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FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA

DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

I.P.
IN CORSO DI ACCREDITAMENTO

ATTI DEL

2° SIMPOSIO INVERNALE DI MEDICINA DEL CANE E DEL GATTO - FEBBRAIO 2008


DI MEDICINA DEL CANE E DEL
GATTO

Riservato ai Sigg. Medici Veterinari

13-14-15-16- 17 febbraio 2008


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MERIAL Italia S.p.A.


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(3) Rielaborazione dati IMS Health S.p.A. - Febbraio 2007

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DI MEDICINA DEL CANE E
DEL GATTO

Cari Colleghi,

è per me un vero piacere presentare il 2° Simposio Invernale


di Medicina interna del cane e del gatto, che come l'anno
passato si terrà nella splendida cornice dell'Altopiano della
Paganella.

Dopo il successo del simposio del 2007, incentrato sulla


diagnosi e sulla gestione delle più comuni patologie
respiratorie del cane e del gatto, Merial ha deciso di
riproporre anche quest'anno un analogo incontro dedicato
questa volta a un altro argomento di estremo interesse: la
medicina d'urgenza.

Gli ottimi relatori scelti tratteranno, ciascuno in base alle


proprie competenze e alla propria esperienza, i diversi
aspetti che caratterizzano le emergenze, quali rianimazione
cardiocircolatoria, squilibri acido-base, alterazioni
elettrolitiche, coagulopatie, insufficienza renale acuta,
vomito e disturbi neurologici.

Considerata l'attualità degli argomenti trattati, il prestigio e


la validità dei relatori presenti e il successo ottenuto nella
scorsa edizione, la Facoltà di Medicina Veterinaria
dell'Università degli Studi di Milano, di cui sono Preside
entrante, ha accettato con gioia di poter inserire anche
quest'anno questo evento nel programma di Educazione
Continua in Medicina, richiedendone l'accreditamento al
Ministero della Salute.

Come già successo in passato con altre sedi universitarie,


questo tipo di congressi è frutto di una stretta
collaborazione tra Università, liberi professionisti e industrie
farmaceutiche e i risultati ottenuti dimostrano la validità di
una scelta di questo tipo.

Non posso quindi che augurare a tutti un piacevole


soggiorno montano, una fruttuosa partecipazione al
simposio e un'utile lettura degli atti per un efficace
aggiornamento delle proprie conoscenze in materia.

Prof. Eugenio Scanziani


Preside della Facoltà di Medicina
Veterinaria di Milano

Organizzazione e Segreteria
NEW TEAM - Via Ghiretti 2, 43100 Parma
Tel. +39 0521 293913 - Fax +39 0521 294036
www.newteam.it/merialneve2008
mailto: francesca.corona@newteam.it
DI MEDICINA DEL CANE
E DEL GATTO

Rebecca
KIRBY
DVM,ACVIM (IM), ACVECCM e SCCM di med. umana
Laureata nel 1977 presso l'Università del Missouri, ha
trascorso un periodo di internship di chirurgia e medicina
dei piccoli animali in Indiana alla Purdue University.
Dal 1982 al 1991 è stata Direttore del Pronto Soccorso
dell'Università di Med. Veterinaria della Pennsylvania e
Professore associato di medicina d'urgenza.
Nel 1991 è diventata responsabile del Medicine Animal
Emergency Center di Milwaukee ed è stata chairman
examination Commitee e membro del Board of Regents
dell'ACVECC. E' stata, inoltre, executive board member del
VECCS. Nel 1992 è stata premiata relatrice dell'anno al
Eastern States North American Veterinary Medical
Conference. Nel 1993 è stata premiata come Distinguished
Practitioner e membro del National Academy of Practice in
Veterinary Medicine. Dal 1993 al 1995 è stata President-
elect del ACVECC. Dal 1994 è assistente professore
aggiunto al Dipartimento di chirurgia dei piccoli animali
dell'Università di Med. Veterinaria del Wisconsin-Madison.
Dal 1995 al 1997 è stata presidente del ACVECC. Dal
1997 è unica socia dell'Animal Emergency Center a
Milwaukee. Nel 2001 è stata nominata veterinaria dell'anno
del AAHA e nel 2003 il Milwaukee Business Journal l'ha
premiata con il titolo di “Women of Influence”.
Nel 2005 ha ottenuto il premio Hills per essere stata
giudicata Excellence in Veterinary Medicine dalla World
Small Animal Association a Città del Messico.

I R E L ATO R I
DI MEDICINA DEL CANE E
DEL GATTO

Dez
HUGHES
BVSc, MRCVS, ACVECC
Laureato nel 1990 a Liverpool si è trasferito poi
all'Università della Pennsylvania dove ha
trascorso 11 anni durante i quali ha svolto un
periodo di internship seguito da un periodo di
residency e lectureship in medicina d'urgenza.
Nel 1994 ha ottenuto la board certification del
ACVECC.
Dal 2001 al 2007 è stato senior lecturer al Royal
Veterinary College, dove ha organizzato il
servizio di pronto soccorso e di medicina
d'urgenza. E' stato Presidente fondatore
EVECCS.
I suoi interessi clinici comprendono tutti gli aspetti
della medicina d'urgenza, soprattutto la
valutazione e il trattamento dell'ipoperfusione, la
fluido terapia e l'utilizzo clinico della misurazione
del lattato ematico.

I R E L ATO R I
DI MEDICINA DEL CANE E
DEL GATTO

Rocco
LOMBARDO
Med Vet, DACVIM (Neurology), DECVN, Dottore di Ricerca
Laureato nel 1991 presso l'Università degli Studi di Milano.
Dal 1992 al 1995: svolge l'attività di Dottorando di Ricerca presso
l'Istituto di Clinica Chirurgica Veterinaria della medesima Università
occupandosi di malattie neurologiche ed ortopediche dei piccoli
animali. Acquisisce il titolo di Dottore di Ricerca in Ortopedia degli
Animali Domestici nel 1995. Dal 1996 al 1998: resident in neurologia,
Università della Pennsylvania. Dal 1998 al 2007: Ricercatore presso il
Dip. di Scienze Cliniche Veterinarie, Univ. degli Studi di Milano, dove
è docente incaricato e professore aggregato per il corso di Ortopedia
e Clinica Traumatologica Veterinaria e nell'ambito di Percorsi
Formativi dedicati alla Neurologia ed alla Neurochirurgia. E' inoltre
docente presso 2 Scuole di Specializzazione ed è stato relatore di
corsi di perfezionamento post-laurea universitari ed extrauniversitari
inerenti la neurologia dei piccoli animali. E stato inoltre relatore a
diversi congressi. E' Diplomato ACVIM (Neurology) ed ECVN. I suoi
principali interessi comprendono la neurochirurgia di rachide e di
encefalo, e la clinica delle malattie del sistema nervoso.

Marco
BERTOLI
Laureato a Parma nel 1997. Nel 94-95 frequenta il Dip. di
Clinica Medica come studente interno. Nel 95-97 frequenta il
Dip. di Clinica Chirurgica come studente interno occupandosi
prevalentemente di anestesiologia. Dal `99 lavora presso
l'Ospedale Vet. Gregorio VII (Roma) nel reparto di Medicina
d'Urgenza e Terapia intensiva lavorando esclusivamente nelle
ore notturne. Dal 2001 fino ad oggi relatore ed istruttore a
numerosi corsi, congressi e seminari inerenti la medicina
d'urgenza e terapia intensiva. Ha collaborato alla stesura del
libro “Medicina d'urgenza e terapia intensiva del cane e del
gatto” del Dott. Fabio Viganò. Membro Siarmuv ed EVECCS
dal 2001.

I R E L ATO R I
DI MEDICINA DEL CANE
E DEL GATTO

giovedì 14 febbraio 2008

Medicina d’urgenza

RELATORI: Rebecca Kirby, Dez Hughes


e Rocco Lombardo

15,30 Rianimazione cardiocircolatoria in


pazienti con Sirs/Mods: una sfida
terapeutica (R. Kirby)

16,30 Squilibri acido-base (D. Hughes)

17,30 Coffee Break

17,45 Emergenze neurologiche (R. Lombardo)

18,30 Casi clinici/Sess. interattiva (R. Kirby)


19,00 Casi clinici/Sess. interattiva (D. Hughes)

19,30 Chiusura dei lavori

IL PROGRAMMA
DI MEDICINA DEL CANE
E DEL GATTO

venerdì 15 febbraio 2008

Medicina d’urgenza

RELATORI: R. Kirby, D. Hughes e M. Bertoli

15,30 Coagulopatie nel paziente acuto


(D. Hughes)

16,30 Il paziente traumatizzato: cosa non


dimenticare mai nell’iter diagnostico
(M. Bertoli)

17,15 Coffee Break

17,30 Alterazioni elettrolitiche nel paziente


acuto (R. Kirby)

18,30 Casi clinici/Sess. interattiva (D. Hughes)


19,00 Casi clinici/Sess. interattiva (R. Kirby)

19,30 Chiusura dei lavori

IL PROGRAMMA
DI MEDICINA DEL CANE
E DEL GATTO

sabato 16 febbraio 2008

Medicina d’urgenza

RELATORI: Rebecca Kirby e Dez Hughes

15,30 Insufficienza renale acuta: cause,


diagnosi e terapia (R. Kirby)

16,30 Il mio cane/gatto vomita!!


È un’emergenza? (D. Hughes)

17,30 Coffee Break

17,45 Casi clinici/Sess. interattiva (R. Kirby)


18,30 Casi clinici/Sess. interattiva (D. Hughes)

19,00 Verifica dell’apprendimento e


conclusione lavori

IL PROGRAMMA
DI MEDICINA DEL CANE
E DEL GATTO

Organizzazione e Segreteria

NEW TEAM - Via Ghiretti 2, 43100 Parma


Tel. +39 0521 293913 - Fax +39 0521 294036
mailto: dina.montanari@newteam.it
SHOCK E RIANIMAZIONE
Rebecca Kirby

Introduzione

La più comune causa di morte nel paziente critico è rappresentata dall’inadeguata


distribuzione e utilizzazione dell'ossigeno nei tessuti. L'ossigeno è l'elemento costi-
tuente del sangue che possiede il maggior tasso di estrazione ed è infatti la compo-
nente ematica più dipendente dal flusso. L'utilizzazione dell'ossigeno (V02) è la
misura del metabolismo complessivo dell'organismo. L’inadeguatezza della V02
costituisce il principale meccanismo patogenetico dello sviluppo della sindrome da
shock. La V02 può essere ridotta da un minor apporto (es., emorragia o insufficien-
za cardiaca) oppure da una cattiva distribuzione del flusso (es., trauma, interventi
chirurgici, anestetici, sepsi, disordini metabolici). Nell’uomo, le modalità di distri-
buzione e utilizzazione dell'ossigeno (D02 e V02) sono considerate forti fattori
determinanti la sopravvivenza.
L’ossigenazione dei tessuti ha lo scopo di favorire la produzione di adenosina trifo-
sfato (ATP), importante fonte energetica dell'organismo. In presenza di ossigeno,
una molecola di glucosio è responsabile della produzione di 38 molecole di ATP. In
ambiente anaerobio invece vengono prodotte soltanto due molecole di ATP per
molecola di glucosio, con formazione di acido lattico come prodotto finale danno-
so. L'energia è necessaria per attivare la pompa sodio-potassio e quella del calcio
all'interno della cellula. L'ipossia tissutale causa la deplezione delle riserve energe-
tiche e successivamente la ritenzione di una quantità eccessiva di sodio e calcio
nella cellula. Il sodio richiama acqua dai compartimenti extracellulari, causando un
grave rigonfiamento cellulare. Con l'accumulo del calcio intracellulare, le membra-
ne lisosomiali si rompono, rilasciando enzimi che possono distruggere la membra-
na cellulare. Questi enzimi attivano le chinine e le prostaglandine, che causano
vasodilatazione e aumento della permeabilità capillare locale. Ne risultano edema
interstiziale, maldistribuzione del flusso ematico e disfunzione organica.

Dinamiche capillari

La maggior parte dei fluidi dell'organismo sono localizzati nei compartimenti intra-
vascolare, interstiziale e intracellulare. I compartimenti interstiziale e intracellulare
costituiscono lo spazio extravascolare. Il compartimento intracellulare è racchiuso
dalla membrana cellulare, liberamente permeabile all'acqua ma non alle particelle
cariche. Lo spazio interstiziale è composto da fasci di fibre collagene, filamenti pro-
toglicanici e linfatici e si trova tra le cellule e i vasi. Lo spazio intravascolare è con-
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tenuto nella rete vascolare formata da arterie, arteriole, capillari, venule e vene.
La legge di Starlings definisce le forze che governano il volume di fluido distribuito
nei compartimenti intravascolare e interstiziale. Quando il sangue scorre all'interno
dei capillari, il gradiente di pressione idrostatica causa un movimento dinamico con-
tinuo dell'acqua e dei soluti nell'interstizio.
Le dinamiche dei diversi compartimenti fluidi cambiano durante lo shock. Quando la
patologia sottostante induce una risposta infiammatoria sistemica, si verifica un
aumento della permeabilità dei capillari e delle venule post-capillari dell'organismo.
L'albumina (69.000 dalton) attraversa la membrana capillare e raggiunge l'interstizio,
sia nella sede di lesione sia a distanza, come risultato dell'attività delle citochine.
L’ipoalbuminemia che si associa alla risposta infiammatoria sistemica implica che il
diametro dei pori capillari è pari ad almeno 69.000 dalton, in presenza di una funzio-
nalità epatica adeguata e in assenza di perdite di albumina renali o intestinali signifi-
cative.

Fisiopatologia

Lo shock ipovolemico è una condizione conseguente a una riduzione del volume ema-
tico per la quale il riempimento ventricolare, la pressione arteriosa, il flusso ematico
periferico e la V02 divengono inadeguati a mantenere l'integrità cellulare. Le case più
comuni sono l’emorragia, la perdita di fluidi da una ferita, le ustioni e la perdita di
fluidi nel terzo spazio. Nelle pareti dell'arco aortico e alla biforcazione delle carotidi
interna ed esterna (seno carotideo) si trovano i barocettori, ovvero recettori pressori
speciali, e le loro fibre nervose afferenti. Quando la pressione che si esercita sui baro-
cettori è adeguata, i nervi afferenti scaricano a bassa velocità, mandando impulsi affe-
renti al tronco encefalico che inibiscono la scarica tonica dei nervi vasocostrittori ed
eccitano il centro cardio-inibitore.
Nelle fasi precoci dello shock ipovolemico, la gittata cardiaca inadeguata induce un
insufficiente stiramento dei barocettori, ipotensione e ipoperfusione. La scarica inibi-
toria dei nervi barocettoriali afferenti si riduce e le terminazioni nervose rilasciano
norepinefrina, mentre la ghiandola surrenale rilascia in circolo norepinefrina ed epi-
nefrina. Il risultato complessivo è un aumento della frequenza cardiaca, un aumento
della contrattilità miocardica e la vasocostrizione di arterie e vene. Queste modifica-
zioni precoci costituiscono lo stadio compensato dello shock e sono rappresentate cli-
nicamente da aumento della frequenza cardiaca, pressione arteriosa normale o
aumentata, flusso normale o aumentato (polso forte, iperemia delle mucose e riduzio-
ne del tempo di riempimento capillare) e aumento della V02. Questo stadio viene
facilmente trascurato dal clinico, perché il paziente può apparire nei limiti della
norma. La frequenza cardiaca è un segno clinico chiave. È necessario effettuare
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un'espansione del volume, che conduce generalmente a risultati favorevoli se viene
risolta la causa. Questa fase non viene osservata nel gatto, eccetto che in presenza
di dolore estremo.
Se la perdita di fluidi continua, la stimolazione simpatica prosegue con maggiore
intensità, riducendo l'irrorazione ematica di cute, muscoli, visceri e reni, nel tenta-
tivo di mantenere un volume circolante efficace e di promuovere la profusione cere-
brale e cardiaca. La disomogeneità del flusso ematico è l'evento chiave dello sta-
dio medio o scompensato iniziale dello shock. In questa fase viene utilizzata l’ATP
e si esauriscono le riserve di glucosio, con il risultato che vengono metabolizzati gli
acidi grassi liberi per produrre energia. Prostaglandine, trombossano A2 e leucotrie-
ni inducono vasocostrizione, aggregazione piastrinca, depressione cardiaca, rilascio
di enzimi lisosomiali e chemotassi leucocitaria. I segni clinici dello stadio medio
dello shock sono costituiti da diminuzione della temperatura rettale, polso debole,
pallore delle mucose, aumento del tempo di riempimento capillare e freddezza delle
estremità e della cute. La frequenza cardiaca è aumentata ed è in genere presente
depressione del sensorio. È necessaria una vigorosa fluido terapia, e la prognosi è
riservata. Nel gatto si osservano ipotensione, ipotermia e frequenza cardiaca norma-
le o diminuita. L'ipotermia gioca un ruolo significativo nella risposta compensato-
ria sviluppata dal gatto. L'abbassamento della temperatura rettale (< 36,5° C) è
associato a una ridotta risposta alle catecolamine da parte dei recettori adrenergici.
Ciò può condurre a un’inadeguata vasocostrizione compensatoria e scarsa risposta
cardiaca.
Gli stadi terminali dello shock sono simili, indipendentemente dall'eziologia. La
prolungata iperattività simpatica conduce a grave ipossia tissutale e scompenso
degli organi vitali (cervello, cuore). Diminuisce la frequenza cardiaca, vene e arte-
rie periferiche si dilatano e il sangue ristagna, riducendo ulteriormente il volume
ematico e la gittata cardiaca. Questo circolo vizioso costituisce lo stadio scompen-
sato terminale dello shock, caratterizzato da una prognosi infausta. I segni clinici
includono insufficienza cardiaca, edema polmonare, alterazioni dello stato di
coscienza, grave ipotensione e anomalie respiratorie. Una comune conseguenza è
l'arresto cardiopolmonare.

Rianimazione aggressiva
L'obiettivo primario della terapia è in tutti casi la dilatazione del microcircolo, inte-
ressato da una vasocostrizione disomogenea, al fine di fornire ossigeno ai tessuti.
1. Somministrazione di ossigeno. Dovrebbe essere mantenuta una concentrazione
di ossigeno dell'aria inspirata pari al 40-60%. L'ossigeno può essere somministrato
mediante tracheotubo, catetere transtracheale, tecnica flow-by, maschera, borsa o
cannula nasale.
2. Scelta dei fluidi. L’ipoperfusione e la disidratazione sono problemi diversi che
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richiedono una diversa strategia terapeutica. I deficit di perfusione sono dovuti a
una perdita di volume del fluido intravascolare (ma si deve escludere quale causa
l'insufficienza cardiaca). La risoluzione di questi deficit dovrebbe essere rapida e si
effettua somministrando liquidi in quantità sufficiente a espandere e mantenere lo
spazio intravascolare. La disidratazione è un deficit volumetrico extravascolare
(soprattutto interstiziale) che si affronta somministrando cristalloidi. E’ possibile
osservare un deficit di perfusione in assenza di una disidratazione significativa, e
viceversa.
Un cristalloide è una soluzione acquosa contenente piccole molecole in grado di
attraversare le membrane capillari. La concentrazione di sodio e glucosio determi-
na l'osmolalità e la tonicità del fluido e la sua distribuzione all’interno dei compar-
timenti fluidi. Un colloide è una soluzione acquosa contenente sia piccole moleco-
le permeabili alla membrana capillare sia grosse molecole che non possono attra-
versarla. Colloidi naturali sono costituiti dalle proteine plasmatiche di un animale
donatore somministrate come plasma fresco congelato, plasma congelato, sangue
intero, concentrato di albumina ed emoglobina priva di stroma. I colloidi sintetici
sono molecole sintetizzate dall'uomo e dissolte in normale soluzione salina.
Durante le fasi iniziali della rianimazione si utilizza una combinazione di colloidi
sintetici e cristalloidi.
3. Scelta degli obiettivi della rianimazione. Il successo della rianimazione dipende
dalla somministrazione di quantità di fluido sufficienti ad ottenere degli obiettivi spe-
cifici. Questo processo è definito end-point resuscitation. I parametri fisici ed emodi-
namici sono i principali obiettivi monitorati. La necessità di evitare sovraccarichi
volumetrici e l’aumento della pressione idrostatica capillare negli animali traumatiz-
zati con emorragie cavitarie chiuse, emorragie in atto e traumi cerebrali o polmonari
stabilisce gli obiettivi da scegliere e la tecnica di rianimazione da impiegare.
Rianimazione a valori sopranormali: Nello shock ipovolemico e nella sindrome
della risposta infiammatoria sistemica (SIRS, systemic inflammatory response syn-
drome) si raccomanda il ripristino della perfusione a valori sopranormali al fine di
accrescere la distribuzione dell'ossigeno. Si ripristinano i parametri fisici di perfu-
sione (diminuzione della frequenza cardiaca, rinforzo del polso, normalizzazione
del tempo di riempimento capillare, colorazione rosea delle mucose) e i parametri
emodinamici. Questa tecnica non deve essere utilizzata in presenza di emorragie
cavitarie chiuse o di edema o emorragie polmonari e cerebrali, dato che l'improvvi-
so aumento della pressione idrostatica capillare può causare l'aggravamento del-
l'emorragia o dell’edema.
Rianimazione ipotensiva: Lo shock traumatico con emorragie cavitarie chiuse o
edema cerebrale o polmonare richiede la rianimazione ipotensiva. L’obiettivo della
rianimazione è il miglioramento dei parametri fisici di perfusione mantenendo però
su valori bassi, anziché su valori sopranormali, la pressione ematica. Ciò allo scopo
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di evitare la dislocazione di coaguli che potrebbero fornire un'indispensabile emo-
stasi e di scongiurare un aumento significativo della pressione idrostatica e il peg-
gioramento dell’edema cerebrale o polmonare.
4. Tecniche di rianimazione La rianimazione con colloidi può essere effettuata
mediante rapido ripristino volumetrico intravascolare nel cane o ripristino a picco-
li volumi nel cane e nel gatto. La scelta della tecnica di rianimazione dipende dalla
specie animale, dalla presenza di patologie cerebrali o polmonari e dalla probabili-
tà di un'emorragia in atto o cavitaria chiusa (vedi figura sotto).

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SQUILIBRI ELETTROLITICI CRITICI
Rebecca Kirby

Gli squilibri elettrolitici rappresentano un fattore importante per la sopravvivenza


dei pazienti critici. Gli squilibri di sodio, potassio, magnesio, calcio e/o fosforo cau-
sano gravi alterazioni della funzionalità cellulare, inducendo complicazioni poten-
zialmente fatali.

Squilibri del sodio

La concentrazione ematica del sodio riflette il rapporto tra sodio e acqua nel fluido
extracellulare (ECF); il sodio è la particella osmoticamente attiva preponderante nel
siero. Le Figure 1 e 2 riportano gli algoritmi per il trattamento degli squilibri del
sodio. Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel testo ripor-
tato di seguito.

Ipernatriemia (Figura 1) (Na+ > 160 mEq/l)

A. Aspetti anamnestici o clinici indicativi di un’eccessiva assunzione di sale, vomi-


to o diarrea protratti, grave ipertermia, adipsia o ipodipsia, ventilazione rapida,
scolo nasale cronico od ostruzione urinaria dovrebbero indurre a valutare la concen-
trazione di sodio.
B. Deve essere previsto lo sviluppo di disidratazione grave e deficit di perfusione.
Quest’ultimo è indicato da diminuzione della pressione ematica, polso debole, per-
dita di coscienza, pallore delle mucose, aumento del tempo di riempimento capilla-
re e tachicardia. Il volume ematico può essere rapidamente ripristinato utilizzando
fluidi contenenti sodio, al fine di riportare la pressione sistolica a valori pari a 80-
100 mmHg. È possibile considerare l’utilizzo di hetastarch in soluzione salina per
ridurre lo stravaso di fluidi nell’interstizio che si verifica con i soli cristalloidi. La
somministrazione di colloidi può minimizzare le gravi complicazioni osservabili
dopo un rapido ripristino volumetrico in presenza di ipernatriemia.

L’aumento improvviso del sodio extracellulare induce la disidratazione cellulare.


Concentrazioni elevate di sodio nel liquido cefalorachidiano (CSF) interferiscono
con la pompa Na+-K+-ATPasi. Il sodio viene intrappolato nel CSF e possono svi-
lupparsi profondi segni neurologici (depressione, debolezza, confusione, convulsio-
ni, coma e infine morte) dovuti alla disidratazione dei neuroni.

Quando l’aumento del sodio diviene cronico, il sistema nervoso è inizialmente pro-
tetto dalla produzione di osmoli iodiogeniche intracellulari, che controbilanciano

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l’iperosmolarità del siero. Questo meccanismo protettivo può tuttavia essere preva-
ricato e con il tempo le alterazioni neurologiche divengono evidenti.
Un rapido ripristino volumetrico con un fluido a bassa concentrazione di sodio
determina uno squilibrio tra la concentrazione di sodio sierica e quella del CSF.
L’acqua passa dai vasi al CSF. Nelle forme acute, ciò causa un sovraccarico volu-
metrico extracellulare, mentre nel paziente cronico determina un’ipervolemia intra-
cellulare. Entrambi i meccanismi possono produrre l’aumento della pressione intra-
cranica e determinare una compromissione neurologica. I deficit volumetrici
dovrebbero essere ripristinati lentamente nel corso di 12-24 ore, utilizzando norma-
le soluzione salina, un cristalloide isotonico bilanciato come Normosol-R® o
Plasmalyte-A®, oppure soluzione salina allo 0,45%, una volta ripristinata una per-
fusione adeguata.
C. Nell’esperienza dell’autrice, il più comune meccanismo alla base dell’ipernatrie-
mia è rappresentato da una perdita di acqua superiore alla perdita di sodio dal flui-
do extracellulare (ECF). Possibili vie di consistente perdita idrica sono: via gastro-
enterica (vomito diarrea); via renale (terapia diuretica, glicosuria, ostruzione post-
renale e insufficienza renale acuta o cronica); via respiratoria (iperventilazione o
rinite cronica); perdita di fluidi nel terzo spazio (utero, cavità peritoneale, cavità
pleurica o tessuto muscolare).

I soggetti con perdite di liquidi superiori a quelle del sodio sono ipovolemici, quan-
do sono in grado di mantenere l’assunzione orale di acqua. I deficit volumetrici pos-
sono essere ripristinati come descritto in precedenza, e occorre valutare e trattare i
processi patologici sottostanti. Quando il paziente è stato reidratato, si determina la
concentrazione del sodio e il nuovo valore è utilizzato per determinare i restanti
deficit idrici dell’ECF attraverso la seguente formula:

(nuovo Na+ - 140) x kg peso corporeo x 0,6 = deficit idrico (l)


140

Questo volume viene ripristinato utilizzando destrosio al 5% in acqua oppure una


soluzione di mantenimento con concentrazione dimezzata, come la soluzione sali-
na allo 0,45% o il Ringer lattato, oppure una soluzione aminoacidica al 3% come
Procalamine® o Freeamine®. L’integrazione viene fatta nel corso di 12-24 h. Il
fluido di mantenimento è costituito da una soluzione elettrolitica bilanciata cui
viene integrato potassio secondo necessità.
D. Un’altra causa di ipernatriemia è la perdita di acqua priva di soluti dall’ECF, che
può verificarsi in corso di diabete insipido, ipodipsia o adipsia, grave ipertermia o
improvvisa perdita della risposta all’ADH come accade nel trauma cranico. Questa
situazione viene descritta come ipernatriemia normovolemica. Tuttavia, la maggior
parte dei pazienti in emergenza sono ipovolemici a causa dell’incapacità di mante-
16
nere una normale idratazione orale, quindi deve essere iniziata la fluidoterapia
come descritto sopra. Le alterazioni dell’ADH associate al diabete insipido o al
trauma cranico possono determinare una diminuzione estrema del peso specifico
urinario dovuta alla perdita degli effetti dell’ADH sui tubuli renali distali e sui dotti
collettori. Questi pazienti beneficiano della somministrazione di ADH, dopo che
sono state ripristinate la perfusione e l’idratazione.
E. Un eccesso di sodio totale corporeo può derivare da una sua ritenzione renale o
da un eccessivo apporto. L’iperaldosteronismo e l’iperadrenocorticismo possono
determinare un riassorbimento renale eccessivo di sodio. Più comunemente, sono
responsabili cause iatrogene, come un elevato apporto di sodio o la somministrazio-
ne di soluzione salina ipertonica o di bicarbonato di sodio. La diuresi del sodio
viene promossa con la somministrazione di furosemide e di fluidi a basso contenu-
to di sodio, oltre al trattamento del processo patologico sottostante.

Iponatriemia (fig. 2) (Na+ < 130 mEq/l)

A. E’ importante valutare la perfusione cardiovascolare, come descritto per l’iper-


natriemia, e ripristinarla utilizzando soluzione salina allo 0,9%. E’ di beneficio
anche l’integrazione di ossigeno. Devono essere ricercate e trattate le cause del-
l’ipoperfusione. In questa situazione, la somministrazione di hetastarch in soluzio-
ne salina può essere di beneficio per ridurre l’improvviso spostamento dell’acqua e
degli elettroliti, durante il ripristino del volume intravascolare e della pressione
ematica sistemica.
B. La determinazione dell’osmolalità sierica aiuta a identificare l’origine dell’ipo-
natriemia. Un siero ipo-osmolale (osmolalità < 280 mosm/l) suggerisce che l’acqua
corporea totale è in eccesso rispetto al sodio. Ciò può essere dovuto a un eccessivo
apporto di acqua, un inadeguato riassorbimento dell’acqua rispetto al sodio o all’in-
capacità di riassorbire il sodio a livello renale. Segni clinici gravi includono stupo-
re, coma, convulsioni o demenza.
C. Occorre valutare lo stato di idratazione e ripristinare i deficit volumetrici con
soluzione salina isotonica. L’iponatriemia (<115 mEq/l) in un paziente con gravi
sintomi neurologici può richiedere l’integrazione di sodio. Può essere utilizzata
soluzione salina ipertonica (3%) calcolando il deficit di sodio attraverso la seguen-
te formula:

(140 – Na+ misurato) x 0,3 x kg peso corporeo = deficit Na+ mEq/l.


Il deficit dovrebbe essere ripristinato lentamente, nel corso di 12-24 ore.
Un’integrazione troppo rapida può determinare mielinolisi pontina.
D. Quando segni neurologici gravi sono associati a un volume fluido intravascolare
normale o eccessivo, si può somministrare furosemide per promuovere l’escrezione
renale di acqua. Il sodio può essere integrato come descritto sopra. È possibile che
17
si instauri ipokaliemia, che richiede l’integrazione di potassio. Quando l’eccesso di
acqua non risponde alla terapia diuretica, può essere efficace la dialisi peritoneale.
E. I segni lievi in genere si manifestano in forma di debolezza generalizzata e
depressione del sensorio. L’ipovolemia è affrontata al meglio ripristinando il volu-
me con soluzione salina normale. Quando un’eccessiva assunzione di acqua o riten-
zione renale determinano normovolemia o ipervolemia, la restrizione dell’acqua è
una terapia efficace.
F. Processi patologici quali la sindrome nefritica, la cirrosi epatica, l’insufficienza
cardiaca congestizia e l’insufficienza renale possono portare a iponatriemia ipo-
osmolare ed edema periferico. Un’altra possibile causa è l’ipotiroidismo. La caren-
za di glucocorticosteroidi e mineralcorticoidi e l’inappropriato rilascio di ADH non
si manifestano in genere con l’edema. E’ importante identificare la malattia sotto-
stante e trattarla appropriatamente.
G. L’iponatriemia associata a una normale osmolalità sierica (pseudoiponatriemia)
è dovuta alla presenza nel siero di altre sostanze che fungono da fattori diluzionali.
Lipemia, iperglicemia e iperproteinemia possono richiamare acqua nello spazio
intravascolare e diluire il sodio. Occorre identificare e trattare la causa sottostante.
H. L’iponatriemia iperosmolare si verifica quando sono presenti nel sangue sostan-
ze come glucosio, azoto ureico e tossine che aumentano l’osmolarità del siero,
richiamando acqua e diluendo il sodio sierico. Le patologie da considerare sono dia-
bete mellito, tossine come il glicole etilenico e insufficienza renale. È importante
diagnosticare e trattare adeguatamente queste condizioni.

Squilibri del calcio

Il calcio è presente nel sangue legato all'albumina per il trasporto oppure in forma
ionizzata fisiologicamente attiva. La maggior parte dei laboratori di patologia clini-
ca veterinaria misura il calcio totale. Poiché il calcio totale è influenzato dalla con-
centrazione di albumina, si può effettuare una stima del calcio corretto, aggiungen-
do o sottraendo al valore totale del calcio 0,8 mg/dl per ogni g/dl di albumina supe-
riore o inferiore alla norma. È preferibile valutare il valore del calcio ionizzato per
eliminare le numerose variabili che influenzano la concentrazione delle proteine
sieriche. La maggior parte degli strumenti ambulatoriali per il calcolo degli elettro-
liti fornisce i valori di calcio ionizzato.
Le Figure 3 e 4 riportano gli algoritmi per il trattamento degli squilibri del calcio
nei piccoli animali. Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel
testo.

Ipercalcemia (Ca++ totale > 11 mg/dl)


A. Modesti aumenti del calcio totale possono essere attribuiti ad aumenti compara-
bili delle proteine sieriche. Si deve sospettare ipercalcemia nei pazienti con masse
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tumorali, che hanno ingerito tossine che alterano il calcio sierico, con gravi aritmie
o insufficienza renale acuta ad eziologia inspiegata. I segni clinici quali poliuria e
polidipsia, shock inspiegato, insufficienza cardiaca, oliguria, dolore addominale,
costipazione, vomito, irrequietezza, alterazioni del sensorio e tachipnea sono sug-
gestivi di ipercalcemia.
B. La valutazione iniziale del paziente ipercalcemico si dovrebbe concentrare sulla
perfusione periferica e sulla filtrazione glomerulare. Si devono valutare il tempo di
riempimento capillare, la frequenza, il ritmo e l'intensità del polso, la temperatura
corporea e la pressione ematica, e indagare la conduzione miocardica mediante
ECG. Lo shock deve essere trattato mediante infusione rapida endovenosa di solu-
zione salina e collodi, come necessario, e le aritmie sono affrontate in accordo alla
diagnosi ECG. Quando l'alterata funzionalità cardiaca è attribuibile all'ipercalcemia
che causa insufficienza e rischio di morte, si possono utilizzare agenti di blocco dei
canali del calcio. La somministrazione di sodio bicarbonato o sodio fosfato può
ridurre rapidamente il calcio sierico ionizzato. Ciò tuttavia determina la precipita-
zione del calcio nei tessuti molli e la possibilità di compromissione degli organi
principali. Se possibile, evitare questo intervento terapeutico.
C. È stato sperimentalmente dimostrato nel cane che concentrazioni di calcio sieri-
co > 16 mg/dl sono associate a spasmi vasomotori delle arteriole glomerulari affe-
renti. Ciò determina una cattiva perfusione glomerulare e tubolare e insufficienza
renale. Occorre monitorare la creatinina sierica e l'emissione di urine come riflesso
del flusso ematico glomerulare e del tasso di filtrazione. I deficit volumetrici ven-
gono rapidamente ripristinati con soluzione salina isotonica endovenosa. La diure-
si del calcio viene promossa somministrando furosemide (1 mg/kg/h CRI). Si può
considerare l'utilizzo di dopamina (2-3 _g/kg/min) per risolvere lo spasmo arterio-
lare preglomerulare.
D. La valutazione di laboratorio iniziale dovrebbe includere l'esame emocromoci-
tometrico, l'analisi delle urine e il profilo biochimico. Si devono valutare il potas-
sio, la fosfatasi alcalina e l'albumina, ed effettuare l'esame ECG e radiografico.
Mediante esame radiografico ed ecografico del torace e dell'addome si ricercano
eventuali masse tumorali.

I deficit volumetrici e la calciuresi vengono affrontati come presentato nella


Sezione C. La diuresi fluida può essere promossa confrontando il volume di solu-
zione salina infusa con il volume di urina prodotta, in assenza di insufficienza rena-
le oligurica o insufficienza cardiaca congestizia. Possono essere presenti ipokalie-
mia, ipomagnesiemia e ipofosfatemia, che devono essere corrette operando l’inte-
grazione appropriata ai fluidi endovenosi. Quando è necessario integrare il fosforo,
è importante mantenere il rapporto calcio/fosforo inferiore a 55 per evitare la calci-
ficazione dei tessuti molli. Bisogna monitorare l'emissione di urina, la pressione
venosa centrale, l’ematocrito, TS, calcio ironizzato, fosforo, potassio, magnesio e
19
la pressione ematica.
E. Quando la risposta alla terapia generale è limitata, si possono attuare modalità
più specifiche. Queste includono la somministrazione di glucocorticoidi per ridur-
re l'assorbimento intestinale di calcio e promuovere la calciuresi, oppure di calcito-
nina o mitramicina per favorire la deposizione del calcio nel tessuto osseo. La
mitramicina può indurre una discrasia ematica ed è riservata ai pazienti con ipergli-
cemia non responsiva associata a tumore. Quando queste metodiche falliscono o in
presenza di grave insufficienza renale, può essere efficace la dialisi peritoneale o
l’emodialisi utilizzando un dialisato privo di calcio.
F. La terapia definitiva è diretta alla malattia sottostante. I problemi da escludere
includono intossicazione da rodenticidi a base di colecalciferolo, insufficienza sur-
renale, iperparatiroidismo primario e secondario, neoplasie (es., linfoma, adenocar-
cinoma perianale o metastasi ossee), somministrazione cronica di tiazide e cause
iatrogene (es., eccessiva integrazione di calcio).

Ipocalcemia (Figura 4) (Ca++ totale < 8 mg/dl)

A. L’ipocalcemia dovrebbe essere sospettata nei pazienti con debolezza generaliz-


zata grave, convulsioni, tremori, attività muscolare tonico-clonica, sfregamento e
grattamento facciale o ipereccitabilità. Informazioni anamnestici significative
includono la dieta (es., dieta esclusivamente carnivora, a elevato contenuto di fosfo-
ro), trasfusioni recenti, terapie mediche, esposizione a tossine (es., glicole etileni-
co) e anamnesi riproduttiva.
B. Quando si osservano debolezza generalizzata, tetania o convulsioni in un pazien-
te con sospetta ipocalcemia, si deve determinare il calcio sierico e somministrare
per via endovenosa calcio gluconato al 10% (0,5 – 1,5 ml/kg ). Spesso l'ipocalce-
mia e cronica e non è associata a un problema acuto rischioso. Quindi, il calcio glu-
conato può essere somministrato per via orale oppure lentamente con i fluidi endo-
venosi.
C. La terapia definitiva è rivolta alla condizione patologica sottostante. Si effettua
l'esame emocromocitometrico, il profilo biochimico completo, l'analisi delle urine,
l’emogasanalisi venosa e il profilo coagulativo. L’alcalosi può causare ipocalcemia
e/o l'ipocalcemia acuta può causare ipoventilazione; entrambe si riflettono sul-
l’emogasanalisi iniziale.
D. Le patologie sottostanti da considerare includono eclampsia pre- e postparto,
insufficienza renale acuta o cronica, ostruzione urinaria, ingestione di tossine,
malassorbimento con carenza di vitamina D, ipoparatiroidismo, pancreatite, dieta a
elevato contenuto di fosforo e ipocalcemia farmaco-indotta (es., sodio bicarbonato
o diuretici d'ansa).

Squilibri del potassio


20
Il potassio è il principale elettrolita intracellulare. Il potassio sierico può non riflet-
tere accuratamente le riserve di potassio corporeo totale e sono molti i fattori che ne
influenzano la concentrazione. Il pH del sangue influenza la distribuzione del potas-
sio tra il plasma e le cellule, così l’acidosi promuove lo spostamento extracellulare
del potassio e l’alcalosi determina l'ingresso del potassio nella cellula. Quando si
verificano danni cellulari estesi quali trauma da schiacciamento, ustioni, colpi di
calore eccetera, elevate quantità di potassio intracellulare possono essere rilasciate
nel plasma. Le patologie che alterano la funzionalità renale e l’emissione di urina
influenzano la concentrazione di potassio, dato che i reni regolano lentamente il
contenuto di questo elemento.
Le Figure 5 e 6 illustrano gli algoritmi per il trattamento degli squilibri del potas-
sio. Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel testo.

Iperkaliemia (Figura 5) (K+ > 5,5 mEq/l)

A. L’iperkaliemia dovrebbe essere sospettata negli animali con compromissione


renale, ostruzione urinaria, bradicardia, aritmie, deficit di perfusione, distruzione
tissutale estesa o grave debolezza generalizzata. Si effettua un prelievo ematico pre-
trattamento per ottenere un database iniziale che includa ematocrito, BUN, gluco-
sio, elettroliti, analisi delle urine ed emogasanalisi.
B. L’inadeguata perfusione tissutale richiede un'immediata valutazione ECG.
L’iperkaliemia influenza la conduzione elettrica del miocardio, prolungando la
ripolarizzazione e in seguito la depolarizzazione. Le alterazioni ECG riferibili a
iperkaliemia includono bradicardia, innalzamento dell’onda T, prolungamento del-
l'intervallo P-R, appiattimento dell'onda P, ampliamento del complesso QRS e infi-
ne formazione di un'onda sinusoidale.
Quando il deficit di perfusione è dovuto a una carenza volumetrica, devono essere
somministrati rapidamente fluidi a basso contenuto di potassio. Quando invece è
dovuto a iperkaliemia e agli effetti di questa sul miocardio, è necessaria una terapia
che sposti il potassio nello spazio intracellulare, fino a che non venga identificata è
trattata la malattia sottostante. L'insulina regolare (0,2 unità/kg EV) seguita da
destrosio (2 g/unità di insulina somministrata, seguiti da destrosio al 2,5% nei flui-
di) riduce il potassio sierico nell’arco di 5 minuti ed ha una durata di 20-45 minuti.
Il glucosio può essere somministrato da solo (0,1-0,5 mg/kg EV) per indurre il rila-
scio di insulina endogena, ma si tratta di un effetto lento. Alternative sono costitui-
te dalla somministrazione di calcio gluconato (soluzione al 10%, 0,5-1,5 ml/kg EV)
o sodio bicarbonato (0,2-0,5 mEq/kg lentamente o diluito nei fluidi). Il calcio glu-
conato può arrestare gli effetti dell’iperkaliemia sul miocardio. Il sodio bicarbona-
to modifica il pH sierico e sposta il potassio all'interno delle cellule. Tuttavia, il
sodio bicarbonato ha altri effetti collaterali e dovrebbe essere usato con cautela nei
pazienti critici.
21
La pietra miliare della terapia dell’iperkaliemia è rappresentata dalla diuresi fluida
e possibilmente dalla somministrazione di furosemide per promuovere la kaliuresi.
Quando la causa iniziante è un'insufficienza renale oligurica o anurica, la diuresi
non è possibile ed è necessaria la dialisi.
C. Si effettua l’emogasanalisi arteriosa per determinare gli effetti dell’acidosi sulla
concentrazione del potassio. L'acidosi determina un aumento del potassio sierico di
0,6 mEq/l ogni diminuzione del pH di 0,1. Quando l’iperkaliemia persiste a fronte
di una grave acidosi metabolica (pH <7,1), si dovrebbe considerare la terapia con-
servativa con bicarbonato.
D. Quando un’iperkaliemia grave è refrattaria alla terapia, si possono somministra-
re mineralcorticoidi come il desossicorticoacetato (DOCA) o le resine a scambio
cationico (sodio polistirene sulfonato: Kayexalate®, per via orale o mediante cli-
sma), oppure effettuare una dialisi peritoneale.
E. I processi patologici sottostanti che devono essere considerati sono insufficienza
renale acuta, insufficienza renale cronica in stadio terminale, acidosi renale tubula-
re, ostruzione urinaria, ipoadrenocorticismo, trauma tissutale esteso (ustioni, colpo
di calore, schiacciamenti) aumentata somministrazione o ingestione di potassio,
grave acidosi e trombocitosi.

Ipokaliemia (Figura 6) (K+ < 3,0 mEq/l)

A. Importanti reperti anamnestici sono terapia diuretica, digiuno, vomito, diarrea,


poliuria e terapia farmacologica (es., insulina). I segni clinici sono rappresentati da
debolezza muscolare generalizzata, paralisi flaccida, ileo, difficoltà respiratorie e
aritmie.
B. Deve essere effettuata l’emogasanalisi arteriosa e la correzione del potassio sie-
rico. Per ogni aumento del pH pari a 0,1 sopra la norma avviene una diminuzione
compensatoria del potassio sierico pari a 0,6 mEq/l. Se l’ipokaliemia persiste, è
necessaria un'integrazione di potassio.

L’ipokaliemia diventa un problema potenzialmente fatale quando valori sierici <


2,5 mEq/l sono associati ad alterazioni ECG (depressione dell'onda T, prolunga-
mento dell'intervallo QT, onde U, depressione del segmento ST), grave debolezza o
compromissione respiratoria. Il potassio dovrebbe essere somministrato con i flui-
di endovenosi in una vena periferica e infuso a una velocità inferiore a 0,2
mEq/kg/h. Estrema cautela deve essere osservata in presenza di insufficienza rena-
le.

Quando l'integrazione di potassio non è urgente, è preferibile effettuare un'infusio-


ne più lenta in accordo alle seguenti linee guida:

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Potassio sierico Potassio aggiunto/250 ml fluido
< 2,0 mEq/l 20 mEq/250 ml
2,0 – 2,5 mEq/l 15 mEq/250 ml
2,4 – 3,0 mEq/l 10 mEq/250 ml
3,0 – 3,5 mEq/l 5 mEq/250 ml

È importante identificare la sede di perdita del potassio. Le perdite gastroenteriche


avvengono attraverso il vomito, la diarrea, il malassorbimento o l'assunzione inade-
guata durante il digiuno. La diuresi e l’acidosi renale tubulare determinano una per-
dita renale di potassio. Farmaci come il sodio bicarbonato e l’insulina promuovono
lo spostamento del potassio tra le cellule e il plasma. Un danno esteso dei tessuti
molli può determinare ipokaliemia dovuta a spostamento degli elettroliti dall'area
colpita.

Squilibri del fosforo

Il fosforo è un importante ione intracellulare, necessario per la sintesi dell’adenosi-


na trifosfato (ATP), la principale fonte di energia intracellulare. Il fosforo è assor-
bito nel piccolo intestino ed escreto dai reni. È presente in alte concentrazioni nelle
ossa. L'acidosi determina lo spostamento del fosforo dalla cellula al plasma, men-
tre l’alcalosi causa lo spostamento dal plasma alla cellula. Gli squilibri del fosforo
sierico possono comportare complicazioni potenzialmente fatali e dovrebbero esse-
re valutati in relazione alla concentrazione sierica di potassio, sodio, magnesio il
calcio.

Iperfosfatemia (PO4- > 7,0 mg/dl)

Non esistono segni clinici specifici che suggeriscano l’iperfosfatemia. I dati anam-
nestici e clinici possono rivelare un'insufficienza renale acuta, cronica, ostruzione
urinaria, ipoparatiroidismo, lisi cellulare estesa, clismi fosfati o ingestione di fosfo-
ro o vitamina D. A causa della deposizione nei tessuti molli di fosfato di calcio, si
verifica ipocalcemia. Ciò accade quando il rapporto calcio-fosforo è superiore a 55.

La terapia si basa sulla riduzione dell'assorbimento intestinale del fosforo sommi-


nistrando antiacidi che lo legano, come il gel di idrossido di alluminio. L'espansione
volumetrica con soluzione salina isotonica promuove l'escrezione renale del fosfo-
ro, se la funzione renale è normale. In presenza di insufficienza renale, è necessaria
la dialisi.

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Ipofosfatemia (PO4- <1,5 mg/dl)

L’ipofosfatemia acuta causa raramente problemi immediati, tuttavia una carenza


prolungata di fosforo determina la deplezione delle riserve corporee dell’elettrolita
e di ATP. Si verifica quando uno stato catabolico grave si trasforma rapidamente in
uno stato anabolico, come avviene nella chetoacidosi diabetica, nelle ustioni o nella
emaciazione grave. La leucemia è associata a un eccessivo utilizzo del fosforo.
Altre case segnalate sono iperparatiroidismo, somministrazione di sodio bicarbona-
to, steroidi e insulina, ipomagnesiemia, digiuno e remissione dell'ipotermia.

L’ipofosfatemia grave (<1,0 mg/dl) ha effetti correlati alla deplezione energetica.


Sono stati segnalati lisi eritrocitaria, alterazione delle capacità fagocitarie e batteri-
cide dei leucociti, disfunzione piastrinica, patologie muscolari, miocardiopatie e
segni riferibili al sistema nervoso centrale. Una grave alcalosi respiratoria può
indurre una ipofosfatemia transitoria, ma generalmente si corregge quando si nor-
malizza il pH.

Una ipofosfatemia asintomatica lieve può essere trattata mediante integrazione


orale di fluidi per iperalimentazione. La diarrea è una complicazione comune. La
somministrazione parenterale è indicata per le forme gravi e può essere effettuata
infondendo sodio o potassio fosfato (3,0 mmol/ml) al dosaggio di 0,01-0,03 mmol
di fosfato/kg/h, per 3-6 h, in un fluido privo di calcio. In seguito si rivaluta il fosfo-
ro sierico. Possibili complicazioni sono ipocalcemia, ipernatriemia, ipotensione,
iperkaliemia e calcificazioni metastatiche.

Squilibri del magnesio

Gli squilibri del magnesio non sono stati studiati estesamente nei piccoli animali. Il
magnesio è importante per il mantenimento del potassio intracellulare ed è secon-
do solo a quest'ultimo come concentrazione cationica intracellulare. Le concentra-
zioni sieriche e tissutali del magnesio non sono ben correlate, tuttavia la determina-
zione del magnesio sierico è il metodo clinico più utile per la valutazione di questo
elettrolita. Circa due terzi del magnesio sierico sono ionizzati, mentre il resto è lega-
to all'albumina.

Il magnesio funge da co-fattore di molte reazioni enzimatiche coinvolte nell'idroli-


si o nel trasferimento dei gruppi fosfati. Partecipa all'attivazione degli aminoacidi,
alla sintesi proteica, alla stabilizzazione degli acidi nucleici, alla contrattilità
muscolare e alla trasmissione neuronale.

Ipermagnesiemia (Mg++ > 2,0 mmol/l o 4,9 mg/dl)


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I segni clinici in includono vasodilatazione periferica, ipotensione, nausea, vomito,
scialorrea, riduzione del riflesso tendineo profondo, depressione respiratoria, para-
lisi dei muscoli scheletrici, aritmie cardiache, coma e morte. Nell'uomo, la preva-
lenza dell’ipermagnesiemia nei pazienti ospedalizzati è pari al 9,3%. È principal-
mente associata a insufficienza renale o a un eccessivo apporto di magnesio.

La terapia consiste nell’interruzione della somministrazione del magnesio e/o nel


trattamento della sottostante insufficienza renale. Quando la funzionalità renale è
normale, è di beneficio il ripristino volumetrico con soluzione salina isotonica e la
diuresi con furosemide. L'infusione endovenosa di calcio neutralizza temporanea-
mente l'effetto neuromuscolare dell’ipermagnesiemia. Tuttavia, è possibile effettua-
re un trattamento mediante dialisi con un dialisato privo di magnesio.

Ipomagnesiemia (Mg++<0,5 mmol/l o 1,2 mg/dl)

La carenza di magnesio è associata allo spostamento di quest'ultimo dallo spazio


extracellulare a quello intracellulare e non è dovuta a un aumento dell’escrezione
renale. In molti pazienti si verifica contemporaneamente la riduzione del magnesio
e del calcio. In uno studio nell'uomo, l’ipomagnesiemia era diagnosticata nell’11%
dei pazienti ospedalizzati e nel 23% delle persone affette da ipocalcemia. È stato
riportato che circa la metà delle persone con ipokaliemia, un terzo con riduzione del
sodio e un terzo con riduzione del fosforo, presenta una bassa concentrazione di
magnesio sierico. Studi simili non sono ad oggi stati effettuati nei piccoli animali.

Nell'uomo sono stati descritti segni clinici quali tetania, tremori, ipereccitabilità,
tachicardia, aritmie ventricolari, convulsioni e aritmie cardiache; molti pazienti
sono tuttavia asintomatici.

L'integrazione orale è preferibile in presenza di situazioni croniche. L'integrazione


parenterale è riservata ai pazienti critici con evidenza di disfunzione mioneurale. Si
può somministrare magnesio solfato IM oppure magnesio cloruro EV molto lenta-
mente. Il deficit extracellulare può essere stimato secondo la seguente formula, e
deve essere trattato in 48 ore:

(Mg++ desiderato - Mg++ misurato) x 0,2 x kg = mg deficit

L'ipocalcemia associata all’ipomagnesiemia risponde rapidamente all'integrazione


di magnesio.

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INSUFFICIENZA RENALE ACUTA

Rebecca Kirby

Il clinico che si occupa di medicina d'urgenza può giocare un ruolo significativo per
la prognosi di un paziente identificando precocemente l'insufficienza renale acuta
(ARF), prevenendo le lesioni renali iatrogene e potenzialmente invertendo il corso
della ARF. Nell'unità di terapia intensiva, la sepsi, l'ipotensione, la somministrazio-
ne di farmaci potenzialmente nefrotossici e le alterazioni della coagulazione richie-
dono una valutazione specifica del paziente per identificare l'insorgenza di ARF e
utilizzare metodi aggressivi per scongiurarne lo sviluppo. In terapia intensiva
umana, la mortalità da ARF è elevata, fino all'80%, ed è generalmente parte di
un'insufficienza d'organo multipla.
L’insufficienza renale acuta è l'improvvisa perdita della capacità dei reni di elimi-
nare i prodotti di scarto e di regolare la concentrazione di fluidi ed elettroliti. In let-
teratura non esistono definizioni standard di ARF, mentre nell'uomo la diagnosi si
basa in genere su un aumento del 50% della creatinina sierica oppure su un valore
di creatinina maggiore a 2 mg/dl. Nel 2004, il gruppo della Acute Dialysis Quality
Initiative (ADQI) ha pubblicato la classificazione RIFLE dell’insufficienza renale
acuta dell’uomo, basata sulle alterazioni dei valori basali della creatinina sierica, del
tasso di filtrazione glomerulare (GFR) e/o dell'emissione di urina.

Classificazione RIFLE dell'insufficienza renale acuta:


Classificazione Creatinina GFR Emissione urina
Risck (rischio) Aumento x 1,5 Diminuzione 25%, <0,5 ml/kg/h 6h
Lesion (danno) Aumento x 2,0 Diminuzione 50% <0,5 ml/kg/h 12h
Failure (insufficienza) Aumento x 3,0 Diminuzione 75% <0,3 ml/kg/h 24h
o valore > 4 mg/dl o anuria per 12 ore
Loss (perdita) ARF persistente, perdita completa della funzionalità renale >4 settimane
End-stage disease Perdita della funzionalità renale > 3 mesi (malattia terminale)

La forza che governa la filtrazione glomerulare è il gradiente di pressione tra glo-


merulo e spazio di Bowman e dipende dal flusso ematico renale. Quest'ultimo è il
risultato della pressione ematica arteriosa e della resistenza vascolare renale, che
deriva dalla resistenza combinata delle arteriole renali afferenti ed efferenti.
Importanti meccanismi neuroumorali, in particolare il sistema renina-angiotensina-
aldosterone, provvedono all’autoregolazione del tono delle arteriole afferenti ed
efferenti. La riduzione del flusso ematico renale rappresenta una via patogenetica
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comune per la diminuzione del GFR e l'esordio di ARF. I principali meccanismi alla
base delle alterazioni del flusso ematico renale o del GFR associate alla ARF sono
distinti in pre-renale, renale e post-renale.
L'insufficienza pre-renale è caratterizzata da condizioni in cui la funzionalità tubu-
lare e glomerulare sono normali e non sono presenti lesioni cellulari. Il GFR è ridot-
to a causa della compromissione della perfusione renale ma la condizione è rever-
sibile, correggendo i fattori causali quali deficit volumetrici, somministrazione di
farmaci (es., farmaci antinfiammatori non steroidei) o insufficienza cardiaca conge-
stizia. Questa forma è caratterizzata da presenza di modico sedimento urinario ed
escrezione frazionale del sodio [FE(Na+))] minore dell’1%. Un ripristino aggressi-
vo e il mantenimento della perfusione tissutale nel paziente in unità di emergenza e
di terapia intensiva, oltre all’attento dosaggio e monitoraggio della funzionalità
renale durante la somministrazione di farmaci potenzialmente nefrotossici, posso-
no contribuire a rendere l’ARF una complicazione rara nei pazienti ospedalizzati.
L’insufficienza post-renale è determinata da un’ostruzione bilaterale del flusso di
urina ed è una causa comune di ARF nelle unità di terapia intensiva umana.
L’insufficienza renale post-ostruttiva causa inizialmente un aumento della pressio-
ne tubulare, riducendo la forza di filtrazione. Questo gradiente pressorio presto si
equilibra e la persistenza di un ridotto GFR dipende dalla vasocostrizione renale
afferente. La valutazione delle cause di insufficienza post-renale include l'esame
ecografico delle vie urinarie e la cateterizzazione uretrale.
L’insufficienza renale è associata a lesioni anatomiche del nefrone che possono
interessare il glomerulo, i tubuli, l'interstizio o i vasi ed è accompagnata dal rilascio
di sostanze che vasocostringono i vasi afferenti renali. In terapia intensiva umana,
la necrosi tubulare acuta è la forma più frequente ed è caratterizzata da lesioni tubu-
lari e vascolari. Deve essere differenziata dalle cause pre-renali mediante valutazio-
ne del sedimento urinario, che può contenere cilindri tubulari o granulari, così come
un'escrezione frazionale di sodio maggiore dell'1%. La necrosi tubulare acuta può
essere associata a cause pre-renali così come agli agenti nefrotossici quali antibio-
tici, metalli pesanti, solventi, mezzi di contrasto o cristalli.
E’ possibile inoltre osservare una ARF sovrapposta a insufficienza renale cronica.
La ARF di origine renale viene ulteriormente classificata in oligurica e non-oligu-
rica, in base all'entità dell’emissione di urina. Nell’uomo, l’oliguria è definita come
un'emissione di urina inferiore a 200-500 ml/24 ore. La Acute Dialysis Quality
Initiative ha adottato la definizione di oliguria come un’emissione inferiore a 0,3
ml/kg/h per almeno 24 ore. In letteratura veterinaria, l'oliguria del cane e del gatto
è definita come un'emissione di urina inferiore a 0,5 ml/kg/h. Dei pazienti umani in
unità di terapia intensiva che sviluppano ARF, il 69% è oligurico (2), e l’oliguria è
associata a un rischio di morte maggiore rispetto alla non-oliguria.
L'emissione di urina è una funzione del GFR, della secrezione tubulare e del rias-
sorbimento tubulare. L'oliguria è più comunemente un indicatore di ridotto GFR o
28
di ostruzione meccanica all'emissione di urina. Quando associata a una riduzione
del GFR, l'oliguria può avere origine sia pre-renale sia renale. Una riduzione del
flusso ematico renale, e quindi del GFR, può verificarsi a causa di deficit volume-
trici intravascolari assoluti, vasodilatazione, alterazioni strutturali dei vasi, vasoco-
strizione significativa, ostruzione vascolare renale e necrosi tubulare acuta.
L'oliguria può anche essere il risultato di un'ostruzione meccanica al deflusso uri-
nario (cause post-renali). Dovrebbero quindi essere escluse cause come ostruzioni
ureterali, uretrali e del collo della vescica, oppure l'occlusione di un catetere urina-
rio.

Valutazione del paziente

Un'anamnesi dettagliata può contribuire a chiarire le possibili cause di ARF.


L'evidenza di traumi, emorragie e/o shock indica la necessità di un'attenta valuta-
zione e monitoraggio dei parametri renali. L'età, lo stato riproduttivo e la razza pos-
sono indirizzare gli sforzi diagnostici verso malattie congenite, ereditarie o anato-
miche. L'anamnesi vaccinale, l'esposizione ad altri animali e le informazioni sul-
l'ambiente di vita possono suggerire malattie infettive come la leptospirosi o la FIP.
Malattie concomitanti quali infezioni, diabete mellito, iperadrenocorticismo, insuf-
ficienza cardiaca congestizia e patologie gastrointestinali o peritoneali possono
influenzare la perfusione e il flusso ematico renale. Occorre indagare accuratamen-
te l'esposizione a tossine come il glicole etilenico, e la somministrazione o ingestio-
ne di farmaci (es., vasodilatatori, vasocostrittori, aminoglicosidi).
L'esame clinico può rivelare alterazioni che possono aver contribuito all’insorgen-
za e al mantenimento della ARF, oppure modificazioni cliniche che possono essere
insorte in conseguenza di ARF. E’ essenziale valutare attentamente i parametri di
perfusione (frequenza cardiaca, qualità del polso e tempo di riempimento capillare)
e di idratazione (turgore cutaneo, umidità corneale). Una cattiva perfusione e la disi-
dratazione possono contribuire all'insorgenza di ARF pre-renale e renale riducendo
il flusso ematico renale. L'oliguria acuta può comportare un sovraccarico volume-
trico, soprattutto se si è intrapresa una fluidoterapia aggressiva senza aver ricono-
sciuto la compromissione renale. Segni di sovraccarico volumetrico possono inclu-
dere edema sottocutaneo e congiuntivale, effusione pleurica e addominale ed edema
polmonare. L’auscultazione del torace può rivelare aritmie e presenza di fluido pol-
monare o pleurico. Un'accurata palpazione dell'addome può indicare la presenza di
fluido o di aumento di pressione intraddominale, che possono influenzare il volu-
me ematico e/o il flusso ematico renale. La presenza di organi aumentati di volume
o di distensione addominale induce a valutare eventuali occlusioni vascolari e neo-
plasie renali. I reni devono essere palpati per indagare la presenza di un aumento di
volume o di dolore bilaterale, suggestivi di un processo acuto bilaterale, come nel
caso di intossicazioni o infezioni. Reni di forma irregolare possono essere affetti da
29
malattie infiltrative, cisti, ematomi o fibrosi. Un’asimmetria tra i due reni può esse-
re dovuta a un'ostruzione post-renale monolaterale di un rene o di un uretere, o a
trombosi, infiltrazioni, cisti o fibrosi unilaterali.
Le indagini di laboratorio dovrebbero includere l’esame emocromocitometrico
completo, il profilo biochimico e coagulativo e l'analisi delle urine. L’emogasanalisi
permette di valutare lo stato acido-base. Si devono ricercare le cause sottostanti e le
conseguenze di ARF. Reperti comuni in corso di questa condizione sono modifica-
zioni della creatinina e dell’urea sieriche, iper- o iponatriemia, iperkaliemia e aci-
dosi metabolica. L’iperfosfatemia e l’iperkaliemia osservate in presenza di ARF
riflettono un GFR gravemente compromesso oppure una rottura o ostruzione post-
renale. La funzione piastrinica può essere alterata dalle tossine sistemiche associa-
te all'insufficienza renale, ed è necessario valutare il tempo di sanguinamento buc-
cale quando la conta piastrinica è normale in presenza di emorragia. Altri esami
utili per la definizione dell’eziologia sono la titolazione delle leptospire, la PCR per
il virus della peritonite infettiva felina, i test per il virus della leucemia felina, il
virus dell'immunodeficienza felina e la filaria, oltre al test del glicole etilenico.
La conoscenza dei valori basali della creatinina sierica è molto importante, poiché
un'alterazione della creatinina sierica riflette comunemente una modificazione del
GFR. Il grado di alterazione della creatinina sierica è una variabile importante nella
stima del GFR. Nell'uomo è stato riportato che modificazioni stabili della creatini-
na sierica sono correlate ad alterazioni del GFR secondo la seguente relazione:

o Creatinina 1,0 mg/dl – GFR normale


o Creatinina 2,0 mg/dl – riduzione del 50% del GFR
o Creatinina 4,0 mg/dl – riduzione del 70–85% del GFR
o Creatinina 8,0 mg/dl – riduzione del 90–95% del GFR

Nell'uomo, modeste alterazioni dei valori basali bassi della creatinina sono consi-
derate di importanza clinica maggiore rispetto a evidenti modificazioni dei valori
basali elevati di creatinina. Tuttavia, possono verificarsi significative riduzioni del
GFR nell'ambito del range dei valori normali di creatinina. E’ utile ricordare che
alcune malattie e farmaci possono interferire nella correlazione tra creatinina sieri-
ca e GFR. Il trimetoprim e la cimetidina inducono una ridotta secrezione di creati-
nina e un falso aumento di quest’ultima senza modificazioni del GFR. La glomeru-
lonefrite acuta causa un aumento della secrezione tubulare della creatinina, riducen-
do falsamente la creatinina sierica aumentata in presenza di ARF.
La valutazione del peso specifico urinario fornisce un'indicazione della capacità
renale di concentrazione delle urine. La fluidoterapia e la somministrazione di diu-
retici possono causare il washout midollare e una riduzione della capacità di con-
centrazione renale non correlata ad ARF. Inoltre, gli animali con insufficienza rena-
le peracuta possono mostrare urine concentrate durante le fasi iniziali della patolo-
30
gia. La presenza di glucosio urinario in assenza di un aumento del glucosio sierico
suggerisce una disfunzione e/o un danno cellulare dei tubuli prossimali. La presen-
za di cilindri di cellule tubulari o di materiale granulare indica un danno intrarena-
le. In corso di pielonefrite si possono osservare cilindri leucocitari, mentre cilindri
eritrocitari possono essere presenti nelle malattie glomerulari.
Nell'uomo si valutano gli elettroliti urinari per distinguere l’iperazotemia pre-rena-
le da quella renale. Le linee guida riportate sono le seguenti:

Pre-renale Renale
Osmolalità (u) >500 <400
Na+(u) <20 >40
[urea]/[creatinina] (s) >0,1 <0,05
creat (u)/creat(s) >40 <20
osmo(u)/osmo(s) >1,5 >1
FE(Na+) <1 >2
FE(urea) <25 >25

FE(Na+) = Na+(u) x [creat(s)/Na+(s)] x [creat(u)x100]


FENa+ non è affidabile se il paziente è sottoposto a somministrazione di agenti
diuretici o natriuretici (inclusi dopamina e mannitolo). L'interpretazione dei risulta-
ti può anche essere confusa dalla presenza di sostanze osmolari endogene (glucosio
o urea). L'ecografia renale è l'esame di scelta per valutare le vie urinarie e consen-
te di evitare l'utilizzo di studi radiografici contrasto grafici, potenzialmente nefro-
tossici. E’ necessario valutare i reni, gli ureteri, la vescica, il collo della vescica e
l'uretra. In un animale disidratato i risultati iniziali possono essere equivoci e richie-
dere una valutazione successiva per giudicare le alterazioni quando l'animale è nor-
malmente idratato. Occorre verificare le condizioni della prostata e di altri organi e
la presenza di masse che comprimono le vie urinarie.

Trattamento

E’ importante assicurarsi che la perfusione renale sia adeguata e correggere l'ipo-


tensione. E’ necessario valutare rapidamente il volume intravascolare e la funzione
cardiaca. In corso di ARF, il paziente può presentare un eccesso di liquidi e sali cor-
porei totali e nel contempo una deplezione volumetrica intravascolare. E’ importan-
te ripristinare un adeguato volume ematico prima di utilizzare sostanze vasoattive.
In unità di terapia intensiva, la frequenza cardiaca e la pressione ematica possono
essere influenzate da molte variabili legate al trattamento e non riflettere lo stato
volumetrico. Può essere di aiuto effettuare una valutazione più accurata del preca-
rico attraverso la pressione venosa centrale. Spesso si somministra un bolo di flui-
do di prova per determinare le alterazioni di frequenza cardiaca, pressione ematica
31
e pressione venosa centrale che si instaurano in seguito dell'espansione del volume
intravascolare. L'utilizzo di hetastarch in associazione ai cristalloidi riduce la quan-
tità di questi ultimi necessaria, riducendo lo stravaso interstiziale di fluidi in caso di
perdita capillare o di ipoalbuminemia. La risposta a una singola somministrazione
di prova di fluidi o anche a prove multiple può non identificare alterazioni ovvie dei
parametri valutati, quando è presente una consistente deplezione del volume intra-
vascolare. Per monitorare il paziente in terapia intensiva è essenziale seguire la
Regola del 20 (Tabella 1), al fine di riconoscere precocemente le complicazioni e di
predisporre le migliori condizioni per la guarigione. Gli aspetti principali della tera-
pia sono rappresentati dal monitoraggio e dalla regolazione di albuminemia, coagu-
lazione, ossigenazione, ventilazione, funzionalità gastrointestinale, analgesia e
nutrizione. E’ importante evitare i farmaci nefrotossici. Qualsiasi farmaco che
necessiti di una escrezione renale può dover essere sottoposto a un aggiustamento
del dosaggio. Sono stati ravvisati vantaggi scarsi o nulli dalla somministrazione di
diuretici per aumentare l'emissione di urina. La conversione di un'insufficienza
renale oligurica in non oligurica non è stata associata a una riduzione della neces-
sità di terapia sostitutiva renale (RRT) o della mortalità. Lo studio PICARD (1989-
1995), basato su un'ampia popolazione di pazienti umani critici affetti da ARF, ha
determinato che l'utilizzo di diuretici era associato a un maggior rischio di morte o
mancato ripristino della funzionalità renale. Le raccomandazioni attuali in lettera-
tura umana restringono l'uso di diuretici al trattamento del sovraccarico volumetri-
co, con cautela anche in questo caso. Per aumentare l’emissione di urina e il GFR
è stato invocato anche l'utilizzo di dopamina a basso dosaggio (< 5ug/kg/min), sulla
base dell'attività sui recettori 1 della dopamina. Un’ampia metanalisi (14) della
ricerca e dei dati in medicina umana ha mostrato che la dopamina non previene l'in-
sorgenza di ARF, non riduce la mortalità né la necessità di dialisi. Aumentando il
rilascio di soluti nel tubulo distale, gli agonisti della dopamina in realtà peggiorano
l'equilibrio dell'ossigeno nella midollare. Uno studio sull'uso della vasopressina
nello shock settico ha dimostrato che un'infusione di 4 ore migliorava l'emissione
di urina e la clearance della creatinina. Tuttavia sono necessarie ulteriori informa-
zioni prima di raccomandarne l'uso. Le indicazioni per la terapia sostitutiva renale
sono generalmente: sovraccarico volumetrico, iperkaliemia, acidosi, segni di ure-
mia (es., encefalopatia, pericardite) e iperazotemia. La letteratura attuale circa la
terapia sostitutiva indica che un inizio precoce del trattamento migliora la soprav-
vivenza. Le indicazioni per la terapia sostitutiva in unità di terapia intensiva inclu-
dono: oliguria non ostruttiva, grave acidemia, iperkaliemia (>6,5 mEq/l), uremia
(encefalopatia, pericardite, neuropatia, miopatia), grave disnatremia (Na+ >160 o <
115) indipendente dall'emissione di urina, ipertermia, edema organico clinicamen-
te significativo (soprattutto polmonare) e sovradosaggio farmacologico di tossine
dializzabili (Bellomo, Crit Care 20000,4:339-345).
La dialisi giornaliera è stata associata a diminuzione di ipotensione, sepsi, emorra-
32
gia gastroenterica e insufficienza respiratoria, così come a una riduzione significa-
tiva della mortalità. La dialisi peritoneale è una forma di terapia sostitutiva renale e
può essere effettuata nella maggior parte delle unità di terapia intensiva veterinaria.
La procedura è descritta nella Tabella 2.
Nell'uomo i segni distintivi delle alterazioni metaboliche della ARF sono l'attiva-
zione del catabolismo proteico e il rilascio di aminoacidi dai muscoli scheletrici.
Inoltre, si determina una resistenza all'insulina che conduce a iperglicemia, dovuta
alla gluconeogenesi epatica alimentata dal catabolismo proteico.
La nutrizione enterale è divenuta la forma di supporto nutrizionale standard per il
paziente critico perché favorisce il mantenimento della funzione gastrointestinale e
riduce le complicazioni infettive. In passato, in presenza ARF si effettuava una
restrizione proteica, ma attualmente si ritiene che si tratti di un accorgimento dele-
terio. È possibile controllare l'equilibrio dell'azoto e l’uremia associate alle protei-
ne alimentari attraverso la terapia sostitutiva renale. E’ preferibile sbagliare in ter-
mini di una modica iponutrizione piuttosto che rischiare un’ipernutrizione. Una
volta ripristinato il flusso ematico renale, i nefroni funzionali rimanenti aumentano
il tasso di filtrazione e in alcuni casi divengono ipertrofici. Il ripristino del GFR
dipende dall'entità di questo pool di nefroni funzionali. Se il numero di nefroni resi-
dui è inferiore ad alcuni valori critici, l’iperfiltrazione continua determina una scle-
rosi glomerulare progressiva, portando infine a una maggiore perdita di nefroni. Si
instaura un circolo vizioso con perdita continua di nefroni e aumento dell’iperfiltra-
zione, fino allo sviluppo dell'insufficienza renale completa. Quest'ultima è stata
definita la teoria dell'iperfiltrazione dell'insufficienza renale e spiega il quadro in cui
spesso si osserva un'insufficienza renale progressiva in seguito a un'apparente gua-
rigione da ARF.

33
____________________________________________________________
Tabella 1. Regola del 20
____________________________________________________________

_ Equilibrio idrico
_ Pull oncotico, albumina
_ Glucosio
_ Elettroliti
_ Ossigenazione/ventilazione
_ Grado di coscienza/sensorio
_ Pressione ematica
_ Frequenza/ritmo/contrattilità cardiaca
_ Temperatura corporea
_ Coagulazione
_ Eritrociti/emoglobina
_ Funzionalità renale
_ Stato immunologico/dosaggio antibiotici/leucociti
_ Motilità gastroenterica e integrità mucosale
_ Dosaggio e metabolismo dei farmaci
_ Nutrizione
_ Controllo del dolore
_ Cure infermieristiche/controllo della temperatura
_ Cura delle ferite/sostituzione dei bendaggi
_ Cure compassionevoli

____________________________________________________________
Tabella 2. Tecnica di dialisi peritoneale
____________________________________________________________
1. Applicare in maniera asettica il catetere per dialisi peritoneale (all'ingresso della
pelvi), fissarlo e applicare un bendaggio sterile.
2. Scegliere una soluzione per dialisi peritoneale con destrosio all'1,5, 2 o 4% e
scaldarla a temperatura corporea prima dell'infusione. È possibile avvolgere una
coperta riscaldante ad acqua attorno alla sacca del dialisato.
3. Aggiungere in maniera asettica 500 unità di eparina/2000 ml di dialisato.
4. Raccordare il deflussore e la sacca di raccolta al dialisato e al catetere da diali-
si. Avvolgere ciascun raccordo con garze sterili imbevute di iodio povidone.
5. Infondere per gravità 10-20 ml/kg di dialisato tiepido nello spazio peritoneale.
6. Consentire il contatto del dialisato infuso con la superficie peritoneale per 45 min
(tempo di contatto). Registrare la quantità di liquido infuso.
7. Effettuare il drenaggio per gravità per 15 min. Drenare la maggior quantità di
fluido possibile. Registrare la quantità di liquido raccolta.
8. Effettuare una dialisi continua (infusione e drenaggio del dialisato ogni ora) per
la rimozione di tossine esogene (es,. glicole etilenico) o endogene nei pazienti insta-
bili.
9. Somministrare antibiotici battericidi ad ampio spettro per via sistemica. Il dosag-
gio può necessitare di modificazioni.
10. Monitorare: PCV e TS per verificare lo stato di idratazione; Na, K, creatinina
e osmolalità sierica; presenza di proteine, cilindri, cellule, glucosio e batteri nelle
urine; conta leucocitaria e differenziale per evidenziare lo spostamento a sinistra
della formula; dialisato per la presenza di leucociti batteri.

34
Letture consigliate:

Bellomo R, et al: Low-dose dopamine in patients with early renal dysfunction: A


placebo-controlled randomised trial. Australian and New Zealand Intensive Care
Society (ANZICS) Clinical Trials Group. Lancet 2000;356:2139-2143.

Bellomo R, Kellum J, Ronco C: Acute renal failure: Time for consensus. Intensive
Care Med 2001;27:1685-1688.

Brown CB, Ogg CS, Cameron JS: High dose furosemide drug in acute renal failu-
re: A controlled trial. Clin Nephrol 1981;15:90-96.

Chertow GM, et al: Is the administration of dopamine associated with adverse or


favorable outcomes in acute renal failure? Acute Renal Failure Study Group. Am J
Med 1996;101:49-53.

Gambaro G, et al: Diuretics and dopamine for the prevention and treatment of acute
renal failure: A critical reappraisal. J Nephrol 2002;15:213-219.

Heyman SN, Kaminski N, Brezis M: Dopamine increases renal medullary blood


flow without improving regional hypoxia. Exp Nephrol 1995;3:331-337.

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oliguric renal failure: A controlled trial. Nephron 1976;17:51-58.

Mehta RL, Pascual MT, Soroko S, et al: Diuretics, mortality, and nonrecovery of
renal function in acute renal failure. JAMA 2002;288:2547-2553.

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and water during infusion of low-dose dopamine in normal man. Clin Sci
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mia in a porcine model of hemorrhagic shock. J Appl Physiol 1992;73:1159-1164.

Seri I, Kone BC, Gullans SR, et al: Locally formed dopamine inhibits Na-K-ATPase
activity in rat renal cortical tubule cells. Am J Physiol 1988;255:F666-673.

Solomon R, et al: Effects of saline, and furosemide to prevent acute decreases in


renal function induced by radiocontrast agents. N Engl J Med 1994;331:1416-1420.

Weisberg LS, Kurnik PB, Kurnik BR: Dopamine and renal blood flow in radiocon-
trast-induced nephropathy in humans. Ren Fail 1993;15:61-68.
35
Ipernatriemia
A. (Na+ > 160 mEq/L)

Perfusione adeguata?
SI NO

Rapido ripristino del


volume intravascolare
Cristalloidi/colloidi
Finch_ pressione
sistolica > 90 mmHg

Ipovolemia?

SI NO
B.
Reidratare in 12-24 ore
con cristalloidi
contenenti Na+
Rivalutare Na+ sierico

Valutare origini ipernatriemia

C. Perdita idrica > Na+ D. Perdita idrica libera E. Assunzione Na+ > acqua
Gastrointestinale Febbre Iperaldosteroinismo
Renale Diabete insipido Iperadrenocorticismo
Respiratoria Adipsia/ipodipsia Iatrogena
Terzo spazio Trauma cranico

Trattare la
malattia Trattare la
Trattare la sottostante malattia
malattia sottostante
sottostante

Ripristinare il deficit idrico Furosemide


Destrosio 5% 0 1/2 conc.
[(nuovo Na+ - 140)/140] x kg cristalloidi
p.c. x 0.6 = deficit idrico

Destrosio 5% 0 1/2 conc.


cristalloidi in 12-48 ore Refrattaria?
Considerare dialisi

Monitorare
Na+, K+, PCV, TS, perfusione, sensorio,
pressione ematica

Figure 1. Trattamento di emergenza dell’ipernatriemia


Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel testo

36
Iponatriemia
(Na+ < 130mEq/L)

SI Perfusione adeguata? NO

A. Rapido ripristino volume intravascolare


Cristalloidi/colloidi
Finchè_ pressione sistolica > 90 mm/Hg
Supporto O2

Osmolalità_ sierica

Normale
B. Bassa G. H. Elevata
Escludere
pesudoiponatriemia Escludere malattie
Iperlipemia iperosmolari
Iperglicemia Tossine
Iperproteinemia Cause renali
Diabete mellito

Segni Clinici? Trattare la Trattare la patologia


patologia sottostante
sottostante

Lieve E.

Gravi segni SNC


Ipovolemia Normovolemia or
Stupore, coma, Trattare con soluzione Ipervolemia
convulsioni salina normale Restrizione idrica
o Na+ < 110 mEq/l

Normovolemia
Trattare i segni clinici Trattare con furosemide
SNC D. Soluzione salina ipertonica
Valutare il volume Supplemento di potassio
Dialisi se necessaria
Ipovolemia
C. Trattare con soluzione salina normale
e/o soluzione salina ipertonica 3%
Edema Periferico? F.

No
Trattare la
patologia Considerare: ipotiroidismo,
sottostante riduzione glucocorticoidi,
si
riduzione mineralcorticoidi, Considerare: nefrosi,
ADH inappropriato cirrosi, insufficienza cardiaca,
insufficienza renale

Figure 2. Trattamento di emergenza dell’iponatriemia


Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel testo
37
Ipocalcemia
A. (Ca++total < 8 mg/dl)

Albumina sierica

B. Segni clinici acuti?


SI NO

Debolezza
Tetania No segni clinici
Convulsioni Rachitismo
ECG: Q-T prolungato Fratture patologiche
Trattare
Calcio gluconato 10%
(0.5 °© 1.5 ml/kg EV)

Integrazione di calcio gluconato


EV o orale

Emogasanalisi arteriosa
C. Escludere ipoventilazione dovuta a
Ca++ basso

Data Base
PCV, TS, BUN,
Creatinina, cPLI, SAP,
Na+, K+, Ca++, PO4,
Mg++, CBC,
Profilo biochimico

Considerazioni
D. diagnostiche

Cause endocrine Malassorbimento


Ipoparatiroidismo Tossine Carenza di vitamina D
Pancreatite Eclampsia Glicole etilenico
Altre Altre

Cause renali Dieta ad alto Farmaci


Acute contenuto di fosforo Sodio bicarbonato
Croniche h h t di t Diuretici d’ansa
Altre Fosfato
Citrato
Altri

Figure 4. Trattamento di emergenza dell’Ipocalcemia


Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti
l

38
Escludere cause
secondarie:
Emolisi, Acidosi, Iperkaliemia
Trombocitosi, A. (K+ > 5.5 mEq/L)
Distruzione
tissutale estesa

B.
Perfusione?
Scarsa Adeguata

Esaminare ECG,
Ca++ sierico
Considerare:
Insulina/glucosio o
Calcio gluconato o
Sodio bicarbonato

Promuovere diuresi
Somministrare Cristalloidi
No K+
Escludere presenza di oliguria

C. Emogasanalisi

Acidosi Iperkaliemia pH normale o


Regolare K+ via pH persistente alcalosi
Ogni modificazione pH di 0.1 Trattare Acidosi
causa modificazioni inversa
K+ di 0.6 mEq/L
Iperkaliemia
refrattaria?
D. Considerare:
aldosterone E.
Nuovo K+ normale Resine di scambio Considerazioni
Trattare la malattia K+ diagnostiche
sottostante dialisi

Danni tissutali Aumento


Schiacciamenti piastrine
Ustioni Addison
Colpo di calore
Acidosi
Renale Ingestioni K+ Lattato
Acute Chetoacidosi
ostruzione renale
stadio
terminale

Figure 2. Trattamento di emergenza dell’iperkaliemia


Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti nel testo

39
Ipokaliemia
A. (K+< 3.0 mEq/L)

Anamnesi
Segni Clinici
Debolezza muscolare
Paralisi flaccida
Ileo
Difficolt_ respiratoria

Alcalosi
Regolare K+ via pH Emogasanalisi pH normale o
Ogni modificazione pH di 0,1 Acidosi
causa modificazioni inversa
K+ di 0,6 mEq/l
ipocalemia
persistente
Trattare l°Øacidosi

Nuovo K+ normale
Trattare la malattia
sottostante
Stimare il deficit

Integrazione EV urgente di K+
Se K+ < 2,5, alterazioni ECG
o grave debolezza
Utilizzare una vena periferica
NO VENE CENTRALI
ATTENZIONE IN PRESENZA DI
Identificare INSUFFICIENZA RENALE
sede di perdita (< 2 mEq/l/kg/h)
K+

Gastrointestinale
Vomito
Diarrea
Digiuno
Malassorbimento Farmaci
Renale Ustioni Diuretici
Insufficienza Insulina
renale altri
Diuresi
acidosi

Figure 6. Trattamento di emergenza dell’Ipokaliemia


Le lettere maiuscole si riferiscono alle lettere corrispondenti
l
MY PET IS VOMITING –IS IT AN EMERGENCY?
Dez Hughes

Summary
Vomiting is undoubtedly one of the most common clinical presentations seen in
emergency practice and the underlying causes are many and varied, ranging from
the trivial to the life threatening (Table 1). I have often been asked the question
(usually by my junior interns manning the out of hours service): “What constitutes
an emergency?” The answer many people give is something that is life threatening.
As emergency and critical care specialists we should strive as much as possible to
predict what might be going on and how the condition may change. Therefore, my
answer to that question is “An emergency is anything that might be or might beco-
me a life threatening situation.” So if you even asking yourself whether an animal
should be examined then it should!

Uppermost in one’s mind is whether the underlying cause is medical or surgical.

Telephone triage and history


The initial contact is usually via a telephone call from the owner of the pet who
wants to know whether the animal needs to be seen or whether they can wait for a
regular appointment. This, in itself, can be a significant challenge because many
owners cannot recognise clinical signs that would be obvious to a veterinarian.
Begin by asking questions that they can definitely answer so they do not feel ina-
dequate. Breed, age, sex, neuter and vaccination status, when they consider the pet
was last completely normal and any previous problems are good starting points.
They also allow you to determine the owner’s state of mind. One owner may be very
concerned when an animal has vomited once or twice and is otherwise healthy,
whereas others may not seek veterinary attention until there have been 5 or 10 epi-
sodes and the animal is collapsed. Furthermore, some owners cannot tell if an ani-
mal is actually vomiting rather than coughing or reverse sneezing to name just a
couple of scenarios. A coughing cat seems to be particularly difficult for the owner
to recognise. Similarly, some pet owners have difficulty in recognising whether an
animal is just quiet or collapsed. It is not even uncommon for people to call to try
to determine whether their pet is actually alive or not! So a good rule of thumb is
to be extremely sceptical of findings conveyed to you by telephone.

However, there are some useful questions that immediately necessitates an exami-
nation especially the frequency and duration of vomiting. Eg: more than 3 to 5 times
in as many hours; if there is any blood or foreign material in the vomitus; if the
41
owner has witnessed either foreign body or toxin ingestion; if the animal has
depressed mentation; if vomiting has been going on for more than a couple of days
or is becoming more frequent; if the owner has noticed abnormal breathing; if the
animal has stopped eating or drinking; if the animal has a history of any previous
serious problem.

Some historical findings strongly suggest an underlying cause. This is not to say
that there is no role for a full problem orientated approach in emergency medicine,
but common things are common and rare things are rare, so we are also justified in
using what is termed “pattern recognition”. So a large breed dog with a distended
abdomen and non-productive retching may well have a gastric dilatation/volvulus,
an older intact bitch with a history of anorexia, lethargy, vomiting and a vaginal
discharge is likely to have a pyometra.

It can also be surprisingly challenging to differentiate vomiting from regurgitation,


nevertheless this should be attempted in all cases as stabilisation, diagnostic evalua-
tion, underlying causes and complications are so different for each condition. The
classic case of regurgitation occurs shortly after eating, the animal maintains its
appetite, the food is undigested and sausage shaped and there are no premonitory
signs. However, in some dogs with large megesophagus, food can be retained for
hours, the vomitus is not sausage shaped and may be appear digested due to mixing
with saliva or concurrent vomitus. Bile in the vomitus almost always indicates
vomiting. I find that a performing quick impression of a dog retching can often be
very helpful (as it is for reverse sneezing)! Now that so many owners have video
cameras, this can be the most expedient method of differentiation.

Physical examination
A complete physical examination of all body systems should ultimately be perfor-
med, however priority should initially be given to major body system evaluation
(cardiovascular, respiratory, neurological). This will allow any immediately life-
threatening problems to be identified and addressed as the rest of the diagnostic eva-
luation continues.

Cardiovascular system examination initially involves assessment of the heart rate,


pulse rate and quality, mucous membrane colour, capillary refill time (CRT) and car-
diac auscultation. Animals with severe or profuse vomiting will often exhibit signs
of hypovolaemic shock with increased heart rates, progressively poor pulse quality
and alterations in mucous membrane colour and capillary refill time (Table 1).

Patients with a severe inflammatory stimulus, such as septic peritonitis or severe,


acute pancreatitis, and adequate circulating blood volume may demonstrate the
42
classical signs of hyperdynamic systemic inflammatory response syndrome (SIRS)
with tachycardia, injected mucous membranes, fast capillary refill time and strong
pulses of short duration. Patients with SIRS and concurrent hypovolaemia may still
have injected mucous membranes but with a slow CRT, weak pulses and marked
tachycardia. In these patients an aggressive search for an underlying cause of SIRS
should be instituted.

Respiratory system evaluation comprises evaluation of the airway, assessment of


respiratory rate and effort and auscultation of the lungs. Careful evaluation for aspi-
ration pneumonia is warranted in any animal that has been vomiting. Aspiration
pneumonia usually affects the ventral lung lobes and either harsh lung sounds or
crackles may be heard.

Initial neurological assessment should include an evaluation of the patient’s gait,


mentation and posture. This should be followed up by a more complete neurologi-
cal evaluation if indicated once the patient has been stabilised. Pain secondary to
spinal cord disease (commonly intervertebral disc extrusions) can easily be confu-
sed with abdominal pain, however, these patients would usually not have other
serious major body system abnormalities and do not usually vomit unless they have
had inappropriate doses of anti-inflammatory medication.

Examination of the abdomen should be performed after major body system asses-
sment. This helps the clinician avoid inadvertently missing important findings in
other organ systems and prevents the pain and apprehension that the animal may
experience upon abdominal examination from interfering with other findings.
External visual inspection of the abdomen should first be performed. Abnormalities
detected can include distension (such as with an effusion or gastric dilatation),
deformity (secondary to a mass or hernia), subcutaneous swelling (such as may be
associated with cellulitis associated with urine leakage) and bruising. Percussion of
the abdomen should be performed in animals with abdominal distension. This may
reveal a fluid wave in dogs with abdominal effusion or tympanic, abdominal disten-
sion in a dog with gaseous gastric distension. In contrast, severe pneumoperitoneum
may cause abdominal distension but it is usually not tympanic.

To detect a fluid wave by percussion, a hand is lightly placed on either side of the
abdomen with the animal standing. One hand is used to give a light but sharp tap
on one side of the abdomen, whilst the other feels for the presence of a ripple effect
or “fluid thrill” as the fluid in the abdomen is pushed towards the opposite abdomi-
nal wall. This technique is most effective in animals with large volumes of intrape-
ritoneal fluid. Sometimes a fluid thrill may not indicate free abdominal fluid. This
may occur in obese animals or in those with fluid filled abdominal viscera, such as
43
a large pyometra, a large bladder or a fluid filled stomach.

The abdomen should always be carefully palpated in an effort to localise any sour-
ce of pain, organomegaly, foreign bodies or other masses. Gentle, superficial palpa-
tion should be performed first. Tensing of the abdominal musculature (“splinting”)
on palpation may be indicative of abdominal pain, however some animals, especial-
ly nervous patients, may resist abdominal palpation and splint their abdominal
musculature even when they are not painful. In the latter case, stroking the animal
prior to palpation and beginning gently will help the clinician identify these patients
and allow a complete abdominal palpation. Splinting is rarely appreciated in cats.
Severe, diffuse abdominal pain may preclude deeper palpation. Septic peritonitis is
usually, but not always, associated with severe, diffuse abdominal pain in dogs. Pain
seems to be less common in cats with septic peritonitis. Uroabdomen and bile peri-
tonitis may or may not be painful. Some conditions may be associated with locali-
sable abdominal pain, for example, right cranial abdominal pain with pancreatitis
or caudal abdominal pain with prostatic disease. A repeatably painful focus may be
identified with intestinal foreign bodies, intussusception or tumours. Apart from
pancreatitis, repeatable, focal, abdominal pain raises the likelihood of a surgical
cause. If the patient will allow it, the forelimbs can be raised to allow more detai-
led palpation of the cranial abdominal structures. The presence of abdominal fluid
sometimes makes deep abdominal palpation difficult.

Other important areas to assess during the physical examination include the vulva
in intact female dogs and the oral cavity in all patients to look for evidence of inge-
stion of caustic substances or string foreign bodies that may become anchored
around the tongue (most commonly in cats). Provided the animal is sufficiently sta-
ble, rectal temperature should always be taken. Depending on the underlying cause
of the acute abdomen and the degree of hypoperfusion, the patient may be hypo-,
hyper-, or normothermic.

Diagnostic evaluation
One of the main aims of the diagnostic evaluation of the vomiting patient is the
rapid identification of the surgical patient. Initial diagnostic evaluation will include
some combination of blood analysis (minimum database, haematology, biochemi-
stry, clotting profile), urinalysis, abdominal imaging (radiography and ultrasound)
and abdominal fluid analysis (if indicated).

Clinical pathology
Laboratory analysis of blood and urine may be useful in providing supportive or
confirmatory data as to the underlying aetiology. However as importantly, it should
be performed in all patients to provide a current picture of their haematologic and
44
metabolic status and thus aid with stabilisation. All patients presenting with vomi-
ting should have a minimum database performed prior to the initiation of fluid the-
rapy. This should include packed cell volume (PCV), refractometric total solids
(TS), blood glucose measurement, dipstick analysis for blood urea nitrogen and,
preferably, serum electrolytes. If possible, a urine sample should also be obtained
prior to fluid therapy for measurement of specific gravity. If this is not possible, a
urine sample should still be obtained at the earliest possible opportunity for speci-
fic gravity, dipstick and sediment analysis. In this instance, the specific gravity must
be interpreted in the light of the administered therapy. The urinalysis, especially
when interpreted in conjunction with serum blood urea nitrogen and creatinine
levels, may provide essential information regarding renal function and other urina-
ry tract abnormalities.

The minimum database is also essential for individualising initial stabilisation and
fluid therapy. For example, a patient with hypoglycaemia should receive glucose
supplementation or a patient with profuse vomiting and a hypokalaemic, hypochlo-
raemic, metabolic alkalosis would benefit most from initial volume resuscitation
with 0.9%NaCl followed by potassium supplemented crystalloid fluids once fluid
rates can be decreased.

Ideally, blood should also be taken for a full haematological and biochemical pro-
file. A haematology profile will allow assessment and characterisation of anaemia,
evaluation of white cell counts, especially neutrophils, and identification of any
toxic change or left shift in the neutrophils. For animals that may be about to under-
go abdominal surgery, an assessment of platelet count is important. Many of the
conditions that require surgery (for example septic peritonitis, gastric dilatation/vol-
vulus) can also lead to disseminated intravascular coagulation. An early manifesta-
tion of this is a mild to moderate thrombocytopaenia. Although it is unlikely that
this could be corrected pre-operatively, it allows the surgeon to make a more accu-
rate assessment of operative risk and provides a baseline for future monitoring.
While in-house haematology analysers can be useful, in an emergency situation,
assessment of a fresh blood smear can potentially provide more accurate and use-
ful information. The clinician is able to assess platelet numbers even if platelet
clumps are present and is also able to make an assessment of white blood cell mor-
phology especially the presence of band neutrophils.

Serum biochemical analysis may also provide useful information as to the under-
lying aetiology. Prerenal renal failure does not usually cause creatinine levels much
more than 4-500μmol/L.Many animals with septic peritonitis will have vasculitis
and panhypoproteinaemia, presumably due to exudation of protein into the perito-
neal cavity and/or interstitium and this may necessitate colloid fluid therapy. A
45
severe increase in amylase or lipase (> 5-6,000 U/L) may be indicative of pancrea-
titis but not all animals with pancreatitis have changes in amylase or lipase, espe-
cially cats. In addition, many animals with peritonitis from other causes have con-
current pancreatitis and elevated amylase and lipase may be associated with other
conditions including reduced glomerular filtration rate. Therefore an elevated amy-
lase and lipase is not a reason to discontinue further diagnostic testing and assume
the patient’s condition is secondary to pancreatitis. As with all laboratory tests,
these values must be interpreted in the light of all pertinent clinical findings.

It is valuable to obtain a coagulation screen (prothrombin time and activated partial


thromboplastin time or activated clotting time) in all sick patients where abdominal
surgery is a possibility. The presence of a coagulopathy should alert the surgeon to
the possibility of increased bleeding. Early identification of a coagulopathy may
allow the clinician to predict the need for blood products and to pre-emptively iden-
tify a potential donor animal.
Faecal analysis for parasitology and culture should not be overlooked especially in
young patients.

Diagnostic imaging
Abdominal imaging should be performed in most vomiting patients as soon as the
patient is sufficiently stable. It is vitally important that imaging be interpreted in the
light of history and physical examination. One example would be a radiographical-
ly apparent, or even palpable foreign body that may not be causing any clinical
signs. Plain radiography is a familiar and readily available technique. In most cases,
two orthogonal views of the abdomen (lateral and ventrodorsal) should be taken.
The exceptions to this are any animal with concurrent respiratory distress or severe
hypovolaemia where to place them in dorsal recumbency may be life-threatening.
Animals with severe hypovolaemia should be stabilised with intravenous fluid the-
rapy before taking ventrodorsal radiographs. Abdominal radiographs should be
inspected carefully for the presence of free gas. In the absence of a history of recent
abdominal surgery, penetrating injuries or abdominocentesis, the presence of free
gas necessitates emergency abdominal surgery once the patient has been stabilised.
Radiography is also, in the author’s experience, the technique of choice for detec-
ting intestinal obstruction and foreign material in the gastro-intestinal tract.
Abdominal radiography is less useful in patients with large volumes of peritoneal
fluid due to loss of intra-abdominal contrast.

Contrast radiography may be necessary in certain patients especially those with par-
tial gastrointestinal obstructions or foreign material without obstruction. Complete
obstructions should be apparent on plain radiographs. Contrast radiography may be
contraindicated in animals with protracted vomiting due to the risk of aspiration
46
pneumonia. The use of water soluble contrast agents is often advocated if gastro-
intestinal perforation is suspected to avoid barium contamination of the peritoneal
cavity. However, if perforation is present, this is an absolute indication for explora-
tory coeliotomy in which case copious lavage of the peritoneal cavity can be per-
formed. Studies obtained with barium are superior to those obtained with water
soluble contrast agents. Intravenous urography and retrograde urethro- or vaginou-
rethrocystography may be necessary to localise obstruction, discontinuity or other
physical abnormalities of the urinary system.

Ultrasonographic evaluation of the abdomen is the most rapid way to detect small
peritoneal effusions. Ultrasound guided aspiration of abdominal fluid followed by
analysis of the fluid is the fastest way to diagnose septic peritonitis. Detection of
effusions with ultrasound can be achieved even by relatively inexperienced opera-
tors. Small amounts of free fluid are readily detected in the region of the apex of the
urinary bladder forming an angular anechoic region or between the liver lobes in
the cranioventral abdomen. If fluid is present, but is of too small volume to obtain
by direct paracentesis, this would be an indication for diagnostic peritoneal lavage.
Abdominal ultrasonography may also identify the cause of the acute abdomen in
certain cases. Abscesses in parenchymal organs, pancreatitis, abdominal masses,
pyometra and abnormalities of blood flow (such as occur with splenic torsion) may
all be detected by experienced personnel.

Abdominal fluid analysis


Analysis of any free abdominal fluid is a vital part of the evaluation of a patient with
acute abdomen. In some instances, it can provide confirmatory evidence that emer-
gency surgery is necessary.

Abdominocentesis, with or without ultrasound guidance is a quick and easy method


to detect and retrieve free abdominal fluid. Contraindications to abdominocentesis
are few, but include severe coagulopathy or thrombocytopaenia, severe organome-
galy, distension of an abdominal viscus and occasionally previous abdominal sur-
gery if there is a risk of adhesions fixing bowel to the abdominal wall. If any of the
above possibilities is suspected, abdominocentesis should be performed with ultra-
sound guidance if available. If not, abdominal radiographs should be performed
prior to abdominocentesis. Intestinal or uterine perforation is very rare as a result of
paracentesis unless the viscus is dilated or adherent to the abdominal wall.

Abdominocentesis can be performed by a single centesis, a four-quadrant approach


or via diagnostic peritoneal lavage. Initially the ventral aspect of the right cranial
quadrant is used. This minimises the chance of splenic or urinary bladder puncture
and this is also where free abdominal fluid pools as a result of gravity and diaphrag-
47
matic movement. The needle used can either be attached to a syringe (closed nee-
dle abdominocentesis) or left unattached (open needle abdominocentesis). The
advantage of open needle abdominocentesis is purported to be that fluid can flow
freely and the lack of suction reduces the chance of omentum or viscera occluding
the needle. The disadvantage of open needle abdominocentesis is that it may result
in the introduction of small amounts of free air into the abdomen complicating futu-
re radiographic interpretation. Twisting the needle gently can help to liberate fluid
into the needle hub. If no fluid is obtained at this site, then the four quadrant appro-
ach can be utilised with the same procedure being repeated at each of four sites:
right cranial, right caudal, left caudal, left cranial. Centesis of the left cranial qua-
drant should be performed with caution due to the risk of splenic puncture. Strict
aseptic technique should be observed. False positive results may be obtained if the
needle inadvertently punctures the bladder, spleen or, much less likely, the gastro-
intestinal tract. If blood is aspirated, the needle should be withdrawn and the blood
observed to see whether it clots. Blood from a vessel or organ (commonly spleen)
will clot, whereas blood from the abdominal cavity will not.

Abdominocentesis is a simple and specific tool, however it may fail to detect small
volumes of abdominal fluid. One study showed that 5.2-6.6ml/kg of fluid was
necessary to obtain positive results in 78 out of 100 paracenteses. In animals with
small volume effusions, diagnostic peritoneal lavage (DPL) may be more sensitive
in detecting intra-abdominal pathology. Although the conventional method of DPL
requires sedation and placement of a peritoneal dialysis catheter, the authors gene-
rally use a simpler, less invasive technique that rarely requires sedation. The anima-
l’s abdomen is clipped and aseptically prepared just caudal to the umbilicus. An
over-the –needle catheter is placed into the abdomen and warmed isotonic crystal-
loid solution is infused using gravity flow or injection with gentle pressure. A total
volume of 10-20ml/kg is used. The catheter is then removed and the abdomen gen-
tly palpated to allow dispersal of the fluid. Twenty to thirty minutes later, a single
or four quadrant abdominocentesis is performed. Generally only a small portion of
the infused fluid is retrieved. As DPL introduces fluid into the peritoneal cavity, dia-
gnostic imaging should ideally be performed prior to this procedure. DPL may not
detect retroperitoneal injuries (haemorrhage or urinary tract trauma) or walled off
abscesses.

Analysis of the abdominal fluid obtained should include gross examination of the
fluid, packed cell volume, refractometric total solids, total nucleated cell count and,
importantly, cytology. Biochemical and microbiological analysis will also be appro-
priate in certain cases, such as uroperitoneum or bile peritonitis. Effusions can be
classified as transudates, modified transudates or exudates on the basis of total
nucleated cell counts and protein concentrations. The cytological and biochemical
48
analysis of the fluid is most helpful in determining whether the patient needs urgent
surgery. Exudates may be due to infectious or non-infectious causes. The presence
of toxic, degenerate neutrophils with intracellular bacteria is indicative of septic
peritonitis and urgent surgical exploration is warranted. Occasionally, and especial-
ly if the animal has received prior antibiotic therapy, bacteria may not be seen. In
these cases differentiation from severe acute pancreatitis can be challenging.
Abdominal fluid amylase and lipase levels may be helpful but will not distinguish
primary pancreatitis from a patient with bacterial peritonitis and secondary pancrea-
titis. Recently, abdominal fluid glucose and lactate levels and the blood-to-fluid glu-
cose and lactate differences have been shown to be helpful in making this distin-
ction. Notably, an abdominal fluid glucose concentration of less than 50mg/dL (2.8
mmol/L) has been shown to be 100% specific for the diagnosis of septic peritoni-
tis. In any patient where a septic exudate is suspected, abdominal fluid should be
submitted for aerobic and anaerobic culture.

Patients with uroabdomen may present with either a transudate, modified transuda-
te or exudate depending on the chronicity and severity of the urine leakage. In these
cases, measurement and comparison of fluid creatinine and potassium levels with
serum concentrations can be diagnostic with levels invariably being higher in the
abdominal fluid. The difference may, however, be small, as with time, both mole-
cules will equilibrate with the intravascular space. If an animal has been given intra-
venous fluids, especially if they have been given rapidly, there is the potential for
misdiagnosis in an azotaemic animal with ascites that is not due to uroabdomen.
This is because creatinine, BUN and potassium concentrations in plasma will be
acutely diluted, whereas, that in the abdomen will not.

Biliary rupture will initially create a modified transudate that progresses to an exu-
date. However, if the bile is infected, a septic exudate will develop and these
patients have a significantly worse prognosis than those with sterile bile peritonitis.
The fluid is often green in colour and may contain dark green flecks on gross
inspection and bilirubin crystals when viewed microscopically. A fluid total biliru-
bin concentration greater than serum concentration confirms bile peritonitis and is
an indication for exploratory coeliotomy.

Other findings on abdominal fluid analysis can include haemoabdomen (bloody


fluid with a PCV that may be the same as, lower or higher than peripheral PCV
depending on the chronicity of the problem), neoplastic effusions and chyloabdo-
men (abdominal fluid triglyceride greater than serum triglyceride).

Initial stabilisation
Many patients with an acute abdomen have evidence of hypoperfusion, dehydration
49
or both at the time of presentation. All patients with an acute abdomen should be
considered at risk for development of these complications until the underlying
cause is identified and addressed. These must be addressed with medical therapy
whilst the patient is undergoing full diagnostic evaluation.

Fluid therapy
It is rare that a patient with an acute abdomen will not benefit from fluid therapy.
In patients with evidence of hypovolaemic or maldistributive shock, aggressive
fluid therapy with isotonic crystalloids should be pursued to normalise circulating
fluid volume and maintain systolic arterial blood pressure provided that there are no
contraindications to aggressive fluid therapy. In patients with heart, lung or brain
disease the benefits of aggressive fluid therapy need to be carefully balanced against
the risks. Dependent upon the severity of hypoperfusion crystalloid fluid boluses of
up to 60-90ml/kg (dog) or 40-60ml/kg (cat) may be necessary. In some patients,
especially those with evidence of vasculitis and hypoproteinaemia, fluid resuscita-
tion with synthetic colloids such as one of the hydroxyethyl starches or dextran 70
may be more appropriate. Once systemic perfusion parameters have successfully
been returned to normal or near normal, a longer term fluid plan involving asses-
sment of degree of dehydration, maintenance and ongoing fluid losses can be devi-
sed. Fluid therapy should be individualised to each patient and ideally be based on
perfusion and hydration parameters and knowledge of the patient’s current electro-
lyte and acid base status. All patients, especially those receiving rapid fluid bolu-
ses, must be carefully monitored both to ensure the therapy is having the desired
effect and to ensure that unwanted complications such as pulmonary oedema do not
develop. Occasionally, it is not possible to normalise perfusion parameters with
fluid therapy alone and in this situation, constant rate infusions of catecholamines
may be required.

Antibiotics
If bacterial peritonitis is suspected, broad spectrum, bactericidal intravenous anti-
biotics should be started as soon as samples for microbiological culture have been
obtained. Antibiotics with activity against gram positive and negative aerobes and
anaerobes should be used. Suitable combinations include a penicillin or first gene-
ration cephalosporin with a fluoroquinolone, or a second generation cephalosporin
such as cefuroxime or cefoxitin. Metronidazole may be added for increased anae-
robic coverage.

Analgesia
Analgesic therapy is often overlooked in these patients. The most successful
method of analgesia is identification and treatment of the underlying cause, howe-
ver this is often not immediately possible. Suitable analgesics include buprenorphi-
50
ne (0.005-0.02 mg/kg every 6 hrs or as needed IV, IM or SC), morphine (0.25-1.0
mg /kg every 4 hours IM) or pethidine (2-5 mg/kg up to every hour IM).
Nonsteroidal anti-inflammatory agents (for example carprofen) are not appropriate
in any patient where hypoperfusion is suspected or where GI ulceration is a possi-
ble underlying aetiology.

Antiemetic therapy
In general, empirical treatment with antiemetics should be avoided in the emergen-
cy patient until an underlying cause has been identified.
Table 1: Differential diagnoses for the vomiting emergency patient. * indicates a common
cause; # indicates a cause that requires urgent exploratory coeliotomy
Gastrointestinal Urogenital Hepatobiliary
Gastric dilatation +/- Acute or chronic renal Acute hepatitis/
volvulus*# failure cholangiohepatitis
Complete or partial Urethral obstruction*
obstruction#
Foreign body*
Intussusception*
Neoplasia*
Necrosis, rupture or Uterine disease Hepatic abscess#
perforation*# Pyometra*#

Surgical wound Pyelonephritis/renal abscess Liver lobe torsion#


dehiscence*#
Gastroenteritis (GE) Acute uroabdomen Biliary rupture and bile
Viral* peritonitis#
Bacterial* Trauma
Toxic* Necrotising cholecystitis
Parasitic Neoplasia
Fungal
Gastroduodenal ulceration Nephrolithiasis Cholelithiasis
Inflammatory bowel disease Ureteral obstruction Biliary obstruction
Ureterolithiasis
Stricture
Neoplasia
Haemorrhagic GE* Cholecystitis
Pyloric outflow obstruction Pancreas
Ileus Pancreatitis* Neurological disease
Duodenocolic ligament Pancreatic abscess# Especially vestibular
entrapment# disease
Bowel incarceration in Pancreatic neoplasia Other
Hernia#
Body wall rupture#
Mesenteric torsion# Hypoadrenocorticism
Mesenteric Drugs
thrombosis/embolism
Obstipation Emetic administration
Colitis Erythromycin
Table 2: Changes in physical examination expected with uncomplicated hypovolaemia in the
dog
Clinical sign Mild hypovolaemia Moderate Severe
hypovolaemia hypovolaemia
Heart rate 120-150 150-170 170-220
Mucous membrane Normal to pinker Pale pink White or grey
colour than normal
Capillary refill time Vigorous, < 1 sec Reduced vigour, Very slow or absent
~ 2 secs > 3 secs
Pulse amplitude Increased Moderate decrease Severe decrease
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ARTERIAL AND VENOUS BLOOD GAS ANALYSIS
Dez Hughes

Blood gas analysis is the measurement of pH, pCO2 and pO2 with calculation of
HCO3 and base excess (BE). It provides useful information on oxygenation, venti-
lation and acid base balance. Venous blood can be used for the assessment of acid
base balance in the majority of clinical situation and can provides information on
ventilation however arterial blood is required for assessment of oxygenation. Many
blood gas machines also measure other parameters such as electrolytes, lactate and
glucose.

Arterial access
Arterial blood is usually obtained from the dorsal metatarsal artery or the femoral
artery. It can be obtained by single arterial puncture or an arterial catheter can be
placed to facilitate sampling at multiple time points. The use of a syringe specifi-
cally designed for arterial puncture facilitates arterial sampling as the plunger is
permeable to air so the syringe fills without having to draw back and the syringe is
already heparinized. A 25G needle should be used to make as small a hole in the
artery as possible. Samples should be handled anaerobically and should be run as
soon as possible (although there is little change in a couple of minutes). For sam-
ples run within minutes it is unnecessary to place the sample on ice.

Arterial access allows arterial blood sampling and intra-arterial blood pressure mea-
surement. The hemostatic competence of the patient should be evaluated prior to
placement of an arterial puncture or catheter. In the author’s experience, severe
thrombocytopenia (<40, 000/μl) poses a greater risk for hemorrhage from an arte-
rial catheter site than abnormal coagulation. The most common site used for arte-
rial access is the dorsal pedal artery. Other sites include the brachial artery, femoral
artery and auricular artery, however, motion in these areas can make these catheters
difficult to maintain. Dorsal pedal arterial cannulation is relatively easy when one
is familiar with the arterial anatomy. A careful and thorough palpation should be
performed to identify the course of the artery prior to any attempt at catheterization.
Penetration of the artery often causes arteriospasm that will render further attempts
much more difficult so it is vital to be absolutely sure of the anatomical course prior
to attempting placement. The artery can be palpated most easily just proximal to the
point where it passes in a palmar direction between metatarsals II and III just below
the hock. Moving proximally up the limb over the proximal metatarsal bones and
hock joint, the artery usually runs at an angle of ~30° to the long axis of the limb
in a direction from medial to lateral (contrary to many anatomy texts which depict
53
the course of the artery as almost parallel to the long axis of the limb).

If the artery can be adequately palpated, catheterization is performed by


percutaneous or facilitated percutaneous approach. The artery is best accessed from
the dorsomedial aspect of the metatarsus, directing the catheter towards the dorso-
lateral metatarsus at an angle of ~30° to the long axis of the limb. In the author’s
experience, directing the catheter straight up and down the limb (parallel to the
metatarsus), instead of at the appropriate angle over the hock joint, is the most com-
mon reason for inability to feed a catheter following successful arterial puncture.
With the skin pulled taught, a 20 - 24g over-the-needle catheter is placed through
the skin (at an angle of approximately 10 - 20 degrees to the skin) and directed into
the artery. If skin penetration seems difficult, the catheter should always be
withdrawn and checked for burring of the tip prior to attempting arterial catheteri-
zation because a burred catheter will not usually feed into the artery. As soon as
arterial blood is seen in the flash chamber the catheter should be immediately fed
over the stylet and into the artery. Upon withdrawal of the stylet, pulsatile arterial
blood flow should be seen from the catheter. If catheterization is unsuccessful, a
firm pressure bandage should be applied to the site for 10 - 15 minutes to minimi-
ze hematoma formation. An injection cap, “T” style catheter adapter, or arterial
pressure tubing is attached and the catheter is secured using suture material, tape,
or a combination. The site is then covered with a sterile dressing. In a recumbent
animal, patency of an arterial catheter is best maintained by connection to a pressu-
rized, continuous flushing system, although intermittent flushing with heparinized
saline every 4 hours is acceptable. Other routine catheter care should be performed
as for venous catheters. Fluids and medications should not be administered via the
arterial route (excepting small volumes of flush solution) and pre-aspiration sam-
ples taken during blood sampling should be returned to the patient via a venous
access route.

Surgical cut down to establish dorsal pedal arterial access is a relatively


simple technique that can be used when difficulties are anticipated using a percuta-
neous approach, such as with severe hypoperfusion or subcutaneous edema. This
procedure is performed using full aseptic technique with the limb appropriately dra-
ped. Local anesthesia and sedation are used as necessary to ensure a minimum of
limb movement. The limb is palpated to identify the proximal aspect of the second
and third metatarsal bones and the metatarsal pulse if it is present. A 1 - 2 inch inci-
sion is made over the course of the artery and blunt dissection is performed aiming
for the most proximal point between the second and third metatarsal bones. A small
vein often traverses the approach and this vessel should be avoided to maintain a
bloodless field. The tendon of the medial head of the short digital extensor often
overlies the artery and can be easily reflected. If the artery is completely dissected
from overlying soft tissue, this greatly facilitates catheter placement. One of the
most common reasons for failing to identify the artery is not performing a sufficien-
tly deep dissection. A general rule of thumb for judging depth of dissection is that
it is necessary to be able to visualize the periosteum of the metatarsal bones. In
general, it is not necessary to elevate the artery from the deep soft tissue atta-
chments and undue manipulation of the artery may result in arteriospasm. Although
raising the artery using snares can aid catheter placement in some cases, traction on
the snares can also cause the artery to collapse making catherization more difficult.
It is important to realize that, in animals with severe hypoperfusion, a pulse may be
neither visible, nor palpable in the artery. A 20 - 24 gauge over-the-needle catheter
is then placed into the artery for 1 - 2 mm and the catheter is advanced. Care should
be taken to fully enter the arterial lumen, but not to penetrate the opposing wall.
Following successful placement, pulsatile flow of arterial blood will almost always
occur even if no pulse was apparent in the artery The catheter hub is then attached
to a “T”-style catheter adapter and sutured to the surrounding soft tissues and the
incision is closed in routine fashion in two layers. Because arterial pressure can
force out the catheter, it should be secured as quickly as possible. The site is then
covered by a bandage or tape dressing.

Oxygen delivery
Oxygen delivery to the tissues is the product of the amount of blood flow (propor-
tional to cardiac output) and the total oxygen content of the blood. Oxygen is car-
ried in two ways in the bloodstream: bound to haemoglobin and dissolved in pla-
sma. The vast majority of oxygen (approximately 98.5%) is carried by haemoglo-
bin.

55
It is important to realize the difference between the partial pressure of oxygen, hae-
moglobin (Hb) saturation and oxygen content. The partial pressure of oxygen is the
figure measured by blood gas analysis. The normal partial pressure of oxygen in
arterial blood (PaO2) is 85-100 mmHg. Haemoglobin saturation is the percentage
of Hb carrying oxygen. Oxygen content is the amount of oxygen carried by Hb plus
the amount dissolved in plasma and can be calculated as follows:

Oxygen content = (1.34 x [Hb] x % saturation) + (0.003 x PaO2)

At a normal PaO2, Hb is almost completely saturated with oxygen. However, when


Hb is exposed to the lower oxygen concentrations in the tissues it readily releases
its oxygen. Haemoglobin can therefore be viewed as an oxygen reservoir for the tis-
sues. As the PO2
falls from normal to
60 mmHg the satu-
ration of Hb only
falls from 97% to
90%. This means
that even in hypo-
xaemic conditions,
Hb can still carry
adequate amounts
of oxygen to the tis-
sues. As can be
seen in the oxygen
Hb dissociation
curve, as the pO2 falls below 60 mmHg the amount of oxygen carried by Hb falls
rapidly and there is a risk of serious tissue hypoxia.

PaO2 is the partial pressure of oxygen in arterial blood and, with normal lung fun-
ction, should be in the region of 5 x the fractional inspired oxygen concentration
(FiO2). Thus at room air, the PaO2 would be expected to be around 100mmHg whe-
reas when intubated and on 100% O2, a patient’s PaO2 should be about 500mmHg.

It is vitally important not to confuse the PO2 with the oxygen saturation (usually
measured with a pulse oximeter). Any pulse oximeter reading less than 95% indi-
cates low blood oxygen levels and a Hb saturation of less than 90% may be life
threatening.

56
PO2 (mm Hg) SO2 (%)
Normal 80 to 110 98 to 99
Hypoxemia < 80 < 95

Severe hypoxemia < 60 < 90

Lethal hypoxemia < 45 < 75


A patient with respiratory distress may need support of ventilation or oxygenation.
Reduced ability to ventilate occurs with upper airway obstruction, reduced respira-
tory drive (respiratory muscle fatigue or paralysis) pleural space disease or abnor-
malities of the chest wall and diaphragm. Reduced ability to oxygenate occurs with
the above conditions and also due to small airway disease (feline asthma) and pul-
monary parenchymal disease. The 50:50 rule can be used to remember when blood
gas abnormalities become life threatening, that is at a PaO2 < 50 mmHg or PaCO2
> 50 mmHg.

Arterial blood gas analysis


Measurement of arterial blood gases yields the most information regarding ventila-
tion and oxygenation and also allows acid base assessment. Positioning and restrai-
ning a patient to obtain an arterial blood sample can be very stressful and even life
threatening. In addition, patients with bleeding tendencies can have serious blee-
ding following arterial puncture. Obviously, measurement of blood gases requires
that the practice have a blood gas machine, however, prices have fallen and porta-
ble, hand held devices can now be purchased for around £2000.

Pulse oximetry
A pulse oximeter measures the saturation of Hb not the partial pressure of oxygen.
It works by transmitting light through the tissues and detecting how much is absor-
bed during arterial pulsations. It does not measure ventilation and, as mentioned
earlier, is relatively insensitive to early hypoxia. Pulse oximeter readings can also
be inaccurate due to factors such as poor probe positioning, small patient size,
patient movement, low pulse pressure and in dogs with pigmented skin.

Hypoxia (low partial pressure of oxygen in arterial blood) can occur secondary to a
large number of disease processes but these can be categorised into 4 major groups
as below:

57
Right to left shunt
Blood moves directly from the venous circulation to the arterial circulation
without passing through oxygenated areas of the lung. This can be further
subdivided into cardiac R_L shunts such as is seen with some congenital
cardiac disease or pulmonary R_L shunt which may be seen with severe pneumo-
nia, ARDS or anatomic artery-vein shunt. Patients with hypoxaemia secondary to
shunts are not responsive to oxygen supplementation as the shunted blood is never
exposed to the higher FiO2.

Ventilation-perfusion mismatch
This is the form of hypoxia seen with most parenchymal diseases such as both car-
diogenic and noncardiogenic pulmonary oedema, pneumonia and atelectasis. It is
responsive to oxygen and probably the commonest form of hypoxia seen in veteri-
nary patients.

Diffusion barrier
This form of hypoxaemia occurs when there is a thickening of the blood gas barrier
with slowing of diffusion such that equilibrium of oxygen between the alveolus and
the blood does not occur. It is a rare form of hypoxia in veterinary medicine.

Hypoventilation
During hypoventilation, there is a reduction in fresh gas delivery to the alveoli as
well as removal of waste gases (CO2) from the alveoli. Although hypoventilation is
defined by an increased PaCO2 there is also a concurrent decrease in PaO2 as the
O2 concentration in the alveoli will fall with time. This form of hypoxia is usually
mild and is easily abolished by oxygen supplementation. The patient’s CO2 reten-
tion may be the more significant clinical problem. Changes in CO2 must be borne
in mind when using arterial blood gas to monitor patients with hypoxia secondary
to one of the other causes. The alveolar gas equation can be used to evaluate the
impact of any hypoventilation on expected PaO2 (see below). A low fractional
inspired oxygen concentration is another potential cause of a low PaO2 and is rele-
vant in some institutions at high altitude, e.g. Colorado veterinary school – it is unli-
kely however to be cause for concern in Europe!

As PaO2 would be expected to change with FiO2, the ratio between the two is often
used as a marker for the severity of parenchymal disease:-

Normal PaO2/FiO2 ratio ~ 480


Severe lung disease PaO2/FiO2 ratio < 300
Criteria for ARDS PaO2/FiO2 ratio < 200
58
Ventilation
It should be remembered that the definition of hypo- and hyperventilation are spe-
cifically related to the PaCO2 as shown in the table below:

PaCO2 (mmHg) Condition in blood State of alveolar ventilation


>45 Hypercapnia Hypoventilation
35-45 Eucapnia Normal ventilation
<35 Hypocapnia Hyperventilation

Any combination of respiratory rate, depth and effort can reflect any PaCO2 value
and vice versa.
Similarly a differential list can be generated for hypo- and hyperventilation

Hyperventilation
Pain/fear/stress
Decreased arterial oxygen content (marked)
Neurological disease
Hyperthermia
Compensation for a metabolic acidosis

Hypoventilation
Airway obstruction
Depression of respiratory centre (drugs, central neurological disease)
Neuromuscular disease
Restrictive defects (severe pleural effusion/pneumothorax)
Respiratory muscle fatigue
Respiratory muscle fatigue is a major concern in patients with severe paren
chymal disease and the increasing CO2 has the consequence of further
depressing PaO2. These patients are candidates for mechanical ventilation
dependent on underlying disease.

Use of the alveolar gas equation and calculation of the A-a gradient
The alveolar-arterial oxygen difference (often called A-a gradient) represents the
difference between the partial pressure of O2 in the alveoli (PAO2) and arterial
blood (PaO2). It provides a numerical value that gives an idea of how well ventila-
tion and perfusion are matched in the lungs.

The full equation involves calculation of PAO2 from

59
PAO2 = FIO2 (PB – PH2O) – PaCO2/RQ where
FIO2 = fractional inspired O2
PB = barometric pressure
PH2O = water vapour pressure
RQ = respiratory quotient

On room air at sea level with an estimated RQ of 0.9, the equation is simplified to
PAO2 = 150 – 1.1xPaCO2

The PaO2 can then be subtracted from this to calculate the gradient. Normal values
are less than 15 (slightly higher is acceptable in an old animal).

The example below illustrates how the A-a gradient may be used
Dog 1 Dog 2
PaCO2 – 65mmHg PaCO2 – 23 mmHg
PaO2 – 70 mmHg PaO2 – 75 mmHg
A-a gradient
{150-(1.1x65)} – 70 {150 – (1.1 x 23)} – 75
= 8.5 = 50
Although dog 1 has a slightly lower PaO2, this is entirely due to hypoventilation
and the A-a gradient can reassure the clinician that pulmonary function is normal.
Dog 2 however, despite having a slightly better PaO2, has a markedly elevated A-a
gradient telling us that pulmonary function is severely compromised. If dog 2 deve-
lops an increase in PaCO2 (e.g. respiratory muscle fatigue or drug induced), then
PaO2 may drop rapidly to levels incompatible with life.

Acid base analysis


Acid- base disturbances are very common in critically ill patients. Acid base abnor-
malities can be assessed on a venous sample in most conditions other than comple-
te circulatory collapse. Assessment of acid-base can help clinicians develop com-
plete problem and differential diagnosis lists and may aid in the identification of
some disorders. They can also be monitored to assess response to therapy (e.g. reso-
lution of a metabolic (lactic) acidosis in a shocked patient following fluid therapy).
As with all things the ability to rapidly and accurately interpret acid base abnorma-
lities improves with practice.

Blood pH is normally 7.35-7.45 and a number of buffer systems (most importantly bicar-
bonate) act to maintain pH within this narrow range. If blood pH is less than 7.35 this is
termed acidaemia; conversely if blood pH is greater than 7.45 this is called alkalaemia.
The process is the “osis”, the “aemia” is the net result on the pH of the blood!
60
Simple acid-base disturbances comprise 4 primary underlying processes

Respiratory acidosis – results from retention of CO2 and is associated with hypo-
ventilation
Respiratory alkalosis – results from increased loss of CO2 and is associated with
hyperventilation
Metabolic acidosis - primary gain of acid or loss of base (HCO3-)
Metabolic alkalosis - – primary gain in base or loss of acid (H+)

When evaluating blood gas results four values need to be considered: pH, PCO2,
HCO3
and base excess. The base excess (BE) is a calculated value that reflects the meta-
bolic component of the acid base disturbance. It is closely related to bicarbonate.

When evaluating a blood gas panel from a patient the following questions should be
asked

1. Look at pH, determine if acidaemia (pH < 7.35) or alkalaemia (pH > 7.45) is pre-
sent
2. If acidaemia is present, determine if it is respiratory or metabolic in origin
i. if PaCO2 > 45 mmHg – respiratory
ii. if BE < -4 (or HCO3 < 20 mmol/l) – metabolic
3. If alkalaemia is present, determine if respiratory or metabolic in origin
i. if PaCO2 < 35mmHg – respiratory
ii. if BE > +4 (or HCO3 > 26 mmol/l) – metabolic
In some acute cases (eg marked panting in a dog secondary to restraint may lead to
a primary respiratory alkalosis), there will be a single primary disturbance that is
relatively easily identified. However, interpretation is complicated by the fact that

1. The body acts to return pH to normal by alterations in the other system


• if there is a primary metabolic disturbance, the body will alter respiratory
rate and CO2 excretion to return pH to normal eg with a metabolic acido
sis, hyperventilation will occur leading to a decrease in CO2 and conse
quently an increase in pH. As ventilation is controlled on a minute by minu
te basis, this compensation can be quite rapid
• if there is a primary respiratory disturbance, the body alters renal excre
tion of acid to return pH to normal – this form of compensation may take
days
• Remember that the body does not overcompensate
• Although there are equations to correct for acute versus chronic compen
61
sation these are of limited use in the clinical setting because the duration of
the condition is often known with any certainty.

2. There may be more than one primary process occurring at once


• These processes may be additive and make the pH change more marked
(eg a primary metabolic and respiratory acidosis occurring at the same
time)
• These processes may be opposite and the pH may not change as much as
expected or may even be normal.

Finally, acid-base regulation is also affected by changes in other major ions in the
body notably chloride and to a lesser extent sodium and potassium. Calculation of
the anion gap can be helpful. Remember that the body always maintains electroche-
mical neutralirt so if there is an anion gap that means that there is another anion pre-
sent that has not been measured.

Anion gap (AG) = (Na + K) – (Cl - HCO3)

A normal anion gap in the dog is approximately 15-25. Calculation of the anion gap
is especially important when evaluating patients with metabolic acidosis – the dif-
ferential diagnosis list for a patient with a normal anion gap acidosis is quite diffe-
rent to that for a patient with a high anion gap acidosis.

Metabolic acidosis
Increased anion gap
Lactic acidosis (principally seen with decreased tissue perfusion)
Uraemic acidosis
Diabetic ketoacidosis
Toxicity
e.g. Ethylene glycol, Salicylate

Normal anion gap


Diarrhoea
Renal tubular acidosis
Dilutional acidosis
Posthypocapnic metabolic acidosis
Drug administration
e.g. Carbonic anhydrase inhibitors

62
Metabolic alkalosis
Chloride responsive
Vomiting of stomach contents
Diuretic therapy
Posthypercapnia
Chloride resistant
Primary hyperaldosteronism
Hyperadrenocorticism
Miscellaneous
Refeeding after fasting
Alkali administration

Respiratory acidosis
Airway obstruction
Respiratory centre depression (neurologic disease or drugs)
Neuromuscular disease
Restrictive disease (e.g. pneumothorax, pleural effusion etc)
Severe pulmonary disease (pneumonia, asthma, PTE etc)
Inadequate mechanical ventilation

Respiratory alkalosis
Hypoxaemia (severe)
Pulmonary disease independent of hypoxaemia
Pain
Exercise
CNS mediated
Excessive mechanical ventilation

63
64
COAGULOPATHIES AND RODENTICIDE
TOXICITIES - DIAGNOSIS AND MANAGEMENT
Dez Hughes BVSc, MRCVS, Diplomate ACVECC
Dan Chan DVM, Dip ACVECC, Dip ACVIM (Nutrition)
Senior Lecturer in Emergency and Critical Care, Royal Veterinary College, London

Coagulation Overview
1) Primary hemostasis – interaction between platelets and vessel wall
2) Secondary hemostasis describes the formation of fibrin through activation of
coagulation cascade
3) Fibrinolysis – lysis of clot or thrombus through the activation of plasminogen
into plasmin
4) Natural anticoagulants oppose the effects of the components of the coagulation
cascade

Primary Hemostasis – endothelial damage leads to platelet adherence to subendo-


thelium by variety of mechanisms. One of the mechanisms is mediated by von
Villebrand factor (VWF), which is a carrier for Factor VIII. It binds to subendothe-
lium and glycoprotein receptors on the platelet surface – Platelets then undergo
aggregation forming the temporary hemostatic plug (seconds to minutes). Platelets
themselves contain a large number of procoagulants and clotting factors providing
an optimum environment for activating the coagulation cascade.

Secondary hemostasis – traditionally referred to the coagulation cascade compo-


sed of intrinsic, extrinsic and common pathways. (See notes on this specific topic).
Traditionally, an irregular vascular surface is the contact stimulus necessary for
activating factor XII into factor XIIa, which initiates the intrinsic (XII, XI, IX, VIII)
pathway. The extrinsic pathway is initiated by the release of tissue factor, a tran-
smembrane glycoprotein present in most non-endothelial cell membranes. It com-
plexes with factor VII, which activates factors IX and X. Once factor X is activated,
the common pathway of coagulation is initiated and insoluble fibrin is generated.
This system causes a long standing (minutes to hours) secondary hemostatic plug
to form.

Fibrinolysis – The main role of this system is to destroy or lyse fibrin clots or
thrombi. In addition to lysing fibrin and fibrinogen, plasmin biogrades factors V,
VIII, IX and XI as well as other plasma proteins such as insulin, ACTH, and growth
hormone. Plasminogen, a pro-enzyme, is activated into plasmin by either factor
XIIa or by a variety of poorly defined tissue factors. Several tissue activators of pla-
65
sminogen have been recognized, including streptokinase, urokinase, and tissue pla-
sminogen activator, and they may be used therapeutically in patients with thrombo-
embolic disorders. The fibrinolytic system also has built-in inhibitory mechanisms
that have a net procoagulant effect. Inhibitors of fibrinolysis include a2-antipla-
smin, a2macroglobulin and tissue plasminogen activator inhibitors 1 and 2. Plasmin
biodegrades fibrinogen and fibrin, generating fibrin degradation products (FDPs)
[also known as FSP or fibrin split products] which can be detected in plasma of
dogs and cats. FDPs also exert a profound inhibitory effect on platelet function,
contributing to the petechia and ecchymoses in patients with DIC.

Natural anticoagulants – In addition to the fibrinolyic system, the most important


physiologic anticoagulants are antithrombin (AT, the molecule formally known as
antithrombin III or ATIII), heparin (and heparin-like substances), and proteins C
and S, which are vitamin K-dependent factors that primarily inhibit factors V and
VIII [see later section for discussion on protein C and S in more detail]

Coagulopathies
1) Vessel-Associated,
2) Platelet-Associated
3) Coagulation Factor- Associated, and
4) Vitamin K-Deficient Coagulopathies.

1) In vessel-associated coagulopathies there is disruption of the vessel wall, such as


secondary to trauma, tumors, or ulceration of the gastrointestinal tract. Vasculitis,
whether primary immune-mediated or secondary to underlying infectious disease or
drug therapy also falls in this category.
2) Hemorrhage associated with disorders of platelets may be caused by a decreased
platelet number (thrombocytopenia) or abnormal platelet function (thrombocytopa-
thia). Thrombocytopenia may result as a consequence of failure of platelet produc-
tion, premature destruction, sequestration or excessive consumption. DIC is the
classic condition associated with platelet consumption. Failure of platelet produc-
tion is seen with intrinsic bone marrow diseases such as drug reactions (chloram-
phenicol, sulfonamides, estrogen, chemotherapeutic agents) immune injury as well
as myelofibrosis or myeloproliferative disorders. Thrombocytopenia secondary to
platelet destruction is seen with certain infectious diseases such as Ehrlichia canis,
Rickettsia spp and with primary immune-mediated diseases. Although endotoxemia
can cause sequestration of platelets in organs such as lungs and liver, clinical con-
sequences are usually not seen.
3) Coagulopathies associated with abnormalities of coagulation factors may be
either inherited or acquired. Inherited coagulopathies include von Willebrand’s
66
Disease, hemophilia A (factor VIII deficiency) and hemophilia B (factor IX defi-
ciency) among others. Acquired defects in coagulation can be classified as either
acquired deficiency states or accumulation of coagulation inhibitors. Failure to
clear natural inhibitors of coagulation such as fibrin degradation products (FDPs)
with severe hepatic disease is such an example of the latter, while warfarin toxicity
is an acquired factor abnormality.
4) Vitamin-K Deficiency States are probably the most common form of coagulopa-
thies and can be caused by warfarin intoxication or overdose, hepatic dysfunction,
severe biliary obstruction, severe malabsorptive disorders and rarely due to true
vitamin K deficiency (unsupplemented prolonged total parenteral nutrition).

Disseminated Intravascular Coagulation

DIC refers to a complex syndrome in which excessive intravascular coagulation


leads to multiple-organ microthrombosis and paradoxical bleeding. In DIC, blee-
ding is caused by the inactivation or excessive intravascular consumption of plate-
lets and clotting factors secondary to enhanced fibrinolyis. DIC is not a specific
disorder but rather a common pathway in a variety of clinical disorders. Any disea-
se process characterized by capillary stasis, loss of vascular integrity, red cell hemo-
lysis, inappropriate particulate matter in blood, or necrotic tissue release of tissue
thromboplastin into the vasculature can produce this life-threatening complication.

The events that predispose a patient to DIC in most cases are related to:
1) Tissue factor or thromboplastin-like substances released into circulation
2) Damaged endothelium or monocytes converting procoagulants (coagulation fac
tors) into active forms
3) Blood flow interruption preventing hemodilution of activators, and
4) Impaired removal of activated procoagulants by the mononuclear phagocytic
system in the liver and spleen.

The inflammatory response can either lead to activation or inhibition of hemostasis through:
1) Neutrophil activation, which activate platelets and decreases antithrombin (AT)
activity levels
2) Release of cytokines, namely Tumor Necrosis Factor a (TNF- a), and Interleukin
1 (IL-1)
3) Complement activation through terminal components C5b-9

The events that trigger DIC, namely hypoperfusion with acidosis, cytokine release,
bacteremia or sepsis or products from necrotic or neoplastic tissue, all injure the
endothelium. Disturbances in the antithrombogenic functions of the endothelium
67
induce adherence of platelets and granulocytes through the expression of cell adhe-
sion molecules, such as P-, E-, and L-selectins, endothelial leukocyte-adhesion
molecules, such as ELAM-1 an intercellular adhesion molecule-1 (ICAM-1).
During this excessive intravascular coagulation, platelets are consumed in large
quantities, causing thrombocytopenia. Tissue factor (TF), which is synthesized both
in damaged endothelium and by activated monocytes, triggers the initiation of the
coagulation cascade on the local endothelial surface. TNF appears to be a major
mediator of TF release. Local generation of thrombin leads to the formation of
thrombi. In this process of self-perpetuating coagulation, coagulation factors are
consumed. In addition to thrombin, Antithrombin inhibits several other proteolytic
enzymes in the coagulation cascade, including activated factors IXa, Xa, XIa and
XIIa. Once the fibrinolytic system is activated, inactivation of clotting factors, and
impaired platelet function follows. Fibrin degradation products (FDPs) produced by
clot lysine, are strong inhibitors of platelet function. Soon, antithrombin , along
with proteins C and S are depleted in attempts to halt intravascular coagulation. The
fibrinolytic system becomes inhibited by the release of plasminogen activator inhi-
bitor 1 (PAI-1). PAI-1 release is chiefly mediated by TNF, endotoxin, IL-1, IL-6.
This imbalance between the systems fosters fibrin deposition. The formation of
fibrin within the microcirculation leads to hemolytic anemia as the red blood cells
are sheared by the fibrin strands, causing fragmented red blood cells or schistocy-
tes (more commonly seen in compensated DIC) to be seen in circulation.
DIC can be peracute, acute, or chronic depending on whether the underlying disea-
se illness is acute (decompensated DIC) or chronic (compensated DIC). Patients
with peracute disease may show laboratory changes but no overt clinical signs. In
the acute phase, venopuncture oozing, mucous membrane hemorrhage, petechia,
echhymosis, purpura, hematoma formation, and hemarthrosis are commonly seen.
Physical findings in the peracute and acute phases of microthrombosis associated
DIC are associated with decreased organ perfusion. Multiple organ dysfunction is a
consequence of the acute phase of DIC and may be seen as:

1) Hepatic Failure
2) Renal thrombosis and microthrombi – renal failure
3) Gastrointestinal thrombosis leading to submucosal necrosis and ulceration,
which is seen as spontaneous GI hemorrhage (hematemesis, melena, hematoche
zia and occult fecal blood)
4) Pulmonary microthrombi – tachypnea, hypoxemia, Acute Respiratory Distress
Syndrome (ARDS)
5) Cerebral microthrombi which can lead to altered mentation or consciousness,
convulsion or coma

68
Laboratory Tests for DIC
In the CBC, schistocytes can result from mechanical damage to red cell
membranes from microvascular fibrin strands. Platelet counts can be variable in
DIC because some inflammatory states can cause a reactive thrombocytosis and
therefore it is more important to do daily blood smears and manual platelet counts,
as a drop in the platelets count often precedes other signs of DIC. In the future,
increased platelet factor 4 and beta-thrombomodulin measurements could become
pathognomonic for platelet destruction in DIC. Dysfunctional platelets, resulting in
thrombocytopathia, are caused by FDPs coating platelet membranes, which causes
the release of platelet procoagulant materials. Buccal Mucosal Bleeding Time
(BMBT) at this point are not useful because of the concurrent thrombocytopenia.
Fibrinogen levels often decrease before the onset of thrombocytopenia.
DIC causes a consumption of fibrinogen when coagulation is activated, and fibrino-
gen is converted to fibrin. In dogs, when plasma fibrinogen < 75 mg/dl, the PT and
APTT will also be prolonged.
Prolongation of clotting times by 25% is also supportive of DIC. The One-
Stage Prothronbin Time (OSPT or PT) measures the extrinsic and common
pathways of the coagulation cascade and examines factors VII, X, V, II and I. While
the Activated Partial Thromboplastin Time (APTT) measures the intrinsic and com-
mon pathways and examines factors XII, XI, IX, VIII, X, V, II, and I.
Physiologically, the presence of increased quantities of FDPs is associated
with an increased tendency for hemorrhage. FDPs act as anticoagulants by interfe-
ring with the biotransformation of fibrinogen to fibrin and by interfering with pla-
telet adhesion properties. However, FDPs can also be present in hepatic failure,
major focal vascular thrombosis, dysfribinogemia and excessive fibrinolysis.

Therapy for DIC


Because elimination of initiating cause of DIC is almost never immediate-
ly possible, focus of therapy should be :
1) Halting further intravascular coagulation
Administer blood or blood products (provide AT), heparin, aspirin
2) Promote capillary blood flow
Initiate aggressive fluid therapy, artificial colloids such as dextrans and
hetastarch and positive inotropes may be necessary
3) Support target organs at risk for hemorrhage, microthrombi or ischemia
Maintain oxygenation, evaluate acid-base status, correct acidosis, correct
cardiac arrhythmias and administer antibiotics.

Several methods have been proposed to activate AT using heparin, and at


this time the most effective method has not been identified. In the human literature
69
there are many conflicting studies about the effect of heparin in DIC patients.
However, in the veterinary literature current recommendations for heparin use
include the administration between 50-200 U/kg either incubated in plasma for thir-
ty minutes or subcutaneously three times a day. Two to five units of plasma may be
necessary to bring AT concentrations to an effective range. Then 50-100 U/kg hepa-
rin can be given SQ TID. Heparin should be tapered over 48 hours before disconti-
nuation.

Mini-dose 5-10 U/kg SQ TID


Heparin
Low- Dose Heparin 100 – 200 U/kg SQ TID
Heparin
Intermediate- 300 – 500 U/kg SQ TID

Dose Heparin
High- Dose 750 – 1000 U/kg SQ TID
Heparin

If overheparinization occurs, administer intravenous protamine sulfate by slow IV


infusion (1 mg for each 100 U of the last dose of heparin; 50% of the calculated
dose is given one hour after the heparin, and 25% two hours after the heparin).
Protamine administration should be given with caution as it can be associated with
acute anaphylaxis in dogs
In recent studies in people, AT therapy (AT concentrates) may attenuate duration of
clinical DIC, although further studies are need to evaluate its affect on overall mor-
tality. There are also some thoughts that AT may prevent thrombin-induced mitoge-
nic response of damaged endothelium – which is responsible for the release of cyto-
kines and growth factors which initiate the coagulation cascade. Binding of AT to
endothelium cell bound glycosaminoglycans release prostaglandin I2 (prostacy-
clin). Prostacyclin is not only a vasodilator and inhibitor of platelet aggregation, but
is also implicated in endotoxin resistance and in reduced release of oxygen radicals
and TNF-a. Prostacyclin release is abolished by heparin administration. AT also
reduces release of lysosomal proteinases, of protein/serpin complexes, Il-8, IL-6
and soluble intercellular adhesion molecules. There are also thoughts that fractio-
ning of AT into it’s a and b isoforms, in that the b-isoform may be more beneficial
than it’s a-isoform.

Low Molecular Weight Heparin (LMWH) has recently been proposed as having
less bleeding complications than unfractionated heparin, but still possesses anti-
thrombotic properties. This is probably because the shorter fractionated molecule
70
cannot inhibit thrombin, but is still able to interact with AT and inactivate factors
Xa, IXa, XIa and the other coagulation enzymes. This is also why LMWH can not
be assayed in plasma by the otherwise widely used, thrombin dependent assays,
such as the APTT or ACT. Preliminary studies show promise in the use of LMWH
in DIC, but not statistical significance has been found.

Hirudin is a potent and specific direct thrombin inhibitor. Originally derived from
medicinal leeches (Hirudo medicinalis), it is now made from recombinant techno-
logy. In contrast to heparin, its activity is not dependent on AT and it is therefore
capable of inhibiting clot-bound thrombin. It has minimal affect on platelets or the
BMBT and its activity is monitored using the APTT. Recombinant hirudin appea-
red to be effective in treating DIC in animal studies but no well-controlled studies
in people have been done. The high risk of bleeding with hirudin treatment may
potentially limit its use in DIC patients.

Other therapy modalities undergoing extensive research include Protein C and


thrombomodulin concentrates and inhibitors of tissue factor. These therapies
have shown positive results in animal models but still need to be further investiga-
ted.

Von Willebrand’s Disease and Hemophilias

Von Willebrand’s disease (vWD) is the most common inherited bleeding disorder
in dogs. It is caused by a lack in Von Willebrand factor and/or decrease function of
the factor. Von Willebrand factor is an adhesive glycoprotein that is produced by
endothelial cells and megakaryocytes. Unlike other species, canine platelets do not
contain large amounts of vWF in their alpha granules. It is a complex polymeric
molecule composed of identical single chain polypeptide subunits. Disulfide bonds
join subunits into multimers of varying molecular weight. Extracellular vWF is
found in the subendothelium and circulating in plasma in multimeric form. The
multimers vary in size from 0.5 to 20 million daltons, with the larger multimers
being more hemostatically active.
The predominant function of vWF is to promote the adhesion of platelets to expo-
sed subendothelium, especially in areas of high shear stress. The vWF also plays a
role in platelet-platelet aggregation in conjunction with platelet receptor and fibri-
nogen. When platelets become activated, they express a receptor that can bind seve-
ral adhesion molecules, including vWF. This binding then allows other platelets to
bind the vWF molecule, forming an aggregate. The other major function of vWB is
to form a tightly bound complex with factor VIII, thereby prolonging the half-life
of factor VIII.
71
There are three forms of vWD recognized in dogs. The most common is type I,
where all multimers are present but in reduced quantities. This form has been reco-
gnized in more than 50 breeds of dogs. Breeds include the Doberman pinscher,
Standard poodle, Shetland sheepdog, and German Shepherd dogs. The hemorrha-
gic tendency, while variable, often manifests as increased bleeding with surgical
procedures or after trauma. Spontaneous mucosal bleeding (epistaxis, urogenital
bleeding) can occasionally be seen. Other stressors, such as the transient thrombo-
cytopenia noted to occur after vaccination with modified live vaccines or admini-
stration of NSAIDS which inhibit platelet activity may initiate a bleeding episode.
In some breeds decreased vWF has been documented, but a bleeding tendency does
not exist, i.e. Airedale terriers. Type I vWD probably represents a heterogeneous
group of diseases with marked breed variation.
In type II vWD the larger, more effective multimers are absent and bleeding can be
severe. This form has been identified in German shorthaired and German wirehai-
red pointers. This form of the disease was most severe in puppies and young adults,
but the severity appeared to lessen with age. The most severe form of the disease is
type III in which all multimers are absent. This form is reported in the Scottish ter-
riers, Chesapeake Bay Retrievers, and Shetland sheepdogs.

Type Characteristic Multimeric Canine Breeds confirmed with


Pattern of Plasma von multimeric analysis
Willebrand Factor
Type I Full spectrum of multimer sizes Airedale terrier, Doberman
detectable (usually in subnormal pinscher, Pembroke Welsh corgi,
concentrations Shetland sheepdog
Type II Smaller multimers readily German short-haired pointer
detectable, larger multimers
missing
Type III All multimers absent (or present Chesapeake Bay retrievers, Scottish
in only trace amounts terriers

The manner of inheritance of vWD is largely unknown. An autosomal mode of


inheritance must be present as males and females are equally affected. An autoso-
mal dominant mode of inheritance with incomplete penetrance has been suggested
(Brooks 1992). It has been proposed that in Dobies, the disease may be produced
by a single gene defect (Moser 1996) with each allele being responsible for 50% of
the vWF level. Type II vWD in german wirehaired pointers probably is inherited as
an autosomal recessive trait (Brooks 1996). Heterozygous asymptomatic carriers
can be detected because their vWF levels are low but detectable. Variation and
overlap in vWF levels exist; making it difficult sometimes to definitively establish
genotype on the basis of a single vWF measurement.
72
Diagnostic Testing

Diagnosis is based on vWF levels. Although DNA analysis is now availa-


ble for certain breeds of dogs (VetGen, AnnArbor , MI) there are no published
reports on the validity of the test. The Comparative Coagulation Section at the
Cornell University Diagnostic Lab reports vWF levels as percentage of a control
canine pool. The pool is considered to represent 100%. Using an ELISA test, results
are reported as vWF:Ag. Normal values are between 70-180% vWF:Ag and these
animals are considered free of defective genes. Borderline cases are reported bet-
ween 50-69% vWF:Ag and their genotypic status cannot be determined, while ani-
mals are considered Abnormal if levels are between 0-49% vWF:Ag. These animals
are likely to produce carriers of the defective genes. Blood for analysis should be
anticoagulated with 3.2% citrate at 9:1 ratio of blood to anticoagulant or with 15%
EDTA at a ratio of 1:100. Hemolyzed samples are not to be used as hemolysis cau-
ses significant decrease in vWF levels. The blood should be immediately centrifu-
ged, separated and frozen. These assays however, do not determine biologic activi-
ty or give multimeric distribution, which is done through electrophoresis (multime-
ric analysis) and considered a research tool rather than a diagnostic test. There are
also physiologic factors that affect the vWF:Ag. Blood drawn from a cephalic vein
will have greater levels of vWF:Ag than when drawn from jugular veins. Strenuous
exercise, epinephrine and pregnancy will also raise vWF levels. Although deemed
controversial, recent studies have shown no association between hypothyroidism
and acquired vWD .
Buccal Mucosal Bleeding Time (BMBT) can be used to determine a defect
of primary hemostasis. Values obtained from two incisions can be averaged for
more accurate results. Normal dogs have a BMBT of less than 4 minutes. This is a
global test of primary hemostasis and thrombocytopenia, platelet function deficits,
vasculitis will result in prolongation of the BMBT.

Therapy

If anemia is not severe, the use of Fresh plasma (FP), Fresh Frozen Plasma
(FFP) or cryoprecipitate (CP) is recommended. Administration of CP significantly
increases vWF levels within 30 minutes of administration and improves BMBT.
Fresh plasma also increases vWF levels and improves treated patients although
BMBT are not dramatically improved. This may be because a transfusion will
replenish the plasma pool but not the subendothelium pool or the platelets consu-
med in bleeding One unit of plasma for every 20kg is the recommended dose.
Desmopressin acetate (DDAVP) can be useful in treatment of vWD when
used to prevent or control hemorrhage associated with surgery. In dogs, the release
73
of stored vWF from endothelium is less dramatic then in humans. Despite the insi-
gnificant increase in vWF in dogs with type I vWD given DDAVP, the BMBT does
decrease. This decrease appears to be the result of a preferential increase in the lar-
ger, more hemostatically active multimers which occurs with DDAVP treatment.
The onset of activity occurs within 30 minutes and last about 2 hours. Although
there are intravenous preparations available, the expense has led to the use of the
intranasal preparation given subcutaneously to dogs at 1-4 μg/kg one hour before
surgery. Administration to blood donors one hour prior to blood collection has also
been proposed.

Hemophilia A
This x chromosone-linked recessive inherited disease is expressed an a fac-
tor VIII deficiency. Generally females are carriers with only males express signs of
the disease. However, a carrier female crossed to an affected male will produce
affected females. This disease has been recognized in most dog breeds and also in
mixed-breed dogs. A higher prevalence is seen in the German Shepherd dogs.
As with most coagulopathies, body cavity hemorrhages (Abdomen, thorax
and joints) and extensive bruising are the most common manifestations. Since fac-
tor VIII is involved in the intrinsic coagulation pathway, prolongation of ACT and
APTT are seen. The diagnosis is verified by specific factors analysis. Factor VIII
activity varies from 0-25% in affected animals. The result of BMBT would be nor-
mal, whereas CBT (Cutical bleeding time) would be prolonged. A mild decrease in
factor VIII activity can be seen with animals affected with vWD – this decrease
occurs because of factor VIII circulates bound to vWF which prolongs its half-life.
Dogs with hemophilia A tend to have increased levels of vWF.
Therapy consists of administration of blood products. If severely anemic,
whole blood can be given. FFP or Cryoprecipitate is preferred. Although therapy
with anabolic steroids has been suggested to increase factor VIII activity in humans,
anabolic steroids also increase fibrinolysis, leading to more rapid clot lysis and
necessitate repeat transfusions.

Hemophilia B (Christmas Disease) is an x-chromosome-linked recessive disease


that is expressed as a deficiency of factor IX. It has been identified in 15 breeds of
dogs. Factor IX is one of the vitamin K dependant factor produced in the liver.
Clinical signs are similar to those in hemophilia A. Dogs with factor IX deficiency
invariably have less than 1% of normal factor activity detected. Both ACT and
APTT are prolonged. Definitive diagnosis depends on specific factor analysis.
Therapy includes FFP or cryosupernatant.

74
Other Hereditary Coagulopathies
y g p
1) Hypofibrinogenemia (factor I deficiency) has been identified in St. Bernards dogs associated with
prolonged PT and marked bleeding diathesis in severely affected animals.
2) Autosomal recessive factor II (prothrombin) deficiency has been identified in families of Boxers
with prolonged PT.
3) Factor VII deficiency has been identified as an autosomal dominant disease in Beagles. Bleeding
has rarely been reported but there is an increase in PT
4) Factor X deficiency has been identified in Cocker Spaniels as an autosomal dominant trait with
variable expression. There are elevations in APTT , PT
5) Factor XI deficiency has been reported in Kerry Blue Terriers, Great Pyrenees, English Springer
Spaniels – autosomal recessive trait. There is prolongation of APTT and variable bleeding
tendencies.
6) Factor XII (Hageman factor) has been reported in miniature poodles but more commonly identified
in cats. Although there is increase in the APTT, it is not associated with bleeding tendencies.
5) Prekallikrein deficiency has been seen in a variety of breeds. It causes elevations in the APTT
without bleeding tendency.

Blood Product Therapy:

Fresh Whole Blood – less than 6 hrs since collection. Factor VIII, vWF and factor
V are inactive when blood is stored but vitamin K-dependant factors retain their
activity.

Fresh Frozen Plasma and Fresh Plasma – If transfused within 6 hrs all vital coagu-
lation proteins activity is retained. Rapid separation from whole blood preserves the
activity of factors V and VIII and vWF. Fresh plasma also contains albumin, com-
plement proteins, antithrombin III and immunoglobulins. FFP retains its coagula-
tion activity for as long as 1 year.

Frozen plasma – when plasma is separated from RBC’s after 6 hours of collection
it becomes deficient in factors V, VIII and vWF

Cryoprecipitate – When fresh-frozen plasma is slowly thawed at 4 0C, a precipita-


te is formed. Most of factor VIII, fibrinogen and vWF in the plasma is contained in
CP. It is generally 1/10 of volume of original plasma. The remainder is called cryo-
free plasma or cryosupernatant, which contains most of the other active coagulation
factors. The larger multimers of vWF appear to be preferentially precipitated. A
dose of 1 unit of cryo ( produced from 150 mls of plasma) per 10 kg has been
recommended.

Hypercoagulable States

Hypercoagulable states, or prothrombotic, are the clinical conditions that


predispose affected patients to thromboembolism. The pathophysiology of throm-
75
bosis depends on three major factors: alterations in the vessel wall (vascular inju-
ry), impairment of blood flow (blood stasis) and in the chemical composition of
blood (hypercoagulability). This concept is known as Virchow’s Triad.
Vascular injury leads to the exposure of subendothelium vessel wall com-
ponents, such as collagen, resulting in platelet adhesion , and activation of the con-
tact phase of the coagulation system. Vascular integrity may be damaged with veno-
puncture, placement of intravenous catheters, infectious and inflammatory vasculi-
tis, and neoplastic invasion of vessels.
Blood stasis favors thrombosis by retarding the removal of activated coagulation
factors and by causing local hypoxia and vascular injury. Stasis can result from
hypovolemia, shock, cardiac insufficiency, blood vessel compression or immobili-
ty. Vascular obstruction by implants, foreign bodies or neoplasms may induce local
thrombosis as well. Cardiac chamber enlargement or vascular aneurysm leads to
focal sludging of flow and thrombus formation. Hyperviscosity, as occurs with
dehydration, polycythemia, leukemia, hyperglobulinemia, and hyperfibrinogene-
mia, also results in stasis.
While vascular stasis and injury are prothrombotic, true hypercoagulability
refers to a quantitaive or qualitative change in the coagulation system. In the sim-
plest sense, the coagulation system is composed of procoagulant (platelets and coa-
gulation factors) and anticoagulants (protein C, protein S, antithrombin III, heparin
cofactor II and the fibrinolytic system). Any imbalance may results in excessive
bleeding or hypercoagulation, depending on the nature of the imbalance.
Hypercoagulation can result from platelet hyperaggregability, excessive activation
or decreased removal of coagulation factors, deficiencies of natural anticoagulants
or defective fibrinolysis.
There appears to be no correlation between thrombocytosis and hypercoa-
gulation. Hyperaggregability of platelets, however, can increase thrombotic risk.
Platelet aggregation is finely controlled by interactions between the platelets them-
selves and the vascular endothelium. Platelets produce and release various proag-
gregating substances, including thromboxane A2, ADP, and prostaglandins G2 and
H2. The endothelium releases several inhibitors of platelet aggregation, namely
prostacyclin (PGI2) , ADPase and nitritic oxide (NO). Disturbance in this balance
can lead to thrombosis.
Increased activation of coagulation factor (by vascular injury or inflamma-
tory mediators) and decreased removal of factors from an areas of injury (due to sta-
sis or decreased activity of the reticuloendothelial system) may contribute to throm-
bosis. Whether increased levels of individual clotting factors alone heightens the
trend towards a thrombotic state remains controversial, but elevations of factor VIII
as seen with Cushing’s Disease and elevated fibrinogen levels have been incrimina-
ted in humans.
76
The mechanisms for triggering coagulation are offset by equally powerful
mechanisms for controlling it, and that coagulation is finely regulated system.
Three principal mechanisms are involved in this regulation: (1) antithrombin, (2)
protein C and protein S, and (3) the fibrinolytic system.
Protein C is a small (56,000 daltons) vitamin K- dependent serine protea-
se that is synthesized in the liver. It circulates in plasma as an inactive protein, but
is activated by thrombin complexed with thrombomodulin. Activated protein C
(APC) then exerts its anticogulant effect by inactivating membrane bound factors
Va and VIIIa (the amplifiers of coagulation). APC also encourages fibrinolysis by
neutralizing plasminogen activator activity. Both actions of protein C are greatly
enhanced by protein S. Protein S is a vitamin K dependent inhibitory factor of
small molecular weight (70,000 daltons) synthesized in the liver and megakaryocy-
tes. Antithrombin is an a2-globulin of low molecular weight 58,000 daltons that is
synthesized in the liver and endothelium cells. It is one of the most important inhi-
bitors of hemostasis and is said to account for approximately 80% of the total anti-
coagulant effect of plasma. AT functions as an inactivator of coagulation factors IIa,
IXa, Xa, XIa, and XIIa. This effect occurs too slowly to be physiologically relevant
unless heparin binds to AT, causing AT to undergo a conformational change that
increases its coagulation factor inactivation activity by 1000 fold. Natural heparin-
like substances (sulfated aminoglycans) are present on endothelial surfaces.
Heparin cofactor II (HC II) is a glycoprotein with a molecular weight of 64,000 dal-
tons. It acts as an inhibitor of thrombin, with its action also accelerated by heparin.
AT deficiency is well described. Acquired deficiencies occur due to decreased pro-
duction, loss, or consumption. Decreased hepatic production of AT occurs with
hepatopathies, but thrombosis generally does not result because coexisting factor
deficiencies favor hemorrhage. A similar situation occurs with generalized protein
loss, such as protein-losing enteropathies. In contrast, the increased glomerular per-
meability that accompanies protein-losing nephropathies (glomerulonephritis, amy-
loidosis) permits selective loss of lower molecular weight proteins. AT is smaller
than the procoagulant proteins, creating sufficient imbalance to favor a hypercoa-
guable state. Disseminated intravascular coagulation (DIC) is a situation of increa-
sed AT consumption, and AT levels have been found to be a useful diagnostic tool
and prognostic indicator in DIC. Congenital deficiencies of proteins C and S, AT,
and HC-II have not yet been described in veterinary patients, but account for most
thrombotic episodes in humans.
The fibrinolytic system is extremely complex, and remain the least completely
understood. There is evidence that fibrinolysis is exceedingly important in hyper-
coagulation. Persistence of thrombi is abnormal and implies defective fibrinolysis.
Recently, hypofibrinolysis has been demonstrated in most hypercoagulable states.
In its simplest form, the fibrinolytic system consists of plasminogen and the pla-
77
sminogen activators, that convert plasminogen to plasmin. Plasmin then is respon-
sible for dissolution of the fibrin clot. There are two physiologic plasminogen acti-
vators: tissue-type plasminogen activator (t-PA), and urokinase (UK). T-PA is
released from intact endothelium in its active form; pro-UK is an inactivate zymo-
gen which is converted to UK by kallikrein. Both t-PA and UK are inhibited by pla-
sminogen activator inhibitor (PAI-1), the major inhibitor of the system. Other
inhibitors include: histidine-rich glycoprotein (HRG) which interferes with the bin-
ding of plasminogen to fibrin, a2-antiplasmin which inhibits plasmin, and C’1-inhi-
bitor which inactivates kallikrein. a2-macroglobulin is a scavenger protease inhibi-
tor that intervenes in situations in which antiplasmin is markedly decreased (i.e.
thrombolytic therapy). Hypofibrinolysis and resultant thrombosis can occur due to
decreases in plasminogen, t-PA, or UK, or due to increases in inhibitors. Increased
levels of PAI appear to be , by far, the most frequent cause in human patients.
Thrombosis associated with the development of antiphospholipid antibodies
(“lupus-type anticoagulants”) is common in humans and has been described in a
dog with immune mediated hemolytic anemia. The exact mechanism by which
lupus anticoagulants cause thrombosis is unclear, but these antibodies may develop
secondary to autoimmune disease, neoplasia, infectious or inflammatory disease,
and as a drug reactions.
Defects of platelet function, dysfibrinolysis, plasminogen deficiency, dysfibrinoge-
nemia, and tissue- plasminogen activator deficiency may also lead to thrombosis in
humans, but have not yet been described in veterinary patients.

Specific Prothrombotic Disorders

Nephrotic Syndrome
Glomerular damage leads to leakage of small molecular weight proteins
from blood. Because all of the major inhibitors of coagulation are proteins smaller
than albumin, significant protein loss will result in acquired coagulation inhibitor
deficiency. Antithrombin III deficiency is well documented in protein losing glome-
rulonephropathy. The hypercoagulable state results from retention of high molecu-
lar weight hemostatic factors and selective loss of hemostatic regulators.
Underlying inflammation also contributes to hypercoagulable state by increasing
production of acute phase proteins that have importance in hemostatic reactions, i.e.
fibrinogen, factor VIII, and a2-macroglobulin. Hypoalbuminemia contributes to
hypercoagulability due to the development of platelet hyperactivity. Pulmonary
thromboembolism is the hypercoagulability disorder most commonly seen with this
syndrome.

78
Immune-mediated Hemolytic Anemia (IMHA)
PTE is also a common complication of IMHA, occurring in up to 60% of
IMHA patient. The exact mechanism is unclear, but may be associated with the
development of antiphospholipid antibodies, non-specific coagulation activation
and the release of inflammatory cytokines, the use of corticosteroids, frequent veno-
puncture and catherization , or patient inactivity resulting in sluggish blood flow.

Cardiac Disease
Arterial thromboembolism (ATE) occurs commonly in cats with cardiac
disease, especially cats with hypertrophic cardiomyopathy. Moderate to severe left
atrial enlargement and swirling echocardiographic densities in the left atrium
(“smoke”) are considered risk factors for ATE.

Hyperadrenocorticism
Patients with endogenous or exogenous glucocorticoid excess may develop
venous, pulmonary or arterial thrombosis. The mechanism of hypercoagulability
associated with Cushing’s is unknown. Contributing factors may include increase in
coagulation factors (factors VIII, V and prothrombin) or the occurrence of secon-
dary hypertension.

Disseminated Intravascular Coagulation


(See section on DIC)

Other disorders implicated in the development of a hypercoaguable state include


glomerulonephritis, acute renal failure, vegetative endocarditis, heartworm disease,
malignancy (carcinomas, sarcomas), acute pancreatic necrosis, diabetes mellitus,
sepsis, and SIRS.

Laboratory Diagnosis of Hypercoagulation

The detection of hypercoagulability is extremely difficult in clinical practi-


ce. There is little evidence between thrombocytosis, shortened bleeding times, shor-
tened PT, APTT and a thrombotic tendency. Fibrin degradation products (FDP) are
generated by the dissolution of fibrin by plasmin. Increased concentrations, there-
fore, indirectly imply thrombus formation. FDP concentrations, however, are
influenced by other factors, such as fibrinolytic activity and hepatic clearance.
AT and fibrinogen concentrations are more useful, but less widely availa-
ble. AT concentrations are well correlated to thrombotic risk, where a deficiency is
the primary mechanism of thrombosis.

79
Antithrombin Interpretation Therapy
Value
> 90% Normal Continue to monitor
< 80% Low – potential for Monitor closely; consider
hypercoagulability heparin
< 60% Very Low- at risk for Requires AT replacement
thrombosis and DIC and heparin
< 30% Critical – immediate risk Requires aggressive,
of thrombosis immediate AT replacement
and heparin

From CVT XIII p. 193

Screening tests for the assessment of hypercoagulabilty have been developed but
not widely used in clinical practice. Elevations in the by-product of prothrombin
activation (fragments F1 and F2) or fibrinogen cleavage (fibropeptides A and B),
and increased concentrations of thrombin:AT complex provide reliable evidence
that thrombin has been generated. D-Dimer is a unique FDP that is formed when
cross-linked fibrin is proteolyzed by plasmin. Since cross-linkage of fibrin implica-
tes the production of thrombin, elevations in D-dimers imply the presence of both
thrombin and circulating plasmin. Laboratory assessment of the fibrinolytic system
is still largely limited to research facilities.

Antithrombotic Therapy

Coumarin anticoagulants (like Warfarin) block the g-carboxylation of several glu-


tamate residues in factors II, VII,IX, X, and S as well as the endogenous anticoagu-
lant protein C. The blockade results in incomplete molecules that are biologically
inactive (unable to undergo calcium-mediate binding of prothrombin to platelet
phospholipids) and are also known as PIVKA, or proteins induced by vitamin K
antagonism or absence. This protein carboxylation is coupled with the oxidative
deactivation of vitamin K. The anticoagulant prevents the reductive metabolism of
the inactive vitamin K epoxide back to its active hydroquinone form. Its anticoagu-
lant effect results from a balance between partially inhibited synthesis and unalte-
red degradation of the four vitamin K dependent clotting factors. The resulting inhi-
bition of coagulation is dependent on their degradation rate in the circulation. These
half-lives are 7,24,40, 60 hours for factors VII,IX, X, and II, respectively.
Therapy using coumadin should be carefully titrated against the PT, with optimal
goal of 1.5 to 2 times prolongation of the patients baseline PT. Recommended dose
ranges from 0.05 to 0.1 mg/kg PO SID for three days then every other day to every
third day depending on individual response.
80
Aspirin antagonizes thromboxane A2, which is responsible for causing platelets to
alter shape, release their granules, and to aggregate. It is a mild platelet inhibitor
that slightly attenuates aggregation responses to ADP and collagen but does not
inhibit thrombin- or PAF- induced aggregation responses. Aspirin actually inhibits
synthesis of thromboxane A2 by irreversible acetylation of cyclooxygenase.
Because the anuclear platelet cannot synthesize new proteins, it cannot manufactu-
re new enzyme during its 10 day lifetime. Minidose aspirin is reported as 0.5mg/kg
PO BID. In cats, the dose is typically given every other day to every third day, and
the range is between 11-25mg/kg.

Ticlopidine reduces platelet aggregation by inhibiting the ADP pathway of plate-


lets. Unlike aspirin, the drug has no effect on prostaglandin metabolism.

Thromboxane Synthetase Inhibitors including Dazoxiben prevents formation of


TxA2 in platelets. Does not affect PGI2 formation by the vascular endothelium and
may actually increase the concentrations as a result of substrate diversion to prosta-
cyclin production. Unfortunately, seems other prostaglandins are also produced.
Aspirin seems to have a stronger anti-aggregation effect.

Dipyridamole a vasodilator user in coronary by-pass surgery. Also believed to have


“anti-platelet” effects via inhibition of phophodiesterase (results in increase in
cAMP within platelets, this inhibits platelet aggregation and granule release). In
combination with aspirin, dipyridamole has been used to treat membranoprolifera-
tive glomerulonephritis in humans with a positive response (increased survival but
no improvement with proteinuria). Also has been used prophylactically with aspi-
rin in dogs with heartworm disease and dogs with glomerulonephritis. Dose 4-10
mg/kg SID PO

Fibrinolytic drugs rapidly lyse thrombi by catalizing the formation of the serine
protease plasmin from its precursor plasminogen. These drugs create a generalized
lytic state when administered intravenously. Thus, both protective homeostatic
thrombi and target thromboemboli are broken down. In people, to reduce the non-
selective systemic effects of fibrinolytic agents, intra-arterial administration is used.
Tissue plasminogen activators may induce thrombolysis with less systemic fibrino-
lysis or fibrinogen break-down..

Streptokinase – protein synthesized by streptococci that combines with proactiva-


tor of inactive plasminogen. This enzymagtic complex catalyzes the conversion of
inactive plasminogen to active plasmin, which degrades fibrin into fibrin split pro-
ducts. Since Streptokinase does not have affinity for fibrin-bound plasminogen, it
81
can induce a state of systemic fibrinolysis and lead to significant coagulopathy. The
dose in cats reported as 90,000 units per cat in 20-60min, followed by 45,000 for 3
hrs.

Stanazolol – single 50mg IM dose in humans stimulates fibrinolysis. At 10mg daily


for 2 weeks, significantly increases plasma plasminogen and AT in humans.

Tissue Plasminogen Activator (TPA): intrinsic protein. Can be manufactured in


large quantities and has been used for lysis of thrombi involved with acute myocar-
dial infarction, pulmonary thromboemboli, peripheral vascular thrombosis in
humans. Has low affinity for circulating plasminogen. Doses effective for clot-lysis
do not activate circulating plasminogen or induce a systemic proteolytic condition.
Like plasminogen, has high affinity for fibrin within thrombi. As TPA binds to
fibrin it becomes located in close proximity to plasminogen which is transformed
into plasmin locally. The released plasmin is inhibited by circulating a2 antipla-
smin. Very expensive. Dose reported in cats is 1-10 mg/kg IV total dose as 0.25-1
mg/kg/hr. Mortality rate with this therapy was reported as 50%.

Understanding the inherent variability of coagulation tests


Screening tests of coagulation involve in vitro activation of parts of the clotting
cascade and measurement of the time until clot formation. The PT and the
Thrombotest (or PIVKA) evaluate the extrinsic and common pathways, whereas the
aPTT and activated clotting time (ACT) screen the intrinsic and common pathways.
The results of coagulation tests can vary depending upon methodology, venipunctu-
re technique, sample handling, temperature and pH. In addition, different reagents
and analyzers can vary in their sensitivity to factor deficiencies as well as their
responsiveness. Sensitivity is the ability to detect a deficiency and responsiveness
is the prolongation of the result. It is commonly stated that factor levels must fall to
~30% of normal before a coagulation test will be prolonged. In fact, prolongations
may be seen in some systems when factors fall below 50%, whereas others require
that factor levels are less than 10%. For example, the Thrombotest (or PIVKA) is a
modified prothrombin time which may be more sensitive to factor VII deficiency.

Variations in sample condition such as hemolysis, icterus, lipemia, and hyperfibri-


nogenemia can also affect results, as can the ratio of citrate to blood and the con-
centration of citrate in the sample. A citrate concentration of 3.2% or 3.8% and a
ratio of 9 parts blood to one part citrate is recommended. Underfilling a tube results
in a relative excess of citrate and prolonged results. National standards suggest that
tubes with less than a 90% fill be discarded as potentially inaccurate. Similarly,
variations in PCV and the concomitant change in the amount of plasma in each
82
sample will alter citrate concentration. A high PCV (greater than 55%) results in a
sufficiently small volume of plasma and high citrate concentration that results can
be prolonged.

Point of care testing


Except for the ACT, the methodology and equipment required for conventional coa-
gulation assays has restricted the performance of these tests to larger veterinary
laboratories, and thereby hindered their usefulness in veterinary practice.
Furthermore, submitting blood samples to external laboratories requires careful
sample handling and shipment, and the delay in obtaining results can hinder appro-
priate treatment of critically ill animals. Simple, standardized, point-of-care tests of
coagulation are therefore desirable and could greatly increase the appropriate use of
coagulation testing in veterinary medicine.

To date, the only point of care test available for evaluating secondary hemostasis
has been the ACT. While some veterinarians have found the ACT to be useful in the
assessment of bleeding disorders, others contend that the variability in results
makes it more difficult to interpret. A point of care coagulation analyzer is now
available (SCA 2000, Synbiotics, Lyons, France). We have assessed the use of this
analyzer in 59 dogs comprising 27 healthy dogs and 32 diseased dogs (22 of which
had clinical evidence of bleeding). The instrument is portable, simple to use, and
yields rapid results on a small volume of blood. When results from the SCA were
compared to conventional laboratory PT, aPTT and tube ACT, there was good cor-
relation. It appears that the SCA can detect bleeding disorders and differentiate
intrinsic, extrinsic, and common pathway abnormalities in a similar fashion to cli-
nical laboratory.

ANTICOAGULANT RODENTICIDES

CLASSIFICATION
Anticoagulant rodenticides (ACRs) are classified by chemical structure, generation
and duration of action.

Chemical Structure
ACRs are divided into the hydroxycoumarins and the indanediones.

Generation
First Generation - rodent resistance has developed.
Second Generation - no rodent resistance has developed.

83
Duration of Action
Short-acting - 4-6 days
Long-acting - 2-8 weeks

Confusion may arise because of the incorrect assumption that generation refers to
duration of action. This stems from the fact that first generation coumarins are short
acting and second generation coumarins are long acting. Indanediones are long and
short acting, first generation ACRs.

MECHANISM OF ACTION
ACRs act by depleting the body's reserves of functional vitamin K1. The gamma
glutamyl amino acid residues of Factors II, VII, IX and X must be carboxylated to
be functional. Vitamin K1 is necessary for this carboxylation during which it is con-
verted to vitamin K1-epoxide. The epoxide is then regenerated to vitamin K1 for
continued use. ACRs inhibit this regeneration. Synthesis of new factors is subse-
quently impaired and plasma levels fall according to their plasma half lives. In the
dog, Factors VII, IX, X and II have half lives of 6.2, 13.9, 16.5 and 41 hours respec-
tively.

Pharmacokinetics
The rate of absorption depends upon the individual formulation and the presence of
food in the stomach which slows absorption. In humans peak plasma levels of
sodium warfarin are achieved 2-8 hours after ingestion. Warfarin is 99% bound to
plasma albumin. It is metabolized by the liver and kidneys to inactive metabolites
which are then excreted in the urine and stool. The half lives of warfarin, diphaci-
none and brodifacoum are 14.5 hours, 4-5 days and 6 days respectively. The repor-
ted durations of action of warfarin, diphacinone and brodifacoum are 4-6 days, 3-6
weeks and 2-8 weeks respectively.

TOXICITY

Causes
Inadvertent consumption of inadequately secured bait is the most common cause.
Secondary toxicity occurring after ingestion of a rodent poisoned by a long-acting
ACR is possible but extremely rare. Although cats are susceptible to ACR intoxica-
tion, dogs are much more commonly affected undoubtedly due to their less fasti-
dious eating habits.

Predisposing or Exacerbating Factors


Decreased metabolism or displacement from protein binding sites
84
Many drugs have been implicated including phenylbutazone, aspirin, cimetidine,
metronidazole, chloramphenicol, allopurinol and amiodarone. Liver disease will
also reduce metabolism.

Other coagulopathies, thrombocytopenia or thrombocytopathia


Common examples are von Willebrand's Disease, immune-mediated thrombocyto-
paenia, liver failure, azotaemia and aspirin therapy.

Vitamin K deficiency
May be due to intestinal malabsorption or hepatobiliary disease. Vitamin K respon-
sive coagulopathy is a rare condition seen in Devon Rex cats.

Vitamin K epoxidase inhibi-


ACR Classification
tion
Chemical Name Synonyms Duration
of Action
Cephalosporins containing
(if reported) heterocyclic side-chains
COUMARINS inhibit this enzyme which
First Generation catalyses the carboxylation
Warfarin Coumafene 4-6 days of coagulation factor precur-
Zoocoumarin
sors.
Coumafuryl Fumarin
Tomarin
CLINICAL FEATURES
Second Generation
Brodifacoum Volak 2-8 weeks Onset of clinical signs usual-
(most common in US) BFC ly occurs 3-5 days after inge-
Bromadiolone stion, the most common ini-
tial signs being anorexia,
INDANEDIONES
(all first generation) depression and lethargy.
Diphacinone Diphenadione 3-6 weeks
Dyspnoea is the next most
Diphenacin common sign. Other possi-
Chlorophacinone Chlorodiphacinone ble manifestations are very
Chlorophaconon variable and usually refera-
Chlorphenazone ble to haemorrhage which
Chlorphacinone
may be external or internal.
Pindone Pivalyl valone
The former may present as
Valone Isoval
Isovaleryl
haematuria, melaena, hae-
Indanedione matemesis, epistaxis, hae-
Pivaldione moptysis or bleeding from a
cutaneous wound. The latter
may manifest as hypovolaemia or organ dysfunction secondary to haemorrhage.
85
On initial presentation a complete blood count may show anaemia and hypoprotei-
naemia however, it may be normal if the hemorrhagic episode is acute and recent
and insufficient time has elapsed for equilibration between the extra and intravascu-
lar fluid compartments.

In early ACR intoxication coagulation screen abnormalities will be limited to ele-


vation of the PT only. Early intoxications may therefore not be detected by an acti-
vated clotting time. By the time that clinical signs are evident both PT and PTT will
be prolonged.

DIFFERENTIAL DIAGNOSIS
Hereditary coagulopathies, von Willebrand's Disease, thrombocytopaenia, throm-
bocytopathia, severe liver disease, disseminated intravascular coagulation, hyper-
tension and hyperviscosity syndromes should be entertained as differential diagno-
ses in the inappropriately bleeding patient.
TREATMENT
Supportive treatment should be given as necessary to include fluid therapy and oxy-
gen supplementation if needed. Non-specific measures to reduce absorption should
be used for recent ingestions. Diuresis is ineffective in promoting excretion of
ACRs because they are highly protein bound and require biotransformation prior to
excretion.
Specific treatment involves vitamin K and fresh whole blood or fresh frozen plasma
(FFP) transfusion (15-30 ml/kg) to provide an immediate supply of clotting factors.
Vitamin K1 is the drug of choice; vitamin K3 is ineffective in treating ACR intoxi-
cation. The dose of vitamin K1 is controversial but seems to vary with the agent
involved. Heinz body anaemia is a potential risk with doses of 5mg/kg/day and
higher. A reasonable dosage regime is to start with 2mg/kg BID. In the bleeding
patient, Vitamin K1 should initially be given by the subcutaneous route.
Intravenous use has been associated with anaphylaxis and intramuscular injection
may result in serious haemorrhage. In animals not exhibiting signs of coagulopathy
vitamin K1 can be administered orally. Concurrent administration of oral vitamin
K1 and canned dog food increases the bioavailability of the former 4-5 fold.

After vitamin K supplementation synthesis of new coagulation factors is required


so a therapeutic effect is not expected for 12 hours. The effects of a fresh plasma
transfusion would be immediate but repeated transfusions may be required to sup-
ply sufficient clotting factors.

Vitamin K1 therapy should be continued until the ACR has been eliminated from
86
the body. The recommended duration of therapy for brodifacoum and diphacinone
is 4 weeks. A PT should be rechecked 48 hours after discontinuing vitamin K.
Possible sequelae to ACR intoxication
The animal should be monitored for signs referable to hypovolaemia or organ
dysfunction due to haemorrhage.

PROGNOSIS
Most animals suffering from ACR intoxication survive, but more severely affected
animals may require hospitalization and intensive care.

Client advice regarding other pets and human health risks


Other family pets likely to have been exposed should be examined and ideally a
prothrombin time measured. Exposure of children to the same source is also possi-
ble.

87
www.GePcommunication.it

88
Merial Italia spa • Strada 6, Palazzo E/5 – 20090 Assago (MI) • Servizio Tecnico tel. 02.57.76.63.29-30-28 – Fax 02.57.76.63.05 • www.merial.it
IL TRAUMA: BUONA DIAGNOSI,
BUONA TERAPIA
Dott. Marco Bertoli

Gli eventi traumatici sono uno dei principali motivi per i quali un paziente
viene portato in un centro di pronto soccorso e sono una delle cause primarie di
decesso dei piccoli animali, sia per il trauma acuto stesso sia per a sofferenza orga-
nica che esso provoca nelle ore successive all’ora zero.

Un corretto e razionale iter diagnostico permette una valutazione completa


del paziente ed una terapia adeguata e prioritaria a carico degli organi ed apparati
che, in seguito a trauma, provocheranno l’imminente pericolo di vita del paziente.

Respirare: la prima cosa..

Fratture di mascella e mandibola, palatoschisi, morsi su viso e collo ed edema della


glottide possono compromettere la normale capacità di avere una via aerea pervia
sia per discontinuità di tessuti duri o molli occludenti laringe e/o trachea sia per
secreti fisiologici o staravasi di sangue occludenti le prime vie aeree.

Nella mia pratica clinica solo 5 pazienti canini in 10 anni hanno avuto rottura della
trachea e tutti in seguito a morsi sul collo da parte di cani di maggiore stazza

I pazienti suddetti necessitano di un immediato ripristino della pervietà


delle vie respiratorie:
1.Rimozione di secreti o coaguli da bocca e gola attraverso un aspiratore
e/o garze pulite
2.Intubazione endotracheale se il paziente non è in grado di ventilare auto
nomamente
3.Tracheotomia se necessario bypassare il laringe per ostruzioni tali da non
permettere l’intubazione orotracheale
4.L’intubazione orotracheale è necessaria ed indispensabile in tutti i pazien
ti traumatizzati che mostrano perdita di coscienza

Se alla prima rapida valutazione del paziente è evidente una grave compromissione
della pervietà delle vie aeree superiori (prolungamento, difficoltà e rumori in fase
di inspirazione) il rischio anestesiologico al fine di garantire una via pervia è
ammesso ed indicato poichè il bypassaggio dell’ostruzione riporterà ad una norma-
le capacità ventilatoria
Associazioni di una Benzodiazepina (Diazepam 0,2 mg/kg iv) ed un Oppioide
(Fentanyl 2 mg/kg iv) ed eventualmente un induttore ad azione rapida (Propofol 0,5-
2 mg/kg iv) permettono l’immobilizzazione e terapia del dolore sufficiente per ese-
guire la maggior parte delle procedure che garantiranno una via respiratoria pervia
89
Ancora respirare...

Diversi lavori effettuati su pazienti con trauma automobilistico e pazienti caduti dal-
l’alto danno una percentuale di trauma toracico (Pneumotorace-Contusione polmo-
nare) associato superiore al 60%

Pneumotorace (accumulo di aria in cavità pleurica)

1.Aperto: comunicazione diretta tra cavità pleurica ed esterno (traumi o ferite pene-
tranti)

2.Chiuso: la maggior parte dei casi. La toracocentesi va effettuata se il pneumoto-


race determina una compromissione della ventilazione tale da non assicurare una
PaO2 accettabile (> 80 mmHG) o semplicemenete se clinicamente il paziente
mostra segni di insufficienza ventilatoria

3.Chiuso iperteso (“a valvola”): se dopo una o più toracocentesi l’aria si riaccumu-
la rapidamente nello spazio pleurico esso viene definito “a valvola” e necessita
sempre di drenaggio toracico ed aspirazione continua (manuale, con la tecnica delle
2 o 3 bottiglie o con valvola di Heimlich)

Anche in questo caso, se il paziente non è collaborativo, è consentita una lieve seda-
zione per eseguire una toracocentesi diagnostica e terapeutica. La maggior parte dei
pazienti non necessitano comunque di sedazione. Al contrario l’inserimento di un
drenaggio toracico necessita di anestesia profonda per l’inserimento

Contusione polmonare

La contusione polmonare è definita come uno stravaso di una doppia componente


liquida (sangue e trasudato) nell’interstizio o nelle basse vie respiratorie (bronchio-
li-alveoli).Spesso i pazienti con pneumotorace hanno associata contusione polmo-
nare.

L’accumulo di liquidi intrapolmonari impedirà la normale ematosi (scambio


O2/CO2 a livello alveolo-capillare) fino a portare i valori di Ossigeno ed Anidride
Carbonica a valori “soglia” pericolosi per la vita (PaO2<60 mmHg e PaCO2>50
mmHg) che necessiteranno, per la correzione e stabilizzazione, alla ventilazione
meccanica protratta anche per 12-24-48 ore.

Se i valori, misurabili con un emogasanalizzatore, non sono valori “soglia” o se il pazien-


te “sembra” respirare senza sofferenza manifesta e grave, il paziente potrà essere stabi-
lizzato con tranquillizzazione con oppioidi (Butorfanolo 0,2-0,4 mg/kg cn e gt im o iv) e
supplementazione di Ossigeno con catetere nasale a flusso 75-100 ml/kg/min. Tale flus-
so porterà la FiO2 (frazione di ossigeno nell’aria inspirata) dal 21% al 40-60%
90
Ernia diaframmatica

Il passaggio di visceri addominali in cavità pleurica necessità sempre di riposizio-


namento chirurgico dopo stabilizzazione del paziente (anche dopo 72 ore). Il
paziente necessita di chirurgia immediata se, tra gli organi erniati, c’è lo stomaco
poichè la sua dilatazione acuta può provocare un rapido scompenso ventilatorio del
paziente

Pneumomediastino

Dopo un trauma può essere dovuto a rottura di trachea, esofago o di grosse vie del-
l’albero respiratorio. Solitamente tale reperto radiografico è indice di grave instabi-
lità del paziente. Può determinare pneumotorace e pneumoretroperitoneo. la tran-
quillizzazione del paziente, il drenaggio di eventuale aria in cavità pleurica e ripa-
razione chirurgica della lesione sono la terapia

Un po’ di circolo...

Molti pazienti traumatizzati necessitano di rianimazione cardiocircolatoria poichè


l’induzione di vasocostrizione periferica catecoloamine-indotta (adrenalina e noradre-
nalina) inizialmente protettiva, protraendosi può risultare dannosa quando interessan-
te organi vitali come reni, tubo gastrointestinale, miocardio e circolo cerebrale

Alcuni pazienti mostrano segni di shock ipovolemico emorragico per perdita asso-
luta o relativa di sangue. Tali pazienti potrebbero necessitare di rianimazione car-
diocircolatoria con colloidi naturali come sangue o plasma oltre che la classica ria-
nimazione con cristalloidi e colloidi sintetici

La quantità di liquidi da somministrare deve essere quella necessaria a riportare i


valori pressori nella norma e tali valori devono essere strettamente monitorati con
misurazione diretta (catetere arterioso) o, più facilmente, con misurazione indiretta
(oscillometria o doppler vascolare). Grossolanamente possono essere presi i dosag-
gi riportati dalla maggior parte della bibliografia moderna

Cristalloidi: 80-90 ml/kg/hr nel cane 40-60 ml/kg/hr nel gatto

Colloidi sintetici: 5-20 ml/kg in bolo (30-60’) diminuendo del 30% la quantità di
cristalloidi

Importante!! Alcune patologie su pazienti traumatizzati necessita di “protezione


interstiziale” e quindi la quantità di fluidi da somministrare deve essere tale da
determinare una “Rianimazione ipotensiva” (Pressione sitolica >90 ma <110
mmHg)
Tali patologie sono essenzialmente il trauma cranico e la contusione polmonare. In
91
caso di contusione/emorragia polmonare, se possibile, sarebbe indicato non sommi-
nistrare fluidi se non strettamente necessario

Importante 2!!! I pazienti felini sono fortemente sensibili alla somministrazione di


fluidi quando sono ipotermici. Il loro sistema barorecettoriale non è perfettamente
sensibile quindi sono più a rischio di overflow ed edema polmonare iatrogeno quin-
di la rianimazione cardiocircolatoria deve essere concomitante ad un ripristino della
temperatura entro i range di normalità (> 380 C). Somministrazione endovenosa di
fluidi a 38,5o C, lampade ad infrarossi a debita distanza, aria calda e coperte di lana
sono la scelta migliore. Evitare tappeti termici a diretto contatto col paziente in que-
sta fase poichè provocheranno vasodilatazione periferica ed ulteriore dispersione di
calore

Problemi di pancia...

Se, dopo un trauma, c’è evidenza (segni radiografici o ecografici) o sospetto


(distensione addominale, petecchie sulla cute addominale ventrale) di versamento
addominale bisogna campionare il versamento stesso, eseguire esami su di esso e
confrontarli con gli stessi parametri eseguiti sul sangue periferico per evidenziare
presenza di urine (uroaddome) o bile (coleaddome). Pneumoperitoneo post-trauma
può indicare rottura di una via gastrointestinale e la citologia potrebbe mostrare la
presenza di fibre alimentari.

Uroaddome-Coleaddome e rottura di stomaco od intestino necessitano sempre di


celiotomia esplorativa.

L’esclusione di contaminazione del sangue addominale con urine o bile e l’esclu-


sione di rottura stomaco o intestino fa diagnosi di emoaddome puro che necessite-
rà di monitoraggio al fine di comprenderne il grado di stabilità in funzione di even-
tuale celiotomia esplorativa

Potassio del versamento 1,4 (cane) o 1,9 (gatto) volte superiore al Potassio del san-
gue periferico o Creatinina del versamento doppia rispetto a Creatinina sangue peri-
ferico sono alto indice di sospetto di Uroaddome. Tramite urografia ascendente
escudere rottura uretrale e/o vescicale (mezzo di contasto iodato 8% 5 ml/kg).
Tramite urografia discendente quella di rene/i ed ureteri.

Semplicemente Bilirubina del versamento superiore a quella del periferico porta ad


avere alto indice di sospetto di rottura colecisti o vie biliari (ecoaddome)

Se sangue puro, non contaminato quindi, fare prelievi seriali da sangue addomina-
le e periferico, con tempi di prelievo secondo stabilità del paziente, e confrontare il
loro trend dell’Ematocrito.
Se ematocrito di sangue addominale e periferico diminuisce in sincronia (es: 45-45
92
37-37 30-30...) l’emorragia è probabilmente attiva. Se l’Ematocrito del sangue peri-
ferico scende (è normale fino a valori soglia, ho perso sangue!!) e l’amatocrito del
sangue periferico ad un certo momento si ferma, resta stabile e poi comincia a sali-
re, probabilmente l’emorragia si è arrestata ed il paziente viene considerato stabile
permettendo una buona stabilizzazione, una corretta diagnosi ed una razionale scel-
ta di eventuale celiotomia esplorativa se necessaria (85% dei casi non necessaria)

93
94
EMERGENZE NEUROLOGICHE
Rocco Lombardo

Le emergenze neurologiche costituiscono spesso una sfida diagnostica e


terapeutica per il veterinario che lavora in una realtà di ambulatorio di base e che
deve saper affrontare problematiche della più svariata natura, riguardanti i diversi
aspetti della medicina veterinaria.
Permangono i principi di base della medicina e si ricorda in questa sede come siano
importanti la raccolta dell’anamnesi e la valutazione di base del soggetto mediante
esame clinico generale che deve essere eseguito in modo accurato. Individuati i
segni di una disfunzione del Sistema Nervoso l’esame neurologico costituisce poi
l’elemento indispensabile per inquadrare il problema. Numerosi testi (vedi fonti
bibliografiche) forniscono le nozioni necessarie per approfondire la conoscenza in
questo settore. Una buona conoscenza di segnalamento ed anamnesi, del quadro cli-
nico generale e degli elementi forniti dall’esame neurologico sono la base per poter
inquadrare nel modo corretto, gestire, o inviare ad uno specialista una volta stabi-
lizzato, il paziente presentatosi per un’emergenza.
L’approccio al paziente acuto (traumatizzato o no) che si suggerisce di utilizzare è
quello basato sull’ABC dell’approccio al trauma , schema di esame che consente di
esaminare il paziente a settori, in ordine di importanza per quello che riguarda le
funzioni vitali. Tale schema prevede la valutazione delle vie respiratorie e della fun-
zione respiratoria (A “airways” in inglese), della funzione cardiaca e circolatoria (B
“bleeding”), di quella neurologica (C “Central Nervous System”), digestiva (D),
escretoria (E), locomotoria (F “fractures”) e così via.
La valutazione della funzionalità del Sistema Nervoso (SN) viene fatta attraverso
l’esame neurologico.

Le malattie neurologiche che possono costituire un’emergenza sono diver-


se e possono essere classificate in base alla loro natura e localizzazione.

Crisi epilettiche (CE), stato epilettico (SE)


La crisi epilettica è uno dei segni neurologici che più frequentemente si presentano
nella pratica ambulatoriale di pronto soccorso. Le crisi possono presentarsi come
singole, multiple (più crisi singole che avvengono nell’arco di poche ore vengono
denominate “crisi a grappolo”), o come uno stato di crisi continuato, denominato
“stato epilettico”. La fenomenologia clinica più frequente è la “convulsione”, carat-
terizzata da perdita di coscienza, trisma, scialorrea, minzione e defecazione e da
contrazioni involontarie della muscolatura denominate tonico-cloniche (fasi di con-
trazioni toniche si alternano a fasi di contrazioni cloniche). Alle crisi classiche si
95
associano crisi a differente manifestazione clinica: crisi parziali, crisi atoniche, crisi
psicomotorie, ecc.
La parte più rostrale dell’encefalo (prosencefalo) è la struttura neuroanato-
mica che dà origine alle crisi convulsive (emisferi cerebrali e diencefalo). Le crisi
sono originate da alterazioni funzionali di pool di neuroni resi più eccitabili dalla
presenza di processi patologici encefalici, disordini metabolici, ipossia, sostanze
tossiche o che si sviluppano in particolari soggetti con soglia epilettogena più bassa
del normale (soggetti con epilessia idiopatica) e possono essere classificate anche
in base alla loro origine.
Le cause possono essere classificate in tre grandi categorie: alterazioni strutturali
dell’encefalo, alterazioni di ordine metabolico e tossico, forme idiopatiche.
Per alterazioni strutturali si intendono tutte quelle condizioni in cui il parenchima
encefalico si altera a causa di patologie che si associano ad alterazioni della strut-
tura; tali processi possono essere di origine congenita (idrocefalo, cisti aracnoidee,
malformazioni), infiammatorio infettivo e non (encefalite, meningoencefalite),
vascolare (ischemia-ipossia, tromboembolismo, lesioni infartuali), traumatico, neo-
plastico, degenerativo. Il tipo di epilessia che deriva da tali lesioni si denomina epi-
lessia sintomatica.
Le alterazioni dello stato metabolico dell’organismo e la presenza di tossici che
hanno ripercussioni sulla funzionalità neuronale spesso esitano nel generare crisi
epilettiche. In questa situazione si parla di epilessia reattiva; in tali situazioni, una
volta ripristinato lo stato metabolico di partenza o eliminato lo stato tossico, l’ence-
falo torna ad essere normale. Tra le cause metaboliche: insufficienza epatica, shunt
portosistemico, insufficienza renale, ipocalcemia, ipo- iper-natriemia, ipoglicemia,
carenza di tiamina. Tra i tossici piombo, organofosfati, glicole etilenico.
Nelle forme idiopatiche la causa è presumibilmente di origine genetica. L’epilessia
idiopatica, molto frequente nel cane, è invece da ritenersi rara nel gatto.

Le situazioni da gestire in regime di emergenza sono costituite dalla pre-


senza di più crisi che si ripetono in poco tempo (crisi a grappolo – più crisi che
avvengono in 24 ore) ed in quello stato in cui una crisi epilettica non cessa, perma-
nendo uno stato di crisi continua (stato epilettico – stato ictale della durata di 30
minuti o più, o crisi che ripetute in assenza di ritorno alla normalizzazione del
paziente in 30 minuti). In tali situazioni l’attività epilettica va interrotta spesso in
regime di ospedalizzazione del soggetto. Lo stato epilettico e le crisi a grappolo
possono costituire delle situazioni cui può associarsi un danno cerebrale permanen-
te o la morte del soggetto.
Le cause dello stato epilettico sono le stesse indicate prima come cause di crisi epi-
lettiche in generale. Tra le cause con maggior frequenza le forme di epilessia idio-
patica, le crisi reattive e le patologie strutturali encefaliche (ad esempio neoplasie)
96
soprattutto se in fase di sviluppo o non in corso di trattamento.
Fisiopatologicamente il quadro appare differente negli stadi iniziali dello
SE rispetto alle fasi successive. Inizialmente prevalgono i fenomeni legati all’atti-
vazione del sn simpatico (tachicardia, ipertensione, iperglicemia), seguiti da un
quadro in cui si riscontra ipotensione, ipoglicemia, ipertermia, ipossia. L’attività
muscolare prolungata e la difficoltà nella ventilazione provocano acidosi, ipercalie-
mia, ipossia-ipercarbia, ipertermia. Mioglobinuria associata ad ipotensione posso-
no provocare danno renale.

All’arrivo in pronto soccorso di un animale in stato epilettico vanno affron-


tate delle priorità di differente ordine: recupero informazioni essenziali segnaletico-
anamnestiche, stabilizzazione del paziente, interruzione attività epilettica, indagini
diagnostiche. Tali aspetti devono essere affrontati concomitantemente, in modo tale
da utilizzare i dati segnaletico-anamnestici assieme a quelli clinici, al fine di miglio-
rare la gestione del paziente, di focalizzare sul soggetto le indagini diagnostiche e
di ottimizzare il trattamento.
Una breve indagine segnaletico-anamnestica è necessaria, e svolta spesso
durante le prime fasi di trattamento, ed è volta ad inquadrare il soggetto come tipo
di animale, età, condizioni cliniche prima della comparsa delle crisi, anamnesi di
epilessia o meno, possible esposizione a sostanze tossiche, traumi, malattie in
corso, ecc.
Nei pazienti epilettici è importante sapere se hanno presentato stato epilet-
tico altre volte, se le crisi sono presenti da molto tempo e che andamento hanno; se
è in corso una terapia antiepilettica, con che farmaci, a che dosi, e, se, di recente,
sono stati sospesi i trattamenti. Inoltre se sono stati eseguiti esami di laboratorio di
recente, e che livello ematico di antiepilettici hanno.

La gestione è multimodale e contemporanea e può essere suddivisa nelle seguenti


parti (da M. Podell, 2006, modificato):

1- stabilizzazione sistemica.
a. Fornire ossigeno se la crisi non è in atto con maschera o con intubazio
ne orotracheale
b. Supportare l’apparato cardio-circolatorio con infusione e.v. di fluidi
(soluzione fisiologica a 10 ml/kg/hr)
c. Raffreddare lentamente il paziente fino a modica ipertermia (38.5°C) se
ipertermico
d. Dopo prelievo ematico per test diagnostici (glicemia, ematocrito/protei
ne totali, urea, pannello ematochimico, livelli ematici antiepilettici even
tualmente in corso), se ipoglicemico, somministrare bolo di glucosio (500
97
mg/kg in soluzione al 25%, in 15 minuti) o se cosciente per via orale con sciroppo
2- Arresto della crisi.
a. diazepam bolo di 0.5-2 mg/kg per via endovenosa o rettale o midazolam
(0.07-0.22 mg/kg e.v. o i.m.)
b. se la crisi persiste ripetere per altre due volte il bolo di diazepam o mida
zolam
i. Se cessa vai al punto c
ii. Se non cessa passa al punto 4
c. se la crisi cessa ma ne insorge una seconda e poi eventualmente una terza,
procedere di nuovo alla somministrazione di diazepam o midazolam e con
siderare il protocollo ad infusione continua

3- Istituzione terapia antiepilettica di mantenimento


a. Istituire terapia con fenobarbitale
i. 2.5 mg/kg ogni 12 ore in pazienti non in trattamento
ii. in pazienti in trattamento con fenobarbitale valutare la fenobar
bitalemia e decidere se aumentare la barbituremia o se iniziare altro
antiepilettico (potassio bromuro) secondo la formula: concentra
zione desiderata/concentrazione attuale X mg totali di fenobarbita
le die
b. Istituire terapia con bromuro
i. Pazienti non in terapia con bromuro: iniziare infusione continua
di sodio bromuro 3% in acqua sterile. 900 mg / kg in 24 ore.
Seguita da 25-30 mg/kg per os die. In alternativa la dose da carico
si può somministrare per enteroclisma (Bromuro Potassio soluzio
ne)
ii. Pazienti già in terapia. Valutare bromuremia (range terapeutico
ideale 1500-2500 mg/L) e somministrare ulteriore dose di bromu
ro.
c. In pazienti già in terapia con fenobarbitale e bromuro in associazione e
con livelli sierici giudicati terapeutici valutare un terzo antiepilettico
i. Levitiracetam (10-20 mg/kg bid o tid)
ii. Gabapentin (10-30 mg/kg bid o tid)
iii. Zonisamide (5-10 mg/kg bid)

4- Trattamento di crisi ripetute


a. Diazepam in infusione continua: 0.3 mg/kg/hr
b. Se la crisi cessa diminuire del 25 %, se non cessa aumentare fino a 0.5
mg/kg/hr
c. Se la crisi non cessa passare ad uno dei seguenti protocolli per almeno 6 ore
98
i. Pentobarbital: 2 mg/kg EV ad effetto, mantenimento con 5
mg/kg/ora
ii. Propofolo: 4-8 mg/kg EV induzione, 8-12 mg/kg/ora
d. Se la crisi al termine della terapia di 6 ore si ripresenta passare
al punto 5

5- Anestesia prolungata
a. Continuare con i protocolli precedenti per altre 12 ore
b. Anestesia inalatoria (Isofluorano) soprattutto in epatopatici e se non si
ottiene la risposta voluta con anestesia barbiturica

Trauma cranico
Il trauma cranico può causare conseguenze devastanti ed ha una relativa frequenza
nei piccoli animali. L’evento traumatico spesso è causa di edema encefalico, emor-
ragie generalmente parenchimali e lesioni del parenchima nervoso.
Come già detto la valutazione del paziente traumatizzato valuta priorità respiratorie
e cardiocircolatorie prima di quelle neurologiche. L’ipossia causa anossia cellulare
e l’aumento della CO2 vasodilatazione e quindi peggiora l’edema cerebrale. Il sup-
porto respiratorio fornendo ossigeno con maschera, sonda o tracheotubo nel pazien-
te incoscente è di fondamentale importanza. L’ipotensione o altre problematiche di
ordine cardiocircolatorio vanno affrontate prima di valutare la funzione neurologi-
ca. La compromissione del soggetto da un punto di vista respiratorio o cardiocirco-
latorio può di per se causare segni di marcata depressione del sensorio o di inco-
scienza. La stabilizzazione di questi apparati è di iportanza basilare.

Il riconoscimento dei segni clinici di trauma encefalico va fatto valutando diversi


aspetti della funzione neurologica:
- Stato della coscienza. Da vigile (normale) a depresso, delirante, stuporo
so o comatoso
- Pupille e riflessi pupillari. Alterazioni quali miosi o midriasi bilaterale,
anisocoria, non rispondenza al riflesso fotomotore indicano lesione al tron
co encefalico. La midriasi bilaterale fissa indica grave lesione mesencefali
ca
- Postura e funzione motoria. Le alterazioni della postura della testa (testa
estesa sul collo, testa girata su di un lato, testa ruotata) indicano lesioni
encefaliche in differenti sedi che si possono associare ad assenza della fun
zione motoria sui 4 arti (tetraplegia) e/o ad aumento del tono estensorio
degli arti.
- Vista. Lesioni della corteccia visiva, portano ad ipovisione o cecità in sog-
99
getti con pupille midriatiche ma con riflesso fotomotore intatto (in assenza di lesio-
ne del tronco encefalico rostrale)
- Respirazione. Le cause di alterazioni della respirazione oltre che da lesioni delle
vie respiratorie alte o basse possono anche essere encefaliche (midollo allungato)

Si forniscono di seguito i principi di trattamento

Trattamento
Gli obiettivi principali nella gestione del trauma cranico grave sono il man-
tenimento della perfusione cerebrale nei soggetti ipotesi ed il controllo della pres-
sione intracranica (ICP). Il trattamento del trauma encefalico è generalmente e prin-
cipalmente medico, rare sono le occasioni in cui la chirurgia possa essere indicata
nei piccoli animali

- Trattamento medico
o Adeguato posizionamento del paziente. Testa elevata di 30° rispetto al
tronco (livello cardiaco) ed estesa sul collo. Evitare ogni possibile fonte di
compressione giugulare. Tale posizione massimizza l’afflusso arterioso ed
il drenaggio venoso.
o Fluidi. Mantenimento di normovolemia o leggera ipervolemia. Utilizzare
preferenzialmente combinazioni di colloidi e cristalloidi.
o Mannitolo e diuretici. Uno dei capisaldi della terapia dell’ipertensione
endocranica, il mannitolo rapidamente causa un abbassamento della pres
sione endocranica per effetto osmotico e per il suo effetto di plasma espan
sione che migliora il flusso ematico e l’ossigenazione diminuendo la visco
sità del sangue e causando quindi vasocostrizione.
· La somministrazione va fatta per via EV in 15-20 minuti ed a dosi da 0.25
a 2 mg/kg. L’effetto è massimo in 30’ e persiste per 2-5 ore. La sommini
strazione di dosi successive può causare diuresi, e quindi ipovolemia e disi
dratazione intracellulare; ciò può portare ad ischemia ed ipossia.
· Da riservare ai pazienti in deterioramento o critici
· Non controindicato nelle emorragie cerebrali
· Effetto sinergistico con furosemide (0.7 mg/kg) nell’effetto di abbassamen
to ICP
o Farmaci vasoattivi. Se la terapia fluida non è sufficiente nel mantenere la
normotensione considerare dopamina (2-10 mcg/kg/minuto). In
corso di ipertensione considerare i bloccanti del canale del calcio, ma atten
zione spesso l’ipertensione, associata a bradicardia è legata al riflesso di
Cushing (aumento della pressione endocranica Æ ipossia, ipoperfusione
area vasomotoria Æ ipertensione sistemica Æ barocettori arteriosiÆ bradicardia)
100
o Ossigenazione e ventilazione
· Fornire ossigeno mediante maschera, intubazione orotracheale o sonda
nasale
· In caso di soggetto incoscente, con sospetto di aumento di ICP intubazio
ne orotracheale ed iperventilzione possono abbassare la pressione intra
cranica attraverso un meccanismo di vasocostrizione mediato dall’abbas
samento della pCO2
o Corticosteroidi. Tali farmaci sono comunemente usati nel paziente trauma
tizzato in generale. Non esiste dimostrazione che il loro uso sia associato
ad un miglior follow-up nel traumatizzato cranico. Attualmente non se ne
consiglia l’utilizzo, anche per i protocolli che prevedono l’uso del metil
prednisolone sodio succinato.
o Antiepilettici. É buona norma iniziare un antiepilettico nel traumatizzato
cranico al fine di evitare l’insorgenza di crisi epilettiche e l’aumento della
pressione endocranica ad esse associato
· Fenobarbitale. 2.5-3 mg/kg BID. Per almeno 6 mesi in assenza di crisi.
o Supporto nutrizionale. Fondamantale il supporto nutrizionale nel trauma
encefalico. In caso di soggetto incosciente o con impossibilità ad alimen
tarsi utilizzare sonde rinogastriche, faringo-, esofago- o gastrostomiche

- Terapia chirurgica
o La terapia chirurgica ha un ruolo limitato nella gestione del traumatizzato
cranio-encefalico canino e felino. Poche sono le situazioni in cui è richie
sta.
· Un intervento chirurgico è preceduto da diagnostica specifica, tomogra
fia computerizata o risonanza magnetica; tali indagini consentono diagno
si specifica ed individuazione di quelle condizioni che richiedono chirur
gia
· Cranitomia – craniectomia decompressiva in corso di ematomi epidurali
o subaracnoidei. Evenienza non frequente nei piccoli animali, dove le emor
ragie tendono a realizzarsi prevalentemente a livello parenchimale
· Osteosintesi o rimozione di frammenti ossei in caso di fratture assicoate
a depressione e quindi a compressione del parenchima encefalico

Trauma spinale acuto


Il trauma spinale acuto sovente è causa di disfunzioni spinali che possono
anche essere irreversibili data la gravità delle lesioni presenti. Per trauma spinale
acuto nel senso più ampio del termine si intendono tutte quelle situazioni patologi-
che che hanno come effetto una lesione spinale acuta-iperacuta e che si accompa-
gnano a deficit della funzione midollare spinale improvvisi. E’ necessario saper
101
riconoscerne i segni e conoscere il corretto modo di approcciare queste situazioni.
Le cause sono suddivise in cause esterne (eventi traumatici veri e propri che agisco-
no su colonna vertebrale e midollo spinale normali) e cause interne (patologie non
traumatiche che svolgono un’azione “traumatica” sul midollo spinale). Tra le cause
interne: paratopie discali acute (protrusioni ed estrusioni del disco intervertbrale
con associata mielopatia compressiva acuta), fratture patologiche o sublussazioni
patologiche (ad esempio quali complicanze di neoplasie vertebrali, osteodistrofia
fibrosa, discospondilite), emorragie acute, infarti spinali (mielopatia ischemica).
Il soggetto che sviluppa una mielopatia acuta-iperacuta presenterà sintomi gravi di
disfunzione spinale. In caso di patologia cervicale (C1-C5) o cervicotoracica (C6-
T2) saranno presenti tetraplegia o grave tetraparesi, con possibili segni di lateraliz-
zazione soprattutto nelle lesioni di natura vascolare (mielopatia ischemica). Le
lesioni gravi si accompagnano a disfunzione respiratoria per compromissione delle
vie discendenti motorie che controllano i motoneuroni inferiori i cui assoni costi-
tuiscono nn. frenici e nn. intercostali. In tali soggetti oltre alla paralisi o paresi si
evidenzierà dispnea e possible cianosi, fino anche ad apnea. Gli esami radiografici
del torace non evidenzieranno alterazioni particolari, mentre un esame emogas ana-
litico evidenzierà acidosi respiratoria.
In corso di lesioni del tratto T3-L3 o di quello L4-S2 i segni clinici riscon-
trati sono di paresi o paralisi del treno posteriore con frequenti alterazioni del nor-
male meccanismo di minzione, con forme di paralisi vescicale associata a ritenzo-
ne di urina ed a ipertono sfinteriale, e con forme di paralisi vescicale con perdite
continue di urina (incontinenza vera e propria, con lesione da motoneurone inferio-
re – tratto spinale L4-S2). In questi soggetti il riconoscimento di analgesia caudal-
mente al punto di lesione è indice di prognosi da riservata ad infausta per il recupe-
ro della funzionalità neurologica.

Il trauma spinale acuto si può presentare in forma di soggetto con perdita


acuta della funzione motoria volontaria a carico dei quattro arti (tetraplegia), degli
arti posteriori (paraplegia), di un emitreno (emiplegia), o di un singolo arto (mono-
plegia). Il trauma esterno sarà evidenziato dai dati anamnestici, così come l’assen-
za di eventi traumatici deporrà per un trauma interno.
Altre volte il trauma spinale acuto si può presentare con riluttanza al movimento,
marcatissima algia spinale, deambulazione alterata da incoordinazione o cedimenti
(paresi).
Telefonicamente a chi presta i primi soccorsi ad un soggetto traumatizzato
spinale bisogna fornire alcune istruzioni. E’ imperativo evitare eccessivi movimen-
ti della colonna vertebrale, soprattutto di torsione della cintura toraco-lombare, fre-
quente sede di traumi, e tipica nel soggetto con paraplegia che si mette in stazione
con il treno anteriore e cerca di muoversi spinto dall’agitazione o dalla paura, tra-
102
scinando il posteriore che spesso è in decubito laterale. Procurarsi un’asse e cerca-
re di posizionare il paziente in decubito laterale evitando che si sollevi, bloccando
arti, testa, collo e tronco. La stabilizzazione del rachide evita pericolosi movimenti
nel sito di instabilità e quindi peggioramento della lesione spinale.
La seconda fase è in ambulatorio e consiste nella valutazione del paziente secondo
lo schema dell’ABC dell’approccio al traumatizzato. Si procederà dapprima ad una
valutazione globale soprattutto di apparati respiratorio e cardiocircolatorio, tenen-
do presente che le alterazioni sono frequentemente riscontrabili. E’ buona norma
fornire ossigeno, ed una fluido terapia endovenosa. L’ossigenazione e la circolazio-
ne devono essere supportate per migliorare il metabolismo spinale. Una valutazio-
ne ECG è suggeribile, così come l’esecuzione di esami ematologici ed ematochimi-
ci di base, di un esame emogasanalitico e di test per la coagulazione in caso di
emorragia spontanea.
I traumatizzati spinali cervicali possono avere ipossia conseguente a dispnea o
apnea, a causa di lesioni delle vie della respirazione (vedi sopra); non sempre le
alterazioni respiratorie in un animale traumatizzato dipendono infatti da lesioni
delle prime vie respiratorie o toraciche.
Un esame neurologico viene eseguito sommariamente, senza porre il cane in stazio-
ne prima di aver escluso lesioni vertebrali instabili. Si valuteranno stato mentale,
funzione dei nn. cranici, presenza di movimenti volontari degli arti, riflessi spinali;
si palperanno con delicatezza tronco e collo alla ricerca di zone di dolore o di asim-
metrie e deviazioni. La lesione spinale verrà sospettata in uno specifico tratto in
base ai segni mostrati. Lo schema seguente potrà essere d’aiuto:

• Soggetto con deficit esclusivamente agli arti posteriori – lesione spinale caudale a T2
o T3-L3: quadro clinico con caratteristiche da lesione delle vie motorie
discendenti (vie del motoneurone superiore - UMN): arti posteriori rigi
di, riflessi spinali accentuati
o L4-S2 e cauda equina: quadro clinico con caratteristiche da lesione dei
corpi cellulari o degli assoni che costituiscono i motoneuroni inferiori
(LMN) per l’innervazione degli arti posteriori (lesione nell’intumescenza
lombare o nella cauda equina): arti posteriori ipotonici, riflessi spinali
diminuiti Soggetto con deficit agli arti posteriori ed anteriori – lesione spi
nale da C1 a T2 (o endocranica, osserva nn cranici e stato mentale)
o C1-C5: quadro clinico con caratteristiche da lesione delle vie motorie
discendenti per i quattro arti (vie del motoneurone superiore): arti anterio
ri e posteriori rigidi, riflessi spinali accentuati sui 4 arti
o C6-T2: quadro clinico misto. I segni sugli arti posteriori sono come nel
soggetto T3-L3, i segni sugli arti anteriori hanno caratteristiche da lesio
ne del motoneurone inferiore (per interessamento dell’intumescenza cer
103
vicale – sede di presenza dei LMN per gli arti anteriori). Gli arti anteriori
saranno ipotonici ed iporeflessici, i posteriori ipertonici ed iperreflessici
• Particolarità:
o Lesioni spinali cervicali possono causare sindrome di Horner (deficit del
l’innervazione simpatica dell’occhio, per alterazioni della via simpatico
cervicale): procidenza III palpebra, miosi, enoftalmo, ptosi palpebra supe
riore
o Lesioni spinali acute-iperacute possono causare shock spinale, in tale
situazione si può osservare depressione dei riflessi o del tono muscolare
anche in presenza di lesioni del tratto T3-L3 o C1-C5. In generale lo shock
spinale, quando presente, non dura molto, ed una rivalutazione del pazien
te a poche ore di distanza potrebbe fornire un quadro neurologico diffe
rente rispetto alla valutazione iniziale. Lo shock spinale nel cane e nel
gatto non si verifica sempre ed in genere non si prolunga oltre le 24 ore
o Lesioni spinali del tratto toraco-lombare (fino ad L4) possono causare il
fenomeno di Shiff-Sherrington in cui si manifesta rigidità estensoria negli
arti anteriori di un soggetto in cui non sono presenti altri deficit agli ante
riori ed in cui la lesione non interessa le vie motorie discendenti o i LMN
degli arti toracici. Una lesione acuta può provocare alterazioni a gruppi di
neuroni del tratto L1-L4 (border cells) o ad una via ascendente che
influenza, inibendolo, il tono dei mm. degli arti anteriori. Tale fenomeno
è transitorio e non è indice prognostico negativo

In seguito alla valutazione clinica il deficit neurologico di un soggetto può essere


poi valutato in una scala di gravità:
1 Soggetto asintomatico
2 Sola algia spinale, no deficit neurologici
3 Paresi deambulatoria
4 Paresi grave, non deambulatoria
5 Plegia, sensibilità nocicettiva conservata
6 Plegia e paralisi vescicale, sensibilità nocicettiva consevata
7 Plegia, paralisi vescicale, assenza di sensibilità nocicettiva caudalmente al sito di
lesione da meno di 48 ore
8 Plegia, paralisi vescicale, assenza di sensibilità nocicettiva caudalmente al sito di
lesione da più di 48 ore
9 Plegia, paralisi vescicale, assenza di sensibilità nocicettiva associate a segni di
patologia diffusa o aggravemento dei segni con il passare delle ore (sospetto di
mielomalacia discendente – ascendente il punto di lesione)
Man mano che il grado di deficit aumenta, diminuiscono le probabilità di un ritor-
no alla normale funzionalità spinale.
La prognosi è da ritenersi infausta per i soggetti malacici ed estremamente
104
riservata per quelli che presentano analgesia. Le lesioni spinali di origine traumati-
ca (trauma esterno) spesso provocano lesioni più gravi delle lesioni di altra origine.

Nei soggetti plegici il trattamento deve essere tempestivo ed è medico e chirurgico:


- stabilizzazione del paziente, diagnosi di lesione spinale, determinazione
della sua gravità e della localizzazione clinica. Importante l’ossigenazio
ne del soggetto ed il mantenimento di una buona volemia evitando l’ipo
tensione sistemica
- valutazione radiografica iniziale
- valutazione in anestesia generale con mielografia, TC o RM. Eventuali
altri esami strumentali e di laboratorio
- valutazione della diagnostica radiologica e pianificazione della chirurgia
eventuale
- chirurgia di decompressione, stabilizzazione o associazione delle due
secondo tecniche standardizzate dalla letteratura.

Attualmente il miglior ausilio terapeutico consiste in una tempestiva


decompressione chirurgica in caso di lesioni compressive (dislocazione di
schegge ossee o dei monconi di frattura, sublussazioni, rotture discali, ernie
discali, emorragie, ecc.) eventualmente associata a tecniche di stabilizzazione
vertebrale.

Alla lesione traumatica immediata (lesione spinale primaria) per meccani-


smi di ordine vascolare (ischemia, ipossia), metabolico ed infiammatorio segue
un’amplificazione delle lesioni nelle ore che seguono il trauma. Le lesioni seconda-
rie (lesione spinale secondaria) spesso sono più gravi di quelle primarie.
Esiste notevole controversia sull’uso di farmaci in corso di trauma spinale
acuto (ASCI). Farmaci quali desametazone, mannitolo, naloxone, ed altri hanno fal-
lito nel dimostrare utilità clinica nelle fasi acute del trauma spinale. Il razionale nel-
l’uso di tali farmaci è il blocco dei meccanismi che portano all’amplificazione del
danno spinale.
Il metil prednisolone sodio succinato è stato inserito in un protocollo divenuto
quasi standard nel pazienti con ASCI in medicina umana fino a qualche tempo fa. In
medicina veterinaria il protocollo di somministrazione è stato amplimente utilizzato.
Studi successivi ne hanno messo in dubbio l’efficacia a fronte di effetti collaterali docu-
mentati. Non esistono studi conclusivi sull’uso del farmaco nel cane o nel gatto. Il suo
utilizzo è al momento attuale da considerarsi controverso.
Molte sostanze sono allo studio sperimentale e clinico in pazienti con ASCI. Al
momento attuale tuttavia l’approccio farmacologico permane non standardizzato.
Il trattamento delle lesioni spinali acute varia in relazione alla diagnosi ovviamen-
105
te, alla gravità del quadro clinico, al tempo trascorso dal momento del trauma, alle
risorse finanziarie, alle tecniche a disposizione. Una trattazione di ogni singolo
aspetto delle patologie spinali che danno luogo ad insorgenza acuta dei segni esula
dallo scopo dei presenti atti. Si rimanda ai testi specifici di riferimento.

Patologie del sistema nervoso periferico e patologie miscellanee


Alcune, non frequenti patologie del sistema nervoso periferico per la loro
gravità e perchè costituiscono importanti diagnosi differenziali con quanto visto
finora (malattie spinali e trauma cranico) debbono essere considerate. Si rimanda ai
testi specifici per la loro trattazione. Le principali sono:

Malattie generalizzate dell’unità motoria

Poliradicoloneurite acuta
Miastenia Gravis
Botulismo

Tetano

Malattie di natura vascolare

Tromboembolismo e neuromiopatia ischemica

Lesioni traumatiche periferiche


Avulsione del plesso brachiale – lesioni nn periferici arto anteriore
Trauma plesso lombosacrale – lesioni nn. periferici arto posteriore

Letture consigliate
1- Dewey C.W. “A pratical guide to Canine and Feline Neurology”, Blackwell
publishing 2003
2- Bagley R.S.: “Fundamentals of Veterinary Clinical Neurology”, Blackwell
publishing 2006
3- Bernardini M.:“Neurologia del cane e del gatto” Poletto editore, 2002
4- Sharp N.J.H., Wheeler S.J. “Small Animal Spinal Disorders. Diagnosis and
Surgery” 2nd Ed., Elsevier Mosby 2005
5- Platt S., Olby N. “BSAVA Manual of Canine and Feline Neurology”, BSAVA
2004. Nota: di questo testo è disponibile una traduzione in italiano
6- Fossum T.W. “Small Animal Surgery” 3rd Ed., Elsevier Mosby 2007

106
107
NOTE

108
NOTE

109
NOTE

110
NOTE

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INDICE

Shok e rianimazione
Rebecca Kirby................................................................................................9

Squilibri elettronici critici


Rebecca Kirby...............................................................................................15

Insufficenza renale acuta


Rebecca Kirby...............................................................................................27

My pet is vomiting-is it an emergency


Dez Hughes...................................................................................................41

Arterial and venous blood gas analisis


Dez Hughes...................................................................................................53

Coaugulopathies and Rodenticide Toxicitie - Diagnosis and management


Dez Hughes...................................................................................................65

Il trauma: buona diagnosi, buona terapia


Dott. Marco Bertoli.......................................................................................89

Emergnze neurologiche
Rocco Lombardo...........................................................................................95

112
L’UNICA GAMMA VACCINALE COMPLETA PRIVA DI ADIUVANTI CHE OFFRE: Osteoartrite
Ceppi di Calicivirus correlati a quelli di campo
Valenza FeLV a vettore virale Canarypox
Muoversi di nuovo…
Chlamydia viva attenuata ed ogni giorno sempre di più
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RAPIDO E POTENTE CONTROLLO DEL DOLORE: dimostrato nel 94% dei soggetti trattati(1)
(1)
IL NUOVO STANDARD DI SICUREZZA nelle terapie a tempo indeterminato
LA SODDISFAZIONE DEI PROPRIETARI: oltre il 90% ne ha confermato l’efficacia in termini di rapido
recupero del movimento (effetto “get up and go”), miglioramento della vitalità e della qualità della vita(2).
(3)
SEMPRE PIÙ UTILIZZATO DAI MEDICI VETERINARI: scelto in 1 caso ogni 3

(1) PREVICOX™ Registration Dossier (data on file) - EMEA Centralised Registration n°EU/2/04/045/001-00
(2) PREVICOX User Survey - Bio’sat - France - December 2005
(3) Rielaborazione dati IMS Health S.p.A. - Febbraio 2007

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