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diretta da Isabella Pezzini

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Riccardo Finocchi

Ipermedia e Locative Media


Cronologia, semiotica, estetica

Edizioni Nuova Cultura


Descrizione
“Collana di Semiotica” accoglie e presenta saggi e materiali didattici o di ricerca
che si situano nel campo di riflessione delle discipline della significazione e della
comunicazione. Vuole essere uno spazio aperto sia a contributi di carattere teorico-
metodologico, sia ad esercizi di analisi critica sulle forme semiotiche di testi, prati-
che e discorsi.

Diretta da
Isabella Pezzini

Comitato Scientifico
Pierluigi Cervelli (Sapienza Università di Roma)
Valeria Giordano (Sapienza Università di Roma)
Giovanni Fiorentino (Università di Viterbo)
Gianfranco Marrone (Università di Palermo)
Franciscu Sedda (Università di Roma Tor Vergata)
Ilaria Tani (Sapienza Università di Roma)

Metodi e criteri di referaggio


La collana adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla revisione paritaria
e anonima (peer-review). I criteri di valutazione adottati riguardano: l’originalità e la
significatività del tema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti
rispetto agli ambiti di ricerca propri della collana; l’assetto metodologico e il rigore
scientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza dell’esposizione e la compiutezza
d’analisi.

Copyright © 2016 Edizioni Nuova Cultura - Roma


ISBN: 9788868126933
DOI: 10.4458/6841
Progetto grafico di Emilia Antonucci
Copertina di Luigi Novelli

È vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale, realizzata con qualsiasi


mezzo, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

Per ordini: ordini@nuovacultura.it

Le fotografie sono degli autori dei saggi, salvo diversa indicazione.


Indice

Cosa è accaduto ............................................................................ 9

1. Definizioni e concetti affini .................................................... 11

1.1 Multimediale ........................................................................... 12


1.2 Intermediale ............................................................................. 16
1.3 Crossmediale ............................................................................ 18
1.4 Interttivo/interoperativo .......................................................... 20
1.5 Rimediazione/premediazione ................................................... 24
1.6 Ipermediale .............................................................................. 28
1.7 Locative media ......................................................................... 31

Come è accaduto......................................................................... 36

2. La digitalizzazione dell’informazione .................................. 37

2.1 Devices dell’ipermedialità ......................................................... 38


2.1.1 Il computer: dalle origini al portatile ............................... 38
2.1.2 Monitor e schermi. Dal telefono cellulare al touch screen 47
2.1.3 La fotocamera nel cellulare............................................... 52
2.1.4 Audiovisivo digitale ......................................................... 54
2.2 La standardizzazione ipermediale ............................................. 60
2.2.1 Consortium MPEG e l’interscambiabilità ....................... 61
2.3 La memoria digitale .................................................................. 64

3. La digitalizzazione della comunicazione.............................. 67

3.1 Da internet al web .................................................................... 67


3.2 File sharing, web 2.0 e social media .......................................... 71
6 Indice

Come accade ................................................................................ 74

4. Semiotica ed estetica dell’ipermedialità ................................ 74

4.1 Paradigma continuista vs discontinuista .................................. 77


4.2. Estetica e semiotica dell’incremento: realtà aumentata e soggetti
locativi............................................................................................. 78
4.3. Ironia, parodia, fake e antagonismo web .................................. 90
4.4. Esperienze anticipate ............................................................... 98
4.5. Forme di apprendimento nel web: tutorial le nuove frontiere
dell’audiovisivo ............................................................................. 103

Bibliografia generale .................................................................. 111


Ad Alessandra e Sara
Cosa è accaduto

Ci troviamo immersi in un quotidiano popolato da media digi-


tali, potremmo dire che ogni attimo della nostra attività giorna-
liera è scandito dalle tecnologie di comunicazione web/digitali:
smartphone, tablet e palmari, computer potatili, flash memory
card o key, navigatori satellitari, e poi, futuribili o attuali, google
glass1 e smartwacth (orologi web based). Strumenti da cui è possi-
bile trarre grandi quantità di informazioni che impattano decisa-
mente sulle attività quotidiane degli individui e contribuiscono a
una modificazione profonda delle forme di vita. Attraverso la di-
gitalizzazione vengono formandosi nuove o diverse modalità di
relazione tra individui e collettività, viene trasferita la memoria
sociale e culturale in archivi digitali capaci di contenere e gestire
simultaneamente enormi quantità di documenti e dati multime-
diali, si produce un potente effetto reificante superiore, forse, a
tutti quelli prodotti dai sistemi di mediazione sociale fin qui uti-
lizzati.
Ma non solo: la maggior parte degli strumenti digitali web ba-
sed oggi utilizzati rientrano nella definizione di locative media,
cioè, come spiegheremo meglio nel testo, strumenti la cui caratte-
ristica principale è quella di basare la comunicazione su devices
mobili o portatili con funzione di geolocalizzazione, che consente
loro di essere contemporaneamente in un preciso punto del

1
In particolare i google glass hanno attratto l’attenzione delle comunità
scientifiche per cui cfr. Montani 2014a; Id. 2014b; Ferraro 2014. Inoltre sui temi
indicati in precedenza cfr. Finocchi - Guastini 2011; Finocchi 2014.
10 Riccardo Finocchi

mondo (reale) e in costante dialogo col mondo intero “racchiuso”


nel web, di cui possono fruire e dal quale ricevono notevoli quan-
tità di informazioni sul luogo e lo spazio in cui si trovano. In tal
modo il possessore di un device geolocalizzato può sapere cose
dello spazio intorno a lui anche oltre la propria percezione e i pro-
pri sensi. Per esempio può sapere in tempo reale se arriverà un
temporale, o se dietro al palazzo che ha dinanzi c’è un’auto dispo-
nibile per il car sharing o se c’è una farmacia o una fermata della
metro. Per raggiungere quest’ultime, poi, è sufficiente attivare il
medium locativo come navigatore e seguire il percorso indicato,
sia attraverso informazioni vocali, sia su una mappa digitale visi-
bile nel display.
È evidente che quanto brevemente descritto rende manifesta
una profonda trasformazione delle forme di vita attuali, trasfor-
mazione che ha tutti i caratteri di una rivoluzione (peraltro ancora
in corso) vista la pervasività e la rapidità degli accadimenti. Si
pensi che l’iPhone, progenitore degli smartphone attuali, fu pre-
sentato per la prima volta al pubblico nel 2007, mentre l’iPad, che
segnò la via dei tablet, nel 2010. Per tali motivi, in questo libro, si
è sentita l’esigenza di indagare e ripercorrere cosa è accaduto,
come è accaduto e, infine, come accade l’attuale quotidiano web/di-
gitale. La convinzione che supporta la presente ricerca è quella se-
condo cui il processo di trasformazione – rivoluzionaria – delle
forme di vita a cui stiamo assistendo comporta delle implicazioni
nella vita degli individui, che possono essere colte attraverso in-
dagini che siano in grado di osservare i fenomeni del quotidiano
attraverso la convergenza teorico metodologia e gli strumenti ana-
litici di due prospettive: a) estetologica, riferendoci alla tradizione
filosofica che pensa l’estetica nell’accezione che rinvia al concetto
di aisthesis, dal quale ha tratto origine il concetto stesso di Estetica
e che indica tutt’ora una linea interpretativa della stessa disciplina
(cfr. Montani 2010; Id. 2007; Ferraris 2010; D’Angelo 2010; Id.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 11

2011). Concetto di aisthesis che raccoglie assieme il percepire, sen-


tire, cogliere, prendere/apprendere ecc. e rinvia a una attività
umana attraverso la quale ci “interfacciamo” al mondo, che
orienta le azioni nel mondo e i pensieri sul mondo2; b) semiotica
(o semiologica), rinviando anche in questo caso a una consolidata
tradizione che vede nei presupposti della semiotica interpretativa
(cfr. Eco 1968; Id. 1975; Id. 1984; Id. 1997; Paolucci 2007), nonché
negli apporti della teoria semiotica d’oltralpe, in particolare quella
di Greimas (specie l’ultimo periodo) e le riletture e interpretazioni
operate nell’ambito semiotico italiano (tra i molti, cfr. Fabbri 1998;
Fabbri, Marrone 2000; id. 2001; Pezzini 1998), dei punti di riferi-
mento fondamentali.
In questo primo capitolo indagheremo “cosa è accaduto”: cer-
cheremo di comprendere il sistema attuale dei media digitali web
based (che possiamo cominciare a chiamare già ora, in modo per-
spicuo e congruo, ipermedia) attraverso le definizioni e i concetti
che, via via, hanno contribuito alla individuazione dei cambia-
menti nella comunicazione e all’esplicitazione delle differenze con
il passato. Questo ci consentirà una prima osservazione del feno-
meno ipermediale e, parallelamente, una prima osservazione delle
sue implicazioni sul piano sociale, nelle pratiche sociali e nelle re-
lative forme di vita, ma anche di osservare l’impatto della tecnica
digitale sul sistema percettivo/sensibile degli esseri umani (piano
estetico), nonché di cogliere i presupposti di una ricodificazione
del mondo attraverso l’esplicitazione dei segni e l’interpretazione
dei significati pertinenti a quelle stesse, nuove o diverse, forme di
vita ipermediali (piano semiotico).

Su questi temi, oltre ai testi già citati, si vedano in particolare i lavori di


2

Garroni 1992; Id. 2005 e, parzialmente, anche di Greimas 1987; Id. 1988.
12 Riccardo Finocchi

1. Definizioni e concetti affini


Quando parliamo di ipermedia in realtà ci stiamo riferendo a un
fenomeno piuttosto diffuso e intuitivamente abbastanza evidente,
ma anche, al contempo, a un concetto piuttosto sfumato e indefi-
nito, cosa che può dare adito a fraintendimenti e confusioni che è
bene evitare. In questo paragrafo, pertanto, prenderemo in esame
alcune definizioni che, nel corso degli ultimi decenni, hanno con-
tribuito a chiarire e delineare ciò che accadeva nella comunica-
zione e nel sistema mediale trasformato dall’avvento del digitale.
Si tratta, in primo luogo, di aggiornare le definizioni di media
e di comunicazione mediata considerando i cambiamenti interve-
nuti, in particolare per la possibilità di utilizzare dispositivi che
consentono la gestione di una convergenza multimediale. Proprio
in tal senso indagheremo innanzi tutto il concetto di multimedia-
lità e, di conseguenza, i concetti di cross-medialità e di interme-
dialità. Vedremo poi meglio una particolarità dei dispositivi
digitali: la possibilità di una gestione interattiva (e/o interopera-
tiva) che apre a una profonda modificazione dei paradigmi nella
relazione uomo-macchina-comunicazione. Inoltre, sarà necessario
considerare le modalità di utilizzo, o riutilizzo, dei “vecchi” media
attraverso i “nuovi” media e la possibile rimediazione dei conte-
nuti.
Naturalmente, è bene precisare, nello scrivere un testo sui me-
dia web based è inevitabile fare ampi riferimenti alle informazioni
presenti in rete, luogo nel quale più che in altri e, soprattutto,
prima che in altri, vengono raccolte e depositate le conoscenze e le
competenze, anche scientifiche, che riguardano il mondo digitale.
Pertanto, laddove faremo riferimento a conoscenze di tipo enci-
clopedico o a definizioni dizionariali, come accadrà in questo ca-
pitolo, ci rivolgeremo senza meno a siti specifici e a contenuti on
line.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 13

1.1 Multimediale
Proviamo, dunque, a definire il concetto di multimedialità così
come è andato precisandosi nel corso degli ultimi anni. Innanzi
tutto, è bene sottolineare, forme di multimedialità possono essere
rintracciate fin dalle sperimentazioni artistiche degli anni sessanta
e settanta del secolo scorso, quando videotape, apparecchi tv e re-
gistrazioni audio magnetiche fecero il loro ingresso nei musei e
nelle gallerie private sotto forma di istallazioni o di performance
artistiche (si pensi alle esperienze di Nam June Paik o Wolf Vo-
stell, o più in generale al movimento artistico Fluxus). Natural-
mente, è noto, l’arte e le rappresentazioni artistiche svolgono un
ruolo, appunto, di avanguardia e sperimentazione che si rivolge a
gruppi sociali piuttosto ristretti, spesso solo agli addetti ai lavori
o a chi rientra in quello che è stato definito the artworld (cfr. Danto
1964, anche cfr. Danto 1992), cosa del tutto diversa dal diffuso fe-
nomeno di massa attuale. Si trattava, inoltre, di forme di multime-
dialità piuttosto “primitive”, che prevedevano l’utilizzo in
contemporanea di video e/o riprese televisive, suoni e arti visive
in genere. In tempi più recenti è possibile individuare pratiche ar-
tistiche multimediali, in un arco temporale che va dalla fine degli
anni ottanta del secolo scorso, quando «la prima mostra multime-
diale, la “Erste Multimediale”, si tenne in Germania» (Qvortrup
1998, p. 158) in quello che sarà lo ZKM (Zentrum für Kunst und
Medientechnologie) di Karlsruhe3, fino alle recenti opere dell’arti-
sta sudafricano William Kentridge, nelle quali l’esperienza del di-
segno e dell’animazione si mescolano con sperimentazioni video,
teatrali e sonore in ambienti dove la luce, la luminosità e l’oscurità,

3
Ancora oggi è disponibile sul sito dello ZKM il contenuto della mostra,
cfr. http://zkm.de/event/1989/10/multimediale (questa e tutte le altre risorse
web citate in questo libro sono state verificate l’ultima volta nell’ottobre 2015).
14 Riccardo Finocchi

giocano un ruolo nel processo di fruizione e di significazione4.


Piuttosto, per iniziare ad approcciare in modo utile ai nostri
scopi, il concetto di multimedialità, può essere funzionale a partire
da una definizione generica e diffusa quale quella che può offrire
un dizionario, rigorosamente on-line, come il Treccani:

«Detto di forma di comunicazione che utilizza e integra tecniche e


strumenti diversi, quali proiezione di filmati e diapositive, riproduzione
di suoni e immagini registrate su supporto magnetico, elaborazione elet-
tronica di informazioni, ecc., in partic. per scopi di informazione scienti-
fica e insegnamento (didattica m., la produzione m. di una casa editrice),
oppure in ambito artistico e culturale: spettacoli m., quelli per i quali si
impiegano, insieme alle usuali forme espressive, immagini, parole e mu-
siche precedentemente registrate, effetti speciali ottenuti con mezzi elet-
tronici, raggi laser, ecc. In senso ampio, si parla anche di una tecnologia
m., e, per traslato, di una società m., che fa largo uso di apparecchi, dispo-
sitivi, servizi, elaborati prodotti da tale tecnologia» (cfr. www.treccani.it)5

È evidente, da quanto riportato e da quanto detto fin qui, che


la definizione del concetto di multimediale precede una possibile
definizione dello stato attuale del sistema dei media, pur ricom-
prendendone alcuni tratti: multi-media indica, letteralmente, più
media. Così, un unico messaggio viene veicolato simultaneamente
attraverso diversi dispositivi che supportano diversi formati me-
diali, formati che stimolano diversamente l’apparato sensoriale

4
Su Kentridge si veda la mostra Vertical Thinking al MAXXI di Roma, 17
nov. 2012 – 3 mar. 2013. La mostra ruota intorno all’installazione The Refusal
of Time, che prevede anche lo spettacolo teatrale Refuse the Hour a Roma al
Teatro Argentina dal 15 al 18 Nov. 2012 (cfr. www.fondazionemaxxi.it). Inol-
tre, per un approfondimento sulle contaminazioni multimediali nei linguaggi
artistici, cfr. Taiuti 2005.
5
La voce multimedia del dizionario Treccani è disponibile al link
http://www.treccani.it/vocabolario/multimediale/
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 15

umano e producono comunicazioni che si iscrivono in sistemi se-


gnici diversi (dall’iconico al simbolico, al semisimbolico ecc.) ma
che, al contempo, cooperano attivamente nello stimolare il sistema
percettivo/sensibile del ricettore e, dunque, nella produzione di
senso. Si tratta di una forma di comunicazione fortemente multi-
modale in grado di coinvolgere l’essere umano in modo polisen-
soriale che, prendendo in prestito una figura retorica riletta dalla
semiotica, possiamo indicare come “sinestetica”6. Dunque, pos-
siamo dire, la multimedialità si presenterebbe con tratti sinestetici
per il fatto di coinvolgere e far interagire nella ricezione, sul piano
elementare delle percezioni sensibili, diversi sensi umani; fermo
restando che la sinestesia «non è semplicemente la rappresenta-
zione esteriore di un senso attraverso un altro […] ma il riuso di
una forma sintattica attraverso altre sostanze sensoriali» (cfr. Mar-
rone 2012, p. 166) per cui modi del sensibile differenziatisi pos-
sono ritrovare una sorta di fondo psicocorporeo comune.
Così, se in un opera d’arte multimediale un laser rosso disegna
linee rette che tagliano geometricamente lo spazio mentre un na-
stro registrato riproduce striduli suoni metallici e il corpo di un
performer si muove sinuoso, lo spettatore agisce percettivamente
nel ritrovare coerenza e sensatezza in ciò che si presenta come una
forma testuale. Naturalmente, la multimedialità si declina in una
forma testuale che ormai siamo abituati a riconoscere e utilizzare
ma che, nondimeno, ha avuto bisogno di una ridefinizione della
testualità anche, anzi ancor più, al di fuori delle pratiche artistiche,
come per esempio nel campo della formazione o in quello della
comunicazione in genere; in tal senso, sulla scorta della defini-
zione di semiotica sincretica data da Greimas e Courtés nel Dic-
tionnaire, Cosenza propone di definire il testo multimediale un
testo sincretico (cfr. Cosenza 2004, 2014), cioè un testo in cui

6
Sul dibattito legato al tema della sinestesia in semiotica cfr. Marrone
2012; Catricalà 2012; De Blasio 2011.
16 Riccardo Finocchi

l’istanza di enunciazione si contraddistingue «per l’impiego di di-


versi linguaggi di manifestazione» (Greimas-Courtés 1979, p. 319)
organizzati in una strategia comunicativa coerente e coesa.
La definizione semiotica di testo sincretico descrive bene la
forma testuale multimediale, permane però un problema sulla no-
zione stessa di multimediale: un testo multimediale, come ab-
biamo visto, soprattutto nella sua definizione primigenia, è tale
anche se il supporto attraverso il quale si rende accessibile non è
connesso/connettibile al web. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere:
sussistono ancora forme di comunicazione di tipo sincretico/mul-
timediale non connesse? Sarebbe forse utile far tesoro delle rifles-
sioni sulla multimedialità fin qui elaborate (e in questo paragrafo
molto sinteticamente richiamate) per iniziare a comprendere che
siamo entrati in una fase successiva, una fase dopo la multimedialità
(cfr. Ferraro 2014) che la ricerca scientifica nel campo della comu-
nicazione sta iniziando a esplorare.

1.2 Intermediale
Spesso troviamo il concetto di intermedialità affiancato a
quello di multimedialità, quando non utilizzato o definito come
sinonimo. La stessa enciclopedia online Treccani, dal cui diziona-
rio abbiamo tratto la definizione di multimediale, a proposito
delle caratteristiche dei prodotti multimediali specifica:

«Nei prodotti multimediali un progetto comunicativo unitario e orga-


nico si avvale di supporti e canali diversi, cercando di sfruttare al meglio
le caratteristiche specifiche di ciascuno di essi. Si parla talvolta, a questo
proposito, di m. centrifuga o intermedialità» (www.treccani.it/en-ciclope-
dia/multimedialita/)

Appare tuttavia e vidente che i prefissi multi- e inter- indicano


caratteristiche piuttosto differenziate nelle prestazioni mediali.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 17

L’intermedialità accentuerebbe, secondo la prospettiva che cer-


chiamo di delineare, il carattere di collegamento e di reciprocità
tra i media e non semplicemente una molteplicità. Proprio in que-
sta direzione si muove Henry Jenkins (2006) nel testo Culture con-
vergenti, nel quale non parla, invero, di intermedialità, ma di
transmedialità. Il concetto di transmedialità è pensato come una
forma di comunicazione che attraversa i diversi media nell’ottica
di una convergenza, che è l’effetto di un complesso di azioni indi-
viduali verso il collettivo, ossia la transmedialità è un processo in
cui sono le pratiche di una cultura partecipativa (cfr. Jenkins 2009)
a orientare l’utilizzo delle tecnologie mediali in una modalità con-
vergente.
Certamente, Jenkins, centra l'interesse sui fenomeni di integra-
zione e convergenza che si sono verificati attraverso il processo di
digitalizzazione della comunicazione e dell'informazione, po-
nendo però l’accento sull’aspetto della trasformazione di conte-
nuto da un medium all'altro (trans-media, transitare) e non sulla
trasformazione di contenuto tra medium (inter-media). Nella pro-
spettiva che cerchiamo di seguire, intermediale dovrebbe essere
piuttosto assimilabile a intra-mediale, ossia una connessione tra
media interna a un prodotto mediale. Per fare un esempio chiari-
ficatore immaginiamo una ripresa cinematografica in cui viene
mostrato un video effettuato con un telefono cellulare di prima
generazione (quindi a bassa risoluzione): lo spettatore vede nel
film la sequenza a una diversa risoluzione (sgranato, opaco), come
lo vedrebbero i protagonisti del film. A un esempio simile, al film
Nella valle di Elah7, fa riferimento il testo di Pietro Montani (2010)
L’immaginazione intermediale. L’intermedialità, per Montani, favo-
risce un processo di elaborazione delle immagini, un processo di
autenticazione (non di autenticità) in quanto stimola un lavoro “cri-
tico” dell'immaginazione a partire dalle differenze dei contenuti

7
In the Valley of Elah del 2007 diretto da Paul Haggis.
18 Riccardo Finocchi

intermediali. Proprio a questa accezione di intermediale è possi-


bile ricondurre le trasformazioni digitali della comunicazione, ba-
sti pensare ai video su Yuotube, realizzati in vari formati mediali
e contenuti tutti dentro lo schermo del device utilizzato, oppure
pensare ai libri fruibili su Google Books, o al tour nei musei vir-
tuali8. In questa accezione, l’intermedialità, deve essere pensata
come un elevato grado di contaminazione interna tra formati, ge-
neri, codici e supporti mediali.

1.3 Crossmediale
Una ulteriore concettualizzazione affine alle precedenti è
quella di crossmediale. Seppur semanticamente prossima al con-
cetto di transmediale, visto che il prefisso trans- indica il passare
o transitare e l’anglismo cross rinvia all’attraversamento o interse-
camento, la definizione di crossmediale specifica un utilizzo dei
media in una modalità convergente in cui mantengono la propria
autonomia. L’esempio più adatto a chiarire è quello delle campa-
gne d’informazione (pubblicitarie o politiche) crossmediali che si
caratterizzano per utilizzare insieme diversi media, proponendosi
di dare maggior intensità ai contenuti veicolati. Così, la campagna
di comunicazione politica sostenuta da Barack Obama per le pre-
sidenziali americane è stata considerata innovativa ed efficace
proprio in virtù della «gestione cross mediale della campagna, ele-
mento che ha permesso al senatore dell’Illinois di godere di
un’ampia visibilità e di coinvolgere nel dibattito strati della popo-
lazione precedentemente esclusi dall’arena elettorale» (Mezza
2009, p. 96)9. Per la prima volta la politica integrava in un piano di
comunicazione strumenti web-mediali come un canale Youtube,
assieme a strumenti social-mediali come Twitter, senza però tra-

8
Sui musei virtuali cfr. Pezzini 2011.
9
Sulla campagna elettorale di Obama cfr. Cosenza 2010.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 19

scurare i quotidiani (cartaceo e/o online) e la tradizionale televi-


sione. Proprio in questa direzione si muovono le campagne pub-
blicitarie più innovative, sfruttando le molteplici e stratificate
opportunità di comunicazione offerte dalla molteplicità di media
oggi disponibili e, soprattutto, sfruttando una convergenza resa
possibile dalla digitalizzazione delle informazioni, ricompren-
dendo nel complesso comunicativo crossmediale finanche quelle
forme difficilmente omologabili di advertising non convenzionale
(cfr. Peverini, Spalletta 2009, pp. 149 sgg.).
È possibile pensare la crossmedialità come un effetto (e non
come progetto per una campagna) mediale, come nel caso di un
film che ottiene un imprevisto successo e diviene lo spunto per
realizzare un videogioco, un blog per appassionati, una serie TV e
un fumetto a puntate10, trasformando, di fatto, un singolo pro-
dotto mediale in un prodotto dalle caratteristiche crossmediali.
Naturalmente, la crossmedialità è un effetto anche nel senso che si
delinea a partire non tanto, o non solo, dalla tecnologia disponibile
quanto piuttosto da pratiche di consumo crossmediali, pratiche
alle quali soggiace una cultura crossmediale (cfr. Vittadini, Pasquali,
Scifo 2010) che orienta le azioni e le scelte comunicative dei sog-
getti coinvolti.
Questa commistione crossmediale tra tecnologie, pubblico,
culture è ben espressa Drew Davidson nell’apertura al suo volume
Cross-Media Communications:

«Cross-media Communications are integrated, interactive experi-


ences that occur across multiple media, with multiple authors and have
multiple styles. The audience becomes an active part in a cross-media ex-
perience. It is experiences that occur across the Internet, video and film,

10
È l’esempio riportato dall’enciclopedia Treccani a cui più volte abbiamo
fatto riferimento, cfr. www.treccani.it/enciclopedia/crossmediale_(Les-sico-
del-XXI-Secolo)/
20 Riccardo Finocchi

broadcast and cable TV, mobile devices, DVD, print, and radio» (Da-
vidson 2010, p. IX)11.

Il riferimento alle forme d’esperienza crossmediali e interattive


fatto da Davidson ci porta agli argomenti che tratteremo nel pros-
simo paragrafo.

1.4 Interattivo/interoperativo
Se riflettiamo sulle definizioni analizzate fin qui, e prendiamo
da un lato i concetti di multimedialità e, per alcuni aspetti, d’inter-
medialità, mentre dall’altro lato il concetto di transmedialità, so-
prattutto nella forma del transmedia storytelling (cfr. Jenkins 2006;
anche cfr. Andò, Leonzi 2014), e quello d’esperienza crossmediale
pensato da Davidson, possiamo individuare tra questi due
“gruppi” un aspetto che li contraddistingue profondamente: la
partecipazione, attiva, del pubblico. In sostanza, possiamo indivi-
duare una differenza tra le forme comunicative a base digitale e
multiformato utilizzate esclusivamente come veicolo comunica-
tivo e quelle utilizzate in modo partecipativo e interattivo. Così,
un dispositivo multimediale interattivo è differente da un sem-
plice strumento multimediale. Naturalmente, abbiamo fin qui
fatto riferimento al concetto di interattività senza averne prima
dato una definizione, anche se l’uso quotidiano del termine legato
alle tecnologie digitali ne rende intuitivo il significato:

«in informatica, di programma, linguaggio, modo di operare di un si-


stema di calcolo, ecc., che preveda l’interazione con un operatore (gene-
ralm. tramite terminale) per il controllo dell’esecuzione attraverso la

11
«Le comunicazioni crossmediali sono esperienze interattive integrate
che si verificano attraverso molteplici supporti, con molteplici autori e che
hanno molteplici stili. Il pubblico diventa parte attiva di una esperienza cross-
mediale. Si tratta di esperienze che avvengono attraverso internet, video e
film, broadcast e TV via cavo, dispositivi mobili, DVD, stampa e radio»
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 21

visualizzazione di risultati parziali, l’introduzione di nuovi dati o l’atti-


vazione di particolari processi» (cfr. http://www.treccani.it/vocabo-la-
rio/interattivo/)

La definizione d’interattivo pone in evidenza il rapporto


uomo-macchina finalizzato al controllo delle operazioni e alla mo-
difica dei processi operativi. La questione dell’interattività così
posta apre a un complesso di problemi, che in buona parte sono
gli stessi che pertengono al nostro “universo” popolato di tecno-
logie digitali interattive web based.
In primo luogo, è necessario chiarire che siamo in una fase evo-
luta del rapporto uomo-macchina: se in un primo momento nella
storia delle interazioni con la macchina, come fa notare Ortoleva
(2009, p. 101), veniva richiesto all’uomo di adattarsi ai tempi e
all’azione della macchina, determinando un processo unidirezio-
nale, in una seconda fase le macchine agivano da sole a comando
(basta schiacciare un bottone e fa tutto lei!). Nella fase attuale le
macchine rispondono e interrogano l’utente, modificano il pro-
prio operare secondo istruzioni variabili e con una crescente rapi-
dità, con risposte istantanee e sensate. Proprio questa rapidità e
questa sensatezza hanno sorretto la definizione di “macchine in-
telligenti”, capaci di instaurare un vero e proprio dialogo con
l’uomo, nel quale la comunicazione si sta spingendo oltre l’imme-
diatezza del touchscreen verso dispositivi a comando vocale con i
quali “parlare”.
In secondo luogo, si apre una complessa questione sullo spazio
dell’interazione, per un verso nella dimensione del progetto,
dell’interaction design che deve predisporre spazi simbolici di con-
divisione uomo macchina12, per altro verso sulla dimensione sim-
bolica dello spazio interattivo su cui il “dialogo” utente-macchina

12
Su questi temi cfr. Preece, Rogers, Sharp 2002; Saffer 2007. Si veda anche,
in una chiave interpretativa semiotica e legata alle interfacce ipertestuali,
Zinna 2004.
22 Riccardo Finocchi

si concretizza. Già Bettetini et alii (1999) avevano osservato tre


piani nell’organizzazione simbolica dello spazio d’interazione
uomo-macchina: logico, visivo e agito, che insieme istituiscono lo
scambio comunicativo. Il rapporto con la macchina, l’interazione
nell’era digitale, si configura come interattività poiché si presenta
nella forma di un “dialogo”, che però non ha l’orizzonte del lin-
guaggio, lo spazio simbolico del linguaggio, ma piuttosto si com-
pie nello spazio simbolico dello schermo13. Lo “slittamento”
dialogico dalla dimensione linguistico-testuale alla dimensione
dello schermo comporta un accentuazione della sfera visiva, ma
ormai – dall’introduzione del tochscreen in poi – anche tattile14, ac-
centuazione che si caratterizza soprattutto per l’alto uso di imma-
gini. Così, la forma dialogica interattiva, rispetto al “concetto
comune” di dialogicità (linguistico-testuale), si presenta con un
“sovrappiù”15 di immagini che, inevitabilmente, incide sulla sfera
degli immaginari e dell’immaginazione.
Proprio in questo campo dell’immaginario/immaginazione si
apre un terzo luogo delle complessità legate all’interattività. Lo
schermo diviene uno spazio simbolico dove si innescano le moda-
lità di relazione con le immagini, il modo con cui attraverso stru-
menti digitali contraddistinti da un “sovrappiù” di immagini
concretizziamo le comunicazioni, le relazioni con gli altri e la per-
cezione del mondo, dunque il nostro vedere in immagini il mondo
e di rimando il nostro modo di immaginare. Che si tratti di schermi

13
Sul tema dello schermo, anche per quanto scritto oltre in questo para-
grafo, l’interessante numero monografico dedicato agli schermi dalla Rivista
di Estetica, per cui Cfr. Carbone, Dalmasso 2014; cfr. anche Carbone 2015.
14
Tuttavia, è bene precisare, la tattilità è solo un acceleratore delle intera-
zioni, elimina la mediazione di tastiere e mouse, ma sempre prevale la dimen-
sione visiva nello spazio simbolico (si tocca, prevalentemente, una immagine).
15
Interessante, per le riflessioni che contiene in un epoca distante dalle
recenti trasformazioni digitali, il testo a cura di Daniella Iannotta (2001), in
particolare il saggio sulle Interfacce culturali in cui si parla, appunto, di “so-
vrappiù di visibilità” (cfr. Sacchi 2001, p. 194).
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 23

intelligenti o che piuttosto siano schermo delle intelligenze è cosa


da vedere (cfr. Finocchi 2015), sicuramente si tratta di strumenti
capaci di intervenire decisamente nei processi della immagina-
zione, come scrive Pietro Montani a proposito dell’immaginazione
interattiva:

«la nostra immaginazione, infatti, è allo stesso titolo riproduttiva (un


dispositivo che conserva e richiama ciò che ha conservato), produttiva
(un dispositivo che ricombina, integra, progetta e configura) e interattiva
(un dispositivo che incide sulla modificazione dell’ambiente facendosi
guidare da ciò che vi trova o da ciò che vi scorge e vi proietta)» (Montani
2014a, p. 12)

L’interazione uomo-macchina ha riguardato per molto tempo


il singolo individuo, o al più un ristretto gruppo di individui, alle
prese con un dispositivo; diversamente l’interattività digitale web
based si pone immediatamente sul piano di una dimensione col-
lettivizzante. Questo apre ulteriori difficoltà nel dirimere la com-
plessità delle relazioni tra dispositivi, soggetti operanti e
modificazione dei processi operativi e/o dell’ambiente coinvolto:
la possibilità che più operatori, anche distanti tra loro, interven-
gano nell’implementare i processi e le informazioni determina una
variazione incontrollabile degli esiti delle interazioni del singolo
con il proprio dispositivo, ponendo il dispositivo interattivo a dia-
framma di una forma di relazionalità che, di fatto, si sta rivelando
preponderante. Dunque, lo spazio simbolico dell’interazione ha
un “sovrappiù” di immagine/imaginario ed è costantemente in
connessione con la collettività. Proprio in tal senso, Derrick de
Kerckhove (1997), con anticipo rispetto alle recenti evoluzioni del
web, ha proposto la nozione di intelligenze connettive come ulte-
riore specifica alle intelligenze collettive di Lévy (1995).
I dispositivi interattivi possono anche comunicare tra loro,
scambiandosi informazioni e procedure operative, senza che l’es-
sere umano intervenga. Si parla in questo caso di interoperabilità.
24 Riccardo Finocchi

Così è definita:

«Capacità di due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti,


di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle»
(www.treccani.it/enciclopedia/interoperabilita)

Se le attività interattive intervengono nei processi immagina-


tivi dei singoli e nella formazione di intelligenze connettive, non-
ché degli immaginari collettivi, dovremo ammettere che anche i
dispositivi digitali che interoperano tra loro e utilizzano le informa-
zioni comunicate, e che di conseguenza sono in grado anche di
scambiare informazioni con soggetti “altri” impegnati in pratiche
interattive, intervengono nella costituzione di intelligenze connet-
tive e immaginari. La questione, che qui non indaghiamo oltre, è
piuttosto “spinosa” poiché ci si trova costretti ad ammettere, a di-
scapito di qualsivoglia test sull’intelligenza delle macchine quale
quello di Turing16, che i dispositivi digitali-connettivi interopera-
tivi e interattivi predispongono intelligenza e immaginazione,
contribuendo ai processi collettivi/connettivi di informazione e co-
municazione.

1.5 Rimediazione/premediazione
Nell’intento di seguire un percorso concettuale che ci aiuti a
comprendere cosa è accaduto nel sistema dei media con la “rivo-
luzione” digitale, non potevano mancare le riflessioni di Richard
Grusin su Premediation e Remediation (assieme a David Bolter). In
particolare, il concetto di remediation (cfr. Bolter, Grusin 1999)
porta all’evidenza un tratto caratteristico dei media che l’avvento

16
Naturalmente, il test di Turing (cfr. Turing 1950) è un esperimento volto
a dimostrare il discrimine tra intelligenza umana e intelligenza artificiale,
mentre nel caso dell’interoperatività/interattività i dispositivi digitali coope-
rano alla selezione di informazioni e all’implemento di operazioni, nondi-
meno sono coinvolte in processi intelligenti.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 25

del digitale ha amplificato. Infatti, a partire dall’affermazione di


Marshall MacLuhan contenuta nell’introduzione a Gli strumenti
del comunicare secondo cui «il contenuto di un medium è sempre
un altro medium» (MacLuhan, 1964 p. 16), Bolter e Grusin svilup-
pano l’idea che i media successivi rappresentano i media del pas-
sato inglobandone alcune caratteristiche e tratti pertinenti
attraverso una rimediazione. In questo modo le nuove forme di
comunicazione rimodellano, nei linguaggi a loro peculiari, le vec-
chie forme espressive mediali, in un processo continuo di rimodu-
lazione, rimediazione appunto, che presuppone l’assenza di
un’autonomia specifica delle strutture formali espressive. Strut-
ture formali che, invece, risultano costituirsi solo attraverso una
relazione di continuità rispetto al passato e alle altre forme me-
diali. I media digitali interattivi, in questa prospettiva, non rap-
presentano una novità in quanto rottura netta con il passato ma,
piuttosto, configurano un nuovo modo di rielaborare, o ri-mediare,
le forme comunicative precedenti già in uso.
La rimediazione è una caratteristica preponderante nei media
digitali che, come mai prima nella storia dei media, sono stati in
grado di riassorbire e integrare tutte le forme mediali del passato.
Così il giornale quotidiano stampato è diventato un portale web
(almeno era così quando fu scritto Remediation – oggi parleremo
direttamente di quotidiani on line), una fotografia analogica è di-
ventata digitale17, l’audiovisivo è inglobato da Yotube, un film è
un videogioco interattivo, la radio è una web radio e così via. Na-
turalmente, e questo è ciò che più ci preme sottolineare oltre alla
“visione continuista” di Bolter e Grusin, il web, i media digitali
web based sono il “contenitore” di tutte le forme ri-mediate, con
la capacità di assorbire e integrare in un formato unico e standar-
dizzato (anche dal punto di vista tecnico) tutte le forme passate:

17
Su questo tema, e sulla differenza/somiglianza tra fotografia analogica e
digitale, rinvio a quanto già scritto in precedenza, cfr. Finocchi, Perri 2012.
26 Riccardo Finocchi

dai libri (in googlebooks) alle mappe (su googlemaps), dai video-
clip musicali alle lettere postali (e-mail), dalla tv alla radio, dal ci-
nema al museo (virtual tour di musei) e si potrebbe continuare per
diverse pagine. Insomma, riprenderemo più avanti la questione, il
web si caratterizza come un ipercontenitore.
La prospettiva di Remediation viene estesa e sviluppata da Gru-
sin che ravvisa nel sistema digitale dei media web based una ten-
denza ad anticipare anziché fornire informazioni, e in tal modo a
creare un effetto di premediazione del futuro (cfr. Grusin, 2004; id.
2010; id. 2015). Insomma i media digitali recenti sono orientati a
garantire un’anticipazione degli accadimenti futuri, quantomeno
sotto forma di possibilità (predisponendo possibili scenari). Que-
sto “lavorio” continuo orientato alla premediation ha come effetto
che, nel vasto e complesso sistema mediale web-digitale, alcune
azioni comunicative prefigurino davvero accadimenti che poi si
verificano. Ma il punto centrale, secondo Grusin, non è la capacità
predittiva della premediazione quanto, piuttosto, la sua attitudine
a mantenere a “basso regime” il livello di ansia sociale dovuta
all’incertezza caratterizzante l’epoca attuale18. La premediation, po-
tremmo dire aristotelicamente, produce un effetto catartico attra-
verso i media digitali di massa che mostrano configurazioni
possibili, ma non ancora avveratesi, del futuro, premediando possi-
bili minacce sociali fortemente sentite come globali, quali per
esempio il terrorismo (in particolare dopo l’attentato alle Torri Ge-
melle), il cambiamento climatico, le crisi finanziarie. In sostanza si
tratta di un processo di rassicurazione “mediale”, poiché presup-
pone una completa mediabilità del futuro, una padronanza me-
diatica del futuro che, in questo modo, non accade come qualcosa
che verrà (nel futuro appunto) ma come qualcosa che è prima me-
diato nel presente, e che dunque è paradossalmente un futuro già

18
Ci riferiamo in particolare a Bauman 1999.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 27

passato (nei media). In tal modo, attraverso il processo di preme-


diazione, i media finiscono per partecipare alla “costruzione” di
quegli stessi accadimenti futuri premediati.
Rimediazione e premediazione, pertanto, sono due aspetti del
sistema dei media: «premediation differs from remediation in that
the latter seems to focus largely on prior media forms where the
former focuses chiefly on future media events» (Grusin 2004, 37)19.
Grusin per mostrare le dinamiche di rimediazione/premediazione
utilizza degli esempi cinematografici, in particolare Minority Re-
port e Strange Days20. Nel primo, ambientato nel 2054 a Washing-
ton, il dispositivo tecnologico Precrimine, che utilizza le
premonizioni amplificate e proiettate su schermi digitali touch-
screen di tre esseri (Precog) dotati di straordinari poteri extrasen-
soriali, consente alla polizia di scoprire gli omicidi prima che
avvengano: «Minority Report imagines the precogs' clips as a way
to premediate the future and to project and screen it publicly in
the present»21 (cfr. ibid, p. 20). Strange Days è ambientato a cinque
anni dalla sua realizzazione (il film del 1995 narra eventi che si
svolgono tra la fine del 1999 e il 2000) e mostra in anticipo, e dun-
que premedia, un dispositivo tecnologico (lo SQUID - Dispositivo
d'Interferenza Superconduttore Quantum) in grado di registrare
le percezioni di una persona e di renderle disponibili (filo-viaggio)
per altri utenti futuri.
Entrambi i film evidenziano una tendenza futura del sistema
mediale contemporaneo, o meglio premediano una tendenza:

19
«Premediation differisce da remediation in quanto quest'ultima sembra
concentrarsi in gran parte su forme di media precedenti, laddove la prima si
concentra principalmente su eventi mediali futuri».
20
Minority Report (2002) regia di Steven Spielberg e Strange Days (1995)
regia di Kathryn Bigelow.
21
«Minority Report immagina i video dei Precog come un modo di preme-
diare il futuro e li proietta nel presente su uno schermo pubblico».
28 Riccardo Finocchi

«In Strange Days, on the other hand, as we have already seen, the wire
is a technology marked precisely by its elimination of screening, exhibi-
tion, and display. In imagining a more private form of mediation and dis-
play, one tied more to 1990s dreams of virtual reality than to
contemporary dreams of ubiquitous media, Strange Days marks its dif-
ference from a film like Minority Report, the difference between the new
media imaginary of 1995 and that of 2002. Whereas in 1995 virtual reality
was still seen as marking the ultimate potential of digital immediacy, by
2002 digital mediation had become inextricably part of the public space
in which we work, play, and live. The current cultural moment is marked
by the hypermediacy of premeditation, in which not just the past and pre-
sent but also the future has already been remediated» (Grusin 2004, p. 34)
22.

Interessante, per gli scopi di questo volume e per il prosieguo


dell’argomentazione, l’affermazione di Grusin secondo cui la cul-
tura mediale attuale è contrassegnata oltre che dalla premedia-
zione dalla sua ipermedialità.

1.6 Ipermediale
Siamo così giunti a un punto nodale nella ricostruzione di cosa
è accaduto in questi ultimi anni nel sistema dei media digitali web
based (che abbiamo proposto fin dall’inizio di definire ipermedia).

22
«In Strange Days, invece, come abbiamo già visto, il filo-viaggio è una tec-
nologia contrassegnata proprio dall’eliminazione dell’esposizione e visualiz-
zazione su schermo. Immaginando una forma privata di mediazione e di
visualizzazione, più legata ai sogni di realtà virtuale degli anni novanta che ai
sogni contemporanei di onnipresenza dei media, Strange Days mostra la sua
differenza da un film come Minority Report: la differenza tra l’immaginario sui
nuovi media nel 1995 e quello nel 2002, considerando che nel 1995 la realtà
virtuale era vista ancora come il massimo segno del potenziale di immedia-
tezza digitale, mentre nel 2002 la mediazione digitale era diventata inestrica-
bilmente parte dello spazio pubblico in cui lavoriamo, giochiamo e viviamo.
La cultura attuale è contrassegnata dalla ipermedialità della premediazione, in
cui non solo il passato e il presente ma anche il futuro sono già stati rimediati»
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 29

Ipermediale ha sicuramente una assonanza con ipertestuale e, a


quanto pare, una derivazione diretta, quantomeno è ciò che
emerge nelle definizioni on-line. Il dizionario Treccani definisce
ipermedia come un «insieme di programmi che combinano le ca-
ratteristiche dell’ipertesto (v.) con la possibilità di gestione multi-
mediale e contemporanea di suoni, grafici, immagini fotografiche
e in movimento, ecc.»23, mentre per Wikipedia multimediale è
«derivato da ipertesto, che integra una raccolta di informazioni
eterogenee, quali grafica, audio, video e testo, connessi tra loro in
maniera non sequenziale»24, specificando che il termine definisce
un’evoluzione della multimedialità. Naturalmente, le definizioni
appena riportate rinviano evidentemente a sistemi di comunica-
zione digitale web based, in cui è proprio la struttura del web a
consentire una “gestione multimediale simultanea” “in maniera
non sequenziale” delle informazioni25. Che il prefisso iper necessa-
riamente riconduca alla radice semantica comune alla definizione
di ipertesto non ci aiuta, però, a chiarire del tutto i significati che
la prefissazione iper aggiunge al concetto di media. D’altro lato, il
prefisso iper si sostituisce a quello multi di multimediale, riallac-
ciando concettualmente il termine a definizioni di uso quotidiano
quali ipermercato o iperattivo, che rinviano a qualità che possiamo
attribuire agli ipermedia: la trasformazione di supermercato in
ipermercato indica una capacità di raccolta26 sempre maggiore, un
contenitore sempre più grande; al contempo iperattivo indica una

23
Cfr. www.treccani.it/vocabolario/ipermedia/
24
Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Ipermedia; ripetiamo quanto già chia-
rito a nota 3, in particolare per i siti che cambiano tramite intervento degli
utenti (UGC), che questa e tutte le altre risorse web citate in questo libro sono
state verificate l’ultima volta nell’ottobre 2015.
25
Naturalmente è possibile un ipermedialità offline, la quale però rimar-
rebbe confinata in un supporto digitale con contenuti multimediali e, quindi,
si tratta di fatto di multimedialità.
26
Il concetto di “raccolta” in relazione ai fenomeni della rete è qui ripreso
dal testo Ardovino 2011.
30 Riccardo Finocchi

attività incessante, estremamente intensa e rapida, caratteristica


fortemente legata ai nuovi media digitali. Inoltre, come ipersensi-
bile semantizza una sensibilità alterata poiché aumentata, anche
agli ipermedia può essere attribuito un aumento del campo sensi-
bile in quanto rappresentano l’aspetto più evoluto dei media che
già McLuhan (1964) aveva definito come estensioni dei sensi
umani e, dunque, aggiungiamo, della sensibilità. In queste acce-
zioni si recupera l’origine greca del prefisso iper (ὑπέρ) che signi-
fica “oltre”, “sopra” e indica quantità, qualità o condizioni
superiori alla norma o eccessive. In sostanza gli ipermedia sareb-
bero degli “oltremedia”, ovvero dei “sopramedia” che eccedono
in medialità.
Proprio questa eccedenza di medialità può essere ravvisata nel
concetto di ipermedia che ricomprende e sussume le caratteristi-
che dei media digitali web based fin qui osservate: gli ipermedia
sono intrinsecamente interattivi, poiché è nella stessa natura reti-
colare non sequenziale degli ipermedia che vengano gestiti attra-
verso un’interazione utente/dispositivo; nondimeno si tratta di
una forma di multimedialità avanzata poiché è un unico disposi-
tivo ipermediale a gestire l’integrazione di grafica, audio, video e
testo; proprio nell’integrazione ipermediale è ravvisabile la possi-
bilità di una facilitazione nella gestione crossmediale dei conte-
nuti, ma anche la possibilità stessa di una rimediazione.
Che il concetto di ipermedia potesse adattarsi al nuovo pano-
rama mediale definendolo in modo diverso e specifico lo aveva
intuito già all’inizio degli anni novanta Francesco Antinucci, che
prendendo posizione rispetto all’idea che l’ipermedia sia una
somma tra ipertesto e multimedia, scrive:

«di somma invece non si tratta; ipermedia non è semplicemente un


ipertesto cui sono stati aggiunti altri media, né un multimedia che pre-
senta legami ipertestuali. È qualcosa di più e insieme di specifico rispetto
a queste cose: l’ibrido è una nuova specie in cui le parti componenti non
si sommano» (Antinucci, 1993, p. 228)
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 31

Anzi, l’idea di Antinucci è che gli aspetti mediali contenuti


nell’ipermedia si moltiplichino tra loro. Potremmo dire che l’iper-
media è un ampliamento moltiplicativo-integrativo delle diverse
funzioni mediali con potenzialità, quindi, nuove e più ampie che
in precedenza, in tal senso, l’ipermedia «è l’integrazione dei media
in un unico, nuovo oggetto comunicativo non riferibile a, né com-
prensibile in, nessuno dei singoli media specifici concorrenti» (cfr.
ibid, p. 231).
Naturalmente, il concetto di ipermedia definisce in modo ap-
propriato il panorama della comunicazione attuale, salvo dover
essere ricollegato alle ultime trasformazioni avvenute con l’intro-
duzione dei sistemi di geolocalizzazione.

1.7 Locative media


Il termine locative media è utilizzato, in modo ormai consoli-
dato, per definire l’ultima evoluzione dei dispositivi digitali web
based che integrano la funzione di geolocalizzazione. Lo dimo-
strano i testi dedicati esplicitamente ai media locativi (cfr. Wilken,
Goggin 2015; de Souza e Silva, Sheller 2015; Frith 2015; Farman
2012) e l’interesse, crescente, nelle comunità scientifiche che si oc-
cupano di media e tecnologia. Si tratta di una innovazione tecno-
logica rilevante, poiché «con l’inserimento del GPS e delle
applicazioni di mappe su tutti i dispositivi portatili, la localizza-
zione è diventata una nuova importante dimensione delle nostre
esperienze mediali» (Manovich 2010, p. 9).
La funzione di geolocalizzazione si congiunge inestricabil-
mente con altre caratteristiche dei dispositivi digitali, in partico-
lare con l’essere mobili e always on (sempre connessi tramite WiFi).
Sostanzialmente, la geolocalizzazione è il riconoscimento sulla
mappa terrestre dell’esatta posizione geografica di un device digi-
tale (connesso). La localizzazione è possibile attraverso diverse
tecnologie: il sistema più diffuso è il GPS (Global Positioning System
32 Riccardo Finocchi

- sistema di posizionamento globale) che si basa su dati rilevati dai


numerosi satelliti artificiali orbitanti intorno alla terra; oppure at-
traverso la localizzazione delle celle telefoniche e delle reti WiFi (o
WLAN) distribuite sul territorio a cui un dispositivo mobile si ag-
gancia durante gli spostamenti. Secondo la definizione di Frith:

«Locative media refers to any form of media – ranging from in-car


GPS displays to RFID tags – that feature location awareness, which is a
device’s ability to be located in physical space and provide users with in-
formation about their surroundings» (Frith 2015, p.12).27

I locative media instaurano una relazione con il web a partire


dalla propria posizione geografica, questo permette la selezione,
nel web, di informazioni e contenuti in base al luogo in cui si trova
il device localizzato, consentendo a chi dispone di un dispositivo
locativo di instaurare un rapporto con l’ambiente circostante, sia
spaziale che culturale, del tutto inedito finora: si può accedere a
enormi quantità di informazioni presenti nel web, aumentando
così le competenze sul luogo (anche in tal senso deve essere pen-
sata la augmented reality); si possono individuare altri dispositivi
geolocalizzati nelle vicinanze e instaurare, ad esempio, forme di
location based mobile dating28 oppure, attraverso un social network
che segnala la posizione dell’utente, interagire e ricevere informa-
zioni in tempo reale; si possono produrre informazioni sull’am-
biente circostante che saranno disponibili per altri utenti; e così
via.

27
«Locative media si riferisce a qualsiasi forma di media - dai navigatori
GPS delle auto ai tag RFID [ndt: Radio-Frequency IDentification, identificazione
a radio frequenza] - che include la consapevolezza della posizione, ossia è la
capacità di un dispositivo di essere collocato in uno spazio fisico e di fornire
agli utenti informazioni su ciò che li circonda»
28
Si tratta di incontri tra persone organizzati in base alla localizzazione
spaziale degli utenti attraverso dispositivi portatili.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 33

Le applicazioni basate sulla localizzazione sono molte e di-


verse tra loro. La più nota, e forse la più antica, è la funzione navi-
gatore: tramite app un dispositivo locativo mobile può essere
impostato per indicare la strada che si dovrà percorrere per an-
dare verso un luogo prescelto partendo dalla propria posizione. Il
dispositivo locativo non solo è localizzato ma si è autolocalizzato
per poter accedere alle informazioni (mappe e coordinate spaziali,
in questo caso) di cui necessita in relazione allo spazio che occupa.
Questo produce un effetto sugli utenti modificando l’esperienza e
la percezione dello spazio: dati relativi all’ambiente provenienti
dal web e, dunque, completamente fuori dalla portata sensibile
del soggetto sono, tuttavia, disponibili per l’attività cognitiva del
soggetto che può, a partire dai dati non sensibilmente percepiti ma
resi disponibili dal dispositivo tecnologico, elaborare una propria
strategia conoscitiva e orientarsi nello spazio (esteso). Certo, si po-
trebbe obbiettare che quanto appena descritto non è differente dal
consultare una mappa cartacea se non nella mediazione tecnico-
digitale che rende i dati disponibili sempre e ovunque. La vera
differenza, se vogliamo l’elemento di rottura rispetto al passato
analogico, non è nel mettere a disposizione delle mappe a un sog-
getto che si deve orientare quanto, piuttosto, nella pianificazione
del percorso elaborata dai locative media per conto del soggetto, che
così delega parte della sua attività cognitiva ed esperienziale le-
gata alla spazialità. Cosa ancor più evidente se consideriamo un
altro fenomeno legato alle applicazioni dei media locativi: il car
sharing urbano. Si tratta di un fenomeno, conosciuto e in rapido
sviluppo, per cui un utente abbonato a un sistema digitale di car
sharing, tramite una app nel dispositivo locativo, può richiedere la
disponibilità di un’automobile. Il dispositivo segnala su una
mappa le automobili (o l’automobile) disponibili più vicine
nell’ambiente circostante in cui è stato localizzato, le automobili
disponibili, a loro volta, sono state individuate attraverso un se-
gnale GPS presente al loro interno. L’utente prenota l’automobile
34 Riccardo Finocchi

tramite il dispositivo e la raggiunge seguendo il percorso che lo


stesso medium locativo gli indica (e gli mostra visualizzato su una
mappa). Naturalmente, il processo appena descritto non ha più
nulla in comune col consultare una mappa analogica: ci troviamo
in presenza di device che interoperano e si scambiano informazioni
attraverso mappe digitali (automobile GPS e locative media - di un
utente - si sono autolocalizzati e riconosciuti sulle mappe), un pro-
cesso da cui l’utente riceve dati sull’ambiente circostante di tipo
variabile, informazioni che sono dinamiche e imprevedibili, cono-
scenze fuori dalla portata sensibile del soggetto possibili solo at-
traverso la mediazione digitale (non sarebbe possibile attraverso
una mappa cartacea) ma, tuttavia, utili per l’attività cognitiva e
l’esperienza dello spazio. Questo elemento di rottura e cambia-
mento dell’esperienza dello spazio è sottolineato nei testi che ana-
lizzano i media locativi, in continuità con una tradizione
dell’analisi del senso del luogo attraverso i media29. In questa
prospettiva scrive Frith:

«The shifting of trajectories, the change in the informational layers


composing contemporary place, is the major reason why locative media
are important from a social perspective. Place is not static; it does not have
a fixed meaning that cannot change. Instead, place is dynamic and open
to new flows of information, so people’s sense of place can be impacted
as they adopt new mobile application and find new ways to use locative
media to negotiate experiences of physical and virtual mobility» (Frith
2015, p. 43).30

Il riferimento è al testo Meyerowitz 1985.


29

«Il costante mutamento delle traiettorie, il cambiamento negli strati in-


30

formativi che compongono il luogo contemporaneo, sono i motivi principali


per cui i locative media risultano importanti dal punto di vista sociale. Il luogo
non è statico, non ha un significato fisso che non cambia. Al contrario, il luogo
è dinamico e aperto a nuovi flussi di informazioni. Così, il senso che le persone
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Cosa è accaduto 35

I locative media possono essere osservati anche oltre una pro-


spettiva che analizza l’esperienza dello spazio, ad esempio nelle
implicazioni con la corporeità o con l’immaginazione. Su questi
temi torneremo nell’ultima parte di questo libro (in particolare cfr.
§ 4.2).

In conclusione a questo capitolo in cui si è cercato di compren-


dere l’attualità dei media, o meglio cosa è accaduto con i media di-
gitali web based, possiamo indicare nelle definizioni di ipermedia e
di locative media (che appunto compaiono nel titolo di questo vo-
lume) il modo migliore per esprimere il sistema della comunica-
zione in cui siamo quotidianamente immersi.

hanno del luogo subisce un impatto nella misura in cui adottano nuove appli-
cazioni per i dispositivi mobili e trovano nuovi modi di utilizzare i locative
media al fine di negoziare le esperienze di mobilità fisica e virtuale»
Come è accaduto

Era il 1995, ossia venti anni fa, quando comparve Internet Ex-
plorer, il primo browser incluso da Microsoft nelle dotazioni del
sistema operativo Windows e dunque disponibile a larghi strati di
utenti di personal computer. Di fatto segna il momento in cui l’ac-
cesso alla rete internet diventa potenzialmente un’operazione
quotidiana per molte persone. Prima di allora nel 1993 Mosaic e
nel 1994 Netscape Navigator avevano iniziato a diffondersi, ma è
solo con la distribuzione capillare di Microsoft, attraverso il si-
stema operativo più diffuso del momento, che il browser divenne
uno strumento abituale1. Da allora, attraverso un rapido processo
di evoluzione, così rapido da far parlare di rivoluzione, si è giunti
fino all’attuale panorama mediale (ipermediale locativo) in cui ogni
azione della nostra quotidianità comunicativa è scandita dal web.
E come sempre di fronte a dei cambiamenti così repentini delle
tecnologie, ma anche delle forme di vita e delle abitudini sociali e
culturali che soggiacciono alle tecnologie, ci si domanda: come è
accaduto? Come è avvenuto un cambiamento così profondo nelle
pratiche comunicative e nella vita quotidiana tale da determinare
una cesura nelle abilità tecnico-pratiche e percettivo-cognitive tra
gli appartenenti delle generazioni prima dell’avvento del digitale
e i nativi digitali? Come è possibile che il vivere di ogni giorno sia

1
Nacque una vera e propria battaglia per la conquista del mercato tra i
diversi produttori di browser e la Microsoft venne accusata di limitare la li-
bera concorrenza distribuendo l’Explorer con il sistema windows.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 37

ormai costellato di e-mail, e-commerce, home-banking o e-ban-


king, e-ticket, e-fatture (fatturazione elettronica), e-book, digital
marketing o e-marketing, e-learning e così via?
In questa seconda parte del libro seguiremo una breve e sinte-
tica ricostruzione cronologica degli eventi, trasformazioni tecni-
che e funzionali accompagnate da cambiamenti nelle pratiche di
utilizzo delle stesse tecnologie, che hanno portato a una progres-
siva, e inarrestabile, digitalizzazione delle informazioni e del si-
stema della comunicazione.

2. La digitalizzazione dell’informazione
Parlare di digitalizzazione dell’informazione significa fare rife-
rimento a un processo vasto, diffuso e rapido attraverso cui tutte
le forme di conoscenza archiviabili sono state progressivamente
trasformate in dati digitali. Così, i libri e tutte le forme di docu-
mento scritto sono oggi conservate (e fruibili) in formato digitale
e si sta provvedendo a digitalizzare ciò che del passato, ancora,
permane nel formato analogico. Gli audiovisivi sono prodotti e
conservati in formati digitali (con diverse risoluzioni tecniche) e i
filmati storici vengono progressivamente riversati dalle pellicole
o dai supporti magnetici a supporti digitali. Le registrazioni au-
dio, le immagini fotografiche e, attraverso una tecnica sperimen-
tale ad altissima definizione, perfino le pitture2 sono ormai
digitalizzate.

2
Al proposito si veda: Le mostre impossibili, un progetto ideato da Renato
Parascandolo per la RAI (www.mostreimpossibili.rai.it). Si tratta di riprodu-
zioni digitali ad altissima definizione in scala 1:1 di opere pittoriche di grandi
autori del passato (Caravaggio, Raffello, Michelangelo) che possono poi es-
sere esposte in mostre itineranti senza spostare i capolavori originali.
38 Riccardo Finocchi

2.1 Devices dell’ipermedialità


L’archiviazione digitale presuppone dispositivi tecnologici in
grado di produrre informazioni digitalizzate. Nei paragrafi di
questo capitolo seguiremo l’evoluzione dei principali strumenti di
digitalizzazione dell’informazione a partire dal computer, il di-
spositivo che ha contrassegnato tutte le successive evoluzioni di-
gitali, fino a giungere all’attuale sistema ipermediale.

2.1.1 Il computer: dalle origini al portatile


Il computer nelle sue origini è uno strumento di calcolo, i primi
prototipi furono sviluppati proprio per rispondere all’esigenza di
macchine in grado di effettuare computazioni automatiche su
grandi quantità di dati. Un calcolatore avrebbe dovuto essere la
Macchina Analitica progettata da Charles Babbage, alla cui realiz-
zazione, secondo il racconto del figlio Henry, aveva iniziato a la-
vorare pochi anni prima della morte avvenuta nel 1871 (cfr.
Morelli 2001, p. 73). Così, la Macchina Tabulatrice di Herman Hol-
lerith, il cui primo brevetto risale al 1884 (cfr. ibid, p. 117), rispon-
deva alla necessità di avere un potente strumento di calcolo
statistico. La macchina di Hollerith fu utilizzata per la gestione
dell’enorme mole di dati provenienti dal censimento degli Stati
Uniti del 1890, si trattava di «apparecchiature capaci di leggere
automaticamente le informazioni contenute in schede perforate,
senza alcuna intermediazione umana» (Balbi, Magaudda 2014, p
20). Lo stesso Hollerith nel 1896 fondò la Tabulating Machine Com-
pany che nel 1924 avrebbe cambiato il nome in International Busi-
ness Machine ancora oggi nota come IBM. Più tardi, gli Analizzatori
differenziali di Vannevar Bush, progettati e realizzatati al MIT
(Massachusetts Institute of Technology) negli anni venti del nove-
cento, erano ancora degli strumenti di calcolo rapido che svilup-
pavano le teorie ottocentesche di Lord Kelvin. L’efficacia, la
flessibilità e la precisione, oltre alla velocità di calcolo, furono le
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 39

ragioni di un utilizzo militare degli Analizzatori (cfr. Bennato, pp.


89 ssg.).
Per avere un primo calcolatore simile agli attuali bisogna giun-
gere al 1938 quando il tedesco Konrad Zuse costruì lo Z1, una mac-
china di calcolo programmabile attraverso il sistema binario e
dotata di un’unità di memoria (cfr. Morelli 2001, p. 172 sgg). Suc-
cessivamente, nel 1939, «resosi conto che la tecnologia dei relè si
era evoluta, Zuse decise di affrontare la riprogettazione dello Z1
per sostituire i suoi meccanismi con i dispositivi elettromeccanici»
(Casalegno 2010, p. 89), realizzò una seconda macchina, lo Z2.
Dallo sviluppo dei primi due nacque «il primo vero computer fun-
zionante apparso nello scenario delle macchine da calcolo»: lo Z3
(Morelli 2001, p. 175) che fu presentato a Berlino nel maggio del
1941. Mancava ancora, alle macchine di Zuse, la possibilità di
mantenere in memoria il programma di elaborazione.
Oltreoceano, nell'Iowa State University, John V. Atanasoff e
Clifford E. Berry tra il 1939 e il 1942 realizzano l'Atanasoff Berry
Computer (noto come ABC), il primo computer elettronico. Basato
su logica binaria come le macchine di Zuse utilizzava delle memo-
rie rigenerative costituite da raggruppamenti di migliaia di con-
densatori in grado di permanere nel tempo carichi o scarichi, ossia
nella posizione 1 (carico) o 0 (scarico). Lo ABC, inoltre, prevedeva
una separazione tra le funzioni di calcolo e quelle di memoria,
dunque una separazione tra dati e istruzioni. Il riconoscimento del
primato nella realizzazione del primo calcolatore elettronico ar-
rivò tardiva, nel 1973, solo dopo una lunga disputa legale la cui
sentenza definitiva sanciva l’annullamento del brevetto di J.P. Ec-
kert e J. Mauchly del 1947 per il calcolatore ENIAC (Electronic In-
tegrator And Computer) che fu dichiarato, nelle componenti
basilari, copiato da ABC (cfr. Casalegno 2010, p. 94-95.; Morelli
2001, p. 196 ssg.).
Ancora di un riconoscimento tardivo, per motivi diversi, si
trattò nel caso di Alan Turing. Nel 1936, Turing, aveva pubblicato
40 Riccardo Finocchi

un fondamentale articolo sulla possibilità di una “macchina uni-


versale” che potesse essere utilizzata per qualsiasi calcolo, nota
come macchina di Turing, e nel 1950 un secondo fondamentale ar-
ticolo sulla meccanicizzazione dell’intelligenza, per i quali «non
solo è uno dei precursori dell’invenzione del calcolatore elettro-
nico, ma è anche il primo a dare fondatezza filosofica alla plausi-
bilità dei sistemi artificiali» (Bennato 2002, p. 53; inoltre cfr.
Numerico 2005). Fu proprio a seguito del suo articolo del 1936 che
Turing entrò a far parte dell’unità di crittoanalisi del Regno Unito
di Bletchley Park, dove diede un contributo decisivo nella realiz-
zazione del computer COLOSSUS, le cui versioni prima e seconda
furono realizzate nel 1944, e che è stato utilizzato per decifrare i
messaggi criptati che Hitler inviava ai capi di stato maggiore del
suo esercito. COLOSSUS fu il secondo computer elettronico (come
ABC) ma il primo computer elettronico programmabile. Il ricono-
scimento storico è tardato poiché solo di recente è caduto il segreto
militare sotto cui il governo britannico, al termine delle operazioni
belliche, aveva posto tutte le operazioni relative alla decrittazione
di Bletchley Park, compresa la decisione di distruggere lo stesso
COLOSSUS.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Marina Militare
americana in accordo con il Massachusetts Institute of Technology
(MIT) avvia sotto la guida di J. Forrester il progetto Whirlwind,
«nel 1950 l’Air Force fondò i Lincon Laboratories al MIT per svi-
luppare tecnologie di difesa aerea […]. Questo sforzo assorbì il
progetto Whirlwind del MIT» (Mowery, Rosenberg 1998 , p. 147).
Nel 1951 le potenzialità del progetto Whirlwind furono utilizzate
per realizzare un simulatore di volo che fu il primo computer della
storia a reagire in tempo reale alle azioni dell’utente, si basava su
cinquemila valvole e undicimila diodi che occupavano un note-
vole spazio, era inoltre dotato di un terminale grafico (qualcosa
come un monitor) (cfr. Bozzo 1996, p. 145; Morelli 2001, pp. 248
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 41

ssg.). Gli sviluppi del progetto Whirlwind portarono alla realizza-


zione di SAGE (Semi-Automatic Ground Environment), un impo-
nente computer dalle prestazioni eccezionali. Composto di
cinquantamila valvole per un peso di circa trecento tonnellate,
istallato in un intero edificio senza finestre dentro una base mili-
tare, il sistema SAGE era in grado di supportare diversi terminali
dislocati sul territorio americano collegati al sistema centrale tra-
mite linee telefoniche (cfr. Casalegno 2010, p. 236; Bozzo 1996, p.
184). Progettato per scopi militari SAGE doveva gestire un sistema
di difesa aerea in grado di elaborare in tempo reale (come Whirl-
wind ) dati provenienti dai radar e mantenere il contatto con le
basi dell’aeronautica sul territorio, entrato in attività alla fine degli
anni cinquanta e dismesso nella prima metà degli anni ottanta non
fu mai realmente operativo (cfr. Casalegno 2010, p. 236). Allo svi-
luppo di SAGE partecipò IBM che divenne il volano del trasferi-
mento delle tecnologie militari al mondo degli affari. Proprio sul
modello del sistema SAGE nel 1961 l’American Airlines iniziò con
IBM l’attivazione di SABRE (Semi-Automatic Business-Related
Environment), un sistema di biglietteria nazionale in grado di ge-
stire le prenotazioni dei posti aerei in tempo reale con milledue-
cento terminali in sessanta città degli Stati Uniti.
Nel periodo tra il 1950 e il 1960 innumerevoli innovazioni ave-
vano dato impulso allo sviluppo della tecnologia dei computer.
Nel 1951 era stata introdotta la prima unità di memoria esterna a
nastro magnetico, nel primo elaboratore prodotto in serie per il
mercato, l’UNIVAC 1. Nel 1954 la Texas Instruments iniziò la pro-
duzione in serie di transistor al silicio, e nel 1956 il primo compu-
ter interamente a transistor, il TX-0 (Transistorized eXperimental
Computer 0) del MIT. L’introduzione dei transitor, secondo una di-
stinzione di Tanenbaum (2006), segnò la seconda generazione di
computer, la generazione dei transitor (1955-1965), dopo la prima
generazione delle valvole (1945-1955), e la generazione zero dei
42 Riccardo Finocchi

computer meccanici (1942-1945) – a cui seguiranno (cfr. Tanen-


baum 2006), la terza generazione dei circuiti integrati (1965-1980),
e la quarta generazione di integrazione a grandissima scala (dal
1980). Nella prima metà degli anni cinquanta, inoltre, vennero svi-
luppate le memorie a nuclei di ferrite che saranno utilizzate nelle
macchine commerciali come il BIZMAC della RCA prodotto dal
1955. Verso la fine degli anni cinquanta, nel settembre del 1958,
Jack St. Clair Kilby annunciava la realizzazione del primo circuito
integrato (che consentiva la miniaturizzazione dei circuiti), pochi
mesi dopo, nel gennaio 1959, Robert Noyce, indipendentemente
da Kilby, realizzava un circuito integrato che brevettò nel 1961.
Insomma, alle soglie del 1960 c’erano tutti gli elementi neces-
sari alla digitalizzazione dell’informazione, mancava ancora una
larga diffusione dei computer e una capillare alfabetizzazione in-
formatica che permettesse la raccolta, diciamo, “di massa” delle
informazioni. Larga diffusione resa impossibile dalle dimensioni
delle macchine dell’epoca e, soprattutto, dai costi. L’orientamento
dell’industria informatica verso la realizzazione di computer pic-
coli e poco costosi, come vedremo, non fu dettata solo da un pro-
cesso di sviluppo delle componenti tecnologiche, ci fu anche un
progressivo cambiamento dell’idea di cosa “fosse” un computer.
Il paradigma di sviluppo della ricerca, ancora negli anni sessanta
e settanta, era indirizzato alla realizzazione di un computer che
fosse un “uomo artificiale”, o di un computer umano come lo
HALL di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, un film del 1968 che
ben rappresenta l’immaginario dell’epoca. Questo paradigma è il-
lustrato in un noto lavoro di Hubert L. Dreyfus, la cui prima edi-
zione è del 1972, poi ampliata nel 1979 (cfr. Dreyfus 1979), dal
significativo titolo Wath Compunter Can’t Do, dove in una interes-
sante prospettiva fenomenologica vengono fatti emergere alcuni
limiti delle ipotesi sull’intelligenza artificiale (IA), in particolare la
tesi «che i computer digitali sono limitati non tanto dal fatto di non
possedere una mente, quanto dal fatto di non avere un corpo»
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 43

(Oettinger 1972, p. 34). Così, nel percorso di ricerca sull’intelli-


genza artificiale alcune delle frontiere furono raggiunte con la rea-
lizzazione di traduzioni linguistiche computerizzate o con la
progettazione di una macchina capace di giocare (e vincere) un
torneo di scacchi (cfr. Dreyfus 1979, pp. 152-204), ma che rappre-
sentavano parziali insuccessi rispetto al progetto generale di un
sistema dotato di intelligenza, al progetto di un “uomo artificiale”,
per cui, ad esempio, era possibile realizzare un computer che gio-
casse a scacchi anche se, posto in una stanza, non era in grado di
trovare una scacchiera, allo stesso modo un robot che poteva salire
le scale cadeva su una superficie piana.
Al paradigma generale di un computer che sostituisse tout
court l’uomo si cominciò ad affiancare il paradigma secondo cui i
computer potessero sostituire (o coadiuvare) l’uomo in alcune sue
funzioni e limitatamente a quelle, dando risposte parziali a singoli
problemi. In questa ottica ha senso un computer che giochi a scac-
chi o un altro che risolva equazioni matematiche, o ancora un com-
puter che controlli un braccio meccanico o un altro che determini
le rotte nautiche o aeronautiche. Questo paradigma, natural-
mente, implica che ognuno possa, o debba, avere un proprio per-
sonale computer a cui affidare una determinata funzione
risolvibile attraverso l’ausilio di un sistema digitale.
Fu nel 1960 che venne commercializzato il PDP-1, progettato
dal 1958 dalla Digital Equipment Corporation (DEC) e costituito
totalmente di transistor, si caratterizzava per le ridotte dimensioni
«tutte le apparecchiature sono ora contenute in quattro armadi di
circa due metri di altezza. Il Pdp-1 viene pubblicizzato come il
primo calcolatore al di sotto del milione di dollari» (Bozzo 1996, p.
199). Tutto era contenuto in una piccola stanza, dalla sua posta-
zione l’utente poteva interagire tramite tastiera e monitor per
“personalizzare” le funzionalità del computer, che comprendeva
anche, per la prima volta, un videogioco (“Space war”, program-
44 Riccardo Finocchi

mato da Marvin Minsky del Mit), un elemento di relazionalità lu-


dica uomo-macchina. Nonostante queste caratteristiche furono
vendute meno di cinquanta macchine PDP-1. La DEC continuerà
con l’idea di un microcomputer e nel 1963 «svilupperà il PDP-8,
una macchina, non più grande di un frigorifero, prodotta in serie,
che metterà in vendita a diciottomila dollari» (cfr. ibid, p. 190). Il
PDP-8 avrà una larga diffusione, nel 1966 una versione a dal costo
inferiore a diecimila dollari lo rese accessibile a laboratori scienti-
fici, studi di ingegneria e anche scuole, nel 1968 un’ulteriore ver-
sione con la possibilità del time-sharing per supportare più utenti
collegati al sistema, che di fatto dava a ognuno la possibilità di
gestire un computer personale.
Nel 1964, all’Olivetti, l’ingegner Piergiorgio Perotto terminò lo
sviluppo della macchina Programma 101, che fu presentata nel
1965 al “Bema Show” di New York (cfr. Zane 2008; Parolini 2015).
Programma 101 è considerato il primo personal computer della
storia. Progettato per essere una macchina calcolatrice program-
mabile, Programma 101 fu definito dalla stampa americana un
desk-top computer (cfr. Parolini 2015, p. 25). Il costo molto conte-
nuto, tra i tremiladuecento e tremilacinquecento dollari, la pro-
grammabilità senza intervento di tecnici, le ridotte dimensioni
(grande come una macchina da scrivere) determinarono il suc-
cesso e in pochi anni oltre quarantamila unità furono vendute. Gli
acquirenti e i diversi modi di utilizzo ci dicono della versatilità di
Programma 101: la NBC acquistò cinque macchine per computare
i risultati elettorali da diramare in TV; la NASA ne acquistò di-
verse unità; professionisti di ingegneria e di progettistica utilizza-
vano Programma 101 per i loro studi, ma anche sarti e lattonieri lo
usavano per calcolare i tagli ottimali (cfr. Zane 2008, pp. 27-28). La
macchina della Olivetti era dottata di diverse soluzioni tecnologi-
che tra le quali la Cartolina magnetica, con il relativo lettore incor-
porato nella macchina, un antesignano floppy disk che permetteva
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 45

l’interscambiabilità dei programmi preregistrati, nonché la memo-


rizzazione (esterna all’apparecchio) dei programmi realizzati
dall’utente. Il brevetto della Cartolina magnetica fu violato dalla
Hewlett Packard che la utilizzò nel HP9100 ma fu costretta, poi, a
versare novecentomila dollari di royalties alla Olivetti.
Insomma, la strada verso la realizzazione di computer perso-
nali e domestici sembra segnata, anche se gli stessi protagonisti di
quegli anni non avevano chiari fino in fondo gli scenari che si pre-
sentavano, la Olivetti non spinse gli investimenti sulla linea di
Programma 101 e, ancora alla metà degli anni settanta, Kenneth
H. Olsen, uno dei fondatori della DEC, dichiarava di non riuscire
a immaginare i motivi per cui una persona avrebbe dovuto tenersi
in casa un computer (cfr. Bozzo 1996, p. 190). Nonostante tutto, già
nel 1972, nel Palo Alto Research Center (PARC), un centro studi
fondato dalla Xerox nel quale i ricercatori erano lasciti liberi di
sperimentare senza obiettivi, fu realizzato lo Xerox Alto, un pro-
totipo di computer che aveva molte delle caratteristiche dei perso-
nal computer a venire tra cui, per la prima volta, un display bitmap
e il linguaggio di programmazione Smalltalk che «dispone delle
icone, di immagini grafiche e consente l'integrazione di documenti
diversi» (cfr. ibid, p. 269). Come scrive Castells (1996, p. 41): fu «lo
sviluppo di Xerox Alto la matrice di molte tecnologie software per
i personal computer degli anni novanta». Alcuni dei progettisti
del PARC finirono a lavorare in Apple Computer, che già dal 1976
aveva realizzato Apple I progettato da Steve Jobs e Steve Wozniak
per essere venduto direttamente alle singole persone. La società
Apple cresce rapidamente, con l’ingresso di nuovi soci (tra cui l’in-
vestitore A.C. Markkula) e il trasferimento dal garage di Jobs alla
nuova sede di Cupertino, già nel 1977 esce la versione commer-
ciale dell’Apple II (cfr. Bozzo 1996, p. 321). Il nuovo Apple II era
racchiuso in un contenitore con tastiera, utilizzava una TV dome-
stica come schermo e come memoria dati esterna un registratore
magnetico a cassette (poi floppy disck). Il successo fu immediato, il
46 Riccardo Finocchi

costo contenuto e le dimensioni da desk-top (da piano della scriva-


nia) permisero una larga diffusione del computer, tanto che presto
le aziende concorrenti si dovettero orientare verso la progetta-
zione di personal computer. Così, nel 1981, il colosso mondiale
dell’informatica IBM annunciò l’IBM 5150 noto come PC IBM. Il
computer era dotato di floppy disck e monitor monocromatico a fo-
sfori verdi. Anche in questo caso si trattò di un grande successo
nelle vendite, che favori il diffondersi dei computer, tanto che nac-
que una schiera infinita di produttori che realizzavano pc con le
caratteristiche tecniche compatibili con quelle del PC IBM (i cosid-
detti IBM compatibili) e, che ancor oggi, relega la definizione di
tutti i computer non Apple alla sigla PC.
Da qui la storia dello sviluppo dei personal computer sarà se-
gnata dalla miniaturizzazione e integrazione dei circuiti che con-
sentirà di realizzare macchine sempre più piccole e meno pesanti
ma dotate di maggiore memoria. Inoltre lo sviluppo delle batterie
e le nuove tecnologie di schermi privi di tubo catodico aprirà alla
realizzazione di computer portatili. Così, dai primi modelli porta-
tili in cui il display era poco più grande di un francobollo, come l’
Osborne-1, del 1981, il primo computer portatile «che con i sui 11
Kg fu più che altro un “computer da bagagliaio”» (Tanenbaum
2006, p. 24), o l’Epson HX-20, commercializzato nel 1983, che era
un «prodotto monoblocco inserito in una valigetta. Aveva le di-
mensioni di un foglio A4 e pesava 1,6 Kg» (Brognara 2014, p. 33),
si passa via via a modelli sempre più compatti e con schermi sem-
pre più definiti. Gli anni seguenti saranno un proliferare di nuovi
modelli e di innovazioni che passeranno dalla serie dei Toshiba
T1000 e della Compaq fino agli attuali computer portatili.

2.1.2 Monitor e schermi. Dal telefono cellulare al touch screen


Come abbiamo visto, lo sviluppo di un nuovo paradigma che
pensava le macchine come sostitutive di funzioni parziali, come
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 47

integrazione o come protesi dell’umano, ha coinciso con lo svi-


luppo dell’idea di personal computer, di un computer destinato
ad accompagnare l’utente nella sua vita quotidiana e dunque an-
che nella sua mobilità quotidiana. La cifra di questa accresciuta
relazionalità tra uomo e macchina, secondo quanto si è fin qui de-
lineato (cfr. supra § 1.4), si rende evidente nello sviluppo dello
schermo poiché esso è lo spazio di uno scambio simbolico uomo-
macchina, è lo spazio in cui si configurano gli elementi di una di-
mensione dialogica che media nel rapporto tra il linguaggio del
dispositivo digitale e quello dell’utente3. Proprio lo schermo è uno
degli elementi decisivi per lo sviluppo dei personal computer che,
nel loro uso quotidiano, richiedevano sistemi dialoganti con gli
umani attraverso programmi a finestre (sia Apple che Microsoft
sviluppano sistemi Windows) e icone. La crescita esponenziale di
devices digitali il cui ruolo di dialogo con l’utente è demandato allo
schermo non è esclusiva del computer, anzi, lo sviluppo dei dispo-
sitivi-schermo riguarda soprattutto l’evoluzione dei telefoni por-
tatili e, parallelamente, l’introduzione dei dispositivi tablet.
Naturalmente, il telefono portatile all’origine conservava in-
tatta la funzione telefonica. Il primo telefono commercializzato nel
1983 fu il Motorola Dyna TAC 8000X e poteva solo inviare e rice-
vere chiamate, era dotato di un minuscolo diaplay, non aveva ru-
brica e pesava circa un chilogrammo, inoltre era piuttosto costoso
(circa tremila dollari) e apriva la strada all’uso del telefono cellu-
lare come status simbol (cfr. Boaretto, Noci, Pini, 2011; Petullà, Bor-
relli 2007, p. 17), celebre l’immagine di Michael Douglas nei panni
di Gekko nel film Wall Street4 che telefona con un ingombrante
Dyna TAC 8000X (cfr. Balbi, Magaudda 2014, p. 86). Con l’avvento
delle reti GSM negli anni novanta del secolo scorso la telefonia
mobile ebbe una prima diffusione di massa: al Nokia 1011 lanciato

3
Sugli schermi continuiamo a rinviare a Carbone, Dalmasso 2014; Car-
bone 2015.
4
Wall Street del 1987 diretto da Oliver Stone.
48 Riccardo Finocchi

sul marcato il dieci novembre (da cui 1011) del 1992 (cfr. Linge,
Sutton 2015), seguirono altri modelli destinati al grande pubblico
e che videro l’apice del successo nel Nokia 6110 e nel Simens S10,
prodotti a partire dal 1997, che rispettivamente includevano il vi-
deogioco Snake per due giocatori tra telefoni collegati a infrarossi
(cfr. ibid) e il primo display a colori. Oggetti pensati e divulgati
nelle forme di discorsività sociale già come destinati alle esigenze
di larghe fasce di utenti, rispondenti a valorizzazioni pratiche in
cui il telefono viene proposto al consumatore per le sue innume-
revoli funzionalità (cfr. Dusi, Marrone, Montanari 2002, p. 172).
Così, il modello S10 «è facilissimo da usare, ha batterie di lunga
durata, è predisposto per la trasmissione di dati fax» (Marrone
1999, p. 137) e il Nokia 6110 è «un oggetto “camaleonte” pronto a
molteplici funzioni» (cfr. ivi)5.
Negli stessi anni novanta, parallelamente alla diffusione in
larga scala, si avvia una tendenza alla computerizzazione dei tele-
foni portatili, tendenza che poi si rivelerà dominante. Ne sono
esempio il Nokia 9000 Communicator del 1996 e il BlackBerry 850
del 1999. Il Nokia, il primo della serie Communicator, era dotato
di un doppio display e doppia tastiera, si apriva a libretto per la-
sciare emergere una tastiera estesa qwert e un ampio display, con-
sentiva anche l’invio di una breve email da telefono mobile (cfr.
Colombo 2013). Il BlackBerry 850 prodotto dalla RIM era un ter-
minale busines destinato ai manager aziendali, piccolo e manegge-
vole come un telefono cellulare, con una tastiera estesa tipo qwert
di dimensioni ridotte, permetteva di rimanere in tempo reale col-
legati direttamente con la propria casella di posta elettronica e,
dunque, permetteva l’invio/ricezione di email e la consultazione
dei contatti in rubrica ma non consentiva le funzioni telefoniche.
L’innovazione decisiva verso quella che sarà la trasformazione

5
Per analisi riguardanti i telefoni portatili di stampo semiotico o estetico,
oltre ai già citati, si vedano: Montanari 2010 e Ferraris 2005.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 49

del cellulare in un terminale per web avvenne con l’introduzione


di uno standard di comunicazione per telefoni cellulari denomi-
nato WAP (Wireless Application Protocol). Il Wap permetteva ai
telefonini di accedere ai dati presenti in internet attraverso un bro-
wser che simulava (con molte limitazioni) le funzioni del browser
del computer. Creato il protocollo arrivò anche il primo telefono
WAP, si trattava del Nokia 7110 sul mercato dal 1999, ebbe una
grande diffusione e incarnava il simbolo di un immaginario tec-
nologico-digitale, tanto che nel film Matrix compare in una scena
come il telefono attraverso il quale Neo viene fatto uscire da Ma-
trix6. Sulle reali possibilità di connessione attraverso il WAP ri-
mane una ricerca condotta da Jacob Nilsen (cfr. Nielsen, Budiu
2012) nell’autunno del 2000 tra gli utenti del WAP a Londra e la
cui conclusione è sintetizzabile con “il WAP non funziona” (cfr.
ibid): troppo lento e difficoltoso, troppo costoso e la riduzione dei
contenuti per il protocollo WAP rendeva difficile l’informazione
attraverso il web. Inoltre, le aziende produttrici, avevano provve-
duto ad adattare i telefoni portatili tradizionali alla navigazione
web e non avevano pensato a progettare nuovi dispositivi, come
poi è avvenuto con gli smartphone (cfr. Balbi, Magaudda 2014, p.
89).
Bisogna aspettare la terza generazione (3G) di telefoni portatili
per avere una buona connettività dei cellulari. Dopo le reti per te-
lefonia mobile TACS (1G) e GSM (2G) a partire dal 2003 viene svi-
luppato l’UMTS (Universal Mobile Telecommunication System), un
sistema di supporto alle reti di telefonia mobile basato sullo stan-
dard GSM. L’UMTS, progettato e sviluppato dal consorzio 3GPP
(3rd Generation partnership project), fu pensato inizialmente come
supporto per le videochiamate o per la trasmissione di video su
telefoni portatili, il NEC e606 con tecnologia UTMS-3G, sul mer-
cato nel 2003, fu il primo telefono a consentire le videochiamate

6
Matrix del 1999 diretto da Lana e Andy Wachowski
50 Riccardo Finocchi

(con l’operatore 3) – (cfr. Linge, Sutton 2015), successivamente,


l’UMTS venne utilizzato soprattutto per supportare le comunica-
zioni su reti internet. Dal 2010 è iniziato il passaggio alla tecnolo-
gia 4G che è in grado di supportare il transito di megadati su
dispositivi mobili.
L’evoluzione web digitale dei telefoni portatili favorita dall’in-
troduzione del 3G necessitava di un adeguamento del display che
doveva diventare qualcosa di più simile a uno schermo, adatto a
una visualizzazione d’immagini e a essere il luogo dello scambio
simbolico tra utente e sistema. Inizia la trasformazione degli
schermi dei cellulari: già nel 2003 Motorola immetteva sul mercato
RAZR V3 un telefono GPRS (General Packet Radio Service tecnolo-
gia intermedia indicata come 2.5G) con apertura a conchiglia e
doppio schermo a colori, esterno da 96 x 80 pixel e interno da 2,2
pollici e 176 x 220 pixel. Ancor prima, nel 2002, Samsung aveva
realizzato l’SGH-T100 con il primo grande schermo a colori LCD.
Nel 2003 anche Blackberry produce un modello con schermo a co-
lori il 7210 che nel 2005 si evolve nel Blackberry 7220 con schermo
più grande e ad alta risoluzione. Nel 2007 il Nokia N95 aveva uno
schermo da 2.6 pollici e 320x240 pixel a sedici milioni di colori che
occupava l’intera superficie del telefono lasciando spazio solo per
i tasti cursore, mentre la tastiera era nascosta “a cassetto” sotto lo
schermo.
Ma il 2007 è l’anno dell’Apple iPhone, il telefono portatile che
più di ogni altro incarna il processo di trasformazione del telefono
in schermo. Commercializzato negli USA a partire dal giugno
2007 nella versione iPhone 2G, la versione 3G venne lanciata nel
luglio 2008 e la 3GS nel luglio 2009 (cfr. Perri 2011), a cui seguirono
altre versioni 4G. La portata innovativa dell’ iPhone ha come
punto di forza lo schermo touchscreen, uno schermo tattile, o
schermo sensibile, che consente all’utente di interagire con il di-
spositivo direttamente dallo schermo, il dispositivo, possiamo
dire, si è evoluto in un grande schermo attraverso cui si svolge
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 51

ogni forma di dialogo con l’utente, la tastiera a caratteri grafici ap-


pare solo se necessaria e, in ogni caso, anch’essa è divenuta un’im-
magine tattile, iconizzata nello schermo. Lo schermo rappresenta il
dispositivo, anzi, è il dispositivo che si autorappresenta sullo
schermo in icone e simboli. L’utente tocca i simboli e avvia pro-
cessi funzionali, l’interazione è semplificata, immediata, smart (ap-
punto degli smartphone), il dialogo uomo-macchina si compie nello
schermo, che è il luogo delle immagini e dell’immaginario. Ma il
touchscreen non è solo uno schermo statico, come lo è il monitor
di un personal computer, è uno schermo dinamico, dove le imma-
gini scorrono e si spostano, si ingrandiscono e rimpiccioliscono la-
sciando apparire o scomparire dettagli, è uno schermo dove
l’iconico diviene manipolabile al tatto, dove l’occhio e la mano col-
laborano alla produzione del dialogo con il device7. Così, attraverso
gli schermi l’utente dialoga con i sistemi digitali e, contempora-
neamente, trasferisce parte della sua vita nello schermo, e lo
schermo diviene molto di più di uno spazio simbolico di scambio,
assorbe parte dell’identità relazionale degli utenti (cfr. Turkle
1996), anche se «attualmente la vita degli esseri umani nelle so-
cietà avanzate non si è trasferita del tutto all’interno degli schermi.
Una parte consistente di tale vita però l’ha già fatto» (cfr. Codelu-
ppi 2013, p. 9)
La via dei telefoni-schermo web based è segnata, nel 2008 ar-
riva sul mercato Htc Dream, è il primo smartphone su sistema An-
droid (in collaborazione con Google) che diventerà la piattaforma
dei telefoni Samsung (e non solo) in alternativa e in concorrenza
con gli iPhone. Nel 2010 l’Apple presenta al pubblico il primo ta-
blet, l’iPad8, è un dispositivo a schermo da 9,7 pollici multi-touch,

7
Su questi temi cfr. Belpoliti M., Schermi in www.doppiozero.com
8
Sull’iPad, segnaliamo in nota, il testo di Maurizio Ferraris (2011) nel
quale proprio all’iPad si attribuisce una capacità di rivelare l’anima, ovvero lo
spunto per suggerire il nesso tra tecnica, rivelazione e pensiero.
52 Riccardo Finocchi

in grado di gestire contenuti multiformato e connesso al web, rap-


presenta l’apice del processo di assimilazione tra dispositivo digi-
tale e schermo. Dal 2010 a oggi, in un solo quinquennio, i tablet
hanno pervaso la vita quotidiana e gli smartphone hanno relegato
la funzione telefonica a un ruolo marginale rispetto alle comuni-
cazioni web e alle funzioni audio-video. Proprio alla possibilità di
utilizzare il telefono come dispositivo per riprendere e fotografare
è dedicato il prossimo paragrafo.

2.1.3 La fotocamera nel cellulare


L’evoluzione del telefono in schermo ha comportato, come vi-
sto (supra § 1.4), un sovrappiù di immagini e una conseguente ico-
nizzazione dell’interazione uomo-dispositivo digitale. Ma lo
schermo è da sempre riconosciuto come una barriera9 dove le im-
magini dipinte o proiettate in fasci di luce si infrangono e pren-
dono forma, lo schermo è da sempre il luogo delle immagini,
soprattutto delle immagini catturate dagli apparecchi fotografici e
cinematografici. Infatti, parallelamente allo sviluppo degli
schermi, nei telefoni portatili è iniziata l’integrazione delle foto/vi-
deo camere digitali, che di fatto ha reso possibile l’uso dello
schermo come spazio di proiezione delle immagini catturate attra-
verso la stessa fotocamera del telefono.
La disponibilità di uno strumento per fotografare inserito nel
telefono ha sostanzialmente modificato il rapporto tra quotidia-
nità e fotografia, come sostiene Montani:

«prima si usava scattare fotografie in un tempo non ordinario, du-


rante le feste, nelle ricorrenze ecc., adesso la macchina fotografica, o più
in generale uno strumento capace di riprendere e archiviare immagini, è

9
Rintracciabile anche nell’origine etimologica del termine skirmjan che si-
gnifica riparare, proteggere, schermare. Sullo schermo come luogo delle imma-
gini, dalla pittura al cinema passando per la riflessione estetica, cfr. Carbone
2008.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 53

quotidianamente e continuamente a portata di mano. Questo determina


l’orientamento che a me pare significativo: una crescente “protesizza-
zione”, per così dire, della macchina fotografica» (cfr. Montani 2012, p.
32).

Il primo telefono con una fotocamera integrata fu il modello J-


SH04 prodotto nel 2000 dalla Sharp, dotato di un obbiettivo da 0,1
megapixel (110.000-pixel) e un display a colori (Brognara 2014, p.
43; Boaretto, Noci, Pini 2011). Il telefono era disponibile solo per
il mercato giapponese ma, di fatto, segna il momento di trasfor-
mazione del telefono portatile in un dispositivo che produce e ge-
stisce immagini. Infatti, il telefono Samsung SCH-V200 dotato di
fotocamera venne realizzato prima dello Sharp J-SH04 ma le fun-
zioni per la gestione delle immagini fotografiche non erano inte-
grate alle funzioni del telefono, sostanzialmente si trattava di una
macchina fotografica attaccata al “corpo” del telefono che utiliz-
zava lo stesso display. Le macchine fotografiche digitali già dalla
meta degli anni novanta, a partire dalla giapponese Casio QV-10,
avevano il live view che consentiva di vedere l’immagine inqua-
drata in tempo reale sul display (cfr. Brognara 2014, p. 43). Foto-
camera integrata, dunque, significa che le immagini possono
essere gestite: possono essere archiviate, visualizzate, inviate e
manipolate attraverso il telefono (come di fatto avviene). Nel 2002
veniva commercializzato su larga scala il Sanyo SCP-5300 con fo-
tocamera integrata, nel 2003 il Samsung SGH-V205 con un obbiet-
tivo rotante e così via con innovazioni tecniche e prestazioni che
hanno trasformato il cellulare in un vero e proprio dispositivo ad
alta qualità video-fotografica.

2.1.4 Audiovisivo digitale


La digitalizzazione delle informazioni riguarda anche le imma-
gini filmiche, ossia le diverse forme di audiovisivo. Il termine au-
diovisivo si riferisce generalmente ai formati di archiviazione
54 Riccardo Finocchi

delle immagini in movimento, formati che possono essere tra loro


differenti anche in relazione all’epoca in cui sono stati realizzati.
Nella prospettiva che qui seguiamo ci interessa soprattutto il pro-
cesso che ha portato a una larga diffusione dell’audiovisivo:
dall’uso “casalingo” degli home video fino all’attuale possibilità per
un qualsiasi utente di produrre, archiviare e visualizzare audiovi-
sivi senza avere competenze specifiche, solo attraverso l’uso di di-
spositivi user-friendly come i telefoni portatili.
Il primo formato di registrazione (o archiviazione) e trasmis-
sione (o riproduzione) dell’audiovisivo è stata la pellicola di cel-
luloide, per alcuni decenni l’unico modo per realizzare filmati.
Oltre ai formati cinematografici professionali si diffusero dei for-
mati di pellicola ridotta destinati al cinema amatoriale il 16 mm. e
l’8 mm., quest’ultimo introdotto dalla Kodak nel 1932. Nel 1965,
sempre la Kodak, iniziò la commercializzazione del “super8” pen-
sato come formato tipico dei film di famiglia (cfr. Saba 2006, p. 29).
La pellicola super8 veniva venduta in una cartuccia da utilizzare
su apposite cineprese che, una volta effettuato lo sviluppo, poteva
essere vista con un proiettore dello stesso formato. L’intero appa-
rato del super8 (cinepresa e proiettore) era piuttosto ingombrante
e costoso, ciò nonostante fu la via a una certa diffusione delle ri-
prese familiari dilettantesche.
Tra gli anni trenta e quaranta iniziò anche lo sviluppo dei na-
stri magnetici, all’epoca solo come base per la registrazione so-
nora. Nel 1935 la tedesca AEG-Telefunken presentò il
Magnetophone, un registratore audio, e più tardi, nel 1947, l’ameri-
cana 3M iniziò la commercializzazione del nastro magnetico (cfr.
Coassin 2007, p. 26). L’uso dei nastri magnetici come base delle
riprese e della registrazione di audiovisivi iniziò solo nella se-
conda metà degli anni cinquanta del secolo scorso, le difficoltà
erano soprattutto legate alla possibilità di archiviare sul nastro
magnetico l’enorme quantità di dati relativi ai filmati audiovisivi.
Così, nel 1959 il videoregistratore Ampex Quadruplex registrava
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 55

in bianco e nero su nastro 3M, pesava circa duecento chili e poteva


essere utilizzato solo in uno studio di registrazione attrezzato, ma
non si era ancora risolto il problema di come effettuare il montag-
gio delle riprese (cfr. ibid, p. 28). Tra il 1959 e 1961 la Toshiba prima
e la JVC dopo realizzarono dei prototipi di videoregistratore a co-
lori (cfr. ivi).
Per quanto riguarda i nostri interessi, cioè l’avvio di quel pro-
cesso che ha generato un utilizzo diffuso delle registrazioni audio-
visive, bisogna attendere il 1972, quando fu immessa nel mercato
la prima videocassetta in formato VCR o Video Cassette Recording
assieme al primo videoregistratore domestico Philips N 1500 (cfr.
ibid, p. 36). Il sistema VCR- Philips non ebbe grande diffusione, di
fatto circoscritta alla sola Gran Bretagna, poiché aveva costi elevati
e limiti tecnici: le videocassette potevano registrare fino a un mas-
simo di un’ora ed erano, perciò, adatte per registrare programmi
televisivi e rivederli in tempo differito ma non per un film, per il
quale erano necessarie più cassette (cfr. Nosengo 2008, p. 39). Il
formato VCR era stato preceduto dal formato professionale Sony
U-Matic (in vendita dal 1971), piuttosto costoso e destinato a un
pubblico diverso, piccoli centri di produzione, piccole emittenti
televisive, studi pubblicitari (nella metà degli anni settanta, in cor-
rispondenza al fenomeno delle TV locali, in Italia si ebbe un boom
di vendite). Fu solo nel 1975 che la Sony, prima in Giappone e poi
negli USA, mise in commercio il formato di videoregistrazione do-
mestica Betamax, destinato a fare concorrenza al sistema europeo
VCR (cfr. Coassin 2007, p. 32). La Sony, insieme al nastro, vendeva
il lettore video Betamax SL6300 e la consolle (TV + videoregistra-
tore) LV1801, mentre destinò al mercato statunitense lo SL7200
che, non avendo l’entrata video, non poteva registrare dalla tele-
visione, la Sony tentava così di tutelarsi nei confronti della potente
industria cinematografica americana che non apprezzava disposi-
tivi in grado di registrare film (cfr. Nosengo 2008, pp. 40-41). Nel
1976 la JVC, a cui la Sony aveva invano chiesto di associarsi nella
56 Riccardo Finocchi

produzione del Betamax, mise in commercio il nuovo formato


VHS (Video Home System inizialmente Vertical Helical Scan), che
aveva tutte le caratteristiche per contendere al Betamax il campo
degli home video. Progettato per offrire all’utente il minimo indi-
spensabile per effettuare videoregistrazioni a un costo contenuto,
a fronte di una qualità d’immagine nettamente inferiore e di un
involucro dall’ingombro maggiore garantiva, però, una durata di
registrazione superiore (cfr. ivi; Coassin 2007 p. 43). Non sono
chiari i motivi per cui le cassette VHS, tecnologicamente inferiori
alle Betamax, abbiano conquistato il mercato. Sicuramente hanno
influito le strategie di alleanze commerciali e distributive (la JVC,
tra l’altro, si accordò con l’americana RCA), in parte ha influito la
dissanguante causa intentata alla Sony dagli Universal Studios e
dalla Disney per istigazione alla pirateria (causa che non coinvolse
la JVC arrivata seconda sul mercato) conclusasi a favore della
Sony solo nel 1984, quando ormai la battaglia sul mercato era
persa. Tuttavia, come sostiene Ikenberry (2001, pp. 96-97), il fat-
tore decisivo fu il concomitante diffondersi di prodotti compatibili
con il formato VHS che dettò le regole della standardizzazione,
questo permise un ulteriore abbassamento dei costi di produzione
che rese, di fatto, il Betamax troppo costoso.
Nel 1980 la Philips e la Grundig in collaborazione presentarono
il Video2000, un terzo formato nel già saturo mercato degli home
video che, nonostante alcune caratteristiche innovative, come la
cassetta registrabile su entrambi i lati (che permetteva otto ore di
registrazione complessiva), venne dismesso nel 1986 dopo soli sei
anni (cfr. Nosengo 2008, p. 45). Nel frattempo, sul fronte dei for-
mati destinati alle videoriprese, videoriproduzione e videocamere
portatili di tipo professionale, la Sony aveva presentato nel 1982 il
Betacam, solo in parte derivato da Betamax, a cui la concorrenza
(Matsushita con JVC e Panasonic) aveva risposto con il formato M
derivato dal VHS e piuttosto deludente per le prestazioni, ma che
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 57

fu la base per il successivo MII (emme due) lanciato nel 1986. Pa-
rallelamente alla diffusione degli home video inizia l’evoluzione
delle videocamere. Nel 1983 venne commercializzata la Sony Be-
taMovie, una camcorder – una crasi composta da cam(era) + (re)cor-
der – la prima videocamera portatile in grado di registrare le
immagini riprese sul nastro a cassetta inserito nella stessa video-
camera. La BetaMovie permetteva la registrazione del nastro che
poi poteva essere visionato solo a fine registrazione tramite un vi-
deolettore e una TV. Nel 1984 JVC commercializza GR-C1 una vi-
deocamera a nastro VHS, dalle dimensioni superiori rispetto alla
concorrente Sony ma in grado di ri-visualizzare le riprese appena
registrate nel mirino della videocamera. In seguito comparvero
nastri contenuti in cassette più piccole e compatte come il Video8
della Sony del 1985, utilizzabile sulla piccola camcorder CCD-V8, e
il VHS-C della JVC. Tra il 1988 e il 1989 la JVC commercializza il
Super VHS e la Sony il Video HI8 (cfr. Coassin 2007 pp. 55-58). Le
videocamere portatili rappresentano un primo passo verso un uso
personale e quotidiano degli strumenti audiovisivi, anche se i for-
mati di videoregistrazione magnetica, VHS o altro, avevano un
bassissimo grado di interscambiabilità con altri formati e/o altri
media.
Il digitale nel frattempo iniziava la sua ascesa nel campo della
riproduzione e archiviazione degli audiovisivi. Il primo fu il vi-
deoregistratore Sony D1 del 1986, registrava su nastro magnetico
un segnale video non compresso a definizione standard in for-
mato digitale anziché in analogico, il costo era piuttosto elevato e
D1 fu utilizzato solo da grandi network televisivi per lavorazioni
che richiedevano molte generazioni di copie successive (cfr. Ca-
meron 2004, p. 473). Gli sviluppi del D1 portarono nel 1989 al D2
e, successivamente, nel 1993, ancora la Sony, iniziò la produzione
del formato Digital Betacam, che garantiva una buona qualità di
registrazione attraverso la compressione del segnale video,
avendo un costo inferiore a quello dei formati D1 e D2 (cfr. ibid).
58 Riccardo Finocchi

Il Digital Betacam era destinato a produzioni televisive di alta qua-


lità e impiegato di rado in ambito cinematografico (cfr. Uva 2012,
p. 71) o per i video amatoriali e home video. Per questi ultimi, la
fascia dei consumer, il digitale arrivò nel 1995 con l’introduzione
del formato DV (Digital Video) e delle cassette miniDV destinate
alla videoregistrazione con telecamere piccole, compatte, econo-
miche e di buona qualità (cfr. Cameron 2004, p. 473; Uva 2012,
p.71). Sul fronte professionale la Sony introdusse nel 1996 il
DVCAM e betacamSX.
Le videocamere (camcorder) hanno senza dubbio rappresentato
uno dei passaggi nel processo che ha portato a un uso diffuso e
personale degli strumenti audiovisivi. Tuttavia, rispetto al pano-
rama strettamente contemporaneo, permanevano ancora costi ele-
vati dei materiali, un certo ingombro degli strumenti di
produzione (le videocamere) e di archiviazione (le videocassette).
Il passo successivo fu l’utilizzo dei dispositivi a memoria ottica
per la registrazione degli audiovisivi. Dal 1982 venivano utilizzati
i CD come supporto di memoria per l’archiviazione del sonoro,
nel 1995 la Sony e la Philips, che ne detenevano il brevetto, si uni-
scono nel DVD Consortium (insieme a IBM, Apple, Microsoft e
altri) al fine di sviluppare il nuovo supporto ottico in un formato
uniforme. Il DVD, più capiente di un CD, venne sviluppato anche
per poter contenere le informazioni digitali di un audiovisivo e
dunque di un film, proprio per questo, per evitare il ripetersi della
guerra legale già avvenuta per il Betamax, fu necessario un ac-
cordo con le major hollywoodiane. Nel 1997 fu immesso nel mercato
il DVD-R su cui si potevano memorizzare, “scrivere”, informa-
zioni una sola volta e, a seguire, il DVD-RW scrivibile e riscrivibile
più volte.
I videolettori e videoregistratori a nastro magnetico si sono
evoluti in lettori DVD, mentre l’evoluzione delle camcorder ha se-
guito piuttosto la via delle macchine fotografiche digitali. Così, la
prima macchina fotografica a non usare pellicola ma un supporto
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 59

magnetico fu la Sony MAVICA (MAgnetic VIdeo CAmera) del


1981, che memorizzava le immagini in formato analogico su una
specie di floppy disk (cfr. Nosengo 2008, p. 76; Colombo 2013). La
prima macchina fotografica completamente digitale arrivò nel
1988, era la Fuji DS-1P che salvava le immagini in una memory card
rimovibile SRAM (Static RAM). Nel 1993 venne prodotta la Fuji
DS-200F, che per la prima volta utilizzava una memoria di tipo
flash10 in grado di mantenere le immagini memorizzate anche
quando la batteria della macchina fotografica era scarica (cfr.
Toyoda 2005, p. 8). Nel 1994 la fotocamera Olympus DELTIS VC-
1100 era in grado di collegarsi direttamente (senza mediazione di
un computer) a un telefono GSM per trasmettere immagini, anti-
cipando, di fatto, l’integrazione di telefono e fotocamera. Nel 1995
la Casio QV-10 (vedi supra § 2.1.3) fu la prima macchina fotogra-
fica digitale ad avere un monitor display LCD al posto del mirino
ottico (cfr. Toyoda 2005, pp. 9-10). Sempre nel 1995 venne com-
mercializzata la fotocamera Ricoh RDC-1 che era in grado, per la
prima volta, di effettuare delle riprese audio-video e di memoriz-
zarle su un supporto non magnetico. I filmati ripresi, anche se di
brevissima durata (circa cinque secondi), potevano essere rivisti
sul display della fotocamera o collegando il dispositivo a un tele-
visore (cfr. Peres 2007, p. 20). Tutto era pronto per un dispositivo
digitale di ripresa audiovisiva che potesse essere destinato ai con-
sumer e, dunque, a una larga diffusione. Nel 1997 la Sony, sedici
anni dopo il lancio della prima MAVICA, presenta la MAVICA
MVC-FD7 e la versione meno sofisticata MVC-FD5: sono le prime
videocamere completamente digitali per il largo consumo. La me-
moria di archiviazione delle MVC-FD7 e FD5 è ancora su supporto
magnetico (floppy disk), poi lo sviluppo delle prestazioni e della
capacità delle memorie flash (cfr. infra § 2.3) consentirà l’utilizzo

10
Sulle Flash memory, si veda infra § 2.3.
60 Riccardo Finocchi

delle più piccole flash memory card che permetteranno una ridu-
zione dell’ingombro delle videocamere rendendole sempre più
maneggevoli.

2.2 La standardizzazione ipermediale


Il fenomeno di ipermedializzazione, reso possibile dagli sviluppi
tecnologici dei diversi dispositivi implicati con la digitalizzazione
delle informazioni, deve essere osservato anche come un processo
di convergenza dei dispositivi attraverso l’uniformazione dei co-
dici digitali per l’archiviazione e il trasferimento delle informa-
zioni. La possibilità di avere dati interscambiabili tra sistemi
diversi è stato uno dei paradigmi di sviluppo delle tecnologie di-
gitali e del web: se ogni produttore avesse implementato un pro-
prio autonomo sistema digitale non sarebbe stata possibile una
condivisione collettiva delle informazioni e un’espansione globale
delle comunicazioni. Questo processo ha riguardato tutti i campi
della conoscenza in cui le informazioni sono state digitalizzate e,
ovviamente, tutti i dispositivi atti alla digitalizzazione. I computer
rivali di Apple e IBM, che all’inizio avevano sistemi operativi dif-
ferenti e incompatibili, ora sono totalmente compatibili. I personal
computer (PC), inizialmente, avevano sistemi IBM compatibili, os-
sia compatibili con l’architettura IBM, poi progressivamente sosti-
tuiti dai cosiddetti sistemi Wintel, ossia basati sul sistema
operativo Microsoft-Windows e processori Intel. Il sistema opera-
tivo Windows invase letteralmente il mercato divenendo, di fatto,
uno standard diffuso. I computer Mac (Apple) che avevano un si-
stema operativo diverso, incompatibile con Windows, rimasero
per diverso tempo isolati e di nicchia. Fu tra il 2005 e il 2006 che la
Apple iniziò a introdurre nei Mac i processori Intel con il sistema
operativo Mac OS X (Macintosh Operating System X, evoluzione-
rivoluzione del Mac OS Classic) che poteva supportare anche i si-
stemi Windows, aprendo così a una completa compatibilità e in-
terscambiabilità.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 61

Come abbiamo visto, lo stesso processo di uniformazione


verso l’interscambiabilità si era verificato sia per i supporti ma-
gnetici poi standardizzatisi nel formato VHS, sia per il DVD con-
sortium. Il punto centrale, dunque, è la convergenza e la
standardizzazione dei formati digitali, ad esempio nei formati per
l’archiviazione dei suoni, degli audiovisivi o delle immagini.
Spesso le standardizzazioni, come vedremo nel prossimo para-
grafo, sono pianificate da organismi internazionali creati apposi-
tamente allo scopo.

2.2.1 Consortium MPEG e l’interscambiabilità


La questione dell’interscambiabilità, cioè della compatibilità di
formati nel passaggio di informazioni da computer a computer, è
divenuta centrale soprattutto con lo sviluppo del web. Un file, che
sia sonoro o audiovisivo, grafico o alfabetico, deve poter essere ri-
conoscibile e riproducibile da tutti i dispositivi in cui potenzial-
mente potrà, o dovrà, transitare, ovvero dovrà avere un formato
standard. La standardizzazione digitale avviene secondo due
principali direttrici: gli standard de jure e gli standard de facto. Sono
de jure tutti gli standard che vengono formalizzati attraverso pia-
nificazioni gestite da organizzazioni deputate che stabiliscono
delle norme tecniche. Sono de facto, invece, gli standard che ven-
gono considerati tali a seguito della loro elevata diffusione senza
che sia intervenuto un processo di regolazione gestito (cfr. Ali-
prandi 2010, p. 31). Così, ad esempio, per i file di documento nel
1993 è stato introdotto un formato standard di scambio PDF (Por-
table Document Format), elaborato dalla Adobe Systems, che con-
sente l’interscambiabilità dei file bidimensionali (testi, grafici e
immagini) indipendente dal software (o hardware) del device con
cui sono prodotti o da cui vengono letti (cfr. ibid, p. 76). Allo stesso
modo i file con estensione “.doc” inizialmente segnalavano file di
testo non formattato, utilizzabili con alcuni dispositivi e sistemi
operativi (cfr. ivi), e solo in seguito alla larga diffusione e al loro
62 Riccardo Finocchi

costante utilizzo sono divenuti uno standard de facto.


Anche la codifica delle immagini, soprattutto il trasferimento e
la ricezioni di immagini, ha creato problemi di compatibilità e uni-
formazione. I file immagini sono piuttosto pesanti, ossia conten-
gono molte informazioni, e proprio per questo è difficile la
trasmissione se non previa compressione: i sistemi di compres-
sione servono per ridurre la quantità di dati richiesti per memo-
rizzare l’immagine consentendo però una riproduzione
accettabile del file originale non compresso. I file devono essere
compressi secondo standard condivisi (interscambiabili) in modo
che l’immagine sia leggibile allo stesso modo da diversi sistemi
operativi. Tra i diversi standard il più utilizzato e il sistema JPEG,
elaborato dal Joint Photographic Experts Group, che per la prima
volta ha definito uno standard internazionale di compressione per
immagini (cfr. ibid, p. 83). Altri formati di archiviazione sono il
PNG e l’SVG, utilizzati soprattutto per la condivisione di imma-
gini sul web. Il Portable Network Graphics (PNG) è un formato
creato nel 1995 da un gruppo indipendente e approvato nel 1996
dal W3C (World Wide Web Consortium), così come è approvato dal
W3C lo Scalable Vector Graphics (SVG) che consente di trattare og-
getti grafici (cfr. ibid, p. 84).
Nel 1988, su iniziativa dell’ingegnere italiano Leonardo Chia-
riglione, venne istituito il consorzio Moving Picture Experts Group
(MPEG – un sottocomitato dell’ISO) per definire standard di ri-
produzione digitale di audio, video e altre tipologie di contenuti
multimediali. Il consoritum MPEG ha stabilito uno standard di de-
codifica ma non di codifica, cosicché ogni produttore può agire
liberamente nel produrre un file di tipo MPEG-compatibile con
differenti gradi di qualità (cfr. Petri 2005, p. 37 sgg.). Il formato
MPEG è quello che più di ogni altro ha contribuito all’interscam-
biabilità e alla diffusione di audio e video digitale, che dall’inizio
degli anni novanta ha segnato una vera rivoluzione nella produ-
zione e fruizione degli audiovisivi. Il primo standard fu l’MPEG-
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 63

1 utilizzato per i VideoCD, poi sostituito dall’MPEG-2, che con-


sentiva una migliore risoluzione delle immagini e fu adottato per
i DVD-video. Da questi formati, intorno al 1997, è stato anche de-
rivato il file audio compresso MP3 (che racchiude MPEG-1 Audio
Layer III e MPEG-2 Audio Layer III), che ha rappresentato una rivo-
luzione nell’archiviazione, riproduzione e trasmissione di suoni
attraverso il web. Attraverso l’MP3 è stato possibile l’avvento del
file sharing musicale su piattaforme web come Napster (attivo dal
giugno 1999 al luglio 2001), che hanno mutato i presupposti
dell’industria discografica, nonché la realizzazione e la diffusione
dei cosiddetti lettori MP3, in grado di riprodurre file musicali
“scaricati” direttamente dalla rete (cfr. Castelli 2009).
Nell’archiviazione di formati audiovisivi il punto di svolta de-
cisivo è rappresentato dall’avvento del formato MPEG-411, dispo-
nibile dal 1998, che integra come base per la standardizzazione
anche il QuickTime della Apple. MPEG-4 consente un rapporto
tra qualità dell’audiovisivo e spazio occupato senza precedenti
(cfr. Petri 2005, p. 39), questo ha permesso la trasmissione di fil-
mati attraverso il web e l’utilizzo dell’audiovisivo sui telefoni cel-
lulari. Sull’MPEG-4 si basano altri formati, come il DivX
(inizialmente versione “craccata”, pirata, dell’MPEG-4), l’XviD e il
WMW (cfr. ibid, p. 81).
Naturalmente, proprio attraverso la standardizzazione e la
compressione si è potuti giungere all’attuale sistema di diffusione
dell’audiovisivo: ogni singolo possessore di tecnologia digitale
(sono sufficienti uno smartphone o un tablet) è in grado di pro-
durre, in ogni momento, audiovisivi e condividerli sul web, una
pratica che negli ultimi anni ha avuto un aumento esponenziale.
La standardizzazione dei formati e la loro interscambiabilità sono
uno dei fattori fondamentali nel processo di digitalizzazione

11
L’MPEG-3 è un formato rimasto solo come progetto e poi re-inglobato
nel MPEG-2.
64 Riccardo Finocchi

dell’informazione e della conseguente ipermedializzazione. Al


contempo, però, i formati di interscambio compressi sono frutto
di una riduzione dei dati, di una parziale perdita di qualità del
suono o dell’immagine in nome della scambiabilità. Rappresen-
tano, in tal senso, un paradosso del processo di ipermedializza-
zione che se da un lato aumenta la possibilità di conservare e fruire
di informazioni depositandole in un archivio globale qual è il web,
dall’altro determina una parziale perdita di dati, di tratti informa-
tivi. Questa perdita è “apparentemente” irrilevante, infatti dal
punto di vista della standardizzazione, come il termine stesso la-
scia intendere, è rilevante uniformare anziché distinguere e indi-
viduare.

2.3 La memoria digitale


La rete, il web, funziona come un immenso archivio globale, è
divenuto il luogo in cui si sono trasferite le informazioni digitaliz-
zate, attraverso un passaggio dal privato (il proprio computer) al
pubblico (la rete), fino a giungere all’attuale produzione di infor-
mazioni direttamente per la rete e nella rete attraverso dispositivi
digitali mobili web based e geolocalizzati.
Dal punto di vista dello sviluppo cronologico abbiamo visto
come sussista un inscindibile legame tra la digitalizzazione
dell’informazione e la memoria. Fin dalle origini ogni sviluppo nel
campo informatico (hardware o software) è stato accompagnato
da uno sviluppo delle tecnologie di memorizzazione: dalle schede
perforate ai relè, dalle valvole ai nastri magnetici, fino ai micro-
chip. Lo sviluppo delle memorie ha seguito due direttrici: per un
verso l’aumento della capacità per altro la riduzione dello spazio
occupato. Maggiore capacità di archiviazione di dati ha consentito
di supportare sistemi operativi sempre più complessi e, allo stesso
tempo, di archiviare sempre più dati. Minore ingombro ha con-
sentito la riduzione delle dimensioni dei dispositivi digitali ren-
dendoli sempre più portatili e maneggevoli. Queste due direttrici
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 65

hanno trovato una convergenza man mano che le memorie diven-


tano condivise attraverso il cloud computing.
L’uso delle memorie condivise, dei cloud (sottointeso di cloud
computing), nasce e si sviluppa in prima istanza come esigenza del
business, poiché si tratta di un modo «per ridurre i costi da soste-
nere per la gestione delle risorse hardware e software» (Ferrari,
Zanleone 2011, p. 15). È un nuovo paradigma di gestione delle in-
frastrutture informatiche che comporta lo spostamento nella rete
delle stesse infrastrutture: il paradigma della nuvola. La «nuvola
è dove potete utilizzare la tecnologia solo per il tempo che serve»
(Reese 2010, p. 2), avendo a disposizione solo un terminale di col-
legamento. Cloud, dunque, non viene utilizzato per definire in
modo diverso il web anche se, si potrebbe affermare, nel web è
disponibile a tutti gli effetti una memoria condivisa e pubblica,
basti pensare agli archivi collettivi UGC (User Generated Content)
del 2.0 come Wikipedia o Yuotube. In ogni caso, questo nuovo modo
di pensare a nuvola si è diffuso nei comportamenti degli utenti del
web, che sempre più affidano la propria memoria a veri e propri
cloud come Google Cloud o iCloud o anche a spazi web-sociali uti-
lizzati come cloud, come ad esempio servirsi di Facebook o Istagram
per conservare le proprie fotografie (dei viaggi, di eventi partico-
lari ecc.). In quest’ottica, è piuttosto interessante notare che i di-
spositivi mobili in generale e i locative media in particolare possono
avvalersi degli spazi di memoria esterna per aumentare la propria
funzionalità: così una fotografia scattata con lo smartphone può es-
sere conservata nel web e non nella memoria del telefono.
L’evoluzione delle memorie fisiche (non cloud) ha visto nelle
memory card l’apice della riduzione d’ingombro. Si tratta di piccole
schede che contengono una memoria di tipo flash (cfr. Feyles
2011), un dispositivo elettronico portatile di ridotte dimensioni in
grado di immagazzinare dati in formato digitale e di mantenerli
in memoria in assenza di alimentazione elettrica (memoria di
66 Riccardo Finocchi

massa non volatile). Numerosi dispositivi digitali di uso quoti-


diano (smartphone, fotocamere, videocamere) sono dotati di pic-
cole card che utilizzano la memoria flash, anzi, come abbiamo visto
(vedi supra § 2.1.4), proprio la memoria flash ha dato un impulso
decisivo allo sviluppo dei dispositivi digitali mobili. La memoria
flash fu realizzata nei primi anni ottanta del secolo scorso da Fujio
Masuoka per la Toshiba che non volle, però, svilupparla lasciando
la commercializzazione a Intel. Nel 1994 Sandisk realizza Com-
pact Flash utilizzata soprattutto all’interno delle fotocamere digi-
tali. Nel 2000 IBM mette in commercio Usb Flash Drive aprendo
l’era delle pen-drive (cfr. ivi).
La questione della memoria digitale e del web come archivio
globale apre a diverse riflessioni sul rapporto tra memoria umana
e memoria tecnica/informatica12. Le attività tecniche degli esseri
umani sono una memoria di tipo operazionale, che si tramanda
attraverso il linguaggio e la trasmissione culturale ma anche attra-
verso il perdurare degli strumenti tecnici che sopravvivono all’in-
dividuo e alla contingenza dell’uso. Tecnica e memoria, dunque,
si sovrappongono fin dalle origini dell’uomo. In tal senso la tec-
nica umana è già memoria esterna, rappresenta un processo di
esternalizzazione della memoria che ha il punto apicale nell’av-
vento del web: la rete si presenta come un «medium pervasivo ca-
pace di riconfigurare non soltanto le modalità di esternalizzazione
del ricordo, ma anche quella di costruzione ed elaborazione della
memoria singola e collettiva» (Maiello 2015, p. 48). Questo incre-
mento esponenziale nel processo di esternalizzazione, accumula-
zione e collettivizzazione della memoria umana prodotto dalla
digitalizzazione ha dato vita a un curioso fenomeno di enpasse
nella gestione dell’immensa mole di dati o, come vengono definiti,
dei Big Data, tanto da necessitare di nuovi processi e tecnologie di

Su questi temi, in una chiave interpretativa estetologica, rinviamo ai la-


12

vori di Feyles 2013; e Maiello 2015.


Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 67

gestione ancora in fase sperimentale.

3. La digitalizzazione della comunicazione


Parallelamente al processo di digitalizzazione delle informa-
zioni è avvenuto un processo di digitalizzazione della comunica-
zione che risulta piuttosto evidente a causa della pervasività con
cui si presenta nelle forme di vita attuali. La digitalizzazione della
comunicazione si è avvalsa dell’interscambiabilità delle informa-
zioni digitalizzate e della elevata compatibilità e convergenza dei
dispositivi digitali. Pertanto è evidente che osservare separata-
mente la digitalizzazione dell’informazione e della comunica-
zione è solo un espediente euristico, mentre nella vita quotidiana
tutto è avvenuto senza distinzione e la nascita e lo sviluppo di in-
ternet, che è il vero tema di questo breve capitolo, si è sovrapposto
agli sviluppi dei dispositivi digitali. È proprio attraverso questo
complesso e vasto processo simultaneo che si è giunti all’attuale
sistema ipermediale che stiamo qui osservando. Ripercorreremo,
pertanto, la storia di internet solo attraverso alcuni momenti sa-
lienti e significativi per il nostro percorso di ricerca, consapevoli
che una esaustiva e dettagliata storia del web richiederebbe molto
più spazio rispetto a quello qui disponibile.

3.1 Da internet al web


Lo sviluppo di reti di comunicazione tra sistemi informatici ha
avuto origine in ambito militare. Nel 1958 il congresso americano
approvò la costituzione della Advanced Research Projects Agency
(ARPA) con sede nel Pentagono e con la funzione di sviluppare
settori strategici applicabili in campo militare. Sotto la guida J.C.R.
Licklider fu creata una rete di collegamenti tra centri di ricerca in-
formatici che fu battezzato Intergalactic Computer Network (cfr.
Calvo et alii 2003, p. 482 ssg.). In seguito, sotto la direzione di Bob
68 Riccardo Finocchi

Taylor, iniziò il progetto Arpanet volto ad attivare una rete


dell’ARPA. Per sviluppare il progetto fu chiamato dal MIT l’infor-
matico Larry Roberts che nel 1967, dopo aver ascoltato in una con-
ferenza l’esposizione del principio della commutazione di
pacchetto di Baran, sviluppato sempre in ambito militare all’inizio
degli anni sessanta, decise di utilizzare l’idea di Baran per il fun-
zionamento di arpanet. La tecnica della commutazione di pac-
chetto era stata pensata come difesa delle informazioni militari da
un attacco nucleare, anche se l’uso che ne fu fatto in Arpanet aveva
come unico scopo il miglioramento degli scambi nei centri finan-
ziati dall’ARPA (cfr. ibid). Il sistema de i pacchetti circolanti in Ar-
panet, ovvero l’origine di internet, secondo de Kerckhove, è
assimilabile al sistema dei tag, poiché per giungere a destinazione
ogni singolo packet doveva essere accompagnato da un tag (cfr. de
Kerckhove 2011).
La fase esecutiva del progetto Arpanet iniziò nel 1969 e già nel
1971 i nodi collegati erano quindici e raggiungevano un centinaio
di utenti (cfr. Calvo et alii 2003, p. 489). Nel 1972 venne fondata la
Interational Network Working Group che ebbe la funzione di svilup-
pare gli standard per Arpanet sotto la direzione di Vinton Cerf. Più
tardi, Cerf sviluppò assieme a Bob Metcalfe «un nuovo protocollo
di trasmissione tra host che battezzarono Transmission Control Pro-
tocol. Il TCP» (ivi, p. 489-490). Al TCP, che gestiva la creazione e il
controllo dei pacchetti, venne affiancato lo IP (Internet Protocol) per
gestire l’indirizzamento dei pacchetti. Il protocollo TCP/IP sarà lo
standard dello sviluppo di Arpanet. In quegli anni si svilupparono
i primi spazi di discussione attraverso la rete, nel 1975 era stato
creato MsgGroup basato sulla posta elettronica, ma anche i primi
giochi tramite computer, come Adventure attivo dal 1976 (cfr. ibid).
Nel 1981, per ampliare la rete e collegarla a tutte le università
degli USA dotate di centri informatici, offrendo così nuovi stru-
menti alla ricerca, venne varata la rete Csnet (Computer Science Net-
work), anche se in quegli stessi anni negli USA erano già attive
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 69

diverse reti autonome che avevano la caratteristica di costare


poco. Fuori dai confini USA, intanto, si lavorava allo sviluppo di
altri sistemi a rete, come nel celebre caso della Minitel francese
(cfr. Castells 1996, p. 369 sgg.). I diversi sistemi di rete erano basati
su tecnologie differenti ma, tutti, sviluppati sul protocollo TCP/IT.
E poiché «questo crescente groviglio di reti poteva dialogare tra-
mite il protocollo TCP/IT, esso venne gradualmente denominato
internet» (cfr. Hafner, Lyon 1996, p. 223). Nel 1985, basandosi sul
nuovo protocollo DSN (Domain Name System) sviluppato da P.
Mockapetris, J. Postel e C. Partridge, la National Science Founda-
tion13 (NSF) diede vita alla nuova e più ampia rete NSFnet. Intorno
al 1987 il numero di host collegati alla nuova rete internet rag-
giunse quota diecimila (cfr. Calvo et alii 2003, p. 493). Una delle
conseguenze dello sviluppo della nuova rete fu la progressiva di-
smissione della vecchia rete: alla fine del 1989, a vent’anni
dall’apertura, «Arpanet in quanto tale era sparita» (cfr. Hafner,
Lyon 1996 p. 234).
L’utilizzo di internet continuava a crescere determinando un
fermento di innovazioni e sperimentazioni. In quel periodo co-
minciarono i primi tentativi di sviluppo di interfacce che aiutas-
sero gli utenti nella ricerca e nell’indicizzazione dei contenuti,
ovvero gli antesignani degli attuali motori di ricerca, tra cui Archie
nel 1989, WAIS (Wide Area Information System) sempre nel 1989 e
Gopher del 1991.
Fin qui la prima espansione di internet, nel frattempo, però, la
diffusione e l’utilizzo dei personal computer poneva l’esigenza di
accessi personali alla rete, la possibilità di accedere a internet attra-
verso programmi di facile gestione disponibili sul proprio compu-
ter. Fu in quegli anni che cominciò a destare l’interesse della
comunità di internet il World Wide Web, un sistema sviluppato

13
La National Science Foundation è un’agenzia governativa degli Stati
Uniti che sostiene la ricerca e la formazione di base in tutti i campi non-medici
della scienza e dell'ingegneria.
70 Riccardo Finocchi

nei laboratori informatici del CERN (Centro Europeo di Ricerca


Nucleare) di Ginevra (cfr. Calvo et alii 2003, p. 495). Verso la fine
del 1990 Tim Berners Lee assieme al suo collega del CERN Robert
Cailliau misero a punto un documento in cui presentavano «il pro-
tocollo http, il concetto di browser e server, e che rendeva pubblico
per la prima volta il nome ideato da Berners Lee per la sua crea-
tura: World Wide Web» (cfr. ibid). Con la nascita del web vennero
ideati diversi browser, lo stesso Berners Lee, nel 1991, progettò
Line mode browser, ma il primo vero sistema diffuso tra gli utenti
fu Mosaic: creato da Marc Andreessen nel 1993 (la prima versione)
era semplice da istallare e con un’interfaccia grafica di facile uti-
lizzo. In breve tempo soppiantò tutti sistemi rivali. Era iniziata
l’era dell’accesso alla rete, si apriva quello che sarebbe divenuto
l’attuale sistema ipermediale: chiunque, con facilità, poteva en-
trare nel web, comunicare, accedere alle informazioni. L’anno
dopo Andreessen sviluppò il nuovo browser Nescape Communica-
tion che per le sue funzionalità venne subito apprezzato. Così il
web diventa di tutti, non sono più solo i centri di ricerca o le uni-
versità a navigare, ma anche aziende private e singoli utenti, un
processo il cui apice, come abbiamo già evidenziato (cfr. supra §
2), è segnato nel 1995 dalla decisione della Microsoft di fornire con
il sistema operativo Windows anche il browser Microsoft Explo-
rer, per cui ogni personal computer IBM compatibile aveva già
istallata l’interfaccia per l’accesso alla rete. Nel 1996, solo in un de-
cennio, il numero di utenti connessi è cresciuto in modo esponen-
ziale: dai diecimila del 1987 si è arrivati ai dieci milioni di utenti
connessi. Nel 1995, intanto, anche la rete NSFnet terminò la sua
funzione.

3.2 File sharing, web 2.0 e social media


Era il 1999 quando il diciannovenne Shawn Fanning, allora stu-
dente d’informatica, e Sean Parker aprivano le porte del web a una
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 71

rivoluzione che l’avrebbe caratterizzato per gli anni a venire: crea-


rono un piccolo (di dimensioni) software che, installato sul com-
puter, permetteva l’accesso a un database condiviso tra tutti gli
utenti. Nel database erano inseriti tutti i brani musicali in possesso
di tutti gli utenti connessi, che così potevano usufruirne e scam-
biarseli. Era Napster14 (nome derivato dal soprannome di Fan-
ning), si apriva l’era dello sharing, che allora si limitava al file
sharing ma che poi avrebbe permeato i concetti basilari dell’intero
sistema web e forse anche delle culture digitali. In pochissimo
tempo Napster divenne un fenomeno di massa, all’apertura del
nuovo millennio circa cinque milioni utenti si scambiavano mu-
sica tramite web. Naturalmente, il primo impatto fu sull’industria
discografica, il sistema della produzione musicale cambiò radical-
mente, i concetti di vendita e acquisto di brani musicali non aveva
più senso. L’industria discografica cercò e ottenne tutele legali: la
RIAA (Recording Industry Association of America) denunciò Napster
e alla fine del 2000 ottenne la prima sentenza favorevole che stabi-
liva la chiusura del sito e la cessazione delle attività di sharing, solo
nel luglio del 2001 la sentenza fu esecutiva (cfr. Celentano 2007,
pp. 73-74). Ma le sentenza non poté fermare gli utenti della rete,
da allora in poi la convinzione che la rete potesse essere un luogo
di scambio universale libero da regole, dove gli utenti mettono a
disposizione contenuti indipendentemente da chi li ha creati e ne
detiene i diritti, che tutto può essere oggetto di sharing, che anche
il lavoro di progettazione o di sviluppo di un utente è liberamente
messo a disposizione nella rete. Era, ancora in nuce, quello che sa-
rebbe divenuto il sistema (2.0) dei contenuti generati dagli utenti
(UGC – User Generated Content). Il file-sharing dopo la sentenza
Napster si organizzò diversamente, attraverso una logica peer-to-

14
Su Napster sono state scritte molte pagine, per quanto qui riportato e
anche in seguito rinviamo ai lavori di Castelli 2009, Sibilla 2008, in particolare
pp. 139 ssg.
72 Riccardo Finocchi

peer: molti nodi di scambio decentralizzati e temporanei, dove sin-


goli scambiano con singoli e non sussiste un nodo centrale respon-
sabile di tutti gli scambi o un server dove i file possono essere
permanentemente disponibili. Nascono, così, diversi sistemi di
sharing che coinvolgono, progressivamente, anche altri campi
dell’industria culturale, come il cinema e l’audiovisivo, attraverso
sistemi quali eMule, LimeWire, Gnutella ecc.
L’uso del web in modalità sharing si innesta su alcuni aspetti
che abbiamo fin qui considerato: la possibilità di file standardiz-
zati, nel caso dei file musicale il formato MP3, poi la disponibilità
e la diffusione di personal computer e infine l’accesso alla rete.
Questo insieme di fattori segna uno dei passaggi verso la configu-
razione dell’attuale sistema ipermediale. L’idea che la rete potesse
essere il luogo non solo di scambio ma anche di collaborazione e
condivisione di contenuti già agli inizi del ventunesimo secolo si
faceva strada e, supportata dalla evoluzione dei sistemi software
che consentivano una sempre maggiore dinamicità e possibilità di
interazione, diveniva concretamente reale. Nel 2005 Tim O’Reilly
e Dale Dougherty in un articolo sulle nuove tendenze del web par-
larono per la prima volta di web 2.0 (cfr. O’Reilly 2005). Inizial-
mente utilizzata come definizione per distinguere le diverse
funzionalità del web rispetto a una fase precedente, indicata come
1.0, ben presto il concetto di web 2.0 ha incarnato un nuovo modo
di pensare, progettare, utilizzare il web, favorendo l’elaborazione
di nuove forme relazionali e modalità di apprendimento, nonché
di nuove strategie partecipative15. Proprio a questi aspetti è dedi-
cata la terza parte di questo libro, all’osservazione semiotico-este-
tica del web, al come accade ogni giorno la vita digitale.
L’elemento centrale del 2.0, come è noto, è il sistema degli UGC
(user genrated content), dei contenuti generati dagli utenti che ha

Su questi temi segnalo il numero di Carte Semiotiche da me curato (cfr.


15

Finocchi, a cura, 2016) su Strategie dell’ironia nel web.


Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come è accaduto 73

sostituito, o forse meglio soppiantato ogni pretesa di controllo sui


contenuti veicolati nel web (Content management system), aprendo
a una fase politica della rete, qualcosa di paragonabile a una polis
in cui si creano spazi di condivisione destinati motivare i processi
decisionali. Così, accanto ai grandi contenitori di informazioni ge-
nerate dagli utenti, che possono essere simboleggiati da Wikipedia
o da Yuotube, fondati rispettivamente nel 2001 da Jimmy Wales e
nel 2005 da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim, nascono i
social media (o social networks) destinati a raccogliere diverse
forme di aggregazione sociale attraverso scambi di contenuti,
come i più noti Facebook e Twitter o come il visual social media
Flickr o, ancora, il social preferito dai musicisti Myspace. Quest’ul-
timo è il primo in ordine temporale, creato nel 1998 da Tom An-
derson e Chris DeWolfe, permette la condivisione, soprattutto, di
musica e ha dato visibilità e successo a molti musicisti e gruppi
musicali esordienti. Nel 2002 viene lanciato Flickr dalla compagnia
canadese Ludicorp (poi acquistata dal gruppo Yahoo), si tratta di
un contenitore di immagini che permette agli iscritti di condivi-
dere fotografie personali e di controllare chi può vederle. Anche
Facebook è un social storico, che dalla sua prima versione, Facemash,
ideata da Mark Zuckerberg nel 2003, è divenuto Facebook nel 2004,
anno di fondazione della società alla cui presidenza andò Sean
Parker (cofondatore di Napster). Twitter è stato lanciato nel 2006
dalla Obvious Corporation.
Come accade

La nostra vita quotidiana accade tecnicamente. Siamo sempre


più disposti in forme di vita tecnologiche che sono, anche, l’esito
del processo che abbiamo definito e descritto nei precedenti capi-
toli. Naturalmente, non potevamo cercare di comprendere come
accade la vita intorno a noi senza aver prima osservato cosa è acca-
duto e come è accaduto, ovvero senza prima aver cercato di descri-
vere, anche nel modo sommario e frammentario dei precedenti
capitoli, come gli eventi tecnologici si sono sovrapposti e sommati
tra loro e hanno prodotto quelle forme di vita, tecniche, che vo-
gliamo osservare e comprendere. Lo strumento della ricostru-
zione cronologica, tuttavia, non è da solo sufficiente per una
interpretazione comprendente di come le tecnologie digitali e il
sistema ipermediale determinano accadimenti e non solo. È neces-
saria una prospettiva euristica che possa favorire un approccio
metodologico rigoroso ma anche una efficace chiave di lettura,
una adeguata comprensione dei fenomeni che ci accadono at-
torno. Come già sottolineato nell’apertura di questo lavoro (cfr.
supra introduzione a Cosa è accaduto), la prospettiva che sarà qui
adottata è quella semiotico-estetica, poiché proprio attraverso
questa lente, ci pare, può essere fornita una corretta interpreta-
zione della contemporaneità.

4. Semiotica ed estetica dell’ipermedialità


Nell’utilizzare la semiotica e l’estetica come discipline conti-
gue, utili all’interpretazione della forme di vita digitale, si è qui
optato per lavorare su temi esemplificabili attraverso alcuni casi e
non piuttosto su una interpretazione fondativa e generale del
mondo digitale. Questo, per un verso, pertiene a discipline che
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 75

hanno fatto dell’analisi di esemplarità (l’estetica) e degli aspetti


della vita quotidiana (la semiotica) dei punti di forza nella propria
ricerca, per altro verso, invece, è una scelta motivata dall’esigenza
di osservare un articolato sistema di fenomeni e processi ancora in
corso e per i quali non possiamo avere ancora la giusta distanza
che consenta un’analisi complessiva.
L’osservazione di ciò che sta accadendo con l’avvento
dell’ipermedialità ha coinvolto, in modo diverso, l’estetica e la se-
miotica. L’associazione Italiana di Studi Semiotici (AISS) ha dedi-
cato nel 2015 un intero convegno ai temi della interazione
digitale1, durante il quale sono emersi i diversi orientamenti già
presenti nell’area disciplinare. L’apporto semiotico è stato pensato
come semiotica specifica o applicata, ossia come una semiotica dei
nuovi media che contribuisce con i propri strumenti teorici ed euri-
stici alle analisi del sistema della comunicazione digitale e alla ri-
definizione delle forme e degli elementi testuali (in tal senso cfr.
Cosenza 2012). L’analisi semiotica, inoltre, è stata applicata anche
alle nuove forme di propaganda e comunicazione politica alle
prese con il nuovo panorama mediale digitale: si tratta della Poli-
tica 2.0 che fu tema di un altro convegno AISS2 (cfr. Montanari, a
cura, 2010). Il sistema della comunicazione pubblicitaria, tradizio-
nale campo di applicazione della semiotica, nella sua evoluzione
digitale è stato oggetto di diversi lavori di stampo semiotico: dalle
prime forme di discorsi di pubblicitari attraverso i siti internet (cfr.
Ferraro 1999; Legris-Desportes, Bitoun 2003) fino ai recenti pro-
blemi di web reputation o di influenza sui social network (cfr. Pe-
verini 2014). Non sono mancati lavori di stampo semiotico su altri

1
Il XLIII congresso AISS (Associazione Italiana di Studi Semiotici) dal ti-
tolo “Nuove forme d’interazione, dal web al mobile” (i cui atti sono in corso
di stampa) tenutosi a Bologna a settembre 2015.
2
Il XXXVII congresso AISS (Associazione Italiana di Studi Semiotici) dal
titolo “Politica 2.0 – Memorie, etica e nuove forme della comunicazione poli-
tica”, tenutosi a Bologna a novembre 2009
76 Riccardo Finocchi

aspetti del quotidiano digitale come l’analisi del fenomeno dei so-
cial network (cfr. Bigi, Codeluppi 2011), o della realtà aumentata
e dei Google Glass (cfr. Finocchi 2014; Ferraro 2014), o come le
forme di diffusione virale dei messaggi tramite web e social media
(cfr. Marino 2014; Finocchi, a cura, 2016), o ancora come il ruolo di
Google nell’organizzazione delle informazioni e nelle pratiche so-
ciali (cfr. Del Marco, Pezzini in c. di s.). Le tematiche legate al quo-
tidiano digitale sono state oggetto di un recente convegno dal
titolo “Forme di vita, utopie, tecnologie. Percorsi di senso tra este-
tica e semiotica”3 che ha visto assieme, appunto, semiotici ed este-
tici.
Anche sul fronte dell’estetica la ricerca si è mossa in diverse
direzioni. Da un lato, i problemi legati alla virtualizzazione del
mondo e del corpo nella progressiva digitalizzazione degli am-
bienti di scambio hanno portato «a pensare la struttura del mondo
virtuale come essenzialmente relazionale, o se volete come luogo
che esiste solo nell’incontro» (cfr. Diodato 2005, p. 3) e, dunque, a
definire il concetto di corpo virtuale come «immagine digitale in-
terattiva» (cfr. ivi, p. 5), nonché ad aprire la riflessione sulle impli-
cazioni estetiche dell’immersione in un ambiente virtuale4. Da un
altro lato, l’estetica ha sviluppato una riflessione che si innesta
sulla complessa tematica delle evoluzioni tecnico-digitali in rap-
porto con la qualità e le prestazioni dell’aisthesis, fino all’idea di
una tecnoestetica e di una immaginazione interattiva (cfr. Montani
2014)5. Non sono mancati aspetti della ricerca estetica sul digitale

3
Il convegno Forme di vita, utopie, tecnologie. Percorsi di senso tra estetica e
semiotica si è tenuto alla Sapienza Università di Roma, presso il dipartimento
CORIS (via Salaria 113), i giorni 4-5 dicembre 2015; gli atti del convegno sono
in corso di pubblicazione.
4
Oltre al già citato testo di Roberto Diodato (2005) si vedano: Diodato
2015; Diodato 2013; Diodato 2004.
5
Si vedano al proposito, oltre a Montani 2014, Montani 2010; Montani
2007.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 77

dedicati alla produzione artistica e gli aspetti connessi alle nuove


estetiche (cfr. Tavani 2011; Di Stefano 2012). Tutti questi orienta-
menti hanno trovato uno spazio di discussione nel recente conve-
gno “L’abitare possibile. Estetica, architettura e new media”6.

4.1 Paradigma continuista vs discontinuista


Come sempre, quando ci si trova al cospetto di profondi cam-
biamenti che coinvolgono diversi aspetti delle pratiche umane,
come nel caso della rivoluzione digitale, avviene una separazione
più o mena netta tra chi, nell’osservare e intrepretare, adotta un
paradigma continuista (che non ravvisa mutamenti fondamentali
rispetto al passato ma solo un’evoluzione) e chi un paradigma di-
scontinuista (che invece ravvisa una frattura netta con il passato e
l’avvento di modalità inedite). La questione, sebbene in termini
differenti, era già stata posta da Umberto Eco al momento in cui
iniziava la vera diffusione dei mass media, negli anni sessanta del
novecento, laddove ravvisava due diverse reazioni ai cambia-
menti impressi alla società dalla cultura di massa. Così, per un
verso, si poteva riscontrare un atteggiamento apocalittico nel co-
gliere nella società nascente e nella sua cultura una caduta irrecu-
perabile dei valori dell’umano, mentre, per altro verso, opposto,
era rilevabile l’atteggiamento dell’ottimista integrato nella nuova
cultura e le sue speranze in un mondo migliore a venire, in una
nuova organizzazione sociale propiziabile proprio a partire
dall’avvento della cultura di massa (cfr. Eco 1964).
I concetti di apocalittici e integrati sono solo in parte adeguati
a descrivere le reazioni all’avvento della cultura digitale, laddove
prevalgono atteggiamenti polarizzati sull’idea che il digitale abbia
prodotto, o no, un cambiamento radicale delle nostre forme di

6
Il convegno L’abitare possibile. Estetica, architettura e new media si è tenuto
a Ravello - Auditorium Oscar Niemeyer - il 28-30 maggio 2013, le riflessioni
scaturite dal convegno sono ora raccolte nel volume De Luca, a cura, 2015.
78 Riccardo Finocchi

vita, che abbia profondamente modificato, o no, il sistema percet-


tivo umano ecc. Proprio per questo ci è sembrato adeguato pro-
porre una dicotomia che ponesse gli atteggiamenti verso il digitale
nei termini opposti di continuo e discontinuo. Opponendo, cioè,
“il nulla è cambiato” (forme di vita, esseri umani…) tranne gli
aspetti esteriori e accidentali e, “le cose sono cambiate” negli
aspetti profondi anche se esteriormente possono sembrare uguali.
Naturalmente, qui si adotterà un criterio di osservazione scienti-
fica che esula dall’aderire al paradigma continuista o discontinui-
sta anche laddove, inevitabilmente, saranno rilevate delle
continuità o delle fratture con il passato.

4.2 Estetica e semiotica dell’incremento: realtà aumentata e sog-


getti locativi
Il sistema ipermediale, come abbiamo visto, ha prodotto un au-
mento degli scambi comunicativi senza precedenti nella storia: la
standardizzazione dei formati digitali ha consentito che testi, im-
magini, suoni e audiovisivi potessero essere ugualmente gestiti su
diversi dispositivi a base digitale, dal computer allo smartphone,
passando attraverso il web; l’evoluzione delle memorie, sempre
più piccole e capienti, in grado di conservare dati senza alimenta-
zione, ha consentito la diffusione di dispositivi mobili sempre più
efficienti e sempre meno ingombranti; le trasformazioni di inter-
net e del web hanno portato alla possibilità di connettersi con sem-
pre maggiore rapidità e da ogni luogo abitato. Tutto questo ha
favorito lo sviluppo dei locative media.
Abbiamo già visto (cfr. supra § 1.7) che i media locativi inter-
vengono nella vita quotidiana e influenzano l’esperienza dello
spazio, ad esempio attraverso la funzione guida di un navigatore
digitale a cui un utente delega parte della propria attività cogni-
tiva lasciando che il dispositivo elabori per lui percorsi (stradali),
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 79

o anche nel caso del car sharing digitale in cui dispositivi interope-
ranti forniscono all’utente informazioni di tipo variabile su aspetti
dello spazio (urbano) completamente al di fuori dalla sua portata
sensibile, e che condizionano, ancora, l’attività cognitiva e l’espe-
rienza dello spazio. Questo tipo di interazione digitale tra device,
soggetto detentore del device, mondo o spazio “reale” e mondo o
spazio digitale può essere inscritta sotto la definizione augmented
reality. Naturalmente, quanto appena affermato apre una serie di
nodi teorici che è bene esprimere subito: 1) il primo è il legame che
intercorre tra locative media e augmented reality; 2) quindi la que-
stione di una definizione, tutt’altro che scontata, di mondo reale;
3) in terzo luogo una ridefinizione, già segnalata, dell’esperibilità
dello spazio; 4) inoltre le conseguenze sulla percezione della cor-
poreità; 5) infine il rapporto che si determina tra realtà aumentata
e immaginazione.
1) La definizione di augmented reality include diverse attività,
dalle visualizzazioni di testi o oggetti 3D a partire da QR-code
(Quick Response Code) fino alle funzionalità dei Google Glass. So-
stanzialmente, producono realtà aumentata tutti quei dispositivi
con software programmato per aumentare, incrementare, il
campo delle conoscenze e delle percezioni attraverso l’evidenzia-
zione di dati del/sul mondo, convogliati attraverso il web, che al-
trimenti non sarebbero disponibili o non immediatamente
disponibili e che, in un’azione congiunta con i processi di localiz-
zazione, istaurano un forte legame con lo spazio in cui si trova il
device connesso. La sinergia tra locative media e augmented reality,
dunque, è ciò che nelle prassi quotidiana interviene nel rifigurare
le attività percettive e semiotiche nonché estetiche degli individui
e, proprio questo, può risultare interessante dal punto di vista di
una semiotica estetica qui adottato. Questa sinergia si manifesta in
un gran numero di azioni quotidiane: ad esempio quando in uno
spazio pubblico viene utilizzata l’applicazione Shazam per ricono-
scere (o meglio conoscere) l’autore e il titolo della musica che si sta
80 Riccardo Finocchi

ascoltando; oppure quando si utilizza l’app wine scanner (o vivino)


che identifica i vini dall’etichetta e fornisce commenti, informa-
zioni e abbinamenti gastronomici per il vino; o durante la guida
di un’automobile dotata di un dispositivo di forward collision war-
ning o forward collision alert, che elabora dati provenienti dalla
strada e segnala un possibile pericolo/ostacolo nel percorso; o an-
cora, nelle attività turistiche, laddove al posto di pesanti guide in
carta stampata, possono essere utilizzati smartphone in grado di
ricevere informazioni dai QRcode disseminati nei punti chiave
delle città, nonché nell’uso della fotocamera del cellulare come
“lente” per inquadrare monumenti e luoghi d’interesse e ricevere,
tramite app, le informazioni turistiche sullo schermo dello telefono
portatile in sovraimpressione alle immagini (come aumento, in-
cremento del reale visibile sullo schermo); per non dire dell’app ca-
talogo Ikea che, attraverso lo schermo del device locativo, permette
di vedere in modalità augmented reality il mobile che si vorrebbe
acquistare posizionato nel punto desiderato della propria abita-
zione. È possibile aggiungere, inoltre, il già ricordato navigatore
digitale, che oltre al percorso fornisce anche informazioni aggiun-
tive su ciò che è possibile incontrare nelle vicinanze (un distribu-
tore di benzina, il bar più vicino ecc.), o il car sharing. Sono
disponibili talmente tante applicazioni di augmented reality, che
iniziano ad affermarsi dei “browser” di realtà aumentata7 che con-
sentono di integrare più applicazioni di augmented reality per ren-
derle disponibili simultaneamente sul dispositivo dell’utente: una
volta avviato il software/browser è possibile esplorare il mondo
circostante disponendo di, e vedendo in sovraimpressione sullo
schermo, tutte le informazioni aumentate che riguardano quel
mondo circostante, anche attinte dai social come TripAdvisor o dai
tweet degli utenti.

7
Si veda ad esempio il software Wikitude focalizzato sulla fornitura di
location-based augmented reality experiences attraverso il browser Wikitude App
World.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 81

2) Tutti i casi riportati, resi possibili solo dalla sinergia tra realtà
aumentata e media locativi, presentano una sovrapposizione tra
un mondo reale e un incremento di mondo. Proprio questa duplice
nozione di mondo, in parte oppositiva e in parte complementare,
necessita un approfondimento. Il mondo reale, possiamo dire, è
quello che cogliamo nel suo apparire sensibile, rinviando così alla
definizione di mondo naturale data da Greimas e Courtés nel Di-
zionario di semiotica: «intendiamo come mondo naturale l’appa-
renza secondo la quale l’universo si presenta all’uomo come un
insieme di qualità sensibili, dotato di una determinata organizza-
zione» (Greimas, Courtés 1979, p. 205). Questa apparenza sensi-
bile è l’aspetto di superficie (cfr. ivi) «rispetto alla struttura
‘profonda’ dell’universo, che è di ordine fisico, chimico, biologico
ecc.» (ivi). Il mondo naturale, però, sottolineano ancora Greimas e
Courtés, è «soprattutto una struttura ‘discorsiva’, poiché si pre-
senta nell’ambito della relazione soggetto/oggetto, come ‘l’enun-
ciato’ costruito dal soggetto umano e da lui decifrabile» (ivi). Una
struttura discorsiva decifrabile, ovvero interpretabile, che rinvia
sia al concetto di “mondo abitabile” della tradizione filosofica di
matrice ermeneutica per la quale, detto in modo riduttivo, il
mondo abitabile è tutto ciò che è racchiuso entro l’orizzonte
dell’interpretabile (cfr. Gadamer 1960), sia a un collegamento con
alcuni presupposti della semiotica interpretativa. Al mondo reale,
così definito, si sovrappone un incremento di mondo, attinto dal
complesso del sistema ipermediale, presente nel web in modo dif-
fuso, in una forma testuale frammentata e dispersa, che viene rac-
colto e indicizzato, o se vogliamo pertinentizzato, a partire dalla
localizzazione del device che riceve l’incremento di mondo stesso,
ossia a partire dallo spazio reale (mondo reale) in cui è collocato il
device e a cui l’incremento di mondo si sovrapporrà. Si tratta di un
incremento tecnico del mondo che avviene automaticamente tramite
la localizzazione e per il quale l’azione del soggetto umano coin-
volto incide solo in minima parte. Dunque, mondo reale e mondo
82 Riccardo Finocchi

incrementato sono tra loro complementari, poiché non ci può es-


sere incremento di mondo reale senza un mondo reale di riferi-
mento, ma anche oppositivi, poiché tutto ciò che riguarda gli
aspetti incrementati, pur avendo come riferimento il mondo reale,
ha senso in quanto non è, propriamente, il mondo reale, ma si con-
figura come un mondo altro delineato in opposizione al mondo
reale. In altra sede, ho proposto di definire questo mondo altro con
il concetto di ipermondo8. È evidente, già da queste prime osserva-
zioni, che il mondo incrementato interviene, decisamente, nella
struttura discorsiva e negli enunciati interpretabili che un sog-
getto dotato di un device locativo costruisce nella relazione con l’og-
gettività del mondo, modificando così lo stesso orizzonte di mondo
abitabile.
3) Quanto appena affermato si rende evidente nel terzo nodo
teorico indicato in precedenza, cioè nella ridefinizione ed esperi-
bilità dello spazio. In tal senso si pensi all’uso di quelle applica-
zioni basate sulle mappe digitali (Google Maps9), che appunto
agiscono sul rapporto tra un soggetto-utente, il mondo (o spazio)
reale e l’ipermondo, quali ad esempio: a) il più volte richiamato
car sharing; b) l’app delle aziende dei trasporti locali istallate su de-
vice mobili che forniscono informazioni sul transito e sui tempi di
arrivo dei bus alla fermata in cui è localizzato l’utente; c) le fun-
zioni di ricerca di servizi, in grado di individuare nel raggio di
azione dell’utente, ad esempio, sia la fermata della metropolitana
sia la farmacia di turno aperta e, inoltre, di visualizzarle su mappe
digitali con indicato il percorso da seguire per raggiungerle; d) la
location based mobile dating (evoluzione del dating online - incontri

8
Cfr. la mia relazione Iperimmaginare l’ipermonodo: locative media e augmen-
ted reality presentata al convegno internazionale dell’AISS (Associazione Ita-
liana Studi Semiotici) “Nuove forme d’interazione dal web al mobile”,
Università degli di Bologna, 25-27 settembre 2015, ora in corso di stampa su
E/C rivista di semiotica. Sul concetto di ipermondo cfr. anche Codeluppi 2012.
9
Cfr. Finocchi in c. di s.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 83

tra persone organizzati attraverso siti web) che consente, attra-


verso dispositivi locativi mobili, di individuare sulle mappe digi-
tali il luogo geografico, vicino o lontano, in cui si trovano degli
altri utenti disponibili al dating. Da questi pochi esempi, a cui se
ne potrebbero aggiungere molti altri, si possono trarre alcune ri-
flessioni. In primo luogo, laddove è richiesta al soggetto una atti-
vità esplorativa degli spazi del mondo risponde una
pianificazione tecnica dell’agire. Se per un verso questo rappre-
senta un’utile semplificazione della vita quotidiana, poiché il sog-
getto dispone di nuove pertinenze o dati sul mondo, per altro
verso influenza le decisioni “tattiche” sul modo di affrontare lo
spazio e riduce, in parte, le esperienze possibili, soprattutto negli
aspetti che De Certau (1980) aveva definito come “tattiche di resi-
stenza”, cioè laddove l’agire soggettivo nell’incontro con l’ogget-
tività del mondo è guidato dall’invenzione del quotidiano anziché da
una esplorazione tecnicamente progettata. In secondo luogo, l’at-
tività di orientamento di un soggetto nella spazio, il senso della
conoscibilità-riconoscibilità dei luoghi, non si basa sulla raccolta
di segnali presenti nel mondo reale ma su segnali presenti in un
dispositivo tecnico che ha elaborato attraverso un programma
software informazioni e conoscenze dall’ipermondo. In tal senso,
possiamo dire, la percezione dell’ambiente circostante si fonda
solo parzialmente su dati sensibili provenienti dal mondo reale e
per buona parte, invece, su dati attinti dal mondo incrementato.
Infine, dobbiamo osservare, avviene uno spostamento, una ricon-
figurazione, del limite del percepibile che si estende oltre il campo
della sensibilità, in una relazione con lo spazio circostante e agibile,
fuori dalla portata sensibile di un soggetto che però, attraverso un
incremento tecnico del mondo, ha sufficienti elementi per una ela-
borazione cognitiva. Così, il soggetto posto contemporaneamente
nel mondo reale e nell’ipermondo può gestire lo spazio percettivo
oltre i confini della presenza (fisica), può utilizzare i dati, non sen-
84 Riccardo Finocchi

sibilmente percepiti ma resi disponibili dal dispositivo tecnolo-


gico, per elaborare una propria strategia conoscitiva e orientarsi in
uno spazio esteso. Naturalmente, le osservazioni precedenti non de-
vono essere pensate in una prospettiva riferibile a quella che Mon-
tani (2014, pp. 88 sgg.) ha indicato come la via cartesiana nell’uso
della augmented reality, una ottimizzazione delle operazioni del
soggetto con relativa deprivazione «della ricchezza che gli pro-
viene dalla contingenza e dall’imprevedibilità» (cfr. ibid)10, quanto
piuttosto, possono essere pensate come il sintomo di un cambia-
mento delle qualità nella prestazione percettiva e sensibile dei sog-
getti.
Avremo modo di tornare su come la tecnologia interviene
sulla qualità della sensibilità e della percezione (cfr. infra § 4.4), è
evidente però, nei casi appena presi ad esempio, che la relazione
tra il soggetto percipiente e il mondo reale (o naturale), quella
struttura discorsiva costruita su enunciati decifrabili (di cui Grei-
mas, Courtés 1979), è alterata dal mondo incrementato: un sog-
getto dotato di un device locativo nella propria relazione con
l’oggettività del mondo costruisce enunciati a partire da un in-
sieme di dati sensibili del mondo reale e di dati ottenuti da un in-
cremento del mondo che, come abbiamo visto, modifica l’orizzonte
del mondo abitabile e interpretabile. L’incremento di mondo, so-
stanzialmente, garantisce un’estensione della percepibilità del
mondo e dunque modifica l’orizzonte discorsivo con cui defi-
niamo il mondo e ne facciamo esperienza. Dobbiamo aggiungere,
e questo forse è il dato più rilevante, che l’incremento di mondo è
un incremento tecnico di mondo, cioè una processazione tecnologica a
opera di software programmati per elaborare aspetti della spazia-
lità del mondo sensibile che rientrano nel campo delle possibilità

Naturalmente Montani (2014) indica anche una diversa e, diciamo, op-


10

posta prospettiva che indica come via merleau-pontyana.


Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 85

esperienziali di un essere umano. Come avviene nei casi sopraci-


tati: a) la posizione del bus nello spazio sensibile e il tempo che
impiegherà ad arrivare, ossia a divenire sensibilmente percepibile,
sono elaborati da sistemi interoperanti (il GPS del bus, le mappe
digitali, il device locativo) che processano dati del mondo sensi-
bile variabili e imprevedibili collegati al movimento nello spazio;
b) anche la possibilità di individuare un’auto disponibile per il car
sharing e raggiungerla, ossia farla rientrare nel campo degli oggetti
sensibilmente percepibili, è elaborata da sistemi interoperanti (an-
cora GPS, mappe e locative media); c) così la location based mobile
dating si basa sempre su sistemi tecnologici interoperanti che pro-
cessano dati variabili (due media locativi tra loro). Insomma, in
tutti questi casi, la struttura discorsiva, l’enunciato costruito dal
soggetto umano e da lui decifrabile (cfr. ibid), si basa su dati elabo-
rati e processati da un dispositivo tecnologico e non sulle qualità
sensibili del mondo naturale (reale): si fonda su una assenza di
relazione col mondo reale e una presenza di incremento tecnico di
mondo, incremento che è già un elaborazione discorsiva trascritta
da dispositivi tecnologici interoperanti (dove si trova il bus o
l’auto per lo sharing).
4) La sinergia tra realtà aumentata e media locativi disponibili
per l’essere umano nella relazione con il mondo apre a una rifles-
sione sulla corporeità. Naturalmente, non è questa la sede per una
ricostruzione della nozione di corpo nella filosofia e in particolare
nell’estetica e nella fenomenologia, o piuttosto del ruolo del corpo
nella tradizione semiotica. Certamente, non siamo interessati a
una semiotica del corpo pensata «come un “alone somatico”», lad-
dove alcuni «semiologi odierni si occupano fondamentalmente di
gesti e di mimogestualità»11, e per i quali «il corpo non è che un
adiuvante della comunicazione, uno strumento, un accessorio di

11
In tal senso alcuni lavori non propriamente ascrivibili al campo discipli-
nare della semiotica ma che a questa fanno riferimento, per cui ad esempio
cfr. Poggi 2006; Diodato 2003.
86 Riccardo Finocchi

cui fa uso il soggetto nell’enunciazione» (cfr. Fontanille 2004, p.


191), cioè un corpo considerato come corpo comunicante. Piuttosto,
nel caso della locatività e dell’incremento di mondo che stiamo
esaminando, ci interessa centrare l’attenzione sul corpo in quanto
collocato nel mondo, sul fatto che la presa di posizione di un corpo
nel mondo diviene cruciale per la produzione di significati, poiché
il corpo che si muove nel mondo «è in qualche modo l’operatore
della semiosi che, interiorizzando le figure del mondo naturale, le
rende significanti per l’uomo» (cfr. ivi, p. 206), cioè un corpo con-
siderato come corpo significante. È già chiaro da queste prime os-
servazioni che l’intersezione tra media locativi e realtà
incrementata pone un problema di presa di posizione del corpo
nel mondo, quantomeno perché parallelamente al posiziona-
mento nel mondo reale vi è un posizionamento nell’ipermondo
che contribuisce in modo decisivo a rendere significanti le figure
del mondo reale. Per poter meglio chiarire la questione problematica
faremo ricorso, in modo del tutto strumentale alle nostre esigenze
argomentative, alla distinzione, elaborata nell’ambito della feno-
menologia, tra corpo vissuto/proprio (Leib) e corpo anatomico
(Körper).
Prendiamo ad esempio un navigatore digitale integrato dalle
funzioni di realtà aumentata attraverso il quale è possibile visua-
lizzare sia un percorso, sia ciò che si può incontrare nel percorso,
compresi monumenti e siti di interesse turistico. Un soggetto che
utilizza il navigatore digitale è, innanzi tutto, un corpo collocato
nel mondo reale (o naturale), da questa posizione corporea opera
la semiosi, quell’operazione per cui, riprendendo ancora Fonta-
nille, il corpo incontra il mondo e si produce un senso: «l’espe-
rienza minima del senso, ossia del fatto che ‘c’è qualcosa che ha
un senso’, implica perlomeno un incontro tra […] il movimento
del mondo in divenire […] e quello del corpo» (cfr. Fontanille
2004, p. 207). Solo che il navigatore digitale e la realtà aumentata
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 87

intervengono nelle forme elementari di esperienza del senso poi-


ché forniscono all’utente dati sul mondo in divenire già processati
(tecnologicamente) e dotati di senso, ad esempio: indicando che
dietro l’angolo c’è il tal monumento; o stabilendo per l’utente
l’orientamento del corpo nello spazio; o ancora nel segnalare che
il bus in arrivo è quello che si dovrà prendere; o piuttosto indi-
cando un ostacolo nel percorso se il navigatore è anche dotato di
avviso di collisione e così via. In tutti questi casi, il corpo del sog-
getto senziente rimane posizionato nel mondo reale ma contem-
poraneamente è posizionato nello spazio delle mappe digitali,
ossia nell’ipermondo, da cui attinge dati ed elementi sui movi-
menti, in divenire, del mondo reale nel quale, a sua volta, si muove
(dati ottenuti da sistemi interoperanti). Dunque, possiamo ipotiz-
zare, per un verso che il corpo – anatomico (Körper) – sia fisica-
mente nel mondo reale e che, per altro verso, quell’insieme di
corporeità, soggettività e autopercezione come corpo nel mondo
(essere corpo) – il corpo vissuto o corpo propio (Leib), in cui si è
sedimentata l’esperienza, che è fonte del senso – sia collocato, an-
che, ma non solo, nell’ipermondo, nello spazio digitale. Il corpo,
in questi casi, assume una connotazione di corpo digitale, caratte-
rizzata dal fatto che l’autopercezione della propria collocazione
spaziale e la produzione di senso che scaturisce dall’incontro col
mondo reale rielabora, anche, quanto incontrato nello spazio digi-
tale. Tutto ciò è più evidente in quelle forme di realtà aumentata
(sempre su device locativi) cosiddetta immersiva, in cui il dispo-
sitivo si frappone tra l’utente e il mondo, come una lente, la-
sciando apparire l’incremento di realtà, o come le vere e proprie
lenti degli occhiali intelligenti che supportano realtà aumentata
quali i Google Glass.
5) L’immaginazione è un concetto che appartiene al lessico
dell’estetica: intesa come fantasia e creatività ma anche come fan-
tasma e visione, rimane sempre comunque collegata all’ambito
88 Riccardo Finocchi

delle immagini12. Non è questa la sede per ripercorrere in modo


esaustivo uno dei temi più complessi e sfuggenti con cui si con-
fronta il pensiero filosofico estetico, tuttavia possiamo dire che qui
faremo leva su almeno due modi di pensare l’immaginazione, in
parte convergenti, comunque utili a delineare un quadro di riferi-
mento. In primo luogo pensando all’immaginazione come a quella
capacità umana di mettere in immagine qualcosa che ha senso pur
non essendo sensibilmente percepibile, cioè, detto in modo ridut-
tivo e con una certa libertà, come quella capacità di mettere in im-
magine qualcosa che ancora non c’è ma che è del tutto possibile e
sensata, capacità che può essere pensata anche come processo
creativo e/o produttivo attraverso il quale operiamo, cioè realiz-
ziamo opere (in tutta la portata del termine operare). In tal senso,
ad esempio, nel testo Creatività, Emilio Garroni (2010), individua
nella capacità umana di immaginare una dimensione metaopera-
tiva: quella per cui operiamo con uno strumento per creare un al-
tro strumento, la pietra per scolpire la pietra e realizzare una
punta di freccia che, prima di essere scolpita, esisteva solo nell’im-
maginazione, sovrapponendo, così, capacità tecnica e capacità di
immaginare. In secondo luogo, se vogliamo in una riformulazione
nei termini kantiani, nell’idea che sussista una «intermediazione ori-
ginaria garantita dall’immaginazione tra qualcosa che è dato e
qualcosa che ha senso» (cfr. Montani 1999, p. 14). Ovvero che l’im-
maginazione soggiaccia a una attività attraverso la quale ci è pos-
sibile una comprensione del mondo reale, cioè quell’attività
attraverso cui il non ancora conosciuto (da comprendere) viene
messo in immagine – immaginato – come qualcosa che può rientrare
nell’orizzonte del sensato (comprensibile). Insomma, così intesa

12
Sulla valenza estetica dell’immaginazione rinviamo alla ricostruzione
storico-concettuale nel testo di Ferraris 1996. Sul tema dell’immaginazione e
dell’estetica insiste Pietro Montani (1999, 2010, 2014) in tre testi dedicati ad
altrettante forme dell’immaginazione: narrativa, intermediale e interattiva. Si
veda anche Garroni 2005.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 89

l’immaginazione è ciò che consente di cogliere il mondo sensibile


nei termini in cui «il sensibile è incontrato nel suo aprirsi a una
significanza ideale e ci ha già informato che l’uno non sarebbe
senza l’altra e viceversa» (cfr. ivi).
È del tutto evidente che i dispositivi tecnologici digitali locativi
in grado di fornire realtà incrementata agiscono profondamente
sulle attività dell’immaginazione. Anche in questo caso sarà bene
avvalersi di esempi: la realtà aumentata per la fruizione di beni
culturali e, soprattutto, archeologici. Si tratta di app scaricabili su
device mobili che consentono di osservare attraverso la realtà au-
mentata siti, o città, di interesse culturale. Per esempio Streetmu-
seum realizzato da Museum of London nel 2009 è un’applicazione
che consente di girare per Londra e poter vedere in 3D, sullo
schermo dello smartphone, in sovrapposizione al mondo reale,
come apparivano alcune strade o punti della città nei dipinti e
nelle litografie antiche, o anche in foto d’epoca (cfr. Bonacini 2014).
O ancora più interessante l’applicazione i-MiBAC Voyager, lanciata
nel 2011, che consente di visitare l’intera area archeologica dei Fori
Imperiali di Roma vedendo sovrapposti al mondo reale, sempre
attraverso lo schermo di un device mobile, gli edifici e i templi
come dovevano apparire nell’età costantiniana13: sostanzialmente
laddove ora ci sono solo rovine il device locativo augmented reality
ci mostra cosa c’era. L’app è programmata per allinearsi sempre al
punto di vista del device, per cui mentre l’utente cammina per i
Fori romani il device gli restituisce la ricostruzione 3D della pro-
spettiva inquadrata dall’obbiettivo del device in movimento,
l’utente ha così la sensazione di essere contemporaneamente in
due mondi: le rovine del reale14 da una parte, la ricostruzione del

13
È possibile avere una demo delle funzionalità di i-MiBAC Voyager nel vi-
deo yuotube: https://www.youtube.com/watch?v=TQwuydX8Cl8.
14
È qui voluto il richiamo alla celebre frase “benvenuti nel deserto del
reale” pronunciata da Morpheus nel film Matrix (1999) dei fratelli Wachow-
ski, poi ripresa come titolo di un libro da Žižek (2002).
90 Riccardo Finocchi

mondo incrementato dall’altra. L’attività attraverso cui, a partire


da un dato sensibile (le rovine) che il corpo in movimento incontra
nel mondo reale, si può mettere in immagine qualcosa che non c’è
più (il che equivale a dire che ancora non c’è ) ma che è, del pari,
possibile e sensato (la ricostruzione del mondo incrementato) è
una attività dell’immaginazione, solo che, in questo caso, è l’atti-
vità risultante da una software che processa dati e informazioni
attraverso un dispositivo tecnologico a cui, l’essere umano, ha de-
legato il compito di immaginare. Si tratta, dunque, di immagina-
zione tecnologica, la cui particolarità è una potente forza reificante,
poiché l’immaginario, quel qualcosa che seguendo le definizioni a
cui ci siamo attenuti abbiamo inteso come qualcosa che non c’è ma
è sensato e diviene possibile attraverso l’operare, con i locative me-
dia e l’augmented reality, può essere messo in immagine effettiva-
mente, ossia in modo da essere sensibilmente percepibile in una
immagine visibile anche in assenza di un concreto operare umano.

4.3 Ironia, parodia, fake e antagonismo web.


Era la fine dell’anno duemila, nessuno ancora aveva mai par-
lato di 2.0 ma – nel web – si potevano cogliere i segni di ciò che
sarebbe divenuto il web: Napster era stato appena lanciato e di lì a
poco avrebbe visto la luce Wikipedia. In quel periodo, un gruppo
di studenti del MIT di Boston registrò il dominio bonsaikitten.com:
la prima grande “bufala” web nella storia. Il sito offriva in vendita
un prodotto originale, gatti che restano sempre cuccioli dopo es-
sere cresciuti in un vaso di vetro. Il metodo per realizzare gatti
bonsai è illustrato da fotografie che mostrano nel dettaglio il pro-
cedimento utilizzato: a poche settimane dalla nascita le ossa dei
gattini sono piuttosto morbide e malleabili, questo consente di in-
trodurli in contenitori di vetro per contenerne la crescita e mante-
nerli di dimensioni ridotte anche dopo aver rotto il contenitore. La
cosa è evidentemente falsa e altrettanto evidentemente impossi-
bile, ma questo non impedì una mobilitazione internazionale
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 91

dell’opinione pubblica e degli animalisti, all’inizio tramite email


circolari, poi attraverso l’informazione giornalistica e televisiva15,
infine coinvolgendo anche l’FBI che chiuse il sito.
Si apriva così una modalità dello “stare” on line che avrebbe
caratterizzato profondamente il web a venire, contrassegnata
dalla costruzione mediatica di false informazioni con un intento a
volte burlesco, che volontariamente o meno svela e denuncia il
precario principio di verità nell’informazione (che prima dell’av-
vento di internet era gestito da pochi), a volte ironico e parodistico,
che si inserisce, invece, nel solco di una lunga tradizione letteraria,
dalla comicità di Aristofane alla satira dell’Aretino fino a oggi.
Queste modalità di utilizzo del web hanno assunto man mano una
connotazione antagonista, sia verso le forme di potere in genere,
sia verso l’avversario.
Il fenomeno ironico-parodistico è divenuto sempre più evi-
dente nel web, tanto che in altra sede (cfr. Finocchi, a cura, 2016)
ho proposto di individuare una vera e propria strategia dell’ironia
nel web, le cui fila del discorso vorrei qui riprendere. L’ipotesi è
che nell’attuale sistema ipermediale siano rilevabili nuovi para-
digmi comunicativi improntati a un aumento delle forme di ironia
per favorire la viralizzazione dei messaggi. Con strategie dell’ironia
si vogliono intendere qui tutte quelle “forme ironiche” largamente
intese, come la parodia, la satira e il sarcasmo, ma anche, appunto,
beffe o burle (che ricordano le attività dei troll nei social media16),
così come i fake che, abbiamo visto, circolano e si diffondono in
rete.
L’ironia è una inversione semantica (antifrasi), un «dire l’oppo-
sto di ciò che si crede e che realmente è» (cfr. Mortara Garavelli
1988, p. 166), o più in generale un rovesciamento di prospettiva,

15
Il sito italiano gattibonsai.com, replica dell’originale statunitense, fu de-
nunciato dalla conduttrice televisiva Licia Colò e chiuso dalla Polizia Postale.
16
Su questi temi è intervenuto di recente Francesco Mazzucchelli (2015).
92 Riccardo Finocchi

una peripezia che determina le condizioni con cui vengono capo-


volti i punti di riferimento di un’interlocuzione, lasciando così ap-
parire «un senso nuovo e forse più illuminante della situazione in
cui ci si trova» (cfr. Russo Cardona 2009, p. 7). Pertanto l’ironia ha
una funzione conoscitiva, nel senso che lascia apparire nuovi
aspetti della realtà che non erano evidenti ma che un ricettore
sente come possibili. In tal senso, si fonda sempre su qualcosa di
ammissibile come sensato: il non senso non appartiene alle forme
dell’ironia. L’ironia, dunque, si caratterizza come una forma te-
stuale in cui un rovesciamento di prospettiva lascia emergere un
senso ulteriore rispetto a quello manifesto, un senso che può es-
sere colto in quanto si iscrive nell’orizzonte del possibile. Tutto ciò
con una immediatezza che richiama la battuta, il motto di spirito
(cfr. Freud 1905).
Si comprende allora come nel sistema degli ipermedia, dove
comunicare rapidamente i contenuti è essenziale per poter essere
non solo visti ma anche condivisi (ossia viralizzati), l’ironia è un
ottima strategia per far sopravvivere un testo, soprattutto quando
si tratta di un testo visivo, di immagini. Per chiarire meglio, sarà
utile ricorrere a un esempio (già utilizzato in altra sede – cfr. Fi-
nocchi, a cura, 2016). Per pubblicizzare il ritorno in edicola del
giornale l’Unità (avvenuto il 30 giugno 2015) il ministro Maria
Elena Boschi si è fatta fotografare con il primo numero del giornale
aperto tra le mani (fig. 1). A partire da questa fotografia è stata
realizzata, da anonimi utenti della rete, una seconda immagine,
frutto di una manipolazione digitale, in cui si vede Boschi che
tiene tra le mani la copia dell’Unità rovesciata (fig. 1). La fotogra-
fia manipolata di Boschi è diventata immediatamente virale e,
nell’universo dei social media, è stata oggetto di moltissimi com-
menti che, considerandola vera, come se fosse uno “scatto ru-
bato”, ne sottolineavano l’involontaria ironia.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 93

Fig. 1 - Boschi con una copia dell’Unità.

In verità il testo è costruito attraverso una strategia ironica,


operando una inversione semantica, un’antifrasi rispetto all’imma-
gine originale, ottenuta attraverso un ribaltamento/rovesciamento
di prospettiva – che in questo caso coincide con una immagine
davvero rovesciata – che ne cambia il senso e lascia emergere un
significato ulteriore rispetto all’immagine iniziale.
Nel caso della fotografia, sia quella presa ad esempio sia in ge-
nere, l’ironia è sempre ottenuta attraverso una manipolazione di-
gitale che parte da un testo originale non manipolato (o da più
testi originali uniti assieme nella manipolazione17). Generaliz-
zando, comunque, possiamo dire che l’ironia opera sempre, anche
quando non si tratta di immagini, una sorta di manipolazione per

17
Si veda a tal proposito il fenomeno del morphing per cui cfr. Finocchi,
Perri 2015.
94 Riccardo Finocchi

produrre testi, laddove il rapporto con il riferimento è alterato at-


traverso un ribaltamento o un cambiamento di senso, come ad
esempio nelle frasi comuni in cui si usa dire: “che idea geniale!”
per riferirsi a una evidente scempiaggine, oppure: “che mira!” per
riferirsi invece a chi ha sbagliato bersaglio. L’affermarsi di una
strategia dell’ironia, nel panorama ipermediale, ha visto una pre-
valenza dei testi visivi che è stata anche favorita dalla diffusione
di software user friendly per la manipolazione delle immagini di-
gitali che consentono, agli utenti, di apportare con estrema facilità
degli interventi produttivi (creativi) di tipo ironico.
Ma torniamo al senso ulteriore prodotto dal ribaltamento iro-
nico nel testo in cui Boschi legge l’Unità a rovescio (fig. 1): il gior-
nale torna in edicola con una nuova linea editoriale – cambia verso,
per riprendere lo slogan del PD e di Renzi che dell’Unità sono
maggiorenti – e nelle mani della nuova dirigenza (di cui Boschi fa
parte) si ritrova rovesciata. L’effetto ironico fa leva su sentimenti
in parte già condivisi dai ricettori del testo, se vogliamo su un
senso latente: per un verso sul sentimento dell’antipolitica per cui
l’immagine simboleggia l’incapacità dei politici (“la politica che
manda tutto a picco”, “in che mani stiamo”); per altro verso fa leva
sulle nostalgie di un passato più a sinistra (“il PD è tutto a rove-
scio”, “ecco il nuovo PD”); per altro verso ancora il senso ironico
viene rivolto verso la Boschi, verso la sua attività di politico, fa-
cendo leva sull’opinione latente che i ricettori hanno di lei, per cui
leggere il giornale al contrario rinvia al fatto che non legge dav-
vero, che legge “per posa” senza prestare attenzione a ciò che fa,
e quindi connota “sciatteria”, “superficialità” o “stupidità”. Il mec-
canismo ironico, dunque, è efficace poiché si regge in parte sulle
attese dei ricettori, sul senso condiviso, sul mettere in immagine
ciò che già è (dai più) immaginato. Questo a conferma del fatto che
“il ribaltamento di senso non è condizione sufficiente dell’ironia,
per caratterizzare la quale è almeno altrettanto necessario
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 95

l’aspetto pragmatico” (Mizzau 1984, p. 19). È proprio questa di-


mensione pragmatica necessaria all’ironia, questo stretto legame
con il contesto sociale di ricezione, a rendere l’ironia così adeguata
al web: il messaggio ironico funziona (non è sbagliato) poiché la
collettività riconosce un senso, una sensatezza, in certa misura già
presente in modo latente, sul piano immaginario, che il testo iro-
nico lascia emergere proprio in virtù del fatto che suscita consenso
e che proprio nel web trova l’adeguata cassa di risonanza. Pos-
siamo dire che un testo ironico arriva inatteso e in parte atteso, e
in questa attesa dell’inatteso Greimas (1987, p. 64 ssg.) indicava una
delle possibili scappatoie, uno degli “stratagemmi [per] ritrovare
l’effetto di senso (in tutte le accezioni del termine: corpo, signifi-
cato, orientamento)” (Fabbri 1988, p. 16), per risemantizzare og-
getti e relazioni tra soggetti (cfr. ivi). Pare evidente, dunque, una
vocazione virale dell’ironia: un massaggio ironico funziona perché
lascia emergere un senso inatteso che, però, in forma latente, era
atteso, cioè in una certa misura già condiviso, e nel momento in
cui viene espresso non può che essere condiviso anche fattual-
mente, ossia viralizzato. Questo significa che la strategia dell’ironia
nel web ha una connotazione profondamente politica (nel senso
ampio del termine).
Chiariamo meglio quest’ultima affermazione attraverso un ul-
teriore esempio. Il giorno ventidue del mese di marzo dell’anno
2016 una serie di attentati terroristici sconvolge Bruxelles sede del
Parlamento Europeo, l’europarlamentare Matteo Salvini (segreta-
rio generale della Lega Nord) che si trova lì, utilizza i canali social
in un primo momento per comunicare di essere incolume, succes-
sivamente per postare una serie di immagini che lo ritraggono sui
luoghi degli attentati accompagnate dallo slogan “io non ho
paura” (#iononhopaura). La reazione della rete è immediata, Sal-
vini viene accusato di “sciacallaggio”, ovvero di sfruttare la trage-
dia per mettersi in mostra e guadagnare facili consensi elettorali,
96 Riccardo Finocchi

a cui segue una strategia dell’ironia. A partire da una fotografia ori-


ginale (fig. 2 – la prima immagine sulla sinistra), che ritrae Salvini
davanti alla sede dell’Europarlamento presidiata da militari ar-
mati, il popolo del web si è mobilitato nel produrre una serie di testi
manipolati sotto la denominazione “Salvini ovunque”.

Fig. 2 - Salvini ovunque.

Lo sfondo originale della fotografia viene sovvertito, viene so-


stituito ora con uno sfondo ora con un altro, per cui Salvini si ri-
trova (fig. 2): accanto a Kim Phuc nella fotografia scattata l’otto
giugno 1972 durante la guerra del Vietnam; a Berlino nel giorno
della caduta del muro nel novembre 1989; davanti alla stazione
ferroviaria di Parigi Montparnasse il ventidue ottobre 1895
quando una locomotiva sfondò il muro della stazione (e altri qui
non riportati ma sul web ancora visibili).
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 97

Il cambio di sfondo, come si addice all’ironia, opera una inver-


sione semantica rispetto ciò che è realmente, una sostituzione in cui
vengono capovolti i punti di riferimento: se un riferimento reale per
Salvini è la sede dell’Europarlamento, tutti gli altri sfondi (il Viet-
nam, Berlino, Montparnasse) sono una sovversione del riferimento,
un rovesciamento di prospettiva che lascia emergere un senso ul-
teriore rispetto all’immagine iniziale. Un senso ulteriore dove gli
aspetti pragmatici sono evidenti, anche solo perché il testo ironico
è composto dalla molteplicità di testi elaborati da differenti enun-
ciatori che concorrono insieme alla risemantizzazione del testo: una
pluridiscorsività parodistico-ironica, per riprendere Bachtin
(1975, p. 108 ssg.), data da un insieme di enunciatori plurimi che
convergono nel produrre sostanzialmente un unico enunciato. A
questa attività plurienunciante soggiace il fatto, già evidenziato, che
nel testo manipolato viene messo in immagine ciò che già era (dai
più) immaginato. Così Salvini è immaginato come uno sciacallo
mediatico, qualcuno che spunta improvvisamente in ogni luogo
dove avviene una tragedia o un fatto eclatante, che invade ogni
possibile spazio di visibilità, che satura ogni spazio di comunica-
zione.
È la collettività a manipolare ironicamente il riferimento della
fotografia originale, i testi ironici lasciano emergere una sensa-
tezza (un senso nuovo, ulteriore) che è già della collettività, una
sensatezza latente che attraverso le manipolazioni ironiche e il
web si trasformano in un esplicito consenso (senso condiviso) im-
mediatamente e strutturalmente già virale.

4.4 Esperienze anticipate


I cambiamenti nel sistema di comunicazione modificano la vita
quotidiana e i comportamenti sociali, cosa che si è resa particolar-
mente evidente negli ultimi decenni attraverso l’evolversi della di-
gitalizzazione dell’informazione e della comunicazione. Ad
esempio, fino a poco tempo fa si usava il telefono sulla rete fissa,
98 Riccardo Finocchi

non esistevano altre reti per la telefonia18, spesso gli apparecchi


telefonici avevano altoparlanti che alteravano il timbro vocale ma
gli utenti erano abituati a riconoscere la voce dell’altro. Già, la
voce dell’altro. Il riconoscimento della voce dell’altro. La fondati-
vità dell’altro per la costituzione dell’identità: nella voce altrui
ogni essere umano può riconoscere ciò che lo racconta, al pari del
guardarsi in uno specchio (Lacan docet) nel quale ci si vede come
ci vedono gli altri, con gli occhi dell’altro, nel quale l’identifica-
zione è demandata a una relazione speculare tra identità e alte-
rità19. Certo, diversa esperienza è rispondere a un telefono
portatile, cellulare o telefonino che dir si voglia, poiché l’altro, co-
lui che chiama, è già riconosciuto: il nome del chiamante compare
sul display dello smartphone, in alcuni casi compare anche la sua
immagine, e l’altro che chiama è consapevole di essere già ricono-
sciuto. Nell’era dei telefoni digitali non è necessario mettersi in
ascolto della voce dell’altro poiché la tecnologia riconosce per noi,
anticipa l’attività sensibile. È questo un caso esemplare di come al
dispositivo tecnologico ipermediale sia stata delegata la funzione
di gestire la relazione tra identità e alterità, di accertare con preci-
sione tecnologica l’altro. La cosa interessante, però, è che in questa
tecnologizzazione del riconoscimento, in questo anticipo, si an-
nulla l’attesa che il percepire (l’altro) comporterebbe. Voglio qui
indicare questo tempo del riconoscimento (l’attesa) come una
forma dell’esperienza e, di conseguenza, il suo anticipo come una
forma d’esperienza anticipata (tecnologicamente).
Il problema di una definizione dell’esperienza coinvolge la fi-
losofia nel suo complesso e, in questa sede, non possiamo appro-
fondire la questione nel dovuto modo. Tuttavia, la forma di

18
Ricordiamo che il primo telefono portatile è del 1983 e che le diffusione
di massa dei telefono cellulari iniziò solo alla metà degli anni novanta del se-
colo scorso (cfr. supra § 2.1.2)
19
Cfr. Lacan 1966. Si vedano inoltre Ricoeur 1990; Levinas 1995.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 99

esperienza legata ai tempi della percezione e alle anticipazioni tec-


nologiche rientra, senza meno, nel campo dell’esperienza estetica,
cioè nel campo delle forme di esperienza legate all’aisthesis. In tal
senso è necessario rinviare, quantomeno, al recupero del valore di
verità dell’esperienza estetica operato da Gadamer (1960): l’espe-
rienza estetica non è un’esperienza soggettiva che non incide sulla
conoscenza della realtà ma piuttosto una forma di conoscenza e di
comprensione del mondo che dischiude verità. Questo, però, non
riconduce l’esperienza estetica alla oggettivazione delle pratiche
sperimentali scientifiche, piuttosto apre all’intima storicità
dell’esperienza. In una prospettiva diversa, Garroni (1986) aveva
posto le basi per una filosofia (non speciale) che osservasse la con-
dizione estetica dell’esperienza in genere. In quest’ottica l’espe-
rienza estetica acquista il carattere di una esperienza fondativa
dell’esperienza in genere, in quanto in essa il sensibile e il senso si
incontrano, senza che questo incontro avvenga in base a principi
intellettuali previamente dati. Piuttosto, qui, il senso ottiene il pro-
prio fondamento esattamente nel sentire. Entrambe queste pro-
spettive affrancano dall’idea che l’esperienza estetica sia
prerogativa esclusivamente della fruizione delle opere d’arte.
L’esperienza estetica, dunque, è una condizione dell’esperienza,
ed è quella condizione in cui il sensibile e il senso si incontrano,
ma questo incontro non avviene secondo principi di carattere in-
tellettuale bensì attraverso il sentire.
L’ipotesi che qui stiamo argomentando è che la tecnologia di-
gitale ipermediale intervenga sull’esperienza estetica, attraverso
una diffusa anticipazione delle esperienze, che si concretizza in un
accrescimento della qualità (non solo della quantità) della presta-
zione sensibile e della percezione ottenibile attraverso strumenti
tecnologici in grado di sentire per noi e di farlo meglio di noi. In-
somma, la tecnologia ipermediale ci restituisce più mondo (come
abbiamo visto un mondo incrementato) e in modo tecnologica-
mente affidabile, ossia apparentemente più preciso e vero, meno
100 Riccardo Finocchi

dubitabile – come nel caso precedente: il nome (o il volto) del chia-


mante associato all’apparecchio telefonico che compare sul di-
splay è indubitabile, mentre la percezione sensoriale della voce
dell’altro lascia grandi margini di dubbio –. La tecnologia, però,
interviene soprattutto sulla qualità della sensibilità e della perce-
zione poiché dai dispositivi ipermediali, come detto, ci si aspetta
che sentano per noi, ossia che anticipino un già elaborato o un già
compreso/sensato, che anticipino, dunque, l’esperienza. Natural-
mente, questa ipotesi si basa sulla costatazione che le tecnologie
digitali ipermediali, effettivamente, producono questo anticipo. Si
pensi, ad esempio, a quanto abbiamo visto in precedenza (cfr. su-
pra § 4.2): il navigatore digitale, il car sharing digitale, Shazam, il
forward collision alert ecc. Si tratta di app il cui software è program-
mato per ampliare e migliorare in modo tecnologicamente preciso
e affidabile la percezione sensibile del mondo anticipandone l’ela-
borazione e la comprensione, ossia l’esperienza possibile. L’effetto
anticipante, tuttavia, non è riscontrabile solo per i casi di realtà
aumentata appena evocati. Ad esempio il servizio Street View di
Google Map agisce, a un livello elementare, e come tale ottimo per
un esempio, proprio nell’anticipare tecnologicamente le espe-
rienze possibili. Street View consente, come noto, di visualizzare
una strada ricercata sulle mappe attraverso fotografie statiche
(non riprese in tempo reale ma archiviate) che restituiscono il
punto di vista di un soggetto che percorre la strada, con la possi-
bilità di osservare tutto ciò che è intorno (le immagini sono state
scattate da veicoli, le Photo Google Car, dotati di fotocamere da 11
obiettivi in grado di fotografare a 360 gradi). Attraverso il servizio
di Google è possibile esplorare l’universo abitato (e anche non abi-
tato) con un grado di precisione che negli anni è andato crescendo,
una esplorazione che ha il carattere del virtuale ma si riferisce al
mondo reale. È possibile, ad esempio, posizionare lo Street View
su Postdamer Plaz a Berlino e seguire la strada che giunge alla
Porta di Brandeburgo, passando accanto, e dunque vedendo, un
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 101

luogo estremamente particolare come il Memoriale per gli ebrei as-


sassinati d'Europa. È possibile dunque “vedere” Berlino senza an-
dare a Berlino, oppure prima di andare, per cercare di
memorizzare o familiarizzare con le strade che saranno poi riper-
corse “in realta”.
Il senso di un luogo, quello che scaturisce dall’esplorazione,
per esempio di una città, per il quale è necessario un tempo di per-
lustrazione dello spazio sconosciuto attraverso cui acquisirne fa-
miliarità, una esplorazione attraverso cui poter conoscere lo
spazio circostante che diviene, così, non più uno spazio neutro ma
un ambiente, un luogo con caratteristiche marcate e riconoscibili,
insomma quell’esperienza estetica in cui il sensibile viene sus-
sunto al senso, tutto questo può avvenire parzialmente attraverso
Street View. E avviene prima ancora che ci si rechi in un luogo
della citta, in una precisa strada, ossia avviene anticipatamente: è
una forma di esperienza anticipata.
Ma prendiamo un altro fenomeno, le app per le previsioni me-
teorologiche su smartphone, attraverso le quali è possibile cono-
scere per ogni luogo del mondo quali condizioni climatiche si
annunciano sia nell’immediato sia nei giorni a seguire. Le previ-
sioni del tempo non sono una novità digitale, semmai è nuova la
modalità di fruizione digitale che ha reso sempre disponibile on
demand la previsione aggiornata per il luogo in cui è localizzato il
device. Una modalità di fruizione che ha indotto una sorta di “di-
pendenza” dalle previsioni che annunciano il futuro climatico con
una indubitabile precisione tecnologica. Anche in questo caso la
tecnologia digitale ipermediale è veicolo dell’esperienza antici-
pata. L’osservazione delle dalle condizioni metereologiche, pos-
siamo dire, rientra nelle attività legate all’aisthesis, in
quell’incontro tra il sensibile e il senso che si configura in un espe-
rienza estetica, com’era, ad esempio, per coloro il cui lavoro (e la
vita) dipende dal clima, si pensi ai contadini o ai pescatori, che un
102 Riccardo Finocchi

tempo sapevano come osservare i “segni” del cielo, o come perce-


pire il grado di umidità nell’aria, leggere le nubi e comprendere i
venti, per poter giungere così a sentire il clima, o se vogliamo a un
presentimento sul clima. Questo sentire è anticipato tecnologica-
mente nelle app degli smartphone.
Prendiamo ancora ad esempio un altro fenomeno legato alle
tecnologie digitali ipermediali, il selfie20. Il selfie viene utilizzato
come forma di autorappresentazione del sé nello scambio comu-
nicativo, è cioè un’immagine che viene inviata a uno o più interlo-
cutori oppure postata sul social media e condivisa con i contatti
del network. È possibile pertanto andare dal parrucchiere e mo-
strare pubblicamente, in una immagine in cui ci si autorappre-
senta, il nuovo taglio o il nuovo colore dei capelli, oppure è
possibile indossare gli abiti appena acquistati e fare un selfie per
mostrarli agli amici. Anche in questo caso l’esperienza dell’altro,
quel lavoro della sensibilità in grado di riconnettere i mutamenti
somatici o esteriori (il taglio di capelli o l’abito nuovo) al ricono-
scimento della persona, viene anticipato rispetto all’incontro reale,
fisico, attraverso un articolato impianto tecnologico cooperante (la
fotocamera, il software dei social media, la connessione web negli
smartphone) in grado di farci giungere un’autorappresentazione
del sé dell’altro, e dunque un già elaborato e in certa misura già sen-
sato.

4.5 Forme di apprendimento nel web: tutorial le nuove frontiere


dell’audiovisivo
Che la rete e sistemi ipermediali digitali interattivi abbiano un
impatto sulle forme di apprendimento e sulle modalità di organiz-

20
Sul tema del selfie è intervenuta di recente Vincenza Del Marco (2015).
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 103

zazione della conoscenza è ormai convinzione consolidata e, an-


che, diffuso oggetto di ricerca in diversi campi21. Tuttavia, anche
in questo caso permane una duplicità tra posizioni continuiste,
che pur nelle evidenti differenze formali riscontrano una sostan-
ziale continuità tra passato e presente dei paradigmi di apprendi-
mento e conoscenza, e posizioni discontinuiste, che riscontrano
una rottura dei paradigmi e l’affermarsi di modalità di apprendi-
mento inedite.
Come dichiarato fin dall’inizio di questo volume, l’osserva-
zione dei rapporti tra conoscenza/apprendimento e media web di-
gitali passerà attraverso una prospettiva duplice e convergente tra
estetica e semiotica22, per concentrarsi sull’analisi di uno specifico
fenomeno sviluppatosi spontaneamente nel web attraverso you-
tube e che sembra avere ormai una vasta casistica e una notevole
fruizione: i web videotutorial. Si tratta di un genere audiovisivo
piuttosto particolare che manifesta tratti pertinenti originali, os-
servabili sia sul piano dei codici audiovisivi23, sia sul piano dei
contenuti.
Possiamo individuare alcune costanti nell’utilizzo delle com-
ponenti audiovisive che possono aiutare a individuare gli ele-
menti di un “linguaggio” dei tutorial. Vediamo con ordine
seguendo la griglia analitica dei codici filmici elaborata da Casetti-

21
A riprova di una consolidata tradizione di ricerca si vedano, per citare
solo alcuni testi ormai classici, de Kerckhove (1991; id. 1997) e Maldonado
(1997, id. 2005) o ancora, più di recente, Manovich 2010. Sull’apprendimento
in prospettiva didattica cfr. Maragliano 1998.
22
La questione dei nuovi media, quantomeno nel panorama italiano, è or-
mai diffusamente trattata sia in estetica, per cui cfr. De Luca 2015; Montani
2014; Diodato 2013, id. 2005; Tavani 2011; Finocchi-Guastini 2011; De Leo
2008; Costa 2007; Tursi 2007; Maiello 2015, sia in semiotica, per cui cfr. Eugeni
2015, id. 2010; Pezzini-Spaziante 2014; Cosenza 2012, id. 2004; Bettetini et alii,
2001.
23
Ci riferiamo all’analisi delle componenti cinematografiche in Casetti-Di
Chio 1990.
104 Riccardo Finocchi

Di Chio (1990, pp. 66 sgg.) che si presta a essere applicata a tutte


le forme di audiovisivo. Sul piano dei codici tecnologici, relativi al
dispositivo di ripresa, appare abbastanza evidente che si tratta
quasi sempre di riprese effettuate tramite videocamera del pc, o
comunque su un supporto digitale a bassa risoluzione (si tratta di
riprese amatoriali non in HD) il cui formato è specificamente per
schermi digitali (di pc, tablet o smartphone); lo scorrimento delle
immagini è regolare, nel senso che non si fa uso di rallenty o acce-
lerazioni né di inversioni del movimento. Per quanto riguarda i
codici visivi prevale una facile riconoscibilità a livello iconico, non
si registrano effetti dell’audiovisivo che tendono ad alterare la
rappresentazione visiva e renderla di difficile o ambigua ricono-
scibilità, piuttosto invece si tratta di riprese improntate a un “ef-
fetto di realtà”; le riprese sono normalmente a colori (non in bn) e
la luminosità è determinata dal contesto di ripresa (seconda dei
casi in ambienti chiusi o aperti ecc.), quindi ancora a rimarcare un
certo “realismo”; non si fa uso di inquadrature particolari e i piani
utilizzati per le riprese sono prevalentemente mezze figure e primi
piani (a volte dettagli, a volte figure intere); le inquadrature sono
dettate dal dispositivo di ripresa e dunque, perlopiù, frontali; i
movimenti di macchina sono rarissimi, si tratta quasi sempre di
camera fissa con possibilità di zoom (movimento apparente), d’al-
tro canto la tecnologia di base, la videocamera del pc, non prevede
movimenti. A volte, sul piano dei codici grafici, si fa ricorso a di-
dascalie illustrative per coadiuvare il processo di trasmissione
delle informazioni. Non c’è uso di codici sonori e anche laddove
si possono rilevare dei rumori si tratta semplicemente di rumori
di fondo dovuti alla ripresa diretta. Infatti, questo elemento carat-
terizza particolarmente i videotutorial sul piano linguistico: presa
diretta senza ricorrere (quasi mai) a un montaggio delle sequenze.
Anche l’assenza di montaggio indirizza a un realismo senza effetti
dell’audiovisivo, rafforzato dallo stile amatoriale con cui vengono
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 105

effettuate le riprese, leggibile nelle immagini decentrate o nelle te-


ste leggermente tagliate e fuori schermo. L’ambientazione dei vi-
deotutorial non è mai ricercata, appare casuale, dettata da
esigenze funzionali legate al tipo di contenuto espresso, spesso
sono stanze (anguste) a volte i luoghi di lavoro (dai fornelli al ta-
volo degli attrezzi). Il tempo medio di durata si aggira intorno ai
quindici minuti, pertanto si tratta di forme brevi di audiovisivo
(cfr. Pezzini 2013; id. 2002), che probabilmente sono compatibili
con i livelli di attenzione che possono essere dedicati ai videotuto-
rial. Il linguaggio verbale espresso è ascrivibile alle forme comuni:
lessico comune, sintassi semplice, intonazioni dialettali. Il lin-
guaggio semplice induce a un rapporto confidenziale e amiche-
vole, che scarica la vergogna di una carenza nel proprio bagaglio
di conoscenze e demitizza il rapporto di apprendimento.
Per quanto riguarda i contenuti dei videotutorial è possibile
delineare una sorta di tipologia empirica che ci aiuti in prima
istanza a definire il genere. Un videotutorial è, sostanzialmente,
una guida audiovisiva, insomma qualcosa come un tutor che aiuta,
spiega e mostra cosa si deve fare per ottenere determinati risultati24.
I tutor del videotutorial sono dei soggetti reali che spesso ap-
paiono in video (nella maggior parte dei casi sono anche coloro
che hanno realizzato il video) mentre si cimentano in spiegazioni
e dimostrazioni pratiche in vari ambiti delle conoscenze umane
insegnabili e, dunque, apprendibili. Pertanto, su yuotube è possi-
bile trovare tutorial su: make up e cosmetica in genere (capelli, un-
ghie, massaggi); abbigliamento e moda (come vestirsi, sartoria);
cucina (ricettari); meccanica (riparazioni in genere, in particolare

24
Una possibile origine del fenomeno è rintracciabile nelle prime guide
multimediali per l’uso dei sofware (che venivano fornite su cd-rom assieme
al programma da istallare): cosa poteva essere più intuitivo ed esplicativo di
una guida per programmi computer che fosse visibile sullo stesso schermo
del pc, che riproponeva in modo visivo esattamente quello che si sarebbe do-
vuto fare, nello schermo e con la tastiera, una volta fuori dalla guida.
106 Riccardo Finocchi

con canali dedicati a biciclette da corsa o a scooter vespa vintage,


a orologi o a motori); informatica (programmazione dispositivi di-
gitali – ad esempio l’iPhone – utilizzo di programmi software da
Excel a Photoshop ecc.), idraulica (riparare rubinetti o tubature in-
tasate); musica (come suonare strumenti musicali); bricolage/fai
da te e riuso creativo di materiali; giochi di prestigio ecc. Nell’ete-
rogeneità dei contenuti dei videotutorial possiamo, però, indivi-
duare una prima costante: si tratta di attività che coinvolgono
lavori manuali, prestazioni fisiche, riparazioni meccaniche o tec-
niche, ecc., ossia tutte quelle attività che coinvolgono i campi del
percettivo motorio. Proprio le attività percettivo motorie sembre-
rebbero trovare nei tutorial una forma di trasmissione ideale.
Dobbiamo a questo punto prendere in considerazione una di-
stinzione introdotta da Antinucci (2011), in relazione al rapporto
tra l’apprendimento e le tecnologie digitali interattive25, secondo
la quale sussistono due aree in cui si collocano le modalità di ap-
prendimento umane: quella del simbolico-ricostruttivo e quella del
percettivo-motorio. Il campo del simbolico ricostruttivo rinvia alle
abilità di scrittura e lettura, o in generale di verbalizzazione, e im-
plica, dunque, la capacità di apprendere attraverso testi verbali o
scritti. Il percettivo motorio, invece, rinvia alle abilità pratiche,
all’abilità di fare attraverso il corpo e implica forme di apprendi-
mento riconducibili all’archetipo “maestro allievo”, ossia un ap-
prendimento basato sulla vicinanza fisica e la possibilità di
sperimentare, tramite ripetizione, azioni e modi di fare che impli-
cano la corporeità.
La scrittura per molto tempo, anche prima della nascita
dell’uomo tipografico (cfr. McLuhan 1962), nelle forme mano-
scritte, ha garantito la diffusione delle conoscenze in una modalità
che ha permesso di raggiungere un alto numero di persone anche
a distanza (in assenza) e in momenti diversi (in modo ripetibile),

25
Si veda la discussione della questione anche in Montani 2014, pp. 13 ssg.
Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 107

diffusione che non è possibile nella trasmissione diretta mae-


stro/apprendenti. Naturalmente, la scrittura non riesce a trasmet-
tere nel modo migliore quelle forme di conoscenza basate su
attività di tipo pratico-corporeo, come ad esempio le ricette di cu-
cina, le istruzioni per suonare uno strumento musicale o le istru-
zioni per l’uso in generale, le quali però, per rispondere ai bisogni
di conoscenze diffuse, sono state scritte e, di conseguenza, apprese
nella modalità simbolico ricostruttiva anche laddove avrebbero
dovuto essere apprese attraverso modalità percettivo motoria. È
piuttosto semplice a questo punto formulare una prima ipotesi: i
videotutorial sono più adatti a trasmettere conoscenze riguardanti
attività pratico-corporee da apprendere in modalità percettivo
motoria e, dunque, progressivamente sostituiscono la scrittura che
può consentire solo un apprendimento simbolico ricostruttivo di
quelle stesse attività. Di fatto sono sempre più le aziende che de-
mandano le istruzioni per l’uso o il montaggio dei propri prodotti
(in particolare dispositivi digitali di comunicazione) a dei video
dimostrazione on line. I videotutorial, in ogni caso, mantengono
la caratteristica 2.0 di essere realizzazioni degli utenti e non comu-
nicazioni istituzionalizzate.
Questa prima ipotesi si inserisce in una prospettiva di conti-
nuità con il passato, secondo cui le forme di apprendimento ri-
mangono invariate ma cambiano le modalità di trasmissione delle
conoscenze. Ora, è possibile formulare una seconda ipotesi, più ra-
dicale della precedente: i videotutorial sono l’aspetto emergente
dell’affermarsi di una modalità di apprendimento che coniuga, in
modo del tutto nuovo e diverso dal passato, il ricostruttivo al per-
cettivo, permettendo così il trasferimento ottimale di alcune cono-
scenze.
Naturalmente, per iniziare ad avvalorare questa seconda ipo-
tesi, sarà necessario fare alcune precisazioni. In primo luogo, la
stessa polarizzazione tra simbolico ricostruttivo e percettivo mo-
108 Riccardo Finocchi

torio la possiamo ascrivere anche alle abilità umane che soggiac-


ciono alle forme di apprendimento. Distingueremo, pertanto, le
abilità umane, intese come capacità di fare attraverso attività di tipo
percettivo motorio o di tipo simbolico ricostruttivo, dalle forme di
apprendimento, intese come trasmissione delle conoscenze che
sfruttano il canale simbolico ricostruttivo oppure percettivo moto-
rio. In tal senso è vero che i videotutorial rimandano in preva-
lenza, come abbiamo visto, alle abilità di tipo percettivo motorie,
ma ciò non implica automaticamente che anche la modalità di ap-
prendimento sia percettivo motoria (o simbolico ricostruttiva)26:
questa polarizzazione appare piuttosto inadeguata a cogliere il fe-
nomeno attuale. In secondo luogo, i termini implicati nella pola-
rizzazione sono passibili di ulteriori specificazioni: quando
indichiamo il campo del percettivo chiamiamo in causa i sensi
umani, mentre quando indichiamo il motorio rinviamo al corporeo;
così come quando indichiamo il simbolico facciamo leva sulla lo-
gica del sistema simbolico, o forse meglio sul logos, mentre nell’in-
dicare il ricostruttivo viene chiamata in causa la nostra
immaginazione, che agisce appunto nel processo ricostruttivo a par-
tire dal simbolico. Dunque, la seconda ipotesi può essere formu-
lata così: l’apprendimento attraverso videotutorial avverrebbe
secondo la modalità percettivo ricostruttiva (sensi e immagina-
zione). Al fine di rendere evidente quanto appena affermato rica-
pitoliamo i tratti caratterizzanti delle tre modalità di
apprendimento attraverso una tabella comparativa (tabella 1).

Abbiamo visto che l’apprendimento attraverso la scrittura – simbolico


26

ricostruttiva – per secoli ha veicolato anche abilità percettivo motorie.


Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica – Come accade 109

Apprendimento Apprendimento Apprendimento


Simbolico-ricostruttivo Percettivo-motorio Percettivo-ricostruttivo
(da un libro) (da un maestro) (da un tutorial)
In assenza In presenza In presenza dislocata
Non corporeità Corporeità Corporeità dislocata
Non simultaneo Simultaneo Non simultaneo
Da uno a molti Da uno a uno/pochi Da uno a molti
Ripetibile Non ripetibile Ripetibile
Logos+Immaginazione Sensi+Corpo Sensi+Immaginazione
Tabella 1 – Tre modalità di apprendimento

L’apprendimento percettivo ricostruttivo mantiene alcuni


tratti solo apparentemente comuni al percettivo motorio: la pre-
senza simultanea con il maestro o tutor, che nella trasmissione tra-
mite scrittura non è necessaria ma ricostruita sul piano
dell’immaginazione, nei videotutorial è dislocata, nel senso che la
funzione del maestro in presenza è sostituita da un maestro in as-
senza il cui ruolo, di fatto, viene assegnato al videotutorial (sia che
un tutor compaia, fisicamente, in video sia che non compaia). Que-
sto, naturalmente, comporta la perdita del contatto corporeo con
il tutor, con tutte le implicazioni del caso: attraverso il videotuto-
rial si trasmettono abilità motorie che però sono apprese attraverso
immagini mediate e non nel contatto diretto (corporeo), pertanto
le abilità motorie sono ricostruite a partire da una percezione me-
diata. Inoltre, l’apprendimento percettivo ricostruttivo ha alcuni
tratti in comune con il simbolico ricostruttivo: può avvenire in dif-
ferita, in luoghi diversi e distanti nel tempo e nello spazio (come
per un libro). Non essendo necessaria la presenza fisica, un video-
tutorial, può esser visto più volte di seguito o anche a distanza di
anni e fruito da molti utenti.
Bibliografia generale

I rinvii bibliografici (autore-data) nel testo fanno sempre riferimento


all’anno delle edizioni originali, mentre i rimandi ai numeri di pagina si
riferiscono alla traduzione italiana qualora sia indicata negli estremi bi-
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Collana di Semiotica
Diretta da Isabella Pezzini

1. Giovanni Bove
Scrivere futurista. La rivoluzione tipografica tra scrittura e immagine

2. Isabella Pezzini, a cura


Roma: luoghi del consumo, consumo dei luoghi. Ara Pacis, Auditorium,
Esquilino e altro. Analisi semiotiche e sociolinguistiche

3. Pierluigi Cervelli, Leonardo Romei, Franciscu Sedda, a cura


Mitologie dello sport. 40 saggi brevi

4. Dario Mangano
Archeologia del contemporaneo. Sociosemiotica degli oggetti quotidiani

5. Santos Zunzunegui
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6. Vincenza Del Marco, Isabella Pezzini, a cura


La fotografia. Oggetto teorico e pratica sociale.

7. Vincenza Del Marco, Isabella Pezzini, a cura


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8. Franciscu Sedda
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9. Cristina Greco
Graphic novel. Confini e forme inedite nel sistema attuale dei generi

10. Riccardo Finocchi


Ipermedia e locative media. Cronologia, semiotica, estetica
Finito di stampare nel mese di giugno 2016
con tecnologia print on demand
presso il Centro Stampa “Nuova Cultura”
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