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“Sesso, droga, rock & roll” (1990)

Eric Bogosian (1953)

Paragonato a Bob Dylan e Woody Allen, Bogosian è un fervido rappresentante del teatro
newyorkese d'assalto, che sfrutta le potenzialità del one man show per guardare con la lente
d'ingrandimento la realtà umana che lo circonda, ironizzandovi e facendo emergere le
contraddizioni e le ossessioni della società americana contemporanea.
Attraverso i dodici monologhi che compongono questo testo sfidante i virtuosi dell'istrionismo più
camaleontico, Bogosian crea una galleria di ritratti da interpretare uno di seguito all'altro in un
continuum senza tempi morti, sottolineando i momenti di passaggio con dei semplici spostamenti
del centro dell'azione su diversi punti del palco. Sono monologhi-dialogo con il pubblico, a cui
l'attore si rivolge direttamente, con la pretesa di ricevere l'attenzione partecipante degli oratori di
professione.
L'ultimo della serie (la cui parte finale è riportata di seguito) è intitolato Artista, e traccia il profilo
di un artista che filosogeggia sulla sua vocazione e sul marciume della società mentre si fuma uno
spinello. Bersagli della sua arringa sono i prodotti tecnologici invasivi della vita moderna: forno a
microonde, televisore e computer, citati in un crescendo paranoico come responsabili di una
imminente supermanipolazione dell'uomo che, attraverso il dominio della "macchina", riporterà
tutto ai soli criteri dell'efficenza produttiva nell'ottica di un "sistema" forgiato su se stesso.
La libertà è il disvalore che il sistema insegna a rifiutare, e l'arte perde senso nella massificazione e
nella serializzazione come prodotto che dura lo spazio strettamente necessario, prima di essere
soppiantato dal successivo. Ed è con toni polemici e sfrontati che l'attore, seduto per terra a gambe
incrociate, interpreta questo personaggio testardo e risoluto a sfidare la società sfuggendo al
sistema con la sua totale inazione: l'unico modo per non essere derubati della propria mente è
quello di tenersi tutto in testa, perché se sapessero quello che penso, amici... sarei già morto».

Artista: sui 30 anni, newyorkese.


Ambientazione: palcoscenico vuoto, New York, anni '90.

Mai parlato con uno di questi barboni? Tutti dicono che sono
pazzi. Ma provate a vivere in strada per un po', e vedete che idee vi vengono.
Non diventate pazzi, vi dico, incominciate a vedere la verità.
E cominciate anche a dirla in giro, a dire come stanno le cose: Ecco perché tengono questa gente in
strada.
Il sistema ha paura di loro. Paura della loro libertà. La libertà è l'opposto della responsabilità.
La libertà è una minaccia al sistema.
Ecco perché non c'è più nessuno che si fa le canne, la libertà fa paura a tutti.
Hanno paura che se la gente si fuma una canna e diventa un po' allegra, capisce che merda di vita
fa... e manda tutto per aria.
È per questo che ho smesso di fare arte, capito? Non c'è più speranza.
Che cosa si può fare in una situazione del genere?
Mettiamo anche che scriviate un libro, il migliore che sia mai stato scritto, che vada in classifica e lo
leggano tutti. Due mesi dopo è dimenticato, e c'è qualche altro capolavoro che tutti devono
leggere.
O che scriviate una canzone, bellissima, e finiate in superclassifica. Che cosa pensate che vi aspetti,
dopo?
Al massimo il jingle per lo spot di qualche birra.
O che dipingiate un quadro: lo compra un milionario e se lo appende negli uffici della sua
compagnia.
In passato, i ricchi appendevano alle pareti teste di leoni, teste di tigri.
Li facevano sentire potenti, sicuri.
Oggi il sistema colleziona le menti degli artisti, capite?
La notte dorme meglio sapendo che i migliori, i più svegli sono morti dal collo in su.
Ecco perché non gli do nessuna soddisfazione.
La mia mente me la tengo dentro la testa, dove non possono venire a prendermela.
Tutto diventa parte del sistema, capite? E l'unico modo per sfuggire al sistema è non fare nulla.
Come faccio io. Voglio dipingere un quadro? Voglio scrivere qualcosa? Lo faccio nella mia testa,
dove non possono vedere.
Se sapessero quello che penso, amici... sarei già morto.

(Traduzione di Alberto Pezzotta)

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