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Bello e Potente by T L Swan
Bello e Potente by T L Swan
T L Swan
Indice
1. Emily
2. Emily
3. Emily
4. Emily
5. Emily
6. Emily
7. Emily
8. Jameson
9. Emily
10. Jameson
11. Emily
12. Emily
13. Emily
14. Emily
15. Emily
16. Jameson
17. Emily
18. Emily
19. Emily
20. Jameson
21. Jameson
22. Emily
23. Emily
24. Emily
25. Emily
26. Emily
27. Jameson
Epilogo
Ringraziamenti
Queen Edizioni
www.queenedizioni.com
ISBN: 9788892890879
This edition is made possible under a license arrangement originating with Amazon Publishing,
www.apub.com, in collaboration with Thesis Contents srl.
Tutti i personaggi e gli eventi descritti in questo libro sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e
qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi e non, è puramente casuale.
Vorrei dedicare questo libro all’alfabeto, perché quelle ventisei lettere
hanno cambiato la mia vita. In quelle ventisei lettere ho trovato me stessa e
ora vivo il mio sogno.
La prossima volta che dirai l’alfabeto, ricorda il suo potere.
Io lo faccio ogni giorno.
Capitolo 1
Emily
«Okay, prossima domanda. Il posto più strano in cui hai fatto sesso?»
mormora lui.
Faccio un sorrisetto. «Non puoi chiedermelo.»
«Sì che posso. L’ho appena fatto.»
«È scortese.»
«Chi lo dice?» Si guarda intorno. «È solo una domanda, e non ci sta
ascoltando nessuno.»
Jim ed io abbiamo parlato, bisbigliato e ridacchiato per tutto il volo.
«Mmh.» Rifletto ad alta voce. «È difficile.»
«Perché?»
«Al momento sono in un periodo di magra. Mi ricordo a malapena il
sesso.»
«Da quanto tempo?» Si acciglia lui.
«Oh.» Alzo lo sguardo al soffitto mentre penso. «Non lo faccio da
tipo… diciotto mesi.»
La sua espressione si fa sgomenta per l’orrore. «Cosa?»
«È patetico, non è vero?» dico con una smorfia.
«Molto. Devi darti una mossa. Sono numeri terribili.»
«Lo so.» Ridacchio. Accidenti… quanto siamo brilli. «Perché ti sto
dicendo tutte queste cose?» bisbiglio. «Sei solo un tizio qualsiasi che ho
incontrato in aereo.»
«Che, guarda caso, è molto interessato all’argomento.»
«E come mai?»
Si sporge e, per non farsi sentire dall’assistente di volo, mormora: «Non
capisco come una ragazza bella come te non si faccia scopare tre volte al
giorno».
Lo fisso, sentendomi formicolare fino alla punta dei piedi. Smettila.
Quest’uomo è troppo vecchio per me, e non è affatto il mio tipo.
Jim abbassa lo sguardo sulle mie labbra, e l’aria tra di noi si carica di
elettricità.
«Per quanto tempo rimarrai a New York?» mi chiede.
Guardo la sua lingua guizzare fuori per muoversi lentamente sul suo
labbro inferiore. Riesco quasi a immaginarla tra le mie…
«Solo un pomeriggio. Ho il colloquio alle sei di stasera, e poi prenderò
l’ultimo volo per andarmene», bisbiglio.
«Puoi cambiare il volo?»
Perché?
«No.»
Mi studia con un sorrisetto, ed è ovvio che abbia in mente qualcosa.
«Che c’è?» gli chiedo divertita.
«Vorrei che fossimo su un jet privato.»
«E perché?»
Abbassa di nuovo lo sguardo sulle mie labbra. «Perché interromperei
questo tuo periodo di magra e ti accoglierei nel Miles High Club, il club del
sesso ad alta quota.»
Ho una visione di me mentre gli monto sopra, qui e ora. «Quello è il
Mile High Club, non Miles», mormoro.
«No… è proprio Miles.» Incurva le labbra mentre i suoi occhi si
incupiscono. «Fidati di me… è Miles.»
Dentro di me si spezza qualcosa, e all’improvviso voglio confessargli
qualcosa di folle e fuori dall’ordinario. Mi sporgo in avanti e gli bisbiglio
all’orecchio: «Lo sai, non ho mai scopato con uno sconosciuto prima».
Jim inspira bruscamente e incontra il mio sguardo. «Vuoi farlo?»
sussurra. L’eccitazione palpita tra di noi.
Lo fisso. È così insolito per me. Quest’uomo mi rende…
«Non essere timida», sussurra. «Dimmi, se in questo momento fossimo
da soli…» Si interrompe per scegliere le sue parole. «Che cosa mi daresti,
Emily?»
Lo guardo negli occhi, e forse è l’alcol, la carenza di sesso o la certezza
che non lo rivedrò mai più… o magari è solo che sono una zoccola.
«Me stessa», bisbiglio. «Ti darei me stessa.»
Senza mai distogliere lo sguardo, come se si fosse dimenticato di dove
ci troviamo, si allunga per posarmi una mano sul viso. I suoi occhi sono di
un blu molto intenso, e al suo tocco vengo attraversata da un’ondata di
eccitazione.
Voglio quest’uomo.
Voglio tutto di lui… fino all’ultima goccia.
«Salvietta calda?» ci offre Jessica, l’assistente di volo.
Ci allontaniamo di scatto l’una dall’altro, imbarazzati. Che cosa
penseranno di noi? Ci hanno visti flirtare spudoratamente per tutto il
viaggio.
«Grazie», balbetto, accettando la salvietta.
«A New York c’è una tempesta di neve, quindi dovremo volare in
cerchio per un po’ per vedere se è possibile atterrare», ci comunica.
«Che succede se non ci riusciamo?» chiede Jim.
«Andremo a Boston e faremo uno scalo d’emergenza per la notte.
Ovviamente vi verrà offerto un albergo. Lo sapremo nei prossimi dieci
minuti. Vi terrò aggiornati.»
«Grazie.»
La donna si allontana, diretta verso l’altro capo dell’aereo, e Jim mi si
avvicina per sussurrare: «Spero che New York congeli, cazzo».
Il mio stomaco fa una capriola, all’improvviso mi scopro molto nervosa.
«Come mai?»
«Ho dei piani in serbo per noi», mormora.
Lo fisso, con il cervello in panne. L’ho provocato da vera professionista,
ma in realtà non sono quel genere di ragazza. È facile mostrarsi audaci e
disinibite quando non c’è alcuna possibilità che succeda qualcosa. Inizio a
sudare. Perché ho bevuto così tanto? Per quale motivo gli ho raccontato del
mio periodo di magra?
Era un’informazione riservata, sciocca.
«Un altro drink?» mi offre Jim.
«Non posso… Questo pomeriggio ho un colloquio.»
«Non credo che ci andrai.»
«Non dirlo», balbetto. «Voglio quel lavoro.»
«Buonasera, passeggeri, è il capitano che vi parla.» Una voce risuona
dall’altoparlante, e io chiudo gli occhi. Merda. «A causa di una tempesta di
neve a New York, questa notte ci dirigeremo a Boston e pernotteremo lì.
Torneremo a New York domani mattina presto. Siamo spiacenti per
l’eventuale disagio, ma la nostra priorità è la sicurezza.»
Incontro lo sguardo di Jim, che mi lancia un pigro sorriso sexy,
sollevando le sopracciglia.
Oh, no.
Capitolo 2
Emily
Sono sdraiata nuda a letto, e Jim mi rivolge un sorriso sexy. È vestito, la sua
valigia è pronta e poggiata a terra vicino alla porta. «Devo andare.»
Faccio una smorfia e tendo le braccia verso di lui. «No, non lasciarmi»,
lo stuzzico con tono lamentoso.
Lui ridacchia, chinandosi per abbracciarmi un’ultima volta. Questa
mattina non prenderemo lo stesso volo per New York: il suo aereo parte
presto, e il mio più tardi. Mi bacia dolcemente.
«Che notte», sussurra.
Sorrido mentre Jim affonda la testa nell’incavo del mio collo,
mordicchiandomi lungo la clavicola. «Non camminerò per un mese, anzi,
un anno», borbotto sardonica.
Lui si abbassa e mi stringe forte un capezzolo tra i denti, facendomi
sobbalzare. Poi si raddrizza per guardarmi negli occhi.
Appoggio una mano sul suo viso. «Ho passato una serata incredibile.»
Mi sorride con tenerezza. «Anche io.»
Mi sporgo verso di lui per toccare il grosso succhiotto che ha sul collo, e
Jim fa lo stesso. «Che cavolo ti è venuto in mente?»
«Non ho idea di cosa mi sia preso.» Mi sfugge una risatina. «Il tuo
cazzo era troppo piacevole, mi ha trasformata in un animale.»
Mi mordicchia di nuovo. «Come faccio a salire in aereo con un
gigantesco succhiotto sul collo?» brontola. «Se sapessi quante riunioni
importanti ho questa settimana…»
Ridiamo entrambi, e poi il suo volto si fa serio mentre mi osserva. Non
sto scherzando, non voglio che mi lasci. Quest’uomo è tutto ciò che non
stavo cercando, ma chissà perché è perfetto per me.
E se non lo vedessi mai più?
Come posso dimenticare una notte come questa, cancellarla dalla mia
memoria e fingere che non sia mai avvenuta? Chiudo gli occhi, disgustata
da me stessa. È per questo che non ho rapporti occasionali. Non sono
tagliata per il sesso senza legami… non è da me. Non sarò mai quel tipo di
persona.
Detesto che lui lo sia.
«In effetti, ho una sciarpa in valigia. La vuoi?» gli offro.
«Sì», mi risponde con tono secco.
Mi alzo dal letto per raggiungere il mio bagaglio e inizio a rovistare al
suo interno. Jim ne approfitta per piazzarsi dietro di me, afferrarmi i fianchi
nudi e attirarmi contro il suo bacino. Mi raddrizzo e mi giro verso di lui.
«Non sto scherzando, vorrei che rimanessi un’altra notte.»
Jim mi passa un dito lungo il volto e mi appoggia una mano sulla
guancia, incontrando il mio sguardo.
«Non posso», bisbiglia guardandomi in viso. Nei suoi occhi c’è
qualcosa che non vuole dire.
C’è qualcuno che lo aspetta a casa? È per questo che non mi ha chiesto
il numero di telefono? L’inquietudine mi assale. Non sono proprio fatta per
questi stupidi incontri da una notte e via.
Gli do le spalle, tiro fuori la sciarpa e gliela porgo. È in cashmere color
crema, e sopra ha le mie iniziali: E.F. Il gruppo di tennis di mia madre me
l’ha regalata quando ho finito l’università. Mi piace… ma fa lo stesso.
Lui si acciglia, abbassando lo sguardo sulle lettere ricamate, e io la
riprendo per avvolgergliela attorno al collo e coprire il grande livido viola.
Lo osservo con un sorrisetto. Non sapevo nemmeno come si facessero i
succhiotti. Dovevo essere davvero concentrata.
«Per cosa sta la F?» mi chiede.
«Sta per Fuck Bunny, la coniglietta del sesso.» Sorrido per nascondere
la mia delusione. Non voglio fargli capire quanto il suo ultimo commento
mi abbia turbata.
Lui ridacchia e mi afferra bruscamente tra le braccia, spingendomi
all’indietro verso il letto. «Che descrizione appropriata.» Mi solleva una
gamba per avvolgersela attorno alla vita, e ci scambiamo un ultimo lento
bacio.
«Ciao, mia bellissima Fuck Bunny», bisbiglia.
Gli passo le dita tra i capelli, guardando il suo magnifico viso. «Ciao,
Occhi Blu.»
Lui solleva la sciarpa e inala a fondo. «Ha il tuo profumo.»
«Mettitela ogni volta che ti masturberai», gli dico dolcemente.
«Immagina che sia io a fare tutto il lavoro.»
Gli brillano gli occhi per l’eccitazione. «Lo sai, per essere una che non
faceva sesso da diciotto mesi, sei una vera sporcacciona.»
Faccio una risatina. «Adesso tornerò al mio periodo di magra. Lì sono al
sicuro… e riesco a camminare senza bisogno di aiuto.»
Jim mi rivolge uno sguardo triste, e io ho l’impressione che voglia dirmi
qualcosa ma che se lo stia impedendo.
«Perderai il tuo aereo.» Fingo un sorriso.
Ci baciamo ancora una volta e io lo tengo stretto. Dio, è davvero
incredibile.
Si alza e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al mio corpo nudo sul
letto, si gira ed esce.
Sorrido tristemente guardando la porta che ha appena varcato. «Sì,
certo, puoi avere il mio numero», sussurro nella stanza silenziosa.
Ma non lo voleva. E ormai se ne è andato.
Un anno dopo
Sono appena tornata dal pranzo quando il mio telefono squilla. «Ciao,
Emily, sono Lindsay delle risorse umane. Tra cinque minuti sarò lì per
venire a prenderti», mi dice una voce gentile dall’altro capo della linea.
Sussulto. Oh, è vero… ho quel dannato tour dell’edificio.
«Okay, grazie.» Riattacco. «Oh no, devo andare a fare il mio giro degli
uffici», bisbiglio ai miei colleghi.
«Nessun problema», replica Aaron, continuando a leggere le sue e-mail.
«Ho così tante storie da controllare…» balbetto. «Non riesco a stargli
dietro.»
«Non preoccuparti. Va tutto bene», mi consola lui.
«E se perdo una storia molto importante?»
«Non succederà… stai tranquilla. Darò un’occhiata io alle tue e-mail
mentre sei via.»
«Davvero?»
«Certo che sì. Non è previsto che tu sappia fare tutto il primo giorno.»
«Oh, no, ti tocca salire ai piani alti.» Ava fa una smorfia.
«Cosa c’è lassù?» le chiedo.
«Gli uffici dei senior manager.»
«E non sono gentili?»
«No, cazzo, sono orribili, e ci sono buone possibilità che tu venga
licenziata sul posto.»
«Cosa?»
«Oh, stronzate.» Aaron alza gli occhi al soffitto. «È solo che non…»
Arriccia il naso, scegliendo bene le sue parole. «Non usano mezzi termini.
Se c’è bisogno di dire qualcosa, lo comunicano chiaramente. Non si fanno
prendere per il culo da nessuno.»
«Chi sono?» sussurro.
«Beh, il signor Miles non ci sarà. Non c’è mai. Credo che sia a Londra.»
«Il signor Miles?» domando, sentendo i nervi scossi.
«L’amministratore delegato.»
«Sì, so chi è. Credo che lo sappiano tutti. Ma non ho mai visto una sua
foto. La compagnia è sua e dei suoi fratelli, vero?»
«Sì, è la famiglia Miles a possedere tutto. Lui e i suoi tre fratelli.»
«E stanno tutti al piano di sopra?» bisbiglio, tirando rapidamente fuori il
rossetto vivace che ho comprato durante la pausa pranzo per passarmelo
sulle labbra. Ho bisogno di un po’ di coraggio.
«L’importante è che tu non dica niente di stupido ai piani alti», mi
consiglia Ava.
Sgrano gli occhi. «Per esempio cosa? Cosa considerano stupido?» Sto
iniziando davvero a farmi prendere dal panico.
«Basta che tu tenga la bocca chiusa, faccia il tour e non dica niente alle
risorse umane.»
«Perché no?»
«Perché sono in contatto diretto con i senior manager. Tutto questo giro
che stai per fare è solo un modo per valutare la tua personalità nelle due ore
che gli serviranno per mostrarti il palazzo.»
«Oh mio Dio.» Espiro in modo brusco.
«Ciao. Emily, vero? Io sono Lindsay.»
Mi giro per vedere una bella bionda, e mi alzo immediatamente,
porgendole una mano. «Salve.»
Lei sorride ai miei colleghi. «Iniziamo. Partiremo dal primo piano e
risaliremo fino in cima.»
Faccio un saluto nervoso ai miei nuovi amici del lavoro e la seguo fuori
dall’ufficio e dentro l’ascensore.
Ci siamo.
Emily
Oh mio Dio.
Si alza e fa il giro della sua scrivania, porgendomi la mano per stringere
la mia. «Jameson Miles.»
È lui, l’uomo dello scalo che non ha mai chiesto il mio numero di
telefono. Lo fisso con il cervello completamente inceppato.
Non riesco a crederci. È l’amministratore delegato?
«Emily, racconta qualcosa di te al signor Miles», suggerisce Lindsey,
come incoraggiandomi a parlare.
«Oh.» Mi riscuoto e gli stringo la mano. «Sono Emily Foster.»
Le sue dita sono calde e forti, e ripenso subito a come fosse sentirle
sulla mia pelle. Libero la mano dalla sua presa come se mi avesse dato la
scossa.
Mi guarda negli occhi con aria maliziosa, ma mantiene un’espressione
seria. «Benvenuta alla Miles Media», dice con calma.
«Grazie», gracchio. Lancio un’occhiata a Lindsey.
Oh Dio, lei lo sa che sono una gran maiala che dice porcherie e si è
scopata il boss del boss del nostro boss?
«Di qui in avanti me ne occupo io, Lindsey. Emily ti raggiungerà tra un
momento», dichiara.
Lei aggrotta la fronte e mi getta uno sguardo. «Io…»
«Aspetta fuori», aggiunge lui, congedandola.
Merda.
«Sì, signore», risponde la donna, affrettandosi verso la porta e
chiudendosela alle spalle.
Io sposto di nuovo gli occhi su di lui.
È alto, moro e indossa il completo blu più ben fatto nella storia dei
completi. Il suo sguardo si fissa nel mio. «Ciao, Emily.»
Mi torco le dita con fare nervoso. «Ciao.»
Non ha mai chiesto il tuo numero. Che se ne vada al diavolo.
Sollevo il capo, fingendomi coraggiosa. In ogni caso non avrei voluto
che mi chiamasse.
Un baluginio che non riesco a decifrare gli attraversa gli occhi, e lui
appoggia il fondoschiena contro la scrivania, incrociando le gambe di fronte
a sé. Abbasso gli occhi verso i suoi piedi. Ricordo quelle sue scarpe
pretenziose e costose.
«Hai lasciato succhiotti su qualche altro povero compagno di viaggio
ignaro?» mi chiede.
Oh, che cavolo, non se lo è dimenticato. Mi sento avvampare per
l’imbarazzo. Non riesco a credere di averlo fatto.
Merda, merda, merda.
«Sì, proprio la notte scorsa, in effetti.» Faccio una pausa drammatica.
«Sul mio volo per venire qui.»
Lui serra la mascella e solleva le sopracciglia, poco colpito.
«Quindi non sei Jim?» gli domando.
«Per alcune persone lo sono.»
«Intendi per le donne che rimorchi per una scopata e via.»
Il signor Miles incrocia le braccia di fronte a sé, sembra irritato. «Perché
fai così?»
«Non sto facendo niente», replico secca.
Lui solleva di nuovo le sopracciglia, e io avrei voglia di abbassargliele
fino al mento a suon di schiaffi. Mi guardo intorno nel suo ufficio
esageratamente lussuoso. È ridicolo, con una vista a trecentosessanta gradi
su New York. C’è una grande area relax con un bar ben fornito davanti al
quale sono allineati degli sgabelli di cuoio, e anche un tavolo per le
conferenze. Riesco a vedere un corridoio con un bagno privato, e accanto
qualche altra stanza.
Si passa le dita sul labbro inferiore mentre mi esamina, e io lo
percepisco fino alle dita dei piedi.
Dio, è magnifico.
Ho pensato spesso a lui nel corso dell’ultimo anno.
«Che cosa ci fai a New York?» chiede.
«Lavoro per la Miles Media.» Un pensiero mi attraversa la mente, e mi
acciglio ricordando una cosa che mi ha detto quella volta: “Benvenuta nel
Miles High Club…”
Buon Dio, pensavo che intendesse il club del sesso ad alta quota… e
invece parlava delle donne che finiscono a letto con lui.
Miles… lui è Miles… e c’è un club?
Dannazione, il sesso migliore della mia vita è stato solamente la mia
iniziazione a conquista di un sordido sciupafemmine.
Nell’ultimo anno, la notte che abbiamo trascorso insieme è stata per me
un evento speciale, a cui ho ripensato con affetto. Mi ha risvegliato dentro
qualcosa che non sapevo nemmeno esistesse, e ora scopro che sono stata
solo una tra le tante. Mi sento sprofondare il cuore per la delusione, e
stringo i denti per impedirmi di esplodere e cercare di ferirlo a mia volta.
Bastardo.
Devo andarmene di qui prima di farmi licenziare durante il mio primo
giorno.
«È stato bello rivederti.» Fingo un sorriso, con il cuore che mi batte
all’impazzata nel petto, poi mi giro ed esco dall’ufficio, chiudendomi la
porta alle spalle.
«Finito?» Lindsey mi sorride.
«Sì.»
Attraversiamo la reception ed entriamo nell’ascensore per iniziare la
discesa fino al mio piano. «Non essere scossa», mi dice piano.
Aggrotto le sopracciglia, perplessa.
«È un uomo molto irritante e non è bravo con le persone, ma ha una
mente incredibile.»
Come il suo uccello.
«Oh, okay», rispondo, guardando a terra. «Buono a sapersi.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«No», mento. «Abbiamo scambiato solo due chiacchiere di cortesia.»
Mi sorride. «Dovresti ritenerti molto fortunata. Jameson Miles non fa
chiacchiere di cortesia con nessuno.»
«Oh.» Mi acciglio. Le porte si aprono e io schizzo fuori per sfuggire a
quella conversazione. «Grazie mille per avermi fatto fare un giro.»
«Prego, e, se dovessi avere dei problemi relativi alle risorse umane, ti
prego di chiamarmi immediatamente.»
«Lo farò.» Le stringo la mano. Appartenere al club delle conquiste
sessuali dell’amministratore delegato si può ritenere un problema di
competenza delle risorse umane? «Grazie davvero.» Mi avvio verso la mia
scrivania, dove prendo discretamente il telefono dal cassetto. «Torno tra un
momento.»
Vado in bagno, apro di colpo la porta di una cabina e la richiudo a
chiave. Poi, nella privacy della toilette, cerco su Google: Jameson Miles.
Chiudo gli occhi, aspettando che si carichino le informazioni. Il cuore
mi batte furiosamente nel petto.
Ti prego, non essere sposato… ti prego, non essere sposato.
Ho continuato a flagellarmi su questa possibilità per tutto l’ultimo anno,
e ho anche pensato che potesse essere il motivo per cui non ha nemmeno
finto di volere il mio numero. Ho creduto che tra di noi ci fosse qualcosa,
ma c’era stato anche qualcosa di non detto. E, chissà perché, in seguito,
avevo avuto la sensazione che fosse sposato… o impegnato in una
relazione.
E questo mi renderebbe una gran puttana. Non sono mai stata con una
persona impegnata in una relazione stabile con qualcun altro, e le donne che
lo fanno consapevolmente mi danno la nausea.
Se avessi saputo quanto l’idea mi avrebbe tormentata, quella notte non
mi sarei nemmeno avvicinata a lui.
Vita privata
Estremamente riservato, è noto per il suo interesse per le belle donne.
Ha frequentato Claudia Mason dal 2011 al 2015, e da allora non si sa di
nessun’altra relazione personale.
Mi appoggio una mano sul petto e sospiro per il sollievo. Grazie a Dio.
Clicco sul link di Claudia Mason. Chi è? Appaiono immagini a raffica, e io
sento la mia sicurezza svanire nello scarico.
Vita privata
Mason è la maggiore di cinque fratelli ed è figlia del politico francese
Marcel Angelo.
Dal 2011 al 2015 ha frequentato l’erede dell’impero mediatico della
Miles Media, Jameson Miles, con cui si è fidanzata, ma la relazione si è
interrotta, secondo le sue parole per via del carico di lavoro di entrambi e
degli impegni ai diversi angoli del globo. Attualmente frequenta Edward
Schneider, un avvocato che vive a Londra.
Emily,
è richiesta la tua presenza nel mio ufficio domani alle 8:00 per una
riunione privata.
Supera la sicurezza e di’ loro che stai venendo a incontrarmi. Ti faranno
salire fino al mio piano.
Jameson Miles.
Amministratore delegato Miles Media
New York
Emily
Emily,
No.
Non voglio vedere il tuo team, né che parli con altri della riunione in
programma.
Questo particolare incontro è di natura privata.
Jameson Miles
Amministratore delegato Miles Media
New York
Sgrano gli occhi. Oh, mio Dio… di natura privata? Che diavolo significa?
Mi stringo la base del naso. Anche io ho bisogno di pizza e birra.
Arrivate in fretta, cinque del pomeriggio.
Tengo l’abito nero contro il mio corpo e fisso il mio riflesso nello specchio.
Mmh. Lo getto sul letto insieme alla gruccia. Afferro la gonna grigia e la
giacca e me le appoggio addosso.
Forse è meglio il nero?
Merda. Che diavolo si indossa quando si vuole apparire sexy senza
cercare di sembrarlo? Sono le undici di sera e sto decidendo cosa mettere
domani per il mio incontro con il signor Miles. E in ogni caso perché vuole
vedermi?
Credo che sceglierò il vestito nero. Lo stendo sulla sedia. Prendo le mie
décolleté di vernice nera e le metto a terra sotto l’abito. Quali orecchini?
Rifletto, storcendo le labbra. Le perle. Sì, le perle non gridano “scopami”
come invece fanno gli orecchini d’oro. Le perle sono pratici orecchini da
lavoro.
Giusto.
Domani mattina mi laverò i capelli e li metterò in piega. Guardo il mio
riflesso e sollevo la chioma in un’alta coda di cavallo. Sì… una coda alta. A
lui piacciono così.
Smettila.
Mi siedo ai piedi del letto e mi guardo intorno nel mio piccolo
appartamento. È un monolocale al trentesimo piano, minuscolo e
caratteristico. Ma è moderno e si trova in un bel palazzo. È diverso da
quello a cui sono abituata; questa vita newyorkese mi è così estranea…
abitare da sola, andare a bere nei locali anche di lunedì sera…
Prendo il telefono e scorro i miei messaggi. Questa sera tutte e tre le mie
migliori amiche mi hanno scritto per sapere come abbia passato il primo
giorno di lavoro. Lo stesso mia madre. Robbie invece no. Sono assalita
dalla tristezza. Che ci sta succedendo? Forse dovrei chiamarlo. Dopotutto,
sono io quella che se ne è andata. Compongo il numero e il suo cellulare
squilla. Alla fine mi risponde.
«Ehi.»
«Ciao.» Mi illumino. «Come stai?»
«Stavo dormendo», borbotta lui. «Che ore sono?»
L’entusiasmo mi abbandona mentre controllo l’orologio. «Scusa.»
«Già, fa lo stesso. Ti chiamo domani, piccola.»
Mi sprofonda il cuore. «Okay.» Mi interrompo. «Mi dispiace averti
svegliato.»
«Ciao.» Riattacca.
Faccio un profondo sospiro. «Il mio primo giorno di lavoro è andato alla
grande, grazie per avermelo chiesto», borbotto seccamente.
Con il cuore dolorante e lo stomaco teso per i nervi, mi infilo nel letto e
sorrido nell’oscurità ricordando la mia serata con Jim. Mi è capitato spesso
di ripensarci, da sola, nel cuore della notte. È stata indubbiamente
l’esperienza sessuale più incredibile della mia vita. Non che lo ammetterò
mai con qualcuno, ma io lo so.
Domani mattina lo vedrò. Sento lo stomaco stringersi per l’ansia. Chissà
cosa mi dirà?
Jameson
Sono seduto alla mia scrivania e sto sfogliando una cartella, il fascicolo di
Emily Foster. Sto leggendo i suoi dati: i voti scolastici, le referenze e,
infine, la sua lettera di candidatura.
Era questo il lavoro per cui doveva fare un colloquio dodici mesi fa?
Sento il ronzio dell’interfono della sicurezza. Premo il pulsante per
parlare con la guardia al piano terra, e poi faccio lo stesso con un tasto sul
telecomando mentre alzo lo sguardo sullo specchio appeso al muro. Subito
il vetro si trasforma in uno schermo.
«Sì.»
«C’è qui Emily Foster per vederla, signore.»
La vedo e sorrido. Eccola lì. «Mandatela su.»
La guardo mentre viene accompagnata all’ascensore dalla guardia, che
la fa entrare nella cabina. Vado alla reception e, non appena le porte si
aprono, lei appare alla mia vista.
«Buongiorno», la accolgo con un sorrisetto.
«Salve», bisbiglia. Mi sembra nervosa.
Tendo una mano per indicare il mio ufficio. «Prego, vieni pure.»
Emily cammina davanti a me, e mi cade lo sguardo sul suo didietro.
Indossa un aderente vestito nero, calze color carne e décolleté dai tacchi
alti. I suoi capelli sono raccolti in una ballonzolante coda di cavallo…
pronta per essere trascinata nella mia…
Smettila.
«Accomodati», dico, sedendomi dietro alla mia scrivania.
Lei prende posto e si stringe la borsa in grembo, guardandomi negli
occhi.
Giro sulla poltrona mentre la osservo. È bella come ricordavo, e una
potente carica sessuale si irradia in lei. Lunghi capelli scuri, occhi marroni e
una bocca scopabile. Ho pensato spesso a lei, mi è stato impossibile
dimenticarla. Nessuna mi ha mai cavalcato come ha fatto Emily, né prima
né dopo. Mai più.
Il succhiotto sul collo non è stato l’unico segno che ha lasciato su di me
quella notte.
«Volevi vedermi?» mi chiede piano.
Il suono della sua voce ha un tale effetto su di me da mandarmi un
brivido lungo la schiena. Ripenso alle cose che mi ha detto durante il sesso
e a quanto sia stato eccitante sentire quella voce dolce pronunciare parole
tanto sporche.
«Sì.» La fisso. «Lo volevo.» Prima di incontrare Emily, era da
tantissimo tempo che non andavo a letto con una donna che non fosse a
conoscenza della mia vera identità. Stranamente, non avevo avuto bisogno
di essere qualcuno quella notte.
Mi era bastato essere Jim.
«Per quale motivo?»
Mi appoggio contro lo schienale, seccato dal suo atteggiamento. La
maggior parte delle donne stravede per me. Lei non proprio.
«Che cosa ci fai a New York?» le chiedo, nel tentativo di fare
conversazione.
«Me lo hai chiesto ieri», sbotta lei. «Arriva al punto.»
«Te lo sto chiedendo di nuovo oggi. Basta con questo atteggiamento del
cazzo.»
Lei stringe gli occhi, come se fosse irritata.
Mi sporgo in avanti. «Che problema hai?» la schernisco.
«Tu. Sei tu il mio problema.»
«Io?» domando, offeso. «Che cosa ho fatto?»
«Devi parlarmi di qualcosa che riguarda il lavoro, oppure no, Jim?»
La guardo di traverso. «Sei molto scortese.»
«E tu sei molto ricco.»
«Quindi?»
Emily fa spallucce.
«Che cosa significa?» sbotto.
«Niente.» Raddrizza la schiena. «Se non devi parlarmi di lavoro, è
meglio che vada.»
La fisso, serrando la mascella. L’aria tra di noi si carica di elettricità.
«Posso vederti questa sera?»
Emily sostiene il mio sguardo. «No.»
«Perché no?»
«Perché sono una professionista e non ho intenzione di mischiare lavoro
e piacere.»
Stringo i denti per impedirmi di sogghignare. Il mio interesse per lei
cresce ogni secondo. «Che cosa ti rende così sicura che sarebbe un
piacere?»
«La storia tende a ripetersi», sussurra lei, abbassando gli occhi scuri
sulle mie labbra.
Ho una visione di Emily nuda e sopra di me sulla mia poltrona, e prendo
un brusco respiro mentre il mio cazzo inizia a palpitare. «La storia sarà
gentile con me, perché intendo scriverla», dico.
«Ora cita Winston Churchill, signor Miles?» sospira lei.
Faccio un sorrisetto, divertito dalla sua intelligenza. «Devi guardare i
fatti perché essi ti guardano.»
«Non sono mai preoccupato dall’azione, solo dall’inattività», replica
subito senza esitazione.
«Esatto, quindi, in quanto appassionata di Churchill come me, esigo che
questa sera tu mi accompagni fuori a cena.»
Lei sorride e si alza. «Non posso.»
«Perché no?»
«Devo lavarmi i capelli.»
«Perché vorresti lavarli quando invece potresti sporcarteli?»
Emily scrolla le spalle con indifferenza. «È solo che non mi interessi.
Non sei il mio tipo.»
La fisso mentre le sue parole si aggirano nella mia mente.
Ahi.
Stringo le labbra, sostenendo il suo sguardo. Questa è la prima volta che
vengo respinto senza mezzi termini. «Molto bene, peggio per te.»
«Forse.» Si gira per andarsene. «Ma è stato bello rivederti. Devi essere
molto orgoglioso dei tuoi risultati.»
Mi alzo e mi affretto ad aprire la porta. Lei mi guarda, e io abbandono il
braccio lungo il fianco per trattenermi dal toccarla. «Ciao, Emily.»
«Ciao.» Lei espira, mentre l’aria turbina tra di noi. «Grazie per avermi
dato un lavoro.» Mi sorride.
Faccio un cenno con il capo.
Non è l’unico che avrei per te.
Emily si volta ed esce, diretta verso l’ascensore, e io sbatto la porta,
tornando nel mio ufficio.
Non sono il suo tipo… da quando?
Punto il telecomando verso lo schermo della sicurezza e lo riaccendo.
«Mostrami il quarantesimo piano», chiedo al controllo vocale.
L’immagine lampeggia, e poi appare il piano in questione. Osservo
Emily che esce dall’ascensore. «Seguila.»
La telecamera la segue mentre lei si incammina lungo il corridoio e
infine si accomoda al suo posto alla scrivania.
«La telecamera sopra quell’area», ordino.
Lo schermo sfarfalla, e lei riappare. L’ufficio è vuoto, ed Emily tira
fuori il cellulare, iniziando a scorrere lo schermo. Incrocia le gambe, e io mi
sporgo in avanti non appena appare una delle sue cosce attraverso lo spacco
nella gonna. La ammiro e la mia eccitazione mi monta nell’inguine.
È così… sexy, cazzo.
Sta cercando qualcosa. «Ingrandisci», ordino.
La telecamera zooma, e io socchiudo gli occhi, cercando di leggere cosa
sta cercando su Google.
Jameson Miles.
Mi appoggio allo schienale e sorrido.
Bingo.
Capitolo 4
Emily
Jameson Miles
Miles Media
212-639-8999
Sono le cinque e mezza, siamo appena usciti dal lavoro e siamo fermi sul
marciapiede davanti al palazzo della Miles Media, mentre decidiamo dove
andare per cena. È una cosa stranissima. È come se insieme a questo lavoro
io avessi ricevuto tre amici e delle possibilità illimitate. Ogni sera è sabato
sera a New York.
Abbiamo età diverse, stili di vita diversi, ma, chissà perché, ce la
intendiamo a meraviglia. Ava ha un appuntamento e non viene con noi, ma
Aaron e Molly rimangono al mio fianco.
«Cosa avete voglia di mangiare?» chiede Molly, cercando sul cellulare.
«Qualcosa di unto e grasso. Paul non mi ha richiamato», sospira Aaron.
«Mi ha stufato.»
«Oh Dio, lo vuoi mollare?» sbuffa la nostra amica, roteando gli occhi.
«Sono sicura che si stia vedendo con qualcun altro, e oltretutto non è
abbastanza bello per te.»
Un uomo in completo nero apre il portone principale del palazzo, e noi
tre ci giriamo. Jameson Miles sta uscendo insieme a qualcun altro. I due
sono immersi in una fitta conversazione e non stanno prestando attenzione a
nient’altro.
«Chi è quello con lui?» sussurro.
«È uno dei suoi fratelli, Tristan Miles. È a capo delle acquisizioni
internazionali», sussurra Aaron, tenendo gli occhi incollati su di loro.
«Giuro su Dio, quegli uomini sono così fighi, cazzo, che non si possono
guardare.»
Sono circondati da un che di carismatico, il loro atteggiamento trasmette
la quintessenza del potere. Intorno a loro si fermano tutti a fissarli.
Abbigliati con costosi completi fatti su misura, belli da mozzare il fiato,
acculturati e ricchi. Deglutisco il groppo che ho in gola, osservandoli in
silenzio. Come al rallentatore, escono dal palazzo per salire nel retro di una
limousine nera in attesa. L’autista chiude lo sportello, e l’auto si allontana
sotto i nostri occhi.
Mi giro verso i miei nuovi amici. «Ho assoluto bisogno di parlare con
qualcuno.»
«Di cosa?» si acciglia Aaron.
«Voi due sapete tenere un segreto?» bisbiglio.
Si scambiano un’occhiata. «Sì, certo.»
«Andiamo al bar.» Sospiro, prendendoli a braccetto e iniziando a
trascinarli con me per attraversare la strada. «Non crederete a cosa ho da
dirvi.»
Molly arriva con i nostri drink su un vassoio e si lascia cadere al suo posto.
«Dai, dicci. Hai ricevuto un ammonimento scritto?»
Sorseggio il mio Margarita. «Mmh, è buono.» Corrugo le sopracciglia,
ispezionando il gelido liquido giallo.
Aaron beve il suo. «Oh, odio questo barista.» Fa una smorfia.
«Vuoi smetterla di lamentarti?» sbotta Molly. «È come stare insieme ai
miei figli, cazzo.»
«Questo drink è troppo forte», boccheggia lui. «Ho visto che tu non ne
hai preso uno.»
La collega riporta l’attenzione su di me. «Comunque sia, qual è questo
segreto?»
Li fisso. Dio, non so nemmeno se dovrei parlarne con qualcuno, ma ho
bisogno di confrontarmi con delle altre persone.
«Promettetemi che non direte niente a nessuno. Nemmeno ad Ava»,
dico.
«Sì.» Entrambi roteano gli occhi.
«Okay», continuo. «Vi ho raccontato che sto cercando di ottenere un
lavoro alla Miles Media da tre anni, no?»
«Certo.»
«Beh, poco più di un anno fa, sono andata a un matrimonio a Londra, e
poi sono venuta direttamente a New York per fare un colloquio qui.» Aaron
si acciglia, concentrato sulla mia storia. «All’aeroporto di Londra, uno
svitato in fila dietro di me ha avuto una specie di crisi e ha iniziato a
lanciare la mia valigia per tutto l’aeroporto.» Entrambi mi guardano,
confusi. «In ogni caso, una delle guardie della sicurezza mi ha fatta
avvicinare al bancone del check-in e ha chiesto all’impiegato di occuparsi
di me, così sono stata spostata in prima classe.»
«Che figo.» Aaron sorride, sollevando allegramente il suo bicchiere.
Mi preparo per la parte seguente della storia. «Mi sono seduta vicina a
un uomo, abbiamo iniziato a bere champagne e…» Scrollo le spalle. «Più
bevevamo e più diventavamo inappropriati, e abbiamo preso a parlare della
nostra vita sessuale.»
«Vi hanno cacciati dal volo?» chiede Aaron, con gli occhi sgranati.
«No.» Bevo un sorso del mio drink. «Ma avrebbero potuto
tranquillamente farlo.» Lui si appoggia le mani al petto per il sollievo. «Ma
poi a New York c’era una tempesta di neve, quindi abbiamo dovuto fare
scalo a Boston per una notte. Quell’uomo era… terribilmente sexy.»
Sorrido, ripensandoci. «Non era affatto il mio tipo, e io non ero il suo, ma,
per qualche motivo, abbiamo finito per fare sesso tutta la notte come
conigli. È stato il miglior sesso della mia vita.»
«Adoro questa storia.» Molly pare compiaciuta. «Hai fatto benissimo.»
«Non l’ho mai più rivisto.»
Si intristisce subito. «Non ti ha più chiamata?»
«Non mi ha mai chiesto il numero.»
«Ahi.» Aaron fa una smorfia.
«Lo so, quindi potete immaginare il mio orrore quando l’ho visto al
lavoro questa settimana.»
«Cosa?» Sussultano entrambi.
«Oh mio Dio, è quel dannato Ricardo, non è vero?» Aaron si acciglia,
bevendo una lunga sorsata del suo drink. «Non riesco a credere a questa
storia. Ti prego, non dirmi che lo hai scopato e che ti ha trasmesso una
malattia venerea. Non potrei sopportarlo.»
«Era Jameson Miles.»
A Molly schizzano quasi gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Mi prendi per il culo?» Aaron sobbalza. Il drink gli finisce su per il
naso per errore, e lui viene colto da un attacco di tosse.
Entrambi mi fissano con gli occhi sgranati.
«Quando sono andata nel suo ufficio, durante il tour del palazzo, è
voluto rimanere da solo con me.»
La mia nuova amica scuote la testa. «È tutto vero?»
Annuisco.
«Non ho parole», bisbiglia.
«Io sì. Oh, porca puttana.» Aaron la colpisce su un braccio per
l’eccitazione. «Che cos’è successo?»
«Mi ha invitata a cena.»
«Ma che cazzo!» esclama Molly.
«Shh», sussurro, guardando la gente attorno a noi. «Tieni bassa la
voce.»
«Dici sul serio?» bisbiglia lei.
«Ho detto di no.»
«Cosa?» Questa volta è Aaron a gridare.
«Tieni. Bassa. La. Voce», gli ordino. «Non posso uscire con lui. Ho un
ragazzo.»
«Il tuo ragazzo è un coglione. Lo hai detto tu stessa», farfuglia Molly.
«Lo so, ma io non sono fatta così. Non tradirei mai nessuno.»
Aaron scuote la testa. «Jameson Miles potrebbe farmi fare qualsiasi
cosa volesse.»
«Vero?» concorda Molly. «E cos’è successo oggi?»
«Mi ha portata nel suo ufficio e mi ha accusata di farmi rimorchiare
durante il mio orario di lavoro.» Rimangono entrambi a bocca aperta.
«E…» Mi interrompo. Probabilmente non dovrei dirgli che siamo osservati.
Questo lo terrò per me. Tiro fuori il suo biglietto da visita dal portafoglio e
lo faccio scivolare sul tavolo.
Molly lo prende e lo fissa. «Persino il suo nome è sexy.» Legge il
biglietto ad alta voce. «Jameson Miles. Miles Media. 212-639-8999.»
«Gli ho detto che non può avere tutto ciò che vuole, lui ha risposto: Io
lo ottengo sempre, invece, e poi mi ha leccato il collo», dico di colpo.
«Ti ha leccato il collo?» strilla Aaron. «Oh, Signore, abbi pietà.» Prende
il menù e inizia a sventolarsi il viso. «Ti prego, dimmi che stasera uscirai
con lui.»
«No.» Scrollo le spalle. «Non posso, e oltretutto è il modo più veloce
che conosco per farmi licenziare.»
«Nessun lavoro ne vale la pena», esclama lui. «Io non lo rifiuterei
nemmeno per diventare il presidente, cazzo.»
Ridacchiamo tutti, e poi il mio cellulare inizia a vibrare sul tavolo.
«Oh… porca puttana», sussurra Molly, fissando il telefono. «È lui.»
«Cosa?» balbetto, abbassando lo sguardo sul numero che sta
illuminando lo schermo.
Lei solleva il biglietto da visita che ha tra le mani, e li confrontiamo.
«Il numero che ti sta chiamando è il suo.»
Sgrano gli occhi.
Cazzo.
Capitolo 5
Emily
Lunedì mattina
Sono seduta alla mia scrivania e fisso lo schermo del computer. Sono le
quattro di lunedì e sono un po’ depressa. Da quando, ieri sera tardi, sono
tornata a New York, sono sopraffatta dal senso di colpa. Pur sapendo che io
e Robbie stavamo arrivando al capolinea, mi sento come se avessi
accelerato il processo e non avessi permesso alla nostra storia di fare il suo
corso. Ma, d’altronde, eravamo in quella situazione di stallo da mesi, e se
ho accettato questo lavoro consapevole che lui non mi avrebbe seguita… è
perché inconsciamente sapevo che eravamo vicini alla fine.
«Il dio è tra noi», sussurra Aaron.
Alzo lo sguardo. «Chi?»
«Tristan Miles», bisbiglia lui.
Sbircio da sopra il divisorio sulla mia scrivania e lo noto mentre parla
con una responsabile di piano, Rebecca. Indossa un completo gessato blu
scuro, i suoi capelli mossi e castano scuro sono scompigliati alla perfezione
e ha un sorriso affascinante sul viso mentre parla. Ha i denti più bianchi che
abbia mai visto e delle profonde fossette sulle guance.
«Rebecca sta ridacchiando come una scolaretta.» Aaron corruga la
fronte.
«Non scende mai a questo piano», commenta Molly.
«Cosa credete che stia facendo qui?» sussurra l’altro, con lo sguardo
incollato su quel magnifico esemplare di uomo.
«Il suo lavoro», replico impassibile. «Lavora qui, sapete.»
Più ci penso e più capisco di aver idealizzato tutta la faccenda con
Jameson Miles. Io non gli piaccio. È solo arrapato. C’è una grossa
differenza. Probabilmente avrà fatto sesso con altre cinque donne da quando
abbiamo parlato venerdì sera. È da allora che non lo sento, né voglio farlo.
Non ho lasciato il mio ragazzo perché me lo ha ordinato lui, ma perché
Robbie ha smesso di combattere per noi. Se Jameson venisse a sapere che ci
siamo mollati, penserebbe che l’ho fatto perché voglio tornare a letto con
lui… e non è così.
Non voglio assolutamente. Stupidi uomini.
Non dirò ai miei colleghi che ci siamo lasciati. Preferisco che non ne
facciano un dramma. Mi serve un po’ di tempo per fare ordine tra i miei
pensieri.
Tristan Miles dice qualcosa e Rebecca ride. Poi lui svanisce
nell’ascensore, e torniamo tutti al lavoro.
Una serie di bizzarri attacchi a suon di graffiti sulle case del West Village
ha gettato i residenti nel panico. L’abitazione di Marjorie Bishop è stata
vandalizzata tre volte e la polizia si rifiuta di intervenire. Anche un altro
cittadino, Robert Day Daniels, è stato colpito.
Emily
Rovisto nel mio armadio e tiro fuori i vestiti per domani. È tardi, ho
lavorato finora all’articolo che vogliono. Spero che vada bene. Questa volta
ero molto più preparata al riguardo. Cosa dovrei indossare domani? Faccio
come mi ha detto?
Appoggio sul letto gli abiti che Jameson mi ha ordinato di mettere e li
fisso. La gonna grigia con lo spacco, la camicetta di seta bianca. Come fa a
sapere che indosso un reggiseno di pizzo con questa camicia? E come
conosce questo outfit?
Mi guarda.
Sono attraversata da un brivido. Cazzo, quell’uomo mi sta incasinando
la testa. Mi sono trasformata in una massa di ormoni in subbuglio e
praticamente non mi ha nemmeno toccata.
Chissà come mi ridurrei se lo facesse.
Ripenso a questo pomeriggio e al modo in cui mi ha sfiorato tutto il
corpo con un dito, a come me lo ha infilato in bocca e l’ho succhiato.
Mi tornano in mente le sue parole: “Voglio che ti scopi. A lungo…
lentamente e profondamente”.
Chiudo gli occhi e comincia a ribollirmi il sangue nelle vene per
l’eccitazione. Vuole che io venga pensando a lui. Vado fino al mio
comodino e tiro fuori il vibratore. Lo tengo in mano per guardarlo.
«È un sostituto molto freddo, signor Miles», mormoro nel silenzio. Ho
una gran voglia di chiamarlo e dirgli di venire qui per occuparsene di
persona.
Ma ovviamente non lo farò. Spengo la luce e mi infilo sotto le coperte.
Mi sfioro il seno nudo con una mano. Chiudo gli occhi e apro le gambe,
immaginando che Jameson Miles sia qui con me.
Io: Non ho niente da dirti. Ho finito di lavorare per oggi. Hai il tuo
articolo. Buona fortuna.
Emily
Jameson
Jameson
Mezz’ora più tardi, entro nell’ufficio e trovo dentro tre delle mie persone
preferite. I miei fratelli.
«Ciao.» Sogghigno. «Gesù, siete diventati tutti e due più brutti
dall’ultima volta che vi ho visti. Non credevo che fosse possibile.»
Loro ridacchiano, e subito dopo ci abbracciamo. Mi sono mancati. Il
loro ruolo nella compagnia gli richiede di vivere in Inghilterra. Lavorano
nella divisione londinese. Riesco a vederli solo una volta al mese, quando
vado lì, e per Tristan è lo stesso. Almeno lui può rimanere un po’ più a
lungo, quindi può trascorrere più tempo insieme a loro.
Sbatto il Gazette sulla scrivania. «Che diavolo è questo?»
«Porca puttana», bisbiglia Tristan, mentre tutti si accomodano attorno al
tavolo.
«Che sta succedendo?» sbotta Elliot. «Non posso crederci.»
Prendo un respiro profondo. «Abbiamo un nuovo membro dello staff,
Emily Foster.»
Tristan fa un sorrisetto, e io roteo gli occhi. «E?» interviene Christopher.
«Il suo secondo giorno ha pubblicato un articolo e non era certa del
nome di una delle persone coinvolte, quindi ne ha inventato uno su due
piedi con l’intenzione di cambiarlo una volta tornata in ufficio.» Mi
ascoltano con la fronte corrugata. «Solo che se lo è dimenticato.»
«Gesù.» Elliot alza lo sguardo al cielo. «Che incapace.»
«No», dice Tristan. «Diabolico. Il giorno dopo il Gazette ha pubblicato
esattamente la stessa storia… con il nome finto.»
I nostri due fratelli si accigliano nel sentire la notizia.
«Come fate a saperlo?» chiede Christopher.
«Conosco la giornalista. Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa.» Mi
interrompo, preferendo non approfondire oltre.
«Sapete chi è?» fa Tristan, sogghignando.
«Chi?» Elliot sposta lo sguardo tra di noi.
«Ricordate che un secolo fa Jay si è ritrovato addosso un gigantesco
succhiotto?»
Rimangono entrambi a bocca aperta. «No!»
Elliot si stringe la base del naso. «Ti prego… non dirmelo.» Scoppia in
una risata. «Come lo avevi definito? La vergogna dello scalo?»
«Ho dovuto portare un dannato dolcevita per due settimane.» Sospiro
disgustato.
«Ricordate la cena elegante per l’ente benefico di mamma?» Tristan
getta la testa all’indietro e ride. «E tu avevi il succhiotto più grande che
chiunque avesse mai visto.» Ridacchia, ripensando al ricordo. «E hai
dovuto nasconderti dalla mamma per tutta la serata e mettere il fondotinta
sul collo. È stato esilarante.»
«Mortificante.» Rabbrividisco al solo pensiero. «Comunque, tornando
alla storia.» Lancio un’occhiataccia a Tristan per aver tirato fuori quella
faccenda. «A mia insaputa, Emily, è così che si chiama, ha ottenuto un
lavoro qui. Tre settimane fa ha iniziato, e c’è stato questo disguido del
nome. È venuta da me, sospettando che stesse avvenendo qualcosa di losco.
Un nome finto che aveva inventato lì per lì non poteva essere una
coincidenza.» Guardo i miei fratelli attorno a me. «Le nostre notizie
vengono vendute al mercato nero.»
«Ma che cazzo», esplode Elliot.
«I prezzi delle nostre azioni sono in calo perché non pubblichiamo più
notizie dell’ultima ora.»
Lui scuote la testa, disgustato.
«Questo perché i giornalisti che stiamo pagando lavorano per la
concorrenza», dichiara secco Tristan.
«Questa settimana abbiamo messo alla prova la teoria. Abbiamo chiesto
a Emily di scrivere una storia fasulla e di inviarla tramite i normali canali, e
guardate.» Sbatto le nocche sul giornale. «Eccola qui, a pagina tre del
Gazette.»
Fissano tutti il quotidiano di fronte a noi, assorti nei loro pensieri.
«Quindi… che cosa facciamo?»
«Per me possiamo anche licenziare tutti quanti», dichiaro brutalmente.
«No, dobbiamo farlo per bene. Ci sono centinaia di persone a quel
piano. Senza parlare degli informatici e dell’ufficio spedizione.»
I tre iniziano a chiacchierare, discutendo delle possibili opzioni.
Nel frattempo, premo un pulsante sull’interfono. «Puoi mandarci
Richard dell’ufficio legale, per favore?»
«Sì, signore.»
«Emily potrebbe scrivere un altro articolo, così potremo seguirlo più da
vicino», propone Elliot.
«No», rispondo io. «Non voglio coinvolgerla di nuovo. Anzi, non la
voglio più quassù.»
Tristan fa un sorrisetto.
«Tra un secondo ti cancello quella stupida espressione dalla faccia», lo
minaccio.
«Hai paura che ti lasci un altro succhiotto?» scherza Elliot. «Deve
essere brava a succhiare.»
Ridono tutti.
Gli lancio un’occhiataccia. «Dacci un taglio. Oggi non sono dell’umore
per queste cazzate.»
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti», dico. Appare Richard. «Prego,
accomodati.»
«Come posso aiutarvi?» Ci sorride.
«Abbiamo ragione di credere che qualcuno al piano delle notizie stia
vendendo le nostre storie alla concorrenza. Come possiamo gestirla dal
punto di vista legale?»
Richard si acciglia, spostando lo sguardo tra di noi. «Ne siete sicuri?»
«Sì.»
«Beh.» Emette un sospiro mentre riflette. «Dovreste assumere
un’agenzia specializzata in investigazione aziendale.»
«Di cosa si occupa?» chiedo.
«Lavora nell’ambiente delle grandi aziende e si può occupare di
verificare la legittimità di un partner aziendale o di un accordo, di indagare
sulla perdita o sul furto di informazioni proprietarie, di identificare il
potenziale di una reputazione danneggiata, e altre cose simili.»
«No», dico, alzandomi in piedi. «Non voglio uno sconosciuto che ficchi
il naso qua intorno. E se si venisse a sapere? Danneggerebbe ancora di più
la nostra reputazione.»
«Con tutto il dovuto rispetto, Jameson, non vedo quale altra scelta lei
abbia», dice Richard.
«Conosci qualche agenzia?» gli chiede Tristan.
«No. Ma posso trovarne una da assumere.»
«Non mi piace.»
«Sono professionisti. Si occupano di continuo di cose come questa. Non
saprà nemmeno che sono nell’edificio», insiste il legale.
«Come funziona?»
«Di solito si recano sul luogo sotto copertura, fingendosi dipendenti per
indagare e seguire le tracce.»
Roteo gli occhi per il disgusto. «Ridicolo. Questo non è un dannato
episodio di MacGuyver.» Fisso i miei fratelli, e capisco che mi hanno
messo spalle al muro. Non c’è modo per evitarlo, e so che devo arrendermi.
«Va bene.»
Emily
Un’ora prima
Marcio in strada tra la folla. Non mi abituerò mai ai gremiti marciapiedi
newyorkesi, a prescindere da quanto tempo vivrò qui. Sono esausta. Ho
passato metà della notte sveglia a fare sesso e non sono più tornata a
dormire dopo che ho lasciato l’appartamento di Jameson alle quattro del
mattino. Dio, questa situazione è un incubo. E chi cazzo è Chloe?
Ordino il mio caffè freddo e, mentre aspetto, compro il Gazette al
chiosco dei giornali. Lo leggerò durante il pranzo. Mi chiedo se ci siano dei
lavori disponibili. Probabilmente me ne servirà uno di qui a poco. Con il
cuore sofferente, torno con il pensiero a Jameson. Dannazione, perché deve
sempre esserci qualcosa che non va negli uomini che mi piacciono? Se solo
fosse un tipo normale, con un normale appartamento del cavolo, una
macchina pessima e nessuna donna che gli scrive, sarebbe perfetto. Sotto
ogni punto di vista.
Ho un’immagine di noi la notte scorsa mentre facciamo l’amore e ci
baciamo per ore, e vengo travolta dalla tristezza.
Detesto la profondità del nostro legame fisico.
È solo sesso, cretina.
Fantastico, mozzafiato e piacevolissimo sesso.
Suppongo che Jameson Miles lo faccia con qualsiasi donna con cui
vada. È quel tipo di uomo, con quel tipo di uccello.
Uffa. Prendo il mio caffè e mi dirigo con aria mesta verso l’ufficio.
Oggi non penserò a lui, e di certo non gli dirò che so di Chloe.
Chiunque Chloe sia.
Tutto quello che so è che se gli manda dei messaggi nel cuore della
notte per chiedergli dove sia, allora deve esserci sotto qualcosa, e può
assolutamente tenersi Jameson.
Posso essere molte cose, ma non sono una ladra di uomini.
Stronzo. Come ha osato usarmi per il sesso? Il gusto amaro del
tradimento mi riempie la bocca. Posso fingermi coraggiosa quanto mi pare,
ma la verità è che sono sconvolta. La notte scorsa è stata perfetta, più che
perfetta, e lui ha dovuto rovinare tutto.
Credevo di aver passato la notte con Jim, e invece mi sono ritrovata con
Jameson Miles, la sua versione squallida. Come ho potuto non
accorgermene?
Arranco nel palazzo e salgo fino al mio piano, per poi lasciarmi cadere
disgustata sulla sedia. «Ciao», esordisco.
«Ehi.» Aaron rotea la sedia di fronte a me. «Come è andata?»
Lancio un’occhiata alla telecamera sopra di noi. «Bene», mento. «Ti
racconterò stasera. Dobbiamo andare a bere.»
«Bere?»
«Tutto ciò che possiamo.»
Il suo entusiasmo svanisce. «Oh… quindi è quel tipo di bere.»
«Precisamente», borbotto con tono secco.
«Che sta succedendo oggi?» bisbiglia lui.
«Che cosa vuoi dire?» Alzo lo sguardo dal computer.
«Tristan sta ronzando qui attorno, e Jameson è già sceso a questo
piano.»
«Che ore sono?» Guardo l’orologio. «Sono solo le otto e tre quarti. Non
sono mai quaggiù a quest’ora, le rare volte in cui scendono.»
«Lo so.»
«Mmh.» Vedo il minore dei due fratelli mentre parla con un
responsabile di piano, e sembra avere un’espressione severa. «Credi ci sia
qualcosa che non va?» gli domando.
«Non lo so. Hai fatto incazzare il signor J. la notte scorsa?»
Sogghigno.
«Forse è al piano di sopra a fare i capricci.»
«Probabilmente sto per essere licenziata.» Sorrido allegramente mentre
accendo il mio computer.
Bene, spero sia furioso.
Due ore più tardi, alzo lo sguardo e noto due uomini che non ho mai visto
prima. «Chi sono?» bisbiglio.
Molly dà un’occhiata e rimane a bocca aperta. «Oh signore, abbi
misericordia… Dio, ti ringrazio.»
«Eh?» Mi acciglio.
«Sono Elliot e Christopher Miles. Sono arrivati dall’Inghilterra. Questa
settimana deve esserci una riunione del consiglio di amministrazione o
qualcosa del genere.»
Sgrano gli occhi. «I fratelli di Jameson?»
Lei sorride con aria sognante, continuando a guardarli. «Esatto.» Getta
uno sguardo ad Aaron. Anche lui li sta fissando apertamente. «Io voglio
Elliot.»
«Bene, perché io voglio Christopher», bisbiglia lui a sua volta.
«Ti prego, puoi organizzarci un appuntamento con i fratelli?» mormora.
«Sì, e poi dobbiamo scambiarceli», aggiunge Aaron. «Perché li voglio
tutti e quattro. Non posso scegliere.»
«Riesci a immaginartelo?» dice Molly. «Il solo pensiero mi fa
arrossire.» Si sventaglia il viso con una cartellina, tenendo gli occhi
incollati sui fratelli Miles. «Immaginali tutti e quattro a letto insieme… a
fare a turno con il tuo corpo.»
Roteo gli occhi, disgustata. «Se lo chiedi a me, i fratelli Miles sono
sopravvalutati.»
Ma non è vero. Sto mentendo spudoratamente. Tutti mori, alti e
muscolosi… con le loro mascelle squadrate e i loro abiti firmati da playboy.
Tutto in loro quattro grida potere e fascino. Stronzi.
Oggi Jameson non è venuto a cercarmi. Non ho più avuto sue notizie, e
con ogni probabilità ora sarà al piano di sopra a pomiciare con Chloe sul
divano dell’ufficio.
Bleah. Ho chiuso con gli uomini. Come ho potuto essere tanto stupida?
Ore 16:30
«Oh mio Dio, hai visto la storia sul Gazette?» esclama Molly.
«No, quale storia?»
«Quella del Red Ribbon Killer. Stasera non mi sentirò sicura nemmeno
in metropolitana.»
Le lancio un’occhiata. «Cosa?»
«Sì, è una delle loro notizie principali di oggi. La stavo leggendo online
proprio ora.»
«Mi prendi in giro?» Clicco sul loro sito web per cercare l’articolo, e
ovviamente lo trovo, parola per parola… le mie parole.
Lo leggo, portandomi le mani alla bocca per l’orrore.
Oh mio Dio. È per questo che oggi sono tutti qui. Stanno cercando di
limitare i danni.
Fisso la notizia sul mio computer. È lì, nero su bianco, ma non riesco a
crederci davvero. Guardo le persone in ufficio, che si stanno comportando
con calma e professionalità. Chi sarà la talpa?
Ladro bastardo.
«Devo andare a parlare con una persona. Torno tra un minuto.»
Praticamente corro verso l’ascensore e salgo fino all’ultimo piano. Perché
Jameson non mi ha detto niente?
«Salve», dico, superando l’assistente.
«Scusa, Emily», mi chiama la donna. «Al momento non riceve visite.»
«Non importa.» Mi precipito verso l’ufficio di Jameson e busso alla sua
porta.
«Sì?» risponde lui con tono secco.
Apro e lo trovo seduto dietro alla sua grande scrivania. I suoi occhi blu
si alzano per incontrare i miei. «Che c’è?» mi chiede freddo.
Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «Ho visto l’articolo.»
«E?»
«Beh… perché non me lo hai detto? Era il mio articolo. Pensavo che mi
avresti almeno informata.»
«Signorina Foster», serra la mascella come se fossi un’enorme
seccatura, «non ho tempo per i tuoi giochetti infantili.»
«Che cosa significa?»
«Significa che sono molto impegnato.» Torna a scrivere al computer.
Lo fisso per un momento.
Cosa?
«Chiudi la porta quando esci, per favore.»
Che faccia tosta, quest’uomo. Viene a letto con me mentre si frequenta
con un’altra e poi ha l’audacia di trattarmi così. Qualcosa dentro di me si
spezza.
«Chi diavolo ti credi di essere?»
«Ed eccoci…» borbotta lui sottovoce.
«Cosa?» esclamo. «Ed eccoci? Fai sul serio?»
Jameson appoggia il mento su una mano e mi guarda di traverso.
«Che cos’è stata la scorsa notte? Eh?» grido. Dei campanelli d’allarme
iniziano a squillare nel mio cervello. Questa è la cosa peggiore che io possa
fare, ma ho perso ogni controllo. «Ti vedi con qualcun’altra?» farfuglio.
«Chi è Chloe, Jameson?»
Lui solleva le sopracciglia, poi si alza e si incammina verso la porta.
«Fuori.»
«Cosa?» sbotto incredula. «Mi stai cacciando?»
«Quello che sto facendo è comportarmi in maniera professionale. Ti
suggerisco di fare lo stesso.» Incombe su di me.
«Sai che c’è?» bisbiglio tra le lacrime di rabbia. «Puoi andare a
fanculo.»
Mi guarda con uno sguardo gelido negli occhi. «Non che siano affari
tuoi, ma Chloe è la mia massaggiatrice. Ieri notte avevo un appuntamento
con lei, ma non ero in casa. Quei messaggi sono arrivati ore dopo rispetto a
quando me li ha mandati.» Lo fisso con il cuore che mi martella nel petto.
«Non guardare mai più il mio cazzo di telefono», dice con tono sprezzante,
per poi darmi le spalle e tornare a sedersi alla sua scrivania.
Continuo a guardarlo con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Mi sento…
usata. «Credevo ci fosse qualcosa tra di noi.»
«Anche io.» Le sue iridi fredde incontrano le mie. «Ma questa mattina
tu hai rovinato tutto scappando come una bambina di due anni.» Si volta
verso il suo computer.
«Vai a letto con la tua massaggiatrice?»
Mi lancia un’occhiata. «Non sono affari tuoi. Ora vattene.»
Capitolo 9
Emily
«Dove sei stata?» chiede Molly non appena ritorno alla scrivania.
«Sono andata a trovare Ricardo», mento.
«Quindi stasera dove vuoi andare?»
«Oh.» Sussulto. Non riesco a pensare a niente di peggio. «Mi dispiace,
ragazzi. Devo darvi buca. Ho bisogno di dormire.»
«Ma noi vogliamo sentire tutti i dettagli succosi.»
«Oh.» Mi sprofonda il cuore. Non voglio che sappiano che sono la più
grande sfigata del mondo. «Ieri sera non ci siamo visti. Si è tirato indietro.»
«Cosa?» Aaron si acciglia.
«Fa lo stesso, non mi importa.» Scrollo le spalle, facendo l’indifferente.
Adesso vorrei non avergli mai raccontato niente su di lui.
«Va bene, allora. Tanto devo risparmiare», sospira il mio collega,
chiudendo il computer.
«Tu vieni?» mi domanda Molly.
«Voglio finire questo.» Riaccendo il mio computer. L’ultima cosa che
voglio è dare a quel bastardo un motivo per licenziarmi. Concludo il mio
compito e finalmente, un’ora più tardi, spengo il computer e scendo al
piano terra.
Attraverso le porte d’ingresso e alzo lo sguardo, accorgendomi della
limousine nera parcheggiata vicino al marciapiede.
Merda.
Mi guardo intorno con fare nervoso. È lì dentro? Accidenti, non voglio
vederlo. Attraverso rapidamente la strada verso il rifugio sicuro del bar.
Ordino un drink e mi accomodo vicino alla vetrina.
Fantastico.
Mi passo una mano sul volto. Davvero, e adesso cosa dovrebbe
succedere? Questa è l’ultima cosa che mi serve.
«Ecco a lei.» Il cameriere sorride, lasciandomi davanti il mio tè
ghiacciato.
«Grazie.»
Osservo l’autista dall’altra parte della strada, appoggiato alla limousine,
e ripenso all’altra sera, quando ero in ginocchio e lui ha cercato di aprire la
portiera bloccata. Mi chiedo da quanto tempo lavori per Jameson e cosa
possa aver visto. Lo guardo rispondere al telefono, poi entrare in auto e
andarsene.
Eh?
Che Jameson fosse già in macchina? Perché l’autista se ne è andato?
Che strano…
Le porte del palazzo si aprono, ed esce un gruppo di uomini. Merda,
sono loro. Prendo il menù e mi copro il viso, sbirciando dall’altra parte
della strada attraverso il vetro.
Tristan, Elliot, Christopher, Jameson… e la ragazza bionda che era con
Tristan l’altra sera. È estremamente affascinante, e i suoi abiti da lavoro
sembrano usciti da un servizio fotografico di alta moda. I quattro uomini si
somigliano moltissimo. Elliot è quello più simile a Jameson, moro e con
penetranti occhi azzurri. Tristan e Christopher sono identici, con i loro
capelli mossi leggermente più chiari. Parlano mentre camminano. Jameson
dice qualcosa con un’espressione seria e tutti scoppiano a ridere.
Che cosa avrà detto?
Girano l’angolo. Elliot appoggia con affetto una mano sulla schiena di
Jameson mentre attraversano la strada, presi dalla loro conversazione.
Continuano lungo la via fino a entrare in un cocktail bar.
Mi stringo la base del naso e chiudo gli occhi, emettendo un lungo
sospiro triste.
Voglio solo che questa giornata finisca.
È sabato sera, e siamo in fila per entrare nello Sky Bar. Sono insieme ad
Ava e Renee, e questo è il nostro terzo club. È quasi mezzanotte. Non mi
sono mai divertita tanto. Abbiamo riso, ballato e provocato ogni stupido
uomo di New York.
«E comunque perché stiamo facendo la fila qui?» Metto il broncio.
«Che cosa c’era che non andava nell’ultimo posto?»
«Niente. Questo locale è migliore, ma non si anima prima delle undici.»
«Oh.» Faccio spallucce. Cielo, non so proprio niente della vita notturna
di New York. L’usciere toglie il cordone rosso che blocca la porta per
invitarci a entrare, e io rimango senza fiato.
Wow, questo locale è al cinquantesimo piano e ha un enorme balcone
affacciato sulle luci della città. C’è una pista da ballo e diversi cocktail bar,
e le ragazze avevano ragione: gli uomini sono di tutto un altro livello.
Abbasso lo sguardo sul mio corpo con un certo nervosismo. Spero di
andare bene. Ho lasciato sciolti i miei lunghi capelli scuri e indosso un abito
aderente color crema, con le maniche che mi arrivano ai polsi e una
scollatura vertiginosa. Non ho badato a spese e ho acquistato un vestito
nuovo per stasera, perché volevo essere carina.
Sta dando i suoi frutti: non ho mai ricevuto tante attenzioni maschili in
tutta la vita. Incredibile cosa possano fare un abitino aderente e un po’ di
scollatura per una ragazza.
Ordiniamo da bere e andiamo a cercare un posto in cui fermarci, mentre
io continuo a guardarmi intorno meravigliata. Non sono mai stata in un
locale tanto bello.
«Questo posto è incredibile.» Sorrido alle ragazze.
«Vero?» risponde Ava. «Gli uomini qui sono da sballo.»
«E schifosamente ricchi», aggiunge Renee.
«A chi importa dei soldi?» ribatto, sorseggiando il mio drink.
«A me», replicano loro due, all’unisono.
«Se devi stare con qualcuno, tanto vale che sia facoltoso, se lo chiedi a
me. Non ho intenzione di mettermi con un povero bastardo. Io sono povera,
e non c’è dubbio che gli opposti si attraggano», aggiunge Ava.
La ascolto e poi scoppio a ridere.
«Dunque, chi abbiamo qui stanotte?» continua lei, guardandosi attorno
nel club.
«Che cosa vuoi dire?» le chiedo, osservando i suoi occhi guizzare per la
sala.
«Questo è un importante luogo di ritrovo per le celebrità.»
«Davvero?» Sbatto le palpebre, dando uno sguardo al locale. «Io non so
nemmeno se riconoscerei qualcuno.»
Nel corso dell’ora seguente, balliamo e ridiamo, e Ava mi spiega nel
dettaglio chi è chi. A quanto pare, gli uomini sono tutti personalità notevoli.
Ma nessuno risveglia la mia fantasia.
Un tipo affascinante si fa strada in mezzo alla folla e mi appoggia le
mani sulle cosce. «Vuoi ballare?» mi chiede. È biondo e massiccio e sta
invadendo il mio spazio personale, ma con l’aspetto che si ritrova credo di
poterlo sopportare.
«Sì che vuole», farfuglia Ava, fissando il dio di fronte a noi.
Lui mi prende per mano e mi trascina sulla pista da ballo, mentre io
sgrano gli occhi e saluto le mie amiche con un gesto nervoso delle dita. Ava
mi lancia un bacio, ridacchiando per l’eccitazione.
«Come ti chiami?» mi chiede lo sconosciuto, stringendomi tra le
braccia.
Appoggio le mani sulle sue spalle e alzo lo sguardo su di lui. «Emily. E
tu?»
«Rocco.»
Sorrido. Che nome strano. Dio, sono già brilla. Devo smetterla di bere.
«È la tua prima volta qui?» domanda, come se conoscesse già la
risposta.
«Come fai a saperlo?»
«Ti avrei notata, se fossi già stata qui.»
Gli rivolgo un sorriso timido.
Le sue mani scendono fino al mio fondoschiena, e io gliele sposto sulla
mia vita. «Sei molto audace, Rocco.»
«So cosa voglio quando lo vedo.» Mi illumino mentre lui si china e mi
avvicina le labbra all’orecchio. «E io voglio te», sussurra.
Capitolo 10
Jameson
Emily
Emily
Mi siedo dentro al bar, sulla panca accanto alla vetrina, e fisso la limousine
in attesa davanti alla Miles Media, dall’altra parte della strada. È stata una
lunga settimana, e oggi è stato un giorno particolarmente monotono.
È giovedì, il giorno del massaggio.
Ho una visione di Jameson tutto unto di olio su un lettino mentre
un’altra donna muove le mani sul suo corpo. Mi si stringe lo stomaco,
mentre me lo immagino con fin troppa chiarezza. La mente mi gioca brutti
scherzi e mi mostra il peggior scenario pornografico della storia.
Jim… che viene toccato da un’altra donna.
È vestita mentre lo massaggia? Parlano? Ridono come facciamo noi?
Devo smetterla, è troppo doloroso. Sto desiderando un uomo che
nemmeno esiste.
L’autista apre la porta d’ingresso del palazzo, e io guardo Jameson
Miles uscire come al rallentatore, nel suo completo blu, con la postura
perfetta, i capelli scuri che gli scivolano sulla fronte… circondato da
un’aura quasi palpabile di potere.
Tutti si bloccano e lo ammirano mentre entra nel retro della limousine.
L’autista chiude la porta, poi l’auto esce lentamente dal parcheggio e
svanisce in fondo alla strada.
Osservo il toast al prosciutto e formaggio di fronte a me, la mia cena.
Lo sconforto mi assale. Ho appena perso l’appetito.
È venerdì pomeriggio e sono le tre. Sto fissando la storia falsa davanti a me.
Ah… che barzelletta. Mi sono trasferita a New York per inventare notizie
fasulle per un imbecille, la sua società mediatica imbecille… e quegli
imbecilli dei suoi fratelli.
Batto con forza sui tasti del mio computer. Imbecilli, imbecilli…
maledetti imbecilli.
Alla faccia di tutti i miei anni di studio all’università. I miei genitori
devono essere proprio orgogliosi. Quando mi è stato offerto questo incarico,
ho creduto che sarebbe stato emozionante, oltre che un’occasione per
dimostrare il mio valore. Ma forse mi sono sbagliata.
«Laggiù in fondo», sento dire a qualcuno. Alzo lo sguardo e vedo un
uomo con una grande busta di carta marrone in mano.
«Uber Eats per Emily Foster.»
«Cosa?» Mi guardo intorno, imbarazzata. «Ma io non ho ordinato
niente.»
Il fattorino legge il biglietto. «Qui c’è scritto che…» Si interrompe,
leggendo e accigliandosi come se fosse confuso. «C’è scritto che questa
consegna Uber Eats è controllata e sicura per il consumo umano.»
Gli lancio un’occhiata e accetto la busta.
L’uomo socchiude gli occhi, continuando a leggere la distinta. «Non ha
alcun senso.»
«Che cosa?»
«Qui dice: Zucchero per addolcirti.»
Apro la busta e trovo un’enorme cheesecake al frutto della passione.
Alzo gli occhi verso la telecamera e faccio un sorrisetto. Mi prende in giro?
«Chi l’ha mandata?» domando.
«Sembra che il mittente sia un tale Signor Brav’uomo.»
Lo fisso senza battere ciglio. «Signor Brav’uomo?»
«Già. Strano, eh?»
«Grazie.» Faccio del mio meglio per non sorridere. So che mi sta
guardando.
Molly e Aaron sbirciano dentro la busta. «Bingo», strilla il mio collega.
«Prendo dei piatti.» E corre verso la nostra cucina dello staff.
«Grazie, oh Signore, per la cheesecake», esclama Molly, eccitata.
Okay… ha fatto la prima mossa. Ora come rispondo?
Tiro fuori il cellulare e gli mando un messaggio.
Io: Caro Signor Brav’uomo, grazie. Anche se vorrei assicurarti che sono
già abbastanza dolce.
Premo Invio e aspetto. Arriva subito una risposta.
Io: Credo che domenica mattina ci siamo detti entrambi tutto ciò che c’era
da dirsi.
Fisso il messaggio ma non rispondo. Una proposta? Che c’è, vuole che sia
la sua nuova massaggiatrice? Mi sento ribollire di rabbia al solo pensiero di
quella donna che lo tocca.
Dieci minuti dopo, arriva un altro messaggio.
Rimango in attesa.
«Ecco a te», dice Aaron, passandomi un piatto con la fetta di cheesecake più
grande che abbia mai visto. Porge a Molly la sua e poi si accomoda con la
propria.
«È assolutamente deliziosa», borbotta la nostra collega con la bocca
piena.
Aaron geme in segno di apprezzamento. «Oh, cazzo, sto avendo un
orgasmo da cibo.»
Prendo un boccone, concentrandomi con tutte le mie forze per non
sorridere troppo, giusto nel caso mi stesse guardando.
Bella mossa, signor Miles… bella mossa.
A volte te lo senti dentro che non dovresti fare una certa cosa. Il risultato è
già scritto nelle stelle, e sarebbe meglio essere forte e dire di no. Ma se
proprio non ce la fai?
Questa sera non riesco a impedirmi di uscire con lui. La masochista
dentro di me vuole vederlo. La stessa masochista vuole che mi prenda, mi
spinga sul suo letto lussuoso e mi scopi fino a farmi dimenticare il mio
nome. È stata una settimana lunga e solitaria. Ma devo resistere. Se adesso
cedo, gli ultimi giorni saranno stati per niente. E sono ancora convinta di
ciò che ho detto domenica. Sono troppo per lui per com’è al momento. Non
voglio condividerlo con altre donne, e per me i soldi non hanno alcuna
importanza. Deve decidersi a venirmi incontro oppure a lasciarmi perdere.
Suona il campanello, e il mio stomaco si stringe in una morsa. Lui è qui.
«Chi è?»
«Uber Eats.» Sento la sua voce vellutata.
Faccio un ampio sorriso. «Che cos’ha per me?»
«Salsiccia italiana.»
«Mmh», lo stuzzico. «Ha per caso intenzione di drogare la salsiccia e di
approfittare del mio corpo non appena cadrò svenuta?»
«Indubbiamente.»
Divertita, premo il pulsante per farlo salire, poi inizio a camminare
avanti e indietro nell’appartamento, gesticolando senza controllo per il
nervosismo che si sta impossessando di me.
Rimani calma… rimani calma… rimani calma.
Toc, toc.
Apro rapidamente la porta, ed eccolo lì, in maglietta grigia e jeans
neri… con i suoi ardenti occhi blu. Un pigro sorriso sexy gli attraversa il
viso.
«Ciao.»
«Ciao», bisbiglio, fissando il magnifico esemplare di uomo che mi sta di
fronte. Vorrei gettarmi tra le sue braccia. L’attrazione che provo per lui è
incredibile.
Si china e mi bacia una guancia, superandomi per entrare nel mio
appartamento.
«Sei pronta?» mi chiede.
«Prontissima.» Prendo la borsa e lo scialle.
Jameson abbassa lo sguardo lungo il mio corpo fasciato da un abitino
nero. «Sei incantevole.»
«Grazie», mormoro.
«Andiamo.» Mi porge il braccio, e io lo afferro.
Entriamo in ascensore avvolti da un silenzio imbarazzante. Lui è
pensieroso e io sono nervosa da morire. Interpretare la donna calma,
tranquilla e composta è terrificante, e ricordo a me stessa che questa sera
non devo bere troppo.
Usciamo dal mio palazzo, la sua limousine è parcheggiata davanti al
marciapiede. Apre la portiera e io salgo. Vengo assalita dai ricordi della
prima volta in cui sono stata su questi sedili posteriori, e la parola
“puttanella” mi aleggia nella mente.
Scivolo da una parte e lui entra accanto a me, poi mi prende una mano
per stringerla e appoggiarsela in grembo. Okay… è affettuoso. Che cosa
significa?
Non so cosa dire, né come reagire, dato che sto interpretando la parte
della difficile, ma il calore del suo tocco è così confortante che glielo lascio
fare. La limousine attraversa la città, e io guardo fuori dal finestrino mentre
un milione di pensieri mi passa per la mente. Questa notte è importante:
dobbiamo raggiungere un accordo o fare in modo di limitare il più possibile
i danni. Non possiamo continuare a litigare per un nonnulla come abbiamo
fatto finora.
L’auto si ferma e l’autista apre la portiera. Esco e Jameson mi prende
per mano per guidarmi dentro un ristorante elegante, il Lucino’s.
«Prenotazione per Miles», dice, stringendomi forte le dita tra le sue.
«Da questa parte, signore.»
Con un sorriso, il cameriere ci fa strada attraverso il locale, portandoci
fino a un tavolino accogliente in un angolo. Sposta indietro la mia sedia, e
io mi accomodo. Jameson si siede di fronte a me. Il ristorante è buio, con
candele sui tavoli e lucine appese al soffitto. C’è un’atmosfera molto
romantica.
Non ti emozionare. Probabilmente è solo un caso.
«Posso portarvi qualcosa da bere?» ci chiede il cameriere.
«Sì, prendiamo una bottiglia di champagne Salon, per favore.» Chiude il
menù e glielo porge.
Io lo fisso.
Ecco che ci risiamo.
L’uomo sparisce, e Jameson mi guarda con i suoi grandi occhi blu. Mi
stringe di nuovo la mano attraverso il tavolo. «Ehi», sorride con dolcezza,
come se finalmente si stesse rilassando.
Lascio perdere la discussione sul vino. Non ha importanza chi lo abbia
ordinato. «Ciao», gli rispondo a mia volta.
Mi accarezza le nocche con il pollice e mi fissa negli occhi. «Come
stai?»
«Bene.»
Oh, il suo tocco mi rende debole. Vorrei confessargli che sto mentendo,
che ho passato una settimana pessima e che lui è il re di tutti gli imbecilli.
Ci guardiamo attraverso il tavolo. È come se nessuno dei due volesse
parlare, per evitare di far scoppiare una guerra aperta.
«Qual è questa proposta, Jameson?» Lui si appoggia allo schienale,
apparentemente seccato dal mio tono. Gli stringo la mano. «Non sto
cercando di litigare. Voglio solo sapere a cosa stai pensando», dico piano.
«Smettila di stare sulla difensiva quando sei con me.»
Si rilassa appena, ma, proprio in quel momento, il cameriere torna con
la bottiglia di champagne e la apre. Ne versa un po’ in un flûte e Jameson lo
assaggia.
«Va bene.»
Allora l’uomo riempie i nostri bicchieri e ci lascia da soli.
«Ho pensato a quello che hai detto lo scorso weekend.»
«E?»
Sorseggia il suo drink. «Questa settimana ho cancellato i miei
massaggi.»
Faccio un sorrisetto, guardandolo negli occhi, ma rimango in silenzio.
«Il fatto è che io…» Si interrompe. Aspetto che parli e, quando non lo
fa, gli stringo la mano in un gesto rassicurante. «Sono sposato con il mio
lavoro, Em.» Mi acciglio. «Quando ho detto di non essere interessato a una
relazione, non intendevo…» Scrolla le spalle, come se gli mancassero le
parole.
«Che cosa non intendevi?»
«Non intendevo che non voglio frequentarti. Volevo dire che sono uno
stacanovista, e so che pochissime donne sopporterebbero il tempo che
dedico al lavoro.»
«Jameson, a me non importa quanto sei impegnato. È solo che non
voglio essere una delle tante.»
Lui aggrotta le sopracciglia. «Cosa vorrebbe dire?»
«Che non sono fatta per le avventure di una notte. Non sono così. Ma
neanche io sto cercando una relazione seria e profonda. Mi hai fraintesa.»
«E allora che cosa vuoi?»
«Voglio avere un rapporto di amicizia con un uomo e sapere che sono
l’unica persona con cui va a letto.» Mi ascolta. «E di certo non voglio
condividerti con una massaggiatrice del cazzo.» Rotea gli occhi. «E non
voglio neanche che tu faccia quelle smorfie quando parlo.»
Lui serra i denti, irritato. «Modera il tono», mi avverte.
«Lo vedi?» gli dico.
«Cosa?»
«Questo atteggiamento ostile. Quando siamo tra di noi, deve sparire.
Non possiamo continuare a discutere per ogni minuscola cosa come
facciamo ora.»
«Tu non sei migliore di me, da questo punto di vista», sbotta lui a sua
volta.
«Lo so, e sto cercando di smetterla. Proprio adesso ho tenuto a freno la
lingua, nonostante tu abbia ordinato da bere senza chiedermi cosa volessi.»
«Sono abituato ad avere il controllo, Emily», dichiara con tono secco.
«Anche io. Questo non cambierà.» Mi guarda negli occhi e si sistema il
tovagliolo in grembo come se stesse riflettendo. «Non ti sto chiedendo di
essere il mio fidanzato, Jameson», bisbiglio. «Non è di questo che si tratta.
Abbiamo un’ottima intesa sessuale, e io vorrei continuare questa cosa.
Sento di doverlo fare… ma non posso, non se so che vai anche con altre
donne. Devo essere l’unica.»
«Va bene, non andrò a letto con nessun’altra», dichiara esasperato.
«E?» insisto.
Alza gli occhi al cielo. «E ti puoi ordinare da sola i tuoi drink.»
Capitolo 12
Emily
Sento una mano che mi accarezza il sedere per poi darmi una pacca su una
natica. «Andiamo.»
Faccio una smorfia e mi giro verso Jameson. «Cosa?»
«Alzati, su.»
«Eh?» Mi stiracchio e apro gli occhi. Le tende sono aperte e il sole filtra
nella stanza dalle enormi vetrate. Mi guardo intorno, ancora mezza
addormentata. «Che ore sono?»
«Sono le otto. Alzati. Andiamo a fare una corsa a Central Park.»
«Chi ci va?» Mi acciglio. Jameson è avvolto in un asciugamano e
sembra appena uscito dalla doccia.
«Tu ed io.»
Mi gratto la testa, confusa. «Ti sei fatto una doccia per andare a
correre?»
«Odoravo di sesso.» Fa un sorrisetto, chinandosi per baciarmi sulle
labbra. Lo stringo tra le braccia e lo trattengo, ma lui si libera dalla mia
presa. «Andiamo.»
«Ma qui non ho niente. Che scarpe dovrei mettere?»
«Che numero porti?»
«Trentotto e mezzo.»
«Mmh.» Si appoggia le mani sui fianchi e riflette. «Beh, puoi mettere
un paio delle mie.»
«Inciamperò e mi spezzerò l’osso del collo, Jameson.»
«Mmh, okay.» Sparisce nella cabina armadio ed emerge in un paio di
pantaloncini neri della Nike e una maglietta blu della stessa marca.
Lo guardo sorridendo.
«Che c’è?»
«Oggi sei sponsorizzato dalla Nike?»
Lui abbassa lo sguardo su di sé, divertito. «No, sono solo vestiti
comodi.»
«Come questo letto.» Incurvo le labbra, assonnata, rinfilandomi sotto le
coperte. Jameson si siede per mettersi le scarpe, e io lo guardo per un
momento. «Quindi come funziona?» gli domando.
«Come funziona cosa?»
«Beh…» Mi fermo, cercando di spiegare quello che voglio dire senza
sembrare appiccicosa. «Non ho mai avuto una relazione occasionale.»
Scrollo le spalle in modo timido. «Come ci comportiamo? Quando ci
vediamo?»
«Dunque…» Si china per allacciarsi una scarpa. «Suppongo che
possiamo improvvisare.»
Mi acciglio. E se non mi chiamasse? Passerei tutta la settimana ad
aspettarlo. Oh, non mi piace. «Credo che preferirei stabilire dei giorni.»
Lui aggrotta la fronte. «Quanti giorni?»
Scrollo le spalle. Diamine, sono sembrata insistente? Devo
sdrammatizzare. «Uno alla settimana.»
«Voglio vederti più di un giorno alla settimana», sbuffa lui.
«Davvero?»
Sogghigna, capendo subito cosa sto facendo. Si rialza e poi si china per
baciarmi. «Sì, tre volte alla settimana.»
Cerco di nascondere il sorriso. «Quando?»
«Dobbiamo avere dei giorni prestabiliti?»
«Io lo vorrei.»
«Perché?»
Faccio spallucce, torcendo il lenzuolo tra le dita, imbarazzata dal mio
atteggiamento. Devo sembrargli proprio una sciocca piuttosto pedante.
Jameson mi appoggia le dita sotto il mento per sollevare il mio volto
verso il suo. «Perché, Emily?»
«Perché detesto aspettare a vuoto, e così sapremo entrambi che non
dobbiamo organizzare nient’altro durante i nostri giorni.»
«Okay.» Si appoggia le mani sui fianchi. «Quando vuoi vedermi?»
«Magari due volte durante la settimana e una nel weekend?» Esito,
cercando di interpretare i segnali che mi sta lanciando. «Ma solo per
qualche ora alla volta, ovviamente.»
«No.»
Merda. Sto facendo delle richieste eccessive.
«Due notti intere durante la settimana e una notte intera e mezza
giornata nel weekend.»
Sorrido. «Mezza giornata.»
«Sì, a partire da oggi. Voglio la mia mezza giornata questa mattina.»
«Oggi? Perché oggi?»
«Ho intenzione di andare a fare una corsa mentre tu ti rimetti a dormire.
Poi tornerò a casa, ci faremo una doccia e ti preparerò la colazione.»
Incurvo le labbra in un sorriso dolce. Mi sembra perfetto. «Poi torneremo a
letto e ti scoperò di nuovo fino a farti perdere i sensi, così riuscirò a
resistere qualche giorno senza di te.» Mi appoggia una mano sul viso.
«Okay?»
È davvero fantastico quando fa il carino. Annuisco, cercando di
impedirmi di sorridere come una stupida.
Tira le tende, mi fa stendere e mi rimbocca le coperte, baciandomi con
tenerezza su una tempia. «Torna a letto, dolcezza», sussurra.
Chiudo gli occhi sorridendo contro il cuscino, e lo sento lasciare
l’appartamento. Mi giro sulla schiena e alzo lo sguardo sull’elaborato
soffitto.
Quest’uomo è un dio.
Dormicchio per la mezz’ora successiva e mi sveglio quando Jameson
rientra in camera da letto. È madido di sudore e sta ansimando. Mi puntello
sui gomiti per guardarlo.
«Fino a dove hai corso, in Antartide?» Lui ridacchia e scuote la testa,
ancora senza fiato. «Mi dai l’idea di essere uno che corre proprio veloce,
non è vero?»
Annuisce, appoggiandosi le mani sui fianchi. «Più forte corro e migliori
sono gli effetti.»
«Gli effetti su cosa?» Mi acciglio.
«Sul mio livello di stress.» Sparisce in bagno e apre la doccia.
Oh, questa è una novità. Ha problemi a gestire lo stress? Beh, immagino
abbia senso. Dopotutto ha un enorme carico di lavoro sulle spalle.
«Vieni anche tu?» mi chiama.
«Sì», rispondo, raggiungendolo con calma.
È sotto la doccia, l’acqua gli scorre sulla testa. Il suo respiro sta
tornando normale. Entro, e lui mi stringe tra le braccia, baciandomi
dolcemente.
«Buongiorno», mormoro.
«Buongiorno a te, mia Em.» Mi sfiora le labbra con le sue.
Io gli faccio un sorriso sciocco.
«Che c’è?»
«Mi piace quando mi chiami così.»
«Davvero?» Ne sembra felice.
«La tua principessa Em.» Batto le ciglia per dimostrare cosa intendo.
Jameson ridacchia, poi prende il sapone e inizia a lavarmi. «Non ho
alcun dubbio che sotto quell’atteggiamento aggressivo la signorina Foster
sia dolce e pura.»
«Non sono mai stata aggressiva, neanche una volta», esclamo.
Lui mi sorride, infilandomi una ciocca di capelli dietro a un orecchio.
«E guarda quanto sei bella.»
Faccio una risatina e mi appoggio al suo petto. Mi lava la schiena, le
spalle, i seni e poi scende lungo le mie gambe. Lo osservo concentrarsi sul
suo compito. Poi passa al mio sesso e, quando mi tocca lì, alza lo sguardo
su di me.
Ci stiamo fissando, ma non sembra qualcosa di davvero erotico o
sensuale. È solo intimo.
Lo guardo nei suoi grandi occhi blu, e giuro che questo non è lo stesso
uomo che gestisce la Miles Media. Quello che adesso è qui con me è dolce
e tenero. Tutto ciò che Jameson Miles non è.
«Lascia che ti lavi.»
Prendo il sapone e mi strofino le mani per poi passargliele sull’ampio
petto, sulle spalle muscolose e sui bicipiti. Dopodiché passo agli addominali
in rilievo e all’inguine. Mentre lo insapono proprio lì, sento una sensazione
di calore irradiarsi dentro di me. Lui si china e mi bacia su una tempia,
come se fosse consapevole che mi sto trattenendo dal saltargli addosso.
Dobbiamo smetterla di fare sesso di continuo, sta diventando una cosa
ridicola.
L’attrazione sessuale tra di noi è così forte che nessuno dei due riesce
mai ad averne abbastanza dell’altro.
«Mi hai trasformata in una vera maniaca sessuale», bisbiglio.
Mi sorride, posando le labbra sulle mie. «A giudicare dalla nostra ultima
notte insieme, temo che tu soffrissi già di questo disturbo prima di
conoscermi.»
«Non mi sono mai comportata così prima.»
«Così come?»
«Tu mi fai sentire delle cose che non ho mai provato per nessun altro
uomo.» Lo scruto negli occhi. «Sei diverso da chiunque altro io abbia
frequentato in passato.»
L’acqua cade su di noi, e io mi rendo conto che non so perché gli ho
appena detto una cosa simile. Mi accorgo che mi sto affezionando a lui e
non so come smettere di confessargli i miei segreti. Finirò per rovinare
tutto.
Piantala di parlare, stupida.
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Insinua la lingua nella mia
bocca socchiusa per concedermi un bacio profondo, erotico, dolce e,
maledizione… così dannatamente perfetto che quasi non riesco a
sopportarlo.
«Ti riporto a letto», mormora con la voce roca per il desiderio.
«Ti prego», gemo.
Usciamo, e lui ci asciuga entrambi prima di guidarmi di nuovo tra le
lenzuola, farmi sdraiare e aprirmi le gambe. Lo guardo infilarsi un
preservativo e stendersi su di me. Ci fissiamo a vicenda mentre lui si
solleva sui gomiti e si fa strada tra le mie cosce. Gli afferro il sedere, ma
Jameson mi impedisce di attirarlo dentro di me.
«Voglio farlo lentamente», ansima.
Oh Dio, il mio stomaco viene stretto in una morsa per l’eccitazione. «Ti
desidero.»
Cattura le mie labbra con le sue, e il nostro bacio si fa frenetico mentre
affonda piano dentro di me. Inarco la schiena sul letto per il piacere di
sentirlo centimetro dopo centimetro. Gemo, e lui rotea gli occhi per il
piacere.
Per venti minuti, ci godiamo con calma i nostri corpi. Jameson è gentile
e affettuoso anche quando sprofonda del tutto dentro di me. Muove le
labbra sulle mie clavicole e sul mio collo, per poi spostarle dalla mascella
alla mia bocca.
«Cazzo, Emily», bisbiglia. «Mi stravolgi, piccola.»
Se potessi rispondergli, lo farei, ma sono troppo presa dalla sensazione
paradisiaca del sesso. Farsi scopare con forza da Jameson Miles è sexy da
morire, ma fare dolcemente l’amore con lui è qualcosa di sconvolgente.
Non sarò mai più la stessa.
Dove diavolo può andare una ragazza dopo aver fatto un sesso così?
Continua a muoversi dentro di me, e io inizio a tremare, ma lui, invece
di spingere con più forza come fa di solito, si blocca.
«Prendilo», sussurra.
«Cosa?»
«Rimani ferma e prendi quello che ti do. Voglio che tu venga
stringendomi dentro di te.»
Lo guardo negli occhi. Porca puttana. Non ce la faccio, quest’uomo è
troppo sensuale.
«Scopami», bisbiglia. «Non muovere un muscolo, tranne che questi.»
Flette il suo membro, e io lo sento in profondità. «Voglio che mi mostri…
quello che senti, solo a me.»
«Oh Dio», gemo.
«Fallo», mi ordina.
Serro i muscoli e lui fa un sorriso cupo. «Più forte.»
Lo faccio di nuovo, e Jameson piega le labbra in un sorriso eccitato.
«Così, piccola.» Chiude gli occhi in preda all’estasi. «Stringimi, fammi
vedere a chi appartengo.»
Quando lo sento dire che il suo cazzo appartiene a me, qualcosa dentro
di me si spezza. Sollevo le gambe e gliele avvolgo attorno alla vita,
iniziando a contrarre ritmicamente i muscoli. Lui ansima in segno di
approvazione.
«È così… bello», sussurro, mentre ci fissiamo a vicenda. «Così…
dannatamente bello…»
Al mondo esterno potremmo sembrare immobili, stretti in un abbraccio,
ma dentro di me ogni muro che io abbia mai eretto sta andando in mille
pezzi, una contrazione alla volta.
Jameson inizia a gemere, ed è così piacevole che non riesco a
trattenermi. Serro i muscoli più forte che posso, ed entrambi gridiamo,
attraversati dall’orgasmo. Poi mi bacia, in modo dolce e tenero, e io sento la
potenza di ciò che c’è tra di noi. Lo tengo stretto a me, guancia a guancia,
aggrappandomi a lui come se ne andasse della mia vita.
«Cazzo, Emily, sei perfetta», sussurra.
Gli passo le dita sulla mascella ruvida. «Sei tu che sei perfetto.» Lo
bacio piano. «Dovresti smetterla subito.»
«E perché?» Mi sorride.
«Credo di essere assuefatta.»
Lui ridacchia, girandosi sulla schiena e attirandomi su di sé. «No, ti
voglio così.»
Scoppio a ridere. «Perché mi vorresti assuefatta?»
«Perché lo sono anche io, e non voglio trovarmi da solo in questa
situazione.» Mi guarda dritto negli occhi, e io sento il cuore palpitarmi nel
petto.
«Non sei da solo, Jay.»
«Bene.» Mi bacia una tempia e sembra rilassarsi.
Rimaniamo aggrovigliati in quel modo, e lui si riaddormenta dopo poco,
mentre la mia mente parte in quarta. Provo qualcosa per lui, so che è così.
In soli due giorni, ho maturato dei sentimenti nei suoi confronti. Come
andrà a finire?
Sono completamente fregata.
Un’ora più tardi, vengo svegliata dall’odore del bacon che cuoce, e sorrido
guardando verso il soffitto. Non so che universo alternativo sia questo, ma
mi piace. Mi infilo una vestaglia che trovo appesa in bagno ed esco per
andare in soggiorno. Giro l’angolo, ritrovandomi di fronte a una vetrata con
vista su New York e Central Park. Il lusso e l’esagerata opulenza di questo
appartamento mi colpiscono allo stomaco, e mi blocco sul posto. Non riesco
a capacitarmi che tutto questo sia suo.
Che tutti questi soldi siano suoi.
Il mio sguardo vaga sugli splendidi pavimenti, sui magnifici tappeti e
sull’arredamento, poi sul caminetto e sull’enorme specchio dalla cornice
dorata appeso al di sopra di esso. Non ho mai visto un appartamento come
questo neanche in una rivista di arredamento, figurarsi se ci sono mai
entrata. Mi sento terribilmente fuori luogo.
«Ehi, eccoti qui.» Il volto di Jameson si illumina appena gira l’angolo e
mi vede. Gli rivolgo un sorrisetto sghembo, e lui si acciglia, osservando il
mio viso. «Che c’è che non va?»
Mi torco nervosamente le dita. «Il tuo appartamento mi sconvolge.»
«Perché?»
Scrollo le spalle, imbarazzata da quelli che sono i miei miseri standard.
«È troppo elegante. Ho l’impressione che questo non sia il posto adatto a
me.»
Mi prende tra le braccia. «Che cosa vuoi dire?» Faccio spallucce. «È per
questo che non volevi venire qui lo scorso weekend?»
Annuisco. «Sì.»
«Mi spieghi il motivo?»
«Quando sono qui, mi torna in mente quanto poco abbiamo in comune.»
«E questo ti dà fastidio?»
Gli rivolgo un timido cenno di assenso.
Jameson aggrotta la fronte, come se stesse cercando di capire. «Sei la
prima donna che abbia mai avuto un problema con i miei soldi.»
«Mi fa passare la voglia.»
«Cosa?» farfuglia.
«In effetti, preferirei se fossi povero.» Sorrido, consapevole di quanto
suoni ridicolo.
Lui ridacchia. «Beh, questo lo vorresti solo tu.»
Mi guida in cucina, dove trovo una colazione a base di bacon e uova
sopra a una fetta di pane casereccio, con un contorno di avocado.
«Buono», commento con tono allegro, sedendomi.
«Devi sapere che sono molto bravo a preparare la colazione.» Si
accomoda di fianco a me, ha un’aria piuttosto compiaciuta di sé stesso.
Il mio sorriso svanisce mentre prendo coltello e forchetta.
È bravo perché lo fa spesso.
Smettila.
Mando giù il primo boccone, chiedendomi quante donne si siano sedute
qui come me e abbiano mangiato il suo cibo dopo aver fatto del sesso
fantastico per tutta la notte.
Per l’amor di Dio, piantala.
«Che cosa devi fare oggi?» gli chiedo, per distrarmi dai pensieri
negativi.
«Questo pomeriggio ho in programma una partita di golf con i miei
fratelli, e poi probabilmente cenerò con loro e con i miei genitori. Questa
settimana torneranno a Londra.» Sorseggia il suo caffè. «Tu?»
Sorrido, immaginandoli tutti e quattro mentre giocano a golf. «Devo
andare a fare la spesa. Poi uscirò per una passeggiata e scriverò qualche
altra storia falsa.»
Jameson smette di mangiare. «Non sei costretta a lavorare nel weekend,
lo sai.»
«Lo so. È solo che mi piace portarmi avanti, nel caso succeda
qualcosa.»
Annuisce e torna alla sua colazione. «Stasera esci?» mi chiede con
disinvoltura.
Non ne ho intenzione, ma non voglio che pensi che rimarrò a casa a
struggermi per lui. «Sì.»
Sposta lo sguardo su di me e serra la mascella come se fosse arrabbiato.
«Dove vai?»
«Fuori a cena con Molly e Aaron.»
«Chi è Aaron?»
«Un amico con cui lavoro, quello seduto di fianco a me. È gay.»
«Oh.» Taglia un pezzo del suo toast, rabbonito, almeno per il momento.
Lo guardo per un istante mentre mangia in silenzio. «Ti darebbe fastidio
se andassi in discoteca?»
Beve il suo caffè, prendendo tempo prima di rispondere. «Beh, se
ripenso alla tua performance del weekend scorso, sì, mi darebbe fastidio.»
Gli rivolgo un sorriso sornione. «Che c’è?»
«Niente.» Scrollo le spalle, sono felice che lo infastidirebbe.
Mi strofina una mano lungo la coscia nuda e si sporge per baciarmi una
guancia. «Non ho intenzione di dividerti con nessuno. Non voglio che balli
con altri uomini.»
Incurvo le labbra e gli accarezzo le guance ispide, guardandolo nei suoi
grandi occhi blu. «Bene, allora non lo farò.»
Sono sdraiata sul divano in uno stato di assoluto relax. A dispetto di quello
che sostiene Jameson, ho ordinato Uber Eats per me, e sì, ho messo la
catena alla porta, giusto per sicurezza.
Il mio telefono vibra dal tavolo dove l’ho lasciato, e il nome di Aaron
illumina lo schermo.
«Pronto.» Faccio un sorrisetto, quest’uomo mi fa tanto ridere.
«Oh… cazzo», balbetta. «Sono appena entrato nell’e-mail di Paul, e
stasera si vede con un tizio in una discoteca.»
Mi raddrizzo. «Cosa?»
«Sì, e c’è di peggio.»
«Com’è possibile?»
«È stato su Grindr.»
«Oh mio Dio, mi prendi in giro?» esclamo. «Su Grindr?»
«Sì, vestiti. Andiamo là a spaccargli il culo.»
«Cosa?» strillo.
«Mi hai sentito. Mettiti qualcosa di sexy. Sarò da te tra mezz’ora.»
«Ma…»
Quando lui riattacca, il telefono emette un click.
Oh, cacchio. Accidenti, stasera non ho voglia di uscire.
Il mio telefono vibra di nuovo, e il nome di Molly illumina lo schermo.
«Lo so», rispondo, sapendo che Aaron deve aver chiamato anche lei.
«Cazzo, è su Grindr?» esclama.
«Lo so.»
«Devi farmi un favore. Questa notte, quando vedrai quel cazzo moscio
di Paul, lo devi ridurre in poltiglia sotto al tacco della tua scarpa.»
Ridacchio. «Quello spero di non vederlo, Moll.»
«Non riesco a credere a questa stronzata», esclama lei, in preda
all’indignazione.
«Lo so.»
«Aaron è troppo per lui.»
«Lo so. Vieni anche tu in questa missione spacca-culi?»
«Non posso. Ho i ragazzi. Mettiti una GoPro in testa così posso vedere
cosa succede.»
«Non puoi lasciarli al padre?» le chiedo. «Questa è un’emergenza.»
«No. È andato a un appuntamento con una sgualdrina.»
Ridacchio di nuovo. «Cazzo, stanno succedendo un sacco di cose
orribili ultimamente.»
«Lo so», esclama lei. «Okay, ti chiamerò ogni ora. Rispondi al
telefono.» E riattacca.
Il cellulare sulla mia scrivania squilla. «Pronto, Emily», dice Sammia. «Il
signor Miles vorrebbe vederti subito nel suo ufficio, per favore.»
Vengo attraversata da una scossa di eccitazione. «Okay, sto arrivando.»
Mi sistemo i capelli e mi ripasso il rossetto sulle labbra, per poi
precipitarmi letteralmente verso l’ascensore. Spero che abbia sentito la mia
mancanza e che abbia trovato una scusa per vedermi. Arrivo all’ultimo
piano e avanzo attraverso il foyer.
«Ciao, Sammia.»
«Ehi, Emily. Vai pure.»
«Grazie.»
Oggi posso camminare tranquillamente sul pavimento di marmo perché
ho finalmente comprato le scarpe con le suole di gomma. Non si sente
nemmeno un ticchettio.
Busso alla sua porta.
«Avanti», risponde la sua voce profonda e sensuale.
Apro e l’entusiasmo scivola via dal mio volto. Jake è seduto davanti alla
sua scrivania. «Ciao.» Gli sorrido.
Che ci fa lui qui?
Vattene via. Ora tocca a me stare insieme a Jameson.
Jake si gira verso di me e il suo viso si illumina. «Ehi, Foster.»
Jameson gli punta addosso lo sguardo. «Voi due sembrate in
confidenza.»
«Sabato sera siamo andati insieme in discoteca, non è vero, Foz?»
Sorride allegramente.
Jameson sposta gli occhi su di me, e la sua mascella trema per la rabbia.
Porca puttana.
Capitolo 13
Emily
Jameson
Emily
Mentre le porte dell’ascensore si chiudono di fronte a me, mi illumino. Ha
funzionato. Volevo calmarlo e ci sono riuscita. È come uno specchio. Se io
sono calma, anche lui si calma.
Forse, se sarò sincera, lo sarà anche lui, e non so cosa questo implichi
per i miei piani di fingermi una difficile, ma suppongo che lo scoprirò
presto. Non mi è sembrato arrabbiato quando gli ho detto che avevo sentito
la sua mancanza… anzi, è parso sollevato. O forse sto solo proiettando su di
lui i miei desideri. Torno al mio piano e do un’occhiata alla sala, diretta
verso la mia scrivania.
Qualcuno che lavora qui, al mio fianco, è un ladro, sta rubando alla
famiglia Miles. Il valore della compagnia sta precipitando e il mio Jay è
stressato oltre ogni dire. Vorrei poter parlare di questa storia con Molly e
Aaron. Sono sicura che, se ci riflettessimo insieme, scopriremmo molte più
cose di Jake. Ma non posso, ho dato la mia parola che non lo avrei detto ad
anima viva.
Mi riaccomodo alla mia scrivania.
«Come è andata?» chiede Aaron.
«Bene», mento.
«È palese che il signor Miles abbia un debole per te», dice Molly con un
sorrisetto.
«Perché?» domando.
«Noi non abbiamo mai dovuto seguire un programma di formazione
tanto accurato.» La donna sposta lo sguardo su Aaron. «Non è vero?»
«Già», risponde lui, tenendo gli occhi incollati sullo schermo. «Ti
prego, dimmi che segretamente vai lassù per succhiargli il cazzo.»
Sogghigno, ma rimango in silenzio.
Molly mi lancia un’occhiata inquisitoria. «È così?»
Scrollo le spalle. Non posso mentire, ma non dirò niente di troppo
preciso.
«Ma che cazzo!» bisbiglia Aaron, avvicinando la sedia alla mia. Molly
fa lo stesso. «Vi siete visti?»
«Forse.»
«Cosa?» sussurra la collega. «Quando?»
«Diverse volte, ma l’ultima è stata venerdì sera.»
Aaron fa il segno della croce e finge di pregare. «Grazie, Gesù.»
«Ma non dite nulla», bisbiglio. «È tutto molto casuale, non c’è ancora
niente per cui esaltarsi.»
Molly sgrana gli occhi per l’esasperazione. «Mi prendi in giro? Farsi
Jameson Miles è assolutamente qualcosa per cui esaltarsi, donna. Ce l’hai
presente?»
Faccio un ampio sorriso alle loro reazioni esagerate. «Sto solo cercando
di prenderla con calma, ma, comunque sia, vado al piano di sopra per un
progetto con Tristan, non per vedere Jay.» Questa non è una bugia. È
vero… più o meno.
Aaron si appoggia una mano sul petto. «Oh, diavolo, lo chiama Jay. Mi
batte forte il cuore.»
«Uccidetemi ora», sospira sognante Molly. «Sei stata nel suo
appartamento?»
«Sì, e lui ha passato la notte nel mio.»
Spalancano gli occhi. «È venuto a casa tua?» strilla Aaron.
«Shh», bisbiglio guardando la gente attorno a noi. «Abbassate la voce e
non ditelo a nessuno. Soprattutto non ad Ava, sapete com’è.»
«Oh Dio, riesci a immaginarlo?» Molly alza gli occhi al cielo.
«Diventerebbe la tua nuova amica del cuore, se sapesse che stai con lui. Ti
si appiccicherebbe con la colla, se pensasse di avere una possibilità di
arrivare ai suoi fratelli.»
«Beh, non può avere Tristan.» Emetto un verso di disapprovazione
mentre accendo il computer. «È decisamente troppo gentile per lei.» Scrollo
le spalle. «E credo che sia impegnato.»
Iniziamo a lavorare, e il cellulare di Aaron squilla. «È Paul», balbetta in
preda al panico.
«Rifiuta la chiamata», dico senza alzare lo sguardo.
«Ma voglio sentire cosa ha da dire.» Prende il telefono e Molly glielo
strappa di mano per premere Rifiuta.
«Dice al mondo intero: Venite su Grindr a scoparmi. Vuoi smetterla di
essere così patetico? Manda lo stronzo a quel paese», sbotta lei.
Aaron incassa le spalle, mentre io gli strofino la schiena con fare
compassionevole. «Con il tempo diventerà più facile, tesoro.»
«Sì, quando avremo dato fuoco alle sue viscide palle», mormora Molly,
furiosa.
Ridacchio. «Dare fuoco alle sue viscide palle… sei così eloquente,
Moll.»
«Vero? È per questo che sono una giornalista.» Si alza. «Vado a
preparare il caffè. Lo volete anche voi?»
«Sì, grazie.»
Aaron sospira, depresso. «Riesci a trovare anche un po’ di torta? Di
certo sarà il compleanno di qualcuno, qui dentro.»
Molly si guarda intorno. «Sì, dov’è il tizio di Uber Eats quando
abbiamo bisogno di lui?» Poi mi guarda. «Oh mio Dio, la cheesecake della
settimana scorsa te l’aveva mandata Jameson?»
Faccio un ampio sorriso.
Aaron abbassa la testa e finge di sbatterla sulla scrivania. «Le manda
persino le cheesecake. Quell’uomo è davvero un dio.»
Emily
Sono nel foyer ad aspettare Ava e Molly. Stiamo solo andando a fare la
pausa pranzo, e Molly si è messa a parlare con una delle guardie di
sicurezza. Credo che abbia un debole per lui.
«Questo weekend pensi di uscire?» mi chiede Ava.
«Ehm, non lo so ancora. Forse torno a casa.» Accidenti, non voglio
uscire di nuovo con lei. È interessata agli uomini solo se sono ricchi. Lo
trovo così strano che non riesco ancora a capacitarmene.
Uno degli ascensori si apre e ne emerge Tristan, seguito da Jameson.
Insieme a loro ci sono altri due uomini. Con indosso un completo blu scuro
e una camicia bianca inamidata, Jameson è la personificazione del fascino.
Capelli scuri, mascella squadrata, penetranti occhi blu… È difficile credere
che, appena sei ore fa, fosse dentro di me sotto la doccia. Questa mattina,
dopo essere tornati dalla nostra corsa, lo abbiamo fatto due volte. È un vero
animale. Il suo cazzo è la fine del mondo.
Sono morta e sono finita nel paradiso degli amministratori delegati.
«Oh mio Dio», bisbiglia Ava. «Guarda chi sta arrivando.»
Jameson sta attraversando il foyer affollato, assorto in una
conversazione con gli altri uomini. Tutti si fermano e li fissano. Rimango
immobile mentre mi supera, e, all’ultimo momento, lui alza lo sguardo e mi
nota. Esita, e io gli faccio un discreto cenno con il capo. Non voglio che
qualcun altro sappia di noi. Annuisce rapidamente come per segnalarmi di
aver capito e continua a camminare, riprendendo a parlare. Lui e gli altri
escono dal portone d’ingresso e svaniscono in strada. Probabilmente stanno
andando a pranzo.
«Davvero, dove troviamo degli uomini come i fratelli Miles?» sospira
Ava.
«Già.» Osservo la strada in cui sono spariti.
«Uno di questi giorni», mormora lei. «Uno di questi giorni.»
Ciao,
ti ho prenotato un massaggio con un fisioterapista. Sarà a casa tua alle
sette. Spero sia compatibile con i tuoi impegni.
FB
xoxoxo
Cara FB,
un fisioterapista?
J
xx
Caro signor J,
un uomo, un fisioterapista professionista che pratica massaggi e non
atti sessuali. Specializzato in trattamenti per la schiena e decisamente
costoso.
FB
xoxoxo
FB,
va bene, ma potresti farlo entrare tu nel mio appartamento, per favore?
Chiederò ad Alan di venire a prenderti alle sei e mezza. Ci vediamo lì, forse
con un quarto d’ora di ritardo.
J
xoxo
Faccio un ampio sorriso mentre la speranza mi sboccia nel petto. Gli scrivo
di nuovo.
Stasera ci vediamo?
Lui mi risponde.
Sì. Starò via per tutta la settimana prossima, quindi voglio anticipare anche
i futuri incontri. Ci vediamo stasera.
Jay
xoxo
Jay,
preparerò la cena. Che cosa vuoi?
FB
xoxo
L’unica cosa che voglio stanotte sei tu. Ora torna al lavoro, prima che ti
pieghi a novanta sulla scrivania.
xoxo
Con un sorriso sulle labbra, sto ascoltando Jameson che russa piano ogni
volta che espira. Sono seduta sul divano in pigiama e sto guardando un film,
mentre lui è steso con la testa sul mio grembo, profondamente
addormentato.
Mi sembra stranamente… normale.
Non stava scherzando quando ha detto di essere stanco. È più che
stanco… è esausto.
Credo che si tratti più di stanchezza mentale che fisica; non riesco a
immaginare cosa debba affrontare ogni giorno sul lavoro. La pressione della
gestione della Miles Media ricade su di lui sin da quando era molto giovane.
Persino da ragazzo, deve essere stato istruito per questo ruolo. Ma
l’amministratore delegato Jameson Miles è un comune mortale, e io mi
sento protettiva nei suoi confronti.
Gli passo distrattamente le dita tra i capelli e mi godo questo momento
intimo con lui. Non credo che molte persone lo abbiano visto così rilassato.
«Jay», bisbiglio. Si acciglia nel sonno. «Jay, è ora di andare a dormire,
piccolo.»
Lui inspira, stiracchiandosi e sbattendo le palpebre, come se non capisse
dove si trova.
Gli accarezzo i capelli. «È ora di andare a dormire.» Sorrido con
dolcezza.
Mi alzo, spegnendo le luci e il televisore, poi Jameson mi prende per
mano e mi guida lungo il corridoio fino alla sua camera da letto. Si lava i
denti e si sistema sotto alle coperte.
Qualche momento più tardi, non appena sono pronta, mi infilo nel letto
accanto a lui, e Jameson mi attira tra le sue braccia.
«Buonanotte, tesoro», sussurra baciandomi la fronte.
Siamo stesi guancia a guancia. Tra di noi c’è una vicinanza che non ho
mai sentito prima.
«Buonanotte.» Mi accoccolo contro il suo petto.
Questa notte tra di noi non c’è stato nulla di sessuale… ma è stato tutto
così normale… e stranamente intimo.
Potrei diventarne dipendente.
Vengo svegliata dalla sensazione di due mani forti che mi aprono le cosce.
La testa di Jameson è tra le mie gambe, e la sua lingua sta leccando il mio
punto più sensibile. Getto il capo all’indietro e appoggio le mani sulla sua
nuca. Il mio corpo palpita per l’eccitazione, e così capisco che ha iniziato
già da un po’.
«Oh Dio», gemo. «Buongiorno, Jay.»
Lui si volta per baciarmi l’interno coscia. «Buongiorno.»
Mi mordicchia il clitoride, e io chiudo gli occhi.
Buon Dio.
È sveglio in tutto il suo splendore. Continua a succhiarmi mentre il
piacere comincia ad attraversarmi a ondate. Spinge tre dita dentro di me e io
sussulto. Questa è la sua specialità, scoparmi con le dita con tanta forza da
farmi venire prima ancora di iniziare a fare sesso. Non sono mai stata con
un uomo in grado di darmi piacere in così tanti modi diversi. Inizia a
muovere la mano avanti e indietro, concentrato sul suo compito. Spingo le
gambe sul materasso, e Dio…
«Oh Dio… è così bello…» ansimo.
Il suono bagnato della mia eccitazione riecheggia nella stanza silenziosa
mentre Jameson è all’opera su di me. Quest’uomo è un pazzo. Solo dieci
minuti fa ero profondamente addormentata.
Si sporge verso di me e mi mordicchia di nuovo il clitoride, e io mi
contorco sotto di lui, venendo di colpo. Inarco la schiena, ma lui mi spinge
di nuovo giù.
«Shh», sussurra, provando a calmarmi. «Ancora», mormora,
guardandomi negli occhi.
«No.» Mi alzo a sedere di scatto e lo afferro per le spalle per attirarlo
verso di me. Ci baciamo e ricadiamo sul materasso, mentre io gli avvolgo le
gambe attorno alla vita. Accidenti, che modo per svegliarmi. Il nostro bacio
si fa frenetico, e io sento il suo membro premere contro la mia apertura.
Jameson si blocca.
«Va bene, prendo la pillola», sussurro, tenendo il suo volto vicino al
mio.
Jameson chiude gli occhi per un brevissimo istante, e poi, come se non
riuscisse a rilassarsi senza un preservativo addosso, si trascina via da me per
raggiungere il suo comodino. Lo guardo mentre apre un profilattico e se lo
infila.
Poi è subito su di me. Si spinge dentro al mio corpo con un unico,
rapido movimento. Lancio un grido e inizio a contrarmi attorno al suo
grosso membro.
«Aspetta», ringhia.
Cazzo… come dovrei fare? Come se fosse semplice…
Jameson abbassa lo sguardo su di me. La sua pelle olivastra è lucida di
sudore, i suoi occhi blu brillano e io guardo meravigliata questo perfetto
esemplare di uomo sopra di me… e dentro di me.
Allarga le cosce e si sistema sulle ginocchia, poi solleva le mie gambe,
tenendole per le caviglie, e inizia a muoversi con spinte dure e potenti,
dischiudendo le labbra mentre fissa il punto in cui i nostri corpi si
incontrano. Riesco a vedere ogni muscolo del suo addome contrarsi mentre
si spinge in avanti. Accidenti… guardare Jameson Miles scopare è il porno
migliore del mondo. Prende velocità, e io perdo completamente la testa.
Stringo tra le dita le lenzuola sotto di me, sentendo montare l’orgasmo.
Il rumore dei nostri corpi che si muovono in sincronia riecheggia nella
stanza. Jameson chiude gli occhi, in preda all’estasi, e geme, prendendo a
spingersi dentro di me con ancora più forza.
«Ci sono quasi», rantolo.
«Aspetta», mi ordina con tono secco, continuando a pompare.
«Jameson…»
Mi afferra le gambe per spostarle di lato, e vedo i suoi occhi
lampeggiare per l’eccitazione mentre le sue spinte si fanno più lente e
misurate.
Oh… al mio uomo piace stretta.
Mi contraggo, e Jameson getta la testa all’indietro. Lo faccio di nuovo, e
lui non riesce a trattenersi. Affonda dentro di me e io mi accorgo dal suo
sobbalzo che sta venendo. Conclude e poi, consapevole che non posso fare
lo stesso in questa posizione, si solleva sopra di me e mi bacia,
ricominciando a fare dolcemente l’amore con me.
È quello che amo… il mio tipo di sesso preferito con lui. Un amore
tenero e gentile. Si sostiene sui gomiti e preme le labbra sulle mie, dandomi
esattamente ciò di cui ho bisogno.
Lui… ho bisogno di lui, di tutto quanto.
Ci fissiamo negli occhi, mentre qualcosa di bellissimo scorre tra di noi.
Ci scambiamo una serie di baci ricolmi di tenerezza, ma io sono commossa
dall’espressione sul suo viso.
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altra.
Quella che c’è tra di noi non è una relazione di sesso occasionale, non si
tratta nemmeno di solo sesso. È amore, ne sono più che certa. Non potrebbe
essere nient’altro.
«Jay», ansimo, cercando il suo sguardo.
«Lo so, piccola», bisbiglia.
Gli stringo le spalle e lui si solleva, mentre il mio corpo si contrae
attorno al suo. Cattura le mie labbra in un bacio dolce e rilassato, che è tutto
ciò che non ho mai avuto. Lentamente mi fa venire e poi si lascia cadere sul
materasso accanto a me, attirandomi perché mi giri verso di lui.
Ci guardiamo, e io sono sopraffatta da un senso improvviso di intimità.
Fisso il suo bellissimo viso e sorrido. «Credo che…»
«No», mi interrompe.
«Cosa?» Mi acciglio.
«Non rovinare tutto.»
Non capisco che cosa voglia dire. «Come potrei rovinare tutto questo?»
«Non innamorarti di me, Emily.»
Ma che cavolo?
Lo fisso. «Perché no?»
«Perché non fa per noi. Ficcatelo bene in testa. Subito.» Si alza di colpo
e va in bagno, tirandosi dietro la porta, che si chiude con un tonfo.
Mi giro sulla schiena e fisso il soffitto. Stavo per dirgli che per me
quella era stata la sveglia migliore di tutti i tempi.
L’amore era solo ai margini del mio pensiero.
Capitolo 15
Emily
«Mi chiedo di cosa si tratti.» Molly si acciglia, leggendo le storie sul suo
computer.
«Di cosa parli?» rispondo io mentre batto sulla tastiera.
«Qui dice che oggi, alla Miles Media, ci sarà una riunione di emergenza
con gli azionisti, e che sono in programma altri incontri a Londra la
settimana prossima.»
Mi sprofonda il cuore, è là che Jameson andrà tra pochi giorni. «Cosa?»
La mia collega gira lo schermo verso di me, e io leggo l’articolo di
rassegna finanziaria sul crollo dei prezzi delle azioni della Miles Media.
Appoggio il mento al palmo della mano mentre continuo a leggere.
Dio… che incubo.
Alzo lo sguardo e vedo Jake impegnato a ridere con una delle ragazze
nel suo cubicolo, come se non avesse un solo pensiero al mondo. Che cosa
sta facendo quello stupido idiota? Sta indagando sul caso? Oh, credo
davvero che sia l’uomo sbagliato per questo lavoro. Sembra che non stia
portando a termine nessuna indagine, mentre sono certa che abbia
memorizzato il numero di telefono di ogni singola ragazza del piano.
Dovrei parlargli dei miei dubbi su Hayden? No, è solo una sensazione
ancora priva di fondamento. Oggi metterò alla prova la mia teoria.
Al diavolo. Dovrò scoprire da sola chi è il responsabile. È palese che
Jake non ne abbia la più pallida idea.
Con la coda dell’occhio, mi accorgo che i miei colleghi stanno correndo
alle loro scrivanie, e alzo lo sguardo per vedere Jameson e Tristan intenti ad
attraversare il piano. Mentre cammina, Tristan sorride e chiacchiera con i
dipendenti. Jameson, invece, è solenne in tutto il suo irritabile splendore.
Ha la schiena dritta come un fuso e il suo viso è così baciabile da far male.
Sei arrabbiata con lui… te lo ricordi, stupida? Distogli lo sguardo,
distogli lo sguardo.
Torno al mio computer, ma poi mi accorgo di avere il familiare
completo grigio accanto. Alzo la testa e trovo Jameson in piedi vicino alla
scrivania.
«Salve, signor Miles.» Fingo un sorriso.
Lui incontra il mio sguardo. «Salve.»
«Posso aiutarla, signore?»
«Dov’è Jake?» mi domanda a denti stretti.
«Sarà da qualche parte a flirtare», rispondo. «Cerchi una bella donna e
lo troverà lì.» Indico con la penna la direzione in cui, poco fa, ho visto
l’investigatore.
Jameson inspira in modo brusco, lanciando un’occhiataccia a Jake, che
sta chiacchierando con una bionda, totalmente inconsapevole di essere
osservato. Poi l’amministratore delegato guarda verso Tristan, ed entrambi
scuotono la testa in maniera a malapena percettibile.
«Tristan, mi stavo chiedendo se, questo pomeriggio, potessi vederla per
qualche minuto», gli chiedo.
«Sì, certo. Vieni su tra mezz’ora.»
Jameson tiene gli occhi puntati su di me per un istante più a lungo del
necessario, come se stesse aspettando che io gli dica qualcosa. Gli faccio un
sorriso caloroso, nascondendo la mia ira. Forse ha ragione, sono davvero
una stronza.
«Arrivederci.»
«Arrivederci», mi dice, voltandosi e puntando dritto su Jake.
Quando l’investigatore lo vede arrivare e balza in piedi di scatto, non
riesco a non ridacchiare. Jameson gli dice qualcosa, e poi Jake viene
scortato all’ascensore sotto il mio sguardo.
Spero che lo licenzino. Di certo non è affatto interessato all’importanza
di questo caso.
Lunedì mattina
Mentre ci salutiamo, Jay mi stringe forte tra le braccia. Oggi parte per
Londra, dove rimarrà una settimana, e ogni giorno sarà impegnato con delle
riunioni. Abbiamo trascorso un weekend straordinario. Siamo stati nel mio
appartamento per tutto il tempo. Ho cucinato per noi, abbiamo fatto l’amore
e abbiamo guardato dei film, siamo persino andati a correre.
L’amministratore delegato non si è mai visto. Ieri sera siamo andati a casa
sua perché preparasse le valigie, e poi siamo tornati a dormire qui da me.
Ho l’impressione che, quando è nel mio appartamento, riesca ad
allontanarsi dall’amministratore Jameson Miles per essere un uomo
normale… il mio uomo. Per un po’, può dimenticarsi chi è e cosa ci si
aspetta da lui.
Le dinamiche tra di noi sono cambiate. Non so come impedirmelo, ma
mi sto innamorando di lui. Mi sento sprofondare in un oceano, il suo
oceano… è questo il potere che ha su di me.
«Niente scali, okay?» bisbiglio. Mi sorride mentre ci baciamo. «Non si
parla con le ragazze che vengono spostate in prima classe.»
Jameson mi stringe una natica. «Smettila di parlare, donna.»
Lo abbraccio con più forza. «Oh. Detesto il pensiero di una settimana
senza di te.» Mi bacia di nuovo, ma non dice niente. «Vuoi dirmi
qualcosa?» mormoro. «Di’ qualcosa di dolce per liberarmi da questo
tormento.»
Incrocia il mio sguardo, prendendomi il viso tra le mani. «Ho messo la
tua sciarpa nella mia valigia.» Sorrido. «Non è una novità. La porto con me
in ogni viaggio che faccio… da quando ci siamo conosciuti.»
Sono travolta da un’ondata di emozioni, e mi si riempiono gli occhi di
lacrime. Batto le ciglia per scacciarle, nella speranza che lui non le veda.
«Davvero?» sussurro.
Annuisce e mi bacia, carezzandomi il viso, ed è tenero e perfetto e, Dio,
vorrei solo confessargli che forse adesso sono davvero innamorata di lui.
Ma non lo farò, perché so che rovinerei quello che c’è tra di noi. Di
qualsiasi cosa si tratti.
Jameson
A mano a mano che elenco gli argomenti della nostra riunione, tamburello
le dita sulla lavagna bianca di fronte a me. «Questa proiezione è basata sulla
situazione attuale. Tuttavia, qualcosa potrebbe cambiare alla fine delle
elezioni.»
Una vibrazione. Il mio cellulare scivola sul ripiano, e io getto uno
sguardo verso gli uomini seduti attorno al tavolo delle conferenze.
Dannazione, lo lascerò suonare. Nello stesso istante, Elliot dà un’occhiata al
mio telefono, vedendo il nome di chi mi sta chiamando: FB.
Voglio sentire la sua voce, e non sarà un problema se mi prendo due
minuti di pausa. «Devo rispondere a questa telefonata. Elliot, nel frattempo
potresti spiegare la strategia pubblicitaria per il prossimo mese, per
favore?»
«Certo.» Mio fratello si alza e subentra al mio posto, mentre io rispondo
alla chiamata uscendo dalla sala e dirigendomi nell’ufficio di Christopher lì
accanto.
«Pronto.»
«Ciao.» La voce allegra di Emily risuona dall’altro capo del telefono.
«Ehi.» Mi ritrovo a sorridere come uno sciocco, di fronte a una finestra
che dà su Londra.
«Ho interrotto qualcosa?» mi chiede.
Faccio un sorrisetto. Solo una riunione con dodici dirigenti. «No, niente
affatto.»
«Ti ho chiamato per dirti che ho comprato un nuovo paio di scarpe da
ginnastica.»
Sorrido. «Davvero?»
«Già, hanno le rotelle, quindi, da adesso in avanti, quando andremo a
correre nel parco, ti farò mangiare la polvere. Ho solo pensato di avvertirti.»
Dio… è così piacevolmente normale. Quando è mai successo che una
donna mi chiamasse per dirmi che aveva comprato un paio di scarpe da
ginnastica nuove?
«Ne dubito fortemente.»
«Oh, accidenti, non crederai a cosa è successo ieri notte», continua lei.
«L’ex marito di Molly ha preso due Viagra, forse tre, ed è svenuto mentre
stava guidando perché non aveva più sangue in corpo, visto che era tutto
affluito al suo pisello, quindi abbiamo dovuto portarlo al pronto soccorso.»
Scoppio a ridere. «Ma che diavolo? Può succedere davvero una cosa del
genere?»
«A quanto pare, sì. E chi lo sapeva?»
Sgrano gli occhi. Gesù. «Dovrò smettere di prenderlo, allora», scherzo.
Emily fa una risata. «No, fai pure. Ora so perfettamente cosa fare. Vale
la pena di svenire. Continua pure a prendere le tue pillole, dobbiamo solo
legarti stretto l’uccello. Ho tutto sotto controllo.»
Entrambi ridiamo e poi rimaniamo in silenzio.
«Tre giorni», mormoro.
«Tre giorni», ripete lei.
Dio, non sono mai stato tanto ansioso di tornare a casa in tutta la mia
vita.
«Che stai facendo adesso?» le domando.
«Sto per farmi una maschera al viso e infilarmi nella vasca da bagno
con delle fette di cetriolo sugli occhi. Ti stai perdendo un vero spettacolo.»
«Senza dubbio.» Sorrido. Possiede una bellezza naturale, per nulla
artefatta. Non cerca di essere qualcosa che non è. Amo questo lato di lei.
Amo molti lati di lei… «Quindi ora hai aggiunto i cetrioli alla tua beauty
routine?» le chiedo.
«Già, a quanto pare servono a ridurre il gonfiore del contorno occhi.»
Faccio un ampio sorriso. «I cetrioli sono utili per molte cose. Forse
dovremmo aggiungerli anche alla nostra routine sessuale.»
Emily scoppia a ridere. «Sei un pervertito, signor Miles.»
«Me lo dici sempre.»
«Adesso ti lascio andare.»
Faccio un sorrisetto, guardando fuori dalla finestra. «Ci sentiamo,
Emily.»
«Ci sentiamo, Jay», bisbiglia lei. Chiude la chiamata, e io torno in sala
riunioni per riprendere il mio posto.
In questo momento, è Christopher a parlare, e io mi accomodo accanto a
Elliot. Lui si sporge verso di me e mormora: «Ora hai Zuckerberg tra le
chiamate rapide?»
«Eh?» Aggrotto la fronte.
«FB… sta per Facebook, giusto?»
Mi acciglio e poi mi rendo conto che sta parlando della telefonata di
Emily.
FB sta per Fuck Bunny, la coniglietta del sesso, non per Facebook.
Ghigno e mi stringo la base del naso mentre mi sfugge una risatina.
«Che c’è di tanto buffo?» sussurra Elliot.
«Zuckerberg ha comprato un paio di scarpe da ginnastica con le
rotelle.»
Mio fratello rotea gli occhi. «Non mi sorprende. Quel tizio è fuori di
testa.»
Salgo in taxi con un migliaio di pensieri che si affollano nella mia mente.
Ne abbiamo passate così tante, noi due… Sto andando a trovare la mia ex,
la donna che sarebbe dovuta essere l’amore della mia vita.
Da quando ho visto Claudia, è passato ormai molto tempo. L’ultima
volta in cui sono venuto a Londra, lei era in America. Il fatto che siamo
entrambi maniaci del lavoro è sempre stato contro di noi, il tempo insieme
era prezioso.
Busso alla porta ed espiro; ho i nervi a fior di pelle. Lei apre di colpo e
il suo bellissimo viso appare nel mio campo visivo. Mi fa un ampio sorriso
e mi getta le braccia attorno al collo.
«Grazie a Dio sei qui», sussurra contro la mia pelle. «Mi sei mancato.»
Capitolo 16
Jameson
Emily
Due ore più tardi, entro nel parcheggio sotterraneo del palazzo di Jameson.
Ho capito perché prende quella maledetta limousine. Trovare un posto dove
lasciare la macchina in questa città è assurdo. Alla fine, ho lasciato Molly
ad aspettarmi in auto nel parcheggio mentre io prendevo al volo quello che
mi serviva, e poi l’ho accompagnata a casa. Ero terrorizzata che qualcuno
potesse rubare la macchina. Alan mi sta aspettando e mi guida nel garage,
dove parcheggio.
«Grazie.» Gli sorrido, tirando fuori la spesa dal bagagliaio. «Questa
macchina ha l’aria di essere troppo arrogante.»
Lui prende le buste con un piccolo ghigno, e insieme ci avviamo verso
l’ascensore.
«Ha chiuso la macchina, Emily?» mi ricorda.
«Oh, giusto.» Mi volto, sollevando il telecomando, che emette un bip
mentre blocca le serrature. Ridacchio. «Ops.»
Entriamo in ascensore, e lui rimane in silenzio, guardando dritto di
fronte a sé.
«Da quanto tempo lavora per Jameson?» gli chiedo.
«Da dieci anni.»
«Oh.» Mi acciglio. «È parecchio.»
Lui mi sorride. «Sì, è molto gentile con me.»
Arriviamo all’ultimo piano, e Alan apre la porta per entrare e
appoggiare la spesa sul bancone della cucina. «Le serve altro?» mi
domanda. «Il signor Miles è ancora in riunione. Sarà impegnato almeno per
un’altra mezz’ora.»
Lo guardo negli occhi e mi rendo conto che vorrei porgli un milione di
domande sull’enigmatico signor Miles. «Parla spesso con lui durante il
giorno?» gli chiedo.
«No.» Sorride all’idea. «Sono in contatto costante con la sua assistente
personale.»
«Oh.»
«La fisioterapista dovrebbe arrivare alle sette.» Lancia un’occhiata
all’orologio. «Vuole che la aspetti?»
«La?» Aggrotto la fronte.
«Ah.» Si corregge. «Ora è un uomo, vero?»
Qualcosa mi dice che Alan sa molto di più del signor Miles di quanto
non lasci intendere.
«Già, comunque no, sono a posto. Lo farò entrare io.» Fingo un sorriso.
«Grazie.» Lo accompagno alla porta.
«Mi chiami se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa», mi dice con
tono cordiale.
«Okay, grazie.»
Torno in cucina e inizio a mettere via la spesa, quando suona il
campanello.
«Chi è?» chiedo, premendo il pulsante sul citofono.
«Salve, sono qui per il massaggio.»
«Salga pure.»
Apro la porta e aspetto che Matthew arrivi.
«Buonasera», mi saluta con tono allegro. «Stessa stanza dell’altra
volta?»
«Sì, per favore.»
L’uomo si avvia lungo il corridoio per prepararsi. Poi la porta si riapre
con un click, e Jameson appare nel mio campo visivo. Ogni volta che lo
vedo in giacca e cravatta, mi torna in mente esattamente chi è. La
personificazione del potere.
«Ciao», mi saluta con aria felice, prendendomi tra le braccia.
«Ehi.» Le sue labbra sfiorano le mie, e io mi sciolgo sotto al suo tocco.
«La tua macchina è ridicola.» Gli sorrido.
Lui ridacchia, prendendomi la mascella tra le dita, poi mi bacia più a
fondo, e io appoggio le mani sulle sue spalle.
Il citofono squilla di nuovo.
«Per l’amor del Cielo, questo posto è un aeroporto», mormoro, irritata
dall’interruzione del mio bacio.
«Oh, devono essere le stiliste con i tuoi vestiti», dice Jameson.
«Il tuo massaggiatore è pronto nella stanza in fondo al corridoio.»
Mi bacia di nuovo. «Falle entrare e scegli quello che vuoi.»
«Jay», bisbiglio, guardandolo negli occhi. Questo suo cambiamento mi
sta confondendo.
«Prendine più di uno.» Mi stringe il sedere. «Io faccio una doccia
veloce.» Svanisce lungo il corridoio, mentre io apro la porta d’ingresso.
Rimango sgomenta quando vedo due splendide donne che spingono un
enorme appendiabiti carico di vestiti magnifici.
«Salve.»
Una è alta con lunghi capelli scuri, e l’altra è bionda e davvero bella.
Entrambe sembrano molto sicure del proprio aspetto e sfoggiano un look
all’ultima moda.
«Buonasera. Il signor Miles ha ordinato dei vestiti», esordisce la bionda.
«Sono Celeste, e lei è Saba.»
«Sì, prego, entrate», mormoro imbarazzata. «Sono Emily.» Ci
stringiamo la mano.
Dio, non dirmi che mi guarderanno provare tutta questa roba. È
mortificante.
«Di qua.» Mostro loro il soggiorno, e le due donne iniziano a tirare fuori
scarpe e accessori mentre io le osservo, a disagio. Mi sembra tutto fin
troppo eccessivo.
«Torno subito», dico con tono educato.
Mi volto per andare in camera da letto, ed entro di colpo in bagno,
trovando Jay che si sta lavando sotto la doccia. «Che diavolo sta
succedendo?» sussurro in preda al panico.
«A cosa ti riferisci?» Lui si acciglia, del tutto inconsapevole di ciò a cui
mi sto riferendo.
«Là fuori ci sono due modelle di Penthouse con un mucchio di vestiti
davvero troppo eleganti per me, ho guidato una maledetta macchina del
tempo, mi hai detto che devo venire a vivere con te e sto andando fuori di
testa, Jameson», sbotto di colpo.
Mi fa un sorrisetto, chiudendo il getto dell’acqua. «Devi solo andare a
scegliere quello che ti piace, Emily. Non rimuginare.»
«Non rimuginare», ripeto io a bassa voce. «Ci ho già rimunto.»
«Rimunto non è una parola», commenta lui tranquillo mentre si asciuga.
«Oh mio Dio», farfuglio, agitata dalla sua noncuranza, e mi precipito di
nuovo dalle stiliste. «Scusate», dico loro, fermandomi accanto
all’appendiabiti. Mi torco le dita con aria nervosa.
«Mi parli del suo stile», esordisce la bionda con tono cordiale. «Che
cos’è che la esalta?»
La fisso. Oh, cavolo. Che cosa sono queste cazzate? «Ehm.» Guardo i
vestiti che ho di fronte.
«Che cosa la fa sentire viva e sexy?» esclama la mora. «Quando si sta
godendo i momenti migliori della sua vita.»
Oh, Gesù… questo no.
«Ecco.» Indico l’appendiabiti. «Darò un’occhiata per vedere se trovo
qualcosa che mi piace.»
Inizio a scorrere i vestiti. Wow… sono tutti splendidi.
«Hai trovato qualcosa di tuo gusto, tesoro?» Sento la voce profonda di
Jameson provenire dalle mie spalle.
Mi volto, trovandolo dietro di me con un asciugamano bianco avvolto
attorno alla vita. Ha i capelli bagnati e i suoi muscoli abbronzati sono in
bella mostra. Cazzo, è così bello che mi viene voglia di divorarlo.
Alle due strafighe qui presenti escono gli occhi dalle orbite. «Salve,
signor Miles», balbettano entrambe, facendo scivolare lo sguardo lungo il
suo corpo.
«Salve.» Jameson rivolge loro un sorriso sexy.
Lo fisso impassibile. Fa sul serio?
«Non ne sono sicura. Mi piace tutto», sbotto, tornando a girarmi verso
l’appendiabiti.
È venuto qui solo con un asciugamano addosso… e poi?
Uffa.
Si avvicina a me da dietro e mi appoggia una mano su un fianco,
osservando con attenzione gli abiti. «Prendiamo questo, questo… e questo.»
Studia gli altri. «E tutti quelli da qui in avanti.»
«Sì, signore», esclamano entusiaste le due ragazze.
Lui sposta lo sguardo sulle scarpe e sulla lingerie che hanno disposto sul
tavolino da caffè.
«Prendiamo tutto l’intimo e qualsiasi paio di scarpe Emily scelga.» Poi
mi guarda e mi sorride, chinandosi per baciarmi. «Fatto.»
Le due donne ci osservano, trattenendo il fiato.
Jameson abbassa una mano sul mio fondoschiena e mi dà una bella
strizzata a una natica. «Piacere di avervi conosciute, signore», dice, prima
di avviarsi lungo il corridoio per il suo massaggio.
Mi giro verso le due stiliste che lo stanno guardando allontanarsi con
espressioni estasiate.
Oh Signore.
Credo di aver appena incontrato il vero Jameson Miles… in tutta la sua
gloria.
Capitolo 17
Emily
Emily
Emily
Due ore più tardi, vediamo il cartello dell’High Point State Park. C’è una
strada sterrata, e Jameson mi guarda con aria interrogativa.
«È questa?»
Faccio spallucce, sentendomi all’improvviso nervosa. «Mmh.» Mi
guardo intorno. «Credo di sì.»
Ho davvero bisogno che questo weekend vada per il meglio, voglio che
ci divertiamo e ci rilassiamo. Dentro di me so che, se Jay non riuscirà a
tenere sotto controllo lo stress per il lavoro, potrei perderlo. Non potrei
convivere a lungo con la sua rabbia.
Usciamo dalla strada principale e guidiamo lungo il sentiero. Entrambi
rimaniamo in silenzio mentre seguiamo il percorso. Studio la mappa sul
cellulare.
«Qui dice di andare dritto fino alla fine della strada e poi di girare a
destra.»
«Okay», risponde lui, mentre il pick-up sobbalza sul terreno dissestato.
Mi getta un’occhiata. «Sei sicura che sia quaggiù?»
Mi stringo nelle spalle. «È quello che dice qui.»
Gli alberi sono alti e bloccano gli ultimi raggi del sole.
«Una volta ho visto un documentario che hanno girato da queste parti»,
commenta Jameson, concentrato sulla strada.
«Cos’era?»
«The Blair Witch Project», borbotta con tono secco.
Mi scappa da ridere a mano a mano che ci addentriamo sempre di più
nel bosco. Che cavolo avevo pensato? La situazione sta innervosendo
persino me. Superiamo un accampamento situato alla nostra sinistra,
proseguendo giù da una collina. Ci sono una piccola tenda e due ragazzi
adolescenti seduti di fronte a un falò. Li guardo mentre li superiamo.
«Sembra che si stiano divertendo.» Sorrido.
«Stanno per entrare nella tenda per scopare», bofonchia lui. «È l’unico
motivo logico che possa averli spinti a venire qui.»
Faccio un sorrisetto. «Vuoi smetterla di essere così pessimista? Sono tre
notti, e possiamo stare da soli senza nessuno attorno.»
Annuisce e poi, non appena gli viene in mente una cosa, mi rivolge uno
sguardo accigliato. «Dove sono i bagni?» Sposta rapidamente gli occhi su
di me. «Abbiamo un nostro bagno, vero?»
«Beh…» Mi interrompo.
«Beh, cosa?» sbotta. «Non starò da nessuna parte senza un cazzo di
bagno, Emily.»
«Ci sono dei bagni.» Giro la mappa sul telefono, cercando di capire
dove si trovano rispetto alla nostra tenda. «Ah, sì, eccoli qui. Sono proprio a
due passi.»
«Due passi?» Mi lancia un’occhiata ansiosa. «Definisci due passi.»
Oh, accidenti, sono ben più di due passi, ma ancora non glielo dirò.
Potrebbe girare l’auto e portarci via di qui. «Sono vicini, non ti
preoccupare», mento.
Raggiungiamo il fondo della collina, e la strada si biforca. Davanti a noi
c’è un lago. La luce del sole sta iniziando a svanire proprio adesso. Mi
illumino, emozionata. «Gira a destra.» Lui obbedisce, e procediamo per un
po’. «Dovrebbe essere proprio qui.»
«Dove?» Si acciglia lui.
«Parcheggia pure dove vuoi.»
«Che cosa vuoi dire?» Mi fissa.
«Possiamo montare la tenda dove preferiamo.»
«Intendi dire…» fa una smorfia, guardandosi attorno, «per terra?»
Io rido. «Ti aspettavi un parquet di rovere?»
Jameson rotea gli occhi e ferma il pick-up. Io esco e cammino avanti e
indietro sul bagnasciuga. «Che cosa stai facendo?» mi chiede.
«Sto cercando un buon punto dove mettere la tenda. Deve essere una
zona alta e piatta.»
«Perché alta?» mi chiede, iniziando a guardarsi attorno.
«Nel caso in cui dovesse piovere.»
Mi rivolge uno sguardo inorridito. «Non dirlo nemmeno.»
«Dai, dobbiamo darci una mossa.»
«Perché?»
«Si sta facendo buio, poi non avremo più luce.»
Jameson alza lo sguardo verso il cielo. «Non c’è illuminazione?»
«Abbiamo una torcia e due di quei faretti che si mettono sulla testa.»
«Buon Dio», esplode lui, prendendo a gettare fuori le nostre cose dal
retro della macchina. «Non mi metterò un cazzo di faro in testa come in uno
stupido episodio di Uomo vs Natura. È già abbastanza terribile adesso che
riesco a vedere cosa ho attorno.»
Ridacchio, prendendo la tenda dal borsone e iniziando ad aprirla. Gli
porgo la scopa. «Spazza via la terra.»
Mi fissa, del tutto spaesato. «Cosa?»
«Spazza via la terra… libera una zona. Non devono esserci rametti né
altro sotto la tenda.»
«Devo… spazzare via la terra», ripete lui.
«Sì, Jameson. Muoviti, o dovrai farlo con il buio.»
«Gesù Cristo… ora le ho sentite proprio tutte», borbotta, cominciando a
spazzare un’area per ripulirla. «Chi spazza via la terra, cazzo?»
«I campeggiatori.» Gli faccio un sorrisetto mentre apro le istruzioni, e
poi rimango a bocca aperta. Sembrano fatte per costruire un reattore
nucleare. Oh, accidenti, Molly aveva detto che sarebbe stata facile da
montare.
Okay… chi se ne frega. Andrà tutto bene. Dentro di me sento montare il
panico. Non torneremo a casa.
Allargo la tenda, e sento il rumore di uno schiaffo. «Ahi.»
Continuo a concentrarmi e tiro fuori i pali dalla sacca.
Sento un altro schiaffo. «Ma che diavolo?» grida Jameson.
«Che c’è?»
«Queste bestie sembrano uscite da Jurassic Park.» Agita le braccia
attorno a sé per allontanare gli insetti. «Nessuna zanzara dovrebbe essere
così grossa.»
Torno alle mie istruzioni. Okay, qui dice che questo palo va dentro
questo…
«Ah!» grida Jameson, schiaffeggiandosi le braccia. «Cazzo, Emily, mi
sto prendendo la malaria qui.»
Roteo gli occhi. «Smettila di fare il bambino.» Infilo il palo nel posto
giusto. «Puoi prendere l’angolo e tirare, per favore?»
Agitando ancora le braccia, si avvicina per fare come gli ho chiesto. Il
sole sta tramontando. «Indietreggia un po’», gli chiedo.
Si colpisce le gambe. «Fanculo», bisbiglia, muovendo una mano e
cercando di colpire qualsiasi cosa contro cui si stia accanendo.
«Un po’ di più.»
Cammina all’indietro e inciampa su una roccia, cadendo in un
cespuglio. «Ah», esclama.
«Oh.» Scoppio a ridere e corro ad aiutarlo a rialzarsi.
«Che razza di folle fa una cosa del genere per divertirsi?» farfuglia,
emergendo dalla vegetazione.
«Noi.» Ridacchio.
«Non è divertente, Emily.» Sbuffa, pulendosi di dosso la terra. «Questo
è un inferno in un vivaio idroponico per insetti geneticamente mutati.»
Qualcosa lo pizzica di nuovo, e lui si colpisce il collo. «Levati dal cazzo»,
bisbiglia all’animale.
«Per l’amor del cielo, principino, prendi l’antizanzare. È nel pick-up,
dentro alla borsa con le provviste.»
«Abbiamo l’antizanzare?» Mi guarda impassibile. «Cazzo, me lo dici
adesso che ho già perso due litri di sangue?»
Si precipita verso il veicolo, e lo sento spruzzare lo spray… ancora… e
ancora… e ancora.
«Ne stai lasciando un po’ per me?» gli chiedo.
«Questo è Uomo vs Natura, ognuno pensa solo per sé. Non hai guardato
Survivor? Questa notte ti caccerò dall’isola», grida, prima di essere colto da
un attacco di tosse e iniziare ad agitare le mani di fronte a sé. «E comunque,
cos’è questa roba?»
«Veleno.» Sgrano gli occhi. «Per uccidere gli insetti.»
Torna rapidamente da me. «Datti una mossa con la tenda», mi ordina.
«Perché ci stai mettendo tanto?»
«Montala tu, dato che sei così perfetto», sbotto.
«Va bene.» Mi strappa di mano le istruzioni e le fissa per un momento,
lanciando delle occhiate alla tenda stesa a terra. Volta il foglio e gira la
testa. «Beh, ora ha tutto perfettamente senso.»
«Davvero?» Mi acciglio. «Io non sono riuscita a capirci niente.»
«Queste non sono le istruzioni per montare una tenda, è una mappa per
scappare da Alcatraz.» Scoppio a ridere. «Che c’è di divertente?» dice lui
con tono secco. «Non c’è niente di buffo in questa situazione, Emily.»
Volta il foglio e poi lo gira ancora e ancora. Entrambi lo fissiamo.
«Okay, ora capisco.»
«Sì?» gli chiedo speranzosa.
«No, invece. Cerchiamo un albergo.»
«Jameson», lo supplico. «Volevo farti fare qualcosa che tu non abbia già
vissuto con una tua ex. Desideravo che provassimo insieme questa prima
esperienza. Puoi accontentarmi, per favore?» Fa un lungo sospiro. Lo
prendo per mano. «Lo so che non è quello a cui sei abituato, ma era per
tirarti fuori dalla tua zona di comfort. Ci tengo davvero, per me è
importante. Nel tuo appartamento lussuoso io mi sento altrettanto a
disagio.»
«Non è possibile.» Sostiene il mio sguardo e poi sbuffa, sconfitto. «Va
bene.» Riprende a studiare le istruzioni. La luce sta svanendo e deve
strizzare gli occhi per vedere.
Raggiungo la scatola dell’attrezzatura e prendo i due faretti. Ne metto
uno sulla sua testa e l’altro sulla mia, poi li accendo. Jameson alza lo
sguardo con un’espressione impassibile. Mi premo una mano sulla bocca
non appena mi scappa da ridere, e lui continua a leggere le istruzioni.
«Okay, dice che i pali sono in una sacca separata», annuncia.
«Ce li ho.»
«E dobbiamo attaccare gli angoli ai picchetti.»
«Già fatto.» Gli strofino la schiena e il sedere, e lui scaccia via la mia
mano.
«Dobbiamo infilare i pali nelle estremità e sollevarli.»
«Okay.» Mi chino per baciarlo.
«Emily.» Mi guarda, e la luce attaccata alla sua fronte mi acceca per
qualche istante. «Puzzo come una discarica di veleni tossici per insetti e non
mi sono mai sentito meno sexy in tutta la mia vita. Non sarei sorpreso se lo
spray mi avesse seccato il pisello come un’erbaccia.»
Scoppio a ridere. «Non smetterai mai di essere sexy per me, e il tuo
pisello è più un albero che un’erbaccia.»
Inarca un sopracciglio, poco entusiasta, mentre io vengo scossa da una
serie di risatine incontrollate. Ha davvero un’aria ridicola. Vorrei scattargli
una foto da inviare ad Alan, ma so che darebbe di matto. È già al limite.
«Okay, diamoci dentro e montiamo questa tenda, così poi possiamo
gonfiare il letto.» Sorrido.
La sua espressione si fa sgomenta. «Dobbiamo gonfiare il letto con una
pompa?»
«No, devi soffiarci dentro con la bocca», lo stuzzico.
Lui getta le istruzioni per aria. «Basta così, me ne vado.»
Scoppio a ridere. «No, invece. Ti sto solo prendendo in giro. Abbiamo
la pompa.» Si appoggia le mani sui fianchi e mi fissa per un momento.
«Jameson.» Gli sorrido dolcemente. «Questo weekend è una metafora della
nostra relazione. Tu ti aspetti che io rinunci a tutto ciò che conosco per
vivere in un mondo che mi è completamente estraneo.» Mi fissa. «Ti chiedo
solo tre giorni.» Sposto il peso da un piede all’altro. «Ti prego. Puoi farlo…
per me?»
Si stringe la base del naso, e io capisco che l’ho quasi convinto. Mi
sporgo e gli poso un bacio sulle labbra carnose. «Mi farò perdonare, te lo
prometto.»
«Va bene», sbotta. Poi si china per prendere le istruzioni e inizia a
leggerle di nuovo. «Prendimi il palo più lungo.»
Due ore più tardi, abbiamo finalmente montato la tenda. Il letto è pronto, e
io tiro fuori due sedie pieghevoli. «Vieni a sederti con me.» Gli sorrido,
aprendo una bottiglia di vino rosso.
Lui si accomoda e io gli passo un bicchiere di vetro. Ne ho portati due.
Sapevo che, se avessi tentato di farlo bere da uno di plastica, sarebbe finita.
Seduto sull’economica sedia pieghevole, Jameson accetta il vino. Io
brindo a lui con un sorriso. «Al successo della nostra fuga da Alcatraz.»
Jay fa un sorrisetto, bevendo un sorso e guardandosi attorno
nell’oscurità. «Okay, e ora cosa facciamo?»
«Questo.»
«Questo?» Si acciglia.
«Sì… devi solo stare seduto qui.»
«A fare cosa?»
«A rilassarti.»
«Oh.» Guarda il bosco buio attorno a sé e sorseggia il suo vino, mentre
io mi mordo il labbro inferiore per impedirmi di ridere. Ormai è notte e gli
alberi che ci circondano si stanno animando, pieni di creature. In lontananza
udiamo l’eco del verso di un qualche animale.
Dentro di sé, Jameson è in modalità panico e sta cercando di
controllarsi. Manda indietro la testa per svuotare il bicchiere e poi me lo
porge per farselo riempire subito.
«Che cosa stai facendo?»
«Mi sto sbronzando, così non mi ricorderò di essere stato divorato da un
orso.» Scuote la testa. «È l’unico modo.»
Rido. «Siamo totalmente al sicuro, Jameson.»
Lui sgrana gli occhi. «È quello che ha detto Daniel appena prima di
sparire.»
«Chi è Daniel?»
«Daniel di Blair Witch… non lo hai mai visto?» borbotta con tono
secco, guardandosi attorno.
«No», rispondo con un sorrisetto.
«Forse è meglio che tu non lo faccia.» Sposta lo sguardo sugli alberi. «È
tremendamente familiare.»
Ridacchio e poi mi alzo. «Vado in bagno.»
«Cosa?» Si solleva di colpo. «E dov’è?»
«Lungo il sentiero.»
Si incupisce. «Non puoi andare là da sola. È pericoloso.»
«No, non lo farò. Tu verrai con me.»
«Cosa?» Aggrotta la fronte.
«Andiamo, Jay,»
«No, non ci allontaneremo dall’accampamento. Non voglio andarmene
a zonzo.»
Sorrido, lanciando uno sguardo verso il lago. La luce della luna danza
sull’acqua. «Va bene.» Mi sfilo la maglietta e poi mi abbasso le mutandine.
«Che stai facendo?»
«Vado a fare il bagno nuda.»
«Cosa?» Guarda verso l’acqua scura. «No… no, che non lo farai. Te lo
proibisco.»
Mi tolgo il reggiseno e glielo getto sulla testa, ma lui se lo leva di dosso.
«Emily.»
Allontano le mutandine con un calcio.
«Sei completamente impazzita?» bisbiglia Jameson.
«Forse.»
Si guarda intorno. «Chiunque potrebbe vederci.»
Sorrido e corro verso il bagnasciuga. «Vuoi venire, coniglio?» Mi
addentro nell’acqua fino a quando non mi arriva a metà coscia.
«Sei fuori di testa!» grida lui dalla riva.
Gli spruzzo un po’ d’acqua addosso. «Entra, codardo.»
Si infila le mani nei capelli, in preda al panico. «Emily, non è sicuro.»
«È molto più sicuro che a New York, Jay. Andiamo… goditela un po’.»
Lui guarda prima a sinistra e poi a destra, serrando le mani a pugno lungo i
fianchi. «Jay, andiamo, piccolo.» Gli sorrido, abbassandomi nell’acqua. «Ti
proteggerò io.» Lui chiude gli occhi. Vorrebbe entrare, so che lo vorrebbe.
«Dai.» Rido, continuando a nuotare. «L’acqua è bellissima.»
Scuotendo la testa, Jameson si toglie la maglietta e la getta di lato. Io
continuo a ridere, galleggiando sulla schiena, e lui entra nel lago.
«Togliti i pantaloncini.»
«Non ho intenzione di usare il cazzo come se fosse un’esca viva per
anguille», dichiara lui.
Mi raggiunge e mi stringe a sé. L’acqua è fredda e pulita, e io gli
avvolgo subito le braccia attorno al collo.
La luce della luna si riflette sul lago e lui sorride, baciandomi
gentilmente. «Sei matta, Emily Foster.»
«E ti amo.» Lo guardo con gioia. Mi sembra folle… follemente bello.
«Sarà meglio.» Sfiora le mie labbra.
Gli avvolgo le gambe attorno alla vita, sentendo la mia eccitazione
risvegliarsi dal torpore. Il nostro bacio si fa più appassionato. «Credo che
dovremmo battezzare il lago», mormoro.
«Sei davvero una maniaca sessuale.»
Sorrido e premo le labbra sulle sue, abbassandogli un po’ i pantaloncini.
«Questo lo abbiamo già stabilito. Ora scopami, Ragazzo del Lago, prima
che il tuo pisello venga divorato, e non intendo da me.»
Sogghigna di nuovo contro le mie labbra e mi afferra per il sedere. «Stai
zitta. Stai rovinando il momento.»
Una goccia.
Un’altra.
Un’altra ancora.
Dal mio sonno profondo, sento la pioggia cadere sulla tenda.
Sempre di più. Inizia a farsi intensa.
«Cazzo, non dirmelo», bisbiglia Jameson accanto a me.
Crash. Un tuono risuona in lontananza, ed entrambi sobbalziamo per lo
spavento quando il bosco si illumina quasi a giorno.
«Non puoi fare sul serio», borbotta lui nell’oscurità.
Gli sto dando la schiena, e mi mordo il labbro per evitare di ridere.
Quando siamo andati a letto, ha avuto una crisi isterica perché i rumori
degli animali nel bosco lo tenevano sveglio… in effetti, ha avuto circa dieci
crisi isteriche.
Questa sarà la ciliegina sulla torta.
La pioggia comincia a fare sul serio, e i tuoni rimbombano
ripetutamente.
«Beh, è davvero fantastico, cazzo», sbuffa.
Sorrido e mi giro verso di lui. «Va tutto bene. La tenda è impermeabile.
Torna a dormire.»
La tenda si illumina di continuo di un bianco iridescente mentre i lampi
attraversano il cielo. Jameson si alza a sedere e tasta in giro nell’oscurità.
Cerca a lungo sulle mani e sulle ginocchia.
«Che stai facendo?»
«Sto cercando una dannata luce!»
Scoppio a ridere.
«Come fai a trovarlo divertente? Non c’è un cazzo di niente da ridere,
Emily.»
Alla fine trova la torcia e se la mette in testa, poi la accende e mi
guarda. Ha i capelli scompigliati e ritti da tutte le parti, e i suoi occhi sono
sgranati e spiritati.
Non riesco a trattenermi, vengo colta da un attacco di risa.
«Che c’è?»
«Se potessi…» Devo smettere di parlare perché sto ridendo troppo. «Se
solo potessi vederti.»
Lui sogghigna, e poi un fulmine atterra tanto vicino a noi che sembra
aver colpito un albero qui accanto.
«Cazzo, moriremo qui stanotte», balbetta Jameson in preda al panico.
La pioggia cade con violenza, e io apro la tenda. Entrambi sbirciamo
fuori la tempesta apocalittica. L’acqua sta venendo giù a dirotto, così
richiudo l’entrata.
«Va tutto bene. La tenda è impermeabile, dobbiamo solo dormirci su.»
«Sei completamente impazzita?» sbotta lui. «Chi potrebbe dormire in
mezzo a questa bufera?»
«Io… io potrei.» Mi stendo di nuovo e mi tiro addosso il lenzuolo del
sacco a pelo.
Sorrido, ricordando la sceneggiata precedente di Jameson al pensiero di
non potermi toccare all’interno del sacco a pelo. In un’operazione durata
un’ora, ha aperto la zip di entrambi i sacchi, e ne ha messo uno sotto di noi
e l’altro sopra, perché potessimo accoccolarci insieme durante la notte. È
troppo adorabile.
La tenda inizia a ondeggiare a mano a mano che la tempesta si fa più
violenta.
«Porca puttana… ecco che ci siamo», borbotta, alzando lo sguardo
verso il soffitto.
Un capo del telone si solleva per il vento e lui ci salta sopra per tenerlo
a terra. Io scoppio di nuovo a ridere.
«Non sei d’aiuto», grida.
Continuando a ridacchiare, mi alzo e prendo la sua giacca per
mettermela addosso.
«Che cosa stai facendo?» Si acciglia.
«Devo infilare di nuovo il piolo in terra.» Mi sistemo la torcia in testa.
Jameson rimane a bocca aperta per l’orrore. «Cosa?»
«Solo così la tenda rimarrà in piedi.»
«Non andrai là fuori. È pericoloso», bisbiglia furioso.
«Qualcuno deve farlo.» Prendo il martello.
Lui mi strappa l’attrezzo di mano. «Questa sarà la mia fine.»
Rispondo con l’ennesima risata. «Addio, Emily.» Abbassa la zip. «È
stato bello conoscerti.» Svanisce sotto la bufera.
«È per questo che sei l’amministratore delegato», dico divertita,
sentendo i colpi metallici mentre lui pianta per bene il piolo a terra.
La pioggia cade a catinelle, e il vento è sempre più violento. Sul serio,
quante possibilità c’erano che beccassimo proprio una bufera?
Accidenti a te, tempo.
Apro la tenda e scruto fuori tra la pioggia fitta. Jameson fatica a tenersi
in piedi per via delle raffiche e sta martellando i pioli a terra, con il faretto
ancora sulla testa. È fradicio e coperto di fango. Ancora una volta sono colta
da un attacco di risa e, non riuscendo a trattenermi, afferro il telefono per
scattargli qualche foto. Sono certa che un giorno lo troverà divertente.
Dopo dieci minuti, torna dentro. Sta ansimando, è bagnato ed è coperto
di fango per via degli schizzi della pioggia. Prendo un telo e inizio ad
asciugargli i capelli. Gli sfilo la maglia di dosso e gli abbasso i pantaloni
della tuta.
«Asciugati. Smetterà presto», dico per cercare di calmarlo.
Il rumore della pioggia è assordante attorno a noi, e Jameson si
ripulisce. Frugo nella borsa per trovargli dei vestiti asciutti, e la tenda
riprende a ondeggiare mentre lui saltella in giro ancora umido, cercando di
coprirsi.
Poi la tenda si solleva di nuovo.
«Vaffanculo», sbotta.
Oh mio Dio… è davvero tremendo.
Sentiamo uno strappo fragoroso e sgraniamo gli occhi.
«Oh, no… la tenda», sussurro. «Non possiamo danneggiarla… è di
Michael.»
«Comprerò un camper a quel poveretto. Questo è intollerabile, cazzo»,
bofonchia lui.
Rip. La stoffa si strappa a metà. «Ah!» grido quando le nostre cose
prendono il volo in mezzo alla bufera. Corro in giro cercando di gettare
tutto nelle borse.
Jameson perde definitivamente la sua lucidità mentale: si appoggia le
mani sui fianchi, manda indietro la testa, verso il cielo, e scoppia a ridere.
«Non è divertente. Porta le borse al pick-up», grido.
Lui ride… e ride… e ride. Invece io cerco di tenere asciutti i nostri
telefoni e corro verso il veicolo con le borse.
«Jameson», strillo. «Fai qualcosa.»
Lui si gira verso di me, mi prende tra le braccia sotto la pioggia battente
e mi bacia. Le torce che abbiamo in testa cozzano tra di loro, e a quel punto
anche io scoppio a ridere.
«È ridicolo», bisbiglio.
«Albergo?»
«Per favore.»
«Salve.» Sorrido alla receptionist del centro turistico. «Avete qualche bed
and breakfast disponibile per due notti, per favore?»
La donna dietro al bancone si mette subito al computer.
Ieri notte siamo stati in un albergo orrendo, e Jameson si rifiuta di
rimanere lì. Ha detto che possiamo stare fuori città per l’intero weekend
solo se trovo un posto quantomeno decente per i prossimi due giorni. In
questo momento, lui è fuori a cercare del caffè.
Ormai ha smesso di piovere, e prima o poi dovremo tornare indietro a
recuperare l’attrezzatura da campeggio di Michael dall’apocalisse della
notte scorsa, dato che abbiamo preso solo le nostre cose e siamo scappati. In
ogni caso, non potevamo fare altro nel bel mezzo della notte e in quelle
condizioni.
«Ho solo una fattoria.» La donna batte qualcosa sulla tastiera e poi
legge. «È la proprietà Arndell.» La ascolto con la fronte aggrottata. «È
disponibile per due notti e, se vi va bene, potete averla a un prezzo ridotto.»
Sorrido. Adoro che pensi ci serva uno sconto. «Okay, mi sembra
fantastico. Grazie.» Le passo la carta di credito di Jameson, e lei si occupa
dei documenti.
«Ecco le chiavi.» Mi porge una mappa. «Andate giù per Falls Road, la
proprietà ha una strada privata sulla destra.»
«Oh, quanto è grande?»
«La casa si trova su un terreno stupendo di trecento acri. L’edificio è un
po’ malconcio, ma la location è incredibile.»
Sorrido. «Bene, ottimo.»
Torno al pick-up e vedo il mio povero uomo tutto scarmigliato. Sembra
abbia attraversato l’inferno e, stranamente, credo di non averlo mai visto
più rilassato. È come se, quando la notte scorsa ha perso la testa, abbia
anche abbandonato parte della tensione che lo stressava tanto.
«Okay, abbiamo una fattoria.»
Si china su di me per appoggiarmi una mano sulla coscia e porgermi il
caffè. Inserisce la prima e si immette in strada. Sorrido, guardando fuori dal
finestrino, mentre il pick-up parte con un sobbalzo.
«Lo sai che non abbiamo ancora incrociato nemmeno un’auto?» mi fa
notare Jameson, tenendo gli occhi sulla strada.
«È bello, no?»
Lui fa spallucce. «È diverso.»
Seguiamo le indicazioni e dieci minuti dopo raggiungiamo un grande
ingresso di pietra con un cartello che dice: “Arndell”.
«Ci siamo.»
Entriamo nel vialetto e io mi illumino. Ai lati della strada ci sono
enormi alberi che formano quasi un colonnato. Delle dolci colline verdi si
estendono a perdita d’occhio.
«Oh, guarda questo posto.» Sorrido con ammirazione. «Quella donna
mi aveva avvisata del fatto che il terreno è stupendo.» Guidiamo per cinque
minuti fino a quando non raggiungiamo la cima della collina e troviamo una
grande e vecchia casa. È bianca, con un ampio portico che le corre tutto
intorno. Il tetto è di tegole, e deve avere un centinaio di anni.
Jameson mi lancia un’occhiata.
«Non dire niente», sogghigno.
Lui alza le mani come per dichiarare la propria sconfitta.
Scendiamo dall’auto e apriamo la porta d’ingresso per sbirciare dentro.
Sono estasiata. Pavimenti in legno, un enorme caminetto e grandi finestre
che danno su tutta la proprietà. Da qui si riesce a vedere il terreno
circostante per chilometri. Il mobilio è datato, ma a noi non importa.
Mentre facciamo un giro e ci guardiamo attorno, prendo Jameson per
mano. Al piano di sotto ci sono un grande soggiorno, una sala da pranzo
formale, una vasta cucina, un bagno e una camera da letto. C’è una vecchia
scalinata di legno, così saliamo al piano superiore, trovando altre cinque
camere e un bagno.
Mi volto verso Jameson e gli getto le braccia attorno al collo. «Così va
meglio, signor Miles?»
Lui sorride, chinandosi per baciarmi. «Può andare.»
Jameson
Jameson
Emily
Alle sei e trenta in punto, entro nell’Harry’s Bar. Sono già stata qui con
Aaron e Molly, quindi so dove si trova. Jake è in un angolo in fondo, e,
quando mi vede, agita allegramente una mano. Gli sorrido imbarazzata e mi
dirigo verso il tavolo. C’è un bicchiere di vino ad aspettarmi.
«Ciao.» Mi siedo di fronte a lui.
«Ciao. Sei bellissima.» Si illumina, squadrandomi da capo a piedi, e io
mi acciglio. Sono andata a casa per lavarmi e cambiarmi rapidamente.
Spero che non creda che lo abbia fatto per lui. Mi sono cambiata per Jay,
per quando lo vedrò più tardi.
«Mi hai ordinato da bere?» gli domando.
«Sì.» Mi fa un sorriso caloroso. «Spero che ti piaccia, è Cabernet-
sauvignon.»
«Grazie.» Ne bevo un sorso. «Qual è la notizia su Jameson?»
Lui apre il menù. «Dovremmo prendere qualcosa da mangiare?»
«In realtà, non ho fame», rispondo. Voglio solo ottenere l’informazione
e andarmene da qui.
Jake continua a leggere il menù. «Potrei prendere delle patatine.»
«Mi dici quello che sai?» gli chiedo di nuovo.
«Beh, è una faccenda intricata.»
Bevo un sorso del mio vino mentre lo fisso. Sono così innervosita da ciò
che sta per dirmi che ho quasi la nausea.
«A quanto pare domani pubblicheranno un lungo articolo.»
Bevo un altro sorso. «Su cosa?»
«Beh…» Si ferma. «Credo che prenderò le patatine, tu le vuoi?»
«Va bene, prendi queste dannate patatine», sbotto.
Lui legge ancora il menù, e io sono sul punto di esplodere.
Decidi cosa vuoi mangiare, maledetto idiota.
«Vado a prendere le patatine», gli dico, alzandomi in piedi di colpo.
«Tutto qui? Non vuoi altro?»
«No, grazie.»
Marcio verso il bancone. «Posso avere una porzione di patatine con tre
salse, per favore?» Espiro profondamente, cercando di calmarmi.
Rimani concentrata.
«Emily.» Sento una voce che mi chiama da dietro le spalle.
«È tutto?» mi chiede il cameriere.
«Sì, grazie.» Gli sorrido e mi volto verso la voce che mi ha appena
chiamata. Jake mi prende per mano e mi bacia sulle labbra. Faccio un passo
indietro, scioccata. «Che stai facendo?»
«Ti sto baciando.» Mi sorride e si sporge in avanti per farlo di nuovo.
Faccio un balzo indietro, allontanandomi dalla sua portata. «Ma che
cavolo, Jake! Non mi piaci in quel senso», sbotto, strofinandomi la bocca.
«Credevo che, siccome abbiamo un appuntamento…»
«Cosa?» balbetto, orripilata. «Sono venuta qui solo per sapere di
Jameson.»
Lui mi rivolge un sorrisone sfacciato e poi fa un occhiolino.
Lo guardo in cagnesco. «Non c’è nessuna notizia, vero?»
Jake scrolla le spalle. «Potremmo crearne una noi trascorrendo insieme
una notte di passione sfrenata.»
«Sei un coglione», esclamo. «Tu non mi interessi.»
«Oh, ma dovrei.» Mi prende di nuovo per mano, e io lo colpisco sul
petto.
«Smettila.»
«Sono ventidue dollari», dice il povero cameriere, spostando lo sguardo
tra di noi.
«Non pagherò le patatine di questo imbecille», dichiaro con tono secco.
«A mai più, Jake», dico, precipitandomi fuori dalla porta.
«Emily… andiamo. Saremmo perfetti insieme», mi grida dietro.
Esco dal bar furiosa, con il fumo che mi esce dalle orecchie. Sono stata
in ansia per tutto il giorno, e per cosa? Per una bugia che quello stupido di
Jake mi ha raccontato per vedermi da sola. È un viscido verme. E ora non
posso nemmeno andare a casa perché ho mentito a Jay su dove sarei stata.
Entro in un ristorante thailandese e un cameriere si avvicina.
«Posso avere un tavolo per uno, per favore?» chiedo con tono triste.
Cenerò da sola e poi tornerò a casa dal mio uomo.
Non posso credere di essere caduta in un trabocchetto simile. Che
stronzo.
Almeno non c’è nessuna notizia.
Jameson
In quello che sembra il colpo di grazia per Jameson Miles, la sua fidanzata,
Emily Foster, ha intrapreso una relazione segreta. I due sono stati visti in
diversi luoghi e due mesi fa sono stati ripresi durante una vacanza in Italia.
Estratti conto bancari divulgati oggi dimostrano che Jameson Miles ha
sottratto indebitamente denaro per trasferirlo in un conto offshore. Oggi il
consiglio dovrebbe licenziarlo dalla sua posizione di amministratore
delegato della Miles Media, e verrà mossa a suo carico un’accusa. A
quanto pare, Emily Foster ha abbandonato la nave appena in tempo.
Capitolo 21
Jameson
Emily
In quello che sembra il colpo di grazia per Jameson Miles, la sua fidanzata,
Emily Foster, ha intrapreso una relazione segreta. I due sono stati visti in
diversi luoghi e due mesi fa sono stati ripresi durante una vacanza in Italia.
Estratti conto bancari divulgati oggi dimostrano che Jameson Miles ha
sottratto indebitamente denaro per trasferirlo in un conto offshore. Oggi il
consiglio dovrebbe licenziarlo dalla sua posizione di amministratore
delegato della Miles Media, e verrà mossa a suo carico un’accusa. A
quanto pare Emily Foster ha abbandonato la nave appena in tempo.
Cosa?
Mi porto una mano alla bocca, in preda all’orrore.
Oh mio Dio, povero Jameson.
«Non sono la sua fidanzata, imbecilli», dichiaro con disprezzo. «Quanti
dettagli potete sbagliare in un unico articolo?»
Mi volto e inizio a dirigermi verso il mio appartamento, componendo il
suo numero con urgenza.
«Ehi», mi chiama l’edicolante. «Non mi ha pagato per quello!»
«Oh, mi dispiace», mi scuso, tornando indietro per tendergli una
banconota. «Ero distratta. Grazie.»
Ancora una volta mi risponde direttamente la segreteria telefonica di
Jameson.
Che cosa faccio? Che cosa faccio? Vado a sbattere contro un uomo che
mi sta superando.
«Ehi, guarda dove vai», mi grida.
«Scusi», balbetto.
Faccio il numero di Tristan.
«Ciao, Em.»
«Tristan, che diavolo sta succedendo?» esclamo.
«Siamo in riunione, ti chiamo più tardi.»
«Cosa?» Riattacca. «Ah!» strillo. I miei occhi si riempiono di lacrime
per la frustrazione.
Non ci crederebbe. Di certo sa che non è vero… ma c’è una foto come
prova.
Compongo il numero di Molly.
«Ehi, bella, vuoi un caffè?» mi chiede allegramente.
«Molly», esclamo, sollevata che qualcuno abbia risposto al dannato
telefono. «Oh mio Dio, sono tutte bugie.» Mi blocco dove sono sul
marciapiede affollato e mi sposto di lato verso un edificio per parlare.
«Che sta succedendo?»
«Il Gazette», farfuglio. «Cerca il Gazette su Google. Sulla prima pagina
c’è una foto di me mentre bacio Jake, e l’articolo dice che abbiamo una
relazione.»
«Cosa?»
«Qualcuno deve avermi seguita, o…» Scuoto la testa per cercare di
trovare una spiegazione logica. «Che diavolo sta succedendo?» bisbiglio
furiosa.
«Porca puttana.» Si blocca. «La sto vedendo. Aspetta… quando cazzo
hai baciato Jake?»
«Lui mi ha baciata ieri sera», balbetto. «Per l’amor del Cielo, non l’ho
ricambiato. Tu…»
«Un secondo, sto leggendo», mi interrompe.
Mi passo una mano sul viso, aspettando che finisca.
«Oh mio Dio», sussurra lei.
«Alan mi ha riportata al mio appartamento e mi ha detto che oggi non
devo venire al lavoro.»
«Cosa?»
«Secondo lui il signor Miles mi contatterà in seguito.»
«Beh, e Jameson cosa ha detto?»
«Non risponde al telefono. Ho chiamato Tristan, ma lui mi ha detto che
sono in riunione e che mi avrebbe chiamata più tardi.»
«Porca puttana… è una brutta situazione.»
«Tu credi?» grido.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so. Che cosa faccio?»
«Beh, se Jameson ti ha detto di rimanere a casa, forse dovresti farlo.»
«Perché?»
«Perché non ha bisogno di altre attenzioni su di lui, qui c’è scritto che è
stato accusato di furto.»
Sgrano gli occhi, immaginando la tempesta mediatica che si scatenerà
su di lui dopo quell’articolo.
«Ma se Jameson ci credesse?» balbetto. «Non sono mai stata con Jake.
Sono tutte cazzate. Io amo lui.»
«Ti ha detto che si sarebbe messo in contatto con te… lo farà.» La
ascolto, con la mente che sfreccia a un milione di chilometri all’ora. «Devi
solo aspettare.»
Faccio una smorfia mentre piango. «Non credi che dovrei venire lì?»
«Dio, no. Non ha il tempo per preoccuparsi anche di te.»
«Ma io non ho fatto nulla», sussurro.
«Lo so. Andrò nel suo ufficio e gli racconterò tutto.»
«Davvero?» bisbiglio, speranzosa.
«Em, se ora vieni qui, tutto il palazzo ti attaccherà.»
Mi appoggio una mano sul volto, sconvolta, pensando al fatto che si
sono svegliati tutti con questa notizia. Diventerò il nemico pubblico numero
uno della Miles Media.
«Vado al lavoro e scopro che diavolo sta succedendo, poi ti richiamo, va
bene?» mi dice.
Annuisco con gli occhi pieni di lacrime. Non posso credere che stia
succedendo tutto questo. «Okay.»
«Torna al tuo appartamento e aspetta. Mi farò viva io.»
«Grazie», bisbiglio, rimanendo in linea. «Aspetta, cosa dirai a
Jameson?»
«Gli dirò solo la verità. Ti richiamo tra mezz’ora.»
Chino le spalle. «Okay, grazie.» Riattacco.
Esco dalla cucina per andare in salotto. Mi volto e torno da dove sono
venuta. Sono passati quaranta minuti. Jameson continua a non rispondere al
telefono, e Molly non mi ha ancora richiamata.
Che diavolo sta succedendo là?
Mando un messaggio a Jameson.
Io: Jay, non so che diavolo stia succedendo. Quella foto è una montatura.
Lo sai che ti amo e non farei mai una cosa del genere. Richiamami, ti
prego. Sto impazzendo!!!
Io: Chiamami subito, o verrò in ufficio!!! Mi sto arrabbiando, sappi che sto
dando di matto.
Con il cuore in gola, entro nel palazzo della Miles Media. Sono le otto e
mezza del mattino e sto andando al lavoro.
Ieri notte Jay non mi ha richiamata, e non posso dire di biasimarlo.
Ho pianto fino a addormentarmi… beh, in realtà non ho proprio
dormito, quindi non credo che conti. Sento un peso sullo stomaco che non
vuole andarsene via. Posso incolpare solo me stessa per questo pasticcio.
Ho mentito al mio amore, la cosa mi si è ritorta contro, e ora lui pensa il
peggio. Quindi oggi sono qui per cercare di farmi perdonare.
È ferito… so che lo è.
Sembra che il mio povero uomo abbia tutto il mondo contro di lui e
sono terribilmente in ansia. Quanto stress può sopportare prima di cedere?
Entro nell’ascensore e striscio il mio tesserino di sicurezza per accedere
ai piani alti, ma si accende una luce rossa. No. Lo striscio una seconda volta
e vedo di nuovo lampeggiare rosso.
«No, Jay… non farlo», bisbiglio tra le lacrime. «Non chiudermi fuori,
cazzo.» Lo striscio ancora, ma per la terza volta si accende la luce rossa.
«Che figlio di puttana», mormoro con tono rabbioso.
Premo il pulsante per il quarantesimo piano, e appare una luce verde. Il
cuore mi martella nel petto. Ha bloccato il mio accesso al suo piano.
Tiro fuori il cellulare e gli mando un messaggio.
Io: Fai sul serio? Non vuoi nemmeno parlare con me?
Jameson
Corro lungo la strada più velocemente che posso, la mia mente è immersa
in una fitta nebbia. Mi sento meglio dopo ogni passo che faccio. Sono
passati tre giorni da quando l’ho vista… tre giorni incarcerato all’inferno.
Non posso vederla. Non posso più cacciarmi in una situazione come
questa.
Nessuno vale tutta la sofferenza che sto provando… nessuno.
Giro l’angolo e supero rapidamente una fila di ristoranti per raggiungere
un parco, e vedo qualcuno davanti a me nell’oscurità. La sua posizione mi
sembra familiare, così strizzo gli occhi per vedere meglio. Mentre corro,
sono colpito dalla gelida consapevolezza di sapere di chi si tratta. Gabriel
Ferrara. È al cellulare e sta fumando un sigaro, appoggiato alla sua Ferrari
nera. Non mi ha ancora visto.
Rallento e mi avvicino a lui, ansimando.
Cane bastardo.
Non sopporto che abbia messo quella foto di Emily sulla prima pagina
del suo giornale. È stato un attacco diretto nei miei confronti… e ha colpito
in pieno il bersaglio.
Girandosi, mi nota e la sua espressione si fa cupa. «Devo andare.»
Chiude la telefonata.
«Guarda chi è strisciato fuori dalla fogna», sbuffo.
Lui sogghigna e dà un tiro al suo sigaro. «Miles.» Lo guardo di traverso.
«Come sta la tua ragazza?» mi chiede, facendomi l’occhiolino. «Dovresti
tenerla al guinzaglio.»
Lo fulmino con lo sguardo. Gabriel scrolla il sigaro verso di me, e io
comincio a ribollire di rabbia. Faccio un passo in avanti.
«Lo sai che ci ha provato anche con me? Sembra che tu abbia perso il
tuo tocco con tutto: con la compagnia, con i conti in banca, con il sesso.
Come ci si sente a sapere che la propria donna deve andare alla ricerca di
qualcun altro che la soddisfi?»
Inizio a vederci rosso… la rabbia mi sta accecando. Perdo il controllo e
gli sferro un violento pugno in pieno volto, e poi lo colpisco ancora e
ancora in rapida successione.
Cade a terra accanto alla sua auto, e io sento qualcuno gridare:
«Chiamate la polizia!»
«Cazzo…» Abbasso lo sguardo sul suo corpo accasciato a terra e sul
sangue che gli cola dal naso.
Cosa ho fatto?
Mi giro e corro più in fretta che posso nell’oscurità. Supero un isolato e
taglio in mezzo al parco, sentendo le sirene della polizia in lontananza.
Cazzo.
Attraverso la strada e un’auto sbuca dal nulla.
Una luce accecante, un clacson, la vista annebbiata.
La macchina mi colpisce e io volo per aria.
Le tenebre piombano su di me… poi il nulla.
Capitolo 22
Emily
Guardo l’infermiera che mi sta tenendo per mano per misurarmi i battiti e
inspiro profondamente. È una signora anziana e dall’aria materna, il tipo
che vorresti per prendersi cura di te.
«Come va il mal di testa?» mi chiede.
«Ancora lì.»
Mi sorride e prende la torcia per puntarmela negli occhi e controllare le
mie pupille. «Hai preso un brutto colpo. Sei fortunato a essere ancora vivo,
giovanotto.»
Sento delle voci fuori dalla camera, e Tristan appare sulla soglia. «Ehi.»
«Ciao.» Faccio un sorrisetto, notando l’ansia sul suo viso.
Mio fratello accorre al mio fianco. «Stai bene?»
«Certo.»
«No, che non sta bene», interviene l’infermiera. «È stato investito da
un’auto. Avrebbe potuto morire. Per il momento, ha una grave commozione
cerebrale.»
Tristan si passa una mano sul viso. «Gesù.»
«Rimarrà qui per la notte e domani, se i test preliminari saranno buoni,
potrà tornare a casa.»
«Okay… grazie.» Lui si accascia su una sedia accanto al letto.
«Tornerò tra un’ora con degli antidolorifici.» L’infermiera mi sorride.
«Non mi servono», replico.
«Tornerò in ogni caso.»
Alzo gli occhi al cielo, e la donna ci lascia da soli.
«Scusami», mormoro.
«Cazzo, Jay, stavamo impazzendo di paura. Ti abbiamo cercato per tutta
la notte.» Mi riempio le guance d’aria e poi espiro lentamente. «La polizia è
andata da Emily, lei mi ha chiamato, e poi abbiamo trovato il tuo telefono a
Bryant Park.»
«Emily?» Mi acciglio. «Perché l’hai coinvolta?»
«È terrorizzata, Jameson. Voleva aiutarci a trovarti.»
Roteo gli occhi. «Ne dubito fortemente.»
«Lo sai, non credo che stia con quell’imbecille di Jake. È stato tutto un
equivoco.»
«Ma chiudi il becco», lo zittisco.
«No, chiudilo tu. Perché non vuoi nemmeno parlare con lei?»
«Perché mi hai mentito guardandomi negli occhi e sei uscita con un
altro uomo.» Mio fratello mi guarda. «E non ho bisogno di questo tipo di
stronzate nella mia vita. Ho già abbastanza a cui pensare, nel caso non lo
avessi notato.»
«Vuole vederti.»
«Sì, beh, io non voglio vedere lei», sbotto.
«Allora devi lasciarla una volta per tutte. È fuori di sé per l’ansia.»
Faccio una smorfia irritata. «Vattene a casa e basta. Domani chiederò ad
Alan di venire a prendermi.»
«Perché non vuoi neanche parlarne?»
«Perché non sono affari tuoi. Emily ed io abbiamo chiuso. È finita nel
momento in cui ha iniziato a mentirmi.» Riappare l’infermiera. «Sono
stanco», annuncio.
La donna mi sorride. «Certo, okay.» Rivolge l’attenzione verso Tristan.
«La chiameremo in mattinata, quando sarà pronto per essere dimesso.»
«Sì, va bene», risponde lui. Sostiene il mio sguardo, ed è chiaro che ha
capito che non sono stanco per niente.
L’infermiera va in bagno.
«E cosa dovrei dire a Emily? Sta aspettando una mia telefonata»,
bisbiglia furioso.
«Non me ne frega un cazzo di cosa le vuoi dire. Non è un mio
problema.»
Si stropiccia di nuovo il viso con una mano, sospirando. «A volte sei
davvero un figlio di puttana egoista.»
«E con questo?»
Mi fissa per un lungo momento. «Ci vediamo domani.»
Emily
Il mio telefono vibra sul tavolino da caffè, e io rispondo subito.
«Sta bene», sospira Tristan.
«Grazie a Dio.» Chiudo gli occhi per il sollievo. «Posso vederlo?»
«Ha riportato una commozione cerebrale e dovrà rimanere in ospedale
per qualche giorno.»
«Cosa?»
«Ha detto che è meglio che tu non vada là, non vuole generare un altro
circo mediatico.»
Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Dannazione. In questo momento
mi sembra di non far altro che piangere.
«Ora sta dormendo.»
«Ha detto qualcosa? Su di me?» Mi fermo, cercando di articolare i
pensieri. «Come posso convincerlo ad ascoltarmi, Tristan?»
Lui espira profondamente. «Non lo so. Ha un sacco di casini a cui
pensare, Em. Non credo che al momento sia molto lucido. Cercherò di
parlargli domani mattina.»
Serro le palpebre, rischiando di essere sopraffatta dal pianto. «Okay»,
mormoro. «Potresti richiamarmi… per favore?» Dio, sembro la più grande
sfigata del mondo, ma non so cos’altro fare. «Sono così preoccupata per lui,
Tristan…»
«Lo siamo tutti, Em. Ti chiamo domani. Cerca di dormire un po’.»
«Okay. Buona notte.» Riattacco e vado a farmi una doccia, e lì scoppio
a piangere per il sollievo. Almeno sta bene, e domani è un altro giorno.
Tornerà da me. So che lo farà.
Mmh. Le rispondo.
Io: Non ne ho idea.
Lui mi risponde.
Io: Tristan, sembra che questa ragazza lavorasse per la Miles Media, puoi
scoprire chi è dalle risorse umane, per favore?
Faccio un sorrisetto.
Lui mi risponde.
Io: Non è necessario che tu venga, ma puoi parlare con le risorse umane
per me, per favore?
Tristan: Si chiama Lara Aspin. Domani mattina quelli delle risorse umane
cercheranno il suo curriculum. Ti tengo aggiornata.
Io: Grazie.
Sono stesa sul divano e fisso il televisore. Il cuscino sotto alla mia testa è
bagnato di lacrime.
Sono passati tre giorni da quando Jameson è stato investito da un’auto.
Sei giorni da quando l’ho visto l’ultima volta… Non riesco a mangiare. Non
riesco a dormire.
Sono all’inferno.
Peggio ancora, l’altra sera mi sono messa in imbarazzo andando fino al
suo appartamento e piangendo di fronte alla telecamera di sicurezza, mentre
lo supplicavo di farmi entrare. Non lo ha fatto, e, dopo mezz’ora, il suo
portiere mi ha accompagnata fuori dal palazzo.
Mi vergogno.
Non so cosa fare… Non vuole vedermi, non vuole parlarmi.
Tutto l’amore e la gioia che abbiamo condiviso sono state ridotte in
niente. È come se non fossi mai stata nulla per lui… e forse è proprio così.
Sapevo che aveva la fama di essere freddo, ma questo… questo gelo è tutto
un altro livello.
Come ha potuto guardarmi singhiozzare e supplicarlo dalla telecamera
senza nemmeno farmi entrare?
Prendo il telefono e gli mando un messaggio.
Io: Mi manchi.
Jameson
Cinque ore dopo, sono sul marciapiede davanti al palazzo dei Ferrara e sto
guardando verso i piani più alti. Compongo un numero che ho da anni ma
che non ho mai chiamato.
«Gabriel Ferrara», risponde una voce profonda.
«Sono Jameson Miles. Mi trovo davanti al tuo palazzo, vieni giù
subito.»
Chiudo e inspiro profondamente, poi mi appoggio alla mia limousine.
Dopo aver passato le ultime cinque ore alla centrale di polizia, non ho
voglia di aspettare quel coglione, ma c’è una cosa che devo dirgli, o
continuerà a marcirmi dentro. Ho detto alla polizia che il pugno che ho
sferrato a Ferrara è stato per autodifesa e che avrebbero dovuto controllare
per bene i video di sorveglianza. Non so se basterà, ma così avrò un po’ di
tempo. Gli agenti di polizia sono stati tranquilli e mi hanno detto che, dato
che Gabriel ha agitato il sigaro verso di me, probabilmente sarò accusato
solo di aggressione e mi sarà concessa la cauzione per buona condotta.
Posso sopportarlo.
Gabriel Ferrara appare dalla porta principale, accompagnato da quattro
guardie di sicurezza. Ha un occhio nero e uno zigomo gonfio. Sogghigno,
vedendo il suo viso conciato in quel modo.
«Hai un aspetto terribile.»
«Sì, beh, sono stato aggredito da un pazzo», borbotta lui con tono secco.
Faccio un passo in avanti, colto di nuovo dalla rabbia. «So cosa stai
facendo.» Gabriel mi lancia un’occhiataccia. «Non mi fai paura. È ridicolo
quanto tu sia diventato vile.»
Alza gli occhi al cielo. «Vaffanculo, Miles.»
«Se credi di poter distruggere la Miles Media con questo subdolo
comportamento criminale, ti sbagli di grosso», lo schernisco. Mi fissa in
cagnesco. «La Miles Media è leader del mercato da trent’anni e continuerà a
dominarlo. Dimmi, tuo padre lo sa cosa ti sei ridotto a fare?»
Il mio avversario solleva il capo con aria di sfida. «Comportamento
criminale… di che diavolo stai parlando? Quell’incidente d’auto ti ha reso
folle.»
«Sai esattamente di cosa sto parlando.» Ci guardiamo di traverso, l’odio
aleggia nell’aria come un gas velenoso. «So cosa stai facendo», bisbiglio.
Lui sostiene il mio sguardo. «E, non appena avrò le prove, ti distruggerò in
tribunale.»
«Vorrei proprio vederti mentre ci provi.»
Lo fisso, ripensando a quanto sia stato piacevole colpire quel bastardo.
«Ti ho rotto lo zigomo?» Mi lancia un’occhiataccia, e io capisco che è così.
«Lascia che ti dica una cosa… manca di nuovo di rispetto a Emily Foster, e
la prossima volta… non ti spaccherò solo uno zigomo. Ti ucciderò», lo
avviso, la voce carica di disprezzo.
Lui solleva un sopracciglio, come se fosse sorpreso da quella
dichiarazione. «È una minaccia, Miles.?»
«È una cazzo di promessa», ringhio. «Lasciala fuori da questa storia.»
Mi volto per salire in auto, Alan mette in moto e ci allontaniamo lungo
la strada. Guardo Gabriel Ferrara precipitarsi come una furia dentro
l’edificio, circondato dalle sue guardie.
Il giorno in cui distruggerò questo stronzo la vittoria sarà dolce.
Corro lungo la strada, avvolto dal buio. È appena mezzanotte. Non vengo
qui da un po’, ma, per qualche motivo, questa notte ne avevo bisogno.
Il palazzo di Emily.
Conto le finestre fino a raggiungere il suo appartamento con lo sguardo
e lo fisso. Che cosa starà facendo? Sentirà la mia mancanza almeno quanto
io sento la sua?
Mi immagino di suonare il suo campanello e di chiederle di salire. Ci
abbracceremmo, e io sarei felice… proprio come un tempo. Ma poi ricordo
la sofferenza che ho provato la settimana scorsa dopo che mi ha mentito, e
quanto mi sento privato del controllo ogni volta in cui sono con lei, la
maniera in cui i miei nemici l’hanno usata per arrivare a me, e il modo in
cui Emily ha regalato loro munizioni come fossero caramelle…
E so che niente potrebbe distruggermi… niente, tranne lei.
È la mia unica debolezza.
E la debolezza è qualcosa che non posso permettermi di avere.
Né ora né mai.
Rimango a guardare a lungo il suo appartamento, e poi, con il cuore
pesante, mi giro e inizio la deprimente corsa verso casa.
Non mi sono mai sentito tanto solo.
Emily
J: Un ultimo scalo. Aeroporto JFK. Sabato, alle 20:00. JFK Clubhouse Bar.
Ho bisogno di vederti.
J
xxx
Mi raddrizzo a sedere. Cosa?
Ha bisogno di vedermi… ha bisogno di vedermi?
La speranza mi sboccia nel petto. Oh mio Dio. Chiamo immediatamente
Molly.
«Pronto», mi risponde.
«Jameson mi ha appena scritto. Vuole vedermi domani sera!» le dico di
colpo.
«Cosa?» esplode lei. «Gli hai detto di andarsene a fanculo?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché…» Cerco di pensare alla spiegazione perfetta. «Magari vedere
Claudia lo ha fatto tornare in sé, e anche io lo voglio incontrare, Moll. È
quello che ho desiderato per tutto questo tempo.»
«Oh Dio, ma riesci a sentirti? Perché vorresti vederlo? È un gran
bastardo.»
«Lo so, ma è stato molto sotto pressione. Ho solo bisogno di parlare con
lui.»
«Per la cronaca, io credo che sia una pessima idea», sospira lei.
Sorrido tra me e me. Si sbaglia… è un’idea eccellente. Rispondo a
Jameson.
Guardo fuori dal parabrezza con un’espressione beata e vedo che Hayden
sta parlando con la stessa ragazza che lavorava alla Miles Media.
Lara Aspin… C’è qualcosa di losco anche in lei, e io ne voglio sapere di
più, soprattutto perché finora non sono riuscita a scoprire niente, nemmeno
un indirizzo. La giovane donna conclude la conversazione e si avvia lungo
la strada. Sposto lo sguardo tra lei e l’uomo.
Merda, che cosa faccio?
Guardo Hayden sparire dentro il suo palazzo.
Beh, so già dove vive lui. Se lascio andare la ragazza, rischio di non
ritrovarla mai più. Devo davvero scoprire dove abita. La seguo con gli
occhi mentre cammina lungo la via. Dannazione. Salto fuori dall’auto e
attraverso la strada, tallonandola sul marciapiede.
Scende le scale per entrare in metropolitana, e io esito. È buio, e solo
Dio sa dove sta andando… Merda.
La guardo sparire giù per la scalinata, e mi faccio forza. Maledizione.
Devo seguirla.
Aspettiamo sulla banchina della metro per un po’, e, quando sale sul
vagone, io entro dietro di lei. Mi fermo vicino alle porte e guardo fuori dal
finestrino, assicurandomi di tenerla nel mio campo visivo.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e devo ammettere che è persino
divertente. Avrei dovuto fare la poliziotta.
Superiamo quattro stazioni, e poi la ragazza si alza e si avvicina alle
porte. È la fermata della Central Station, cosa che mi porta a trarre un
sospiro di sollievo. Almeno questo è un posto sicuro.
Scendiamo dal vagone e io rimango un po’ indietro rispetto a lei per
evitare che si insospettisca. Camminiamo ancora, ancora e ancora…
accidenti, ma dove sta andando?
Svanisce tra la folla, e di tanto in tanto io faccio un saltello per vedere
se riesco a ritrovarla. Procedo, ma non la vedo più. È sparita nel nulla.
Dannazione.
Mi volto e lancio un’occhiata lungo la strada che abbiamo appena
percorso. Dov’è andata? Faccio qualche passo indietro, e finalmente la
intravedo dentro a un negozio.
Grazie a Dio.
Entro, notando solo dopo che è un banco dei pegni. Fingo di guardare
qualcosa sul fondo del negozio mentre Lara Aspin parla con l’uomo al
bancone.
«Beh, non vale molto», le sta dicendo lui.
«Vorrei cinquecento dollari. Funziona ancora perfettamente», risponde
la ragazza.
«Te lo sogni. Scordatelo.»
Sbircio attraverso uno spazio vuoto di una libreria esposta e noto un
MacBook. Merda… sta vendendo il suo computer. Perché mai dovrebbe
fare una cosa del genere? Inizio ad arrovellarmi sui possibili motivi mentre
i due contrattano sul prezzo. Alla fine, il venditore la spunta e le consegna
duecento dollari. Guardo Lara Aspin sparire al di là della porta. Aspetto
qualche minuto e poi vado al bancone.
«Salve.» Faccio un sorriso disinvolto.
«Ehi», borbotta il venditore sovrappeso, contando il contenuto della
cassa.
Questa potrebbe essere la cosa più folle che io abbia mai fatto, e dire
che ne ho fatte tante. «Vorrei comprare quel computer, per favore.»
L’uomo si acciglia, lanciandomi un’occhiata. «Quale?»
Indico il MacBook che Lara Aspin gli ha appena venduto.
«Nah, non l’ho ancora svuotato. Vai all’armadietto sulla sinistra e
trovatene un altro.»
«No, deve essere quello lì.»
«Non è ancora in vendita. Torna tra due giorni.»
Quando tornerò tra due giorni, lo avrà ripulito. «Mi dica quanto vuole»,
dichiaro, sentendomi coraggiosa.
Lui si interrompe e alza lo sguardo su di me. «Mille dollari.» Inarca un
sopracciglio in una sfida silenziosa.
«Lo ha appena pagato duecento dollari… è impazzito?» balbetto.
Il venditore scrolla le spalle e torna a quello che stava facendo.
Fisso il computer sul bancone, e non so perché ma il mio istinto mi sta
dicendo di comprarlo. «Dannazione, okay, va bene. Così com’è, subito, per
mille dollari.»
Mi fa un sorriso viscido. «Okay, tesoro.»
Gli porgo la carta di credito di mia madre, quella che dovrei usare solo
per le emergenze…
Scusa, mamma.
Pago i mille dollari, prendo il computer ed esco.
Il mio telefono squilla, e il nome di Tristan illumina lo schermo. Che
tempismo perfetto.
«Pronto», rispondo.
«Scusa se ci ho messo così tanto per richiamarti. Senti questa: quella
ragazza su cui mi hai chiesto di indagare, Lara Aspin… lavorava nella
contabilità», mi dice rapidamente.
«Che cosa significa?» Mi acciglio.
«Che aveva accesso ai nostri dati bancari.»
«Oh mio Dio, Tristan», bisbiglio, guardandomi intorno con aria
colpevole. «L’ho appena seguita in metropolitana. Ha venduto il suo
computer a un banco dei pegni, e lo so che è pazzesco, ma l’ho ricomprato
per mille dollari.»
«Cosa? Ce l’hai tu? Hai il suo computer?»
Sorrido orgogliosa. «Già.»
«Dove sei? Vengo subito a prenderti.»
Emily
«Oh mio Dio, Em, lo hai saputo?» Aaron mi rivolge un sorriso entusiasta,
girando la sedia verso di me.
È mattina, sono appena arrivata al lavoro e sto appoggiando la borsa
sulla scrivania. «Cosa?»
«I giornali di oggi dicono che è stato fatto un arresto per il caso di
appropriazione indebita.»
«Davvero?» Fingo un sorriso. «È fantastico.» Mi guardo intorno.
«Molly è già qui?»
«No, ma arriverà presto.» Torna a voltarsi verso il suo computer.
«Okay. Torno tra un momento.» Prendo una busta dalla mia borsa e poi
striscio il mio tesserino nell’ascensore per salire all’ultimo piano.
Stranamente, oggi funziona.
Le porte si aprono e Sammia mi fa un gran sorriso, come se fosse felice
di vedermi. «Buongiorno, Emily.»
«Ciao.» Mi guardo intorno. «Tristan c’è?»
«Sì, è nell’ufficio di Jameson. Vai pure.»
Lo stomaco mi sprofonda fino ai piedi. «Okay, grazie.» Attraverso il
pavimento piastrellato e prendo mentalmente nota del rumore. Ora le mie
scarpe non ticchettano più sul marmo, e ripenso a quando lo facevano.
Lancio un’occhiata attorno a me e scatto una fotografia mentale. Amo
questo palazzo… ho tanti ricordi emozionanti di quando ho iniziato a salire
fino a questo piano.
Busso alla porta e sento la voce autorevole di Jameson dire: «Avanti».
Ci siamo.
Cerco di tenere a bada i nervi e apro la porta. Quando Tristan si accorge
di me, il suo volto si illumina. «Eccola qui. L’eroina della giornata.»
«Ciao.» Incontro lo sguardo di Jameson dall’altra parte della stanza.
«Buongiorno.» Lui china il capo come se si vergognasse per qualcosa.
«Tutte le prove erano su quel computer, Em.» Tristan è entusiasta. «Ce
l’hai fatta, hai risolto il caso. Non so perché tu abbia continuato a seguirla,
ma, accidenti, ti sono incredibilmente grato per averlo fatto.»
«Sono felice di essere stata d’aiuto.»
«Grazie.» Jameson aggrotta la fronte come se vedermi qui lo facesse
soffrire. «Ti sono molto riconoscente per il tuo impegno nella risoluzione
del caso.»
Tristan guarda prima lui e poi me, e sembra accorgersi della tensione tra
di noi. «Vi lascio da soli. Dobbiamo festeggiare… stasera», ci grida,
lasciando la stanza in un turbine di eccitazione. Per lui la conclusione
dell’indagine contro Jameson deve essere un vero sollievo.
Chiudo gli occhi. Dannazione, devo farla finita. Porgo la busta a
Jameson, e lui la fissa con aria confusa. «Che cos’è?» mi domanda.
«La mia lettera di dimissioni.»
Mi guarda con la fronte aggrottata. «No, Em.» Scuote la testa. «Non
posso accettarle.»
Le emozioni mi travolgono, e sbatto le palpebre un paio di volte per non
piangere. «Non posso più lavorare qui, Jameson.»
«Tu ami la Miles Media… lavorare qui era il tuo sogno», bisbiglia.
«No. Ti sbagli. Io amavo te… eri tu il mio sogno. Ho accettato
un’offerta di lavoro da Athena, nel posto in cui ho fatto il tirocinio. Inizio
lunedì prossimo.»
Mi scruta dritto negli occhi. «Em…»
Mi sfugge una lacrima lungo la guancia, e la asciugo con un sorriso
nervoso. «Sai, ho guardato Magic Mike XXL ieri sera.» Mi ascolta. «E nel
film c’è una frase toccante che mi ha aiutata a dare un senso a tutto
quanto.»
«Quale frase?»
«Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.» Lui si acciglia, senza
capire. «Finalmente ti credo, Jameson.»
«Credi a cosa?»
«Che sei un codardo.» Lui serra la mascella. «Che hai troppa paura di
amarmi.» Ci fissiamo negli occhi, mentre tra di noi scorre una corrente di
rabbia. «E io merito qualcuno che sappia che valgo il rischio.» Jameson mi
fissa, serrando la mascella. «È solo che tu non sei abbastanza coraggioso da
amarmi.»
«Questo non è giusto», sussurra.
«No.» Scuoto piano la testa. «Innamorarmi di te non è stato giusto. Non
ho mai avuto alcuna possibilità… e tu lo hai sempre saputo. Il tuo cuore è in
un congelatore ermeticamente chiuso di marca Miles-High, e si può solo
ammirare dall’esterno.»
La sua espressione si incupisce, e io mi volto per lasciare il suo ufficio.
Chiudo piano la porta quando esco, e la fisso per un momento mentre
raccolgo il coraggio che mi serve per allontanarmi da lì per l’ultima volta.
In qualche strano e assurdo modo, questo è stato il periodo migliore e
peggiore della mia vita.
Addio, signor Miles. Mi mancherai per sempre.
Jameson
Emily
Jameson
Salgo sull’aereo.
«Buonasera, signor Miles. La sua poltrona è da questa parte, signore.
Posto A1.»
«Grazie.» Mi lascio cadere sul sedile in prima fila nella prima classe.
L’aereo si riempie lentamente, mentre io guardo fuori dal finestrino.
Volare non mi ha mai dato fastidio, ma ora lo odio. Detesto che mi ricordi
lei… e il modo in cui ci siamo conosciuti. La notte che abbiamo passato
insieme. E quanto sono andate male le cose alla fine.
Con un gomito appoggiato sul bracciolo, mi stringo la base del naso.
Voglio solo arrivare a destinazione, raggiungere il mio albergo e dormire.
Sono stanco e non sono dell’umore giusto per queste cazzate.
«Posso portarle qualcosa, signor Miles?»
«Uno scotch, per favore.»
Un uomo anziano si accomoda sul sedile di fronte a me. Mi fa un cenno
con il capo. «Salve.»
«Buonasera», lo saluto con un sorriso.
Riporto l’attenzione fuori dal finestrino, verso l’equipaggio che si sta
occupando dei bagagli sulla pista; sono tutti impegnati a svolgere il loro
lavoro e a correre in giro per fare gli ultimi controlli di sicurezza.
Si muovono a bordo di carrelli, fanno segnali luminosi e agitano
bandiere.
A me non importerebbe niente se l’aereo si schiantasse.
Bruciare all’inferno deve essere meglio di questa vita.
Sto tornando a casa in autobus e sono seduta a leggere un libro sul mio
Kindle. È buio e sono appena le sei di sera. Sono più felice… più forte.
Ormai ho iniziato il mio nuovo lavoro da tre settimane e lo adoro. Ho fatto
la scelta giusta. Le persone sono tutte fantastiche, fortunatamente non sono
più l’oggetto delle chiacchiere in ufficio, e ho un ruolo più importante
rispetto a quello che ricoprivo alla Miles Media. Mi vedo ancora spesso con
Molly e Aaron per bere e cenare insieme, e ho in programma di tornare dai
miei genitori nel weekend.
Sto correndo molto… e stranamente non devo fingere di essere
inseguita da un maniaco armato di ascia. Sono così arrabbiata che non
posso fare a meno di sfrecciare con tutte le mie forze. Il jogging pacifico
non fa più parte del mio repertorio.
L’autobus rallenta. Spengo il Kindle e mi alzo, aspettando che il mezzo
si fermi. Scendo i gradini e inizio la camminata di due isolati per
raggiungere il mio appartamento. La stagione si sta facendo fredda. Ogni
mio respiro crea una nuvoletta di condensa, e io mi stringo nell’ampio
cappotto per tenermi al caldo mentre avanzo.
Potrei prendere del cibo indiano per cena.
No… attieniti al budget, nel frigo hai gli avanzi dell’altra sera.
Raggiungo il mio palazzo e frugo nella borsa alla ricerca delle chiavi.
«Ciao, Em», dice una voce familiare alle mie spalle.
Mi volto, sorpresa. Jameson è di fronte a me, e, non appena lo vedo, mi
si stringe il petto come in una morsa. «Che ci fai qui?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Avevo bisogno di vederti.»
La sua apparizione risveglia un’ondata inaspettata di emozione, che in
precedenza avevo creduto di avere sotto controllo. Lo fisso tra le lacrime
che minacciano di iniziare a scendere.
Lui fa un cauto passo in avanti. «Come stai?»
All’improvviso, sono furiosa… come un toro scatenato, e chino la testa
per armeggiare dentro la borsa. Devo allontanarmi da lui.
Dove cazzo sono le chiavi?
«Bene», sbotto. Finalmente le trovo e mi giro verso la porta.
«Mi manchi.»
Mi fermo e chiudo gli occhi.
«Non riesco…» Si interrompe. «Non riesco a voltare pagina se non so
che siamo a posto.»
Corrugo la fronte e torno a guardarlo. La sua espressione è addolorata,
sembra nervoso. I nostri occhi si incontrano, i miei pieni di lacrime… i suoi
pieni di rimpianto. Si gira per lanciare un’occhiata verso la sua macchina,
che non avevo notato, parcheggiata nel buio.
«Ti ho portato una cosa.»
Praticamente corre fino all’automobile per prendere un enorme bouquet
di rose gialle, poi torna da me per consegnarmelo.
Lo fisso confusa. «Rose gialle?»
Mi sorride con dolcezza. «Dovrebbero essere un simbolo di amicizia.»
«Vuoi essere mio amico?»
Lui annuisce speranzoso. «Possiamo ricominciare da capo?»
Qualcosa dentro di me si spezza. «Hai un bel coraggio, cazzo.» La sua
espressione si intristisce. «Torni qui dopo avermi spezzato il cuore e mi
porti delle cazzo di rose gialle?» grido. Jameson fa un passo indietro,
sconvolto dall’astio nel mio tono di voce. «Non sarei amica di un coglione
egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra!» urlo,
mentre le lacrime di rabbia iniziano a scendermi sul volto.
Perdo del tutto il controllo e inizio a fare a brandelli le rose, strappo i
fiori, li distruggo, poi li getto a terra e ci salto sopra. Voglio ferire queste
stupide piante tanto quanto lui ha ferito me.
Jameson mi guarda con gli occhi sgranati.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e, ancora insoddisfatta dallo stato
delle rose, sollevo il mazzo da terra e scendo in strada per gettarlo con più
forza possibile sull’asfalto. Un autobus gli passa sopra.
«Ecco cosa puoi farci con la tua amicizia», gli dico con il tono carico di
disprezzo, superandolo.
Apro il portone ed entro nel mio palazzo senza guardarmi indietro.
Premo con forza il pulsante dell’ascensore e, con la coda dell’occhio, vedo
Jameson al di là della porta a vetri, che ancora mi guarda. Le lacrime mi
scorrono giù per il viso, e sono furibonda per avergli lasciato vedere quanto
sono fuori di me.
L’ascensore si apre, così entro e premo di nuovo il pulsante.
Le porte si richiudono, mentre il mio viso si contorce per il pianto, e io
inizio a singhiozzare.
Che tu sia maledetto, Jameson Miles…
Capitolo 24
Emily
Ci sono momenti della tua vita che sai che non potrai mai
dimenticare. Certe situazioni che sono fondamentali e determinano chi sei.
La notte scorsa è stato uno di quei momenti.
Che razza di psicopatica fa a pezzi un mazzo di rose a mani nude,
gridando come una matta? Mi vergogno di me stessa. Questo… questo è il
livello a cui mi sono abbassata.
Stranamente, la notte scorsa è anche stata la prima volta in cui ho
dormito bene dopo settimane. Come se aver rilasciato un po’ di vapore dalla
pentola a pressione mi avesse placato l’anima.
Non mi sento in colpa per essere stata tanto cattiva… di norma, ci starei
male. Ma Jameson Miles, in sé e per sé, è un enigma… uno per cui non
provo più compassione.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra”, gli ho detto… anzi, glielo ho urlato. È
stata una cosa dura da dire, la peggiore, ma lui ha avuto quello che si
meritava.
Le porte dell’ascensore del mio palazzo si aprono, così esco e raggiungo
la strada.
«Che diavolo è successo qui?» sento borbottare sottovoce la donna
davanti a me, che si è fermata per guardare il massacro.
Ci sono petali di rose gialle sparsi ovunque, boccioli ammaccati e
rovinati gettati sull’asfalto. In strada giace la carcassa del bouquet
schiacciato con il suo grande fiocco di seta color crema.
Gesù…
Abbasso la testa e supero quella carneficina. Lancio un’occhiata verso il
tetto, per controllare le telecamere. Mi chiedo se qualcuno abbia visto
quello spettacolo nelle riprese di sicurezza.
Spero di no… che imbarazzo.
Salgo sull’autobus e accendo il mio Kindle. Non sto leggendo uno dei
miei soliti romanzi rosa. Non riuscirei a sopportare il pensiero di tutte
quelle stronzate. Ho variato un po’ e sto leggendo Pet Semetary, e forse è
colpa sua. Stephen King mi sta portando verso il lato oscuro. Quello in cui
non accetti cazzate e la vendetta sulle rose gialle è doverosa.
Bene… Fatevi sotto. Ho voltato pagina.
Questo è il mio momento di gloria.
Jameson
Bevo il mio caffè seduto nel bar di fronte alla Miles Media. Da un paio di
giorni vengo qui prima del lavoro. Alan mi ha detto che Emily era solita
trovarsi qui con i suoi amici. Spero di incontrarli.
Perché? Non lo so.
Le parole che mi ha gridato l’altra notte continuano a risuonarmi nella
mente.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra.” Nemmeno io vorrei essere mio amico,
se mi trovassi al suo posto.
Non l’ho mai vista tanto arrabbiata… e magra. Ha perso molto peso.
Odio averla fatta soffrire così tanto, non lo meritava.
Sorseggio il mio caffè e sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
«Ehi», dice Tristan, sedendosi su uno sgabello accanto a me.
«Ciao.»
«Stai cercando Emily?» mi chiede con aria noncurante.
«No.»
«Bugiardo», replica con un sorrisetto sfacciato. «Ehi, io e i ragazzi
abbiamo organizzato un viaggio a Las Vegas per questo weekend. Il jet è
già pronto.» Faccio una smorfia. Non riesco a pensare a niente di peggiore.
«Sarà fantastico. Beviamo, giochiamo d’azzardo. Introduciamo qualche
bella donna al Miles High Club. Devi riprenderti e tornare in sella. Ho in
mente una bionda o due… per un po’ lasciamo perdere le more, e, oltretutto,
dobbiamo festeggiare la tua assoluzione. Elliot e Christopher arrivano
questo venerdì.» Mi fa l’occhiolino, cercando di rendermi appetibile la
proposta.
«Sì, mi sembra una vera merda», borbotto con tono secco.
«Non mi importa cosa ne pensi. Tu ci vieni.»
Guardo fisso davanti a me. Ultimamente ho perso la capacità di
entusiasmarmi per qualsiasi cosa.
Lui si fa serio. «Sono preoccupato per te, Jay.» Alzo gli occhi al cielo.
«Lo siamo tutti. Non ti stai comportando da te.»
«Sto bene», mormoro con il viso rivolto verso il mio caffè. Mi guardo
intorno ancora una volta, ricordandomi perché mi trovo qui.
«Perché non vai da lei, se la vuoi vedere?» mi chiede.
«Ci ho provato, la notte scorsa.»
«Com’è andata?»
Mi concedo un lungo respiro. «È andata fuori di testa e…» Mi
interrompo, cercando le parole giuste per spiegare la situazione. «Le ho
portato delle rose gialle, e lei le ha fatte a pezzi come una matta.»
«Ah, davvero?» Mio fratello sogghigna, e poi il suo sorrisetto si allarga,
come se fosse colpito. «Perché portarle rose gialle e non rosse?»
«Ho pensato…» Espiro profondamente. «Ho pensato che quelle gialle
fossero più sicure perché sono un simbolo di amicizia. Così Emily avrebbe
acconsentito a parlare con me. Volevo solo scambiare due parole.»
«Ma questo non glielo hai detto, vero?»
«Sì, invece.»
Lui scuote piano la testa, come se io fossi uno stupido. «E lei come l’ha
presa?»
«È stato a quel punto che si è trasformata in Hulk.»
«A dire la verità, non la biasimo.» Gli lancio un’occhiata interrogativa.
«L’hai fottuta alla grande.»
«Non l’ho fottuta», sibilo. «Sto cercando di proteggerla.»
«Ascolta, puoi mentire a te stesso quanto ti pare, ma non disturbarti a
raccontare queste cazzate a me. Sei un pessimo bugiardo… il peggiore.»
«Vaffanculo, Tris, è troppo presto per queste stupidaggini.» Sospiro.
«Tristan», lo chiama la ragazza dietro il bancone.
Lui si alza, va a prendere il suo caffè. Quando torna verso di me, mi dà
una pacca sulla spalla. «Rimani qui a fare il cazzone depresso?»
«Fottiti», grugnisco. Lui mi sorride e se ne va senza un’altra parola.
Faccio un lungo sospiro e abbasso lo sguardo sul mio caffè. Ripenso
alla sofferenza che c’era sul viso di Emily la notte scorsa, e mi si stringe il
petto. Continuo a rivederla nella mia mente, vorrei solo sapere se sta bene.
Forse così riuscirei a perdonare me stesso e a smettere di pensare a lei in
ogni istante della giornata. Tiro fuori il telefono. La chiamerò.
No, riattaccherebbe e basta. Meglio scriverle… ma cosa?
Premo Invio e aspetto. Bevo il mio caffè e fisso il telefono, in attesa che mi
risponda… ma non lo fa.
Ordino un altro caffè mentre rimango in attesa. Sono le otto e un quarto del
mattino e so che non ha ancora iniziato a lavorare. So anche che deve avere
il telefono con sé e che sta ignorando di proposito i miei messaggi.
Fanculo. Compongo il suo numero. Il cellulare squilla… Aspetto con gli
occhi chiusi, ma quello squilla fino a spegnersi.
Cazzo. Ha rifiutato la chiamata.
Le scrivo ancora una volta.
Rimango seduto a finire il mio caffè, e in quel momento inizia una canzone:
Bad Liar, “Pessimo bugiardo”, degli Imagine Dragons.
La ascolto… Mio fratello mi ha detto che non so mentire e,
ironicamente, i versi della canzone risuonano veritieri. Con
un’imprecazione, mi trascino fuori dal bar per prendere un taxi.
«Dove la porto?» mi chiede il tassista.
«A Park Avenue.»
L’auto si immette nel traffico, mentre io mi infilo le cuffie, accendo
Spotify e ascolto di nuovo la canzone.
Bad Liar… il mio nuovo inno.
Cerco su Google le foto di alcuni posti all’estero. Voglio andare a sciare.
Penso alla Svizzera. Ho bisogno di allontanarmi. New York è troppo
piccola… o soffocante… o minacciosa… o qualcosa che non riesco a
comprendere del tutto. In ogni caso, devo andarmene da qui.
Mi ha bloccato.
Potrei lavorare da Londra per un po’… sì, potrei fare così. Avrebbe
senso. Avrei l’occasione di passare più tempo con Elliot e Christopher. Mi si
stringe il petto quando mi ricordo che anche qualcun altro vive lì. Sarei più
vicino a Claudia, ma proprio qualche giorno fa ho spezzato il cuore anche a
lei. Voleva tornare insieme a me, e io le ho detto che probabilmente non
l’avevo mai amata per davvero… Lei si è arrabbiata, e di base è una
situazione del cazzo su tutti i fronti.
No, non posso lavorare da Londra… troppo complicato. Idea cancellata.
Per quanto tempo potrei rimanere in Svizzera? Rifletto sulle date.
Magari un mese? Mmh… Apro la mia agenda del lavoro e inizio a
sfogliarla. Mi spettano un mucchio di ferie arretrate e tanto vale che me ne
faccia un po’.
Non appena entro nel mio appartamento, l’interfono di sicurezza squilla,
e io rispondo. «Pronto?»
«Buon pomeriggio, signor Miles. La signora Miles è qui all’ingresso per
vederla.»
Chiudo gli occhi. Merda.
«La faccia pure salire, grazie.»
Qualche istante più tardi, le porte dell’ascensore si aprono, ed esce mia
madre. Il suo volto si illumina non appena mi vede. «Ciao, caro.»
«Ciao, mamma.»
Mi prende tra le braccia e mi stringe a sé per un momento, come
percependo che c’è qualcosa che non va.
«Che ci fai qui?» Le sorrido, liberandomi dal suo abbraccio.
«Dovrei farti la stessa domanda», risponde lei, seguendomi per
accomodarsi sul divano.
«È solo che…» Mi interrompo, mentre cerco di delineare la bugia adatta
da propinarle. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per me dopo tutto quel
casino dell’appropriazione indebita.»
Mia madre incrocia il mio sguardo. «Bene, ne sono felice.»
«Posso offrirti qualcosa?» Mi alzo, sentendomi a disagio all’idea di
continuare a mentirle.
«Un po’ di tè, caro, grazie.»
Vado in cucina e inizio a prepararlo. Tiro fuori la sua teiera di
porcellana rosa e oro e una tazza, quella da cui beve sempre quando è qui.
Lei mi segue e si siede al bancone in mezzo alla cucina.
«Ti ha mandato Tristan?» le chiedo, dandole la schiena.
«È preoccupato per te.»
«Sto bene, mamma.»
«Questo lo giudicherò io. Che cosa sta succedendo con Emily?»
«Niente.»
«Perché?»
«Non stiamo più insieme.»
«Per quale motivo?» Continuo a preparare il tè. «Guardami, Jameson.»
Trascino lo sguardo fino a lei. «Perché non stai più insieme a Emily?» mi
chiede ancora.
«Merita di meglio.» Mia madre mi osserva. «Ferrara.» Corrugo la
fronte, per cercare di trovare le parole giuste. «Non voglio questa vita per
lei.»
«Cioè, non vuoi che stia con un maniaco del lavoro?»
Scrollo le spalle, porgendole la tazza.
«Quindi, l’hai lasciata… per il suo bene?» Serro le labbra, rimanendo in
silenzio. «Beh, questa ne è la dimostrazione, Jameson.»
«Di cosa?»
«Del fatto che è quella giusta.» Mi acciglio. «Sai, è da quando eri un
bambino che fai così.»
«Che faccio cosa?»
Di che cosa sta parlando?
«Quando eri molto piccolo, forse a tre o quattro anni, avevi questo
piccolo pick-up giocattolo azzurro chiaro.» La ascolto. «Lo adoravi. Stava
nel palmo della tua mano, e te lo portavi sempre in giro. Era il tuo orgoglio
e la tua gioia.» Sorrido appena. «Il fatto è che anche a Tristan piaceva. Ne
aveva uno tutto suo, ma il tuo era speciale. E, anche se tu adoravi quel
giocattolo con tutto il tuo cuore, non appena Tristan si arrabbiava per
qualche motivo… lo davi a lui. Non riuscivi a sopportare di vederlo turbato
e ti sentivi responsabile per la sua felicità.» Mi acciglio. «A mano a mano
che sei cresciuto, te l’ho visto fare molte volte, Jameson, e con tante cose
diverse. Per il mondo esterno tu sei sempre stato un uomo freddo e distante,
ma per i tuoi cari faresti qualsiasi cosa pur di renderli felici. Hai più cuore
che buon senso.» Sostengo il suo sguardo. «Perché credi che Emily non
sarebbe felice con te?»
La fisso per un momento, attraversato da una miriade di emozioni
confuse. «Perché prima o poi la deluderei», sussurro.
La sua espressione si addolcisce. «Jameson, caro, come? Lavorando
troppo? Comportandoti con troppo onore nei confronti della compagnia
della famiglia?» Chiudo gli occhi. «Io sono innamorata di un uomo che è
fatto proprio come te. Tu lo conosci bene, visto che si tratta di tuo padre.
Come te, anche lui è uno stacanovista.»
«Come…» Aggrotto la fronte. «Non so come tu riesca a farcela,
mamma.»
«Cerca di capirlo.» La fisso. «Emily ama te, Jameson, non i tuoi soldi…
o la tua società. Ama te… per quello che sei.» Abbasso la testa. «Smettila di
essere così maledettamente altruista e fai quello che vuoi.»
«Non so più che cosa voglio», bisbiglio.
«Oh, sciocchezze», sbotta lei. «Dimmi una cosa. Se fossi su un’isola
deserta, chi vorresti al tuo fianco?»
«Emily», mormoro senza alcuna esitazione.
«Essere innamorati è come trovarsi su un’isola deserta, Jameson. Puoi
concentrarti solo e unicamente sull’altra persona, e devi fare in modo che
tutto il resto le si adegui.» Inspiro profondamente. «Se non vuoi affrontare il
tuo futuro con lei, allora non farlo. Ma non osare allontanarti dalla felicità
per proteggerla.» La ascolto, serrando i denti. «Non capirò mai come fa un
uomo a essere tanto spietato negli affari e così generoso con chi ama… ma
il fatto è che tuo padre è come te, e io so che è fattibile.» Mi prende il viso
tra le mani. «L’uomo che io amo e quello che il mondo conosce sono due
persone molto diverse… ed è così che mi piace. Mi piace essere l’unica a
vedere la sua parte più tenera.» Le rivolgo un sorriso dolce. «Per tuo padre
io sono tutto il suo mondo, ha fatto funzionare la nostra relazione
nonostante la compagnia. Non mi sono mai sentita ignorata o trascurata. Per
lui sono sempre stata una priorità.» La guardo mentre quelle parole
aleggiano nella mia mente. «L’uomo che Emily ama e quello che tu credi di
essere sono due individui molto diversi. Devi permetterti di essere la
persona che sei davvero con Emily e anche il Jameson Miles che il mondo
conosce. Non devi scegliere tra l’uno e l’altro come pensi. Il fatto che tu
abbia messo la felicità di Emily davanti alla tua è la prova che lei è la donna
giusta per te.»
«Non vuole parlarmi», sussurro.
Si alza. «Allora convincila a starti a sentire.» Mi stringe tra le braccia.
«Vai a riprenderti la tua innamorata, afferrala con entrambe le mani… e non
lasciarla mai più andare.» Mi dà un bacio sulla guancia e, senza dire altro,
esce dal mio appartamento.
Le parole di mia madre mi risuonano dentro, forti e chiare.
“Devi permetterti di essere la persona che sei davvero con Emily e
anche il Jameson Miles che il mondo conosce. Non devi scegliere tra l’uno
e l’altro come pensi.”
Sono le cinque del mattino e sono steso sul divano a fissare il soffitto del
mio salotto. Ho ancora indosso i vestiti che portavo ieri. Non ho dormito
per tutta la notte. Continuo a ripetermi nella testa le parole di mia madre. È
convinta che io possa diventare l’uomo che Emily desidera e allo stesso
tempo quello che devo essere.
Per come la vedo io, ho tre possibilità: la prima è lasciare la Miles
Media per diventare un uomo con cui valga la pena di stare; la seconda è
lasciare che Emily esca per sempre dalla mia vita, ma mi si stringe lo
stomaco al solo pensiero di trascorrere la mia esistenza senza di lei; la terza
è provare a essere entrambi… ma è davvero possibile vivere come due
persone diverse?
Mi alzo e, per la prima volta da molto tempo, mi ritrovo a essere
completamente lucido.
Vaffanculo.
Ci proverò e, se non riuscirò a farlo funzionare, lascerò la Miles Media.
Mi riprenderò la mia ragazza.
È lei la mia priorità.
Capitolo 25
Emily
Esco dal mio palazzo alle otto precise del mattino. Non ho dormito molto e
continuo a vedere l’espressione triste che Jameson aveva ieri notte quando
l’ho lasciato. Detesto essere preoccupata per lui. Le sue parole hanno
continuato a risuonarmi in testa, ancora e ancora. Detesto che le abbia
pronunciate. Detesto che abbiano senso.
“Perché tu mi ami… e due torti non fanno una ragione. Se non mi
permetterai di aggiustare questa situazione per pura testardaggine, cosa che
è estremamente possibile… entrambi ce ne pentiremo per sempre. Sai che
sarà così.”
Dio, che disastro.
«Buongiorno.»
Sento una voce allegra dietro di me. Jameson è in piedi accanto alla
porta, avvolto nel suo completo blu, tutto agghindato e niente affatto
scoraggiato come invece dovrebbe essere.
«Che ci fai qui?»
«Ti stavo aspettando.» Mi sorride, afferrando la mia borsa della palestra
per caricarsela su una spalla. «Prendiamo l’autobus oggi?»
Lo fisso, impassibile. «Io prendo l’autobus. Quello che fai tu… non
posso proprio saperlo.»
«Ti seguirò fino a quando non accetterai di uscire a cena con me.»
«Non succederà, Jameson.»
«Okay», risponde lui, iniziando a incamminarsi verso la fermata.
«Allora ti seguirò per sempre.» Lo fisso, e lui mi rivolge un sorrisetto sexy.
«Sei bellissima oggi.»
«Smettila.»
«No.»
Mi dirigo verso la fermata, accompagnata da Jameson. Resto in silenzio,
mentre lui continua a blaterare.
«Sei andata a correre questa mattina?» mi chiede. «Io l’ho fatto.» Lo
guardo. «Sono piuttosto in forma, in questo momento. Tutta questa
sofferenza mi spinge a correre a velocità record», continua.
Siamo in due… ma io tengo la bocca chiusa. Non voglio fargli sapere
che anche io sto correndo perché spronata dalla rabbia nei suoi confronti.
Prendiamo l’autobus. Continuo a non dire niente, mentre lui chiacchiera
come se fossimo due migliori amici che si sono ritrovati dopo molto tempo.
«Vuoi andare in campeggio questo weekend?» chiede, aprendo il
giornale.
«No. Andrò dai miei genitori», rispondo impassibile.
«Oh.» La sua espressione perde tutto l’entusiasmo. «Beh, sarà
imbarazzante.»
«Cosa?»
«Quando ti seguirò dai tuoi genitori.»
«Non verrai dai miei», sbuffo.
«Scommettiamo?» Gli brillano gli occhi di malizia. «Se non parli con
me, continuerò a seguirti fino a quando non cambierai idea.»
«Non voglio che tu mi segua. In effetti, non voglio avere niente a che
fare con te.»
«Non c’è bisogno di fare la bisbetica», dice lui, girando la pagina del
giornale. «È sconveniente.»
Gli lancio un’occhiataccia. «Lo sai che cosa è sconveniente?» bisbiglio
furiosa. «Gli stronzi che spezzano il cuore alle ragazze e credono di poterle
riavere indietro in un batter d’occhio, solo schioccando le dita.»
Jameson mi fa un sorrisetto. «Sì, devo concordare. Ma se i due sono
destinati a stare insieme, e lui era convinto di fare la cosa giusta…»
«Oh, ti prego», dico, irritata. «Ma ti senti?»
«Vieni a cena con me stasera?»
«No.»
L’autobus raggiunge la mia fermata, e lui si alza per prendere la mia
borsa da palestra e mettersela in spalla. Lo guardo attraversare il veicolo per
scendere, e sorrido tra me e me. Ha mai preso un autobus prima d’ora?
Idiota.
Ci incamminiamo in silenzio lungo la strada, e, quando mi volto, noto
subito la limousine parcheggiata di fronte a noi. Alan è appoggiato al
veicolo e mi sorride, facendomi un cenno.
«Alan sa che sei qui?» sussurro mortificata.
«Lo sanno tutti», dice lui con noncuranza, restituendomi la borsa. «Non
è un segreto che ti rivoglio con me. Ho dichiarato le mie intenzioni.» Lo
fisso. «Ci vediamo questo pomeriggio.»
«Jameson», sospiro.
«Non ho intenzione di rinunciare a noi, Em… mai.» Mi sorride con
dolcezza. «Noi siamo fatti l’uno per l’altra.» Mi gratto la testa per la
frustrazione. «Passa una bella giornata.» Mi guarda con le mani nelle
tasche, a distanza di sicurezza.
«Ciao.» Mi volto ed entro nell’edificio. Subito dopo, il mio telefono
notifica l’arrivo di un messaggio. Arriva da un numero sconosciuto.
Passa una bella giornata. Questo è il mio telefono usa e getta in caso di
emergenza.
Alle sei di sera mi dirigo verso il piano terra. È possibile che mi sia
sistemata i capelli e mi sia data il rossetto… non che lo ammetterei mai,
certo.
Lascio l’edificio per uscire in strada, e vedo Jameson appoggiato al
muro. Indossa il suo completo grigio, quello che mi piace tanto. I capelli
scuri gli ricadono sulla fronte, e rivedere la sua mascella scolpita risveglia
delle sensazioni nascoste dentro di me. Mi fa un ampio sorriso e si stacca
dalla parete con una spinta non appena nota che sto arrivando. Da quanto
tempo è lì?
«Buon pomeriggio, signorina Foster.»
«Non sapevo che conoscessi il kung fu», dico, superandolo.
«Oh, sì», risponde, seguendomi a ruota. «Ci sono molte cose su di me
che non sai. Ti ho detto che sto diventando un grande appassionato di sport
estremi?»
Rimango in silenzio mentre camminiamo. È difficile mantenere
un’espressione seria quando lui è di questo umore.
«Sì, ho pensato che potrei iniziare a scalare montagne e ad andare in
campeggio. Potrei accendere un fuoco a mani nude e fare altre cose così.»
Sogghigno, non riuscendo a trattenermi, e continuo a camminare di
fianco a lui. «Davvero?»
«Già. Vedi? Sto diventando un tutt’uno con la natura.»
«Tu. Un tutt’uno con la natura. Mi piacerebbe vederlo», borbotto con
tono secco.
«Okay, possiamo fare un’escursione in montagna questo weekend,
allora. Che ne dici del monte Kosciuszko?»
«Sono impegnata», replico, continuando a procedere.
«Giusto, hai ragione, questo weekend andiamo dai tuoi genitori.»
«Tu non verrai con me, Jameson.»
«Quando ho chiamato tua madre, mi ha detto che posso, invece.»
Mi volto verso di lui, incredula. «Hai chiamato mia madre?»
«No, ma lo farò se non vieni a cena con me.» Mi sorride con fare
speranzoso.
Lo fisso. «Jameson, se secondo te basta che Kung Fu Panda mi mandi
una torta e mi chiami cheesecake per riparare i danni che hai causato, allora
sei proprio un illuso.»
Mi prende le mani tra le sue. «Non è così, Em, ma, ti prego…
permettimi solo di dirti quello che devo.» Lo guardo. «E poi, se non vorrai
vedermi mai più, smetterò di seguirti.» Sostiene il mio sguardo. «Dobbiamo
parlarne, sai che è così.» Roteo gli occhi. «Ti prego.» Sbatte le ciglia per
cercare di fare il carino, ed è piuttosto irritante che riesca nel suo intento.
«Va bene, hai dieci minuti», sospiro.
«Dove vuoi andare?» Mi sorride.
«Va bene qualsiasi posto, basta che sia vicino.»
«Okay.» Si guarda intorno. «Che ne dici di quel ristorante italiano
dall’altra parte della strada.»
«Va bene.» Cerca di prendermi per mano, e io lo allontano di colpo.
«Vorrai scherzare», sbotto.
«Gesù, calmati», borbotta lui.
Lo seguo attraverso la strada e all’interno del ristorante, e ci
accomodiamo in fondo al locale. È piccolo e buio, e ci sono delle candele
sopra ai tavoli coperti da tovaglie rosse. È tutta un’altra cosa rispetto agli
esclusivi ristoranti italiani in cui andavamo di solito, ma andrà bene.
«Posso portarvi da bere?» chiede il cameriere.
Jameson fa un sorrisetto e mi indica. «Prendo quello che prende lei.»
Lo fisso per un momento e apro il menù. «Va bene, vorremmo una
bottiglia dell’Henscheke Hill of Grace, per favore.»
«Sì, signora.» Il cameriere sparisce in fondo al bar.
Jameson sposta lo sguardo su di me e, con un sorrisetto, mi prende le
mani sopra il tavolo.
«Lo sai quanto mi sei mancata?» sussurra. Lo guardo con uno strano
senso di distacco. «Io ti sono mancato?»
All’improvviso, sono travolta dai sentimenti che provo. Rimango in
silenzio, lottando contro il groppo che ho in gola. Detesto quanto debole e
vulnerabile lui mi faccia sentire. Tiro via le mani dalla sua presa. Ho
bisogno di creare un po’ di distanza tra di noi.
«Em.» Aggrotta le sopracciglia. «Io…» È chiaro che non abbia la
minima idea di cosa voglia dire. «Quando ho visto la tua foto mentre
baciavi Jake…»
«Jameson…» balbetto io.
Alza una mano per chiedermi di fare silenzio, e io chiudo la bocca.
«Qualcosa si è spezzato dentro di me. Ero così sconcertato da quanto
profondamente fossi sconvolto che io…» Si acciglia, ripensandoci. «Ero
furioso… innanzitutto con te, ma poi con me stesso.» Ci fissiamo negli
occhi. «Stavo avendo così tanti problemi sul lavoro, e l’ultima persona sulla
Terra che credevo mi avrebbe mentito… eri tu.» Chino la testa per la
vergogna. «Ma poi, quando qualche giorno più tardi, mi sono calmato, mi
sono reso conto che ti avevano teso una trappola e ho capito che il futuro
era già segnato.» Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Ci sarà sempre
qualcuno come Ferrara, pronto ad attaccarti per ferire me.» Mi sprofonda il
cuore nel petto. «E non è ciò che voglio per te.»
«Jay», bisbiglio con tono triste.
«Non voglio che tu sia sposata con un maniaco del lavoro
costantemente in viaggio e fuori di sé per lo stress, che tu debba ricordare a
tuo marito di non bere troppo o di non essere scortese con gli altri solo
perché è troppo impegnato per pensarci, né che tu debba fargli presente che
ti sta trascurando.»
«La vostra bottiglia.» Il cameriere appare dal nulla. La apre e versa il
vino a entrambi.
«Grazie», rispondo, poi riporto lo sguardo su Jameson.
Il cameriere ci lascia soli.
«Non voglio che tu sia meno importante della Miles Media, né di
qualsiasi altra cosa.»
«Ma…»
«Lasciami finire, per favore», mi chiede.
Mi appoggio allo schienale, irritata dal fatto che voglia parlare per
primo.
«Il punto è che, se starai con me, se diventerai mia moglie, è così che
andrà la tua vita.» Il groppo che ho in gola si fa più pesante. «Ti amo troppo
per farti vivere così, Em.»
Mi sta lasciando di nuovo. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Mi prende una mano da sopra il tavolo e se la porta alle labbra per
baciarla. «Non piangere. Detesto il pensiero che tu abbia pianto per colpa
mia.» Sbatto le palpebre per cercare di scacciare quelle stupide lacrime.
«Ho preso la decisione di proteggerti da quella vita. Di allontanarti. Perché
sapevo che, un giorno, avresti finito per essere infelice… e non posso
sopportarlo.»
«Non stava a te prendere quella decisione», bisbiglio con tono rabbioso.
Lui aggrotta la fronte. «Il mio compito è prendermi cura di te e
compiere le scelte difficili che non riesci a prendere tu stessa.»
«Jameson.» Lo guardo tra le lacrime.
«Ma è successo qualcosa mentre ero lontano da te.» Si china in avanti e
mi appoggia una mano sul viso. «Mi sono reso conto che neanche io volevo
vivere in quel modo.» Lo scruto dritto negli occhi. «Non posso vivere senza
di te, Em. Sono stato tanto miserabile da non riuscire a sopportarlo.» Si
china su di me e mi bacia con delicatezza, poi mi fissa, sfiorandomi il
labbro inferiore con il pollice. «Se non mi vuoi come sono adesso, mi
licenzierò subito dalla Miles Media e poi potremo trasferirci in mezzo al
nulla e, non lo so, vivere in una cazzo di tenda chissà dove.»
Faccio un sorrisetto. «Che idiota», mormoro.
Mi sorride, continuando a tenere il mio viso tra le mani.
«Ti amo così come sei. Non voglio che cambi niente.»
«Davvero?»
«Ma non…» Mi interrompo, cercando di esprimere quello che provo.
«Come posso dimenticare il modo in cui mi hai trattata?»
«Non lo so.»
«Non posso fingere che non sia mai successo, Jameson. Mi hai ferita
troppo in profondità.»
«Lo so, e non voglio che tu lo faccia», balbetta. «Ma non possiamo
solo…» scrolla le spalle, «iniziare a frequentarci da capo? Prenderla con
calma?» Lo fisso con aria confusa. «Lo so che ci vorrà del tempo per
tornare come prima, ma abbiamo il resto delle nostre vite. Questa volta
potremmo uscire insieme e imparare a conoscerci davvero.»
Mi appoggio all’indietro contro lo schienale, riflettendo sulla sua
proposta e bevendo un sorso del mio vino. «Lo sai, ho sempre sognato di
incontrare l’uomo dei miei sogni, di innamorarmi e di vivere un finale
smielato.»
Lui arriccia il naso. «Un finale smielato? Sembra noioso.»
Ridacchio, immaginando a cosa stia pensando. «No, intendo una
proposta.»
«Vuoi una proposta sdolcinata?» Si acciglia. «Non ne preferiresti una
semplicemente romantica?»
«In realtà no. Ma quello che voglio dire è che non mi aspettavo che le
cose andassero così.»
«Neanche io.» Prende una delle mie mani tra le sue. «Anzi, pensavo
proprio il contrario. Sono ufficialmente un idiota. Concedimi un’altra
occasione, Em. Non farò un casino, te lo prometto.» Lo fisso. «Io ti amo e
tu ami me.» Scrolla le spalle. «Possiamo superare questa situazione, e forse,
con il tempo, riuscirai a dimenticarti che sia mai avvenuta, per vivere per
sempre felice e contenta con un Kung Fu Panda amante degli spazi aperti e
della natura.» Mi sorride fiducioso.
«Sei un idiota, signor Miles.»
«Un idiota che è perdutamente innamorato di te.» Si sporge verso di me
per baciarmi ancora una volta con dolcezza, e io sento svanire le mie
resistenze. «Ti amo, cheesecake», mi sussurra.
«Non osare chiamarmi così.»
Ridacchia contro le mie labbra. «Esagerato?»
«Decisamente.»
Capitolo 26
Emily
Esco dal lavoro appena dopo l’una del pomeriggio, trovando ad aspettarmi
la limousine e Alan in piedi accanto all’auto. Lui mi rivolge un sorriso
caloroso e apre la portiera posteriore, invitandomi a entrare. Lo ricambio
mentre lo raggiungo. Non ho notizie di Jameson per tutta la giornata e non
ero sicura che Alan sarebbe venuto a prendermi.
«Salve.»
Lui mi rivolge un’espressione affettuosa. «Salve, Emily. È bello
rivederla.»
Salgo nel retro della limousine e vedo una singola rosa rossa ad
aspettarmi sui sedili.
Oh.
Sorrido e inspiro a fondo, un dolce profumo riempie lo spazio attorno a
me. L’auto si allontana dal marciapiede, e io mi rivedo mentalmente mentre
distruggo le rose gialle, solo un paio di notti prima.
Che pazza.
Speravo quasi di ritrovarmi Jameson seduto nell’auto ad aspettarmi.
Non sono neanche certa se adesso sia giusto che me ne vada. Non sarebbe
più importante risolvere la situazione con lui?
No. Avevi fatto questo programma prima che Jameson decidesse di
tornare nella tua vita… rispettalo.
Ma dovrei almeno chiamare per ringraziarlo. Compongo il suo numero.
«Pronto», mormora la sua voce sexy dall’altro capo della linea.
Quando sento quel suono, lo stomaco mi si stringe in una morsa.
«Ciao», sussurro.
«Sei con Alan?»
«Sì. Grazie per la rosa.»
«Quindi è meglio rossa?»
«Sembra di sì.» Sento le mie guance avvampare per l’imbarazzo.
«Appunto mentale: non comprare mai più niente di giallo.» Io
ridacchio, imbarazzata. «Passa un buon weekend», mi dice poi.
«Anche tu.»
«Non ti chiamerò in questi giorni.»
«Perché no?» gli domando.
«Le tue parole continuano a risuonarmi in testa.»
«Quali?»
«Mi hai detto di non farti pressioni.» Lo ascolto. «Quindi farò un passo
indietro.»
Mi sprofonda il cuore nel petto. «Ti stai arrendendo?»
«No. Proprio il contrario: sto facendo dei piani per il nostro futuro. Ma
capisco che ti serva del tempo. Non è una mossa furba spingerti a
perdonarmi prima che tu sia pronta a farlo davvero.»
Sorrido dolcemente, sentendo quelle parole, e la speranza mi sboccia di
nuovo dentro.
«Chiamami ogni volta che vorrai parlare con me», mi dice.
«Okay.»
«E può anche essere cinquanta volte al giorno. Aspetterò le tue
telefonate come un ragazzino innamorato.»
Continuo a sorridere, rimanendo in linea… Questo weekend vorrei
davvero vederlo.
No.
«Okay.»
«Ciao, Emily.»
«Ciao», sussurro.
Riattacco, poi annuso la rosa e sorrido in modo malinconico, mentre
New York sfreccia fuori dal mio finestrino. Mi sento sospesa in un limbo,
intrappolata tra due uomini. E di entrambi ho dei ricordi ben precisi: la
freddezza con cui mi ha respinta Jameson e l’amore con cui mi ha travolta
Jim. Ogni volta che mi ritrovo ad avvicinarmi a uno dei due, l’altro si mette
nel mezzo. Non sono sicura di come risolvere la situazione, ma devo
trovare un modo… il prima possibile.
Mezz’ora dopo, la limousine si ferma in aeroporto, e Alan apre lo
sportello per farmi scendere. Stringo forte la rosa, sapendo di non poterla
portare con me.
L’autista recupera la mia valigia dal bagagliaio. «Vuole che la porti per
lei?» mi chiede.
«No, grazie.» Abbasso gli occhi sul fiore. Mi sento stranamente legata a
esso e non riesco a sopportare il pensiero che muoia. «Riusciresti a metterla
nell’acqua per me, per favore?» gli domando.
Mi fa un sorriso pieno di calore. «Ma certo.» La prende. «La metterò in
un vaso nell’appartamento del signor Miles per lei.»
«Grazie.» Scrollo le spalle, sentendomi stupida all’improvviso.
«Arrivederci, Alan.»
«Ci vediamo domenica, quando la verremo a prendere.»
«Okay.» Con un debole cenno di saluto, mi dirigo verso il banco del
check-in, e sorprendentemente non trovo fila. «Salve. Ho una prenotazione
a nome Emily Foster.» Spingo la patente sul ripiano verso l’impiegata.
«Salve.» La donna scrive il mio nome nel suo computer. «Ah, sì,
signorina Foster. Vedo che si è fatta spostare in prima classe.»
Mi acciglio. «No, deve esserci un errore.»
Ricontrolla le informazioni. «Sì, i suoi due biglietti sono stati modificati
ieri notte.»
«Due biglietti?»
«Sì, ne è stato prenotato un altro, ed entrambi sono stati spostati in
prima classe.»
Jameson.
«Oh, capisco. Okay, grazie.» Prendo il mio biglietto e attraverso il
controllo di sicurezza per recarmi al bar. Ho quasi due ore prima che il mio
aereo parta.
«Cosa le servo?» mi chiede il barista mentre mi accomodo.
«Un Margarita, grazie.»
Scrivo a Jameson.
Io: Signor Miles, grazie per avermi spostata in prima classe. L’ho davvero
apprezzato. Dimmi, il secondo posto è per te o è per essere sicuro che non
mi sieda accanto a nessun altro?
J: Ma, se non stessi facendo il gioco duro e non mi fossi deciso a non
insistere, ti avrei portata dalla tua famiglia con il jet della compagnia e ti
avrei introdotta al vero Miles High Club. Non avresti camminato per una
settimana. Goditi la calma e il silenzio.
xoxoxo
J: Non ne hai idea. E niente Magic Mike. Guarda invece Vecchi Uomini
Brontoloni, così io ti sembrerò più affascinante.
xoxoxo
Fisso il soffitto buio, stesa sul mio letto. È mezzanotte. La mia vecchia
camera mi dà un conforto sorprendente, di cui non sapevo di avere bisogno.
È fantastico essere qui con la mia famiglia, ma New York mi sembra così
lontana…
Non ho chiamato Jameson come avevo detto che avrei fatto; in effetti,
non ho parlato con lui per tutta la sera.
Stare qui, insieme a delle persone che mi vogliono bene, mi ha fatto
capire quanto sono stata fragile. Ero completamente sola e affranta a New
York. Voglio dire, ho Molly e Aaron, certo, ma li conosco da appena tre
mesi. Non è come avere attorno la propria famiglia, disposta a starti accanto
nel bene e nel male.
Non so cosa succederà con Jameson, so solo che questa sera non volevo
parlare con lui. Perché?
Forse non mi libererò mai di questo dolore, magari mi ha inflitto un
danno irreversibile. Forse sono troppo per lui e per le sue cazzate… e non
dovrebbe esserci un forse in questa frase, perché so che è così.
Il telefono vibra sul comodino, e io mi acciglio vedendo la lettera J
illuminare lo schermo.
Espiro a fondo e rispondo: «Pronto».
«Ciao.» Fa una breve pausa. «Non dovevi chiamarmi questa sera?»
«Sono stata occupata.»
Silenzio lungo la linea. Alla fine parla: «Em».
«Sì.»
«Sei andata dai tuoi per allontanarti da me?»
Alzo gli occhi al cielo per la frustrazione. «No, Jameson», bisbiglio con
tono rabbioso. «Perché deve riguardare tutto quanto te? Ho organizzato
questo viaggio due settimane fa.»
«Okay. Ho solo chiesto. Gesù. Perché sei così arrabbiata?»
Sento le lacrime pungermi gli occhi. «Devi davvero chiedermelo?»
«Dimmi tu il perché.»
All’improvviso, un vulcano, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza,
esplode dentro di me. «Perché sono innamorata di uno stronzo egoista, non
so come smetterla e sto aspettando che succeda qualcos’altro e che tu te ne
vada via di nuovo», sbotto di colpo. Rimane in silenzio. «E il modo in cui
sei tornato indietro e pretendi il mio perdono mi fa incazzare.» Mi sta
ascoltando. «Potresti avere qualsiasi donna al mondo, sono tutte in fila per
te. Quindi perché mi stai facendo passare questo inferno? Non voglio più
soffrire, Jameson.»
«È questo che pensi? Che io voglia una donna qualsiasi?»
Le lacrime mi scivolano lungo il viso, e me le asciugo con rabbia. «Non
ho più idea di che cosa tu voglia.»
«Basta con queste stronzate, Emily», esplode lui. «Ascoltami, e stai
bene attenta. Io non voglio nessun’altra. Faccio sesso da quando ho diciotto
anni. Sono andato a letto con un mucchio di donne… e intendo davvero
tante. Tu sei l’unica con cui abbia mai sentito questo legame. L’unica donna
che abbia mai amato così. Quindi non osare gettarmi in faccia queste idiozie
sul volere qualcun altro. Ti ho mai dato ragione per dubitare di me?»
«La tua massaggiatrice», dico con tono secco.
«È stato prima che ti incontrassi, cazzo», ringhia lui. Riesco a sentire
l’ira nella sua voce. «Se non mi vuoi, allora va bene, ti lascerò in pace. Ma
non tenermi in sospeso a cercare disperatamente di far funzionare le cose,
se sai già che non hai intenzione di tornare con me.» Contorco il viso in una
smorfia mentre piango. «Solo tu puoi decidere se lo vuoi, Emily. Il perdono
è una scelta.» Rimango in silenzio. «Vuoi allontanarti per sempre da me o
vuoi provare a far funzionare la nostra relazione?»
Non gli rispondo.
«Beh?» insiste lui.
«Lo sai che voglio provarci», bisbiglio.
«Allora smettila di pensare alle cose negative e pensa a ciò che c’è di
buono tra di noi.»
«Non posso.»
«Perché no?»
«Perché tu mi spaventi.»
Jameson ammutolisce. «Hai paura di me?»
«Sì.» Annuisco tra le lacrime.
«Piccola», mormora, la sua voce si riempie di compassione. «Non devi.
Ti prego, non avere mai paura di me. Io ti amo.»
«Ci sto provando», singhiozzo. «Ma non posso farci niente.»
Rimaniamo entrambi senza parlare per un po’, persi nei nostri pensieri.
«Voglio che tu ti prenda questo weekend per pensare a noi. L’altra sera
dicevo sul serio: se non vuoi vivere a New York, possiamo andarcene in
qualsiasi posto desideri. Mi dimetterò immediatamente dalla mia
posizione.»
«Jameson», sospiro. «Perché faresti una cosa del genere?»
«Perché voglio che tu sappia che ora sei la mia priorità. Tutte queste
stronzate, i miei soldi, il mio appartamento, il mio lavoro, New York, non
significano un cazzo se sono infelice, Emily. E, credimi, sono davvero
infelice senza di te. Se vuoi vivere in una tenda nel bel mezzo del nulla,
allora possiamo farlo.»
Vengo colpita da un’immagine di Jameson in una tenda, mangiato vivo
ogni giorno dalle zanzare. «Che idiota.» Sorrido. «Non voglio vivere in una
tenda. Adoro New York. Adoro che tu gestisca la Miles Media. Non
cambierei niente di te. Perché pensi che lo voglia?»
«Perché so che è difficile accettarmi. Una volta mi hai detto che amare
significa essere coraggiosi. E io ho bisogno che tu sia coraggiosa, Emily, e
che superi tutto questo. Ti prego, pensaci. Torna a New York e a me al cento
per cento, così potremo iniziare una nuova vita insieme. Tenermi a distanza
non è il modo giusto per affrontare la situazione. Non riusciremo a
risolverla se non siamo insieme.»
«Lo so», sussurro.
«Penserai a cosa vuoi davvero?»
Ancora una volta, non gli rispondo.
«Ti prego, Em.»
«Sì, okay. Lo farò. Te lo prometto.» Per un momento, il silenzio aleggia
tra di noi, e io sento il bisogno di cambiare argomento. «Che cosa farai
domani?» gli chiedo.
«Vado a fare compere.»
«Compere? Tu? Che cosa devi comprare?»
«Beh, dove si comprano le tende con dentro il bagno?»
Sorrido. «Nel bel mezzo del nulla.»
Lui ridacchia, ed è un suono bellissimo, che mi smuove qualcosa
dentro. È passato molto tempo da quando l’ho sentito ridere.
«Em… non ho intenzione di chiamarti più fino a quando non ti verrò a
prendere in aeroporto domenica sera. Voglio che rifletti davvero sul tuo
futuro e su chi vuoi che ci sia con te. O torni da me a braccia aperte, e ci
impegniamo con tutti noi stessi, o mi lasci definitivamente.» Mi sprofonda
il cuore nel petto. «Deve essere così. Se non posso avere tutto di te,
preferisco non averti per niente.»
Lo ascolto e la mia mente va in sovraccarico… mi sta dando un
ultimatum.
Tutto o niente.
Sinceramente, non so se posso dargli il mio tutto. Non credo che il mio
tutto esista più.
«Ci vediamo lì, allora?» mi chiede speranzoso.
«Okay.»
«Ti amo.» Chiude la telefonata.
Mi giro nell’oscurità e faccio un profondo sospiro. Che cosa voglio per
il mio futuro? Voglio lasciare Jameson? O voglio dargli tutta me stessa?
Quantomeno ciò che resta del mio cuore, che è stato ridotto in mille pezzi.
Non ne ho davvero idea.
Capitolo 27
Jameson
Emily
Entro nella sala d’attesa con il resto della folla. Il mio volo è appena
atterrato, e il cuore mi batte all’impazzata nel petto. Questo weekend ho
scavato fino in fondo alla mia anima alla ricerca di risposte. Per cercare di
capire cosa fare della mia vita e con chi farlo.
Una cosa è chiara. L’unico dettaglio di cui sono certa… è di chi sono
innamorata. Non posso negarlo.
Jameson Miles è inciso nel mio cuore, e, per quanto io sia terrorizzata
all’idea che mi ferisca di nuovo, continuo a pensare alle sue parole: “Amare
significa essere coraggiosi”.
Manderò giù il mio orgoglio e sarò coraggiosa. Mi lascerò andare…
sperando con tutto il cuore che sia la cosa giusta, perché non potrei farlo di
nuovo.
Jameson appare nel mio campo visivo e, non appena incrocia il mio
sguardo, mi sorride. Sono colta dall’eccitazione e, dopo aver fatto un balzo
in avanti, inizio a correre per gettarmi tra le sue braccia spalancate. Ci
stringiamo a vicenda in un abbraccio a dir poco stritolante. Non parliamo,
non ci baciamo, ci limitiamo a rimanere l’una tra le braccia dell’altro. Ci
aggrappiamo disperatamente alla speranza di riuscire a superare tutto
questo.
Per un po’, le mie incertezze e le mie paure vengono spazzate via.
«Mi sei mancata», mi sussurra tra i capelli.
«Anche tu.»
Si china su di me e la sua bocca cattura la mia mentre ci dimentichiamo
persino di chi siamo. La sua lingua mi accarezza lentamente tra le labbra
socchiuse. Jameson mi prende il viso tra le mani ed entrambi ci perdiamo
nel momento. Il suo bacio è dolce e, cosa più importante, familiare.
Con lui mi sento come a casa.
Un’ora più tardi, entriamo nel mio appartamento mano nella mano.
Quasi non abbiamo parlato lungo la strada di casa. Sono stata seduta sul
suo grembo, al sicuro tra le sue forti braccia, e mi sono goduta la sua
vicinanza. Jameson mi ha sfiorato una tempia con le labbra, stringendomi
forte, come se fosse incredulo che mi trovassi lì con lui.
Mi era mancata quell’intimità. La nostra intimità.
Non si tratta più nemmeno di sesso, ormai. Voglio dire, all’inizio lo era.
Ma il mio cuore ha eclissato qualsiasi bisogno fisico del mio corpo… e so
che per lui è lo stesso.
Mi fa voltare verso di sé e mi guarda negli occhi. «Em…» Si
interrompe, come per cercare di trovare le parole giuste nella sua mente. «Ti
giuro, da questo momento in avanti… tu sarai il mio tutto. La nostra nuova
vita insieme inizia ora.»
Gli sorrido e i miei occhi si riempiono ancora di lacrime. «Ti amo.»
«Anche io ti amo.» Ci baciamo e, invece della tenerezza che abbiamo
condiviso nell’ultima ora, veniamo colti da una nuova disperazione.
All’improvviso lo desidero… desidero tutto di lui. «Portami a letto.»
Mi solleva tra le braccia e mi porta in camera come una sposa, per poi
rimettermi a terra di fronte a sé. Abbassa le labbra sul mio collo, e io sorrido
verso il soffitto, sentendo la pelle d’oca lungo tutto il corpo. Mi mordicchia
con una passione che ricordo molto bene.
Oh, quanto mi è mancato…
Gli sollevo la maglia sopra la testa e la getto di lato, e lui fa lo stesso
con la mia. Diventiamo animali, strappandoci di dosso i vestiti con una foga
che conosciamo bene. Ora non resta niente tra di noi. Solo pelle… e amore.
Le sue labbra catturano le mie mentre mi spinge sul letto, poi si spostano
sul mio collo e iniziano a scendere. Io mi stringo a lui.
«No, ti voglio quassù con me.»
Ci fissiamo a vicenda, in una specie di esperienza ultraterrena. Questa
volta è speciale. Vorrei poter fissare nel tempo questo momento.
«Ora, Jim», sussurro. «Ora ho bisogno di te.»
Chiude gli occhi in un’espressione di puro piacere, stendendosi sopra di
me. Le nostre labbra sono incollate le une alle altre, mentre le mie gambe
sono aperte, pronte ad accogliere il suo grosso corpo che si preme contro il
mio, alla ricerca dell’orgasmo. Con una profonda spinta ben mirata scivola
dentro di me, ed entrambi gemiamo per l’estasi.
«Cazzo, Em», bisbiglia contro il mio collo.
Mi stringo a lui, cavalcando l’onda di piacere. «Lo so, piccolo, lo so.»
Jay indietreggia, spingendosi di nuovo dentro di me, e io inarco i fianchi
per andargli incontro. Il desiderio di qualcosa in più ci travolge, mentre io
inizio a inarcarmi sotto di lui.
«Scopami», lo supplico. «Dio, dammi tutto di te.»
Si tira fuori e poi affonda in me, lasciandomi senza fiato. Si appoggia le
mie gambe sulle spalle e, guardandomi con gli occhi annebbiati dal
desiderio, mentre io lotto per tenerlo dentro di me, inizia a montarmi. Spinte
intense e possessive. Il letto inizia a sbattere contro il muro e io non posso
fare altro che ammirare questo perfetto esemplare di uomo in tutta la sua
gloria.
Jameson Miles è l’essere più sexy ed eccitante che abbia mai
conosciuto.
Tutto in lui grida “scopami”.
Guardarlo in preda alla passione, mentre cerca di mantenere il controllo,
è la fantasia definitiva di ogni donna, è come una bomba sessuale a
orologeria pronta a esplodere. Il sudore gli imperla la pelle, i suoi capelli
scuri gli ricadono sulla fronte e il suo respiro inizia a farsi tremante, nel
tentativo di trattenere l’orgasmo.
Le sue spinte diventano violente come colpi di pistone, e il fuoco della
passione mi travolge, spingendomi nell’abisso. Grido, fatta a brandelli da
un orgasmo potente, poi mi contraggo con forza attorno a lui.
«Cazzo, cazzo, cazzo», geme, affondando ripetutamente dentro di me. Il
rumore del letto che colpisce il muro riecheggia nell’appartamento.
Getta la testa all’indietro, si spinge fino in fondo e geme ad alta voce,
venendo con violenza nel mio corpo. Poi ci baciamo, e tutto il mondo
ritorna bello, ritrasformandosi nel luogo che mi era mancato così tanto.
L’emozione tra di noi è così intensa da farmi venire le lacrime agli occhi.
«Bentornata a casa, coniglietta», bisbiglia contro le mie labbra.
«Bentornata.»
Un mese dopo
Emily
Oggi, Hayden Morris e Lara Aspin sono stati dichiarati colpevoli per
l’accusa di appropriazione indebita di sette milioni di dollari di proprietà
della Miles Media.
In quella che è stata descritta come una moderna storia alla Bonnie e
Clyde, i due, fidanzati da cinque anni, hanno compiuto la frode in un
periodo di tre anni. Il crimine sarebbe potuto passare inosservato, e sono
stati scoperti solo quando Morris è stato licenziato dalla Miles Media.
Spinti dal desiderio di vendetta, hanno scioccamente deciso di
incastrare Jameson Miles per il crimine. La cosa gli si è ritorta contro in
maniera spettacolare, e tale decisione ha segnato il loro destino. La coppia
sconterà una pena di dieci anni in diverse prigioni dello stato.
Jameson Miles è stato completamente scagionato. La Miles Media
tocca oggi un nuovo picco nel mercato azionario, mai raggiunto dopo
l’aprile del 2018.
Faccio un ampio sorriso. Sembra che sia successo talmente tanto tempo
fa… una vita intera fa, se devo essere sincera.
Grazie al cielo è finita.
Abbiamo un matrimonio da pianificare. Jameson mi ha dato tre mesi di
tempo. Ci sono così tante cose da fare e decisioni da prendere… Dove ci
sposeremo? Non ne ho idea. Jameson mi ha detto che sta a me scegliere un
posto, perché, finché ci sono io, a lui non importa dove lo terremo.
Aspetto sul marciapiede del garage sotterraneo. È venerdì pomeriggio.
«Che cosa ha detto che stava facendo?» chiedo perplessa ad Alan.
«Credo che ne sarà piacevolmente sorpresa», mi sorride lui.
Aggrotto la fronte, considerando le varie possibilità. È tutta la settimana
che Jameson si comporta in modo strano. Fa telefonate di nascosto e ha
l’aria di essere molto soddisfatto di sé. Magari ha prenotato in segreto la
location per il matrimonio?
Lo spero proprio… mi sarebbe di aiuto.
Sento lo stridio tipico di una frizione, alzo lo sguardo e sbatto le
palpebre un paio di volte, incredula. Bessie avanza a balzelli davanti a noi,
con Jameson al volante. Alan scoppia a ridere.
Rimango a bocca aperta per la sorpresa. «Ma che accidenti…»
Si ferma accanto a me, e io apro la portiera.
«Vai da qualche parte?» Sorride, strizzandomi un occhio con aria sexy.
Rispondo con una risata fragorosa. «Che cosa stai facendo?»
«Ti porto via per qualche giorno.»
«Davvero?»
«Le tue cose sono già nel bagagliaio.»
«E andiamo via con Bessie?» farfuglio io.
«Sì, con Baracca. L’ho presa in prestito da Viagra Mike. Ma, devo
dirtelo, ti ho ordinato una nuova Range Rover. Questa auto è
insopportabile.»
«Che snob.» Ridacchio, poi mi giro e abbraccio Alan per la felicità.
Lui ride. «Passi un bel weekend, signorina Foster», mi augura,
aiutandomi a salire in auto. Mi allungo per afferrare Jameson e baciarlo
dritto in faccia. Adoro che abbia preso in prestito Bessie per me.
Lui suona il clacson. «Ciao, Alan», grida, in un saluto esagerato.
Rido di nuovo per quel comportamento, così inusuale per lui. «Ciao,
Alan!»
Usciamo dal parcheggio, e lui mi prende una mano per baciarne il
dorso. «Dove vuoi andare, mia piccola coniglietta?»
Sorrido al mio splendido uomo. «Nel bel mezzo del nulla.»
Jameson entra nel vialetto di ingresso della tenuta Arndell, e io saltello sul
sedile, preda dell’eccitazione. «Andiamo alla nostra casa?» strillo, felice
come non mai.
«Sì, l’ho prenotata per tutto il weekend.»
Sgancio la cintura di sicurezza, scivolo accanto a lui e inizio a coprirgli
il viso di baci, mentre Jameson ridacchia per il mio comportamento
infantile. Arriviamo alla vecchia tenuta, e io balzo fuori dall’auto prima
ancora che si fermi, per correre fino alla porta principale. Mi giro e ammiro
la vista dello splendido terreno che avvolge la casa.
«Oh, Jameson, adoro questo posto.» Sorrido con aria sognante, mentre
lui mi raggiunge.
«Lo so.» Mi consegna un portachiavi a cui è legato un fiocco rosso. Mi
acciglio, fissando l’oggetto che ho in mano. «È per questo che te l’ho
comprato.»
Incontro il suo sguardo. «Cosa?»
«Hai sentito bene. Ho pensato che potremmo stare qui nei weekend e
durante le vacanze.»
«Vuoi diventare un uomo delle paludi insieme a me?» bisbiglio,
sorpresa.
Lui si raddrizza e mi prende tra le braccia. «Posso essere tutto, Emily
Foster… finché sono con te.»
Ringraziamenti