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Centro Studi Multimedia

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Foto di copertina: immagini dai film di Spielberg, Cavani, Pasolini,


Comencini, Rossellini e Benigni

2
Massimo Puliani

Eroi e Bastardi
senza Gloria
La visione della guerra al Nazi-Fascismo nel cinema e nel
documentario (da Rossellini a Tarantino da Spielberg a Lanzmann)
Introduzione

15 Dalla città aperta al cinema al campo di prigionia


di Fossoli (Rossellini)
28 Le contraddizioni nei campi di concentramento
(Pontecorvo, Rosi)
35 La grande fuga. Il mito della moto (Sturges e McQuenn)
40 Le stragi fra poesia e memoria (Taviani, Diritti,
Spike Lee)
46 La commedia amara (Comencini, Mihaileanu,
Ruzowitzky, Wertmüller, Vilsmaier, Salvatores)
60 Il destino crudele dei bambini nella guerra (Benigni,
Malle, Faenza, Herman, Risi)
69
Gatlif e il documentario di Nina Gladitz su Leni
Riefenstahl)
78 La perversione del male (Pasolini, Visconti, Cavani)
88
del 1977 a Poltergeist del 1982) o nei confronti di alcuni eventi
storici raccontati nei film 1941 del ‘79 e Salvate il soldato Ryan
del 1998. Ma qui vorremmo per pertinenza tematica soffermarci
su L impero del sole (1987), tratto dal romanzo di James G.
Ballard e adattato da Tom Stoppard, parabola di un ricco
ragazzino inglese, nato in Cina, che quando i giapponesi
occupano Shangai, viene separato dalla famiglia e finisce in un
campo di internamento che diventa scuola di vita. «È un
megafilm da 35 milioni di dollari – annota Morando Morandini5
– che, nonostante la bellezza di alcune sequenze (ottimi i primi
40 minuti), non riesce a diventare, come vorrebbe, una saga
sull’innocenza perduta. Quella del bambino e quella del mondo,
dopo l’atomica di Hiroshima. Nel bene e nel male, comunque,
un film spielberghiano al 100%».
Anche questo film ribadisce la tesi che le prime vittime delle
guerre sono i bambini, costretti a crescere nelle miserie e negli
orrori.
Ecco la trama raccontata da Giovanni Grazzini6:

Jim Graham, 11 anni nel 1941 è figlio di ricchi inglesi residenti


a Shanghai: canta nel coro della chiesa, colleziona modellini di
aerei, sogna di fare il pilota, partecipa a feste mascherate. Ma la
guerra è alle porte, i giapponesi occupano la città, cominciano i
bombardamenti, il panico trionfa. Separato dai genitori, con la
sua casa requisita e saccheggiata, Jim deve arrangiarsi: istruito
da due ribaldi americani impara a sopravvivere nella città preda
del caos e nel campo di concentramento in cui assiste a
penosissime scene. Si ciba di vermi per vincere la fame e si
salva a stento dalle rappresaglie nipponiche, ma non cessa
dall’entusiasmarsi per le imprese aviatorie.
Addirittura in visibilio lo mandano i cerimoniali recitati dai
kamikaze prima di partire per le loro azioni suicide. Si arriva
così al 1945, quando Jim, un giorno d’agosto, vede un lampo di

5
Morando Morandini, op.cit.
6
Il Messaggero, 24 febbraio 1988.

16
luce bianca (è l’atomica su Nagasaki), poi perde un coetaneo
con cui ha fraternizzato, ed esulta per l’arrivo dei parà
americani. Fuori di senno per quanto ha visto e patito, il ragazzo
finisce col ritrovare i genitori, ma il suo abbraccio alla mamma
è senza sorrisi benché la città sia in festa per la liberazione.
Chissà da quante cicatrici è rimasto segnato […]
Il largo consenso ottenuto dall’Impero del Sole negli Stati Uniti
è comprensibile, data la prestanza spettacolare del film e la
soddisfazione di un certo pubblico nel vedere che Spielberg,
raggiunti i quarant’anni, vuole consolidare la propria immagine
di autore impegnato in temi severi: nel caso quella che chiama
la morte dell’innocenza, colta nel traumatico passaggio di Jim
all’età adulta. Meno giustificato ci sembra il cadere in estasi per
le qualità drammaturgiche del film. Il quale è per tanti versi
partecipe del genere “avventura”, zeppo di peripezie, ma spesso
noiosetto nonostante l’eccezionalità degli eventi,
paradossalmente convenzionale in vari luoghi, più lento e lungo
del giusto (oltre due ore e mezzo). Le grandi masse a cui fa
ricorso, la musica di John Williams, l’encomiabile sforzo
produttivo compiuto per ricostruire la vecchia Shanghai o i
superbombardieri d’epoca sono insomma ancora una volta le
funi portanti d’un cinema di largo consumo il quale inventa
ormai poco o niente, nonostante che la sceneggiatura di Tom
Stoppard conferisca al personaggio di Jim e a quelli di Basie e
Frank (i due americani) buon numero di sfaccettature, e
certamente non manchino le conferme della bravura tecnica con
cui Spielberg rappresenta momenti epici di suggestiva
visionarietà e affolla di colori il suo colosso.
Per la parte di Jim il regista (anche coproduttore) ha avuta la
mano felice rivolgendosi al ragazzo Christian Bale, proveniente
dalla Tv inglese, né Spielberg ha compiuto errori nell’affidare a
John Malkovich e Joe Pantoliano i ruoli di Basie e Frank, e a
Miranda Richardson quello della signora Victor, l’amica di
famiglia che protegge e turba il nostro piccolo eroe. Cos’è
allora che, tutto sommato, rincresce?
Forse il modo con cui il maestro di Cincinnati celebra quella
riconsacrazione del racconto scritto al quale proclamò di voler
tornare per riscoprire il valore della parola. Quel velo di

17
polvere, quell’ombra di neoclassicismo [...]

Roberto Escobar7 nella sua analisi sul film aggiunge una


ulteriore considerazione sulla narratività cinematografica di
Spielberg:

Riuscire di nuovo a raccontare storie: ecco a cosa mira il


cinema di Steven Spielberg. Il colore viola (1986) è stato il suo
primo tentativo di ricostruire l’impero del cinema classico –
cioè “ingenuamente” narrativo – sulle rovine del nostro
immaginario, crollato o perché ipercritico o perché imbarbarito
dalla serialità televisiva, o forse per entrambi i motivi insieme.
Ora, con L impero del sole, il tentativo è più deciso, i canoni del
cinema (neo)classico sembrano più (ri)consolidati. Tuttavia,
L impero del sole convince un po’ meno del film precedente. In
quello erano più scoperti la decisione e il consapevole coraggio
di tornare a frequentare luoghi cinematografici abbandonati, in
rovina. Insomma, Il colore viola era meno equilibrato, meno
compiuto: aveva il fascino dell’opera che lascia intravvedere la
ricerca, il “lavoro” del suo autore. Là, Spielberg era in cammino
verso l’antica città del cinema, verso la capitale
dell’immaginario ridotta in macerie. Avvicinandosi, annunciava
l’intenzione di riedificarla, di farla tornare allo splendore
narrativo. Qua, è ormai dentro le sue mura, e dunque è di fronte
alle difficoltà di ogni conquistatore vittorioso: il lavoro di
ricostruzione e rifondazione è più complesso della travolgente
cavalcata dei tempi eroici. Nel 1973 la cavalcata era cominciata
con la fine dichiarata della narratività In Duel, infatti, nulla
veniva raccontato. Inseguito e inseguitore – automobilista e
camionista – non erano due diversi personaggi, erano lo stesso
personaggio in conflitto interno. Sulla strada, luogo classico
della “storia” nel cinema americano, nessun vero viaggio si
compiva. Il protagonista era bloccato, svuotato da un mostro
che gli nasceva dentro. E immobile restava alla fine del film,
sull’orlo del baratro che aveva ingoiato la sua angoscia. Poi,

7
Il Sole 24 Ore, 3 aprile 1988.

18
film dopo film, Spielberg ha fatto i conti con quella immobilità,
sperimentando fino in fondo l’eccesso narrativo.
Con la poetica degli effetti speciali ha cercato di reinventare la
narratività: il cinema non conosceva più favole ingenue, e
dunque lui ha esplorato la suggestione propria della finzione, la
magia astratta delle immagini che esplodono in parossistici
ritmi di montaggio. La velocità è stata il senso nuovo e
artificiale di un tempo (narrativo) senza più senso naturale. Nel
cinema “dal vero” ha portato così alcune caratteristiche di
quello “di animazione”. Provate a ripensare alla fuga attraverso
il bosco della Biancaneve di Disney: la troverete decisamente
spielberghiana. Del resto, il suo cinema ha privilegiato spesso il
pubblico di bambini e adolescenti, o di adulti che – come lo
stesso Spielberg – non sanno rinunciare ai privilegi di
un’adolescenza che non vuol finire.

Il merito di Spielberg nel film L impero del sole è che non


disegna l’apologia delle virtù guerresche e che non cede ad
alcun mito militaristico. Il sogno della purezza eroica del
piccolo protagonista ha l’ingenua e astratta generosità
dell’adolescenza dove sogno e purezza vanno in frantumi di
fronte alla realtà, uccisi dalla necessità di contendersi qualche
patata e qualche verme. Favola e storia si intrecciano. Nel finale
le metafore si gonfiano di significati.
Osserva Escobar:

Sul cadavere di un giovane giapponese – che aveva sognato di


morire da kamikaze, e viene ucciso da un ladro – Jim disperato
tenta di resuscitare in sé l’adolescente. Non gli resterà invece
che appoggiare la testa sulla spalla della madre e chiudere gli
occhi di fronte all’orrore di una storia irraccontabile.
Eppure a Shangai, giocando con un piccolo aereo e una
lampada, aveva proiettato un’ombra sul muro. Molte cose è
riuscito a fare con quell’ombra Jim-Steven: ridar spazio
all’ingenuità e all’adolescenza dell’anima, reinventare favole e

19
Tom Lantos (sopravvissuto all’Olocausto), Katsugo Miho
(esercito americano a Dachau), Hans Münch (medico nazista ad
Auschwitz), Paul Parks (esercito americano a Dachau), Irene
Zisblatt (sopravvissuta all’Olocausto), Robin Zisblatt (sua
figlia). Scrive Jonny Costantino su questo documentario:11

22
Tom Lantos (sopravvissuto all’Olocausto), Katsugo Miho
(esercito americano a Dachau), Hans Münch (medico nazista ad
Auschwitz), Paul Parks (esercito americano a Dachau), Irene
Zisblatt (sopravvissuta all’Olocausto), Robin Zisblatt (sua
figlia). Scrive Jonny Costantino su questo documentario:11

22
III. LA FICTION TV

TAGLIATA
IV. IL DOCUMENTARIO

133
133
Il genere
La suddivisione del genere tra documentario e fiction non pone
problemi interpretativi se è palese l’uso dei materiali video
utilizzati. Ma non sempre si ha una demarcazione netta quando
ci troviamo di fronte ad un’opera d’autore che riutilizza sì
materiali storici, documentazioni e riprese reali, ma con un suo
punto di vista narrativo.
Secondo la definizione ricavata dall’Enciclopedia Treccani il
documentario è un film su avvenimenti, luoghi, attività, senza
aggiunta di elementi inventivi o fantas

133
filmati (d’archivio o originali), una ricostruzione con
commento, il documentario s’apparenta con il film: nasce così
il docu-film. Facciamo alcuni esempi: La Rabbia (1963) di
Pasolini, Chung Kuo, Cina (1972) di Antonioni (e Barbato),
Buena Vista Social Club di Wenders (1999),
profondo (2005) di Herzog120, Fahrenheit 9/11 (2004) di Moore
o La Paura (2009) di Pippo Delbono ecc.
La tipologia (o categoria) invece più riconoscibile che possiamo
denominare come “documentario” tout court riguarda le
produzioni video o filmiche di carattere scientifico, didattico,
storico, sociologico oppure quelle sulla natura o sugli animali o
quelle turistico-culturali ecc. Questi documentari sono trattati
con diverse modalità o format, e la loro funzione principale
nella televisione generalista (oggi sempre più inseriti in un
canale satellitare o digitale tematico) è quella d’intrattenimento
seppur con finalità informative e istruttive. Questi prodotti
rappresentano l’aspetto più diffuso dell’idea che ha la gente del
documentario.
Registriamo anche varie forme di documentario-intervista. Così
come diverse sono le modalità di produzione dei documentari
giornalistici.
In questo capitolo concentreremo la nostra attenzione sul
documentario d’autore

Se per il capitolo sui film siamo partiti da Rossellini e il


Neorealismo, per la parte documentaristica partiamo da
Luchino Visconti con Giorni di gloria (1945, 70')121 scritto e
diretto con Marcello Pagliero (per le riprese sulle Fosse

120
Ma come non citare gli altri di Wenders e di Herzog, fra cui
Bokassa Echi da un regno oscuro (1990) che narra le efferatezze
del dittatore e di chi è stato imprigionato per le sue idee avverse.
121
Nella foto a pagina precedente la fucilazione di Pietro Caruso.

134
Ardeatine), con il coordinamento di Giuseppe De Santis e
Mario Serandrei. “Questo documentario inaugura il quadro
culturale del rinascente cinema italiano, esprimendo una ferma
adesione al pensiero progressista”.122 Giorni di gloria rievoca il
massacro delle Fosse Ardeatine, riprodotto nella sua cruda
atrocità, il processo contro l’ex questore di Roma Pietro Caruso
e la sua fucilazione avvenuta il 21 settembre ‘44, il linciaggio di
Donato Carretta, direttore delle carceri di Regina Coeli, del
delegato Scarpato e di Pietro Koch, responsabile della Pensione
Jaccarino, famigerata prigione fascista dedita a torture e sevizie,
dove lo stesso Visconti era stato imprigionato.
Di seguito riportiamo alcuni titoli di una produzione
documentaristica molto ampia, difficile da reperire e da
catalogare.
La nostra guerra di Alberto Lattuada (1945, 15') con il
commento di Antonio Pietrangeli, documenta l’8 settembre
1943 e le azioni del Corpo di Liberazione Nazionale.
Molti i documentari realizzati sui massacri nazifascisti in Italia.
(1954) è la matrice realizzata dai fratelli
Paolo e Vittorio Taviani (qui insieme a Valentino Orsini e a
Zavattini) che verrà poi ripresa ne La notte di San Lorenzo
(1982). I sette contadini (1958) di Elio Petri è incentrato sulla
vicenda dei sette fratelli Cervi, fucilati dai tedeschi il 28
dicembre ‘43 nel poligono del tiro a segno di Reggio Emilia. La
, di Carlo Di Carlo (1961, 20')
possiamo considerarlo come la matrice del film di Giorgio
Diritti, mo che verrà (2010). La linea seguita dal
documentario è quella di analizzare l’azione del maggiore
Walter Reder, responsabile del massacro di 1830 civili
sull’Appennino emiliano. Questo tema ha trovato posto nel
Cinegiornale della pace (1963, 67') realizzato da Zavattini,
Luigi Di Gianni, Giuseppe Ferrara, Ansano Giannarelli.

122
Mario Serandrei, Giorni di gloria. Gli scritti. Un film, Il Castoro,
1999.

135
16 ottobre 1943 di Ansano Giannarellli (1960, 13') e Via Tasso
di Luigi Di Gianni (1960, 15'), trattano i fatti che hanno
drammaticamente coinvolto la comunità israelita di Roma e il
palazzone di Via Tasso, sede nazista dell’SS Kommandantur,
da dove Kappler coordinava tutte le azioni contro i partigiani
nonché sede di strazianti torture. Liliana Cavani realizza nel
1965 una serie di interviste ne La donna nella Resistenza,
portando l’attenzione sul ruolo che hanno avuto appunto le
donne. Il documentario rivela che la liberazione di Pertini da
Regina Coeli venne organizzata da Marcella Monaco, moglie
del medico del carcere.
Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana di
Fausto Fornari (1953, 12'), tratto dall’omonimo libro pubblicato
nel 1952 da Einaudi, ripercorre le strade che i condannati
attraversavano sul camion che li conduceva alla fucilazione
(Premio miglior cortometraggio al Festival di Venezia). Fossoli
di Carlo Di Carlo (1965, 10') raccoglie varie testimonianze di
ex deportati per ricordare il campo di smistamento di Fossoli (a
pochi chilometri da Carpi), dolorosamente noto come tappa
preliminare per l’invio dei prigionieri verso la Germania.
Il volto della guerra di Libero Bizzarri (1960, 7') è uno
straordinario ritratto del pittore satirico George Grosz e della
sua opera dedicata ai deportati, ai campi di concentramento,
all’ipocrisia grassa e cieca del mondo borghese. I suoi quadri
illustrano meglio di qualsiasi testo la Germania del 1918, la
Repubblica di Weimar, fino all’avvento di Hitler, quando Grosz
è costretto a fuggire negli USA.
Lo storico e critico cinematografico Lino Micciché nel 1962 ha
diretto con Lino Del Fra e Cecilia Mangini il documentario
, che racconta la genesi, il
consolidamento e la caduta del regime di Mussolini. In
quell’anno sono stati realizzati altri due documentari: Anatomia
di un dittatore di Mino Loy e Benito Mussolini di Pasquale
Prunas. Il documentario di Prunas è il ritratto di un uomo più

136
che la storia di un popolo. Privilegia i discorsi, i dialoghi con la
folla che Mussolini tenne durante il ventennio fascista.
Appoggiato a un sapido commento di Enzo Biagi e Sergio
Zavoli, si affida alle carte dell’ironia più che a quelle della
polemica, alle ragioni del costume più che a quelle della storia.
Nella seconda parte, quando si avvicina alla tragica resa dei
conti della guerra, quest’impostazione provoca più di uno
squilibrio, quasi un disagio. Scrive Adelio Ferrero123 che con
Anatomia di un dittatore di Mino Loy questo film di Prunas:

[…] potrebbe costituire insieme a quella del ben altrimenti


importante e coraggioso l’avvio
anche in Italia di una ricerca storica condotta dal cinema
con intenti critici e formativi. È una direzione ricca di
possibilità e di prospettive di cui si parla da molti anni, e
certo è anche per questo che la delusione comunicataci dai
due “Mussolini” è così grave e profonda. È evidente da un
lato che l’apparizione di questi due film di montaggio
avviene non a caso oggi, coincide cioè con una ripresa
dello spirito antifascista nella politica e nella cultura, una
ripresa che ha raccolto in ogni città d’Italia l’adesione e
l’interesse di larghi strati di giovani intorno alle lezioni
sulla storia dell’antifascismo e della Resistenza e ha
ispirato tutto un orientamento della narrativa
cinematografica italiana. Ma per un altro verso i due film
appaiono nel momento in cui quell’orientamento rivela
(per vari segni e aspetti) una precoce e grave involuzione
nella ambiguità delle sue scelte ideali, o nella freddezza
illustrativa di certe sue “ricostruzioni”, o peggio nella
fioritura di una moda e maniera artificiale e deformatrice.
Ed essi infatti non risultano estranei a questo clima
involutivo. […] C’è da chiedersi pertanto quale possa

123
Adelio Ferrero, Recensioni e saggi 1956-1977, Edizioni
Falsopiano, 2005.

137
essere la reazione di un giovane dinanzi a questo vorticoso
e grottesco susseguirsi di parate, di atteggiamenti
“marziali”, di grinte dure e volitive, di piegamenti e
flessioni del duce tra una furibonda e nazionalistica tirata e
l’altra sulle belle piazze d’Italia, dinanzi a folle osannanti.
È probabile che egli colga il ridicolo della situazione e si
vergogni dei suoi padri, ma invano chiederà poi a Loy e a
Prunas la risposta ai suoi assillanti interrogativi sul come e
sul perché; eppure è quello un ridicolo che suggella
venticinque anni di storia italiana tragica e cruenta e le
responsabilità dei padri non si inscrivono in una storia di
errori individuali o di follie collettive, ma rimandano a una
situazione complessa che chiama in causa certe forze
economiche e sociali ben determinate, certi orientamenti
dell’opinione pubblica, i partiti e le istituzioni. Che è
appunto il discorso che i due film lasciano sostanzialmente
eluso. Il merito dei due registi (Loy e Prunas), che non si
vuole pregiudizialmente misconoscere, consiste quasi
esclusivamente nell’essersi mossi per primi in una così
stimolante direzione, nell’aver pazientemente ricercato
negli archivi e nelle cineteche il materiale non a caso
dimenticato per tanto tempo dei cinegiornali e delle
“attualità” che componevano l’agiografia cinematografica
del fascismo, nell’averne tentato una prima sistemazione
intorno alla figura del “capo”. Talune di quelle immagini,
alludiamo soprattutto ai discorsi del duce, vengono ad
assumere oggi una straordinaria forza d’urto e di
provocazione proprio in quanto la loro apparente assurdità
richiede perentoriamente risposte e chiarificazioni
razionali. Come si determinò un tale carnevale
permanente, quali le forze che lo inscenarono e lo tennero
in piedi per tanto tempo, come esso si insinuò nel cuore e
nella ragione delle folle: interrogativi a cui i due film non
rispondono, oscillando fra un superficiale sarcasmo e un

138
accorato e moralistico stupore, non toccando mai l’acume
della satira e la violenza della indignazione.
Loy e Prunas sembrano ignorare nella loro ricerca le
indagini e i risultati a cui è pervenuta la più consapevole e
matura storiografia antifascista, né partecipano della
passione militante che ha indotto i promotori delle
“lezioni” a ricostruire il volto del passato alla luce del loro
attivo e consapevole antifascismo di oggi. La loro
dimensione ideale non è la profondità e perspicuità della
ricerca, ma la superficiale curiosità del rotocalco:
riportano alla luce immagini e volti di cui non sanno darci
il senso e la portata. La loro opera, utile nei limiti ben
precisi che abbiamo indicato, risulta pertanto priva di
nerbo critico e di efficacia formativa. L’incertezza, la
superficialità, l’assenza di prospettive dei loro tentativi
collocano purtroppo il cinema alla retroguardia della
ripresa antifascista della cultura italiana e lasciano aperto
il campo a una ricerca di cui
costituisce la prima prova veramente avanzata e
consapevole.

Nascita di una formazione partigiana di Ermanno Olmi e


Corrado Stajano (1973, 62') si apre nello studio dell’avvocato
Duccio Galimberti, a Cuneo, covo segreto dove ebbe origine un
piccolo nucleo di partigiani che si riunì poi il 12 settembre a
Madonna del Colleto, sopra Valdieri. Viene rievocato il
dramma di Boves, incendiato dai nazisti per rappresaglia dopo
aver trucidato 23 persone. Ma il movimento partigiano non
viene soffocato: altre bande sorgono, si rafforzano ovunque, si
moltiplicano i colpi di mano e i sabotaggi, come la distruzione
del viadotto ferroviario di Vernante. Sequenze ricostruite si
alternano a testimonianze e a letture di diari e memorie. La
didascalia finale riporta una frase di Giacomo Ulivi: «Non dite

139
di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che
tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere».
La tragedia di Cefalonia (1973), per la regia di Domenico
Bernabei, propone attraverso le testimonianze di alcuni
superstiti la ricostruzione dell’eccidio della Divisione di
Fanteria da Montagna “Acqui” nelle isole joniche di Cefalonia
e di Corfù, nel settembre del 1943. Una pagina di storia che si
presta a diverse interpretazioni.
Piazzale Loreto di Damiano Damiani (1981) è una lucida
riflessione sul concetto di “memoria storica”. Su questa strage
esistono vari documenti audiovisivi, ma che cosa riescono a
mostrarci? Solo vittime. Che, purtroppo, somigliano a tante
altre vittime. I cinegiornali, i documentari, sono ormai divenuti
pezzi da museo: rimangono ammassati negli archivi, per essere
tirati fuori di tanto in tanto. Ma essi per noi non costituiscono
mai delle “presenze quotidiane”, non sono in grado di
resuscitare a pieno il senso di una tragedia storica. Alla
fotografia, registrata e fissata per sempre, riproducibile
all’infinito, ottima soltanto per le celebrazioni, Piazzale Loreto
tenta di opporre una memoria “attuale”, vivace, capace di
muoversi in avanti.
(1993) di Massimo Sani124 mostra al suo
interno in esclusiva le immagini realizzate dai piloti americani
mentre bombardavano Torino. Il rumore dell’aereo copre quello
delle esplosioni. Lo scenario che si vede dall’alto è una
costellazione di luci che purtroppo non erano stelle, ma
esplosioni di morte. Il successivo documentario di Massimo
Sani, Prigionieri italiani (1998, 110') è incentrato sulla lunga e
dolorosa vicenda di quasi un milione e mezzo di soldati e

124
Massimo Sani ha realizzato film-inchiesta per la Rai tra il 1965 ed
il 1999 (Il crollo di un impero, Persia, anniversario di un impero,
Italia in guerra, Prigionieri, Prigionieri italiani, andato in onda nel
1999 su Raitre per il ciclo La Grande storia, ecc) e sceneggiati
televisivi come La guerra al tavolo della pace, del 1975.

140
ufficiali italiani disseminati in tutto il mondo – nei campi di
prigionia francesi, greci, inglesi, russi, americani, tedeschi –
durante la Seconda guerra mondiale. Di Massimo Sani
elenchiamo di seguito una parte della sua corposa filmografia:

1980. Testimoni del terrore – La deportazione politica nei Lager


nazisti. Film-inchiesta (Rai, 80')
1983. Italia in guerra. Film-inchiesta (Rai, 6 puntate)
I puntata: “I cannoni delle Alpi” (58')
II puntata: “Carri armati nel deserto” (63')
III puntata: “Sui monti della Grecia” (60')
IV puntata: “Ultimo messaggio da Capo Matapan” (64')
V puntata: “I disperati di Cheren” (65')
VI puntata: “Tragedia sul Don” (70')
1987. Prigionieri I soldati italiani nei campi di concentramento:
1940- Film-inchiesta (Rai1)
I puntata: “L’odissea” (74')
II puntata: “La scelta” (81')
III puntata: “L’ultimo inverno” (75')
1990. Ieri la guerra, oggi la pace. Film-inchiesta (Coproduzione
BBC-Rai1, 4 puntate)
I puntata: “Gran Bretagna” (80')
II puntata: “Germania” (82')
III puntata: “Francia” (80')
IV puntata: “Italia” (83')
1992. 50 anni fa: crimini di guerra fascisti. Film-inchiesta (2
puntate, 50' ca). Sani ha curato la regia per l’edizione
italiana, mentre quella della BBC, dal titolo Fascist Legacy
( ) è per la regia di Ken Kirby. Il
documentario illustra le violenze commesse dalle truppe
italiane nel corso delle guerre fasciste d’aggressione contro
l’Etiopia (1935-1937) e Jugoslavia (1941) e durante
l’occupazione della Libia, iniziata nel 1911 e proseguita con
particolare ferocia dal regime fascista negli anni ‘30. Una
lunga serie di crimini contro le popolazioni civili, compreso
l’uso di armi chimiche, che non sono mai stati oggetto di
specifici processi e sui quali ancora oggi gli italiani non

141
sanno quasi nulla.125
1993. Film-inchiesta (Rai1, 5 puntate)
I puntata: “La guerra in casa” (66')
II puntata: “La fame e il dolore” (63')
III puntata: “Gli italiani senza il Duce” (62')
IV puntata: “La chimera della pace” (62')
V puntata: “L’armistizio” (62')
1994. R Film-inchiesta
(56') realizzato dal Circolo Romano del Cinema “Riccardo
Napolitano”: Lucrezia Lo Bianco, Luigi Pompili, Cristina
Pasqua, Rita Montanari, Vincenzo Bianchi , Paolo Conti,
Luigi Rinaldi. Coordinamento testi e regia Massimo Sani.
1995. La guerra dimenticata Viaggio tra i partigia
dal Sangro alla libertà. Film-inchiesta (Rai3, 2 puntate)
I puntata: “Terra bruciata (57')
II puntata: “Verso il nord con la Brigata Maiella” (63')
1997. Un futuro per la memoria. Film-inchiesta (70').
1998. Prigionieri italiani. Serie “La grande storia in prima serata”
Film inchiesta (Rai Ed.-Rai3, 110')
1999. Una serie di episodi nell’ambito del progetto “Mosaico
Storia”.

Meritoria l’attività del Premio Libero Bizzarri126 che si tiene a

125
Un altro documento di grande interesse è il film realizzato nel
1979 dal regista Mustapha Akkad, Il leone del deserto (Lion of the
desert) sulla figura di Omar al-Mukhtàr, leggendario capo della
resistenza libica per oltre vent’anni, che venne impiccato dai fascisti
del generale Graziani nel 1931. Il film si avvale di un cast
internazionale (Antony Quinn, Irene Papas, Oliver Reed, Michele
Placido, Gastone Moschin, Raf Vallone, Rod Steiger, John Gielgud)
ma in Italia non è mai stato distribuito nel normale circuito
cinematografico, subendo una vera e propria censura preventiva per
l’argomento trattato.
126
Libero Bizzarri (Montalto delle Marche, 1926-San Benedetto del
Tronto 1986). Oltre al documentario Il Volto della guerra già citato,

142
San Benedetto del Tronto. Sul sito web della Fondazione
Bizzarri127, sezione “Mediateca”, sono presenti le schede dei
documentari sul tema della deportazione e della resistenza degli
autori che sono stati premiati al festival. Fra questi i già citati
Alessandro Amaducci, Massimo Sani, Paolo Bertola ma anche
giovani videomaker come Daniele Gaglianone (autore del
documentario Chicchero, 1995), Daniela Giacometti (Il fiore e
il passero Storie di lager, 1995), Damiano Bardelloni (I
pensieri da Mauthausen, 1995), Matteo Belli (Pianoro strada
statale 65, 1995), Francesco Lucrezio Monticelli
( , 2001) Luca Gasparini (Passano i soldati, 2001,
con un’intervista a Mario Rigoni Stern), Maurizio Orlandi
(Quei ragazzi del borgo del fumo, 2001).
Gli ultimi testimoni, un filmato di Andrea Guerrini (2007)
affronta il tema della trasmissione della memoria della
deportazione nazi-fascista attraverso le parole dell'ex deportato
Italo Tibaldi di Vico Canadese (To) e di Robert Bob Persinger,
un sergente americano che nel maggio 1945 liberò il campo di
concentramento di Ebeensee in Austria dove Italo fu impiegato
come schiavo per oltre un anno e mezzo. Italo Tibaldi è un
deportato speciale, è colui che ha curato la ricerca di oltre
40.000 identità di donne e uomini fatti prigionieri dai nazi-
fascisti e deportati nei lager nazisti dal settembre 1943 al
maggio 1945. Le interviste sono state realizzate a Ebensee nel
sessantesimo della liberazione.
Nel 2006 è stato presentato al premio Bizzarri il documentario
di Gianni Bissaca, Se questo è un uomo (se questa è una
fabbrica) che narra le vicende di Primo Levi direttore tecnico
alla SIVA, fabbrica di vernici di Settimo Torinese, negli anni
tra il 1947 e il 1985, attraverso il racconto di alcuni ex
dipendenti e colleghi di lavoro. Viene restituita la memoria

ricordiamo fra i tanti lavori: Badoglio, Fascismo come immagine e


Nazismo come immagine, tutti del 1976.
127
http://www.fondazionebizzarri.org.

143
della fabbrica in un periodo storico connotato da elementi a
volte contradditori, a cavallo tra dure lotte sindacali e clima di
grande collaborazione tra imprenditori e classe operaia. Sullo
sfondo, la memoria di Auschwitz, restituita da spezzoni tratti
dallo spettacolo Sul fondo che lo stesso Bissaca ha
rappresentato nei locali della SIVA ormai dismessi. Il racconto
è contrappuntato dai contributi di Margherita Hack, Erri De
Luca, Sebastiano Vassalli, Giuliano Scabia e Remo Rostagno,
ai quali Bissaca ha chiesto di raccontare il loro incontro con
Levi e di scegliere, tra le sue pagine memorabili, alcuni brani da
riproporre attraverso la lettura.
Per ignota destinazione (1995) di Piero Farina è prodotto dalla
Rai e trasmesso da Rai3 nel cinquantesimo della liberazione dei
campi. Il documentario segue il ritorno – per la prima volta
dalla fine della guerra, di Piero Terracina ad Auschwitz-
Birkenau, il campo di sterminio dove fu deportato, e dove
venne sterminata gran parte della sua famiglia.
La fondazione dell’ANED Associazione Nazionale ex Deportati
politici nei campi nazisti, ha patrocinato alcuni documentari fra
cui Testimoni (1995) di Anna Missoni con interviste a Lodovico
Barbiano di Belgiojoso, Arianna Szorenyi e Ferruccio Maruffi;
Le rose di Ravensbrück Storia di deportate italiane (2006) di
Ambra Laurenzi che intende ricordare le oltre 900 donne
italiane deportate a Ranvensbrück.
Memoria (1997) di Ruggero Gabbai, Marcello Pezzetti, Liliana
Picciotto nasce da una ricerca storica e conoscenza del tema).
E’ anche questo un viaggio nella memoria e nei luoghi della
prigionia (Birkenau) con riprese aeree e un uso simbolico
dell’acqua come scansione cronologica.

Il regista Mimmo Calopresti è uno dei protagonisti della


stagione dei filmaker torinesi che operano tra cinema e video,
cortometraggio e documentario, fin dagli anni Ottanta.
Dapprima Calopresti lavora alla Blood Video di Claudio

144
Paletto, poi nel 1985 fonda insieme a lui la West Front Video,
cui fanno riferimento altri videomakers come il fratello del
regista, Beppe, e gli amici Marco Bonvino, Peter Freeman,
Massimo Gea. I suoi primi lavori, spesso firmati
collettivamente, sono presentati e premiati nei festival “storici”
del cinema indipendente, da Salsomaggiore a Torino, a Bellaria,
per poi passare in alcuni festival stranieri: Madrid, Stoccarda,
Monaco, Barcellona.
Per l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e
Democratico realizza nel 1985 il video A proposito di sbavature
che vince il primo premio al Festival Cinema Giovani di
Torino; nel 1993-‘94 due ampi documentari video sulle lotte
operaie negli anni della guerra: 1943 – La scelta e Pane pace e
libertà: 1943-1945. Nel 1991 gira per la Rai Paolo ha un lavoro
e l’anno dopo Paco e Francesca; nel 1994 vince il Premio
Solinas per la migliore sceneggiatura con La seconda volta,
lungometraggio che realizza l’anno successivo, prodotto e
interpretato da Nanni Moretti. È attivo con ruoli diversi anche
nel campo della produzione, specie con la Bianca Film, e
interpreta come attore diversi film, diretti sia da lui, sia da altri,
come Francesca Comencini (Le parole di mio padre) e Laura
Betti (Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno).
Nel 2003 viene nominato direttore dell’Archivio Audiovisivo
del Movimento Operaio.
Il suo cortometraggio 1943 La scelta (durata 43') ha un
supporto di immagini storiche e la testimonianza dell’ex
partigiano Nuto Revelli. Il documentario narra avvenimenti
europei ed italiani dal 1942 alla lotta italiana contro il Nazi-
Fascismo. Calopresti è autore di altre opere sulla storia dei
movimenti operai, fra cui l’interessante film-documentario La
fabbrica dei tedeschi (2008), incentrato sulla tragedia della
ThyssenKrupp di Torino in cui, nella notte tra il 5 e il 6
dicembre 2007, divampò un incendio e sette operai persero la
vita; la pellicola dà voce alla rabbia, alle domande senza

145
risposta, al dolore dei parenti delle vittime, alle accuse ai
responsabili dell’azienda. La struttura narrativa del film è
costituita da un prologo in bianco e nero con attori.
Il documentario Dov è Auschwitz è realizzato da Mimmo
Calopresti nel 2004 (durata 110') durante la visita nel campo di
concentramento fatta il 16 ottobre 2004 insieme al sindaco di
Roma Walter Veltroni, a un gruppo di studenti della Capitale e
ad alcuni dei sopravvissuti italiani all’Olocausto. Le loro
testimonianze sono la parte più preziosa del documentario.
Calopresti non utilizza immagini di repertorio. I sopravvissuti
italiani parlano camminando negli stessi posti in cui sono stati
quando erano ancora dei ragazzini: uno di essi, Shlomo
Venezia, ad Auschwitz si occupava dei cadaveri che uscivano
dalle camere a gas. Per lui sarà terribile parlare di questo. Ma lo
farà. Sullo stesso argomento nel 2006 Calopresti farà un
secondo documentario dal titolo Volevo solo vivere, presentato
dalla USC Shoah Foundation Institute di S.Spielberg. Il docu-
film inizia con le immagini di Mussolini che nel 1938 decise di
introdurre in Italia la legislazione antisemita.
Anche Saverio Costanzo proporrà nel 2007 Auschwitz 2006,
reportage tratto anche questo (come decine di video che si
possono scaricare sui siti segnalati in questa pubblicazione) da
una visita degli alunni di 250 scuole romane. Costanzo fa
parlare alcuni sopravvissuti al campo di sterminio e i loro
racconti sono accompagnati da materiale di repertorio. Fra le
testimonianze ci sono quelle delle sorelle Bucci che raccontano
la storia del loro cuginetto Sergio fatto morire da Mengele

Il documentario-verità e il documentario storico


Il documentario-verità è generalmente la registrazione della
realtà, come l’occhio umano vede, senza interventi invadenti e
senza un uso del montaggio in chiave filmica.
Molti sono i filmati che hanno realizzato gli Alleati alla fine

146
della guerra per documentare i crimini del Nazismo. Un
interesse questo manifestato anche successivamente alla
Liberazione, con documentari che assemblavano variamente
materiale di provenienza eterogenea, con per lo più l’intento di
mostrare la natura criminale del regime nazista, a partire dal
sistema concentrazionario.
Come sappiamo anche il documentario rientra nell’esercizio
“soggettivo” della ripresa della realtà pur nella massima
obiettività di chi pensa di muoversi nell’ambito oggettivo delle
cose (il dibattito è sempre aperto su queste tematiche). Esistono
infatti documentari più o meno fedeli, più o meno
corrispondenti alla realtà. Dobbiamo sempre tenere a memoria
le manipolazioni e le strumentalizzazioni che il potere ha
operato nella comunicazione dei fatti e degli avvenimenti.
Occorre una certa dose di “cinismo critico” di fronte alle
immagini proposte e una attenzione alle denunce di chi ha
ravvisato finalità propagandistiche di alcuni documentari.
Ma sull’Olocausto e sulla barbarie nazi-fascista i dubbi non ci
sono. Quelle immagini di alcuni documentari storici (pur
edulcorati a volte dai registi che spesso non sono dei
professionisti) corrispondono alle testimonianze orali e scritte
che abbiamo anche noi constatato personalmente.
Iniziamo dal documentario storico che porta la data del 1945:
Nazi Concentration Camps128 realizzato dal National Archives
di College Park, Maryland (USA), il cui dominio è pubblico. Si
tratta di una compilation di filmati realizzati dagli americani nel
1945 al momento della liberazione dei campi di concentramento
nazisti. La visione di questo documentario è estremamente
dolorosa in quanto svela il massacro nazista e la sofferenza
umana.
Sei i rulli di pellicola archiviati (la descrizione è ricavata dal
sito web citato in nota).

128
http://www.archive.org/details/nazi_concentration_camps.

147
Nel rullo 1: il tenente colonnello dell’esercito George C.
Stevens, il tenente della Marina E. Ray Kellogg e il Chief
Counsel Robert H. Jackson leggono le dichiarazioni giurate, che
attestano l’autenticità delle scene nel film. Una mappa d’Europa
mostra i luoghi dei campi di concentramento in Austria, Belgio,
Bulgaria, Cecoslovacchia, Danimarca, Francia, Germania, Isola
di Jersey, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia e Jugoslavia. A Lipsia
nel campo di concentramento ci sono mucchi di cadaveri, e
molti sopravvissuti russi, cecoslovacchi, polacchi e francesi.
Nel campo di concentramento di Penig ci sono le donne
ungheresi. I medici curano i pazienti e gli americani della Croce
Rossa li trasportano all’ospedale Tedesco Air Force dove i loro
massacratori sono costretti a prendersi cura di loro.
Nel rullo 2: gli ufficiali degli Stati Uniti arrivano al campo di
concentramento di Hadamar, dove polacchi, russi e tedeschi
dissidenti politici e religiosi sono stati assassinati. I corpi sono
riesumati dalle fosse comuni per l’esame, l’identificazione e la
sepoltura. Interviste al direttore Dr. Waldman e capo infermiere
Karl Wille.
Nel rullo 3: al campo di concentramento di Breendonck, Belgio,
dimostrazione dei metodi di tortura. Ad Harlan, campo di
concentramento presso Hannover, americani e collaboratori
della Croce Rossa accolgono i sopravvissuti polacchi. Truppe
alleate e uomini sopravvissuti seppelliscono i morti. Al campo
di concentramento di Arnstadt gli abitanti dei villaggi tedeschi
sono costretti a riesumare i corpi delle polacche e russe dalle
tombe di massa.
Nel rullo 4: a Nordhausen ci sono pile di corpi. Le truppe
portano via i sopravvissuti che sono principalmente polacchi,
russi e francesi. Al campo di concentramento di Mauthausen il
tenente della Marina Jack H. Taylor sta in piedi con i
sopravvissuti e i colleghi e descrive la detenzione e le
condizioni del campo.
Nel rullo 5: al campo di concentramento di Buchenwald arriva

148
un camion dell’esercito USA con gli aiuti per i sopravvissuti.
Mucchi di morti, mutilati e corpi emaciati. Enormi forni e
mucchi di cenere e di ossa nel forno crematorio. Civili
provenienti dalla vicina città di Weimar, vedendo immagini
mostruose (brandelli di pelle umana e teste rimpicciolite) non
riescono a stare in quei luoghi di morte.
Nel rullo 6: il comandante britannico della Royal Artillery
descrive le condizioni a Bergen-Belsen. I prigionieri tedeschi
della Schutzstaffel (SS) sono costretti a seppellire i morti. Un
medico delle donne, ex detenuto, descrive le condizioni nella
sezione femminile del campo. Un bulldozer spinge mucchi di
corpi in fosse comuni. Le riprese sono state raccolte dal
Dipartimento della Difesa USA, come testimonianza per
condurre i processi per crimini di guerra.
Altri titoli storici ricorrenti negli elenchi dei documentari (ma
siamo già nel genere docu-film) sono: (Ostatni
etap) di Wanda Jakubowska (Polonia 1948, 100'): una
“ricostruzione” della sezione femminile di Auschwitz che si
propone di descrivere in cadenze di cronaca l'atroce vita
quotidiana delle detenute nel campo.
Il processo di Norimberga (Der Nürnberger Prozess) di Félix
Podmaniczky (Germania 1958, 78') fotografa il processo
tenutosi a Norimberga dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre del
1946 nei confronti dei nazisti coinvolti nell’Olocausto. L’opera
contiene anche documenti video-originali, ripresi durante e
dopo la guerra.
Memories of the Camps (Gran Bretagna-Usa 1985, 56') di
Sidney Bernstein ripropone l’arrivo di inglesi e americani nel
campo di Bergen-Belsen. Bernstein ebbe la consulenza di
Alfred Hitchcock, specialmente per quel che riguarda la scelta
decisiva di fare riprese in campi lunghissimi, a testimoniare la
veridicità dei luoghi e dei tempi.
Nel documentario il regista porta i cittadini tedeschi del luogo a
vedere quello che era accaduto nel campo (a scopo punitivo o a

149
rafforzare un’aura di autenticità?)
Dagli anni Ottanta, come approfondiremo in seguito, si
svilupperà in modo prevalente, e non solo nel cinema,
testimone: interviste e immagini di memoria emergeranno con
forza fino a costituire un genere codificato.

Il documentario giornalistico
Apocalyps in Berlin 1945, di Jorg Mullner e Anja Greulich,
creato da Guido Knopp nel 2003, è un documentario che alterna
immagine storiche dell’avanzata russa a Berlino a
testimonianze dei protagonisti di quelle vicende. Molto efficace
è l’incontro di due militari, uno russo (Mikhail Petrovich
Minin) che rivendica di essere stato il primo ad issare la
bandiera russa sul Reichstag (rispetto alla foto storica del
fotografo Eugenj Chaldej presa a simbolo dalla propaganda

150
sovietica129) e un militare tedesco (Jo brettschneider) che si
arrese proprio dentro il Reichstag. I due nel filmato si
incontrano a distanza di oltre 60 anni nello stesso luogo di
allora e si danno la mano e si baciano (Davvero toccante e
simbolica questa documentazione).
Sulla foto della bandiera issata sul Reichstag ci sono infatti
molte versioni e molti fotomontaggi che sono finiti in diverse
mostre organizzate recentemente in Germania. La bandiera
innalzata quel giorno a Berlino – secondo il fotografo russo
Yevgeni Khaldei, che raccontò la sua “verità” dopo la morte di
Stalin – in realtà era una tovaglia rossa, con incollata una falce
e un martello di cartone. E quella foto – secondo Khaldei –
venne scattata alle sette di mattina del 2 maggio 1945, in ritardo
sulla conquista di Berlino avvenuta il 30 aprile. Si tratta quindi
di un fotomontaggio. Dai cambiamenti operati sull’immagine
ufficiale si notano infatti nubi di fumo che drammatizzano la
scena e inoltre (dicono gli esperti) è ben visibile la
cancellazione del secondo orologio al polso destro del soldato,
orologio probabilmente strappato a un morto.
Un altro fotografo russo, Victor Tomin, scattò la foto della
bandiera sul Reichstag, forse da un aereo, e subito la portò a
Mosca per farla pubblicare sul numero della Pravda del 3
maggio.
War Children (I figli della vergogna), è un documentario
incentrato sul progetto per la razza ariana che Adolf Hitler volle
legittimare nel 1935. Denominato progetto dei Lebensborn,
“fabbriche della vita”, il piano concepito dal gerarca Heinrich
Himmler prevedeva l’accoppiamento di militari tedeschi con
donne scandinave, in particolare norvegesi, considerate di “alto
valore razziale”. Lebensborn era ritenuto così essenziale da
essere gestito dal Führer in persona, che avocava a sé la ratifica
dei matrimoni tra i suoi militari e le donne del Nord Europa. Il

129
Nella foto a pagina precedente lo scatto che Stalin volle come foto
ufficiale della conquista di Berlino.

151
disegno nazista trovò la sua prima applicazione in Germania,
per poi subire un impulso decisivo dopo la dichiarazione di
guerra all’Urss nel 1941. La tragedia dei “figli della vergogna”
si consumò sia durante il regime che a guerra terminata: le
donne, furono crudelmente disprezzate in quanto “identificate
con il nemico”, mentre i bambini furono discriminati e non
ebbero alcun risarcimento dal governo norvegese.
Paradossalmente la Norvegia fu il primo stato, nel 1985, a
istituire il difensore civico dei bambini, ma ora dovrà comparire
davanti alla corte di Strasburgo per rispondere dei gravi abusi
nei confronti dei war children.

La Rai detiene un importante archivio di documentazione,


avendo acquisito anche i filmati dell’Istituto Luce (il sito web
http://www.luce.it è navigabile e pieno di informazioni).
Se Giovanni Minoli è il deus ex machina della corposa
produzione de La storia siamo noi130 (prima RaiEducational ora
RaiStoria131, canale sul digitale terrestre), Nicola Caracciolo è
un punto di riferimento per l’Istituto Luce, per il quale
realizzerà oltre 10 documentari storici di indubbio interesse. Fra
questi Il piccolo re (1979); Tutti gli uomini del duce (1982); 50
a (1990); I 600 giorni di Salò
(1992); Succede un quarantotto (1993); Hitler e Mussolini,
(1996); Edda Ciano Mussolini racconta, (2004); I Ciano (2005)
e Roma del duce (2006) con Gianni Borgna.
La Storia siamo noi ha realizzato nove puntate sul periodo
1942-1945: fra queste la puntata 25 aprile Milano di Aldo
Zappalà (con testimonianze di Giorgio Bocca, Liliana Segre
ecc), dove è possibile vedere le immagini, girate da un amatore
a Dongo e a Piazzale Loreto a Milano, degli eventi che hanno
segnato tragicamente la fine del Duce e del Fascismo.
Fra i documentari de La storia siamo noi che propongono con

130
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it.
131
Da segnalare inoltre http://www.teche.rai.it.

152
un ottimo format che mette insieme filmati storici d’archivio e
inediti, testimonianze dei protagonisti, interventi di storici, un
racconto giornalistico con voce fuori campo, immagini
fotografiche in movimento, citiamo quello andato in onda di
recente: Liberate il Duce!
Quercia (2010), il nuovo documentario di Fabio Toncelli che
racconta gli incredibili retroscena di una delle operazioni
militari più famose della storia: la liberazione di Benito
Mussolini dalla sua prigione di Campo Imperatore, nel
settembre del 1943. A quasi settant’anni di distanza nuovi
documenti e testimonianze ci mettono di fronte a domande
inquietanti: quali erano i veri ordini impartiti agli uomini che
dovevano custodire il duce? Perché nessuno sparò un colpo?
Perché la propaganda nazista diffuse una versione del blitz in
buona parte falsa? Perché il vero comandante dell’operazione fu
successivamente trasferito sul fronte russo senza spiegazioni?
Perché il maresciallo Badoglio, che si era impegnato a
consegnare Mussolini agli angloamericani, non lo fece? E
soprattutto: chi prese le decisioni fatali sulla prigionia di
Mussolini, poteva immaginare che l’ex-duce avrebbe dato vita
alla Repubblica di Salò? Il documentario propone anche la voce
di Benito Mussolini attraverso una preziosissima registrazione
audio ritrovata in un archivio tedesco. Il Duce racconta con un
tono assai inconsueto, quasi giornalistico, gli eventi che vanno
dal 25 luglio ’43 al giorno del blitz tedesco a Campo
Imperatore.

La docu-fiction (docu-drama)
Su Mussolini di recente anche il canale satellitare History
Channel ha proposto tre episodi che ripercorrono la vita del
Duce: Obiettivo Mussolini, produzione Wilder per Fox
Channels Italy, scritta da Cosimo Calamini e Davide Savelli
con la regia di Graziano Conversano. Si tratta di una

153
ricostruzione storica interpretata da attori che innesta nel
racconto cinematografico immagini d’epoca, abilmente
rappresentate nell’ opera di Carlo Lizzani Mussolini: Ultimo
atto, film del 1974. La narrazione di questo film parte da prima
della morte di Benito Mussolini, avvenuta il 28 aprile del 1945.
In una Repubblica di Salò ormai in disfacimento vengono
rappresentati i pensieri e gli stati d’animo del Duce in viaggio
verso la morte: numerosi i flashback in cui il dittatore italiano
ricorda la sua gloria passata e il popolo che lo osannava.
Mussolini, che si trova a Milano sotto la protezione dei
tedeschi, rifiuta la resa con i partigiani del CLN Alta Italia che
gli viene offerta dal cardinale Schuster e fugge verso la
Svizzera, perché gli anglo-americani sono già penetrati nel
Nord Italia. Decide di seguirlo l’amante Claretta Petacci e i
gerarchi che vogliono salvarsi la pelle. Durante il tragitto però
incontreranno dei partigiani che lasceranno fuggire la colonna
tedesca che scorta Mussolini in cambio della consegna dei
gerarchi fascisti. Il duce si travestirà da soldato e si mescolerà ai
tedeschi, ma verrà riconosciuto in un altro blocco partigiano nel
paesino di Dongo, sul lago di Como. Arrestato, verrà trasportato
in varie ed improvvisate prigioni tra cui un casolare contadino.
Alla fine verrà portato a Giulino di Mezzegra e lì fucilato;
insieme a lui verrà giustiziata per errore Claretta Petacci, che al
primo sparo si era frapposta tra il proiettile e l’amante. La trama
si basa sulla versione ufficiale della fucilazione di Mussolini e
della Petacci. Oggi risultano accreditate anche altre verità, tra le
quali quella che vuole il capo del Fascismo ucciso presso casa
De Maria e non davanti all’ingresso di Villa Belmonte132.

132
W. Audisio, In nome del popolo italiano, Edizioni Teti, 1975. G.
Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, Il Saggiatore, 2004.
M. Viganò, Un istintivo gesto di riparo: nuovi documenti
ussolini (28 aprile 1945), Palomar, n. 2, 2001. -
P.L. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, 2005.

154
Olocausto (Holocaust) film per la TV di Marvin Chomsky, del
1978, è un pantografico riassunto, attraverso la storia di una
famiglia ebraica tedesca, di quel che ha subìto il popolo ebraico
nel periodo 1933-45, dalle Leggi di Norimberga all’imbarco di
tanti sopravvissuti per la Palestina. Attraverso il mezzo
popolare per eccellenza il regista propone una ricostruzione
narrativamente sapiente dell’intera vicissitudine di un popolo
vittima designata, ma debole sul piano storico, tanto da ricevere
aspre critiche dallo scrittore sopravvissuto all’Olocausto -
premio Nobel per la pace nel 1986 - Elie Wiesel, il quale
affermò che lo sceneggiato aveva trasformato in soap-opera un
problema ontologico. Lo scrittore sicuramente aveva le sue
motivazioni per scrivere che quel film per la Tv era “falso,
hollywoodiano, offensivo…”. Lui aveva scritto ben più potenti
ed emblematiche parole sul suo tragico arrivo al campo di
Auschwitz:
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte
sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo
visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo
muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre
la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per
l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio
e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del
deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a
vivere quanto Dio stesso. Mai.133

Ancora una volta le problematiche riferite alla spet-


133
Elie Wiesel, La notte La Giuntina, 1980

155
tacolarizzazione del dolore sono così riportate al centro del
dibattito.
Da registrare che con questo drama series come lo
definiscono gli americani – Chomsky ebbe un vasto successo di
pubblico e vinse tre Emmy Awards come migliore regia.

Il docu-film di Claude Lanzmann e Alain Resnais


Dedichiamo questa ultima parte a due maestri del docu-film:
Claude Lanzmann e Alain Resnais.
Shoah134 è il monumentale lavoro di Lanzmann135 uscito nel
1985 dopo 11 anni di lavoro (cinque e mezzo dei quali utilizzati

134
Nella foto un’immagine del docu-film.
135
Claude Lanzmann, nato a Parigi nel 1925, nipote di ebrei russi,
entrato giovanissimo nella Resistenza, saggista e giornalista (è
direttore della prestigiosa rivista Les temps modernes), inizia a
occuparsi di cinema attraverso dei reportages televisivi

156
per il montaggio delle oltre 350 ore di materiale girato). L’idea
di un film intitolato Shoah, dal termine ebraico che significa
“distruzione” e che viene usato in alternativa a Olocausto, nasce
in Claude Lanzmann all’inizio del 1973. Oggi questo film è una
pietra miliare della testimonianza filmica che non smette di
stupire e turbare.
La produzione francese è riuscita a consegnarci nove ore e
mezza di proiezione136 per raccontare lo sterminio di sei milioni
di ebrei. Un fiume in piena che travolge, con le sue sconcertanti
verità, lo spettatore.
Nel film (in forma di intervista) si susseguono i volti dei
sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, intervallati
dal rumore insopportabile dei treni della morte. Ogni
testimonianza conferma l’altra ma i protagonisti non si
incontrano mai tra loro.
Lanzmann non ha raccolto solo le testimonianze delle vittime
ma anche quelle dei nazisti che hanno assistito o che sono stati
esecutori del massacro e dei polacchi che vivevano, indifferenti,
nei dintorni dei campi.
Il film-documentario si apre con il canto di un uomo in barca
che risale un fiume. Siamo a Chelmno, in Polonia, località del
primo sterminio di ebrei col gas nel 1941. C’è un silenzio rotto
dal canto degli uccelli. La natura è meravigliosa. Ma «gli alberi
nascondono il segreto di un campo di sterminio».137
«C’è qualche cosa di magico in questo film – osservava Simone
de Beauvoir su Le Monde nel 1985, subito dopo la prima della
monumentale opera di Lanzmann – e la magia non si può

136
Claude Lanzmann, Shoah, Einaudi 2007. Il cofanetto contiene un
volume con i dialoghi del film, compatti come un poema, scritti dallo
stesso Claude Lanzmann, un’intervista all’autore del 1998, a cura di
Serge Kaganski e Frédéric Bonnaud. Introduzione di Frediano Sessi e
prefazione di Simone de Beauvoir, La memoria . 4 DVD e
un’extra video con un intervento di Moni Ovadia.
137
Dal testo pubblicato nel cofanetto Shoah.

157
spiegare […] Né romanzo né documentario, Shoah realizza
questa ri-creazione del passato con una stupefacente economia
di mezzi: dei luoghi, nel risuscitarli attraverso le voci, e – al di
là delle parole – nell’esprimere l’indicibile attraverso i volti».138

Diversamente dai film fatti prima e dopo sullo stesso


argomento, Lanzmann evita di utilizzare qualsiasi tipo di
materiale di repertorio (quasi sempre girato dagli
americani e dai russi dopo la fine delle ostilità), si guarda
bene dal porre interrogativi di tipo morale o filosofico
(come fa dire allo storico Hilberg intervistato nel film:
«Non ho mai cominciato dalle grandi domande perché
temevo di ricevere delle risposte piccole») e dà come
l’impressione di inseguire minuzie secondarie (i treni a
Treblinka o ad Auschwitz spingevano o tiravano i vagoni
dei deportati?). Ma in questo modo, quasi strappando
parola dopo parola ai pochi sopravvissuti, ai contadini che
abitavano nelle vicinanze dei campi, agli stessi aguzzini
nazisti, riesce pian piano ad aprirci gli occhi sul buco nero
dello sterminio nazista. Per raccontarci qualcosa che
spesso sfugge alle parole e alle immagini: la radicalità
della morte. Forse non c’è una vera ragione della
smisurata durata del film, ma la magia di cui parlava la de
Beauvoir nasce anche da questo andamento fluviale, dove
non esiste una sola parola di commento e tutto si limita
alla ricostruzione dei piccoli atti quotidiani. Di chi portava
o mandava le persone a morire e di chi doveva entrare nei
camion o nelle camere a gas.139

138
Dalla prefazione di Simone de Beauvoir in Claude Lanzmann,
op.cit.
139
Paolo Mereghetti, Shoah, film-ricerca ciclopico sulla radicalità
della morte, Corriere della Sera, 12 novembre 2007.

158
L’analisi del film della De Beauvoir, nell’articolo già citato:

La costruzione di C. Lanzmann non risponde a un ordine


cronologico, direi invece – se si può usare questo termine
a proposito di un soggetto simile – che è una ricostruzione
poetica. Sarebbe necessario un lavoro più approfondito di
questo per indicare le risonanze, le simmetrie, le
asimmetrie, le armonie sulla quali essa si basa. Così si
spiega che il ghetto di Varsavia non sia descritto che alla
fine del film, quando già conosciamo il destino
implacabile dei murati vivi. E anche qui il racconto non è
univoco: è una cantata funebre a più voci, abilmente
intrecciate […] La fine del film è per me mirabile. Uno dei
rari scampati alla rivolta si ritrova solo fra le rovine. Dice
di avere allora provato una sorta di serenità, pensando:
«Sono l’ultimo degli ebrei e aspetto i tedeschi». E subito
vediamo passare un treno che porta un nuovo carico verso
i campi di sterminio. Come tutti gli spettatori confondo il
passato e il presente. Ho detto che proprio in questa
confusione sta il lato miracoloso di Shoah. Aggiungo che
non avrei mai immaginato una simile mescolanza di orrore
e di bellezza. Certo, l’una non serve a mascherare l’altro,
non si tratta di estetismo: al contrario, essa lo mette in luce
con tanta inventiva e tanto rigore che siamo consci di
contemplare una grande opera. Un puro capolavoro.
Prima di questo film, nel 1979, comparve negli Stati Uniti un
serial televisivo intitolato Holocaust, tratto dall’omonimo
romanzo di Gerald Green pubblicato nel 1978. Il successo della
fiction televisiva fu enorme, tanto da venir trasmessa in
Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia. Si trattava di un
lavoro mediocre, privo di spessore storico. Seguendo le logiche
della comunicazione filmica di scuola statunitense si era
proposto un qualcosa che andava verso la spettacolarizzazione
di massa, verso la trivializzazione dell’evento.

159
Osserva Giovanni De Martis sul sito web “Olokaustos, saggi e
idee”140 (che propone anche diversi documenti storici fra cui
quelli sulle leggi razziali in Italia e in Germania, e percorsi e
schede tematiche dall’Eugenetica alla Omosessualità nel
Nazismo ecc):

Ciò nonostante – pur attraverso lo specchio deformante della


fiction – lo sterminio degli ebrei d’Europa dopo più di
trent’anni diventava qualcosa di percepito al di là delle
biblioteche e degli studi settoriali. Ogni medaglia ha il suo
rovescio: la notorietà presso il grande pubblico di qualsiasi cosa
si paga con una sua più o meno ampia volgarizzazione […]
Certo di fronte ad Holocaust vi sarà stato un buon numero di
persone, disarmate culturalmente, che hanno fatto dello
sceneggiato la loro unica fonte di informazione sull’argomento
[…] Curiosamente – ma non sorprendentemente – il rigetto
parte con una specie di “risposta europea” alla fiction
americana: nel 1985 Claude Lanzmann dirige Shoah, un film-
documentario imponente per impegno e durata. Il film ha un
taglio cinematografico opposto a quello di Holocaust: i
testimoni – i veri testimoni – sono al centro della narrazione, è
un film basato sul dialogo, sulla memoria. Nulla di più distante
dalla idea filmica americana […]

Claude Lanzmann proporrà un altro documentario, Sobibor. 14


ottobre 1943, ore 16.00 (2001) che tratta l’unica vittoriosa

140
http://www.olokaustos.org. Si può trovare anche una sezione
Cinema e Nazismo con recensioni di altri film sulla deportazione
ebraica, fra cui Monsieur Batignol (2001) per la regia di Gérard
Jugnot, o sul negazionismo, Il signor Morte (Mr.Death: the Rise and
Fall of Fred A. Leuchter), per la regia e sceneggiatura di Errol Morris
(USA, 1999, 91'), oppure sulle strategie dello sterminio, affrontate in
Conspiracy, per la regia di Frank Pierson, sceneggiatura di Loring
Mandel, con Kenneth Branagh (USA 2001, 96').

160
rivolta di ebrei reclusi nei campi di concentramento. A
Sobibor, dove i prigionieri venivano sterminati quasi
immediatamente dopo il loro arrivo, un piccolo gruppo di
internati, sotto la guida di un soldato esperto, un capitano ebreo
dell’Armata Rossa, decise di uccidere i pochi tedeschi che
presidiavano il campo.
Il docu-film, girato a telecamera fissa, è sostanzialmente una
drammatica intervista del regista a Yehuda Lerner, la persona
che capeggiò la rivolta. Lerner racconta con modestia
disarmante la sua fuga, all’età di appena 16 anni, da vari campi
di sterminio e in particolare da quello di Sobibor, campo che fu
teatro di questa importante rivolta di prigionieri ebrei contro i
carcerieri nazisti. L’episodio aveva ispirato anche un film tv,
Escape from Sobibor, diretto da Jack Gold.
Il docu-film di Lanzmann è sui campi di sterminio di cui Lerner
spiega il funzionamento, e più precisamente i tentativi di
resistere e sfuggire a un destino che la maggior parte degli ebrei
e delle altre vittime ritenevano troppo orrendo perché accadesse
davvero. E Lerner fu tra i pochi a trovare la forza, la lucidità e
la fortuna per scappare.

161
Notte e nebbia141 di Alain Resnais142 (Francia 1956, 32')

141
Nella foto la locandina del film
142
Alain Resnais (1922) fu uno degli ispiratori teorici della Nouvelle
Vague anche se non vi aderì mai ufficialmente. Autore di oltre una
ventina documentari, tra i quali Van Gogh, con il quale vince l'Oscar
per il commento scritto da Gaston Diehl e Robert Hessens, e
Guernica che accosta le opere di Picasso all'orrore del
bombardamento della cittadina basca, nel 1961 dirige L'anno scorso a
Marienbad, scritto da Alain Robbe-Grillet. Il film, punto di
riferimento dell’ école du regard, è un complesso esperimento di
decostruzione narrativa con evidenti rimandi al contemporaneo
Nouveau Roman, di cui Robbe-Grillet è l'esponente principale. Come
già in Hiroshima mon amour, i film successivi sono segnati da un
forte impegno politico: Muriel, il tempo di un ritorno (1963) racconta
gli effetti traumatici della guerra d'Algeria su un giovane soldato; La
guerra è finita (1966) è la storia di un tormentato militante
antifranchista spagnolo interpretato da Yves Montand. Fra i film
diretti: Stavisky il grande truffatore (1974), Providence (1977),
Mio zio d'America (1980) La vita è un romanzo (1983). Il più recente
è Cuori (2006), sconsolata commedia sulla solitudine premiata alla
Mostra di Venezia con un Leone d'argento alla regia.

162
richiama alla mente il già citato La Rabbia di Pasolini. Il docu-
film è strutturato con un montaggio di natura poetica. La
scrittura filmica è di denuncia e ammonimento al tempo stesso
(a volte anche ironica, come nella descrizione delle torrette dei
campi di sterminio). Girato nel sito di Auschwitz ha il
dominante commento del poeta partigiano, deportato a Gusen in
Germania, Jean Cayrol, letto da Michel Bouquet.
Un docu-film quello del regista dell’École du regard (autore fra
l’altro di Hiroshima mon amour del 1959, soggetto e
sceneggiatura della scrittrice Marguerite Duras, altro
capolavoro di genere, con un inizio davvero sconvolgente che
propone le immagini di un rapporto amoroso con quelle di
morte girate in un sanatorio della città colpita dalle radiazioni
nucleari) che possiamo sicuramente indicare come uno dei
docu-film più emblematici e citati. Si pensi al film di Godard
Une femme mariée (1964) e alla scena di Anni di piombo (1981)
di Margarethe von Trotta, nella quale giovani tedeschi, alcuni
dei quali destinati a intraprendere la strada del terrorismo,
vedono il film, ne restano scioccati e ne discutono, soprattutto
per quel che riguarda “le colpe dei padri”.
Il titolo del film è ispirato al nome dato dai nazisti ai deportati
nei campi di sterminio: NN (iniziali di Nacht und Nebel),
simbolo del silenzio gettato sulla loro sorte. E’ anche il nome
con il quale è noto il decreto del 7 dicembre 1941 (si noti la
coincidenza con l’attacco giapponese a Pearl Harbor), firmato
dal maresciallo Wilhelm Keitel, che ordinava la deportazione
per tutti i nemici e gli oppositori del III Reich. In seguito al
decreto, tutti coloro che rappresentavano un pericolo per la
sicurezza delle forze armate tedesche (sabotatori, resistenti,
intellettuali ecc., ma anche diversi e malati) dovevano essere
internati nei lager. Con il decreto veniva stabilita
l’inapplicabilità di tutte le convenzioni internazionali, a partire
da quella di Ginevra del 1929 sul trattamento dei prigionieri di
guerra. La notte e la nebbia alle quali si fa riferimento sono un

163
richiamo al destino di coloro che vengono catturati: nessuno
avrebbe più potuto sapere nulla del loro destino ed i prigionieri
sarebbero scomparsi, appunto, nella notte e nella nebbia.
L’espressione Nacht und Nebel è presente anche nell’opera di
Richard Wagner , nella quale Alberico,
indossato l’elmo magico, si trasforma in colonna di fumo e
sparisce cantando
Il film mostra un lavoro di documentazione che potremmo
definire calmo, sereno e determinato. Questo movimento della
macchina da presa, con morbide carrellate in direzione alternate
e con immagini ora a colori per le riprese del 1955, ora in
bianco e nero per i filmati originali seguenti la liberazione, da
apparentemente neutrale si fa quasi inquisitore. Il film
propone l’attività di sterminio come se il suo procedimento
fosse una cosa ordinaria; come se lo sterminio fosse organizzato
con un metodo razionale e senza alcuno stato d’animo (in una
parola: in modo tecnico). Anche le condizioni in cui i luoghi
dello sterminio sono stati conservati è ben lungi dal mostrare
appieno ciò che una volta vi si perpetrava.
Osserva Flavio Vergerio143:

Più che una ricostruzione storica organica della realtà dei campi
di concentramento il film nella sua sceneggiatura e nella
partizione del testo obbedisce, come altri film di Resnais, al
procedimento del pensiero, suggerendo analogie, accu-
mulazioni, una complessa dialettica di affermazioni e del loro
opposto. Così vengono selezionati e sottolineati, con una sorta
di freddo umorismo che ce ne fa cogliere appieno l’aspetto
agghiacciante, certi aspetti della follia nazista, il loro tentativo
di dare un ordine senza senso, assurdo, a un mondo infernale.
Probabilmente sono più efficaci di qualsiasi ricostruzione
storica le immagini che rivelano la ricerca dello “stile” nella
costruzione delle torrette per le sentinelle, la rievocazione dei
riti che accompagnavano i lavori forzati, l’orchestra che

143
Flavio Vergerio I film di Alain Resnais, Gremese editore, 1994

164
suonava brani di musica classica nel fango del cortile centrale e
soprattutto le terrificanti collezioni di occhiali, di capelli, di
orologi dei deportati, delle loro povere membra o delle pelli
umane. Resnais sviluppa qui uno dei suoi temi preferiti: le
ossessioni della conservazione, dell’accumulo e della
catalogazione (facile pensare ad un rapporto con la biblioteca
museificata di Toute la mémoire du monde144) che si compiono
attraverso la distribuzione e la morte. In Anche le statue
muoiono145 il colonialismo uccide e museifica l’africano, qui il
nazismo uccide i suoi nemici razziali e politici.

Il film, girato e montato dieci anni dopo la fine della guerra, fu


il primo a porre una qualche barriera contro l’avanzata del
negazionismo e a formulare un avvertimento sui rischi della
banalizzazione, ovvero il ritorno in Europa del razzismo e del
totalitarismo.

Ecco il testo finale scritto da Jean Cayrol per Nuit et brouillard


di Alain Resnais:

Mentre vi parlo, l'acqua fredda delle paludi riempie le fosse


dei carnai,
un'acqua torbida come la nostra cattiva memoria.
La guerra è assopita, dorme con un occhio solo.
L'erba ha ricoperto l'Appel-platz e lo spazio intorno ai blocchi.
Il campo è un villaggio abbandonato e ancora pieno di
minacce.
Il forno crematorio è fuori uso.
Le invenzioni naziste sono obsolete.
Nove milioni di morti vagano ancora in questo paesaggio.
Chi di noi veglia da questo strano osservatorio per avvertirci
dell'arrivo di nuovi carnefici boia?
Avranno essi sicuramente un altro viso, un volto diverso

144
documentario di Resnais del 1956 girato nel labirinto
dell’architettura della Biblioteca Nazionale di Parigi
145
documentario di Resnais del 1953

165
dal nostro
Da qualche parte o in mezzo a noi nascono e vivono i nuovi
aguzzini, le spie di domani
Noi guardiamo queste rovine come se il mostro fosse morto
sotto le macerie.
Fingiamo di riprendere speranza davanti a queste immagini
che si allontanano, come se questa peste non potesse più
colpirci soltanto perché fingiamo di credere che tutto ciò è
appartenuto ad una sola epoca e a un solo Paese,
e non pensiamo invece a guardare intorno a noi
to.

166
IV. FILMOGRAFIA

167
L’elenco che segue contiene sia la rassegna dei film e dei
documentari analizzati all’interno di questo volume che una
serie di titoli che hanno affrontato anche in modo indiretto
l’argomento della deportazione, del lager e soprattutto della
questione ebraica, pur se con piccoli – ma importanti –
riferimenti. In questa seconda rassegna non sono stati inseriti i
film relativi alle varie operazioni di guerra pro o contro il
Nazismo, e non ci sono (salvo qualche titolo) i film del
Neorealismo né la cinematografia sulla Resistenza italiana e in
Europa o sui genocidi e gli eccidi.

Ovviamente, vista la vastità del materiale esistente per ogni


genere filmico, tale elenco è ben lontano dall’essere completo.

Per alcune trame di film si rimanda il lettore ai siti web:


- http://www.deportati.it/filmografia/
- http://www.lager.it/film_shoah.html

Alcuni documentari storici possono essere richiesti tramite il


sito http://memoria.comune.rimini.it

168
Film

(trattati nel volume)


Mi ricordo di Anna Frank (2010) di A.Negrin. Film per la TV - p.126
(2010) di G.Diritti - p.40
Il concerto (2010) di R.Mihaileanu - p.50
Bastardi senza gloria (2009) di Q.Tarantino - p.88
La vera storia di Mafalda (2009) di M.Zaccaro. Film per la TV - p.124
Liberté: i rom ai tempi del Nazismo (2009) di T.Gatlif - p.74
Il nastro bianco (2009) di M.Haneke - p.62
Il bambino con il pigiama a righe (2008) di M.Herman - p.66
Miracolo a Sant Anna (2008) di S.Lee - p.42
Il falsario Operazione Bernhard (2007) di S.Ruzowitzky - p.52
Un giardino per Ofelia Tiergartenstrasse 4 (2004) video di Pietro
Floridia, Micaela Casalboni e Paola Roscioli - p.73
Rosenstrasse (2003) di M.von Trotta - p.72
Perlasca (2002) di A.Negrin. Film per la TV - p.123
Il pianista (2002) di R.Polanski - p.69
Comedians harmonists (1999) di J.Vilsmaier - p.55
La Nina dei tuoi sogni (1998) di F.Trueba - p.55
Train de vie (1998) di R.Mihaileanu - p.49
Aimée e Jaguar (1998) di M.Färberböck - p.72
La vita è bella (1997) di R.Benigni - p.60
La tregua (1997) di F.Rosi - p.34
Schindler s List (1993) di S.Spielberg - p.109
Jona che visse nella balena (1993) di R.Faenza - p.65
Mediterraneo (1991) di G.Salvatores - p.57
Il cielo sopra Berlino (1987) di W.Wenders - p.102
Arrivederci ragazzi (1987) di L.Malle - p.64
(1987) di S.Spielberg - p.114
La notte di San Lorenzo (1982) di P. e V.Taviani - p.40
Veronika Voss (1982) di R.W.Fassbinder - p.96
Lili Marleen (1981) di R.W.Fassbinder - p.95
Berlin Alexanderplatz (1980) di R.W.Fassbinder - p.101
L ultimo metrò (1980) di F.Truffaut - p.88
Il matrimonio di Maria Braun (1979) di R.W.Fassbinder - p.95
Il tamburo di latta (1979) di Volker Schlöndorff – p. 62
Holocaust (1978) di M.Chomsky. Film per la tv - p.155
Una giornata particolare (1977) di E.Scola - p.18
Pasqualino Settebellezze (1976) di L.Cavani - p.53
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di P.P.Pasolini - p.78

169
Il portiere di notte (1974) di L.Cavani - p.78
Cognome e nome: Lacombe Lucien (1974) di L.Malle - p.64
Mussolini: Ultimo atto (1974) di C.Lizzani - p.154
Cabaret (1972) di B.Fosse - p.88
La caduta degli dei (1969) di L.Visconti - p.82
Andremo in città (1966) di N.Risi - p.68
La strada più lunga (1965) di N.Risi. Film per la TV - p.128
La grande fuga (1963) di J.Sturges - p.35
Le strane licenze del caporale Dupont (1962) di J.Renoir - p.37
Tutti a casa (1960) di L.Comencini - p.46
Kapò (1959) di G.Pontecorvo - p.28
Un condannato a morte è fuggito (1956) di R.Bresson - p.37
Il generale della Rovere (1959) di R.Rossellini - p.15
Stalag 17 - L'inferno dei vivi (1953) di B.Wilder - p.62
Paisà (1946) di R.Rossellini - p.15
Germania anno zero (1948) di R.Rossellini - p.62
Roma città aperta (1945) di R.Rossellini - p.15
Tiefland (1941) di L.Riefenstahl - p.75
Il grande dittatore (1940) di C.Chaplin - p.49

(altri film)
Shutter Island (2010) di M.Scorsese
Dall altra parte del mare (2009) di J.Sarto
Definance I giorni del coraggio (2008) di E.Zwick
Pizza in Auschwitz (2008) di M.Zimerman
Hotel Meina (2008) di C.Lizzani
The Reader A voce alta (2007) di S.Daldry
Katyn La tragedia Polacca (2007) di A.Wajda
Black book - Il libro nero (2006) di P.Verhoeven
Senza destino (2006) di L.Koltai
Freedom Writers (2006) di R.Lagravenese
Ogni cosa è illuminata (2005) di L.Schreiber
Senza destino (2005) di L.Koltai
La fuga degli innocenti (2004) di L.Pompucci
Camminando sull acqua (2004) di E.Fox
Il Servo ungherese (2003) di M.Piesco, G.Molteni
La zona grigia (2002) di T.B.Nelson
L ultimo treno (2002) di Y.Bogayevicz
La finestra di fronte (2002) di F.Ozpetek
Amen (2002) di C.Gavras
The Believer (2001) di H. Bean

170
Monsieur Batignole (2001) di G.Jugnot
Conspiracy Soluzione finale (2001) di F.Pierson
A torto o a ragione (2001) di I.Szabo
Concorrenza sleale (2001) di E.Scola
Il cielo cade (2000) di A. e A.Frazzi
Jakob il bugiardo (1999) di P.Kassovitz
L allievo(1998) di B.Singer
L isola in via degli uccelli (1997) di S.K.Jacobsen
La settima stanza (1996) di M.Meszaros
Never forget (1994) di J.Sargent
18.000 giorni fa (1993) di G.Gabrielli
Alan & Naomi (1991) di S.Van Wagenen
Europa Europa (1991) di A.Holland
Dottor Korczak (1990) di A.Wajda
Max e Helen (1990) di P.Saville
L orologiaio (1990) di K.M.Brandauer
Marta ed io (1990) di J.Weiss
Oltre la vittoria (1989) di R.M.Young
Music Box Prova d accusa (1989) di C.Costa-Gavras
Nemici, una storia d amore (1989) di P.Mazursky
Le due croci (1988) di S.Maestranzi
L amico ritrovato (1988) di J.Schatzberg
Non dire falsa testimonianza Il Decalogo Otto (1988) di K.Kieslowski
Fuga da Sobibor (1987) di J.Gold
Gli occhiali d oro (1987) di G.Montaldo
Il prezzo della vittoria (1986) di A.De Jong
Tornare per rivivere (1985) di C.Lelouch
In nome dei miei (1983) di R.Enrico.
La scelta di Sophie (1982) di A.J.Pakula
Mephisto (1981) di I.Szabó
Diritto d offesa (1981) di H.Wise
Playing for Time (1981) di D.Mann
La barca è piena (1980) di M.Imhoof
I ragazzi venuti dal Brasile (1978) di F.J.Schnaffner
Giulia (1977) di F.Zinnemann
La vita davanti a sé (1977) di M.Mizrahi
Le deportate della sezione speciale SS (1976) di R.Di Silvestro
Il maratoneta (1976) di J.Schlesinger
La linea del fiume (1976) di A.Scavarda
Mr. Klein (1976) di J.Losey
Diario di un italiano (1973) di S.Capogna

171
I Girasoli (1970) di V.De Sica
Paesaggio dopo la battaglia (1970) di A.Wajda
Il giardino dei Finzi Contini (1970) di V.De Sica
Judith (1965) di D.Mann
L uomo del banco dei pegni (1965) di S.Lumet
Fuga da Mauthausen (1963) di E.Zbonek
La passeggera (1963) di A.Munk, W.Lesiewicz
La ragazza di Bube (1963) di L.Comencini
Il falso traditore (1962) di G.Seaton
I due marescialli (1962) di S.Corbucci
Le quattro giornate di Napoli (1962) di N.Loy
Tiro al piccione (1961) di G.Montaldo
Vincitori e vinti (1961) di S.Kramer
L oro di Roma (1961) di C.Lizzani
Vincitori alla sbarra (1961) di F.Rossif
Exodus (1960) di O.Preminger
La lunga notte del 43 (1960) di F.Vancini
Giulietta, Romeo e le tenebre (1959) di J.Weiss
Il diario di Anna Frank (1959) di G.Stevens
La stella di David (1959) di K.Wolff
Hiroshima mon amour (1959) di A.Resnais
I perseguitati (1953) di E.Dmytryk
Odissea tragica (1948) di F.Zinnemann
L ebreo errante (1948) di G.Alessandrini
La settima croce (1944) di F.Zinnemann
Vogliamo vivere! (1942) di E.Lubitsch
Così finisce la nostra notte (1941) di J.Cromwell
Süss l Ebreo (1940) di V.Harlan

Documentari e Docu-Film

(trattati nel volume; sono esclusi alcuni documentari giornalistici)


Binario 21 (2010) di F.Cappa - p.127
Auschwitz 2006 (2007) di S.Costanzo - p.146
Gli ultimi testimoni (2007) di A.Guerrini - p.143
Se questo è un uomo (se questa è una fabbrica) (‘06) di G.Bissaca - p.143
Le rose di Ravensbrück Storia di deportate italiane (2006) di
A.Laurenzi - p.144
Volevo solo vivere (2006) di M.Calopresti - p.146
Dov Auschwitz (2004) di M.Calopresti - p.146

172
Apocalyps in Berlin 1945 (2003) di J.Mullner, A.Greulich - p.150
Broken silence (2002) di P.Chukhrai, V.Jasny, J.Szasz, L.Puenzo, A.Wajda
– p.120
Sobibor 14 ottobre 1943, ore 16.00 (2001) di C.Lanzmann - p.160
Gli ultimi giorni (1998) di J.Moll - p.119
Prigionieri italiani (1998) di M.Sani - p.145
Memoria (1997) di R.Gabbai, M.Pezzetti, L. Picciotto- p.144
Testimoni (1995) di A.Missoni - p.144
1943 La scelta (1993) di M.Calopresti - p.145
Pane pace e libertà: 1943-1945 (1993) di M.Calopresti - p.145
(1993) di M.Sani - p.140
Shoah Olocausto (1985) di C.Lanzmann - p.156
Memories of the Camps (1985) di S.Bernstein - p.149
Tempo del silenzio e della tenebra (1982) di N.Gladitz - p.75
Piazzale Loreto (1981) di D.Damiani - p.140
Il leone del deserto (1979) di M.Akkad - p.142
Nascita di una formazione partigiana (1973) di E.Olmi, C.Stajano - p.139
La tragedia di Cefalonia (1973) di D.Bernabei - p.140
Notte e Nebbia (1955) di A.Resnais - p.162
Il processo di Norimberga (1958) di F.Podmaniczky - p.149
L ultima tappa (1948) di W.Jakubowska - p.149
Nazi Concentration Camps (Usa 1945) di G.Stevens - p.147
Fossoli (1965) di C.Di Carlo - p.136
(1962) di L.Micciché, L.Del Fra, C.Mangini - p.136
Anatomia di un dittatore (1962) di M.Loy - p.136
Benito Mussolini (1962) di P.Prunas. - p.136
(1961) di C.Di Carlo - p.135
Il volto della guerra (1960) di L.Bizzarri - p.136
I sette contadini (1958) di E.Petri - p.135
(1954) di P. e V.Taviani - p.135
Lettere di condannati a morte della Resistenza (1953) di F.Fornari- p.136
Giorni di gloria (1945) di L.Visconti e M.Pagliero - p.134
La nostra guerra (1945) di A.Lattuada - p.135

(altri documentari)
La strada di Levi (2006) di D. Ferrario
Shlomo: un testimone (2003) di G.Sormani
La fuga degli angeli Storie del kindertransport (2000) di M.J.Harris
Uno specialista - Ritratto di un criminale moderno (1999) di E.Sivan
Il signor morte (1999) di E.Morris
Memoria (1997) di R.Gabbai

173
I ragazzi dell Olocausto (1995) di M.Gordon
Terezín Diary Il diario di Terezín (1989) di D.Weissman
L 81° colpo (1974) di H.Gouri, D.Bergman

Note aggiunte
(alcuni titoli con note, con l'intento di segnalare solo alcune opere e
non tutta la produzione fatta nel 2011 e 2012)

Ausmerzen - vite indegne di essere vissute di M. Paolini opera teatrale


trasmessa su LA7 in diretta dal Teatro La Cucina, ex Ospedale Psichiatrico
Paolo Pini di Milano il 26 gennaio 2011.

Con coerenza stilistica il teatro civile di Marco Paolini(di cui ho


pubblicato un "Report Paolini" per questa stessa casa
editrice) va rigorosamente in diretta e, come ormai tradizione,
senza interruzione di spot pubblicitari: l’appuntamento è stato il
26 gennaio alle 21.10 per La7146. Il luogo (un ex ospedale
psichiatrico) scelto dal performer è simbolico per "Ausmerzen
– Vite indegne di essere vissute", terribile ricostruzione delle
ricerche eugenetiche del Nazismo che portarono tra il 1934 e il
1945 alla sterilizzazione e poi alla soppressione di disabili e
malati di mente. Insieme a Paolini una "annunciatrice" in
lingua tedesca che assume anche lei significati metaforici. E i
filmati che appaiono su drappi bianchi appesi sui muri,
immagini di morte. Tutta la pièce - che possiamo definire sullo
stile brechtiano (come peraltro le altre pièces di Paolini) tiene lo
spettatore sempre partecipe nel senso critico, cioè
"consapevole". Non si può abbassare la guardia.
Teatro in televisione o meglio drammaturgia per la Tv: Paolini
punta sulla costruzione drammaturgica attraverso
principalmente la parola in primo piano. È parola che dischiude,
apre, tocca, denuncia... Paolini interpreta i documenti del
passato (lettere ufficiali, testimonianze, numeri) rendendoli testi

146
6,44% di share per 1.709.000 telespettatori

174
da decifrare di continuo, da sviscerare nel loro senso più
profondo. Per non dimenticare.
Uno dei momenti più toccanti è quando Paolini racconta la
storia di Ernest Lossa. Un bambino che resiste alle “cure”,
resiste alla fame. Ruba mele e le distribuisce agli altri. È così
simpatico che gli infermieri del reparto non riescono a fargli la
“puntura”. Dovranno chiamare un’esterna...
"Ausmerzen", ha un suono dolce: è una parola dolce che
nasconde un senso atroce. "Ausmerzen", secondo Paolini,
significa «sradicare», «sopprimere» e ha una sua origine
contadina: nel mese di marzo i pastori sopprimevano tutte
quelle bestie, le più gracili le più inferme, che non sarebbero
state in grado di sopportare la transumanza. Così il Nazismo.
Nel nome dell’eugenetica, Hitler decise di «ripulire il sangue»
della nazione. (Ma questa tesi come sappiamo era per il
messaggio "significante". C'era ben altro "significato" nel
pensiero Nazista!). I manicomi speciali sono la fase precedente
ai campi di sterminio.
Ma questi manicomi sono solo esistiti durante il Nazismo?

Premetto che come ogni anno nel periodo celebrativo della


Giornata della Memoria emergono dubbi sull'efficacia di tale
ricorrenza poiché spesso si avverte che possa prevalere il senso
di un evento-rito, anche con evidenti aspetti commerciali,
rispetto ai significati "politici" dell'anniversario della
liberazione di Auschwitz. Ci siamo più volte posti il problema.
E' nostra convinzione tendere un percorso di memoria tra
passato e presente. Guardare al presente significa registrare la
nostra storia con un approccio "dinamico". Per noi non c'è una
sola Giornata della Memoria, ma 365 giornate della Memoria.
Proprio per entrare ancor di più in questo pensiero attivo come
delle "sentinelle della democrazia e della libertà", agli studenti
ho proposto un corso annuale sulla Memoria. E i giovani video
makers hanno recepito questa proposta andando ad intervistare

175
a loro modo gli ex deportati. Altri studenti hanno realizzato
"corti" su queste tematiche, con risultati originali e creativi.
Ma quello che ancor più è emerso in questo continuo dibattito
sulle tematiche proposte è l'attenzione per ciò che accade oggi.
Come fatto emblematico abbiamo dedicato una lezione al
regista Jafar Panahi condannato dal regime iraniano alla
inattività artistica ed espressiva:
NON E' LIBERO DI SCRIVERE UNA SCENEGGIATURA!
NON E' LIBERO DI SCRIVERE!
NON E' LIBERO!
NON E'!
O come riferimento ai "lager dei nostri giorni" abbiamo posto
l'attenzione su ciò che di recente un gruppo di politici (il
presidente della Commissione d'inchiesta del Senato è Ignazio
Marino) ha filmato durante una visita "a sorpresa" (passata su
RAI3 "Presa Diretta"147) fatta a Barcellona Pozzo di Gotto. In
questo comune di 40 mila abitanti in provincia di Messina c'è
uno dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Vi sono 284
internati in un edificio di fine Ottocento. Ecco cosa scrive
Claudia Fusani148: "Hanno trovato Giovanni, chiuso da 22 anni
nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario Barcellona Pozzo di
Gotto legato ad una rete metallica, senza materasso e piena di
ruggine, con un buco in mezzo a mo' di latrina". Il giornalista
tv, Riccardo Jacona, che commenta le immagini dice: "nel buco
dello scarico di una latrina è calata una bottiglia d'acqua,
d'estate perché stia al fresco d'inverno perché non risalgano i
topi...". Una denuncia che non può non essere rivelata. La realtà
documentata dimostra che il rispetto per l'uomo viene negato
ancora oggi.

147
http://www.youtube.com/watch?v=A535K-IjVjg parte della trasmissione
andata in onda il 23 marzo 2011
148
"Unità" del 26.1.2012, articolo riprodotto
in:www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/79db8d1724c1a4fe34d8a47425
2258b5.pdf

176
Note d’autore tratte da http://www.jolefilm.it:
"Nel territorio del Reich, tra il 1939 e il 1945 centinaia di migliaia di
persone disabili e malati di mente, sono state uccise da medici e persone
impiegate in servizi che dovevano essere di cura: chi dice 200.000, chi di
più. Cittadini tedeschi: prima degli Ebrei, prima degli Zingari, prima degli
omosessuali, prima dei comunisti: prima di tutti, furono passati per il
camino i propri figli mal riusciti, in un mescolio di ragioni razziali
pseudoscientifiche ed economiche, non apertamente dette ma sapientemente
indotte per cui ciò che accadde per mano di pochi, accadde sotto gli occhi di
tutti.
Questa storia non ha testimoni c 'I sommersi' e i
salvati non hanno avuto parola e per molto tempo non hanno avuto rivolte
hé alla domanda di Primo Levi

protagonisti di questa storia una risposta era stata data molti anni prima,
nel 1920, con un piccolo libro che si intitolava così: 'Die Freigabe der
Vernichtung lebensunwerten Lebens' («Il permesso di annientare vite
indegne di vita»). Una storia che è stata schiacciata dai grandi numeri, per
anni è stata tenuta nascosta, la sua conoscenza e divulgazione sono state
scientemente rimosse.
Da chi e perché, sono domande aperte
Come è potuto succedere che medici, infermieri, personale di cura, abbiano
compiuto con fredd
sfrenata brama di uccidere e nello stesso tempo organizzato tutto in modo
neutrale e burocratico, al punto che nessuno riesce a leggere queste cose
Mitscherlich, nel suo
Medicina Disumana, Feltrinelli, 1967. Una storia che molti hanno sentito,
moltissimi ignorano, pochi conoscono. La shoa è stata raccontata a partire

preceduta da altre risoluzioni, da scelte, da persone, da storie che sono state


frettolosamente celate. Lo sterminio dei disabili operato sotto il nazismo è
parte del pensiero occidentale, è un intreccio di cultura, politica, società.
Non è un buco nero isolato, è un picco in una linea di pensiero che parte
molto tempo prima e prosegue, continua dopo la caduta del nazismo.
Raccontare e ascoltare questa storia, obbliga ognuno ad avvicinarsi al
limite, ad affacciarsi al bordo del proprio limite, in silenzio.
Hitler sale al potere nel 1933 e in un clima di rabbia e fame, perché la crisi
economica aveva messo sul lastrico il paese, il regime avvia subito una
massiccia campagna di sterilizzazione in piena attuazione dei principi
eugenetici che oltreoceano, negli stati uniti, e in molti stati europei erano

177
dichiarata al mondo, ma dichiarata prima al proprio interno, per pulire la
razza, per eliminare i mangiatori inutili.
Le prime uccisioni ebbero luogo intorno all'ottobre del 1939, poco prima un
decreto ordinava alle ostetriche e ai medici di dichiarare tutti i neonati che
evidenziavano specifiche malformazioni o patologie e i bambini al di sotto
dei tre anni affetti da simili condizioni. I moduli con cui si dichiaravano i
bambini venivano compilati da ostetriche e medici, che li consegnavano agli
uffici sanitari locali; per evitare confusioni, gli uffici provinciali e statali
tenevano registri e controllavano che i moduli venissero trasmessi al

Fhürer. I periti annotavano un voto accanto ai propri nomi su una carta da


lettere che era preparata dalla KdF (Cancelleria del Fhürer) per ogni
bambino preso in esame; non visitarono mai i bambini e neanche
consultarono la casistica medica esistente. Come nelle moderne strategie
per nascondere i profitti, si creavano comitati e società inesistenti.

collaborazione: il dipartimento facilitava la collaborazione


dell'amministrazione pubblica, incluso il servizio sanitario, la cancelleria
personale del Fhürer reclutava i medici, le infermiere e il personale per le
uccisioni effettive; mentre i burocrati e i medici lavoravano affinché i
genitori dessero il loro consenso.
Pochi uomini in tutto, in poco tempo, in poche parole. Tutto in una sigla:
T4. Tutto sempre mascherato dove T è la prima lettera del nome della via

numero, per migliaia di omicidi. E anche qui, forse per ironia della sorte, i
nomi delle cose nascondono
La
macchina funziona ma bisogna fare attenzione alla gente, che non è
cia con
una campagna di manifesti, molto eloquenti, ma si sviluppa anche una ricca

sono clamorosamente c

Poi nel 1941 esce Ich Klage an (Io accuso). Serve per giustificare le misure
prese e mettere a tacere le critiche che, nonostante il lavoro
propagandistico fatto, erano ancora numerose.
Tra il 1939 e il 1941 sono più di 70.000 le persone disabili e malate di

178
mente uccise. Tra di esse, oltre 5.000 bambini, sottratti alle famiglie con

luoghi di morte, come alcune testimonianze al processo di Norimberga


documenteranno.
In sei luoghi appositamente allestiti le persone venivano trasferite, uccise
principalmente nelle camere a gas, sperimentando le tecniche che poi
vennero applicate nella soluzione finale, cremate e definitivamente
cancellate.
Nel 1941 il programma ufficialmente cessa, per proseguire in modo meno
eclatante ma paradossalmente per noi in modo molto più inquietante,

dopo la fine della guerra, con un numero di uccisioni che superò di gran
lunga la cifra del biennio precedente, fino a portare complessivamente

il termine da loro utilizzato. Quello che prende avvio nel 1941 è un


mostruoso processo che vede coinvolti i più importanti medici psichiatri,
direttori di istituti di ricovero, infermieri, educatori, assistenti.
Anche questa è la banalità del male: gli uomini possono divenire assassini,
quando viene dato a loro un potere che non viene controllato, quando la
loro coscienza individuale viene sostituita da una coscienza di stato. Queste
persone non si assumono più la responsabilità delle proprie azioni né di
fronte a se stesse né di fronte agli altri; la responsabilità ce l'ha qualcun
altro, il capo, in fin dei conti è il Führer. Nel primo ventennio del secolo
scorso il mondo di lingua tedesca era all'avanguardia negli studi di
medicina, e in particolar modo nel campo della neurologia. Studi resi
possibili anche grazie alla disponibilità di materiale umano.
Com'è possibile che tanti uomini di scienza abbiano visto così da vicino
quanto stava accadendo senza che la loro coscienza ne venisse intaccata?
(Marco Paolini)

179
La chiave di Sara (Elle s'appelait sarah) (2011) di Gilles Paquet-Brenner
Basato su alcuni fatti accaduti nella Francia sotto l'occupazione tedesca

ebree tra cui quella di Joseph, 10 anni. Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio,
oltre 13.000 ebrei furono arrestati a Parigi. Vennero divisi in 2 categorie: le
famiglie con figli e le persone nubili. Le prime, radunate nello stadio del
di
Drancy, alla periferia della capitale francese, in attesa di essere deportati
ad Auschwitz. Ma un mattino Joseph e gli altri bambini vengono separati
dai genitori

Vento di primavera (La Rafle) (2010 ma uscito in Italia nel 2011) di


Roselyne Bosch
Parigi, ai giorni nostri. Julia Jarmond, giornalista americana che vive in

parigini prima di essere deportati nei campi di concentramento.


Lavorando alla ricostruzione degli avvenimenti si imbatte in Sara, una
donna che aveva 10 anni nel luglio del 1942, e ciò che per Julia era solo
materiale per un articolo, diventa una questione personale, qualcosa che
potrebbe essere legato ad un mistero della sua famiglia.
A 60 anni di distanza è possibile che due destini si incrocino portando alla
luce un segreto che sconvolgerà per sempre la vita di Julia e dei suoi cari?
A volte una verità che appartiene al passato comporta un prezzo da pagare
nel presente.

Due film sulla deportazione in Francia. Destini paralleli a quelli


italiani! Da noi i Repubblichini di Salò, in Francia quelli della
Repubblica di Vichy: entrambi complici della follia nazista.
Del primo film eccelle la ricostruzione puntuale
dell'ambientazione del velodromo. Molto efficace è l'apertura
del film scelta dalla regista: il filmato d’epoca in cui si vede
Hitler che passeggia per Parigi coi suoi gerarchi: un vero
esempio di potere. Lui è soddisfatto, guarda i suoi nuovi
territori, le sue acquisite architetture. Come può pensare che la
Tour Eiffel o l'Arco di Trionfo possano essere di qualcuno! La
città è deserta come il cuore di quegli uomini che credono di
possedere il mondo. E’ un deserto dell’anima.

180
This Must Be the Place (2011) di Paolo Sorrentino
"Una storia basata su una rockstar del passato che all'età di 50 anni si veste
e si trucca come quando saliva sul palcoscenico. Cheyenne vive agiatamente
a Dublino. La morte del padre, con il quale non aveva più alcun rapporto, lo
spinge a tornare a New York. Scopre così che l'uomo aveva un'ossessione:
vendicarsi per un'umiliazione subita in campo di concentramento. Cheyenne
decide di proseguire la ricerca dal punto in cui il genitore è stato costretto
ad abbandonarla e inizia un viaggio attraverso gli Stati Uniti.
standing here beside me/I love the passing of time/Never for money/Always
for love /Cover up and say goodnight . . . say goodnight/Home - is where I
want to be/But I guess I'm already there/I come home - she lifted up her
wings/Guess that this must be the place".

Sempre per amore/Copriti ed augura la buonanotte/ Casa- è dove voglio


essere/Ma mi sa che ci sono già/ Vengo a casa-lei ha sollevato le ali/Sento
che questo dovrebbe essere il posto".)
Il testo della canzone dei Talking Heads che dà il titolo al film e riveste un
ruolo in una delle scene più importanti e intense rappresenta una sorta di
sintesi di questa opera in cui Sorrentino torna al lucido intimismo degli
esordi sotteso costantemente da una ricerca che si fa percorso di vita. (...)
Cheyenne si trascina dietro un bagaglio di situazioni irrisolte. Prima fra
tutte la dinamica dei rapporti con la figura paterna. È un Edward
Manidiforbice dei nostri giorni Cheyenne/John Smith. Un essere umano che
il padre ha creato e, al contempo, limitato trasmettendogli inconsciamente
un'ossessione che il figlio scoprirà solo dopo la sua morte. Il castello in cui
Edward/Cheyenne si è rinserrato è il suo aspetto esteriore che al contempo
lo lega al passato ormai amato/odiato e lo separa dal presente. Sean Penn è
straordinario nel disegnare, ancorandolo alla realtà, un personaggio che
potrebbe ad ogni inquadratura dissolversi nel grottesco o nella caricatura.
Quest'uomo che fa di tutto per essere riconosciuto e, al contempo, nega
pervicacemente con tutti la propria identità. Ha la complessità di quelle
figure che si imprimono con forza nell'immaginario cinematografico. Un
personaggio che, anche
compie un lungo viaggio per ritrovare un posto
dentro di sé".149

Alla ricerca delle radici, potremmo definire questo film. Ma


preferiamo dire: alla ricerca della memoria perduta. Sì, perché
quella necessità che avverte il protagonista del film di
149
Giancarlo Zappoli da www.mymovies.it/film/2011/thismustbetheplace/

181
Sorrentino, di ritrovare colui che perseguì il padre è quella di
ritrovare la propria storia. Cioè quella storia che per un tratto
dell'esistenza della rockstar era stata cancellata.
Per il regista la scelta finale di impartire al gerarca nazista la
stessa pena di milioni di internati (camminare nudo e al freddo)
crediamo che sia comunque una scelta sofferta. In quanto porta
con sé una vendetta, un'azione "equivalente" che difficilmente
noi possiamo tollerare. Ci sarebbe bastato come Cheyenne
guarda quell'uomo che la storia non ha assolto: è uno sguardo
che porta con sé il non perdono, il disprezzo per quel vecchio,
anche lui in fuga dal proprio passato, nel deserto di neve che il
regista ha magnificamente filmato.

The Reader - A voce alta (The Reader) (2007) diretto da Stephen Daldry
Partiamo dalla seconda parte del film: Michael è studente di
giurisprudenza all'università di Heidelberg e nell'ambito di un corso di
specializzazione assiste nel 1966, con il suo docente a un processo di ex
guardie delle SS nei campi di concentramento: con sorpresa riconosce
Hanna (che è stata la sua amante) tra le sei donne imputate di aver lasciato
morire, durante la grande marcia di spostamento dei prigionieri dai campi,
nel 1945. Erano oltre trecento donne ebree in una chiesa, dove queste si
erano rifugiate per passare la notte, che fu avvolta dalle fiamme a causa di
un bombardamento alleato. Durante il processo, viene inoltre a scoprire che
la donna aveva l'abitudine, durante il suo lavoro come guardia, di
costringere le prigioniere, specialmente le più deboli, a leggere per lei ad
alta voce prima che venissero mandate alla camera a gas: era quindi
sembrata volerle proteggere, ma infine non le risparmiava dalla loro tragica
sorte. Le altre imputate inoltre, indifferenti durante il processo, accusano
Hanna d'essere l'unica responsabile della strage sulla base di un
documento, che la donna avrebbe redatto all'epoca come rapporto ai suoi
superiori: nonostante che Hanna riconosca tale responsabilità e venga
condannata a vita, mentre le altre donne ebbero una pena risibile, Michael
sa che ciò non poteva essere vero, in quanto, e se ne rende conto solo allora,
la donna durante la loro breve relazione aveva dimostrato più volte di non
saper né leggere né scrivere. Capisce tuttavia che ciò che la spinge al
silenzio è la vergogna del proprio analfabetismo: Michael non lo sa, ma lo
spettatore intuisce che è la stessa vergogna che l'aveva portata, anni prima,

182
a far perdere le sue tracce dopo la promozione ad impiegata di ufficio, e
forse, ancora prima, ad arruolarsi con il ruolo di sorvegliante nelle SS, per
sfuggire ad una meritata promozione nelle industrie Siemens.
Passano ancora gli anni e Michael, ormai già sposato, divorziato e padre di
una figlia, ricordandosi della sua giovanile storia d'amore e conoscendo la
sorte di Hanna, decide di inviarle periodicamente delle registrazioni nelle
quali egli legge ad alta voce dei romanzi, come aveva fatto tanti anni prima
durante la loro relazione. La donna, ormai invecchiata, si procura i testi
scritti di ciò che riceve registrato a voce ed impara in questo modo a
leggere e a scrivere.
Alcuni anni dopo, un'assistente del carcere contatta Michael in quanto
Hanna, prossima a uscire dal carcere, non ha contatti con altre persone se
non con lui. Egli si reca a trovarla una settimana prima della scarcerazione
ma alla domanda di lui, se abbia mai pensato al suo passato di carceriera e
criminale di guerra, Hanna risponde con durezza: «che cosa sarebbe
cambiato? i morti sono morti». Michael si irrigidisce e conclude
freddamente l'incontro, senza peraltro comprendere un'altra frase
pronunciata dalla donna: «...che cosa ho imparato? Ho imparato a
leggere», che riassume la tragicità della sua esperienza e offre una parziale
ma impietosa rilettura di sé. Il giorno prima della data prefissata Hanna si
suicida nella sua cella.

Ci soffermiamo su questo film (la cui visione offre più piani di


lettura critica) in quanto ci offre lo spunto per riaffrontare un
tema assai delicato: quello della "responsabilità". Lo possiamo
inerire nel filone di "Kapò", cioè sulle scelte dovute a
circoscritte situazioni. Difficili da giudicare. Sono tematiche
ampiamente dibattute. Così come quelle che ci offrono
la sentenza dell'Aja emanata il 3 febbraio 2012 dalla Corte
Internazionale di Giustizia che rappresenta un momento
importante del contenzioso apertosi tra Italia e Germania sulle
riparazioni dovute a cittadini italiani per i crimini di guerra
commessi dalle forze armate del Terzo Reich in Italia.
E' una ferita aperta. Che anche i tedeschi portano ancora con sé.

183
184
SITOGRAFIA
www.massimopuliani.blogspot.com
www.facebook.com/massimopuliani
http://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Puliani

e.mail: massimopuliani@tin.it

Massimo Puliani è docente di prima fascia Accademia di Belle


Arti di Macerata (insegna nel Corso di Comunicazione Visiva
Multimediale e Spettacolo) E' stato docente di Storia dello
Spettacolo all'ABA di Urbino e docente di Istituzioni di Regia al

Intensa l
cinema e Tv. Si occupa di eventi multimediali e promuove festival
tematici: ha diretto fino al 1993 TeatrOrizzonti di Urbino (sulla
nuova scrittura scenica); ha promosso la celebrazione del
centenario beckettiano a Macerata, a Cagli e al DAMS di Bologna .
Come regista ha realizzato oltre 20 produzioni teatrali (fra cui opere
di Beckett, Genet e Majakovskij), e multimediali televisive (fra cui la
Sanguineti e Stefano

stato direttore della Stagione Teatrale


del Teatro della Fortuna di Fano (dal 1998 al 2002), del Teatro
Stabile in Rete della Provincia di Pesaro e Urbino (1999-2003), della
Rete del Teatro Stabile delle Marche (dal 2003 al 2006).
Dirige dal 2007 il Centro Studi Multimedia Marche.

185
.

Teatro
della
Memoria
Samuel Beckett, Thomas
Bernhard, Renato Sarti,
Giorgio Strehler, Moni
Ovadia, Arnoldo Foà,
Ascanio Celestini, Marco
Paolini - Il caso
Fo/Albertazzi
di Massimo Puliani
ISBN 978-88-97045-
01-4

Un percorso nella drammaturgia e nella produzione video


teatrale di alcuni protagonisti della nostra scena
contemporanea, a cominciare da Beckett (e il suo impegno
nella Resistenza francese) a Giorgio Strehler e Paolo Grassi
che edificarono il Piccolo Teatro di Milano nella ex caserma
Muti luogo di prigionia e di torture, da Thomas Bernhard (con
la sua pièce interpretata da Valeria Moriconi) a Renato Sarti,
autori che descrivono con sarcasmo e inquietudine
mana tra le pieghe della storia

alle stor

186
Sergente di Rigoni Stern e Paolini.

La Memoria
Garanzia di
Libertà
Storie di deportazioni
raccontate dagli Internati
Militari Italiani e altre storie
di prigionia nelle Marche
(docu-interviste, diari di
guerra e mappatura degli
archivi on-line)
di Massimo Puliani
ISBN 978-88-97045-05-2

Un viaggio multimediale nella Visione della Guerra attraverso


la memoria degli ex deportati. Diari, documenti e riflessioni
sulla deportazione e la prigionia degli I.M.I. Internati Militari
Italiani. Con due capitoli dedicati a Pasolini e la morte del
fratello (una storia italiana dentro la storia) e a Claudio
Magris con il suo discorso al Quirinale per la Giornata della
Memoria del 2009. In questo primo volume si propone una
sezione sui Nuovi Media con una mappatura dei siti internet,
degli archivi e dei video scaricabili su YouTube. Il lettore potrà
anche accedere ad un archivio on-line che contiene undici
interviste a persone che hanno subito la deportazione. Chi è

187
interessato potrà richiedere il DVD

Report
Paolini
Informazione/Spettacolo
Verità/Finzione
di Massimo Puliani
Alessandro Forlani
ISBN 978-88-97045-02-1

Esiste un genere di spettacolo che si nutre di Informazione, di


Cronaca, di Politica? Esiste un caso Marco Paolini? O meglio,
una fenomenologia riferita al Teatro di Paolini in TV? Perché
questo interesse mediatico nei confronti di un attore la cui
poetica è da sempre contrassegnata da uno stile affabulatorio,
che coniuga sensibilità narrativa, impegno civile e creatività
linguistica? "Report Paolini" è un'originale riflessione
multimediale di studiosi e giornalisti sul Teatro in Televisione

Interviste: Ilvo Diamanti Milena Gabanelli Giovanna

188
Marini Marco Paolini

– Il costo del DVD è di 5 €)

Applicazioni
Digitali
nell'era del
Web 2.0
I nuovi modi di gestire le
informazioni e le relazioni in
internet
di Matteo Catani
Presentazione
di Massimo Puliani
ISBN 978-88-97045-07-6

Con il Web 2.0 la storia di internet ha fatto un ulteriore

che modula la sua navigazione fra loop dell'informazione e


applicazioni complesse (Stand-Alone o Web Application) o
interfacce semplici e intuitive (User frendly).
Tutti sono messi in condizione di pubblicare contenuti, nei vari
Blog presenti in rete, da Flickr per la fotografia, a YouTube o
Vimeo per i video, ai vari Chi non entra in internet è quindi
fuori da questo sistema che ormai dà cittadinanza attiva a
milioni di utenti. Come si ottengono la chiavi d'accesso a
questo nuovo modo di informarsi e relazionarsi?
Il libro vuole essere una visione d'insieme di questo

189
uzione in Internet e fornendo,
come un piccolo manuale, le basi che i nuovi utenti del web 2.0
dovrebbero necessariamente conoscere.

Il Sipario
Digitale
La conversione
multimediale del teatro in
tv: De Filippo, Carmelo
Bene, Ronconi, Beckett,
Barberio Corsetti, Paolini.
di Massimo Puliani

Quale teatro in Tv? Ecco la prima, ricorrente, domanda.


Adattamento, traduzione/tradimento, riproducibilità o
reinvenzione della drammaturgia per il video? Multimedialità e
interattività di codici linguistici differenti ma confluenti o
nuovo linguaggio autonomo?
E le nuove straordinarie potenzialità che vengono dalla
tecnologia potranno sempre più favorire sviluppo e ricerca
nella scrittura video-teatrale? Da queste iniziali domande

analisi e studio sul linguaggio teatrale nella multimedialità

190
delle nuove tecnologie.

Pubblicazioni dell’Halley

Play
Beckett
Visioni multimediali
nell'opera di Samuel
Beckett.
Con DVD contenente parte
delle opere video di Beckett
di Massimo Puliani
Alessandro Forlani
ISBN 978-88-75891-50-3

In occasione del centenario di Samuel Beckett (13.4.2006)


un'originale ricognizione critica della sua opera multimediale,
nata dall'avvertimento di un punto di rottura, un'insofferenza
dei confini della pagina e del palcoscenico. Raccoglie
contributi di carattere critico (tra cui uno scritto del suo
cameraman Jim Lewis); testimonianze e analisi registiche,
attoriali e drammaturgiche di coloro che hanno lavorato e
tutt'oggi lavorano sull'opera beckettiana utilizzando la
multimedialità. Fra i saggi: Beckett e Keaton: fuori e dentro
(di Gualtiero De Santi), Il
Bianco-Nero per una cromatologia beckettiana (di Valentino
Bellucci), Respiro e la negazione di Oh Calcutta! (di Federico
Platania), That Time di Samuel Beckett interpretato da Julian
Beck (di Anna Maria Monteverdi), Sandro Lombardi demone

191
meridiano in Come è per la drammaturgia di Franco Quadri,
Krypton: punto di ri-partenza Beckett, Omaggio a Carlo
Quartucci: Beckett Primo Amore, ecc.

Svoboda
Magika
Polyvisioni sceniche di
Josef Svoboda.
Con Video CD contenente
le scene degli spettacoli a
Macerata realizzati da
Svoboda
di Massimo Puliani
Alessandro Forlani
ISBN978-88-75891-51-0
.

"SvobodaMagika" racconta tre storici allestimenti teatrali del


maestro di meraviglie scenografiche Josef Svoboda:
"Intolleranza 1960", "Faust/Frammenti I e II parte" e "La
Traviata".
L'opera di questo "scienziato artigiano" è illustrata sia
attraverso contributi critici (tra cui un contributo di Ida De
Benedictis), sia tramite la testimonianza dello scenografo stesso
(intervistato da Franco Quadri) e di coloro che hanno avuto
l'onore di lavorare al suo fianco (Giorgio Strehler, Luigi Nono,
Henning Brockhaus), nonché attraverso due recensioni critiche
di Giulio Carlo Argan e Eugenio Montale.

192
Gaberscik
Il teatro di Giorgio Gaber:
testo, rappresentazione,
modello.
Con DVD contenente una
ricostruzione di “Aspettando
Godot” con Gaber attraverso
le foto di Enrica Scalfari
di Massimo Puliani
Alessandro Forlani
Valeria Buss
ISBN 978-88-9920-30-5

Dopo numerosi libri sulla vita e su Gaber cantante, finalmente


un saggio sulla drammaturgia che approfondisce la scrittura e

L'opera, soffermandosi sulla scrittura scenica di Gaber e sulle


interpretazioni avvenute dopo la scomparsa dell'autore/attore,
costituisce un'indagine sulla drammaturgia di Gaber/Luporini.
Nella prima parte si sono presi in esame le drammaturgie e gli
allestimenti storici. Il testo indaga inoltre il rapporto di Giorgio
Gaber con l'opera di Samuel Beckett, che portò alla messa in
scena nel 1990. Nella seconda parte del volume, che raccoglie
contributi e testimonianze di registi, attori, critici teatrali, si
affronta il problema di rappresentare oggi "Gaber senza
Gaber" attraverso prove di attori (da Neri Marcorè a Eugenio
Allegri, Giulio Casale, Luca Barbareschi ecc.) e interpretazioni
registiche.

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DOVE ACQUISTARE LE PUBBLICAZIONI

www.lafeltrinelli.it

www.ilmiolibro.kataweb.it

www.ibs.it

www.webster.it

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www.hacca.it
(PlayBeckett e SvobodaMagika e Gaberscik)
Dove acquistare i DVD
www.centrostudimultimedialibri.blogspot.com

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Centro Studi Multimedia >> Libri+DVD
corso Matteotti 4 - 61032 Fano (PU)
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Autorizzazione Trib. di Pesaro n. 358 del 16/1/92

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