506, che aveva comportato sostanziali rinnova-
menti liturgici, la congregazione olivetana aveva dato avvio nel paese, come segno di rina-
scita e di affermazione culturale, all’ampliamento dei monasteri esistenti ed alla costruzione
di nuovi, commissionando per gli stessi numerose opere d’arte.
Non sfuggiva agli Olivetani di Sicilia l’importanza di inserirsi nella capitale del viceregno per
tutelare i propri privilegi fiscali.
Già nel 1505, senza successo, avevano tentato di radicarsi a Palermo, chiedendo all’Uni-
versitas Civium l’uso dell’antica abbazia di S. Spirito fuori le mura.Essi certo ambivano a
diventare nell’isola il principale riferimento per l’ordine, soprattutto dopo la tormentata e
poco convinta adesione dei monasteri siciliani alla generale riforma che aveva portato alla
scissione dei benedettini “neri” di S. Martino delle Scale.

29
1.6 gli o l i v eta n i a pa l erm o

La comunità di S. Maria del Bosco possede- abitanti della zona della Kalsa, nella quale
va già a Palermo corpose proprietà, frutto, in avevano favorito la realizzazione di diverse
prevalenza, di lasciti e donazioni intervenute fabbriche signorili fra la via Merlo e la via
nel tempo, come quelle sostanziose che nel Alloro. Sin dal 1480 erano stati promotori e
XIV secolo ebbero dalle famiglie Sclafani e finanziatori della realizzazione di una grande
Peralta. Ma né i luoghi si rivelarono utili per chiesa, dedicata a S. Maria degli Angeli (l’at-
la realizzazione di un complesso che fin dalle tuale Gancia), ubicata dentro le mura della
premesse i monaci avevano pensato in termi- città, in vicinanza dei terreni che, successiva-
ni di grandiosità e di immagine, né i denari mente, sarebbero stati donati dal giureconsul-
erano sufficienti per un’impresa così rischio- to Basilicò alla congregazione olivetana.
sa; per cui scaturì la necessità di trovare un Infatti, il 29 settembre del 1508, rogante il
munifico adepto che, abbracciata la causa notaio Pietro Taglianti, presenti fra Girolamo
olivetana, ne sposasse contenuti e costi. Uzzaghi, visitatore, e fra Benedetto da Mes-
Alle ragioni dell’opportunità, dettate dagli sina, abate di S. Maria del Bosco, il giure-
eventi in Sicilia, venne incontro il fatto che, consulto, già vedovo di Eulalia Resolmini, e
come riferiscono le “historiae olivetanae” suo erede universale, faceva la donazione dei
scritte nel 1623 dal perugino abate D. Secun- sopra citati terreni e case, e di una rendita di
do Lancellotto, fosse abate di S. Maria del Bo- 100 onze per la costruzione del monastero,
sco fra Benedetto da Messina, conterraneo di imponendo varie condizioni sulla costruzione.
Jacopo Basilicò. Fra le varie integrazioni dettate dal contratto,
Il giureconsulto, oltre che uomo potente a Pa- c’erano quelle che la chiesa dovesse essere
lermo, era per altro pio e devoto frequentato- completata entro i sei anni successivi e che a
re della comunità di Calatamauro. In questo Palermo non dovesse sorgere altro monastero
personaggio fu visto, probabilmente, il me- Olivetano. Inoltre, avrebbe dovuto prendere
cenate in grado di poter sostenere la grande la denominazione di “S. Maria dello Spasi-
opera, sia perché inserito nei gangli vitali del mo”, in evocazione dell’acuto dolore che la
potere vicereale, (fu patrocinante presso la Madonna aveva provato alla vista delle gran-
Gran Corte) sia perché cognato di Guglielmo di sofferenze di Cristo quando, sulla via del
Ajutamicristo, e sposato a Eulalia Resolmini, Calvario, era caduto sotto il peso della croce.
erede universale dei beni dell’antica e ricca Il Basilicò, peraltro, era anche a conoscenza
famiglia di origini pisane. che quell’evento era stato evocato.
I Resolmini, nei vari rami della famiglia, erano Celebrato già in un’altra chiesa, a Gerusa-

30
Apolloni a - G iovan n i Re solmin i r a i n e r i a j u ta m ic r isto

gi nev ra - eulalia - gi ac o m a -
pietro alliata jac o p o basi l ic ò g u g l i e l mo

a ndreatta - apollon ia p olisse n a - eulalia - raineri francesco pi e t ro -


pie tro dian a ba ro n e di ba i da f . s ca di b ologn a

antonio
(ramo pri nci pi di
v i llaf ranca)

lemme, dedicata appunto allo “spasimo” della Madonna, ubicata fuori dalle mura della città,
similmente a Palermo, in vicinanza ad una porta di accesso.
La bolla papale che autorizzava le fabbriche venne concessa da Giulio II il 18 settembre del
1509. La presenza strategica della congregazione benedettina a Palermo sembrava così vol-
gere a buon fine.
Le cronache cinquecentesche scritte dai religiosi, come riferisce il Di Marzo, raccontavano,
ovviamente, gli accadimenti con altre coloriture di più marcato sapore novellistico. Si dice
in esse che Eulalia Resolmini, moglie affettuosissima, prima di morire, raccomandasse al Ba-
silicò di usare i molti possedimenti e le ricchezze lasciatigli per un’opera che lui giudicasse
meglio “piacere a Dio”. Ed il marito venisse folgorato dall’idea di fondare in Palermo una
chiesa in onore della Vergine e di affidarla al culto dei monaci di Monte Oliveto.
Per tale opera offrì ai monaci una propria casa e dei terreni, vicino all’antica Porta dei Greci.
E perché i fedeli concorressero alle spese, Papa Giulio II dispensò indulgenze e grazie a chi
avesse contribuito con elemosine alla realizzazione di essa.

31
1.7 palermo ca pi ta l e d el v ice r egn o s pagn o lo

Nel 1415, all’estensione della dinastia dei Martini, con Ferdinando di Castiglia, aveva avuto
inizio il lungo viceregno spagnolo che comprendeva oltre alla Sicilia, il Regno di Aragona, di
Valenza, di Catalogna, Maiorca e Siviglia.
Palermo, capitale del viceregno, pur vivendo da lontano gli eventi che vedevano la Spagna
protagonista di guerre e di scontri interni, protesa alla conquista del “nuovo mondo”, assimi-
lava sempre più la cultura iberica alla quale l’isola era accomunata dagli analoghi trascorsi
delle dominazioni fenicia, romana e saracena.
Ad alimentare questa influenza contribuirono in maniera determinante gli scambi di uomini e
merci, e la presenza di molta nobiltà spagnola che era venuta a risiedere nell’isola.
L’influenza spagnola sull’isola fu forte fino al 1535, anno della visita di Carlo V.
Successivamente la corona, pur assicurandosi i tradizionali privilegi, preferì cedere al baro-
naggio spagnolo e locale il ruolo di protagonista della storia siciliana.
Questa maggiore autonomia coincise con l’affievolimento degli interessi economici nei con-
fronti dell’isola per la perdita di importanza delle rotte nel mediterraneo.

32
1 . 8 i r i f e r i m e n t i i n a r chi t e t t u ra

Il principale riferimento dell’architettura siciliana in quegli


anni è la Spagna. A partire dal ‘400, il gusto catalaneg-
giante si era cominciato ad infiltrare in Sicilia, fondendosi
con l’autonomo linguaggio architettonico dell’isola che,
raggiunto l’apice in età normanna, si era evoluto per tutto
il XIII, XIV e XV secolo nelle forme della cosiddetta archi-
tettura chiaramontana.
La Sicilia del ‘500, legata politicamente alla Spagna, a
differenza del resto della penisola, non aveva ancora ope-
rato la svolta definitiva verso le forme rinascimentali. Fin
dal XV secolo timide presenze protorinascimentali erano
filtrate dal settentrione d’Italia attraverso l’opera dei ma-
estri marmorei che anche nel XVI secolo continuavano ad
avere commesse esclusivamente per la realizzazione di
pezzi (capitelli, colonne e fregi), che venivano realizzati in
bottega e che pertanto nulla avevano a che vedere con
l’ideazione della costruzione.
In questo panorama, un “unicum” dell’architettura sicilia-
na del ‘500 è la chiesa dello Spasimo che, nella zona
del santuario, venne realiz-zata guardando alla spazialità
dell’architettura gotica. L’involucro di questo spazio goti-
co, però, non ha niente della concezione costruttiva gene-
ratrice di questo “stile”, che, dal sapiente equilibrio statico
Le quinte murarie dello Spasimo di strutture, in un gioco di spinte e contropunte, genera
l’ossatura della composizione stessa, nella quale le quinte
murarie sono semplici tompagni, solitamente molto sfine-
strati, e non murature portanti, come avviene invece nella
chiesa dello Spasimo. Lo stile gotico, del resto, anche nel
periodo di maggiore diffusione dello stesso, non si era mai
radicato in Sicilia. Ne erano arrivati echi con gli Svevi, ma
la forte caratterizzazione per l’architettura chiaramontana
aveva impedito alla nuova cultura di trovare terreno fertile
per il proprio attecchimento.

33
1.9 gli edi f ici r el igio si

Il convento dei Padri Minimi di San Francesco di Paola

La chiesa Siciliana prima della controriforma non disponeva di una valida organizzazione, né
tantomeno aveva disponibilità di fondi per la realizzazione di edifici religiosi.
Tra il finire del ‘400 ed il ‘500, la realizzazione di chiese sarà pertanto esclusivo appannag-
gio degli ordini religiosi e di quelle classi che avevano tratto grossi benefici economici dal
commercio. Queste classi erano formate dai discendenti di quei mercanti ed artigiani (Pisani,
Amalfitani, Genovesi), che si erano insediati nella città a partire dal XIII secolo, e che risie-
devano nelle aree gravitanti intorno al porto.
Fu questa pertanto la zona privilegiata per la realizzazione, ad opera delle comunità laiche,
di numerose chiese, tutte di devozione mariana: S. Maria della Catena, S. Maria di Portsal-
vo, S. Maria la Nuova, S. Maria dei Miracoli, tutti impianti accomunati dall’avere contenute
volumetrie, similari a quelle degli edifici civili.
Di contro, gli ordini religiosi che volevano invece rimarcare la loro presenza nel territorio,
crearono grandi complessi per i quali ebbero bisogno di più ampli spazi, reperibili solamente
fuori dalle mura.
Sorsero così extra moenia, insieme al convento di S. Maria dello Spasimo, quelli di S. Maria
della consolazione dei padri agostiniani (1513), vicino al molo nord ed oggi non più esisten-
te; dei Padri Minimi di S. Francesco di Paola (1518), dei Cappuccini (1533); dei Padri del
terzo Ordine di Francesco all’Annunziata alla Zisa (1582).

34
1 . 1 0 c o n f ig u r a zio n e at t ua le d e l q ua rt i e r e ka lsa

1 . 1 0 . 1 st r u t t u r a s o cio - m o r fo lo gica d e ll’ a re a

Tra le aree che compongono il Centro Storico Il tessuto urbano nel quartiere Kalsa è, inol-
di Palermo, il quartiere Kalsa è quello che ha tre, profondamente lacerato dalle grandi de-
raggiunto, forse, il più alto livello di degra- vastazioni provocate dai bombardamenti del
dazione fisica, sociologica ed ecologica, pur secondo conflitto mondiale.
possedendo numerosissime testimonianze sto- Alle devastazioni della guerra non è segui-
rico-artistiche. ta la ricostruzione, così che, ancora oggi, la
Il fenomeno del degrado dei valori urbani è maggior parte degli edifici distrutti è allo stato
evidente: una buona parte degli organismi di rudere; è questa una condizione particola-
architettonici più rilevanti è stata, nel corso re del centro antico di Palermo, che non ha
degli anni, abbandonata (residenze nobiliari, riscontro probabilmente in alcuna altra città
chiese, conventi) decomponendosi fisicamen- italiana ed europea, se si fa astrazione della
te. Parte rilevante della ricchezza di pensiero ex Berlino-est che, per la singolarità della vi-
artistico, conoscenza tecnica, operosità arti- cenda politica e per la vastità immane delle
gianale cumulata nelle opere (spesso anche distruzioni, ha avuto ben altra situazione sto-
opere d’arte e monumenti), è stata lasciata al rico-urbanistica. Nella condizione di rudere si
saccheggio ed alla violenza conseguenti alla trovano anche edifici architettonicamente di
condizione paradossale in cui le “opere” ven- pregio (Palazzo Bonagia e Castelreale per ci-
gono a trovarsi, ambigue, inutili presenze al tare qualche caso, o l’Oratorio dei Bianchi),
cospetto di un corpo sociale residuo cui sono e ciò conferisce ai guasti del tessuto urbano
estranee. una densità qualitativa assai rilevante.
Ma il deterioramento dei segni e dei significati Tali lacerazioni si aggiungono a quelle (per
del centro antico di Palermo assume rilevanza altro comuni a molte città italiane) avvenute
eccezionale soprattutto in riferimento al di- tra la fine del secolo XIX ed i primi decenni
sfacimento del tessuto residenziale, destina- del XX, a seguito di interventi di sventramento
to tradizionalmente alle classi meno abbienti, e trasformazione edilizia in applicazione dei
già povero nelle sue tipologie edilizie origina- Piani Regolatori e di Risanamento elaborati
rie, oggi fatiscente e cadente anche nelle parti dall’Amministrazione Comunale.
non abbandonate e angosciosamente abitate A tutto ciò sono da aggiungere le più
dagli extracomunitari. recenti manomissioni operate nel dopoguerra

35
dall’Amministrazione Comunale per la costruzione della via del Porto (poi abbandonata) nel
tratto tra piazza Marina e via dello Spasimo. Il degrado formale del centro antico, e cioè la
perdita dei significati delle forme architettoniche e della struttura urbana nel suo complesso,
in rapporto a valori d’uso attuali, si accompagna ad un profondo sconvolgimento della strut-
tura sociale e ad un angosciante disfacimento dell’ambiente.
Dal dopoguerra agli anni’70 è avvenuta, prima lentamente, poi una forma accelerata, una
mutazione radicale della società residente nel centro storico: prima l’esodo della gente de-
tentrice di ricchezza e di potere, poi quello, più massiccio per entità numerica, dei borghesi,
degli impiegati, dei mercanti, degli artigiani.
Successivamente, l’abbandono del centro storico da parte di consistenti gruppi di operai ver-
so i quartieri della nuova periferia, ha reso la società residua profondamente destrutturata.
Percorrendo le strade che attraversano il quartiere Kalsa, ciò che colpisce maggiormente

36
l’immaginario collettivo è il grande spazio vuoto della piazza della Magione definito, lungo
il suo perimetro, dalla chiesa normanna della Ss. Trinità alla Magione e dal complesso delle
costruzioni adiacenti fino ai piloni di ingresso del Teatro Garibaldi; lungo la via F.sco Riso
è definita dai fronti retrostanti la sequenza dei palazzi che hanno il loro ingresso principale
sulla via alloro (Palazzo Sambuca, all’estremità della via Vetriera, Palazzo Pandolfina, Palazzo
bonaccia ed una sequenza edilizia minore); verso il mare da una linea continua di palazzetti
sino al limite del Bastione, interrotta soltanto dalla facciata della chiesa intitolata ai Ss. Euro
e giuliano e dal vicolo dei Risorti.
Il Bastione dello Spasimo costituisce un forte segno di questa scena urbana, ponendosi non
più come limite (cinta muraria), ma come elemento di connessione con gli spazi di via Lincoln
e con i giardini dell’orto Botanico.
Verso via dello Spasimo, la piazza Magione è delimitata dalla massiccia presenza della scuola

37
38
elementare F. Ferrara (ad angolo con la via C. Rao) e dal muro della palestra comunale.
Questo spazio così definito ruota intorno alla chiesa e collegio della Sapienza, oggi funzio-
nante come centro religioso di assistenza per bambini portatori di handicap.
Analizzando i manufatti architettonici che prospettano sulla piazza, notiamo che la chiesa re-
staurata della Magione, in parte isolata dalle fabbriche adiacenti, rimane a vista sulla piazza
con la sua abside e per una parte dei locali adiacenti che inglobano il chiostro e la struttura
del vecchio convento.
Ambiti particolari si determinano anche tra la via Vetriera ed il Bastione dello Spasimo; tra
la chiesa ed il convento della Sapienza e le absidi della Magione in relazione alla piccola
facciata della chiesa di S. Euno.
Analizzando con maggiore attenzione ciascun ambito, si rileva che:
a. Il margine della piazza della Magione lungo la via F.sco Riso presenta, nella sua attuale
configurazione, un fondale notevole. Il palazzo Sambuca, all’angolo con la via Vetriera, si
affaccia sulla piazza col suo prospetto ottocentesco a due piani.
Il segno continuo sella balconata sottolinea la svolta su via Vetriera innestandosi, raccordato
da mensole, ad un cornicione più antico che individua la terrazza del palazzo.
Il palazzo Pandolfina, che sul fronte principale verso la via Alloro presenta un portale “Mar-
vugliano”, sul fronte verso piazza Magione ha un piano in parte demolito, mentre al piano
terreno mantiene una sequenza di arcate ribassate.
Tra i palazzi Sambuca e Pandolfina vi era un vicolo, oggi chiuso.
Del settecentesco palazzo Bonagia permangono i ruderi dell’antico edificio con lo scalone
scenografico opera di Andrea Giganti.
L’edilizia di piccole case, in parte distrutte, costituiscono la chiusura del lotto verso la piazza.
All’angolo con vicolo Caccamo all’Alloro vi è un palazzetto neoclassico.
b. Il margine di via Vetriera è costituito da edilizia residenziale del ‘600 e ‘700, e forma il
fronte, verso piazza Magione, architettonicamente più interessante.
Tra via Vetriera e via F.sco Riso vi è uno spazio vuoto, un tempo occupato da capannoni e da
costruzioni provvisorie.
c. Il margine di via dello Spasimo presenta due nuclei diversi: l’uno costituito dal complesso
monumentale dello Spasimo, l’altro da insediamenti artigianali.
All’angolo tra via dello Spasimo e piazza Carlo Maria Ventimiglia vi è la facciata dell’Orato-
rio dei Bianchi, con le sue grandi arcate, rimasta incompiuta.
Diverso è il contesto della via Alloro, che costituisce un segno unitario individuabile in tutta
la sua lunghezza, dalla via Roma fino al mare.
Questa caratteristica di cannocchiale prospettico risulta di grande interesse, se relazionata ai
grandi spazi della Magione e del piano a mare.
Nella parte alta di via Alloro, l’alveo è più largo ed accoglie, ad angolo con la via A. Pater-
nostro, edifici con i piani terra adibiti a botteghe.
I prospetti hanno una giacitura orientata in modo diverso uno dall’altro e non “solidarizza-
no”, in modo da creare continuità di fronti, ma piuttosto si configurano come “elementi”,

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l’alveo è infatti segnato dai cantonali dei palazzi che scorrono sul filo della strada e da rien-
tranze (come avviene, per esempio, in corrispondenza dell’Oratorio di S. Maria dell’Ittrio dei
Cocchieri).
Palazzo Castrofilippo, con la sua alta e compatta facciata sulla strada, col suo basamento
chiuso e fortificato, è il primo elemento di una partitura architettonica composta dai palazzi
Bonagia, Sambuca e Pandolfina.
Da via Vetriera, verso il mare, la via Alloro si distingue in due sequenze fondamentali: una più
dinamica, ritmata dall’alternarsi dei vicoli fino alla chiesa della Gancia; l’altra, più lineare,
definita dalla continuità dei muri di Palazzo Abatellis e dalla chiesa della Pietà.
Confine meridionale dell’area di studio è la via Garibaldi, il cui tracciato, risalente al secolo
XIII, è eccezionale per la sequenza di prospetti monumentali che istituiscono un rapporto di
continuità reciproca.
Da una parte troviamo i settecenteschi palazzi Burgio e Sapienza. Dall’altra, i palazzi Torre,
Ajutamicristo e Trigona. Le ampie e profonde corti di questi ultimi, connettono la stessa strada
con gli spazi della Magione, e con il teatro Garibaldi.
In particolare, palazzo Scavuzzo-Trigona, con la sua facciata principale (nella quale si trova il
portale di ingresso al cortile interno) su piazza Rivoluzione, definisce non solo il cantone tra
questa e la via Garibaldi, ma anche l’impronta architettonica della piazza.
Le vie Butera, Torremuzza e Nicolò Cervello, costituiscono un solco, ad andamento ovest-est,
che collega il grande asse del Cassaro con la strada esterna alle mura, la via A. Lincoln (detta
anticamente “strada di S. Antonino”).
Questo solco è un lungo spazio rettilineo interrotto dal grande invaso di piazza Kalsa, ultima
strada settecentesca dentro le mura urbane.
Questo rettilineo si può suddividere in tre parti:
1. Da piazza S. Spirito alla via Alloro (esterna all’area di studio);
2. Da via Alloro sino a piazza Kalsa.
All’angolo di via Alloro si trovano la chiesa della Pietà e l’omonima piazzetta che dilata, con
la complicità della Salita Mura delle Cattive, lo spazio ristretto della strada, dando modo di
ammirare il prospetto a forti aggetti della chiesa. Ad ovest si trova il neoclassico palazzo Tor-
remuzza che, con le sue fronti terse ed ariose, prepara l’allargamento dello spazio di piazza
Kalsa. Sul lato est il palazzo Petrulla, la chiesa di S. Mattia ed il Noviziato dei Crociferi, de-
terminano un allineamento di altissima qualità architettonica.
Piazza Kalsa è uno spazio di grandi dimensioni, i cui fronti sono definiti, ad ovest, dalla chiesa
di S. Teresa e dai resti dell’ex convento (oggi Istituto delle Artigianelle); ad est il sistema delle
Mura e Porta dei Greci; il fronte nord è costituito da un’edilizia seriale più modesta sopra la
quale spicca il prospetto laterale della Casa dei Crociferi; il fronte a sud è formato da unità
strutturali costruite sulle antiche mura, e che sfruttano i dislivelli esistenti con un complesso
sistema di collegamenti orizzontali e verticali.
3. La via Nicolò Cervello è l’ultimo tratto del solco in oggetto, e presenta delle
diversità rispetto ai tratti precedenti, infatti mostra due allineamenti - che si fronteggiano con-
cludendosi in una esedra - di strutture minori dalle caratteristiche piuttosto uniformi.

40
41
È soprattutto presente, seppur quasi invisibile, il tracciato delle antiche mura di cinta della cit-
tà, lungo il quale trovano sede il Palazzo Forcella-De Seta e Porta dei Greci, il complesso oli-
vetano dello Spasimo, l’Oratorio dei Bianchi, la Chiesa della Magione (SS. Trinità), ed infine,
a ridosso della via Garibaldi, la Chiesa di S. Venera che, nel 1681, prese posto del bastione
di Porta di Termini. Dal bastione Vega si diparte, sulle mura, una tela di edilizia ottocentesca
costituita da “palazzetti” su piazza Kalsa e da “catoi”, oltre l’Arco di S. Teresa, fin quasi a
lambire lo Spasimo, note come mura di S. Teresa per la vicinanza alla chiesa di S. Teresa in
piazza Kalsa. Le mura ormai sono state inglobate completamente nell’edilizia. Del bastione
dello Spasimo, il più esteso e munito della cinta muraria cinquecentesca, attualmente rimane
la parte a scarpa dell’orecchione visibile da piazzetta del Pallone, il terrapieno del giardino
soprastante annesso alla chiesa di S. Maria dello Spasimo, uno sporto visibile dal cortile
del Giuoco, che attornia il residuo giardino formante l’esedra di rispetto di fronte l’ingresso
dell’Orto Botanico. L’intersecarsi di questi assi ed il tracciato delle mura, lungo i quali si sno-
da e sviluppa tutto il quartiere, crea delle situazioni molto interessanti, con grosse potenzialità
da valorizzare. Prima tra tutte la presenza di molti chiostri e giardini, legati sia alla numerosa
presenza di impianti monastici, che alla dismissione delle mura difensive della città.

42
43
1.10.2 sin t esi d ei mu ta me n t i catasta li

Carta Lossieux del 1818

Dal 1860 in poi, le trasformazioni dell’area compresa tra la Magione e lo Spasimo, nel quar-
tiere Kalsa di Palermo, sono ben documentate attraverso i catasti del 1877, 1930 e 1954.
Dalla carta del 1877 si nota come l’edilizia minore presente su via dello Spasimo si fosse
sviluppata al margine del giardino, dietro il convento di S. Maria degli angeli alla Gangia.
Analizzando anche la carta storica del Lossieux (1818), possiamo ben affermare che la sua
edificazione è avvenuta tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX secolo.
Insieme al complesso dello Spasimo, adattato nel 1854 a Sifilicomio e, dopo il 1860 ad
Ospedale “Principe Umberto I”, sono presenti nell’area immediatamente contigua altri edifici

44
Carta Mortillaro del 1847

monumentali, quali l’Oratorio dei Bianchi, costruito nel 1681; l’ex chiesa della Madonna
della Vittoria, costruita alla fine del secolo XV.
Procedendo verso mare, lungo la via dello Spasimo, è possibile notare come scarse trasfor-
mazioni si siano verificate nel tessuto edilizio tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX.
L’intervento maggiormente rimarchevole è stato la demolizione di parte dei Magazzini del
Senato, un edificio dalla mole imponente se paragonato all’edilizia minuta che, ancora oggi,
sorge sull’altro fronte della strada.
Tale demolizione venne effettuata per dar luogo all’attuale piazza Carlo Maria Ventimiglia.

45
1.11 la ch i esa d el l e o r igi n i

La costruzione della chiesa veniva iniziata nel dicembre 1509.


L’impianto delle origini era ad unica navata, con un breve transetto, coro ed abside, affiancati
lateralmente da due cappelle con ingresso dal transetto stesso. Altre cappelle si aprivano sul-
la navata in numero di quattro per lato. Precedeva la chiesa un portico di ingresso affiancato
da due avancorpi coperti a cupola.

Pianta della chiesa dello Spasimo redatta


dal canonico A. Mongitore

46
1 . 1 2 la sto r i a d e llo s pasimo

La chiesa di Santa Maria dello Spasimo, con La comunità di Santa Maria del Bosco posse-
l’annesso ex Ospedale principe Umberto, deva già a Palermo corpose proprietà, frutto,
si trova nel mandamento Tribunali, vicino a in prevalenza, di lasciti e donazioni interve-
quella parte di città antica detta Kalsa. nute nel tempo, come quelle fatte dalle fami-
In periodo normanno, la chiesa era già rac- glie Sclafani e Peralta nel XVI secolo. Ma per
chiusa, con gli altri quartieri della città, all’in- la costruzione di un complesso che i monaci
terno di una nuova cinta muraria che rimar- avevano pensato in termini di grandiosità, tali
rà tale fino a tutto il XV secolo. La chiesa di lasciti non erano sufficienti. È attorno al 1506
Santa Maria dello Spasimo verrà realizzata ai che inizia la storia dello Spasimo, quando il
limiti del perimetro della cittadella. Fuori da giureconsulto palermitano Giacomo Basilicò
questa cortina, sul lato meridionale, oltre la dona ai padri di Monte Oliveto terreni e rusti-
prima Porta dei Greci, verso il fiume Oreto, ci per edificarvi chiesa e convento.
si estendeva un piano lievemente digradan- Il Giureconsulto, oltre che uomo potente a
te, detto di Sant’Erasmo. Su questo piano si Palermo, era peraltro pio e devoto frequenta-
trovavano i terreni, le vigne e le fabbriche del tore della comunità Olivetana; in questo per-
giureconsulto Jacopo Basilicò, d’origine mes- sonaggio fu visto, probabilmente, il mecenate
sinese, uomo di prestigio e di potere. Ed è in grado di poter sostenere la grande opera,
su questi terreni, donati dal Basilicò nel 1506 sposandone contenuti e costi. La costruzione
ai padri di Monte Oliveto, che realizzeranno della chiesa veniva iniziata nel dicembre del
la chiesa ed il convento di Santa Maria del- 1509. La denominazione fu voluta proprio dal
lo Spasimo. I monaci Olivetani, seguaci della Basilicò per la sua particolare devozione ver-
regola di San Benedetto, erano già presenti in so la Madonna che soffre dinanzi al Cristo in
Sicilia fin dal 1489. Dopo la generale riforma croce, per tale ragione commissionò anche,
Benedettina del 1506, che aveva comportato nel 1516 quello che sarà il celebre dipinto di
sostanziali rinnovamenti liturgici, la congre- Raffaello Sanzio.
gazione Olivetana aveva dato inizio nel pa- Il dipinto fu oggetto di vicende travagliate.
ese, come segno di rinascita ed affermazione Nel 1520 la tavola era collocata allo Spasi-
culturale, all’ampliamento dei monasteri esi- mo, nella cappella Basilicò, all’interno dell’e-
stenti ed alla costruzione di nuovi, commis- dicola realizzata, tra il 1518 ed il 1519 da
sionando per gli stessi numerose altre ope- Antonello Gagini. La chiesa si arricchiva di al-
re: segno, questo, dell’ambizione a diventare tre cappelle, tra cui la cappella Ansaloni che
nell’isola il principale riferimento dell’ordine. lo stesso Gagini realizzò nel 1525 scolpendo

47
Interno della chiesa di S M. dello Spasimo
nella litografia di Minneci e Filippone (1834)

la celebre “Madonna del Buon Riposo”, oggi esposta alla Galleria regionale di Palazzo
Abatellis. I lavori di costruzione della chiesa e dell’annesso convento andarono avanti per
parecchi anni; il complesso però non venne mai completato perché, nel 1536, l’aggravata
minaccia dell’armata turca e la volontà di affermazione della politica estera della grande
potenza spagnola, indussero il viceré di Sicilia, Ferrante Gonzaga, ad affidare all’ingegnere
militare Antonio Ferramolino il potenziamento della difesa militare dell’isola, con particolare
riguardo per Palermo, modificando il sistema difensivo normanno della città.
L’area su cui ricadeva il complesso, a quei tempi fuori dal centro abitato, fu scelta per la co-
struzione di un baluardo secondo un disegno che racchiudeva tutta la città, trasformandola
in una rappresentazione simbolica degli ideali dell’epoca.
La riorganizzazione del sistema difensivo si impose come necessità primaria in quanto, con
l’introduzione delle armi da fuoco e dell’artiglieria, il sistema fortificato della città non risul-
tava più efficace, ed andava urgentemente ammodernato. La cintura medievale, con torri e
cortine, venne sostituita con una nuova cinta muraria bastionata, che rimase inalterata fino
al settecento.

48
Tutto il fronte meridionale della chiesa venne
incorporato nel bastione dello Spasimo, visi-
bile da via Lincoln, e lo spazio fu coronato da
un terrapieno che occultava, dall’esterno, la
vista della chiesa, facendola somigliare ad un
torrione di guardia. Così, l’area su cui rica-
deva la chiesa ed il convento, inizialmente al
di fuori del perimetro murato, finì col ricadere
all’interno della nuova cerchia di mura, modi-
ficando sostanzialmente anche la vita dei frati
e le sorti del complesso.
Abbiamo infatti una prima notizia sulla fun-
zione sanitaria dell’edificio dello Spasimo nel
1558, anno in cui una grave pestilenza co-
strinse ad albergare gli appestati proprio nei
suoi locali, essendo insufficienti i posti letto
dell’ospedale grande.
...e lo spazio fu coronato L’edificazione del baluardo di difesa nei suoi

da un terrapieno che pressi, finì con compromettere l’attività dei pa-


dri Olivetani che, nel 1573, furono costretti a
occultava, dall’esterno,
vendere gli immobili di loro proprietà al sena-
la vista della chiesa, to palermitano, per trasferirsi nel convento di
Santo Spirito, fuori le mura.
facendola somigliare ad
Il bastione dello Spasimo fu il primo ad
un torrione di guardia... essere realizzato.

Sezione della chiesa di S M. dello Spasimo


fossato e terrapieno

49
Planimetria del piano terra della chiesa e del complesso ospedaliero (1883):
in evidenza, la “chiesa nella chiesa”.

I locali conventuali, già in parte magazzini, vennero definitivamente acquistati nel 1575.
La chiesa divenne il teatro della città, in sostituzione agli spazi adiacenti al Palazzo Pretorio.
La grave epidemia di peste del 1624, e la conseguente necessità di integrare gli spazi ospe-
dalieri a Palermo, impose la trasformazione di parte del complesso monumentale in “lazza-
retto” per gli ammalati, che però furono ben presto trasferiti altrove per la pericolosità delle
fabbriche. Cessata l’epidemia, molti degli ambienti dell’ex convento vennero trasformati in
magazzini di grano e cereali; mentre nel 1674, nella grande navata, riprendeva l’attività tea-
trale che si protrasse fino al 1693, anno in cui aprì i battenti il nuovo teatro di Santa Cecilia.
D’ora in poi, la navata verrà utilizzata per il rimessaggio del grande traino ligneo del carro
di Santa Rosalia.
Dal 1835 i locali vennero trasformati in “deposito di mendicità”, per effetto di un regio de-
creto. Gli stessi magazzini furono utilizzati come deposito in periodo risorgimentale, quando
nel 1852, il governo borbonico decise di rimuover il genio di Palermo da Piazza Fieravecchia,
ritenendolo simbolo pericoloso e depositando, vasca compresa, nei magazzini; per farlo tor-
nare al suo posto solo dopo il 1860.
Nel 1855, con l’ubicazione di alcuni corpi di fabbrica del Sifilicomio, “ospedale meretricio”
nella direzione dell’epoca, lì trasferito dall’Ospedale Grande di Palazzo Sclafani, iniziarono
le radicali trasformazioni ottocentesche del complesso.
I corpi di fabbrica settentrionali venivano rifatti nel 1864, mentre nella navata scoperchiata fu
realizzato un giardino, e sopra le corsie laterali furono costruite le corsie ospedaliere.
Dopo l’unità d’Italia tornò ad essere utilizzato come deposito di merci varie, ivi compresa la
neve proveniente dalle montagne, quì raccolta per rinfrescare le bevande d’estate e per la
preparazione dei gelati del tempo.

50
Il transetto, il coro e l’abside usati per modellare al vero il prospetto del
Palazzo delle Poste di Palermo (1930)

A partire dal 1888, con l’abolizione del Sifilicomio, la struttura passò a carico dell’Ospedale
Civico, con la dizione “Ospedale Principe Umberto”.
Nel 1892, in occasione dell’Esposizione Nazionale, la chiesa dello Spasimo venne messa in
“buon aspetto”, mentre nel 1893 un progetto redatto dall’architetto Francesco Valenti preve-
deva la demolizione dei tompagni che chiudevano le arcate delle cappelle laterali.
Nel 1909 si fecero dei lavori di risistemazione della stradella d’ingresso e per la creazione di
una rampa per accedere al bastione.
Dai primi del novecento, la chiesa venne utilizzata come spazio di creazione di modelli scul-
torei ed architettonici, ma anche come deposito di materiale artistico di pregio. Tale materiale
proveniva in genere dagli sventramenti operati sulla città storica, per effetto di tagli di strade
e piazze, ma anche da chiese e palazzi bombardati, danneggiati e poi demoliti in conseguen-
za del secondo conflitto mondiale.

51
Frammenti lapidei provenienti da varie parti della città

Tra gli altri progetti, vi erano le lapidi provenienti da varie parti della città, alcune delle quali
in lingua spagnola, e le parti smontate del portale della chiesa del Castellammare, mentre la
fontana proveniente dal demolito monastero annesso alla chiesa della Concezione al Capo,
ha trovato una sua collocazione nel cortile del chiostro cinquecentesco.
Nel 1940, a causa del terremoto, si determinarono lesioni alle strutture murarie dell’ex chie-
sa, e la situazione si aggravò nel 1968, quando un terremoto ancora più forte compromise la
situazione di alcuni corpi di fabbrica, già dissestati per la carenza di manutenzione nel tempo.
Nel 1988 avevano inizio i primi lavori di recupero.

52
Frammenti lapidei provenienti da varie parti della città

Si provvedeva così al consolidamento degli archi del transetto, delle volte del coro e dell’ab-
side, e di tutti gli elementi che erano stati danneggiati dal crollo del 1986; nello stesso anno
si provvedeva alla liberazione del portico d’ingresso da aggiunte e superfetazioni, scoprendo
così il porticato che oggi è possibile ammirare.
Successivamente nel 1995 si realizzano interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria:
si liberarono e si riorganizzarono gli spazi attorno alla chiesa.
Ancora oggi lo Spasimo, seppur le fabbriche siano state in massima parte recuperate, appare
come un cantiere in continua ristrutturazione.

53
1.13 i l deg r a d o e l ’a bba n d o n o

Le condizioni della chiesa prima del restauro

La molteplicità degli usi, il lungo abbandono, la totale mancanza di manutenzione di cui è


stato oggetto questo impianto, può far comprendere lo stato di precarietà raggiunto dalle
strutture ed il loro lento ed inesorabile volgere verso la condizione di rovina.
Già nel 1931, l’alluvione aveva provocato danni alla chiesa.
Rischi di crollo venivano segnalati per un muro ed un arco ogivale.
Nel 1940, a causa del terremoto, si determinarono lesioni alle strutture murarie dell’ex chie-
sa, che interessavano anche le corsie del reparto di tisiologia, realizzato sopra le cappelle del
lato meridionale. Nel 1957, per la caduta di pietre, sempre sul reparto tisiologico, la soprin-
tendenza ai monumenti della Sicilia occidentale provvide alle opere urgenti. Il forte terremoto
del 1968 aggravò notevolmente le condizioni di instabilità di alcuni dei corpi di fabbrica del
complesso, già dissestati per carenza di manutenzione nel tempo, difetti costruttivi, vetustà.
Nel 1982, a seguito di sopralluoghi effettuati da tecnici, si segnalava ancora una volta il pro-
gredire delle lesioni ad andamento verticale, ormai vistosissime, che interessavano per tutta
l’altezza, in entrambe le testate, la muratura di grosso spessore del cosiddetto “cavaliere”,
addossato a metà Cinquecento, senza ammorsature, alla struttura della chiesa. Il collasso
della imponente struttura militare sopra il piano del bastione avveniva l’11 dicembre del
1986.
Il monumento, dissestato e lesionato, rischiava oramai il tracollo definitivo.

54
L’abside prima del restauro

55
1.1 4 i lavo r i di r estau r o e le m a n u t e n z io n i

Risolti i conflittuali problemi


della proprietà degli immobili,
nel 1988 avevano inizio i primi
lavori di recupero.
E con gli interventi portati avanti
in quegli ultimi anni dall’asses-
sorato regionale dei beni cultu-
rali ed ambientali, per tramite
della soprintendenza di Paler-
mo, si procedeva ad un restau-
ro che, pur se non ancora este-
so a tutti gli ambiti del grande
complesso, tuttavia consentiva
l’accessibilità a notevoli parti di
esso.
Con tali lavori, a costi conte-
nuti, e sfuggendo alle insidie di
possibili progetti multimiliardari
di stravolgimento dei luoghi, si
provvedeva al consolidamento
degli archi del transetto, delle
volte di coro ed abside, dan-
neggiate dal crollo del 1986;
alla liberazione del portico
di ingresso da aggiunte e su-
perfetazioni, ricostituendone
la copertura, alla liberazione
dell’annesso avancorpo, sor-
montata dal tiburio ottagono e
dalla cupola emisferica final-
mente tornata a vista, alla ria-
Le volte ed il coro dell’abside
dopo il restauro
56
pertura delle grandi monofore
dell’abside e del prospetto di
ingresso principale, e di quel-
le che davano luce alle cap-
pelle della chiesa. In parallelo,
si procedeva al restauro delle
grandi superfici murarie interne
ed esterne.
Ma i consolidamenti ed i re-
stauri, da soli, non garantivano
fruibilità ed utilizzabilità di quei
luoghi ancora ingombri di ma-
teriali lapidei caoticamente di-
sposti, i cui percorsi di accesso
erano ricoperti da materiali di
risulta, in cui mancava ogni for-
ma di servizio elettrico, idrico e
sanitario.
Altrettanto importanti risulta-
vano pertanto gli interventi di
manutenzione ordinaria e stra-
ordinaria realizzati nel 1995 di-
rettamente dall’Amministrazio-
ne Comunale di Palermo. Con
tali lavori, si liberavano e rior-
ganizzavano gli spazi attorno
alla chiesa, rendendo ripropo-
nibile alla pubblica fruizione il
complesso nelle sue parti prin-
cipali.
Questo bel risultato positivo ve-
Gli archi ed i timpani del transetto
dopo il restauro
57
niva raggiunto non soltanto per la volontà
operosa delle amministrazioni interessate, re-
gionale e comunale, rispettose l’una dell’altra,
delle proprie prerogative in un clima estrema-
mente costruttivo di sorprendente “norma-
lità”, ma anche per il determinante grande
impegno e la notevole dedizione di tutte le
maestranze coinvolte nell’operazione di recu-
pero: l’impresa Geosud, esecutrice dei lavori
di restauro per contro della soprintendenza,
gli operai comunali assunti con il decreto leg-
ge n.24/86, quelli della cooperativa Pretoria
e Bellini, quelli dell’azienda municipalizzata
Igiene Ambientale, dell’azienda del gas, della
ripartizione ville e giardini che, coordinati dai
tecnici comunali, insieme alle qualificate ma-
estranze ed alla professionalità dei tecnici del
teatro Massimo, intervenuti per l’impianto di
Prospetto e pianta degli archi
illuminazione, rendevano possibile, nei tempi del chiostro
programmati, l’apertura dello Spasimo .
Fondamentale risultava anche il contributo di un gruppo di professionisti, definitisi eufemisti-
camente “spasimanti”, che, volontariamente e la soddisfazione civica di essere di ausilio alla
crescita della città, offrivano le loro idee e la loro capacità organizzativa perché l’evento di
organizzazione, ben curato, assumesse quel valore simbolico di riscatto e di speranza, per una
migliore convivenza civile attorno ad una importante occasione di recupero della città stor-
ciate delineando anche una possibile nuova metodologia di lavoro di gruppo a servizio delle
istituzioni.
Alla fine del 1995, dopo l’intensa estate di riapertura dello Spasimo, riprendevano i lavori di
manutenzione ordinaria. Una più attenta lettura delle compagini murarie degli ambienti ospe-
dalieri soggetti alle trasformazioni ottocentesche, il ritrovamento di strani ingrossi nei muri,
di peducci e di volte a crociera in muratura, sollecitava ulteriormente saggi e verifiche delle
strutture murarie stesse delimitanti la corte dell’ex Ospedale, nell’ipotesi che un impianto più
antico si celasse sotto l’abito ottocentesco. È stato così che, sotto strati di intonaco e fodere
murarie, sono comparse le prime strutture, rivelatesi poi non un fatto episodico, una singola
archeggiata, ma un’intera ala del chiostro, leggibile in tutte le sue parti.
L’eccezionalità dell’evento ed il discreto stato di conservazione hanno suggerito e consentito di
riproporre il chiostro alla città ancor prima di effettuare i lavori di restauro.

58
Transetto, coro ed abside illuminati
per il concerto di riapertura dello Spasimo

59
2 ANALISI STORICO-
CRITICA DEL MONUMENTO

2.1 il ch io st r o

Entrando da via dello Spasimo


nei locali dell’ex Ospedale Prin-
cipe Umberto, e superato l’an-
drone, si scorgono sul fianco
sinistro del cortile ottocentesco,
le prime arcate di uno dei lati
del chiostro cinquecentesco,
parte integrante dell’originario
monastero che, nelle intenzioni
degli Olivetani, avrebbe dovu-
to sorgere grandioso come la
chiesa, ma che invece per gli
eventi che lo coinvolsero, non
venne mai ultimato. Di questo
chiostro, venuto alla luce come
detto, in seguito ai restauri di
liberazione dei primi mesi del
1996, si era persa memoria.
Le prima cartografie della cit-
tà di Palermo, come quella di
Orazio Maiocco e Natale Boni-
fazio edita a Roma dal Duchetto
nel 1980, e le successive, come
quelle del Cartaro e di Braun
Hogenberg, rappresentavano
accanto alla chiesa di S. Maria
dello Spasimo, nel suo lato di
nord-ovest, dei corpi di fabbri-
ca allungati, in apparenza por-
La parete settentrionale del cortile dell’ex ospedale prima e dopo il ticati, della cui esistenza e de-
ritrovamento di un lato del chiostro

60
Il lato del chiostro cinquecentesco rinvenuto e liberato

scrizione non sembrava trovarsi traccia e pensione alcuna nelle documentazioni d’archivio
esplorate dagli studiosi, anche in periodi recenti.
Anche nelle antiche descrizioni che del complesso avevano fatto il Mongitore, nel 1718, ed il
Di Marzo, nel 1862, non si faceva cenno a parti monumentali significative diverse da quelle
della chiesa. Non poco ci aveva sorpreso, quindi, il ritrovamento di un disegno datato 1845,
conservato nell’archivio della galleria regionale di palazzo Abatellis, nel quale in pianta, se-
zione e prospetto veniva rappresentato un tratto di portico, e sul quale era riportata la dizione
“archi dello Spasimo” e sotto, a matita, “chiostro dello Spasimo”.
Grande fu pertanto l’emozione quando, attraverso verifiche incrociate tra i dati delle ricerche
iconografiche di archivio ed i saggi sul luogo, si pervenne alla sua riscoperta.
Lo sviluppo planimetrico del chiostro, progettato e probabilmente mai ultimato, circa 30 me-
tri di lunghezza, ci dice subito della rilevanza che lo stesso doveva assumere all’interno del
complesso monasteriale. Le arcate riportate alla luce, sei sul cortile, e le altre due nei locali
a seguire verso la chiesa, poggiano su piedritti di sostegno compositi, costituiti da un pilastro
centrale parallelepipedo, affiancato lateralmente da mezze colonne con capitelli.
Il pilastro presenta sul prospetto interno un incasso a cornice chiusa, mentre in esterno è
ancora da intagliare, e ciò avvalora l’ipotesi che il chiostro non venne mai ultimato. I capi-
telli sono, alternativamente, di due tipologie, entrambi con motivi di ornato naturalistici, di
derivazione classica: una prima, con foglie d’acanto, ovuli e volute; ed una seconda con una
doppia fascia di palmette stilizzate.

61
Dettaglio del prospetto del chiostro

Sui capitelli si impostano archi a tutto centro, con modanatura a sezione mistilinea (gusci, tori
e tratti rettilinei). Le volte di copertura sono a crociera, poggianti su peducci di due differenti
modelli: uno più semplificato, e l’altro con intagli a fogliami alla maniera catalana.
Il chiostro venne realizzato successivamente al 1536.
I monaci scelsero quest’area, a nord della chiesa, in alternativa a quella a meridione, dove
avevano programmato di edificarlo prima che lo stesso sito fosse scelto per la realizzazione
del bastione.
Come per la chiesa, anche il chiostro ha un modello di riferimento non isolano.
La spazialità d’insieme, l’uso del piedritto composito, risultano inusuali rispetto alle realizza-
zioni coeve dell’isola, e sembrano guardare sia alla cultura romanica di area lombarda, filtrata
in Sicilia direttamente dalla penisola, che a quella importata dalla Spagna e dalla Catalogna
in particolare, dove maestranze lombarde avevano istruito intere generazioni di intagliatori di
pietra. Gli esecutori furono maestri lapicidi locali, sotto le cui mani prenderanno forma, alla
maniera gotico-catalana, le archeggiature e gli elementi del decoro, sia delle “picos” annic-
chiate agli spigoli, che dei peducci a fogliame sui quali si impostano le volte a crociera.
La riscoperta del chiostro aggiunge oggi un importante nuovo tassello allo studio dell’ar-
chitettura cinquecentesca, soprattutto in relazione al passaggio verso le forme nuove, ed in
particolare nell’evoluzione della tipologia dei chiostri, realizzati a Palermo, che a partire dalla
seconda metà del secolo, diventeranno compiutamente rinascimentali.

62
2 . 2 la chi esa

La chiesa nel dipinto ad olio di G. B. Carini

63
Analisi dei rapporti dimensionali del prospetto

L’impianto di Santa Maria dello Spasimo è di matrice tardo-gotica e, secondo lo Spatrisano,


risente dell’influenza lombarda nell’organizzazione spaziale oggi, visibile soltanto nel pre-
sbiterio e nell’abside. Le modanature ed i particolari decorativi, invece, riflettono le forme di
derivazione catalana. Il maestro Antonio Belguardo ebbe un ruolo attivo nella realizzazione
della chiesa, a lui si attribuiscono le crociere di copertura ed il loggiato nel cortile. L’esten-
sione planimetrica di quest’ultimo (progettato, ma probabilmente mai ultimato) di circa trenta
metri di lunghezza, ci suggerisce l’importanza che esso doveva rivestire all’interno del com-
plesso monasteriale. L’assetto del pronao d’ingresso, fiancheggiato da un avancorpo coperto
da cupoletta emisferica (quella di destra non più esistente), simile a quella della Chiesa di San
Francesco Di Paola a Palermo, impostata su un alto tamburo ottagonale e caratterizzata dal
tema geometrico del passaggio dalla pianta quadrata al cerchio, è riferibile solo alla tradizio-
ne della scuola artigianale locale le cui radici affondavano nella cultura islamica che influen-
zava ancora, in particolare nella Sicilia occidentale, i motivi spaziali e le tecniche costruttive
dell’architettura cinquecentesca. Anche lo Spatrisano, nell’attribuire questi manufatti ad un
certo Magister Architectoris Simoni di La Vaccara, autore della Cappella della Madonna nel
Santuario dell’Annunziata di Trapani, si riferiva a tale tradizione islamica.
L’esistenza dell’altro avancorpo cupolato è testimoniata e descritta dettagliatamente dal Mon-
gitore, in una sua visita allo Spasimo nel 1718.

64
2 . 3 gli a ltari

L’altare Basilicò deve il suo nome al giurista Jacopo Basilicò che nel 1516 lo commissionò ad
Antonello Gagini per la cappella omonima nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, situata
a destra dell’abside.
Tra il 1573 ed il 1661 l’altare si trovava nella chiesa di Santo Spirito con il quadro originale
di Raffaello e con i mezzi busti dei sei profeti; nel 1661 il quadro venne tolto alla città di
Palermo dallo stesso Raffaello.
Una copia del quadro rimase nella chiesa di Santo Spirito fino al 1782 e oggi si trova presso
la Galleria Regionale della Sicilia a Palazzo Abatellis.
Dal 1782 al 1930, l’altare fu trasferito presso il Collegio Massimo dei Gesuiti sul Cassaro,
dove viene immortalato in una foto del 1928 con un altorilievo raffigurante la “Gloria di San
Luigi Gonzaga”, opera di Ignazio Marabitti, e con la mensa dall’architetto Angelo Italia.
Si notano anche dei lavori di integrazione dell’opera gaginesca dovuti allo scalpello di Gio-
suè Durante.
Un’altra immagine lo mostra invece montato nel Museo Nazionale dell’Olivella a Palermo,
dove sappiamo che restò dal 1928, anno in cui le opere d’arte dei gesuiti vennero smembra-
te, fino al 1951. Nell’anno 1951 l’altare venne quindi restituito ai Padri gesuiti che, ormai
smembrato, lo custodirono nella Villa San Cataldo fino agli ultimi mesi del 1997.
Nell’ottobre 1997 l’altare fu restituito al Comune di Palermo.

65
La Madonna e l’edicola degli Ansaloni di Antonello Gagini
(15259), in un’incisione di A. Terzi

La cappella degli Ansaloni prende il nome dal committente che ordinò la sua costruzione nella
chiesa di Santa Maria dello Spasimo. Gagini lavorò nella cappella sin dal 1525, scolpendo la
celebre “Madonna degli Ansaloni” (o “Madonna del Buon Riposo”).
L’opera, che oggi si trova alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, trova posto in una nic-
chia delimitata da due colonne sorrette da un architrave di gusto fiorentino o romano, e la
sua massa plastica, con il ricco panneggio le cui pieghe si raccolgono mollemente ai piedi
della Vergine, dimostra l’adesione del Gagini, nel periodo della sua tarda attività, a moduli
manieristi. La testa di giovane, un tempo creduta di San Vito e ritenuta opera del XV secolo,
è stata ricondotta al Gagini.

66
2 . 4 i l co r o e l’ a b side

Sono queste le parti più integre


dell’impianto originario.
La loro presenza, anche se in misure
ridotte, è un elemento quasi costante
negli schemi planimetrici delle chiese
realizzate a Palermo nel cinquecento.
La planimetria quadrata del coro è
rimarcata agli angoli da 4 pilastroni,
dalle basi sagomate, che in sommità
generano le costolonature delle volte
a crociera di copertura.
Ottocentesche sono invece le finestre
“in stile”, aperte sulla compagine
murarie e databili, da un caposaldo
in calce, al 1871.
L’abside di pianta poligonale ha gli
spigoli dell’alzato rimarcati da snel-
li bastoni, da cui prendono avvio le
costolonature delle volte di copertura
ad ombrello.
I motivi decorativi ad intaglio delle
basi dei piloni e dei bastoni ango-
lari, appartengono al linguaggio
catalano giù presente in Sicilia nel-
le architetture quattrocentesche, che
sarà alimentato e rinvigorito fino alla
seconda metà del 500 dai continui
contatti con la cultura spagnola.
Il coro, l’abside e la volta scoperta

67
Ed è probabilmente sempre dal-
la Spagna che proviene anche
il motivo decorativo della dop-
pia goccia contrapposta, inciso
sulla chiave pendula della volta
di copertura del coro, a simbo-
leggiare, secondo accreditate
interpretazioni, la lotta senza
tempo fra il bene ed il male, ed
in generale, le contrapposizioni
naturali dell’esistenza.
Tale motivo, presente nel porti-
co della cattedrale (1453), ed
in molte altre realizzazioni pa-
lermitane del ‘400 e ‘500, en-
trerà a far parte del repertorio
decorativo isolano del periodo
del revival neogotico, tra la fine
dell’800 e gli inizi del ‘900.
Sulla muratura che delimita
l’abside, si apre una grande
monofora, gemella di quella
esistente sul prospetto di ponen-
te. Sotto di essa è collocato un
portale di gusto rinascimentale,
della seconda metà del ‘500.
Il motivo decorativo della doppia goccia contrapposta nella
chiave pendula della volta del coro

69
2.5 il t r a n s et to

I resti del transetto sul lato del bastione, dopo i crolli

La spazialità dell’originario transetto è oggi alterata dalle quinte murarie che ne chiudono i
due bracci e che furono realizzate a seguito delle radicali trasformazioni che interessarono
lo Spasimo a partire della seconda metà dell’800. I bracci del transetto erano illuminati da
monofore analoghe a quelle dell’abside. Di esse rimane quella sul prospetto nord, oggi vi-
sibile soltanto ripercorrendo al primo piano alcuni degli ambienti utilizzati dall’ex ospedale.
Della originaria sua copertura, rimane la volta a botte del transetto sinistro. Di quella che,
simmetricamente, ricopriva il lato destro, sono rimasti brevi tratti dopo il crollo, nel 1986,
della struttura militare addossata alla chiesa sul lato del bastione.
La sua zona centrale, oggi senza copertura, era, nell’iconografia ottocentesca, raffigurata
con un tetto ligneo a capriate. Sempre dai bracci del transetto, si accede agli ambienti che
furono anticamente le due cappelle laterali al coro ed all’abside.
Queste cappelle, originariamente con volte a crociera di cui rimangono ancora segni signifi-
cativi quali marconi di sostegno, peducci di imposta e tracce di costolonature, furono modi-
ficate in copertura per le sopravvenute necessità ospedaliere.

70
2.6 la navata , l e ca p p el l e e gli ava n co r pi

Sulla navata, oggi a cielo aperto, si aprono gli arcani a pieno centro che erano il fronte delle
cappelle che, in numero di quattro per lato, si aprivano sul vano centrale.
Sulla navata, oggi a cielo aperto, si aprono gli arcani a pieno centro che erano il fronte delle
cappelle che, in numero di quattro per lato, si aprivano sul vano centrale.
La prima impressione che oggi coglie il visitatore, è che la chiesa abbia della cavatine laterali.
Ciò in quanto, ad eccezione di un setto, tutti gli altri muri divisori tra le cappelle, sono stati
demoliti.
Nel 1718, alla data della relazione dello schizzo planimetrico del Mongitore, la chiesa, pur se
in cattive condizioni, era coperta. Le cappelle erano ancora esistenti, mentre gli arcani sulla
navata si presentavano tompagnati. Il progredire dei dissesti determinerà il crollo della coper-
tura della navata. I riferimenti iconografici ottocenteschi ce la mostrano già senza copertura.
Dalle cappelle a ridosso del prospetto principale, si accede ai due avancorpi che affiancano in
esterno il portico. Erano questi coperti da cupolette (oggi rimane quella dell’avancorpo nord,
secondo un modello che, traendo spunto dalla tradizione dell’architettura arabo-normanna,
nel ‘500 fu proposto sia a Palermo, nelle chiese di S. Francesco di Paola e S. Antonio Abate,
che in molti altri edifici chiesastici della Sicilia Occidentale, soprattutto a Trapani e a Mazara
del Vallo. Delle radicali trasformazioni che interessarono nell’ottocento gli spazi in questione,
rimangono in atto, dopo parziali rimesse in ripristino, solamente alcune strutture. Sono infatti
ottocentesche le archeggiature a pieno centro realizzate al posto dei setti divisori fra le cap-
pelle e quelle analoghe, realizzate a ridosso del muro perimetrale delle cappelle a settentrio-
ne, laddove venne realizzata la piccola chiesa nella chiesa, ed ancora la volta a padiglione
dell’avancorpo destro del portico, originariamente coperto da una cupoletta analoga a quella
del lato sinistro.
Sempre risalenti alle trasformazioni ospedaliere, sono i vani finestra aperti sulla parte alta
delle murature laterali della navata, che illuminavano le corsie ospedaliere, realizzate sopra
le cappelle, e di cui resta ancora quella sul lato meridionale.

72
L’interno della chiesa
73
Le cappelle laterali
2 . 7 i l to c co

Il portico dello Spasimo, che


indicheremo più propriamente
come “tocco” (dall’antica termi-
nologia greca, araba ed ebrai-
ca), è, nell’architettura di quel
periodo, uno spazio a servizio
della collettività, non necessa-
riamente legato all’uso religioso.
In Sicilia, la proposizione del
portico, che precede o affianca
gli edifici religiosi, è molto dif-
fusa sin dal periodo normanno.
I portici delle chiese cinquecen-
tesche palermitane, sovente con
più arcate colonnate, si rifanno
ai modelli della cultura catalana
allora dominante. Differente è
invece la matrice del tocco dello
Spasimo che, tipologicamente,
con il suo grande unico arcone,
rinserrato da volumetrie laterali,
è riconducibile a modelli di por-
tici che si trovavano anteposti a
chiese e cattedrali della vecchia
Castiglia, e che ritroviamo anche
a Napoli nella chiesa di Monte
Oliveto, appartenente ai monaci
del medesimo ordine. La coper-
tura del tocco dello Spasimo era
in origine una volta a crociera
di cui si scorgono ancora tracce
nell’angolo di sud est.
L’arcone policentrico ribassato del portico d’ingresso

75
2.8 raffa el lo e lo s pasi m o di sici li a

Nel rispetto di una delle condizioni del contratto di donazione, pare che la chiesa venisse ul-
timata dopo sei anni dall’inizio dei lavori.
Lo stabilimento conventuale disponibile a quella data era già in grado di ospitare 12 monaci.
Nel 1516, per la stessa chiesa fu commissionata a Raffaello Sanzio quella famosa tavola dello
“spasimo” che, come annotava il Di Marzo, risultò “ tal monumento che molto interessò le arti
di Sicilia, e da non poco dei nostri artefici non solo in pittura, ma in marmo, fu sovente imi-
tato e ritratto ”. Bisogna anche ricordare come la scuola pittorica siciliana della fine del ‘400
trovasse vertici artistici nella sola opera di Antonello da Messina, che peraltro aveva lavorato
lungamente in Italia, a fronte delle grandi scuole pittoriche fiorentina e veneziana, e delle
opere dei grandi geni artistici, quali Leonardo Da Vinci, Coreggio, Michelangelo, Raffaello.
Il dipinto fu oggetto di vicende travagliate. In un alone di leggenda, come riferisce il Vasari,
la nave su cui viaggiava verso Palermo naufragò e la tavola, salva per il buon imballaggio, fu
miracolosamente recuperata presso Genova.
Soltanto più tardi gli Olivetani ottennero di riaverla a Palermo, per l’interessamento di papa
Leone X, potendo così collocarla, come previsto, allo Spasimo.
Ma la storia della tavola, fu verosimilmente diversa. Nel 1508 Raffaello, pittore ancora gio-
vane ma già di grande fama, era stato chiamato a Roma da Papa Giulio II, per ridipingere
l’appartamento pontificio in precedenza decorato dal Pinturicchio per Alessandro XVI Borgia.
A Roma, contemporaneamente, lavoravano Michelangelo agli affreschi della volta Sistina, e
da qualche anno anche il Bramante, impegnato nella ricostruzione della basilica vaticana.
La prima stanza cui Raffaello pose mano fu quella della “Segnatura”, biblioteca del Papa,
nella quale lavorava anche fra Giovanni da Verona, monaco olivetano, esperto nell’arte della
tarsia, secondo una consolidata tradizione dell’ordine che di tale arte aveva fatto un’impor-
tante scuola.
Si può sostenere, allora, che già esistesse, verosimilmente, un rapporto di conoscenza oltre
che di ammirazione, fra gli Olivetani ed il grande maestro. Il successo delle decorazioni delle
“stanze”, fece affluire numerose commissioni a Raffaello, fra le quali quella per la chiesa di
Palermo. La tavola risultato un’opera di grandissima importanza: emblematica per il conte-
nuto, per la modernità della forma, per il taglio dell’immagine rappresentata, per la maestria
della composizione.

76
Lo “Spasimo di Sicilia” di Raffaello

77
Replica di Giovanni Paolo Fonduli Replica di Antonello Crescenzio Replica di Simone De Wobreck

È lecito allora immaginare che l’opera, una volta vista e conosciuta, diventasse ambita, e che
pertanto se ne tentasse una digressione da quel luogo lontanissimo che era allora Palermo,
verso altra città ricca ed aperta ai commerci ed agli scambi, come Genova, dove fu rintrac-
ciata dopo il più noto e fantastico “naufragio” e dalla quale fu riportata indietro non senza
difficoltà e dopo avere lautamente ricompensato i “salvatori”.
Lo “Spasimo di Sicilia” di Raffaello divenne noto ed assunto come prototipo della cultura del
periodo. Del soggetto della tavola, furono fatti arazzi, copie, incisioni, che ne diffusero ulte-
riormente l’iconografia e la fama anche fuori dai confini del nostro Paese.
Narra anzi il Vasari che ebbe “più fama e dignità che il Monte Vulcano”.
Nel 1520, la tavola era collocata allo Spasimo, nella cappella Basilicò, all’interno dell’edi-
cola realizzata tra il 1518 ed il 1519 da Antonello Gagini, scultore palermitano, in forme e
decori di qualità proporzionale all’importanza del dipinto.

78
Replica di Jacopo Dal Ponte Replica di Jacopo Vignerio Replica che nel 1661 andò a
sostituire l’originale

La chiesa, ormai completata, si arricchiva di altre cappelle, quelle del barone di Castelluzzo,
quella del Crocifisso, e di altre opere d’arte. Nel lato nord del titolo, dinanzi alla cappella
Basilicò, veniva realizzata la cappella dell’abate Giacomo Aversa. Lo stesso Antonello Gagi-
ni, sin dal 1525, lavorava alla cappella Ansaloni, scolpendo la celebre “Madonna del Buon
Riposo”, oggi esposta alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis.
Nelle successive vicende, la tavola seguì i monaci olivetani nel loro trasferimento al convento
di S. Spirito (1573), per poi finire nel 1661, per mercato di favori ed inganni, nelle mani di
tale Don Giovanni Dies, che la donò al vicerè Don Ferdinando d’Ajala, il quale a sua volta
la fece pervenire al re di Spagna Filippo V di Spagna. Il sovrano finse di disobbligarsi asse-
gnando fondi annui al convento degli Olivetani, che non vennero mai pagati, malgrado le
suppliche che, negli anni successivi, i monaci indirizzarono alla corte di Spagna. Il quadro
rimase definitivamente in Spagna, dove è esposto oggi al museo del Prado di Madrid.

79
A tal riguardo, lo studioso Rosario La Duca ha scritto nelle sue “Cronache palermitane di ieri
e di oggi”: “Alla fine dello scorso secolo, molto ingenuamente, venne avanzata la proposta
che dati i buoni rapporti tra Italia e Spagna, e tenuto conto del mancato pagamento della pen-
sione annua dovuta agli Olivetani, il nostro governo facesse, per via diplomatica, vive istanze
affinché il celebre quadro dello Spasimo del Prado di Madrid, venisse restituito a Palermo, cui
apparteneva… Siamo ancora in attesa dell’esito delle vive istanze.” Noi, meno fiduciosi, ma
indubbiamente con maggior senso della realtà ricordiamo una significativa e sdegnosa ottava
che corse a quel tempo in Palermo:

“ U n g r a n pi t t u r i a m m u n t uato R a f fa e lla

N as ci u t u p r i pi t ta r i co si di v i n i

F ici p r i P a l er mu u n q ua d r u as sa i b e d d u

C a si l a s ca mpau da l’ u n n i m a r i n i .

S pasi mu si c h i a m au lu q ua d r u b e d d u ,

C a a v i r i l lu faci a t r i m a r i i v i n i ;

D o n S ta r o po l i , b i r b u n i , f r at e llu ,

S u f ici s ca p pa r i p r i d u e ca r r i n i !”

80
2 . 9 gli est e rni

Lo spazio davanti al portico d’ingresso

Dell’originario grande slargo che si apriva davanti alla chiesa, nulla è rimasto.
Un ravvicinato muro di contenimento del terrapieno delimita lo spazio dinanzi al portico.
Procedendo sulla strada, si coglie la vista del fianco settentrionale della chiesa che, dopo la
liberazione dalle costruzioni sorte in aderenza con lo stesso, si presenta con le monofore ori-
ginarie, di pieno gusto gotico-catalano, con arcate sopracciliari su peducci e trine merlettate,
con il sempre presente simbolismo delle due gocce contrapposte, abbinato, in questo caso,
ad un motivo raffigurante il fiore di loto.
Limitrofi si trovano i resti di quelli che furono alcuni dei magazzini del senato.
Attualmente, a ridosso di queste residue murature, sono stati esposti reperti lapidei, apparte-
nenti ad edifici di interesse storico ed artistico che, prima degli interventi di riordino, giace-
vano abbandonati nella chiesa.
Ritornando verso il tocco, e sottopassando l’arcata ottocentesca, si accede al bastione, per-
correndo una gradinata di recente sistemazione.

81
2.10 i l bast io n e

La monofora portata alla luce con i restauri

82
Il lato meridionale della chiesa, visto dal terrapieno

È questo uno dei pochi superstiti delle fortificazioni cinquecentesche della città.
Il grande terrapieno addossato al fianco meridionale della chiesa, per un’altezza pari a quel-
la delle cappelle laterali, è oggi uno spazio verde, in quota rispetto alle aree limitrofe, dal
quale si coglie per intero il prospetto meridionale della chiesa. Procedendo da sinistra, si può
vedere il semplice volume parallelepipedo della ex corsia ospedaliera, realizzata nell’otto-
cento, sopra le cappelle del lato meridionale; a seguire, le grandi masse del santuario, con lo
squarcio provocato dal crollo della struttura militare del “cavaliere”; ed infine sul lato destro,
la volumetria che racchiude in esterno l’abside.
Sul retro dell’abside, quasi addossate, si individuano altre fabbriche in disuso, appena re-
cuperate. Attraversando il giardino, lungo il percorso, si trovano altri elementi lapidei per i
quali, dopo un primo riordino, si sta procedendo ad individuarne la provenienza. Ed è qui,
sul bastione, che si conclude l’itinerario. Per ritornare dentro l’antica navata, si può rifare al
contrario la strada, oppure, aggirata l’abside, scendere dallo scalone ottocentesco, ammi-
rando da vicino, lungo il percorso, la monofora della chiesa portata alla luce con i restauri.

83
3 IL REGESTO STORICO

29.09.1508
Il notaio messinese Jacopo Basilicò donava ai PP. Di Monte Oliveto,
dalla cocolla bianca, i terreni sui quali essi avrebbero realizzato il
complesso dello Spasimo secondo le condizioni dettate dallo stesso:
che la chiesa dovesse essere completata entro 6 anni successivi, che
a Palermo non dovesse sorgere altro monastero olivetano, che la
chiesa si sarebbe dovuta chiamare “S. Maria dello Spasimo”.
Viene quindi costruita una chiesa ad unica navata, oggi scoperta, a
cui si accedeva dal portico d’ingresso con arcone policentrico ribas-
sato affiancato da due avancorpi, di cui uno sicuramente coperto a
cupola. Oltre la navata, sulla quale si aprono quattro cappelle per
lato coperte con volte a crociera costolonate, si sviluppa transetto,
coro ed abside aggettante a terminazione poligonale, coperti con
volte costolonate. Ai lati di questi ultimi si sviluppano due cappelle
con ingresso dal transetto stesso. Il monastero, che comprendeva un
dormitorio, il chiostro rimasto incompleto, varie sale ed infermeria,
era capace di ospitare dieci monaci.

1 516-28
Fu commissionata a Raffaello la tavola dello “Spasimo di Sicilia” che
veniva collocata nella cappella Basilicò, all’interno dell’edicola re-
alizzata tra il 1518 ed il 1519 da Antonello Gagini, nel braccio me-
ridionale del transetto. Il quadro è stato donato dagli stessi monaci
nel 1661 al re Filippo II ed è ancora oggi esposto al Prado di Ma-
drid; l’altare è stato restituito al Comune di Palermo nel 1997 dopo
essere stato nel convento di S. Spirito fino al 1782, nella chiesa del
Collegio Massimo dei Gesuiti fino al 1888, al Museo Nazionale fino
al 1951 e poi nella sede dei Gesuiti a Bagheria.
Gagini, per incarico della famiglia Anzaloni, realizzò (1526), per la
loro cappella, anche un’edicola contenente una statua della Madon-
na del Riposo, oggi conservata a Palazzo Abatellis.

84
1536-75
La realizzazione del bastione dello Spasimo, nell’ambito degli am-
modernamenti militari della cinta muraria della città, disposta dal
viceré Ferrante Gonzaga e progettata dall’ing. Ferramolino, rese
necessario l’esproprio, la demolizione di una parte del monastero
e l’interramento del fianco meridionale della chiesa. I monaci si tra-
sferirono pertanto nel convento cistercense di S. Spirito.
I resti del convento vennero acquistati dal Senato che li adoperò
come deposito di grani e cereali, facendone eseguire dei lavori
dall’architetto della città G. B. Collipietra.

1582
Da questa data, per volere di Marco Antonio Colonna, le rappre-
sentazioni “sacre, profane e di commedia” cominciarono a svolgersi
anche allo Spasimo oltre che alla corte pretoriana.

1624
A seguito dell’epidemia di peste, molti ambienti vennero usati come
lazzaretto per gli appestati, mentre altri vennero destinati a magaz-
zini di grano e cereali.

1674-93
Ripresa dell’attività teatrale dopo la fine dell’epidemia.

85
1 81 3
L’architetto camerale Luigi Speranza (1764-1835) ricevette l’incarico
di trasformare lo Spasimo in prigione centrale e realizzò un progetto
che però non fu realizzato.

1 835-41
Gli antichi magazzini granari e gli altri corpi furono trasformati in
“deposito di mendicità” ad opera del Principe di Palagonia.
A questo uso furono adibiti i magazzini del Senato ed altri privati.

1 855
Divenne sifilicomio trasferito dall’ospedale Grande. Si avvia così un
progetto di grandi trasformazioni che, tra l’altro, realizzavano negli
spazi delle cappelle del fianco settentrionale “una chiesa piccola
dentro la grande”.

1 892-1909
Sono documentati dei lavori di restauro della chiesa, su progetto di
Giuseppe Patricolo, ma realizzati dal suo successore Francesco Va-
lenti che smantellò la piccola chiesa e realizzò la rampa di accesso
al bastione.

1 5.10.1918
Il genio Militare requisiva l’ospedale dello Spasimo; cinque giorni
dopo l’amministrazione del nosocomio con una delibera mutava la
denominazione in Principe Umberto.

86
1932-33
Per gli sventramenti previsti dal Piano Giarrusso “si prepararono cin-
que lotti di terreno da destinare alla costruzione di case ultrapopola-
ri” che causarono la demolizione di parte dei Magazzini.

1988-96
Dopo l’alluvione del 1931, i terremoti del 1940 e ’68, il crollo – nel
1986- del cosiddetto “cavaliere” che si tirava parte del transetto, la
Soprintendenza con incarico esterno all’ingegner Giovanni Palazzo,
avvia dei lavori di consolidamento e “liberazione”, che prevedono:
• La liberazione del chiostro di cui si era persa memoria poiché nes-
suno lo segnalava, a meno di un disegno ora ritrovato, del 1845.
Di esso è stata riportato alla luce solo una corsia di sei arcate sul
cortile centrale, mentre altre due sono ancora inglobate nei locali
adiacenti la chiesa. Le arcate poggiano su piedritti di sostegno com-
positi, costituiti da un pilastro centrale parallelepipedo, affiancato
lateralmente da mezze colonne con capitelli. Il pilastro pare ancora
da intagliare sul prospetto esterno e ciò asseconda l’ipotesi che il
chiostro non sia stato mai ultimato. I capitelli sono, alternativamen-
te, di due tipologie, con motivi di ornato naturalistici, di derivazione
classica: una prima, con foglie di acanto, ovuli e volute; una se-
conda, con una doppia fascia di palmette stilizzate. Sui capitelli si
impostano archi a tutto centro, con modanatura e sezione mistilinea;
• La liberazione della corsia settentrionale della chiesa e del pronao.
A questi restauri si affiancano lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria condotti dal Comune per la riapertura nel 1955.
Allo stato attuale, il monastero è stato concesso alla Scuola del Jazz
e l’Ufficio ha redatto diversi progetti di nuovi interventi di consolida-
mento, restauro e rifunzionalizzazione.

87
4 LO SPASIMO:
LO STATO DI FATTO

4.1 lo stato at t ua l e

Oggi, l’ingresso alla chiesa avviene attraverso il chiostro cinquecentesco che si collega al
transetto laterale della chiesa.
La chiesa, e quel che resta delle fabbriche adiacenti, sono rimaste per anni in condizioni di
semi abbandono, e solo da qualche tempo i lavori di restauro hanno permesso di tornare a
fruire del magnifico monumento.
L’operazione di recupero ha permesso di tornare a sfruttare la grande navata della chiesa, che
viene utilizzata per concerti e pièce teatrali.
Tra gli altri locali recuperati, c’è un’ampia sala al piano terreno alla quale si accede attra-
versando il porticato del chiostro, dove è custodito il modellino dello Spasimo, mentre nulla
o quasi è stato previsto per la sistemazione dell’area ad ovest, dove sorgevano i magazzini;
così come le sale del primo livello che si affacciano sul chiostro, interessate ad un recente
intervento di restauro delle coperture, sono rimaste tuttavia pressoché abbandonate: utilizzate
solo parzialmente dal Brass Group, o come magazzini di materiali lapidei. Il giardino sopra
il bastione, e tutte le aree libere, sono utilizzate come contenitori a cielo aperto d’elementi
architettonici disposti secondo un gusto per il pittoresco che richiama alla memoria i paesaggi
ottocenteschi rappresentati da Ruskin, senza però eguagliarne la bellezza.
Tale compiacimento per le rovine, seppure in accordo con l’immagine pittoresca della chiesa
senza copertura all’interno della quale si è sviluppato un esemplare di sommacco, finisce col
diventare stucchevole.
Il visitatore, per quanto colto ed appassionato, sprovveduto e svogliato, rischia di non riuscire
a cogliere l’importanza degli oggetti, perché privati di un valore che va al di là del fascino
compiacente che la patina del tempo gli attribuisce; tanto più che una delle principali esigenze
alla quale un’istituzione museale è chiamata a far fronte, è proprio quella della conservazione.

88
L’interno della chiesa, con l’albero di sommacco

89
4.2 indi vi d ua z io n e d ei m at e r i a li e d e i d egr a di

L’analisi del quadro completo dei materiali e dei degradi, e la proposta del piano conservativo,
si concentrano per lo più sul prospetto meridionale del complesso, antistante il giardino, e
comprendente il prospetto della navata meridionale della chiesa e dell’ex corsia ospedaliera
sovrastante. Il rilevamento è stato effettuato in maniera tradizionale, ma si afferma la necessi-
tà di elaborare un progetto di diagnostica completo comprendente un’indagine termografica
completa ed una di rilevazione dell’umidità, oltre alle analisi di caratterizzazione petrografica
di ogni singolo materiale, da svolgere in laboratori specializzati.

materiali lapidei naturali

Il materiale lapideo maggiormente riscontrato nella fabbrica è la


calcarenite di vario tipo, dimensione, ed epoca.
Per questo materiale, sono stati riscontrati prevalentemente degra-
di dovuti alla sua antichità ed alla sua prolungata esposizione agli
agenti atmosferici, alla mancata manutenzione e alle demolizioni/
crolli di parti addossate nel tempo. Il prospetto risulta pertanto assai
martoriato, ed i degradi rilevati maggiormente sono la mancanza,
insieme all’erosione, patina biologica e presenza di vegetazione, se-
condo la terminologia del Documento UNI-Normal 11182/06.

materiali lapidei artificiali

Nel prospetto è stato rilevato solo un tipo di intonaco che, degrada-


to, mostra tutti i suoi strati (arriccio, rinzaffo e finitura), risalente alla
costruzione della corsia ospedaliera nel XIX secolo. Per questo ma-
teriale, sono stati maggiormente rilevati quattro differenti degradi:
crosta, disgregazione, macchia e patina biologica. I degradi presenti
nella malta cementizia sono la disgregazione, a causa della scarsa
manutenzione ed all’esposizione agli agenti atmosferici, e la lacuna,
molto diffusa soprattutto nella parete della navata.

90
Stato di fatto del prospetto oggetto di studio

materiali ferrosi

L’ex corsia ospedaliera presenta l’utilizzo di ferro forgiato e ferro dol-


ce nelle diverse grate delle finestre. Tutte appaiono ossidate a causa
della lunga esposizione agli agenti atmosferici.

materiali legnosi

Gli elementi in legno sono solo gli infissi. Questi presentano un de-
grado abiotico, dovuto all’esposizione agli agenti atmosferici, secon-
do la terminologia del Documento UNI-Normal 11130/04.

91
5 LO SPASIMO:
IL PROGETTO

5.1 linee g u i da d el p r o ge t to

Lavorare in un luogo vuol dire sempre porsi il problema dell’identità e della riconoscibilità
dell’intervento. Per conferire un’identità al progetto che non sia in contrasto con le qualità
presenti, ma che non si mimetizzi neppure con il contesto, è necessario intessere un dialogo
tra nuovo e preesistente, in una articolazione che tenga in considerazione il significato del
passato ed al tempo stesso che dia forma alle nuove esigenze di fruibilità.
Che lo Spasimo, un tempo negletto e dimenticato dai Palermitani, si a oggi diventato il simbo-
lo di un rinnovato interesse di una città per il suo passato, è un fatto ormai noto. La storia del
luogo ha contribuito nell’elaborazione del progetto museale, dal momento che il complesso è
stato utilizzato, e viene tutt’oggi usato come magazzino di frammenti architettonici di un certo
prestigio: tra le altre opere, ricordiamo “il genio” di Palermo, icona simbolo della città nel
cinquecento, che qui ha trovato collocazione per diversi decenni.
Il progetto, quindi, è un progetto urbano; un progetto di percorsi, un attraversare la storia
attraverso i suoi manufatti, gli spazi creati dall’uomo, la memoria mitizzata dall’architettura.
Da quì, l’esigenza di concepire un accesso che sia anche un modo per entrare nella storia.
Occorre lasciare che le immagini dei luoghi entrino progressivamente nel nostro inconscio per
preparare e disporre l’animo alla visita del museo attraverso il lento incedere del corpo.
Sono stati recuperati dei camminamenti pedonali previsti nel Piano dei Servizi del centro sto-
rico, ed integrati in un nuovo e più funzionale percorso museale.

Alcuni dei principi che hanno guidato il progetto

sono stati:

- La scelta di non lasciarsi coinvolgere emo-

tivamente dal gusto ruskiniano per il fascino pitto-

resco dei luoghi;

- La decisione di progettare un intervento chi-

aramente riconoscibile, non mimetizzandosi e falsi-

ficando la storia, ma intervenendo dove occorre

con fiducia, nella capacità comunicativa che l’ar-

chitettura contemporanea possiede anche quando

si confronta con un complesso monumentale.

92
5 . 2 i l p er c o r s o lu n go le m u r a sto r ich e di di f esa

Le mura ancora esistenti lungo il Foro Umberto I

Le Mura che corrono lungo la “marina” di Foro Umberto I, al pari di altre che chiudevano un
ampio quadrilatero del centro storico cittadino, assolsero a funzioni di difesa cittadina fino a
quando non si rivelarono effimera barriera sotto i colpi delle devastanti granate.
Dal XVI al XVIII costituirono strutture di seconda protezione dietro i Bastioni del Tuono e Vega
(Sec. XVI) eretti a ridosso del mare.
Quello del Tuono o del Terremoto era così denominato per il fragore e le vibrazioni provocate
dalle potenti batterie di cannoni quando, dall’alto dei suoi spalti, entravano in azione.
Posto a copertura del tratto di costa che andava all’incirca dal Cassaro a Porta dei Greci,
venne abbattuto nel 1754 in seguito ai danni provocati da precedenti scosse telluriche; l’al-
tro, realizzato per volere del Vicerè di Carlo II di Sicilia, Don Ferdinando De Vega (1550-
1557), da cui il baluardo prese il nome, si ergeva probabilmente verso sud-est a proteggere
il varco di Porta dei Greci e le strutture difensive alle sue spalle.

93
La Porta dei Greci oggi

Coeva del Bastione del Tuono (1553) fu la Porta dei Greci, così chiamata dal nucleo di com-
mercianti ellenici che abitavano l’attiguo Piano della Kalsa. Il varco in stile manierista si apriva
nelle spesse mura che univano i due bastioni. La porta dal XVII secolo è inglobata in un palazzo
nobiliare passato di mano in mano (con progressive aggiunte e rimaneggiamenti architetto-
nici), per approdare negli anni ‘30 dell’ottocento al Marchese Enrico Forcella da cui prese il
nome, ed agli albori del ‘900 al Marchese Francesco De Seta.
Per un periodo fu Circolo ricreativo e poi sede del C.G.A.. Oggi è nella disponibilità di
un’Associazione Imprenditoriale. Le Mura - lato porticciolo della Cala - si chiudono con Porta
Felice, la cui realizzazione fu avviata nel 1582 su impulso del Vicerè Marcantonio Colonna.
La facciata interna si presenta classica e sobria nelle linee.

94
La Porta Felice oggi

95
La Passeggiata delle Cattive prese vita nel 1823 per volere del Principe di Campofranco
Antonio Lucchesi Palli, che nella sua intensa vita politica fu tra l’altro deputato del Regno
borbonico e ministro di Ferdinando II. Questi, assunta la carica di Luogotenente Generale
in Sicilia, volle regalare questa opera alla città. Nel momento del bisogno vennero sfruttati
gli spazi dei camminamenti lungo le mura civiche che si estendevano da Piazzetta Santo Spi-
rito sul Cassaro fino all’attuale “Salita delle Cattive” (Via Alloro). Così nacque questo luogo
appartato che consentiva ai nobili di godere del panorama e della frescura senza mischiarsi
ai borghesi e popolani che in gran numero solevano passeggiare nella sottostante via fronte
mare voluta, verso la fine del cinquecento, dal Vicerè Marcantonio Colonna. Alle spalle della
“Passeggiata” fanno da splendido sfondo alcuni palazzi di grande impatto estetico appartenuti
ad importanti Famiglie aristocratiche del tempo. La denominazione nacque dall’usanza delle
vedove palermitane (perlopiù nobili) - che, secondo costume dell’epoca, nel periodo del lutto
conducevano vita da recluse (captivae) - di concedersi momenti di svago su quelle mura al
riparo da occhi indiscreti.

La Passeggiata delle Cattive con i palazzi nobiliari

Il nuovo percorso si propone di collegare l’area riqualificata dello Spasimo, con la Porta Feli-
ce, attraversando il quartiere Kalsa lungo le vecchie mura di difesa della città, ancora in parte
esistenti. In questo modo si è guidati alla scoperta del percorso storico che segna i confiini
del quartiere Kalsa, oggetto di studio, e consente di avere un’esperienza tangibile dell’iter
allestitivo visto precedentemente.

96
S. M. DELLO SPASIMO - AREA DI PROGETTO
PAL E RMO
MURA STORICHE ANCORA ESISTENTI
il p e rco rso lungo le mura
Area di progetto: S.M. dello Spasimo 1:1250
PERCORSO DI PROGETTO

Mura storiche oggi esistenti

Percorso di progetto lungo le mura


5

I l p e r c o r so l ungo le mura storic he d i d if e sa


5.3 ri fun z io n a l i z z a z io n e d e l co m p les s o

Collegamento con il bastione

Percorso mura storiche

Ingresso da Via dello Spasimo

Ingresso e uffici
“Centro Kalsa”
Esposizioni
Lapidarium
Corpo di collegamento

98
Il progetto prevede la rifunzionalizzazione degli spazi del complesso di S. M. dello Spasimo,
con l’aggiunta di un corpo di collegamento ed una nuova sala per le mostre, negli spazi
dell’ex corsia ospedaliera del reparto di tisiologia.
Entrando dall’ingresso di via dello Spasimo, troviamo sul lato destro del chiostro gli uffici di
accoglienza ed informazione, e gli uffici del direttore e dei dipendenti.
Gli altri spazi del chiostro restano di pertinenza del Brass Group, la scuola di Jazz.
Attraversando il chiostro, possiamo scegliere di dirigerci direttamente verso il percorso delle
mura storiche di difesa, che prende avvio dal “giardino sotto le mura”, nel quale spazio è
raccontata la storia del quartiere Kalsa.
Salendo lo scalone ottocentesco, invece, si arriva ai locali del “Centro Kalsa”, nel quale han-
no sede le associazioni di quartiere, e del Lapidarium, che contiene tutti i reperti al momento
sparsi senza ordine all’interno del complesso; collegati, attraverso una rampa, alla nuova
sala espositiva ed al bastione.
Il terzo possibile percorso, nonchè quello principale, ci consente di visitare in primo luogo la
chiesa e le sue cappelle. Attraversando la navata principale, sarà sufficiente prendere le
scale o l’ascensore del nuovo corpo di collegamento verticale, per trovarci alla quota del
bastione. Da quì, possiamo scegliere di dirigerci verso il Lapidarium ed il “Centro Kalsa”, di
passeggiare nel “giardino sopra le mura”, o di attraversare la rampa e visitare le esposizioni
che saranno ospitate nella nuova sala, che si innesta nel locale dell’ex corsia ospedaliera del
reparto di tisiologia.

Prospetto meridionale della chiesa con le nuove aggiunte

99
Dettaglio corpo di collegamento in pianta

Dettaglio corpo di collegamento


Sezione longitudinale

Il nuovo corpo di risalita si compone di una scala che si avvolge attorno all’ascensore, e di
una rampa che collega alla sala esposizioni.
I materiali usati per l’intervento sono l’acciaio brunito per i listelli di contenimento della scala,
per alcune pedate e per la rampa con il relativo parapetto, ed il cemento faccia a vista per il
corpo ascensore e per la scala.
La sala esposizioni sarà invece rivestita esternamente in acciaio corten.

100
Dettaglio sala espositiva in pianta

Dettaglio sala espositiva


Sezione longitudinale

La nuova sala espositiva è composta da un volume che si inserisce all’interno dell’ex corsia
ospedaliera del reparto di tisiologia. Tale volume, da una parte è sorretto da pilastri, mentre
dall’altra si appoggia alla muratura esistente. Internamente, il locale ha le pareti in mura-
tura con intonaco bianco, che salgono e scendono seguendo l’andamento delle finestre e
ricalcandone i profili. Le finestre che danno sulla navata centrale della chiesa, e le ultime tre
che danno sul bastione sono state evidenziate da una cornice di corten, sporgente dal lato
esterno, che contiene i vetri.

101
Dettaglio sala espositiva
Sezione trasversale

Il soffitto è scandito da una sequenza di setti, utili an-


che ai fini espositivi: è infatti possibile ancorare dei
proiettori o dei faretti tra un setto e l’altro.
Sezioni di muratura piena si alternano a sezioni ve-
trate, in modo da rendere lo spazio più versatile.
Tra il volume di forma parallelepipeda della sala, e
la muratura esistente che si allarga in corrispondenza
dell’uscita verso la cupola, è stata pensata una co-
pertura che si differenzia in altezza rispetto al corpo
principale, metà in vetro, per dare luce al breve
corridoio che porta ai servizi, e metà in corten.
La porta che dalla nuova rampa da accesso al volu-
me parallelepipedo, è anch’essa rivestita in corten, e
dispone di un meccanismo pivotante. Aprendosi, si
posizionerà nel mezzo della rampa, scandendo i per-
corsi di entrata ed uscita dall’esposizione.
Dettaglio della porta d’accesso
al nuovo volume

102
103
104
105
106
5 . 4 i l p r o g et to di a llest i m e n to

Passato

Presente

Futuro

Passato

Ingresso e uffici
“Centro Kalsa”
Esposizioni
Lapidarium
Corpo di collegamento Presente

Attraverso un allestimento che prende spunto da elementi e azioni quotidiane degli abitanti
del quartiere Kalsa di Palermo, si è voluto raccontare un luogo caratterizzato dal fascino delle
contraddizioni.
L’utente è invitato a “passiare”, - passeggiare - all’interno del percorso espositivo, facendo
esperienza dei caratteri tipologici ed emozionali che si respirano nella zona.
Il racconto non si limita al campo fotografico, ma, attraverso piattaforme interattive, suoni,
proiezioni, testi e stratagemmi allestitivi, si vuole dare all’utente la possibilità di immergersi
nella realtà del quartiere Kalsa.
Questo allestimento temporaneo è stato pensato come facente parte di un più ampio percor-
so, che comprende la passeggiata lungo le mura storiche, un’introduzione sulla storia e sullo
sviluppo del quartiere Kalsa, gli spazi dedicati alle associazioni attualmente attive in zona, il
Lapidarium e, finalmente, l’allestimento, che si conclude con una vista panoramica sull’edifi-
cio simbolo della Kalsa, lo Spasimo.
In questo modo, l’utente fa esperienza del passato (mura storiche, storia del quartiere, Lapi-
darium), del presente (associazioni ed iniziative attualmente attive in loco), e del futuro (espo-
sizioni temporanee in continua evoluzione) del quartiere Kalsa di Palermo.

107
Mostra fotografica e multimediale

”'NA PASSIATA NNA KALSA”


f o t o gr af i e di S i m o n a C o s t an z o
1 2 3 4 5

accesso

vista panoram ica 7

1 ‘ a b e d da l ava nder ina


2 ‘ a t r u vat ur a
cupola
3 li g ua i d e l a pig nata l i sa pi l a c uc c hi a r a
4 st i nnì c c hiati nu ba l atuni
5 o g ni ‘ m pi dim entu è giuva m entu 8
6 ca la u pa n a r u
7 c u ta lì a s’a r r ic r ìa
8 ‘ a c u p u la r ussa

Schema degli allestimenti

Dettaglio sezione con allestimento 1:100


Sezione longitudinale e pianta della sala allestitiva
1 ‘'A SARACINISCA

Il racconto si apre con una saracineesca


all’ingresso dove si legge, scritto a mano, in
stampatello e con la vernice spray “lasciare
libero lo scarrozzo”.
Spesso, i proprietari di box a livello strada,
si appropriano di passi carrai semplicemen-
te scrivendo questa frase sulla propria sara-
cinesca, in modo da segnalare l’entrata di
autoveicoli.

110
111
2 ‘A BEDDA LAVANDERINA

Aggirata la saracinesca, ci si ritrova in uno


spazio aperto in cui enormi teli sono appesi
in fili che vanno da una parete all’altra del-
la sala. In questo modo, si vuole rievoca-
re l’immagine dei panni stesi che si vedono
pendere non solo dai balconi, ma spesso
e volentieri, anche da stendini improvvisati
per strada.
In questi enormi teli, saranno proiettati dei
brevi video esplicativi del gesto di stendere.
Altre foto saranno appese alle pareti.

112
113
3 ‘A TRUVATURA

La cultura siciliana si riempie di leggende


su favolosi tesori nascosti e da ritrovare.
In dialetto siciliano, questi tesori vennero
chiamati “truvature” e ce ne sono dapper-
tutto in Sicilia.
Nell’allestimento della mostra, un volume
cubico, esternamente bianco, è posto al
centro della sala. L’interno sarà interamente
proiettato con fotografie che riproducono
lo sfarzo dei palazzi nobiliari che si celano
tra gli edifici cadenti. Questo stratagemma
allestitivo vuole evidenziare la contraddizio-
ne tra il clima decadente che si respira alla
Kalsa, ed il lusso che è nascosto poi negli
interni dei palazzi storici.

114
115
4 LI GUAI DI LA PIGNATA LI SAPI
LA CUCCHIARA

Tre tavoli interattivi spiegano la storia dei


tre maggiori locali di street food della Kal-
sa: Focacceria San Francesco, Chiluzzo e
Franco ‘u Vastiddaru.
Sono introdotte, dai rispettivi eredi, le ricet-
te tipiche della tradizione culinaria sicilia-
na: panelle, crocchè, pasta con le sarde,
panini con la milza, pasta al forno...
Lo schermo interattivo da inoltre accesso ad
una piattaforma in cui sarà possibile speri-
mentare virtualmente le ricette appena ap-
prese, accedere all’archivio, scorrere le foto
e leggere le interviste.

116
117
5 STINNICCHIATI NU BALATUNI

Parte del quartiere Kalsa è anche il Foro Italico, un


grande parco che percorre la costa, riqualificato re-
centemente. Oltre all’immenso giardino, è presente
una parte con sedute e, sul mare, frangifrutti accessi-
bili dal marciapiede.
Quì è facile trovare pescatori che attendono la loro
preda, giovani che leggono al sole, musicisti che suo-
nano, ma anche persone che semplicemente si sten-
dono ed osservano il mare. L’allestimento proposto
riprende le sedute dei “balatoni” - i frangifrutti - ,
cercando di riproporre le sensazioni, ma in modo in-
terattivo: sedendosi, si accenderà lo schermo che, per
ogni elemento, proporrà un’attività diversa.

118
119
6 OGNI 'MPIDIMENTU E' GIUVAMENTU

Camminando per le vie della Kalsa, si notano ovun-


que i ponteggi di sostegno agli edifici.
Essi sono spesso sfruttati dai bambini come “parco
giochi” in cui arrampicarsi, o dalle famiglie come
stendino in cui far asciugare i panni, ma in alcuni
casi, tali strutture sono addirittura convertite in “abi-
tazioni” abusive, creando soppalchi e tamponando
i varchi tra un pilastro e l’altro. In questa sala del
museo, una struttura autoportante a doppia altez-
za è lo stratagemma per appendere le fotografie in
pannelli ancorati ai pilastri, creando un percorso
che porta, mediante una scala, al piano superiore,
in cui , seduti su dei tappeti, sarà possibile guarda-
re le foto che scorrono sullo sfondo bianco.

120
121
7 CALA U PANARU

“‘U panaru” - il paniere - nel quartiere Kalsa è sempre presente al


lato del balcone. Esso è un fedele alleato del palermitano, che si ri-
vela molto utile in diverse occasioni. Ad esempio, quando arriva “la
lapa”, - l’Ape della Piaggio,il mezzo ditrasporto generalmente utiliz-
zato per trasportare oggetti voluminosi - con il venditore che urla
dalla strada i suoi prodotti in vendita, il paniere con i soldi dentro
viene calato dal balcone, ed egli provvede a riempirlo con il corri-
spettivo degli oggetti così comprati. Il tutto senza uscire di casa!
Nell’ambito dell’allestimento museale, il concetto del “do ut des” è
rappresentato da due panie- ri, che vengono posti all’uscita della
mostra, prima della parte panoramica: nel primo si potrà depositare
un oggetto (anche lo stesso biglietto d’entrata) in cambio, sarà pos-
sibile prelevare dal secondo paniere delle cartoline con alcune delle
foto esposte, ed un detto siciliano tradotto, dando la possibilità di
portarsi a casa un ricordo della mostra.

122
123
8 CU TALIA S'ARRICRIA

Il percorso di allestimento museale sul quar-


tiere Kalsa continua all’esterno con una
vista dall’alto sulla navata centrale della
chiesa.
La grande monofora (speculare a quella
posta nell’abside), allo stato attuale non è
accessibile: il progetto si propone
quindi di recuperare e valorizzare
questo punto di vista privilegiato, da cui è
possibile godere dell’unica visuale dall’alto
del complesso verso la chiesa.

124
8 'A CUPULA RUSSA
Con il nuovo accesso alla monofora, si rende praticabile
anche la grande cupola delle cappelle della navata laterale.
Le cupole normanne in Sicilia non sono mai state veramen-
te rosse, ma erano originariamente ricoperte da un intona-
co impermealizzante, formato da calce, sabbia e frammenti
di laterizio. Questo impasto, col tempo, assunse un colore
leggermente rosato. Quando iniziarono i primi lavori di re-
stauro, l’architetto Patricolo, interpretando il ritrovamento
di un avanzo di intonaco da lui considerato “rosso cupo”,
fece rivestire con un intonaco rosso vivo le cupole di San
Cataldo e di San Giovanni degli Eremiti. Quindi solo dal
1882 coloro che visitarono Palermo rimasero incantati e
sorpresi da questo esotico colore rosso delle cupole, peral-
tro inesistente nel mondo arabo, che spiccava sullo sfondo
di un cielo azzurro intenso.

125
5.5 il pro g et to di r estau r o

La parte indagata del complesso si presenta con i caratteri del rudere: scarsa consistenza e
resistenza delle membrature architettoniche residue, assenza della copertura, assenza di defi-
nizioni formali per danni, sottrazioni e trasformazioni.
Gli interventi proposti per la conservazione del prospetto dell’ex corsia ospedaliera e della
navata meridionale della chiesa hanno lo scopo di interrompere e rallentare i processi di de-
grado in atto e di conservare tutti gli elementi di valore che compongono il prospetto.

Per le murature:
- Mancanza: si prevede la reintegrazione con materiale compatibile con il preesistente;
- Erosione: si prevede l’impregnazione con silicati organici;
- Patina biologica: si prevede l’applicazione di biocidi (sali di ammonio quaternario), ed il
ripristino del sistema di smaltimento delle acque;
- Presenza di vegetazione: si prevede l’eliminazione delle erbe infestanti con diserbanti
(triazine, urea), il taglio del colletto radicale ed iniezioni di trattamenti inibitori di crescita.

Per il marmo:
- Deposito superficiale: si prevede la pulitura con l’impiego di tensioattivi.

Per le malte:
- Lacuna: si prevede la stilatura dei giunti;
- Disgregazione: si prevede la reintegrazione con materiale compatibile con il preesistente.

Per l’intonaco:
- Crosta: si prevedono impacchi di carbonato di ammonio ed impiego di spray d’acqua a
bassa pressione;
- Disgregazione: si prevede la reintegrazione con materiale compatibile con il preesistente;
- Lacuna: si prevede la reintegrazione con materiale compatibile con il preesistente;
- Macchia: si prevedono impacchi con pasta gelatinosa solvente (AB57);
- Patina biologica: si prevede l’applicazione di biocidi (sali di ammonio quaternario), ed il
ripristino del sistema di smaltimento delle acque.

Tutti i materiali ferrosi e legnosi verranno rimossi in quanto eccessivamente degradati.

126
pr og e t to di co n s e r va z ione

P0 P1

P0 P1
area di intervento già restaurato restauro in corso degrado lieve degrado grave

Sezione 1:10 - Rilievo materico e del degrado


area di intervento già restaurato restauro in corso degrado lieve degrado grave

Sezione 1:10 - Rilievo materico e del degrado

F F F F F F F F F F

C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1
F F F F F F F F F F
I8 I8 I8 I8
C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1
I5 I5 I5 I5 I5 I5
I8 C4I8 C4 I8 C4 C4 C4 I8C4
I5 I5 I5 I5 I5 I
I6 I6 M6 C4 C4M6 M6 M6C4 M6 M6 C4M6 M6 C4 M6 C4 M6

I6 I6 M6 M6P M6 P M6 M6 M6 M6 M6P M6 M6

P P P

I7 I7 I7 I7 I7

I6 I6 I6 M6 M6 I6 M6 I6I7 I7 M6I7 I6 M6 I6 I6 M6 I7 I6 I7 M6 I6

I6 L I6 I6 M6 M6 LI6 L M6 I6L LM6 I6 L M6 L I6 L L I6 M6 L I6 L M6 I6

I8 I8 C4 C4
L L L L L L L L L L L
I2 C2 C2 C2 I2 C2
I8 I8 C4 C4
M5I2I5 I5 I5 M5 M5
C2 M5 M5 C2 M5 C2 M5 I2 M5 C2

C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1
M5 I5 I5 I5 M5 M5 M5 M5 M5 M5 M5

C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1 C1
MATERIALI DEGRADI
C Calcarenite 1 Mancanza
M Malta
MATERIALI 2 Patina biologica
DEGRADI
I Intonaco 3 Vegetazione
L C Calcarenite
Legno 4 1 Mancanza
Erosione
F M Malta
Ferro 5 2 Patina biologica
Lacuna
P I Intonaco
Isolante a lamiera (provvisorio) 6 3 Vegetazione
Disgregazione
L Legno 4 Erosione
F Ferro
7
8
Crosta
5 Lacuna
Macchia
127
P Isolante a lamiera (provvisorio) 6 Disgregazione
7 Crosta
Sezione 1:10 - Rilievo materico e del degrado
  
 
FASI DI INTERVENTO
 
R.01 Rimozione del legno massello di copertura e degli infissi
  
R.02 Rimozione delle grate in ferro, della trave NP e della porta
R.03 Rimozione dei pannelli di copertura provvisori  
R.04 Rimozione della vegetazione infestante 
Pl.01 Pulitura generale a secco

Pl.02 Pulitura della patina biologica
Pl.03 Impacchi di carbonato di ammonio e spray a bassa pressione   
          

Pl.04 Impacchi con pasta gelatinosa          
ASI DI INTERVENTO Pl.05 Impregnazione con silicati organici           
R.01 Co.01e degli
Rimozione del legno massello di copertura Ristilatura
infissi dei giunti di malta
   .
R.02 Rimozione delle grate in ferro, dellaCo.02
trave NP eReintegrazione
della porta della malta con materiale compatibile con il preesistente
R.03 Rimozione dei pannelli di copertura Co.03
provvisori Reintegrazione dell’intonaco con materiale compatibile         '  
con il preesistente
R.04 Rimozione della vegetazione infestante           
P.01 Protezione delle creste murarie
Pl.01 Pulitura generale a secco
           
Pl.02
Pulitura della patina biologica
Pl.03
Impacchi di carbonato di ammonio e spray a bassa pressione 1:10
Sezione  -   
Fasi di intervento     .
Pl.04
Impacchi con pasta gelatinosa
Pl.05
Impregnazione con silicati organici
Co.01
Ristilatura dei giunti di malta
Co.02
Reintegrazione della malta con materiale compatibile con il preesistente
MATERIALi DEGRADI
Co.03
Reintegrazione dell’intonaco con materiale compatibile con il preesistente
P.01
'      
Protezione delle creste murarie - Allettata con malta di calce e sabbia
Calcarenite
Intonaco 1
pietrame
    ­  - Calcarenite
  € nodulare
   (Gianrusso,
€ 2008
€)  Prima metà del XIX secolo Il progetMancanza
to di co n ser vazio n e
Rinzaffo
irregolare - Prima metà del XVI secolo
  €   €   Sezione
  € 1:10 - Fasi di intervento

- “Basinuttuna” 25.8 x 64.5 x 25.8 cm


Calcarenite (Campisi, 2003) allettata con malta di Patina
conci regolari calce e sabbia biologica 6
- Prima metà del XVI secolo
intonaci

 
 €  € €    I l p r o g et t o d i co ns er v az io ne
€  € Intonaco 1 Presenza di
Prima metà del XIX secolo vegetazione
Finitura
- “Chiapponi a grossezza di palmo 25.8 x
murature

Calcarenite 52.6 x 25.8 cm (Campisi, 2003) allettata


conci con malta di calce e sabbia ed innesti di
grossolanamente laterizio Erosione
squadrati - Calcarenite nodulare (Gianrusso, 2008)
- Prima metà del XIX secolo

- Sistema di copertura con tavole, listelli,


Legno
arcarecci, travi Lacuna
massello
- Prima metà del XIX secolo
legni

Calcarenite - “Balatone della giusta” 24 x 40 x 30 cm


conci (Campisi, 2003) allettata con malta di Legno - Infisso finestra
Disgregazione
grossolanamente calce e sabbia ed innesti di laterizio massello - Primi decenni del XX secolo
squadrati - Primi decenni del XX secolo

- Malta di calce e sabbia - Grata finestra


Ferro Crosta
- Prima metà del XVI secolo - Prima metà del XIX secolo
malte

Malta
METALLI

- Malta cementizia usata per i rinzaffi - Trave NP


Ferro Macchia
- Prima metà del XIX secolo - Prima metà del XIX secolo

- Porta
Ferro
- XX secolo
intonaci

Intonaco 2
Prima metà del XIX secolo
Arriccio
ALTRI

Isolante a - Pannelli di copertura provvisoria


lamiera - 2003

128
129
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