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Sostenibilia

1II
VERSO UNA SOCIETÀ
SOSTENIBILE.
(Non) umani, reti, città e la sfida
del cambiamento

a cura di Mariella Nocenzi

Edizioni Nuova Cultura


Collana Sostenibilia - Teoria sociale sulle nuove tecnologie e la sostenibilità

Responsabili scientifici:
Mariella Nocenzi, Sapienza Università di Roma
Giovanna Gianturco, Sapienza Università di Roma
Massimo Di Felice, Università di San Paolo del Brasile

Comitato scientifico
Alfredo Agustoni, Giuseppe Anzera, Eugenio Benvenuto, Gianfranco Bologna,
Marco Bontempi, José Bragança de Miranda, Giampaolo Cesaretti, Marco
Cilento, Uliano Conti, Francesca Colella, Vittorio Cotesta, Paolo De Nardis,
Salvador Giner, Enrico Giovannini, Michel Maffesoli, Claudio Marciano, Mara
Maretti, Annarosa Montani, Giorgio Osti, Donatella Pacelli, Andrea Pirni,
Riccardo Prandini, Ombretta Presenti, Michel Puech

Il comitato scientifico non risponde delle opinioni


espresse dagli autori nelle opere pubblicate.

Copyright © 2019 Edizioni Nuova Cultura - Roma


Prima edizione anno 2019
ISBN: 9788833652511
DOI: 10.4458/2511
Copertina: Marco Pigliapoco
Composizione grafica: a cura dell’Autore

È vietata la riproduzione non autorizzata,


anche parziale, realizzata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia,
anche ad uso interno o didattico
Indice

Premessa. Un sogno toposofico: le Reti digitali a supporto della


sostenibilità, Carmelo D’Angelo .............................................................. 11

1 – La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze


sociali? Un’introduzione al volume, Mariella Nocenzi ...................... 15
1.1. Nascita e crisi del paradigma moderno per le scienze
sociali e la sociologia ............................................................................. 15
1.2. È deriva sociologica senza la modernità? ................................... 20
1.3. La conoscenza sociologica e la sfida del modello di
sviluppo sostenibile ............................................................................... 23

2 – Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità?


Gianfranco Bologna .................................................................................. 35
2.1. Siamo nell’Antropocene? .............................................................. 38
2.2. Il pensiero economico dominante ............................................... 44
2.3. Una sfida epocale ........................................................................... 49
2.4. Un sistema economico da cambiare ............................................ 50
2.5. L’avventura del SOS...................................................................... 52

3 – Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologi-


cus, Michel Puech .................................................................................... 63
3.1. HST or Technosapiens: l’essere che siamo .................................... 64
3.2. Soluzioni istituzionali? .................................................................. 66
3.3. Soluzioni antistituzionali? ............................................................ 67
3.4. Soluzioni non istituzionali? .......................................................... 69
Indice

3.5. Saggezza, reinventata .................................................................... 70


3.6. Rispondendo al mio titolo ............................................................ 72

4 – Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità. “Making it


real. ICT and the SDGs”, Cesare Avenia ............................................... 75

5 – Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica


del sociale, Massimo Di Felice, Rita Nardy ............................................ 87
5.1. The Internet of everything: la digitalizzazione del mon-
do .............................................................................................................. 87
5.2. Il 5G e i significati della crisi dell’idea sociologica del
sociale ....................................................................................................... 91
5.3. Ecologie digitali .............................................................................. 96

6 – Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto,


Marina Magalhães .................................................................................. 107
6.1. La crisi della politica occidentale ............................................... 108
6.2. La qualità dell’azione nella prospettiva politica ..................... 112
6.3. La qualità dell’azione nella prospettiva ecologica .................. 115
6.4. Conclusioni ................................................................................... 118

7 – Né umano, né tecnologico: Merleau-Ponty e le dimensioni ecolo-


giche del sentire, Eli Borges Junior……………………………………121

8 – Visual Arts for Environmental Sustainability Awareness, Hugo


Fortes …………………………………………………………………133
8.1. Introduzione……………………………………………………....133
8.2. Acqua e arti visuali……………………………………………….136
8.3. Poetiche liquide…………………………………………………...140
8.4. Esibizioni artistiche e sustainability awareness………………….145

9 – Città e tecnologia: la Smart City tra dinamiche di alienazione e


appropriazione, Claudio Marciano……………………………………147
9.1. Spirito oggettivo e soggettivo…………………………………...149
Indice 7

9.2. Lo spazio sociale della Smart City……………………………...153


9.3. Alienazione e appropriazione…………………………………..158

10 – Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” per un’agricoltura urba-


na sostenibile, Luca Nardi, Giulio Metelli, Ombretta Presenti, Silvia
Massa, Eugenio Benvenuto ……………………………………………..163
10.1. Agricoltura indoor………………………………………………165
10.2. Il ruolo dell’ENEA………………………………………………172
A tutte e tutti coloro che hanno reso possibile che l’Osservatorio Interna-
zionale di teoria sociale sulle nuove tecnologie e la Sostenibilità-Sostenibilia
fosse istituito e consentisse a studiose e studiosi di tutto il mondo di operare
e collaborare su temi di rilevanza sociale oltre che scientifica.
Premessa

Offrire corsi e convegni inediti su tematiche innovative con docenti di


eccellenza, in combinazione con l’esperienza del viaggio: questa è la
proposta dell’Istituto Toposofia. Un processo di apprendimento caratte-
rizzato da un elevato livello di interazione che permette di approfondire
tematiche specifiche in luoghi diversi dal proprio ambiente “quotidia-
no”. Un processo identificato da un doppio “spostamento” geografico
(Topos) e di contenuti (Sofia).
Toposofia prende origine da un’utopia. Il termine utopia è la manie-
ra più comoda per liquidare tutto ciò che non si ha voglia, capacità o
coraggio di fare. Eppure, un sogno, supportato da impegno, professio-
nalità e passione può trasformarsi in una realtà straordinaria. Il nostro
sogno nasce dall’esperienza pluriennale di imprenditori, consulenti
d’impresa, docenti universitari e uomini di cultura: affrancati dalla
paura di aprirsi al “nuovo”. Il nostro sogno nasce dalla consapevolezza
che:
a) un’impresa senza il coraggio dell’utopia, dell’innovazione,
dell’andare oltre il “conosciuto” diventa un meccanismo tecnico, eco-
nomico e finanziario destinato ad incepparsi;
b) la conoscenza, nella sua concezione più elevata, se resta prigio-
niera dei templi sacri degli atenei e dei circoli elitari, se non alimenta e
12 Verso una società sostenibile

supporta la concretezza imprenditoriale, rimane un insieme di concetti


sterili.
La nostra mission toposofica è quella di coniugare impresa e cultura
ed è in linea con questa idea di fondo che, grazie alla collaborazione con
il Dipartimento Comunicazione e Ricerca sociale della Università di
Roma La Sapienza, è stato possibile organizzare il 30 ed il 31 ottobre
2017 il Seminario internazionale dal titolo “Reti digitali e tecnologie
per la sostenibilità. Nuove culture ecologiche e le criticità dello sviluppo
a 50 anni dal Club di Roma”.
Nelle quattro sessioni di lavoro sono state illustrate diverse analisi
sul tema del Seminario, attraverso le esperienze delle reti: quelle info-
ecologiche, quelle dell’alimentazione, quelle dell’energia e, infine, delle
città. I relatori, i docenti e i rappresentanti delle organizzazioni inter-
venute – sollecitati dal tema di esporre in che modo, a 50 anni dalla dif-
fusione dei lavori del Club di Roma, sviluppo e sostenibilità siano stati
assunte ad obiettivi fondamentali nella comunità internazionale – han-
no dato un contributo importantissimo su temi imprescindibili e di ri-
levanza planetaria quali le innovazioni tecnologiche e la loro stretta in-
terconnessione con l’applicazione dei principi della sostenibilità.
Produrre risparmiando energia, inquinare meno e vivere meglio con
sé stessi e con l'ambiente circostante sono le principali caratteristiche di
una civiltà evoluta e, in particolare, di una impresa e di una organizza-
zione ecosostenibile, profit o non profit che sia. Con lo sguardo rivolto
in particolare alle aziende, gli imprenditori oculati non possono pre-
scindere dal formarsi alla cultura della sostenibilità. Il numero di per-
sone sensibili al tema della sostenibilità e della qualità è, infatti, in con-
tinua crescita e i consumatori non sono più soggetti passivi. Si infor-
mano sulle caratteristiche del prodotto e pianificano i propri acquisti in
Premessa 13

base ai valori e ai comportamenti delle imprese. Proprio per queste ra-


gioni molte aziende stanno ridefinendo la loro vision, inserendo come
leve prioritarie delle proprie azioni lo sviluppo sostenibile e la qualità
dell’ambiente. Infatti, le aziende socialmente responsabili realizzano
prodotti minimizzando l’utilizzo di energia, eliminando gli imballaggi
inutili e adottando materiali facilmente riciclabili. Questa scelta premia
le imprese con una riduzione in termini di costi e un miglioramento
della propria immagine di fronte ai propri clienti. Trasformare progres-
sivamente la propria azienda in una entità produttiva ecosostenibile
persegue l’obiettivo di raggiungere risultati economicamente soddisfa-
centi ed allo stesso tempo quello di essere totalmente autosufficiente dal
punto di vista energetico, mirando all’eliminazione degli sprechi e a
una riduzione delle emissioni, con evidente vantaggi anche per
l’ambiente circostante in cui essa opera.
Lo Sviluppo delle Reti digitali e la Sostenibilità rappresentano una
opportunità improrogabile per chi vuol restare al passo con i tempi in
un’epoca in cui la crisi economica e la scarsezza della risorse naturali
rappresentano i principali problemi del pianeta. Le nuove tecnologie
permettono di far risparmiare alla collettività durante tutte le fasi del
ciclo che conduce alla soddisfazione di un bisogno: dalla realizzazione
del prodotto e/o servizio alla sua distribuzione, dalla fase di utilizzo a
quella dello smaltimento dei rifiuti che generalmente ne consegue.
L’attenzione per l’ambiente è, infine, un impegno che coinvolge tut-
ti noi in prima persona e che deve essere alla base di ogni nostra azione.
Il vero rispetto per l’ambiente costituisce un’opportunità per lo svilup-
po sociale ed economico, nonché una garanzia per un mondo più equo e
democratico.
14 Verso una società sostenibile

In un mercato ormai giunto alla saturazione, anche i sistemi più


evoluti di marketing sono destinati a fallire se non accettiamo la sfida di
intendere l’azienda non solo come un luogo di produzione, ma come
motore principale dello sviluppo economico e sociale – un motore che ha
anche la responsabilità di mettere a disposizione della collettività e del
suo territorio più lavoro, prodotti, servizi, cultura.
Un motore che va alimentato con la conoscenza, perché è la cono-
scenza che farà la differenza: è sicuramente una grande sfida di fronte
alla quale Toposofia sarà sempre in prima linea.

Carmelo D’Angelo
Istituto Toposofia
1. La sostenibilità può essere un paradigma per le
scienze sociali? Un’introduzione al volume1

Mariella Nocenzi2

1.1. Nascita e crisi del paradigma moderno per le


scienze sociali e la sociologia

È passato ormai quasi un secolo da quando fu pubblicata postu-


ma – e purtroppo incompiuta - l’opera di Max Weber Economia e
società,3 nella quale il sociologo tedesco ricostruisce con un detta-

1 I contributi di questo volume sono stati raccolti nel corso delle due

prime Conferenze internazionali organizzate dall’Osservatorio Interna-


zionale di teoria sociale sulle nuove tecnologie e la sostenibilità-
Sostenibilia, tenutisi il 30-31 ottobre 2017 e il 15 e 16 ottobre 2018 presso
il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale della Sapienza Uni-
versità di Roma.
2 Docente presso la Sapienza Università di Roma-Dipartimento di

Comunicazione e Ricerca sociale, coordinatrice scientifica


dell’Osservatorio Internazionale di teoria sociale sulle nuove tecnologie e
la sostenibilità-Sostenibilia.
3 Weber M., 1968, Economia e società, Milano, Edizioni Comunità, ed.

or. (1922), Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr.


16 Verso una società sostenibile

gliato e puntuale percorso storico l’evoluzione della cultura mo-


derna, determinata dall’uomo fino ai suoi giorni, nel tentativo di
evidenziare la specificità dell’Occidente moderno. L’interesse di
Weber, che è tuttora il nostro alla lettura delle sue riflessioni, è
quello di descrivere lo spazio sociale nel quale la disciplina che
lui stesso rappresentava nell’analisi della società – la sociologia –
stava affermandosi, servendosi di specifici strumenti teorici e me-
todologici. Aveva già iniziato a mettere a punto questo studio in
precedenti opere come Il significato della avalutatività delle scienze
sociologiche ed economiche (1917) e in un compendio, anch’esso
pubblicato postumo, Il metodo delle scienze storico-sociali (1922),4
ma la portata del profondo sguardo comparativo di Weber in
Economia e società restituisce oggi qualcosa di più e di davvero
stimolante all’osservatore della società che si affaccia al secondo
decennio, questa volta del Terzo Millennio.
Weber, infatti, identificava lo spazio sociale per eccellenza
nella città, ne descriveva i soggetti attivi nei suoi residenti, carat-
terizzandoli per la loro collocazione economica, ma anche politi-
ca e di relazione con gli altri gruppi sociali, analizzava
l’organizzazione burocratica di questo spazio sociale e affidava
alla razionalità, ma anche alle norme sociali fondate su principi
etici e religiosi, la guida degli attori sociali e, quindi, utilizzava la
razionalità e le norme condivise come strumenti di interpretazio-
ne. Se ne desumeva, in questo modo, quale fosse l’oggetto dello
studio della sociologia, e da ciò, la sua stessa definizione, rica-
vandone la chiara assunzione che la nascita della sociologia cor-
risponde al preciso momento storico «della rivoluzione industria-
le compiutasi in Europa durante il XIX sec.: il progresso tecnico e
materiale; la trasformazione dei modi di produzione e di orga-
nizzazione del lavoro; lo sviluppo delle scienze naturali;
l’espansione della classe borghese e l’emergere nel suo seno di

4 Cfr. le riflessioni dell’Autrice in L’avalutatività nelle scienze sociologi-

che ed economiche, di Max Weber, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2015.


La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 17

alcuni gruppi di intellettuali profondamente delusi dai fallimenti


della Rivoluzione francese. La nuova scienza della società poteva
consentire alle élite intellettuali interventi attivi
sull’organizzazione della società stessa» . Weber, però, non si
5

ferma all’acquisizione di una visione storicista e ad una funzione


interpretativa dei fatti sociali: egli riconosce alla sociologia il ruo-
lo di scienza dotata di strumenti e di leggi per l’analisi degli stes-
si fatti sociali.
Paradossalmente, questa opera condotta da Weber così meri-
toria per la ricomposizione fra gli approcci storicista e positivista,
può considerarsi a posteriori anche come il primo passo verso la
riformulazione degli stessi paradigmi della sociologia e delle
scienze sociali. Il senso unitario della realtà reso possibile attra-
verso una scienza sociale – lo stesso che aveva legittimato
l’affermazione di una disciplina autonoma per lo studio dei fatti
sociali che costituivano quella realtà – veniva sostituito dal socio-
logo tedesco con una pluralità di senso e di metodo che non era
stata tipica fino ad allora né del marxismo né ancor prima
dell’Illuminismo, adombrando già un certo disincanto dell’uomo
nell’osservazione, sia scientifica che comune, della realtà.
Quella realtà era, in effetti, sempre più complessa e solo attra-
verso una pluralità di forme del sapere, anche nello stesso ambito
sociale, si sarebbero potute scientificamente rappresentare mol-
teplicità, differenza, frammentazione, trasformando la stessa tra-
dizionale visione unitaria della scienza. La sociologia affrontò, in
questo modo, già pochi decenni dopo la sua definizione di scien-
za sociale, la sfida di analizzare e interpretare il mutamento insi-
to nell’oggetto stesso della sua osservazione. La risposta di We-
ber, forte della congiunzione del metodo comprendente con quel-
lo analitico, fece leva sulla sua originale concettualizzazione teo-
rica del idealtipo: gli elementi storici e costitutivi di un dato pro-

5 Enciclopedia Treccani, voce Sociologia,


http://www.treccani.it/enciclopedia/sociologia/.
18 Verso una società sostenibile

cesso e fenomeno possono riferirsi per i loro effetti e relazioni ad


un unico modello da utilizzare per comprendere quel processo o
fenomeno, anche se in realtà fra loro diversi: «Il tipo ideale rap-
presenta un quadro concettuale il quale non è la realtà storica, e
neppure la realtà vera e propria, ma, tuttavia, serve né più né
meno come schema in cui la realtà deve essere sussunta come
esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a
cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare
determinati elementi significativi del suo contenuto empirico»6 In
questo modo, il sociologo tedesco si serviva di strumenti analitici
oggettivi, o meglio “avalutativi”, in grado di analizzare i risultati
di un’osservazione scientifica sulla realtà, di per sé stessa molte-
plice e mutante.
Lo sforzo metodologico weberiano non è così lontano
dall’esito di un analogo percorso intrapreso dallo storico della
scienza, Thomas Kuhn, che, proprio grazie al suo studio compa-
rativo nella storia degli strumenti utilizzati dalla scienza – preva-
lentemente quella formalizzata ben prima della sociologia – indi-
viduò nel paradigma un modello per la ricerca, composto da teorie
e strumenti riferibili ad un percorso di analisi condiviso: «un ri-
sultato scientifico universalmente riconosciuto che, per un de-
terminato periodo di tempo, fornisce un modello e alcune solu-
zioni per una data comunità di scienziati»7.
Partendo da un assunto prettamente relativo alle scienze na-
turali, il filosofo della scienza statunitense non prende a riferi-
mento un fenomeno sociale da scomporre in elementi costituivi
per trarre gli elementi comuni con quelli individuati nel corso di
un’analisi storico comparativa. Ma da un’attenta comparazione

6Weber M., 1904, Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, XX,


(trad. it.), 1958, Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi,
pp. 112.
7 Kuhn T. S., 1962, The Structure of Scientific Revolution, Chicago, Chi-

cago University Press.


La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 19

storica del lavoro scientifico egli individua l’oggetto della ricerca,


ciò che la delimita e il metodo più pertinente per analizzare di
volta in volta il suo oggetto di studio, così da riconoscerlo come
universamente condiviso dalla comunità scientifica. Come per
Weber, quindi, Kuhn non fornisce solo un riferimento metodolo-
gico per la scienza, ma descrive e formalizza il processo grazie al
quale la scienza assume una funzione specifica di osservazione e
analisi del proprio oggetto di studio e pone le regole che presie-
deranno agli studi successivi.
In considerazione dello schema teorico elaborato da Kuhn e
del modello analitico-interpretativo di Weber, potrebbe risultare
solo paradossalmente più difficile concepire la necessità di cam-
biare il paradigma o un idealtipo: in essi, infatti, c’è quel tanto di
convergenza in un comun denominatore che dovrebbe azzerare
la sfida del diverso e, con esso, del mutamento. Al contrario, pe-
rò, come già accennato, nel tentativo di forgiare una “teoria com-
prendente” da parte di Weber, la sua proposta aveva raggiunto il
risultato di mettere da parte gli schemi teorici unitari
dell’Illuminismo e del marxismo e di promuovere una pluraliz-
zazione delle forme del sapere che più plasticamente avrebbe
fornito percorsi teorico-metodologici di volta in volta adeguati a
fronte della maggiore complessità dell’oggetto di studio della so-
ciologia.
Sebbene proprio la sociologia abbia proposto di seguire alcuni
sistemi teorici di riferimento come il funzionalismo, la formula-
zione weberiana costituisce un incipit davvero rappresentativo di
un processo irreversibile di crisi dei sistemi unitari per
l’affermazione di molteplici schemi irriducibili l’uno all’altro se
non attraverso un processo metodologico-analitico di riferimento
– l’affermazione delle teorie microsociologiche nel corso del seco-
lo scorso ne è uno degli esempi più evidenti.
20 Verso una società sostenibile

1.2. È deriva sociologica senza la modernità?

La risposta al titolo di questa parte di riflessioni sarebbe ben più


semplice di quanto non lo sia stata nei fatti. Assumendo
l’universalità e la condivisione metodologico-analitica fin qui os-
servata con i risultati degli studi di Weber e di Kuhn, fra gli altri,
si direbbe che, nello specifico della sociologia, l’osservazione di
un’epoca segnata da cambiamenti tanto rapidi quanto radicali,
specie dalla metà del XX secolo, non avrebbe dovuto intaccare la
funzionalità dell’idealtipo: quest’ultimo avrebbe potuto mettere
il sociologo davanti alla sfida di intensificare il suo studio com-
parativo e interpretativo “innovando” il tipo ideale con i tratti
inediti che il cambiamento stava rendendo sempre più evidenti.
Medesima considerazione potrebbe essere fatta per il modello
paradigmatico di Kuhn: nel suo The Structure of Scientific Revolu-
tion, fu egli stesso, ormai immerso nell’epoca delle rapide e radi-
cali trasformazioni degli Anni Sessanta, a ritrovare nelle espe-
rienze storiche della rivoluzione copernicana, in quella darwi-
niana o, ancora, in quella einsteiniana la conferma che il para-
digma è la più efficace rappresentazione di una rivoluzione
scientifica. Quando iniziano ad essere proposte soluzioni para-
digmatiche diverse e si lavora per “falsificare” i sistemi teorici
fino ad allora dominanti, ecco che si affermeranno nuovi para-
digmi, risultato dell’abbandono degli schemi precedenti e della
condivisione nella comunità scientifica di nuovi modelli in grado
di spiegare processi e fenomeni in modo diverso rispetto al pas-
sato.
L’impatto sulla scienza delle trasformazioni registratesi nel
corso dello scorso secolo, in verità, sembra aver messo in discus-
sione “l’oggettività” metodologico-analitica su cui la scienza in sé
aveva sorretto la sua funzione. Si possono rinvenire le ragioni di
questo inatteso effetto nei radicali mutamenti che hanno interes-
sato la stessa scienza, ragione ancora più evidente per la sociolo-
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 21

gia che le ha interpretate – e auto-analizzate – nel suo stesso og-


getto di analisi.
In particolare, si tratta di cambiamenti che hanno interessato
lo stesso oggetto di studio della sociologia: la realtà conformata
da un modello di sviluppo moderno (§ ved. nota n. 5), ossia quel-
lo che ha fatto perno sulle capacità e potenzialità umane per
emanciparsi dai canoni tradizionali e proiettarsi ad un progresso
mai raggiunto in precedenza in termini politici, economici, politi-
ci, culturali, grazie alla ragione umana, quale strumento infallibi-
le di orinetamento delle azioni dell’uomo. Partendo dall’uomo e
tornando all’uomo, il progresso sarebbe stato illimitato e quanto
più adeguato all’individuo e alla collettività.
Nella formula del progresso moderno, pertanto, il fondamen-
to teorico non poteva che essere unitario ed umano-centrico. Seb-
bene frutto di un radicale cambiamento rispetto alle epoche pre-
cedenti, la modernità, quale risultato di questa avvenuta trasfor-
mazione, affidava all’uomo e alle sue capacità la soluzione di
ogni eventuale mutamento contando su efficacia ed efficienza
della ragione.
Bastarono, però, le Guerre Mondiali, gli effetti perversi delle
scoperte scientifiche, il tracollo della ragione nella razionalità del-
la burocrazia, il progressivo fallimento del welfare e del suo
obiettivo di un benessere individuale e collettivo, insomma, la
trasformazione in regresso dei principi ispiratori della modernità
a disincantare l’uomo, ma anche il sociologo nella visione di We-
ber: con il suo sforzo definitorio tentò, con il modello metodolo-
gico-analitico, di offrire alla sociologia la sponda che le rivolu-
zioni paradigmatiche di Kuhn avevano già individuato nei mo-
delli innovativi dei secoli precedenti. Ma in entrambi i casi, le ri-
voluzioni paradigmatiche e il “modello comprendente” facevano
riferimento ad una scienza autonoma e con una precisa funzione
sociale nella realtà umano-centrica: ad essa gli uomini affidavano
l’osservazione, l’analisi e l’interpretazione della realtà e, finan-
che, del suo mutamento.
22 Verso una società sostenibile

Le radicali trasformazioni che interessarono il modello della


modernità hanno rimesso in gioco questa funzione della scienza:
l’uomo non era più in grado di assicurare sempre e comunque
con la ragione una spiegazione unitaria e condivisa della realtà e
di riceverne l’orientamento delle proprie azioni.
Si profila, dunque, una vera e propria condizione post-moderna8
nella quale a prevalere è il rifiuto di principi e valori moderni che
avevano disatteso il loro ruolo chiarificatore e di guida e, con lo-
ro, quello di scienziati e intellettuali che operavano con e sul sa-
pere per consentire che ciò si realizzasse. Mentre la realtà diveni-
va sempre più complessa, plurale e differenziata, mancavano – e
non venivano più ritenuti necessari - punti di riferimento da as-
sumere come modello dopo aver utilizzato una prospettiva stori-
ca di comparazione; si perdeva, in questo modo, il senso
dell’autorità scientifica e intellettiva a ciò necessaria. La scienza
perdeva il suo stesso ruolo, divenendo esattamente il contrario di
quanto la modernità aveva affermato, ossia strumento di con-
fronto fra risultati controversi e incerti che la stessa modernità
aveva indotto, divenendo a tal punto naturali che le trasforma-
zioni in atto avevano reso “sistemici”.9
Se Beck, a differenza di Lyotard, intravvedeva nella condizio-
ne della scienza e della tecnologia conseguente la modernità il
vantaggio di essere divenute aperte e autocritiche, non più asetti-
che per l’umanità, prima costretta a rivolgersi loro con un mero
riconoscimento di autorità, per i sociologi della postmodernità ciò
profilava rischi per nulla costruttivi: questa maggiore democrati-
cità avrebbe comportato la difficoltà a comporre la diversità con
valori e significati condivisi e la conseguente resa alla frammen-

8Cfr. Lyotard J-F., 1979, La condition post-moderne. Rapport sur le savoir


au XX siècle, Paris, Les éditions de minuit.
9 Cfr. Beck U., 1986, Riskikogesellschaft: auf dem Weg in eine andere Mo-

derne, Frankfurt am Main, Suhrkamp (trad. it., 2000, La società del rischio.
Verso una seconda modernità, Roma, Carocci Editore).
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 23

tarietà, senza più poter avere una progettualità verso il futuro, né


tantomeno una capacità di visione retrospettiva.
Per entrambe le prospettive – quella più apocalittica della
postmodernità, aggrappata alla modernità come riferimento uni-
co e come termine a quo, e quella integrata della seconda moder-
nità o della modernità radicale – la scienza vede quantomeno ag-
giornata la sua funzione, ben oltre i termini del modello webe-
riano di ricorso al tipo ideale e della descrizione di quella avvenu-
ta come di una rivoluzione paradigmatica. In questa revisione della
funzione della scienza in generale, e della sociologia in particola-
re, risiede la sfida che il mutamento tuttora sta prospettando agli
schemi teorico-metodologici, al fine di renderli sempre adeguati
all’osservazione e analisi della realtà, quella attuale foriera di
un’inedita prospettiva.

1.3. La conoscenza sociologica e la sfida del mo-


dello di sviluppo sostenibile

Si è appositamente parlato di “funzione” della scienza per illu-


strare quali suoi elementi costitutivi evidenzino maggiormente le
trasformazioni che l’hanno interessata con la crisi del moderno
modello di progresso e di autorità della conoscenza.
In verità, la scelta della funzione è stata operata anche da chi,
come Niklas Luhmann, ha opposto per la sociologia – e in analo-
gia per la scienza in generale – la tesi che il suo ruolo sia quello di
elaborare una teoria generale: per la sociologia ciò avrebbe con-
sentito di osservare e analizzare la società con riferimento a
schemi unitari. Di fronte al dissolvimento delle grandi costruzio-
ni teoriche moderne e della complessità sociale, il sociologo tede-
sco ribadisce la necessità di approntare prospettive metodologi-
che altrettanto complesse e articolate quanto il loro oggetto di
24 Verso una società sostenibile

studio.10 Piuttosto che abbandonare l’autorità della scienza e la


sua legittimazione della conoscenza, come la condizione post-
moderna suggeriva, Luhmann ritiene che è compito fondamenta-
le della scienza, in particolare quella sociologica, sviscerare quali
siano le esatte funzioni svolte da strutture o sistemi di cui si
compone la realtà complessa e comprendere come possano stare
in equilibrio nell’ambiente nel quale si collocano.
Nuovamente, viene affidata alla scienza la funzione di analiz-
zare e comprendere la realtà, nonostante la sua complessità,
adottando gli schemi teorico-metodologici più pertinenti, così da
affrontare, vincendola, la sfida della complessità. Questa può es-
sere affrontata, infatti, tenendo in giusto conto che l’ambiente in
cui sono situati i sistemi è particolarmente complesso, più degli
stessi sistemi: questi ultimi sono in grado di gestire l’ambiente in
proporzione della loro complessità interna, per cui la complessità
assume una rilevanza decisiva – e positiva – al fine di rendere i
sistemi capaci di elaborare strategie a fronte proprio delle esigen-
ze dell’ambiente.
Il riferimento alla “teoria dei sistemi complessi” di Luhmann
ha avuto una duplice valenza nell’ultimo scorcio del XX secolo:
allo stesso tempo, infatti, riaffidava alla scienza una funzione che
le era stata negata con la post-modernità, prima ancora di poterla
valorizzare e aggiornare; inoltre, focalizzava l’attenzione su ele-
menti costitutivi della realtà, come l’ambiente e i sistemi, che si
proponevano come nodi essenziali per comprendere la crisi della
sua epoca, che con un gioco di parole affatto premeditato, era a
sua volta il risultato della condizione determinata dalla crisi della
modernità.
Questo secondo elemento merita un approfondimento mirato,
non fosse altro perché esplicita anche l’importanza del primo.

10 Luhmann N., 1984, Soziale Systeme. Grundriß einer allgemeinen Theo-

rie. Frankfurt am Main, Suhrkamp (trad. it., 1984, Sistemi sociali. Linea-
menti di una teoria generale, Bologna, il Mulino).
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 25

Andando con ordine, si torna a sottolineare che la crisi della


modernità è stata sancita dalla definitiva acquisizione che gli
schemi teorico-metodologici unitari fossero inadeguati a fronte di
una società sempre più complessa, anche a causa del rifiuto pre-
concetto di quegli stessi schemi interpretativi. Questa frammen-
tazione di valori e di modelli di riferimento in una realtà plurale
e complessa è venuta a seguire l’abbandono delle grandi narra-
zioni premoderne fondate sulla fede e l’accertamento dei limiti
della ragione con la razionalità moderna.
Il lato positivo è stato dato, però, da una maggiore accessibili-
tà alla scienza e alle tecnologie cui si è approdati, che ha promos-
so sì una minore autorevolezza della scienza, ma anche la neces-
sità di esplorare le problematicità degli schemi teorico-
metodologici, dell’oggetto e della funzione della scienza, specie
per la sociologia. Se per molti studiosi questo processo si è risolto
con la conferma della perdita di valore della scienza, incapace di
scoprire i suoi stessi limiti e affrontare l’incertezza – si pensi
all’analisi postmoderna di Lyotard (ved. § nota 8) – per altri, co-
me Luhmann, la rivendicazione di un suo ruolo autorevole
nell’indagine della realtà complessa ha significato fare uno sforzo
ispettivo proprio di quei limiti. Per Luhmann l’esplorazione
strutturale della scienza come sistema complesso immerso in un
ambiente ancora più articolato ha fornito le indicazioni per for-
mulare la giusta diagnosi e il recupero della sua funzione.
Per un altro gruppo di studiosi, fra i quali si vogliono annove-
rare Catton e Dunlop,11 l’approccio della modernità all’analisi
della realtà si basava su quello che essi definivano lo human ex-
ceptionalist paradigm, un modello di ricerca che, a loro parere, sta-
va prestando il fianco a critiche tali da indurre una crisi intrinse-
ca alla stessa scienza. Questi due studiosi la registrarono a partire

11 Catton W. R. jr., Dunlap R. E., 1980, A New Ecological Paradigm

for Post-Exuberant Sociology. American Behavioural Scientist, vol 24, no. 1,


September-October, pp. 15-47.
26 Verso una società sostenibile

dall’osservazione dei problemi ecologici sempre più evidenti sul


finire del XX secolo. Il loro sforzo analitico fu quello di abilitare
la scienza per la sua funzione e i suoi processi costruttivi denun-
ciando le alterazioni che ne inficiavano autorità, valore, funzione,
al punto, nel caso specifico da loro esplorato, di sottostimare i
problemi ambientali e persino indurre effetti perversi. Con un
percorso parallelo e per molti punti tangente a quello di Luh-
mann, Catton e Dunlop analizzavano in quegli stessi anni la real-
tà sociale a partire dalla condizione ecologica, contestualizzando
in un ambiente prodotto dalla modernità oggetto e funzione del-
la scienza, intesa sia in senso generale che in quello specifico di
scienza sociologica.
L’ambiente in cui questa scienza operava come sistema era
dominato «da una centralità delle conoscenze, delle abilità, delle
scoperte dell’uomo che si stanno ridimensionando e, con loro, il
modello di sviluppo “esuberante” di cui si alimenta anche la so-
ciologia servendosi di un paradigma che le impedisce di vedere
la rilevanza del problema ecologico»12. Questo ambiente, che po-
chi anni dopo Crutzen e Stoermer avrebbero descritto con un so-
lo termine come quello di “prodotto” dell’era dell’Antropocene13,
induceva l’analisi sociologica ad osservare con un’ottica errata le
evidenze della crisi ecologica perché la centralità della dimensio-
ne umana non soltanto orientava erroneamente la funzione della
scienza, ma ne alterava anche l’oggetto. Per dimostrarlo, non sol-
tanto portarono all’attenzione la prova dei problemi ecologici
sempre più evidenti – con tanto di erronea lettura per la loro rile-
vanza sociologica – ma entrarono all’interno degli stessi meccani-
smi della ricerca scientifica, criticando il concetto di paradigma
assunto dalla scienza moderna.

Idd., 1980, A New Ecological Paradigm for Post-Exuberant Sociol-


12

ogy, op. cit. p. 15.


13 Crutzen P. J., Stoermer, E. F., 2000, The “Anthropocene”, IGBP

Newsletter, No. 41, May, 15-34.


La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 27

Di questo elemento fondativo della loro critica, almeno ai fini


di queste riflessioni, si riporta quanto ripresero dalla definizione
di “paradigma” secondo Ritzer, il quale osservava che esso «(…)
è un’immagine fondamentale dell’oggetto della scienza. Il para-
digma serve per definire cosa dovrebbe essere studiato, quale
questione dovrebbe essere posta all’attenzione e quali regole do-
vrebbero essere seguite per ottenere e analizzare i risultati della
ricerca. Il paradigma è il risultato che ottiene il più ampio consenso in
una disciplina scientifica e differenza una comunità (o sotto co-
munità) scientifica da un’altra. Il paradigma evidenzia, definisce
e mette in relazione esempi, teorie, metodi e strumenti esistenti
all’interno di una disciplina scientifica».14
Per Catton e Dunlop il paradigma assunto come una “broa-
dest unit of consensus”, secondo la definizione utilizzata in lin-
gua originale da Ritzer, è il più chiaro tratto del modello moder-
no antropocentrico che ha segnato un profondo distacco fra
l’uomo, la scienza che esso produce e l’oggetto della scienza, os-
sia l’ambiente, sia esso inteso nel più lato senso di Umwelt utiliz-
zato da Luhmann, che in quello specifico e all’attenzione dei due
sociologi americani attinente alla dimensione ecologica. Pur pre-
standosi a sembrare un gioco di parole o una inspiegabile coinci-
denza, che l’ambiente in entrambe le accezioni rivelasse la com-
plessità sociale alla scienza umana, incapace di osservarla e ana-
lizzarla, sottolinea come si stesse assistendo ad un cambio di pa-
radigma ormai irreversibile.
Catton e Dunlop diedero il loro contributo proponendo
l’assunzione di un nuovo modello scientifico, quel human exemp-
tionalism paradigm, il quale, con un altrettanto significativo gioco
di parole, se non di sillabe, rivelava come la scienza (generale e
sociologica) avrebbe potuto analizzare l’ambiente (in senso eco-
logico, ma anche luhmanniano) con tutte quelle sue “inattese”

14 Ritzer G., 1975, Sociology: A Multiple Paradigm Science, Boston, Allyn

& Bacon, p.7.


28 Verso una società sostenibile

trasformazioni che la stessa scienza non era stata fino ad allora in


grado di individuare né di studiare a causa di un errato para-
digma antropocentrico. Quello stesso che, come plasticamente
rappresentato da Aurelio Peccei15 e da Alexander King16 qualche
anno prima induceva a considerare problematico tutto ciò che
l’uomo e la sua scienza non erano in grado di comprendere, né
tantomeno di risolvere utilizzando gli strumenti teorici e metodo-
logici a disposizione: i problemi ambientali, ma anche la povertà
e la disoccupazione, la criminalità e il terrorismo, le epidemie e le
malattie incurabili.
Pertanto, negli ultimi decenni dello scorso secolo, si rese evi-
dente, grazie a questi e a vari altri – sebbene non molti – studiosi,
che il paradigma moderno necessitava di essere oggetto di atten-
te riflessioni che diventavano ancora più essenziali per le scienze
sociali nell’analisi del cambiamento in atto. Fra gli effetti più evi-
denti di questa “rivoluzionaria” autoriflessione, quelli rappresen-
tati da chi come Luhmann hanno rivendicato per la scienza e le
scienze sociali nello specifico una funzione essenziale nella lettu-
ra analitica della società in trasformazione complessa; quelli che
hanno, di converso, ritenuto che la scienza potesse esercitare il
ruolo tradizionalmente assegnatogli e, quindi, si fosse passati ad
un era post in cui prefissi e negazioni bastassero a segnare la “di-
versità” della realtà rispetto ai modelli passati; quelli, infine, co-
me gli scienziati attenti ai limiti del modello di sviluppo moder-
no, quali Peccei e i suoi colleghi riuniti nel noto Club di Roma17,
hanno creato proficue integrazioni fra discipline scientifiche per

15Peccei A., 1981, One Hundred Pages for the Future, London, Per-
gamon Press (1981)
16 King A., 1972, Science, Technology and the Quality of Life, London,

The Institute for Cultural Research.


17 Per approfondimenti cfr. Meadows D., Meadows D., Randers J.,

Behrens III W. W., 1972, The Limits to growth. New York, Potomac Associ-
ates - Universe Books.
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 29

rafforzare il ruolo della scienza di fronte ad una radicale trasfor-


mazione di oggetto, metodi, strumenti della sua osservazione.
A distanza di qualche decennio da questa fondamentale presa
d’atto si annoverano le declinazioni più diverse e controverse nel
paradigma di riferimento per la scienza in generale e nello speci-
fico per quelle sociali, il cui unico chiaro comun denominatore
può essere certamente rappresentato dalla pluralità degli approc-
ci transdisciplinari e dalla effimera durata della loro vigenza, a
causa dell’indefinito riferimento assunto dopo la modernità.
Ancora oggi persiste la posizione teorico-metodologica di chi
ritiene che, nello specifico della sociologia, una scienza nata con
la modernità, che ha assunto al centro della sua analisi l’azione e
i processi relativi attinenti all’individuo/persona/soggetto non
possa che assistere alla frammentazione18 e pluralizzazione19 di
queste identità ed essere sottoposta alle stesse dinamiche. Ma ac-
canto a questa posizione critica, quasi nichilistica sulla sociologia
come scienza destinata a dissolversi perdendo il suo oggetto di
ricerca, è altrettanto evidente che queste dinamiche possano esse-
re lette dalla lente del sociologo, arricchendone lo spettro analiti-
co con oggetti e strumenti metodologici che sono anche sociali.
L’approccio plurale e integrato delle scienze non può negarsi
l’apporto della componente sociale, specie quando questa abbia
stabilito la propria funzione come scienza tout court, come disci-
plina integrata alle altre nell’analisi della realtà e come scienza
che studia il mutamento adeguandovisi intrinsecamente.
I contributi introdotti da queste riflessioni tentano di rappre-
sentare l’attuale dibattito in seno alle scienze sociali e, nello speci-

18 Bauman Z., 2001, The Individualized Society, London, Wiley (trad. it.
2002, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Bologna,
il Mulino); Turkle S., 2011, Alone Together, New York, Basic Books (trad.
it. Insieme ma soli, Milano, Feltrinelli.
19 Eisenstadt S. N., 2001, “Multiple modernities”, in Daedalus, Vol.

129, No. 1, pp. 1-29.


30 Verso una società sostenibile

fico, alla sociologia, rispetto alla sua funzione nella società con-
temporanea, correlandola al suo oggetto di studio e all’ambiente
entro cui quell’oggetto ed essa stessa possono essere osservati.
Perché si possa delineare un efficace e condiviso paradigma per
la sociologia, che sia al contempo integrato con la scienza com-
plessivamente intesa, molti degli spunti teorico-metodologici fin
qui citati possono essere utili a connettere logicamente gli ele-
menti emersivi della realtà analizzata.
Si può partire dalla chiara assunzione della crisi del modello
antropocentrico che trasforma l’era dell’Antropocene nelle sue
dimensioni spaziali, temporali, connettive: accanto all’uomo sono
oramai soggetti agenti anche non umani come le tecnologie digi-
tali, i dati, i robot che sono parte integrante della vita degli umani
e della realtà complessivamente intesa.20 Le dimensioni tempora-
li, spaziali e le reti relazionali non possono più essere le stesse,
neanche di quelle sviluppate nella Modernità con l’introduzione
delle macchine industriali o con il dissolvimento dei legami so-
ciali del postfordismo. Si palesa una “sfida epocale”, come la de-
finisce Gianfranco Bologna, che, riferendola all’ecosistema, vi raf-
figura simbolicamente quella per l’oggetto della scienza e per la
scienza stessa. In particolare, richiamando una opportuna rifles-
sione di Herman Daly, l’Autore sottolinea come ciò che è neces-
sario a questo punto non è un’analisi scientifica sempre più raffi-
nata di una visione difettosa che è quella dell’economia, della po-
litica, della cultura, ereditata dai decenni precedenti, ma una
nuova visione, che consideri e si basi sui nuovi assetti sociali.
Le dimensioni temporali si estendono ben oltre il presente e
devono sempre più considerare il futuro, rendendolo possibile
per le generazioni che lo vivranno. Le dimensioni spaziali sono
innervate di reti relazionali fra umani e umani, fra umani e non
umani, fra non umani tra di loro e si supera, in questo modo, la

20 Accoto C., 2017, Il Mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale,

Milano, Egea.
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 31

contrapposizione fra globale e locale. Il profilo dell’Homo Sapiens


cambia radicalmente in relazione a queste trasformazioni nelle
quali è immerso e per Michel Puech ciò impegna l’uomo a svi-
luppare massimamente la sua stessa saggezza in modo adeguato
all’era tecnologica in cui vive. L’Autore rappresenta un filone di
pensiero che rintraccia in questo cambiamento radicale anche il
depotenziamento dell’istituzione della scienza e, con essa, della
conoscenza a favore di una condivisa costruzione della saggezza.
Più che una visione antropocentrica, quella dell’Autore è una
prospettiva integrata dell’uomo in un’ecologia ormai composita
che, proprio per la sua composizione, ricorre ad una scienza,
quella sociale, per la sua analisi.
La funzione della scienza, quindi, diventa essenziale se fa
proprie queste dimensioni e consente di analizzare la profonda
trasformazione in atto individuando nel fattore dell’innovazione
l’elemento strategico di questo cambiamento e dello sviluppo so-
ciale da qui al futuro. Le esperienze di una azienda che opera
nell’innovazione come la Ericsson, descritta da Cesare Avenia,
propone un primo caso di studio che, insieme ad altri in questo
volume, intendono supportare la verifica dell’ipotesi di fondo
guardando ad aspetti rappresentativi della società contempora-
nea. In questo caso, il futuro è reso accessibile attraverso reti e
tecnologie che solo l’integrazione fra discipline scientifiche e at-
tori sociali rende possibile e nuovamente una visione sociologica
la può osservare nel suo insieme e, persino, contribuire a guidare
verso i suoi obiettivi.
Un possibile esito in un futuro pressoché immediato è quello
descritto da Massimo Di Felice e Rita Nardy che disegnano
l’oggetto della scienza come una «ecologia senza più soggetti e
oggetti che contempla ogni entità, umana e non, quale parte inte-
grante delle reti della biosfera», un insieme di reti digitali che
permeano l’intero spazio, a giudizio degli Autori mettendo in
crisi la sociologia per il radicale cambiamento di spazio, tempo e
relazioni. Il presupposto antropico della morfologia del sociale, il
32 Verso una società sostenibile

carattere strumentale della tecnica nell’evoluzione sociale e


l’estromissione della natura dalla società, che sono addotti come
tratti immodificabili della sociologia, lo sono come elementi ere-
ditati dal paradigma moderno ed oggi messi in discussione, alla
luce del mutamento in corso, dalla stessa scienza.
Lo studio di Marina Magalhães da supporto all’osservazione
della scienza sociologica che riflette su sé stessa per adeguare i
propri strumenti all’analisi della mutata realtà, proponendo lo
specifico processo relazionale nella nuova ecologia sociale. Le reti
sociali che descrive sono ben diverse da quelle tradizionali, vivi-
ficate da umani e non, spesso digitali, talaltra sociali, ma anche
non, allo stesso tempo l’una e l’altra. Ciò comporta l’impossibilità
attuale per la sociologia ad ascrivere questi processi come “ogget-
to” del suo studio, al punto da definirli come il loro opposto, un
“non oggetto” in attesa che la sociologia ne prenda le misure e
sviluppi un adeguato apparato teorico-metodologico di osserva-
zione.
L’Autrice, pertanto, conferma che la sociologia, come la scien-
za più in generale, sia oggi impegnata in un percorso di riformu-
lazione del proprio paradigma che può, però, servirsi di alcune
preliminari suggestioni, essenziali, quali quelle fin qui presentate
e che partono dalle rivoluzioni scientifiche, passando per Weber,
Lyotard e Luhmann. A queste si possono aggiungere anche le ri-
flessioni dall’articolato studio di Maurice Merleau-Ponty, Phéno-
ménologie de la perception che Eli Borges Jr. propone per descrivere
un inedito modo di concepire il rapporto fra soggetto e ambiente.
Già negli Anni Quaranta, avvertendo i limiti dei paradigmi “mo-
derni” dell’empirismo e dell’intellettualismo, lo studioso francese
stabilisce la relazione fra uomo e natura, fra soggetto e ambiente
come insita nella stessa sensazione, una sorta di comunione, di un
“modo di essere nel mondo, un modo di esistenza del corpo in
direzione del mondo e verso il corpo che raffigura come un
“sentire ecologico” comprovante l’intima unione fra uomo e
La sostenibilità può essere un paradigma per le scienze sociali? 33

natura, quella che il paradigma moderno stava smentendo


nell’era dell’Antropocene.
Le rappresentazioni artistiche visuali allestite e illustrate da
Hugo Fortes arrivano alla definizione della “transorganicità” per
rappresentare questa intrinseca relazione, partendo
dall’elemento naturale dell’acqua, in un processo ancora più evi-
dente nella società contemporanea caratterizzata dalla contami-
nazione, dall’inquinamento e dall’alterazione prodotte dall’uomo
sull’acqua e la natura. Il linguaggio delle arti visive è scelto come
raffigurazione plastica di fenomeni che si offrono
all’osservazione sociologica richiedendo un nuovo paradigma di
analisi.
La sociologia, però, può servirsi anche di strumenti collaudati
per osservare questo inedito rapporto fra uomo e natura come
oggetto di indagine e Claudio Marciano propone di farlo nel mo-
do più efficace assumendo come oggetto di studio la città con-
temporanea, lo spazio sociale nel quale il rapporto tra uomo e
tecnologie trova il suo campo d’azione più dinamico e conflittua-
le. Partendo da concetti elaborati nel passato più remoto da
George Simmel con lo spirito oggettivo e soggettivo e nel passato
più recente da Henry Lefebvre con lo spazio sociale, l’Autore
propone una chiave teorico-metodologica di lettura dello spazio
sociale urbano contemporaneo, quello meglio noto come Smart
City, nel quale lo sguardo sociologico si dispiega fra conflitto e
dialogo delle categorie tradizionali e innovative che utilizza per
la sua osservazione.
Nel secondo e ultimo caso di studio presentato in questo vo-
lume, gli esperti della Divisione Biotecnologie e Agroindustria
dell’ENEA propongono un esempio di dimensioni temporali,
spaziali e relazionali mutate in quell’ambiente sociale preceden-
temente ascritto come rappresentativo della società contempora-
nea. In un esemplare prova di integrazione fra discipline, gli
esperti biologi, agronomi, chimici offrono all’osservazione sociale
innovative tecniche di sostenibile impiego delle risorse naturali
34 Verso una società sostenibile

scarse, attraverso tecnologie applicate all’agricoltura, in uno spa-


zio inedito come quello urbano, prevalente e in trasformazione, a
fini alimentari, attestando come attori, spazi e tempi dell’azione,
interazioni si stiano trasformando nel presente e così si proiettino
nel futuro.
Quella che questo volume definisce la sfida del cambiamento
per la scienza in generale diviene, se possibile, ancora più essen-
ziale per la sociologia che si propone fin dalla sua “nascita” come
la disciplina che osserva e interpreta il mutamento. Affermatasi
con la trasformazione sociale indotta dalla Modernità e affrontata
la crisi del suo paradigma, oggi adatta il suo bagaglio teorico-
metodologico a trasformazioni caratterizzate da dinamiche nuo-
vamente inedite che mettono in discussione i suoi concetti fon-
damentali – soggetto, azione, spazio, tempo, relazione – quindi, il
suo oggetto di ricerca e i suoi strumenti di analisi. Insomma, la
scienza in generale, e la sociologia in particolare, sono alle prese
con la definizione di un paradigma adatto, sostenibile per la stes-
sa scienza, con dimensioni temporali anche di lungo termine, con
uno spazio ridefinito attraverso le azioni degli umani e dei non
umani fra loro, con uno sviluppo dell’uomo che è sempre più li-
mitato dal fatto di essersi accorto di non essere più solo nella so-
cietà.
Mentre quello sviluppo sta già passando in questi anni dal
digitale al vocale – è sempre meno necessario per l’uomo “tocca-
re” uno strumento tecnologico per interagire con esso, ma basta
dialogare a voce con le intelligenze non umane – l’uomo trattiene
con la scienza, anche quella sociologica, un inestimabile patrimo-
nio di strumenti teorico-metodologici per osservare, analizzare,
interpretare, progettare.
2. Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità?

Gianfranco Bologna21

Il 24 dicembre del 1968 il mondo fu colpito dalla bellissima fo-


tografia ripresa dall’astronauta William Anders della missione
Apollo 8 della NASA. Una foto che riprendeva il sorgere della
Terra dalla Luna, definita appunto Earthrise. Gli astronauti sta-
vano compiendo la loro orbita attorno alla Luna, in vista del
percorso che condusse successivamente la NASA fino all’Apollo
11, quando il 20 luglio del 1969 i primi esseri umani misero
piede sulla Luna. Quella foto diventò un simbolo della straor-
dinaria unicità, delicatezza, fragilità e bellezza della nostra Ter-
ra. Contribuì a diffondere la consapevolezza che si trattava del-
la nostra unica “casa”, l’unico luogo sicuro dove gli esseri
umani possono vivere, il nostro unico pianeta dal quale siamo
derivati e del quale dobbiamo avere una grande cura e rispetto.
Diversi mesi prima di quell’anno, il 7 aprile, nacque il Club
di Roma, uno straordinario think-tank internazionale, divenuto

21
Direttore scientifico del WWF Italia e segretario generale della Fon-
dazione Aurelio Peccei, che rappresenta il Club di Roma in Italia.
36 Verso una società sostenibile

da subito un punto di riferimento ineludibile del dibattito sui


nostri futuri possibili o desiderabili22. Infatti, ai primi di aprile,
Aurelio Peccei (1908-1984)23, economista e dirigente industriale
– straordinaria figura umana ed intellettuale con la quale ho
avuto la fortuna di intessere una profonda amicizia, che mi ha
veramente dato tantissimo umanamente e professionalmente –
riunì a Roma, presso la prestigiosa Accademia dei Lincei, una
trentina di studiosi provenienti da varie parti del mondo, ac-
comunati tutti da una forte preoccupazione per il futuro
dell’umanità.
L’obiettivo era quello di dar vita a una sorta di gruppo in-
terdisciplinare informale, libero e indipendente, dedicato a sti-
molare il dibattito e l’azione sulle complesse dinamiche e sulle
interconnessioni esistenti tra i sistemi naturali ed i sistemi so-
ciali, tecnologici ed economici creati dall’umanità e sulle loro
prospettive di evoluzione futura. Era necessario suscitare ricer-
che, riflessioni, dibattiti e iniziative in tutto il mondo sui temi
chiave per il futuro di noi tutti. Contestualmente a questo mee-
ting, Peccei, con l’apporto di altre personalità internazionali di
spicco, come lo studioso scozzese Alexander King (1909-2007)24
– direttore per l’educazione e la scienza all’OCSE – fondò il
Club di Roma. Sin dall’anno della sua istituzione, il Club di Roma
è stato uno straordinario pioniere nel dibattito internazionale
sui limiti della nostra crescita economica, materiale e quantita-

22
Vedasi www.clubofrome.org
23
Di grande interesse, tra gli altri suoi scritti, l’autobiografia, vedasi
Peccei A., 1976, La qualità umana, Milano, Mondadori, ristampata da Ca-
stelvecchi nel 2014 e Peccei A., 1981, Cento pagine per l’avvenire, Milano,
Mondadori, ristampata nel 2018 da Giunti editore.
24
Vedasi la sua autobiografia, King A., 2006, Let the Cat Turn Round.
One Man’s Traverse of the Twentieth Century, London, CPTM.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 37

tiva, rispetto agli evidenti limiti biofisici del nostro pianeta; sui
limiti delle nostre capacità di comprensione della grande com-
plessità dei problemi da noi stessi creati; sulla necessità di una
nuova società e di una nuova impostazione economica che ten-
ga conto delle risorse naturali e del benessere reale di ogni esse-
re umano. Aurelio Peccei è scomparso nel 1984, privando il
Club di Roma e il mondo intero di una figura carismatica, con
eccezionali qualità umane e capacità organizzative che lo porta-
rono ad aggregare intelligenze diverse di tanti Paesi in un pro-
getto unificante e coraggioso, con una eccezionale capacità di
“visione” del futuro. Nel 2018 il Club di Roma ha segnato i suoi
50 anni di vita. La sua storia, e l’attività sin qui svolta, è stata da
sempre mirata alla capacità di guardare lontano, a cercare di
immaginare il nostro futuro, a comprendere come innovare la
società umana per renderla capace di rispondere a queste sfide
epocali della nostra storia, stimolandola a individuare i futuri
possibili e desiderabili.
Il futuro del nostro mondo a partire da oggi, considerato
sulla base delle analisi, delle ricerche e delle proposte di questi
primi 50 anni del Club di Roma è stato approfondito in uno
straordinario convegno internazionale tenutosi a Roma
nell’ottobre del 2018, al quale hanno preso parte alcune tra le
figure più autorevoli della Global Sustainability internazionale25.
La domanda centrale alla quale si sta cercando di rispondere
è la seguente: è realmente possibile oggi imboccare le strade
della sostenibilità con una popolazione in crescita, un impatto
ambientale in crescita e un degrado sociale in crescita?
Su questi temi il Club di Roma ha pubblicato proprio per
l’occasione dei suoi 50 anni di vita un ottimo rapporto, che cer-

25
Vedasi il sito www.clubofrome.org
38 Verso una società sostenibile

ca di dare risposta a questa domanda fondamentale per tutti


noi26. E si tratta della domanda principale che dovrebbero porsi
tutti, a cominciare dai leader politici ed economici del mondo,
le cui decisioni – e non decisioni – quotidiane influenzano il
procedere delle nostre economie, delle nostre scelte sociali, dei
nostri comportamenti, dei nostri impatti sulla natura.

2.1. Siamo nell’Antropocene

Ormai, come ci ricordano gli esperti del Club di Roma, abbiamo


perso decenni importanti per invertire la rotta dei nostri modelli di
crescita continua, materiale e quantitativa, che oggi si sono diffusi
in tutte le culture e le società del pianeta.
È bene sottolineare un concetto chiave di questa situazione: la
Terra non è in pericolo. In pericolo è, invece, l’umanità e la civiltà
che essa ha creato, poiché questa è stata possibile solo grazie ai be-
ni ed ai servizi che la natura e la biodiversità ci hanno sempre for-
nito ed ovviamente è in pericolo la straordinaria biosfera che sta
condividendo con noi questa fase della vita sulla Terra e gli attuali
equilibri dinamici del sistema Terra nel suo complesso. Come scri-
ve il noto geologo Robert Hazen: «Ci stiamo insomma avventu-
rando su un terreno sconosciuto, mentre sulla Terra stiamo svol-
gendo un esperimento su scala globale, mal congegnato e forse di-
verso da tutto ciò che è accaduto prima. […] Insomma, se decide-
remo di preoccuparci, dovremo farlo in prima istanza e soprattutto
per la nostra famiglia umana, perché siamo noi quelli più a rischio.
La vita andrà avanti nella sua grandiosità, ma la società umana,

26
Von Weizsacker E.U. e Wijkman A. (a cura di), 2018, Come On! Come
fermare la distruzione del pianeta, Milano, Giunti Editore.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 39

perlomeno con la sua attività sregolata attuale, potrebbe non farce-


la».27
Siamo in un periodo senza alcun precedente nella storia
dell’umanità28. Nei 200.000 - 300.000 anni di presenza della specie
umana sulla Terra non siamo mai stati così numerosi, non abbiamo
mai avuto una disparità così elevata tra i pochissimi che possiedo-
no tantissimo e i tantissimi che possiedono pochissimo, non ab-
biamo mai stravolto con questa ampiezza e in tempi così rapidi i
sistemi naturali dai quali proveniamo e senza i quali non possiamo
vivere, non abbiamo mai messo a rischio le opzioni evolutive di
tutti gli altri esseri viventi che con noi condividono ora la storia del
nostro pianeta, non abbiamo mai così profondamente intaccato le
basi che ci consentono di vivere, di avere benessere, prosperità e
sviluppo per il nostro immediato futuro.
Dalla Rivoluzione Industriale ad oggi, abbiamo rilasciato
nell’atmosfera oltre 2.200 miliardi di tonnellate metriche di anidri-
de carbonica, incrementandone il livello del 44%; l’ammontare to-
tale del cemento prodotto dagli esseri umani è tale da poter coprire
l’intera superficie terrestre con un spessore di due millimetri;
all’inizio della Rivoluzione Agricola si stima che sulla Terra vi fos-
sero 6.000 miliardi di alberi, oggi ve ne sono circa 3.000 miliardi;
l’analisi attuale del totale della biomassa (la massa vivente) sulla
Terra – della sola classe dei mammiferi cui apparteniamo – ci dice
che il 66% di questa è costituita da animali domestici utilizzati
dall’uomo (bovini, suini, caprini, ovini ecc.), il 30% dagli stessi es-

27
Hazen R.M., 2017, Breve storia della Terra. Dalla polvere di stelle
all’evoluzione della vita. I primi 4.5 miliardi di anni, Milano, il Saggiatore edi-
tore, p. 37.
28
Lewis L.L. e Maslin M.A., 2018, The Human Planet. How We Created the
Anthropocene, London, A Pelican Book/Penguin Books.
40 Verso una società sostenibile

seri umani e solo il 4% dalle specie selvatiche dei mammiferi (dagli


elefanti ai toporagni)29.
Oggi ci stiamo appropriando del 25% della produttività prima-
ria netta (definita Human Appropriation of Net Primary Production,
HANPP), cioè dell’energia raggiante solare utilizzata dalla vegeta-
zione terrestre e trasformata in materia organica resa disponibile al
resto della vita sulla Terra. Questa percentuale si ritiene possa rag-
giungere il 27-29% entro il 2050 se il nostro livello di impatto sui
metabolismi naturali dovesse proseguire con i ritmi attuali, giun-
gendo al 44% nel caso di un massiccio utilizzo di bioenergie pro-
dotte dai suoli coltivati30.
Gli effetti delle attività umane sul nostro pianeta sono oggi ri-
tenuti equivalenti a quelli prodotti dalle grandi forze della natura
che hanno causato significativi mutamenti nel nostro sistema Terra
nell’arco dei suoi 4.6 miliardi di anni di vita, tanto da far proporre
alla comunità scientifica, che si occupa di scienze del Sistema Terra
e dei suoi cambiamenti globali, l’indicazione di un nuovo periodo
geologico, che è appunto definito Antropocene31.

29 Crowther T.W. et al., 2015, Mapping tree density at a global scale, Na-

ture, 525; 201-205; Smil V., 2012, Harvesting the Biosphere: What we have taken
from nature, Massachusetts, MIT Press.
30
Krausmann F., et al. 2013, Global human appropriation of net primary
production doubled in the 20th century, Proc. Nat. Acad. Science, 110; 25:
10324 – 10329, https://www.pnas.org/content/110/25/10324.
31
Crutzen P.J. e Stoermer E.F., 2000, The Anthropocene, Global Change
Newsletter, International Geosphere Biosphere Program (IGBP), 41: 17 –
18, Waters C.N., Zalasiewicz J.A. e Williams M. et al., (eds), 2014, A Strati-
graphical Basis for the Anthropocene, London, Geological Society of London,
Series A; Waters C.N. et al., 2016, The Anthropocene is functionally and strati-
graphically distinct from the Holocene, Science, 351, DOI:
10.1126/science.aad2622; Ellis E., 2018, Anthropocene. A Very Short Introduc-
tion, Oxford, Oxford University Press.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 41

Recentemente, autorevoli studiosi delle scienze del Sistema


Terra (Earth System Sciences) hanno indicato l’equazione
dell’Antropocene, che certifica come, allo stato attuale – dovuto in
particolare allo stile di vita fortemente consumista di gran parte
delle nostre società nell’arco degli ultimi sessant’anni nel periodo
che gli studiosi definiscono “la grande accelerazione”32 –
l’intervento umano causa complessivamente effetti così profondi
nei cambiamenti del sistema Terra da ritenersi superiori a quelli
dovuti alle forze di origine astronomica, geofisica e interna alle di-
namiche del sistema stesso33.
È ormai opinione condivisa di tanti studiosi che operano nel
campo multidisciplinare della Global Sustainability che sia giunto il
momento di agire concretamente per modificare l’impostazione
delle nostre società, dei nostri comportamenti, dei nostri modi di
pensare, di vivere, di relazionarci con gli altri esseri umani, con gli
altri esseri viventi e con l’intera natura che ci circonda.
È necessario e urgente modificare le impostazioni delle nostre
consolidate modalità con le quali gestiamo i nostri sistemi politici
ed economici e ormai sono molteplici e validissimi i numerosi sti-
moli provenienti dai tanti studiosi dei sistemi sociali e ambientali
che ci stanno fornendo strumenti teorici e pratici per l’innovazione
e il cambiamento – molti dei quali suggeriti dal lavoro e dai rap-
porti prodotti da tanti esperti del Club di Roma.
Le significative trasformazioni che hanno subito, a causa
dell’intervento umano, tutti gli ecosistemi della Terra sono ormai

32
Steffen W. et al., 2015, The trajectory of the Anthropocene: The Great Ac-
celeration, Anthropocene Review, DOI: 10.1177/2053019614564785, vedasi
anche McNeill J.R., Engelke P., 2018, La grande accelerazione. Una storia am-
bientale dell’Antropocene dopo il 1945, Torino, Einaudi.
33
Gaffney O., Steffen W., 2017, The Anthropocene equation, The Anthro-
pocene Review, DOI: 10.1 177/2053019616688022.
42 Verso una società sostenibile

ben documentati dalle ricerche dei numerosi programmi scientifici


internazionali dedicati al Global Environmental Change (GEC) che
nel 2013 hanno visto la nascita del nuovo grande programma de-
cennale Future Earth: Research for Global Sustainability, voluto e pa-
trocinato dalla più grande organizzazione scientifica del mondo,
l’International Council for Science (ICSU)34, con la quale ha collabora-
to da tempo una fra le più grande organizzazione internazionale di
scienze sociali, l’International Social Science Council (ISSC). Nel 2018
queste due grandi organizzazioni scientifiche si sono unite
nell’International Science Council35, a dimostrazione di quanto sia
diventata sempre più importante, negli ultimi decenni, una visione
della nostra conoscenza che sia il più possibile integrata e multidi-
sciplinare, con l’obiettivo di disporre di strumenti significativi di
interpretazione della realtà che ci circonda il più possibile capaci di
connettere le nostre conoscenze nei singoli e ormai numerosissimi
campi del sapere.
L’umanità, grazie alle straordinarie capacità della sua evolu-
zione culturale, è andata progressivamente allontanandosi dalla
natura, cioè dall’insieme dei sistemi naturali dai quali deriva e
proviene, frutto degli straordinari processi evolutivi del fenomeno
vita sulla nostra Terra senza i quali non può sopravvivere. Si è trat-
tato di un processo lungo e complesso che si è particolarmente raf-
forzato dall’inizio della Rivoluzione Industriale, intorno al 1750.
Nell’ambito di un arco temporale di un paio di secoli e mezzo la
maggioranza dell’umanità vive ormai in una dimensione culturale
che considera la natura sempre di più come una fonte inesauribile
di risorse da utilizzare e come un ricettacolo, ritenuto altrettanto

34
Vedasi il sito www.futureearth.org
35
Vedasi il sito https://council.science/
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 43

inesauribile, capace di metabolizzare qualsiasi rifiuto e scarto pro-


dotto dai nostri metabolismi.
Non solo, ma in questo periodo l’umanità è andata sempre di
più urbanizzandosi, ha attivato sistemi di produzione e consumo
molto articolati ed ha prodotto straordinari avanzamenti nella tec-
nologia: tutti fattori che la hanno condotta sempre di più in una
dimensione fisica e culturale di allontanamento dalle dinamiche
evolutive dei sistemi naturali, dalle quali è dipesa e dipende e con
le quali ha convissuto per le decine di migliaia di anni precedenti.
Scrive il grande biologo Edward Wilson, professore emerito al-
la Harvard University36: «La biosfera non ci appartiene, siamo noi
che apparteniamo alla biosfera. Gli organismi, in mezzo ai quali
viviamo questa magnifica profusione di vita, sono il prodotto di
3,8 miliardi di anni di evoluzione per selezione naturale. Noi siamo
uno dei suoi prodotti attuali, arrivati come fortunata specie di pri-
mati del Vecchio Mondo. E alla scala geologica tutto ciò è accaduto
soltanto un istante fa. La fisiologia e la mente umane sono adattate
alla vita nella biosfera che abbiamo appena iniziato a comprendere.
Anche se oggi siamo in grado di proteggere tutte le altre forme di
vita, continuiamo ad avere la sconsiderata propensione a distrug-
gerne e a sostituirne una gran parte». Dal 2008 la popolazione
umana nelle città ha sorpassato quella rurale: un fatto storico per
l’umanità, soprattutto per le implicazioni sociali, economiche e psi-
cologiche. Ormai più della metà degli esseri umani presenti oggi
sulla Terra, che complessivamente sono oltre 7 miliardi e 600 mi-
lioni, vive in aree urbane. La popolazione urbana è cresciuta con
grande rapidità dal 1950, passando dai 746 milioni di abitanti di
allora giungendo quasi ai 4 miliardi del 2014. Si prevede che la po-

36
Wilson E.O., 2016, Metà della Terra. Salvare il futuro della vita, Torino,
Codice edizioni, p. 89.
44 Verso una società sostenibile

polazione urbana incrementerà di 2.5 miliardi nel 2050, sorpassan-


do quindi i 6 miliardi per quel periodo. Alla metà di questo secolo
avremo una popolazione urbana equivalente alla popolazione glo-
bale che era presente sul pianeta nel 200237. Questo progressivo al-
lontanamento fisico e culturale dalla natura, “immersi” quotidia-
namente nei nostri sistemi urbani e artificiali, ci ha anche fatto pen-
sare di poterne fare a meno, come se non ne avessimo bisogno,
come se potessimo essere indipendenti da essa. La verità, come la
scienza ci dimostra chiaramente, è che gli esseri umani sono stret-
tamente dipendenti dai sistemi naturali e fortemente collegati ad
essi. L’intero fenomeno della vita sulla Terra, e quindi anche noi
che ne siamo un prodotto, costituisce un intricato, complesso ed
affascinante sistema nel quale siamo tutti interconnessi38.

2.2. Il pensiero economico dominante

L’evoluzione e l’applicazione del pensiero economico nella vita


reale di tutti i giorni ha, invece, costantemente messo al centro una

37 United Nations 2018, World Urbanization Prospects: the 2018 Revision,

Department of Economic and Social Affairs, Population Division, scarica-


bile da https://population.un.org/wup/.
38
Millennium Ecosystem Assessment, 2005, Ecosystems and Human
Well-being, Island Press, 5 volumi scaricabili dal sito
www.millenniumassessment.org e i recenti rapporti dell’Intergovernamental
Science/Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES),
scaricabili dal sito www.ipbes.net e pubblicati nel 2018, sullo stato della bio-
diversità in Europa e Asia centrale, in Africa, nelle Americhe, nell’Asia e
Pacifico e sullo stato del degrado dei suoli e del loro ripristino. È stata an-
nunciata per il 2019 la pubblicazione del rapporto Global Assessment on Bio-
diversity and Ecosystem Services.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 45

sorta di figura “ideale” dell’essere umano, l’Homo economicus, cui la


stessa dottrina economica attribuisce, come obiettivo dell’esistenza,
la soddisfazione della continua esigenza di acquisizione di beni
materiali. Questa “visione” ha profondamente plasmato la cultura
umana negli ultimi secoli.
A tal proposito, il noto economista Joseph Stiglitz, premio No-
bel per l’Economia, ha scritto: «La maggior parte di noi non vor-
rebbe pensare di corrispondere all’idea di uomo che sta alla base
dei modelli di economia prevalenti, ossia un individuo calcolatore,
razionale, egoista che pensa solo a sé stesso e non lascia spazio al-
cuno all’empatia, al senso civico e all’altruismo. Un aspetto inte-
ressante dell’economia è che il modello descrive più gli economisti
che non le altre persone e quanto più a lungo gli universitari stu-
diano economia tanto più tendono ad assomigliare al modello»39. E
anche l’economista Thomas Piketty, autore del best seller Il capitale
del XXI secolo ha espresso la sua opinione in merito, scrivendo:
«Diciamolo francamente: la disciplina economica non è mai guarita
dalla sindrome infantile della passione per la matematica e per le
astrazioni puramente teoriche, sovente molto ideologiche, a scapito
della ricerca storica e del raccordo con le altre scienze sociali.
Troppo spesso gli economisti si preoccupano di piccoli problemi
matematici che interessano solo loro, problemi che, con poco sfor-
zo, li fanno sentire scienziati e che li esonerano dall’impegno di ri-
spondere alle questioni ben più complesse poste dal mondo circo-
stante»40. Il noto economista ecologico Herman Daly, inoltre, ha
fatto presente che gli economisti che rivestono ruoli importanti nel-

39
Stiglitz J., 2010, Bancarotta. L’economia globale in caduta libera, Torino,
Einaudi, p. 76.
40
Piketty T., 2014, Il capitale nel XXI secolo, Milano, Bompiani editore, p.
54.
46 Verso una società sostenibile

la loro vita in ambiti politici, istituzionali, finanziari (come quelli,


ad esempio della World Bank o del Fondo Monetario Internaziona-
le), vengono generalmente formati tutti in una manciata di dipar-
timenti di economia e imparano tutti quella che egli definisce la
stessa teologia economica. E scrive: «Ho suggerito ad amici di
Greenpeace che, oltre a protestare contro i progetti della Banca
Mondiale, dovrebbero andare, almeno una volta all’anno, ad ap-
pendere un lenzuolo nero sull’edificio che ospita i dipartimenti
economici del MIT, o quelli di Chicago, Stanford, Oxford, Cam-
bridge…»41.
La nostra cultura costituisce l’accumulo globale di conoscenze e
di innovazioni, derivante dalla somma dei contributi individuali
trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo socia-
le, che influenza e cambia continuamente la nostra vita42. La cultu-
ra, non seguendo i tempi classici dell’evoluzione biologica, si dif-
fonde con grande rapidità e influenza le percezioni individuali, il
nostro modo di “vedere” e “concepire” il mondo e la realtà che ci
circonda, condiziona ciò che ciascuno di noi considera “importan-
te” e suggerisce i comportamenti che possono essere ritenuti ap-
propriati o inappropriati a seconda delle situazioni.
Con un’impostazione culturale dominata dalla dimensione
economica abbiamo costruito un modello di funzionamento del
metabolismo delle nostre società che di fatto vive sfruttando gli
stock ed i flussi di materia ed energia provenienti dai sistemi natu-

41
Daly H., 2001, Oltre la crescita. L’economia dello sviluppo sostenibile, Mi-
lano, Edizioni di Comunità, p. 89. Herman Daly, insieme a Joshua Farley, è
autore del testo universitario più noto di economia ecologica, pubblicato in
seconda edizione nel 2010 con il titolo Ecological Economics. Principles and
Applications, Washington, Island Press.
42
Cavalli Sforza L.L., 2004, L’evoluzione della cultura, Torino, Codice
Edizioni.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 47

rali, i quali, però, hanno capacità rigenerative e ricettive limitate,


non possono cioè essere sfruttati al di sopra delle loro possibilità di
rigenerare processi, funzioni, risorse e servizi e al di sopra delle
loro reali possibilità di ricevere e metabolizzare gli scarti e i rifiuti
da noi stessi prodotti.
Il processo del continuo deterioramento dei sistemi naturali
prodotto dai metabolismi sociali sempre più invadenti ed ingom-
branti con la continua crescita della popolazione e dei crescenti li-
velli di consumo, ha trovato un’ampia giustificazione culturale nel-
la disciplina dell’economia che, non a caso, è nata proprio nel pe-
riodo dell’avvio della Rivoluzione Industriale.
Il noto ecologo Barry Commoner (1917-2012), che per decenni
ha insegnato alla Washington University di St. Louis, ha scritto nel
suo libro più noto: «Non è facile comprendere i problemi
dell’ecosfera per una mente moderna. L’ecosistema sembra restare
estraneo alla cultura contemporanea. Ci siamo per troppo tempo
abituati a considerare eventi singoli e isolati, ciascuno dipendente
da una precisa, unica causa. Ma nell’ecosfera ogni effetto è anche
una causa: le deiezioni di un animale o la sua carcassa diventano
nutrimento per i batteri del terreno; gli escreti dei batteri nutrono a
loro volta le piante e gli animali mangiano le piante […] Abbiamo
spezzato il cerchio della vita trasformando i suoi cicli senza fine in
eventi umani di tipo lineare: il petrolio viene estratto dal sottosuo-
lo, distillato a carburante, bruciato in un motore e convertito in
fumi nocivi che vengono emessi nell’atmosfera. Alla fine di questa
linea c’è lo smog. Altre alterazioni che l’uomo ha provocato a dan-
no dei cicli ecologici sono l’emissione di prodotti chimici tossici, di
liquami, di montagne di rifiuti, testimonianza del nostro straordi-
48 Verso una società sostenibile

nario potere di lacerare il tessuto ecologico che ha garantito, per


milioni di anni, la vita del nostro pianeta»43.
L’intervento umano, di fatto, ha reso i processi circolari caratte-
ristici del funzionamento dei sistemi naturali dei processi lineari,
alla fine dei quali si produce appunto lo scarto, il rifiuto, sia esso
solido, liquido o gassoso.
Non abbiamo, invece, messo al centro dei processi economici il
capitale fondamentale che ci consente di perseguire il benessere e
lo sviluppo delle nostre stesse società, e cioè il capitale naturale,
costituito dalla straordinaria ricchezza della natura e della vita sul
nostro pianeta. Non avendo sin qui fornito un valore ai sistemi
idrici, alla rigenerazione del suolo, alla composizione chimica
dell’atmosfera, alla ricchezza della diversità biologica, alla fotosin-
tesi, solo per fare qualche esempio, le nostre società presentano
ormai livelli di deficit imponenti nei confronti dei sistemi naturali.
Adam Smith (1723-1790), ritenuto il fondatore dell’economia,
nel suo testo più famoso scrive: «La parola valore, si deve notare,
ha due diversi significati: a volte esprime l’utilità di un oggetto
particolare, a volte il potere di acquistare altri beni che il possesso
di quell’oggetto comporta. L’uno può essere chiamato “valore
d’uso”, l’altro “valore di scambio”. Le cose che hanno il maggior
valore d’uso hanno spesso poco o nessun valore di scambio; e, al
contrario, quelle che hanno maggior valore di scambio hanno spes-
so poco o nessun valore d’uso. Nulla è più utile dell’acqua, ma dif-
ficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può
avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficil-

43
Commoner B., 1972, Il cerchio da chiudere, Milano, edizioni Garzanti,
p. 97.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 49

mente qualche valore d’uso, ma in cambio di esso si può ottenere


una grandissima quantità di altri beni»44 .
La cultura economica dominante non ha tenuto in alcun conto
il valore della natura per lo stesso sviluppo e benessere delle socie-
tà umane.

2.3. Una sfida epocale

La sfida che l’umanità ha ora di fronte è realmente una sfida epo-


cale. La pressione umana sui sistemi naturali è completamente in-
sostenibile e, con i grandi cambiamenti globali che abbiamo indot-
to nella natura, come abbiamo visto, la nostra stessa civiltà è a ri-
schio.
La popolazione umana sulla Terra ora è di oltre 7 miliardi e 600
milioni, più di 9 volte gli 800 milioni di persone che si stima vives-
sero nel 1750, data indicata come inizio della Rivoluzione Indu-
striale. Questa cifra dovrebbe raggiungere, seguendo la variante
media indicata dalle Nazioni Unite nei suoi World Population Pro-
spects (che è la più attendibile), i 9.7 miliardi di abitanti nel 2050. La
popolazione mondiale continua a crescere a un tasso di circa 83 mi-
lioni l’anno45.

44
Smith A., 2005, La ricchezza delle nazioni, Milano, Newton & Compton
Editori, p. XI. Il titolo originale del volume, pubblicato per la prima volta
nel 1776, era “L’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”
ma il testo è più conosciuto con il titolo abbreviato de “La ricchezza delle
nazioni”.
45
L’ultimo World Population Prospects: the 2017 Revision della Population
Division delle Nazioni Unite è scaricabile dal sito
https://population.un.org/wpp/
50 Verso una società sostenibile

Le dimensioni dell’economia mondiale sono anch’esse senza


precedenti: il prodotto mondiale lordo viene stimato attualmente
in 91.000 miliardi di dollari che sono almeno 200 volte quelle del
1750 (anche se si tratta di un confronto difficile perché buona parte
dell’economia mondiale è oggi costituita da beni e servizi che 250
anni fa non esistevano)46.
Appare ormai sempre più chiaro che è francamente impossibile
pensare di procedere nel futuro con scenari del tipo Business As
Usual (BAU), cioè fare come se nulla fosse. È evidente a chiunque
che per farlo dobbiamo cambiare rotta. La nostra Terra ha dato sin
qui prova di aver contribuito ad attenuare l’impatto umano rispet-
to a vari fenomeni (ad esempio contribuendo ad attenuare gli effet-
ti delle emissioni di gas serra, dei processi di deforestazione e di
degrado dei suoli) e riuscendo, ad esempio, ad assorbire sostanze
prodotte dall’industria umana, facendo adattare gli ecosistemi e
modificando le catene alimentari.

2.4. Un sistema economico da cambiare

Disponiamo ormai della certezza scientifica documentata che il si-


stema economico sin qui perseguito, diffuso nelle società umane di
tutto il mondo, è in chiaro conflitto con la realtà biofisica dei nostri
sistemi naturali. Questo aspetto costituisce oggi il problema mag-
giore che l’umanità si trova ad affrontare e la ricerca delle soluzio-
ni per ottenere una relazione armonica tra i sistemi naturali ed i
sistemi sociali, in pratica ciò che definiamo come sostenibilità, do-

46
Sachs J., 2015, L’era dello sviluppo sostenibile, Milano, Edizioni Univer-
sità Bocconi.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 51

vrebbe essere posta come primo punto dell’ordine del giorno


dell’agenda politica internazionale.
Per essere veramente operativo lo sviluppo sostenibile richiede
un reale cambiamento della nostra visione e della nostra azione
concreta nel rapporto che abbiamo con il mondo naturale. Oggi
abbiamo una consapevolezza sempre più chiara dei limiti ecologici
globali.
Il nostro sistema economico deve inevitabilmente agire
nell’ambito dei limiti biofisici che presentano i sistemi naturali del
nostro pianeta. Questo significa, con grande chiarezza, che abbia-
mo bisogno di un nuovo modo di impostare e fare economia.
I sistemi economici delle società umane non possono costituire
il sistema centrale di riferimento del nostro mondo quotidiano co-
me avviene oggi. Questi sistemi sono, in realtà, dei sottosistemi del
più grande ecosistema globale del pianeta (la biosfera) e non pos-
sono, quindi, essere gestiti come se fossero indipendenti da esso.
L’umanità deriva e dipende dalla natura, ne è parte integrante ed è
costituita dagli stessi elementi fondamentali che compongono
l’intero universo, la Terra, e lo stesso fenomeno della vita sul no-
stro pianeta non può esistere al di fuori di essa. I modelli economi-
ci perseguiti dalle società umane non possono, quindi, operare al
di fuori dei limiti biofisici che i sistemi naturali presentano.
Per questo la crescita della popolazione e della produzione non
devono spingersi oltre le capacità ambientali di rigenerazione delle
risorse e di assorbimento dei rifiuti. Come ricorda Herman Daly,
ciò che è necessario a questo punto non è un’analisi sempre più
raffinata di una visione difettosa che è quella dell’economia ufficia-
le, ma una nuova visione. Egli ci ricorda che uno sviluppo sosteni-
bile, uno sviluppo senza crescita, non implica la fine delle scienze
economiche ma, al contrario, l’economia come disciplina diviene
ancora più importante.
52 Verso una società sostenibile

Si tratta, però, di un’economia raffinata e complessa dedita al


mantenimento, al miglioramento qualitativo, all’innovazione, alla
condivisione, alla frugalità, e all’adattamento ai limiti naturali. È
un’economia del “meglio “, non del “più grande”.

2.5. L’avventura del SOS

Abbiamo ormai tante prove scientifiche che dimostrano come la


pressione che esercitiamo sul nostro Pianeta potrebbe aver rag-
giunto la soglia di saturazione ed abbiamo sempre più chiaro il fat-
to che non possiamo oltrepassare i confini planetari (Planetary
Boundaries) indicati dalla comunità scientifica47. Oltrepassare questi
confini comporta il passaggio di punti critici, cioè quegli “effetti
soglia” che ancora abbiamo difficoltà a indicare con esattezza, per-
ché, nonostante gli straordinari progressi sin qui fatti, la compren-
sione scientifica del sistema Terra è ancora molto incompleta.
È, però, molto importante che diversi e significativi guardrails
siano stati tracciati dalla nostra conoscenza scientifica e sarebbe
pura follia non rispettarli. Rispettarli significa evitare
l’approssimarsi ai punti critici e significa applicare percorsi di so-
stenibilità al nostro sviluppo.
Ancora oggi, nell’accezione comune, il termine sostenibilità non
è affatto chiaro e si presta a numerose confusioni e tutto questo
proprio mentre assistiamo a importantissimi avanzamenti nella
conoscenza scientifica che dovrebbero, invece, aiutare questo diffi-

47
Vedasi, sul sito dello Stockholm Resilience Centre, la pagina sui Plane-
tary Boundaries: https://www.stockholmresilience.org/research/planetary-
boundaries.html.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 53

cile compito. Negli ultimi anni è, infatti, nata una disciplina molto
innovativa che viene definita Sustainability Science, la scienza della
sostenibilità. Essa appare come una vera e propria integrazione e
confluenza di numerose discipline, capace di connettere gli avan-
zamenti continui delle conoscenze di fisica, chimica, biologia, geo-
logia, ecologia e scienze sociali con nuove discipline di frontiera,
quali l’economia ecologica, la biologia della conservazione,
l’ecologia industriale ecc.48.
È solo rafforzando la nostra conoscenza di base – consentendole
di essere interdisciplinare, flessibile, innovativa, aperta alla conta-
minazione di tanti altri ambiti del sapere – che saremo in grado di
avviare percorsi significativi mirati a raggiungere una sostenibilità
del nostro benessere e del nostro sviluppo su questo meraviglioso
pianeta Terra. E questo accadrà soprattutto se saremo anche capaci
di connettere e non di disgiungere, come, invece, facciamo conti-
nuamente.
La sostenibilità è, quindi, un concetto articolato che viene pur-
troppo ancora continuamente banalizzato. La complessità che la
caratterizza e le oggettive difficoltà di attuare concretamente azio-
ni, comportamenti e politiche che siano in grado di metterla in pra-
tica, modificando i ben strutturati modelli mentali, culturali e pra-
tici oggi dominanti, provocano una discreta confusione, che non
favorisce, purtroppo, una sua corretta definizione.
La sostenibilità è costituita da tanti elementi che devono essere
sempre tenuti in connessione tra loro e già questo costituisce una
notevole sfida alla nostra mentalità abituata a pensare seguendo

48
Vedasi Bologna G., 2008, Manuale della sostenibilità. Idee, concetti, nuove
discipline capaci di futuro, Milano, Edizioni Ambiente (II ed.) e Bologna G.,
2013, Sostenibilità in pillole. Per imparare a vivere su un solo pianeta, Milano,
Edizioni Ambiente.
54 Verso una società sostenibile

logiche lineari di causa ed effetto. Volendo semplificare il concetto


in una semplice definizione, possiamo affermare che sostenibilità
vuol dire imparare e vivere, in una prosperità equa e condivisa con
tutti gli altri esseri umani e in armonia con la natura, entro i limiti
fisici e biologici dell’unico pianeta che siamo in grado di abitare: la
Terra.
Oggetto fondamentale delle ricerche sulla sostenibilità sono i
Social-Ecological Systems (SES), cioè la capacità di comprendere le
interazioni e i legami esistenti tra gli esseri umani e i sistemi natu-
rali e comprendere come sia possibile gestirli al meglio.
L’avventura del SOS (Safe Operating Space) inizia nella seconda me-
tà del primo decennio del 2000, con la prima pubblicazione scienti-
fica di numerosi autorevoli studiosi dediti alla Global Sustainability
e alle scienze del Sistema Terra, che hanno cercato di indicare le
dimensioni di uno spazio operativo sicuro (appunto definito SOS,
Safe and Operating Space) per l’umanità, indicando i Planetary Boun-
daries entro cui muoversi.
Il primo lavoro sull’individuazione dei “confini planetari” (Pla-
netary Boundaries) che l’intervento umano non può superare, pena
effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali49 è
del 2009. Si tratta di una tematica che è stata precedentemente af-
frontata da vari studiosi, basti qui ricordare le straordinarie intui-
zioni del rapporto voluto dal Club di Roma sin dal 1972 sui limiti

49
Rockstrom J. et al, 2009, A Safe Operating Space for Humanity, Nature,
461; 472-475. Vedasi anche il lavoro più esteso apparso su “Ecology and So-
ciety”, Rockstrom J. et al., 2009, Planetary Boundaries: Exploring the Safe Op-
erating Space for Humanity, Ecology and Society, 14 (2): 32 on line
www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art32; Steffen W. et al., 2015, Planetary
Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet, Science, 347,
doi:10.1126/science.1259855
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 55

del nostro sviluppo rispetto ai limiti biofisici del pianeta50 e succes-


sivamente all’inizio degli Anni Novanta l’elaborazione del concet-
to dell’Environmental Space, cioè lo “spazio ambientale” che ciascun
individuo può avere a disposizione per l’utilizzo delle risorse e per
la possibilità di produrre degli scarti51. I Boundaries riguardano no-
ve grandi problemi planetari, tra di loro strettamente connessi e
interdipendenti, dovuti alla forte pressione umana: il cambiamento
climatico; la perdita della biodiversità e, quindi, dell’integrità bio-
sferica; l’acidificazione degli oceani; la riduzione della fascia di
ozono nella stratosfera; la modificazione del ciclo biogeochimico
dell’azoto e del fosforo; l’utilizzo globale di acqua; i cambiamenti
nell’utilizzo del suolo; la diffusione di aerosol atmosferici;
l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.
Per quattro di questi – e cioè il cambiamento climatico, la perdi-
ta di biodiversità, la modificazione del ciclo dell’azoto e del fosforo
e le modificazioni dell’uso dei suoli – ci troviamo già oltre il confi-
ne indicato dagli studiosi. Complessivamente, i nove confini plane-
tari individuati dagli studiosi possono essere concepiti come parte
integrante di un cerchio e in questo modo si definisce quell’area

50 Vedasi i tre rapporti sui limiti, il primo dei quali è anche il più famo-

so ed è quello del 1972, Meadows D. H., Meadows D. L., Randers J. e Beh-


rens III W. W., 1972, I limiti dello sviluppo, Milano, Mondadori, ristampato
nel 2018 da LuCe Edizioni, e poi i successivi Meadows D. H., Meadows
D.L., Randers J., 1993, Oltre I limiti dello sviluppo, Milano, Il Saggiatore;
Meadows D. H., Meadows D. L., Randers J., 2006, I nuovi limiti dello svilup-
po, Milano, Mondadori.
51
Vedasi Buitenkamp M., Venner H. e Warms T. (a cura di), 1993, Ac-
tion Plan. Sustainable Netherlands, Amsterdam, Friends of the Earth Nether-
lands; Amici della Terra, 1995, Verso un’Europa sostenibile, uno studio
dell’Istituto Wuppertal, Milano, Maggioli Editore e Carley M. e Spapens P.,
1999, Condividere il mondo. Equità e sviluppo sostenibile nel ventesimo secolo,
Milano, Edizioni Ambiente.
56 Verso una società sostenibile

come “uno spazio operativo sicuro per l’umanità” (Safe and Opera-
ting Space, S.O.S.).
Il concetto dei confini planetari consente di evidenziare in ma-
niera efficace complesse questioni scientifiche a un vasto pubblico,
mettendo in discussione le concezioni tradizionali delle nostre im-
postazioni economiche. Mentre l’economia convenzionale tratta il
degrado ambientale come una “esternalità” che ricade in gran par-
te fuori dell’economia monetizzata, gli scienziati naturali hanno
letteralmente sovvertito tale approccio proponendo un insieme di
limiti quantificati dell’uso di risorse entro cui l’economia globale
dovrebbe operare – se si vuole evitare di toccare i punti di non ri-
torno del sistema Terra, che eserciterebbero effetti devastanti
sull’intera umanità. Tali confini non sono descritti in termini mone-
tari, ma con parametri naturali, fondamentali a garantire la resi-
lienza del pianeta affinché mantenga uno stato simile a quello che
si è avuto durante il periodo geologico abbastanza stabile
dell’Olocene, iniziato intorno agli 11.000 anni fa e nel quale at-
tualmente operiamo.
Il dibattito scientifico e le applicazioni pratiche del concetto dei
confini planetari si è andato sempre più diffondendo e ampliando
nei dibattiti di politica internazionale incrociandosi con le rifles-
sioni di carattere sociale. In questo ambito si inseriscono le analisi
dovute all’economista Kate Raworth che ha arricchito i Planetary
Boundaries delineando un approccio estremamente affascinante e
innovativo, definito economia della ciambella (Doughnut Economics)52.
Il benessere umano, infatti, dipende – oltre che dal mantenimento

52
Raworth K., 2012, A safe and just space for Humanity. Can we live within
a doughnut?, Oxfam Discussion Paper e soprattutto Raworth K., 2017,
L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI
secolo, Milano, Edizioni Ambiente.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 57

dell’uso delle risorse in un buono stato naturale complessivo che


non deve oltrepassare alcune soglie – anche, e in misura uguale,
dalle necessità dei singoli individui di soddisfare alcune esigenze
fondamentali per condurre una vita dignitosa e con le giuste op-
portunità. Quindi, come esiste un confine esterno all’uso delle risor-
se, una sorta di “tetto” oltre cui il degrado ambientale diventa
inaccettabile e pericoloso per l’intera umanità, Kate Raworth ci in-
dica l’esistenza di un confine interno al prelievo di risorse, un “livel-
lo sociale di base” (un sorta di “pavimento”), sotto il quale la de-
privazione umana diventa inaccettabile e insostenibile.
Dal 2000 gli Obiettivi del Millennio (Millennium Development
Goals - MDGs) hanno rappresentato un importante quadro di rife-
rimento per le priorità sociali di sviluppo e hanno trattato l’urgente
necessità di porre freno alle varie privazioni, di reddito, nutrizione,
uguaglianza di genere, salute, istruzione, acqua e servizi igienico-
sanitari. Oggi l’Agenda 2030 e i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
(Sustainable Development Goals, SDGs,53 ) – in essa declinati e appro-
vati da tutti i paesi del mondo nell’ambito delle Nazioni Unite nel
2015 – costituiscono un punto di riferimento molto importante per
l’attuazione di politiche di sostenibilità in tutto il mondo.
In questa importante riflessione, la Raworth individua così 11
priorità sociali – quali la disponibilità del cibo, dell’acqua,
dell’assistenza sanitaria, del reddito, dell’istruzione, dell’energia,
del lavoro, del diritto di espressione, della parità di genere,
dell’equità sociale e della resilienza agli shock – indicandole come
una base sociale esemplificativa (il pavimento) e incrociandole,
quindi, con i confini planetari (il tetto) del nostro SOS che, a questo
punto oltre ad essere “sicuro”, è anche “giusto” (Safe and Just Space
for Humanity). Si viene, così, a formare, tra questi diritti di base so-

53
Ved. www.un.org/sustainabledevelopment.
58 Verso una società sostenibile

ciali (il pavimento sociale) e i confini planetari (i tetti ambientali), una


fascia circolare a forma di ciambella che può essere definita sicura
per l’ambiente e socialmente giusta per l’umanità. Una combina-
zione di confini sociali e planetari di questo tipo crea una nuova
prospettiva di sviluppo sostenibile. Da molto tempo i fautori dei
diritti umani hanno sottolineato l’imperativo di assicurare a ogni
individuo il minimo indispensabile per vivere, mentre gli econo-
misti ecologici si sono concentrati sul bisogno di collocare
l’economia globale entro i limiti ambientali. Questo spazio è una
combinazione dei due, creando una zona che rispetti sia i diritti
umani di base sia la sostenibilità ambientale, riconoscendo anche
l’esistenza di complesse interazioni dinamiche tra i molteplici con-
fini e al loro interno.
Ma cosa significa muoversi entro lo spazio operativo sicuro ed
equo per l’umanità? La grande sfida per raggiungere la sostenibili-
tà del nostro sviluppo nell’immediato futuro è proprio quella di
riuscire a comprendere quale sia il numero ottimale della nostra
popolazione e le modalità sociali ed economiche necessarie a ri-
spettare le capacità rigenerative e ricettive dei sistemi naturali che
ci sostengono. Come abbiamo visto, le conoscenze sin qui acquisite
negli articolati campi delle scienze del Sistema Terra ci dicono
chiaramente che non è possibile perseguire la sostenibilità dello
sviluppo umano se non siamo capaci di imparare a vivere negli
ormai evidenti limiti biofisici dei sistemi naturali che ci sostengo-
no. Ciò significa, nel concreto, limitare la crescita della popolazio-
ne, limitare i livelli dei flussi dell’energia e delle materie prime e,
quindi, i nostri livelli di consumo e, perciò, la necessità di modifi-
care profondamente i nostri modelli di produzione e consumo del-
la natura che ci circonda, a iniziare dalla rapida corsa indispensabi-
le per decarbonizzare il nostro sistema economico mondiale.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 59

Sino ad ora le nostre società hanno perseguito modelli di svi-


luppo socioeconomico che si sono basati sulla crescita continua
dell’utilizzo degli stock e dei flussi di materia ed energia da trasfe-
rire dai sistemi naturali a quelli sociali. Al centro dei processi eco-
nomici non è stato collocato il capitale fondamentale che ci consen-
te di perseguire il benessere e lo sviluppo delle nostre stesse socie-
tà, e cioè il capitale naturale, costituito dalla straordinaria ricchezza
della natura e della vita sul nostro pianeta. Non avendo sin qui
fornito un valore ai sistemi idrici, alla rigenerazione del suolo, alla
composizione chimica dell’atmosfera, alla ricchezza della diversità
biologica, alla fotosintesi, solo per fare qualche esempio, le nostre
società presentano ormai livelli di deficit nei confronti dei sistemi
naturali molto superiori ai livelli di deficit che l’attuale crisi eco-
nomico e finanziaria, che stiamo attraversando dal 2008, registra
nelle contabilità economiche in tutti i paesi del mondo.
I deficit economici derivano da un sistema di regole, di norme e
meccanismi di funzionamento (o, viceversa, dalla mancanza di re-
gole e norme) costruite dalla cultura umana e, come tali, poten-
zialmente modificabili nel caso di nuove impostazioni culturali e
politiche, mentre i deficit ecologici riguardano una dilapidazione
materiale che sorpassa le capacità biofisiche rigenerative e ricettive
dei sistemi naturali ai quali diventa sempre più difficile, se non
impossibile, porre rimedio. L’economia ha purtroppo ragionato
molto sulla natura del valore, ma non sul valore della natura.
Il capitale naturale non può essere di fatto “invisibile”
all’economia come avviene attualmente, ma è centrale e fondamen-
tale per la sopravvivenza dell’intera civiltà umana: dobbiamo
quindi “mettere in conto” la natura, riconoscerle un valore fisico e
monetario. La contabilità economica deve essere affiancata da una
contabilità ecologica. Il valore del capitale naturale deve influenza-
re i processi di decision making politico-economici e avviare, così,
60 Verso una società sostenibile

una nuova impostazione delle nostre economie. È praticamente


impossibile prospettare un futuro vivibile per le nostre società se
non saremo capaci di cambiare registro agli attuali modelli econo-
mici e trovare finalmente il modo di dare un valore alla natura e di
riuscire a vivere concretamente in armonia con essa (molti straor-
dinari programmi internazionali di ricerca hanno fatto il punto su
questi temi così rilevanti per il nostro futuro54).
Da diversi decenni ci si interroga sui crescenti effetti dei nostri
interventi sui sistemi naturali e sulle conseguenze che ne derivano,
anche per lo sviluppo e il benessere delle nostre generazioni e di
quelle future e, quindi, sulla necessità che il nostro mondo venga
considerato realmente, anche in termini giuridici, uno straordina-
rio bene comune, un grande “condominio Terra” dove tutti dob-
biamo convivere e trarne prosperità e benessere. Oggi le dottrine
giuridiche riconoscono che le norme internazionali registrano un
errore teorico strutturale nel loro approccio verso i beni ecologici
globali e la loro dimensione intergenerazionale. Attualmente, come
abbiamo visto, abbiamo le conoscenze che ci fanno comprendere
come i processi chimici, fisici e biologici del Sistema Terra ci hanno
consentito di mantenere uno stato favorevole per lo sviluppo
dell’umanità nelle ultime migliaia di anni e che, a questo punto, è
fondamentale evitare che il Sistema Terra possa subire il passag-
gio, a causa dello stesso intervento umano, di soglie molto perico-
lose per l’umanità stessa. Proprio per questo si è definito uno spa-

54
Vedasi anche la nota 17; inoltre, è di grande interesse il lavoro del
programma internazionale TEEB, The Economics of Ecosystems and Bio-
diversity, che opera nell’ambito del Programma Ambiente delle Nazioni
Unite (UNEP) e che ha prodotto e produce rapporti di grandissimo inte-
resse sul tema dell’economia degli ecosistemi e della biodiversità, tema
fondamentale per il futuro di noi tutti, scaricabili dal sito www.teebweb.org.
Antropocene: è ancora possibile la sostenibilità? 61

zio sicuro ed operativo per l’umanità (SOS, Safe and Operating


Space).
Ora abbiamo bisogno di un nuovo approccio capace di chiude-
re i vuoti esistenti tra l’organizzazione delle istituzioni internazio-
nali e la realtà delle dinamiche del Sistema Terra, un approccio ca-
pace di tenere in conto la dimensione non territoriale delle funzioni
del Sistema Terra, che è in ovvia relazione con gli ambiti geografici
dei diversi Stati, ma non è confinato in nessuno Stato in particolare
e non può essere considerato quindi una sottrazione al potere di
sovranità nazionale, che è considerata intoccabile dal diritto inter-
nazionale. Nell’ambito dei grandi dibattiti internazionali, dei rap-
porti di diverse Commissioni internazionali e delle conferenze
mondiali sull’ambiente e la sostenibilità delle Nazioni Unite, più
volte è emersa la necessità di considerare come un bene comune i
grandi sistemi naturali che ci supportano e sostengono,
dall’atmosfera all’acqua, dal suolo agli ecosistemi. Senza il loro
funzionamento nella dinamica naturale non ci sarebbe il nostro
sviluppo e il nostro benessere.
Oggi il Sistema Terra, nella dimensione giuridica internazionale
può essere considerato un oggetto legale non identificato (Uniden-
tified Legal Object – ULO) ed inevitabilmente questo stato di cose si
riscontra anche nella prassi economica corrente. È, perciò, necessa-
rio che le nazioni del mondo riconoscano la necessità di agire con-
cretamente per mantenere la vitalità del Sistema Terra che non sia
ristretto soltanto ad alcuni spazi oggi riconosciuti “beni comuni”,
come parte dei mari aperti o di aree come l’Antartide, ma che inve-
ce comprendano le complessive dimensioni dei sistemi naturali
vitali e resilienti oggi soggetti alle giurisdizioni nazionali.
Si tratta di una sfida culturale straordinaria, che recentemente
alcuni studiosi di diritto internazionale e di scienze del Sistema
Terra hanno proposto di delineare in un vero e proprio trattato per
62 Verso una società sostenibile

governare al meglio lo spazio sicuro ed operativo per l’umanità


(Safe and Operating Space, SOS) ricordato prima. Non a caso, que-
sta proposta è stata definita “SOS Treaty” (Il trattato del Safe and
Operating Space)55.
È necessario che il concetto di un patrimonio comune per
l’umanità, costituito proprio dal mantenimento della vitalità e del-
la resilienza del Sistema Terra stesso, venga riconosciuto da tutti
gli Stati del mondo. Importanti passi in avanti sono stati compiuti
nell’arco degli anni per cercare di inserire concetti simili, legati
comunque a sottolineare il fatto che esistono beni che sono comuni
per tutta l’umanità e non privatizzabili e sottoponibili esclusiva-
mente alle giurisdizioni nazionali, in atti formali significativi, come
in parte ha avuto luogo nella cosiddetta legge sui mari dell’ONU,
ma siamo ancora lontani da quella rivoluzione culturale necessaria
ad affrontare la complessità del mondo attuale 56.
Un modello legale per l’Antropocene richiede una regolazione
responsabile per assicurare la promozione e la protezione degli in-
teressi comuni attraverso la costruzione di nuove forme giuridiche
che rappresentino un nuovo modo per rappresentare gli interessi
di tutta l’umanità, nel presente e nel futuro.
Tutti noi possiamo essere protagonisti di questo straordinario
impegno ed operare in ogni ambito possibile per comprendere
come vivere al meglio nel SOS, lo spazio operativo e sicuro per
l’umanità.

55
Vedasi Magalhaes P. et al., 2016, SOS Treaty. The Safe and Operating
Space Treaty, a New Approach to Managing Our Use of the Earth System, Cam-
bridge Scholars Publishing, vedasi il sito www.commonhomeofhumanity.org,
e il sito dell’alleanza internazionale di ricerca Earth System Governance
www.earthsystemgovernance.org
56
Il sito www.commonhomeofhumanity.org riassume i concetti di base del
volume dedicato all’SOS Treaty.
3. Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Tech-
nologicus

Michel Puech57

Il titolo di questo articolo non ha un punto interrogativo perché


non lo considero una domanda. Noi già sappiamo cosa dob-
biamo fare per rendere sostenibile il futuro dell’ecosistema, in-
clusa la nostra specie dell’Homo Sapiens. Il problema è che non
lo facciamo. Questa situazione imbarazzante è frequente
nell’etica applicata: uno agisce diversamente rispetto al miglior
parere di un altro e ciò è anche più frequente in un’altra forma:
uno non agisce come indicherebbe il parere migliore di un al-
tro. Cercherò di comprendere come riusciamo a metterci in
questa imbarazzante situazione e di suggerire una strategia che
ci può aiutare ad uscirne.

57
Docente di Filosofia presso la Sorbonne Université, Faculté des Let-
tres.
64 Verso una società sostenibile

3.1 HST or Technosapiens: l’essere che siamo

Il primo punto da chiarire è relativo all’esistenza e alla natura


dell’Homo Sapiens Technologicus, Technosapiens, neutrale dal punto
di vista del genere e per rapidità indicato come HST. Non è
l’umano del futuro, possibilmente “evoluto” o che vivrà in un
mondo fantascientifico. HST siamo noi, qui ed ora, seguendo esat-
tamente il concetto di Heidegger Dasein: l’essere che noi stessi sia-
mo (das Seiende das wir je selbst sind)58.
Dobbiamo essere estremamente consci di cosa siamo e di come
viviamo. Guardandoci attorno, noi non vediamo la “natura” come
nostro ambiente, per gran parte del tempo, eccetto che per qualche
albero o prato che scorgiamo dalla finestra o attraverso occhiali
correttivi per alcuni di noi. Sopra di noi non c’è il cielo, ma un sof-
fitto e il pavimento non è la terra, ma qualche tipo di plastica, pie-
tra o tappeto; non abbiamo mai camminato sul suolo a piedi nudi,
ma infilando scarpe, calzini; indossiamo abiti, alcuni dei nostri
denti sono solitamente finti e alcuni di noi sono ancora vivi perché
gli sono stati somministrati nel sangue prodotti chimici.59 Oltre
questa autocoscienza, abbiamo bisogno di essere consapevoli delle
conseguenze globali ed ecologiche del nostro presente modo di vi-
vere: noi siamo insostenibili. Ogni anno studi scientifici ribadisco-
no le cause di questa insostenibilità, in termini di biodioversità,
clima, risorse non rinnovabili e altri parametri che portano verso la
“sesta estinzione” della vita sul pianeta.60 Ne deriva un quadro

58
Heidegger M., 1976, Sein und Zeit [1927], Tübingen, M. Niemeyer.
59
Puech M., 2008. Homo Sapiens Technologicus. Philosophie de La Techno-
logie Contemporaine, Philosophie de La Sagesse Contemporaine, Paris, Editions
le Pommier, edizione italiana, Roma, Nuova Cultura, 2018.
60
Leakey R. E., Lewin R., 1996, The Sixth Extinction: Patterns of Life and
the Future of Humankind, Reprint edition. New York, Anchor.
Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologicus 65

piuttosto raccapricciante quando si considerano due parametri che


sono spesso discretamente sottovalutati: la sovrappopolazione e la
violenza. Già in passato, la sovrappopolazione era considerato un
fattore chiave della insostenibilità delle specie umane, l’infausto “P
Bomb” la “bomba popolazione”61. Ma i Paesi del “Terzo Mondo”
hanno rapidamente stigmatizzato la definizione come politicamen-
te non corretta per amore delle loro ambizioni di sviluppo.62 La
violenza è un fattore chiave della storia della civilizzazione umana.
Una realistica valutazione dei processo di civilizzazione nella sto-
ria mostra che l’effettiva civilizzazione riduce la violenza endemica
fra gli esseri umani,63 ma una visione realistica dell’attuale pano-
rama geopolitico offre serie preoccupazioni: armamenti nucleari e
di altro genere, ancora presenti, attivi o minacciati: la violenza na-
turale degli umani colpisce regolarmente mogli e figlie, altri grup-
pi etnici o religiosi, con giustificazioni estremamente triviali;
l’ingiustizia globale strutturale (economica e politica) si presenta
come un’energia pronta ad infiammare conflitti violenti, con o sen-
za l’ispirazione di ideologie politico-religiose apertamente violente.
Ma c’è anche di più, in una nuova dimensione che ora emerge in
primo piano: la violenza contro la natura che noi significativamen-
te definiamo “sfruttamento” della natura, ad esempio a causa delle
industrie estrattive e dell’abuso delle risorse naturali non rinnova-
bili. Il nostro modo di “essere nel mondo” è distruttivo al punto
che ci qualifichiamo come una specie auto distruttiva: un prodotto
non sostenibile dell’evoluzione, un errore nel processo di evolu-

61
Ehrlich P. R., 1968. The Population Bomb, New York, Ballantine Books.
62
Rist G., 2007, Le développement. Histoire d’une croyance occidentale, Par-
is, Presses de Sciences Po.
63
Pinker S., 2012. The Better Angels of our Nature: A History of Violence
and Humanity, London, Penguin.
66 Verso una società sostenibile

zione per tentativi, troppo avido e troppo violento. Questo è ciò di


cui stiamo diventando consci e che dobbiamo prima accettare se
davvero vogliamo cambiare la nostra sorte.

3.2 Soluzioni istituzionali?

Supponiamo di voler davvero cambiare il futuro avverso che la


scienza ci prospetta. Non basterà affrontare il problema con gli
strumenti attualmente disponibili per la nostra civiltà, strumenti di
legittimo governo che chiamo “istituzioni”. Potremo ben essere
presi in giro dalle istituzioni politiche ed economiche alle quali ci
affidiamo di operare i necessari cambiamenti verso la sostenibili-
tà64. Mentre opera la “solita politica” in un mondo privo di istitu-
zioni globali credibili, abbiamo creato le condizioni per un’ironica
“collisione in piena consapevolezza” della nostra civiltà. Oreskes e
Conway (2014) svelano i meccanismi di una società tecno-
scientifica nella quale le istituzioni scientifiche ancora non vengono
abbastanza credute come in grado di influenzare i policy makers.
L’opinione pubblica, intanto, è assorbita da torrenti di informa-
zioni superficiali sulla crisi ambientale, con ripetuti “allarmi” e
trattati internazionali pubblicizzati come soluzioni future. Ma il
ciclo di “allarmi” e trattati non finisce e porta la società a non più
fidarsi di ciò che neanche la scienza può governare razionalmente,
almeno fino a quando la stessa scienza non diventi un’istituzione
stabile e credibile.
Come recuperare attenzione e fiducia della società sulle que-
stioni relative alla nostra civilizzazione? Il primo passo saggio sa-

64
Oreskes N., Conway E. M., 2014. The Collapse of Western Civilization: A
View from the Future, New York, Columbia University Press.
Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologicus 67

rebbe quello di recuperare un’audience critica rispetto ai mass me-


dia: un pensiero critico, a livello individuale, ma facilmente trasfe-
ribile con l’istruzione (nel senso più lato, che include il comporta-
mento ordinario nella piena visione degli altri). Il secondo, e non
indipendente, passo sarebbe quello di affrontare la tragedia dello
Stato-nazione: questo livello di organizzazione monopolizza la de-
finitiva legittimazione politica, mentre è in realtà “troppo piccolo
per la dimensione globale e troppo grande per quella locale”. Inve-
ce di promuovere una costruttiva azione congiunta per sostenere
una responsabilità globale e rinforzarla in ogni situazione locale, i
politici nazionali orchestrano come essi stessi possano presumi-
bilmente “salvare il pianeta” con una nascosta e ossessiva agenda
per mantenere il potere. Credere in soluzioni istituzionali è non
solo tempo perso, ma è contro produttivo, alimenta il meccanismo
della sorte avversa. La constatazione è, dunque, doppia: le istitu-
zioni hanno perso la fiducia dei cittadini e si meritano il loro desti-
no.

3.3 Soluzioni antistituzionali?

Ne conseguono possibili soluzioni antistituzionali: se le istituzioni


vigenti non sono in grado di affrontare i problemi e, per di più, ne
sono una parte, facciamo in modo di cambiarle, radicalmente. In
verità, una prospettiva antistituzionale preesiste all’affermazione
della sostenibilità e un’illustre attività per il clima, convintamente
anticapitalista deve ammettersi per un vantaggio inatteso65.

65
Klein N., 2015, This Changes Everything: Capitalism vs. the Climate,
New York, Simon & Schuster.
68 Verso una società sostenibile

Il problema con le diverse dottrine antistituzionali e anticapita-


liste non è la loro motivazione fondamentale, ma il loro status eti-
co-epistemologico, se così posso definirlo: si tratta di dottrine dota-
te di potere ideologico e prassi, dura ideologia il più delle volte,
che significa giustificare la violenza “per una giusta causa”, vio-
lenza epistemica e fisica. La triste ma effettiva conseguenza è che
non solo queste dottrine mai e in nessun posto adempiono quanto
promettono, ma anche che portano con loro violenza, ingiustizia,
oscurantismo, esattamente tutto quanto corrisponde ad una “de-
civilizzazione”.
Qui la contro produttività raggiunge un climax: la quasi estin-
zione della specie umana che inizia con la successiva estinzione
della cultura umana. Prima che la violenza interna dell’ideologia
prevalga, c’è un filosofico consiglio in opposizione: fare attenzione
alla povertà interiore dell’essere contro qualcosa. Essere contro
l’ingiustizia, il cambiamento climatico o Donald Trump non è suf-
ficiente per cambiare la cosa più piccola che c’è nel mondo, sebbe-
ne tutto possa sembrare molto auto-soddisfacente. Lo stare “con-
tro” non porta nessun programma costruttivo, nessun progetto, ma
noi siamo soliti apprezzare un dannoso tipo di “negatività virtuo-
sa": cibo o gel per doccia essendo “senza” questo o quello – senza
zuccheri aggiunti, senza glutine, senza aromi artificiali, senza al-
luminio, senza niente. In una delle strade più snob di Parigi c’è una
pasticceria che pubblicizza proprio sulla sua vetrina che le torte
sono senza questo e quello, assecondando tutti i negativi virtuosi
di vegani, allergici, ossessionati dal peso e maniaci della dieta. Il
candido filosofo chiede: ma cosa c’è nelle loro torte, di cosa sono
fatte? E alla fine ci si chiederà perché queste persone continuino
ostinatamente a preparare torte con un simile logoramento (paura
o rimpianto per il peccato).
Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologicus 69

Nello scopo della mia argomentazione, “non essere un politico”


è la migliore credenziale per essere in politica oggi e lo sarà per
lungo tempo, almeno fino a quando sperimenteremo i limiti di
questa negatività virtuosa.

3.4 Soluzioni non istituzionali

Cosa altro fare? Come si possono governare i collettivi umani e


portarli ad un livello di civilizzazione sicuro senza innescare effetti
controproducenti e magari anche non peggiorare la situazione che
si sta tentando di risolvere? Suggerisco condotte non istituzionali e
sarò più dettagliato al riguardo.
Il principale argomento, e la prova del concetto come gli inge-
gneri la definiscono, è rinvenibile nella storia: Gandhi e Martin Lu-
ther King Jr., con un background teorico comune molto forte, la
teoria sulla resistenza civile di H. D. Thoreau basata sulla fiducia in
sé stessi (self-reliance). In ambito di questioni ambientali e di soste-
nibilità, fu il filosofo e attivista norvegese Arne Naess ad imperso-
nare queste idee nel XX secolo.66
Il concetto-chiave di fiducia in sé stessi quale potere di trasfor-
mazione dei collettivi e degli spazi umani è quello di micro-azione.67
In un mondo dominato dall’abbondanza, noi siamo sorprenden-
temente sfidati dal “peso della scelta”: cosa mangi, cosa compri,
quando è disponibile ha un accettabile status sociale? (ammetto

66
Naess A., 2010, The Ecology of Wisdom: Writings by Arne Naess. Edited
by Alan Drengson, Berkeley, Counterpoint.
67
Puech M., 2008. Homo Sapiens Technologicus. Philosophie de La Technol-
ogie Contemporaine, Philosophie de La Sagesse Contemporaine, op. cit.
70 Verso una società sostenibile

che qui il 20% della popolazione nella media delle società indu-
striali è fuori quota, ma iniziamo pure dal restante 80%).
Una micro-azione è un’azione, in opposizione al discorso, ed è
piccola, ordinaria, invisibile, opposta a roboanti virtù e autopro-
mozioni mediali. In un mondo dalla comunicazione globale e per-
vasiva, si sta formando una rete dalla potenziale empatia globale68,
e, in questo scenario, la rete web delle micro-azioni incornicia la
saggezza globale di cui abbiamo bisogno. La saggezza si sta rein-
ventando per rinnovare il significato di “sapiens” nell’Homo Sa-
piens (Technologicus). Sapiens qui non significa “colui che sa” o
“scienziato”, ma “saggio”.

3.5 Saggezza, reinventata

La saggezza risiede nelle azioni, nelle micro-azioni, non in un teo-


rico corpo della conoscenza, né nelle dottrine morali. Queste azioni
sono “micro”, piccole, perché sono azioni individuali e la loro fon-
te è nelle virtù individuali. Piuttosto che vergognarci perché “dan-
neggiamo il pianeta” con ciò che mettiamo quotidianamente nei
nostri piatti, per il modo con cui raggiungiamo il nostro posto di
lavoro e per lo shopping o le vacanze e così via, noi possiamo co-
struttivamente considerare che un metodo che ci consenta di “ripa-
rare” il pianeta (meglio, per smettere di danneggiarlo) è qui nelle
nostre mani, nell’ordinaria tecno-sfera dove l’Homo Sapiens Tech-
nologicus (HST) risiede.

68
Rifkin J., 2011, The Empathic Civilization: The Race to Global Conscious-
ness in a World in Crisis, Cambridge, Polity Press.
Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologicus 71

Consapevolezza, autonomia, coraggio, benevolenza e umiltà


sono virtù essenziali che raccomando69 per reinventare il senso
dell’ordinaria saggezza, sulla scia della stimolante tendenza della
“etica virtuosa” e, particolarmente, le sue versioni orienta-
li/asiatiche.
Questa saggezza reinventata in un tempo di abbondanza si af-
fida alla virtù della “temperanza” come era chiamata dagli antichi,
che equivale a moderazione, misura, auto-controllo nel nostro con-
sumo di beni e servizi e per sintetizzare tutto ciò in una parola,
dobbiamo reinventarla e promuoverla: sazietà, avere abbastanza,
essere in grado di avere abbastanza, essere consapevoli che deter-
minare cosa sia abbastanza (rispetto al cibo, al denaro, al potere,
agli onori ecc.) è una necessità e una caratteristica permanente
dell’Homo Technologicus se egli/ella intende restare Sapiens, rein-
ventando la saggezza in una civilizzazione materiale completa-
mente nuova.
Temo che un significato puramente lessicale, il più semplice,
della parola sazietà sia sconosciuto ad alcuni dei nostri contempo-
ranei e sono sicuro che il più profondo senso etico sia sconosciuto
alla maggioranza. La capacità di avere abbastanza è, tuttavia, vitale
per l’HST, in ogni sottosezione della tecno-sfera e anche nell’info-
sfera. Questa capacità emerge, normalmente, nel processo di auto-
costruzione di un sé coerente, che è una persona autosufficiente.70
Nell’attuale ambiente sociale e culturale, la sazietà e la saggez-
za reinventata nel complesso, sono virtù personali da implementare
e nutrire a livello individuale, non possono essere istituzionalmen-

69
Puech M., 2016, The Ethics of Ordinary Technology, New York,
Routledge.
70
Thoreau H. D., 1854, Walden or Life in the Woods,
http://www.transcendentalists.com/walden.htm.
72 Verso una società sostenibile

te pensate, promosse o imposte. Questo tipo di virtù è emblemati-


co della fase post-politica della civilizzazione. La post-politica non è
una mutazione tranquilla di un mutante sistema istituzionale, non
è una nuova fase di politica istituzionale, ma è il game-changer che è
temuto dai politici in carica nelle attuali istituzioni. Come argo-
mento nel testo Homo Sapiens Technologicus, la politica “all’antica”,
la politica come veniva fatta prima, è semplicemente vecchia, cadu-
ta in disuso – la parola francese “désuétude” è perfetta per descri-
vere questo stato di modelli logori che non solo sono fuori uso, ma
anche intrinsecamente ridicoli perché usarli dimostra che non si ha
la minima idea di essere inutili e scartati, mentre chiunque altro lo
dà per scontato.
Politici ed istituzioni ancora operano come se fossero fonda-
mentali, mentre ogni cambiamento che disturba, a partire da Inter-
net, accade totalmente fuori dal loro controllo e indipendentemen-
te dal loro volere. Questa è la ragione per cui spettacoli comici e
teatrini politici in tv, in fogge diverse a seconda dei Paesi, portano
avanti concrete questioni e valori di un ambito precedentemente
conosciuto come “politica”. Allo stesso tempo, una banale e sterile
“critica sociale” ancora imperversa nell’accademia, facendo preci-
pitare la stessa nella sua propria obsolescenza sociale. Le scienze
umane e sociali ancora funzionano utilizzando un software (o si-
stema operativo) che potremmo definire banalizzandolo “SUS
1970”, Scienze Umane e Sociali proveniente dagli Anni Settanta del
secolo scorso, con assiomi arcaici e metodi “decostruttivi” obsoleti.
L’etica si sta reinventando per guidare l’HST e si fonda sul con-
cetto di saggezza, un set di virtù personali e di conseguenti com-
portamenti che inizia da, e ottimizza, le possibilità date da tecno-
sfera e info-sfera.
Come rendere sostenibile l’Homo Sapiens Technologicus 73

3.6 Rispondendo al mio titolo

Sebbene il titolo proposto per questo saggio non fosse in forma in-
terrogativa, esso richiede qualcosa che sembra una risposta. Rein-
ventando eticamente l’ordinario71 , l’Homo Technologicus trova nella
sua stessa saggezza (nel permanente processo di costruire sé stes-
so, il più possibile saggio, in ogni data circostanza) la guida verso
un rinnovato senso di “Sapiens”, idoneo a quanto richiede un’era
della tecnologica come quella attuale. Questo comporta un cam-
biamento radicale, un’interruzione dalla delega consueta alle isti-
tuzioni e alle entità politiche delle scelte che determinano la tecno-
sfera e l’ecologia dei suoi abitanti, umani, natura e artefatti.
La sfida è valorizzare di nuovo la persona come un attore signi-
ficativo, capace di resuscitare l’etica e da qui di immaginare una
governance post-politica dell’ordinario. Dall’azione degli esseri
umani in piena consapevolezza noi possiamo attenderci una no-
zione post-politica dei collettivi umani. Filosofi come Michel Fou-
cault (ultime lezioni al Collège France) e Paul Ricoeur (con la sua
teoria del sé narrativo) hanno gettato le basi per una teoria della
saggezza personale nel mondo contemporaneo.
Noi abbiamo già una descrizione dettagliata per un sostenibile
HST e un filosofico lavoro preliminare a riguardo. Potrebbe esserci
un problema di buona volontà e di reali intenzioni negli uomini e
nelle istituzioni attuali. Questa è la tragedia e ciò è etico72.

Puech M., 2016, The Ethics of Ordinary Technology, op. cit.


71

72
Gardiner S., 2011, A Perfect Moral Storm: The Ethical Tragedy of Climate
Change, Oxford, Oxford University Press.
4. Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità.
“Making it real. ICT and the SDGs”

Cesare Avenia73

La scienza concorda sul fatto che il riscaldamento climatico esiste


ed è primariamente collegato alle emissioni umane di gas a effetto
serra, le quali sono a loro volta connesse ai consumi umani di
energia di origine fossile. Si tratta di un processo preoccupante, dal
momento che tale riscaldamento origina numerosi conseguenti fe-
nomeni di alterazione in tutti i comparti ambientali e già oggi i
suoi effetti sono ben visibili a livello fisico e biologico. La nostra
esperienza quotidiana sul cambiamento climatico accresce in tutti
noi il senso di urgenza per un intervento netto e repentino.
Bisogna, quindi, intervenire, smettere di disegnare il mondo
che vorremmo e cominciare a percorrere il cammino che serve per
realizzarlo partendo da una sfida politica e sociale che si realizza
con il pieno coinvolgimento e partecipazione delle comunità locali,
con le organizzazioni della società civile, delle imprese e dei singo-
li individui. Solo l’adozione di buone pratiche comportamentali e il
trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie necessarie a una
transizione verso economie ecologicamente sostenibili renderanno
possibile questo cambiamento. Entro il 2020, il 90% della popola-

73
Già Presidente Fondazione Lars Magnus Ericsson.
76 Verso una società sostenibile

zione mondiale avrà accesso alle reti a banda larga mobile e questo
rappresenta un’opportunità senza precedenti per affrontare le sfi-
de globali di sviluppo sostenibile.
L’Ericsson Mobility Report stima che nel 2023 il traffico globa-
le di dati da dispositivi mobili supererà i 100 Exabyte al mese. Il
traffico di dati da mobile aumenterà di 8 volte fino a raggiungere i
110 Exabyte al mese entro il 2023, ovvero, l’equivalente di 5,5 mi-
lioni di anni di visione di video HD in streaming. Lo slancio delle
reti 4G continua: si stima che l’attuale tecnologia LTE raggiungerà i
5,5 miliardi di abbonamenti e coprirà più dell’85% della popola-
zione mondiale entro la fine del 2023. Inoltre, continua la crescita
vertiginosa dell’Internet of Things, dove si stima che nel 2022 avre-
mo circa 18 miliardi di oggetti connessi su un totale di circa 29 mi-
liardi. La profonda trasformazione della nostra vita, delle imprese
e della società nel suo insieme, guidata dall’ICT, evidenzia come
l’innovazione abbia un ruolo sempre più strategico per sostenere lo
sviluppo sociale, culturale ed economico a livello globale di un
Paese.
Ericsson è uno dei principali sostenitori di tecnologia e dimo-
stra da anni gli effetti positivi che la tecnologia può avere sulla so-
cietà. Sono per questo molteplici le iniziative realizzate a favore
dello sviluppo di reti e servizi. Con le iniziative “Technology for
Good” ha reso le comunicazioni mobili più accessibili e convenien-
ti e ha garantito maggiore impegno nei confronti delle pratiche di
business responsabile, con un focus sui diritti umani e sulle misure
anticorruzione.
Molte tra le maggiori sfide globali come, ad esempio,
l’urbanizzazione, i cambiamenti climatici e la povertà possono be-
neficiare delle soluzioni offerte dalla banda larga mobile. Questa è
la dimostrazione che la sostenibilità può diventare sempre più un
elemento di differenziazione competitiva lungo la catena del valo-
Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità 77

re, ovunque le aziende facciano business, creando valore per


l’ambiente, impegnandosi a essere sostenibili e responsabili in tut-
to ciò che fanno. Sono già molti i casi di successo di servizi di ICT
innovativi che abbiamo sostenuto guardando alla sostenibilità am-
bientale e che hanno già permesso di migliorare la vita dei cittadi-
ni, dalle nuove reti digitali ai servizi avanzati per le utility ai si-
stemi di trasporto intelligenti, allo smart working, alla Pubblica
Amministrazione digitale fino alle iniziative di education e teleme-
dicina.
Le infrastrutture ICT offrono opportunità di investimenti in
soluzioni sostenibili che possono erogare servizi di base quali tra-
sporto, riscaldamento, raffreddamento e illuminazione, utilizzando
le risorse in modo efficiente, al fine di contribuire allo sviluppo so-
stenibile di tutte le aree del pianeta. I sistemi intelligenti di traspor-
to e di comunicazione sono un esempio di come le emissioni pos-
sono essere ridotte grazie a un network di persone, strade e veicoli
collegati fra loro, che supporta il telelavoro e la dematerializzazio-
ne e che consente di comunicare gli itinerari stradali e di fornire
guide e informazioni sul traffico.
Le tecnologie possono, quindi, giocare un ruolo fondamentale
nel migliorare i servizi di base, riducendo allo stesso tempo le
emissioni di Co2, sia sostituendo i prodotti fisici con i servizi, sia
aiutando la società a utilizzare le risorse in modo più efficiente, ac-
celerando così il passaggio dal mondo delle infrastrutture fisiche a
quello delle infrastrutture virtuali.
Il nostro obiettivo è rendere le comunicazioni mobili più so-
stenibili e accessibili, così come dimostrare il ruolo positivo della
tecnologia laddove possa dare forma a economie a bassa emissio-
ne, incrementare l’accesso all’istruzione e contribuire ad altre que-
stioni di tipo umanitario come i rifugiati, la pace, la risoluzione dei
conflitti e l’intervento in caso di catastrofi.
78 Verso una società sostenibile

La nuova generazione di reti mobili, ed in particolare la piat-


taforma 5G, rappresenterà una straordinaria occasione quale abili-
tatore di una economia più sostenibile. Apporterà, infatti, notevoli
miglioramenti nelle prestazioni che supporteranno nuove applica-
zioni, con un impatto positivo sulle persone, ma anche sulle indu-
strie. Il 5G non è solo un “evento” tecnologico, ma prima di tutto
una evoluzione nell’ecosistema, nelle tecnologie, nelle architetture,
negli stessi modelli di business.
Il successo del 5G è strettamente collegato allo sviluppo degli
standard 3GPP e al coordinamento armonizzato dello spettro, sia
per l’economia di scala che per l’interoperabilità delle reti e dei
terminali. L’interesse industriale sul 5G oggi sta crescendo soprat-
tutto per via dell’accelerazione della trasformazione digitale di
molte industrie e, per questo, si assiste già a numerose iniziative
degli operatori nel mondo in preparazione al lancio delle reti 5G
pre-standard.
Le nuove funzionalità del 5G abbracciano varie dimensioni,
tra cui una grande flessibilità, requisiti energetici più bassi, mag-
giore capacità e larghezza di banda, sicurezza, affidabilità e grandi
velocità di trasmissione dei dati, nonché una minore latenza.
Quindi, il 5G apporterà notevoli miglioramenti nelle prestazioni
per supportare future nuove applicazioni, che avranno un impatto
positivo sia sugli utenti, sia sull’industria anche negli ambienti di
lavoro. Infatti, la sfida più importante introdotta dal 5G è anche
quella di portare la banda larga mobile in situazioni “estreme” e di
dare risposte alla domanda di integrazione di soluzioni di accesso
in un unico sistema creato attorno alle esigenze di ciascun singolo
utente.
Gli use case 5G hanno, quindi, una varietà di requisiti che pos-
sono essere gestiti mediante uno sviluppo agile e flessibile delle
reti di telecomunicazioni. I miglioramenti che le piattaforme di rete
Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità 79

5G saranno in grado di abilitare in termini di latenza, affidabilità


della rete e gestione ottimizzata e real-time della banda disponibi-
le, operando su più ampie porzioni di spettro, potranno svolgere il
ruolo di acceleratori per la trasformazione digitale delle aziende,
abilitando lo sviluppo di nuovi servizi avanzati per i mercati verti-
cali. Fra questi, l’IoT Massive Machine-type e Critical Machine-
type e l’Enhanced Mobile Broadband (e-MBB) rappresenteranno i
cluster applicativi in cui sarà più evidente l’impatto del 5G sul bu-
siness di aziende e segmenti industriali.
Se i casi d’uso IoT del tipo Massive Machine-type rappresen-
tano una categoria che è possibile supportare, facendo leva anche
sulle reti 4G, disponibili oggi, i cluster IoT Critical Machine-type e i
servizi in Enhanced Mobile Broadband potranno vedere il pieno
sviluppo del loro potenziale di business grazie alle funzionalità
delle piattaforme 5G, che abiliteranno i requisiti essenziali per la
loro applicazione in termini di Latenza, User Throughput, Mobili-
tà, Densità di Traffico, Affidabilità del Servizio e Sicurezza.
Le reti 5G saranno, quindi, la leva chiave per abilitare tutti
quegli use case che necessitano di prestazioni certe end to end, tipi-
che di molte applicazioni di Automazione Industriale nel nascente
settore dell’Industry 4.0 (Autonomous Driving, Energy Manage-
ment, Robotica, Smart Home) e di servizi Mission Critical per la
Sicurezza Nazionale, la Logistica Integrata e la Chirurgia remota,
per fare alcuni esempi.
I trasporti si evolveranno profondamente: la tecnologia “pla-
tooning”, ad esempio, consentirà di avere autocarri e rimorchi
guidati a poca distanza l’uno dall’altro, grazie a sistemi di comuni-
cazione veicolo-veicolo, incrementando sicurezza, sostenibilità ed
efficienza. Le industrie meccaniche potranno utilizzare il controllo
da remoto per attività ad alto rischio, riducendo gli incidenti sul
lavoro. Nel turismo, eccellenza del Made in Italy, la Realtà Aumen-
80 Verso una società sostenibile

tata ci consentirà di vivere esperienze uniche e immersive. La sani-


tà italiana, già all’avanguardia, potrà fornire diagnosi da remoto
garantendo cure migliori e riducendo gli spostamenti.
Il 5G si posizionerà al centro di un sistema capace di generare
grande valore, dove si integreranno le tecnologie wireless attuali e
quelle che caratterizzano lo scenario tecnologico nei prossimi tre
anni. Tutte utilizzeranno il 5G come “ponte” verso le reti di tele-
comunicazioni. Questa tecnologia rappresenta, quindi, per il Paese
un’opportunità per rilanciare i settori chiave dell’industria italiana
in modo sostenibile. Per questo Ericsson sta contribuendo a guida-
re un ecosistema di stakeholder per esplorare e testare le possibilità
che il 5G può offrire.
L’obiettivo #9 dei Global Goals delle UN è finalizzato a creare
infrastrutture di qualità, affidabili, sostenibili e sicure che suppor-
tino lo sviluppo economico e dell’essere umano, con l’obiettivo di
abbassare i costi e di essere accessibili a tutti e promuovere
un’industrializzazione sostenibile, l’innovazione, la ricerca scienti-
fica e la capacità tecnologica nel settore industriale di tutti i Paesi,
aumentando in maniera significativa l’accesso alle informazioni e
alle comunicazioni tecnologiche attraverso Internet.
Rispetto al passato, il 2016 ha visto passi in avanti nello scena-
rio delle comunicazioni e dell’informazione in Italia. Dal punto di
vista della copertura, infatti, la disponibilità dei servizi di accesso a
reti fisse a velocità compresa tra i 2 e i 20 Mbit/s ha ormai raggiun-
to il 97% delle abitazioni. Alla fine del 2016, le linee di rete fissa a
banda larga con velocità pari o superiore ai 10 Mbit/s hanno supe-
rato per la prima volta il 50% del totale. È stato l’anno dell’avvio
operativo dei progetti finanziati dai fondi pubblici destinati allo
sviluppo della banda ultra-larga e l’anno di forte slancio degli in-
vestimenti privati in innovazione e sviluppo delle reti a banda ul-
tra-larga fissa e mobile.
Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità 81

Il 2016-2017 è stato, dunque, uno spartiacque per il settore del-


le infrastrutture sia per le realizzazioni ma anche, e forse soprattut-
to, per il cambio di paradigma nella loro pianificazione. Con il
nuovo Codice degli Appalti (Decreto 50/2016) e con il DEF 2017,
con cui è stato approvato l’Allegato del Ministro delle Infrastruttu-
re e dei Trasporti che individua i fabbisogni infrastrutturali al 2030,
si è ufficialmente entrati nella nuova stagione di politiche infra-
strutturali.
Il primo aspetto innovativo è la centralità della pianificazione
strategica, cioè l’individuazione delle reti di infrastrutture necessa-
rie, come quelle ferroviarie, stradali, portuali, aeroportuali, per la
connessione del Paese, con particolare attenzione agli snodi pro-
duttivi e al trasporto merci, ai poli turistici, con l’inclusione per la
prima volte delle ciclovie turistiche. Inoltre, è diventata fondamen-
tale la valutazione ex-ante delle opere, cioè la considerazione dei
costi e dei benefici delle singole infrastrutture.
L’ammodernamento della rete stradale è sempre più necessa-
rio per l’aumentare la sicurezza stradale attraverso la predisposi-
zione di uno specifico piano nazionale. La trasformazione digitale
di tali infrastrutture rappresenta una delle possibilità per miglio-
rarne la qualità, la sicurezza, l’utilizzo e per farne strumenti utili a
generare dati e servizi che agevolino la mobilità di persone e merci,
facilitando e semplificando il trasporto. Il Ministero delle Infra-
strutture e dei Trasporti ha, infatti, raccolto la sfida
dell’innovazione digitale per il raggiungimento degli obiettivi in-
frastrutturali del Paese previsti dall’Allegato al DEF 2016 e dal
Piano Nazionale ITS.
Le più recenti indagini sullo stato delle infrastrutture idriche
evidenziano forti criticità connesse, in particolare, all’elevata vetu-
stà delle reti, che pongono un problema urgente di rinnovo e ma-
nutenzione delle infrastrutture esistenti. Anche se il servizio idrico
82 Verso una società sostenibile

da alcuni anni può vantare una regolazione nazionale che fissa le


tariffe e vigila sugli investimenti realizzati, solo il nuovo quadro ha
permesso l’incremento degli investimenti, seppur ancora insuffi-
cienti.
L’efficienza energetica è un pilastro del framework europeo
2020 e la principale priorità d’azione all’interno della strategia
energetica nazionale (SEN). Esiste, infatti, un bacino di risparmi di
dimensioni considerevoli, ottenibile mediante l’adozione di mo-
derne tecnologie di risparmio energetico e di generazione rinnova-
bile di energia sui beni della Pubblica Amministrazione e sui beni
privati (i condomini per esempio). Gli investimenti prevedono ri-
torni economici rilevanti e certi, ma necessitano di un sistema di
finanziamento prevalentemente privato, dentro a regole certe della
PA. Circa le infrastrutture aeroportuali, storicamente in affanno sul
mercato intercontinentale, l’Italia sta, comunque, registrando tassi
di mobilità extra-europea in crescita.
Infine, il trasporto ferroviario di persone evidenzia un certo
livello di congestione nell’utilizzo della rete, ma non in quello di
merci, per il quale risulta, invece, piuttosto chiaro un “sottoutiliz-
zo” della dotazione rispetto a quanto rilevato nella media Ue 15.
Il sostegno all’innovazione e alla ricerca e sviluppo è un tema
portante per il nostro Paese, che vede nel tessuto produttivo, pre-
valentemente formato da piccole e medie imprese, una struttura
potenzialmente ricettiva di istanze innovative e di avanzamento
tecnologico. Gli strumenti di sostegno rivolti alle imprese e al
mondo produttivo avviate dai Ministeri nell’anno in corso sono
importanti, come Iper e Super Ammortamento 4.0, l’agevolazione
"Nuova Sabatini", il nuovo credito d’imposta R&S, il nuovo “Fon-
do per la crescita sostenibile” ed altri incentivi che hanno già ini-
ziato a dare positivi frutti.
Andrebbe maggiormente promossa e incentivata l’open-
Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità 83

innovation come modalità di R&S delle imprese, che in questo mo-


do aprirebbero a collaborazioni con PMI, università, centri di ricer-
ca generando una complessiva crescita del livello di competenze. Il
sostegno all’innovazione e alla ricerca e sviluppo, quindi, dovrebbe
continuare almeno con la stessa forza dell’ultimo periodo, anche
grazie alle collaborazioni in partnership tra pubblico e privato per
la promozione di percorsi di R&S, sfruttando al meglio le risorse
economiche potenzialmente disponibili attraverso bandi di finan-
ziamento europei. Lo sviluppo industriale inclusivo e sostenibile è
la prima fonte di generazione di reddito: esso permette, infatti, un
aumento rapido e sostenuto del tenore di vita delle persone e for-
nisce soluzioni tecnologiche per un’industrializzazione che rispetti
l’ambiente, le persone e la società.
Continuando sulla linea innovativa del nuovo Codice degli
Appalti (Decreto 50/2016), un contributo decisivo nella direzione
della sostenibilità può essere svolto dalla definizione di veri e pro-
pri standard di sostenibilità da parte delle PA da inserire nella
propria attività gestionale e, conseguentemente, anche nel ricorso
al mercato per soddisfare le proprie esigenze di approvvigiona-
mento di beni e servizi e di realizzazione di lavori.
Sarebbe certamente utile prevedere una leva premiale in tutti
gli appalti pubblici in cui il servizio digitale viene inserito nella
progettualità di infrastrutturazione. Questo aspetto risulta fonda-
mentale nel campo infrastrutturale, ma non solo: servizi e applica-
zioni nel contesto dell’emergente tecnologia della comunicazione
di rete Internet of Things hanno potenzialità in tutti i settori. Nuove
prestazioni e nuove tutele nella società digitale sono, di conse-
guenza, sempre più indispensabili: la crescente quantità e qualità
dei servizi, il maggior grado di alfabetizzazione digitale e il minor
livello di discriminazione ed esclusione sociale digitale e i fenome-
ni devianti e deviati del web (hate speech, fake news) sono sfide, ma
84 Verso una società sostenibile

anche doveri, che le Autorità sono chiamate ad affrontare.


Sarebbe necessario ambire a trasformare la capacità del nostro
Paese di assorbire e fruire di servizi digitali a quello di co-creare
servizi e tecnologie ridefinendo una politica industriale più conso-
na allo sviluppo e alla creazione di piattaforme e tecnologie digita-
li, definendo un quadro di collaborazione finalizzato a favorire
l’occupazione e l’occupabilità nell’ambito della realizzazione e svi-
luppo degli abilitatori dei processi di trasformazione digitale delle
imprese per promuovere l’occupazione e l’occupabilità nella “fab-
brica del digitale”.
In campo di infrastrutture digitali, le policy dell’innovazione
italiana hanno tradizionalmente pensato più a digitalizzare proces-
si esistenti e meno ad utilizzare il digitale come leva di trasforma-
zione economica e sociale: tanto maggiore sarà la capacità di inte-
grare le nuove politiche del lavoro e sociali con quelle dello svi-
luppo connesso agli investimenti nel digitale, tanto potrà essere
maggiore la dimensione del relativo beneficio. L'adozione dei sen-
sori "always-on", ad esempio, è già considerata la soluzione d'ec-
cellenza per il monitoraggio di opere infrastrutturali quali viadotti,
dighe, gallerie, ponti ed altre opere “critiche” per la resilienza e,
quindi, per la sostenibilità del Paese.
Sarebbe utile creare un maggiore dialogo tra istituzioni, centri
di competenza e formazione e imprese, fattore strategico per ga-
rantire un innalzamento della qualità dell’occupazione e dello svi-
luppo di servizi e per supportare una crescita economica innovati-
va e sostenibile. Agevolare, quindi, i percorsi di inserimento lavo-
rativo attraverso la rete dei servizi per il lavoro, pubblici e privati,
supportando i servizi di outplacement connessi alla ricollocazione
professionale, contribuendo ad aumentare il livello di occupabilità
dei giovani e dei lavoratori over 35. Risulta, inoltre, fondamentale
incentivare sempre più i grandi investimenti in settori strategici
Reti digitali e tecnologie per la sostenibilità 85

non solo attraverso il sostegno finanziario, ma anche con procedu-


re più snelle, certe e tempi più veloci.
Concludendo, con gli obiettivi del 2030 che incombono, non ci
sarà alcuna possibilità per una lenta, prudente o graduale adozione
di nuovi approcci: per questo è importante una visione di più lun-
go termine e l’impegno di tutti.
5. Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea
sociologica del sociale

Massimo Di Felice74, Rita Nardy75

5.1 The Internet of everything: la digitalizzazione del


mondo

Nelle sue tesi sulla storia, Benjamin descriveva una originale con-
cezione del tempo, non più basata su una sequenza diacronica che,
attraverso il seguirsi cumulativo di momenti passati, arrivava a
formare il presente, ma come una inversione di sequenza. La rela-
zione tra il presente e il passato, agli occhi del filosofo tedesco,
esprimerebbe una relazione connettiva, secondo la quale sarebbe il

74
Docente di Teoria delle reti all’Università di San Paolo, coordinatore
scientifico del Centro Internazionale di ricerca Atopos dell’Università di
San Paolo del Brasile e vice Responsabile scientifico dell’Osservatorio In-
ternazionale di teoria sociale sulle nuove tecnologie e la sostenibilità-
Sostenibilia.
75
Rita Nardy è componente del Centro Internazionale di ricerca Ato-
pos dell’Università di San Paolo del Brasile.
88 Verso una società sostenibile

tempo presente a generare il passato. Al contrario del luogo comu-


ne che vorrebbe l’hic et nunc come il risultato di un insieme di mo-
menti trascorsi, generatori del tempo attuale, Benjamin narrava il
passato come quella dimensione temporale accessibile solo dal
presente e come, quindi, una invenzione di questo. Non solo è sol-
tanto dall’oggi e dal momento presente che abbiamo accesso al
passato, ma questo ultimo risulterebbe una ricostruzione possibile
solo dall’attualità.
La prospettiva aperta da Benjamin ben si presta all’analisi delle
recenti trasformazioni del web. Di fatto, la storia di internet risulta
comprensibile soltanto a partire dall’oggi, ossia, soltanto dalle sue
ultime trasformazioni che l’hanno vista connettere, dopo le perso-
ne e i dati, le cose, le biodiversità e, per ultimo, ogni tipo di super-
ficie. É dal momento presente che si palesa il senso di tale percorso,
ancora in andamento, che indica nella proprietà connettiva una
delle principali qualità del web che appare, visto dall’oggi, come
uno degli elementi caratterizzanti del suo processo storico e della
sua propria conformazione. Tale proprietà si presenta non tanto
come uno dei suoi principi emergenti, ma, piuttosto, come una sua
componente costitutrice, utile alla comprensione e
all’interpretazione dei suoi molteplici processi e trasformazioni.
Nata all’interno della Guerra Fredda, da un progetto di sicu-
rezza del Pentagono, la forma comunicativa di Internet, nella sua
prima versione, si costituiva come una rete di computer (hard-
ware) in grado di riorganizzare uno scambio di informazioni e di
articolare una risposta, in seguito ad un attacco nucleare. Tale ar-
chitettura informativa permetteva, attraverso cavi telefonici e mo-
dem, lo scambio di messaggi e la formulazione di una risposta an-
che se colpita e distrutta in più punti. La prima forma di rete sarà,
dunque, costituita da un insieme di macchine elettroniche, connes-
se attraverso cavi telefonici e modem ed in grado di scambiarsi sol-
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 89

tanto messaggi di testo. L’uso universitario e pubblico daranno ad


internet la forma del web, realizzata agli inizi degli Anni Novanta
da Tim Berners-Lee, attraverso l’indicizzazione delle trasmissioni
in “http” all’interno della World Wilde Web. Da allora la rete che
connetteva computer ha iniziato un lungo percorso che l’ha tra-
sformata diverse volte, alterandone la forma e le caratteristiche.
Un primo qualitativo cambiamento è stato quello avvenuto nei
primi anni del Duemila e che ha sostituito l’intera architettura del-
la rete, realizzando il passaggio dalla struttura di rete di computer,
connessi attraverso i cavi telefonici e modem, a quello della rete
dei cavi a fibra ottica. Questa nuova versione di rete, accompagna-
ta dalle forme di connessione mobile, dal Wi-Fi e dal cloud compu-
ting, ha permesso il passaggio dalla rete hardware ad una nuova
architettura informativa ubiqua e accessibile attraverso diversi tipi
di dispositivi.
Denominata web 2.0, o internet post-computer, la nuova forma
di connessione inaugurò la rete dei social network e la connessione
in cloud, (Gmail, Youtube, Skype etc.) che hanno iniziato ad attri-
buire alla rete una dimensione connettiva permettendo l’accesso e
la divulgazione di qualsiasi tipo di formato (audio, video, immagi-
ni e testo) non solo attraverso computer, ma anche mediante l’uso
dei nuovi dispositivi (tablet, smartphone ecc.). L’inaugurazione dei
social network diede origine a nuove forme di interazione, dando
vita ad una inedita cultura del sociale, connessa e ubiqua, realizza-
bile soltanto attraverso la mediazione di dispositivi, dati e architet-
ture informative.
L’avvento della connessione cablata, dei social net-work, della
cloud computing e della connessione mobile ha, di fatto, inaugura-
to un nuovo modello di internet portatore di un nuovo tipo di “si-
tuazione sociale” e di una nuova “morfologia sociale”, composta
non più soltanto da individui, ma anche da dispositivi, circuiti e
90 Verso una società sostenibile

dati di ogni tipo76. A tale radicale trasformazione, nella seconda


metà del primo decennio del Ventunesimo secolo, ne fece seguito
un’altra che incrementò la nascita di una nuova rete, denominata
Internet delle cose che, sommandosi alle reti degli individui, dei di-
spositivi e delle architetture interattive, iniziò ad estendere la con-
nessione agli oggetti. Attraverso l’applicazione di etichette capaci
di trasmettere informazioni via onde radio (RFID) installate su
merci, oggetti, alberi etc., qualsiasi tipo di superficie è stata messa
in condizione di inviare dati in rete, creando una inedita condizio-
ne interattiva capace di estendere le facoltà comunicative ai non
umani. Alberi, frigoriferi, marmellate, scarpe da ginnastica, pomo-
dori, automobili hanno preso la parola e, attraverso la nuova rete,
hanno iniziato a produrre e trasmettere dati. La nascita di un ulte-
riore tipo di rete capace di produrre informazioni di ogni genere
ha contribuito a generare una quantità di dati che, sommati a quelli
già prodotti dai social network dalla telefonia mobile e dalle archi-
tetture di rete, hanno generato un nuovo tipo di grandezza deno-
minata Big data. Ebbe origine così, attraverso i data base e gli algo-
ritmi, la costituzione di un’ulteriore struttura di rete, quella dei da-
ti. Questa incalcolabile quantità di dati, prodotta ogni istante dal
flusso informativo continuato, proveniente da persone, cose e su-
perfici di ogni tipo, costituisce una inedita grandezza che incontra
approssimative descrizioni nelle quantità multiple dei byte: Tera-
byte, Petabyte, Exabyte, Zetabyte e Yottabyte. Date le loro dimen-
sioni, tali dati non sono direttamente accessibili, ma vengono gesti-
ti, organizzati e correlati da software, algoritmi e robot. La rete dei

76
L’analisi delle trasformazioni del web 2.0 e l’avvento dei social net-
work ha prodotto diversi studi tra i quali, B. Wellman, H. Rainie, 2012,
Networked, il nuovo sistema operativo sociale, Milano, Guerini scientifica; L.
Manovich, 2010, Software culture, Milano, edizioni Olivares.
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 91

dati, quella delle cose e quelle dei social network non sono tra loro
separate, ma connesse, formando un’ulteriore rete composta da
reti di dati, di cose, di persone e di biodiversità, denominata the In-
ternet of everything, l’internet di tutte le cose. Il processo di digita-
lizzazione, a partire da tale prospettiva, ci appare, soltanto oggi,
come una alterazione digitale della realtà, ossia come un processo
di trasformazione di ogni cosa e di ogni superfice, in informazione
e dati. I significati e le conseguenze di tale processo non sono, per-
tanto, attribuibili appena agli aspetti comunicativi, ma rimettono a
più profondi significati che toccano diversi aspetti e ambiti disci-
plinari. La qualità di tali trasformazioni è importante ed ha a che
fare con una alterazione qualitativa della materia del mondo: si
tratta, in altri termini, di un processo transustanziativo77 che realiz-
za il passaggio dalla sostanza alla sostituzione.

5.2 Il 5G e i significati della crisi dell’idea sociologica


del sociale

“Quando parliamo del sociale quanti siamo? Chi siamo?”

L’evoluzione della rete e l’espansione delle forme di connessione


del web, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, non sono che

77
Il termine fa riferimento al significato a questo attribuito all’interno
della tradizione cattolica e, in particolare, al processo che viene realizzato
all’interno della preghiera eucaristica durante la celebrazione delle Messa.
Nell’imporre le mani e nel recitare le parole della consacrazione, il sacerdo-
te realizza un processo transustanziativo che trasforma l’ostia e il vino nel
corpo e nel sangue di Cristo. Pur mantenendo la loro forma iniziale, en-
trambi, secondo la fede cattolica, assumono specie diversa trasformando la
loro composizione originaria, ma mantenendo la loro forma originaria.
92 Verso una società sostenibile

l’inizio di un cammino di trasformazione che, come visto, non ri-


guarda appena noi umani, ma l’intera biosfera. Il progetto Oneweb
prevede, nei prossimi anni, l’invio nello spazio di 650 satelliti, a
bassa orbita terrestre, capaci di connettere, oltre alle persone che
vivono nelle aree più remote del globo, anche ogni angolo del pia-
neta, comprese le superfici delle foreste, le montagne e gli oceani.
Se a tale processo si aggiunge la diffusione della connessione 5G,
già in sperimentazione, che permetterà la comunicazione istanta-
nea tra ogni tipo di superficie, risulta evidente che gli scenari che ci
aspettano hanno poco o niente a che fare con la nostra idea di so-
cietà.
Al contrario dell’idea, comune al di fuori dell’Europa, per
esempio, tra le diverse popolazioni amerindiane e tra molte culture
africane, che descrivono la loro società come un insieme complesso
di entità diverse e di agenti non umani come i fiumi, gli alberi, gli
spiriti etc., all’interno della tradizione del pensiero occidentale, la
morfologia del sociale è sempre stata concepita come composta
esclusivamente dai soli cittadini, ossia come un corpo unico e un
aggregato di “soci” (dal latino socius). La riduzione della morfolo-
gia sociale agli individui ha influenzato non solo la nostra conce-
zione delle interazioni, ma ha anche influenzato le relazioni tra noi,
attori umani e l’ambiente, attribuendo a questo il significato di una
realtà esterna e inanimata, qualcosa a metà tra l’oggetto, la materia
prima e il paesaggio.
La centralità dell’umano e l’esternalità della complessità ecolo-
gica caratterizza tutta la storia dell’idea di società prodotta dal
pensiero sociologico. All’interno di questa tradizione l’architettura
della società e la sua struttura erano descritte, nelle loro diverse
interpretazioni, come la totalità delle relazioni e delle organizza-
zioni fondate dagli esseri umani, emanazioni dei loro interessi, ob-
bedienti ai loro concetti e conseguenze dei significati simbolico-
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 93

culturali da questi prodotti. Ad eccezione di alcune singole e origi-


nali interpretazioni, come quella della microsociologia di Tarde e
quella prodotta dagli approcci degli studi del socio-biologismo,
non ci sono state, all’interno della tradizione del pensiero sociale,
voci discordanti e interpretazioni alternative. La concezione antro-
pomorfica può essere considerata come una prospettiva che fa del-
la visione “umano-centrica” del sociale non solo un paradigma
condiviso dai principali autori della disciplina, ma uno dei pre-
supposti epistemici della stessa idea sociologica del sociale.
Questa ultima si basa su alcune postulati base che si sono svi-
luppati nel contesto positivista e industriale europeo, all’interno
del quale viene storicamente fondata la disciplina degli studi socia-
li e scientifici sulle relazioni umane. Oltre al presupposto antro-
pomorfico della morfologia del sociale, possiamo riconoscere alcu-
ni altri elementi che hanno storicamente formato il paradigma so-
ciale elaborato dalle scienze sociali nel corso della storia. Un se-
condo aspetto può essere individuato nella concezione del caratte-
re strumentale della tecnica all’interno dei processi di formazione
delle relazioni sociali.
Infine, un terzo ed ulteriore aspetto, anche questo conseguenza
della concezione antropomorfica del sociale, è identificabile con
l’idea della separazione tra la società e la natura, ossia con la con-
cezione secondo la quale l’idea che il mondo extra urbano ed extra
Stato non facesse parte della società e costituisse un mondo separa-
to ed esterno. Ma da dove iniziare per superare i presupposti epi-
stemici del pensiero sociale moderno e ripensare l’idea di società
sostituendo a questa quella di rete, di “comune” e di ecologia “?
Tra i pochi autori che già nella seconda metà del XX secolo met-
tevano in discussione le fondamenta dell’epistemologica occiden-
tale, una delle voci più qualificate è stata senza dubbio quella di
Serres, che, in diverse opere, ha più volte messo in discussione
94 Verso una società sostenibile

l’idea occidentale della concezione antropomorfica del sociale, ba-


sata sulla distinzione tra uomo e ambiente. Nel suo libro The Natu-
ral contract, il filosofo francese, recentemente scomparso, ha difeso
la necessità di superare la concezione illuminista del sociale, basata
su una contrattualità esclusivamente politica, ossia stipulata tra so-
li umani. La critica sviluppata dal filosofo francese non era in quel
caso rivolta solo alla concezione del sociale, ma anche all’idea di
ecologia elaborata dall’Occidente e da cui la prima deriva: «Dimen-
tichiamo la parola ambiente (...) Questa presuppone che noi umani
siamo al centro di un sistema di cose che gravitano intorno a noi,
l’ombelico dell’universo, proprietari della natura. Questo ci ricorda
un tempo passato in cui la terra posta al centro dell’universo riflet-
teva il nostro narcisismo, visibile in questo umanesimo che pro-
muove la nostro unicità tra la diversità delle cose (...) È, quindi, ne-
cessario, cambiare direzione, abbandonare il destino imposto alla
filosofia di Cartesio (...) O la morte o la simbiosi».78
Proseguendo sulla stessa linea teorica, uno dei suoi discepoli,
Latour, svilupperà una precisa critica all’idea sociologica di società
attraverso la formulazione di due domande principali: «Invece del-
la prigione concettuale del sociale, ereditata dalla sociologia, senza
mai approfondirla nel suo significato originario – ci appare un al-
tro significato del sociale, più vicino al suo significato etimologico,
che si riferisce all'associazione e al vincolo. Il sociale non è più
composto di soggetti, così come la natura non è più composta di
oggetti (...) Quando parliamo di sociale? Chi siamo noi?»79
Nel contesto delle reti digitali transorganiche e all’interno delle
ecologie connettive le domande poste da Latour alla sociologia rie-

Serres M., 1990, Le contrat naturel, Paris, Ed. F.Bourin, p. 34.


78

Latour B., 2005, Reassembling the social, New York, Oxford University
79

Press, p. 87.
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 95

cheggiano con forza, assumendo il significato di un’urgenza con-


cettuale. Nella nostra contemporaneità, è necessario ripensare
l’idea di sociale al di là degli esseri umani, dei parlamenti e delle
istituzioni della polis, estendo questa ai dati, ai dispositivi che ci
collegano alle reti, alle diverse entità che compongono la biosfera e
alle diverse superfici collegate attraverso i circuiti informativi digi-
tali. «Limitare la discussione agli esseri umani e ai loro interessi,
alla loro soggettività, ai loro diritti, sembrerà, in pochi anni, strano
come oggi ci sembra aver limitato, in passato e per lungo tempo, il
diritto di voto agli schiavi, ai poveri e alle donne»80 .
Come analizzato, le ultime generazioni di connessione hanno
iniziato a mettere in rete non solo le persone e le tecnologie (reti
sociali), ma anche le cose (Internet of Things) i territori (sistemi di
informazione geografica), la biodiversità e qualsiasi tipo di super-
fice (Internet of everything), trasformando così tutti gli aspetti della
realtà in dati e bit (Big Data) e creando un tipo inedito di ecologia,
connettiva e trans-organica. Si è diffuso, così, un nuovo tipo di co-
mune che si caratterizza come un’architettura reticolare, all’interno
della quale ogni membro è, allo stesso tempo, composto
dall’insieme di architetture di rete informative, produttore delle
stesse81.
Diversi aspetti convergono per la costruzione di un particolare
tipo di complessità ecologica, non più espressione di una relazione
sistemica tra mondi separati, l’umano, il tecnologico e il naturale,
ma connettiva, simbiotica e interdipendente. Oltre all’avvento di

80
Ibidem.
81
Per l’approfondimento dello studio della complessità e delle qualità
delle forme di interazioni in rete si vedano i contributi di Morin sulla com-
plessità, quelli sulla teoria dell’attor-rete di Latour e il mio Net-attivismo,
dall’azione sociale all’atto connettivo, Roma, Estemporanee, Roma, 2017.
96 Verso una società sostenibile

Internet delle cose, alla diffusione dei sensori che hanno dato voce
alla biodiversità, negli ultimi anni si sono moltiplicati i segnali che
hanno risaltato la nostra non autonomia dall’ambiente, a partire
dalla teoria dell’Antropocene e a quella nota con il nome di Gaia,
attribuito da Lovelock alla complessità interagente della biosfera.
La sensibilità ecologica contemporanea, la diffusione del con-
sumo e delle culture biologiche, la ricerca e l’avvento di alternative
energetiche da fonti rinnovabili, sono espressione di una profonda
alterazione della nostra condizione abitativa, passata da una di-
mensione politica, nazionale e geografica, ad una forma biosferica,
di reti, ecologicamente connettiva e interattiva. Questa nuova cul-
tura è anche il prodotto della diffusione delle ecologie connettive,
realizzate dall’Internet delle cose e dalle interazioni con una serie di
reti di dati che consentono la creazione di una logica reticolare che
associa naturalmente le nostre azioni e il nostro modo di muoverci
nelle città, con il cambiamento climatico, la deforestazione delle
foreste tropicali, la quantità di sostanze tossiche nell’aria ecc.
Siamo passati ad abitare una ecologia senza più soggetti e og-
getti che contempla ogni entità, umana e non, come parte integran-
te delle reti della biosfera. Si tratta di un nuovo tipo di complessità
le cui qualità digitali e interattive connettono i diversi agenti, le di-
verse entità e superfici, restituendole co-abitanti di una territoriali-
tà informatizzata e atopica. Ne riporteremo di seguito alcuni
esempi concreti.

5.3 Ecologie digitali

Array of things – una rete di sensori dà voce alle superfici e alle


entità non umane creando ecosistemi interconnessi post-urbani -
Pensare alla città come ad un ecosistema può essere una sfida per
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 97

chi ci abita. Le costruzioni e le strade di cemento segnalano la pre-


senza antropica che cela la dimensione informativa del territorio e
dell’insieme dei suoi diversi abitanti.
Anche se vediamo intorno a noi soltanto strade, auto, edifici e
viali, tuttavia siamo avvolti dall’aria e ubicati su un terreno e su
acque, fiumi e fonti di vario tipo. Il paesaggio urbano costruito, fat-
to di cemento e di asfalto, e la spesa negli scaffali dei supermercati
ci mostrano un mondo distante dalle foreste e dai boschi che ci ap-
paiono, nei contesti cittadini, come realtà lontane e separate. Tutto
in uno spazio urbano ci nasconde e ci allontana dalla nostra posi-
zione all’interno della catena alimentare.
La complessa rete delle città non si esaurisce nella sua topogra-
fia e include anche un’altra dimensione transorganica82 formata da
informazioni digitalizzate che circolano su reti, materializzate negli
schermi di smartphone, tablet e computer. In questo spazio multi-
dimensionale e informativo atopico83 la sfida è quella di catturare
la presenza e di iniziare a comunicare con i vari elementi che fanno
parte e compongono le reti delle nostre città.
La possibilità di interazione dell’intera rete di agenti viene ri-
stabilita attraverso dispositivi tecnologici che consentono la crea-
zione di punti di connessione tra le dimensioni e i diversi agenti,
apparentemente separati, dell’ecologia di una città, attraverso la
cattura e l’analisi dei dati. Lo sviluppo e la distribuzione struttura-
ta di dispositivi fisici (sensori), collegati in rete, in grado di cattura-
re e trasmettere dati, formano la tecnologia chiamata Internet of
Things (IoT), che sta trasformando il modo in cui ci relazioniamo
con i diversi componenti degli ecosistemi che co-abitiamo.

82
Di Felice M., 2015, Paysages post-urbains, Paris, CNRS Editions.
83
Vedasi https://arrayofthings.github.io/
98 Verso una società sostenibile

Un esempio di questa nuova ecologia di interazione è stato rea-


lizzato da un progetto di e-governance denominato Array of
Things (AoT)84 , implementato a Chicago e finanziato dalla US Na-
tional Science Foundation. Il progetto è stato sviluppato attraverso
la collaborazione tra scienziati, architetti, governo locale, residenti
e la stessa città di Chicago. Attraverso sensori, collocati in piccole
scatole e disposti sui cartelli stradali e sui lampioni, vengono cap-
tate informazioni sull’ambiente, i flussi delle infrastrutture e le at-
tività della città, con l’obiettivo di supportare la ricerca,
l’educazione civica dei cittadini e la gestione pubblica urbana. I da-
ti raccolti sono relativi alla temperatura, all’umidità, alla qualità
dell’aria o, anche, alla quantità di ozono, di azoto, di monossido e
anidride carbonica, alla luminosità, ai livelli di rumore etc. I dati
vengono raccolti in tempo reale, cosi come le immagini e le infor-
mazioni sul traffico di persone e mezzi di trasporto.
Il primo dispositivo, prototipo di ciò che viene utilizzato nelle
strade di Chicago, è stato sviluppato dall'Argonne National Labo-
ratory ed era composto da 12 apparecchiature, denominate “nodi”
della rete, dotate di sensori ambientali, in grado di monitorare i da-
ti da temperatura, luce, suono, umidità e qualità dell’aria. I proto-
tipi, dotati dei sensori, sono stati collocati in “scatole” connesse a
Internet, che sono state installate nelle aree dell’Università di Chi-
cago, Argonne National Laboratory e DePaul University in modo
che il sistema possa essere testato nel periodo da luglio 2014 a giu-
gno 2015. I risultati e le attrezzature stesse sono stati valutati e ca-
librati dai test eseguiti.

84
Informazioni e immagini sul progetto "Array of things" estratte dai
siti arrayofthings.github.io/, arrayofthings.github.io/final-policies.html il
14 maggio 2019.
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 99

La piattaforma tecnologica utilizzata nei sensori si chiama


Waggle, un sistema di hardware e software gratuito, sviluppato da
Argonne. Oltre al progetto AoT, questa tecnologia è utilizzata an-
che in altri progetti incentrati sulla ricerca ambientale, tra cui il
Giardino botanico di Chicago e il Centro di ricerca sulle radiazioni
atmosferiche dell’Oklahoma, sempre negli Stati Uniti (Atmosphe-
ric Radiation Measurement Research Facility).
Dopo questa prima fase di test, nel 2018 sono stati installati 100
dispositivi nelle strade di Chicago in collaborazione con il Dipar-
timento dei trasporti della città (Chicago Department of Transpor-
tation - CDOT). In tutto, fino ad aprile del 2019 sono stati installati
più di 100 dispositivi di connessione, oltre ai 200 “nodi” già instal-
lati. L’obiettivo progettuale è di avere almeno 500 “scatole” inter-
connesse nella città durante il processo di sviluppo del progetto.
Tutte le informazioni raccolte sono disponibili gratuitamente su
piattaforme aperte. La posizione di ciascuna apparecchiatura, o
box, nella città è stata scelta basandosi sulle indicazioni espresse da
ricercatori, dai gruppi di residenti e dai rappresentanti della co-
munità e del governo. In questo modo il progetto intende suppor-
tare questi gruppi per soddisfare le richieste locali legate alle pro-
blematiche della città.
Lo scopo di questa architettura è mappare la “salute” urbana e
aiutare a ripensare la governance e il rapporto con l’ambiente.

Incentivo all'innovazione e alla promozione dell'istruzione - La


forma inclusiva e aperta del progetto è stata strutturata per inco-
raggiare l’appropriazione dei dati e il sistema di monitoraggio per
lo sviluppo di innovazioni da parte della comunità della città e da
ricercatori di tutto il mondo, come descritto sul suo sito web: «Poi-
ché i dati saranno pubblicati apertamente e senza alcun costo, so-
sterranno anche lo sviluppo di applicazioni innovative come
100 Verso una società sostenibile

un’applicazione mobile che consente a un residente di monitorare


la propria esposizione a determinati contaminanti nell’aria o di di-
slocarsi nella città in base alla possibilità di evitare i picchi di calo-
re, alla qualità dell’aria o al rumore eccessivo».85
Le informazioni acquisite dai sensori vengono trasmesse a un
laboratorio centrale situato ad Argonne e pubblicate in un portale
aperto. I dati e i sondaggi possono anche essere consultati e utiliz-
zati dalla piattaforma di ricerca di dati aperta denominata Plenary
(plenar.io/) nella directory di Chicago.
Oltre alla ricerca e all’analisi rese possibili attraverso i dati rac-
colti, il sistema fungerà anche da base di contenuti per progetti
educativi. Grazie alle risorse provenienti da fondazioni private
(Motorola Solutions Foundation), verrà sviluppata la “School of
Things”, che offre lezioni di base sulla tecnologia utilizzata nel
progetto per studenti delle scuole elementari e medie.

Governance e cybersecurity - Il formato aperto adottato in AoT


presenta vantaggi significativi ed evidenti, sia per gli obiettivi di
gestione e formazione, sia per l’evoluzione della tecnologia e della
qualità della vita stessa dei cittadini, ma solleva la questione dei
problemi relativi alla privacy, determinati dalla cattura e archivia-
zione di immagini, senza necessariamente il consenso dei propri
cittadini.
Secondo le informazioni pubbliche del progetto, non vi è alcun
interesse nel monitoraggio delle persone e le garanzie sulla privacy
sono contemplate nelle tecnologie adottate e nei propri sensori
progettati per ridurre il potenziale del sistema di ottenimento di

85
Ved. https://arrayofthings.github.io/
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 101

dati personalizzati86. Per migliorare la sua politica per la trasparen-


za, il progetto ha un monitoraggio esterno indipendente e una va-
lutazione condotta dal Gruppo tecnico sulla privacy e sulla sicu-
rezza del Centro di ricerca applicata sulla sicurezza informatica
dell’Università dell’Indiana. È stato, inoltre, istituito un Comitato
esecutivo multisettoriale (EOC) per monitorare la problematica
durante il processo di implementazione del progetto. Facevano
parte del Comitato rappresentanti del Dipartimento di Scienza e
Tecnologia di Chicago, il Centro di calcolo e dati della città, rap-
presentanti del mondo accademico, esponenti del mondo indu-
striale, alcune ONG e la comunità. Questo comitato è responsabile
della valutazione delle attività svolte nel progetto, nonché della
convalida o meno di nuove proposte per l’utilizzo dei dati, tra cui,
ad esempio, l’uso di metadati, elaborazione algoritmica, nuovi
modelli per l’acquisizione di immagini etc.
AoT propone di migliorare la gestione e la capacità decisionale
sulle criticità delle questioni urbane contemporanee come inqui-
namento, alluvione, traffico e livelli di sicurezza, che possono esse-
re più efficacemente ricercati e gestiti attraverso il monitoraggio
continuo dei dati.

Comunicazione e tecnologia per una cittadinanza digitale - Consi-


derando gli aspetti di privacy e sicurezza, l’applicazione delle tec-
nologie IoT, incorporate nel progetto Array of Things, esemplifica le
possibilità di aumentare la partecipazione del cittadino al processo
decisionale attraverso la comunicazione dei dati.
Questo nuovo cittadino, connesso e attivo, preparato ad acce-
dere, comprendere e utilizzare le informazioni in sistemi ibridi,

86
L'informativa completa sulla privacy del progetto è aperta e può es-
sere consultata su arrayofthings.github.io/final-policies.html.
102 Verso una società sostenibile

come quello proposto da AoT, ha la possibilità di interagire e co-


municare in modo sempre più integrato con l’ambiente che abita,
in tempo reale. La governance diviene, in questo ambito, sempre
più trasparente e orizzontale. La capacità di azione connessa inte-
gra la tecnologia, i dati, le persone, i territori, le informazioni, il
clima, in un modello comunicativo complesso, capace di avvicina-
re l’umano ai non umani e l’organico all’inorganico.
Vengono, così, a costituirsi nuove potenzialità, che ci offrono la
possibilità di risignificare la convivenza in un ambito post-urbano
e nelle sue spazialità informative ed ecologiche.

Rainforest Connection (RFCx) – Sensori e tecnologie digitali per


prevenire la deforestazione illegale e aiutare la conservazione del-
le foreste - Non è solo negli ambienti urbani che la tecnologia è sta-
ta utilizzata per amplificare i nostri sensi e per permetterci di ascol-
tare la “voce” dei diversi attanti presenti all’interno degli ecosiste-
mi. Anche nelle foreste, dove noi (umani) siamo una minoranza,
siamo inseriti all’interno di ecosistemi complessi.
Può sembrare strano pensare di usare i telefoni cellulari per
ascoltare gli alberi e non le persone. Ma questa era l’idea dell'ame-
ricano Topher White87 per aiutare i ranger e le comunità locali a
identificare e combattere la deforestazione illegale negli ecosistemi
tropicali in diverse regioni del mondo.
Il progetto si basa su due aspetti: le caratteristiche
dell’ecosistema della foresta tropicale, formate da una fitta coper-
tura vegetale, abitata da una ricca biodiversità in costante comuni-
cazione e la difficoltà umana di percepire pienamente la vita

87
Informazioni e immagini sul progetto Rainforest Connection tratto
da www.rfcx.org
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 103

all’interno della foresta, a causa dei limiti dei nostri sensi, come la
vista e l’udito.
Il creatore del progetto afferma che l’idea è nata dall’ascolto dei
suoni della foresta nell’isola asiatica del Borneo, ai confini tra
l’Indonesia, la Malesia e il Brunei88. Visitando la regione, come tu-
rista, White si rese conto che, oltre al suono rumoroso della foresta,
composta da suoni di uccelli, insetti, primati ecc., c’erano sullo
sfondo, praticamente impercettibili alle orecchie umane, i suoni
delle motoseghe per l’apertura di strade e il taglio del legname.
Dagli Anni Ottanta, gli alberi della foresta venivano abbattuti a
ritmi allarmanti, in gran parte per ricavarne l’olio di palma.
La deforestazione delle foreste tropicali è una questione globale
di grande rilevanza, sia per il suo impatto sulla conservazione del-
la biodiversità e l’equilibrio socio-ambientale locale, sia per le im-
plicazioni per il peggioramento dei cambiamenti climatici e il ri-
scaldamento globale.
A causa dell’alta densità di copertura vegetale e, persino, del
rumore della foresta stessa, gli ambientalisti e le guardie forestali
incontrano grandi difficoltà nell’individuare i tagli illegali nel mo-
mento in cui vengono effettuati e per arrivare per tempo e riuscire,
cosi, a prevenire la deforestazione.
L’idea di Topher White era quella di creare un sistema di co-
municazione intelligente e amplificato che potesse essere presente
all’interno della foresta, collegando elementi che erano già parte
dell’ecosistema - la gente, gli alberi e il segnale cellulare (già pre-
sente, soprattutto ai margini della foresta) - a nuovi attori in grado
di migliorare la comunicazione e ad un apparato in grado di cattu-
rare costantemente il rumore locale attraverso un programma digi-
tale in grado di identificare i “suoni” della deforestazione. Venne-

88
Vedasi www.ted.com/speakers/topher_white
104 Verso una società sostenibile

ro, così, usati telefoni cellulari adattati e collegati sugli alberi per
fungere da ricevitori audio e captare il rumore delle motoseghe.
Una delle principali sfide incontrate nel progetto è stata quella
di garantire un flusso di corrente costante per mantenere i telefo-
nini carichi regolarmente. La soluzione è venuta dalla costruzione
di un modello specifico di pannello solare adattato al telefono cel-
lulare e in grado di catturare la luce solare al di sotto della fitta
chioma degli alberi in una foresta tropicale.
I dispositivi, che sono formati da telefoni cellulari accoppiati a
pannelli solari, sono collegati sugli alberi permettendogli così di
trasmettere i suoni della foresta via satellite. Questi ultimi vengono
poi analizzati da un software che è in grado di identificarli e di
captare i rumori caratteristici della deforestazione. I segnali di av-
vertimento vengono, poi, inviati alle persone che si trovano nelle
vicinanze (come, ad esempio, i forestali della zona) che possono
raggiungere rapidamente il sito indicato e agire sulla deforestazio-
ne in tempo reale.
L’intero sistema è stato inizialmente sviluppato nel garage dei
genitori del ricercatore. L’idea era di avere un sistema semplice,
scalabile ed economicamente valido che fosse adattato alle caratte-
ristiche della foresta stessa. I dispositivi elaborati raccolgono il
suono prodotto fino a circa un miglio di distanza e coprono
un’area di circa tre miglia quadrate.
Il progetto è strutturato come una startup denominata Rainforest
Connection che utilizza anche lo stesso sistema per creare avvisi sul
bracconaggio. La tecnologia viene anche utilizzata per il monito-
raggio bio-acustico al fine di costruire un archivio digitale condivi-
so di suoni e dati forestali che possano essere utilizzati da scienzia-
ti, professionisti e dilettanti in tutto il mondo. I suoni registrati dal
sistema Rainforest Connection e dai suoi partner vengono trasmessi
in diretta, componendo una libreria digitale di suoni non modifica-
Le reti ecologiche digitali e la crisi dell’idea sociologica del sociale 105

ti. L’analisi di questi suoni può essere utilizzata per identificare i


comportamenti e monitorare gli impatti sulle foreste, dai diversi
modelli di vocalizzazione degli animali, tra gli altri aspetti.
Un’applicazione mobile gratuita consente a qualsiasi cittadino
di ascoltare i suoni captati nelle foreste in Brasile, Costa Rica,
Ecuador e Perù in tempo reale. In questo modo, l’ecosistema for-
mato attraverso i sensori, i dati e la connessione digitale viene ulte-
riormente amplificato, consentendo la formazione di una rete an-
cora più grande.
La struttura prodotta dalla startup crea un’architettura di co-
municazione che mette insieme elementi tecnologici e biologici, sia
umani che non umani, connessi all’interno e all’esterno della fore-
sta, che vanno a formare un’ulteriore rete complessa che consente
l’emergere di interazioni ecologiche intelligenti e sostenibili.
6. Net-attivismo, reti digitali
e nuove forme di conflitto

Marina Magalhães89

Nel campo della comunicazione e, nello specifico, nell’area di


studio delle reti digitali e della sostenibilità, ovvero
l’argomento di questa pubblicazione, proponiamo di contribui-
re al dibattito con alcuni dei risultati della tesi di dottorato:
“Net-attivismo e azioni collaborative su reti digitali”, sviluppa-
ta da questa autrice all'università Nova di Lisbona, in Portogal-
lo90. Pertanto, ci dedicheremo qui all'approccio teorico alla qua-
lità del net-attivismo. In altre parole, parliamo delle caratteristi-

89
Componente del Centro Internazionale di ricerca Atopos
dell’Università di San Paolo del Brasile.
90
Sotto la supervisione dei Prof. Dr. José Augusto Bragança de Miran-
da (tutor) e Prof. Dr. Massimo Di Felice (co-tutor), la tesi è stata recente-
mente pubblicata all’interno del libro Net-ativismo: protestos e suversões nas
redes sociais digitais, per la collezione ICNOVA della casa editrice Leya (Li-
sbona, Portogallo).
108 Verso una società sostenibile

che proprie delle azioni collaborative che si presentano nelle


reti digitali.
Innanzitutto, è importante spiegare la nostra posizione
all’interno di questa discussione. Nello svolgere una ricerca sul-
le reti digitali, il nostro punto di partenza è un’interpretazione
post-umanistica del rapporto tra uomo, tecnica e natura nella
nostra vita quotidiana sempre più digitalizzata. Comprendere
la complessità dei nuovi movimenti emersi nelle reti digitali ri-
chiede un approccio ecologico alle loro dinamiche. A questo fi-
ne, ci siamo allontanati dalla prospettiva in cui l’uomo è misura
di tutte le cose per osservarlo piuttosto come uno degli elemen-
ti di questa visione reticolare, che coinvolge elementi di diversa
natura.
Come affermano gli autori Massimo Di Felice e Mario Pi-
reddu91, siamo parte di un ecosistema composto da tecnica, es-
seri umani, non umani e territori. Quindi, questa linea di pen-
siero cerca di superare la visione tradizionale della supremazia
umana sulla tecnica e sulla natura propagata dai teorici moder-
ni. Questo perché la visione umanistica non contempla più la
novità di una contemporaneità attraversata dal digitale, feno-
meno questo che ci porta a cercare nuovi percorsi teorici, meto-
dologici ed empirici.

6.1 La crisi della politica occidentale

Diversi autori considerano i movimenti sociali nati su Internet –

91
Di Felice M., Pireddu M., 2010, “Além do solipsismo: as naturezas
não humanas do humano”. In Idd. (Orgs.), Pós-humanismo: as relações entre
o humano e a técnica na época das redes, São Paulo, Editora Difusão, pp. 26-32.
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 109

parliamo, ad esempio, di Anonymous, Movimento 5 Stelle, Prima-


vera Araba, Geração à Rasca (Generazione Rovinata), Movimiento
15-M, Occupy Wall Street e delle proteste del giugno 2013 in Brasi-
le – come movimenti di essenza puramente politica. Ma, questa in-
terpretazione è, secondo noi, discutibile e, di seguito, spiegheremo
perché.
Sebbene sia più evidente ai nostri giorni, ovvero in un periodo
storico in cui le nuove forme di conflitto contribuiscono alla co-
struzione di nuovi significati politici, la crisi della politica è iniziata
ancor prima delle connessioni pioniere alla rete informatica mon-
diale: Internet. Questo tema è stato affrontato da diversi autori
all'interno del dibattito sulla fine della modernità in opere quali: La
crisi della concezione unitaria della storia92, la crisi di metanarrati-
ve,93 la crisi della dialettica di fronte alle nuove connessioni,94 la
crisi della democrazia rappresentativa95, e la trasfigurazione della
politica.96 Nella sua tesi sulla crisi della concezione unitaria della
storia, Gianni Vattimo97 difende la teoria dell'esistenza di un pro-
cesso di dissoluzione dei punti di vista centrali iniziato nel mo-
mento in cui sono sorti i mass media. In particolare, lo studioso ri-
leva la decostruzione del colonialismo e dell'imperialismo europeo

92
Vattimo G., 1992, A Sociedade Transparente, Lisboa, Relógio d’Água
(versione online).
93
Lyotard J-F., 1988, O pós-moderno, Rio de Janeiro, José Olympio Edito-
ra.
94
Bragança de Miranda J., 1998, Traços – Ensaios da crítica da cultura, Li-
sboa, Editora Vega.
95
De Sousa Santos B., 2001, A cor do tempo quando foge. Crónicas 1985-
2000, Porto, Edições Afrontamento.
96
Maffesoli M., 2005, A transfiguração do político: a tribalização do mundo,
Porto Alegre, Sulina.
97
Vattimo G., 1992, A Sociedade Transparente, op. cit
110 Verso una società sostenibile

e, con essi, della visione europea dell'umanità, che aveva portato


alla negazione di un mondo plurale. Questo filosofo afferma che
l'avvento di giornali, radio, televisione e, più recentemente, delle
reti telematiche è direttamente associato alla nascita di una società
postmoderna: più complessa e caotica, in cui risiedono le nostre
speranze di emancipazione sia culturale che politica. In
quest’ottica, la crescita dello spazio di parola per le minoranze et-
niche, sessuali, religiose, culturali ed estetiche ha pluralizzato le
visioni del mondo, rendendo sempre meno concepibile un'idea
unificata ed eurocentrica della realtà.
A sua volta, Jean-François Lyotard,98, laddove tratta della crisi
delle metanarrative, elabora una critica del discorso autoreferen-
ziale della scienza, quello che si esprime senza una finalità presta-
bilita. Secondo lo studioso, tale discorso non sarebbe più attuale,
soprattutto in uno scenario descritto come essenzialmente informa-
tivo e informatico-cibernetico, dove si richiede che la conoscenza
possa essere tradotta in quantità di informazioni.
Secondo il filosofo francese, con il profondo cambiamento che
si delinea nell'Europa del Novecento, appena ricostruita, il rappor-
to tra fornitori, fruitori di conoscenza e conoscenza stessa sarebbe
influenzato dall’esplosione di informatica e telematica, assumendo
forme di valore prossime a quelle di produttori, consumatori e be-
ni. Ciò finirebbe per accentuare direttamente la crisi della politica,
la quale avrebbe perso la sovranità sull’informazione.
José Bragança de Miranda99 contribuisce a questo dibattito af-
fermando che le nuove tecnologie ci hanno sfidato a superare la
dialettica delle posizioni moderne. Ciò sarebbe successo perché,

98
Lyotard J-F., 1988, O pós-moderno, op. cit.
99
Bragança de Miranda J., 1998, Traços – Ensaios da crítica da cultura, op.
cit.
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 111

dagli ultimi decenni del ventesimo secolo, tutto e tutti sarebbero


stati trascinati nel vortice della tecnica. Questa avrebbe fatto
dell'attualità la modalità cruciale della temporalità contemporanea,
spostando i luoghi fissi della modernità e, allo stesso tempo,
creando una sorta di iperspazio sempre più sopraffatto dal cyber-
spazio caratteristico dell'emergere delle reti digitali. In questo sen-
so, l'autore portoghese rafforza la tesi di Lyotard, quando afferma
che il pensiero, non appena oltrepassati i limiti dell'università, per
dedicarsi definitivamente all'esperienza e al mondo, sarebbe stato
condotto all'interno di questa turbina tecnica che trascina tutto con
sé.
Boaventura de Sousa Santos,100 altro sociologo portoghese, in-
dividua uno scenario di instabilità all'interno della democrazia oc-
cidentale manifestatosi già prima dell’avvento di Internet. Santos
mette in evidenza l'usura dei significati del politico nel confronto
con gli sforzi collettivi per disegnare uno Stato diverso, decentrato
e decentralizzato, aperto alla partecipazione organizzata dei citta-
dini. La democrazia rappresentativa, in questa interpretazione, non
dovrebbe essere completamente superata, ma trasformata in una
democrazia veramente partecipativa.
Michel Maffesoli101 contribuisce alla discussione quando ci invi-
ta a pensare al sociale oltre all'idea di solidarietà meccanica. Se-
condo il sociologo francese, viviamo in un'epoca in cui le istituzio-
ni tendono a frammentarsi. La politica stessa, che l’autore conside-
ra come una cosa comune tra gli uomini, una sorta di “lega socia-
le”, tenderebbe ad essere sostituita, attraverso il processo di triba-

100
De Sousa Santos B., 2001, A cor do tempo quando foge. Crónicas 1985-
2000, op. cit.
101
Maffesoli M., 2005, A transfiguração do político: a tribalização do mundo,
op. cit.
112 Verso una società sostenibile

lizzazione, dalla formazione di tribù unite sempre di più da mec-


canismi di seduzione. In altre parole, abbiamo vissuto
un’implosione che ha colpito lo stato-nazione e i grandi imperi
ideologici della postmodernità. Questi avrebbero lasciato il posto a
tribù o confederazioni in grado di riunire comunità il cui collante
sarebbe costituito più da un legame sociale che dalla nozione mo-
derna di contratto sociale. Le tribù rivelerebbero che l'individuo
non si riduce più a un'entità stabile, dotata di un'identità intangibi-
le e capace di fare la propria storia, prima di associarsi con altri in-
dividui autonomi per fare la storia del mondo.
In sintesi, consideriamo la crisi contemporanea della politica
come un'eredità del nichilismo moderno, che ha messo in discus-
sione i concetti di sovranità, stato-nazione, imperialismo e colonia-
lismo, cittadinanza e soggetti politici102 . Tale crisi ha trasformato
l'idea stessa di politica, offrendo nuovi significati a ciò che, nel suo
senso originario, consisteva in qualcosa che si sviluppa tra gli uo-
mini103 . Quell’idea di politica, inoltre, ha sofferto l'impatto delle
forme totalitarie dello Stato, le ideologie e le rivoluzioni, portate
avanti con il presupposto che la libertà dell'uomo doveva essere
sacrificata in funzione dello sviluppo storico.

6.2 La qualità dell’azione nella prospettiva politica

102
Negri A. 2005, A constituição do comum. II Seminário Internacional Ca-
pitalismo Cognitivo – Economia do Conhecimento e a Constituição do Comum,
Rio de Janeiro, Rede Universidade Nômade e pela Rede de Informações
para o Terceiro Setor (RITS). Consultado em 2016, setembro 5, em
https://fabiomalini.wordpress.com/2007/03/25/a-constituicao-do-comum-
por-antonio-negri.
103
Arendt H., 2002, O que é política? Fragmentos das Obras Póstumas com-
pilados por Ursula Ludz, Rio de Janeiro, Bertrand Brasil (versione online).
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 113

I segnali della nascita dei primi movimenti di attivismo in rete


hanno lanciato una sfida ai ricercatori e all'opinione pubblica in
generale. I personaggi mediatici sorti negli Anni Novanta, come
Hakim Bey o Luther Blissett, identità collettive aperte ai membri di
tutto il mondo, oltreché la globalizzazione del movimento indige-
no Zapatista, rappresentano degli esempi concreti di queste nuove
forme di conflitto che si esprimono attraverso le reti digitali.
Tali primi movimenti erano reti spontanee senza leader. Movi-
menti che sono emersi in collaborazione con soggetti non umani
(in questo caso, risorse tecnologiche come e-mail, siti e blog). Mo-
vimenti fuori dalle logiche delle classiche lotte del potere occiden-
tale tra sinistra e destra. Movimenti che non erano istituzionalizza-
ti, che non pretendevano di creare un partito politico. Movimenti
che hanno anche contribuito alla teorizzazione della crisi della po-
litica e al ripensamento della visione umanistica del mondo104.
In questa direzione, il nostro approccio alla qualità dell'azione
in rete contemporanea, che chiamiamo net-attivismo, prende in
esame diverse interpretazioni possibili. Innanzitutto, nella sintesi
qui proposta, esponiamo alcune delle tesi che mettono in rapporto
la sua qualità alla dimensione della politica, come la teoria dei so-
cial network visti come un nuovo sistema operativo sociale.
Nel libro Networked: the new social operating system Lee Rainie e
Barry Wellman105 individuano l'esistenza di un tipo di individuali-

104
Bey H., 2001, T. A. Z.: Zona Autônoma Temporária, São Paulo, Conrad;
Blissett L., 2000, Totò, Peppino e la guerra psichica: 2.0, Torino, Einaudi; Di
Felice M., Muñoz C., 1998, A revolução invencível. Subcomandante Marcos e
Exército Zapatista de Libertação Nacional – Cartas e Comunicados, São Paulo,
Boitempo.
105
Rainie L., Wellman B., 2012, Networked: the new social operating system,
Cambridge, MIT Press.
114 Verso una società sostenibile

smo connesso. Questo consiste in un sistema operativo perché de-


scrive i modi in cui le persone si connettono, comunicano e scam-
biano informazioni. Paragonato a un sistema informatico, questo
nuovo sistema operativo sociale ha collegato strutture che offrono
opportunità e vincoli, regole e procedure. Possiamo spiegare que-
sta teoria immaginando i social network e il web come un grande
centro commerciale di informazioni, capace di aiutare le persone
connesse a cercare contenuti, oltreché a scoprire e contattare altre
persone che hanno esperienze simili. In rete, i membri confrontano
le opinioni prima di prendere decisioni e trovano nuovi specialisti
che li aiutino nel fare diagnosi, risolvere problemi, acquistare pro-
dotti e così via.
La sociologa e attivista italiana Tiziana Terranova106 (2004) con-
tribuisce al dibattito interpretando i social network come spazi di
una cultura che connette masse e micro-segmentazioni. Secondo
l'autrice, c'è una cultura di massa all'interno della cultura digitale,
capace di convivere con una serie di micro-segmentazioni che fan-
no della folla connessa uno spazio per nuove sperimentazioni di
attività politica.
Quando analizza i movimenti sociali globali della rete come
quelli che, sorti all’inizio del secolo corrente, si sono opposti alle
politiche neoliberali, l'autrice individua la costituzione di un cam-
po politico che non può essere ridotto ad un singolo significante
(come la classe lavoratrice). D’altra parte, tale spazio non può nep-
pure essere suddiviso in segmenti con identità socioculturali com-
pletamente distinte (e nemmeno in identità ibride). In poche paro-
le, esisterebbe uno spazio che ha la caratteristica di essere comune,
senza necessariamente essere omogeneo o uguale. Possiamo pen-

106
Terranova T., 2004, Network Culture: Politics for the information age,
London, Pluto Press.
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 115

sare all’esempio dei movimenti femministi sorti nelle reti digitali,


come Facebook. Da una parte, questi gruppi affrontano la stessa
tematica, ovvero i diritti delle donne; d’altra parte, tuttavia, tali
gruppi racchiudono individualità diverse per etnia, classe sociale,
livello di istruzione, orientamento sessuale, etc.
Nel libro Redes de Indignação e Esperança anche il sociologo spa-
gnolo Manuel Castells107 interpreta gli esperimenti di attivismo in
rete come amplificazione di un'azione politica senza partito e,
dunque, dissociata dalle strutture tradizionali delle istituzioni poli-
tiche. Partendo da questa idea, che considera il net-attivismo come
un’azione politica, Castells osserva un uomo in azione, collegato
con altri uomini tramite un supporto tecnologico mentre supera
una condizione di isolamento e prende posizioni politiche su di-
verse questioni. Pertanto, tali reti sono intese come una mera
estensione dello spazio pubblico, un ambiente di discussione per il
processo decisionale e per la formazione di forze collaborative.
In questa prospettiva, il fenomeno che racchiude i più diversi
movimenti net-attivisti – come Anonymous, Primavera Araba,
Movimiento 15 M – è visto unicamente sotto la lente delle interpre-
tazioni puramente politiche, come lotta di potere ed espressione di
autonomia. Si tratta di una lettura possibile, ma ci sono altri modi
per osservare il sociale connesso. Perché, dato che la politica è in
una crisi aggravata dalla "fine" della modernità, continuiamo a ve-
dere l'uomo come soggetto centrale dell'azione, mettendo gli altri
elementi nel ruolo di semplici strumenti?

6.3 La qualità dell’azione nella prospettiva ecologica

107
Castells M., 2013, Redes de Indignação e Esperança: Movimentos Sociais
na Era da Internet, Lisboa, Fundação Calouste Gulbenkian.
116 Verso una società sostenibile

Dopo aver accennato una critica della lettura politica della qualità
dell'azione in rete, presentiamo la Teoria dell’Attore-Rete (Actor
Network Theory), di Bruno Latour108 per invitare a pensare all'idea
del sociale oltre gli umani.
Sebbene non siano esattamente orientati verso le reti digitali, i
contributi di Latour e Isabelle Stengers109 offrono un approccio più
complesso all'azione collettiva. Tale prospettiva apre la strada al
dibattito sulla crisi sociologica del sociale limitato agli umani, por-
tando gli elementi non umani (natura, tecnologia, oggetti, ecc.) al
centro della nostra attenzione.
Nella metafora usata in questa teoria un attore non è mai solo
su un palcoscenico. Al contrario, l’attore è circondato da diverse
altre entità, come sceneggiatura, trucco, scenografia, regia, pubbli-
cità, sound designer, luci, testo, colleghi e pubblico. Nel caso dei
social network, ad esempio, l’utente agisce in collaborazione con
entità di diversa natura, dal dispositivo di connessione alla rete
Wi-Fi che ne autorizza la connessione, dagli altri membri umani
del social agli algoritmi, passando per big data, software, applica-
zioni e una miriade di altri elementi. Tutti questi elementi, definiti
come attanti, agiscono con l’utente all'interno della rete, in momen-
ti e con potenzialità diversi, ma sempre producendo una trasfor-
mazione efficace nel corso dell’azione.

108
Latour B., 2012, Reagregando o Social: uma introdução à Teoria do Ator-
Rede, Salvador/Bauru, Edufba/Edusc.
109
Stengers I., 2994, “Para além da grande Separação, tornamo-nos civi-
lizados?”, in B. S. Santos (Org.), Conhecimento prudente para uma vida decen-
te: um discurso sobre a ciência revisitado (pp. 131-149), São Paulo, Cortez; Id.,
2014, La propuesta cosmopolítica, Dossier “Cosmopolíticas” «Revista Pléyade»,
14 (2014), Centro de Análisis e Investigación Política – CAIP, 2014, pp. 17-
41.
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 117

Quindi, la Teoria dell’Attore-Rete apre la via a un modo di pen-


sare la qualità dell’azione in rete che coinvolga nel dibattito ele-
menti non umani dimenticati per secoli dalla ricerca nell’ambito
della sociologia del sociale. Attraverso i contributi citati, arriviamo
ad un nuovo possibile modo di indagare l’azione in rete al di fuori
della dimensione politica, in una prospettiva in cui l'azione della
rete non è più vista come condotta solo dai soggetti che usano le
tecnologie.
Al contrario, la qualità dell'azione in rete è intesa come un'a-
zione al di fuori della polis, che collega attori di diversa natura –
umana, non umana e territoriale – nei processi di trasduzione110 e
transustanziazione111. In sintesi, Bragança de Miranda e Massimo
Di Felice affermano che ci troveremmo di fronte all'alterazione del-
le stesse sostanze degli attori e degli attanti coinvolti nel corso
dell'azione.
Secondo il primo autore, a partire dal momento in cui emergo-
no computer e connessioni in rete, assistiamo al trasferimento delle
funzioni di controllo, fondamentalmente cognitive, ai sistemi tele-
matici. Ossia, se è vero che l'energia umana ha cominciato a essere
sostituita da energie meccaniche durante la rivoluzione industriale,
lo stesso è accaduto riguardo alla sfera cognitiva con l'evoluzione
di tecnologie intelligenti e degli algoritmi: una sorta di upload del-
la coscienza verso le reti, che trasforma il corpo in informazione e
in qualcosa di interamente reversibile.

110
Bragança de Miranda J., 1998, Traços – Ensaios da crítica da cultura, op.
cit.
111
Di Felice M., 2017a, Net-ativismo: da ação social ao ato conectivo, São
Paulo, Editora Paulus; Id., 2017b, “O Net-ativismo e as dimensões ecológi-
cas do agir nas redes digitais: 20 teses em busca de uma linguagem”. In I.
Babo; J. B. Miranda; M. J. Damásio & M. Di Felice (Orgs.), Netativismo, Por-
to, Edições Universitárias Lusófonas, pp. 49-58.
118 Verso una società sostenibile

Per capire la prospettiva di Massimo Di Felice possiamo pensa-


re a come cambino la propria natura un foglio di carta durante la
scansione o una canzone registrata acusticamente quando viene
inviata a siti di condivisione artistica. Le fotografie stesse nell’era
digitale possono essere esempi di cose che cambiano la loro so-
stanza quando diffuse nelle reti digitali.
L’acqua su Marte, trasformata in informazione dalle sonde po-
ste nell’orbita di quel pianeta; una pianta monitorata digitalmente
in grado di fornire informazioni sulla sua specie, età e provenien-
za; le cavigliere elettroniche che informano sulla posizione dei pri-
gionieri in regimi aperti o semiaperti, i chip impiantati negli ani-
mali domestici sono tutti esempi che ci inducono a chiederci se esi-
sta ancora una sostanza "pura" in questa nuova ecologia digitale.

6.4 Conclusioni

Sulla base di questa sintesi teorica e a partire dell’analisi empirica


di diversi movimenti – Hakim Bey, Luther Blissett, Zapatismo,
Anonymous, Movimento 5 Stelle, Primavera Araba, Geração à Ra-
sca, Movimiento 15 M, Occupy Wall Street, le proteste del giugno
2013 in Brasile, Lulz Security e Me, Myself and I112 – abbiamo ela-
borato otto tesi rispetto alla ricerca sulla qualità dell’azione in rete
o del net-attivismo. Condividiamo tali tesi con l’obiettivo di evi-
denziare le principali riflessioni emerse dal nostro studio.

1. È necessario superare la concezione di “utente” come sog-

112
Analizzati come corpus empirico nella riferita tesi di dottorato, rias-
sunta in questo testo.
Net-attivismo, reti digitali e nuove forme di conflitto 119

getto che si appropria unilateralmente delle reti113 , strumentaliz-


zandole come semplice mezzo per l’esecuzione delle proprie azio-
ni.
2. Non tutte le reti sociali sono digitali114 ; né ogni rete digitale
è sociale115. Tuttavia, il net-attivismo si manifesta nelle reti digitali
sociali, che coinvolgono attori umani e non umani e le cui differen-
ze di relazione devono essere prima evidenziate.
3. Il net-attivismo oltrepassa una dimensione puramente po-
litica sia riguardo alla qualità dell’azione in rete,116 sia rispetto alla
diversità tematica tipica di questo fenomeno.117
4. Il net-attivismo, quando istituzionalizzato, ossia trasfor-
mato in partito politico o in un’altra organizzazione simile, non ri-
flette più le caratteristiche uniche del fenomeno118 .
5. Così come i social network, il net-attivismo è complesso e
contraddittorio. I casi studiati hanno rivelato diverse incompatibi-

113 Di Felice M., Pireddu M., 2010, “Além do solipsismo: as naturezas

não humanas do humano”. In Idd. (Orgs.), Pós-humanismo: as relações entre


o humano e a técnica na época das redes, op. cit.
114 Rainie L., Wellman B., 2012, Networked: the new social operating system,

op. cit.
115 Lemos A., 2013, A comunicação das coisas: Teoria Ator-Rede e cibercultu-

ra, São Paulo, Annablume.


116
Di Felice M., 2017a, Net-ativismo: da ação social ao ato conectivo, op. cit.;
Id., 2017b, “O Net-ativismo e as dimensões ecológicas do agir nas redes
digitais: 20 teses em busca de uma linguagem”. In I. Babo; J. B. Miranda;
M. J. Damásio & M. Di Felice (Orgs.), op. cit.
117
Bragança de Miranda J., 1998, Traços – Ensaios da crítica da cultura, op.
cit.
118
Bey H., 2001, T. A. Z.: Zona Autônoma Temporária, op. cit; Blissett L.,
2000, Totò, Peppino e la guerra psichica: 2.0, op. cit.; Di Felice M., Muñoz C.,
1998, A revolução invencível. Subcomandante Marcos e Exército Zapatista de
Libertação Nacional – Cartas e Comunicados, op. cit.
120 Verso una società sostenibile

lità tra discorso e pratica, come, ad esempio, il protagonismo me-


diatico dei portavoce in movimenti che si presentano come oriz-
zontali o la trasformazione in partito politico (anche se il movimen-
to era emerso come apolitico).
6. Non è possibile considerare come un “oggetto” un feno-
meno di studio in costante processo di trasformazione. In assenza
di un'espressione migliore, adottiamo la sua negazione, cioè "non-
oggetto"; innanzitutto, per l'impossibilità di offrire una visibilità
generale delle reti e dei movimenti che vi sorgono e scompaiono,
spesso, con la velocità di un clic. In secondo luogo, dal momento in
cui la stessa storia si riscrive su Internet (link non più disponibili,
oscillazione tra connessione e disconnessione dei membri dei
gruppi), una mappatura dei casi sarà sempre solo un’immagine
temporanea del fenomeno.
7. La suddivisione in tipologie è uno strumento importante
per la selezione e l'analisi dei movimenti. Tuttavia, come fenomeno
trans-organico e pluriforme, il net-attivismo tende a confondere e
mescolare ogni tentativo di categorizzazione.
8. Il net-attivismo ci sfida a presentare conclusioni teoriche
su un tema in costante movimento. Seguendo la stessa direzione
dei movimenti net-attivisti che mettono in discussione lo status
quo sociale, sfidando le teorie tradizionali e tutti gli sforzi di cate-
gorizzarli, tali tesi hanno avuto l’obiettivo di contribuire, anche in
modo provocatorio, alla produzione di nuovi significati per com-
prendere il mondo di oggi.

La prosecuzione di questa ricerca, così come gli altri futuri stu-


di sul tema, dovranno confrontarsi con un mondo vorticoso, non
più moderno – e che, forse, va anche oltre il postmoderno. Il mon-
do dell’era digitale ci sfida a scoprire nuove strade per pensarlo,
descriverlo, sentirlo.
7. Né umano, né tecnologico: Merleau-Ponty e le
dimensioni ecologiche del sentire

Eli Borges Junior 119

Riflettendo su un argomento attuale e che può corrispondere


all'importanza con cui vediamo questo evento interdisciplinare che
attraversa anche il tema del sentire, ho affrontato due opzioni, di-
rei, un po' diverse l'una dall’altra.
In un primo momento, l'opzione forse la più probabile sarebbe
possibilmente percorrere un quadro teorico pieno di studi rappre-
sentativi, cercando di intravedere negli elementi “analizzati” –
specialmente nel contesto delle reti digitali – delle problematizza-
zioni teoriche che potrebbero, alla fine, giustificare, almeno, il tito-
lo di questo volume.
La seconda opzione sarebbe quella di affrontare specificamente
un unico tema che potrebbe, all’inizio, non definire le “dimensioni
ecologiche del sentire” – oppure un “sentire ecologico” – come
concetto o come qualcosa di articolato da esempi pratici, ma che

119
Componente del Centro Internazionale di ricerca Atopos
dell’Università di San Paolo del Brasile.
122 Verso una società sostenibile

situasse il lettore all’interno di una proposta più ampia – e, cre-


diamo, precedente: quella di ripensare i modi secondo i quali pro-
gettiamo il nostro rapporto con il mondo; voglio dire, ciò che con-
cepiamo come “corpo” e ciò che distinguiamo come “fuori del cor-
po”.
Parleremo qui di una prima dimensione che caratterizza que-
st'altra percezione del nostro rapporto con il mondo, qui segnalata
come la base teorica più interessante per immaginare questo “sen-
tire ecologico”. Questa prima dimensione potrebbe essere, soltanto,
quella ancora la più immediata a noi: il rapporto tra il nostro corpo
e il mondo. Questo perché il “sentire ecologico” suggerisce di
rompere i confini tra loro.
La dimensione a cui ci riferiamo sembra essere cadente, oggi,
con l'emersione di nuovi dispositivi tecnologici, sia per l’universo
della Virtual Reality o della Augmented Reality, sia per le Wearable
Technologies, sia anche per gli app di rete, solo per citarne un paio di
esempi emblematici. Questi dispositivi ci segnalano la urgenza di
un ripensamento della nozione di sentire oltre la dualità che l'ha
sempre segnata, sia da una prospettiva empirista – ambiente ester-
no/ambiente interno, corpo fisico/ambiente – sia attraverso una po-
larizzazione intellettualistica – coscienza/corpo, mente, oppure spi-
rito/corpo. Ecco perché abbiamo scelto, quindi, questa seconda
possibilità, cioè, non riferirci qui specificamente ai casi rappresen-
tativi. Pensiamo che sia più interessante concentrarci sui modi teo-
rici che ci aiutano a pensare ad una nuova forma di percezione of-
ferta da questi dispositivi – una percezione che non ammette più
una dualità tra un sentire interno e una cosa sentita, tra un corpo
organico e il suo esterno, tra intelletto e natura: in termini chiari,
facciamo spazio per riflettere su una percezione che non concepi-
sce più la separazione tra soggetto e oggetto, riconfigurando i si-
gnificati delle parole corpo e natura. Ecco perché facciamo qui una
Né umano, né tecnologico 123

breve lettura dell’interessante e molto originale Phénoménologie de


la perception di Maurice Merleau-Ponty. Abbiamo la prudenza di
avvertirvi che la missione sarà questa e speriamo che la vostra pa-
zienza venga premiata alla fine di questo sfogo creativo.
Sebbene Merleau-Ponty sia un autore degli Anni Quaranta e
Cinquanta, le sue opere sembrano prefigurare molti dei problemi
che sarebbero diventati importanti oggetti tematici negli ultimi de-
cenni. Se ci proponiamo il compito di sottolineare un aspetto im-
portante da Merleau-Ponty, sarebbe quasi impossibile ignorare il
suo tentativo di sciogliere le classiche dualità della filosofia, chiave
che porterebbe ai loro estremi sia la prospettiva intellettualistica sia
la prospettiva empirista con un obiettivo molto chiaro: rompere
entrambi prospettive a favore di una filosofia di apertura, in cui i
confini tra dimensioni tradizionali come soggetto e oggetto, natura
e cultura, corpo e mondo, sembrano essere tradotti da un nuovo
rapporto tra l'esistenza e l'esperienza.
Cerchiamo di evidenziare il modo come Merleau-Ponty ha pre-
sentato l'argomento del soggetto nella sua relazione tra il problema
del corpo e quello della sua esistenza nel mondo, percorso riflessi-
vo che, in ultima analisi, sarà articolato dalla nozione di “percezio-
ne”. Sarà, quindi, in una épaisseur120 tra questo soggetto che perce-
pisce e l'oggetto percepito che si stabilisce uno dei punti su cui ini-
zia la sua prospettiva fenomenologica della percezione: il sentire. Il
nostro obiettivo qui, dunque, è quello di presentare alcuni punti di
riflessione che ci possono aiutare a ricostruire, anche se brevemen-
te, i modi in cui il filosofo sembra comprendere l’esperienza come
un rapporto, nel nostro parere ecologico, come una non-

120
Termine utilizzato diverse volte da Merleau-Ponty. Cfr. Id., 1945,
Phénoménologie de la perception, Paris, Éditions Gallimard, collection «Biblio-
thèque des Idées».
124 Verso una società sostenibile

separazione, proprio una non definizione, tra soggetto e oggetto.


Partiamo, dunque, dalle ambizioni di Merleau-Ponty nel senso di
destabilizzare i modelli classici che privilegiano o la coscienza, co-
me unica titolare del compito epistemologico, o l'oggetto, in uno
sforzo autonomo per cercare di proteggerlo contro qualsiasi in-
fluenza di un soggetto cosciente.
In questo modo, riferiamoci alla sua riflessione sull'esperienza
in Phénoménologie. È con la critica delle prospettive intellettualista
ed empirista della sensazione che Merleau-Ponty sembra articolare
le basi di questa sua elaborazione. Però, prima di provare a capire
bene tale sforzo del filosofo, è importante porre qui un’altra do-
manda: a quali tendenze obbediscono l'intellettualismo e l'empiri-
smo quando si tratta del "sentire"? E perché esattamente il filosofo
le mette in scacco?
Merleau-Ponty farà il suo percorso riflessivo sulla sensazione
punteggiando queste tendenze. Nella prefazione a Phénoménologie
annuncia che l’intellettualismo tratta la coscienza come qualcosa di
separabile dal mondo, assumendo, così, la separazione tra il sog-
getto stesso e l'oggetto a cui sarebbe orientato. Ciò presuppone, se-
condo Merleau-Ponty, la possibilità di una distinzione tra la sfera
del soggetto e quella dell'oggetto, dalla quale la coscienza si po-
trebbe distinguere in qualsiasi momento e alla sua volontà. Tutta-
via, afferma il filosofo, questo non sarebbe possibile nella misura in
cui «siamo presi nel mondo e non possiamo allontanarcene e pas-
sare alla coscienza del mondo»121 : idea riferibile alla nozione di “in-

121
Nell’originale: «Nous sommes pris dans le monde et nous n’arrivons
pas à nous en détacher pour passer à la conscience du monde» (Merleau-
Ponty, 2011, p. 11).
Né umano, né tecnologico 125

tenzionalità”122 di Husserl123 . Seguendo in gran parte le orme del


suo precursore tedesco, Merleau-Ponty sottolinea l'impossibilità di
concepire coscienza come qualcosa in sé, ma piuttosto per qualco-
sa: la coscienza mai è coscienza in sé stessa perché, se è coscienza, è
coscienza di qualcosa, è sempre in relazione a qualcosa che non è
lei stessa.
Alla sua volta, l’empirismo, anche se favorendo l’altra estremità
della tensione soggetto-oggetto, segue, come l’intellettualismo,
questo approccio dualistico nella misura in cui rafforza la distin-
zione tra la coscienza e il mondo, progettando l’oggetto come sin-
golo regno di emergenza del suo proprio senso, come se una quali-
tà potrebbe essere, come emerge dal pensiero del filosofo francese,
immediatamente sperimentata. Dunque, mentre l'intellettualismo
progetta la sua prospettiva epistemologica sulla coscienza e la con-
sidera come territorio della verità, l’empirismo, invece, considera
l'oggetto esterno alla coscienza come la fonte primaria di cono-
scenza: è l’oggetto che rivela la sua verità (pensiamo all'osserva-
zione delle leggi della natura, per esempio). Occorre, pertanto, evi-
tare la contaminazione tra l'osservatore soggetto e l'oggetto osser-
vato allo scopo di assicurare così la verità dell'ultimo.
Queste due tendenze sembrano situare il soggetto che sente e la
cosa sensibile come due dimensioni assolutamente incongruenti,
una alienabile dall'altra, formulando un’operazione del sentire più
da una prospettiva di trasmissione, di semplice conduzione, che
esattamente un rapporto tra coscienza e mondo. In questo modo,
Merleau-Ponty suggerisce che la scienza moderna non risolve il

122
Vale la pena controllare lo studio specifico sulla nozione di inten-
zionalità in Husserl di Jocelyn Benoist in Intentionalité et langage dans les
recherches logiques de Husserl (Benoist, 2001).
123
Vedi Husserl, 2013.
126 Verso una società sostenibile

problema di tale opposizione, ma, al contrario, dalla sua prospetti-


va oggettivistica di approccio del mondo, lei tenderà a capire la
sensazione all’interno dello schema fisiologico classico, in una ope-
razione sensoriale che funziona come una sequenza causale-
consequenziale di stimoli e risposte architettate da un corpo uma-
no e le sue proprietà fisiche e chimiche124 .
Secondo Merleau-Ponty, tuttavia, non c’è alcuna possibilità di
concepire l'esistenza esclusivamente dagli estremi della coscienza o
della cosa. Sarà, quindi, l’intermezzo lo spazio di sviluppo della
filosofia merleaupontyana: la sensazione, piuttosto che uno stru-
mento che risiede in uno o nell'altro polo, è, invece, una “relazio-
ne” tra loro. Ma, come Merleau-Ponty cerca di superare queste
dualità sia dell'intellettualismo, sia dell'empirismo?
Come osservato da Alex Moura125 , Merleau-Ponty raggiunge al-
la fine un senso di Cogito, l’atto del pensiero, che non si chiude in
sé stesso – come il ritorno assoluto all’Io, in Descartes – ma è sem-
pre esposto a una fattualità inalienabile. Il pensare, quindi, rivela
necessariamente un altro: quello che è pensato. E questa alterità
sarebbe non una carenza che potrebbe mettere in discussione
l’affidabilità del pensare, ma proprio un rassicurante della sua esi-
stenza. Pensare è sempre un atteggiamento che rivela qualcosa ol-
tre sé stesso: questa cosa è quello che si pensa. Ciò significa che il
pensare è sempre un atto relativo e non assoluto, non isolato. Mer-
leau-Ponty dirà che il nostro pensare è un pensiero che si verifica
sempre in una situazione, in un contesto, cioè, in relazione, in co-
munione con qualcosa. Essere sempre inscritto in una situazione,

Vedi Merleau-Ponty, op. cit., p. 17.


124

Riflessione sviluppata nel suo studio sulla filosofia di Merleau-Ponty


125

da una prospettiva ontologica, attraversando per questo, i concetti di “li-


bertà” e “situazione”. Vedi Moura, 2010.
Né umano, né tecnologico 127

vale a dire, significa essere sempre in un mondo ed in una storia.


La nozione di situazione, questo pensare sempre in un contesto
e mai come qualcosa in sé, quindi, si traduce in un'apertura inarre-
stabile del cogito, dissolvendo ogni possibilità di incarceramento
della coscienza stessa, mentre rende impossibile per il Cogito con-
siderare ciò che “è pensato” come “oggetto puro”. Questo movi-
mento della filosofia merleaupontyana, quindi, destabilizza sia le
basi di un supposto intellettualismo, sia l'empirismo nell'approccio
del sentire: la forza dei contorni del “soggetto senziente”" e della
“cosa sentita” è ridotta. Il filosofo è chiaro: «Il soggetto della sensa-
zione non è né un pensatore che nota una qualità né un mezzo
inerte che potrebbe essere influenzato o modificato da essa; è una
potenza che co-nasce in un certo mezzo di esistenza o si sincroniz-
za con esso»126.
Merleau-Ponty ci annuncia la sensazione come una forma di
“comunione”, come “modo di essere nel mondo”127 – e, perché no,
come un "modo di esistenza" –, in un tipo di movimento reciproco
del mio corpo in direzione al mondo (senza ignorare la sua iscri-
zione all'interno di quest'ultimo) e di questo mondo sul mio cor-
po128 . Ed è, in questo senso, che potremmo scorgere la sua conce-
zione del sentire come un sentire ecologico: un sentire che non ci

126
Nell’originale: «Le sujet de la sensation n’est ni un penseur qui note
une qualité, ni un milieu inerte qui serait affecté ou modifié par elle, il est
une puissance qui co-naît à un certain milieu d’existence ou se synchronise
avec lui» (Merleau-Ponty, op. cit., p. 245).
127
Vedi, ivi, pp. 245-246.
128
Questo ci permetterebbe di sfuggire alle strette nozioni di “corpo vi-
vente” o “soggettività” nelle tendenze empirista o intellettualista, nelle
quali «tandis que le corps vivant devenait un extérieur sans intérieur, la
subjectivité devenait un intérieur sans extérieur, un spectateur impartial»
(ivi, p. 68).
128 Verso una società sostenibile

separa dalla natura stessa, né ci lascia fuori dal contesto in cui ope-
riamo, che non pone la sua verità nell’oggetto conosciuto, né af-
ferma il soggetto conoscente come unica istanza di verità, separabi-
le dalla natura. Merleau-Ponty riconosce le differenze tra loro, an-
che se dice che è impossibile tracciare confini definitivi tra uno e
l'altro. La qualità, quello che si riconosce nell’oggetto, come il filo-
sofo osserva, più che qualcosa di obiettivo, si lascia riconoscere, ed
è nell’adottare un atteggiamento di tale qualità, che ottengo una
quasi presenza"129 della stessa130 . È per questo che, in Merleau-
Ponty, proprio come si parla di un’intenzionalità del soggetto, si
può parlare di un’intenzionalità dell’oggetto.
Interessante notare che la nozione di situazione di Merleau-
Ponty come percezione in un contesto, sembra dialogare con ciò
che il filosofo concepisce come rapporto figura / sfondo – la base
del rapporto percettivo. Tale rapporto è visto dal filosofo come un
elemento chiave che, alla fine, distingue la nozione di sensazione
da quella d'impressione pura. Ciò che viene percepito è sempre
percepito in relazione a uno sfondo che lo contiene e i cui confini
sembrano sfuggenti: «il qualcosa percettivo è sempre nel mezzo di
qualcos’altro, è sempre parte di un “campo”131 . La sensazione non

129
Merleau-Ponty focalizzerà questa riflessione sull'esempio dell'ope-
razione percettiva dei colori (ivi, p. 245).
130
Questo ci invita a pensare ad una sorta di "doppia intenzionalità" o
di intenzionalità dell'oggetto.
131
Nell’originale: «Le “quelque chose” perceptif est toujours au milieu
d’autre chose, il fait toujours partie d’un “champ”» (ivi, p. 10). Questo
campo è indefinibile nei suoi confini, così come il campo visivo, un esem-
pio presentato da Merleau-Ponty, e in cui ammette che «la région qui en-
toure le champ visuel n’est pas facile à decrire», non essendo essa «ni noire
ni grise», aggiungendo ancora che «il y a une vision indéterminée, une vi-
sion de je ne sais quoi, et, si l’on passe à la limite, ce qui est derrière mon
Né umano, né tecnologico 129

può, quindi, essere definita come pura impressione, essendo essa,


in effetti, qualcosa di introuvable un termine utilizzato dal filosofo
stesso.
In un certo modo, forse, possiamo considerare che ogni impres-
sione è inscritta in una particolare situazione. Nulla che sentiamo è
sentito interamente da noi, ossia, all'interno di noi. La sensazione
non è mai qualcosa di completamente interno. Anche se abbiamo
una macchia bianca su uno sfondo omogeneo132 , ci sono alcuni
punti che ci pongono in grado di distinguerla da una superficie più
ampia. Ma, sebbene ci sia una certa distinzione tra la macchia e la
superficie, non si può concepire i loro confini come parti separate:
c'è sempre un rapporto tra loro, questo perché ognuna "annuncia
più di quanto [propriamente] non contenga"133 , essendo quindi im-
percettibili da sole. È in questa direzione, quindi, che Merleau-
Ponty sembra orientarsi, mentre sottolinea che costruiamo la per-
cezione con l'oggetto percepito stesso134 , rendendo impossibili le
interpretazioni che cercano di situare in estremi opposti ciò che è,
infatti, configurato come una relazione. La sensazione, come ci
avrebbe detto più tardi, «ci insegna la relazione vivente di colui
che percepisce con il suo corpo e il suo mondo»135 . La sensazione è
qualcosa di costruito in una sorta di interazione tra chi percepisce e
ciò che viene percepito, ciò che permette di essere percepito nel
mondo perché è collocato su di esso in un certo contesto.

dos n’est pas sans présence visuelle» (ivi, p. 12). Il corsivo è stato segnalato
dall’autore.
132
Un altro esempio di Merleau-Ponty (ivi, p. 9).
133
Nell’originale: «Chaque partie annonce plus qu’elle ne contient» (ivi,
p. 9).
134
Ivi, p. 11.
135
Nell’originale: «nous enseigne le rapport vivant de celui qui perçoit
avec son corps et avec son monde» (ivi, p. 241).
130 Verso una società sostenibile

Ma, come sarebbe questo rapporto tra l'atto di percepire e la co-


scienza di qualcosa percepita? Secondo Merleau-Ponty, come po-
tremmo distinguere la coscienza sensibile dalla coscienza intellettua-
le? Per lui, ci sarebbe, nel caso di coscienza intellettuale, una sorta di
operazione impossibile da parte della coscienza sensibile: possiamo
dire che sentiamo qualcosa o che vediamo il blu – uno dei suoi
esempi – c'è qualcosa del blu che si annuncia a noi, come qualsiasi
cosa dall’esterno, anche se vista dalla nostra interiorità. È come se
fossimo in qualche misura anche sottoposti al blu, divorati da uno
“stupore”, in cui ci colloca. Sembra esserci, così, una sorta di perdita
di controllo della coscienza intellettuale mentre mi pongo assorto
davanti alla cosa percepita; una specie di perdita di controllo in mo-
do tale che, al limite, ci porta ad uno spostamento di un io percepi-
sco ad un si percepisce in me136 . Questo significa che non abbiamo
l'assoluto controllo intellettuale di ciò che sentiamo: esiste una di-
mensione che ci sfugge e, anche se può essere catturata dalla nostra
coscienza sensibile, ci lascia spaventati: la dimensione senza parole.
Ovviamente, Merleau-Ponty ci avverte: c’è qualcosa all'interno, co-
me un movimento del nostro corpo, o anche una capacità di sensibi-
lità di questo corpo. Tuttavia, lui afferma che questa attività sarebbe
sviluppata nella periferia del mio essere, ciò che non ci darebbe il
pieno controllo come "vero soggetto della mia sensazione"137: «Ogni

136
Vedi Merleau-Ponty, op. cit. p. 250. Sottolineerà Merleau-Ponty in
complementazione: «J’éprouve la sensation comme modalité d’une exi-
stence générale, déjà vouée à un monde physique et qui fuse à travers moi
sans que j’en sois l’auteur» (ibidem).
137
Vedi Merleau-Ponty, op. cit. p. 249. E qui Merleau-Ponty rimanda la
nozione di sensazione alle nozioni di nascita e morte. Proprio come non ha
senso pensare ad un “io sono nato” o un “io muoio” (poiché presuppor-
rebbe la nostra preesistenza alla nostra nascita o la nostra sopravvivenza
alla nostra morte: “Posso solo intendere me stesso come “già nato” o ‘anco-
Né umano, né tecnologico 131

volta che provo una sensazione, sento che essa non riguarda il mio
essere, quello di cui sono responsabile e di cui decido, ma riguarda
un altro io che ha già preso posizione nel mondo, che ha già aperto
alcuni dei suoi aspetti e sincronizzato con loro»138 .
C'è, dunque, qualcosa di anonimo nella sensazione, di non ri-
conoscibile e, perché no, di strano e paradossale. Questa condizio-
ne di anonimo è legata direttamente alla stessa parzialità della sen-
sazione nel senso di non situarsi mai completamente sulla qualità
percepita139 : quando vediamo qualcosa, secondo Merleau-Ponty, ci
rendiamo conto che c'è sempre qualcosa al di là di ciò che vedia-
mo, essere collegato non solo alla visione, ma anche al tatto,
l’udito140. Pertanto, “non sono mai completamente in queste opera-
zioni”141 , anche se ognuna è iscritta in una certa specialità del no-
stro essere. Quindi, quando percepiamo il blu, potremmo dire che
esso viene percepito in noi. C’è una dimensione attiva in noi che
non ha rapporto con la nostra coscienza. E così, se c’è una sorta di
azione senza coscienza, come mai non prendere in considerazione
un’azione degli oggetti stessi? È sotto questo ragionamento che
Merleau-Ponty ci parlerà di un’intenzionalità degli oggetti.

ra vivo’”), non avrebbe senso pensare ad un rigido “mi sento”; c’è sempre
un “in mezzo”, una “conoscenza originale”, nei termini del filosofo, uno
“spessore” in cui si passa da “me” a “mia sensazione” (ivi, pp. 249-250).
138
Nell’originale: «Chaque fois que j’éprouve une sensation, j’éprouve
qu’elle intéresse non pas mon être propre, celui dont je suis responsable et
dont je decide, mais un autre moi qui a déjà pris parti pour le monde, qui
s‘est déjà ouvert à certains de ses aspects et synchronisé avec eux» (ivi, p.
250).
139
Ciò si relaziona alla limitazione stessa del campo fenomenico, alla
sua impossibilità di totalità, come sopra indicato.
140
Vedi Merleau-Ponty, op. cit., p. 250.
141
Nell’originale: «je ne suis pas tout entier dans ces opérations» (ivi, p.
250).
132 Verso una società sostenibile

Merleau-Ponty articola, quindi, la distinzione tra una situazio-


ne data della percezione e una situazione creata dall’atto persona-
le, facendo, così, una distinzione tra operazione sensoriale ed ope-
razione intellettuale. C'è sempre nel sentire qualcosa che viene
dall'esterno, un po' inaspettata, il risultato diretto di apertura alle
possibilità del mondo. Ed è in questo senso che si potrebbe vedere
nella nozione merleaupontyana del sentire un carattere veramente
“ecologico”, complesso, integratore, che è la comunione tra la co-
scienza e il mondo, sciogliendo le loro frontiere. E, così, negando la
possibilità di controllo assoluto sul mondo, il concetto di percezio-
ne di Merleau-Ponty si apre ad una certa dimensione di impreve-
dibilità inesorabile davanti il proprio carattere del fenomeno, ciò
che appare e che ci rendiamo conto e che sentiamo nella misura
unica in cui è percepito e sentito. Quello che pensiamo, o quello
che possiamo poi ricordare o prevedere, non può corrispondere,
stricto sensu, all’épaisseur della sensazione unica in sé stessa, come
una nascita, oppure una morte142 . Il compito merleaupontyano
sembra soddisfarci: si indeboliscono le possibilità di un sentire in-
capsulato nella coscienza o esclusivamente confinato in una “cosa
sentita”.
Così, seguendo la traiettoria della Phénoménologie di Merleau-
Ponty non sembra essere possibile utilizzare una nozione di sensa-
zione che, alla fine, è espressa da estremi come “soggetto che sen-
te” e “cosa sentita”. E, in questo senso, il carattere serpeggiante,
quasi labirintico, della sua scrittura sembra puntare, proprio, su un
modo di intraprendere, nella sua filosofia, movimenti imprevisti
derivanti dalla spontaneità del fenomeno. Forse una reazione ri-
flessiva allo stupore, all’épaisseur, non confortevole perché scono-
sciuta, di una propria esperienza “ecologica” del sentire.

142
Vedi Merleau-Ponty, op. cit., p. 250.
8. Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità
ambientale

Hugo Fortes 143

Questo saggio tratta del potenziale comunicativo dell’arte con-


cernente l’ambiente con un focus specifico sulle opere d’arte e
le mostre dedicate ai temi relativi all’acqua. Il saggio presenta
un ampio panorama sull’uso dell’arte per sollecitare una con-
sapevolezza ecologica sulla gestione sostenibile delle risorse
idriche e l’Autore si avvale anche di sue opere sul tema.

8.1 Introduzione

Negli ultimissimi anni, l’ambiente è divenuto uno dei principali


oggetti di discussione in ambito culturale e comunicativo. Lungo
tutto il secolo scorso, l’uomo si è notevolmente allontanato dalla
natura e ha creato nuovi ambienti negli interstizi fra natura e spazi

143
Visual Artist, Curatore di esposizioni, Designer e professore associa-
to dell’Università di San Paolo del Brasile.
134 Verso una società sostenibile

tecnologici. All’inizio dello scorso secolo, la natura già non era più
un luogo idilliaco e intatto, ma uno spazio conteso fra natura e cul-
tura. Marshall McLuhan144 ci aveva già avvertito: «le nostre prolife-
ranti tecnologie hanno creato una serie di nuovi ambienti» e, quin-
di, «gli uomini sono diventati consapevoli di come le arti possano
considerarsi “anti-ambienti” o “contro-ambienti” che ci forniscono
la percezione dello stesso ambiente».
Attualmente, cultura e natura non sono più viste in opposizio-
ne, ma sono concepite in continuità con limiti concettuali non ben
definiti. La concreta idea di Antropocene145 propone gli umani co-
me produttori di realtà sia culturale che naturale. Molti autori con-
temporanei quali Vilém Flusser146 , Bruno Latour147 e Cary Wolfe,148
fra gli altri, hanno argomentato sul tema della ingarbugliata rela-
zione fra cultura e natura nella società contemporanea. Allo stesso
tempo, i discorsi ecologici si sono trasformati dal trattare una pre-
servazione restrittiva della natura a quelli sullo sviluppo sostenibi-
le. La stessa parola “ecologia” ha visto ampliare il suo significato
fino ad includere quello relativo ad un sistema non solo composto
da elementi naturali, ma anche tecnologici, culturali, sociali, scien-
tifici, economici e politici.

144 McLuhan M., 1964, Understanding Media. 2nd ed., New York,

McGraw Hill, p. 214.


145
Definition of Anthropocene: the period during which human activi-
ties have had an environmental impact on the Earth regarded as constitut-
ing a distinct geological age. (Source: Merriam-Webster Dictionary.
https://www.merriam-webster.com/dictionary/Anthropocene)
146
See Flusser V., 2011, Naturalmente. Vários acessos ao significado de natu-
reza, São Paulo, Annablume, 2011.
147
See Latour B., 2014, Para distinguir amigos e inimigos no tempo do
Antropoceno, Revista de Antropologia 57(1), pp.11-31.
148
See Wolfe C., 2000, What is Post-humanism?, Minneapolis, University
of Minnesota Press.
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 135

In tema di sviluppo sostenibile, la comunicazione e le arti han-


no un ruolo centrale per favorire una maggiore coscienza ambien-
tale. Secondo Milstein, Pileggi and Morgan, la comunicazione am-
bientale «è considerata quale un processo sociale potente che non
solo riflette, ma lavora anche per la “costruzione, produzione e na-
turalizzazione di specifiche relazioni e realtà ecologiche».149 Mark
Meisner,150 Direttore esecutivo dell’International Environmental
Communication Association, supporta questa interpretazione af-
fermando che la comunicazione ambientale è, allo stesso tempo,
«uno strumento pratico ed essenziale per l’azione sociale» e «gioca
un ruolo fondamentale nel creare senso» definendo ciò che noi
siamo e valorizzando il nostro mondo.
La comunicazione sui temi ambientali non è solo un processo di
trasmissione di informazione razionale, ma esso deve includere
stimoli emozionali per coinvolgere l’audience e promuoverne
l’attivazione. C’è «un gap fra conoscenza scientifica e comporta-
mento ambientalista»151 e, per colmarlo, bisogna utilizzare imma-
gini, narrazioni emozionali, stimoli sensoriali, disegni grafici ecc.
La comunicazione può usare molteplici strumenti e risorse per
coinvolgere gli individui ed accrescere la loro coscienza ambienta-
le, ad esempio, i report giornalistici, le campagne pubblicitarie, gli
eventi pubblici, le rappresentazioni grafiche ecc. Anche le mostre
d’arte possono essere un importante modo per comunicare e gene-

149
Milstein T., Pileggi M., Morgan E. L., 2017, Environmental communica-
tion pedagogy and practice, New York, Routledge, p. 2.
150
Meisner M., 2015, Environmental Communication: What it is and Why it
Matters, International Environmental Communication Association,
https://theieca.org/resources/environmental-communication-what-it-and-
why-it-matters.
151
Barker S., 2006, “Environmental Communication in Context”, Fron-
tiers in Ecology and the Environment 4(6), pp. 328-29,
http://www.jstor.org/stable/3868846.
136 Verso una società sostenibile

rare empatia verso l’etica ambientalista e, in questo senso, l’arte


può essere intesa come comunicativa. Attualmente, con l’avvento
dei media digitali, i confini fra arte e comunicazione si sono fatti
sempre più tenui. Sebbene comunicazione e arte possano avere, in
alcuni casi, obiettivi ben distinti, esse possono lavorare insieme per
favorire creatività e coinvolgimento emozionale.
L’arte si è sempre servita di una componente comunicativa an-
che quando è sembrata oscura e indiretta. John Dewey ha definito
l’arte «la più universale e libera forma di comunicazione»152 . L’arte
può evocare esperienze estetiche e, facendo ciò, può penetrare nel-
le più profonde emozioni degli individui comunicando il suo mes-
saggio in un modo davvero speciale. Sebbene l’arte non possa es-
sere ridotta al suo effetto comunicativo, dal momento che il suo
potenziale va ben oltre, noi non possiamo negare che essa abbia un
modo davvero efficace di comunicare.

8.2 Acqua e arti visuali

L’acqua è probabilmente l’elemento naturale più importante per la


vita dell’uomo e uno dei più centrali nella storia della cultura. La
ricerca dell’acqua e il tentativo di dominarla ha dato vita a diversi
processi politici, sociali, tecnologici e culturali. L’acqua è fonda-
mentale per il nutrimento, il trasporto, la scienza, la salute, il clima,
le costruzioni, la difesa, i rituali ecc. É stata studiata dalle più di-
sparate discipline, settori scientifici quali la fisica, la chimica, la
biologia, la medicina, l’ecologia, l’igiene e la salute urbana, i tra-
sporti, i conflitti bellici e le tecniche di navigazione, l’agronomia,

152
Stroud S., 2007, “Dewey on Art as Evocative Communication”, Edu-
cation and Culture 23(2), pp. 6-26, http://www.jstor.org/stable/42922609.
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 137

l’architettura e l’ingegneria, l’economia, gli studi culturali, lo sport,


le religioni e le teorie esoteriche.153
Attraverso la storia dell’arte, l’acqua è stata lungamente rap-
presentata e nei più disparati modi: nelle scene religiose come il
Battesimo di Cristo o il Diluvio Universale nel Rinascimento, nella
pittura olandese dei secoli XVI e XVII, nei sublimi scenari romanti-
ci del XVIII e XIX secolo, nella vita quotidiana dalla pittura im-
pressionista e così via. L’uso dell’acqua, non come rappresentazio-
ne, quanto come materia concreta impiegata nelle installazioni ar-
tistiche, comunque, è più recente, iniziata nella seconda meta del
XX secolo.
L’interesse delle arti visive per l’ecologia si è accresciuto dopo
gli Anni Sessanta. La “land art” e i movimenti per l’arte concettua-
le aprirono nuove opportunità per gli artisti che iniziarono a creare
opere più interattive con ogni tipo di materiale, inclusi quelli li-
quidi. Uno dei primi artisti che utilizzò l’acqua come materia di
lavoro fu il tedesco Hans Haacke negli anni Settanta. Nella sua
opera “Kondensationswürfel” (Cubo a condensazione) l’artista
pone una piccola quantità di acqua in una scatola acrilica traspa-
rente, lascandola condensare e scorrere lungo le pareti del cubo a
seconda della temperatura della stanza. Haacke creò anche altre
scatole in acrilico con acqua e aria che potevano essere manipolate
dallo spettatore. In queste opere le condizioni ambientali del luogo
in cui si trova l’opera d’arte interagiscono con l’opera stessa, pro-
ducendo una relazione ludica e sensoriale con l’osservatore.
L’acqua non può essere solo osservata, ma anche esperita in tutti i
suoi aspetti fenomenologici.

153
Fortes H., 2006, Poéticas Líquidas. A água na arte contemporânea. PhD
Dissertation. University of São Paulo.
138 Verso una società sostenibile

Nell’opera “Rheinwasseraufbereitungsanlage” (Rhine Water


Treatment Station) l’artista problematizza le questioni relative
all’ecologia e all’entropia. In quest’opera Hans Haacke raccoglie
acqua inquinata del fiume Rhine e la schiarisce attraverso un trat-
tamento chimico. L’acqua così purificata è esposta in un grande
acquario in cui nuotano pesci. L’acqua purificata è poi risospinta
nel fiume attraverso pompe trasparenti. Sebbene l’opera non possa
purificare l’intero fiume, la sua funzione è quella di rappresentare
un’utopia che tenta di catalizzare l’attenzione sull’importanza del-
la protezione della natura. Esponendo acqua trattata, oltre a quella
originaria inquinata, Hans Haacke sottolinea come l’acqua sia una
fonte di vita e una materia che simboleggia la purezza e la chiarez-
za cristallina. Sebbene l’azione concettuale prevalga sulla formale
configurazione del suo lavoro, non si può non notare la qualità
estetica che si ottiene confrontando differenti gradi di trasparenza
o la bellezza poetica dell’immagine dei pesci che nuotano
nell’ampio acquario. La necessità di preservare l’acqua è comuni-
cata efficacemente da questo affascinante lavoro artistico. Grazie
ad esso è enfatizzato il nostro favore per l’ambiente nella concreta
esperienza dell’osservazione dell’acqua prima inquinata e poi pu-
rificata.
L’arte contemporanea ha giocato un ruolo importante nella de-
finizione di una nuova relazione epistemologica fra uomo e natura.
Anziché cercare una natura originale introvabile e intoccabile, di-
versi artisti contemporanei stanno assumendo una posizione criti-
ca rispetto alla relazione fra arte e natura nella società contempo-
ranea, includendo nelle loro opere immagini della natura prodotte
dalla scienza e dai media. Invece di chiedere direttamente che si
operi per la protezione della natura, questi artisti scelgono di mo-
strare come si sviluppi la nostra artificiale relazione con la natura.
L’artificialità della natura contemporanea è il principale oggetto
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 139

delle opere dell’artista danese Olafur Eliasson. Egli ricrea ambienti


naturali usando la tecnologia, così rendendo visibile l’apparato
tecnico con il quale allestisce i suoi artificiali panorami. I suoi lavo-
ri definiscono il nuovo concetto di “sublime”, usando la tecnologia
e la meccanizzazione degli effetti naturali. Uno dei suoi più noti
lavori è una cascata d’acqua artificiale, nella quale l’acqua è fatta
zampillare meccanicamente scalando la cascata invece che scor-
rendo secondo il suo corso naturale. Eliasson non nasconde
l’artificio meccanico alla base di questa cascata, ma, al contrario, lo
mette ben in evidenza. In questo modo, noi possiamo vedere una
cascata invertita circondata da tubi di metallo, plastica, mulini e
motori tessili, ma l’opera è posta in una foresta naturale, produ-
cendo così una forte stranezza e contrasto. Eliasson ha creato anche
diverse ampie cascate artificiali a New York che sembrano ironi-
camente imitare i siti naturali in una delle megalopoli inquinate
per eccellenza.
In un’altra opera, esposta in un museo austriaco, Eliasson ricrea
molti ambienti naturali all’interno delle stanze dell’edificio che
ospita il museo. In uno degli ambienti ricreati, il visitatore deve at-
traversare un ponte di legno sospeso, immerso nella nebbia di cui è
colma l’area che ospita l’esposizione. Spostandosi in un’altra stan-
za, il visitatore cammina su di un pavimento costruito nel bel mez-
zo di un lago pieno di piante acquatiche, creato riempiendo la
stanza dell’esibizione con acqua. C’è un ampio divario fra la su-
blime visualità offerta dall’installazione di Eliasson e il luogo in cui
il museo è situato, ossia una struttura architettonica moderna chia-
ra ed asettica.
Eliasson ha anche compiuto performance artistiche sui fiumi,
colorandoli con pigmenti verdi non nocivi per le acque. Il colore
fortemente artificiale dei “suoi” fiumi incanta per la sua bellezza,
ma, allo stesso tempo, crea una certa repulsione per la sua artificia-
140 Verso una società sostenibile

lità, portandoci a riflettere sull’inquinamento ambientale. Con que-


ste opere l’artista intende suscitare i nostri desideri sugli scenari
ambientali ideali e verificare come siano irrealizzabili nelle attuali
condizioni.

8.3 Poetiche liquide

Nel mio lavoro di artista mi sono anche occupato di paesaggi arti-


ficiali, specialmente in relazione a scenari acquatici. Le mie prime
opere sono state acquari fatti di acqua, paraffina, argilla e altri ma-
teriali che simulavano veri e propri ecosistemi acquatici. Essi erano
una sorta di paesaggi nei quali processi fisico-chimici come il gal-
leggiamento, la trasparenza e la dissoluzione operavano quali for-
ze di trasformazione. Le forme organiche, fatte di paraffina, gal-
leggiavano sull’acqua dando l’impressione di leggerezza ed eleva-
zione. Le opere assomigliavano ad iceberg che si scioglievano ri-
cordandoci che il tempo è fluido. Esse erano una sorta di laborato-
rio nel quale i processi fisico-chimici potevano essere osservati
dentro un ambiente liquido.
Dopo il 2003, ho iniziato a creare installazioni che si ispiravano
a fiumi artificiali, realizzati grazie ad una grande quantità di ac-
quari con terra e acqua a vari livelli. Diverse di queste installazioni
hanno fatto riferimento ai problemi relativi all’inquinamento dei
fiumi, riflettendo sulla relazione artificiale fra l’uomo e il paesag-
gio nelle città contemporanee. La prima è stata realizzata nella città
brasiliana di Ribeirão Preto, che significa Torrente nero. È una
grande città del Brasile e il fiume che la attraversa non può essere
visto perché la metropoli lo ha come ingoiato. In questa opera i
fiumi contemporanei nei centri urbani sono rappresentati come
un’architettura.
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 141

Fig. 1. Ribeirão, Installazione artistica di Hugo Fortes, 2003. Foto:


Hugo Fortes

L’acqua è divisa in scatole e non può fluire seguendo il suo na-


turale percorso. Ogni acquario sembra come un freddo e artificiale
grattacielo, sebbene l’acqua e il fango ci ricordino il fiume origina-
rio.
L’opera “Pirapora”, la seconda installazione di questa serie si
ispira all’inquinamento del fiume Tietê, nella città di Pirapora do
Bom Jesus, nei pressi di San Paolo del Brasile. Il diffuso inquina-
mento industriale che interessa il fiume ha provocato la formazio-
ne di larghe chiazze schiumose che galleggiano sulla superficie e
che hanno ormai invaso il tratto che attraversa la città. Nell’opera
questo effetto dell’inquinamento è stato rappresentato grazie
all’impiego di calce e argilla chiara inserite in acquari colmi di ac-
qua. Gli acquari rettangolari formano una linea rigida continua,
ma frammentano l’acqua rendendo impossibile il flusso.
In un’altra installazione, intitolata “Dove”, mi sono occupato
dell’artificiale deviazione del corso del fiume São Francisco, quale
142 Verso una società sostenibile

è ora in Brasile. Questo fiume è stato deviato dal suo corso regolare
al fine di beneficiare l’industria agricola di alcune aree del Brasile.
È stato un progetto molto contestato. Per realizzarlo i paesaggi so-
no stati trasformati provocando danni ambientali e le popolazioni
indigene del luogo sono state trasferite. Per rappresentare questi
spostamenti ho aggiunto scatole da trasporto all’installazione che
simboleggiano l’idea del trasferimento e dell’incertezza conseguen-
te, sottolineando l’artificialità del paesaggio così ottenuto.

Fig. 2. Chattahoochee, Installazione artistica di Hugo Fortes, 2014.


Foto: Hugo Fortes

Nel 2014 sono stato invitato a partecipare alla residenza di un


mese per artisti alla Columbus State University in Georgia negli
Stati Uniti. Il campus era situato molto vicino al fiume Chatta-
hoochee. Lavorando con la comunità locale ho potuto realizzare
una grande installazione multimediale per riflettere sul centrale
ruolo del fiume Chattahoochee per lo sviluppo della regione, par-
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 143

tendo dalla sua definizione e ripercorrendo la sua storia. In questa


opera, non solo mi sono dedicato all’ambiente naturale, ma
all’intero contesto storico e sociale nel quale il corso del fiume si
sviluppa. L’installazione includeva alcuni testi sulla storia locale
che sono stati stampati in cera e ceramica. Inoltre, è stata inserita
una performance realizzata grazie all’artista Síssi Fonseca e ad al-
cuni studenti della Columbus University, nella quale i partecipanti
hanno rappresentato ruoli importanti per la definizione del conte-
sto attraverso la sua storia.

Fig. 3. Amazonia Insomnia, Video-Installazione di Hugo Fortes,


2018. Foto: Bruno Zanardo

Negli ultimi due anni ho partecipato ad una residenza per arti-


sti nella foresta amazzonica brasiliana, dove ho potuto navigare sul
fiume Amazzonia e Negro. L’esperienza è stata davvero intensa:
ho potuto riflettere sul potere mitico che hanno da sempre questi
due fiumi. Non sono, infatti, importanti solo per la fauna, la flora,
144 Verso una società sostenibile

la preservazione del clima e la sopravvivenza dei popoli che vivo-


no lungo il loro corso, ma giocano un ruolo fondamentale per le
narrazioni spirituali e cosmogoniche degli indigeni locali. Per evo-
care questo potere mitico ho creato una video installazione dal tito-
lo Amazzonia Insomnia, nella quale ho proiettato immagini modi-
ficate di riflessi di acqua sul letto in cui dormivo mentre ero alla
Adolpho Ducke Reserve, dove risiedevano gli artisti. Il letto è stato
coperto con foglie e rami trovati nella foresta. Le immagini sono
state duplicate e riflesse così da sembrare una sorta di mandala.
Questa opera evoca gli spiriti della foresta in una contemplativa
atmosfera di sogno e di delirio visuale.

Fig. 4. Amazonia Insomnia Video-Installazione di Hugo Fortes,


2018.

Sebbene le opere citate in questo saggio trattino temi relativi


all’ambiente anche in modo indiretto, esse possono evocare senti-
menti profondi per la loro relazione con la natura, offrendo espe-
rienze sensoriali che vanno oltre la trasmissione razionale di un
messaggio. L’artista comunica rispetto a temi ecologici in modo
Arti visuali per sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale 145

differente da uno scienziato. Come afferma Vernon Dame154: «Que-


sto tipo di ecologia non si presta alle descrizioni tecniche e precise
dello scienziato. Deve essere comunicata in uno modo totalmente
differente. Lo scienziato lavora al fine di sviluppare una compren-
sione precisa e tecnica di quanto accade. Questa non è l’arena
dell’artista, né l’arena nella quale il problema può essere risolto. Il
reale oggetto è di tipo etico. Esso ha a che fare con la moralità, con
le emozioni. Non potrà risolvere nulla con leggi restrittive o con
una tecnologia avanzata, ma sollecitando un’individuale coscienza,
sensibilità e apprezzamento dei problemi che l’umanità deve af-
frontare – esattamente ciò che l’artista è più capace di comunicare».

8.4 Esibizioni artistiche e Sustainability Awareness

Non solo l’artista come individuo può proporre azioni di tipo co-
municativo che ineriscano ai temi ambientali. Negli anni più recen-
ti, diversi musei, centri culturali e anche società commerciali hanno
iniziato a dibattere sugli stessi temi pubblicamente. Sponsorizzare
esposizioni è divenuta una strategia commerciale importante per
queste società che vogliono essere aggiornate e contribuire allo svi-
luppo sociale. Nei musei e nei centri artistici i curatori sono figure
molto importanti che, non solo promuovono il lavoro degli artisti,
ma curano anche ogni aspetto organizzativo delle esposizioni, dal-
le strategie discorsive, al display architettonico, fino ai programmi
educativi per il marketing e la ricerca di fondi.
Sebbene il tema sia attualmente molto popolare, l’esibizione ar-
tistica non può trasformarsi in una piattaforma per promuovere

154 Vernon D., 1970, “Art, Artist and Environmental Awareness”, Art

Education, 23, n. 7, pp. 53-54.


146 Verso una società sostenibile

sponsor che vogliano “tingere di verde” le loro attività commercia-


li, presentandosi più eco-friendly di quanto lo siano effettivamente.
Il termine “greenwashing”, coniato dall’ambientalista nord-
americano Jay Westerfield nel 1986, può essere usato quando una
società commerciale impiega più fondi in campagne pubblicitarie
per promuoversi attraverso un’immagine ecologicamente positiva
che quanto effettivamente impiega in effettive pratiche ambientali.
Un’altra importante questione che è necessario analizzare atten-
tamente è la valutazione di quali effettivi intenti ambientali siano
rilevabili nelle opere d’arte selezionate. Ciò non significa che
l’artista debba essere un attivista. Comunque, usando l’acqua come
una materia essenziale per le opere che realizza non attesta che il
suo messaggio sia ecologicamente orientato. L’esperienza artistica
non necessita di suscitare immediate risposte attive, ma dovrebbe
indurre riflessione e coscienza ambientale. L’arte deve indurre
dubbio assieme a libertà di interpretazione.
L’arte con il suo coinvolgimento emozionale e sensoriale e con
la creatività può essere uno degli strumenti più potenti per comu-
nicare sulle questioni ambientali. Sebbene l’arte sia un importante
strumento per risvegliare una consapevolezza ecologica, deve an-
che mantenere la sua autonomia di linguaggio creativo e non può
ridursi a soddisfare obiettivi commerciali. Un artista responsabile o
un curatore di mostre dovrebbe cercare un equilibrio fra trasmis-
sione di poetiche artistiche nel suo potere autonomo e l’impegno a
comunicare sui temi ambientali. L’arte può aiutarci a riconquistare
il legame perduto con la natura e, in questo modo, divenire un
fondamentale strumento per sensibilizzare alla sostenibilità am-
bientale.
9. Città e tecnologia: la Smart City tra dinamiche di
alienazione e appropriazione

Claudio Marciano 155

Il rapporto tra uomo e tecnologie trova nella città il suo campo


d'azione più dinamico e conflittuale. La città è il luogo dove si
respira aria di libertà, ma dove le complesse configurazioni isti-
tuzionali e la crescente pervasività delle tecnologie riproduce
una forma potenzialmente opprimente di spirito oggettivo.
La Smart City, visione culturale, ma anche modello di urba-
nizzazione sostenuto da ingenti finanziamenti pubblici e priva-
ti, costituisce la più recente elaborazione di città delle tecnolo-
gie. I sistemi complessi urbani sono immaginati come tessuti
nervosi costituiti da sensori, pensieri e pratiche mediali e i pro-
cessi comunicativi come l'essenza delle nuove realizzazioni in-
frastrutturali.
Il contributo – attraverso una rielaborazione teorica dei con-
cetti di spirito oggettivo e soggettivo in Georg Simmel e di spa-

155
Docente di Sociologia Generale e dell’Innovazione Digitale presso
l’Università della Valle D’Aosta.
148 Verso una società sostenibile

zio sociale in Henri Lefebvre – prova a formulare un'interpreta-


zione che vada oltre le apocalissi e le integrazioni e che spieghi
il senso della Smart City a partire dal conflitto che la anima:
quello tra alienazione e appropriazione, tra eterodirezione e
partecipazione, tra tecnologia e cultura.
Poco meno di centoventi anni fa, Georg Simmel scriveva un
libro tanto breve quanto lungimirante: La metropoli e la vita dello
spirito156. È una riflessione partorita in uno scenario urbano di
fine Ottocento, fatto di impianti industriali fumanti e di passages
commerciali, di elettrificazioni e grandi esposizioni.
Eppure, ci sono almeno due intuizioni in quel testo che ci
aiutano a costruire un pensiero contemporaneo sul rapporto tra
città e tecnologia; in particolare, ci aiutano a mettere a fuoco
due processi culturali – l’alienazione e l’appropriazione – che
animano l’affermazione di un nuovo modello di urbanizzazio-
ne scolpito dalla convergenza tra tecnologie cibernetiche e ac-
culturazioni ecologiche: la Smart City157.
Questa riflessione è possibile solo se proviamo a depistare la
tentazione di approcciare al tema della Smart City attraverso
l’analisi delle sue definizioni e delle sue mille applicazioni e
proviamo a offrire una sua interpretazione a partire da una teo-
ria che inquadra la città in una prospettiva storico-sociologica
come quella dello spazio sociale di Henri Lefebvre.

156
Simmel G., 1998, La metropoli e la vita dello spirito, Torino, Armando
Editore, (prima ed. 1900).
157
Caragliu A., Del Bo C., Nijkamp P. 2011, Smart Cities in Europe, Jour-
nal of Urban Technology, pp. 65-82; Marciano C., 2015, Smart City. Lo spazio
sociale della convergenza, Roma, Nuova Cultura.
Città e tecnologia 149

9.1. Spirito oggettivo e soggettivo

Il primo argomento di Simmel è che la metropoli è il luogo dove si


respira, almeno apparentemente, aria di libertà. Mai come nelle cit-
tà contemporanee l’individuo si è percepito come persona con il
suo portato di desideri, aspirazioni, gusti e rivendicazioni irriduci-
bili all’appartenenza ad una classe sociale, ad un territorio, ad
un’epoca storica.
In effetti, città e individuo si sarebbero cercati a vicenda. En-
trambi, sebbene su piani diversi, si sarebbero affermati attraverso
una volontà di svincolamento e una pratica di emancipazione: la
città dalle spinte selettive e adattive della ruralità, l’individuo dalla
sorveglianza e dalla omologazione della comunità.
Simmel dà a questa dimensione – allo stesso tempo culturale e
politica – un nome, che gli deriva dalla formazione idealista da cui
proviene: lo spirito soggettivo. Un altro sociologo tedesco utilizzerà,
tempo dopo, un concetto semanticamente più neutro, ma essen-
zialmente identico: individualizzazione158.
Lo spirito soggettivo fiorisce nella metropoli nella misura in cui
sfioriscono la famiglia, l’istituzione religiosa, la morale, l’autorità
in tutte le sue diverse vesti: politica, giuridica, medica159. L’essenza
dell’individualizzazione è la progressiva liberazione del sociale
dalla società: non implica l’assenza di relazioni e di interdipenden-
za, bensì il fatto che queste siano il prodotto di un desiderio auto-
determinato, di una soggettiva volontà di potenza e non di un
condizionamento predeterminato160 . Si tratta di una dinamica lega-

158
Beck U., 1992, The Risk Society. Towards a new modernity, London,
SAGE.
159
Renaut A., 1986, La fin de l’autorité, Paris, Flammarion.
160
Beck U., Gernsheim Beck E., 2001, Individualization, London, SAGE.
150 Verso una società sostenibile

ta strutturalmente allo spazio sociale urbano perché in esso di-


vampa la differenziazione sociale, hanno residenza valori contrap-
posti, si insediano o migrano forme di ibridazione, flussi di popo-
lazione, di capitale materiale e immateriale161 . Il potere, in questo
contesto, non è la conservazione dell’equilibrio, ma la capacità di
anticipare e, pertanto, di dirigere i cambiamenti162. La tecnologia –
il raffinamento della sua pervasività ed efficacia nella vita quoti-
diana – sembra agire come variabile enzimatica dei processi di in-
dividualizzazione. In primo luogo, se l’individualizzazione è
l’esito dei processi di differenziazione economica, consente alla
stessa di riprodursi in molteplici forme di innovazione, le quali si
affermano attraverso un ciclo continuo di destrutturazioni e reifi-
cazioni163 . Quindi, abilitando nuovi bisogni, nuovi mestieri, nuove
pratiche sociali, nuove forme di valorizzazione, nuovi artefatti e
artifizi culturali, la tecnologia consente la differenza e, così facen-
do, permette la scelta. Ma, dietro questo brilluccichio positivista in
cui le opportunità sembrano gratuite come nel paese dei balocchi,
si annida un inganno sottile. Simmel lo definisce spirito oggettivo. È
l’insieme di conoscenze, competenze, procedure con cui funziona-
no gli apparati istituzionali della città contemporanea e che sfug-
gono totalmente al controllo dei singoli individui.
Proprio l’incremento della complessità tecnologica sarebbe alla
base della nuova, ipertrofica ignoranza a cui sono ridotti i “cittadi-
ni” della metropoli: non solo incapaci di riconoscere un leccio da
un faggio, ma anche di sapere come funziona un lampione, come e
dove vengono smaltiti i rifiuti, in che modo viene illuminata la

Castells M., 2009, Comunicazione e Potere, Milano, Bocconi.


161

De Certeau M., 1990, L'invenzione del quotidiano, Gallimard, Parigi.


162

163
Van de Ven A., Polley D., Raghu G., Sankaran V., 2008, The Innova-
tion Journey, Oxford, OUP.
Città e tecnologia 151

strada, da dove arrivano gli alimenti che consumano assieme alla


propria famiglia. Lo spirito oggettivo che, nella società pre-urbana
era rappresentato dalle regole inviolabili e assolute della comunità
rurale, in quella metropolitana è incorporato dalla microfisica del
potere dei dispositivi materiali e immateriali con cui è organizzata
la società urbana, dove il non sapere tende a coincidere con il non
voler sapere, con il delegare ad altri la risoluzione dei problemi. La
cittadinanza metropolitana avrebbe consentito di liberarsi dal
mondo antico per sottomettersi ad una nuova schiavitù prodotta
dal portato tecnologico e istituzionale della modernità di cui l'indi-
viduo non conosce le basi sociali né, spesso, il funzionamento.
La tecnologia è alla base di una liberazione apparente, simulata,
come lo è il senso di libertà che dà l’accesso al consumo in serie,
l’adesione a valori libertari in un contesto socio-normativo solida-
mente depoliticizzato164 . Più cresce il suo ruolo nella società, più lo
spirito soggettivo diviene la falsa coscienza di quello oggettivo,
l’emancipazione diventa un simulacro dietro cui si annidano inedi-
te forme di controllo e biopotere165 .
La seconda argomentazione di Simmel è che la molteplicità in-
sita nell’urbano trova un suo codice di trasduzione nel denaro. La
moneta circolante attribuisce un valore uniforme a tutte le cose,
materiali e immateriali, della città. Gli oggetti, come le relazioni
sociali, e, in fondo, le persone, tendono ad acquisire un’identità at-
traverso il loro valore di mercato. La monetizzazione del reale, se-
condo Simmel, sarebbe alla base della personalità blasé perché in-

164
Baudrillard J., 1968, Il sistema degli oggetti, Milano, Bompiani; Id.,
1981, Simulacri e impostura. Bestie, baubourg, apparenze e altri oggetti, Torino,
Pgreco.
165
Foucault M., 1972, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino,
Einaudi.
152 Verso una società sostenibile

durrebbe negli abitanti una riproduzione del sociale che deriva


dalle transazioni economiche e finanziarie, improntata al contratto,
alla formalità, al quantitativo, al raziocinio strumentale.
Il denaro è, a tutti gli effetti, una tecnologia. Nella città contem-
poranea non ha certo perso il suo dominio sulle relazioni economi-
che. Eppure, quella funzione di codificare qualsiasi diversità in una
oggettivazione collettiva sembra inattuale perché questa funzione,
oggi, è svolta dalla comunicazione digitale. L’essenza del digitale è
la riduzione di qualsiasi codice analogico in uno binario: musica,
testi, immagini, ma anche aria, calore, marchi, corpi, idee, opinioni.
Tutto può essere rilevato, registrato, trasformato in un bit di in-
formazione e trasmesso per una successiva elaborazione. È questo
il significato della trasduzione, ovvero del contenuto del medium
digitale, il quale permea ogni messaggio vi venga veicolato a pre-
scindere dal suo senso166 . Come l'economia monetaria ha elaborato
una logica formale e impersonale per plasmare i rapporti sociali
orientandoli al riserbo, così i flussi di comunicazione ne generano
una completamente opposta, fondata sulla condivisione e sull'a-
pertura delle fonti di informazione. Nella città della comunicazio-
ne il potere non è la segretezza, bensì la capacità di divulgazione
delle informazioni che dà più visibilità, amplia la rete sociale dei
contatti, offre la possibilità di contare su supporti maggiori167 . Que-
sta città dei flussi (informativi, temporali, spaziali) ha un nome nel-
la letteratura sociologica e politologica contemporanea: Smart City.
È un nome francamente brutto che richiama un mercato usa e get-

166
De Kerchkove D., 2001, L'architettura dell'intelligenza, Torino, Testo e
Immagine.
167
Castells M., 2009, Comunicazione e Potere, op. cit. Id., 2001, The Inter-
net Galaxy. Reflections on internet, business and society, New York, Oxford
Press.
Città e tecnologia 153

ta: le caramelle al cioccolato piene di coloranti, la macchinetta a


due posti. È un concetto che ha avuto una superfetazione straordi-
naria negli ultimi anni e come tale è stato crocevia di libri, confe-
renze e, soprattutto, di ingenti fondi pubblici168. Oggi sembra de-
caduto in quanto nome, ma certo non in quanto processo sociale.
La Smart City indica, infatti, la riurbanizzazione delle città a capi-
talismo avanzato degli anni zero e successivi decenni, caratterizza-
ta dalla convergenza – astratta per molti versi – tra i due paradigmi
sociali che sono usciti dominanti dal Novecento:
l’informazionalismo e l’ecologismo. Si tratta di un insieme di tra-
sformazioni che possono essere raccontate e, in parte ordinate, at-
traverso una griglia interpretativa, quella offerta dalla teoria dello
spazio sociale formulata da Henri Lefebvre.

9.2. Lo spazio sociale della Smart City

Il concetto di spazio sociale è legato alla riflessione di Henri Lefeb-


vre sulla città169 .
Il filosofo francese lo introduce attraverso una formula piutto-
sto tautologica: lo spazio sociale è un prodotto sociale. Un’espressione

168
Tra le altre esperienze, si ricordi il bando emesso dal Miur tra il 2012
e il 2013 denominato “Smart Cities and Communities” dove venivano ero-
gati 650 milioni di euro per progetti industriali e di innovazione sociale
coerenti con la visione “smartness” di cui erano beneficiari raggruppamen-
ti tra imprese, università e centri di ricerca. Un’esperienza, come purtrop-
po altre in questo campo, finita piuttosto male, tra progetti mai partiti,
fondi mai erogati e tante speranze inattese.
169
Lefebvre H., 1970, Il diritto alla città, Padova, Marsilio; Id., 1973, Dal
rurale all'urbano, Rimini, Guaraldi; Id., 1975, La produzione dello spazio, Bolo-
gna, Il Mulino.
154 Verso una società sostenibile

che si può cogliere solo se la si inserisce in una prospettiva filosofi-


ca: quella del materialismo storico applicato all’interpretazione
dello sviluppo urbano. La città è, in questa visione, concepita non
solo come “sede”, ma anche come attiva produttrice di relazioni
sociali. Lo spazio urbano produce architetture, strutture filosofiche
e modi di vita, genera rapporti sociali, fonda istituzioni che regola-
no il tempo e tutelano l'ordine. Il modello teorico di Lefevbre è im-
perniato su due asserti principali.
Il primo è che lo spazio sociale esiste su tre livelli simultanei:
concepito, percepito e vissuto. Lo spazio concepito è quello delle
“rappresentazioni”: arte, architettura, ingegneria, sociologia, urba-
nistica e altre discipline che hanno strutturato visioni dello spazio
e codificato modalità di riprodurlo non solo fisicamente, ma anche
virtualmente. Lefevbre fa l’esempio della prospettiva nel Rinasci-
mento: un'idea matematica applicata in architettura e pittura che
ha trovato elaborazioni filosofiche e religiose, dando uno stile
omogeneo allo spazio sociale per alcuni secoli.
Lo spazio concepito della Smart City farebbe, pertanto, riferi-
mento al complesso di rappresentazioni con cui la città intelligente
è “detta”, prospettata e a volte progettata; inoltre, alle modalità
espressive, alle produzioni simboliche che ruotano attorno all'idea
di Smart City e della sua divulgazione. Le principali versioni di
questo spazio concepito sono due: una integrata, in cui lo sforzo
epistemologico – oltre che tecnologico – è rivolto alla definizione
del modello di urbanizzazione fin nei suoi minimi particolari170 , e
una apocalittica, dove sono sviscerate le contraddizioni della città

170
Giffinger R., 2007, Smart Cities – Ranking of European medium-sized cit-
ies, Vienna, Center for Regional Studies.
Città e tecnologia 155

intelligente che, molto spesso, coincidono con quelli della città neo-
liberale, esclusiva, disciplinante171.
Lo spazio percepito è quello delle infrastrutture materiali e, in
parte, immateriali. È, senz'altro, lo spazio fisico dell'urbanizzazio-
ne a cui, tuttavia, si aggiunge anche quello delle strutture organiz-
zative che lo rendono possibile: i modelli di impresa, di governan-
ce, di ricerca. La Smart City ha una forte identità infrastrutturale:
come la città industriale è fatta di ponti, fabbriche e ferrovie, la cit-
tà intelligente è costituita da fibra ottica, hot-spot per il wi-fi e sen-
sori. Alle infrastrutture materiali corrispondono quelle sul piano
delle istituzioni sociali: le tecnologie dell'informazione e quelle del-
la sostenibilità pongono le basi per nuovi modelli di impresa, come
le start up e la social innovation per nuove strategie di governance
pubblica, come le consultazioni multi-stakeholders, per nuove forme
di socializzazione e aggregazione dal basso, come gli orti urbani o i
fab lab, per nuove modalità di costruzione del consenso politico,
come le fake news e le strategie di engagement tramite social net-
work.
Infine, lo spazio vissuto è quello delle “esperienze”, creato dalle
appropriazioni, dai soggetti che vivono degli spazi (reali o imma-
ginari) e li interpretano in base ai propri bisogni. Lo spazio vissuto
nella Smart City sarà, pertanto, quello delle sue fenomenologie: i
punti di vista da raccogliere sul campo, tra i soggetti che vivono in
prima persone le loro esperienze. Si situa, pertanto, nelle singole
pratiche, come lo smart working, o il car sharing o i gruppi di acqui-
sto solidale. Lo spazio sociale della Smart City è plasmato, pertan-
to, da rappresentazioni, infrastrutture e pratiche sociali dominate

171
Hollands R. G., 2008, Will the real smart city please stand up, in City,
Vol.12, New York; Vanolo A., 2014, “Smartmentality: Smart City as a dis-
ciplinary strategy”, Urban Studies, 51, 5, pp. 881-896.
156 Verso una società sostenibile

dalla convergenza tra informazionalismo ed ecologismo, tra socie-


tà dell’informazione e del rischio. Si tratta di paradigmi sociali, cul-
turali, ma, soprattutto, tecnologici: sensoristica, Internet of Thing,
realtà virtuale, intelligenza artificiale da un lato, infrastrutture cir-
colari, energie rinnovabili, motori a idrogeno, tecniche agricole
biodinamiche da un altro.
Queste qualità non arrivano dal cielo. Sono il prodotto di una
dialettica dello spazio sociale che per essere compresa a fondo va
letta storicamente. Allo spazio concepito, percepito e vissuto corri-
sponde, infatti, un’altra tesi, antitesi e sintesi sul piano però tempo-
rale: assoluto, astratto e differenziale. Qui il contributo di Lefebvre
si fa quasi profetico.
Lo spazio assoluto è quello dei villaggi neolitici e delle prime ag-
gregazioni umane stabili. I suoi luoghi caratterizzanti sono sorgen-
ti d'acqua, picchi delle montagne, recinti sacri creati sopra le colli-
ne. La rottura dello spazio assoluto avviene con l'affermarsi dell'e-
conomia capitalistica nel mondo occidentale.
Lo spazio astratto è lo spazio sociale del capitalismo industriale:
esso si fonda sull'accumulazione e l'omologazione. L'economia
monetaria sussume tutto: la conoscenza scientifica, i mezzi di co-
municazione di massa, le istituzioni politiche. Dal punto di vista
visivo, esso si presenta con la scomparsa degli alberi, l'allontana-
mento dalla natura e con i grandi vuoti statali e militari, i centri
commerciali, le automobili in serie, con i boulevard e gli sventra-
menti dei centri storici, ma anche con l'igiene, l'elettrificazione de-
gli ambienti, il superamento della fame, del freddo, il migliora-
mento del rapporto tra natalità e mortalità, le cure mediche.
L’istituzione sociale dominante dello spazio astratto è la fabbrica, o
meglio, la sua logica disciplinare, concentrazionaria, standardiz-
zante, quantitativa. Appoggiato da un sapere acritico, sostenuto da
una terrificante capacità di violenza, da una scienza sistematica e
Città e tecnologia 157

da una burocrazia mastodontica, lo spazio astratto sembrerebbe


destinato a durare per sempre. Tuttavia, Lefevbre sostiene che an-
ch'esso, sebbene nasconda bene le sue contraddizioni, è destinato a
finire, a diventare uno spazio differenziale.
Lefebvre non può descrivere pienamente lo spazio differenziale
perché termina la sua trilogia urbana nel 1975, tuttavia ne abbozza
la struttura. Il nuovo spazio nasce dalla contraddizione del capita-
lismo industriale in cui il benessere relativamente elevato delle
masse pone le condizioni per il superamento dell'omologazione e
l'orientamento della concorrenza verso la differenziazione,
l’individualizzazione dei consumi e, progressivamente, delle iden-
tità.
Il modo di produzione è sempre capitalistico, tuttavia l'istitu-
zione dominante non è più la fabbrica, né la logica industriale. Le-
febvre qui compie un'intuizione formidabile nel sostenere che lo
spazio differenziale sarà caratterizzato da un'economia computa-
zionale, dalle nuove tecnologie dell'informazione che consentiran-
no una globalizzazione delle relazioni economiche come mai nelle
epoche precedenti. Lefebvre guarda allo spazio differenziale come
ad un'emancipazione delle contraddizioni dello spazio astratto:
esso avrebbe dovuto ricongiungere ciò che l'altro aveva disgiunto,
in primis il rapporto con la natura.
Lo spazio differenziale sarebbe uno spazio della liberazione dai
vincoli dello spazio astratto e sarebbe visibile nell'analisi delle resi-
stenze urbane, delle pratiche sociali innovative in cui la soddisfa-
zione dei bisogni è garantita da nuove istituzioni sociali. La do-
manda è: stiamo parlando dello spazio sociale della Smart City? La
profezia di Lefebvre si incarna nelle possibilità offerte da questa
nuova città delle tecnologie? La Smart City è, in altri termini,
l’auspicata transizione da prodotto a opera, il luogo dove final-
mente è possibile sperimentare il diritto alla città?
158 Verso una società sostenibile

9.3. Alienazione e appropriazione

Il diritto alla città coincide con la possibilità (materiale, cognitiva,


relazionale) di determinare lo spazio urbano da parte di tutti i suoi
abitanti. È un concetto che implica un’idea di cittadinanza attiva,
autorganizzata, irriducibile a qualsiasi standardizzazione, che
“grida e rivendica” la propria unicità rispetto all’astrazione dello
sviluppo industriale. In questo senso, la Smart City coincide con il
concetto, sempre Lefebvriano, di appropriazione, che descrive un
insieme di pratiche e valori con una tendenza spiccata all’auto-
organizzazione, all’auto-disciplina, all’auto-didattica: l’astrazione
industriale che forniva garanzie pur omologate e scalari a tutti i
territori, che collocava il conflitto unicamente sul piano della redi-
stribuzione materiale del prodotto e non sulle modalità/finalità
della produzione, va superata attraverso un sistema urbano più
orizzontale, magari meno ricco, ma più partecipato, più risponden-
te agli interessi di una comunità evoluta, cosciente dei rischi am-
bientali, aperta ai processi culturali innovativi.
L'appropriazione spinge i consumatori a diventare produttori,
a partire dalla conoscenza dei processi industriali e organizzativi
che vi sono dietro il semplice gesto del premere un interruttore
della luce o buttare una busta in un recipiente. L'appropriazione è
la conoscenza delle infrastrutture di smaltimento dei rifiuti, dei ri-
schi e del tipo di economia che presuppongono discariche e ter-
moinceneritori, delle possibilità e dei limiti della raccolta differen-
ziata, così come la separazione dentro la propria abitazione dei ri-
fiuti riciclabili e lo sforzo di ridurre la loro quantità. L'appropria-
Città e tecnologia 159

zione nella città prende le forme dei gruppi di acquisto solidale, in


cui il cibo viene venduto da produttori locali le cui aziende sono
visitate dai consumatori e nelle quali sono certificate da enti, a cui i
consumatori stessi riconoscono credibilità, sia la provenienza degli
alimenti, sia i prodotti usati per coltivarli o allevarli.
Questi esempi raccontano, pertanto, di un rapporto tra città e
tecnologia dove il design di queste ultime è un’opera e non un
prodotto: segue i bisogni sociali, vede la partecipazione di compe-
tenze diverse, è rivolto alla creazione di un beneficio collettivo. Lo
scopo della tecnologia non è, pertanto, necessariamente quello di
ridurre lo sforzo, di sostituire gli umani nel lavoro, di incrementare
i profitti e la crescita per chi le produce; è quello, invece, di consen-
tire lo sviluppo dell’appropriazione in tutti i suoi ambiti: energeti-
co, alimentare, culturale. La tecnologia diventa, per certi versi, an-
cillae filosofiae: il suo peculiare modo di evolvere non inva-
de/pervade il sistema di pensiero che pure la produce; i suoi anta-
gonismi funzionali, le sue prove ed errori, la sua necessaria speri-
mentalità non determinano un eterno gap con il senso comune, con
le istituzioni socioculturali di una comunità.
Ecco, quindi, che l’implementazione dei media digitali e il raf-
forzamento delle tecnologie capaci di sostituire fonti fossili e altri
inquinanti diventano il contenuto di una ricerca corale. La tecnolo-
gia ritorna ad essere tecnica, nel senso che si riallinea alla sua fun-
zione primaria, quella di essere strumento e non fine. In una paro-
la, la tecnologia serve e non è servita, si usa per il bene comune. E
tutti vissero felici e contenti. Purtroppo, non è così, e men che me-
no lo è con la Smart City, ovvero con l’affermazione a livello urba-
no del mutamento cibernetico ed ecologico.
A dettare i modi, i tempi e gli spazi della Smart City sono le
corporation che dirigono l’innovazione tecnologica digitale: non
può che essere così in un’economia di mercato, dove le risorse co-
160 Verso una società sostenibile

gnitive, materiali, finanziarie, attraverso cui si produce


l’innovazione tecnologica, sono situate in network aziendali priva-
ti172 . I brevetti, i linguaggi di programmazione, il design delle tec-
nologie che rendono possibile lo scambio di informazioni, i sistemi
di elaborazione, gli algoritmi alla base della semantizzazione del
big data sono prodotti da soggetti privati, i quali determinano la
domanda più che orientarsi in base alle sue esigenze. L’espansione
delle reti immateriali, lungi dal rafforzare la qualità e la coesione
delle democrazie, ha sviluppato fenomeni inediti: come la produ-
zione sistematica di notizie false, la frammentazione dell’opinione
pubblica in comunità chiuse che si nutrono delle proprie certezze,
la mercificazione e strumentalizzazione dei dati personali a fini
commerciali e di consenso politico. È la banale vita quotidiana sui
social network, il cui effetto disintermediante sta progressivamente
cancellando la stampa, il gatekeeping professionalizzato, produ-
cendo fenomeni ai limiti del religioso quali i terrapiattisti, i no vax,
i sostenitori dell’inesistenza dell’Australia, dentro cui si ritrovano a
livello globale decine di migliaia di persone (per ora).
A livello urbano, tendono a prevalere sistemi progettati nelle
metropoli e venduti alle cittadine di provincia, sistemi modulari
che servono interessi produttivi ed economici lontani anni luce dai
bisogni concreti dei territori. Chiunque abbia partecipato ad una
delle centinaia di conferenze sulle Smart Cities in Italia e in Europa
avrà constatato il brutale determinismo tecnologico degli interven-
ti, la totale egemonia nei tavoli di discussione di rappresentanti
delle discipline ingegneristiche e informatiche, la riduzione del
tema “sociale” a ciliegina sulla torta. In tutta questa socio, psico ed
econometria, nessuno, però, ha ancora chiesto un assessment og-

172
Morozov E., Bria F., 2018, Ripensare le smart city, Torino, Codice edi-
zioni, 2018.
Città e tecnologia 161

gettivo dei progetti finanziati con decine di milioni di euro in tutta


Europa: quali risultati ha raggiunto lo smart lighting o lo smart
metering? Quante persone usano i sistemi informativi territoriali
con la tecnologia GIS? Quante aziende hanno fatto dell’open data
un modello di business? Per non parlare dei risultati ambientali,
sociali, culturali delle applicazioni di innovazione sociale.
Le alternative ecologiche, si pensi al paradigma dell’economia
circolare, sono plasmate e sussunte all’interno di arene politiche e
sociali che ne evaporano il portato di radicalità: come la marjuana
legale contengono il sapore, ma non il principio attivo. L’economia
circolare è, pertanto, una bandiera dell’Unione Europea, di multi-
nazionali energetiche, di fondazioni come la McArthur che ne diri-
gono gli sviluppi tecnologici, organizzativi, politici verso una ri-
masticazione del capitalismo verde con nuovi feticismi. La circola-
rità serve, quindi, alla crescita, alla competitività, al PIL, e, inevita-
bilmente, promuove una riforma dall’interno, e, soprattutto
dall’alto173 . L’ecologismo urbano ha tante risorse e pratiche da met-
tere in campo, ma è silenziato da un sistema fiscale che inibisce
l’indebitamento e l’investimento, dai processi di privatizzazione e
liberalizzazione dei servizi pubblici che rallentano le innovazioni
ad alto rendimento ambientale, ma basso introito economico.
La Smart City che nasce e, in parte, si afferma come città
dell’appropriazione mostra nelle sue applicazioni quello che Al-
fredo Mela174 ha giustamente definito “lato oscuro”, che non è, tut-
to sommato, nemmeno così oscuro, tanto è evidente: l’alienazione,

173
Marciano C., 2017, “Economia circolare. Critica di un paradigma
emergente nelle politiche ambientali europee”, Prisma, Speciale Innovazione
Ambientale, Anno: VIII; n. 1-2/2017, pp. 14-25.
174
Mela A., 2013, “Sul lato oscuro dell'idea di smart city”, Santangelo
M., Aru S., Pollio A., 2013, Smart City. Ibridazioni, innovazioni e inerzie nelle
città contemporanee, Roma, Carocci.
162 Verso una società sostenibile

la riproduzione di sistemi sociali in cui le relazioni di potere sono


verticalizzate, in cui prevale l’automazione, l’eterodirezione, la se-
lettività e la marginalizzazione sociale dei non integrati.
L’alienazione è, infatti, lo svuotamento dell’identità dall’interno,
l’assenza di appropriazione nei confronti della realtà circostante: è
questo l’esito necessario dello sviluppo ulteriore
dell’urbanizzazione cibernetica? A questa domanda, oggi, è im-
possibile dare una risposta chiara, ma esiste più di un legittimo so-
spetto che la direzione sia quella.
Il rischio, in assenza di una politicizzazione dell’innovazione
tecnologica, è che la città del futuro rafforzi anziché risolvere la
verticalità, l’omologazione, l’eterodirezione. Per politicizzazione
intendo il ritorno di un’agorà che sia in grado di determinare non
semplicemente un controllo, ma una produzione collettiva di tec-
nologie: si tratta di usare le potenzialità già evidenti nei dispositivi
come Arduino e insiti nel contenuto del medium digitale che si nu-
tre di ampliamenti e contributi molteplici.
Ci potremmo trovare di fronte ad una triste riedizione della
storia già vista alle origini delle società disciplinari, quando
l’illuminismo ispirava (sui libri) le rivoluzioni borghesi e nelle ca-
serme, negli ospedali, nelle scuole, e, soprattutto, nelle fabbriche,
silenziosamente e, forse, inconsciamente, si costituiva un potere
minuscolo e pervasivo: quello del disciplinamento dei corpi.
L’appropriazione come fanfara, l’alienazione come missione.
10. Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” per una
agricoltura urbana sostenibile

Luca Nardi, Giulio Metelli, Ombretta Presenti, Silvia


Massa, Eugenio Benvenuto 175

Nel 2017 la popolazione mondiale ha raggiunto i 7.6 miliardi di


individui, con un incremento di 1 miliardo negli ultimi dodici
anni. La popolazione mondiale cresce, ma le superfici coltivate
non potranno più aumentare a causa dei cambiamenti climatici
dovuti all’inquinamento e alle azioni dell’uomo sul Pianeta e
sull’ecosistema. L’agricoltura dovrà produrre di più cercando di
ottimizzare le rese e con un uso più attento delle risorse e del
suolo a disposizione, cercando di sfruttare superfici e volumi col-
tivabili che prima era impensabile utilizzare. Anche le aree ur-
bane e periurbane diventeranno produttive non solo con gli orti
urbani, ma anche con forme più tecnologicamente avanzate e so-
stenibili.

175
Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo
Economico Sostenibile – ENEA, Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Pro-
duttivi e Territoriali - Divisione Biotecnologie e Agroindustria.
164 Verso una società sostenibile

L’espansione delle città è un processo continuo e inarrestabile


a livello mondiale che ha portato ad avere oggi 21 città che si
estendono per centinaia di ettari con popolazione superiore ai 10
milioni di persone (megalopoli). Questo processo è spesso ac-
compagnato, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, da alti li-
velli di povertà e fame. La rivoluzione agricola urbana, che va da
forme semplici come gli orti urbani a forme più tecnologicamen-
te avanzate e sostenibili di agricoltura indoor, sta cercando di as-
secondare le richieste e le necessità dei cittadini, proponendo un
nuovo sistema ed un nuovo modello alimentare in cui la sicurez-
za e la tracciabilità sono obiettivi prioritari.
Più della metà della popolazione mondiale vive nelle aree ur-
bane e, dalle ultime stime elaborate dall’ONU (World Population
Prospects: The 2017 Revision), si prevede il superamento dei 9,8
miliardi di individui, di cui più del 70% concentrati nelle mega-
lopoli, entro il 2050. Le regioni del mondo che contribuiranno
maggiormente a questa crescita saranno l’Africa per il 67% (Ni-
geria, Etiopia, Zaire), l’Asia per il 25% (Cina, India, Pakistan, In-
donesia, Iran), l’America Latina ed i Caraibi per il 5% e l’America
Settentrionale per il 3,2%. Con questi numeri, la produzione ali-
mentare dovrebbe aumentare proporzionalmente per andare in-
contro a tutte le esigenze, cercando di diversificare ed ottimizza-
re le rese per ettaro. In questo quadro, la superficie coltivata po-
tenziale totale di 41,4 milioni di chilometri quadrati (FAO) non
potrà aumentare a causa di fattori antropici e climatici avversi
(desertificazione, deforestazione, irrigazione, terrazzamenti, di-
scariche, espansione urbana). Diventa, perciò, imperativo il prin-
cipio di produrre di più con un uso più attento delle risorse: per
nutrire in maniera sostenibile il Pianeta sarà necessario orientare
la produzione agricola anche all’interno di aree urbane e periur-
bane cercando di sfruttare al meglio ogni metro cubo disponibi-
Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” 165

le, soprattutto in spazi che mai si sarebbe potuto pensare utiliz-


zabili per la coltura delle piante, soprattutto le aree degradate
(degrado sociale ed ambientale) ed abbandonate.
Le città richiedono molto terreno sia per la cementificazione
necessaria all’espansione dovuta all’incremento demografico che
nelle aree lontane per il sostentamento e la produzione di cibo.
La agricoltura urbana potrebbe sopperire, in parte, alle necessità
di cibo dei cittadini come elemento di una nuova strategia per
una produzione più sostenibile senza lo sfruttamento di terreno
urbano e adottando dispositivi e sistemi in grado di evitare il
contatto con le sostanze inquinanti. I centri urbani, difatti, sono
caratterizzati dal problema dell’inquinamento dell’aria,
dell’acqua e del suolo in quanto il terreno e le falde acquifere si
arricchiscono di sostanze inquinanti e metalli pesanti provenien-
ti, principalmente, dalle emissioni del traffico veicolare. Coltiva-
re verdure fresche e sane all’interno dei distretti abitativi delle
grandi metropoli creando veri e propri centri di produzione e
distribuzione a vero km0 ridurrebbe drasticamente la distanza
tra centro di produzione e consumatori (filiera corta) con conse-
guente diminuzione del traffico veicolare e minore dispersione
in aria di particolato proveniente dai gas di scarico e dal logora-
mento di pneumatici delle automobili limitando l’ulteriore in-
quinamento dei suoli urbani.

10.1 L’agricoltura indoor

L’idea lanciata da Dickson Despommier nel suo libro The Vertical


Farm176, è quella di proporre le coltivazioni verticali, centri multipia-

176
Despommier D., 2010, The Vertical Farm, New York, St. Martin's Press.
166 Verso una società sostenibile

no e multilivello di autoproduzione alimentare, applicate a edifici


esistenti o di nuova costruzione per realizzare elevate rese produtti-
ve su piccole superfici. L’agricoltura indoor si è dimostrata essere
una forma di produzione efficiente di cibo utilizzando meno risorse
rispetto all’agricoltura tradizionale svincolandosi dalla dipendenza
delle condizioni climatico-ambientali esterne e dalla disponibilità di
terra coltivabile. Tutto ciò si realizza facendo crescere piante, pesci
ed insetti in sistemi di coltura fuori suolo utilizzando la coltura
idroponica, aquaponica ed aeroponica177 in fattorie realizzate

177 La coltura idroponica è il sistema basato sull’assenza di terra, sostitui-

ta da acqua ed integrando con materiali inerti come: agriperlite, vermiculite,


fibra di cocco, juta e kenaf oppure lana di roccia. Le piante sono nutrite con
acqua integrata da fertilizzanti. Il principale vantaggio è il risparmio
d’acqua, stimato intorno al 70% rispetto ai metodi tradizionali che rende il
sistema vantaggioso nei Paesi con scarsa disponibilità di acqua. Il risparmio
di acqua è intorno al 90% rispetto alla coltura di pieno campo. La Coltura
aeroponica si basa, invece, sulla coltivazione di piante senza l’utilizzo di ter-
ra grazie ad un sistema d’irrigazione con acqua nebulizzata, a bassa o alta
pressione, integrata con sostanze nutritive minerali. I vantaggi di questo si-
stema sono legati a un minor spreco di acqua in quanto nelle coltivazioni
tradizionali il 95% di questa va perso, mentre, in questo caso, viene diretta-
mente assorbito dalle radici della pianta. Con questi sistemi si riesce ad in-
crementare di circa il 30% la produttività e a ridurre i tempi rispetto alle col-
tivazioni di pieno campo. Infine, la Coltura acquaponica prevede
l’integrazione dei sistemi di coltura idroponici (coltivazione di vegetali sen-
za utilizzo di terra) con quelli dell’allevamento ittico (allevamento di pesci e
crostacei). In un sistema acquaponico le acque di scarico dell’allevamento
ittico, ricche di sostanze di scarto dei pesci e di resti di cibo vengono conver-
tite dai batteri presenti nei filtri biologici in nutrienti utilizzati dalle piante
per la loro crescita. Le piante si nutrono di queste acque e, allo stesso tempo,
le purificano restituendo acqua pulita riutilizzabile per l’allevamento dei
pesci. In pratica, un ciclo continuo dal quale si può trarre vantaggio sia per
la coltivazione di piante sia per l’allevamento ittico. I vantaggi anche in que-
Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” 167

all’interno di capannoni industriali, serre e container.


Nell’ultimo rapporto pubblicato nel marzo del 2017 dalla New-
bean Capital sull’Indoor Crop Production Feeding the Future178,
questo settore di mercato risulta in forte espansione prevalentemen-
te negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi del mondo con un fattura-
to in forte crescita: passato da un miliardo di dollari nel 2005 a 16
miliardi di dollari nel 2016 e dove gli investimenti in fondi di Ventu-
re Capital, nel solo 2014, sono arrivati a 32 milioni di dollari con un
incremento del 60% in più rispetto al 2011.
In Asia il mercato e l’industria dell’agricoltura indoor è molto
più sviluppato rispetto ad altre aree del mondo per vari motivi, non
ultimi la superficie disponibile per la coltivazione di pieno campo e
la densità di popolazione. Il Giappone da solo dal 2010 possiede più
impianti di quanti ne abbiano gli Stati Uniti, ad oggi. In questo pae-
se c’è una grande tradizione in questo settore: qui le fattorie verticali
sono chiamate Plant Factories e la prima struttura di questo tipo è
stata costruita nel lontano 1983 dando forte impulso al loro sviluppo
in tutta la regione asiatica in cui se ne contano più di 450. La mag-
gioranza (circa il 40%) è localizzata in Giappone provvedendo allo
0,6% di tutta la produzione vegetale asiatica, dato noto solo a pochi
dei consumatori (18%) che, di base, non sono a conoscenza di questa
realtà industriale. Le ragioni di questo sviluppo e di questa forte
espansione industriale sono da cercare in un maggiore consumo di
vegetali nelle diete asiatiche: l’Asia consuma il 75% di tutti i vegetali
a livello mondiale. Una maggior consapevolezza dei consumatori

sto caso sono legati al notevole risparmio di acqua rispetto ai sistemi di col-
tura tradizionali; inoltre, le acque, essendo ricche di sostanze fertilizzanti
naturali, permettono una crescita migliore rispetto alle colture in terra e un
vantaggio economico legato all’utilizzo di fertilizzante autoprodotto.
178
Cfr. https://indoor.ag/ whitepaper.
168 Verso una società sostenibile

sulle filiere produttive alimentari, unita ad una continua ricerca di


una maggiore qualità e tracciabilità alimentare con la richiesta di ci-
bi privi di contaminanti e pesticidi (cibo “pulito”) hanno innescato
la realizzazione di sistemi produttivi in condizioni di coltura e cre-
scita simili alle camere pulite (Clean Rooms).
È importante sottolineare che, in questo settore, i governi asiatici
hanno sostenuto politiche di supporto con prestiti e sussidi per cer-
care di favorire lo sviluppo di queste nuove forme di farming, so-
prattutto in ambito urbano ed a basso impatto ambientale. In paral-
lelo, c’è stata una forte evoluzione tecnologica nella realizzazione di
tutta una serie di tipi di impianti innovativi in settori, quali quello
delle serre idroponiche realizzate sui tetti di capannoni industriali
(Gotham Greens, Lufa Farms), quello delle fattorie verticali e delle
Plant Factories (Farmbox Gre-ens, FarmedHere, Garfield Produce
Co, Green Sense Farms, PodPonics, Mirai), quello delle fattorie con-
tainer (Daiwa’s Agricube, FreightFarms, Cropbox, Growtainers,
SmartGre-ens, SuperGrow, Pure Genius Foods, Urban Container
Farms, Growup Box) e quello dei sistemi orto-domestici (Agrilution,
Grove Labs, Modern Sprout, Urban Cultivator, Windowfarms, Ur-
banaPlant).
Nelle fattorie indoor si utilizzano tecniche di coltura e tecnologie
che permettono il controllo delle principali variabili ambientali re-
sponsabili dell’incremento delle produzioni. Queste, ovviamente,
non necessitano di terra perché si utilizzano sistemi di coltura idro-
aero-acquaponica, riuscendo a coltivare anche su più livelli a ciclo
continuo durante tutto l’anno con ridotto uso di fertilizzanti, acqua
ed agrofarmaci. Il risultato è quello di ottenere prodotti più sani, sia
dal punto di vista qualitativo che nutrizionale, garantendone la di-
sponibilità sul mercato entro 24 ore dalla raccolta riducendo, con-
temporaneamente, i tempi di conservazione e i costi di trasporto e
riducendo, di fatto, l’impronta carbonica relativa al prodotto.
Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” 169

Per il controllo ottimale di queste strutture produttive si utiliz-


zano sempre più le tecnologie dell’agricoltura di precisione (Preci-
sion farming). Questa mira ad ottimizzare le rese produttive per
unità di superficie coltivata utilizzando metodologie, analisi e pro-
cessi per la gestione dei sistemi colturali. Per raggiungere i migliori
risultati possibili, sia in termini di qualità che di quantità di prodot-
to realizzato a costi sempre più ridotti ed in modo sostenibile, si uti-
lizzano ed integrano negli impianti i più moderni mezzi tecnologici,
sia software che hardware. L’agricoltura di precisione utilizza molte
tecnologie che vanno dai sensori ai sistemi di acquisizione e analisi
di dati (Dataset) di grande dimensione (Big Data Analysis).
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) so-
no di supporto ai sistemi gestionali riuscendo a operare in maniera
rapida, efficace ed efficiente regolando il volume crescente di infor-
mazioni provenienti dai dati acquisiti dalla rete di sensori in tempo
reale, fornendo informazioni riguardanti tutti gli aspetti della colti-
vazione con livelli di elevato dettaglio. Questo permette di prendere
decisioni migliori, massimizzando l’efficienza nelle operazioni e ri-
ducendo, così, sprechi e costi. Le discipline e le capacità richieste per
questa agricoltura innovativa includono la robotica, analisi di im-
magine computerizzata, la meteorologia, i controlli microclimatici,
le soluzioni tecnologiche e molto altro ancora.
L’agricoltura di precisione è conosciuta anche con il termine di
Smart Farming (coltivazione intelligente), un termine ad ampio spet-
tro per renderlo più comparabile con altre implementazioni di tipo
Machine-to-Machine (M2M) basate su tecnologie ed applicazioni di
telemetria e telematica che utilizzano le reti wireless. Essendo, ad
oggi, la produzione mondiale di cibo sufficiente ad alimentare tutti,
il problema principale resta, dunque, legato alla sua distribuzione e
al reperimento delle risorse primarie. A ciò va aggiunto che, pur-
troppo, la quantità di cibo sprecato è eccessivo: gran parte della
170 Verso una società sostenibile

perdita avviene durante tutto il processo di produzione e trasforma-


zione del cibo, senza considerare gli sprechi fatti dai cittadini con-
sumatori.
Dunque, è doveroso considerare il potenziale della ricerca in
questo ambito. Si può ipotizzare che, insieme alla continua innova-
zione nel campo della meccanica e dell’energia, si possa pensare alla
coltura idroponica come possibile risposta alla necessità di produrre
risorse alimentari in larga scala e in modo più efficiente. Allo stato
attuale, l’avviamento di una serra a contenimento presenta costi ele-
vati sia per il grande dispendio energetico sia per la necessità di
manodopera altamente specializzata. A lungo andare, però, tali costi
potrebbero essere sopperiti da diversi fattori: il risparmio di acqua
(ne viene utilizzata un decimo rispetto ai campi aperti);
l’eliminazione dello spreco di sostanze nutritive che vengono diret-
tamente assorbite dalle piante o riutilizzate attraverso un sistema di
riciclo; l’utilizzo della robotica per ottimizzare i processi di produ-
zione.
Al livello micro, se ne può immaginare un semplice utilizzo con-
cepito a livello locale: un ‘orto urbano’ posizionato strategicamente
in diversi punti della città. Ciò prevedrebbe la realizzazione di mol-
te micro-serre situate sopra gli edifici, tali da rendere i quartieri au-
tosufficienti mediante un'agricoltura a km 0: con la produzione e la
raccolta direttamente vicino ad abitazioni, scuole, centri per anziani
e ospedali. In effetti, un settore di mercato emergente ed a forte con-
notazione innovativa (che si pone trasversalmente al settore della
Nutraceutica e della Smart Health, nonché al settore della quarta
gamma) è il settore dei prodotti per usi A Fini Medici Speciali
(AFMS). In questo trend, la produzione di alimenti vegetali AFMS
attraverso la realizzazione di sistemi di crescita automatici ed a con-
tenimento è una possibilità che può garantire la coltivazione di ve-
getali freschi non contaminati, sicuri, continuamente disponibili e
Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” 171

può sviluppare nuove soluzioni per garantire l’integrità della filiera


contro contaminazioni biotiche e abiotiche e la difesa della produ-
zione agroalimentare da incidenti, contribuendo a risolvere il pro-
blema dell’approvvigionamento sicuro di alimenti speciali e della
food security nelle comunità (ad esempio, ospedaliere). Il problema
del cibo anche solo di alta qualità è poco affrontato dagli ospedali
italiani. La cattiva nutrizione aumenta i tempi di degenza e riabilita-
zione, aumentando i costi del Servizio Sanitario. Nel 2003, il Comita-
to dei Ministri del Consiglio d’Europa ha raccomandato ai governi
membri di implementare raccomandazioni nazionali sulla alimenta-
zione e sulla terapia nutrizionale negli ospedali pubblici e privati.
La situazione italiana ricalca quella europea: studi condotti in Fran-
cia, Inghilterra e Danimarca mostrano che il 40% del cibo è gettato
perché non consumato in quanto non gradito o non adatto ai pa-
zienti. Uno studio del Kings Fund Centre (UK) mostra che, in chi-
rurgia, un buon trattamento nutrizionale comporta risparmi di 560
euro/paziente. Dunque, anche gli ospedali italiani potrebbero rap-
presentare luoghi dai quali sostenere l’accesso ad un’alimentazione
più salutare e sostenibile nelle comunità.
Il rafforzamento dell’interconnessione tra le aziende ed enti di ri-
cerca del comparto BioTech, sanità/farmaceutico, agroalimentare,
ambientale non può che favorire la filiera dell’innovazione e fare da
leva per lo sviluppo industriale di aziende operanti in settori diver-
si, che incidono sull’alimentazione e sulla salute di categorie o
sull’interezza dei cittadini. Al livello ancor più ‘macro’, confidando
nei nuovi sistemi produttivi “intelligenti” e nei loro futuri sviluppi e
miglioramenti, potremmo prevederne l’utilizzo nei Paesi del terzo
mondo, ora non possibile per via non solo di un’evidente insosteni-
bilità economica, ma anche per problematiche inerenti ai sistemi di
raffreddamento dei sistemi di coltivazione chiusi.
La ricerca, dunque, deve procedere e continuare verso
172 Verso una società sostenibile

un’innovazione sostenibile. Una ricerca che possa comprendere la


collaborazione di più esperti di settore: tecnici, agronomi, ingegneri,
biotecnologi vegetali per l'attivazione di una rete di competenze che
permetta la formazione di uno sviluppo sostenibile a 360°. Perché
non bisogna dimenticarsi che la sostenibilità è tale se un processo è
sostenibile non solo a livello ambientale ed economico, ma anche a
livello sociale, ossia deve essere socialmente accettata.

10.2 Il ruolo dell’ENEA

ENEA è leader in questi settori grazie a competenze multidisciplina-


ri consolidate nel panorama scientifico nazionale e internazionale
dei sistemi, prodotti e processi ecosostenibili per la Bioeconomia;
dell’agricoltura di precisione e resiliente per la sostenibilità e la dife-
sa fitosanitaria delle produzioni; della tracciabilità, qualità e sicu-
rezza dei prodotti alimentari; dei processi e prodotti innovativi per
la salute ed il benessere umano.
ENEA dispone, a tali scopi, di piattaforme tecnologiche
all’avanguardia (piattaforme per analisi proteomiche, genomiche e
citogenomiche, Serra a Contenimento Biosicura, Camere di Crescita
Sterili, Fitotroni). In particolare, la serra sperimentale rappresenta il
primo esempio italiano di serra a contenimento (BSL2). Interamente
ideato e progettato in ENEA negli anni 2000, è attualmente imple-
mentato con un sistema informatico di gestione e controllo automa-
tico del clima, integrato ad un impianto di solar cooling di ultima ge-
nerazione per l’efficientamento energetico. L’impianto costituisce un
vero e proprio laboratorio sperimentale di Smart Farm in cui una
rete di sensori diffusa sia all’interno, sia all’esterno dell’impianto
permette di rilevare, in tempo reale e differito, i principali parametri
ambientali e di funzionamento quali: temperatura, umidità relativa,
Nuovi sistemi produttivi “intelligenti” 173

pressione differenziale, radiazione solare, radiazione PAR, radiazio-


ne UV, piovosità, direzione e intensità del vento, consumo elettrico,
portate, pH, EC. A completare la dotazione sperimentale, sono state
realizzate anche camere di crescita a contenimento per alloggiare
colture idroponiche e aeroponiche con illuminazione LED al fine di
simulare condizioni di allevamento in estremo contenimento per
evitare qualsiasi contaminazione di natura batterica e fungina.
Gli impianti sono principalmente utilizzati a supporto delle atti-
vità che afferiscono alla Divisione Biotecnologie e Agroindustria,
nella quale opera il Laboratorio di Biotecnologie e che prevedono,
tra le altre, lo sviluppo di nuovi ideotipi vegetali con caratteristiche
di altissima qualità, in grado di sintetizzare molecole ad alto valore
aggiunto per la farmaceutica (produzione di prodotti terapeutici e di
biofarmaci ricombinanti da piante biofabbrica), per l’alimentazione
di qualità (sistemi automatizzati per prodotti vegetali freschi), per
uso in ambienti estremi (sistemi di coltivazione per lo spazio “Agro-
Space” in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana). Per citare
un esempio in particolare, ENEA sta sviluppando sistemi di coltura
aero-idroponici verticali da poter integrare in aree ed edifici urbani
dismessi riqualificando non solo essi stessi, ma anche il quartiere o
le zone circostanti; tanto più se all’interno di un più ampio progetto
integrato di sostenibilità urbana. Poter, infatti, coltivare sui tetti di
palazzi o di capannoni industriali aiuterebbe questi a migliorare la
loro efficienza energetica da diversi punti di vista come: la disper-
sione termica o il consumo di energia elettrica. Queste strutture al-
tamente tecnologiche produrrebbero, poi, cibo che potrebbe essere
destinato ad una distribuzione locale a vero km 0. L’integrazione di
impianti fotovoltaici, mini-eolici, uniti anche alla diminuzione del
tragitto dal produttore al centro di distribuzione aiuteranno a limi-
tare l’impronta di carbonio emessa e, quindi, a migliorare la salubri-
tà delle aree urbane circostanti. Questo creerebbe un effetto a catena
174 Verso una società sostenibile

e circolare sulla qualità della vita e sulla qualità dei prodotti acqui-
stati in queste nuove aree verdi.
Il futuro dell’agricoltura e della nutrizione è sempre più un tema
centrale a livello planetario. Inseriti in un quadro più complesso
d’interventi per alleviare le problematiche diversificate, relative alla
scarsità di cibo, questi sistemi sostenibili e la loro evoluzione tecno-
logica consentiranno di ridurre le contaminazioni da agrofarmaci sia
negli alimenti, sia nel terreno rendendo più sostenibili le produzioni
a livello locale.
Finito di stampare nel mese di settembre 2019
con tecnologia print on demand
presso il Centro Stampa “Nuova Cultura”
p.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma
www.nuovacultura.it

per ordini: ordini@nuovacultura.it

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