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Roberto Paura
Ricezione pubblica della scienza e negazionismo scientifico: una
sfida per la “società della conoscenza” del XXI secolo 9
Antonio Camorrino
Scienza-Società. Analisi sociologica di una relazione complessa 29
Adolfo Fattori
La circostanza postumana. Complotti “metafisici” e paure
contemporanee 41
Mara Di Berardo
La comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia per
la partecipazione sociale al 2050 49
Pietro Maturi
Una questione non solo grammaticale: verso un’uguaglianza 63
di genere linguistica
Sergio Ferraris
Informare sui nuovi scenari dell’energia 105
Stefano Oricchio
Politiche di mitigazione e partecipazione. Dall’impatto am-
bientale del digitale a Ecosia 131
Grazia Quercia
Biohacking device e transumanesimo. Umani aumentati tra
fiction e realtà 139
Clementina Sasso
La missione spaziale Solar Orbiter e il suo impatto scientifico
e sociale 161
2
INTRODUZIONE
1
Between Science & Society HUB. E-mail: mirellaorsi.mi@gmail.com.
2
Italian Institute for the Future. E-mail: r.paura@futureinstitute.it.
4 Mirella Orsi, Roberto Paura
di Roberto Paura1
1
Italian Institute for the Future. E-mail: r.paura@futureinstitute.it.
10 Roberto Paura
È del tutto illusorio pensare che esista una comunicazione neutra e intrinsecamente
oggettiva. Anche le informazioni più formalizzate e analitiche hanno qualche
incrostazione più o meno visibile: ovvero, hanno un portato culturale storicamente
determinato e più o meno profondo. Cosicché ogni tipo di informazione può
generare effetti diversi e imprevedibili anche in pubblici altamente omogenei.
(Greco, 2008)
Alcuni studi hanno dimostrato le virtù di un simile approccio. Nel suo ar-
12 Roberto Paura
ticolo, Greco riportava una ricerca condotta da Dan M. Kahan, docente all’U-
niversità di Yale noto per i suoi studi sulle origini culturali della cognizione
umana, finalizzata ad analizzare la percezione del rischio associato alle nano-
tecnologie. Il gruppo di Kahan aveva analizzato un campione di 1600 cittadini
americani con un reddito medio-alto e un livello di istruzione superiore, divi-
dendoli in due sottogruppi, uno esposto alle problematiche delle nanotecno-
logie senza aver prima ricevuto una formazione e una conoscenza adeguata
dei temi, l’altro dopo un’analisi approfondita delle questioni. All’interno del
sottogruppo meno informato, gli uomini mostravano un livello più basso di
percezione del rischio rispetto alle donne, e non si osservava diversificazione
tra i gruppi etnici. Diversamente, nel gruppo esposto a una maggiore quantità
di informazione la percezione del rischio si riduceva tra gli uomini, aumentan-
do nella componente femminile; inoltre, tra i bianchi la percezione del rischio
calava considerevolmente, mentre tra i non bianchi aumentava significativa-
mente (Kahan et al., 2008).
Il contesto culturale gioca un ruolo più importante nell’attitudine verso la
scienza e la tecnologia rispetto all’alfabetizzazione scientifica. È certamente
vero che, all’aumento del PIL pro capite, il tasso di alfabetizzazione scientifica
in un paese aumenta in modo proporzionale; ma ciò non si traduce automa-
ticamente in un più positivo orientamento verso la scienza: se in India, per
esempio, sembra esserci una diretta correlazione tra l’aumento della conoscen-
za scientifica e l’incremento dell’attitudine positiva verso la scienza, in Europa
si osserva invece un calo una volta raggiunto un certo livello di alfabetizzazione
scientifica (Bauer, 2009).
Emergono anche differenze generazionali. Analizzando i livelli di cono-
scenza scientifica, l’interesse e l’orientamento verso la scienza in diversi paesi
europei (dati Eurobarometro) all’interno di cinque coorti generazionali (i nati
prima del 1930, i nati tra il 1930 e il 1949, i baby boomer nati tra i 1950 e il
1962, la generazione X nata tra il 1963 e il 1977 e i nati dopo il 1977), emergo-
no risultati interessanti: per esempio, in Italia c’è un significativo declino della
conoscenza scientifica a partire dalla generazione X. La generazione dopo il
1977 in Italia è chiaramente meno interessata alla scienza di quella precedente.
L’attitudine, espressa sulla base di risposte positive all’affermazione “la scien-
za rende le nostre vite più confortevoli, facili e sane”, vede le generazioni più
giovani in Francia rispondere in modo decisamente più negativo rispetto alle
generazioni precedenti, analogamente al Portogallo, mentre paradossalmente
la generazione post-1977 in Italia sembra avere un orientamento più positivo,
in contrasto con gli altri paesi (Bauer, 2009).
Ricezione pubblica della scienza e negazionismo scientifico 13
Fig. 1 – Livello di alfabetizzazione scientifica per coorti generazionali. Fonte: Bauer, 2009.
Fig. 2 – Livello di interesse nella scienza per coorti generazionali. Fonte: Bauer, 2009.
14 Roberto Paura
Fig. 3 – Livello di attitudine positiva verso la scienza e la tecnologia per coorti generazionali. Fonte:
Bauer, 2009.
Nel 1932 il fisico Wolfgang Pauli, uno dei padri fondatori della mecca-
nica quantistica, che all’epoca insegnava fisica teorica all’ETH di Zurigo, fu
convinto dal padre a rivolgersi a un suo collega, il celebre psicanalista Carl
Gustav Jung, per tentare di curare la sua depressione. Jung, che da tempo stava
sviluppando la sua ricerca sugli archetipi e il simbolismo alchemico, fu molto
colpito da Pauli, e chiese a una delle sue giovani assistenti di prenderlo in cura
e riportargli tutte le trascrizioni dei sogni di Pauli. Ben presto, i due iniziarono
un incessante dialogo, principalmente in forma di corrispondenza, che avrebbe
avuto un significativo impatto sulle loro teorie. Jung stava all’epoca cercando
una spiegazione per fenomeni che sembravano inspiegabili in termini di mera
causalità, come l’avverarsi di sogni premonitori o altri tipi di singolari coin-
cidenze: una volta, durante un alterco con Sigmund Freud, Jung, molto ani-
mato, spiegò l’improvvisa caduta di uno scaffale dello studio come un effetto
della sua rabbia; Pauli, da parte sua, era oggetto di una credenza superstiziosa
all’università, ironicamente battezzata “effetto Pauli”: ogni qualvolta entrava
in laboratorio, la strumentazione iniziava a non funzionare correttamente e gli
esperimenti non producevano i risultati attesi (Montanari, 2016).
Al di là degli aspetti aneddotici, Pauli e Jung condividevano una visione
della scienza che metteva in questione il puro materialismo. Jung accusava la
scienza dell’epoca di essere «basata principalmente su verità statistiche e cono-
scenze astratte, fornendo così un’immagine del mondo irrealistica e razionale»,
mentre per Pauli la scienza, in particolare la fisica quantistica, «era incompleta
perché, anche quando riconosce il ruolo essenziale dell’osservatore nella mec-
Ricezione pubblica della scienza e negazionismo scientifico 15
(…) la particolare revisione della scienza verso cui puntava la sincronia integrava
in un quadro olistico audace in grado di tenere insieme non solo tipi di scienza
radicalmente diversi come la fisica e la psicologia, ma anche la scienza empirica nel
suo insieme e l’ambito trans-empirico della religione, e non solo la scienza e la re-
ligione mainstream, ma anche alcune delle loro forme occulte della controcultura.
(Main, 2014)
Adam Nieman (2000) osserva che le teorie di Hall sui diversi modi di deco-
dificare un messaggio possono essere efficacemente applicate allo studio della
ricezione della conoscenza scientifica. Ci sono tre modalità diverse di ricezione:
la prima è la “posizione dominante-egemonica”, in cui il destinatario decodi-
fica il messaggio riferendosi al codice con cui è stato codificato, in virtù di un
“timbro di legittimità” codificato nel messaggio, che «appare contiguo con ciò
che è “naturale”, “inevitabile”, “dato per scontato” riguardo l’ordine sociale»
(Hall, 1980); la seconda modalità è un “codice opposizionale”, per cui i desti-
natari interpretano il messaggio in modo opposto rispetto al significato dato
dal mittente perché credono che il messaggio sia situato in una “cornice di
riferimento” che essi non condividono, cosicché vi oppongono una cornice di
riferimento alternativa. La modalità di mezzo è rappresentata dal “codice nego-
ziato”, in base al quale la legittimità della posizione egemonica da cui proviene
il messaggio è accettata, ma i destinatari si riservano il diritto di modificar-
ne l’applicazione nel contesto di ricezione a seconda delle “condizioni locali”
(Nieman, 2000).
Possiamo fare molti esempi di applicazione di questa teoria al problema
del negazionismo scientifico. Nel caso più semplice, quello della validità dei
vaccini, la posizione egemonica dello scienziato che ne afferma la bontà e
l’efficacia è respinta dai negazionisti, secondo i quali la comunità scientifica
coltiva interessi di natura economica (Big Pharma) se non addirittura di na-
tura socio-politica (controllo sociale), per cui alla cornice di riferimento dello
scienziato (l’efficacia del vaccino in termini scientifici) si sostituisce quella degli
oppositori (il vaccino come strumento di dominazione). Se ciò è vero, diventa
evidente quanto poco serva insistere su dati e pubblicazioni che dimostrano la
sicurezza dei vaccini o la loro efficacia, dal momento che l’opposizione da parte
dei negazionisti si basa su temi completamente diversi. Scienziati e oppositori
parlano, cioè, lingue diverse e codificano e decodificano il messaggio in modo
diametralmente diverso.
Prima di analizzare in che modo i determinanti culturali possono spiegare la
persistenza di forme di negazionismo scientifico anche in presenza di un livello
di alfabetizzazione scientifica molto alto, o di un sincero interesse nell’impresa
scientifica, vale la pena approfondire il problema della ricezione pubblica della
scienza analizzando la proposta di Egil Asprem (2016), il cui modello teori-
co, proposto per comprendere la diffusione di concezioni scientifiche distorte
all’interno di ambiti culturali particolari come quello dei nuovi movimenti re-
ligiosi e del cultismo contemporaneo (per es. la New Age), può essere esteso a
qualsiasi altro ambito di ricezione.
Asprem osserva che esistono importanti similarità tra “religione popolare”
e popular science, ossia la conoscenza scientifica condivisa da pubblici diversi
attraverso il processo di traduzione da parte della “divulgazione” della scienza.
Entrambi i concetti partono da una dimensione in cui le idee vengono prodotte
– rispettivamente la teologia e la scienza professionale – per poi venire tradot-
Ricezione pubblica della scienza e negazionismo scientifico 17
te nel processo di ricezione in una forma più semplice e intuitiva, che porta
all’affermazione della religione popolare di spiegazioni di senso comune nella
scienza. Si tratta di un processo di ottimizzazione cognitiva che porta i diversi
tipi di pubblico a preferire, nella fase di trasposizione, le idee più attraenti e
immaginifiche. La fig. 4 mostra il modello proposto da Asprem per spiegare il
processo di traduzione che porta lo spazio di input, rappresentato dalla “scien-
za riflessiva”, verso lo spazio di output, rappresentato dalla scienza popolare.
La scienza riflessiva è caratterizzata da processi di elaborazione riflessivi, men-
tre la traduzione ha luogo in uno spazio dove dominano processi di elabora-
zione intuitivi; al tempo stesso, la scienza professionale è caratterizzata dalla
ricerca di spiegazioni di fenomeni che non includono l’agency, ossia che non
richiedono l’azione di soggetti capaci di azioni intenzionali, mentre il dominio
della psicologia intuitiva in cui il processo di traduzione prende luogo è carat-
terizzato dalla ricerca di spiegazioni caratterizzate dall’agentività. Un esempio
lampante è, nella divulgazione della meccanica quantistica, l’uso di metafore
secondo cui una particella “sceglie” in quale fessura passare all’interno dell’e-
sperimento della doppia fenditura, come se fosse dotata di intenzionalità (cfr.
Smith, 2013). Si tratta di meccanismi tipici della scienza popolare (folk science)
che agisce nella fase di trasposizione di un concetto scientifico con l’obiettivo di
ottimizzare a livello cognitivo il concetto originale. Come scrive Asprem:
La scienza popolare, così come l’euristica usata per insegnare la scienza a studenti
e non-scienziati, incoraggia le persone a pensare alla scienza intuitivamente piut-
tosto che riflessivamente. Nel fare ciò, essi mescoleranno e confonderanno fre-
quentemente inferenze tra domini ontologici [diversi] e prenderanno scorciatoie
ricadendo nelle relativamente semplici interazioni causali della fisica popolare
[folk physics]… per cui l’errore scientifico è inevitabile. (Asprem, 2016; corsivo
nell’originale)
18 Roberto Paura
Fig. 4 – Il processo di traduzione dalla scienza professionale alla scienza popolare secondo Asprem (2016).
tico, notando che, sebbene tale correlazione sia incontrovertibile, non emerge
invece in altre controversie su temi scientifici come gli OGM o i vaccini. È
anche vero che esiste una relazione tra orientamento religioso e fiducia nella
scienza: essi notano che, dal momento che religiosità e ideologia politica sono
strettamente interrelate (un conservatore è in media più religioso di un libe-
rale), alcuni dei precedenti studi sullo scetticismo nella scienza possono avere
confuso il conservatorismo con la religiosità. Inoltre, poiché sia i conservatori
che i credenti pongono generalmente maggior enfasi sui valori morali (come
ad esempio l’importanza di preservare l’ordine naturale delle cose), è essenzia-
le considerare anche la moralità (le preoccupazioni morali riguardo concetti
come naturalezza e purezza) come potenziale determinante di scetticismo nei
confronti della scienza.
Nei tre studi condotti dai ricercatori emergono risultati molto interessanti.
Al livello di fiducia nella scienza, emerge in prima istanza una componente
demografica: gli uomini hanno più fiducia nella scienza rispetto alle donne, e la
fiducia diminuisce con l’età; tale componente diventa però irrilevante quando
entrano in gioco altri determinanti, come la moralità, il conservatorismo politi-
co e l’ortodossia religiosa: emerge che l’ortodossia religiosa è il più forte fattore
predittivo negativo verso la fiducia nella scienza. Riguardo lo scetticismo nel
legame tra HIV e AIDS, non c’è correlazione con la fiducia nella scienza, la
moralità o la religione, ma emerge una correlazione con il conservatorismo.
Sul tema del cambiamento climatico, viene confermato che il conservatorismo
politico è un predittore significativo di scetticismo (e non c’è associazione con
le preoccupazioni morali o la religiosità). Riguardo allo scetticismo verso gli
OGM, la principale correlazione sembra essere quella di una bassa fiducia nella
scienza, mentre i sostenitori di idee politiche conservatrici sono mediamente
meno scettici sugli OGM. Un’evidenza particolarmente interessante emerge
sul tema dei vaccini, come spiegano gli autori:
Fig. 6 – L’immagine sintetizza le principali evidenze di Rutjens, Sutton e van der Lee, 2017.
si inverte». Più precisamente, le due categorie (fatti e valori) non possono più
«essere realisticamente separate» (Funtowicz e Ravetz, 1993). Già trent’anni fa,
i due autori mettevano in guardia dagli effetti devastanti di una crisi di legitti-
mità della scienza e dei sistemi esperti che sarebbe potuta emergere, se le auto-
rità avessero cercato di basare i loro appelli alla responsabilità sulle tradizionali
certezze dei fatti scientifici, senza tenere in conto anche i temi etici e gli interes-
si particolari della società. È evidente che questi appelli sono caduti nel vuoto,
altrimenti non ci troveremmo oggi a parlare dell’importanza della vaccinazione
o persino del terrapiattismo (la sfericità della Terra è un assunto che appar-
tiene alla “scienza normale”; ma tale è l’estensione della messa in discussione
della legittimità della comunità scientifica, che persino questi concetti possono
essere rifiutati in ragione di una priorità assegnata a sistemi di valori diversi,
come – nel caso di specie – quelli religiosi o politici; cfr. Camorrino, in questo
volume). Siamo forse ancora in tempo a correggere la rotta, se vogliamo sperare
di costruire un più efficace dialogo tra scienza e società nel XXI secolo, dove ci
attendono nuove, importanti sfide del progresso tecnoscientifico, alcune delle
quali non possiamo nemmeno ancora prevedere.
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Ricezione pubblica della scienza e negazionismo scientifico 27
di Antonio Camorrino1
1
Università degli Studi di Napoli Federico II – Dipartimento di Scienze Sociali. E-mail: antonio.
camorrino@unina.it.
30 Antonio Camorrino
Una delle più rilevanti questioni – in termini sociologici – dei nostri giorni
è che alla massima parte delle istituzioni roccaforti della modernità, non è ac-
cordata più quella legittimazione che in modo pressoché aproblematico veniva
loro riconosciuta sino a qualche decennio orsono (Berger e Luckmann, 2010).
Lasciate che mi serva di un esempio tratto dalla vita quotidiana per poter
restituire questo stato di cose. La mia natura abitudinaria fa sì che da qualche
anno, nei giorni feriali, io consumi il pranzo nello stesso ristorante. Ciò impli-
ca – immaginate a Napoli, poi! – che io sia in confidenza con buona parte del
personale. Non di rado mi attardo quindi, nel corso del pasto, nelle più svariate
tipologie di conversazione con coloro i quali prestano servizio in quel momento
nel locale. Pochi giorni prima di dedicarmi alla scrittura di questo saggio, come
quasi ogni giorno nel break di mezza giornata, ero seduto al tavolo. Nell’attesa
dell’ordinazione, il direttore di sala mi coinvolge – conoscendo i miei interessi
2
Sulle implicazioni sociologiche relative al carattere “assurdo” dell’esistenza già prefigurate
nell’opera di Franz Kafka, si veda Pecchinenda (2018).
Scienza-Società. Analisi sociologica di una relazione complessa 31
mazione che più in generale ha colpito le istituzioni sociali, produce infatti una
tenace diffidenza su quanto non è più sostenuto dal supporto delle “grandi
narrazioni” (Lyotard, 2008).
Il dubbio circa l’esistenza di qualche interesse mascherato fa sempre più
spesso capolino: “c’è qualcosa dietro” è una espressione che sintetizza bene
questo stato di cose.
L’incredibile successo delle teorie della cospirazione è sintomatico di que-
sta inedita condizione sociale. Il pervasivo sentimento di crisi dei significati
(Tagliapietra, 2010), produce la persuasione diffusa che dietro a un mondo “in-
sensato” se ne nasconda un altro che ne giustifichi l’andamento, risolvendo così
le aporie di un’esistenza altrimenti percepita come assurda e inessenziale: poco
importa se al prezzo di sapersi dominati da un pugno di famiglie sordidamente
alleate in nome del controllo segreto del pianeta (Camorrino, 2018a). Secondo
Karl Popper con il cospirazionismo il pantheon omerico discende nuovamente
sulla Terra. Le alterne vicende mondane vengono così inscritte in una dram-
maturgia popolata di infidi e capricciosi burattinai che orientano i destini di
inermi esseri umani (Popper, 1972). Le conspiracy theories sono una versione
postmoderna della teodicea, con le quali si riesce a conferire significato alla
iniqua distribuzione della giustizia e della sofferenza. Abbandonarsi in preda a
una rassegnazione masochistica tra le braccia di un sistema di assoggettamen-
to, riduce comunque il carico affettivo di un’altrimenti intollerabile assenza
di senso (Neiman, 2011). In questa situazione di “coinvolgimento emotivo”
l’evidenza di eventuali fatti contraddittori non è affatto sufficiente a minare gli
intimi convincimenti degli individui: l’attivazione del pensiero magico provve-
de a trasfigurare la realtà (Elias, 1988), assicurando il consolidamento della “ra-
zionalità complottista”. Sufficiente pensare al caso degli UFO: qualsiasi prova
contraria, o assenza della prova, è percepita come un tentativo governativo di
manipolazione o insabbiamento, fatto che concorre a rinforzare la credenza,
non a scalfirla (Paura, 2017).
Il direttore del mio racconto non rifiutava dunque di credere nelle sacre
scritture in virtù di uno slancio positivo; anzi, rinnegava alcune delle più grandi
conquiste della scienza moderna e contemporanea, dalla teoria copernicana
allo sbarco sulla Luna. Ciò che anima il suo ragionamento non è dunque né un
progressismo modernista, né un conservatorismo reazionario di stampo pre-
moderno, quanto piuttosto una “razionalità” tutta postmoderna, basata non
più sulla inquestionabile fede nel sacro né sul dubbio metodico di un’autorevo-
le prassi scientifica, ma sulla credenza incrollabile nell’esistenza di una doppia
realtà, l’una superficiale e ingannatrice, l’altra profonda e autentica, per quanto
miserevolmente abitata da cinici e spietati signori del mondo. Da siffatto punto
di vista la diffusione di questo tipo di razionalità rivela l’emergenza di un nuovo
“sistema mimetico” che da Platone in poi non cessa di duplicare la realtà al fine
di integrare i significati dell’esistenza terrena e “distrarci” dal nostro carattere
mortale (Pecchinenda, 2014). Internet ha naturalmente giocato un ruolo assai
Scienza-Società. Analisi sociologica di una relazione complessa 33
A mio avviso, tener conto di quanto sinora detto può essere estremamente
utile se desideriamo ben interpretare i delicatissimi scenari sociotecnici che
si aprono sul prossimo futuro. In tal senso anche il caso del movimento che
un po’ frettolosamente è stato definito dei “no-vax” è quantomai istruttivo. Si
tenga conto di una premessa fondamentale: la sociologia deve rifiutare le valu-
tazioni ovvie del senso comune. In massima parte, esse rappresentano insidiose
trappole per il ragionamento scientifico e veri e propri ostacoli sulla via della
conoscenza. Nonché impedimenti talvolta insormontabili per approntare solu-
zioni pratiche ai problemi sociali.
Sono talmente note le ragioni del dibattito sui “no-vax” infuriato in Italia
in questi anni, che è superfluo ritornarci su3. Mi limito quindi a rilevare quegli
aspetti utili a evidenziare la complessità del fenomeno e, più in generale, delle
problematiche inerenti al dialogo “scienza-società”.
Qualsiasi proposta basata sul mero miglioramento della comunicazione
scientifica deve ritenersi infatti insufficiente a colmare l’ideale gap tra una pre-
sunta comunità di scienziati illuminati e una sfera pubblica intrappolata in un
imperdonabile stato di analfabetismo scientifico (Bucchi, 2006). Medesima in-
fausta diagnosi sociologica per chi si appellasse all’ignoranza come alla causa
di quanti si oppongono alla somministrazione obbligatoria dei vaccini. Studi
documentati certificano difatti che i possessori di titoli di studio più elevati
rappresentano lo zoccolo duro di coloro i quali si schierano contro la obbli-
gatorietà della totalità dei vaccini (Bucchi e Saracino, 2019). È la volontà degli
3
Ho ragionato altrove più estesamente su questo tema. I vecchi e nuovi media giocano natural-
mente un ruolo rilevantissimo in questo scenario. Si veda Camorrino (2017) e, per un’utile analisi da
diversa prospettiva, anche Ferrazzoli (2018).
34 Antonio Camorrino
nella quale per secoli gli esseri umani hanno visto ancorata la loro identità e il
senso profondo del loro essere (Beck, 2017). Per esempio, il nesso biologico
tra madre e prole, certo per millenni, è oggi riarticolato dall’avanzamento acce-
lerato delle tecnologie della riproduzione e dalla globalizzazione degli scenari
esistenziali e del mercato (Beck e Beck-Gernsheim, 2012). Nel caso della gesta-
tional surrogacy le spinose questioni sollevate dal dibattito internazionale non
si esauriscono affatto nella sola dimensione comunicativa del fenomeno ma
rinviano a polarizzazioni morali, culturali, retoriche e politiche (Bandelli, 2019;
Bandelli e Corradi, 2019). Una riflessione di carattere più generale intorno al
rapporto scienza-società confluisce giocoforza nell’ambito dell’antica interro-
gazione intorno ai limiti dell’azione umana (Pacelli, 2013), il cui perimetro è
oggi scolorito dalla radicale ricomposizione della gerarchia dei valori e dal con-
tributo decisivo di portentosi sviluppi tecnoscientifici (Camorrino, 2019a). Le
scivolose formulazioni del “principio di precauzione” rendono bene l’idea delle
profonde trasformazioni avvenute nella relazione tra le forme della produzione
tecnoscientifica e gli strumenti della regolazione sociale e giuridica. Questi ul-
timi paiono sempre più inadeguati al cospetto di una sfera che sfugge in modo
crescente alle maglie dei dispositivi tradizionali utili alla gestione delle faccende
umane (Ewald, 1996). Siamo cioè innanzi a una riscrittura della questione della
responsabilità, che diventa un ulteriore dirimente tema dell’attualità non solo
politica – tema comunque in gran parte interno al rapporto scienza-società per
come qui lo si sta intendendo (Camorrino, 2019b).
Il nucleo del problema è che la scienza, in sostanza, non è più percepita
esclusivamente come l’istituzione in grado di trovare soluzioni ai problemi e
di garantire, attraverso la ricerca, un futuro migliore e di benessere per l’intera
umanità. Essa viene anzi contestualmente vissuta come uno dei primi vettori di
minaccia (Beck, 2003). Basti pensare alla gigantesca questione – cui qui possia-
mo solo accennare – del Climate Change (Giddens, 2009). La radicalizzazione
del processo di industrializzazione ha delineato scenari in cui sembra a rischio
l’intera biosfera (Beck, 2001). L’immaginario della “apocalisse autoprodotta” si
sposta dall’incubo dell’inverno nucleare4 (Anders, 1992) a quello della deserti-
ficazione, dell’innalzamento dei mari, del riscaldamento globale, ecc. (Camor-
rino, 2018b). Per reazione a questo timore circa la sopravvivenza della specie
umana e non umana, siamo testimoni di un ritorno della natura a fulcro im-
maginale del nostro tempo (Camorrino, 2019c). Anzi, nel quadro più generale
del processo di desecolarizzazione che sta interessando globalmente la società
(Berger 1999) – seppur con fisionomie, modalità e sfumature differenti – la
sfera naturale viene assurgendo a entità cultuale, in ossequio a vere e proprie
forme di ecospiritualità (Camorrino e Calia, 2019; Choné, 2017; Taylor, 2010).
4
L’industria culturale ha digerito a modo suo questi inediti scenari distopici, dando luce a una
vasta gamma di prodotti non solo cinematografici. Si veda Caramiello (1987) e Calia e Caramiello
(2019).
36 Antonio Camorrino
Bibliografia
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La circostanza postumana. Complotti “metafisici” e paure contemporanee
di Adolfo Fattori1
Reincanti
Immaginare la forma che prenderà il mondo del futuro nei termini delle isti-
tuzioni di base della nostra società – lavoro, politica, economia, istruzione, ricer-
ca scientifica e tecnologica, unioni affettive – non può prescindere dal prendere
in esame gli universi simbolici (Berger, Luckmann, 1997) che ne forniranno la
cornice descrittiva e legittimante – i modi in cui ci spiegheremo e giustifichere-
mo, dal punto di vista del senso comune, prima di tutto, la realtà in cui vivremo.
Quella che nel suo Meditazioni del Chisciotte (2014) il sociologo spagnolo
José Ortega y Gasset definisce la circostanza: «La circostanza! Circum-stantia!
Le cose mute che ci circondano», intendendo con questo termine il mondo
che ci sta intorno, e il modo in cui lo interpretiamo e in cui agiamo. Il mondo
sociale e naturale, insomma, ma filtrato dalla nostra “visione del mondo”, dal
modo in cui, socialmente, lo costruiamo, in un lavoro di negoziazione continua,
al nostro interno, fra pulsioni individuali e istanze sociali.
Pensando all’oggi – e a quanto il tempo in cui viviamo può darci indicazioni
sul futuro che verrà – non possiamo evitare di soffermarci sulle trasformazioni
che stanno avvenendo nell’immaginario collettivo, nel modo in cui ci descri-
viamo il mondo attuale, e quindi nel sistema di aspettative, paure, idee che
abbiamo nei confronti del futuro che ci attende.
Dopo secoli di egemonia, sempre crescente, di una visione del mondo fon-
1
Accademie di Belle Arti di Napoli. E-mail: adolfofattori@libero.it
42 Adolfo Fattori
data sulla fiducia nel progresso, nella scienza, nella conoscenza, sembra ci sia
una stasi, un ripiegamento, un ritorno – anche se con vesti in parte nuove –
verso una visione del mondo fondata sul pensiero pre-razionale, magico. Assi-
stiamo a un reincanto del mondo, probabilmente radicato nella sensazione della
progressiva estraneità dai contesti in cui si costruisce la realtà sociale, e dalla
paura di essere in balia di forze che, seppur concrete, sono al di fuori del no-
stro controllo, forze invisibili, impalpabili, animate da intenzioni ostili, ma che
agiscono negli interstizi e negli anfratti della vita quotidiana, tanto da innescare
reazioni simili a quelle degli appartenenti alle società arcaiche, immerse nel
soprannaturale (Camorrino, 2019). Lo conferma il successo mondiale di “nar-
razioni” che rimandano a silenziose invasioni aliene, complotti extra-umani e
via dicendo (Paura, 2017).
Atteggiamento puntualmente riflesso in quei prodotti dell’immaginario
narrativo e scientifico della tarda modernità che rimandano agli universi del
magico, del soprannaturale, o a quelli della cospirazione, del complotto, che han-
no come comun denominatore la percezione di essere inermi – il che produce
spavento, diffidenza e rabbia – di fronte a poteri soverchianti e occulti.
Insomma, una reinterpretazione del “complotto metafisico” di cui scriveva
Philip K. Dick (2015), o, tornando a Ortega y Gasset e al Don Chisciotte, degli
“incantatori” che l’hidalgo di Cervantes sostiene nascondano la vista della real-
tà agli uomini… Convinti che “la verità sia dentro di noi”, sulla scorta dell’on-
da lunga che in Occidente proviene dalla cultura americana e dal suo rapporto
col sacro (Bloom, 1992; Davis, 1999; Castaneda, 1970), sentiamo di avere gli
strumenti e le capacità (Tipaldo, 2019) per difenderci dalle minacce invisibili
che ci vengono da un cosmo (insieme profano e sacro) ostile attraverso il di-
gitale, la nostra “work station”, sintesi del rifugio antiatomico (Signori, 2008;
2009) contemporaneo e della metropoli moderna (Benjamin, 1976; Simmel,
1996): un luogo in cui e da cui praticare i rituali di un sacro “tecnologico”, “a
bassa intensità” (Ortoleva, 2019) che ci permetta di esorcizzare i demoni della
contemporaneità, come nel romanzo L’alba delle tenebre di uno dei maestri
della science fiction, Fritz Leiber (1950).
Forse l’esito, ipotizzato da sociologi e filosofi, della tendenza al passag-
gio da una Umanità così come definita dall’Umanesimo e dalla Modernità a
una post-umanità per ora solo in fieri è da cercare in questo ritorno al passato,
piuttosto che in un passaggio ad una dimensione umana “superiore” a quella
definita dal percorso moderno (Fattori, 2019).
Sacra scienza
In L’alba delle tenebre (1991), pubblicato nel 1950 – uno dei capolavori
della fantascienza apocalittica – Fritz Leiber immagina che in un mondo posta-
tomico (assimilabile temporalmente agli anni che stiamo vivendo) una umanità
La circostanza postumana 43
imbarbarita sia sotto il dominio di una setta di sacerdoti che hanno trasformato
la scienza in una sorta di religione, assiomatica e rigida, sostanzialmente magi-
ca, sacra. Un feroce ed efficiente strumento di potere.
Prescindendo dal contesto “postatomico” del romanzo, scritto in piena
“guerra fredda” (cfr. Signori 2008; 2009), potremmo avere una conferma di
quel che William Burroughs scriveva a proposito proprio della science fiction,
che «… ha la cattiva abitudine di avverarsi» (1994).
Non certo riguardo alla storia del mondo, figuriamoci, quanto alla capacità
di percepire, immaginare – rendendo letterali metafore, iperboli o altre figure
retoriche – proiettandole nel futuro, tendenze e curvature che saranno del rap-
porto umano con la realtà, sociale e naturale.
Così, in questo caso, forzando leggermente la mano, possiamo paragonare
il terrore degli abitanti del mondo immaginato da Leiber ai nostri contem-
poranei, invasi da paure escatologiche (Camorrino, 2019) di varia natura, che
possiamo considerare, in ultima analisi, l’esito ultimo di ormai consolidate dif-
fidenze e sospetti verso le istituzioni scientifiche (e di quelle politiche e culturali
che ne sono le custodi).
Si torna a una dimensione magica, pre-razionale, in cui i detentori delle co-
noscenze scientifiche sono percepiti come apprendisti stregoni, in commercio
con le grandi – e invisibili, sovra-umane – conglomerazioni economico-poli-
tico-finanziarie, magari emanazione di estranei invasori, come i rettiliani (cfr.
Paura, 2017).
Assistiamo a una sorta di sacralizzazione della scienza in senso magico, eso-
terico: saperi lontani, opachi, oscuri, sempre più estranei, forse effetto dell’inca-
pacità progressiva della scuola di trasmettere conoscenze, che si riverbera sulla
possibilità di ancorare a paradigmi riconoscibili la comunicazione scientifica, an-
che divulgativa o giornalistica, e contemporaneamente di una diffidenza sempre
più diffusa nei confronti delle istituzioni pubbliche, dei “sistemi esperti” (cfr.
Giddens, 1999) nel loro complesso, in tempi in cui tutta la tradizione del pensie-
ro occidentale – politico, etico, scientifico – viene messa in discussione.
Istituzioni e apparati percepiti come inutili, inadeguati, se non direttamente
oppressivi, ostili: tenebrosi, appunto.
Controllo
Inner-Outer Spaces
vede una sua versione originaria grazie a uno dei più raffinati e visionari scrittori
di science fiction, uno degli autori che l’hanno condotta al suo compimento, l’in-
glese James Graham Ballard, in uno dei suoi primi racconti, The Watch-towers,
pubblicato in originale nel 1962 e in italiano prima nel 1965 come Essi ci guardano
dalle torri, poi nel 2003 in una nuova traduzione col titolo Le torri d’osservazione.
Il racconto – da quel che ci dice lo stesso Ballard – si svolge in un presen-
te possibile, indistinguibile dal nostro – magari, come avviene spesso nei suoi
racconti, come in molta narrativa tardomoderna vicina o ibridata con la science
fiction – in un futuro di appena qualche anno più avanti.
La città dove vive il protagonista, Renthall, è controllata dall’alto da un gran
numero di “torri” sospese al cielo, apparse improvvisamente, da un giorno all’altro:
una presenza incombente, opprimente e aliena, di cui non si conosce l’origine – né,
tantomeno, si conoscono i moventi degli eventuali occupanti, o di chi le controlla,
magari da lontano, ma che si pensa servano a controllare comportamenti e routine
degli umani. Ogni tanto dal basso si intravedono finestre che si aprono, forme
vaghe che sembrano osservare dall’alto ciò che avviene sulla superficie della città.
Il Consiglio che regge la città si è arrogato il compito di fare da interme-
diario fra i cittadini e i presunti occupanti delle torri: impartisce ordini e im-
posizioni, elargisce consigli… fra tutti, quello forse più coattivo riguarda lo
scoraggiare le attività sociali, pare che le “torri” non vogliano: scuole, teatri,
cinema chiusi, anche le relazioni affettive si atrofizzano. La città è congelata, in
letargo. Disincanto, conformismo, depressione sono la norma.
Renthall però non si adatta, è insofferente alla mancanza di vita provocata
dall’apparire delle torri, e decide di rompere la stasi che ha colpito i suoi con-
cittadini, e si dà da fare per organizzare un vento pubblico, che scuota le acque,
per provocare una qualsiasi reazione – se non dalle torri, almeno dal Consiglio
della città, perché in realtà crede che non ci sia nessun vero rapporto fra Con-
siglio e torri.
E infatti viene convocato dal Consiglio, che però sospende contestualmente
la seduta sine die.
La vita quotidiana riprende, anche se con lentezza, ma Renthall sente puzza
di bruciato: scopre presto che coloro con cui è in contatto non capiscono di
cosa parli, perché non vedono più le Torri e ne hanno perso anche il ricordo!
Circostanze
Fritz Leiber affabula sul rischio (che nei nostri anni si attualizzerà con for-
za) di una deriva della percezione comune degli apparati e delle procedure del-
la scienza in senso “esoterico”, magico-religioso, estraneo, inserendosi in una
tradizione della science fiction che trae ispirazione dalla diffusione latente, sotto
traccia, di paure magari indefinite, sottili, che nascono da un clima, quello degli
anni Cinquanta del Novecento, che mescolano la paura della catastrofe atomi-
ca con quelle dell’invasione aliena (a sua volta metafora dell’invasione “comu-
nista”) spingendone all’estremo le implicazioni, e scegliendo come terminale
una declinazione dell’idea di scienza come apparato separato e, autonomo, che
si fa potere opprimente e autoreferenziale. James Ballard è più sottile, il suo
racconto si presta a più linee interpretative, come d’altra parte è da attendersi
da un autore che già dagli esordi esprimeva un immaginario e un suo sguardo
sul processo sociale molto più articolato, diffratto, eccentrico.
Il nucleo di Le torri d’osservazione giace e prende corpo senza dubbio dal
tema della paura delle invasioni aliene che però Ballard sfrutta come sfondo
per immaginare una dimensione in cui queste generino una sorta di allucina-
zione collettiva – sfruttata dal “Consiglio della città” per suoi fini occulti (e
qui emerge un altro dei miti contemporanei – a bassa intensità? [cfr. Ortoleva,
2019] – ossia quello del complottismo), fin quando l’allucinazione non sfuma,
e il solo protagonista, Renthall, ne rimane invischiato. O ancora, al contrario,
che la “cospirazione” ai danni della popolazione della città sia reale e che i
suoi autori riescano a cancellare la realtà del complotto dalle memorie e dalla
percezione della popolazione, rendendola immanente, pervasiva, ma occulta.
Solo Rendhall ne rimane consapevole, isolato dagli altri e ormai inoffensivo, a
predicare in un deserto di abulia e di (auto?)inganno. Nella “circostanza” – per
dirla con Ortega y Gasset – in cui vivono Renthall e i suoi concittadini si è infil-
trato un elemento estraneo, ostile, che condiziona la vita quotidiana e il mondo
sociale percepito che somiglia, grazie alla presenza delle “torri” alla natura dal
“volto orchesco” prodotto di quell’“ambiente artificiale tardo-moderno” di cui
scrive Carlo Formenti pensando a telecamere di sorveglianza e tecnologie del
controllo (Formenti, 1986), e che già fa intravedere le membrane deformanti
fra la realtà e la nostra percezione che popoleranno i mondi allucinati di Philip
K. Dick.
In questo non c’è differenza fra il futuro descritto nel 1965 da Ballard e
quello immaginato nel 1950 da Leiber: cambiano solo la tipologia delle tecno-
logie messe in scena, e le modalità con cui gli umani interiorizzano la loro con-
dizione di impotenza nei confronti non del caso in generale, di lunghe catene
di eventi di cui non sono che occorrenze episodiche, ma di forze al di fuori del
proprio controllo, dotate di scopi precisi, anche se spesso imperscrutabili.
La circostanza postumana 47
Bibliografia
Videografia
di Mara Di Berardo1
1
Millennium Project & Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per le Applicazioni del
Calcolo “M. Picone”. E-mail: mdiberardo@gmail.com.
50 Mara Di Berardo
Quella che si potrebbe definire come una citizen digital science (scienza di-
gitale dei cittadini) supporta una partecipazione pubblica online ai processi di
creazione di conoscenza scientifica e di definizione di politiche pubbliche della
ricerca, lo sviluppo di alfabetizzazione scientifica e anche di altri tipi di alfabe-
tizzazione. Ad esempio, la digital and media literacy (alfabetizzazione digitale
e ai media) è intesa come un insieme di competenze per utilizzare criticamen-
te e con sicurezza Internet e l’ampia varietà di strumenti digitali disponibili
e per accedere ai media in tutti i formati, averne una comprensione critica e
interagire con essi (Expert Group on Media Literacy 2016). L’alfabetizzazione
digitale e ai media indirizza l’obiettivo di una trasformazione digitale dell’Eu-
ropa che funzioni per tutti nel rispetto di valori comuni (Commissione Eu-
ropea, 2020), nel cui ambito si collocano il Piano d’Azione per l’Istruzione
Digitale (COM/2018/022), la Nuova Agenda per le Competenze per l’Euro-
pea (COM/2016/381) e il Quadro Europeo delle competenze digitali (Ferrari,
2013) che le indirizza.
In tale contesto, il recente studio triennale del Millennium Project2 (MP)
Work/Technology 2050. Scenarios and Actions (Glenn, 2019) indica azioni e
suggerimenti che possono migliorare anche la comunicazione della scienza e
della tecnologia e le attività di scienza dei cittadini e di scienza digitale. Lo
studio indirizza i temi del lavoro e della tecnologia seguendo gli impatti delle
Next Technologies (NTs)3 al 2050 grazie alla partecipazione allo studio di oltre
450 esperti di futures studies, intelligenza artificiale, economisti, artisti, docen-
ti, scienziati, ingegneri e altri esperti di lavoro e tecnologia. Include tre sce-
nari dettagliati al 2050 formulati attraverso nove RealTime Delphi (RDT, cfr.
Gordon, Pease, 2005)4, un compendio di azioni definite tramite 30 workshop
Charrette5 nazionali in 19 Paesi e valutazione e analisi delle azioni effettuata
tramite cinque RTD.
Alcune azioni suggerite nello studio per migliorare le prospettive dell’u-
manità al 2050 si rivolgono al miglioramento della comunicazione istituzionale
della scienza e della tecnologia, intesa come quella parte della comunicazio-
ne della scienza che va oltre la comunità scientifica, altre come le piattaforme
digitali per l’intelligenza collettiva, possono essere utili per il coinvolgimento
dei cittadini anche nella scienza digitale. Rielaborando decine di commenti dei
2
Il Millennium Project è un network senza affiliazioni di governo, partecipativo, globale e volon-
tario di esperti di previsione sociale. Per info: www.millennium-project.org.
3
Per Next Technologies si intendono IA, distinta in debole, forte e super IA, e robotica, biologia
sintetica e genomica, stampa 3D/4D e biostampa, Internet of Things, intelligenza umana aumenta-
ta, telepresenza e comunicazioni olografiche, droni e altri veicoli autonomi, nanotecnologia, scienze
computazionali, realtà virtuale e aumentata, blockchain, cloud analytics, informatica quantistica, in-
telligenza collettiva e le loro future sinergie (Glenn, 2019).
4
Il RTD è un’applicazione online del metodo di comunicazione strutturata (Di Berardo, 2008;
Di Berardo, 2009) in isolamento Delphi (Dalkey, Helmer, 1951).
5
Il Charrette è un metodo di comunicazione strutturata intensivo face-to-face che scompone il
tema per la discussione in sottogruppi e in sessioni plenarie.
52 Mara Di Berardo
6
Tutte le citazioni provengono da Glenn, 2019 e sono tradotte dall’autrice.
La comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia 53
della tecnologia dei centri di ricerca già oggi, ad esempio con «un incarico spe-
cifico per la sensibilizzazione, un portavoce di laboratorio», un comunicatore
della scienza e della tecnologia per chi si occupa di ricerca. Alcuni sostengono
che «molti laboratori scientifici nazionali sono in ristrettezze economiche ed è
improbabile che creino un incarico per questo lavoro» e che «rendere la scien-
za comprensibile al pubblico richiede un grosso budget e tempo lontano dalla
conduzione della ricerca, per cui è improbabile che venga finanziato». Per altri,
invece, la comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia è un’azione
facilmente attuabile perché «molti centri di ricerca hanno un dipartimento di
pubbliche relazioni» e basterebbe «considerare una direttiva dall’autorità rile-
vante che dice di farlo e aggiungere qualche piccolo fondo extra nel budget».
Spesso, però, «le abilità nel comunicare la scienza mancano» ed è «richiesto
anche uno sforzo per formare sia i direttori che i ricercatori di base» «hanno
bisogno di formazione per migliorare il loro impatto».
Imparare a comunicare scienza e tecnologia per i pubblici è infatti come
imparare una lingua straniera (Angela, 2009) e necessita capacità di comunica-
zione verbale e non verbale e di motivazioni per attrarre. Esistono già master
e corsi di formazione in comunicazione della scienza, come alcuni dei parte-
cipanti allo studio suggeriscono, però il problema non è soltanto educativo:
«Molti degli scienziati migliori non vogliono avere a che fare con il pubblico,
ma non c’è bisogno di tutti gli scienziati migliori, solo di alcuni, e coloro che
non vogliono avere a che fare con il pubblico dovrebbero sostenere coloro che
lo fanno», come è successo per Carl Sagan7.
Rispetto a come procedere, «molti laboratori pubblicano già comunicati
stampa e organizzano persino forum che riguardano i propri risultati»; «i co-
municatori della scienza invogliano i loro lettori con parole selezionate con at-
tenzione, interviste chiave, immagini visivamente mozzafiato e angolazione av-
vincente». Per aumentare comprensione e coinvolgimento, «ci potrebbe essere
bisogno di un po’ di sforzo da parte della comunità scientifica e tecnologica
per visualizzare meglio i dati, inclusi modelli interattivi online che il pubblico
può facilmente usare». Inoltre, «spiegare come funziona la tecnologia è meno
importante di spiegare come influirà sulla vita della gente». Secondo i parteci-
panti allo studio, si potrebbe a tal fine «aiutare la gente a immaginare possibili
esiti quando un’innovazione tecnologica diventa comune, mostrare, non dire
(show, don’t tell): serie TV come Black Mirror raggiungono un’audience più
ampia di quanto facciano i canali scientifici». Per alcuni, «i video su web (tipo
YouTube) dovrebbero rendere questo compito più facile», ma i ricercatori do-
vrebbero anche «creare alleanze con i media tradizionali»: il progetto Science
and entertainment exchange8, ad esempio, «ha lavorato su un numero di film e
7
Carl Edward Sagan, astronomo, astrofisico, astrobiologo e astrochimico, è stato un famoso
divulgatore scientifico e autore di fantascienza. Secondo il commento contenuto nel Work/Tech 2050,
i colleghi scienziati ne hanno riconosciuto la leadership pubblica, invece di escluderlo.
8
Info: http://scienceandentertainmentexchange.org/.
54 Mara Di Berardo
9
Gli scenari sono “Un complesso miscuglio”, “Disordini politico-economici, angoscia per il
futuro”, “Se gli uomini fossero liberi: l’economia dell’autorealizzazione”. Per una sintesi in italiano,
cfr. Glenn, Florescu, 2018.
La comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia 57
Conclusioni
10
Nello studio si suggeriscono il Radical Technology Inquerer (Linturi et al., 2014) e la Futures
Map (Sharpe, Van der Heijdeen, 2007).
58 Mara Di Berardo
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ropea, 2014: https://bit.ly/2xKEpGw.
Una questione non solo grammaticale:
verso un’uguaglianza di genere linguistica
di Pietro Maturi1
1
Dipartimento di Scienze sociali, Università di Napoli Federico II. E-mail: maturi@unina.it.
64 Pietro Maturi
Nei diversi sistemi linguistici la dimensione più sensibile rispetto alla que-
stione qui studiata, ossia quella dei rapporti tra i generi, è naturalmente quella
del genere grammaticale, cioè di quella categoria che, in molte lingue ma non
in tutte, oppone un genere “maschile” a uno “femminile” (oltre ad altri even-
tuali generi come il “neutro”). Questa categoria, percepita come “naturale”
da chi come noi parla una lingua che la possiede, non è affatto una categoria
universale: vi sono infatti numerose lingue, in Europa e altrove, che ne sono
completamente prive, dette comunemente con una locuzione inglese gender-
less languages (tra queste possiamo ricordare importanti lingue di famiglia non
indoeuropea come l’ungherese, il turco, il finlandese, il giapponese, ma anche
lingue indoeuropee come l’armeno e il persiano o farsi). Le lingue che invece
possiedono la categoria del genere grammaticale presentano a loro volta molte
differenze l’una rispetto all’altra. Non potendo qui addentrarci in una analisi
approfondita di questa tipologia, basterà ricordare che vi sono lingue con tre
generi – maschile, femminile e neutro (come ad esempio il tedesco e il russo,
oltre al noto caso di lingue antiche come il latino e il greco) – e lingue a due
generi (come l’italiano, il francese, lo spagnolo, ecc.).
Esistono inoltre lingue come l’inglese dove la categoria del genere è sì pre-
sente ma in forma molto marginale, in quanto è circoscritta ai soli pronomi
personali di terza persona singolare (she vs. he, her vs. him) e ai corrispondenti
aggettivi e pronomi possessivi (her vs. his, hers vs. his).
la professoressa, il senatore vs. la senatrice, ecc. ecc. In altri casi, la forma del so-
stantivo resta inalterata, ma la differenza di genere viene rivelata e resa esplicita
da articoli e aggettivi accordati, come in il nostro preside vs. la nostra preside, il
bravo cantante vs. la brava cantante.
Benché questi semplici e regolari meccanismi si possano applicare pratica-
mente a qualunque sostantivo, si è venuta inopinatamente a creare, negli ultimi
decenni di rapida trasformazione sociale e culturale, una situazione del tutto
confusa e illogica. Infatti, via via che le donne venivano finalmente conquistan-
do nuovi spazi e andavano a ricoprire nuove professioni, funzioni e ruoli da cui
il sistema tradizionale di potere le aveva da sempre escluse, riservandole ai soli
uomini, si rendeva necessario, per definire colei che le svolgeva, produrre i ter-
mini femminili corrispondenti a quelli maschili facendo ricorso ai meccanismi
morfologici di cambio di genere. In questo modo si sono iniziate a diffondere
tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX parole nuove ma regolarissime come
professoressa e dottoressa, per definire donne che insegnano o che si sono laure-
ate o che esercitano la professione medica.
Più tardi, però, in molti altri casi altrettanto inediti e nuovi a causa dell’a-
tavica occupazione maschile del potere, l’assenza di fatto del corrispettivo
femminile nell’uso concreto e quotidiano della lingua ha spinto molti parlanti,
anziché a produrre e usare regolarmente le forme femminili come la lingua
avrebbe consentito e anzi richiesto, a estendere l’uso del maschile anche in
riferimento a donne, e ha perfino spinto molte donne a riferirsi a sé stesse e
alle proprie colleghe usando il maschile e rifiutando implicitamente o esplicita-
mente il genere grammaticale femminile. Per esempio Voghera e Vena (2016)
hanno mostrato l’uso ancora oggi frequente del genere maschile nei curricula
delle docenti universitarie, redatti dalle stesse docenti, che in molti casi si defi-
niscono professore, ricercatore, direttore, ecc. Si è cominciato così a dire, di una
professionista che esercita attività legale, l’avvocato Anna Russo, di una politi-
ca che svolge il ruolo di capo dell’amministrazione comunale, il sindaco Rosa
Verdi, di una docente che dirige un dipartimento universitario, il direttore prof.
ssa Lucia De Rosa, ecc., violando le regole logiche, semantiche e morfologiche
della corrispondenza tra il genere grammaticale e quello della persona a cui ci
si sta riferendo.
Se questa soluzione è tuttora preferita da molti uomini e anche da molte
donne, è spesso nella convinzione che essa stabilisca una parità di denomina-
zione a prescindere dal sesso della persona2, anche se in realtà si tratta di una
parità che si manifesta non con forme neutre, prive di genere, assenti nella
morfologia italiana, ma nel segno della prevaricazione, grammaticale e sociale,
del genere maschile a danno di quello femminile. Un’altra motivazione spesso
2
Da un’intervista del magazine Open a Beatrice Venezi, direttrice d’orchestra: «Lei è nata a
Lucca, ha 29 anni ed è direttrice d’orchestra da quando ne aveva 22. Anzi è “direttore”, preferisce
farsi chiamare così: “Non penso serva sottolineare il genere di un professionista”»: www.open.onli-
ne/2019/10/18
66 Pietro Maturi
addotta dai fautori e dalle fautrici del cosiddetto “maschile neutro” fa riferi-
mento alla presunta cacofonia del termine femminile, nella convinzione che
“sindaca” suoni peggio di “sindaco” o che “assessora” suoni peggio di “asses-
sore”. Questa motivazione di tipo estetico capovolge l’effetto con la causa: se i
termini femminili suonano in modo poco familiare è proprio perché non se ne
fa uso frequentemente.
Si sono diffuse, come conseguenza di questa resistenza contro il genere
femminile, anche espressioni ibride del tipo il ministro è arrivata o anche la
ministro è arrivata, il nuovo direttore si è insediata, ecc., che violano elementari
meccanismi di accordo del participio, dell’aggettivo e perfino dell’articolo col
sostantivo a cui si riferiscono.
Questa situazione nuova e per molti versi disorientante per l’utente della
lingua, prodottasi grosso modo a partire dalla seconda metà del XX secolo, è
stata per la prima volta descritta e denunciata dalla linguista Alma Sabatini che
negli anni Ottanta, per incarico del governo allora presieduto da Bettino Craxi,
svolse una approfondita indagine quantitativa e qualitativa su di un vasto cor-
pus di testi, i cui risultati vennero pubblicati e analizzati nel suo noto volume
Il sessismo nella lingua italiana, pubblicato appunto a cura della Presidenza
del Consiglio dei Ministri (Sabatini, 1986). In questo volume Sabatini, insieme
alle sue collaboratrici Marcella Mariani, Edda Billi e Alda Santangelo, mette in
particolare evidenza, tra gli altri, tre aspetti che rivelano la asimmetria degli usi
linguistici correnti a discapito, naturalmente, del genere femminile:
1. La netta prevalenza della forma maschile del sostantivo per tutte le fun-
zioni di maggior prestigio (ingegnere, avvocato, ministro, assessore, professo-
re ordinario, rettore, ecc.), a prescindere dal genere di chi le svolge, mentre
nelle funzioni meno alte si usa tranquillamente il femminile riferito a donne
(impiegata, maestra, domestica, portinaia, stiratrice, e così via);
2. l’uso del maschile collettivo nel caso di gruppi misti, anche quando la
componente femminile è maggioritaria o fortemente maggioritaria, gruppi
a cui tradizionalmente ci si riferisce col solo maschile: gli alunni della se-
conda classe, gli insegnanti di questo liceo, cari colleghi, gli iscritti alla nostra
associazione, i cittadini del nostro comune, ecc.
3. l’uso del solo maschile quando ci si riferisce a una funzione astratta,
non ancora ricoperta da una persona specifica, uomo o donna: p.es. le ele-
zioni del sindaco, la nomina del nuovo insegnante di inglese, i compiti del
segretario del partito, ecc.
Di fronte a questo quadro, che metteva in evidenza un uso ancora profon-
damente sessista della lingua all’epoca della pubblicazione del testo, l’Autrice e
le sue collaboratrici proposero, all’interno dello studio citato, delle Linee guida
Una questione non solo grammaticale 67
per un uso non sessista della lingua italiana, con l’obiettivo dichiarato di “dare
visibilità linguistica alle donne e pari valore linguistico a termini riferiti al sesso
femminile” (Sabatini, 1986).
3
Sullo stato di avanzamento della questione dell’uso del femminile esistono ormai numerosissi-
mi studi monografici e raccolte di saggi. Tra gli altri, si vedano Robustelli (2016), Robustelli (2018),
Giusti e Regazzoni (2009), Corbisiero, Maturi e Ruspini (2016), Corbisiero e Maturi (2016).
68 Pietro Maturi
Per quanto riguarda gli usi linguistici di genere in relazione alle persone
omosessuali e transessuali, le cose sono rese più complesse dalla frequente con-
fusione tra categorie concettuali ben distinte, quali il sesso, l’identità di genere
e l’orientamento sessuale. Nel caso delle donne e degli uomini transgender, il
sesso biologico definito alla nascita non coincide con l’identità di genere assun-
ta dalle persone. La donna transgender è nata di sesso maschile ma ha adot-
tato una identità di genere femminile, ed è diventata a tutti gli effetti sociali
e anche legali una donna. L’uomo transgender è nato di sesso femminile ma
ha adottato una identità di genere maschile ed è diventato a tutti gli effetti un
uomo (nell’attuale legislazione italiana e di molti altri Paesi avanzati il cambio
di genere non è più subordinato alla modifica chirurgica degli organi genitali).
La conseguenza logica di tutto questo, dal punto di vista linguistico, è l’u-
tilizzo del genere grammaticale corrispondente alla scelta biografica della per-
sona, ovvero alla sua identità di genere e non al sesso biologico. È dunque
corretto e rispettoso usare sempre il femminile per chi è diventata donna e
sempre il maschile per chi è diventato uomo. Una scelta diversa, cioè l’accordo
grammaticale col sesso biologico assegnato alla nascita (così come l’uso del
nome proprio corrispondente e non di quello assunto per propria decisione al
momento della transizione), rivela immediatamente un atteggiamento transfo-
bico da parte di chi la adotta, e corrispondentemente viene percepito come in-
sultante, discriminante e aggressivo da chi lo subisce (si ricordino per esempio
gli attacchi transfobici alla deputata transgender Vladimir Luxuria, aggredita
alla Camera anche attraverso l’utilizzo del genere maschile da parlamentari di
diverso orientamento politico).
5
https://www.universita.it/universita-lipsia-solo-femminile-per-titoli-accademici/
6
L’Università di Napoli l’Orientale, però, guidata da tempo da Rettrici (le professoresse Lida
Viganoni e Elda Morlicchio), ha inserito nella lista degli organi dell’Ateneo la voce ‘Rettrice’, e non
più ‘Rettore’ (vedi http://www.unior.it/ateneo/5/1/organi.html ). Resta da vedere cosa accadrà se e
quando, dopo di loro, dovesse essere eletto un uomo al vertice dell’Ateneo.
70 Pietro Maturi
di persona (vengono adottati nomi che non indicano uno dei due generi) e dai
pronomi con cui è corretto riferirsi a queste persone. In inglese sono nati in tal
senso pronomi come ze che supera la classica distinzione tra she e he e forme
come Mx. che sostituisce Mr. e Ms. Queste forme genderless soddisfano le esi-
genze non binaristiche, ma risolvono anche alcuni dei problemi discussi sopra
a proposito, per esempio, delle funzioni astratte. L’italiano sta muovendo solo
i primissimi passi in questa direzione, ma è presto per poter dire quali innova-
zioni verranno introdotte nel prossimo futuro.
Conclusioni
Bibliografia
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re grammaticale, in Corbisiero F., Maturi P., Ruspini E., Genere e linguaggio. I segni
dell’uguaglianza e della diversità, Franco Angeli, Milano, 2016.
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Voghera M., Vena D., Forma maschile, genere femminile: si presentano le donne, in Cor-
bisiero F., Maturi P., Ruspini E., Genere e linguaggio. I segni dell’uguaglianza e della
diversità, Franco Angeli, Milano, 2016.
COLMARE IL DIVARIO SCIENZA- SOCIETÀ:
PROGETTI DI RICERCA E CASI-STUDIO
Le Scienze computazionali per la società
con il contributo attivo della società: l’esperienza di SCoPE@Scuola
1
Università degli Studi di Napoli Federico II. E-mail: giovannibattista.barone@unina.it.
2
Liceo Pluricomprensivo “Renato Cartesio”. E-mail: vania.boccia@liceorenatocartesio.it.
3
Università degli Studi di Napoli Federico II. E-mail: davide.bottalico@unina.it.
4
Consiglio Nazionale delle Ricerche. E-mail: luisa.carracciuolo@cnr.it.
76 Giovanni Battista Barone, Vania Boccia, Davide Bottalico, Luisa Carracciuolo
Le sfide che attendono l’umanità nei prossimi decenni (Glenn et al., 2019)
richiederanno sempre più che individui e comunità (intelligenza individuale e
collettiva) siano consapevoli degli strumenti che la conoscenza scientifica for-
nisce. La padronanza di questi strumenti doterà gli individui e le comunità di
una maggiore resilienza ai problemi e, allo stesso tempo, consentirà loro di pre-
venire conseguenze indesiderate e/o non previste dello sviluppo tecnologico.
Inoltre, la cooperazione di tutti i componenti della società (scienziati e non)
in contesti informali consentirà agli scienziati di conoscere le reali aspettative
e necessità della società relativamente ai risultati della ricerca scientifica. Ad
esempio, nel campo delle SC, i termini “efficacia” ed “efficienza” hanno assun-
to significati diversi nel corso della storia: infatti, oggi, la misurazione dell’effi-
cienza degli algoritmi tiene conto non solo delle prestazioni temporali ma anche
delle questioni connesse al consumo energetico, poiché la tutela dell’ambiente
è diventata un problema cruciale per la società. L’interazione tra scienza e resto
della società ha quindi indotto, e forse continuerà a farlo, un cambiamento di
significato di tali termini.
Il grande pubblico accetterà il concetto di “Scienza con e per la Società”
solo se comprenderà che la scienza è sempre e continuamente alla ricerca della
verità sul mondo e, in questa lunga ricerca, il contributo di tutti i cittadini è
utile se non necessario.
Il protocollo che è alla base delle SC può essere considerato un archetipo
del processo che la scienza usa per consolidare la conoscenza e affermare la
verità: gli scienziati lavorano con un approccio basato su una forte interazione
e integrazione di competenze in un flusso operativo che include continui adat-
tamenti e correzioni (fig. 1)
Le scienze computazionali per la società con il contributo attivo della società 77
Fig. 1 – Il processo alla base delle Scienze Computazionali. Credits to SPPEXA Project (Bungartz at al., 2015).
L’iniziativa SCoPE@Scuola
5
Cfr. http://www.expecteverything.eu/hypatia/
78 Giovanni Battista Barone, Vania Boccia, Davide Bottalico, Luisa Carracciuolo
Obiettivo 1
L’educazione scientifica dovrebbe essere una componente essenziale di un processo continuo
di apprendimento che coinvolga tutti, dagli alunni della scuola materna ai cittadini adulti.
Obiettivo 2
L’educazione scientifica dovrebbe valorizzare l’importanza dell’acquisizione di competenze
con particolare attenzione all’apprendimento attraverso la scienza e alla connessione fra STEM e
STEAM6. Evidenziare il legame fra la scienza e le altre discipline sarebbe di stimolo e supporto ad
un approccio basato sul “creative thinking”7.
Obiettivo 3
Per ottenere una maggiore qualità dei risultati di apprendimento negli studenti, dovrebbe essere
migliorata la qualità dell’insegnamento favorendo un continuo sviluppo professionale degli insegnati.
Obiettivo 4
Dovrebbe essere rafforzata la collaborazione tra 1) i fornitori di attività e contenuti formativi in con-
testo formale, non formale e informale, 2) l’impresa e 3) la società civile. Tale collaborazione favorirebbe
un più significativo coinvolgimento di tutti gli attori della società con il mondo scientifico che favorisca
l’adozione di studi e carriere in ambito scientifico a supporto dell’occupazione e della competitività.
Obiettivo 5
È necessario prestare maggiore attenzione alla promozione della ricerca e innovazione
responsabili (RRI) attraverso il miglioramento della comprensione pubblica dei risultati scientifici
e la capacità, da parte della cittadinanza, di discuterne benefici e conseguenze.
Obiettivo 6
Tenendo conto delle esigenze della società e degli sviluppi globali, dovrebbe essere posta l’atten-
zione sulla interazione delle varie strategie di innovazione e di educazione scientifica messe in atto a
vari livelli: dal livello locale a quello regionale, dal livello nazionale a quello europeo e internazionale.
Tab. 1 – Gli obiettivi di The Framework for Science Education for Responsible Citizenship.
6
Con gli acronimi STEM e STEAM si intende rispettivamente Science, Technology, Engineering
and Mathematics e Science, Technology, Engineering, Arts and Mathematics.
7
Si veda ad esempio https://courses.lumenlearning.com/educationalpsychology/chapter/creati-
ve-thinking/ per una definizione di creative thinking.
Le scienze computazionali per la società con il contributo attivo della società 79
Fig. 2-3 – I risultati relativi a come l’iniziativa ha cambiato la percezione dell’utilità della matematica
8
Cfr. ad esempio “SwafS-01-2018-2019 policy briefing slides” per una definizione del paradigma
open schooling.
9
Definiamo un science evangelist come «una persona che condivide la sua passione per la scienza
e la curiosità sul mondo», cfr. https://mypatchworkplanet.com/2014/03/16/am-i-a-science-evangelist/
Le scienze computazionali per la società con il contributo attivo della società 83
Bibliografia
Bungartz H.J., Nagel H.J, Neumann P., «SPPEXA – Overview and Coordination Project»,
BDEC Meeting, Frankfurt, 7 luglio 2015.
Carracciuolo L., Barone G.B., Bottalico D., Boccia V., «SCoPE@Scuola: (In)-formative
Paths on Topics Related with High Performance, Parallel and Distributed Comput-
ing», in D. Heras et al. (a cura di), Euro-Par 2017: Parallel Processing Workshops, Eu-
ro-Par 2017. Lecture Notes in Computer Science, vol. 10659, Springer, 2018.
Commissione europea, Science education for responsible citizenship, 2015: https://bit.
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https://grid.cs.gsu.edu/~tcpp/curriculum/
Oden T., Ghattas O., «Computational Science: The Third Pillar of Science», 2014: https://
tamest.org/news/newscomputational-science-the-third-pillar-of-science/
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Computer Science 108 (2017), 2119-2120.
Wing J.M., «Computational Thinking», Communications of ACM 49:3 (2006), 33–35.
La sfida sociale delle Facoltà mediche
nell’era della comunicazione (anche) digitale
di Giovanni Brancato1
1
Sapienza Università di Roma. E-mail: giovanni.brancato@uniroma1.it.
86 Giovanni Brancato
anche in ambito legislativo – basti pensare alla cosiddetta “Legge Vaccini”2 con
la quale è stato innalzato da quattro a dieci il numero dei vaccini obbligatori da
zero a sedici anni.
Alla luce dello scenario fin qui descritto, il contributo si propone di evi-
denziare il ruolo che le istituzioni e gli enti pubblici sono chiamati a svolgere in
un’epoca sempre più caratterizzata da una sfiducia generalizzata nei confronti
del sistema politico nella sua interezza (Ronsavallon, 2012), al fine di arginare i
rischi di una diffusione sempre maggiore di approcci e contenuti pseudo-scien-
tifici nella società contemporanea (Tipaldo, 2019). Nello specifico, il focus della
trattazione saranno le attività messe in atto dalle Università quali luoghi depu-
tati, oltre che alla formazione e alla ricerca, anche alla valorizzazione e al tra-
sferimento della conoscenza, con particolare attenzione alle pratiche attuative
e alle modalità con cui le facoltà mediche, che sono i soggetti deputati all’edu-
cazione tecno-scientifica nell’ambito disciplinare di appartenenza nel contesto
della formazione superiore in Italia, possono trovare legittimazione ed essere
facilmente riconoscibili dagli utenti, adempiendo a quelli che sono i desiderata
della terza missione istituzionale. Per far ciò, si è scelto di porre l’attenzione, in
primis, sull’inedito rapporto tra soggetti pubblici ed enti deputati alla ricerca
e alla formazione, da un lato, e la società civile, dall’altro; e, secondariamente,
sugli elementi che caratterizzano l’esperienza di un caso di studio virtuoso che
è ben riuscito a coniugare le pratiche formative ed educative “classiche” delle
università con quella più “innovativa” della cosiddetta “Terza Missione”, ov-
vero la Facoltà di Medicina e Odontoiatria della Sapienza Università di Roma.
Nel corso degli ultimi anni, le PA si sono trovate dinanzi a nuove e sempre
più numerose sfide, in nome di un tanto lungo quanto auspicato processo di
riforma delle amministrazioni reso ancora più necessario dal consolidamento
di pratiche comunicazionali inedite, emerse a seguito dell’avvento del web e
delle tecnologie digitali (Lovari, 2013). In tale contesto, è possibile rintracciare
alcuni spunti di riflessione che si inseriscono in quel dibattito scientifico che
ha come oggetto del contendere il non semplice rapporto che, nel corso degli
anni, si è instaurato tra il mondo scientifico, in senso lato, ed in particolare le
istituzioni scientifiche, siano esse Enti di ricerca o Università, in senso stretto, e
quello in cui esso si sviluppa, ovvero la società circostante (Scamuzzi, Tiapldo,
2015).
Tale approccio, inquadrato nell’inedita cornice di riflessione propria del
public engagement (Bartoletti, Faccioli, 2015), ha contribuito in maniera indi-
2
Decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione
vaccinale”.
La sfida sociale delle facoltà mediche 87
Responsible Research and Innovation (RRI) implies that societal actors (research-
ers, citizens, policy makers, business, third sector organisations, etc.) work togeth-
er during the whole research and innovation process in order to better align both
the process and its outcomes with the values, needs and expectations of society.
In practice, RRI is implemented as a package that includes multi-actor and public
engagement in research and innovation, enabling easier access to scientific results,
the take up of gender and ethics in the research and innovation content and pro-
cess, and formal and informal science education3.
Sempre più numerosi studi e ricerche, svolti non solo nel contesto specifi-
catamente accademico, evidenziano il ruolo che i mezzi di comunicazione, in
primis la televisione e Internet, rivestono quali fonti informative privilegiate
su temi tecno-scientifici in ambito medico e sanitario (Agcom, 2018; Censis,
2016). Ciò, insieme alla già citata condizione di “stress informativo” vissuto
dagli utenti nell’era della disintermediazione, indotto in particolar modo da un
sovraccarico di informazioni spesso risultate, inoltre, inesatte o totalmente fal-
se, sembra far emergere la necessità di un’azione di mediazione di quei soggetti
La sfida sociale delle facoltà mediche 89
7
https://sapienzamedica.uniroma1.it
La sfida sociale delle facoltà mediche 91
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Autonomous driving: un’indagine esplorativa sulla percezione pubblica
Le macchine descritte dai pionieri dell’IA come “intelligenti” sono dei cal-
colatori digitali, che in virtù delle loro particolari caratteristiche e proprietà
fondamentali possono essere considerate degli strumenti dotati di straordinaria
capacità di elaborazione simbolica, mai osservata prima in una macchina, e per
questo motivo accostati ad alcuni tratti specifici intrinseci all’intelligenza uma-
na. Una delle sfide più attese dell’IA per il futuro, dunque, è rappresentata da
un veicolo driverless, senza conducente, come ebbe a dire nel 2016 Elon Musk,
fondatore di Tesla, uno dei colossi internazionali all’avanguardia nello sviluppo
della guida autonoma, in un’intervista alla BBC: «Nel lungo termine, nessuno
comprerà un’auto se non è autonoma. Possedere un’auto che non è autonoma a
lungo termine sarà come possedere un cavallo: la possiederesti e la useresti per
motivi sentimentali ma non per l’uso quotidiano» (cit. in Cellan-Jones, 2016).
Il proliferare di ricerche, studi e progetti nel settore dei trasporti e logistica negli
ultimi anni è un indicatore dell’importanza assunta da questo particolare filone di
studi; di fronte ai numeri, è innegabile il grande vantaggio che la guida autonoma po-
trebbe offrire a una società tecnologicamente avanzata come la nostra. Ogni anno nel
mondo si contano circa 1.400.000 persone che perdono la vita coinvolte in incidenti
stradali, un’autentica strage. Ma le statistiche più accreditate parlano chiaro in rela-
zione alle cause di questi incidenti, che nel 90% dei casi (Parlamento europeo, 2019)
sono da attribuirsi a comportamenti inappropriati o a distrazione del conducente; e
solo in una, a dir poco, esigua percentuale, pari al 2% circa dei casi, la responsabilità
viene attribuita a difetti tecnologici del veicolo (che in buona parte, peraltro, dipen-
dono da inadeguata manutenzione). Come scrive Butti (2016):
Autonomous driving 97
Con la diffusione su larga scala del driverless, la diminuzione del numero e della
gravità degli incidenti sarà drastica: questo viene indicato da tutte le previsioni
scientifiche indipendenti attualmente disponibili […]. I benefici sopra sintetica-
mente illustrati in termini di sicurezza sono tuttavia da soli sufficienti per promuo-
vere la tecnologia della guida senza conducente.
Il mio progetto di ricerca si inserisce all’interno del tema della “Strategia di ricer-
ca e innovazione per la specializzazione intelligente RIS3 Campania” e gli ambiti di
sviluppo in essa declinati: aerospazio, beni culturali, turismo, edilizia sostenibile, bio-
tecnologie, salute dell’uomo, agroalimentare, energia e ambiente, materiali avanzati
e nanotecnologie, trasporti e logistica. La ricerca prevede lo sviluppo di sistemi inno-
vativi a supporto della guida autonoma (guida parzialmente autonoma), coniugando
uno dei settori a carattere trasversale (Information & Communication Technologies)
con un settore a carattere verticale (Trasporti e Logistica) di particolare rilevanza per
la Regione Campania. In particolare, il tema della ricerca prevede lo sviluppo di un
nuovo paradigma di mobilità più sicura e intelligente, con crescenti quote di automa-
zione che vanno armonizzate con le caratteristiche dell’essere umano per permetter-
gli di mantenere un ruolo attivo nel nuovo sistema socio-tecnico.
Il tema di ricerca intende indagare le metodologie necessarie alla concettua-
lizzazione, alla prototipazione e alla verifica di interfacce utente più adeguate ad
assicurare un’efficace interazione con il guidatore (nell’ambito della guida parzial-
mente o totalmente autonoma), tenendo in considerazione gli aspetti tecnologici
come quelli relativi all’individuo e alle sue peculiarità cognitive, comportamentali,
azionali, ecc. L’ applicazione di metodologie innovative di progettazione (basate
sullo UCD e sulla UX) indirizzeranno la progettazione nella fase di concettualiz-
zazione, per consentire una prototipazione preliminare del costrutto tecnologico e
della sua interfaccia prima che questo diventi un prodotto definitivo e permettere
di verificare anticipatamente come le persone interagiscono con il sistema tecno-
logico. Nel caso questa cooperazione, studiata tramite metodologie empiriche, dia
segnali promettenti o metta in evidenza alcuni elementi critici, l’interfaccia utente
potrà essere modificata di conseguenza. Quindi, oltre alle metodologie di concet-
tualizzazione e prototipazione, anche lo sviluppo di metodiche di verifica delle tec-
nologie costituiscono parte essenziale dell’impianto innovativo della ricerca.
All’interno del centro di ricerca Scienza Nuova (Università degli studi di Napoli
Suor Orsola Benincasa) sono disponibili ambienti di simulazione, sia finalizzati al
dominio automotive, sia riconfigurabili, grazie rispettivamente alla presenza di un
simulatore di guida e di un ambiente virtuale nel quale è possibile riprodurre diverse
esperienze di interazione. Sono impiegati diversi strumenti tecnologicamente avanza-
ti, come l’eye-tracking, sensori biometrici, sistemi per la rilevazione dello stato emo-
zionale attraverso videocamere ecc. Tuttavia, il filone di studi riconducibile all’auto-
98 Anna Irene Cesarano
Disegno di ricerca
Obiettivo
Studiare la percezione e la rappresentazione della guida autonoma
(Research Questions):
Metodo: Web survey
Unità di analisi: Adulti di età compresa tra i 18-65 anni
Ambito territoriale: Province campane
Campionamento: Casuale stratificato (in base all’età)
Insieme degli adulti di età compresa tra i 18-65 anni residenti in
Popolazione:
Campania
Raccolta dati: Questionario strutturato
2
Il tema della fiducia nelle persone risulta cruciale per l’introduzione delle auto a guida autono-
ma, e la paura connessa ad una mancanza di sicurezza e stabilità
Autonomous driving 99
Fig. 1 – Frequenza con cui negli ultimi sei mesi i rispondenti sono venuti in contatto con il concetto di
guida autonoma
Fig. 2 – Risposte alla domanda: “Hai mai guidato un’auto provvista di sistemi di assistenza alla guida?”
Autonomous driving 101
Fig. 4 – Percezione dei rischi e benefici connessi alla guida autonoma, in particolare all’introduzione dei
robotaxi
102 Anna Irene Cesarano
Fig. 5 – Risposte alla domanda “Che rappresentazione ti viene in mente leggendo la definizione di guida
autonoma?”
La questione etico-legale sembra essere uno dei punti più critici, se non
spinosi, per l’introduzione delle auto senza conducente. Il principio di re-
sponsabilità civile e penale negli incidenti stradali risulta essere un tema di
accesi dibattiti e in grado di canalizzare l’attenzione di diversi studiosi (cfr.
Gaeta, 2019). All’interno della ricerca tale spinoso problema è affrontato in
due domande, chiedendo direttamente agli utenti la loro opinione in caso di
incidente stradale sia con un’auto a guida completamente autonoma, sia con
un’auto parzialmente autonoma.
Dai due diagrammi a torta in fig. 6-7 emerge subito una differenza tangibile
nelle risposte degli utenti al variare (seppur di poco nella stesura e lettura, ma
che comunque ha un grande significato) della domanda posta. In un’auto a
guida completamente autonoma, secondo i soggetti del campione la responsa-
bilità civile e penale sarebbe nel 27,8% dei casi dell’azienda che produce l’auto
(produttore), mentre nel 24,8% dei casi ricadrebbe sull’azienda che produce le
componenti dell’auto (produttore delle componenti del prodotto), e nel 22,6%
dei casi sia l’azienda che produce le componenti dell’auto a guida autonoma
che il proprietario dell’auto; le restanti percentuali si dividono tra il proprie-
tario dell’auto (17,4%) e quote bassissime che si attestano intorno allo 0.4%
(pari a 1 persona), per diverse risposte date liberamente tramite l’opzione “Al-
Autonomous driving 103
Fig. 6 – Risposte alla domanda “In un ipotetico incidente commesso da un’auto a guida completamente
autonoma, di chi sarebbe la responsabilità civile e penale?
Fig. 7 – Risposte alla domanda: “In un ipotetico incidente commesso da un’auto a guida parzialmente
autonoma, di chi sarebbe la responsabilità civile e penale?
Conclusioni
Bibliografia
Butti L., Auto a guida autonoma: sviluppo tecnologico, aspetti legali ed etici, impatto ambien-
tale, «Rivista giuridica dell’ambiente», n. 3/4, 2016
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sification of autonomous cars, «IEEE International Conference on Systems, Man, and
Cybernetics», novembre 2017.
Informare sui nuovi scenari dell’energia
di Sergio Ferraris1
L’allarme clima è sempre più presente nello scenario informativo. Sono ba-
stati cinque anni dall’Accordo di Parigi per vedere aumentati gli allarmi circa i
cambiamenti climatici. Si tratta di un fenomeno ampiamente prevedibile, visto
che in questo periodo la quantità di CO2 presente nell’atmosfera è aumentata
fino a 408,55 parti per milioni, ma soprattutto sono stati terminati una serie di
studi scientifici su fenomeni cruciali che non erano mai stati osservati in prece-
denza, i tipping point. Ciò ha portato a tutta una serie di revisioni circa i limiti
collegati alle emissioni come l’abbassamento della soglia limite di aumento di
temperatura entro il 2100 non oltre gli 1,5°C, l’aumento della generazione rin-
novabile al 55% al 2050 in Europa e l’incremento della generazione rinnova-
bile. Nel frattempo in tutto il Pianeta è aumentata la sensibilità ai cambiamenti
climatici da parte dell’opinione pubblica, ma non in maniera tale da ribaltare
gli equilibri politici esistenti. Si tratta di un elemento importante sul fronte
dell’informazione il fatto che i programmi politici ecologisti sul clima trovino
un eco di grande portata presso i media, ma abbiano un risultato, in termini
percentuali, marginale dal punto di vista politico.
Per quanto riguarda l’aspetto relativo alle questioni geopolitiche, il mondo
dell’energia è centrale sotto il profilo concreto, ma marginale dal punto di vista
mediatico. Prendiamo il caso della Brexit. L’informazione sulla Brexit e i suoi
risvolti economici è molto diffusa, ma si trova molto meno circa la possibile
secessione della Scozia e i relativi risvolti energetici. È molto difficile, infatti,
trovare sulla stampa internazionale non specialistica informazione sulle conse-
guenze energetiche di un eventuale secessione della Scozia. Il perché è chiaro.
La Scozia, in caso di abbandono del Regno Unito, negherebbe l’accesso al pe-
trolio del Mare del Nord, a una delle zone più promettenti dell’Isola Britannica
per le rinnovabili, visto che dispone di vento, biomasse e maree. E non basta.
Con il suo reingresso nell’Unione europea a seguito della secessione varrebbero
per la Scozia le regole energetiche e di mercato europee – che sono state ride-
finite di recente – per cui il resto del Regno Unito diventerebbe un soggetto
marginale per gli scozzesi che avrebbero convenienza nell’esportare energia
nel continente. In questo caso la mancanza d’informazione è congeniale a non
allarmare le opinioni pubbliche e i mercati che potrebbero reagire in maniera
negativa.
Circa la geopolitica del petrolio la questione è diversa. L’opinione pubblica
1
Giornalista scientifico/ambientale, direttore della rivista di Legambiente QualEnergia. E-mail:
sergio@sergioferraris.it.
106 Sergio Ferraris
dei paesi fornitori non corre pericolo visto che in molti di loro la ricchezza
derivante dal petrolio viene distribuita nella società – come nella penisola ara-
ba – mentre in altri paesi come il Venezuela, la Nigeria e i paesi dell’ex Unione
Sovietica si opera una chiusura informativa verso l’opinione pubblica circa le
questioni energetiche e il loro valore, che raramente viene visto come Pil sot-
tratto alla società per utilizzi comuni. Del resto un’analoga chiusura avviene
anche nei paesi che sono destinatari delle fonti fossili. L’informazione circa la
geopolitica delle fossili nei paesi occidentali, se esiste, è essenzialmente di ca-
rattere etico e raramente affronta questioni economiche e politiche. Si tratta di
chiusure informative, queste delle energie fossili, che spesso affondano le radici
nella segretezza dei dati. Un caso per tutti: le riserve del più grande giacimento
petrolifero convenzionale del mondo, il saudita Ghawar, non sono più comu-
nicate ufficialmente da decenni, con ogni probabilità per evitare turbative di
mercato.
Per quanto riguarda il capitolo delle disuguaglianze il settore energetico
soffre, volutamente, di una dicotomia informativa di notevole spessore che ri-
guarda due aspetti. Quello ambientale e quello sociale. Con l’aggravante del
fatto che spesso non vengono messe in luce le connessioni tra la crescita delle
disuguaglianze sociali e impatti ambientali. Spesso si tratta, per ora, di una
questione legata alle novità dei fenomeni. Trasformare un fenomeno come l’in-
quinamento urbano da polveri sottili in un dato informativo relativo alla salute,
e magari anche alla perdita di valore, è particolarmente complesso e lungo. Ma
si tratta di operazioni utili quando vengono compiute, perché, se si usano i con-
tenuti giusti, diventa possibile agganciare all’informazione la quotidianità delle
persone, trasformando l’informazione descrittiva, o al massimo empatica, in
informazione utile: qualità fondamentale per innescare processi di transizione
sociale verso la sostenibilità. Si tratta di una declinazione, quella dell’utilità, che
deve essere costantemente presente nei processi informativi e lungo la filiera
dell’informazione quando ci si occupa di contenuti ambientali ed energetici,
concepiti per essere d’ausilio alla transizione.
La transizione energetica
«L’età della pietra non finì perché erano finite le pietre». Questa famosa
frase di Ahmed Zaki Yamani, ministro del petrolio saudita dal 1962 al 1986,
pronunciata durante un’intervista del 2000 all’agenzia Reuters, si riferiva al fat-
to che l’era del petrolio non finirà per il suo esaurimento ma per altri motivi,
che il ministro non specificava. La realtà è che in materia d’energia si è passati
dalla legna, al carbone, al fossile per due motivi. Il primo è il progresso delle
tecnologie che hanno consentito l’utilizzo di materiali in precedenza non uti-
lizzabili, mentre il secondo è legato alla sempre maggiore intensità energetica.
Si tratta di un meccanismo che è necessario tenere bene in conto quando si in-
Informare sui nuovi scenari dell’energia 107
forma sull’energia. Gli schemi energetici sono necessari per descrivere qualsiasi
fenomeno legato all’energia.
Con l’arrivo delle rinnovabili si realizza, nei fatti, un salto di paradigma:
si usano cioè le tecnologie per utilizzare energie caratterizzate da un’intensità
energetica minore. Per molti esperti del settore si tratta di un passo indietro,
per i sostenitori delle rinnovabili un salto in avanti. In realtà hanno torto tut-
ti e due. Si tratta, se vogliamo utilizzare una metafora, di un salto in alto, in
un’altra direzione: un cambio di paradigma. Per questo motivo non si possono
utilizzare le metodologie informative tradizionali. Abbiamo a che fare con tipo
nuovo di generazione energetica che impone un diverso tipo di utilizzo. Dal
lato della generazione si deve tenere conto del fatto che le rinnovabili genera-
no dove c’è la risorsa, ossia il Sole, il vento o la biomassa e sono intermittenti.
Dal lato del consumo, invece, impongono i consumi su una scala temporale
che non è decisa dagli utenti, a cui tocca adeguarsi, adeguando anche l’archi-
tettura di rete, alle esigenze sia della generazione, sia del consumo. In termini
di mutazione dell’informazione di fronte a questo nuovo scenario, è probabile
che l’utente cresciuto in questo contesto energetico desideri che l’informazio-
ne assomigli alla rete energetica rinnovabile: distribuita, vicina, bidirezionale
(che contempli cioè sia il ruolo di produttore, sia quello di consumatore), etica
(che rispetti cioè il contesto sul quale opera). Le prime due caratteristiche nel
mondo dell’informazione esistono già e sono il web, e ancora di più i social.
La dimensione etica non appartiene al mezzo dell’informazione ma alla fonte,
ossia al giornalista in primo luogo e alla testata/editore in seconda battuta.
L’efficienza energetica è il completamento del cambio di paradigma e sem-
bra voler sfidare la seconda legge della termodinamica, quella che sancisce la
non reversibilità degli stati fisici in assenza di un’aggiunta d’energia. Efficien-
za energetica significa utilizzare le tecnologie per produrre più lavoro, inte-
so come unità della fisica, con meno energia. Il metodo per realizzare ciò è
il miglioramento delle tecnologie, specialmente quelle energetiche tese alla
conservazione dell’energia e a un suo migliore utilizzo. Si tratta di tecnologie
spesso considerate a torto “povere” perché il meccanismo di conservazione
dell’energia è spesso “semplice” – nel suo funzionamento, ma non nella sua
realizzazione – e non mostra il lavoro di ricerca sottostante. Un esempio di ciò è
l’isolamento termico degli edifici, settore nel quale la tecnologia dei materiali è
estremamente innovativa: si è arrivati, per esempio, a cambiare comportamen-
to e proprietà dello scarto da pulper delle cartiere rendendolo inerte, ignifugo
e resistente all’umidità, e si tratta sostanzialmente di fibre di cellulosa ossia di
carta di bassa qualità. Il problema dell’informazione circa l’efficienza energeti-
ca è che le tecnologie applicate godono di uno scarso interesse mediatico, sono
molto tecniche e di difficile comprensione per l’utente medio, spesso anche per
i giornalisti, con un punto di ritorno economico dilazionato nel tempo (anche
di diversi anni, per esempio nel caso degli infissi). A tutto ciò bisogna aggiun-
gere il fatto che uno dei dati più interessanti per l’utenza è quello del risparmio
108 Sergio Ferraris
L’informazione
meni che riguardano anche altri settori dell’informazione oltre a quello energe-
tico e quello ambientale, ma in questo caso il deficit informativo su ciò rischia
di produrre rallentamenti non banali circa la lotta ai cambiamenti climatici.
Una delle attenzioni più importanti da porre per tentare di scardinare la cir-
colarità negativa di cui sopra è rappresentata dalla scelta dei linguaggi, delle pa-
role e dei simboli. Un’informazione tecnica, infatti, può divenire “appetibile”
per un determinato target anche in base al linguaggio, alle parole e alla grafica
adottata. Si tratta di una questione complessa perché non è sostenibile, sotto il
profilo della realizzazione dei contenuti, declinare in maniera diversa più volte
lo stesso contenuto. Ciò che è necessario fare da questo punto di vista è di “as-
semblare” il contenuto tenendo conto dei vari target e raggiungendo uno o più
punti di mediazione, badando all’utilizzo da parte dell’utenza e ricordandoci,
nel caso della transizione energetica, che si tratta di “contenuti utili”, sia per le
persone, sia per il Pianeta.
La tecnica che si configura secondo un sistema integrato tornerà ancora più po-
tente. Proclamandosi onnipotente. Cioè promettendo all’uomo – reso Dio – di
diventare lui stesso onnipotente. Ma ciò non può che avvenire in un duplice e
contraddittorio movimento: mentre viene liberata, la volontà di potenza soggettiva
viene contestualmente ingabbiata nelle maglie del sistema tecnico cedendo quote
crescenti della propria autonomia. (Magatti, 2018, p. 218)
3
Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), filosofo e teologo francescano.
114 Andrea Galluzzi, M. Licia Paglione
come «un moto conoscitivo volto [...] alla totalità delle cose» (Guardini, 2018
[1923]), in grado di cogliere la tensione polare che si articola fra l’intero e le sue
parti. La Weltanschauung guardiniana si orienta verso una forma di conoscenza
esprimibile non come una sintesi a valle di una analisi, come avviene per le
scienze particolari, ma come qualcosa che nella sua interezza si dà già “a priori”
e va progressivamente ampliandosi verso una sempre maggiore profondità e
pienezza (Guardini, 2018 [1923]). Ciò comporta che al termine di un processo
conoscitivo si torni all’inizio ma con una nuova consapevolezza, con un nuovo
arricchimento nello sguardo. Si potrebbe dire che la prospettiva guardiniana
sul reale sia a spirale (Gerl, 2016). Essa richiede un atteggiamento empatico
che mette in gioco cuore e mente «coimplicando e impegnando tutto intero
il proprio essere» (Zucal, 2018), dando luogo ad un processo conoscitivo che
riesce ad andare oltre la settorialità dei saperi.
Sebbene la Weltanschauung guardiniana trovi la propria scaturigine in una
particolare esperienza di fede, essa – come si può cogliere – sfocia in un gua-
dagno universale: non si traduce in una prospettiva ideologica che trasforma la
fede in integralismo, ma piuttosto si offre come uno sfondo prospettico, come
uno spazio transdisciplinare dal quale guardare la realtà oltre il filosofico, oltre
il teologico, oltre lo scientifico. I vari livelli di conoscenza, presi nella loro par-
ticolarità e nel loro insieme, portano a cogliere il mondo come espressione di
opposizioni polari, mai risolte ma esperibili nella loro totalità. Questi due ele-
menti – la teoria dell’opposizione polare e la visione cattolica del mondo – pos-
sono essere immaginati come assi cartesiani in grado di fornire le coordinate
del pensiero guardiniano: attraverso di essi si ottiene una «griglia ermeneutica»
(Zucal, 2018) che permette di orientarsi nel vasto panorama teorico di questo
studioso, illuminando con la giusta luce tutta la sua produzione intellettuale ed
in particolare i suoi scritti sulla tecnica.
tendenza (già definita da Aristotele con il termine òrexis, come ben evidenziato
in Nussbaum, 1996) di un ente verso il proprio bene e il proprio fine; con il
termine resistenza si intende qui l’azione di contrasto che la tecnica esercita
su questo tipo di movimento e con disorientamento si intende il disordine che
essa provoca nel medesimo movimento, il quale si trova a perdere un senso
unico e coerente. I segni di questi elementi di impedenza sono rintracciabili nel
pensiero di tutti i filosofi del Novecento che hanno analizzato il fenomeno della
tecnica. Riportiamo qui, a mo’ di esempio, solo due contributi fondamentali.
Arnold Gehlen (1904-1976) sottolinea, ad esempio, come la tecnica, nonostan-
te la sua importanza per lo sviluppo della specie umana, non riesca a soddisfare
pienamente l’altrettanto suo fondamentale bisogno di sicurezza ma introduca
un fattore di incertezza o disagio, sintomo di una profonda trasformazione cul-
turale. Per Gehlen è possibile superare il senso di insoddisfazione e insicurezza
non con una negazione del mondo della tecnica, ma semplicemente assumendo
un diverso comportamento nei suoi confronti per aiutare l’uomo a conquistare
il proprio «posto nel mondo» (cfr. Gehlen, 2003 [1957]). In Gunther Anders
(1902-1992) l’impedenza si esprime nei concetti di «vergogna prometeica» e
«dislivello prometeico». Anders parla anche di un disordine interiore in cui
l’uomo si trova a causa di una mancata proporzionalità fra la nostra capacità di
previsione e la nostra capacità di produrre, che si rivela potenzialmente infinita
e che costituisce un grave rischio per l’umano (cfr. Anders, 1963 [1956]).
Nel dibattito sulla tecnica si colloca anche Guardini. Egli ne parla a più
riprese nell’insieme degli scritti che hanno per oggetto l’epoca moderna e i rap-
porti dio-uomo-natura-cultura, ma è nelle Lettere dal lago di Como (nove testi
epistolari diretti ad un caro amico scritti fra il 1923 e il 1925) che questo feno-
meno, letto attraverso le coordinate di cui dicevamo precedentemente, trova
in Guardini una originale chiave di lettura. Le lettere, che vanno lette nel loro
insieme, trattano del rapporto tra uomo e tecnica, presentando un pensiero
che si evidenzia come un cammino esperienziale fatto da domande e tentativi
di risposta.
Nella Lettera I l’autore descrive la sensazione di qualcosa che si impone su
di lui e dappertutto: la perdita di una cultura che vede l’uomo inserito armo-
niosamente nella natura e la nascita di un mondo “disumanizzato”. Egli mani-
festa forte sgomento per il decadimento che trova sintetizzato nell’immagine
del paesaggio sul lago di Como, la cui armoniosa e contadina umanizzazione
viene spezzata dalla presenza di una ciminiera, che lui vede, plasticamente,
come segno evidente del progredire della tecnica. Nelle parole «il mondo della
natura compenetrata di umanità è in procinto di tramontare» (Guardini, 1993
[1927], p.13) si comprende bene la tensione e insieme l’angoscia che l’autore
prova nel vedere compiersi un mutamento epocale nella storia umana. L’autore
sostiene che ciò che viene costruito dall’uomo dovrebbe mantenere un legame
con la natura e potrebbe dunque dirsi «naturale», ma egli stesso si accorge che
questa visione va gradualmente perdendosi: quella che appare al suo sguar-
116 Andrea Galluzzi, M. Licia Paglione
Noi però osserviamo che si può aderire ai fatti della storia con libera scelta, con
una vera e propria decisione: perché essa proviene da un cuore che sa. E ciò ha
il suo peso, il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici [...]. A noi è
imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere
tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili,
con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il
nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci
è proposto come compito che dobbiamo eseguire (Guardini, 1993 [1927], p. 95).
Nell’intimo dell’uomo deve scaturire una nuova forza. Essa gli frutterà una libertà
nuova riguardo al mondo, gli offrirà un punto da ricercarsi più in profondità, dove
tutto, entrando in relazione, prenderà significato (Guardini 1993 [1927], p.102).
Umanizzando la tecnica 117
Con ciò Guardini sembrerebbe lanciare un invito molto simile a quello rin-
tracciabile nella teoria sociologica contemporanea e citato inizialmente: trovare
modi per «tenere aperta la potenza» (Magatti, 2018, p. 212), cioè per riportare
la tecnica al servizio della fioritura dell’umano, avviandola verso un processo di
nuova umanizzazione.
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Brescia, 2018, 49-99.
Life beyond plastic: mobilitazione giovanile e attivazione di buone
pratiche per mitigare l’impatto antropico sull’ambiente
Gli oceani e i mari ricoprono i tre quarti della superficie terrestre, con-
tengono il 90% della biosfera, svolgono un ruolo fondamentale dal punto di
vista climatico e rappresentano un importante fattore di prosperità economi-
ca e benessere sociale. Tuttavia, oggi sono sempre più a rischio: si stima che,
ogni anno, tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica finiscano negli oceani
del mondo causando l’80% dell’inquinamento marino (Jambeck et al., 2015).
Seguendo questo trend, entro il 2025 gli oceani conterranno una tonnellata di
plastica ogni tre tonnellate di pesce ed entro il 2050 ci sarà, in peso, più plastica
che pesce (Ellen Mac Arthur Foundation, 2017). L’inquinamento marino da
plastica sta assumendo sempre più l’aspetto di una vera emergenza globale,
tanto da essere inserita tra le sei emergenze ambientali più gravi dall’UNEP1.
Allarmanti anche i dati che riguardano il Mar Mediterraneo: la plastica nel
Mare Nostrum rappresenta il 95% dei rifiuti rinvenuti in mare e il Mediterraneo
è classificato come la sesta grande zona di accumulo di rifiuti plastici al mondo
(WWF Italia, 2018). Si tratta soprattutto di plastica che contiene polietilene,
presente in prevalenza negli imballaggi e nei prodotti monouso (Morgana et al.,
2017). Il marine litter2 non solo provoca danni enormi agli ecosistemi marini
(perdita di biodiversità, specie marine a rischio, inquinamento), ma ha un im-
patto economico estremamente negativo per attività come il turismo e la pesca.
A peggiorare la situazione è il continuo aumento della produzione di plastiche
in Europa, a fronte di una percentuale di riciclaggio molto bassa: 31% nel 2017
(PlasticsEurope, 2019).
Sul lato del consumo è l’Italia a detenere primati poco edificanti: utilizzia-
mo 2,1 milioni di tonnellate di plastica per gli imballaggi, secondi in Europa
solo ai tedeschi, e usiamo ogni giorno 32 milioni di bottiglie di acqua minerale,
primi in Europa e tra i primi al mondo (WWF Italia, 2018). Nell’estate 2018
Legambiente ha monitorato 97 rifiuti ogni chilometro quadrato di mare, con
valori più elevati nel Mar Ligure e nello Ionio dove la media raggiunge rispetti-
vamente 122 e 180 rifiuti ogni chilometro quadrato di mare. La percentuale di
plastica varia dall’85 al 97% e il 40% è usa e getta (Legambiente, 2019).
Appare evidente che occorre intervenire con urgenza su diversi fronti, coin-
volgendo tutti gli attori chiave: comunità scientifica, decisori politici, imprese e
1
United Nations Environment Programme
2
“Spazzatura marina”, ossia rifiuti persistenti di origine antropica dispersi deliberatamente o
accidentalmente nell’ambiente e che si trovano in mare o lungo le coste
122 Evelina Isola, Margherita Porzio, Francesca Santapaola
Produzione smisurata
Si prevede che nei prossimi trent’anni la produzione di plastica cresca ancora
del 70%, restando in linea con una tendenza che ha visto la produzione mondiale
aumentare di venti volte dagli anni Sessanta (Kaza et al., 2018). In questo quadro,
il nostro Paese ha un ruolo da protagonista: l’Italia è infatti il maggior produttore
di plastica tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ed è responsabile del 2%
della produzione mondiale di manufatti in plastica (WWF, 2019). Questo tasso
di produzione è dovuto alla massiccia diffusione della plastica in tantissimi setto-
ri: dagli imballaggi per alimenti, ai cosmetici, fino all’industria tessile.
Uso brevissimo
Materiale economico, versatile, sicuro e leggero, la plastica ha da subito
avuto una rapidissima e straordinaria diffusione, rendendosi in breve ideale per
la produzione di oggetti monouso. Si tratta soprattutto di plastica che contiene
polietilene, presente in prevalenza negli imballaggi e nei prodotti monouso.
Infatti, secondo l’Unione Europea, sono 10 le tipologie di prodotti (monouso)
che da soli rappresentano il 70% dei rifiuti in plastica presenti in mare.
Target 1
Con la prima azione, in sinergia con l’Agenda 2030 e la Strategia Nazio-
nale ECG, si intende sollecitare nei giovani non solo una riflessione condivisa
sulle criticità dell’attuale modello di sviluppo, ma soprattutto incoraggiare a
contribuire in prima persona alla costruzione di una società aperta, sostenibile
e inclusiva, in un’ottica di appartenenza e partecipazione. Per tale motivo gli
studenti verranno esortati a mobilitarsi e mobilitare i loro coetanei attraverso
iniziative territoriali, organizzate da loro stessi, volte a promuovere modelli di
consumo più sostenibili, offrendo così opportunità concrete di sperimentare
le competenze di cittadinanza attiva acquisite nei percorsi ECG (PlasticLess
Heroes), in un’azione cooperativa con il territorio e la comunità scolastica (rete
PlasticLess Schools).
In questo ambito è stato sviluppato un kit didattico online gratuito a dispo-
sizione della comunità docente e studentesca, dal titolo “Il mare in classe” e
fruibile sul sito dell’Istituto: https://www.istituto-oikos.org/mareinclasse.
Target 2
Le azioni di public awareness ed engagement, che mirano ad aumentare la
consapevolezza e generare un cambiamento orientato alla riduzione di ogget-
ti di plastica monouso, sono concepite in maniera integrata e multicanale in
modo da coinvolgere un pubblico vasto ed eterogeneo: uniscono infatti con-
tenuti multimediali (sito web, video, mobilitazione digitale) a manifestazioni e
incontri (mostra, performances artistiche, eventi divulgativi).
Life beyond plastic 127
Target 3 e 4
Oltre ad agire sulla conoscenza e sui comportamenti, grazie al coinvolgi-
mento di enti pubblici e soggetti privati, il progetto si fa promotore di analisi
d’impatto e azioni pilota (riduzione di plastica in uffici pubblici e in grandi
eventi) che mostreranno come diversi attori possano contribuire e avviare pra-
tiche volte al cambiamento. I risultati relativi ai vantaggi economici e ambien-
tali derivanti da tali sperimentazioni verranno diffusi attraverso momenti di
scambio e confronto (linee guida, workshops, un convegno), promuovendone
l’adesione presso altri stakeholders in un’ottica di replicabilità.
Risultati attesi
Dinamica d’intervento Indicatori
Changing schools Almeno 2.000 studenti (10-18) aumentano le proprie
competenze sul tema del marine litter e si fanno pro-
motori di iniziative territoriali a tutela dell’ambiente e
delle risorse marine
Changing individuals and communities Almeno 1.000.000 di giovani (18-35) sono resi maggior-
mente consapevoli da una campagna nazionale sull’in-
quinamento marino e incoraggiati verso modelli e stili
di consumo sostenibili in grado di mitigare l’impatto
antropico sull’ambiente
Changing practices Rafforzate competenze di enti pubblici e soggetti priva-
ti che, attraverso il coinvolgimento in processi di analisi
di impatto ambientale, adottano pratiche di riduzione e
riuso limitando l’inquinamento generato dalle materie
plastiche
Considerazioni conclusive
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Politiche di mitigazione e partecipazione.
Dall’impatto ambientale del digitale a Ecosia
di Stefano Oricchio1
Sin dai suoi albori, la digitalizzazione ha nutrito grandi aspettative nei con-
fronti di un mondo nuovo e immateriale. Molto a lungo si è creduto che il di-
gitale, spezzettando, codificando e comprimendo l’informazione, la affrancasse
definitivamente dai supporti fisici che sino ad allora le erano necessari. Libri,
quaderni, calendari, dischi, orologi, calcolatori, termometri, radio, telefoni e
televisori sarebbero dunque spariti dalle nostre case per convergere (Jenkins,
2007) e integrarsi in un unico apparecchio, dapprima fisso e poi portatile, con
1
Università della Calabria – Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. E-mail: stefano.oric-
chio@unical.it.
2
Ritorno al futuro – Parte II. Regia di Robert Zemeckis. 1989; USA: Universal Pictures.
132 Stefano Oricchio
Fig. 1 – Frame da un video di Doug Thomsen in cui si rappresenta il processo di convergenza e ri-me-
diazione degli strumenti comunemente presenti su una scrivania. https://www.ilpost.it/2014/10/03/
evoluzione-scrivania-1980-oggi/
considerare, come l’età e la durata degli alberi piantati – ci sono delle evidenti
contraddizioni relative, per esempio, al finanziamento della riforestazione at-
traverso proventi pubblicitari con cui Ecosia favorisce il sistema di produzione
e di consumo responsabile dell’attuale crisi ambientale; inoltre, il diffuso uti-
lizzo di software anti-pubblicitari rischia di vanificare l’intero progetto). D’ora
in avanti, piuttosto, utilizzeremo Ecosia come un pretesto per considerare la
questione della partecipazione alle politiche ambientali di mitigazione.
Fig. 3 – Scala della partecipazione pubblica, a cura della International Association for Public Participation
dallo stesso Latour e dal suo progetto di rivalutazione degli attori non-umani si
è infatti sviluppato un intero filone sociologico e filosofico incentrato sulle cose,
dall’Ontologia Orientata agli Oggetti di Graham Harman agli studi sulla mora-
lità degli artefatti tecnologici (Verbeek, 2011), il cui esito per noi più rilevante
si trova nel lavoro di Noortje Marres incentrato proprio sulla partecipazione
materializzata alla questione ambientale (Marres, 2015). Tutti i dispositivi ambien-
tali citati sopra, e più in generale tutte le merci riconducibili alla green economy,
rappresentano in effetti degli artefatti o dei procedimenti che, incorporando delle
soluzioni tecniche in grado di diminuire il loro impatto ambientale o quello di altre
merci, permettono all’utente di “fare qualcosa” per l’ambiente e così partecipare
alla questione ambientale senza impegnarsi politicamente ma semplicemente svol-
gendo azioni quotidiane come accendere una lampadina a basso consumo. «Invece
di cercare di aumentare la conoscenza del pubblico delle problematiche ambientali,
queste iniziative si basano sull’ azione e sull’impatto – su ciò che le persone possono
fare per i problemi in questione» (Marres, 2015, TdA).
È chiaro dunque che la partecipazione materializzata presenti delle notevoli
differenze rispetto a quella classica, discorsiva e informazionale. Quest’ultima,
infatti, costituisce un modello particolarmente laborioso che, oltre alle sue già
impegnative forme istituzionali (fig. 3), può declinarsi anche nei termini conflit-
tuali della militanza e della contestazione, ancor più complessi e rischiosi. La par-
tecipazione materializzata, invece, si presenta come una delega a un artefatto, un
semplice e pacifico atto di consumo accessibile anche a chi non ha tempo o modo
di dedicarsi alla cosa pubblica. Ciò comporta il rischio, assai attuale, che la par-
tecipazione ambientale si svuoti di significato politico diventando una questione
privata tra le altre. Tuttavia, le tecnologie partecipative non sono tutte uguali. In
esse intervengono due variabili fondamentali: il costo e l’impegno (in termini di
tempo o di competenze) richiesto all’utente. Differenziare i rifiuti domestici, per
esempio, è un’operazione il cui costo – espresso dalla tassa sulla nettezza urbana
– è in costante aumento ed è inoltre abbastanza impegnativa a cause delle diverse
regole che la caratterizzano. Una lampadina LED o un sapone biodegradabile
non implicano invece alcun impegno per il consumatore e hanno un costo solo
leggermente superiore rispetto agli equivalenti tradizionali. Un pannello solare,
infine, comporta un grosso investimento iniziale e un elevato impegno tra instal-
lazione e manutenzione. Presumibilmente, le tecnologie partecipative più costose
e impegnative saranno quelle che porteranno più spesso l’utente a riflettere sul
senso ecologico delle proprie scelte e azioni, mentre quelle più semplici ed eco-
nomiche difficilmente indurranno tale consapevolezza. Dal punto di vista edu-
cativo, dunque, uno strumento totalmente gratuito ed estremamente semplice
come Ecosia non rappresenta una tecnologia partecipativa particolarmente vali-
da ai fini della sensibilizzazione ambientale. Anzi, in essa si annidano le tendenze
più tipiche e contraddittorie dell’attivismo digitale, dallo slacktivism (Schumann,
2015) all’internet-centrismo (Morozov, 2014). Con un gioco di parole si potrebbe
quindi dire che utilizzare un motore di ricerca ecologico resta un’attività troppo
Politiche di mitigazione e partecipazione 137
Bibliografia
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Biohacking device e transumanesimo
Umani aumentati tra fiction e realtà
di Grazia Quercia
Per prima cosa dobbiamo comprendere che la forma umana – inclusi i desideri
umani e tutte le sue rappresentazioni esterne – possono cambiare radicalmente
[…] Dobbiamo capire che cinquemila anni di umanesimo potrebbero arrivare ad
una fine, nel momento in cui si trasforma in qualcosa che dobbiamo senza dubbi
chiamare post-umanesimo.
I film e i telefilm prodotti a partire dagli anni Ottanta hanno visto protago-
nisti umani migliorati attraverso differenti tecnologie, conservando un aspetto
più o meno umano.
Nei telefilm L’uomo da sei milioni di dollari (ABC, 1974-1978) e nel suo
spin-off La donna bionica (ABC/NBC, 1976-1978), i protagonisti Steve Austin
e Jaime Sommers sono esseri umani implementati con parti bioniche, che dona-
no straordinarie capacità. Steve riceve gambe, braccio destro e occhio sinistro,
mentre a Jaime sono stati sostituiti il braccio destro, le gambe e l’orecchio de-
stro: tali parti meccaniche conferiscono ai due una velocità fuori dal comune,
la capacità di vedere o ascoltare oltre l’umano possibile e una forza titanica.
Gli esseri umani migliorati impersonano, di solito, la figura del vigilante
Biohacking device e transumanesimo 141
o del difensore, come nei casi della serie cinematografica RoboCop (1987), di
Cyborg Cop (1993) e del lungometraggio I nuovi eroi (1992). Nei primi due casi,
gli esseri umani, a seguito di incidenti che hanno profondamente danneggiato
il corpo, vengono “riparati” attraverso l’installazione di protesi che non emu-
lano le funzioni umane, ma le superano, creando super-poliziotti dalle capacità
super-umane. Si distingue in parte il caso di I nuovi eroi, in cui i corpi vengono
sì modificati, ma attivando la rigenerazione accelerata dei tessuti, in modo tale
da non poter danneggiare un corpo che già di per sé supera le naturali capacità.
Il miglioramento del corpo ha visto misure estreme nei film il cui protagonista
diventa super-umano grazie ad un intero esoscheletro: un caso è Darth Vader
in Star Wars (1977), che dopo essere stato ustionato dalla lava ha indossato una
maschera che funge da respiratore e una tuta corazzata nera, che gli permette di
proteggere il suo corpo ustionato da attacchi esterni. Un esoscheletro davvero
celebre che non vuole curare il suo portatore, ma solo proteggerlo e donargli
poteri straordinari, è Iron-Man: sebbene il personaggio sia nato negli anni Ses-
santa dalla mente di Stan Lee, il culto del supereroe è arrivato in televisione nei
primi anni Novanta, per poi apparire sugli schermi cinematografici nel 2008
con il primo della serie di film che lo vedono protagonista.
Durante gli anni Novanta l’ondata cyberpunk non ha arrestato la sua in-
fluenza sulla produzione audiovisiva, mostrando sempre più sofisticate unioni
tra uomo e tecnologia. Johnny Mnemonic è un film del 1995 che basa la sua
storia sulla bolla mnemonica artificiale installata nel cervello del protagonista,
per trasportare un software illegale; il film è liberamente ispirato all’omonimo
racconto di William Gibson. Dall’oriente proviene invece un prodotto fumetti-
stico, adattato per il grande schermo: Ghost in The Shell (1995) racconta della
convivenza tra robot umanizzati ed umani robotizzati, descrivendo alcune tec-
nologie installate su uomini, che così hanno acquisito, anche in questo caso,
capacità superiori.
Sebbene il decennio 1980 sia celebre per la forte immaginazione riguardo
lo sviluppo tecnologico emersa parallelamente all’inizio di un’era digitale, e
protratta negli anni successivi, anche il panorama reale si è mosso verso l’inve-
stigazione delle possibilità tecnologiche sull’uomo.
Post-umanesimo e trans-umanesimo
L’importanza della WTA non sta tanto nella sua vasta diffusione, ma nel fatto che
i fondatori ne hanno focalizzato fin dall’inizio l’azione sul mondo accademico, cer-
cando cioè di presentare il transumanismo come una disciplina “seria” e merite-
vole di studio in ambito universitario. A questo scopo è stata lanciata anche una
rivista tecnica di studi transumanisti, il Journal of Evolution and Technology, che
pubblica articoli sottoposti alla pratica della peer-review. (Manzocco, 2019)
Tab. 1 – Temi associati alla retorica transumanista (Pedersen, Mirrlees, 2017: 40)
dello show Dark Net (Showtime, 2016-2017) in cui si mostrano luci e ombre del
progresso tecnologico. Più precisamente è l’episodio 2 della stagione 1 a mostra-
re gli impianti sottocutanei RFID inseriti da una compagnia di biohacking con
le semplici funzioni di comunicare con dispositivi di riconoscimento, pagamento
e mostrare i segni vitali attraverso un’app sullo smartphone. Lo stesso episodio
riporta altri casi di esseri umani aumentati attraverso la tecnologia, come il regista
intento a costruire un occhio-telecamera da inserire su di sé, per poter registrare
le immagini in prima persona e creare documentari non condizionati da attrezza-
ture cinematografiche. È conosciuto come Eyeborg e si è ispirato all’immaginario
occhio bionico che compare nella serie L’uomo da sei milioni di dollari.
Conclusioni
[…] in futuro utilizzeremo nuove parti del corpo costruite al 100% in materiale
organico. Anche la mia antenna verrà prodotta così. E se la tecnologia diventerà
organica, ci sarà un grande cambiamento nel modo di “essere” (e non di “usare”)
la tecnologia.
Bibliografia
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Eco U., «Gli anni Ottanta sono stati grandiosi», La bustina di Minerva, Bompiani, Milano,
2000.
146 Grazia Quercia
La Città Cislunare
1
Center for Near Space & Trans-Tech. E-mail: g.russo@nearspace-iif.it.
2
Center for Near Space & Pica Ciamarra Associati International. E-mail: picaciamarra@pcaint.eu.
3
http://www.nearspace-iif.it
148 Gennaro Russo, Massimo Pica Ciamarra
una vera Città Cislunare, utile anche come punto intermedio per viaggi verso
Marte.
Vivere nello spazio richiede un’efficace integrazione e una valutazione si-
multanea di molti aspetti. Per affrontare questa ricerca, il gruppo di lavoro
“OrbiTecture” del CNS coinvolge scienziati, tecnologi, architetti, botanici, ar-
tisti, sociologi, psicologi e altri professionisti, ma anche studenti universitari e
delle scuole superiori. Lavora su storie e ragionamenti relativi alla costruzione
al di fuori del nostro pianeta, facendo ampio uso di tecniche robotiche innova-
tive di manifattura additiva, sia per la struttura principale che per le strutture
secondarie interne dell’infrastruttura spaziale.
4
Le Carré Bleu, “OrbiTecture”, n. 2-3. 2017, www.lecarrebleu.eu
Espansione dell’umanità nello Spazio 149
Studio di sistema
Habitat
Lo sviluppo della Città Cislunare richiederà la definizione di habitat in orbi-
ta e sulla superficie di pianeti che soddisfino non solo requisiti di ricerca scien-
tifica ma anche esigenze di vita quotidiana. Sarebbe fondamentale introdurre
fin dall’inizio altri tipi di requisiti, oltre quelli noti sugli ambienti scientifici, per
150 Gennaro Russo, Massimo Pica Ciamarra
SpaceHub®
Fig. 2 – SpaceHub
Configurazione
SpaceHub è composto da tre elementi primari, collegati tra loro da 3 “cap-
sule/ascensori”, che ruotano rigidamente intorno all’asse a 2 giri/min per pro-
durre diversi valori della accelerazione di gravità e simulare quindi diverse con-
dizioni gravitazionali. I tre elementi sono:
Miranda, sfera centrale di 44 m. di diametro, ospita l’hangar di attracco
delle astronavi e il laboratorio in microgravità.
Aristarco, a 38 m. di distanza dall’asse, due toroidi sovrapposti con gravità
lunare.
Galilaei, a 83 m. dall’asse, elemento toroidale con gravità marziana.
Il sistema sarà fabbricato e assemblato in situ, con tecnologie di strutture
gonfiabili e processi di additive manufacturing (stampa 3D) in materiali me-
tallici e non. Per il sostentamento degli abitanti, circa 2/3 della superficie dei
toroidi è destinata a colture edibili oltre ad aree a verde per un habitat confor-
tevole e una migliore vita a bordo. Al fine di supportare missioni su Marte e
Luna, è dotato di ambienti di training.
152 Gennaro Russo, Massimo Pica Ciamarra
Servizi
L’hangar ha funzione di arrivo/partenza delle navette, gestione traffico, ma-
nutenzione/rifornimento e accesso alla struttura. Vero cuore dello SpaceHub,
il suo interno è caratterizzato da due piattaforme d’attracco contrapposte che
consentono avvicinamento e successivo ancoraggio dei veicoli per le operazio-
ni di sbarco, rifornimento e manutenzione. La sala di controllo dell’hangar è
posizionata all’esterno dell’hangar (interna a Miranda); la finestra monitor per-
mette la supervisione delle operazioni di attracco e manutenzione con ausilio
di AI (intelligenza artificiale) e AR (realtà aumentata). Lo spazio è tale da poter
accogliere contemporaneamente 4 specialisti.
Espansione dell’umanità nello Spazio 153
Bisogni e riciclaggio
Per la permanenza in ambiente spaziale è necessario sviluppare un sistema
in grado di sostenere la vita degli abitanti attraverso una continua rigenerazio-
ne delle risorse primarie. È quindi necessario realizzare un sistema chiuso dal
punto di vista della materia (ma aperto da quello dell’energia) che riproduca in
piccolo i cicli che si sviluppano sulla Terra. I sistemi biorigenerativi basati sulle
piante superiori contribuiranno a risolvere questi problemi. Le piante devono
essere rappresentate da efficienti colture agrarie in grado di fornire all’equipag-
gio, nel lungo periodo, una dieta adeguata (come quantità e qualità). Un tale
sistema biorigenerativo a ciclo chiuso deve contribuire alla produzione di cibo
fresco, alla generazione di ossigeno ed alla rimozione dell’anidride carbonica
dall’aria interna (dovuta alla respirazione umana) attraverso la fotosintesi, alla
depurazione dell’acqua tramite il processo di traspirazione, alla utilizzazione
dei residui della biomassa, dei rifiuti organici dei processi e dei reflui fisiologici,
dopo opportuni trattamenti, e al benessere psicologico dell’equipaggio.
Sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) i sistemi di riciclaggio produco-
no 25-30 l/giorno di acqua; su SpaceHub si stima un consumo medio di acqua
di 50-60 l/giorno, di cui 5 l/giorno per bere e cucinare, implementando il mas-
simo riciclaggio possibile per ridurre al minimo la necessità di rifornimenti da
altre parti della città cislunare o di produzione in orbita (es. la NASA prevede
di ottenere 1 litro di acqua da 5 kg di roccia di asteroidi).
154 Gennaro Russo, Massimo Pica Ciamarra
OrbiTech®
Cartesio
Questo il nome della nuova struttura che presenta un raggio di 400 m. Per la
sua definizione, siamo partiti dallo SpaceHub, che abbiamo scalato di un fattore
2.7 in modo da poter ospitare fino a 2000 persone. La struttura risulta così costitui-
ta dalla sfera centrale Miranda del diametro di 110 m e due toroidi dal diametro di
sezione di 20 m; abbiamo chiamato il nuovo modulo SpaceHub+.
CARTESIO accoglie al suo interno 5 moduli di SpaceHub+ disposti lungo
ICARO, ascensore spaziale e asse di rotazione e collegamento tra i moduli che
insieme formano una colonia spaziale circoscritta da una membrana sferica atta
a produrre energia e costituire una protezione dalle radiazioni spaziali meno
5
http://www.pcaint.com/it/2019-orbitech/
Espansione dell’umanità nello Spazio 155
Fig. 6 – OrbiTech(R)
Miranda
110 m di diametro, accoglie i settori terziario/produttivo/formazione e ri-
cerca. Destinata al terziario e alla produzione in bassa gravità (vaccini, medi-
cinali, materiali, pezzi di ricambio per la stazione e per i mezzi di trasporto,
ma anche energia, acqua e aria (ovvero ciclo dell’acqua), o cibo, con attività
integrative rispetto alle colture green). È divisa in due metà: una, suddivisa in 6
piani, segue la rotazione dei toroidi esterni generando condizioni di microgra-
vità differenziata; l’altra fissa per consentire di sperimentare l’assenza di gravità
combinata in un unico ambiente flessibile destinato a ricerca e produzione.
Aristarco e Galilaei
Avranno 3 gravità diverse, Aristarco raggio=100 m / gravità / gravità Luna
(g/go= 0,16); Galilaei 230 / gravità Marte (g/go= 0,37); Teseo 350 m (nel mo-
dulo centrale) / gravità pari a circa il 50% di quella terrestre (g/go= 0,56). I
toroidi sono atti ad accogliere alloggi e spazi di supporto, su 3 livelli nella parte
inferiore della sezione toroidale. La parte superiore (ca. 50% dell’intera sezio-
ne) è destinata a spazi verdi, agricoltura, socializzazione.
La manutenzione della struttura avviene attraverso un modulo pressuriz-
zato che si muove su un binario posto sulla circonferenza esterna dei toroidi,
svolgendo al contempo la funzione di collegamento perimetrale
Fra Miranda e Toroidi vi saranno centrifughe, zone frigo e congelatori, si-
stemi di smaltimento rifiuti speciali “tipo ospedalieri”, banche di sangue per
emergenze a bordo; macchine per il manufacturing di parti metalliche e plasti-
che sia in additive manufacturing che per asportazione truciolo, con evidente
necessità di recupero e riciclo del truciolo, grandi trasformatori elettrici, batte-
rie di accumulo, convertitori AD/AC e AC/AD, celle di coltura e mantenimen-
to di batteri, intero ciclo dell’acqua e ECLSS.
Moduli pressurizzati fra Miranda e i suoi Toroidi per gli spostamenti e tra-
sporti di materiali e persone analoghi si muovono su binario posto sulla circon-
ferenza esterna dei toroidi, con funzione di collegamento perimetrale e manu-
tenzione.
Dedalo
È la membrana sferica esterna (raggio ca. 400 m) deputata a produzione
di energia e protezione da radiazioni solari. Una parte di questa, una serie di
pezzi concavi, tanto da avere ca. 20-30 antenne del diametro di 15-20 m, svolge
la funzione di antenna per le telecomunicazioni tra la Terra e i pianeti interni
(Marte prevalentemente).
Drydock
L’attracco veicoli spaziali per il trasporto merci e persone avviene attraverso
un sistema di docking posto perpendicolarmente l’asse centrale ICARO. La
manutenzione è effettuata da un bacino di carenaggio scorrevole composto da
due piani attrezzati per la manutenzione così come per le operazioni di carico/
scarico.
Espansione dell’umanità nello Spazio 157
Fig. 8 – Drydock
LunHab
Quale che sia la scelta, va considerata la differente gravità rispetto a quella ter-
restre (sulla Luna ridotta a circa 1/6 di quella terrestre) e l’articolata configurazione
morfologica di quale che sia la collocazione prescelta. Sembra ovvio allora porsi
l’obiettivo di non avere l’esigenza di dover preliminarmente “spianare” una su-
perficie (operazione ampia e certamente invasiva), cioè di considerare quel suolo
quasi come zona di interesse “archeologico”, di avvalersi della molto minore forza
di gravità che facilita la realizzazione di un habitat “sospeso” dal suolo. Lasciato
nella sua configurazione attuale, il suolo lunare resta quindi così libero per ricerche,
scavi, lavorazioni, circolazione. Diversamente da SpaceHub o OrbiTech, LunHab
non sarà una struttura chiusa in sé, completa: deve poter crescere e modificarsi
secondo esigenze impreviste. Non avrà morfologia definita, non sarà un igloo o un
“oggetto”, ma un sistema in evoluzione. Anche alternative a “tenda” (tensostruttu-
re) o a “cupola” possono ridurre i punti di contatto al suolo, ma non rispondono
ad agevoli modalità di crescita o di modificazione, esigenza che sembra prevalente.
Avendo assunto la similitudine “archeologica”, appoggi al suolo puntuali,
magari una copertura che non abbia necessità di sostegni in posizioni esat-
tamente predefinite, in un certo senso ha similitudini con principi della Vil-
le Spatiale di Yona Friedman (1958)6. Ha maglie larghe, magari con sostegni
concettualmente “ad albero”, cioè caratterizzati da un solo punto in basso e
ramificazioni verso l’alto, in modo da ridurre la dimensione delle luci libere.
La copertura è una sorta di ampia coltre, una struttura tridimensionale artico-
lata planimetricamente e altimetricamente, per fornire anche protezione dalle
radiazioni, produzione di energia, produzione di ossigeno; una sorta di “coltre
volante” modulare, accrescibile e modificabile, un ampissimo spazio porticato.
6
https://www.moma.org/collection/works/104695
Espansione dell’umanità nello Spazio 159
Bibliografia
di Clementina Sasso
Cosa studiamo?
Come abbiamo visto, tutti i fenomeni fisici che avvengono sul Sole sono
strettamente legati al campo magnetico solare che viene generato negli strati in-
terni del Sole con meccanismi che non conosciamo ancora nei dettagli. Il cam-
po magnetico viene portato “a galla” dalla convezione che ha luogo nello strato
più esterno della parte interna del Sole, appena sotto la sua superficie. Una
volta emerse in superficie, le linee di forza del campo magnetico solare vengono
trascinate e deformate dal plasma solare a causa della rotazione differenziale
solare che crea configurazioni complesse in cui viene accumulata energia. Il
Sole, infatti, ruota in maniera differenziale, e cioè più velocemente all’equatore
che ai poli. Il plasma, che è formato da particelle cariche che risentono del
campo magnetico, resta intrappolato nelle linee di campo e muovendosi per
via della rotazione trascina con sé queste linee, deformandole (fig. 1). L’energia
trasportata in superficie dal campo magnetico alimenta i molteplici fenomeni
che avvengono nell’atmosfera del Sole.
Fig. 1 – Il processo di deformazione delle linee di forza del campo magnetico solare, dovuto alla rotazione
differenziale solare (Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=-PTQaOWkEfs)
I fenomeni che studiamo, dunque, sono le espressioni del campo magnetico
La missione spaziale Solar Orbiter 163
Anche il numero delle macchie solari, che sono la manifestazione del cam-
po magnetico solare sulla superficie del Sole, varia ciclicamente durante 11
anni, seguendo lo stesso ciclo di attività del campo magnetico. Praticamente,
più forte e attivo è il campo magnetico più macchie ci saranno sulla superficie
solare. Quello che osserviamo è dapprima l’assenza, o quasi, di macchie (anche
per periodi estesi di diverse settimane) sulla superficie solare, poi un periodo di
intensa attività in cui il Sole è ricoperto da un alto numero di macchie, e infine,
al termine di questi 11 anni, di nuovo l’assenza, o quasi, di macchie.
Un’altra caratteristica delle macchie solari è che si presentano sempre in
coppia, rappresentando l’una il polo positivo del campo magnetico che le
attraversa e l’altra il polo negativo. Per undici anni la disposizione delle po-
larità delle macchie si mantiene costante nei due emisferi solari: se nell’emi-
sfero nord la macchia più a est ha polo positivo e quella più a ovest ha polo
negativo, nell’emisfero sud solare la situazione si presenta invertita. Finito un
ciclo solare, la polarità delle macchie s’inverte. Lo studio dell’attività solare
è dunque di fondamentale importanza per poter predire i fenomeni esplosi-
vi che hanno luogo nell’atmosfera solare e conoscere l’energia emessa dalla
nostra stella è utile per quantificare l’influenza del Sole sul clima terrestre.
Le macchie sono visibili nella fotosfera, che è la parte più bassa dell’atmosfera
solare e sono i piedi dei grandi archi che si estendono per migliaia di chilometri
fino alla corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera (fig. 3).
164 Clementina Sasso
Fig. 3 – Arco coronale. L’immagine è stata ottenuta dal telescopio TRACE (Strong et al., 1994) a bordo
del Solar and Heliospheric Observatory (SOHO, Domingo et al., 1995). Si vede come il plasma, risen-
tendo del campo magnetico solare, si dispone lungo le sue linee di forza.
Cosa comunicare?
stampa e i media sono stati gestiti dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) prima e
dopo il lancio e, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Americana (NASA),
durante la fase pre-lancio e quella del lancio stesso, visto che questo ultimo è
stato effettuato dalla base NASA di Cape Canaveral. Da aprile 2019 l’ufficio
comunicazione dell’ESA ha aperto i lavori, organizzando delle teleconferenze
con i responsabili della comunicazione dei gruppi dei dieci strumenti a bordo
di Solar Orbiter, con l’idea di avere un coordinamento minimo e una direzione
comune almeno per gli eventi principali che sono stati individuati nella spedi-
zione del satellite dalla Germania a Cape Canaveral, il lancio e il rilascio dei
primi dati scientifici. Per il resto, ogni gruppo ha potuto gestire la propria co-
municazione in maniera autonoma coordinandosi con le istituzioni scientifiche
locali coinvolte e le agenzie spaziali nazionali.
Per quanto riguarda i social, l’ESA ha deciso di affidare questo tipo di co-
municazione a un unico account su Twitter, @ESASolarOrbiter, insieme all’ha-
shtag #weareallsolarorbiters.
Bibliografia
Antonucci E., Romoli M., Andretta V. et al., «Metis: the Solar Orbiter visible light and
ultraviolet coronal imager», A&A, in pubblicazione.
Domingo V., Fleck B., Poland A.I., «The SOHO mission: An overview», Sol. Phys. 162, n.
1 (1965).
ESA – Solar Orbiter Assessment Study Report, SRE-2009-5, dicembre 2009.
Fourth National Climate Assessment, 1990, vol. 1 capitolo 2: https://science2017.global-
change.gov/chapter/2/.
Müller D., Marsden R.G., St. Cyr O.C., Gilbert H.R., and The Solar Orbiter Team, «Solar
Orbiter: Exploring the Sun–Heliosphere Connection», Sol. Phys. 285 (2013), 25-70.
Scharmer G.B., Bjelksjo K., Korhonen T., Lindberg B., Petterson B., «The 1-meter Swed-
ish solar telescope», Proceedings of the SPIE, Innovative Telescopes and Instrumenta-
tion for Solar Astrophysics 4853 (2003), 341-350.
Strong K.T., Bruner M., Tarbell T., Title A., Wolfson C.G., «TRACE – The Transition
Region and Coronal Explorer», Space Sci. Rev. 70 (1994), 119-112.
I tool di SSDC come esempio di apertura dei dati spaziali alla comunità
1
Space Science Data Center & Agenzia Spaziale Italiana. E-mail: angelo.zinzi@ssdc.asi.it.
2
Space Science Data Center & INAF-OAR. E-mail: carlotta.pittori@ssdc.asi.it.
3
Agenzia Spaziale Italiana. E-mail: rosa.tagliamonte@est.asi.it.
4
Space Science Data Center & INAF-OAR. E-mail: fabrizio.lucarelli@ssdc.asi.it.
172 Angelo Zinzi, Carlotta Pittori, Rosa Tagliamonte, Fabrizio Lucarelli
SSDC affonda le sue radici nei primi anni Novanta, con la costituzione del
BeppoSax Data Center (per il satellite per astronomia a raggi X BeppoSax),
evolvendo poi nel 2000 nel centro multi-missione ASI Science Data Center
(ASDC), dedicato alla gestione e allo sfruttamento dei dati delle missioni di
astrofisica delle alte energie. Negli ultimi anni il centro ha espanso il proprio
campo di attività, fino a incorporare altri settori delle scienze spaziali, come
l’astrofisica in altre bande di energia e lo studio di pianeti ed esopianeti, assu-
mendo l’attuale denominazione.
I due scopi principali di SSDC sono l’archiviazione, l’analisi e la distribu-
zione dei dati di missioni spaziali, insieme allo sviluppo di tool scientifici per
l’estrazione di informazione scientifica di alto livello a partire dai dati di inte-
resse. Questi obiettivi sono stati generalmente perseguiti seguendo un “approc-
cio operativo” che coinvolge sia scienziati che partner industriali. Il centro è
formato da personale dell’ASI, dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e
dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con il supporto informatico
ICT fornito da aziende, quali, attualmente, Telespazio e Serco. Questo approc-
cio ha permesso lo sviluppo di tool software e servizi focalizzati sugli interessi
reali delle specifiche comunità scientifiche, diventando, in alcuni casi, punti di
riferimento per esse.
I tool di SSDC come esempio di apertura dei dati spaziali alla comunità 173
Conclusioni
Bibliografia
ISBN 978-88-99790-18-9
www.instituteforthefuture.it
bss@futureinstitute.it