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n. 7 - 2016
Valentina Sessa
Il partenariato e la valorizzazione “condivisa” del patrimonio culturale: dalla conservazione dei beni alla
rigenerazione del territorio.
Sommario: 1. Il patrimonio culturale come fattore di sviluppo. - 2. Il settore dei beni e delle attività culturali come
!siologicamente “condiviso” tra pubblico e privato. – 3. Il partenariato nella gestione del patrimonio culturale:
potenzialità e strumenti. – 4. Il ruolo strategico dell’integrazione tra disegno amministrativo, partenariato
!nanziario e partenariato socio-culturale.
Le ri"essioni della presente nota costituiscono un tentativo di illustrare le potenzialità dell’impiego degli strumenti
di partenariato nella valorizzazione del patrimonio culturale del Paese, nella convinzione che ogni ripresa sociale
ed economica debba necessariamente partire dalla realistica presa d’atto dei limiti e delle potenzialità di un
territorio e dalla coerente assunzione di misure volte a rispondere alle sue necessità superando i primi e
sfruttando virtuosamente le seconde.
Una ri"essione sul punto non può esimersi dal prendere atto che per decenni, al di là dei frequenti richiami
all’immenso e straordinario patrimonio culturale italiano, le politiche pubbliche non abbiano adeguatamente
incentivato né la sua tutela, né la sua valorizzazione. L’attuale situazione, tuttavia, impone di fondare le scelte
amministrative del prossimo futuro su un’adeguata considerazione delle necessità e delle potenzialità del
patrimonio culturale, sia allo scopo di salvaguardarlo, sia al !ne di scongiurare l’oblio cui esso sembra talvolta
destinato, sia in!ne per non perdere un’occasione preziosa di sviluppo del Paese.
Tale approccio deve innanzitutto considerare il patrimonio nella sua globalità: come a#erma in termini
condivisibili il vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il patrimonio
culturale è infatti costituito da beni culturali e beni paesaggistici, intendendo i primi come “
(…)
” e i secondi come “
(…)
”.
Una corretta considerazione di entrambe le componenti del patrimonio culturale consente di rendersi conto delle
dimensioni dell’ambito oggetto di ri"essione: esso comprende non solo la moltitudine di beni culturali individui
di#usi con estrema capillarità sul territorio nazionale, ma anche porzioni estremamente signi!cative di territorio
(zone costiere, rive dei laghi, corsi d’acqua e sponde limitrofe, montagne, ghiacciai, parchi e riserve nazionali o
regionali, territori coperti da foreste e da boschi, zone gravate da usi civici, zone umide, vulcani, zone di interesse
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archeologico).
I due aspetti sono inscindibili e devono di necessità essere considerati unitariamente: ciò signi!ca che la maggior
parte del territorio urbano ed extraurbano deve essere oggetto, prima di tutto, di un’azione di valorizzazione che
non può limitarsi al pur fondamentale aspetto conservativo, ma deve invece estendersi all’individuazione di forme
di gestione che ne consentano, oltre al mantenimento, anche un utilizzo rispettoso e la fruibilità da parte della
collettività.
Tale operazione, già di per sé complessa, costituisce un necessario punto di partenza, ma non può ritenersi
ancora soddisfacente per un’azione amministrativa che voglia avere portata strategica. Essa, infatti, sarebbe
ancora limitata e non coglierebbe le reali potenzialità del patrimonio culturale se fosse concepita come mera
promozione dello stesso e non come fattore di sviluppo non solo culturale, ma anche socio-economico del
territorio.
Il perseguimento di questo più ambizioso obiettivo, anche se incontra necessariamente delle di$coltà, costituisce
in realtà la più forte delle garanzie per la valorizzazione e !nanche per la stessa tutela del patrimonio culturale.
Solo la comprensione di quanto quest’ultimo costituisca un’occasione di crescita e di benessere per il
Paese[1]potrà spingere ad investire nello stesso, così superando la cronica mancanza di risorse ad esso destinate,
avviando un circuito virtuoso in cui l’impegno profuso nella valorizzazione dei beni generi a tutti i livelli e#etti
positivi e questi ultimi, a loro volta, incentivino ulteriori investimenti sui beni.
Per avviare un processo virtuoso nei termini sopra descritti occorre, però, superare l’inerzia di un approccio
troppo a lungo invalso nelle amministrazioni. In questa direzione vanno numerose disposizioni normative, alcune
delle quali saranno richiamate di seguito, come pure alcuni documenti di carattere economico-politico[2].
In questo processo, tuttavia, un ruolo fondamentale potranno avere le risorse, non solo economiche, ma anche
propositive e operative, dei privati, le cui capacità, competenze e professionalità sono in grado di dare un apporto
determinante alla valorizzazione del patrimonio culturale. È alla luce di tale considerazione che il partenariato tra
pubblico e privato va assumendo un ruolo di primo piano e merita uno speci!co approfondimento con riguardo
alla valorizzazione del patrimonio culturale.
1. Il settore dei beni e delle attività culturali come !siologicamente “condiviso” tra pubblico e privato.
Il ricorso agli strumenti di partenariato per la valorizzazione del patrimonio culturale non costituisce un fenomeno
da avviare . L’ambito della cultura è stato tra i primi a vedere l’impiego del partenariato, probabilmente in
forza del fatto che l’interazione tra pubblico e privato è dettata dalla stessa natura del settore.
Non è un caso – per citare una delle più frequenti forme di partenariato – che quando ancora le sponsorizzazioni
non erano diventate uno strumento d’impiego ordinario nel nostro ordinamento ed avevano fatto la loro
comparsa solo nell’art. 8 della l. 6 agosto 1990, n. 223, nota come , relativa alla
[3], fu proprio la l. 8 ottobre 1997, n. 352, contenente culturali,
a riprenderla per inserirla tra i (art. 9, comma 10)[4].
L’a$nità tra intervento privato e bene culturale può essere meglio compresa se si considera la dicotomia, per
quanto in sé discutibile[5], che il Codice dei beni culturali e del paesaggio traccia tra tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale, secondo cui la tutela del patrimonio culturale - sulla scorta di una tradizione già consolidata
sotto il vigore della storica legge 1 giugno 1939, n. 1089 – “
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”.
Nella stessa direzione sembra andare anche il successivo art. 131, comma 5, con riguardo ai beni paesaggistici,
ove si legge che “
”,
che indicano in massima parte la necessità di interagire, a vario titolo, con i privati, tanto che - sin dall’apertura del
Capo II in cui sono contenute - il legislatore ha cura di a#ermare che “
”.
Prosegue infatti l’art. 111, comma 2, dichiarando che “ ”, che in caso
di “
” (comma 3), mentre in caso di “
” (comma 4).
L’iniziativa privata viene valorizzata sia quando concerne beni in proprietà dei privati stessi, sia – a maggior
ragione - quando è rivolta al perseguimento di interessi generali.
Sotto il primo pro!lo, il legislatore è mosso non solo dall’interesse insito nei beni culturali di proprietà privata, ma
dalla più ampia necessità di considerare unitariamente il territorio: tale considerazione spiega l’inclusione di tali
beni, previo consenso degli interessati, negli accordi tra enti pubblici territoriali destinati a “
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E ancora, indipendentemente dagli accordi di cui al comma 4, il Codice prevede che possano essere stipulati
accordi tra lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le
regioni, gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni destinati alla
fruizione e alla valorizzazione di beni culturali ed eventualmente istituire, allo scopo, forme consortili non
imprenditoriali per la gestione di u$ci comuni. Per le stesse !nalità, “
” (comma 9).
In questo contesto anche le attività e le strutture di valorizzazione, ad iniziativa privata, di beni culturali di
proprietà privata possono bene!ciare del sostegno pubblico da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti
pubblici territoriali, tenendo conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono e secondo modalità
stabilite mediante accordi (art. 113).
Sotto il secondo pro!lo, l’apporto dei privati è valorizzato anche quando concerne non beni di cui essi siano
proprietari, bensì quando sia a vario titolo rivolto al perseguimento di !ni di interesse generale.
Ai sensi dell’art. 115, ad esempio, gli enti pubblici territoriali possono scegliere di non provvedere alla gestione
diretta delle attività di valorizzazione per mezzo di strutture organizzative interne e di ricorrere invece alla
gestione indiretta “ ”: la scelta tra le due forme
di gestione, per espressa disposizione normativa, “
”. In tal caso viene indicato
lo strumento della concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da
parte delle amministrazioni cui i beni pertengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5,
qualora siano conferitari dei beni, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione
comparativa di speci!ci progetti, cui segue la stipula di contratti di servizio, nel quale devono essere determinati,
tra l’altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli
qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti e i servizi
essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene. Alla concessione delle attività
di valorizzazione può inoltre essere collegata, per la durata del rapporto, la concessione in uso degli spazi
necessari all’esercizio delle attività medesime, previamente individuati nel capitolato d’oneri.
Il Codice dei beni culturali indica altresì una serie di altri rapporti convenzionali con svariate realtà del mondo
privato.
Volendo ricordarli brevemente, ci si può limitare a richiamare l’art. 118, secondo cui “
” (comma1) e, al !ne di garantirne la raccolta e la di#usione sistematica dei risultati, ivi compresa la
catalogazione, “
”. Parallelamente, l’art. 119 prevede che i responsabili degli istituti e dei luoghi della cultura
possano stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni ordine e grado, appartenenti al sistema
nazionale di istruzione, nonché con ogni altro istituto di formazione, per l’elaborazione e l’attuazione di progetti
formativi e di aggiornamento.
Di fondamentale importanza è poi l’art. 120, secondo cui “
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”.
Si tratta di norme che, in modo diverso, richiamano comunque a un rapporto collaborativo con i privati, segno che
la valorizzazione può essere più e$cacemente raggiunta attraverso un approccio sinergico. Partendo da tale
impostazione, anche larga parte della disciplina che le regioni emanano in forza della loro potestà concorrente ai
sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, pur nel rispetto dei soli principi fondamentali dettati dallo Stato,
assolve più a una funzione di indirizzo e sostegno dell’intervento dei privati che non a una funzione precettiva.
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” (comma 3, secondo periodo) l’art. 182 prevede che il !nanziamento dei contratti “
”
(comma 1)[14].
A fronte della disponibilità dell’opera o della domanda di servizi, l’amministrazione aggiudicatrice può ridurre o
annullare il canone che l’operatore economico deve corrispondere nei periodi di ridotta o mancata disponibilità
dell’opera, nonché di ridotta o mancata prestazione dei servizi, ma tali variazioni del canone devono, in ogni caso,
essere in grado di incidere signi!cativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei
ricavi dell’operatore economico (comma 4); alternativamente, può stabilire che venga corrisposta una diversa
utilità economica comunque pattuita , ovvero rimettere la remunerazione del servizio allo sfruttamento
diretto della stessa da parte dell’operatore economico, che in tal caso si assume il rischio delle "uttuazioni
negative del mercato della domanda del servizio medesimo (comma 5). Sempre ai !ni del raggiungimento del
predetto equilibrio, l’amministrazione può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero
nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico, ovvero ancora il
riconoscimento di un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera
da a$dare in concessione (comma 6)[15].
Peraltro, l’eliminazione dalla norma del richiamo – presente nella precedente disciplina - al !nanziamento totale o
parziale a carico dei privati e la sua sostituzione con la mera “ ” da parte dell’operatore
economico, avvalora la possibilità di una compartecipazione !nanziaria della pubblica amministrazione, come
peraltro già chiarito in sede comunitaria, così superando i problemi generati da un’eventuale copertura parziale
dei costi da parte del privato.
Queste formule, nella loro varietà, sono senz’altro suscettibili di destare l’interesse dell’operatore economico e, al
contempo, di risolvere un problema di gestione di parte del patrimonio culturale.
È interessante notare, in particolare, come le modalità di utilizzazione dei beni immobili vengano de!nite
dall’amministrazione aggiudicatrice, che ha così la possibilità di sviluppare una strategia per la valorizzazione del
patrimonio culturale. Per quanto riguarda tale aspetto, è però auspicabile che vengano introdotti ulteriori incentivi
per gli operatori economici a intraprendere un rapporto di partenariato, ad esempio introducendo la possibilità -
prospettata nel corso dei lavori preparatori ma stralciata dal testo de!nitivo del Codice dei contratti pubblici - di
modi!care la destinazione d’uso degli immobili ceduti, al !ne di consentire la loro rifunzionalizzazione e messa a
reddito, previsione che eviterebbe di vani!care molte operazioni di partenariato a causa dell’impossibilità per
l’operatore di trovare una destinazione soddisfacente per gli immobili, ancorché in discontinuità con la loro
destinazione attuale.
Il riferimento al fatto che il partenariato costituisca un contratto a titolo oneroso lo distingue anche dalle ipotesi in
cui la pubblica amministrazione scelga di avvalersi di forme di partecipazione della società civile quali ad esempio
quelle di cui all’art. 20, secondo cui possono essere stipulate convenzioni con le quali un soggetto pubblico o
privato si impegna alla realizzazione, a sua totale cura e spesa e previo ottenimento di tutte le necessarie
autorizzazioni, di un’opera pubblica o di un suo lotto funzionale o di parte dell’opera prevista nell’ambito di
strumenti o programmi urbanistici complessi.
Alla de!nizione di cui alla lett. eee rinvia anche il successivo art. 180 del Codice, che apre un intero Titolo dedicato
al tema del aggiungendo che “
” (comma 1).
In base alla lettura congiunta delle due de!nizioni richiamate molteplici sono le attività di valorizzazione -
realizzazione di opere e svolgimento di servizi - che possono essere oggetto del partenariato pubblico-privato: la
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esclusioni, modalità e procedure di a$damento, di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, requisiti
generali e speciali e motivi di esclusione, criteri di aggiudicazione, modalità di comunicazione ai candidati e agli
o#erenti, requisiti di quali!cazione degli operatori economici, termini di ricezione delle domande di partecipazione
alla concessione e delle o#erte, nonché alle modalità di esecuzione, dall’altra mediante alcune speci!che
disposizioni, contenute nell’art. 164 e ss., la cui applicazione è esclusa solo con riguardo alla concessione
concernente i servizi non economici di interesse generale[18].
Se l’applicabilità della concessione di servizi alla valorizzazione del patrimonio culturale è di immediata percezione,
anche in forza delle richiamate disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il ricorso ad altri
strumenti di partenariato che fanno riferimento alla categoria dei “lavori” si rivela comunque utile ai !ni della
valorizzazione del patrimonio culturale, dal momento che il D.M. 22 agosto 2017, n. 154, contenente il
Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, di
cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, chiarisce che tale categoria include “
”.
Sotto tale pro!lo, ad esempio, ai !ni della realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità inseriti negli
strumenti di programmazione formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice, !nanziabili in tutto o in
parte con capitali privati, l’art. 183 indica espressamente, quale alternativa alla concessione, la ,
in base alla quale le amministrazioni aggiudicatrici possono a$dare una concessione ponendo a base di gara il
progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando !nalizzato alla presentazione di o#erte che
contemplino l’utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti[19].
Diversamente, laddove la normativa faccia riferimento ad interventi di nuova costruzione, l’utilizzabilità del
partenariato a !ni di valorizzazione del patrimonio culturale è limitata al fatto che gli istituti speci!ci siano
adoperati non per intervenire direttamente sul bene culturale, bensì per la realizzazione di opere (nuove)
destinate a favorire lo svolgimento di attività di valorizzazione, quali ad esempio locali destinati allo svolgimento di
attività formative o culturali connesse al bene, parcheggi o altre infrastrutture serventi: nella
, ad esempio, il soggetto pubblico interessato alla realizzazione di una infrastruttura rilascia
al privato una concessione che prevede l’obbligo per il concessionario di costruire l’opera attraverso risorse
proprie e il diritto di gestirla economicamente durante la durata della concessione, ai !ni della remunerazione
dell’investimento iniziale, con il conseguente trasferimento della struttura all’ente pubblico titolare del servizio, al
termine della concessione[20].
Parimenti, nella , ove il contratto ha ad oggetto la
prestazione di servizi !nanziari e l’esecuzione di lavori (art. 3, lett. ggg ), ovvero nel ,
funzionale ad a$dare, a rischio e a spese dell’a$datario, la costruzione e la messa a disposizione a favore
dell’amministrazione aggiudicatrice, a fronte di un corrispettivo, di un’opera di proprietà privata destinata
all’esercizio di un pubblico servizio, vale a dire l’assunzione dell’onere a proprio rischio da parte dell’a$datario di
assicurare all’amministrazione la costante fruibilità dell’opera, garantendo funzionalità, manutenzione e
risoluzione di eventuali vizi, anche sopravvenuti (art. 3, lett. hhh ).
Deve però segnalarsi che, al di là delle fattispecie di partenariato espressamente richiamate dall’art. 180, comma
8, il riferimento a “ ” consente di applicare
le disposizioni di cui alla stessa norma, quale regime generale, a svariate altre !gure riconducibili al
partenariato[21].
È stato prospettata quale forma di partenariato, ad esempio, il ricorso al , in cui le stazioni
appaltanti indicano nel bando di gara o nell’avviso di indizione di gara le loro esigenze e i requisiti richiesti e li
de!niscono nel bando stesso, nell’avviso di indizione o in un documento descrittivo, avviando poi con i
partecipanti selezionati un dialogo !nalizzato all’individuazione e alla de!nizione dei mezzi più idonei a soddisfare
le proprie necessità (art. 64)[22]. Si tratta di un istituto che, più di altri, è in grado di valorizzare la creatività e
il dei privati, portando a soluzioni non standardizzate ma ideate appositamente per singoli beni o
contesti.
Lo stesso Codice dei contratti pubblici, peraltro, al di fuori delle fattispecie indicate nell’art. 180, comma 8, prevede
in altre norme singoli strumenti che costituiscono anch’essi forme di partenariato.
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Tra gli altri, si può ricordare in particolare l’art. 151, rubricato , che –
ponendosi nella scia del Codice dei beni culturali e del paesaggio - annovera la sponsorizzazione tra le forme di
partenariato e prevede che i relativi contratti possano essere stipulati per realizzare lavori, servizi o forniture
relativi a beni culturali, nonché !nalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, delle fondazioni lirico-
sinfoniche e dei teatri di tradizione (comma 1)[23]. In materia di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture
relativi a beni culturali, peraltro, l’art. 19 del Codice stesso detta la procedura di a$damento dei relativi contratti.
In merito occorre ricordare che il Ministero dei beni e delle attività culturali ha anche emanato la Circolare 17
giugno 2016, n. 28, al !ne di fornire istruzioni operative sul suo impiego.
A tale disposizione la norma in oggetto ne a$anca un’altra la quale stabilisce, al !ne di assicurare la fruizione del
patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la ricerca scienti!ca applicata alla tutela, che il Ministero per i
beni e le attività culturali possa attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti
privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla
pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure sempli!cate di
individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1 (comma 3). È
indicativo, peraltro, che nei lavori preparatori del nuovo Codice si rinvenga il richiamo, per quanto non cogente, a
muoversi nel quadro degli accordi per la valorizzazione del patrimonio culturale di cui all’art. 112 del d.lgs. 22
gennaio 2004, n. 42.
Si possono poi rammentare gli di cui all’art. 189, un istituto de!nito
“ ” dalla Relazione, in quanto consente, nel rispetto dei principi di non discriminazione,
trasparenza e parità di trattamento, di a$dare in gestione per quanto concerne la manutenzione, e con diritto di
prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto di convenzioni e su cui essi insistono, beni o aree
riservate al verde pubblico urbano e gli immobili di origine rurale, riservati alle attività collettive sociali e culturali
di quartiere, con esclusione degli immobili ad uso scolastico e sportivo, ceduti al comune nell’ambito delle
convenzioni e delle norme previste negli strumenti urbanistici attuativi (comma 1). Analogamente, per la
realizzazione di opere di interesse locale, gruppi di cittadini organizzati potranno formulare all’ente locale
territoriale competente proposte operative di pronta realizzabilità, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o
delle clausole di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati, indicando nei costi e di mezzi di !nanziamento,
senza oneri per l’ente medesimo. L’ente locale provvederà sulla proposta, con il coinvolgimento, se necessario, di
eventuali soggetti, enti ed u$ci interessati, fornendo prescrizioni ed assistenza e potrà predisporre apposito
regolamento per disciplinare le attività ed i processi in oggetto (comma 2).
All’interno di tali interventi si inserisce anche la previsione del , già introdotto dall’art. 24 del
d.l. 12 settembre 2014, n. 133 e ora disciplinato dall’art. 190 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale gli
enti territoriali de!niscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di
“ ”, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione
ad un preciso ambito territoriale. Tali contratti potranno riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di
aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di
decoro urbano, di recupero e riuso con !nalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati. In
relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali potranno individuare riduzioni o esenzioni di tributi
corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dall’associazione ovvero comunque utili alla comunità di
riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa.
La varietà di tipologie di partenariato, pur succintamente richiamata nel precedente paragrafo, dimostra la
duttilità di tale istituto e la sua utilizzabilità secondo declinazioni che consentono, nei diversi contesti e per
di#erenti !nalità, il coinvolgimento sia del mondo degli operatori economici, sia dei cittadini, singoli e associati,
per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Tali iniziative costituiscono una fondamentale forma di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sancito
dall’art. 118 della Costituzione: in entrambi i casi l’apporto dei privati deve essere considerato prezioso, per il
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capitale (!nanziario e sociale) che mette a disposizione e per il coinvolgimento del territorio che consente di
realizzare, coordinando l’azione amministrativa con quella produttiva e socio-culturale a bene!cio dell’intera
collettività[24].
Con particolare riguardo al patrimonio culturale, poi, non vi è dubbio che i privati possano essere partner nelle
attività di valorizzazione in forza del richiamo operato dall’art. 9 della Costituzione non allo Stato, né agli enti
pubblici, ma alla stessa “Repubblica” nella sua interezza, e quindi anche alla componente costituita dalla società
civile, in particolare attraverso le formazioni imprenditoriali e culturali che essa crea.
Il partenariato !nanziario e quello socio-culturale costituiscono, certo, forme alquanto distanti tra loro e,
purtuttavia, sono entrambi necessari oltre che complementari.
Da una parte, infatti, le risorse !nanziarie delle imprese e la loro capacità operativa sono in grado di realizzare
interventi complessi e costosi, che necessitano di investimenti signi!cativi di cui potrebbero non disporre né le
amministrazioni né i singoli cittadini. Si potrebbero ricordare, ad esempio, i casi di molte sponsorizzazioni, come
quelli dei lavori riguardanti il Colosseo, il Cenacolo Vinciano, gli a#reschi della Leggenda della Vera Croce di Piero
Della Francesca, oppure il recupero attraverso la !nanza di progetto della Villa Reale di Monza, oggi adibita in
parte ad attività culturali, in parte a nuove funzionalità, anche commerciali (ristorazione, organizzazione di eventi o
congressi e via dicendo) in grado di sostenere il quadro economico degli interventi, e della Scuola Grande della
Misericordia di Venezia, un’operazione di riquali!cazione urbanistica attraverso cui sono stati realizzati sia il
restauro dell’edi!cio, sia la sua destinazione ad attività culturali, ma anche a produzioni cinematogra!che e
all’organizzazione di eventi di rappresentanza e incontro aziendali.
Le operazioni di partenariato !nanziario, dunque, devono in linea di massima essere salutate con favore non solo
perché o#rono l’opportunità di realizzare interventi altrimenti preclusi, ma anche perché sono suscettibili di
determinare ricadute positive sull’economia del territorio, incrementando le attività produttive connesse e
l’occupazione.
Le singole operazioni !nanziarie e imprenditoriali, d’altra parte, potrebbero non essere remunerative e quindi
rivelarsi scarsamente appetibili per gli operatori del mercato. In tal caso diventa fondamentale l’apporto
integrativo dell’amministrazione o di altri soggetti per coprire costi o fornire servizi altrimenti privi di copertura
!nanziaria.
Questo, tuttavia, non è l’unico caso in cui è necessario considerare l’integrazione tra partenariato !nanziario e
altre forme di partenariato. Lo stesso partenariato !nanziario, infatti, se non è considerato come fattore di
sviluppo anche sociale e culturale del territorio nel suo insieme, corre il rischio di risolversi in operazioni
puramente commerciali, così depotenziando quel che può o#rire un’operazione di partenariato nel
settore della valorizzazione del patrimonio culturale. Il recupero di un bene culturale, l’organizzazione di servizi
per la sua fruizione e altre iniziative similari, infatti, possono essere volano di una riquali!cazione anche sociale e
culturale solo se sono avvertite dalla cittadinanza come occasione di rivitalizzazione di quartieri e città, di recupero
delle periferie, di integrazione tra aree agricole e urbane, di creazione di nuove attività produttive e occupazionali,
di promozione culturale e, quindi, di miglioramento della qualità della vita, di inclusione sociale, di superamento di
situazioni di marginalità e di disagio.
Il coinvolgimento delle varie realtà istituzionali, degli enti rappresentativi di categorie produttive, delle associazioni
di cittadini, degli enti formativi, culturali o assistenziali del territorio, delle fondazioni bancarie e degli altri attori
che operino in un determinato contesto, può dunque garantire più di altre iniziative un’e#ettiva e completa
riuscita delle operazioni economico-!nanziarie: queste ultime possono essere meglio comprese e appoggiate nelle
loro !nalità, oltre che integrate negli aspetti lacunosi (non solo economici, ma anche socio-culturali), solo laddove
condivise con le comunità di riferimento.
Senza contare che, in molte operazioni di valorizzazione, l’apporto più necessario non è quello di grandi capitali,
quanto piuttosto quello di una cooperazione degli attori del territorio per lo svolgimento di un’attività di interesse
generale.
A dispetto del dimostrato per il ricorso a detto istituto, l’attenzione del legislatore nazionale sembra ancora
eccessivamente concentrata sull’aspetto economico-!nanziario – certo estremamente rilevante – del partenariato,
mentre considera ancora scarsamente l’apporto in termini propositivi, decisionali e innovativi dei soggetti privati.
Risulta pertanto auspicabile valorizzare, accanto al partenariato !nanziario, anche tutte quelle iniziative di
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partenariato culturale e sociale che spesso sorgono in via spontanea dalla società. Esse consentono il
superamento di quel concetto, mai a#ermato eppure sotteso all’incuria e al disinteresse che per decenni ha
contraddistinto la politica dei beni culturali, che ciò che è pubblico è di tutti e quindi di , sostituendolo con
quello secondo cui ciò che è pubblico è di tutti e quindi di , così responsabilizzando e coinvolgendo i
cittadini e le loro forme associative nella cura di tali beni.
Non è un caso che negli ultimi anni abbiano riscosso tanto interesse le iniziative relative ai “beni comuni”, intesi
come quelli “
”[25].
In una visione che, partendo da una maggior considerazione della del bene, valorizza un criterio
oggettivo–funzionale, ovvero l’interesse (pubblico o privato) che il bene è preposto a realizzare, l’aspetto
dell’appartenenza del bene diviene recessivo, mentre acquista maggior peso l’interesse (non più generalizzato e
indistinto da parte della collettività, bensì) di speci!che comunità, ovvero di ciascuno dei suoi membri, all’uso di
determinati beni che, pur potendo arrecare utilità anche alla collettività indistinta (nel caso siano beni a
destinazione pubblica) o ai loro proprietari privati, sono comunque particolarmente signi!cativi per la comunità di
riferimento(si pensi, ad esempio, ad un parco pubblico cittadino o a una piazza, beni comuni per chi risiede
stabilmente nelle zone circostanti ma aperto all’uso generale anche di tutti gli altri cittadini e dei turisti).
Molti comuni, il cui numero è in costante crescita, hanno così approvato regolamenti per la cura e la gestione dei
beni comuni attraverso forme di amministrazione condivisa con i cittadini. L’emanazione di tali regolamenti
costituisce un passo importante per sistematizzare il ricorso a queste forme di collaborazione, oltre che di
sempli!cazione delle relative procedure.
Nulla vieta, naturalmente, che pur in assenza dell’introduzione di regolamenti del genere si possano realizzare
accordi tra soggetti pubblici e privati, in particolare facendo ricorso alla programmazione negoziata quale
“
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pubblica amministrazione e dalle quali sono escluse le comunità, sia alla eccessiva !ducia nell’e$cienza del
mercato e nell’equità delle soluzioni perseguite attraverso tale strada.
Tale processo, in ogni caso, deve essere guidato dall’amministrazione pubblica, la cui centralità permane sotto
numerosi aspetti. In primo luogo, infatti, essa dovrebbe esercitare un ruolo propositivo: ad essa compete infatti
l’adozione di un disegno strategico di sviluppo del territorio che tenga conto dell’importanza delle varie sinergie
con i privati. Sotto questo pro!lo, tuttavia, per superare l’inerzia di molte amministrazioni, sarebbe forse
opportuno nel prossimo futuro prevedere l’ipotesi che il ricorso al partenariato possa essere proposto da soggetti,
pubblici o privati, diversi dall’amministrazione aggiudicatrice, stabilendo una procedura che – nel rispetto della
discrezionalità dell’amministrazione – consenta di vagliare tali proposte, eventualmente dandone pubblicità per
stimolare ulteriori manifestazioni di interesse da parte di altri soggetti e svolgere, in caso si rendesse necessario,
un confronto concorrenziale. In tal modo sarebbe possibile incentivare l’iniziativa spontanea dei soggetti
dell’ordinamento senza incorrere in facili contestazioni per violazione della concorrenza.
In relazione a tale suo ruolo, l’amministrazione deve ritenersi investita del compito di favorire o creare le
condizioni a$nché si ra#orzi la cooperazione nell’ambito delle comunità e, quindi, deve svolgere un ruolo di
sostegno e incentivazione nell’uso di questo strumento nelle sue varie declinazioni, aspetto questo che nel
prossimo futuro richiederà, peraltro, l’acquisizione di adeguate professionalità da parte della stessa
amministrazione pubblica.Le procedure di partenariato sono infatti piuttosto complesse e regolamentano un
rapporto che, per de!nizione, si instaura tra soggetti aventi la stessa dignità formale e capacità, un rapporto di
partnership in cui privato e pubblica amministrazione de!niscono consensualmente obiettivi e attività e che,
pertanto, esige una struttura amministrativa quantomeno in grado di dialogare con il privato. L’amministrazione
dovrà fare dunque uno sforzo di adeguamento alle esigenze poste dalla nuova disciplina, onde non rinunciare alle
potenzialità o#erte da questo strumento senza, tuttavia, venir meno ai propri obblighi di tutela dell’interesse
pubblico.
In secondo luogo, essa mantiene il dovere di intervenire quando la comunità non si faccia carico della
salvaguardia o della gestione del bene, che altrimenti ne risulterebbe compromesso, come pure – da ultimo - ha
l’obbligo di esercitare un’azione di controllo successivo sull’attività del privato, attività che assume forme
predeterminate in caso di partenariato !nanziario[27]ma che può rivelarsi pro!cuo anche nelle altre fattispecie di
partenariato attraverso un monitoraggio che consenta di valutare le ricadute delle azioni intraprese e, in caso di
necessità, di adottare le opportune azioni correttive[28].
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”.
[4]La norma, successivamente abrogata dal D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 3, in relazione all’entrata in vigore dei
regolamenti di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, dava indicazione che l’utilizzazione
dell’immagine di un singolo bene, facente parte dei complessi archeologici, potesse essere “
”.
[5]Il ricorso ai termini “tutela” e “valorizzazione” nella legislazione italiana si rinviene a partire dagli anni Sessanta,
in quanto in precedenza non si considerava la capacità “attiva e promozionale” del patrimonio culturale. In merito
a questo passaggio culturale si veda CASSESE S., , in ,
1998, pag. 673. In merito alla distinzione tra tutela e valorizzazione viè stato un lungo dibattito che in questa sede
non è possibile riportare. si ricordi, per la sua lucida sinteticità, PASTORI G.,
,Relazione al Convegno ,
Milano, Università Cattolica, 1° ottobre 2004, in , 2004, n. 3. Si vedano inoltre PETRAROIA P.,
, in MONTELLA M., DRAGONI P.,
, Bologna, 2010, 43-54; CERQUETTI M.,
Milano, 2014.
[6] In base al dettato normativo, del resto, non avrebbe potuto essere diversamente, dal momento che “
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all’
, sono state dettate numerose indicazioni volte ad attuare l’art. 120: tali indicazioni che devono
essere considerate dotate di valore precettivo per quanto attiene alla tutela sotto il pro!lo della compatibilità delle
sponsorizzazioni con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare,
nonché, in caso di sponsorizzazione “ ”, ai requisiti di quali!cazione delle imprese a$datarie dei lavori,
mentre hanno carattere di indirizzo nei confronti degli u$ci del Ministero stesso e valenza orientativa e
interpretativa per le altre amministrazioni nella parte concernente l’interpretazione del quadro normativo vigente
e l’applicazione delle disposizioni sulle modalità di a$damento dei contratti di sponsorizzazione.
[10] , si vedano CHITI M.P. (a cura di), , Napoli, 2009; ID.,
, in , 29 luglio 2005; ID.,
, Bologna, 2005;
SANDULLI M.A., , in
, 29 luglio 2005; CARINGELLA F. - CARTEI G. F. - IBBA C. - PERICU G. - PETRETTO A. - CERRINA FERONI G. (a
cura di), , Torino, 2011; IOSSA E. - RUSSO F., ,
in ., 2008; DI PACE R., , Milano, 2006; MARCOLUNGO C.,
, in CHITI M. P. (a cura di), , Napoli, 2009;
AA. VV., , Atti del convegno, Milano,
Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere, a cura di BELLINI A. - BIANCHI ROBBIATI A. - PETRAROIA P.,
Milano 2018; ivi PETRAROIA P., .
[11]Sul tema si vedano PALMA A., , in , a cura di Esposito
G.M., , Milano, 2017, 2103 e BONFANTI V.,
, in , 20 luglio 2016. In proposito sia
consentito rinviare anche a V.M. SESSA, , in ,2016, n. 7.
[12]L’art. 21, comma 4, infatti, nello stabilire che le stazioni appaltanti debbano adottare un programma triennale
dei lavori pubblici, richiede che attraverso questo strumento le amministrazioni aggiudicatrici individuino i lavori
complessi e gli interventi suscettibili di essere realizzati attraverso contratti di concessione o di partenariato
pubblico-privato. A tale scopo, il comma 5 aggiunge che nell’elencazione delle fonti di !nanziamento debbano
essere indicati anche i beni immobili disponibili che possono essere oggetto di cessione e i beni immobili nella
propria disponibilità concessi in diritto di godimento, a titolo di contributo, la cui utilizzazione sia strumentale e
tecnicamente connessa all’opera da a$dare in concessione. Viene così sancita l’indubbia legittimità ed utilità del
partenariato come strumento ordinario per la realizzazione dell’interesse pubblico.
[13]I dati forniti dall’Osservatorio Nazionale del PPP nel Rapporto 2017 sul Mercato del Partenariato Pubblico
Privato in Italia indicano che nei quindici anni che vanno dal 2002 al 2016 il partenariato un mercato importante
per il nostro Paese: circa 29.000 tra gare aggiudicate e gare in corso, per un importo complessivo di quasi 90
miliardi di euro. Si passa infatti dalle 331 iniziative del 2002, alla media annua di oltre 3.000 iniziative nel periodo
2012-2016, con il picco di 3.334 nel 2015, e con un 2016, nonostante l’entrata in vigore del nuovo Codice dei
contratti pubblici, attestato a 3.187 iniziative in corso. Anche gli importi, sebbene con un trend annuale altalenante
condizionato da grandi progetti, hanno segnato comunque, nella dinamica dei quindici anni, una chiara crescita.
[14]Il contratto dovrà determinare i rischi trasferiti, le modalità di monitoraggio della loro permanenza entro il
ciclo di vita del rapporto contrattuale e le conseguenze derivanti dall’anticipata estinzione del contratto, tali da
comportare la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico (comma 2). Quanto al veri!carsi di
fatti non riconducibili all’operatore economico che incidono sull’equilibrio del piano economico !nanziario, esso
può comportarne la revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione
deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio
economico !nanziario relative al contratto.
[15]In ogni caso, l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di
ulteriori meccanismi di !nanziamento a carico della pubblica amministrazione, “
” (art. 180, comma 6).
[16]Tale previsione costituisce uno dei principali aspetti innovativi rispetto al d.lgs. n. 163/2006 ed è coerente con
la disciplina comunitaria e con quanto previsto dal della Commissione europea, nonché aderente a
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puntuali criteri di delega contenuti nella legge n. 11/2016, con particolare riguardo all’art. 1, comma 1, lett. ss) e tt),
oltre che ad analoghe previsioni di importanti Paesi europei, come Francia e Spagna.
[17]Non vengono invece più menzionati l’a$damento a contraente generale né le società miste, mentre il
riferimento alla concessione di lavori è stato sostituito da quello alla concessione di costruzione e gestione ed ha
fatto il suo ingresso il contratto di disponibilità.
[18]RAGANELLI B.,
, in , 2017; M. CAFAGNO - A. BOTTO - G. FIDONE - G. BOTTINO (a cura
di), , Milano, 2013; M. P. CHITI,
, 2015.
[19]G.F. CARTEI - M. RICCHI (a cura di), , Napoli, 2015; G. FIDONE e
B. RAGANELLI, 2010, 741.
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[26]Il medesimo comma 203 indica diversi strumenti: l’«Intesa istituzionale di programma», come tale
intendendosi l’accordo tra amministrazione centrale, regionale o delle province autonome con cui tali soggetti si
impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse !nanziarie disponibili, dei
soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di
interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati. La gestione !nanziaria degli interventi per i quali sia
necessario il concorso di più amministrazioni dello Stato, nonché di queste ed altre amministrazioni, enti ed
organismi pubblici, anche operanti in regime privatistico, può attuarsi secondo le procedure e le modalità previste
dall’articolo 8 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 367 (lett. b ); l’«Accordo di programma quadro», come tale intendendosi
l’accordo con enti locali ed altri soggetti pubblici e privati promosso dagli organismi di cui alla lettera b), in
attuazione di una intesa istituzionale di programma per la de!nizione di un programma esecutivo di interventi di
interesse comune o funzionalmente collegati. L’accordo di programma quadro indica in particolare: 1) le attività e
gli interventi da realizzare, con i relativi tempi e modalità di attuazione e con i termini ridotti per gli adempimenti
procedimentali; 2) i soggetti responsabili dell’attuazione delle singole attività ed interventi; 3) gli eventuali accordi
di programma ai sensi dell’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142; 4) le eventuali conferenze di servizi o
convenzioni necessarie per l’attuazione dell’accordo; 5) gli impegni di ciascun soggetto, nonché del soggetto cui
competono poteri sostitutivi in caso di inerzie, ritardi o inadempienze; 6) i procedimenti di conciliazione o
de!nizione di con"itti tra i soggetti partecipanti all’accordo; 7) le risorse !nanziarie occorrenti per le diverse
tipologie di intervento, a valere sugli stanziamenti pubblici o anche reperite tramite !nanziamenti privati; 8) le
procedure ed i soggetti responsabili per il monitoraggio e la veri!ca dei risultati. L’accordo di programma quadro è
vincolante per tutti i soggetti che vi partecipano. I controlli sugli atti e sulle attività posti in essere in attuazione
dell’accordo di programma quadro sono in ogni caso successivi. Limitatamente alle aree di cui alla lettera f), gli atti
di esecuzione dell’accordo di programma quadro possono derogare alle norme ordinarie di amministrazione e
contabilità, salve restando le esigenze di concorrenzialità e trasparenza e nel rispetto della normativa comunitaria
in materia di appalti, di ambiente e di valutazione di impatto ambientale. Limitatamente alle predette aree di cui
alla lettera f), determinazioni congiunte adottate dai soggetti pubblici interessati territorialmente e per
competenza istituzionale in materia urbanistica possono comportare gli e#etti di variazione degli strumenti
urbanistici già previsti dall’articolo 27, commi 4 e 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (lett. c ); il «Patto territoriale»,
come tale intendendosi l’accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o privati con i
contenuti di cui alla lettera c), relativo all’attuazione di un programma di interventi caratterizzato da speci!ci
obiettivi di promozione dello sviluppo locale (lett. d ); il «Contratto di programma», come tale intendendosi il
contratto stipulato tra l’amministrazione statale competente, grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese
e rappresentanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata
(lett. e ); il «Contratto di area», come tale intendendosi lo strumento operativo, concordato tra amministrazioni,
anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché eventuali altri soggetti interessati, per la
realizzazione delle azioni !nalizzate ad accelerare lo sviluppo e la creazione di una nuova occupazione in territori
circoscritti, nell’ambito delle aree di crisi indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministero del bilancio e della programmazione economica e sentito il parere delle competenti Commissioni
parlamentari, che si pronunciano entro quindici giorni dalla richiesta, e delle aree di sviluppo industriale e dei
nuclei di industrializzazione situati nei territori di cui all’obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/88, nonché delle
aree industrializzate realizzate a norma dell’art. 32 della legge 14 maggio 1981, n. 219, che presentino requisiti di
più rapida attivazione di investimenti di disponibilità di aree attrezzate e di risorse private o derivanti da interventi
normativi. Anche nell’ambito dei contratti d’area dovranno essere garantiti ai lavoratori i trattamenti retributivi
previsti dall’articolo 6, comma 9, lettera c), del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modi!cazioni,
dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389 (lett. f ).
[27]Il Codice dei contratti pubblici prevede infatti sistemi di monitoraggio - cui l’operatore economico è tenuto a
collaborare attivamente – per veri!care, in particolare, la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore
economico, secondo modalità de!nite da linee guida adottate dall’ANAC (art. 181, comma 4). La medesima logica
del controllo, e quindi la necessità della distinzione di ruoli tra soggetto controllore e controllato, costituisce
la dell’art. 31, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016, il quale vieta, negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con le
formule di partenariato pubblico-privato, l’attribuzione dei compiti di responsabile unico del procedimento,
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responsabile dei lavori, direttore dei lavori, e di collaudatore allo stesso soggetto aggiudicatario dei contratti di
partenariato pubblico-privato o a soggetti ad essi collegati.
[28]Il carattere pluralistico e multilivello dei processi di attuazione delle politiche pubbliche, infatti, come bene
evidenzia il documento di Fondazione Cariplo
del 14 settembre 2009, “
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