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Università degli Studi Roma Tre

Dipartimento di Economia

Corso di laurea magistrale in Economia dello sviluppo

Tesi di Laurea in
Economia e politica agroalimentare

La multifunzionalità agricola e lo sviluppo umano nelle regioni italiane

Candidato: Relatore:
Tommaso Bartolino Prof. Fabrizio De Filippis

Correlatori:
Dott. Roberto Henke
Prof.ssa Julia Mortera

Anno Accademico 2014/2015


A mio nonno Giulio,
per continua funzione di stimolo
e la preziosa collaborazione.
INDICE

Abstract…………………………………………………………………………………… 1

Introduzione e scopo della ricerca…………………………………...………..………… 2

1. Capitolo I - Dall’economia della crescita all’economia dello sviluppo ……………….. 4


1.1 Le teorie della crescita ………………………………………………………………… 4
1.2 Limiti delle teorie della crescita e differenza tra crescita e sviluppo …………………. 7
1.3 Teorie dello sviluppo economico …………………………………………………....... 9
1.3.1 Lo sviluppo come modernizzazione o cambiamento strutturale ……………..... 10
1.3.2 Le Teorie dello sviluppo della scuola di Kuznets ……………………………... 12
1.3.3 Le Teorie della dipendenza ……………………………………………………. 13
1.3.4 Teoria dei basic needs …………………………………………………………. 14
1.4 Human Development and Capability Approach …………………………………….. 15
1.5 Gli indicatori del benessere e l’Indice di Sviluppo Umano …………………………. 19

2. Capitolo II – La multifunzionalità nell’agricoltura ………………………………….. 24


2.1 Cenni storici sulla nascita del concetto …………………………………………….... 24
2.2 Caratteristiche della multifunzionalità ………………………………………………. 28
2.2.1 Esternalità ……………………………………………………………………… 31
2.2.2 Beni pubblici …………………………………………………………………... 32
2.2.3 Multifunzionalità e aspetti simili …………………………………………….... 34
2.3 Le funzioni attribuite alla multifunzionalità nell’agricoltura ………………………... 35
2.3.1 Funzioni ambientali ……………………………………………………………. 39
2.3.2 Le funzioni sociali e di sviluppo rurale ………………………………………... 40
2.3.3 Sicurezza alimentare ………………………………………………………...… 41
2.3.4 Benessere degli animali ………………………………………………………... 42
2.4 Il Modello Agricolo Europeo ………………………………………………………... 42

3. Capitolo III – Relazioni tra sviluppo umano e sviluppo agricolo …………………… 44


3.1 Relazioni tra le dimensioni dello sviluppo umano e quelle dello sviluppo agricolo … 44
3.2 Lo sviluppo rurale …………………………………………………………………… 50
3.3 Agricoltura, povertà e Woman empowerment ………………………………………. 54

4. Capitolo IV – L’indice di multifunzionalità dell’ agricoltura e l’indice di sviluppo


umano regionale ………………………………………………………………………... 58
4.1 Introduzione ……………………………………………………………………….. ...58
4.2 L’indice di multifunzionalità agricola………………………………………………... 58
4.2.1 Le cinque dimensioni utilizzare per valutare la multifunzionalità …………….. 59
4.2.2 Risultati ed analisi ……………………………………………………………... 66
4.3 L’indice di sviluppo umano regionale ……………………………………………….. 69
4.3.1 Le sei dimensioni considerate nell’indice ISUr ……………………………...... 70
4.3.2 Risultati e analisi dei dati ……………………………………………………… 76

5. Capitolo V – Relazione tra i due indici proposti …………………………………...… 84


5.1 Introduzione …………………………………………………………………………. 84
5.2 Risultati dell’analisi ………………………………………………………………….. 84

Conclusioni ……………………………………………………………………………... 95

Bibliografia …………………………………………………………………………….. 98

Sitografia …………………………………………………………………………….... 101

Indice delle figure e delle tabelle …………………………………………………….. 105


Abstract

In questo lavoro vengono trattati da un punto di vista teorico e pratico gli argomenti dello
sviluppo umano e della multifunzionalità dell’agricoltura, con un particolare riferimento alle
regioni italiane.
Gli obiettivi principali sono quelli di proporre nuovi e più innovativi parametri per la
misurazione multidimensionale sia dello sviluppo umano che del grado di multifunzionalità
delle aziende agricole nelle diverse regioni italiane. Con la costruzione dell’indice di
sviluppo umano regionale (ISUr), in grado di descrivere sinteticamente il livello di sviluppo
di ogni regione italiana, si cerca di superare i soli aspetti reddituali nella determinazione del
benessere, mentre con l’indice IR (indice di multifunzionalità agricola) si è sintetizzato il
livello medio di multifunzionalità assunto dalle aziende agricole di una determinata area.
Lo scopo ultimo della ricerca è quello di studiare le varie correlazioni esistenti tra i due
concetti presentati, e si è cercato di realizzarlo attraverso alcune analisi statistiche e la
creazione di modelli di regressione e di cluster analysis.
Introduzione e scopo della ricerca

Scopo di questo lavoro è di mettere in rilievo come i diversi aspetti dello sviluppo umano,
quindi di natura non solo economica ma anche sociale, ambientale e politica, risultino avere
un impatto fondamentale sullo sviluppo agricolo ed in particolare sulla caratteristica della
multifunzionalità dell’agricoltura.
Il quesito di fondo alla base della ricerca effettuata è stato dunque il seguente: nelle regioni
italiane caratterizzate da un più alto livello di sviluppo umano sarà maggiore anche il livello
di multifunzionalità assunto dalle aziende agricole, rispetto al livello osservabile nelle
regioni con un più basso grado di sviluppo umano? E viceversa, nelle regioni italiane
caratterizzate da bassi livelli di sviluppo umano vi è una minore propensione verso gli aspetti
multifunzionali dell’attività agricola, confronto a quelli osservabili nelle regioni con più alti
livelli di sviluppo?

Si è cercato quindi di sviluppare una ricerca sperimentale avente come oggetto principale
tanto lo sviluppo umano quanto la multifunzionalità agricola, essendo gli stessi strettamente
correlati tra loro e avendo in qualche modo la capacità di influenzarsi vicendevolmente.
Il lavoro è diviso in cinque capitoli, i primi tre di natura teorica e gli ultimi due metodologica;
nel Capitolo I con un’indagine storico-critica sono stati affrontati i temi relativi del graduale
processo che ha portato l’economia della crescita all’economia dello sviluppo, facendo
particolare riferimento alla teoria dello Human Development and Capability Aprroach
sviluppata da A. Sen. Nel Capitolo II è stata invece esaminata prima la nascita e l’evoluzione
del concetto di multifunzionalità nell’agricoltura e successivamente sono state esaminate le
principali caratteristiche e gli aspetti più rilevanti della multifunzionalità stessa. Inoltre,
seppur sinteticamente, è stato affrontato il concetto relativo al Modello Agricolo Europeo.
Nel Capitolo III sono state evidenziate le correlazioni avvenute nel tempo e quelle attuali tra
lo sviluppo umano e lo sviluppo del settore agricolo, soffermandosi sulle positive ricadute
in tema di povertà, di woman empowerment e per quanto riguarda lo sviluppo rurale. Nel
Capitolo IV, spostando il focus in ambito italiano, si è cercato di dare una visione
prettamente quantitativa dei due concetti trattati precedentemente, prendendo in esame su
basi non solo statistiche ma più in generale sociologiche le varie realtà regionali. Viene
quindi presentato l’indice sintetico denominato ISUr (Indice di Sviluppo Umano regionale)
in grado di descrivere e valutare il livello dello sviluppo delle regioni italiane. L’indice creato
è stato calcolato sulla base di sei dimensioni fondamentali: istruzione, salute, inquinamento,
occupazione, reddito e partecipazione politica e sociale, ognuna delle quali misurata a partire
da uno o più indicatori semplici, selezionati tra i vari censimenti disponibili effettuati
dall’ISTAT. Successivamente viene presentato anche l’indice IR (indice di multifunzionalità
agricola) ideato dall’ISTAT e in questo lavoro rielaborato, costruito per valutare il livello
medio di multifunzionalità delle aziende agricole italiane. L’indice di multifunzionalità
considerato è il risultato dell’aggregazione semplice di cinque pillars ritenuti fondamentali
nella definizione del concetto: tutela del paesaggio, diversificazione delle attività, ambiente,
qualità alimentare e protezione del territorio. Infine nel Capitolo V si analizzano dal punto
di vista statistico sia la relazione esistente tra i due indici proposti, sia la relazione tra i due
concetti alla base degli stessi. Si sono così tratte delle risultanze che si auspica siano ritenute
soddisfacenti.
Capitolo I: Dall’economia della crescita all’economia dello
sviluppo

1.1 Le Teorie della crescita

La concezione teorica di sviluppo è stata storicamente associata a una crescita


prevalentemente economica; in quanto tale e considerandola tra le maggiori priorità
nazionali, i governi si sono serviti degli strumenti di economia politica per raggiungere i
rispettivi obiettivi in vista di un maggiore incremento.
A partire dal XVI secolo iniziarono a diffondersi in territorio europeo i principi teorici
dell’economia mercantilista secondo cui la potenza di uno Stato poteva essere suscettibile di
incrementi significativi se le esportazioni avessero superato le importazioni; in quest’ottica,
la crescita sarebbe dipesa dall’aumento dei mezzi di scambio direttamente controllati dallo
Stato e dall’aumento della detenzione di oro e argento.
Nel 1776 Adam Smith pubblicò uno dei più autorevoli saggi sull’economia mercantilista:
“Un’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, opera che per la prima
volta mise in discussione le teorie economiche considerate fino a quel momento e grazie alla
quale venne ridefinito il concetto di crescita utilizzato fino ad allora.
La grande intuizione di Smith fu quella di individuare nella divisione del lavoro l’origine
della ricchezza e del suo accrescimento: per la prima volta nella storia del pensiero
economico fu infatti considerata la ricchezza di un Paese in termini di prodotto pro-capite e
vennero evidenziati tre fattori fondamentali per la crescita economica interna di un paese:
l’accumulazione di capitale, il progresso tecnico (individuato nella divisione del lavoro) e
l’importanza delle istituzioni nell’allocare in maniera efficiente le risorse per
l’accumulazione. Da quel momento prese piede l’idea di un’economia basata sulla
manifattura e sulle industrie che avesse come obiettivo la crescita economica in un’ottica di
medio-lungo termine.
Con la nascita poi degli stati-nazione e con il rafforzamento della classe borghese, presto si
diffuse la teoria che anche l’economia potesse crescere e produrre una quantità sempre
maggiore di surplus utilizzabile nelle più svariate attività e non più solo finalizzata alla mera
sussistenza nazionale, generando in questo modo una quantità maggiore di beni utilizzabili
in termini di ricchezza e di consumo. 1
A partire da questo momento, la crescita economica iniziò ad essere studiata tramite l’uso di
molteplici modelli, ognuno dei quali aveva l’obiettivo di rappresentare in modo semplificato
e a diversi livelli di aggregazione l’andamento nel tempo delle principali variabili
macroeconomiche quali il reddito, il risparmio, gli investimenti, l’occupazione ecc.
All’interno delle cosiddette interpretazioni “ortodosse” riguardanti le teorie della crescita
oggi ci è possibile individuare due filoni di pensiero ben distinti, ovvero l’approccio
Keynesiano (all’interno del quale ritroviamo le teorie di Harrod e Domar fino ad arrivare ai
più recenti modelli di crescita endogena) e quello di tipo neoclassico (all’interno del quale
trova invece spazio il modello della crescita esogena di Solow e quello di Lewis). 2
Fu’ con il lavoro di Harrod (1948)3, attraverso il quale si cerca di rendere dinamica la Teoria
generale elaborata precedentemente da Keynes, che l’analisi delle componenti quantitative
della crescita tornarono ad essere argomento centrale nel pensiero economico. Intorno agli
anni ’50 e ‘60 del XIX e a partire dalle considerazioni scaturite dagli studi elaborati insieme
a Domar, iniziarono ad essere così elaborati i principali modelli neoclassici di crescita.
In tal senso risultano essere fondamentali gli studi dell’economista Robert Solow che nel
1956 elaborò il “modello neoclassico di crescita”, un modello matematico divenuto
successivamente cardine di tutti i cosiddetti modelli di crescita esogena. La sua teoria studia
la dinamica della crescita economica di un paese nel lungo periodo e l’innovazione
principale del suo studio fu quella di prendere in considerazione la crescita della produttività
come fattore fondamentale avvalorando il ruolo del progresso tecnico e di quello tecnologico
nella crescita economica4. Secondo tale modello, considerando il progresso tecnico come
fattore esogeno (e dunque indipendente da ogni altra variabile), le economie avrebbero
potuto continuare a crescere grazie all’introduzione di nuove tecnologie, in grado queste di
consentire un aumento della produzione con un minore input di risorse utilizzate.
Nei modelli neoclassici di sviluppo, il tasso di crescita di lunga durata è quindi determinato
da fattori esogeni, ovvero al di fuori del modello e non il risultato di equilibrio delle decisioni
fondamentali degli agenti economici, come le quantità di fattori lavoro e capitale da
utilizzare. Una previsione comune di questi modelli è che un'economia convergerà sempre

1
http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES_2009-10/Sviluppo-e-crescita.html
2
Oman, C., Wignaraja, G., Le teorie dello sviluppo economico dal dopoguerra a oggi, Edizioni Universitarie
di Lettere Economia e Diritto. Available at http://www.lededizioni.com/lededizioniallegati/omanteorie.pdf
3
Harrdod F. R., Towards a dynamic economics, (London, 1948)
4
Piras R., Dalla teoria dello sviluppo alla teoria della crescita, Giappichelli Editore, Torino, 2002. Terzo
capitolo Available at:
http://www.ecostat.unical.it/Aiello/Didattica/economia_Crescita/mODELLO%20DI%20SOLOW.pdf
verso un tasso di crescita di stato stazionario, che dipende soltanto dal tasso di progresso
tecnologico e dal tasso di crescita della forza lavoro. Un paese con un più alto tasso di
risparmi avrà dunque uno sviluppo più veloce, ma tuttavia, nel lungo periodo,
l’accumulazione di capitale sembra essere meno significativa dell’innovazione tecnologica5.
Nei modelli neoclassici di sviluppo vi è quindi l’idea che i livelli di reddito dei Paesi poveri
tenderanno ad avvicinarsi e raggiungere o a convergere verso i livelli di reddito dei paesi
ricchi. Tale convergenza, tuttavia, non si è verificata come ci si aspettava. Dagli anni ‘50, si
è invece osservato, mediamente, il risultato empirico opposto. Inoltre, il modello non spiega
come o perché il progresso tecnologico accade.6
Dati i numerosi limiti posti dai modelli di crescita esogeni, secondo i quali una serie di fattori
risultano immodificabili (ovvero non dall’intervento diretto della politica economica) e data
la netta discrepanza fra teoria e risultati empirici ottenuti, nel corso degli anni ‘80 e ‘90 si è
assistito alla diffusione di una nuova serie di modelli di crescita definiti “modelli di crescita
endogena”. Le teorie della crescita endogena, i cui maggiori innovatori furono Lucas e
Romer, si contrappongono dunque ai risultati espressi delle teorie esogene, in quanto
ricercano elementi interni alla sfera economica (e quindi all’analisi economica) che siano in
grado di condizionare la crescita della produttività, di conseguenza potenzialmente
differente a seconda dei paesi considerati. Secondo le teorie della crescita endogena7, il tasso
di crescita del prodotto pro-capite dipende da variabili interne al sistema economico e si basa
sulla constatazione di una mancata convergenza dei tassi di crescita nei livelli di reddito dei
differenti Paesi (convergenza che invece si sarebbe dovuta verificare a livello teorico nei
modelli di crescita neoclassici). Una delle principali novità è rappresentata dall’importanza
data al capitale umano inteso quale il risultato degli investimenti nella formazione e
nell’istruzione dell’individuo. Nel modello, tanto la quantità di capitale umano impiegata
nella produzione, quanto il progresso tecnico vengono considerate variabili endogene e
dipendenti da decisioni soggettive.
In questo modo viene superato e risolto uno dei principali problemi posti in essere dalle
teorie neoclassiche, ovvero il raggiungimento dello stadio stazionario (stady state). Al
contrario, secondo il modello di cui sopra la crescita non rallenterebbe con l’accumularsi del
capitale e il tasso di crescita dipenderebbe dai tipi di capitale in cui un paese decidesse di
investire; pertanto la specializzazione di un paese nella produzione di alcuni beni potrebbe

5
http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES_2014/Modello-di-Solow.html
6
http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES_2014/Modello-di-Solow.html
7
http://spol.unica.it/didattica/Usai/Economia%20internazionale/capitolo2bis(da%202.7).pdf
determinare un più alto o più basso tasso di crescita a seconda del maggiore o minore grado
di progresso tecnico incorporato nei mezzi di produzione favorito dalle diverse
specializzazioni.8 Fra le teorie della crescita sviluppatesi nel tempo è facile notare come vi
siano state significative discrepanze tra i teorici (in particolar modo per quel che riguarda
l’interpretazione della chiave della crescita e i modi attraverso cui poterla realizzare);
ciononostante la definizione di crescita economica venne univocamente intesa come
l’insieme degli aspetti quantitativi legati allo sviluppo e misurati attraverso le principali
grandezze macroeconomiche (reddito nazionale, investimenti, occupazione, ecc.).
Oltretutto era comunemente diffusa la convinzione che la crescita economica fosse in grado
di produrre un generale innalzamento delle condizioni di vita della popolazione grazie al
presupposto secondo cui i guadagni derivanti dal processo di crescita del Pil pro-capite e
complessivo avrebbero generato effetti positivi sull’intera popolazione (ad esempio creando
nuovi posti di lavoro, producendo opportunità economiche e standard di vita più elevati,
riducendo povertà e disuguaglianze). Ciononostante, tale aspettativa non si è effettivamente
verificata: si è invece osservato come la crescita economica abbia registrato fasi di
accelerazione e fasi di ristagno il cui alternarsi non consente di intendere lo sviluppo come
un processo armonico che vede tutti i paesi progressivamente avvicinarsi al reddito pro-
capite dei paesi “ricchi”. 9

1.2 Limiti delle teorie della crescita e differenze tra Crescita e Sviluppo

La crescita economica intesa come l’aumento del prodotto nazionale non andrebbe confusa
con il più ampio concetto di sviluppo; sebbene i due concetti risultino essere abbastanza
simili, in realtà presentano differenze sostanziali. La crescita economica si riferisce ad una
dimensione prettamente quantitativa, intendendo l’aumento del prodotto nazionale come
l’aumento nel tempo di un indicatore specifico (come il reddito pro-capite reale, il Pil
ecc.). Lo sviluppo economico invece include al suo interno anche elementi di tipo
qualitativo e non ignora nè i fenomeni economici nè tantomeno quelli sociali e culturali,
includendo invece questi tra quegli elementi capaci di determinare la crescita del reddito
pro-capite (ad esempio considerando le variabili inerenti l’istruzione, il tasso di

8
http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES_2009-10/Sviluppo-e-crescita.html
9
Farina F., Economia dello sviluppo, Università di Siena, Available at
http://www.dispi.unisi.it/sites/st06/files/allegatiparagrafo/30-09-2013/economia_dello_sviluppo-
prof_farina.pdf
alfabetizzazione, la salute, l’inquinamento ecc.). La crescita economica appare dunque
come un elemento dello sviluppo economico e non rappresenta che una dimensione, sia pur
importante, del più complesso e articolato fenomeno dello sviluppo. La crescita si limita a
generare un aumento della produzione e/o del reddito, pur non dandoci alcun indizio circa
la qualità delle attività economiche ad essa correlate. Se da un lato è pur vero che essa
rappresenta una condizione necessaria ad uno sviluppo economico quantitativo, allo stesso
tempo non è sufficiente perché si raggiunga lo sviluppo inteso in senso lato; in altre parole,
un aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL) di un dato Paese o di una regione non
comporterebbe automaticamente un miglioramento economico e sociale per i singoli
cittadini. Lo sviluppo economico inoltre non si occupa solo del problema della crescita, ma
riprende in considerazione temi di portata mondiale, quali ad esempio quello dell’evoluzione
demografica, della lotta alla povertà estrema e verso uno sviluppo sostenibile, giusto per
citarne alcuni. Negli anni più recenti sono stati realizzati una serie di studi volti ad analizzare
ed interpretare i limiti posti in essere dalle differenti teorie della crescita economica; già nel
1972 con un lavoro commissionato al MIT dal Club di Roma (denominato “The limits of
Growth” e basato su una simulazione al computer) vennero evidenziati i possibili effetti
negativi che la crescita della popolazione e quella economica avrebbero potuto arrecare
sull’ecosistema terrestre. 10 Ulteriori critiche sono state mosse in merito al fatto che la
crescita economica non abbia portato nel corso del tempo ad una migliore distribuzione del
reddito pro-capite come invece ci si auspicava che accadesse; al contrario anche la crescita
(intesa puramente in termini economici) è stata considerata come uno dei fattori in grado di
contribuire ad un generale aumento della disuguaglianza e della disparità tra i paesi del nord
e del sud del mondo. Anche la relazione tra la crescita economica e il consumo delle risorse
risulta essere negativa, considerando che la stessa porterebbe rapidamente allo sfruttamento
(e dunque all’esaurimento) di risorse non rinnovabili.

In ultimo si può dire che la crescita economica che ha investito e trasformato le cosiddette
“aree metropolitane industriali” dei principali paesi occidentali e mondiali, ha fatto si che la
polarizzazione verso le aree metropolitane generasse un progressivo abbandono di molte
aree del territorio, acutizzando di conseguenza il fenomeno dell’emarginazione progressiva
delle aree rurali ed interne limitandone fortemente lo sviluppo. Concludendo, risulta
fondamentale continuare ad analizzare ed immaginare nuovi modelli di sviluppo,

10
http://www.clubderoma.net/memorias/cecor_memoria_2002anexos.pdf
maggiormente adeguati alle esigenze e alle potenzialità delle aree più marginali e che diano
anche ad esse la possibilità di apportare il proprio contributo allo sviluppo globale.

1.3 Teorie dello sviluppo economico

Come detto poc’anzi, i primi studi sull’economia dello sviluppo affondano le loro radici già
in alcuni scritti di Adam Smith, che per l’appunto fu uno dei primi a porre l’attenzione
sull’analisi di lungo periodo dell’economia e sui problemi legati al suo sviluppo nel
tempo. Anche nei lavori di Joseph Schumpeter (risalenti all’inizio del XX secolo) è
possibile individuare una rottura significativa con la tradizione classica e una prima
elaborazione di un modello dinamico di sviluppo.11
Ciononostante, e benché i lavori di entrambi gli economisti siano risultati fondamentali per
quelli successivi, possiamo affermare che fu l’economista Arthur Lewis ad intraprendere con
un passo più deciso la strada verso un nuovo modello di sviluppo economico. Le sue teorie
sullo sviluppo economico focalizzano l’attenzione sul ruolo strategico giocato dal settore
agricolo, elemento preso in considerazione tanto in vista di uno sviluppo agricolo, quanto
industriale e in grado di garantire un’adeguata produzione di surplus alimentari per il
sostentamento della classe dei lavoratori non agricoltori. Nel 1954 Lewis (premio Nobel per
l’economia nel 1979) formulò il cosiddetto “modello di sviluppo dualistico”. Secondo tale
modello la struttura economica sarebbe caratterizzata da due settori principali: quello
capitalistico: (coincidente con il settore industriale moderno) e quello di sussistenza (settore
prevalentemente agricolo tradizionale). Nel suo modello viene dunque proposta un’analisi
di lungo periodo attraverso cui vengono ricercate le cause che determinano la progressiva
trasformazione della struttura economica da un settore all’altro. Lo sviluppo sarebbe in
questo caso garantito dal passaggio senza costi del surplus occupazionale dal settore agricolo
a quello industriale (promuovendo in tal modo l’industrializzazione) e la capacità di
assorbimento del settore industriale dipenderebbe dal livello di accumulazione di capitale.
La velocità del processo dello sviluppo economico sarebbe evidentemente subordinata al
processo di accumulazione. E’ importante sottolineare che grazie al contributo di Lewis
viene a crearsi un forte legame tra il modello di sviluppo dualistico e i due fenomeni della

11

http://www2.dse.unibo.it/ardeni/Corsi_anni_passati/Economia_dello_sviluppo/Development_economics_IT
A.htm
migrazione e dell’urbanizzazione12. Tuttavia, solo a partire dal 1970 e grazie al modello
proposto da Harris e Todaro, venne fatto un reale tentativo affinché si superassero i problemi
che il precedente modello di sviluppo dualistico aveva lasciato in sospeso, ovvero quelli
riguardanti il fenomeno della migrazione rurale-urbana. Tramite le loro ricerche venne per
la prima volta messa in discussione l’idea secondo cui convenga sempre favorire
l’occupazione nel settore “moderno” sebbene questo sia in grado di offrire salari più elevati.
Il modello da loro proposto presuppone infatti che la disoccupazione sia inesistente nel
settore agricolo e che pertanto i lavoratori che migrano lasciano la certezza (ovvero un
impiego sicuro) per l’incertezza dovuta alla possibile disoccupazione urbana. Oltretutto
osservarono che un aumento del numero di posti disponibili nel settore industriale sarebbe
stato in grado di determinare una migrazione dalle campagne talmente massiccia da
provocare un incremento della disoccupazione nelle aree urbane.
Il risultato principale a cui giunsero i due studiosi fu pertanto che la decisione dei lavoratori
di “migrare” dal settore agricolo a quello industriale era basata principalmente sui
differenziali attesi di reddito tra aree rurali e aree urbane.

1.3.1 Lo sviluppo come modernizzazione o cambiamento strutturale

Ancora diverso risulta essere il pensiero di Withman Rostow, autore di una delle più note
teorie strutturaliste (ovvero quelle secondo cui lo sviluppo comporterebbe una
trasformazione strutturale dell’economia) pubblicata nel 1960 con il titolo “The stages of
economic growth” e attraverso la quale elaborò la famosa “teoria degli stadi lineari della
crescita”.
La sua analisi ci pone difronte ad uno dei più importanti modelli del pensiero economico
riguardanti l’aspetto della crescita economica secondo un’ottica di sviluppo più generale.
L’economista ideò tale modello per tentare di spiegare le cause del fenomeno del
sottosviluppo e secondo la sua concezione, lo sviluppo non è che il graduale avvicinamento
dei Paesi poveri non industrializzati agli standard politico-economici dei Paesi “ricchi”.
L’idea di sviluppo da lui concepita, sotto molti aspetti coincide con il concetto di
“modernizzazione economica” ovvero di industrializzazione. 13 Secondo questa teoria, lo
sviluppo rappresenterebbe un processo evolutivo unidirezionale, nel corso del quale ogni

12
http://www2.dse.unibo.it/ardeni/Corsi_anni_passati/Economia_dello_sviluppo/ESCA_W4_ppt.pdf
13
http://economia.unipv.it/pagp/pagine_personali/gvaggi/teachingmaterials/data/ECONOMIA%20DELLO%
20SVILUPPO/dispense/cap%2005%20classici.pdf
Paese potrebbe passare da una situazione originaria di sottosviluppo ad una successiva di
pieno sviluppo grazie alla capacità che i settori più avanzati hanno nel trainare quelli più
arretrati (VOLPI)14 e passando attraverso cinque stadi (stages) ben distinti:
— il primo stadio, detto delle società tradizionali, è caratterizzato dalla presenza di
un’economia di sussistenza, vale a dire dall’assenza di un settore industriale e da scarsa
produttività del lavoro;
— il passaggio al secondo stadio, detto di transizione, si verifica quando la società o un
gruppo di individui che la compongono, spinti da motivazioni economiche o sociali e
desiderosi di incrementare il proprio guadagno, cominciano a cimentarsi in attività
commerciali;
— si passa alla terza fase (detta di decollo o anche di take off) solo nel momento in cui la
società investe in un buon sistema di istruzione, emana leggi certe, può contare su un
accettabile sistema bancario e finanziario; rappresenta quindi il passaggio definitivo da una
società tradizionale, intesa nel senso più ampio, ad una economia moderna;
— segue la fase dell’economia matura, durante la quale la società, la struttura produttiva e
le istituzioni consentono uno sviluppo in grado di auto-alimentarsi: si afferma-no nuovi
settori (banche, quaternario) e si assiste ad un miglioramento degli standard di vita per la
maggioranza della popolazione;
— l’apice del processo di modernizzazione viene raggiunto solo nel quinto ed ultimo stadio,
che si identifica con la società moderna e con l’età del benessere, caratterizzata da un’elevata
produzione, dal prodursi del consumismo di massa e da una continua crescita economica
(VOLPI). 15
Non mancarono le critiche mosse a tale teoria e la più significativa ha a che fare con il fatto
che non vengano effettivamente spiegati i meccanismi che permetterebbero il passaggio da
uno stadio all’altro dello sviluppo; inoltre risulta difficile pensare che il processo di sviluppo
possa procedere automaticamente e in maniera lineare in ogni Paese senza invece tenere
conto delle immense differenze esistenti tra i vari tipi di società esistenti. Il teorema è infatti
strutturato tenendo conto dell’esperienza di sviluppo delle sole economie occidentali
(considerandole come un modello universale), supposizione in netto contrasto con la realtà
visti gli ostacoli che alcuni paesi, quelli meno sviluppati e quelli in via di sviluppo potrebbero
incontrare. In alcuni casi, come ad esempio è avvenuto per le regioni del Mar Mediterraneo,

14
Volpi F., Introduzione all’economia dello sviluppo, Franco Angeli, 1994.
15
AA.VV. Compendio di Cooperazione ed economia dello sviluppo vol. 44/7, Edizioni Simone, Napoli
2012
lo sviluppo economico si è comunque verificato benché queste non siano passate attraversato
la seconda fase (quella dell’industrializzazione), giungendo direttamente da una società
agricola ad una prevalentemente terziaria.
E`necessario considerare questa teoria come di raccordo tra le teorie delle crescita
economica e la ben più ampia teoria dello sviluppo in quanto effettivamente essa parte dalla
concezione che lo sviluppo non possa essere considerato unicamente in termini economici;
tuttavia considera ancora la modernizzazione come un processo dipendente da una crescita
economica forte.

1.3.2 Le Teorie dello sviluppo della scuola di Kuznets

Tra i principali innovatori in materia di sviluppo economico è necessario citare Simon


Kuznets, primo economista dello sviluppo insignito del premio Nobel. Nel 1969 pubblicò
per la prima volta “sviluppo economico e scrittura”, opera destinata a lasciare un segno
indelebile nel campo dell’economia. Nella sua analisi, Kuznets sostiene che esistano tre
differenti aspetti che interessano lo sviluppo economico: quello aggregato (rappresentato
dalla crescita della produzione aggregata), quello internazionale (basato sulla teoria che non
possano esistere paesi in grado di svilupparsi nell’isolamento internazionale e che al
contrario, lo sviluppo delle nazioni dipenda anche dalle relazioni intrattenute con gli altri
stati sulla scacchiera internazionale), e quello strutturale (secondo cui lo sviluppo
comporterebbe una trasformazione strutturale dell’economia, caratterizzata dal passaggio
dal settore primario verso quelli secondario e terziario).
Molti dei suoi studi tengono in considerazione, tra gli altri fattori, alcune delle caratteristiche
dei paesi sviluppati e quelle dei paesi in via di sviluppo; attraverso l’osservazione di serie
storiche di dati Kuznets cercò infatti di individuare quali potessero essere le variabili in grado
di favorire un più efficiente processo di sviluppo economico. Anche i suoi studi sulla
relazione tra crescita economica e ambiente hanno riscosso un notevole successo. Con la
16
creazione della cosiddetta curva ambientale di Kuznets (EKC) si mette infatti in relazione
la crescita del Pil e il degrado ambientale; attraverso tale modello si osservò come nei primi
stadi di sviluppo, ovvero nel passaggio da un’economia prevalentemente agraria ad una
industriale, questa relazione fosse positiva, per poi convertirsi in negativa subito dopo aver

16
Stern D., The Environmental Kuznets Curve, Department of Economics, Rensselaer Polytechnic Institute,
Troy, NY 12180, USA, 2003. Available at http://isecoeco.org/pdf/stern.pdf
superato una determinata soglia del PIL.
La spiegazione a tale fenomeno venne data secondo la seguente giustificazione:
considerando che con lo sviluppo si verificherà una progressiva riduzione dell’industria e
dell’agricoltura, un conseguente aumento delle attività terziarie porterà con sé un impatto
ambientale nettamente inferiore. Inoltre Kuznets intuì che l’aumento del degrado ambientale
avrebbe coinvolto maggiormente tanto la popolazione quanto le imprese rendendo queste
ultime sensibili ai problemi ad esso connessi e che al crescere del reddito disponibile, i
consumatori avrebbero manifestato una maggiore preferenza nel consumare beni a carattere
ambientale. L’ambiente viene dunque visto come un “bene di lusso” con alta elasticità al
reddito.
Successivamente, tra le teorie del cambiamento strutturale, occuparono un posto rilevante i
lavori di Hollis Chenery 17e Syrquin (1975). Basandosi sulle idee di Simon Kuznets (il quale
pur negando il principio dello sviluppo lineare aveva affermato che i Paesi tendevano ad
avere modelli analoghi di sviluppo) i due studiosi presentarono un’analisi empirica della
ricerca delle regolarità (pattern) di sviluppo delle strutture economiche che a partire dalle
condizioni di arretratezza permettono ai nuovi settori industriali di sostituire il settore
agricolo come motore del processo di sviluppo. Definirono quindi i “development patterns”
come le variazioni sistemiche in ogni aspetto rilevante della struttura economica e sociale
associate ad un crescente livello di reddito o di un altro indice di sviluppo.

1.3.3 Le Teorie della dipendenza

Le teorie dell’economia dello sviluppo raggiungono la loro completa affermazione solo con
la fine della seconda guerra mondiale e in modo particolare con l’inizio del processo di
decolonizzazione nei paesi del Terzo mondo (processo iniziato con l’indipendenza indiana
del 1947 e conclusosi nel 1999 con la restituzione di Macau dal Portogallo alla Cina). Il
processo in atto rese evidenti le ampie disparità e gli squilibri presenti tra i paesi sviluppati
e i “paesi in via di sviluppo” o quelli “sottosviluppati”.
Il processo di statalizzazione e la creazione di politiche di sviluppo a medio-lungo termine
risultarono essere compiti particolarmente ardui e ben al di sopra delle effettive capacità dei

17
Grazie ai suoi studi diede un importante contributo all’analisi dello sviluppo economico, occupandosi in
particolar modo dell’Italia in: The structure and growth of italian economy (1953) e Politiche di sviluppo
nell’Italia meridionale (1962).
neonati governi, di conseguenza la maggior parte di essi portarono ad esiti tutt’altro che
soddisfacenti. Una delle conseguenze dirette di tale fallimento fu l’avvento del
Neocolonialismo durante il quale le maggiori potenze, seppur avessero smesso di controllare
militarmente le loro ex colonie, finirono con il controllarle economicamente investendo in
esse capitale straniero unicamente per il loro sfruttamento piuttosto che per un loro possibile
sviluppo.
Simili circostanze provocarono la nascita delle cosiddette teorie della dipendenza, nate
principalmente in America Latina negli anni ’70; secondo questo nuovo filone di pensiero,
il sottosviluppo di alcuni paesi non sarebbe uno stato originario ed esistente a prescindere,
quanto piuttosto il prodotto delle relazioni tra i Paesi occidentali e quelli periferici del mondo
e nello specifico, il risultato del fatto che i paesi più ricchi avessero sottratto importanti
risorse ai paesi più poveri. Raùl Prebisch, noto economista argentino, fu uno dei massimi
promotori di simile teoria e nella sua analisi fece particolare riferimento alla struttura
produttiva dei Paesi Centrali (con una struttura omogenea e diversificata) e Periferici
(caratterizzati invece da una struttura eterogenea e specializzata)18. Secondo la sua teoria, il
libero mercato e le politiche liberiste infatti non avrebbero contribuito positivamente allo
sviluppo dei paesi Latinoamericani; al contrario li avrebbe impoveriti a causa della
specializzazione produttiva che generava una forte dipendenza economica dai Paesi
importatori. Il sottosviluppo, secondo Prebisch, sarebbe dunque imputabile alla divisione
internazionale del lavoro nella quale il Sud del mondo risulta essere subordinato ad un Nord
economicamente e politicamente più forte. La sua teoria (che conferisce un carattere esogeno
all’origine della povertà di alcuni paesi) evidenzia inoltre come lo sviluppo e il sottosviluppo
siano in realtà due facce della stessa medaglia.
Tanto l’ONU quanto il CEPAL invitarono pertanto a diversificare la struttura produttiva
delle economie latinoamericane con il fine di sviluppare i settori necessari ai consumi interni
e ridurre la dipendenza dall’estero.

1.3.4 Teoria dei Basic Needs

I modelli di sviluppo basati sulla crescita sono entrati in crisi esattamente a causa
dell’incapacità delle politiche attuate di produrre gli effetti attesi; oltretutto, nonostante in
molti paesi aumentasse il reddito pro-capite, simultaneamente il livello di povertà di questi

18
Boggio F., Dematteis G., Geografia dello sviluppo: diversità e disuguaglianze del rapporto Nord-Sud,
UTET libreria, 2002
restava invariato (o talvolta addirittura aumentava).
Con l’approccio dei beni essenziali (basic needs approach) ci si allontana dall’approccio
puramente monetario e si inizia ad associare la povertà alla mancata soddisfazione di alcuni
bisogni essenziali (quali la nutrizione, l’istruzione, la salute, la sicurezza e via dicendo) che
vanno al di la delle esigenze elementari di sopravvivenza che un reddito minimo può
soddisfare; la nascita di questo approccio si deve dunque all’intenzione di misurare il grado
di povertà assoluta presente nei PVS. La strategia dei Basic Needs, strutturata su cinque punti
principali, venne enunciata per la prima volta nel 1976 dall’Organizzazione Internazionale
del Lavoro (ILO); secondo la loro teoria, la strategia avrebbe dovuto occuparsi
dell’occupazione e della soddisfazione dei bisogni essenziali, avrebbe dovuto promuovere
tanto il consumo privato quanto i servizi essenziali forniti alla collettività, garantire una
partecipazione politica diretta e infine promuovere un’occupazione liberamente scelta19. La
stessa Organizzazione internazionale del Lavoro definì la strategia “dinamica e specifica”,
in quanto avrebbe potuto essere adattata ad ogni situazione economica e sociale in differenti
paesi. Oltretutto, il basic needs approach concepisce lo sviluppo come un processo che parte
dal basso (Bottom-up) e che coinvolge direttamente i cittadini conferendogli un ruolo
centrale e identifica il processo nella sua interezza come una crescita sociale data
dall’interazione tra elementi economici e non. Secondo tale teoria, per poter perseguire
l’obiettivo dello sviluppo sarebbe dunque prioritario occuparsi di assicurare i bisogni
essenziali alla popolazione piuttosto che occuparsi della crescita economica; inoltre l’idea
di sviluppo dal basso nacque con l’intento di far fronte alle diseguaglianze e agli squilibri,
tentando di migliorare le condizioni di vita dei più svantaggiati e cooperare direttamente con
la popolazione locale, piuttosto che imporre politiche estranee al contesto e dannose per i
segmenti più poveri.

1.4. Human Development and Capability Approach

Sul finire degli anni ’80, a partire dalle idee di Mahbub ul Haq, un nuovo paradigma di
sviluppo venne elaborato dall’economista indiano Amartya Sen, premio Nobel per
l’economia nel 1998, le cui caratteristiche lo differenziavano da quelle insite nei modelli
economici fino ad allora sperimentati e sviluppati.

19
Cossetta A., Sviluppo e cooperazione: idee, politiche, pratiche; Franco Angeli,2009
Sebbene questo economista abbia una visione delle teorie relative allo sviluppo totalmente
differenti da quelle elaborate fino ad allora dalla scuola classica dell’economia dello
sviluppo, nondimeno Sen sostiene che alcuni dei temi fondanti di essa, quali ad esempio:
l’industrializzazione, la rapida accumulazione del capitale, la mobilitazione della forza
lavoro sotto-occupata, la pianificazione delle politiche economiche e l’intervento dello Stato
nelle questioni economiche, siano da tenere in considerazione.
Egli inoltre, pone attenzione riguardo la necessità di sviluppare un atteggiamento mentale
più completo ed informato, che tenendo conto delle diverse condizioni esistenti nel “mondo
in via di sviluppo” e di ulteriori questioni fondamentali, sia in grado di elaborare una visione
più ampia, che pur facilitando il distinguersi dei differenti contesti nazionali consenta
l’adattamento alla situazione globale.
Fra gli aspetti della teoria classica che egli giudica critici, indica il rilievo che è stato dato
alla crescita economica, sostenendo che, pur considerandola senza dubbio un importante
mezzo per raggiungere i più ampi obiettivi dello sviluppo, la stessa crescita non vada mai
considerata come l’unico mezzo o addirittura il fine ultimo dello sviluppo stesso.
Dallo studio delle sue teorie si apprende quanto lui giudichi necessaria la presenza dei
mercati all’interno dell’economia moderna, individuandoli come essenziali in quel processo
di sviluppo, indotto anche dalla libertà di comprare vendere o scambiare beni e/o servizi,
finalizzato al vivere bene, considerando inoltre, che negare questa aspirazione sarebbe un
grande limite.
Non di meno, Sen individua l’importanza ed il ruolo della ricchezza al fine dell’ottenimento
delle libertà sostanziali che essa contribuisce a raggiungere: << in generale abbiamo ottime
ragioni per desiderare un reddito o una ricchezza maggiore e non è perché ricchezza e reddito
siano in sé desiderabili, ma perché normalmente sono un ammirevole strumento per essere
più liberi di condurre il tipo di vita che per una ragione o per l’altra apprezziamo>> 20 ;
riflettendo inoltre, su come l’efficacia della ricchezza dipenda in gran parte da come questa
viene poi utilizzata. A tal proposito, puntualizzando che esistono casi in cui la forte crescita
economica non ha migliorato le condizioni di vita delle popolazioni (come ad esempio, gli
afro-americani negli Stati Uniti che hanno un’aspettativa di vita inferiore agli indiani del
Kerala)21, e al contrario, paesi o regioni (come Sri Lanka, Jamaica, Costa Rica, Kerala in

20
Sen A., Lo sviluppo è libertà, Mondadori, 2012 pag. 20
21
Sen A., Development: Which way now?, The Economic Journal, vol. 93, n. 372, pp. 745-762
India) in cui la qualità di vita non sembra essere in linea con la crescita contenuta del PNL
o del PIL pro capite22.
Sostiene inoltre che una condizione per ottenere una garanzia di sviluppo, non potrà
prescindere dal raggiungimento di una maggiore equità che porti alla scomparsa delle gravi
forme di illibertà presenti nel mercato del lavoro quali ad esempio: la schiavitù,
l’impossibilità di potersi scegliere un lavoro, le forzature e le forme di lavoro coatto, le
libertà delle donne di cercarsi un lavoro fuori dal contesto familiare in molti paesi e in
particolar modo nei PVS ecc.
Oltre all’aspetto del reddito e della ricchezza, per Sen la valutazione dei diversi livelli di
sviluppo non può non prescindere da ulteriori fattori decisivi indispensabili per poter
stabilire una buona qualità di vita delle popolazioni; e fra questi pone in primo piano il ruolo
dell’alfabetizzazione. di una buona istruzione, dell’aspettativa di vita alla nascita e della
salute in genere. Secondo l’economista risulterebbero fondamentali anche le libertà politiche
e i diritti civili; infatti anche quando si gode di un’adeguata sicurezza economica coloro che
non hanno libertà politiche o diritti civili sono privati dell’importante libertà di scegliersi la
vita che vogliono e della possibilità di partecipare a decisioni cruciali sulle questioni di
pubblico interesse. 23
Secondo il World Development Report24 del 1982, paesi con livelli di reddito pro capite
molto diversi, come il Brasile, il Messico, la Corea del Sud, la Cina e lo Sri Lanka agli inizi
degli anni 80, riportavano condizioni simili in relazione agli altri aspetti dello sviluppo: per
esempio la Cina e lo Sri Lanka pur avendo meno di un settimo del PIL pro capite di Brasile
o Messico, risultavano avere un’aspettativa di vita molto simile.
Sarà proprio questa visione più ampia del concetto di sviluppo (Teoria dello Sviluppo
Umano), a caratterizzare le tesi da lui proposte, che sono alla base di quel quadro concettuale
concepito proprio con la finalità di strumento d’indagine per l’analisi dello sviluppo
contemporaneo e dello sviluppo umano, designate con il termine di capability approach.
Nel suo pensiero il focus centrale del processo di sviluppo è infatti rappresentato
dall’espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, le quali possono avere un
duplice ruolo all’interno del suddetto processo: un ruolo costitutivo, rappresentato
dall’importanza delle libertà sostanziali per l’arricchimento della vita umana (quindi viste
come fine ultimo dello sviluppo), e un ruolo strumentale che riguarda invece il modo in cui

22
http://www.circosociale.it/download/tesi/ts5001_bessone_ilaria_-_circo_sociale_a_rio_de_janeiro.pdf
23
Sen A., Lo sviluppo è libertà, Mondadori, 2012
24
Il WDR è un report annuale pubblicato dal 1978 a cura della Banca Mondiale.
i diversi tipi di diritti contribuiscono ad ampliare la libertà umana (e vede dunque la libertà
come mezzo dello sviluppo).25
Sen individua nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone in genere, e
nell’aumento delle loro prospettive in termini di obbiettivi di vita (ad esempio essere in
salute e ben nutriti, essere istruiti, avere la possibilità di partecipare alla vita “comunitaria”),
la finalità del processo di sviluppo, a sua volta coincidente con l’espansione delle libertà
individuali.
Con il termine capability approach vengono dunque introdotti alcuni concetti alternativi che
realmente rispecchiano le condizioni di vita della popolazione e sono utili al perseguimento
di un livello di sviluppo che consenta di condurre una vita migliore ad un maggior numero
di persone.
Altri importanti aspetti presenti nelle teorie dell’economista atti a rappresentare la centralità
dell’uomo nei processi di sviluppo sono: il concetto di “entitlement” di “functioning” e di
“capabilities”. Il primo, traducibile con il termine di “attribuzione”, fa riferimento ai panieri
alternativi di beni di cui una persona dispone in una società e tra cui può scegliere utilizzando
tutte le sue opportunità e i suoi diritti.
Il secondo, corrisponde alle diverse cose che una persona fa ed è relativo dunque alla nostra
singola esistenza. I “functioning” possono variare dai più semplici (come ad esempio essere
ben nutrito e non dover patire malattie evitabili), alle più complesse attività e stati personali
(ad esempio, partecipare alla vita comunitaria e avere rispetto di sé). mentre il terzo: le
capabilities, riferito alle capacità di un individuo, corrispondono alle diverse combinazioni
alternative di funzionamenti che ogni persona è in grado di acquisire in base alle proprie
attribuzioni (entitlement). Le capabilities, rappresentano quindi ciò che le persone sono
effettivamente capaci di fare e di essere, ovvero l’insieme delle opportunità reali che una
persona ha per poter realizzare la propria vita. Le capability sono viste da Sen quindi come
le libertà sostanziali di condurre diversi stili di vita. Ad esempio, una persona ricca che
digiuna può avere gli stessi risultati, in termini di funzionamenti (mangiare e nutrirsi), di una
persona che ha fame perché non ha la possibilità di ottenere adeguate quantità di cibo, ma in
termini di capacità la loro situazione è molto diversa (la prima può scegliere se mangiare
bene ed essere ben nutrita a differenza della seconda). Secondo l’economista non è possibile
stilare una lista predefinita delle possibili scelte la cui ampiezza possa valere per ogni realtà
e per ogni tempo. Concetto che fu poco dopo ripreso da Martha Nussbaum (2000), la quale
sostenne che alcune di queste sono opportunità così importanti ed essenziali, da dover essere

25
Sen A., Lo sviluppo è libertà, Mondadori, 2012 pag. 42
disponibili per tutti, indipendentemente dal paese o dal momento storico, aggiungendo che
in linea generale gli individui potranno in seguito espandere questa lista, includendovi le
opzioni ritenute desiderabili.
Fra esse la Nussbaum individua: una vita degna
di un essere umano, condizioni di salute garantite, integrità fisica protetta da aggressioni,
garanzia di condizioni per godere umanamente delle capacità sensibili e intellettive, tutela
dell’uso libero della ragione, tutela della libertà di associarsi e di appartenere a gruppi e di
non subire discriminazioni e dunque concreta disponibilità di spazi politici e materiali di
azione in società.26
L’importanza del capability aprroach è stata dunque anche quella di aver dato, per la prima
volta, attenzione ad aspetti come le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza e delle
altre risorse e alle diversità individuali, ambientali e sociali che influenzano la capacità di
vivere bene. Concetti ormai conosciuti ma che i modelli aggregati e basati sul reddito invece
tuttora tralasciano.
Inoltre il capability aprroach ha dato un approccio allo sviluppo come espansione delle
capacità umane che può essere applicato universalmente, indipendentemente dalla cultura,
dalle tradizioni, dal tipo di società, dai valori e dagli ideali della popolazione.

1.5 Gli indicatori del benessere e l’Indice di Sviluppo Umano

Il moderno concetto del Prodotto Interno Lordo (PIL o in inglese GDP, Gross Domestic
Product) fu sviluppato per la prima volta nel 1934 dall’economista Bielorusso, Simon
Kuznet, poi premio Nobel per l’economia nel ’71, su richiesta del Congresso degli Stati Uniti
al fine di trovare un sistema di misurazione della produttività nazionale e di individuare i
provvedimenti che si sarebbero dovuti prendere per meglio far fronte alla Grande
Depressione ancora in corso; nel documento redatto lo stesso Kuznets sentì la necessità di
sottolineare che :“Il benessere di una nazione difficilmente potrà essere dedotto da una
misura di reddito nazionale”.
Nel 1968 poi, sulla scia del grande fermento politico e socio-culturale che prese l’avvio negli
Stati Uniti, Robert F. Kennedy, con un bellissimo discorso tenuto durante uno dei suoi
comizi elettorali per sostenere la sua candidatura alla presidenza degli Stai Uniti, criticò con

26
http://online.scuola.zanichelli.it/lezionidifilosofia/files/2010/03/U4-L04_zanichelli_Nussbaum.pdf
aspri toni la capacità del PIL di essere un corretto indicatore atto a descrivere il livello di
benessere di una nazione:
«Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato alla eccellenza
personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro
PIL ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL - se giudichiamo gli USA in
base ad esso - quel PIL comprende l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette,
e le ambulanze per sgombrare le autostrade dalle carneficine. Comprende serrature speciali
per le nostre porte e prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione
delle sequoie e la scomparsa delle nostre bellezze naturali nella espansione urbanistica
incontrollata. Comprende il napalm e le testate nucleari e le auto blindate della polizia per
fronteggiare le rivolte urbane. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i
programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini.
Eppure il PIL non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, la qualità della loro educazione
e l'allegria dei loro giochi. Non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri
matrimoni, l'acume dei nostri dibattiti politici o l'integrità dei nostri funzionari pubblici.
Non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra
conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione. Misura tutto,
in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci dice tutto
sull'America, eccetto il motivo per cui siamo orgogliosi di essere americani. »27
Il primo indicatore teso a misurare lo sviluppo economico ad essere stato proposto come
alternativa all’utilizzo del Prodotto interno Lordo, fu il Measure of Economic Welfare
(MEW), ideato nel 1972 dai due economisti della Yale University, William Nordhaus e
James Tobin28; che a buon diritto può essere definito il “padre” dei numerosi tentativi messi
in atto al fine di riuscire a creare un migliore indice di sviluppo sostenibile.
Il lavoro influenzò moltissimo la nascita del cosiddetto Indice di Benessere Economico
Sostenibile o ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare)29, sviluppato nel 1989 dai due
economisti statunitensi Herman Daly e John B.Cobb. Per la prima volta vennero inseriti
all’interno della metodologia di calcolo di un indice, i costi dovuti al degrado ambientale e
venne proposta inoltre anche un’approssimazione del valore economico del tempo libero.

ISEW = (Cp + Gnd + Fc + Sh + DA)

27
Robert Kennedy - Dal discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University[
28
http://www.economicsonline.co.uk/Global_economics/Measure_of_economic_welfare_MEW.html
29
https://it.wikipedia.org/wiki/Indice_di_benessere_economico_sostenibile
Dove:
Cp = Consumo personale
Gnd = Spesa pubblica (ad eccezione delle spese riguardanti la sicurezza nazionale)
FC = Formazione del capitale
Sh = Servizi da lavoro domestico
DA = Costi di degrado ambientale e del capitale naturale

Un ulteriore indice innovativo sviluppatosi sulla base dei lavori svolti precedentemente è il
Genuine Progressive Indicator (GPI) nato nel 1994 e noto soprattutto dal momento in cui
undici paesi tra cui Canada, Paesi Bassi, Inghilterra, Svezia e Germania hanno deciso di
ricalcolare il loro PIL usando questo indicatore.
La sfida principale che l’associazione incaricata della sua definizione “Redefining
Progress” 30 pose in essere fu quella di riuscire ad inserire tra i parametri fondamentali
dell’indice sia il consumo delle risorse naturali sia il loro mancato rinnovamento nel tempo.
L’indice composto fu realizzato utilizzando 26 variabili riconducibili a tre grandi categorie:
fattori economici, fattori ambientali e fattori sociali.
I dati per i paesi U.E. e per gli U.S.A. mostrano inoltre che mentre il PIL ha subito un
incremento negli ultimi decenni, il GPI ha visto un aumento solo fino ai primi anni ’70 per
poi iniziare una fase di decrescita.

GPI = (A + B - C - D + I)

Dove:
A = is income weighted private consumption
B = is value of non-market services generating welfare
C = is private defensive cost of natural deterioration
D = is cost of deterioration of nature and natural resources
I = is increase in capital stock and balance of international trade

30
http://rprogress.org/sustainability_indicators/genuine_progress_indicator.htm
L’indice di sviluppo umano (Human Development Index o HDI), 31ideato e sviluppato
dagli economisti Mahbub ul Haq e Amartya Sen per il primo Human development Report
del 1990, è un indicatore composito di sviluppo macroeconomico. Pensato come misura
alternativa al calcolo del Pil per poter indicare il livello di sviluppo di una nazione, dal 1993
è utilizzato insieme a quest’ultimo dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per valutare la
qualità della vita dei paesi membri.
Misura il risultato raggiunto da un Paese in tre dimensioni fondamentali dello sviluppo
umano: salute (una vita lunga e salutare), accesso all’educazione, e reddito (decenti standard
di vita). L’HDI è realizzato come media geometrica degli indicatori normalizzati che
misurano le tre dimensioni in questione, in modo tale che ogni indicatore possa variare entro
i numeri 0 e 1 e possa essere così più facilmente comparabile.

Figura 1 Composizione dello Human Development Index

32

Ogni dimensione è così composta da più indicatori semplici: la salute viene calcolata ad
esempio attraverso la speranza di vita alla nascita (indice di aspettativa di vita), mentre
l’indice sintetico della dimensione dell’istruzione è ricavato dalla media dei due indicatori
semplici costituiti da: dagli anni medi di scolarizzazione effettiva e dall’indicatore degli anni
di scolarizzazione legislamente previsti. In ultimo, viene preso in considerazione anche lo
“standard decente di vita” ovvero l’indice di reddito che viene calcolato attraverso il Pil pro-
capite a parità di acquisto (PPP$).

31
http://hdr.undp.org/en/content/human-development-index-hdi
32
Fonte: http://hdr.undp.org/en/content/human-development-index-hdi
L’ HDI ha ritenuto necessario impegnarsi anche nella classificazione dei paesi riguardo l’
indice di sviluppo umano, realizzando una suddivisione attraverso il loro collocamento in
quattro differenti gruppi stabiliti in base al quartile in cui rientrano: il primo 25% dei paesi
ricadrà così nella categoria definita a particolarmente alto sviluppo umano, quelli compresi
tra il 25% al 50% saranno classificati ad alto sviluppo umano, quelli compresi fra il 50% al
75% saranno ritenuti a medio sviluppo umano e per finire l’ultimo 25% ricadrà nel gruppo
definito a basso sviluppo umano.
Attraverso l’utilizzo dello Human Development Index è inoltre possibile evidenziare la non
scontata relazione tra sviluppo umano e sviluppo economico; sebbene la pratica dimostri che
paesi a redditi molto elevati avranno con molta probabilità anche indici di sviluppo umano
altrettanto significativi.

Solo alcuni dei Paesi di nuova industrializzazione sono riusciti a collegare crescita
economica, occupazione e crescita nello sviluppo umano.
Capitolo II: La multifunzionalità nell’agricoltura

2.1 Cenni storici sulla nascita del concetto

Il termine “Multifunzionalità” è da poco divenuto parte integrante del concetto di


agricoltura, entrando quotidianamente nel linguaggio d’uso comune soprattutto nei paesi
sviluppati fra coloro i quali si occupano di agricoltura, benché le radici della sua nascita
risalgano al finire degli anni ’80. Fu in questo periodo infatti che si iniziò a discutere delle
funzioni sociali e ambientali attribuibili al settore agricolo, dello sviluppo sostenibile in
generale, dell’esigenza di una maggiore integrazione tra la Politica Agricola Comune (PAC)
adottata dai paesi europei e le loro rispettive politiche ambientali.
Il concetto affonda le sue radici nel corso del Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro
dal 3 al 14 giugno nel 1992. Questa è stata la prima conferenza mondiale dei capi di Stato
che avesse come tema centrale l’ambiente33; ed è proprio al termine del summit che venne
prodotto il documento chiamato Agenda 21, rappresentato da un ampio e articolato
"programma di azione" atto a costituire una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del
pianeta "da qui al XXI secolo".34
Il documento elaborato al termine del congresso consisteva in una pianificazione completa
delle azioni da intraprendere a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle
Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha
impatti sull'ambiente.
Nel corso dello stesso anno venne anche presentata anche la cosiddetta riforma MacSharry
35
con la quale si promuoveva la necessità di adottare misure specifiche nell’ambito del
sostegno agli operatori agricoli, con il fine di incentivare e compensare la produzione di beni
e servizi ambientali, paesaggistici e culturali. La riforma conteneva anche una serie di misure
innovative destinate a cambiare radicalmente il volto dell’agricoltura europea, tra cui la più
grossa novità fu l’introduzione delle “misure di accompagnamento” della PAC, un primo
passo per favorire la costruzione di un nuovo modello di sviluppo agricolo, più sensibile alle
questioni ambientali e ai problemi di sviluppo socio-economico delle aree rurali.36

33
https://it.wikipedia.org/wiki/Summit_della_Terra
34
http://www.minambiente.it/pagina/cose-lagenda-21
35
La riforma prese il nome dell’allora commissario responsabile della politica agricola comune (PAC)
36
http://www.fupress.com/archivio/pdf/2499_5876.pdf
Un ulteriore passo particolarmente significativo circa la definizione del concetto di
multifunzionalità agricola fu fatto durante la conferenza di Cork, svoltasi nel novembre del
1996 in Irlanda, dove per la prima volta si fece un chiaro riferimento al ruolo multifunzionale
associato alle aree rurali e al beneficio che questo avrebbe potuto arrecare alle società e alle
economie europee. Al termine della conferenza si pervenne alla pubblicazione di un
programma di sviluppo rurale, stilato in dieci punti e destinato ai paesi membri dell’Unione
Europea, dove veniva promosso un approccio integrato delle politiche di sviluppo rurale sul
sostegno della diversificazione socio-economica delle aree rurali attraverso l’assegnazione
di nuove funzioni all’agricoltura.
Nello stesso anno 1996, con la stesura del documento chiamato Agenda 2000, “per
un’Unione più forte e più ampia”37, adottato dalla Commissione Europea, il concetto di
multifunzionalità entra definitivamente a fare parte della politica comunitaria e trova un suo
pieno riconoscimento internazionale. E’qui che vengono finalmente presentate importanti
azioni politiche con l’obiettivo di riformare la Politica Agricola Comune (PAC), ampliarne
il suo raggio di azione e ridefinirne le specifiche aree d’intervento per poter garantire una
più ampia disponibilità finanziaria (durante il periodo 2000-2006) che fosse cosi destinata
ad aumentare la competitività del settore agricolo e porlo al centro delle politiche di sviluppo
rurale.
Con questo importante passo si è compiuta la più radicale riforma mai proposta della PAC
dal momento della sua nascita e con esso si è riusciti a porre le basi per lo sviluppo di un
settore agricolo che fosse incentrato sulla multifunzionalità, la sostenibilità e la
competitività; un settore che fosse in grado di riconoscere direttamente nell’agricoltura un
ruolo fondamentale sia nella salvaguardia e nella cura del paesaggio, che in materia di
sicurezza alimentare ma soprattutto attribuendogli un ruolo determinante nel mantenimento
della vitalità delle aree rurali del territorio europeo. Da questo momento in poi assicurare e
favorire lo sviluppo rurale diventerà quello che viene chiamato il secondo pilastro della PAC.
Per capire l’importanza politica e sociale che riveste il fattore della vitalità delle zone rurali
basti pensare che queste coprono circa il 90% del territorio UE e ospitano la metà della sua
popolazione; inoltre secondo la classificazione proposta da Eurostat, in 17 Paesi dell’UE la
quota della popolazione che abita in zone esclusivamente rurali è molto al di sopra della
media, come in Irlanda (73%), Slovacchia (50%), Estonia (48%), Romania (46%), Finlandia,
Grecia, Lituania e Danimarca (43%).38

37
http://www.dps.tesoro.it/documentazione/qcs/Comunicazioni/Comunicazione_Agenda2000.pdf
A livello nazionale il quadro normativo di riferimento è rappresentato dal Decreto legge 228
del 2001 o Legge di Orientamento 39 che istituisce una nuova configurazione giuridica e
funzionale dell’impresa agricola ampliando lo spettro delle attività di sua competenza.
L'azienda agricola differenziandosi, da utilizzatrice diventa sempre più fornitrice di servizi
rivolti ad altre aziende e all'intera società; per effetto del decreto, infatti, l'impresa agricola
diviene referente di attività per la collettività (quali lo sfalcio, la pulizia e la manutenzione
di parchi, giardini e zone a verde; il taglio di alberi e la potatura; la pulizia di fossi, pozzetti
e cigli stradali nonché lo sgombero neve e materiali ingombranti)40. In sostanza attraverso il
decreto si amplia lo spettro delle attività che possono definirsi agricole e viene così delineata
un’impresa agricola che, pur restando ancorata al settore agricolo, può realizzare attività che
sconfinano nei settori industriale e/o terziario: l’impresa che gestisce un’azienda agraria
multifunzionale cessa di essere “mono-settoriale” e diventa anche “multi-settoriale”.
Ancora oggi però, nonostante il tema sia stato oggetto di un ampio dibattito sia in ambito
politico che scientifico, sia a livello nazionale che sopranazionale all’interno delle maggiori
organizzazioni internazionali e non, purtroppo non è facile trovare una definizione di
multifunzionalità agricola comunemente accettata. Questo perché l’idea stessa della
multifunzionalità tende ad assumere significati eterogenei sia in base al paese di riferimento
che in base al differente contesto presente, facendo sì che vengano esaltate solo alcune delle
caratteristiche intrinseche ad essa (ovviamente saranno quelle che più si addicono al modello
agricolo adottato localmente) rendendo così nettamente più difficile ottenere una visione
univoca.
Sicuramente però possiamo fare riferimento alla definizione elaborata nell’anno 2001 dalla
commissione agricoltura dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(OCSE); che sembrerebbe essere la più appropriata: “Oltre alla sua funzione primaria di
produrre cibo e fibre, l’agricoltura può anche disegnare il paesaggio, proteggere l’ambiente
e il territorio e conservare la biodiversità, gestire in maniera sostenibile le risorse,
contribuire alla sopravvivenza socio-economica delle aree rurali, garantire la sicurezza
alimentare. Quando l’agricoltura aggiunge al suo ruolo primario una o più di queste
funzioni può essere definita multifunzionale.”41

39
http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/01228dl.htm
40
http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agrimeccanica/2012/09/27/la-nuova-idea-di-agricoltura-
multifunzionale/16410
41
Oecd (2001), Multifunctionality: towards an analytical framework.
Appare evidente quindi che in accordo a questa visione il concetto di multifunzionalità
nell’agricoltura fa riferimento all’insieme di output che il settore agricolo può generare a
livello sociale, culturale, economico e ambientale all’interno di una collettività,
contribuendo così in maniera decisiva al suo sviluppo e al benessere locale in generale.
Nella definizione dell’OCSE la multifunzionalità è correlata alla presenza di due condizioni:
(a) la capacità dell’agricoltura di produrre congiuntamente beni alimentari e beni e servizi
secondari, di natura materiale ed immateriale, svolgendo così una funzione, oltre che
produttiva, socio- culturale ed ambientale42; (b) la natura di esternalità o di bene pubblico di
alcune delle produzioni non materiali.
Diversi contributi propongono una declinazione invece più articolata del concetto di
multifunzionalità, distinguendolo in: multifunzionalità dell’agricoltura, che fa riferimento
soprattutto alla produzione di beni e servizi secondari strettamente connessa alla produzione
primaria di alimenti, fibre e bioenergie; multifunzionalità dell’azienda agricola, differenziata
tra multifunzionalità primaria e multifunzionalità agroterziaria, cioè da diversificazione
produttiva, al fine di evidenziare i casi in cui potrebbero essere le attività accessorie
agroterziarie a rappresentare la funzione principale, affievolendo così la natura stessa di
impresa agricola; multifunzionalità rurale, che sottolinea, invece, l’aspetto dell’integrazione
dell’impresa agricola multifunzionale con gli altri settori dell’economia locale e la comunità
rurale (IRES 2005; Belletti, 2004).43
Ad ogni modo sarebbe più opportuno limitarsi a considerare la multifunzionalità nella sua
forma più facile, vale a dire come concetto che individua “l'insieme di contributi che il
settore agricolo può apportare al benessere sociale ed economico della collettività e che
quest'ultima riconosce come propri dell’agricoltura”. 44

2.2 Caratteristiche della multifunzionalità, che cosa è la multifunzionalità?

L’allevamento e l’agricoltura da sempre hanno avuto diverse funzioni oltre a quella primaria

42
Henke (2004) classifica le diverse funzioni dell’impresa agricola multifunzionale in: produttive (sicurezza
e salubrità alimenti, qualità, valorizzazione risorse naturali e culturali, benessere degli animali); territoriali
(cura del paesaggio, conservazione delle risorse specifiche locali); sociali (vitalità delle aree rurali, recupero
delle tradizioni, ecc..); ambientali (tutela della biodiversità, presidio ambientale, ecc.).
43
Cersosimo D., Alfano F., Imprese agricole e sviluppo locale: un percorso di analisi territoriale, edizioni
Tellus, 2009. Available at:
http://www.grupposervizioambiente.it/aisre_sito/minisito_2007/cd_aisre/cd_rom/Paper/Cersosimo.pdf

44
http://eprints.uniss.it/10195/1/Idda_L_Agricoltura_Multifunzionale.pdf
di produzione di beni e/o servizi; ad esempio già “gli uomini del Neolitico ricavavano
attrezzi e altri manufatti dalle ossa degli animali domestici, e cuoio dalla pelle conciata dei
bovini. Una delle prime piante domestiche in America, infine, fu coltivata per usi non
alimentari: era un tipo di zucca utilizzata come recipiente” 45.
Con il termine multifunzionale infatti si fa diretto riferimento ad un’attività che possiede una
pluralità di funzioni, versatile e con un ampio margine di diversificazione. Appare evidente
dunque come sotto questo punto di vista, la multifunzionalità risulti una caratteristica
comune alle attività economiche in generale; bisogna pertanto occuparsi del motivo per il
quale la multifunzionalità nel settore agricolo abbia assunto una tale rilevanza dal punto di
vista politico.
La sola presenza di output prodotti in maniera congiunta dal settore agricolo, nonostante
alcuni di questi risultino avere caratteristiche di beni pubblici o esternalità, non spiega infatti
il motivo della sua importanza; moltissime sono infatti le attività economiche in altri settori
economici che oltre alla loro produzione generano output di diverso tipo compresa la
categoria dei beni pubblici, e non tutte rivestono la stessa importanza. In accordo a questa
visione la multifunzionalità viene interpretata infatti come una caratteristica del processo
produttivo, e quindi una proprietà intrinseca all’agricoltura, date le molteplici
interconnessioni e i diversi effetti che è in grado di generare sul contesto esterno (visione
positiva della multifunzionalità). Esiste però anche il cosiddetto approccio “normativo” della
multifunzionalità agricola che la definisce non solo in quanto caratteristica produttiva ma
come un obiettivo politico da raggiungere grazie ai molteplici ruoli che il settore agricolo è
in grado di svolgere. In quest’ottica il focus del fenomeno si sposta quindi sugli obiettivi
sociali connessi ai diversi ruoli che l’agricoltura può assolvere, adempiendo così a
determinate funzioni per la società. Nel documento pubblicato dall’OECD
“Multifuncionality, toward an analytical framework” si ribadiscono ad esempio entrambe le
visioni relative alla multifunzionalità, sostenendo che bisogna sia preservare e rafforzare il
carattere multifunzionale dell’agricoltura, che favorire l’adozione di politiche agricole che
incoraggino il manifestarsi del carattere multifunzionale proprio
46
dell’agricoltura.(OECD,1998a) .
Generalmente, dal punto di vista teorico si parla di multifunzionalità agricola quando si è in
presenza di una pluralità di funzioni svolte da un’unica attività, in questo caso la capacità

45
Diamond J., Armi acciaio e malattie: breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi editore,
2005.
46
“Maintaining Prosperity in an Ageing Society”, OECD, 1998
del settore primario di produrre beni e servizi di natura pubblica e privata in maniera
congiunta. Tra queste risalgono le funzioni non di mercato, da sempre oggetto di attenzione
da parte di studiosi e politici, oggi anche al centro dell’attenzione della società, tanto da aver
dato vita a una vera e propria domanda di questo genere di beni e/o servizi da parte dei
consumatori/contribuenti (un esempio può essere offerto dai servizi turistico-ricettivi e
ricreativi che il settore agricolo è oggi in grado di offrire).
L’agricoltura è vista quindi come una produttrice di beni diversi oltre a quelli prodotti
tradizionalmente e pertanto risulta fondamentale studiare il grado di congiunzione delle
produzioni di beni secondari rispetto a quelli primari.
Inoltre c’è da considerare che sia la grande rilevanza ormai assunta dall’argomento, che la
grande numerosità (in termini quantitativi) di beni collettivi non diretti al mercato che
l’agricoltura riesce a fornire, hanno fatto sì che il sostegno pubblico in agricoltura sia
diventata una vera e propria giustificazione stessa all’esistenza del fenomeno.
Da quanto si evince, vi è la necessità di studiare dal punto di vista teorico la natura e
l’intensità del legame che unisce la produzione agricola (di beni alimentari) con la
produzione di prodotti secondari e il conseguente fatto che il mercato non sia invece in grado
di assegnare un prezzo alla maggior parte dei prodotti secondari generati dall’agricoltura,
rendendo quindi necessario l’intervento pubblico.
All’interno del dibattito internazionale si sono contraddistinte due visioni per quel che
concerne il legame tra funzione produttiva primaria e la realizzazione di prodotti secondari;
alcuni fra cui Lindland (1998) e Lehman (1998) hanno ipotizzato che i prodotti (o servizi)
secondari, nella maggior parte dei casi, siano prodotti in proporzioni fisse47. Altri invece
come Bohman et al (1999), Abare (1999) considerano l’esistenza di diversi modelli di
correlazione tra i vari prodotti dell’agricoltura. Se si accetta quindi l’esistenza di diversi
modelli di correlazione tra i vari prodotti agricoli, gli interventi politici dovranno essere
valutati attentamente, al fine di indirizzare il più possibile il sostegno ai prodotti secondari
che si vogliono favorire.48
Una conseguenza delle interdipendenze tecniche tra i beni di mercato prodotti e i beni di
carattere pubblico è l’esistenza delle interdipendenze di tipo economico che poi assumono

47
Henke R., Verso il riconoscimento di un’agricoltura multifunzionale, Teorie politiche e strumenti,
Edizioni scientifiche italiane INEA. Available at
http://host.uniroma3.it/facolta/economia/db/docs/20140304_05_252_2758.pdf
48
Henke R., Verso il riconoscimento di un’agricoltura multifunzionale, Teorie politiche e strumenti,
Edizioni scientifiche italiane INEA. Available at
http://host.uniroma3.it/facolta/economia/db/docs/20140304_05_252_2758.pdf
particolare rilevanza all’interno del contesto politico. L’interdipendenza tecnica tra la
produzione di beni e servizi primari e secondari, prodotti congiuntamente dall’attività
agricola, fa sì che una variazione della quantità prodotta di beni primari determinerà una
variazione anche nella produzione di beni o servizi secondari.
Con produzione congiunta si fa qui riferimento all’eventuale interdipendenza di tipo tecnico
evidenziabile all’interno del processo produttivo, dovuta alla presenza di fattori di
produzione sia specifici che non, disponibili però in quantità fisse a livello aziendale.
Con tale interdipendenza si arriva alla presenza di fattori non specifici dall’ottenimento di
molteplici prodotti derivanti da un unico fattore di produzione (ad esempio la produzione di
carne e lana dall’allevamento ovino, o la produzione di carne e latte dall’allevamento
bovino); mentre si parla di interdipendenza derivante dalla presenza di fattori disponibili in
quantità fisse (fattori fissi) nel caso in cui un aumento o la diminuzione nella produzione di
un determinato bene, determina a sua volta una variazione nella quantità del fattore specifico
disponibile invece per altri processi produttivi. In quest’ultimo caso si verrà a formare un
netto legame tra il processo produttivo e l’output. In secondo luogo, la relazione di
congiunzione fisica o tecnica potrebbe costituire fonte di economie di scopo nella
produzione di multifunzionalità e giustificare il ricorso all'agricoltura, più che ad altre
attività, per la fornitura di tali funzioni. A questo proposito si rammenta che le economie di
scopo si hanno ogni qualvolta il costo della produzione congiunta di diversi beni è inferiore
alla somma dei costi dei medesimi output ottenuti separatamente (Baumol e al., 1981;
Leathers, 1991). 49
In ultimo va sottolineato, come nella realtà esistono vari tipi di interdipendenze connesse tra
loro, moltissimi fattori esterni tendono infatti a cambiare la produttività e il processo
produttivo utilizzato (si pensi all’utilizzo delle nuove tecnologie, al peso che può avere
l’istruzione, la salute o l’esperienza), argomento che andrà affrontato in maniera più
dettagliata nel corso del lavoro; inoltre talvolta può verificarsi che vi sia
contemporaneamente una variazione positiva verso un prodotto secondario (come potrebbe
essere l’aumento dei redditi rurali) e una diminuzione invece di un altro output generato
dalla medesima attività (come può essere in questo caso in linea con l’esempio precedente
l’aumento dell’impatto ambientale).

49
http://eprints.uniss.it/10195/1/Idda_L_Agricoltura_Multifunzionale.pdf
Oltre a studiare il tipo di interdipendenze tecniche esistenti nella produzione di beni e/o
servizi propri del settore agricolo occorre altresì esaminare le caratteristiche che i beni
pubblici o le esternalità dei prodotti secondari associati generalmente alla multifunzionalità
hanno, in modo tale da poter definire le azioni politiche più adeguate da dover intraprendere.

2.2.1 Esternalità

Con esternalità in economia si fa riferimento all’insieme degli effetti esterni connessi che
un’attività produttiva di un soggetto genera sull’attività o sul livello di benessere di un altro
soggetto, senza che quest’ultimo abbia alcun controllo o potere decisionale sull’evento in
questione (un’esternalità può dunque avere valenza positiva o negativa).
La stessa idea di esternalità non è però sempre univoca. Oltre alla definizione puramente
economica, sono state date altre definizioni, a volte meno esaustive e complete, che si
riferiscono ad ambiti più specifici. In un’ottica ambientalistica, ad esempio, per esternalità
si può intendere una situazione di degrado delle risorse naturali provocata dal lento
accumularsi nel tempo degli effetti di una determinata azione (Monaco, 1997) 50 .
Un’esternalità negativa può allora essere interpretata come un decremento del flusso dei
servizi forniti da un bene pubblico, mentre un’esternalità positiva può essere vista come un
aumento nella disponibilità (stock) di un bene pubblico (Signorello, 1986)51.
In presenza di esternalità dunque i soli meccanismi di mercato, non portando ad
un’allocazione Pareto efficiente delle risorse (migliorando quindi la situazione di una
persona senza peggiorare quella di un’altra), fanno sì che sia necessario l’intervento
pubblico.
Il fallimento di mercato causato dalla presenza di esternalità di conseguenza che l’offerta di
un bene che genera a sua volta un’esternalità positiva tenda ad essere inferiore rispetto al
livello ottimo, in quanto il mercato non tiene conto dei benefici sociali da essa generati.
Viceversa quando si è in presenza di un’esternalità negativa, l’offerta di tale bene tenderà ad
essere superiore all’ottimo. Questo aspetto, fra i più di rilievo nel processo di esternalità è
causa dell’impossibilità nel mercato di applicare un prezzo corretto. L’intervento pubblico
sembrava in grado di correggere il fallimento del mercato, almeno sul fronte dell’uso delle
risorse naturali, grazie all’internalizzazione dei costi sociali esterni nei processi decisionali

50
Monaco D., Diseconomie esterne: un problema da risolvere presto, “Economia e ambiente” XVI, n.6
51
Signorello G., La valutazione economica dei beni ambientali, in “genio rurale”, IL, n.9 (1986)
privati, mediante l’introduzione di un sistema di tasse “pigouviane” (Scarano, 1998). 52
Per quanto riguarda la produzione di esternalità da parte dell’attività primaria, questa invece
risulta essere variabile e mutevole tanto nello spazio quanto nel tempo, poiché dipende dallo
sviluppo raggiunto dall’agricoltura e dal contesto sociale, economico, tecnologico,
istituzionale, culturale e territoriale in cui questo avviene 53 . Secondo Hanley (1991), lo
sviluppo agricolo del XX secolo ha in genere comportato un aumento delle conflittualità con
gli aspetti legati alla qualità ambientale degli agrosistemi e degli agroecosistemi.
In ultimo, va anche considerato l'aspetto per cui un’esternalità prodotta da una determinata
azione può effettivamente influire sull’incidenza di un’altra esternalità (ad esempio
l’erosione del suolo che può a sua volta poi determinare un aumento dell’inquinamento delle
acque di superficie e sotterranee; oppure l’uso ricreativo di una risorsa può non essere
compatibile con l’uso produttivo o con la protezione e la conservazione di determinati
biotopi o ecosistemi).

2.2.2 Beni pubblici

L’attività agricola produce in genere esternalità alle quali, nella maggior parte dei casi, può
essere attribuito il carattere di bene pubblico. Due sono le caratteristiche fondamentali che
fanno di un bene, un bene pubblico: l’assenza di escludibilità, cioè il fatto di essere
liberamente disponibili a tutti i cittadini, senza che un individuo possa impedirne il consumo
ad un altro; e l’assenza di rivalità, ovvero che l’uso da parte di alcuni non diminuisce le
quantità disponibili agli altri, e dunque non ne pregiudica il consumo.
I beni pubblici a loro volta possono essere divisi in beni pubblici puri (definiti per l’appunto
dall’assenza di escludibilità e di rivalità) e beni pubblici impuri (detti anche misti) a seconda
del grado di escludibilità e rivalità che li caratterizza. Alcuni esempi di beni pubblici puri
riconducibili ai fattori della multifunzionalità possono essere quelli relativi all’ambiente, alla
conservazione del suolo, la biodiversità, la prevenzione del dissesto idrogeologico e altri.
Inoltre una buona quota delle funzioni ambientali positive associate all'attività agricola si
presenta inoltre con le caratteristiche di bene pubblico puro. Pertanto, si corre il rischio che

52
Aimone S., Biagini D., Le esternalità dell’agricoltura, un primo approccio alle problematiche della
valutazione a scala locale, Working papaer n 128, 1999, Istituto di ricerche economiche e sociali del
Piemonte

53
Boatto V., Menguzzato A., Rossetto L., Valutazione monetaria dei benefici esterni dell’agricoltura
biologica, working paper n 6 , 2004.
il livello di offerta di questi beni, se lasciato alla sola iniziativa privata, sia inferiore all'ottimo
sociale. 54
I beni misti invece possono essere suddivisi a loro volta in common goods, ovvero i beni che
presentano l’assenza di escludibilità ma la presenza invece di rivalità (un esempio potrebbe
essere quello di un parco pubblico a libero accesso soggetto però a congestione) e viceversa
i club goods (l’esempio classico è di una riserva naturale con accesso a pagamento). Spesso
infatti i beni misti presentano sia una componente pubblica che una privata.
Infine esiste anche la categoria dei beni pubblici locali che riguardano tutti quelli i cui
benefici interessano solamente una piccola giurisdizione e sono dunque pubblici soltanto in
un ambito territoriale limitato.
Inoltre risulta importante studiare le interdipendenze economiche dei beni misti, in quanto
fondamentali nella formulazione di politiche che si pongono come obiettivo quello di
correggere i fallimenti di mercato. Esistono ad esempio alcune interdipendenze tecniche che
possono dar vita a prodotti economicamente complementari (è il caso ad esempio del
paesaggio Toscano e la produzione di Chianti DOC) e altre che invece fanno luogo a prodotti
economicamente competitivi, caso tipico delle esternalità ambientali prodotte
dall’inquinamento agricolo.
Secondo il principio di Tinbergen’s55 gli strumenti politici più efficienti per correggere i
fallimenti di mercato sarebbero quelli indirizzati ai singoli beni pubblici o esternalità
completamente disaccoppiati dalla produzione primaria. L’OCSE (2002) si propose, almeno
in linea teorica, di individuare dei principi generali che potessero servire nell’identificazione
delle tipologie di strumenti politici più adeguati a favore dei beni e servizi associati alla
multifunzionalità; identificando ad esempio nel caso dei beni pubblici puri i pagamenti
disaccoppiati nella produzione, quindi indirizzati al bene pubblico o a chi lo fornisce, come
lo strumento più adeguato. Lo svantaggio di questi è ovviamente rappresentato però dagli
elevati costi di transazione associati alla corretta implementazione. Per la gestione dei beni
pubblici locali, quindi prodotti in aree circoscritte, viene invece consigliato l’utilizzo di
strumenti “diretti” così che i costi di transazione associati risultino essere più bassi.
In ultimo è importante accennare all’esistenza di una grandezza fondamentale, utilizzata per
misurare il valore dei beni pubblici, chiamata Valore economico totale (Vet). Attraverso il
Vet è possibile affrontare i problemi legati all’individuazione di un valore monetario del

54
http://eprints.uniss.it/10195/1/Idda_L_Agricoltura_Multifunzionale.pdf
55
http://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&dizionario=6&id=2629
bene pubblico, in quanto questo prende in considerazione tutti gli aspetti del bene: sia quelli
riconducibili a una valutazione monetaria diretta, sia quegli aspetti non monetari, i quali
sono stimati empiricamente. Più specificamente distinguiamo il valore d’uso diretto: valore
attribuito al bene per l’effettivo utilizzo da parte del fruitore (es. caccia, raccolta funghi,
utilizzo acqua di sorgente) dal valore d’uso indiretto: riferito all’utilità che ha il bene per
l’intera collettività; la società trae vantaggio dalla presenza del bene, anche se non lo utilizza
direttamente. È riferito soprattutto ai beni ambientali, la cui difesa costituisce un vantaggio
per l’uomo (Polelli 2006). “Esempi sono la regimazione delle acque nei terreni agrari, per
evitare il dissesto idrogeologico e la protezione delle foreste, per la fissazione dell’anidride
carbonica”.56

2.2.3 Multifunzionalità e aspetti simili

La multifunzionalità non deve essere quindi confusa con due termini affini ad essa ma
sostanzialmente diversi come possono essere la diversificazione e la multisettorialità.
Con diversificazione si intende infatti che differenti attività economiche, come ad esempio
la produzione alimentare e il turismo, si combinano all’interno della stessa unità gestionale
(azienda agricola). Dunque fa riferimento allo svolgimento di attività divere da quelle
primari (produzione alimentare), ma ad esse connesse ed eseguite mediante l’utilizzo di
risorse ed output produttivi primari. Questo aspetto si è rivelato di fondamentale importanza
per le aziende agricole moderne perché permette di ripartire e quindi diversificare il rischio
economico tra i vari processi produttivi ed in secondo luogo perché permette di
internalizzare e remunerare le esternalità prodotte dell’azienda 57 . Alcuni esempi di tali
attività connesse possono essere l’agriturismo, la trasformazione diretta dei prodotti in
azienda, i lavori di artigianato, la produzione di energia rinnovabile ecc.
Non tutte le attività produttive svolte dall’azienda agricola e legate alla diversificazione
possono però essere direttamente collegate con la multifunzionalità.
Per multisettorialità invece si intende che una persona o un gruppo di persone (agricoltori o
imprenditori rurali) sono occupati in differenti attività’, agricole e non agricole e quindi in
diversi settori di produzione.58

56
Casini L., Scozzafava G., La multifunzionalità dell’agricoltura nelle zone montane marginali, Firenze
University Press, 2013

57
http://www.fupress.com/archivio/pdf/2499_5876.pdf

58
http://www.aiablombardia.it/agricoltura-multifunzionale/
La multifunzionalità invece si occupa delle diverse funzioni e dei diversi ruoli che il settore
primario è in grado di svolgere ovvero le funzioni territoriali, ambientali, economiche e
sociali, le quali trattandosi per lo più di esternalità positive o beni pubblici necessitano
trovare una regolamentazione.

2.3 Le funzioni attribuite alla multifunzionalità nell’agricoltura

Data la complessità e l’estrema articolazione che presenta il tema della multifunzionalità


agricola, risulta particolarmente complicato arrivare ad una formulazione esaustiva riguardo
le diverse funzioni a lei attribuibili. Due sono i principali problemi; quello che riguarda la
numerosità e l'eterogeneità delle funzioni che possono essere prese in considerazione, e
quello relativo alla variabilità spaziale e temporale delle ricadute dell'attività agricola sul
benessere sociale. Inoltre essendo un fenomeno intrinsecamente multiforme e dinamico non
è possibile escludere che tali funzioni possano accrescere numericamente nel corso tempo,
e che nuovi ruoli attualmente trascurati o non presi in considerazione possano poi risultare
più interessanti 59 . Bisogna poi anche considerare che per quanto riguarda le funzioni
associate alla multifunzionalità non può esiste una visione univoca, in quanto, “differenti
contesti geografici danno effettivamente luogo alla produzione di differenti insiemi di
prodotti secondari, in funzione della composizione produttiva, delle strutture presenti, del
clima e delle condizioni ambientali in generale”.
Secondo la visione di Van der Ploeg ed altri (2002)60, che si concentrano, in particolare, sulla
distinzione dei possibili percorsi di sviluppo non convenzionali e orientati al nuovo modello
di multifunzionalità delle imprese agricole, la classificazione si basa sui concetti di:

- deepening (approfondimento), che comprende le forme di “approfondimento” delle filiere


agro-alimentari verso lo sviluppo di attività a maggiore valore aggiunto;
- broadening (allargamento), che descrive l’allargamento delle attività dell’impresa verso
le nuove e collaterali funzioni dell’agricoltura, per la produzione di beni e servizi di mercato
e non di mercato;

59
http://eprints.uniss.it/10195/1/Idda_L_Agricoltura_Multifunzionale.pdf
60
Van der Ploeg, J. D., Long A., Banks J., Living Countryside: Rural Development Processes in Europe: the
State of the Art, Elsevier, EBI, 2002.
- regrounding (riposizionamento), che fa riferimento al “riposizionamento” dell’impresa
agricola attraverso l’utilizzo delle sue risorse (forza lavoro, strutture aziendali) anche in
impieghi extra- aziendali, che riguarda cioè tutte le attività esterne a quella agricola, ma
integrate e complementari con essa nell’ambito rurale (Sotte 2006).
Durand e Van Huylenbroeck (2003) 61 assegnano invece all’agricoltura tre funzioni
principali legate allo spazio (riconosciuto nell’ambiente e nel paesaggio), alla produzione
(tipicità, salubrità, sicurezza degli alimenti, diversificazione degli alimenti stessi), e ai
servizi (conservazione della biodiversità, valorizzazione patrimonio rurale); queste funzioni
si combinano e assumono più o meno importanza l’una rispetto all’altra creando un gradiente
di multifunzionalità (Wilson, 2008) 62 del quale ogni azienda ne esprime un certo grado
(Belletti et al., 2003).63
Secondo il pensiero di Wilson è infatti possibile suddividere la multifunzionalità secondo tre
livelli: debole, media e forte. La multifunzionalità debole fa riferimento al livello iniziale di
ogni azienda; rappresenta una sorta di livello di base comune. Fa dunque riferimento alla
produzione congiunta, per certi versi inconsapevole, di beni agricoli e di esternalità che però
non implica, se non in maniera marginale, una riorganizzazione dei fattori produttivi in
azienda. La multifunzionalità media implica invece un percorso cosciente e intenzionale di
riorganizzazione delle risorse aziendali. Infine elemento fondamentale della
multifunzionalità forte, risulta essere il profondo processo di trasformazione culturale e
sociale a cui l’azienda partecipa con lo sviluppo di relazioni funzionali alla valorizzazione
delle esigenze territoriali. Le imprese multifunzionali forti hanno, in genere, un’elevata
consapevolezza del loro ruolo ambientale e del contributo attivo che possono dare al bilancio
dell’uso delle risorse naturali. Inoltre, tendono a mostrare una forte interrelazione con le
comunità locali e con le attività che coesistono sul territorio, con le istituzioni e con gli altri
attori sociali nella circolazione delle informazioni, nell’accesso alla comunicazione, nella
promozione delle proprie attività, nella formazione, ecc. (Brunori, 2003). 64

61
Van Huylenbroeck G., Durand G., Multifunctionality: A new Paradigm for European Agriculture and
Rural Development, Aldershot, Ashgate, 2003.
62
Wilson G. A., From ‘weak’ to ‘strong’ multifuncionality: conceptualising farm-level multifuncional
transitional pathways, Journal of rural studies, 2008

63
http://www.sibillini.net/attivita/turismoSostenibile/tesiOcchibove.pdf

64
http://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00007200/7258-rapporto-128-20102.pdf/
Brunori e altri (2005) 65, ampliano invece il concetto di multifunzionalità proposto
dall’OCSE, definendola come capacità dell’agricoltura di rispondere alle nuove domande
oggi espresse dalla società e dai consumatori attraverso la fornitura di: beni pubblici, beni
privati per mercati no-food (non diretti al mercato e alimenti con specifici attributi (prodotti
tradizionali, di alta qualità).
Sulla base di tale definizione, e in considerazione non solo del tipo di beni prodotti
dall’attività agricola multifunzionale ma anche dei processi di cambiamento che essa può
attivare all’interno dell’impresa e sul territorio, vengono derivate le altre tipologie di
funzioni correlate alla multifunzionalità:
- culturali (retaggio culturale, identità territoriale);
- sociali (sicurezza alimentare, coesione sociale, occupazione rurale, ecc.);
- etiche (mercato equo, benessere degli animali, ecc.).
In un altro lavoro ancora proposto da Cersosimo et al, viene creata una matrice, chiamata
“Mada”, all’interno della quale si cerca di configurare un sistema agroterritoriale nel quale
l’attività agricola è uno dei nodi della struttura economica locale, in relazione dinamica con
altri nodi e componenti socio- economiche, che influenza la competitività territoriale
complessiva. Contiene dunque un elenco delle attività potenziali attraverso le quali l’impresa
agricola può contribuire allo sviluppo locale. Le attività potenziali sono ordinate in cinque
clusters o gruppi (tutela della biodiversità; sicurezza ambientale; sostenibilità ambientale;
competitività e integrazione dell’economia locale; sviluppo “agropolitano”), a loro volta
raggruppati in due macro-temi (ambiente; società ed economia). 66
Dalla definizione proposta dall’OCSE è invece possibile ricondurre essenzialmente a quattro
le funzioni (aree) principali legate all’agricoltura e in particolare alla sua accezione
multifunzionale. La maggior parte di queste risultano essere funzioni di tipo ambientale67,
all’interno delle quali sono ovviamente incluse sia le esternalità positive che quelle negative

65
Brunori G., Rossi A., Bugnoli S., Agricultural and environmental group, Department of Agronomy and
agro-ecosystems management, University of Pisa, Multifunctionality of activities, plurality of identities and
new institutional arrangements. Italian state of art, Multiagri Project - 6th Framework Research Programme
of the European Commission, Workpackage, 2005

66
Cersosimo D., Alfano F., Imprese agricole e sviluppo locale: un percorso di analisi territoriale, edizioni
Tellus, 2009. Available at:
http://www.grupposervizioambiente.it/aisre_sito/minisito_2007/cd_aisre/cd_rom/Paper/Cersosimo.pdf

67
Le funzioni di tipo ambientali possono essere a loro volta divise in funzioni ambientali e funzioni
territoriali.
prodotte dal settore. Seguono poi le funzioni sociali e di sviluppo rurale, quelle di sicurezza
alimentare e infine quelle relativa al benessere degli animali (anche questa può assumere
connotazioni positive o negative a seconda delle tecniche di allevamento utilizzate). Come
abbiamo già detto queste funzioni o la maggior parte di esse danno quindi luogo a una serie
di prodotti secondari a cui abbiamo già dato il nome di prodotti non diretti al mercato.
Non incluso nell’elenco citato ma oggi giorno sempre più importante è anche il ruolo che
l’agricoltura fornisce ad una serie di servizi agro-energetici; attraverso l’uso delle biomasse
derivate dall’agricoltura è infatti possibile produrre energia sotto forma di biocarburanti e
biogas che oltre a essere una fonte di diversificazione del reddito e di approvvigionamento
energetico nonché fonte di riduzione dei costi, rappresenta anche una risposta alla auspicata
riduzione delle energie fossili e non rinnovabili. Ovviamente questo “deve necessariamente
avvenire nel rispetto del territorio e della sostenibilità dell’attività produttiva, creando un
interazione tra territorio – fonti rinnovabili ed energia tale da consentire la creazione di una
68
vera e propria filiera agroenergetica” .
Le aziende dedicate anche alla produzione energetica rappresentano infatti un’importante
applicazione del principio della multifunzionalità; questa porta ad avere vantaggi di tipo:
energetico (produzione di energia da fonte rinnovabile con relativo miglioramento del
bilancio energetico dell’azienda), economico (miglioramento dell’economia dell’azienda
grazie alla vendita dell’energia) ed ambientali (riduzione delle emissioni di gas serra)69.
E’evidente quindi come il concetto di multifunzionalità agricola non può quindi trascurare
il settore delle energie rinnovabili (green energy).

Tutte queste funzioni trasformano così l’impresa agricola in un soggetto impegnato sia nella
salvaguardia e nella tutela dell’ambiente, del territorio e della società rurale, sia nella
valorizzazione e nell’incremento del potenziale turistico delle zone rurali e nella produzione
di qualità; facendo sì che l’agricoltura torni a giocare un ruolo predominante nello sviluppo
delle aree rurali.
La multifunzionalità permette dunque di ricreare un compromesso più equo ed efficiente tra
le funzioni e gli obiettivi prettamente produttivi dell’azienda agricola con le più ampie
funzioni sociali e ambientali a cui oggi è chiamata a rispondere.

68
http://old.inea.it/ap/bollettini/docs/Rinnovabili_agricol.pdf

69
http://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00007200/7258-rapporto-128-20102.pdf/
Figura 2. Funzioni più correntemente attribuite all'agricoltura

2.3.1 Funzioni ambientali

Le attività agricole in generale possono interferire sull’ecosistema producendo effetti sia


negativi che positivi, in relazione alle diverse modalità di utilizzo della terra e dalle tecniche
produttive utilizzate.
Tra le funzioni ambientali a cui l’agricoltura multifunzionale contribuisce la più grande
importanza è rivestita sicuramente dai fattori della tutela, della cura e della valorizzazione
del paesaggio.
L’attività agricola in tema di tutela ambientale può favorire ad esempio la salvaguardia della
biodiversità, la conservazione del suolo e delle qualità idriche e la protezione del paesaggio;
attraverso l’impiego di determinate tecniche agrarie è possibile inoltre prevenire alcuni rischi
naturali (è il caso della manutenzione degli argini dei torrenti, il ripristino delle siepi, la
gestione oculata dei boschi e dei sottoboschi). Inoltre è stato di recentemente provato in
maniera scientifica che “nell'Europa rurale il lavoro dei campi realizzato da decenni, e
sovente da secoli, ha prodotto ecosistemi specifici e particolarmente ricchi, che sarebbero
irrimediabilmente minacciati in caso di abbandono dell'agricoltura”70. Importanti funzioni
ambientali possono anche riguardare la manutenzione (come ad esempio di scoli di canali di
drenaggio e tutte le attività di protezione e di salvaguardia della fauna e flora selvatica) e la
cura del paesaggio in generale (mantenimento dei muretti a secco, mantenimento siepi ecc.).
Inoltre ormai, i sentieri nelle aree rurali, i boschi e gli altri elementi del paesaggio e del
patrimonio rurale hanno una importante vocazione ricreativa in piena espansione.

2.3.2 Le funzioni sociali e di sviluppo rurale

Per quanto riguarda le funzioni sociali e di sviluppo rurale,


abbiamo già detto quanto questa funzione risulta particolarmente enfatizzata in ambito
europeo e garantita attraverso il secondo pilastro della PAC.
L’agricoltura, infatti, esercita una fortissima influenza sul territorio ed è fondamentale nella
tutela dei beni e delle tradizioni culturali (prodotti tipici, uso di tecniche tradizionali), e per
lo sviluppo delle aree prevalentemente rurali. L’importanza delle funzioni di sviluppo rurali
associate alla multifunzionalità agricola è data dagli effetti positivi che l’agricoltura può dare
sull’occupazione, in favore del ricambio generazionale, sull’equilibrio urbanistico e per una
gestione sostenibile dei rapporti tra campagna e città. Gioca inoltre un ruolo fondamentale
ai fini di prevenire lo spopolamento delle aree rurali e anche di contro per limitare il
congestionamento delle aree urbane. Risultano essere molto diversificate le visioni
attraverso le quali l’agricoltura è in grado di favorire lo sviluppo rurale e per alcune di queste
l’attività agricola risulta essere ancora l’elemento centrale nonché condizione necessaria per
il mantenimento di talee aree; mentre per altri la vitalità economica di queste aree è associata
allo sviluppo di una serie di attività extra agricole.
Tra le funzioni di carattere sociale, ha assunto in quest’ultimo periodo una certa importanza
anche il fattore della cosiddetta agrididattica, ovvero la connessione di attività didattiche con
il mondo “contadino”., di cui le fattorie didattiche ad esempio sono diretta espressione del
fenomeno. La didattica in agricoltura già nei paesi europei è un fenomeno ampiamente
diffuso, seppur con gradi diversi, e la Francia si è mostrato un paese particolarmente attento
avendo il più alto numero di fattorie didattiche. Attraverso diverse proposte educative è
possibile far entrare in contatto i fruitori del servizio con le diverse filiere produttive ecc.
Infine possiamo includere tra le funzioni sociali e di sviluppo rurale anche i servizi turistico-

70
http://ec.europa.eu/agriculture/rur/leader2/rural-it/biblio/model/art02.htm
ricreativi (agriturismo), formativi e riabilitativi, oltre a quelli inerenti nell’ambito del tempo
libero.
Attraverso l’idea di agricoltura multifunzionale non ci si limita più quindi alla sola
produzione di derrate alimentari e prodotti primari, ma si punta a diventare sempre più
fornitori di servizi a vantaggio della società.

2.3.3 Sicurezza alimentare

Il tema della sicurezza alimentare (food security) racchiude al suo interno anche gli elementi
della salubrità (food safety) e della qualità (food quality) degli alimenti. Seppur a livello
mondiale il fenomeno della sicurezza alimentare riguarda da vicino numerosi PVS, in
Europa il concetto riguarda esclusivamente tutti i paesi importatori netti di prodotti
agroalimentari. Il settore agricolo fornisce infatti un apporto fondamentale al
raggiungimento della sicurezza alimentare, anche se, non è scontato che quest'ultima si
debba raggiungere facendò leva unicamente sulla produzione interna. Ciò che conta, oltre
alla presenza degli alimenti, sono i cosiddetti entitlements che ogni individuo possiede in
ordine all'utilizzo del cibo, vale a dire la capacità dei singoli di comporre panieri alimentari
più o meno ampi. Include dunque i concetti socio-istituzionali comprese le modalità di
accesso al cibo (Sen, 1981).
Anche se non facenti propriamente del discorso riguardo la multifunzionalità (essendo
caratteristiche che intrinseche alla produzione primaria di alimenti), le questioni di food
quality e food safety sono considerate invece da alcuni come la dimensione che la questione
della sicurezza alimentare assume nei paesi ricchi (Romstad et al., 2000). Inoltre ormai, data
la particolare attenzione che i consumatori pongono sugli aspetti associati ai prodotti
agroalimentari e verso la concezione di qualità (includendo qui i concetti di genuinità e
tipicità) gli alimenti devono sempre più essere offerti nel rispetto di determinati standard di
qualità e di valori igenico-sanitari (presenza o assenza di rischi chimici o elementi
potenzialmente tossici).

2.3.4 Benessere degli animali

Il tema del benessere degli animali è stato recepito nel quadro della PAC tra le nuove misure
da rispettare in seguito alla crescente preoccupazione dei consumatori, relativamente ai
rischi associati ad un basso contenuto di benessere degli animali, e dell’opinione pubblica
più in generale per un più generale interesse etico71. Il fatto che il benessere degli animali
sia ormai a pieno titolo tra le nuove istanze rivolte al mondo agricolo e che gli allevatori
forniscano in questo modo un servizio aggiuntivo alla collettività, non necessariamente
remunerato attraverso il mercato, pone legittimamente questo tema nell’ambito della
multifunzionalità. Inoltre il benessere degli animali oltre a rappresentare un valore “etico”
in se stesso importante risulta strettamente connesso agli aspetti di food safety e food
quality.72

2.4 Il concetto di Modello Agricolo Europeo

L’idea che all’interno dei paesi europei fosse presente un modello agricolo con
caratteristiche proprie è un concetto già presente fin dalla nascita della Comunità economica
europea e all’interno della Politica agricola comunitaria. Proprio L’ultima riforma della
politica agricola europea poggia sul riconoscimento del cosiddetto “Modello agricolo
europeo”. Se però prima le caratteristiche enfatizzate risultavano essere la particolare
struttura sociale basata sulle piccole aziende di tipo familiare e la necessità di stabilizzare
l’offerta dei prodotti agroalimentari, oggi “pur continuando a fare riferimento ad una rete di
aziende familiari” si cerca invece di far leva principalmente sull’elevata capacità
imprenditoriale e sull’utilizzo di mezzi di produzione sostenibili e poco invasivi. L'Unione
Europea attraverso il MAE è infatti a favore di un'agricoltura sostenibile, produttiva e
competitiva che sia in grado di rispondere alle attese dei consumatori e dei cittadini anche
sotto gli aspetti della qualità e della protezione ambientale, e nel contempo, sia soprattutto
73
capace di salvaguardare gli standard di vita e reddito dei propri produttori .
Proprio per questi motivi la multifunzionalità, sembrerebbe essere il carattere portante che
il nuovo modello europeo di agricoltura assegna all' impresa agricola, soprattutto per quelle
di piccola dimensione, per le quali oggi, la sfida maggiore è rappresentata dalla capacità di
riuscire a trattenere al loro interno quote sempre maggiori di valore aggiunto.
Nel contesto europeo in generale, la multifunzionalità assume dunque rilevanza in presenza
delle strette sinergie esistenti tra attività agricola e sviluppo delle aree rurali e sull’idea che

71
Henke R., Macrì M.C., (2005): Il benessere degli animali nei nuovi obiettivi della PAC, in Rivista di
Economia Agraria LX, n.2.

72
http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/548/1/mgaito_tesid.pdf
73
Commissione europea 2004
i cittadini europei desiderino mantenere vive le campagne e la ricchezza delle attività
agricole in una forma dinamica e perfettamente integrata all’interno dell’economia moderna.
Secondo la Comunità europea infatti le zone rurali devono essere preservate in quanto
componente essenziale del patrimonio culturale e del paesaggio europeo74; pertanto il MAE
è incentrato non solo sulla produzione, ma anche sulla salvaguardia del paesaggio e sulla
vitalità economica di tali aree rurali. Porsi in difesa del modello agricolo europeo, della sua
specificità e dell'importanza che riveste per la società dell'Unione nel suo complesso,
significa quindi anche riconoscere e promuovere tale modello sulla scena internazionale, in
quanto modello che rispecchia la storia, le culture e le scelte specifiche della società
europea.75
Personalmente rilevo inoltre che, in questo particolare momento di profonda e pericolosa
crisi dell’Unione, un Modello Agricolo Europeo in grado di superare gli interessi
nazionalistici e particolaristi dei vari paesi sarebbe oltremodo auspicabile. Non dobbiamo
infatti nasconderci che, nel passato anche recente, i vari interessi nazionali nel campo
dell’economia agricola hanno contribuito a creare divisioni e incomprensioni.

74
http://www.eurosapienza.it/AGRI_PAC.pdf
75
http://ec.europa.eu/agriculture/rur/leader2/rural-it/biblio/model/art02.htm#ref01
CAPITOLO III: Relazione tra sviluppo umano e agricolo

3.1 Relazioni tra le dimensioni dello sviluppo umano e quelle dello sviluppo
agricolo

I primi segni di civilizzazione, così come le più antiche civiltà e il loro successivo sviluppo,
sembrano essere storicamente collegate ai processi evolutivi dell’agricoltura. Di fatto, le
prime civiltà si svilupparono prevalentemente sulle rive di grandi fiumi e in zone dal clima
secco, condizioni che come vedremo sono particolarmente favorevoli allo sviluppo agricolo;
non a caso i più grandi imperi nacquero e si svilupparono precisamente in zone in cui
l’agricoltura avrebbe potuto essere favorita.76
La “scoperta” dell’agricoltura ebbe un impatto notevole tanto sullo stile di vita dell’uomo,
quanto sul suo rapporto con l’ambiente circostante; se inizialmente era l’essere umano (in
veste di cacciatore-raccoglitore) a doversi adattare di volta in volta all’ambiente che aveva
attorno, con il passare del tempo imparò a plasmarlo in base alle proprie esigenze e necessità,
finendo con il porsi in una posizione sempre meno neutra nei suoi confronti.
Il dominio del processo agricolo detenuto dall’uomo predatore (e successivamente
raccoglitore), ha permesso e favorito la crescita di una società inizialmente del tutto rurale.
Le maggiori conoscenze acquisite nei campi della produzione e della conservazione
alimentare ( con un conseguente aumento demografico), permisero all’umanità di
considerare le attività agricole non solo come totalizzanti e finalizzate alla sussistenza: fu
proprio allora che iniziò ad essere intrapreso il percorso che avrebbe successivamente
condotto l’uomo ad una crescita culturale maggiore, necessaria per la formazione di nuove
professionalità e il cui sviluppo avrebbe generato un tipo di società molto simile a quella in
cui viviamo oggi giorno. Come infatti dimostrano alcuni importanti processi storici,
vedremo che esiste una correlazione determinante fra l’organizzazione produttiva del ciclo
alimentare e le modalità di vita.
Senza una produzione agricola rigida, pianificata e in grado di garantire riserve di cibo per
tempi prolungati, gli antichi Egizi non avrebbero potuto costruire opere così maestose come
quelle che invece crearono; analogamente, lo sviluppo della civiltà Greca e il processo che
portò alla nascita dell’Impero Romano furono strettamente correlati ad una rigogliosa
produzione agricola.
D’altro canto, la storia ci mostra come la mancanza dei surplus alimentari adeguati sia stata

76
Diamond J., Armi acciaio e malattie: breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi editore,
2005.
la causa primaria del collasso di numerose società e la prova più evidente di tale teoria può
essere individuata nella storia della civiltà Babilonese. Infine va considerato che l'agricoltura
e l’allevamento furono le prime vere rivoluzioni della Mezzaluna fertile, storica regione del
Medio Oriente comprendente la Mesopotamia, il Levante e l’Antico Egitto. Dunque,
abbiamo diversi esempi storici che possano testimoniare di come lo sviluppo agricolo (e
l’agricoltura in generale) sia strettamente relazionato allo sviluppo umano e al grado di
benessere della popolazione, fattore che ci permette oggi di affermare che lo sviluppo
agricolo ha sempre avuto un impatto determinante sul benessere delle società ed in particolar
modo su quello delle comunità rurali, essendo queste legate allo sfruttamento delle risorse
naturali presenti sul territorio e all’utilizzo del capitale umano a disposizione. Oltretutto, non
va dimenticato che la letteratura e la scienza continuano a darci un contributo enorme
fornendoci informazioni preziose circa il ruolo assunto dall’agricoltura nel processo di
crescita economica e di sviluppo.
Attualmente l’importanza dell’agricoltura all’interno dell’economia dei vari paesi varia
significativamente, anche se tutto sommato in forma abbastanza prevedibile. La sua
importanza relativa diminuisce all’aumentare del PIL pro capite; in alcune zone più povere
del mondo ad esempio l’agricoltura rappresenta ancora il 30% (se non di più) del totale delle
attività economiche, rendendola così un mezzo indispensabile per poter promuovere
politiche di sviluppo sociale ed economico. Per altro nelle maggiori economie mondiali,
l’apporto che il settore riesce a dare alla crescita economica risulta essere ancora essenziale
pur essendosi notevolmente ridotto. L’agricoltura, se integrata con l’economia e la società
del sistema locale, è in grado di stimolare processi di sviluppo virtuosi soprattutto nelle aree
rurali, generando effetti positivi sulla competitività territoriale, sulla coesione sociale e
sull’ecosistema locale77. Potendo contribuire allo sviluppo di una società, l’agricoltura (se
sfruttata nel modo adeguato) è in grado di favorire una crescita più rapida, produrre effetti
positivi sull’ambiente (o viceversa causare danni ambientali) e incidere positivamente sul
grado di povertà o di ricchezza di un paese; va ricordato in proposito che ancora oggi è un
settore che rappresenta la fondamentale fonte di sussistenza per circa l’86% della
popolazione rurale e fornisce posti di lavoro per 1,3 miliardi di piccoli proprietari e lavoratori
senza terra.
Secondo Stringer (2001) il settore agricolo ha tutte le potenzialità per poter incidere sul
benessere sociale delle popolazioni tramite alcune funzioni che definisce “social welfar
function” e ciò sembra essere soprattutto vero per quel che riguarda i paesi in via di sviluppo;

77
Mantino F., Lo sviluppo rurale in Europa, Milano, Edizioni Agricole de Il sole 24 Ore, 2008.
o ancora, durante una recessione economica o una crisi finanziaria, l’agricoltura potrebbe
agire come una rete di sicurezza e come stabilizzatore economico78.
Esistono molti studi che dimostrano che la modernizzazione del settore agricolo e di quello
agroalimentare possano sortire effetti positivi a beneficio della crescita economica e dello
sviluppo umano79.
Effettivamente è stato dimostrato che esiste una relazione biunivoca tra performance
agricole e sviluppo umano (Figura 3) in conseguenza della quale si dovrebbe verificare un
processo bi-direzionale. Da un lato il miglioramento delle performance agricole dovrebbe
influire positivamente sullo sviluppo umano (o su alcune delle sue variabili) fornendo
prodotti alimentari di base, contribuendo alla crescita del Reddito Nazionale, aumentando la
produzione di cibo assicurando la sicurezza alimentare, aumentando il reddito a disposizione
della popolazione rurale (dunque riducendo drasticamente la povertà) e contribuendo a
salvaguardare l’ambiente. Dall’altro lato, un più alto livello di sviluppo potrebbe offrire
maggiori servizi agli agricoltori facendoli entrare in possesso di nuove conoscenze
specifiche e garantendogli una maggiore produttività; oltretutto, un’ipotesi simile potrebbe
comportare una riduzione delle asimmetrie informative presenti nel mercato.

Figura 3 Ruolo dello sviluppo Rurale nel raggiungimento di un adeguato sviluppo umano tramite il miglioramento delle
performance agricole. Fonte: Uganda Human Development Report

78
Stringer R., “How important are the non traditional economic roles of agricolture in development?”,
Australia, Adelaide University, 2001
79
http://cola.siu.edu/economics/_common/documents/discussion/06-09-econdev-technology.pdf
Tra le variabili che determinano il grado di benessere (sviluppo), è fondamentale il ruolo che
gioca l’istruzione; essendo uno dei principali pilastri dello sviluppo umano, essa riveste un
ruolo di primaria importanza nel processo di sviluppo agricolo e nella formazione del
capitale umano a disposizione.
Alcune ricerche dimostrano che l’alfabetizzazione e l’istruzione primaria, così come la
formazione di competenze di base, siano in grado di produrre effetti immediati e positivi
tanto sulla produttività degli agricoltori rendendoli più organizzati e tecnicamente efficienti
(in media un agricoltore con quattro anni di istruzione primaria è per l’8,7% più produttivo
rispetto ad uno senza alcuna istruzione80), quanto sull’ambiente circostante, rendendo gli
agricoltori più sensibili a tematiche quali la protezione ambientale e la sostenibilità in
generale.
Quindi non solo la progressione nelle conoscenze, il grado di istruzione e le professionalità
degli agricoltori risultano essere positivamente correlate tra loro, ma soprattutto, un
incremento qualitativo del livello d’istruzione ricevuta, comporterebbe maggiori possibilità
per gli agricoltori di avere crescite nei profitti, e ciò grazie soprattutto all’utilizzo delle nuove
tecnologie agricole, all’innovazione e ai maggiori investimenti in ricerca scientifica. Di
conseguenza, gli agricoltori saranno in grado di adattarsi più velocemente al progresso
innovativo e sapranno far fronte ai rischi e ai segnali del mercato in modo più veloce e
proficuo.
Al contrario, con un livello di istruzione inferiore, sarebbe più probabile che le aziende
agricole si organizzino con un un sistema di esternalizzazione delle fasi produttive,
riducendo però in tal modo notevolmente il possibile valore aggiunto.
L'istruzione di base è per tanto uno strumento essenziale di una nazione per poter sviluppare
e raggiungere obiettivi di sostenibilità di lungo termine; è stato dimostrato che un più alto
livello di educazione sembra essere necessario per fare in modo che le attività umane abbiano
un impatto sempre minore sull’ambiente circostante migliorando così gli standard di vita
delle persone. Scarse abilità di base e un basso grado di istruzione potrebbero infine limitare
le possibilità di impiego e ridurre le alternative di vita delle popolazioni nelle aree rurali. In
uno dei loro studi, Broomhall e Johnson (1994) dimostrarono che gli studenti con una bassa
performance scolastica generalmente hanno una minore probabilità di spostarsi dalle aree
rurali.
Una adeguata scolarizzazione assume particolare rilevanza anche in vista di un auspicabile
ricambio generazionale, che soprattutto in ambito agricolo risulta essere uno degli obiettivi

80
http://www.fao.org/docrep/003/Y0491s/y0491s02.htm
principali da perseguire.
Ed essendo ormai ben chiara la correlazione tra sviluppo agricolo e sviluppo socio- culturale
delle comunità e tra bassi livelli di istruzione e bassi indici di consumo culturale, di
utilizzazione dei servizi e di partecipazione, si rende necessaria l’acquisizione di nuove e
adeguate conoscenze scientifiche, considerate ormai condizione sine qua non per lo sviluppo
dell’intero settore e per una gestione sostenibile del territorio.
Recentemente anche la World Bank ha sottolineato come la formazione e l’educazione
“agricola” appaiano essere elementi di sviluppo fondamentali per il benessere di una nazione
e pertanto siano da considerarsi un importante investimento per poter migliorare la
condizione di povertà nel mondo81.
Oltre all’istruzione anche l’aspetto medico sanitario (imprescindibilmente legato al concetto
di nutrizione) determina un importante impatto sullo sviluppo agricolo e sulla sua
produttività. Ovviamente questo è ancora più sentito nei Paesi in via di Sviluppo (PVS) e
nelle zone rurali esclusivamente dedite all’agricoltura. dove le malattie endemiche cosi come
le epidemie e i cattivi sistemi sanitari influiscono sulle condizioni di salute della
popolazione, generando effetti diretti sulla domanda di prodotti agricoli, sulla produttività
del lavoro e riducendo la loro crescita economica.
Vi sono numerosi studi riguardanti l’impatto economico generato dalla sottoalimentazione
che mettono in luce un chiaro legame tra nutrizione e produttività e ancor di più evidenziano
la correlazione positiva esistente tra adeguata nutrizione e stato di salute così come il ruolo
che svolge la nutrizione riguardo le performance scolastiche nell’apprendimento cognitivo
nei bambini82. Ovviamente i soggetti malnutriti hanno una minore capacità di lavorare, di
imparare e di prendere cura di sé stessi e dei propri familiari. Di conseguenza siamo di fronte
ad un doloroso paradosso: circa il 50% delle persone che soffrono di malnutrizione cronica
sono contadini.
Oggi, la maggior parte dei paesi al mondo si trova ad affrontare il problema della
malnutrizione sotto diversi aspetti (sottoalimentazione, sovralimentazione ecc.) il cui costo
sull’economia globale è in continuo aumento, (in termini di perdita di produttività e costi
sanitari diretti) e di cui si stima una crescita su base annuale pari al 5% del PIL mondiale83.
Si è inoltre calcolato anche il costo che comporta la mancata adesione ad una politica di
sviluppo sostenibile dell’agricoltura, stimando che essa può influire negativamente sullo

81
http://www.fao.org/docrep/013/i0760i/i0760i.pdf
82
http://www.fao.org/docrep/005/y4252e/y4252e10.htm
83
http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/2/quali-fattori-influenzano-il-ricambio-generazionale
sviluppo in generale e porre rischi per la salute dei poveri nelle aree rurali; un esempio
negativo in questo caso può essere rappresentato dall’avvelenamento da pesticidi che è
stimato causare 355,000 morti all’anno, o l’eccessiva irrigazione che nei PVS può aumentare
84
esponenzialmente l’incidenza della malaria .
Un’indagine economica (1995-96) svolta in India mostra inoltre come gli Stati che
presentano performance migliori negli indicatori di salute e di istruzione di base sono anche
gli unici in grado di riuscire a migliorare significativamente lo scenario rurale.
Un altro tema che lega imprescindibilmente l’agricoltura e lo sviluppo è quello della
sicurezza umana, concetto caratterizzato da una forte multidimensionalità e per questo legato
ad aspetti quali il degrado ambientale e il cambiamento climatico, entrambi fattori che
costituiscono minacce alla sicurezza umana e in particolare a quella alimentare creando forti
impedimenti all’ attuazione di quanto enunciato da rilevanti organizzazioni internazionali.
La sicurezza alimentare è un concetto che include al suo interno la produzione di cibo e la
possibilità di potervi accedere, comportando notevoli ripercussioni sullo sviluppo della
popolazione e su quello agricolo. Da alcuni studi risulta chiara la correlazione tra “deficit di
nutrizione” e capacità di perseguire politiche di sviluppo. Di fatto nessun paese tra quelli che
hanno registrato un netto miglioramento delle performance nello Human Development Index
durante gli ultimi tre decenni ha mai avuto problemi di “Food Security” e viceversa nessun
paese tra quelli che ne hanno sofferto in maniera cronica è riuscito a registrare qualcosa in
più di un modesto cambiamento nell’HDI85.
Moltissimi studi riguardano ulteriori aspetti relativi allo sviluppo tra cui l’impatto che
generano fattori sociali, politici e istituzionali nella determinazione della produttività
agricola e del relativo sviluppo delle zone rurali. Potrebbero essere prese una serie di
contromisure con il fine di sviluppare e aumentare la produttività del settore agricolo e per
migliorare il benessere nelle aree rurali, ad esempio: potenziando le infrastrutture, i sistemi
di irrigazione, quelli di stoccaggio e di trasporto e le strade che congiungono i villaggi ai
centri con mercati più grandi.
Infine, considerando che l’agricoltura potrebbe essere in grado di rispondere alle esigenze
delle comunità, dovremmo evidenziare e sfruttare le caratteristiche sociali intrinseche ad
essa: ad esempio potremmo usufruire delle risorse agricole per promuovere azioni
terapeutiche, riabilitative e inclusione sociale, per poter favorire tanto le persone
svantaggiate quanto quelle a rischio di esclusione sociale (Senni, 2008); perciò direttamente

84
http://siteresources.worldbank.org/INTWDR2008/Resources/WDR_00_book.pdf
85
Comparisons come from UNDP HDR (2007, Table 2, pp.234-237) and WDI (2009, Tables 2.1 and 3.3).
influenti sul livello e sulle possibilità di sviluppo.

3.2 Lo sviluppo rurale

Abbiamo fin ora parlato dell’interconnessione fra sviluppo agricolo e sviluppo umano e della
loro massima espressione all’interno dello sviluppo delle zone rurali.
Nonostante storicamente con il termine rurale si faccia un chiaro riferimento all’agricoltura
e alle attività ad essa pertinenti, oggi con “area rurale” si vuole intendere più in generale il
complesso sistema caratterizzato dagli insediamenti e dalle attività localizzate in campagna
o in zone lontane dai grandi centri urbani. Nel corso del tempo soprattutto nello spazio rurale
si sono sviluppati nuovi tipi di attività, di usi e costumi che hanno portato al manifestarsi di
una sempre più netta dicotomia fra i termini rurale e agricolo. Questa separazione è stata poi
accentuata maggiormente dall’evoluzione delle stesse imprese agricole a base familiare
presenti sul territorio che si configurano sempre più come imprese pluriattive86 e non più
semplici imprese agricole. Il concetto di ruralità assume inoltre un significato in netta
contrapposizione a quello che è invece definito come spazio urbano, caratterizzato da una
elevata densità di popolazione (generalmente vengono considerati tali i nuclei con più di
100.000 abitanti, ma la definizione varia da Paese a Paese), una predisposizione ad
un’edificazione intensiva e uno sviluppo
massivo delle attività nei settori secondario e terziario. Oggi per tali motivi si può definire il
fenomeno rurale come sintomo di contro-urbanizzazione. Non è facile tuttavia dare una
definizione univoca di “spazio rurale” e sono molti i metodi che nel corso del tempo sono
stati proposti al fine di designare quel complesso di insediamenti e di attività localizzati in
campagna. Fra essi si evidenzia il tasso di occupazione agricola (o tasso di ruralità), che è
stato spesso adottato come scala di misura per individuare i differenti livelli di ruralità di un
territorio e la metodologia utilizzata dall’OECD, la quale si basa su parametri quali la densità
di popolazione e l’assenza di grandi nuclei urbani nell’area (una regione prevalentemente
rurale viene definita tale quando la sua densità abitativa è inferiore alle 150 persone per Km
quadro). Questo ultimo metodo in particolare riesce a dare una definizione ma non consente
di cogliere l’effettivo grado di ruralità. Data la diversità delle aree rurali, che può variare
molto per ragioni storiche, culturali, geografiche, socio-economiche e politiche anche la loro
definizione sarà data difficilmente da un unico indicatore 87 . Dunque seppur oggi può

86
http://www.treccani.it/enciclopedia/spazio-rurale/
87
Arseni A., Esposti R., Sotte F.; Politiche di sviluppo rurale tra programmazione e valutazione, Franco
Angeli 2003
risultare anacronistico identificare lo spazio rurale esclusivamente con quello agricolo
(soprattutto a causa del ridotto contributo che nei paesi industrializzati il settore agricolo
fornisce nella formazione del valore aggiunto e nell’impiego di forza lavoro), è però
innegabile che l’agricoltura ricopra ancora un ruolo fondamentale per lo sviluppo di queste
aree; soprattutto grazie alla capacità del settore nell’esercitare un effetto trainante sulle
attività economiche e non delle comunità locali.
L’importanza e la rilevanza che la questione rurale ha assunto di questi tempi, è
probabilmente indotta da alcuni fattori fra cui: la distribuzione della popolazione per
territorio (la maggior parte della popolazione mondiale povera vive in zone rurali),
l’estensione che queste aree coprono (si ricorda che circa l’90% del solo territorio dell’UE a
25 Stati membri è rappresentato da aree rurali), e in ultimo dalla stretta relazione che il tema
ha con il problema della sovranità e della sicurezza alimentare. Il recente spostamento di
attenzione dell'economia verso le aree rurali ha fatto così aumentare l'interazione tra
l'agricoltura e le aree urbanizzate e industriali, nella ricerca congiunta di uno modello di
sviluppo sostenibile integrato.
Oltre alla definizione del concetto di ruralità e della determinazione di quello che è lo spazio
rurale risulta essere di particolare rilevanza l’analisi dei processi che portano allo sviluppo
rurale. Lo sviluppo rurale può essere definito in termini generali come “un complessivo
incremento del benessere dei residenti delle aree rurali e, più in generale, nel contributo che
le risorse rurali danno al benessere dell’intera popolazione” (Hodge, 1986). Con questa
definizione si riconosce sin da subito un interesse generale per lo sviluppo delle aree rurali,
capaci di incidere tanto sul benessere delle popolazioni locali quanto su quello delle
popolazioni non residenti. Con sviluppo rurale si vuole inoltre far riferimento ad una crescita
sostenibile delle attività economiche e del reddito di coloro che compongono una comunità
locale, nel rispetto dell’ambiente e mediante un uso equilibrato (un utilizzo non intensivo)
delle risorse naturali. La pubblicazione, nel 1988, del documento Il futuro del mondo rurale
si può considerare come il punto di partenza per l’intervento dell’Unione Europea nelle aree
rurali, definite qui come «tessuto economico e sociale che comprende una serie di attività
eterogenee: agricoltura, artigianato, piccole e medie industrie, commercio e servizi».
Una politica di sviluppo rurale consiste quindi in un processo integrato di programmazione
e gestione territoriale, intersettoriale e interdisciplinare; una politica territoriale che supera
la sola dimensione agricola in un’ottica di lungo periodo. Con approccio di tipo integrato si
vuole intendere così un processo che raccordi tra loro non solo i diversi settori ma anche i
vari attori del territorio (istituzione, forze economiche ecc.), i progetti e le azioni, al fine di
favorire una partecipazione attiva e consapevole nella definizione degli obiettivi di sviluppo
da poter perseguire a livello locale. Lo sviluppo rurale è dunque qualcosa di più e di diverso
dallo sviluppo agricolo. Esso, infatti, riguardando uno spazio (quello rurale appunto), dove
l’agricoltura svolge sia il ruolo di spina dorsale economica che sociale, merita un’attenzione
particolare in fase di pianificazione, che tenga presente le varie componenti di natura
produttiva, sociale ed ambientale e le loro differenti funzioni e obiettivi. Il significato attuale
che assume lo sviluppo rurale, deve quindi necessariamente tenere conto dei mutamenti
avvenuti al ruolo dell’agricoltura all’ interno nell’economia; focalizzare troppo l’attenzione
sull’agricoltura ignorando i suoi collegamenti con il resto dell’economia potrebbe portare ad
una distorsione delle analisi.
Lo sviluppo rurale richiede quindi la necessità di integrare tutti questi aspetti nella
definizione di una Politica che sia specifica e appropriata di volta in volta all’oggetto di
studio. L’Europa ad esempio presenta un’enorme varietà di modelli di ruralità per ciascuno
dei quali è necessario attivare una specifica soluzione di politica di sviluppo rurale88. Se da
un lato quindi un processo di sviluppo rurale non può far leva esclusivamente (o in modo
preponderante) sullo sviluppo dell’agricoltura, dall’altro lato però la permanenza in molte
regioni di quote significative di occupati in tale settore, impedisce di poter considerare uno
sviluppo rurale indipendente da quello agricolo. I confini delle politiche di sviluppo rurale,
pertanto, vengono continuamente messi in discussione, ponendo il problema del «grado di
parentela» [De Filippis, Storti, 2002, p. 44] accettabile tra politiche agrarie e politiche di
sviluppo rurale89.
Gli obiettivi di una politica di sviluppo rurale dovrebbero quindi essere indirizzati verso un
più ampio sviluppo socio-economico del territorio locale, basato sulla valorizzazione delle
risorse locali, la qualità e la sostenibilità piuttosto che sullo sviluppo agricolo. C’è quindi il
bisogno di percorsi di analisi di sviluppo locali specifici per le aree rurali e per le relative
politiche90.
L’obiettivo dello sviluppo rurale viene trattato con particolare enfasi nell’ “Agenda 2000”
nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC). Fra le innovazioni introdotte molte sono
finalizzate ad un miglioramento della competitività delle zone rurali (anche attraverso

88
Arseni A., Esposti R., Sotte F.; Politiche di sviluppo rurale tra programmazione e valutazione, Franco
Angeli 2003
89
https://www.academia.edu/1113164/Il_ruolo_dellagricoltura_nello_sviluppo_locale_elementi_di_sviluppo
_rurale_nella_pianificazione_strategica_della_Puglia
90
https://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=5Kx4iC79FdcC&oi=fnd&pg=PA9&dq=agricoltura+e+svilup
po+umano&ots=82kX6b_rNp&sig=Ccte01cnH18NoCxo_rbuaY1KLsc#v=onepage&q=agricoltura%20e%20
sviluppo%20umano&f=false
l’ammodernamento delle strutture), al servizio dei produttori agricoli e delle piccole imprese
radicate nel territorio rurale, verso la promozione di valori condivisi e di un’agricoltura
sostenibile a basso impatto ambientale e improntata verso la plurisettorialità e la
diversificazione.
I principi guida di una politica di sviluppo rurale dovrebbero inoltre riguardare la questione
del diritto all’accesso alla terra. Oggi il tema risulta centrale non solo per i PVS ma anche
per i paesi industrializzati dove l’aumento dei prezzi dei terreni (ormai slegati dal loro reale
valore produttivo e considerati dei veri e propri beni rifugio al pari dei beni immobili) risulta
essere una delle principali cause della mancanza di cambio generazionale in agricoltura,
facendo si che di fatto anche nelle economie avanzate sia praticamente negato l’accesso alla
terra. Come altrettanto importante risulta essere, il sostegno che una adeguata politica di
sviluppo rurale dovrebbe essere in grado di dare al fenomeno della multifunzionalità in
agricoltura. E’infatti sempre più necessaria una strategia di remunerazione per tutte quelle
attività che gli imprenditori agricoli svolgono al di la della produzione di beni agricoli e
alimentari; attività rappresentate in particolare da tutti i servizi che gli stessi sono in grado
di offrire alla società in termini di beni pubblici come ad esempio: la salvaguardia
dell’ambiente e del paesaggio, o quella delle tradizioni rurali e delle tipicità locali. Il
mantenimento della vitalità e del dinamismo delle comunità rurali è poi condizione
necessaria per promuovere la sostenibilità agro-ecologica e migliorare la qualità di vita della
popolazione rurale e in particolare dei più giovani.
Oggi si invoca sempre più la necessità di uno sviluppo economico che sia più inclusivo e
che riguardi le fasce più deboli della popolazione. Dagli studi emersi si deduce che fino a
quando non si investe adeguatamente sullo sviluppo delle popolazioni rurali, non sarà mai
possibile migliorare significativamente il livello di benessere generale e garantire l’accesso
ad una buona istruzione, ad un’alimentazione adeguata, ad un lavoro dignitoso
nell’obbiettivo di migliorare gli standard di vita delle persone.
Ancora la maggior parte delle persone che non ricevono alcun tipo di protezione sociale
vivono in aree rurali dei PVS, la protezione sociale in particolare dovrebbe essere saldamente
integrata con più ampie strategie di sviluppo agricolo ed essere in linea con le politiche di
sicurezza alimentare. L’integrazione tra sviluppo agricolo e protezione sociale favorisce lo
sviluppo rurale sostenibile tutelando così i mezzi di sussistenza rurali.
Recentemente in Europa, grazie all’emergere di regioni rurali “leader” con una performance
economica relativamente alta, si è andata perdendo la tipica visione del mondo rurale come
sinonimo di arretratezza, povertà e declino che fino ad ora lo aveva caratterizzato.
3.3 Agricoltura, povertà e woman empowerment

Theodore Schultz nel discorso di ringraziamento per il premio Nobel in Economia


conferitogli nel 1979 osservò: << Most of the people in the world are poor, so if we knew
the economics of being poor we would know much of the economics that really matters.
Most of the world's poor people earn their living from agriculture, so if we knew the
economics of agriculture we would know much of the economics of being poor >> (Shultz,
1979)91.
Ancora oggi la maggior parte della popolazione povera mondiale è concentrata nelle aree
rurali e nei PVS, dove la quasi totalità della popolazione dipende quasi esclusivamente
dall’agricoltura (secondo i dati dell’IFAD la povertà affligge il 70% della popolazione rurale
nel mondo, la quale a sua volta rappresenta il 55% della popolazione totale mondiale).
Con povertà non è però da intendersi solamente la mancanza di reddito disponibile o
l’insufficienza a raggiungere una determinata soglia dello stesso. Come viene descritto nella
Dichiarazione di Copenhagen per il World Summit on Social Development nel 1995, la
povertà rappresenta una condizione caratterizzata da una molteplicità di deprivazioni nei
basic human needs (bisogni umani fonadamentali), quali: un adeguato livello di salute o di
educazione, di sicurezza (fisica e alimentare), di informazioni, la possibilità di avere accesso
all’acqua potabile, diritti civili etc. Tutte queste condizioni finiscono con l’intrecciarsi e
rafforzarsi l’una con l’altra, creando il fenomeno della povertà multidimensionale. Tra i vari
aspetti che caratterizzano una situazione di povertà, la fame gioca un ruolo sicuramente
importante, tant’è che oggi è riconosciuta essere non solo un effetto diretto della povertà ma
addirittura una delle più importanti cause. Chi soffre di fame cronica ha molte più difficolta
ad uscire da una condizione generale di povertà, influendo quest’ultima negativamente sia
sullo stato di salute che compromettendone la capacità lavorativa oltre che minando la loro
produttività con la conseguente incapacità di poter guadagnare un salario adeguato e di
migliorare lo standard di vita. Alcune condizioni di povertà, inoltre, possono essere
considerate ereditarie e finire col trasmettersi da una generazione all’altra; come ad esempio
possono essere considerate la povertà legata alle condizioni di degrado ambientale (circa il
40% delle terre considerate degradate a livello mondiale si trova in zone che presentano alti
tassi di povertà rurale92).
Il degrado ambientale infatti favorisce nel lungo periodo lo sviluppo di malattie, la povertà

91
http://www.oecd.org/tad/44804637.pdf
92
http://www.unric.org/it/attualita/27744-scarsita-e-degrado-del-suolo-e-dellacqua-una-minaccia-crescente-
per-la-sicurezza-alimentare
data dalla malnutrizione e in particolare dal livello di denutrizione che presentano le donne
incinte, le quali rischiano di partorire bambini sottopeso a loro volta maggiormente esposti
e con più probabilità di iniziare la loro vita con eventuali “handicap”.
Le evidenze empiriche ci suggeriscono che esistono diversi modi attraverso i quali
l’agricoltura e l’aumento della sua produttività possono aiutare a ridurre la povertà:
attraverso una forma diretta, aumentando il reddito pro-capite degli agricoltori (questo farà
sì che vi sia un aumento anche della domanda di prodotti e servizi di base non agricoli nelle
zone rurali) e in forma indiretta generando una crescita dell’occupazione, ampliando le
opportunità di lavoro per la parte della popolazione più povera,
riducendo il prezzo dei beni alimentari e aumentando lo stato di salute delle persone
attraverso una gestione più sostenibile delle risorse (compresi tutti i benefici che la crescita
agricola è in grado di portare agli individui non necessariamente relazionati con il settore
agricolo). Gli effetti indiretti della crescita agricola nei confronti della riduzione alla povertà
sono pertanto da considerarsi importanti tanto quanto quelli che avvengono in maniera
diretta. In termini generali si può affermare che nel momento in cui un’economia tende a
crescere, l’incidenza percentuale della povertà (qui intesa come percentuale di popolazione
sotto la soglia di povertà) tenderebbe a diminuire. Questa relazione e la sua esistenza
dipendono però principalmente dalla distribuzione che si decide di attuare dei redditi nel
momento di crescita economica. Nel corso degli ultimi vent'anni, ad esempio, i paesi con i
maggiori tassi d'investimento agricolo sono stati anche quelli che sono riusciti a fare i
maggiori progressi in termini di dimezzamento della fame e di raggiungimento del primo
degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Viceversa le regioni dove fame e povertà estrema
sono più diffuse e di vaste proporzioni come Asia meridionale e Africa subsahariana sono
anche quelle che negli ultimi trent'anni hanno avuto tassi d'investimento agricolo stagnanti
se non in calo. Per questi motivi lo sviluppo rurale e la crescita della produttività agricola
risultano essere elementi cruciali per la lotta alla riduzione della povertà. Ravallion e Datt
(1996) costruirono un modello CGE, per dimostrare come la crescita nel settore agricolo sia
un fattore determinante per ridurre anche l’effetto della povertà urbana in India. Lo studio si
dimostrò corretto e altre micro evidenze empiriche vennero fatte da Wodon (1999) in
Bangladesh, Thorbecke and Jung (1996) in Indonesia, and Timmer (1995) in Kenya (Irz et
al. 2001). Nel lavoro si dimostrò infine come invece la crescita urbana non avesse alcun
effetto nei confronti della riduzione della povertà rurale93. Dewbre, Cervantes-Godoy and

93
https://depts.washington.edu/esreview/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/ESR-2011-Research-
Agricultural-Productivity-and-Poverty-Reduction.pdf
Sorescu (2011) in un paper pubblicato dall’OCSE intitolato “Agricultural Progress and
Poverty Reduction: Synthesis Report” hanno invece studiato e comparato le caratteristiche
socio-economiche di 25 Paesi che hanno svolto particolari progressi nella riduzione della
povertà, al fine di poter capire perché alcuni Paesi avessero raggiunto risultati migliori di
altri e studiare se il ruolo dell’agricoltura fosse realmente più importante dello sviluppo di
altre risorse nel ridurre la povertà. E’ stato così osservato che nella stragrande maggioranza
dei casi i paesi che sono riusciti a ridurre più velocemente la povertà sono stati
successivamente in grado di generare notevoli miglioramenti negli aspetti fondanti dello
sviluppo umano ed in particolare nel livello di istruzione, soprattutto per merito degli effetti
moltiplicatori che la crescita agricola è in grado di trasmettere verso la crescita economica
di altri settori94. Anche Thirtle, et al. (2001) studiarono l’impatto della produttività agricola
sulla povertà e sulle variabili dello sviluppo umano nei così detti LDCs (Least Developed
Countrys); lo studio rilevò, attraverso un’analisi di regressione, l’esistenza di un legame
positivo tra lo sviluppo agricolo e la riduzione della povertà segnalando inoltre l’enorme
apporto che questo era in grado di arrecare nel miglioramento di alcune variabili dello
sviluppo umano 95 . Con l’attenzione posta dai principali organismi internazionali al
raggiungimento dei Millennium Development Goals e l’enfasi sulla lotta alla povertà, il ruolo
dello sviluppo agricolo come strumento per favorire la crescita economica e distribuire il
dividendo della crescita a fasce sempre più ampie della popolazione, e segnatamente agli
strati più poveri della società, è tornato ad essere prioritario nell’agenda dello sviluppo
(World Bank, 2007).
Studi differenti si sono invece concentrati sul ruolo che l’agricoltura e le tecnologie agricole
possono giocare nella riduzione della povertà; Thirtle, et al. (2003) mostrano come la ricerca
scientifica che ha portato verso il cambiamento tecnologico nel settore agricolo abbia
generato una crescita della produttività tale da mantenere nei PVS alti tassi di rendimento in
grado anche di diminuire drasticamente la povertà. Bisogna anche considerare che
l’introduzione di nuove tecnologie (anche in campo agricolo) possono ad esempio influire
positivamente sul livello dei redditi degli agricoltori nel momento in cui queste permettono
la riduzione del costo marginale in sede di produzione. I Paesi che presentano una forte
povertà rurale dovrebbero proteggere i loro agricoltori proibendo le importazioni di alimenti
provenienti da Paesi che sovvenzionano e favoriscono le loro esportazioni, provocando una
grave perdita nel settore agricolo nazionale.

94
http://www.oecdilibrary.org/docserver/download/5kg6v1vk8zr2.pdf?expires=1449058610&id=id&accnam
e=guest&checksum=C7FCF61B512C02283E8F1DD90B5CE460
Secondo la World Bank per la lotta alla riduzione della povertà è molto più efficace la
crescita del settore agricolo e dei salari degli agricoltori che la crescita di qualsiasi altro tipo
di settore; in primis perché l’incidenza della povertà tendere ad essere maggiore nelle
popolazioni rurali che da qualsiasi altra parte, secondo perché questo dipendono direttamente
dall’agricoltura.
In ultimo, risulta particolarmente importante il contributo che uno sviluppo oculato
dell’Agricoltura è in grado di offrire verso la Women’s Empowerment per l’aiuto che si può
dare alla lotta alla Disuguaglianza di genere, componente essenziale dello sviluppo. Le
donne, anche se non è facile giungere a stime accurate, forniscono un contributo che è pari
circa al 50% nella produzione di cibo a livello mondiale, con percentuali che cambiano
notevolmente in base alla zona di riferimento (secondo le stime FAO le donne rappresentano
fino al 70% della forza lavoro agricola in alcune economie in via di sviluppo e solamente il
20% in America Latina). Le donne come forza lavoro e come imprenditrici agricole se
meglio istruite e più sane contribuiscono nettamente all’aumento della produttività
adottando, ad esempio, innovazioni nel campo dell’agricoltura e alla conseguente crescita
dei redditi familiari 96 . Il loro ruolo, essenziale e complementare rispetto a quello degli
uomini, specialmente nei paesi a reddito medio-basso è però ancora troppo sottostimato e
viene continuamente poco supportato, soprattutto data la mancanza di diritti volti a
rappresentare la loro posizione. Per le donne è molto più difficile avere accesso diretto alla
terra (che avviene per lo più attraverso una figura maschile) quasi mai diventano proprietarie
della terra che lavorano ed alcuni studi mettono in evidenza il limitato accesso che hanno
alle risorse comuni, alle sementi di qualità ed ai servizi finanziari. Colmare le disparità tra
l’uomo e la donna in agricoltura, fornendo a queste ultime maggiori strumenti è
fondamentale per la lotta alla povertà e alla sicurezza alimentare. Esse sono, da una parte, le
custodi della diversità genetica, dall’altra quelle cui spetta la preparazione e la
trasformazione del cibo. Così le donne collegano terra e consumo, esattamente come
rappresentano l’asse principale di collegamento fra la sfera sociale e quella economica.
L’eredità dell’agricoltura è nelle mani delle donne e sono loro a trasmettere la conoscenza
alle nuove generazioni97; pertanto non sarà mai possibile un miglioramento dello sviluppo
rurale e di quello agricolo senza che vi sia la piena partecipazione del lavoro femminile.

96
http://hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2003-italian.pdf pag26
97
http://www.navdanyainternational.it/attachments/article/202/Manifesto%20italiano.pdf
Capitolo IV: L’indice di multifunzionalità dell’agricoltura e
l’indice di sviluppo umano regionale

4.1 Introduzione
In questo capitolo, diviso in due parti distinte e separate, cercheremo di esaminare
metodologicamente il processo che ha portato alla costruzione di due indici compositi:
l’indice di multifunzionalità dell’agricoltura e l’indice composito di sviluppo umano
regionale di cui in appresso. Lo scopo del lavoro qui proposto è infatti quello di studiare il
tipo di relazione che intercorre tra lo sviluppo umano in generale di una determinata zona e
il livello di multifunzionalità agricolo riferito alla medesima area; pertanto si è provveduto
per prima cosa a definire attraverso l’uso degli indicatori semplici entrambi i concetti. Viene
prima presentata la costruzione relativa all’indice della multifunzionalità dell’agricoltura,
resa possibile grazie ad un lavoro svolto precedentemente a cura dell’ISTAT dal quale mi
sono stati consegnati i singoli dati; dopo la spiegazione del processo metodologico di
realizzazione verranno analizzati gli aspetti salienti del fenomeno attraverso l’analisi dei dati
e con l’aiuto della statistica descrittiva. Nella seconda parte invece viene presentato il
processo che ha portato alla costruzione dell’Indice di Sviluppo Umano regionale (ISUr),
che rappresenta un mio modesto ma personalissimo contributo. Dopo la presentazione
dell’indice viene anche qui svolta un’analisi di statistica descrittiva e infine una cluster
analysis per la creazione di gruppi di similarità negli aspetti dello sviluppo così individuato.
Bisogna infatti considerare che tutto quello che si è in grado di misurare e studiare da un
punto di vista quantitativo può avere potere di influenzare le strategie realizzative: per questo
è importante avere buoni indicatori che siano capaci di guidare coloro che poi coordinano la
definizione di politiche e strategie in grado di favorire o no il progresso sociale e lo sviluppo
in generale. Le politiche dovrebbero infatti essere maggiormente focalizzate intorno ai fattori
strutturalmente incidenti sullo sviluppo di ciascuna realtà territoriale. Per tanto è ovvio che
occorra preliminarmente inquadrare concettualmente questi stessi fattori.

4.2 L’indice di multifunzionalità dell’agricoltura

Punto di partenza della ricerca qui presentata è stato il lavoro svolto a cura dell’Istat
“Misurare la multifunzionalità in agricoltura: proposta di un indice sintetico”, a cura di
Massimo Greco, Daniela Fusco, Paola Giordano, Valerio Moretti e Marco Broccoli
dell’ISTAT e pubblicato da Agriregionieuropa anno 9 n°34, Settembre 2013; e riportato in
parte qui di seguito.
L’articolo presentato ha infatti lo scopo di misurare e sintetizzare al massimo il concetto di
multifunzionalità “in modo tale da poter esprimere, a livello territoriale, fino a che punto le
aziende agricole siano state in grado di seguire le direttive date, a livello comunitario,
all’agricoltura italiana” 98 ; e per poter riuscire a raggiungere questo obiettivo “è stato
costruito un indice sintetico, basato su indicatori elementari, in grado di esprimere la
funzione economica, sociale e ambientale delle aziende agricole italiane” 99 . Per offrire
quindi una maggiore confrontabilità tra i territori è stato poi scelto di considerare la divisione
geografica proposta dal Piano Strategico Nazionale (Psn) 2007/2013 (Mipaaf 2013) che
classifica il territorio italiano in base al grado di ruralità in quattro macro-aree; in modo tale
da avere all’interno di ogni singola regione le aree agricole che presentano caratteristiche
strutturali comuni:

• Area A: caratterizzata dalla presenza dei poli urbani della regione.


• Area B: rappresentante le aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata.
• Area C: include al suo interno le aree rurali cosiddette intermedie di una regione.
• Area D: individua invece tutte le aree rurali con problemi complessivi di sviluppo.

Nel caso dell'Italia infatti che risulta caratterizzata da un territorio fortemente disomogeneo,
non solo in termini di popolazione (anche all'interno di una stessa provincia), la metodologia
OCSE per la classificazione delle aree urbane e rurali (basata sul parametro della densità di
popolazione100) non risulta essere idonea a fornire una zonizzazione sufficientemente fedele
alla realtà del territorio italiano; proprio per tale motivo si è deciso quindi di utilizzare la
metodologia del Psn sopra descritta.

4.2.1 Le cinque dimensioni utilizzare per valutare la multifunzionalità

Per la costruzione dell’indicatore semplice della multifunzionalità agricola che viene


proposto nell’articolo “Misurare la multifunzionalità in agricoltura: proposta di un indice
sintetico” e per la scelta delle variabili da considerare all’interno delle diverse dimensioni

98
http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
99
http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
100
La metodologia OCSE considera rurali tutte le aree che registrano una densità di popolazione inferiore ai
150 ab./km2
caratterizzanti il concetto, sono stati utilizzati esclusivamente i dati provenienti dal VI
Censimento Generale dell’Agricoltura dell’anno 2010, realizzato dall’ISTAT e disponibili a
livello di micro-area. Sono state così individuate cinque dimensioni fondamentali definiti
pillars (pilastri in italiano) che pur non potendo essere esaustivi, riassumono il concetto di
multifunzionalità adottato nel presente lavoro. Per ogni pillar è stata effettuata un’analisi
ulteriormente approfondita, scorporandoli in altrettante componenti di base (indicatori
elementari), definite secondo il criterio della coerenza logica e interpretativa, finalizzata alla
migliore e più completa descrizione possibile di ogni area concettuale101. Ogni indicatore
elementare è stato calcolato quindi a livello comunale a partire dai dati presenti nell’ultimo
Censimento dell’Agricoltura fatto a cura dell’Istat.

1) Tutela del paesaggio: Il "paesaggio" è definito dalla specifica Convenzione europea


(Convenzione Europea sul paesaggio 2000) come una determinata "parte di territorio, così
com’è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o
umani e dalle loro interrelazioni". Negli ultimi decenni il paesaggio ha subito un progressivo
degrado contro cui possono intervenire il recupero e il mantenimento dei sistemi e pratiche
agricole tradizionali sviluppate nelle diverse forme dalle popolazioni locali. Una gestione
del territorio attenta alla salvaguardia del paesaggio non può prescindere dal mantenimento
di una diffusa attività agricola che mantenga gli elementi costitutivi dei paesaggi rurali
storici come, ad esempio, i filari di siepi e boschetti, i terrazzamenti, manufatti come i muretti
a secco ed i vecchi pagliai.
Per la misurazione della tutela del paesaggio sono stati utilizzati i seguenti indicatori:

- Aziende con elementi del paesaggio agrario/Aziende;


- Aziende con superficie a riposo/Aziende con Sau (superficie agricola utilizzabile);
- Superficie a riposo sotto regime di aiuto/Sau;
- Superfici con legnose/Sau;
- Superfici con prati e pascoli/Sau.

2) Diversificazione delle attività: La Politica Agricola Comunitaria (Pac) 2007-2013 sostiene


fortemente le attività di diversificazione che rappresentano anche l’aspetto più conosciuto
della multifunzionalità. È la nuova agricoltura che salta immediatamente all’occhio, quella

101
http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
basata su una diversa disarticolazione dei fattori produttivi e nella produzione di un output
maggiormente variegato.
Questi gli indicatori utilizzati per misurarla:

- Aziende che usano misure per la diversificazione delle attività/Aziende;


- Aziende con coltivazioni energetiche/Aziende;
- Aziende con attività connesse/Aziende.

3) Ambiente: Questo aspetto della multifunzionalità è strettamente collegato al concetto di


eco-condizionalità, che ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel nuovo orientamento
della Pac. Essa mette in relazione l'agricoltura, con il territorio e la società, essendo volta a
tutelare l'attività agricola e a garantire, al contempo, un beneficio ambientale per l'intera
collettività.
Gli indicatori scelti sono stati:

- Aziende che beneficiano di misure per l'ambiente/Aziende;


- Aziende con superficie biologica/Aziende con Sau2;
- Superficie biologica/Sau;
- Aziende con capi biologici/Aziende con allevamenti;
- Capi bovini biologici/Capi bovini;
- Capi bufalini biologici/Capi bufalini;
- Capi equini biologici/Capi equini;
- Aziende che effettuano stoccaggio degli effluenti zootecnici prodotti in azienda/Aziende con
allevamenti;
- Aziende con impianti di energia rinnovabile/Aziende.102

4) Qualità alimentare: Il sostegno della competitività, e di conseguenza della redditività degli


agricoltori dell'UE, si basa necessariamente sulla qualità alimentare. Le aspettative dei
consumatori richiedono il soddisfacimento di severi requisiti negli standard di produzione e
103
la stessa comunità europea spinge i produttori agricoli a garantire la qualità per il
consumatore.

102
http://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
Sono stati scelti i seguenti indicatori per la misurazione della qualità:

- Aziende che beneficiano di misure per la qualità alimentare/Aziende;


- Aziende con vitigni Doc Docg3 /Aziende con vite;
- Superficie a vite Doc Docg/Superficie con vite;
- Superficie Dop Igp /Sau;
- Superficie biologica/Sau;
- Capi bovini e bufalini Dop/Capi bovini e bufalini;
- Aziende che effettuano stabulazione del bestiame/Aziende con allevamenti;
- Numero medio di bovini e bufalini in stabulazione/Capi bovini e bufalini.

5) Protezione del territorio: L'agricoltura ha inevitabilmente uno stretto legame con il


territorio. Se praticata in maniera conforme alla sua protezione, contribuisce alla creazione
e alla salvaguardia di una grande varietà di habitat semi-naturali di elevato pregio, aprendo
contestualmente nuove opportunità di sviluppo e di reddito per gli operatori del settore.
Per la misurazione di tale dimensione sono stati individuati i seguenti indicatori:

- Aziende con superficie irrigata/Aziende con superficie irrigabile;


- Aziende che effettuano conservazione del suolo/Aziende con Sau;
- Superficie coperta e/o conservata/Superficie con seminativi;
- Superficie con inerbimento/Superficie con legnose;
- Aziende che utilizzano consulenza irrigua/Aziende con superficie irrigata;
- Aziende con boschi/Aziende;
- Superficie boscata/SAT.104

I dati così ricavati sono poi stati aggregati combinandoli linearmente in prima
approssimazione (in modo da formare i cinque pillars), in base alle diverse aree Psn e quindi
alle regioni di appartenenza e ponderati in base al numero di aziende zootecniche e non. Poi
attraverso il metodo degli indici relativi (IR) che riproporziona il valore assunto da ciascuna
variabile in modo che sia compreso tra il valore più basso posto uguale a zero e il valore
maggiore uguale a uno, tutti i valori sono stati normalizzati. Si è giunti in questo modo alla
determinazione di un unico valore per ogni pillar per ogni area Psn appartenente ad una

104
http://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
regione; i pillars sono poi stati aggregati tra loro attraverso l’uso della media semplice per
formare l’indice di multifunzionalità di una regione riferito alla propria area di appartenenza.
Si è deciso di utilizzare la media semplice come metodo aggregativo dei dati dando in prima
approssimazione lo stesso peso e dunque la stessa importanza a tutte le dimensioni
considerate per rappresentare il fenomeno della multifunzionalità.

!"
$%&'() +, + .+/'01+2+3)4+56' +, + 789+'6&' +, + :%)(+&à +, + $'00+&50+5(+,)
=
5

Dove (i) indica l’area Psn presa in considerazione e (j) la regione di appartenenza; quindi
per esempio per calcolare l’indice di multifunzionalità relativo all’area dei poli urbani
(rappresentati dalla zona A) dell’Abruzzo (IRA-ABR), dovremo fare la media dei valori che le
cinque dimensioni considerate presentano nell’area considerata.
Per la costruzione poi dell’indice sintetico di multifunzionalità generale a livello regionale
sono quindi stati aggregati ancora una volta attraverso l’uso della media semplice, i valori
assunti dall’indice IR di ogni macro-area Psn della stessa regione. Anche qui si è deciso di
adottare l’uso della media semplice conferendo la stessa importanza ad ognuna delle quattro
macro-aree delle regioni. L’indice di multifunzionalità regionale così costruito è in grado di
fornirci solamente una visione generale del fenomeno della multifunzionalità agricola in
Italia; per avere maggiori dettagli sull’effettivo livello di multifunzionalità andrebbero
osservati separatamente i valori assunti dall’indice in ognuna delle aree considerate. Una
visione generale tende infatti ad offuscare tutti quei comuni particolarmente virtuosi per
grado di multifunzionalità che solo una visione più dettagliata dei dati può invece offrire.

Nella Figura 4 qui sottostante è possibile osservare la posizione assunta dalle regioni in base
all’indicatore di multifunzionalità dell’agricoltura generale (dunque secondo una visione
quantitativa del fenomeno); in alto sono poste le regioni che risultano essere più virtuose con
un valore che parte da circa 0,23, mentre in basso sono riportate quelle che risultano esserlo
meno con valori più prossimi allo 0,1 (si denota quindi un escursione pari al doppio del
valore tra la prima e l’ultima regione, come poi sarà analizzato più avanti). Mentre nella
Figura 5 osserviamo in un grafico del tipo xy la posizione assunta da ciascuna regione.
Figura 4 Classifica delle regioni italiane per indice di multifunzionalità

Figura 5 Grafico xy dei valori assunti dalle regioni nella multifunzionalità agricola
E’stata quindi creata per una visione più qualitativa, ma sicuramente esplicativa del
fenomeno, anche la tabella relativa al posizionamento che ciascuna regione raggiunge a
seconda dell’area Psn di riferimento.

Figura 6 Classifica delle regioni italiane per indice di multifunzionalità e area Psn
4.2.2 Risultati ed analisi

Dai valori assunti dall’indice di multifunzionalità generale a livello regionale è facile


osservare come la prima posizione della graduatoria è occupata dalla regione del Trentino
Alto Adige, grazie all’ottimo risultato complessivo raggiunto nel livello di multifunzionalità
delle aziende agricole presenti all’interno dei poli urbani e nelle aree rurali con problemi
complessivi di sviluppo (all’interno della quale occupa il secondo posto). Segue
immediatamente dopo, nella classifica generale, la Valle d’Aosta (il cui territorio appartiene
interamente all’interno della macro-area D e di cui risulta essere la regione più
multifunzionale). Gli ottimi risultati conseguiti da queste due regioni, sono quindi da
imputarsi all’elevata presenza di aziende agricole localizzate in territori montani che non
potendo consentire lo sviluppo di un’agricoltura di tipo intensivo, favorisce probabilmente
la nascita di attività produttive diversificate e più multifunzionali.
Altre tre regioni virtuose presenti nella fascia del Nord Italia che sono state in grado di
cogliere le opportunità offerte dalla “nuova agricoltura” risultano essere quelle dell’Emilia
Romagna, del Friuli Venezia Giulia e della Liguria. L’Emilia Romagna è tra l’altro una delle
poche regioni d’Italia dove è possibile osservare una certa omogeneità per quanto riguarda
l’estensione del fenomeno della multifunzionalità, occupando infatti la terza posizione per
indice IR in ognuna delle quattro aree di riferimento. Per quanto riguarda il Friuli Venezia
Giulia (quinto nella classifica generale) possiamo invece notare come da un lato la regione
risulti essere tra quelle più all’avanguardia per indice di multifunzionalità come ad esempio
nelle zone relative ai poli urbani, o nelle aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata e
in quelle rurali intermedie (zone A, B e C), mentre dall’altro presenta anche ampie sacche
di ritardo nell’attuazione della multifunzionalità agricola nelle aree più rurali della regione.
Le regioni di Veneto, Lombardia, Piemonte e Toscana presentano invece un livello di
multifunzionalità generale abbastanza simile e questo è confermato in particolare per quanto
riguarda l’attuazione del concetto di agricoltura multifunzionale all’interno delle aree
rappresentanti i poli urbani.
Geograficamente a partire dal Lazio e dall’Abruzzo inizia una vera e propria linea di
demarcazione dell’Italia per quanto riguarda il livello di multifunzionalità a confronto con
quello delle regioni del Centro-Nord; unica eccezione all’interno del gruppo delle regioni
meridionali può essere rappresentato dalla Basilicata che presenta un discreto livello di
multifunzionalità dovuto probabilmente all’imponente presenza di territori coltivati con
metodi biologici (qui incluso nella dimensione dell’Ambiente).
Molto negativi sono invece i risultati ottenuti dalle regioni di Lazio e Campania, fanalini di
coda tra le regioni per grado di multifunzionalità all’interno dei poli urbani (zona A) dove
evidentemente si sono poco affermati i fenomeni degli orti urbani e dell’agricoltura
periurbana. Le due regioni risultano figurare anche tra le ultime cinque per IR nelle aree B
e C ed è solamente grazie ad una maggiore attenzione posta nei confronti della
multifunzionalità nelle aree più rurali della regione che entrambe non si trovino agli ultimi
posti.
Per quanto riguarda le regioni più meridionali possiamo individuare invece nella Puglia e
nella Sicilia le due regioni italiane meno virtuose dal punto di vista della multifunzionalità
che rappresentano le ultime posizioni nelle aree D e B e tra le ultime per le restanti aree A e
C. Anche la Calabria seppur in via minore non è riuscita a cogliere le opportunità del
cambiamento in atto.
Infine è importante osservare la posizione assunta dalla Sardegna; infatti anche se presenta
un valore generale di multifunzionalità relativamente basso, attraverso la visione della
Tabella si può evincere come si attesti invece tra le regioni leader per multifunzionalità
agricola all’interno delle aree urbane, mentre arriva ad occupare le posizioni più basse della
classifica nelle aree rurali intermedie e in quelle con problemi complessivi di sviluppo. Va
precisato però che il sistema agricolo sardo presenta caratteristiche sui generis rispetto al
resto d’Italia. La vocazione regionale per la pastorizia e per le attività ad esse connesse non
favorisce la diversificazione e lo sviluppo di altre attività che sono risultate fondamentali in
questo lavoro per descrivere il fenomeno della multifunzionalità. 105
Risulta interessante osservare anche quale tra le cinque dimensioni (pillars) individuate per
descrivere il livello di multifunzionalità regionale risulta essere quella più enfatizzata dalle
aziende agricole di ogni regione. Attraverso la tabella sottostante (Figura 7) possiamo subito
notare come sia Trentino che Valle d’Aosta risultano occupare quasi sempre le prime
posizioni in tutte le dimensioni, dimostrando così il forte interesse verso tutti gli aspetti
considerati senza tralasciarne alcuno. L’Emilia Romagna invece pur avendo un livello di
multifunzionalità generale elevato si attesta però ultima regione per quanto riguarda
l’attenzione posta agli aspetti relativi alla dimensione ambientale (vi è dunque la bassa
presenza di agricoltura di tipo biologico e/o poche aziende con impianti per la produzione di
energia rinnovabile).

105
http://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-agricoltura-
proposta-di-un-indice-sintetico
Ottima risulta invece la forte attenzione posta dalle aziende agricole liguri nella dimensione
relativa alla tutela del paesaggio.
La Lombardia risulta invece essere caratterizzata per l’importante impegno posto nei
confronti degli aspetti della diversificazione delle attività (tanto da farla posizionare al primo
posto nella classifica inerente al medesimo pillar) e per il basso riguardo verso le dimensioni
della Qualità e dell’Ambiente.

Figura 7 Posizione generale assunta dalle regioni italiane nei cinque pillar della multifunzionalità
Le regioni di Molise e Sicilia accumunate da bassi valori nell’indice IR generale si
presentano in maniera diametralmente opposte per quanto riguarda l’attenzione posta nei
diversi aspetti della multifunzionalità. Se la prima infatti risulta essere l’ultima regione
italiana nei fattori relativi della multifunzionalità relativi all’ambiente e alla tutela del
territorio, la seconda risulta essere ben posizionata in queste due dimensioni ma gravemente
in ritardo per quanto riguarda la protezione del territorio e la diversificazione delle attività.
Per quanto riguarda la Basilicata la notevole attenzione negli aspetti relativi al pillar
dell’ambiente (posizionata seconda per indice ambientale generale) va ribadito è invece
dovuto alla grande presenza di terreni destinati all’agricoltura biologica.
In ultimo va osservata le posizioni assunte dalla Calabria nei diversi pillar; posizionata
quarta migliore regione italiana per quanto riguarda la tutela e l’ambiente risulta poi essere
ultima per quanto concerne l’aspetto della diversificazione.

4.3 L’indice di sviluppo umano regionale

Per poter individuare il livello raggiunto nello sviluppo umano, nonché negli aspetti che
riguardano il benessere, delle regioni italiane si è pensato di costruire un indicatore
composito che fosse in grado di racchiudere in sé, alcune delle principali dimensioni atte a
descrivere il livello di benessere di una determinata area.
Riprendendo quindi il concetto di sviluppo umano di cui si parla nel primo capitolo e
partendo dalla metodologia utilizzata per la costruzione dello Human Development Index
(HDI), l'indicatore qui presentato (ISUr Indice di Sviluppo Umano regionale) è stato
sviluppato partendo però dalla constatazione che le dimensioni e le variabili considerate
dall’indice HDI, sviluppato dalle Nazioni Unite non fossero in grado di cogliere le reali
differenze presenti sul territorio italiano e quindi tra le diverse regioni.
L’obiettivo ultimo è infatti quello di poter confrontare la posizione assunta dalle regioni
italiane nei diversi aspetti dello sviluppo multidimensionale in un contesto di sviluppo
umano generale quale quello dell’Italia già di per sé abbastanza alto (in confronto al resto
dei paesi mondiali).
Obbiettivamente va sottolineato che l’indicatore ISUr creato non ha la pretesa di essere
esaustivo ai fini della valutazione del grado di sviluppo a livello regionale, ma ha
semplicemente lo scopo di fornire una visione, si auspica più ampia e generale, di quello che
è lo sviluppo umano in Italia, sia pur prendendo in considerazione solo alcuni degli aspetti
che possono risultare fondamentali alla sua formazione. Inoltre va ricordato che talvolta la
mancanza di dati completi e affidabili rende impossibile considerare alcuni aspetti legati al
benessere e allo sviluppo umano, limitando conseguentemente la possibilità di una più ampia
scelta delle dimensioni da considerare.
Per la costruzione dell’ISUr si è scelto di utilizzare i dati esclusivamente provenienti dalla
banca dati dell’ISTAT 106 , facenti parte dei diversi censimenti effettuati dall’istituto
Nazionale nel corso degli anni. Anche in questo caso la scelta di utilizzare i dati provenienti
da un'unica fonte è stata effettuata per evitare eventuali problemi che sarebbero potuti
derivare dall’integrazione tra più fonti.
Ovviamente tale scelta ha anche tenuto conto che alla fin fine l’ISTAT è l’unico ente
istituzionalmente preposto a indagini statistiche, anche se altre fonti vedi Censis ed Eurostat,
di cui comunque si è tenuto conto nelle nostre riflessioni sono del tutto meritevoli di
attenzione.

4.3.1 Le sei dimensioni considerate nell’indice ISUr:

E’stato quindi dapprima disaggregato il concetto di sviluppo umano arrivando


all’individuazione di sei dimensioni fondamentali dello stesso, ognuna delle quali a sua volta
composta da uno o più indicatori elementari (variabili) in grado di descrivere ogni
dimensione seppur per linee generali.

1) Occupazione: La condizione di possedere un lavoro che sia giustamente remunerato, sicuro


e adeguato alle proprie competenze rappresenta un aspetto fondamentale in grado di incidere
direttamente sulla valutazione del benessere delle persone. Si è scelto quindi per poter
misurare questa dimensione di utilizzare gli indicatori del tasso di occupazione 20-64 anni
(riferito all’anno 2011) e il tasso di occupazione della popolazione tra i 15-64 anni di
diplomati e laureati (calcolato anche questo in riferimento all’anno 2011 con la seguente
formula:
[ @ABBC DE CFFGHAIECJK LMNOP DEHQCRA@E∗J°DEHQCRA@E U @ABBC DE CFFGHAIECJK LMNOP QAGVKA@E∗J°QAGVKA@E ]
(J°DEHQCRA@EUJ°QAGVKA@E)

). E’ stata infine fatta la media semplice tra questi due indicatori elementari e il risultato
espresso in percentuale è stato diviso per 100 al fine di avere dei valori espressi in scala da
zero a uno.

106
http://dati.istat.it
2) Reddito: L’aspetto reddituale (che risulta essere anche una delle dimensioni fondamentali
considerate nella composizione dell’HDI al fine di vivere una vita degna di un essere
umano), è un importantissimo mezzo attraverso il quale è possibile ampliare le proprie
capability nonché ovviamente di migliorare il proprio standard di vita. Viene quindi
considerato come nella visione di Sen come il principale mezzo per perseguire lo sviluppo.
Per misurare questo aspetto è stato utilizzato il dato relativo al reddito mediano annuale
delle famiglie in euro per ogni regione (normalizzato attraverso la serie storica che va dal
2003 al 2011). Si è inoltre deciso di utilizzare il reddito mediano come indicatore elementare
e non quello medio pro-capite in quanto risulta essere più adatto a descrivere il livello di
benessere economico delle persone (infatti se il Pil pro-capite medio cresce più di quello
mediano le disuguaglianze tendono generalmente ad aumentare).

3) Inquinamento (assenza di inquinamento): Avere a disposizione un’ambiente salubre e


non inquinato rappresenta evidentemente una caratteristica di primaria importanza per la
determinazione del benessere delle persone. Data la difficoltà nel riuscire a reperire dati
affidabili riguardanti gli aspetti ambientali in questo studio è stato considerato solo l’aspetto
dell’inquinamento dell’aria. La dimensione dell’inquinamento è stata quindi misurata
attraverso l’utilizzo dell’indicatore elementare relativo alle emissioni di gas serra per
regione, calcolato dall’ISTAT attraverso il numero di tonnellate di CO2 equivalenti per
abitante. I dati aggiornati ogni cinque anni, sono stati normalizzati sulle serie storica dal
1990 al 2010 ed è stato considerato come valore minimo quello fin ora osservato.

4) Istruzione: E’ certo che la scolarizzazione e l’istruzione influenzano il livello di benessere


sociale e portano ad un espansioni delle proprie possibilità reali. Generalmente si è osservato
che le persone con livelli di istruzione più elevati hanno un tenore di vita più elevato e hanno
maggiori opportunità di trovare lavoro (OECD, 2010c; Boarini and Strauss, 2010; Sianesi
and Van Reenen, 2003), vivono di più e meglio perché hanno stili di vita più salutari e hanno
maggiori opportunità di trovare lavoro in ambienti meno rischiosi (Miyamoto and Chevalier,
2010; La Fortune and Looper, 2009)107. Per valutare il livello di istruzione delle regioni
italiane si è pensato di utilizzare quindi i dati relativi alla popolazione tra i 25-64 anni divisa
per titolo di studio e considerando il numero dei diplomati più quello dei laureati di ogni

107
Rapporto Bes 2013(Benessere Equo e Sostenibile) Available at: http://www.istat.it/it/misure-del-
benessere/le-12-dimensioni-del-benessere/istruzione-e-formazione
regione sul numero totale di abitanti della stessa. Il valore è stato poi normalizzato sulla base
della serie storica dal 2004 al 2011.

5) Salute: Anche questo aspetto risulta essere centrale per la determinazione del benessere
individuale delle persone e per l’obiettivo dello sviluppo in generale. Godere di una vita
lunga e sana è uno degli aspetti fondamentali anche per il calcolo dell’indice proposto dalle
Nazioni Unite, in quanto la salute è direttamente collegata con tutte le dimensioni della vita
delle persone. Per calcolare questa importante dimensione dello sviluppo è stata fatta la
media semplice tra il tasso di mortalità infantile108 (di cui i valori sono stati normalizzati
sulla base della serie storica dal 2004 al 2011) ed il tasso standardizzato di mortalità per
109
tumore (normalizzato sulla base della serie storica dal 2002 al 2011).

6) Partecipazione politica e sociale: L’indicatore è stato tratto dall’accostamento di tre aspetti


fondamentali: l’associazionismo, l’informazione politica e la partecipazione politica. Il
primo composto dalla percentuale di persone di 14 anni o più che hanno svolto nell’arco
degli ultimi 12 mesi precedenti all’intervista riunioni in associazioni culturali, ricreative e
di altro tipo (normalizzato sulla serie storica 1993-2011) e quelle che hanno svolto riunioni
in associazioni ecologiche, per i diritti civili o per la pace (normalizzato sulla serie storica
che va dal 2001 al 2011). L’indicatore di informazione politica è stato creato partendo invece
dai dati relativi alle persone di 14 anni o più, per la frequenza con cui si informano di politica
italiana, considerando per 100 persone con le stesse caratteristiche la percentuale di persone
che si informano qualche volta a settimana (i dati sono stati poi normalizzati sulla base della
serie storica dal 2006 al 2011). Infine la partecipazione elettorale è stata individuata facendo
la media semplice tra la percentuale di votanti alle elezioni del Senato del 2013, alle Europee
del 2014 e al Referendum italiano del 2011. I tre indicatori sono stati cosi aggregati in un
unico indice composito di partecipazione politica e sociale attraverso l’utilizzo della media
semplice.

Per poter riuscire a confrontare gli indici elementari utilizzati per la creazione delle
dimensioni, espressi in unità di misura differenti tra loro, è stato svolto il processo di
normalizzazione delle variabili. Secondo tale metodo matematico è possibile infatti

108
Decessi nel primo anno di vita / Nati vivi * 10.000.
109
Tassi di mortalità per tumori (causa iniziale) per classi quinquennali di età nella fascia 19-64 anni,
standardizzati con la popolazione italiana delle stesse classi di età al censimento 2001.
esprimere ogni indice elementare secondo una scala di misura comune a tutti, che sia
compresa tra un valore minimo equivalente a zero e un valore massimo equivalente a uno.
Per poter normalizzare i valori delle variabili non espresse in percentuale si è ricorso dunque
all’utilizzo della seguente formula:
(YZ[\]^ Z__`Z[^ abc – YZ[\]^ ebfbe\ ab)
Indiceij =
(YZ[\]^ eZg ab – YZ[\]^ ebf ab)

Dove la lettera “i” indica di quale indicatore si tratta (ex. i=tassi di mortalità infantile;
i=emissioni di gas serra per regioni ecc.), mentre la lettera “j” ci dice la regione alla quale
ci si riferisce.
Attraverso questa formula si riescono così a normalizzare i valori delle variabili ed è
possibile osservare per ogni regione italiana quello che rappresenta il valore attuale
dell’indice elementare posto a confronto con dei valori minimi e dei valori massimi di
riferimento osservati nel corso del tempo attraverso una serie storica. Attraverso questo
processo si avrà quindi un valore pari a zero nel caso in cui una regione risulta avere il valore
dell’indice elementare uguale al valore minimo osservato nel tempo; invece quando il valore
dell’indice assumerà dei valori vicini ad uno, questo significa che quella regione in
particolare presenta attualmente un valore molto vicino alla soglia massima fin ora osservata
nel corso del tempo tra tutte le regioni.
Una volta effettuati i calcoli di normalizzazione degli indicatori elementari è stato poi
possibile aggregarli tra loro al fine di comporre le diverse dimensioni, mediante l’uso della
media semplice. Così facendo sono state create sei dimensioni per un totale di 13 indicatori
elementari.
In fine per poter calcolare il valore dell’ISUr è stata fatta la media geometrica dei valori
rappresentati dalle sei dimensioni dello sviluppo per ogni regione, così da avere dei valori
compresi tra lo zero e l’uno che mettano in evidenza la strada percorsa dalle regioni fino a
questo momento sul fronte dello sviluppo umano.

ISUr =
n
(hZ]_^ibhZjb\f^ + \ii`hZjb\f^ + bk_]`jb\f^ + bfl`bfZe^f_\ + ]^mmb_\ + kZ[`_^)

Per quanto riguarda invece la classificazione dei risultati ottenuti con il calcolo dell’ISUr
per le venti regioni italiane, è stato deciso di dividerle in quattro gruppi differenti in base al
quartile in cui esse rientrano (così come è previsto anche nell’HDI) in modo tale che avremo:
• il primo 25% delle regioni che presentano i valori ISUr più bassi vengono considerate regioni
con uno sviluppo umano basso
• le regioni che vanno dal 25% al 50% della distribuzione sono considerate regioni a medio
sviluppo umano
• le regioni che vanno dal 50% al 75% sono considerate regioni ad alto sviluppo umano
• le ultime cinque regioni che vanno dal 75% alla fine della distribuzione (ovvero quelle con
i valori più alti) sono considerate regioni con uno sviluppo umano molto alto.

Figura 8 Classificazione delle regioni in base al risultato raggiunto nell'ISUr


Figura 9 Valori assunti dalle diverse dimensioni dello sviluppo per ogni regione italiana
4.3.2 Risultati e analisi dei dati:

Attraverso un’analisi di statistica descrittiva dei dati, si evince come i valori assunti
dall’ISUr risultino essere molto dispersi tra loro; la distribuzione di frequenza tende ad
assumere infatti una forma Platicurtica che sta a significare una scarsa concentrazione di dati
intorno alla media (e allontanandosi quindi da una distribuzione normale standardizzata). La
distribuzione presenta inoltre una leggera asimmetria negativa con un conseguente
allungamento della coda sinistra della curva verso i valori minori e un raggruppamento di
valori (più vicini tra loro in valore assoluto) al di sopra della mediana. Le regioni del Sud
Italia di Calabria, Puglia e Molise e quelle delle Isole di Sicilia e Sardegna appartengono
tutte alla categoria con un basso indice di sviluppo umano regionale; anche se bisogna
sottolineare come questa sia una divisione puramente rappresentativa del fenomeno (in realtà
le differenze con le regioni di Campania e Basilicata non risultano essere così marcate, così
come quelle tra Umbria e Emilia-Romagna). Per quanto riguarda invece le singole
dimensioni considerate è importante notare come l’indice di partecipazione politica e sociale
così costruito risulti avere una media e una mediana molto simili tra loro e un indice di
Kurtosis particolarmente alto da poter considerare la sua distribuzione di frequenza simile
piuttosto simile a quella di una normale. Attraverso la visione del boxplot è evidente tra
l’altro la presenza di un dato anomalo o outlier, rappresentato dalla regione del Trentino Alto
Adige/Sudtirol, la quale presenta valori molto superiori a quelli raggruppati intorno alla
mediana.
L’indicatore dell’istruzione così calcolato presenta invece una buona asimmetria positiva
con la maggior parte dei valori quindi raggruppati verso il range dei valori più bassi della
distribuzione. Spicca in questa dimensione la posizione di rilievo assunta dal Lazio (seguito
da Umbria e Abruzzo) che possiede la miglior percentuale di popolazione laureata e
diplomata sul numero totale di abitanti tra i 25 e i 64 anni110; purtroppo però questo vantaggio
nell’aspetto dell’istruzione nei confronti delle altre regioni non si traduce poi in altrettanto
buone prestazioni nelle dimensioni di occupazione e reddito. Particolare è invece qui la
posizione assunta dal Trentino Alto Adige che si posiziona addirittura penultimo nella
classifica inerente all’aspetto dell’istruzione.111
Degne di nota sono anche le distribuzioni assunte dagli indicatori relativi all’occupazione e
al reddito che presentano, seppur in maniera diversa tra loro, un’importante asimmetria

110
Vedere Figura 9 e 13
111
Vedere Figura 13
negativa e un indice di Kurtosis molto elevato; vi è dunque in entrambi una maggiore
variabilità di dati dalla mediana fino al valore minore e un raggruppamento di dati invece da
sopra la mediana fino al raggiungimento del valore maggiore.
Infine per quanto riguarda l’aspetto dell’Inquinamento, risulta anche esso essere
caratterizzato da una distribuzione pressoché normale con media e mediana molto simili e
una leggerissima asimmetria positiva (risulta inoltre essere l’unica dimensione dove alle
prime quattro posizioni troviamo esclusivamente regioni del Sud Italia).

Figura 10 Boxplot ISUr

Figura 11 Individual Value Plot ISUr


Figura 12 Statistica descrittiva variabili ISUr
Per poi riuscire a dare anche un’idea “fotografica” dei risultati fin ora raggiunti da parte di
ogni regione italiana nelle varie dimensioni dello sviluppo, è stata realizzata una tabella che
presenta l’ordinamento delle regioni, basato sui valori assunti nelle sei dimensioni in
questione.

Figura 13 Posizione assunta dalle regioni italiane nelle dimensioni dello sviluppo

L’indice di sviluppo umano regionale così calcolato conferma ancora una volta le debolezze
complessive in termini di sviluppo delle regioni meridionali e di quelle insulari che occupano
tutti gli ultimi posti della classifica; unica esclusione è l’Abruzzo che rappresenta l’unica
regione facente parte del Sud Italia ad avere un livello di sviluppo umano alto. Notevoli
invece risultano essere i traguardi ottenuti dalle regioni del Centro Italia in particolare di
Marche e Toscana tanto da farle figurare tra le migliori cinque regioni italiane per ISUr. Le
Marche risultano essere la prima regione d’Italia per quanto riguarda la dimensione della
salute (risultando quindi avere bassi tassi di mortalità infantile e di tumori), in
contrapposizione alla Liguria che invece si posiziona ultima in questo ambito. In ultimo è
importante notare come le uniche regioni del Nord a presentare delle performance negative
di sviluppo umano siano invece quelle del Friuli Venezia Giulia e della Liguria che rientrano
nella fascia delle regioni con uno sviluppo umano medio; tutte e due le regioni risultano
essere infatti caratterizzate da valori molto bassi nelle dimensioni della salute e riguardo
l’inquinamento.
Per quanto riguarda invece gli aspetti di reddito e occupazione (Figura 13), viene
chiaramente mostrato come ancora il paese presenti sostanziali differenze tra le regioni del
Sud Italia e delle Isole confronto a quelle del Centro e Nord del Paese. Confrontando però
le posizioni assunte da ciascuna regione nella dimensione del reddito con quella che invece
assumono nella classifica relativa all’indicatore composito dell’ISUr, si evince come lo
sviluppo in realtà dipenda anche da altri fattori di tipo socio-economico che non siano
esclusivamente quelli legati all’aspetto reddituale.

Figura 14 Matrice di correlazione tra le dimensioni dello sviluppo e l'indice ISUr

Si è voluto poi ricercare la correlazione (attraverso l’utilizzo della matrice di correlazione)


tra le varie dimensioni utilizzate per quantificare il benessere e l’indice ISUr, al fine di poter
stabilire l’intensità dell’associazione tra le variabili e il risultato viene mostrato in Figura
14.
I primi risultati ottenuti attraverso l’analisi della correlazione hanno messo in evidenza come
l’aspetto del reddito presenti una correlazione positiva e molto forte con l’indice sintetico
creato, dimostrando che le due variabili variano congiuntamente. Questo a conferma ancora
una volta di come gli aspetti economici abbiamo una notevole importanza nonché un ruolo
primario nella determinazione del benessere (ma non unico); proprio come suggeriscono le
teorie dello sviluppo di Sen e Dasgupta.
Molto forte risulta anche essere la correlazione tra l’ISUr e le dimensioni di partecipazione
politica e sociale e il fattore occupazionale (questo a sua volta strettamente correlato con
l’aspetto del reddito); viceversa il benessere così come misurato sembrerebbe invece essere
poco sensibile rispetto alle problematiche di tipo ambientale qui calcolate attraverso
l’aspetto dell’inquinamento, con le quali l’ISUr presenta solamente una lieve correlazione
positiva.
Particolarmente sorprendente risultano invece essere la bassissima correlazione presente tra
la dimensione del reddito e quella dell’istruzione, come ad indicare che il mercato del lavoro
italiano non premi il maggiore grado di istruzione della popolazione e quella invece
leggermente negativa presente tra l’istruzione e la partecipazione politica e sociale (le
persone meno istruite sembrerebbero probabilmente più incentivate a riunirsi tra di loro con
forme associazionistiche, con la necessità di creare una rete ecc.). La dimensione della
partecipazione politica e sociale sembrerebbe infatti essere legata in modo più evidente con
le dimensioni di occupazione e reddito, probabilmente ad indicare che gli aspetti della
sicurezza del lavoro e di disporre di una adeguata remunerazione risultino incentivanti per
la partecipazione.
In ultimo attraverso l’utilizzo della cluster analysis (analisi dei gruppi), strumento di analisi
multivariata attraverso il quale è possibile raggruppare le unità statistiche in un certo numero
di cluster (o gruppi), si è voluto cercare di identificare dei gruppi di regioni tali che gli
elementi appartenenti ad ogni gruppo siano più simili tra loro che non con gli elementi
appartenenti ad altri gruppi.
L’omogeneità e l’eterogeneità vengono quindi definite attraverso l’utilizzo di alcune misure
di distanza, in grado di stabilire il grado di dissimilarità presente tra le unità statistiche in
base all’insieme di variabili che viene scelto secondo determinati criteri.
Al fine di realizzare l’analisi si è deciso di adottare il metodo di associazione gerarchico di
Ward112 che tende a minimizzare la varianza all’interno dei gruppi e creare quindi dei gruppi

112
questo metodo a differenza degli altri metodi aggregatici non si basa sul calcolo della distanza, bensì sulla
scomposizione della devianza totale (misurata tramite indicatori come la varianza) in devianza tra i gruppi, e
caratterizzati da una elevata omogeneità interna. Il metodo viene inoltre definito gerarchico
in quanto una volta che un oggetto è entrato effettivamente a far parte di uno dei cluster,
questo non potrà più esservi rimosso e pertanto l’assegnazione al cluster risulta essere
irrevocabile.

Visivamente tutte le potenziali fusioni dei dati sono rappresentate attraverso l’utilizzo del
dendogramma o diagramma ad albero, dove sull’asse delle ordinate viene riportato il livello
di distanza al quale avvengono le fusioni, mentre sulle ascisse vengono riportate le singole
unità organizzate secondo una struttura ad albero (viene mostrato in Figura 15).
Attraverso il dendogramma è quindi possibile visualizzare la distanza che separa un cluster
dall’altro ed in base al livello di diversità che si sceglie di selezionare si potrà avere una
diversa ripartizione di cluster con diversi gradi di omogeneità interna.

Figura 15 Dendogramma variabili sviluppo umano regionale

devianza nei gruppi. Ad ogni step il metodo unisce la coppia di cluster che da luogo a gruppi con una minore
varianza (risultato, gruppi omogenei, spesso con lo stesso numero di unità).
Appare chiaro già da una prima visione come l’Italia sotto l’aspetto dello sviluppo umano
risulti essere ancor un paese spaccato in due grandi macro-aree: Il Sud (che presenta
mediamente valori più bassi) e Il Centro-Nord. Tagliando il grafico al livello di dissimilarità
dello 0,7 circa è però possibile individuare l’esistenza di quattro cluster separati (due facenti
parte dell’area del Sud Italia e due facenti parte dell’area del Centro-Nord): il primo è
rappresentato dalle regioni dell’Abruzzo, Lazio (queste in particolare molto vicine tra loro
essendo due delle tre regioni leader sotto l’aspetto dell’istruzione superiore), Basilicata,
Campania e Calabria tutte regioni caratterizzate da bassi valori nella dimensione
dell’occupazione e un buon posizionamento sotto l’aspetto dell’inquinamento.
Un secondo gruppo riferito a quest’area è invece rappresentato invece dalle regioni di
Molise, Sicilia e Puglia; tutte e tre facenti parte delle regioni ad ISUr basso che presentano
un’alta similarità negli aspetti di reddito e occupazione e bassi valori nella dimensione della
partecipazione politica e sociale.
Il terzo gruppo (riferito invece ai paesi del Centro-Nord), nonché il più cospicuo, è quello
composto dalle regioni del Trentino Alto Adige, Lombardia, Veneto, Marche, Piemonte,
Toscana e Valle D’Aosta che seppur presentano condizioni differenti tra loro possiedono
una buona somiglianza nei livelli di sviluppo assoluti. Rappresentano infatti sette degli otto
primi paesi per ordine ISUr nonché per quanto riguarda le dimensioni di reddito,
partecipazione e occupazione.
Ultimo cluster così individuato è quello formato dall’Emilia Romagna, il Friuli Venezia
Giulia, l’Umbria, la Liguria e la Sardegna che presentano tutti alcune grandi lacune negli
aspetti dello sviluppo inerenti all’inquinamento e alla salute. Molto particolare risulta essere
la vicinanza tra le due regioni di Liguria e Sardegna, probabilmente anche per ragioni di tipo
storico-culturali dovute all’influenza secolare dei liguri nel corso nei confronti dell’isola
italiana.
V CAPITOLO: Relazione tra indice di sviluppo umano
regionale e indice di multifunzionalità

5.1 Introduzione

In quest’ultimo capitolo del lavoro proposto si analizza, la relazione esistente a livello


regionale tra il fenomeno della multifunzionalità agricola sintetizzato attraverso l’indice di
multifunzionalità prima proposto e quello dello sviluppo umano quantificato attraverso
l’ISUr. Verranno quindi analizzati i dati precedentemente ottenuti attraverso l’utilizzo di
alcuni degli strumenti statistici a disposizione e in particolare con le tecniche di analisi
multivariata; con la creazione di alcuni modelli di regressione lineare si cercherà di
evidenziare la relazione presente tra i due indici suddetti.

5.2 Risultati dell’analisi

Il primo passo del lavoro qui condotto, è stato quello di studiare il grado di correlazione
esistente tra i due indicatori proposti, attraverso l’uso della matrice di correlazione di
Pearson (Figura 16).

Figura 16 Matrice di correlazione di Pearson

IR ISUr
IR 1
ISUr 0,711666629 1

P-value= 0,000

Attraverso l’analisi della correlazione viene misurata infatti l’intensità dell’associazione tra
due variabili quantitative anche se non è possibile mettere in evidenza il tipo di relazione
presente tra i due indici.
L’analisi mette chiaramente in evidenza la presenza di una forte correlazione positiva tra gli
indici con un valore di circa 0,71, ad indicare che all’aumentare del valore di una variabile
segue anche un incremento della seconda. La presenza di una evidente correlazione
rappresenta quindi il primo indizio della possibile esistenza di una relazione di tipo lineare
tra le due variabili.
Per poter verificare se la relazione esistente tra i due indici risulta quindi essere
tendenzialmente di tipo lineare ho proceduto all’analisi della regressione lineare. Attraverso
il modello di regressione si vuole fare delle previsioni sul valore assunto dalla variabile detta
dipendente ed individuata come l’effetto, sulla base dei valori dell’altra variabile detta
indipendente e individuata quindi come causa. La scelta della variabile indipendente X non
è arbitraria ma legata alla natura del fenomeno e in questo caso, la variabile che si pone
logicamente antecedente rispetto all’altra è quella riguardante o sviluppo umano.
Il quesito di fondo della ricerca è dunque il seguente: è maggiore il livello di
multifunzionalità assunto dalle aziende agricole nelle regioni dove è maggiore l’indice
di sviluppo umano regionale? E viceversa, nelle regioni italiane caratterizzate da un
basso livello di sviluppo umano si può osservare una minore predisposizione verso gli
aspetti multifunzionali legati alle attività agricole?
Qui di seguito è proposto uno scatterplot o grafico di dispersione dove le due variabili ISUr
e IR riferite alle diverse regioni sono riportate su un piano cartesiano xy. Il grafico suggerisce
la presenza di una correlazione positiva dato che i punti descritti nel piano vanno dal primo
quadrante verso il terzo.
Il grafico dimostra come la regione del Trentino Alto Adige risulti essere la migliore regione
italiana sia per quanto riguarda il livello di multifunzionalità delle proprie aziende agricole
sia per quanto riguarda il valore assunto dall’indice ISUr e quindi nelle principali
componenti dello sviluppo umano.
La maggior parte delle regioni del Centro-Nord appaiono invece essere concentrate in una
fascia di valori “medi” per quanto riguarda entrambi gli indici (Umbria, Piemonte,
Lombardia, Toscana). Un caso interessante sembra essere quello riguardante il Lazio e
l’Abruzzo che nonostante gli ottimi livelli conseguiti nell’indice ISUr risultano essere
purtroppo nella fascia delle regioni che meno hanno saputo cogliere l’opportunità data
dall’agricoltura multifunzionale.
Nel grafico qui proposto è infine possibile osservare come siano le regioni appartenenti al
Sud Italia quelle che presentano i valori più bassi in entrambe le variabili, accentuando
ancora una volta la netta disuguaglianza presente ancora oggi nel nostro territorio.
Figura 17 Grafico a dispersione xy

Scatterplot of IR vs ISUr
0,24
TRE

0,22 VAL

0,20

0,18
IR

FVG
LIG EMI
0,16
UMB MAR
PIE LO MTO S
0,14 VEN

BAS
SAR
0,12 ABR
CAL
MO
CAM
L LAZ
SIC
PUG
0,10

0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70


ISUr

Utilizzando il modello di regressione lineare, gli effetti di tutti i fattori esterni dall’ISUr per
spiegare la multifunzionalità vengono sintetizzati all’interno della componente di errore εi
che rappresenta visivamente lo scostamento di ogni punto osservato rispetto alla retta. Il
totale degli errori o residui fornisce dunque la parte di Y non spiegata dalla relazione lineare.

L’equazione di regressione prende quindi la seguente forma: !" = −0,02799 +


0,3116 !xy0

Dove il coefficiente di regressione β (= 0,3116) esprime di quanto varia mediamente la


variabile dipendente al variare di un’unita della variabile indipendente; mentre l’intercetta α
(= -0,02799) rappresenta il valore assunto dalla Y (IR) quando la X (ISUr) risulta essere
uguale a zero. Già dal valore assunto dall’intercetta risulta chiara l’importanza dello sviluppo
umano nella determinazione del livello di multifunzionalità agricola; senza alcuno sviluppo
l’indice di multifunzionalità tenderebbe ad assumere addirittura valori negativi (come è
possibile osservare tramite l’output di regressione qui proposto in Figura 15).

Figura 18 Output regressione lineare IR vs ISUr

Regression Analysis: IR versus ISUr

The regression equation is


IR = - 0,02799 + 0,3116 ISUr

S = 0,0249261 R-Sq = 50,6% R-Sq(adj) = 47,9%

Analysis of Variance

Source DF SS MS F P
Regression 1 0,0114768 0,0114768 18,47 0,000
Error 18 0,0111836 0,0006213
Total 19 0,0226603

Dall’analisi condotta e attraverso il valore assunto dall’R2 (o R-square), che misura quanto
della variabile dipendente Y sia predetto dalla variabile indipendente X e valuta quindi la
bontà dell’equazione di regressione ai fini della previsione sui valori di Y, si può affermare
che in questo caso noto il valore dell’ISUr, quello della multifunzionalità è stimato mediante
la retta di regressione con un’approssimazione di circa il 50,6%. Con il modello realizzato
si denota dunque come il livello di multifunzionalità regionale possa essere spiegato a grandi
linee dalla variabile ISUr.
Infine il P-value (0,000) rappresenta un’importante informazione ai fini di stabilire se il
modello così costruito risulti essere statisticamente significativo ai fini della predizione del
livello di multifunzionalità data la variabile dello sviluppo umano.

Figura 19 Grafico regressione lineare IR vs ISUr

Dal modello di regressione lineare creato è ben visibile in Figura 16 la netta distanza delle
regioni di Trentino e Valle D’Aosta rispetto alla retta di regressione; le due regioni infatti
presentano valori anomali rispetto a quelli medi delle altre regioni italiane (sia per quanto
riguarda l’indice di multifunzionalità che per quello di sviluppo umano regionale) e per loro
la relazione tra i due fenomeni sembra essere ancora più accentuata di quella presente in
questo modello. Bisogna però ricordare che queste due regioni (insieme a Friuli Venezia
Giulia, Sardegna e Sicilia) fanno parte delle cosìddette regioni a statuto speciale e
possiedono dunque un maggiore grado di autonomia politica e finanziaria che si traduce
nell’attribuzione di una quantità maggiore di risorse da gestire localmente.
La relazione evidenziata dal modello di regressione sembrerebbe inoltre essere
particolarmente azzeccata per tutte le regioni cadenti esattamente sulla retta di regressione o
di poco distanti ad essa.

Attraverso poi la visione del Residual Plot è poi possibile effettuare l’individuazione dei
residui anomali; qui va precisato che un’osservazione risulta essere anomala non perché essa
si trovi al di fuori della “nuvola” dei punti, ma perché il livello della sua X e dunque dello
sviluppo umano regionale non è associato al valore assunto dalla Y (l’indice di
multifunzionalità) come lo è invece negli altri dati presenti.

Figura 20 Residual Plot

Avendo ora stabilito l’esistenza di una relazione di tipo lineare tra i due indici, ho pensato
di osservare tramite la matrice generale di correlazione quali tra le variabili che compongono
l’ISUr e quelle che compongono l’IR risultano avere maggiore concordanza tra loro. Nella
Figura 21 qui sottostante, è possibile osservare in verde le variabili che presentano una più
alta correlazione tra loro, mentre in giallo quelle che presentano una correlazione negativa.

Figura 21 Matrice di correlazione tra le variabili ISUr e variabili IR


Diversificazione Ambiente Protezione
Tutela IR IR IR Qualità IR IR
PARTECIPAZIONE
0,334 0,737 0,04 0,651
P.S. 0,752

ISTRUZIONE -0,367 -0,128 -0,104 -0,231 0,027

INQUINAMENTO 0,194 -0,154 0,398 -0,041 -0,059

0,137 0,812 0,069 0,738


REDDITO 0,759
-0,238 -0,149 0,319 0,289
SALUTE 0,072
0,125 0,78 0,177 0,797
OCCUPAZIONE 0,677

Dalla matrice di correlazione risulta ancora una volta chiara l’importanza degli aspetti
reddituali e occupazionali anche nella determinazione del livello di multifunzionalità, ma
ancora più rilevante sembrerebbe essere la forte correlazione positiva presente tra la variabile
della partecipazione politica e sociale e gli aspetti della multifunzionalità di diversificazione
e qualità. Questi ultimi due sembrerebbero seguire un percorso del tipo bottom-up (dal basso
verso l’alto) e quindi più attenti alla domanda della popolazione. L’interesse sociale circa gli
aspetti della food security e della food safety fa si che le aziende agricole siano più
incentivate alla ricerca di una maggiore qualità dei propri prodotti.
Infine attraverso l’utilizzo di un modello di regressione lineare multipla si è cercato di
studiare la dipendenza della variabile quantitativa Y, data dall’indice IR della
multifunzionalità a livello regionale, da un insieme di più variabili (n) esplicative
quantitative dette regressori e rappresentate dalle variabili componenti l’indice ISUr (salute,
istruzione, occupazione, reddito, inquinamento, partecipazione politica e sociale). Anche nel
caso della regressione multipla vi sarà comunque la presenza di infiniti possibili fattori che
influenzano il valore della Y e quindi della multifunzionalità che non è possibile nè rilevare
nè considerare all’interno della funzione (come ad esempio possono essere i fattori
morfologici-territoriali, climatici e topografici); bisogna anche tenere a mente che nei
fenomeni reali vi è spesso la presenza, seppur in minima parte, di alcuni elementi
imprevedibili dati dalla casualità.
Il modello di regressione multipla consente quindi di verificare la relazione che appare nella
misurazione degli elementi che da una prima ispezione risultano essere collegati tra loro e
compartecipare nella determinazione di un evento.

In questo lavoro è stato quindi utilizzato il metodo della regressione stepwise; questo
sistema, utilizzato per semplificare i termini di una regressione multipla, consiste in un
particolare metodo di selezione delle variabili indipendenti, allo scopo di selezionare un set
di predittori che presentino la migliore relazione con la variabile dipendente. Tra i vari
metodi a disposizione per la selezione delle variabili, ho scelto di utilizzare il metodo
backward (letteralmente all’indietro); il modello così creato comprende inizialmente tutte le
variabili indipendenti relative all’ISUr e procede poi step by step ad eliminare le variabili
partendo da quella che presenta l’associazione meno significativa, sul piano statistico, con
la variabile dipendente IR. Viene quindi eliminata per prima la variabile che presenta il P-
value maggiore e così via fin quando non risulta che le variabili rimaste possiedono un livello
di significatività <0,1. Così facendo il modello individuato è caratterizzato dalla presenza di
sole tre variabili indipendenti facenti parte dell’ISUr: l’occupazione, l’istruzione e
l’inquinamento.

Figura 22 Output Regressione multipla, backward selection


Regression Analysis: IR versus PARTECIPAZIONE; ISTRUZIONE; INQUINAMENTO; REDDITO;
SALUTE; OCCUPAZIONE

Backward Elimination of Terms

α to remove = 0,1

Analysis of Variance

Source DF Adj SS Adj MS F-Value P-Value


Regression 3 0,017030 0,005677 16,13 0,000
ISTRUZIONE 1 0,002933 0,002933 8,33 0,011
INQUINAMENTO 1 0,001537 0,001537 4,37 0,053
OCCUPAZIONE 1 0,016407 0,016407 46,62 0,000
Error 16 0,005631 0,000352
Total 19 0,022660
Model Summary

S R-sq R-sq(adj) R-sq(pred)


0,0187592 75,15% 70,49% 60,97%

Coefficients

Term Coef SE Coef T-Value P-Value VIF


Constant 0,0145 0,0502 0,29 0,776
ISTRUZIONE -0,2460 0,0852 -2,89 0,011 1,06
INQUINAMENTO 0,0563 0,0269 2,09 0,053 1,08
OCCUPAZIONE 0,3886 0,0569 6,83 0,000 1,13

Regression Equation

IR = 0,0145 - 0,2460 ISTRUZIONE + 0,0563 INQUINAMENTO + 0,3886 OCCUPAZIONE

Fits and Diagnostics for Unusual Observations

Obs IR Fit st.Resid Resid


3 0,22808 0,19160 0,03648 2,31 R

R Large residual

Osservando anche in questo caso l’equazione di regressione, ed in particolare il valore che


assume l’intercetta α, possiamo dedurre che in assenza delle tre componenti di sviluppo
(occupazione, assenza d’inquinamento, istruzione) il valore assunto dall’indice IR sarebbe
pressoché nullo (precisamente pari a 0,0145). L’analisi mette in evidenza la forte relazione
presente in particolar modo tra la variabile occupazionale e l’indice di multifunzionalità,
evidenziandone ancora una volta la sua primaria importanza. Una maggiore occupazione a
livello regionale, considerando sia quella generale che quella specializzata (ovvero la quota
di occupati che dispongono di un titolo medio superiore o di laurea), favorisce la capacità
delle aziende agricole ad essere più multifunzionali essendo poi queste capaci di generare
nuovi posti di lavoro con un grado maggiore di innovazione e specializzazione. In un
contesto di maggiore occupazione inoltre le persone possono essere più attente agli aspetti
della vita che li circondano, dando maggiore attenzione agli aspetti esternali dell’attività
agricola.
L’assenza di inquinamento, anch’essa sembrerebbe fattore di primaria importanza nella
determinazione del livello di multifunzionalità delle aziende agricole ed in particolare risulta
essere collegata con gli aspetti della tutela del paesaggio e dell’ambiente, con i quali presenta
una buona correlazione positiva.
Attraverso l’analisi effettuata, e considerando il parametro di bontà del modello R2 adjusted,
possiamo affermare che il 70,49% della varianza è spiegata dal modello e che dunque, il
modello creato risulta essere particolarmente adatto a fornirci un’idea circa il livello di
multifunzionalità presente su un determinato territorio, date le tre variabili dello sviluppo
qui considerate.
In ultimo per poter creare dei gruppi di somiglianza tra le regioni italiane nei tre aspetti dello
sviluppo qui considerati (inquinamento, istruzione e occupazione) e nei vari aspetti
caratterizzanti la multifunzionalità è stata fatta una cluster analysis.

Figura 23 Dendogramma cluster analysis


Attraverso la visione del dendogramma qui proposto possiamo osservare come ad un livello
di dissimilarità poco superiore allo 0,5 siano ben evidente la presenza di tre macro-gruppi di
regioni: il primo composto dalle regioni di Abruzzo, Lazio, Basilicata e Campania è
caratterizzato da regioni con buoni livelli di istruzione, un basso grado di inquinamento ma
scarsi risultati sia in termini di occupazione che nelle componenti principali della
multifunzionalità agricola; il secondo composto dalle regioni di Trentino, Valle d’Aosta,
Lombardia, Veneto, Marche, Piemonte e Toscana che rappresentano le regioni con risultati
migliori in termini di multifunzionalità agricola e di occupazione. Infine l’ultimo gruppo
risulta essere composto dalle restanti regioni di Emila Romagna, Umbria, Friuli Venezia
Giulia, Liguria, Molise, Sardegna, Sicilia e Puglia, tutte regioni con bassi livelli di
multifunzionalità.
Conclusioni

Con il presente lavoro si è cercato di definire un approccio teorico e metodologico volto ad


analizzare il livello di sviluppo umano e della multifunzionalità agricola nel territorio
italiano.
In primo luogo si sono proposte due misure multidimensionali in grado di quantificare i due
concetti prima presentati e sintetizzati attraverso gli indicatori ISUr (Indice di Sviluppo
Umano regionale) e IR (Indice di multifunzionalità dell’agricoltura). Il primo, l’indice di
sviluppo umano regionale, viene misurato sulla base di sei dimensioni qui ritenute
fondamentali: istruzione, salute, inquinamento, reddito, occupazione e partecipazione
politica e sociale ed è stato calcolato attraverso l’utilizzo della media geometrica dei risultati
ottenuti in ciascuna delle dimensioni proposte. Realizzato a livello regionale, a partire dai
dati presenti nel database ISTAT relativi ai diversi censimenti svolti nel corso deli anni,
mostra le differenze nei diversi ambiti dello sviluppo tra le regioni italiane. Dall’analisi dei
dati si individua una netta differenza tra i valori assunti dall’ISUr nelle regioni del Centro-
Nord rispetto a quelle nel Sud e nelle isole, mentre analizzando più approfonditamente i
risultati ottenuti da ogni regione nelle singole dimensioni è possibile osservare come le
regioni del Centro risultino essere le migliori nell’aspetto dell’istruzione mentre quelle del
Sud prevalgono positivamente nella dimensione relativa all’assenza di inquinamento. Le
regioni del Nord Italia invece generalmente risultano prevalere negli aspetti occupazionali e
reddituali.
Il secondo indice presentato in questo lavoro è l’indice di multifunzionalità agricola, ideato
dall’ISTAT e rielaborato in maniera differente in questo lavoro, che si propone invece di
quantificare il carattere multifunzionale delle aziende agricole italiane. Ideato a partire da
cinque pillars ritenuti fondamentali nella sua definizione: tutela del paesaggio,
diversificazione delle attività, ambiente, qualità alimentare, protezione del territorio, è stato
calcolato attraverso l’utilizzo della media semplice del risultato raggiunto da ogni regione in
ognuno dei cinque pillars. I dati per poter realizzare l’indice sono stati ottenuti dal VI
Censimento Generale dell’Agricoltura dell’anno 2010 realizzato a cura dell’ISTAT.
Nella fase successiva si è quindi potuto analizzare in che modo i diversi aspetti volti a
caratterizzare lo sviluppo umano regionale si relazionano con il fenomeno della
multifunzionalità delle aziende agricole di una determinata area. Attraverso un’analisi di
statistica applicata e la creazione di alcuni modelli di regressione si è potuto stabilire con
un’approssimazione che auspichiamo sia ritenuta soddisfacente, l’esistenza di una relazione
di tipo lineare tra i due indici. Questa relazione dimostra che all’aumentare del livello
sviluppo umano di una data regione consegue anche un aumento del fenomeno della
multifunzionalità agricola. Successivamente abbiamo cercato di dimostrare mediante,
l’utilizzo di un’analisi di regressione multipla, l’importanza di tre aspetti dello sviluppo
relativi all’Istruzione, l’Inquinamento e l’Occupazione nella previsione del livello di
multifunzionalità di una determinata area. Dall’analisi effettuata risulta inoltre come la
variabile dell’occupazione sia senza dubbio la dimensione dello sviluppo umano più
rilevante nella determinazione del livello di multifunzionalità.
Infine con l’utilizzo di una cluster analysis si sono potuti creare dei gruppi di somiglianza
tra le regioni che presentano i valori più simili nelle dimensioni dello sviluppo e della
multifunzionalità agricola.
Pertanto abbiamo tentato di proporre in materia un contributo personale, pur consapevole
che ulteriori e più sofisticate indicazioni, soprattutto mirate ad un livello più localmente
circoscritto, potrebbero ulteriormente meglio definire le complesse interrelazioni tra
sviluppo agricolo, multifunzionalità e sviluppo umano.
Ringraziamenti

Desidero ringraziare il prof. De Filippis, relatore di questa tesi, per la disponibilità e


professionalità dimostratemi, e per tutto l’aiuto fornito durante la stesura.

Un sentito ringraziamento anche alla prof.ssa Mortera e al Dott. Henke, per la preziosa
collaborazione.

Un ultimo ringraziamento all’Istituto Nazionale di Statistica e ai ricercatori che mi hanno


fornito i dati per poter realizzare il lavoro.
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https://www.academia.edu/1113164/Il_ruolo_dellagricoltura_nello_sviluppo_locale_eleme
nti_di_sviluppo_rurale_nella_pianificazione_strategica_della_Puglia

https://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=5Kx4iC79FdcC&oi=fnd&pg=PA9&dq=agric
oltura+e+sviluppo+umano&ots=82kX6b_rNp&sig=Ccte01cnH18NoCxo_rbuaY1KLsc#v=
onepage&q=agricoltura%20e%20sviluppo%20umano&f=false

http://www.oecd.org/tad/44804637.pdf

http://www.unric.org/it/attualita/27744-scarsita-e-degrado-del-suolo-e-dellacqua-una-
minaccia-crescente-per-la-sicurezza-alimentare

https://depts.washington.edu/esreview/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/ESR-2011-
Research-Agricultural-Productivity-and-Poverty-Reduction.pdf

http://www.oecdilibrary.org/docserver/download/5kg6v1vk8zr2.pdf?expires=1449058610
&id=id&accname=guest&checksum=C7FCF61B512C02283E8F1DD90B5CE460

http://hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2003-italian.pdf

http://www.navdanyainternational.it/attachments/article/202/Manifesto%20italiano.pdf
http://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/34/misurare-la-multifunzionalita-
agricoltura-proposta-di-un-indice-sintetico

http://dati.istat.it

http://www.istat.it/it/misure-del-benessere/le-12-dimensioni-del-benessere/istruzione-e-
formazione

Indice delle figure e delle tabelle

Figura 1 – Composizione dello Human Development Index

Figura 2 – Funzioni più correttamente attribuite all’agricoltura

Figura 3 – Ruolo dello sviluppo Rurale nel raggiungimento di un adeguato sviluppo umano
tramite il miglioramento delle performance agricole

Figura 4 – Valori assunti dalle regioni italiane nell’indice di multifunzionalità IR

Figura 5 – Grafico xy dei valori assunti dalle regioni nell’indice di multifunzionalità agricola
(Time series plot of IR)

Figura 6 – Classifica delle regioni italiane per indice di multifunzionalità in base all’area
Psn

Figura 7 – Posizione generale assunta dalle regioni italiane nei cinque pillars della
multifunzionalità

Figura 8 – Classifica delle regioni in base al risultato complessivo raggiunto nell’indice ISUr

Figura 9 - Valori assunti dalle regioni italiane nelle diverse dimensioni dello sviluppo

Figura 10 – Boxplot ISUr


Figura 11 – Individual value plot ISUr

Figura 12 – Statistica descrittiva variabili ISUr

Figura 13 – Posizione assunta dalle regioni italiane nelle diverse dimensioni dello sviluppo

Figura 14 – Matrice di correlazione tra le dimensioni dello sviluppo e l’indice ISUr

Figura 15 – Dendogramma delle variabili dello sviluppo umano regionale

Figura 16 – Matrice di correlazione di Pearson IR- ISUr

Figura 17 – Grafico a dispersione xy (Scatterplot) IR vs ISUr

Figura 18 – Output regressione lineare IR vs ISUr

Figura 19 – Grafico Regressione lineare IR vs ISUr

Figura 20 – Residual plot

Figura 21 – Matrice di correlazione tra le variabili ISUr e le variabili IR

Figura 22 – Output regressione multipla

Figura 23 – Dendogramma finale

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