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Giustamm.

it - Rivista di Diritto Pubblico 16/01/20, 00:15

Anno XVII, gennaio 2020

Dottrina

n. 7 - 2016

Valentina Sessa

Il partenariato e la valorizzazione “condivisa” del patrimonio culturale: dalla conservazione dei beni alla
rigenerazione del territorio.

Sommario: 1. Il patrimonio culturale come fattore di sviluppo. - 2. Il settore dei beni e delle attività culturali come
!siologicamente “condiviso” tra pubblico e privato. – 3. Il partenariato nella gestione del patrimonio culturale:
potenzialità e strumenti. – 4. Il ruolo strategico dell’integrazione tra disegno amministrativo, partenariato
!nanziario e partenariato socio-culturale.

1. Il patrimonio culturale come fattore di sviluppo.

Le ri"essioni della presente nota costituiscono un tentativo di illustrare le potenzialità dell’impiego degli strumenti
di partenariato nella valorizzazione del patrimonio culturale del Paese, nella convinzione che ogni ripresa sociale
ed economica debba necessariamente partire dalla realistica presa d’atto dei limiti e delle potenzialità di un
territorio e dalla coerente assunzione di misure volte a rispondere alle sue necessità superando i primi e
sfruttando virtuosamente le seconde.
Una ri"essione sul punto non può esimersi dal prendere atto che per decenni, al di là dei frequenti richiami
all’immenso e straordinario patrimonio culturale italiano, le politiche pubbliche non abbiano adeguatamente
incentivato né la sua tutela, né la sua valorizzazione. L’attuale situazione, tuttavia, impone di fondare le scelte
amministrative del prossimo futuro su un’adeguata considerazione delle necessità e delle potenzialità del
patrimonio culturale, sia allo scopo di salvaguardarlo, sia al !ne di scongiurare l’oblio cui esso sembra talvolta
destinato, sia in!ne per non perdere un’occasione preziosa di sviluppo del Paese.
Tale approccio deve innanzitutto considerare il patrimonio nella sua globalità: come a#erma in termini
condivisibili il vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il patrimonio
culturale è infatti costituito da beni culturali e beni paesaggistici, intendendo i primi come “
(…)
” e i secondi come “
(…)
”.
Una corretta considerazione di entrambe le componenti del patrimonio culturale consente di rendersi conto delle
dimensioni dell’ambito oggetto di ri"essione: esso comprende non solo la moltitudine di beni culturali individui
di#usi con estrema capillarità sul territorio nazionale, ma anche porzioni estremamente signi!cative di territorio
(zone costiere, rive dei laghi, corsi d’acqua e sponde limitrofe, montagne, ghiacciai, parchi e riserve nazionali o
regionali, territori coperti da foreste e da boschi, zone gravate da usi civici, zone umide, vulcani, zone di interesse

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archeologico).
I due aspetti sono inscindibili e devono di necessità essere considerati unitariamente: ciò signi!ca che la maggior
parte del territorio urbano ed extraurbano deve essere oggetto, prima di tutto, di un’azione di valorizzazione che
non può limitarsi al pur fondamentale aspetto conservativo, ma deve invece estendersi all’individuazione di forme
di gestione che ne consentano, oltre al mantenimento, anche un utilizzo rispettoso e la fruibilità da parte della
collettività.
Tale operazione, già di per sé complessa, costituisce un necessario punto di partenza, ma non può ritenersi
ancora soddisfacente per un’azione amministrativa che voglia avere portata strategica. Essa, infatti, sarebbe
ancora limitata e non coglierebbe le reali potenzialità del patrimonio culturale se fosse concepita come mera
promozione dello stesso e non come fattore di sviluppo non solo culturale, ma anche socio-economico del
territorio.
Il perseguimento di questo più ambizioso obiettivo, anche se incontra necessariamente delle di$coltà, costituisce
in realtà la più forte delle garanzie per la valorizzazione e !nanche per la stessa tutela del patrimonio culturale.
Solo la comprensione di quanto quest’ultimo costituisca un’occasione di crescita e di benessere per il
Paese[1]potrà spingere ad investire nello stesso, così superando la cronica mancanza di risorse ad esso destinate,
avviando un circuito virtuoso in cui l’impegno profuso nella valorizzazione dei beni generi a tutti i livelli e#etti
positivi e questi ultimi, a loro volta, incentivino ulteriori investimenti sui beni.
Per avviare un processo virtuoso nei termini sopra descritti occorre, però, superare l’inerzia di un approccio
troppo a lungo invalso nelle amministrazioni. In questa direzione vanno numerose disposizioni normative, alcune
delle quali saranno richiamate di seguito, come pure alcuni documenti di carattere economico-politico[2].
In questo processo, tuttavia, un ruolo fondamentale potranno avere le risorse, non solo economiche, ma anche
propositive e operative, dei privati, le cui capacità, competenze e professionalità sono in grado di dare un apporto
determinante alla valorizzazione del patrimonio culturale. È alla luce di tale considerazione che il partenariato tra
pubblico e privato va assumendo un ruolo di primo piano e merita uno speci!co approfondimento con riguardo
alla valorizzazione del patrimonio culturale.

1. Il settore dei beni e delle attività culturali come !siologicamente “condiviso” tra pubblico e privato.

Il ricorso agli strumenti di partenariato per la valorizzazione del patrimonio culturale non costituisce un fenomeno
da avviare . L’ambito della cultura è stato tra i primi a vedere l’impiego del partenariato, probabilmente in
forza del fatto che l’interazione tra pubblico e privato è dettata dalla stessa natura del settore.
Non è un caso – per citare una delle più frequenti forme di partenariato – che quando ancora le sponsorizzazioni
non erano diventate uno strumento d’impiego ordinario nel nostro ordinamento ed avevano fatto la loro
comparsa solo nell’art. 8 della l. 6 agosto 1990, n. 223, nota come , relativa alla
[3], fu proprio la l. 8 ottobre 1997, n. 352, contenente culturali,
a riprenderla per inserirla tra i (art. 9, comma 10)[4].
L’a$nità tra intervento privato e bene culturale può essere meglio compresa se si considera la dicotomia, per
quanto in sé discutibile[5], che il Codice dei beni culturali e del paesaggio traccia tra tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale, secondo cui la tutela del patrimonio culturale - sulla scorta di una tradizione già consolidata
sotto il vigore della storica legge 1 giugno 1939, n. 1089 – “

” (art. 3), e dunque costituisce funzione


amministrativa esclusivamente statale, preclusa all’intervento del privato[6], mentre la sua valorizzazione è per
de!nizione un’attività “condivisa”.
Tale previsione risponde al fatto che la valorizzazione non richiede l’esercizio di stringenti poteri autoritativi e, di
conseguenza, non impone alcuna esclusività di esercizio da parte della pubblica amministrazione. Il disposto
dell’art. 6 del Codice in oggetto, infatti, a#erma che la valorizzazione “

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”.
Nella stessa direzione sembra andare anche il successivo art. 131, comma 5, con riguardo ai beni paesaggistici,
ove si legge che “

”. Se tale attività richiede necessariamente che


Ministero e regioni de!niscano d’intesa le politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio e
cooperino, altresì, per la de!nizione di indirizzi e criteri riguardanti l’attività di piani!cazione territoriale, nonché
per la gestione dei conseguenti interventi, al !ne di assicurare la conservazione, il recupero e la valorizzazione
degli aspetti e caratteri del paesaggio (art. 133, commi 1 e 2, primo periodo), al legislatore non è sfuggito come, nel
rispetto delle esigenze di tutela, detti indirizzi e criteri debbano necessariamente considerare “
” (comma 2, secondo periodo).
La valorizzazione implica dunque un novero di attività molto ampio, che si estende dagli interventi conservativi
alla riquali!cazione, !no all’individuazione e realizzazione delle forme gestionali di immobili e aree
comprendendo, dunque, attività estremamente rilevanti non solo sotto il pro!lo della tutela del patrimonio storico
e artistico, ma anche sotto quello della rigenerazione urbana, del recupero dei centri storici, della riconversione di
luoghi abbandonati o degradati, della creazione di sistemi urbani ed economici integrati con la città e con il
territorio, dell’individuazione di nuovi modelli di sviluppo, del miglioramento della qualità della vita nella città,
dell’integrazione dei servizi, della cura del rapporto con il territorio e con l’ambiente[7].
Una conferma in merito si ricava, in particolare, osservando i principi fondamentali che lo Stato ha scelto di
indicare all’interno del Codice dei beni culturali e del paesaggio nell’esercizio della sua competenza concorrente in
materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali: pochi
articoli, dal 111 al 121, dedicati alle attività di valorizzazione dei beni culturali, identi!cate “

”,
che indicano in massima parte la necessità di interagire, a vario titolo, con i privati, tanto che - sin dall’apertura del
Capo II in cui sono contenute - il legislatore ha cura di a#ermare che “
”.
Prosegue infatti l’art. 111, comma 2, dichiarando che “ ”, che in caso
di “
” (comma 3), mentre in caso di “
” (comma 4).
L’iniziativa privata viene valorizzata sia quando concerne beni in proprietà dei privati stessi, sia – a maggior
ragione - quando è rivolta al perseguimento di interessi generali.
Sotto il primo pro!lo, il legislatore è mosso non solo dall’interesse insito nei beni culturali di proprietà privata, ma
dalla più ampia necessità di considerare unitariamente il territorio: tale considerazione spiega l’inclusione di tali
beni, previo consenso degli interessati, negli accordi tra enti pubblici territoriali destinati a “

”, che dovranno altresì promuovere “


” (art. 112, comma 4).
La presenza dei privati non è intesa, in queste norme, come mera destinataria dell’iniziativa pubblica: prova ne è
che quando lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti,
ovvero anche le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, decidano di costituire appositi soggetti giuridici cui
a$dare l’elaborazione e lo sviluppo dei piani di cui sopra, eventualmente a$dandone loro anche la gestione,
possono chiedere di partecipare ai privati, siano essi proprietari di beni culturali suscettibili di essere oggetto di
valorizzazione o persone giuridiche private senza !ne di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che
siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla
legge o dallo statuto (art. 112, commi 5 e 8). Tale disposizione implica il riconoscimento della capacità ideativa e
propositiva del privato non solo con riguardo ai beni di cui siano proprietari, bensì anche in riferimento alla
piani!cazione strategica riferita al territorio nel suo insieme[8].

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E ancora, indipendentemente dagli accordi di cui al comma 4, il Codice prevede che possano essere stipulati
accordi tra lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le
regioni, gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni destinati alla
fruizione e alla valorizzazione di beni culturali ed eventualmente istituire, allo scopo, forme consortili non
imprenditoriali per la gestione di u$ci comuni. Per le stesse !nalità, “

” (comma 9).
In questo contesto anche le attività e le strutture di valorizzazione, ad iniziativa privata, di beni culturali di
proprietà privata possono bene!ciare del sostegno pubblico da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti
pubblici territoriali, tenendo conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono e secondo modalità
stabilite mediante accordi (art. 113).
Sotto il secondo pro!lo, l’apporto dei privati è valorizzato anche quando concerne non beni di cui essi siano
proprietari, bensì quando sia a vario titolo rivolto al perseguimento di !ni di interesse generale.
Ai sensi dell’art. 115, ad esempio, gli enti pubblici territoriali possono scegliere di non provvedere alla gestione
diretta delle attività di valorizzazione per mezzo di strutture organizzative interne e di ricorrere invece alla
gestione indiretta “ ”: la scelta tra le due forme
di gestione, per espressa disposizione normativa, “
”. In tal caso viene indicato
lo strumento della concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da
parte delle amministrazioni cui i beni pertengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5,
qualora siano conferitari dei beni, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione
comparativa di speci!ci progetti, cui segue la stipula di contratti di servizio, nel quale devono essere determinati,
tra l’altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli
qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti e i servizi
essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene. Alla concessione delle attività
di valorizzazione può inoltre essere collegata, per la durata del rapporto, la concessione in uso degli spazi
necessari all’esercizio delle attività medesime, previamente individuati nel capitolato d’oneri.
Il Codice dei beni culturali indica altresì una serie di altri rapporti convenzionali con svariate realtà del mondo
privato.
Volendo ricordarli brevemente, ci si può limitare a richiamare l’art. 118, secondo cui “

” (comma1) e, al !ne di garantirne la raccolta e la di#usione sistematica dei risultati, ivi compresa la
catalogazione, “

”. Parallelamente, l’art. 119 prevede che i responsabili degli istituti e dei luoghi della cultura
possano stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni ordine e grado, appartenenti al sistema
nazionale di istruzione, nonché con ogni altro istituto di formazione, per l’elaborazione e l’attuazione di progetti
formativi e di aggiornamento.
Di fondamentale importanza è poi l’art. 120, secondo cui “

”(comma 1). Detta promozione si attua “

” (comma 2), il quale deve de!nire altresì “


” (comma 3)[9].
Da ultimo, l’art. 121 prevede che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, ciascuno nel proprio
ambito, possano stipulare, anche congiuntamente, “

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”.
Si tratta di norme che, in modo diverso, richiamano comunque a un rapporto collaborativo con i privati, segno che
la valorizzazione può essere più e$cacemente raggiunta attraverso un approccio sinergico. Partendo da tale
impostazione, anche larga parte della disciplina che le regioni emanano in forza della loro potestà concorrente ai
sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, pur nel rispetto dei soli principi fondamentali dettati dallo Stato,
assolve più a una funzione di indirizzo e sostegno dell’intervento dei privati che non a una funzione precettiva.

3. Il partenariato nella gestione del patrimonio culturale: potenzialità e strumenti.


Gli strumenti di collaborazione indicati dal Codice dei beni culturali si possono ascrivere a un concetto generale di
partenariato, inteso come riferito a tutte le forme di cooperazione tra i poteri pubblici e i privati allo scopo di
!nanziare, costruire e gestire infrastrutture o fornire servizi di interesse pubblico[10].
Alla valorizzazione del patrimonio culturale possono essere applicate anche le fattispecie di partenariato indicate,
in base a un’accezione più tecnica, dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Attuazione delle direttive 2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure
d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il
riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Proprio con riguardo all’istituto del partenariato pubblico-privato, infatti, si può dire che tale normativa, per la
prima volta nel nostro ordinamento, abbia tentato di de!nire una disciplina organica, considerandolo quale forma
di sinergia tra poteri pubblici e soggetti privati[11]e favorendone la di#usione in forza dell’individuazione, negli
strumenti di programmazione, degli interventi a cui è suscettibile di essere applicato[12].
In e#etti si può constatare che negli ultimi anni si è fatto un uso crescente a tale istituto[13], in quanto esso
consente alla pubblica amministrazione di realizzare progetti talvolta costosi, talaltra complessi e innovativi,
attraverso la disponibilità di maggiori risorse e di acquisire soluzioni nuove, indirizzandole ad obiettivi non solo
commerciali, ma anche pubblici, così da garantire la realizzazione di opere o il miglioramento dei servizi, a
vantaggio della collettività.
Anche il privato accede spesso volentieri a questo strumento, in quanto a sua volta trae bene!cio da un rapporto
di partnership con la pubblica amministrazione che, in un contesto di globalizzazione dell’economia e di crescente
concorrenza per le aziende, gli consente nuove forme di investimento in un rapporto tendenzialmente paritario.
Il Codice dei contratti pubblici, nelle di cui all’art. 3, comma 1, speci!ca che si intende per «contratto di
partenariato pubblico-privato» “

(lett. eee ). Con riguardo a quest’ultimo,


il Codice aggiunge poi che il «promotore» è “
” (lett. r ).
Di fondamentale importanza, in questa disciplina, è il riferimento al meccanismo remunerativo del partner
privato: la Relazione al testo di legge ha sottolineato come la cooperazione con i privati faccia sì non solo che
l’amministrazione possa bene!ciare di nuove risorse !nanziarie e acquisire soluzioni innovative attingendo a
capitali privati, ma costituisca anche un prezioso stimolo per l’economia nel suo complesso, anche in forza del
fatto che i ricavi di gestione dell’operatore economico possono provenire non solo dal canone riconosciuto
dall’ente concedente, ma anche da qualsiasi altra forma di contropartita economica quale, ad esempio, l’introito
diretto della gestione del servizio ad utenza esterna.
La peculiarità dei rapporti di partenariato risiede dunque nella disciplina relativa alla gestione del rischio
economico che l’operatore economico si accolla, spinto dalla prospettiva concreta di un vantaggio patrimoniale
derivante dalla realizzazione dell’appalto o del servizio, ovvero dalla gestione del bene. A$nché il partenariato
abbia buon esito è dunque fondamentale una corretta allocazione dei rischi e il conseguente mantenimento
dell’equilibrio economico !nanziario che motiva la scelta imprenditoriale, consistente nella “
”, ove la convenienza economica
consiste della “

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, mentre la sostenibilità !nanziaria dipende dalla “


” (art. 3, comma 1, lettera #f ).
Allo scopo di preservare il sinallagma del contratto l’art. 180 stabilisce che il contratto di partenariato pubblico-
privato deve disciplinare “
” (comma 3, terzo periodo) e che il contenuto del contratto venga de!nito tra le parti “

” (comma 3, secondo periodo) l’art. 182 prevede che il !nanziamento dei contratti “


(comma 1)[14].
A fronte della disponibilità dell’opera o della domanda di servizi, l’amministrazione aggiudicatrice può ridurre o
annullare il canone che l’operatore economico deve corrispondere nei periodi di ridotta o mancata disponibilità
dell’opera, nonché di ridotta o mancata prestazione dei servizi, ma tali variazioni del canone devono, in ogni caso,
essere in grado di incidere signi!cativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei
ricavi dell’operatore economico (comma 4); alternativamente, può stabilire che venga corrisposta una diversa
utilità economica comunque pattuita , ovvero rimettere la remunerazione del servizio allo sfruttamento
diretto della stessa da parte dell’operatore economico, che in tal caso si assume il rischio delle "uttuazioni
negative del mercato della domanda del servizio medesimo (comma 5). Sempre ai !ni del raggiungimento del
predetto equilibrio, l’amministrazione può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero
nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico, ovvero ancora il
riconoscimento di un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera
da a$dare in concessione (comma 6)[15].
Peraltro, l’eliminazione dalla norma del richiamo – presente nella precedente disciplina - al !nanziamento totale o
parziale a carico dei privati e la sua sostituzione con la mera “ ” da parte dell’operatore
economico, avvalora la possibilità di una compartecipazione !nanziaria della pubblica amministrazione, come
peraltro già chiarito in sede comunitaria, così superando i problemi generati da un’eventuale copertura parziale
dei costi da parte del privato.
Queste formule, nella loro varietà, sono senz’altro suscettibili di destare l’interesse dell’operatore economico e, al
contempo, di risolvere un problema di gestione di parte del patrimonio culturale.
È interessante notare, in particolare, come le modalità di utilizzazione dei beni immobili vengano de!nite
dall’amministrazione aggiudicatrice, che ha così la possibilità di sviluppare una strategia per la valorizzazione del
patrimonio culturale. Per quanto riguarda tale aspetto, è però auspicabile che vengano introdotti ulteriori incentivi
per gli operatori economici a intraprendere un rapporto di partenariato, ad esempio introducendo la possibilità -
prospettata nel corso dei lavori preparatori ma stralciata dal testo de!nitivo del Codice dei contratti pubblici - di
modi!care la destinazione d’uso degli immobili ceduti, al !ne di consentire la loro rifunzionalizzazione e messa a
reddito, previsione che eviterebbe di vani!care molte operazioni di partenariato a causa dell’impossibilità per
l’operatore di trovare una destinazione soddisfacente per gli immobili, ancorché in discontinuità con la loro
destinazione attuale.
Il riferimento al fatto che il partenariato costituisca un contratto a titolo oneroso lo distingue anche dalle ipotesi in
cui la pubblica amministrazione scelga di avvalersi di forme di partecipazione della società civile quali ad esempio
quelle di cui all’art. 20, secondo cui possono essere stipulate convenzioni con le quali un soggetto pubblico o
privato si impegna alla realizzazione, a sua totale cura e spesa e previo ottenimento di tutte le necessarie
autorizzazioni, di un’opera pubblica o di un suo lotto funzionale o di parte dell’opera prevista nell’ambito di
strumenti o programmi urbanistici complessi.
Alla de!nizione di cui alla lett. eee rinvia anche il successivo art. 180 del Codice, che apre un intero Titolo dedicato
al tema del aggiungendo che “
” (comma 1).
In base alla lettura congiunta delle due de!nizioni richiamate molteplici sono le attività di valorizzazione -
realizzazione di opere e svolgimento di servizi - che possono essere oggetto del partenariato pubblico-privato: la

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progettazione di interventi conservativi, la manutenzione di immobili restaurati o già in buone condizioni


conservative, la rifunzionalizzazione di immobili storici mediante lo studio e la destinazione a servizi di interesse
generale, culturali e non, mediante assunzione da parte del partner privato dello svolgimento delle suddette
attività e, in particolare, della gestione del bene. Attraverso il ricorso a tale strumento, dunque, risulta possibile
ipotizzare non solo il recupero degli immobili, ma anche avviarne la gestione su medio-lungo periodo, evitando di
scindere la fase dell’intervento conservativo da quella dell’uso dell’immobile restaurato, così che il primo sia
funzionale al secondo e che quest’ultimo renda fruttuoso il primo. La gestione, peraltro, costituisce l’aspetto in cui
maggiormente si manifesta la creatività del privato, che attraverso di essa può mettere a frutto l’esperienza, le
competenze, il , le capacità innovative, il tessuto di relazioni posseduti. L’aspetto qualitativo del progetto,
peraltro, sembra poter ricevere adeguata attenzione in relazione al fatto che, come sottolinea autorevole
giurisprudenza, la scelta del partner privato
”.
Senza contare che, allargando la prospettiva dall’intervento sul singolo immobile a quella sul contesto territoriale,
il partenariato può essere utilizzato per la riquali!cazione di zone urbane degradate, connettendo il recupero del
patrimonio culturale al contesto in cui i beni sono ubicati, salvaguardando l’identità dei quartieri in cui sorgono,
rivitalizzandoli mediante la creazione di servizi sociali e culturali, incentivando la qualità della vita e la coesione
sociale della popolazione che li abita, eliminando quel degrado !sico e ambientale che favorisce l’esclusione e la
marginalità delle fasce deboli, attraendo attività produttive funzionali – ma non solo - alla presenza dei beni (ad
esempio ricettive o di ristorazione) e incrementando i servizi locali (ad esempio, quelli di trasporto).
La già ricordata Relazione al testo di legge ha chiarito che il partenariato può essere applicato sia alle c.d. “opere a
freddo”, sia alle c.d. “opere a caldo”, cioè a prescindere dal fatto che l’opera sia in grado di generare reddito
attraverso ricavi da utenza in misura tale da ripagare i costi di investimento e remunerare adeguatamente il
capitale investito[16]. Sotto questo pro!lo, dal punto di vista economico-!nanziario i beni culturali sono spesso
considerati destinatati di progetti “tiepidi”, in quanto la remunerazione generata attraverso i ricavi da utenza non è
di norma su$ciente a remunerare adeguatamente l’investitore privato, soprattutto nel caso di a$damento in
concessione di lavori oltre che di servizi pubblici.
Si tratta di un aspetto decisivo per l’applicazione dell’istituto al settore culturale, in quanto consente di inquadrare
i rapporti di partenariato all’interno del mondo produttivo a prescindere dall’entità dei redditi che è capace di
generare, superando l’idea che di partenariato in senso proprio non si possa parlare laddove esso non produca
reddito a su$cienza ed evitando, in base a questo errato presupposto, di cadere in una logica di sostituzione del
rapporto con !nalità produttive, ancorché non in grado di remunerare completamente l’investimento, con quello
del volontariato che, per quanto importante, può assolvere ad un ruolo diverso nella gestione del patrimonio
culturale ma non può prendere il posto di soggetti imprenditoriali veri e propri.
Quanto alle tipologie di rapporto ascrivibili al partenariato, il d.lgs. n. 50/2016 non prevede, nelle di cui
all’art. 3, le singole fattispecie rientranti nel concetto di partenariato: tuttavia, esso elenca speci!che fattispecie di
partenariato nell’art. 180, comma 8, indicando la !nanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la
concessione di servizi, la locazione !nanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra
procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi
precedenti della medesima norma[17].
Per tali istituti l’art. 179 detta una consistente nel richiamo, sia per i lavori sia per i
servizi (comma 3), in quanto compatibili, delle disposizioni di cui alla parte I, III, V e VI (comma 1), nonché delle
disposizioni della parte II, titolo I a seconda che l’importo dei lavori sia pari o superiore alla soglia di cui all’art. 35,
ovvero inferiore, nonché delle ulteriori disposizioni della parte II indicate all’art. 164, comma 2 (comma 2).
Il Codice dei contratti pubblici traccia così una disciplina quadro valevole per tutte le fattispecie riconducibili al
partenariato e in buona parte corrispondente con la disciplina generale, ove non espressamente derogata da
norme speci!che.
Non è questa la sede per una disamina puntuale dei singoli istituti. Si può tuttavia osservare che, se la
era già contemplata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio come strumento di valorizzazione, essa
trova nel Codice dei contratti pubblici, unitamente alla , una più ampia e generale
disciplina, da una parte mediante la sua sottoposizione alle disposizioni codicistiche relative a principi generali,

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esclusioni, modalità e procedure di a$damento, di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, requisiti
generali e speciali e motivi di esclusione, criteri di aggiudicazione, modalità di comunicazione ai candidati e agli
o#erenti, requisiti di quali!cazione degli operatori economici, termini di ricezione delle domande di partecipazione
alla concessione e delle o#erte, nonché alle modalità di esecuzione, dall’altra mediante alcune speci!che
disposizioni, contenute nell’art. 164 e ss., la cui applicazione è esclusa solo con riguardo alla concessione
concernente i servizi non economici di interesse generale[18].
Se l’applicabilità della concessione di servizi alla valorizzazione del patrimonio culturale è di immediata percezione,
anche in forza delle richiamate disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il ricorso ad altri
strumenti di partenariato che fanno riferimento alla categoria dei “lavori” si rivela comunque utile ai !ni della
valorizzazione del patrimonio culturale, dal momento che il D.M. 22 agosto 2017, n. 154, contenente il
Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, di
cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, chiarisce che tale categoria include “

”.
Sotto tale pro!lo, ad esempio, ai !ni della realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità inseriti negli
strumenti di programmazione formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice, !nanziabili in tutto o in
parte con capitali privati, l’art. 183 indica espressamente, quale alternativa alla concessione, la ,
in base alla quale le amministrazioni aggiudicatrici possono a$dare una concessione ponendo a base di gara il
progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando !nalizzato alla presentazione di o#erte che
contemplino l’utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti[19].
Diversamente, laddove la normativa faccia riferimento ad interventi di nuova costruzione, l’utilizzabilità del
partenariato a !ni di valorizzazione del patrimonio culturale è limitata al fatto che gli istituti speci!ci siano
adoperati non per intervenire direttamente sul bene culturale, bensì per la realizzazione di opere (nuove)
destinate a favorire lo svolgimento di attività di valorizzazione, quali ad esempio locali destinati allo svolgimento di
attività formative o culturali connesse al bene, parcheggi o altre infrastrutture serventi: nella
, ad esempio, il soggetto pubblico interessato alla realizzazione di una infrastruttura rilascia
al privato una concessione che prevede l’obbligo per il concessionario di costruire l’opera attraverso risorse
proprie e il diritto di gestirla economicamente durante la durata della concessione, ai !ni della remunerazione
dell’investimento iniziale, con il conseguente trasferimento della struttura all’ente pubblico titolare del servizio, al
termine della concessione[20].
Parimenti, nella , ove il contratto ha ad oggetto la
prestazione di servizi !nanziari e l’esecuzione di lavori (art. 3, lett. ggg ), ovvero nel ,
funzionale ad a$dare, a rischio e a spese dell’a$datario, la costruzione e la messa a disposizione a favore
dell’amministrazione aggiudicatrice, a fronte di un corrispettivo, di un’opera di proprietà privata destinata
all’esercizio di un pubblico servizio, vale a dire l’assunzione dell’onere a proprio rischio da parte dell’a$datario di
assicurare all’amministrazione la costante fruibilità dell’opera, garantendo funzionalità, manutenzione e
risoluzione di eventuali vizi, anche sopravvenuti (art. 3, lett. hhh ).
Deve però segnalarsi che, al di là delle fattispecie di partenariato espressamente richiamate dall’art. 180, comma
8, il riferimento a “ ” consente di applicare
le disposizioni di cui alla stessa norma, quale regime generale, a svariate altre !gure riconducibili al
partenariato[21].
È stato prospettata quale forma di partenariato, ad esempio, il ricorso al , in cui le stazioni
appaltanti indicano nel bando di gara o nell’avviso di indizione di gara le loro esigenze e i requisiti richiesti e li
de!niscono nel bando stesso, nell’avviso di indizione o in un documento descrittivo, avviando poi con i
partecipanti selezionati un dialogo !nalizzato all’individuazione e alla de!nizione dei mezzi più idonei a soddisfare
le proprie necessità (art. 64)[22]. Si tratta di un istituto che, più di altri, è in grado di valorizzare la creatività e
il dei privati, portando a soluzioni non standardizzate ma ideate appositamente per singoli beni o
contesti.
Lo stesso Codice dei contratti pubblici, peraltro, al di fuori delle fattispecie indicate nell’art. 180, comma 8, prevede
in altre norme singoli strumenti che costituiscono anch’essi forme di partenariato.

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Tra gli altri, si può ricordare in particolare l’art. 151, rubricato , che –
ponendosi nella scia del Codice dei beni culturali e del paesaggio - annovera la sponsorizzazione tra le forme di
partenariato e prevede che i relativi contratti possano essere stipulati per realizzare lavori, servizi o forniture
relativi a beni culturali, nonché !nalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, delle fondazioni lirico-
sinfoniche e dei teatri di tradizione (comma 1)[23]. In materia di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture
relativi a beni culturali, peraltro, l’art. 19 del Codice stesso detta la procedura di a$damento dei relativi contratti.
In merito occorre ricordare che il Ministero dei beni e delle attività culturali ha anche emanato la Circolare 17
giugno 2016, n. 28, al !ne di fornire istruzioni operative sul suo impiego.
A tale disposizione la norma in oggetto ne a$anca un’altra la quale stabilisce, al !ne di assicurare la fruizione del
patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la ricerca scienti!ca applicata alla tutela, che il Ministero per i
beni e le attività culturali possa attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti
privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla
pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure sempli!cate di
individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1 (comma 3). È
indicativo, peraltro, che nei lavori preparatori del nuovo Codice si rinvenga il richiamo, per quanto non cogente, a
muoversi nel quadro degli accordi per la valorizzazione del patrimonio culturale di cui all’art. 112 del d.lgs. 22
gennaio 2004, n. 42.
Si possono poi rammentare gli di cui all’art. 189, un istituto de!nito
“ ” dalla Relazione, in quanto consente, nel rispetto dei principi di non discriminazione,
trasparenza e parità di trattamento, di a$dare in gestione per quanto concerne la manutenzione, e con diritto di
prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto di convenzioni e su cui essi insistono, beni o aree
riservate al verde pubblico urbano e gli immobili di origine rurale, riservati alle attività collettive sociali e culturali
di quartiere, con esclusione degli immobili ad uso scolastico e sportivo, ceduti al comune nell’ambito delle
convenzioni e delle norme previste negli strumenti urbanistici attuativi (comma 1). Analogamente, per la
realizzazione di opere di interesse locale, gruppi di cittadini organizzati potranno formulare all’ente locale
territoriale competente proposte operative di pronta realizzabilità, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o
delle clausole di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati, indicando nei costi e di mezzi di !nanziamento,
senza oneri per l’ente medesimo. L’ente locale provvederà sulla proposta, con il coinvolgimento, se necessario, di
eventuali soggetti, enti ed u$ci interessati, fornendo prescrizioni ed assistenza e potrà predisporre apposito
regolamento per disciplinare le attività ed i processi in oggetto (comma 2).
All’interno di tali interventi si inserisce anche la previsione del , già introdotto dall’art. 24 del
d.l. 12 settembre 2014, n. 133 e ora disciplinato dall’art. 190 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale gli
enti territoriali de!niscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di
“ ”, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione
ad un preciso ambito territoriale. Tali contratti potranno riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di
aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di
decoro urbano, di recupero e riuso con !nalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati. In
relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali potranno individuare riduzioni o esenzioni di tributi
corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dall’associazione ovvero comunque utili alla comunità di
riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa.

1. Il ruolo strategico dell’integrazione tra disegno amministrativo, partenariato !nanziario e


partenariato socio-culturale.

La varietà di tipologie di partenariato, pur succintamente richiamata nel precedente paragrafo, dimostra la
duttilità di tale istituto e la sua utilizzabilità secondo declinazioni che consentono, nei diversi contesti e per
di#erenti !nalità, il coinvolgimento sia del mondo degli operatori economici, sia dei cittadini, singoli e associati,
per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Tali iniziative costituiscono una fondamentale forma di attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sancito
dall’art. 118 della Costituzione: in entrambi i casi l’apporto dei privati deve essere considerato prezioso, per il

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capitale (!nanziario e sociale) che mette a disposizione e per il coinvolgimento del territorio che consente di
realizzare, coordinando l’azione amministrativa con quella produttiva e socio-culturale a bene!cio dell’intera
collettività[24].
Con particolare riguardo al patrimonio culturale, poi, non vi è dubbio che i privati possano essere partner nelle
attività di valorizzazione in forza del richiamo operato dall’art. 9 della Costituzione non allo Stato, né agli enti
pubblici, ma alla stessa “Repubblica” nella sua interezza, e quindi anche alla componente costituita dalla società
civile, in particolare attraverso le formazioni imprenditoriali e culturali che essa crea.
Il partenariato !nanziario e quello socio-culturale costituiscono, certo, forme alquanto distanti tra loro e,
purtuttavia, sono entrambi necessari oltre che complementari.
Da una parte, infatti, le risorse !nanziarie delle imprese e la loro capacità operativa sono in grado di realizzare
interventi complessi e costosi, che necessitano di investimenti signi!cativi di cui potrebbero non disporre né le
amministrazioni né i singoli cittadini. Si potrebbero ricordare, ad esempio, i casi di molte sponsorizzazioni, come
quelli dei lavori riguardanti il Colosseo, il Cenacolo Vinciano, gli a#reschi della Leggenda della Vera Croce di Piero
Della Francesca, oppure il recupero attraverso la !nanza di progetto della Villa Reale di Monza, oggi adibita in
parte ad attività culturali, in parte a nuove funzionalità, anche commerciali (ristorazione, organizzazione di eventi o
congressi e via dicendo) in grado di sostenere il quadro economico degli interventi, e della Scuola Grande della
Misericordia di Venezia, un’operazione di riquali!cazione urbanistica attraverso cui sono stati realizzati sia il
restauro dell’edi!cio, sia la sua destinazione ad attività culturali, ma anche a produzioni cinematogra!che e
all’organizzazione di eventi di rappresentanza e incontro aziendali.
Le operazioni di partenariato !nanziario, dunque, devono in linea di massima essere salutate con favore non solo
perché o#rono l’opportunità di realizzare interventi altrimenti preclusi, ma anche perché sono suscettibili di
determinare ricadute positive sull’economia del territorio, incrementando le attività produttive connesse e
l’occupazione.
Le singole operazioni !nanziarie e imprenditoriali, d’altra parte, potrebbero non essere remunerative e quindi
rivelarsi scarsamente appetibili per gli operatori del mercato. In tal caso diventa fondamentale l’apporto
integrativo dell’amministrazione o di altri soggetti per coprire costi o fornire servizi altrimenti privi di copertura
!nanziaria.
Questo, tuttavia, non è l’unico caso in cui è necessario considerare l’integrazione tra partenariato !nanziario e
altre forme di partenariato. Lo stesso partenariato !nanziario, infatti, se non è considerato come fattore di
sviluppo anche sociale e culturale del territorio nel suo insieme, corre il rischio di risolversi in operazioni
puramente commerciali, così depotenziando quel che può o#rire un’operazione di partenariato nel
settore della valorizzazione del patrimonio culturale. Il recupero di un bene culturale, l’organizzazione di servizi
per la sua fruizione e altre iniziative similari, infatti, possono essere volano di una riquali!cazione anche sociale e
culturale solo se sono avvertite dalla cittadinanza come occasione di rivitalizzazione di quartieri e città, di recupero
delle periferie, di integrazione tra aree agricole e urbane, di creazione di nuove attività produttive e occupazionali,
di promozione culturale e, quindi, di miglioramento della qualità della vita, di inclusione sociale, di superamento di
situazioni di marginalità e di disagio.
Il coinvolgimento delle varie realtà istituzionali, degli enti rappresentativi di categorie produttive, delle associazioni
di cittadini, degli enti formativi, culturali o assistenziali del territorio, delle fondazioni bancarie e degli altri attori
che operino in un determinato contesto, può dunque garantire più di altre iniziative un’e#ettiva e completa
riuscita delle operazioni economico-!nanziarie: queste ultime possono essere meglio comprese e appoggiate nelle
loro !nalità, oltre che integrate negli aspetti lacunosi (non solo economici, ma anche socio-culturali), solo laddove
condivise con le comunità di riferimento.
Senza contare che, in molte operazioni di valorizzazione, l’apporto più necessario non è quello di grandi capitali,
quanto piuttosto quello di una cooperazione degli attori del territorio per lo svolgimento di un’attività di interesse
generale.
A dispetto del dimostrato per il ricorso a detto istituto, l’attenzione del legislatore nazionale sembra ancora
eccessivamente concentrata sull’aspetto economico-!nanziario – certo estremamente rilevante – del partenariato,
mentre considera ancora scarsamente l’apporto in termini propositivi, decisionali e innovativi dei soggetti privati.
Risulta pertanto auspicabile valorizzare, accanto al partenariato !nanziario, anche tutte quelle iniziative di

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partenariato culturale e sociale che spesso sorgono in via spontanea dalla società. Esse consentono il
superamento di quel concetto, mai a#ermato eppure sotteso all’incuria e al disinteresse che per decenni ha
contraddistinto la politica dei beni culturali, che ciò che è pubblico è di tutti e quindi di , sostituendolo con
quello secondo cui ciò che è pubblico è di tutti e quindi di , così responsabilizzando e coinvolgendo i
cittadini e le loro forme associative nella cura di tali beni.
Non è un caso che negli ultimi anni abbiano riscosso tanto interesse le iniziative relative ai “beni comuni”, intesi
come quelli “

”[25].
In una visione che, partendo da una maggior considerazione della del bene, valorizza un criterio
oggettivo–funzionale, ovvero l’interesse (pubblico o privato) che il bene è preposto a realizzare, l’aspetto
dell’appartenenza del bene diviene recessivo, mentre acquista maggior peso l’interesse (non più generalizzato e
indistinto da parte della collettività, bensì) di speci!che comunità, ovvero di ciascuno dei suoi membri, all’uso di
determinati beni che, pur potendo arrecare utilità anche alla collettività indistinta (nel caso siano beni a
destinazione pubblica) o ai loro proprietari privati, sono comunque particolarmente signi!cativi per la comunità di
riferimento(si pensi, ad esempio, ad un parco pubblico cittadino o a una piazza, beni comuni per chi risiede
stabilmente nelle zone circostanti ma aperto all’uso generale anche di tutti gli altri cittadini e dei turisti).
Molti comuni, il cui numero è in costante crescita, hanno così approvato regolamenti per la cura e la gestione dei
beni comuni attraverso forme di amministrazione condivisa con i cittadini. L’emanazione di tali regolamenti
costituisce un passo importante per sistematizzare il ricorso a queste forme di collaborazione, oltre che di
sempli!cazione delle relative procedure.
Nulla vieta, naturalmente, che pur in assenza dell’introduzione di regolamenti del genere si possano realizzare
accordi tra soggetti pubblici e privati, in particolare facendo ricorso alla programmazione negoziata quale

” (art. 2, comma 203, lett. a della legge n. 662/1996). La strumentazione


introdotta da tale normativa, con la sua varietà[26], ha avuto un periodo di grande fortuna tra la !ne degli anni ’90
e il decennio successivo, ma conserva ancora la sua originaria potenzialità in tutti quei casi in cui si renda
opportuno intraprendere, per ottenere risultati più e$caci, azioni concertate tra l’amministrazione e i portatori di
interessi del territorio.
Devono pertanto essere considerate azioni in partenariato tutte quelle che nascono in base ad accordi e
convenzioni tra soggetti pubblici e privati !nalizzati a speci!ci progetti, quali ad esempio quella sottoscritta nel
dicembre scorso tra l’Associazione di promozione sociale “Piazza Vittorio”, quale soggetto proponente, e il
Municipio Roma I Centro, nonché il Museo Nazionale Romano del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e
l’Ordine degli Architetti Piani!catori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, allo scopo di promuovere la
valorizzazione culturale del Rione Esquilino e delle aree della città ad esso direttamente connesse attraverso la
facilitazione della collaborazione infra ed interistituzionale e la co-progettazione integrata partecipata, con
l’apporto di adeguate professionalità e di gruppi di cittadinanza attiva.
In un periodo quale quello attuale, caratterizzato troppe volte non solo da scarsità di risorse !nanziarie, ma anche
dalla mancanza di una visione prospettica e dalla di$coltà di adottare sistemi decisionali condivisi, tali esperienze
invitano dunque a “scommettere” sulla relazione virtuosa che si può instaurare tra iniziative che perseguono
interessi particolari (e che possono riguardare un’area o un gruppo sociale) e obiettivi più generali (che riguardano
la collettività e il patrimonio culturale).
Il successo di tale approccio conferma la necessità di valorizzare ilruolo delle comunità e delle sue espressioni
aggregative (territoriali ma non solo) che si creano intorno al patrimonio culturale attraverso l’adozione di sistemi
decisionali condivisi edi comportamenti basati sulla cooperazione. Si tratta di un processo particolarmente
rilevante in un’epoca di crisi dei c.d. corpi intermedi(partiti politici, istituzioni sociali e via dicendo), che rappresenta
una reazione rispetto sia all’insoddisfazione per la tutela e la gestione dei beni comuni, normalmente lasciate alla

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pubblica amministrazione e dalle quali sono escluse le comunità, sia alla eccessiva !ducia nell’e$cienza del
mercato e nell’equità delle soluzioni perseguite attraverso tale strada.
Tale processo, in ogni caso, deve essere guidato dall’amministrazione pubblica, la cui centralità permane sotto
numerosi aspetti. In primo luogo, infatti, essa dovrebbe esercitare un ruolo propositivo: ad essa compete infatti
l’adozione di un disegno strategico di sviluppo del territorio che tenga conto dell’importanza delle varie sinergie
con i privati. Sotto questo pro!lo, tuttavia, per superare l’inerzia di molte amministrazioni, sarebbe forse
opportuno nel prossimo futuro prevedere l’ipotesi che il ricorso al partenariato possa essere proposto da soggetti,
pubblici o privati, diversi dall’amministrazione aggiudicatrice, stabilendo una procedura che – nel rispetto della
discrezionalità dell’amministrazione – consenta di vagliare tali proposte, eventualmente dandone pubblicità per
stimolare ulteriori manifestazioni di interesse da parte di altri soggetti e svolgere, in caso si rendesse necessario,
un confronto concorrenziale. In tal modo sarebbe possibile incentivare l’iniziativa spontanea dei soggetti
dell’ordinamento senza incorrere in facili contestazioni per violazione della concorrenza.
In relazione a tale suo ruolo, l’amministrazione deve ritenersi investita del compito di favorire o creare le
condizioni a$nché si ra#orzi la cooperazione nell’ambito delle comunità e, quindi, deve svolgere un ruolo di
sostegno e incentivazione nell’uso di questo strumento nelle sue varie declinazioni, aspetto questo che nel
prossimo futuro richiederà, peraltro, l’acquisizione di adeguate professionalità da parte della stessa
amministrazione pubblica.Le procedure di partenariato sono infatti piuttosto complesse e regolamentano un
rapporto che, per de!nizione, si instaura tra soggetti aventi la stessa dignità formale e capacità, un rapporto di
partnership in cui privato e pubblica amministrazione de!niscono consensualmente obiettivi e attività e che,
pertanto, esige una struttura amministrativa quantomeno in grado di dialogare con il privato. L’amministrazione
dovrà fare dunque uno sforzo di adeguamento alle esigenze poste dalla nuova disciplina, onde non rinunciare alle
potenzialità o#erte da questo strumento senza, tuttavia, venir meno ai propri obblighi di tutela dell’interesse
pubblico.
In secondo luogo, essa mantiene il dovere di intervenire quando la comunità non si faccia carico della
salvaguardia o della gestione del bene, che altrimenti ne risulterebbe compromesso, come pure – da ultimo - ha
l’obbligo di esercitare un’azione di controllo successivo sull’attività del privato, attività che assume forme
predeterminate in caso di partenariato !nanziario[27]ma che può rivelarsi pro!cuo anche nelle altre fattispecie di
partenariato attraverso un monitoraggio che consenta di valutare le ricadute delle azioni intraprese e, in caso di
necessità, di adottare le opportune azioni correttive[28].

[1]Lo evidenzia con forza SCIULLO G.,


, Relazione tenuta al 63° Convegno di studi amministrativi
(Varenna, 21-23 settembre 2017), in ,
2017, n. 3, ricordando come il nesso fra il patrimonio culturale e la crescita socioeconomica delle collettività possa
“ ”.Nella stessa direzione, , TRIGILIA C.,
, Bari, 2006; PENATI C., , in PENATI C., BUTTARI C. (a cura di),
, Roma, 2007; PIRAS P., , in , Bologna,
2009, n. 1), a#erma che “
”. Dello stesso avviso anche
la letteratura economica: a titolo esempli!cativo si veda SANTAGATA W., , Bologna, 2007,
15; SACCO P. L. - FERILLI G. - TAVANO BLESSI G. (a cura di),
, Bologna, 2015; ROSSI P.,
, in , 17 gennaio 2018. A fondamento del rapporto pubblico-privato
per la valorizzazione del patrimonio culturale viene proposta anche una visione del rapporto fra valorizzazione e
tutela in termini più attenti alla relazione tra salvaguardia e fruizione pubblica, intesa come valore per la comunità:
PETRAROIA P., , in
(a cura di NEGRI CLEMENTI G. - STABILE S.), Milano, 2014, 41 ss.; SCIACCHITANO E.,
, in
, 15.07.2018.
[2]In tal senso, per esempio, la Relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto generale dello Stato 2017, che indica

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quali priorità politiche


”; già in
precedenza, sempre laCorte dei Conti, nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2015, vol. II, Roma, 2016,
367. Dello stesso segnoalcuni importanti documenti, quali il Documento di economia e !nanza 2017, che
comprende i beni culturali tra i quattro tecnologici nazionali inclusi nel Programma nazionale di ricerca
(PNR) 2015-2020 e richiama la valorizzazione del “ ” nel quadro del
Piano strategico del turismo 2017-2022 quale strumento idoneo per “
”, in una “ ” (p. 111). La prospettiva della
integrazione del patrimonio culturale nelle strategie integrate di sviluppo locale partecipato ha importante
bibliogra!a; qui si richiama un testo esemplare, anche per l’ambito internazionale delle esperienze
riportate: H. DE VARINE, , Bologna, 2005; cfr.
anche MONTELLA M., , Milano, 2009;
, a cura di F. PUTIGNANO, Milano, 2009. MONTELLA M.,
, Milano, 2009; BARBETTA G.P., CAMMELLI M., DELLA TORRE S. (a cura
di), , Bologna, 2013. L’orizzonte strategico di simili policy può essere peraltro
meglio inquadrato nell’ambito delle !nalità e delle azioni enunciate nella Convenzione di Faro
(http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/U$cioStudi/documents/1362477547947_Convenzione_di_Faro.pdf),
cui l’Italia ha aderito il 27 febbraio 2013, mentre la rati!ca è all’esame del Parlamento nel momento in cui il
presente scritto va in stampa. Sulla Convenzione, fra l’altro, si veda:
contributo alla prima sessione del convegno " ",
Supplementi, 2016, V, 17-28.
[3]Quest’ultima faceva riferimento a“

”.
[4]La norma, successivamente abrogata dal D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 3, in relazione all’entrata in vigore dei
regolamenti di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, dava indicazione che l’utilizzazione
dell’immagine di un singolo bene, facente parte dei complessi archeologici, potesse essere “

”.
[5]Il ricorso ai termini “tutela” e “valorizzazione” nella legislazione italiana si rinviene a partire dagli anni Sessanta,
in quanto in precedenza non si considerava la capacità “attiva e promozionale” del patrimonio culturale. In merito
a questo passaggio culturale si veda CASSESE S., , in ,
1998, pag. 673. In merito alla distinzione tra tutela e valorizzazione viè stato un lungo dibattito che in questa sede
non è possibile riportare. si ricordi, per la sua lucida sinteticità, PASTORI G.,
,Relazione al Convegno ,
Milano, Università Cattolica, 1° ottobre 2004, in , 2004, n. 3. Si vedano inoltre PETRAROIA P.,
, in MONTELLA M., DRAGONI P.,
, Bologna, 2010, 43-54; CERQUETTI M.,
Milano, 2014.
[6] In base al dettato normativo, del resto, non avrebbe potuto essere diversamente, dal momento che “

” e, dunque, implica il necessario esercizio di poteri autoritativi.


[7]In particolare sui nessi tra valorizzazione dei beni culturali e rigenerazione urbana si veda MANFREDI
G., , in DI LASCIO F., GIGLIONI F. (a cura di),
, Bologna, 2017, 276 ss..
[8]Si vedano in proposito le Linee guida operative per la predisposizione del Piano Strategico di Sviluppo culturale
emanate dal Ministero per i beni e le attività culturali nel luglio 2018, disponibili on line all’indirizzo
http://musei.beniculturali.it/notizie/pubblicazioni/ebook-musst-2-patrimonio-culturale-e-progetti-di-sviluppo-
locale
[9]Si deve ricordare che, con il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 9 dicembre 2012, relativo

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all’
, sono state dettate numerose indicazioni volte ad attuare l’art. 120: tali indicazioni che devono
essere considerate dotate di valore precettivo per quanto attiene alla tutela sotto il pro!lo della compatibilità delle
sponsorizzazioni con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare,
nonché, in caso di sponsorizzazione “ ”, ai requisiti di quali!cazione delle imprese a$datarie dei lavori,
mentre hanno carattere di indirizzo nei confronti degli u$ci del Ministero stesso e valenza orientativa e
interpretativa per le altre amministrazioni nella parte concernente l’interpretazione del quadro normativo vigente
e l’applicazione delle disposizioni sulle modalità di a$damento dei contratti di sponsorizzazione.
[10] , si vedano CHITI M.P. (a cura di), , Napoli, 2009; ID.,
, in , 29 luglio 2005; ID.,
, Bologna, 2005;
SANDULLI M.A., , in
, 29 luglio 2005; CARINGELLA F. - CARTEI G. F. - IBBA C. - PERICU G. - PETRETTO A. - CERRINA FERONI G. (a
cura di), , Torino, 2011; IOSSA E. - RUSSO F., ,
in ., 2008; DI PACE R., , Milano, 2006; MARCOLUNGO C.,
, in CHITI M. P. (a cura di), , Napoli, 2009;
AA. VV., , Atti del convegno, Milano,
Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere, a cura di BELLINI A. - BIANCHI ROBBIATI A. - PETRAROIA P.,
Milano 2018; ivi PETRAROIA P., .
[11]Sul tema si vedano PALMA A., , in , a cura di Esposito
G.M., , Milano, 2017, 2103 e BONFANTI V.,
, in , 20 luglio 2016. In proposito sia
consentito rinviare anche a V.M. SESSA, , in ,2016, n. 7.
[12]L’art. 21, comma 4, infatti, nello stabilire che le stazioni appaltanti debbano adottare un programma triennale
dei lavori pubblici, richiede che attraverso questo strumento le amministrazioni aggiudicatrici individuino i lavori
complessi e gli interventi suscettibili di essere realizzati attraverso contratti di concessione o di partenariato
pubblico-privato. A tale scopo, il comma 5 aggiunge che nell’elencazione delle fonti di !nanziamento debbano
essere indicati anche i beni immobili disponibili che possono essere oggetto di cessione e i beni immobili nella
propria disponibilità concessi in diritto di godimento, a titolo di contributo, la cui utilizzazione sia strumentale e
tecnicamente connessa all’opera da a$dare in concessione. Viene così sancita l’indubbia legittimità ed utilità del
partenariato come strumento ordinario per la realizzazione dell’interesse pubblico.
[13]I dati forniti dall’Osservatorio Nazionale del PPP nel Rapporto 2017 sul Mercato del Partenariato Pubblico
Privato in Italia indicano che nei quindici anni che vanno dal 2002 al 2016 il partenariato un mercato importante
per il nostro Paese: circa 29.000 tra gare aggiudicate e gare in corso, per un importo complessivo di quasi 90
miliardi di euro. Si passa infatti dalle 331 iniziative del 2002, alla media annua di oltre 3.000 iniziative nel periodo
2012-2016, con il picco di 3.334 nel 2015, e con un 2016, nonostante l’entrata in vigore del nuovo Codice dei
contratti pubblici, attestato a 3.187 iniziative in corso. Anche gli importi, sebbene con un trend annuale altalenante
condizionato da grandi progetti, hanno segnato comunque, nella dinamica dei quindici anni, una chiara crescita.
[14]Il contratto dovrà determinare i rischi trasferiti, le modalità di monitoraggio della loro permanenza entro il
ciclo di vita del rapporto contrattuale e le conseguenze derivanti dall’anticipata estinzione del contratto, tali da
comportare la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico (comma 2). Quanto al veri!carsi di
fatti non riconducibili all’operatore economico che incidono sull’equilibrio del piano economico !nanziario, esso
può comportarne la revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione
deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio
economico !nanziario relative al contratto.
[15]In ogni caso, l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di
ulteriori meccanismi di !nanziamento a carico della pubblica amministrazione, “
” (art. 180, comma 6).
[16]Tale previsione costituisce uno dei principali aspetti innovativi rispetto al d.lgs. n. 163/2006 ed è coerente con
la disciplina comunitaria e con quanto previsto dal della Commissione europea, nonché aderente a

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puntuali criteri di delega contenuti nella legge n. 11/2016, con particolare riguardo all’art. 1, comma 1, lett. ss) e tt),
oltre che ad analoghe previsioni di importanti Paesi europei, come Francia e Spagna.
[17]Non vengono invece più menzionati l’a$damento a contraente generale né le società miste, mentre il
riferimento alla concessione di lavori è stato sostituito da quello alla concessione di costruzione e gestione ed ha
fatto il suo ingresso il contratto di disponibilità.
[18]RAGANELLI B.,
, in , 2017; M. CAFAGNO - A. BOTTO - G. FIDONE - G. BOTTINO (a cura
di), , Milano, 2013; M. P. CHITI,
, 2015.
[19]G.F. CARTEI - M. RICCHI (a cura di), , Napoli, 2015; G. FIDONE e
B. RAGANELLI, 2010, 741.

[20]GOISIS F., , in , 2011.

[21]DI PACE R., , Milano, 2006.


[22]Sul tema si vedano CLARICH M., ,
Seminario Comitato 4P, Roma 27 settembre 2005; ID.,
, in ,
in . . ; F. FRACCHIA - L. CARROZZA,
in , 2004; CONTESSA C. – DE SALVO N.,
, in , 2006, n. 5, 501 ss.;
DAMELE A., , in , 2006,
n. 2, 387 ss.; GIAMPAOLINO L.,
, in AA. VV., , Roma, 2006;
RAGANELLI B.,
, in , 2008.
[23]La Corte dei Conti, Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato, nella
Deliberazione 4 agosto 2016, n. 8/2016/G,
, fornisce un interessante quadro dell’impiego di questo istituto negli ultimi anni. Sul tema si veda M.
RENNA, , in
, (a cura di) F. MASTRAGOSTINO, Torino, 2011, 521. Sia consentito rinviare
anche a V.M. SESSA,
, in , 2017.
[24]PECORARO G.,
, in ., 2005; DI GIOVANNIA.,
, Torino, 2012; D’ATENA A., , in ,
2001, 14 ss.; DE CARLI P., , Milano, 2002, 11 ss..
[25]Così FIDONE G., , in , 28 agosto 2017, il
quale sottolinea come, pur in mancanza di una disciplina generale, “

” Il primo regolamento di questo genere, basandosi sul modello creato


da Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà, è stato adottato dal Comune di Bologna, con delibera consiliare 19
maggio 2014, n. 172, ed è stato seguito da altri 156 comuni italiani hanno adottato i propri regolamenti per
l’amministrazione condivisa e molti altri hanno avviato le relative procedure. Si veda sul temaFIDELBO E.,

, in 2018, 3,Paper presentato in occasione del Convegno AIPDA


, Panel , tenutosi a Reggio
Calabria, 4-5-6 ottobre 2018.

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[26]Il medesimo comma 203 indica diversi strumenti: l’«Intesa istituzionale di programma», come tale
intendendosi l’accordo tra amministrazione centrale, regionale o delle province autonome con cui tali soggetti si
impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse !nanziarie disponibili, dei
soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di
interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati. La gestione !nanziaria degli interventi per i quali sia
necessario il concorso di più amministrazioni dello Stato, nonché di queste ed altre amministrazioni, enti ed
organismi pubblici, anche operanti in regime privatistico, può attuarsi secondo le procedure e le modalità previste
dall’articolo 8 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 367 (lett. b ); l’«Accordo di programma quadro», come tale intendendosi
l’accordo con enti locali ed altri soggetti pubblici e privati promosso dagli organismi di cui alla lettera b), in
attuazione di una intesa istituzionale di programma per la de!nizione di un programma esecutivo di interventi di
interesse comune o funzionalmente collegati. L’accordo di programma quadro indica in particolare: 1) le attività e
gli interventi da realizzare, con i relativi tempi e modalità di attuazione e con i termini ridotti per gli adempimenti
procedimentali; 2) i soggetti responsabili dell’attuazione delle singole attività ed interventi; 3) gli eventuali accordi
di programma ai sensi dell’articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142; 4) le eventuali conferenze di servizi o
convenzioni necessarie per l’attuazione dell’accordo; 5) gli impegni di ciascun soggetto, nonché del soggetto cui
competono poteri sostitutivi in caso di inerzie, ritardi o inadempienze; 6) i procedimenti di conciliazione o
de!nizione di con"itti tra i soggetti partecipanti all’accordo; 7) le risorse !nanziarie occorrenti per le diverse
tipologie di intervento, a valere sugli stanziamenti pubblici o anche reperite tramite !nanziamenti privati; 8) le
procedure ed i soggetti responsabili per il monitoraggio e la veri!ca dei risultati. L’accordo di programma quadro è
vincolante per tutti i soggetti che vi partecipano. I controlli sugli atti e sulle attività posti in essere in attuazione
dell’accordo di programma quadro sono in ogni caso successivi. Limitatamente alle aree di cui alla lettera f), gli atti
di esecuzione dell’accordo di programma quadro possono derogare alle norme ordinarie di amministrazione e
contabilità, salve restando le esigenze di concorrenzialità e trasparenza e nel rispetto della normativa comunitaria
in materia di appalti, di ambiente e di valutazione di impatto ambientale. Limitatamente alle predette aree di cui
alla lettera f), determinazioni congiunte adottate dai soggetti pubblici interessati territorialmente e per
competenza istituzionale in materia urbanistica possono comportare gli e#etti di variazione degli strumenti
urbanistici già previsti dall’articolo 27, commi 4 e 5, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (lett. c ); il «Patto territoriale»,
come tale intendendosi l’accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici o privati con i
contenuti di cui alla lettera c), relativo all’attuazione di un programma di interventi caratterizzato da speci!ci
obiettivi di promozione dello sviluppo locale (lett. d ); il «Contratto di programma», come tale intendendosi il
contratto stipulato tra l’amministrazione statale competente, grandi imprese, consorzi di medie e piccole imprese
e rappresentanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata
(lett. e ); il «Contratto di area», come tale intendendosi lo strumento operativo, concordato tra amministrazioni,
anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché eventuali altri soggetti interessati, per la
realizzazione delle azioni !nalizzate ad accelerare lo sviluppo e la creazione di una nuova occupazione in territori
circoscritti, nell’ambito delle aree di crisi indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministero del bilancio e della programmazione economica e sentito il parere delle competenti Commissioni
parlamentari, che si pronunciano entro quindici giorni dalla richiesta, e delle aree di sviluppo industriale e dei
nuclei di industrializzazione situati nei territori di cui all’obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/88, nonché delle
aree industrializzate realizzate a norma dell’art. 32 della legge 14 maggio 1981, n. 219, che presentino requisiti di
più rapida attivazione di investimenti di disponibilità di aree attrezzate e di risorse private o derivanti da interventi
normativi. Anche nell’ambito dei contratti d’area dovranno essere garantiti ai lavoratori i trattamenti retributivi
previsti dall’articolo 6, comma 9, lettera c), del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modi!cazioni,
dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389 (lett. f ).
[27]Il Codice dei contratti pubblici prevede infatti sistemi di monitoraggio - cui l’operatore economico è tenuto a
collaborare attivamente – per veri!care, in particolare, la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore
economico, secondo modalità de!nite da linee guida adottate dall’ANAC (art. 181, comma 4). La medesima logica
del controllo, e quindi la necessità della distinzione di ruoli tra soggetto controllore e controllato, costituisce
la dell’art. 31, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016, il quale vieta, negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con le
formule di partenariato pubblico-privato, l’attribuzione dei compiti di responsabile unico del procedimento,

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responsabile dei lavori, direttore dei lavori, e di collaudatore allo stesso soggetto aggiudicatario dei contratti di
partenariato pubblico-privato o a soggetti ad essi collegati.
[28]Il carattere pluralistico e multilivello dei processi di attuazione delle politiche pubbliche, infatti, come bene
evidenzia il documento di Fondazione Cariplo
del 14 settembre 2009, “

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