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dicembre 2022
Premessa 3
I FILOSOFI E IL VISUALE
Mauro Carbone Kant, Merleau-Ponty e la passione
per i veli 8
Raoul Kirchmayr La camera oscura di
Schopenhauer 24
Pina De Luca Nietzsche: esercizi di ri-velazione 41
Roberto Diodato Immagini chiasmatiche 58
IMMAGINI E PENSIERO
Pietro Montani Concetti vuoti e immagini cieche.
Una dissimmetria 75
Graziano Lingua Parola, scrittura e regimi
di visibilità 95
Emmanuel Alloa La fallacia diagrammatica.
Husserl e l’immagine del tempo 113
Jacopo Bodini Il diagramma, o la catastrofe
dell’immagine del pensiero 136
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A
lmeno fin dagli anni settanta del Nove-
cento – per esempio nel lavoro per molti
versi inaugurale di Sarah Kofman, Came-
ra obscura. De l’idéologie (1973) – e in misura crescente a partire
dalla rivoluzione digitale degli anni novanta e dal conseguente
iconic turn, la cultura occidentale si è trovata investita da un radi-
cale ridisegnarsi della questione della visibilità nella produzione
dei saperi, incluso quello filosofico.
Da un lato, ciò ha sollecitato e ancor più invita a sollecitare una
nuova attenzione per i riferimenti a strumenti tecnici legati al ve-
dere ai quali la filosofia ha fatto ricorso durante la propria storia,
che fossero apparati o media visuali (dagli specchi e dai veli ai
proiettori e agli schermi), dispositivi di visione (quali appunto la
camera oscura o il panopticon) e le relative esperienze (esemplar-
mente, quella descritta nel mito della caverna). In ogni caso, gli
apporti che il visuale ha storicamente offerto alla costruzione del
sapere filosofico si configurano da tempo come un peculiare og-
getto d’indagine.
Dall’altro lato, ciò non può rimanere senza conseguenze
sull’autorappresentazione e sull’autocomprensione della filosofia
stessa, spingendo a chiedersi quanto quei ricorsi al visuale abbia-
no effettivamente inciso sull’identità essenzialmente verbale che
essa si è storicamente attribuita, o non siano stati piuttosto inte-
grati in questa identità ma al contempo rimossi nella loro auto-
nomia da essa.
4
dalla storia dei media e dagli studi visuali verso il testo letterario
possa essere ripreso e rilanciato dalla filosofia in relazione al pro-
prio testo. Ciò dovrebbe essere fatto senza tuttavia tralasciare quei
momenti, anche cospicui, nei quali la filosofia rinvia alle tecno-
logie di produzione/riproduzione/distribuzione dell’immagine, e
più in generale del visibile. A tutt’oggi questa relazione richiede di
essere adeguatamente considerata.
Sotto il profilo dell’analisi e delle metodologie, il fascicolo pro-
pone di mettere in atto quattro operazioni differenti ma legate tra
loro: a) inventariare una serie di luoghi classici in cui la discorsi-
vità filosofica lascia alle tecnologie del visuale uno spazio di cui
si è cercato di esplorare e di descrivere i caratteri specifici, indi-
cando così alcuni esempi paradigmatici per un diverso approccio
al testo filosofico; b) analizzare lo statuto epistemologico di tali ca-
ratteri, in modo da evidenziarne il senso, la portata e le eventuali
conseguenze sugli sviluppi della discorsività filosofica stessa, per
esempio sulle variazioni della nozione di verità (verità/illusione,
verità/falsità, verità/rappresentazione, indebolimento della verità
ecc.) implicate dal ricorso a tali contenuti; ciò ha condotto a riarti-
colare in questa luce i rapporti tra concetto e metafora, tra concet-
to e analogia, tra concetto ed esempio ecc.; c) analizzare gli effetti
discorsivi e testuali (anche soltanto possibili ma di fatto ignorati o
rimossi) legati all’impiego di riferimenti ad apparati e media visua-
li, a dispositivi di visione ed esperienze a essi relative, per studiar-
ne le eventuali influenze sulla concettualità filosofica; d) infine, si
è tentato anche di valutare l’impatto che i riferimenti ad apparati,
media, dispositivi ed esperienze visuali comportano sul soggetto
osservatore, per descrivere e comprendere le eventuali trasforma-
zioni del suo punto di vista, esaminando così gli effetti di ritorno
sullo statuto dell’osservatore e quindi del filosofo stesso.
Il fascicolo è diviso in tre sezioni anch’esse distinte ma intercon-
nesse, che rispettivamente mettono al centro delle analisi il rap-
porto tra i filosofi e il sapere visuale, il rapporto tra le immagini e
il pensiero, e i percorsi caratterizzanti lo sviluppo delle tecnologie
del visuale, considerato anche nei suoi presupposti teorici. Nes-
suna delle tre sezioni circoscrive un campo chiuso. Piuttosto, cia-
5
scuna di esse tratteggia le linee di un terreno la cui indagine oggi
appare quanto mai indispensabile per comprendere quale com-
pito la filosofia può ancora svolgere a fronte delle trasformazioni
tecnologiche in corso nei nostri rapporti con noi stessi, gli altri, il
mondo. Pertanto, riferendosi a tali rapporti e alle loro trasforma-
zioni, ciascuna sezione si configura come un rilancio discorsivo e
come una tappa critica in un lavoro che risulta necessariamente in
progress. [M.C., R.K.]
6
I filosofi e il visuale
Kant, Merleau-Ponty e la passione
per i veli*
MAURO CARBONE
2. I. Kant, Critica del Giudizio (1790), trad. di A. Gargiulo rivista da V. Verra, Laterza,
Roma-Bari 19915, p. 140 nota 2.
3. Cfr. ivi, p. 102.
4. J.-F. Lyotard, Intervento italiano, cit., p. 55 (corsivo mio).
5. Cfr. Id., “Anima minima” (1993), in Anima minima. Sul bello e il sublime, a cura di
F. Sossi, Pratiche, Parma 1995, p. 121.
9
La camera oscura di Schopenhauer
RAOUL KIRCHMAYR
25
Nietzsche: esercizi di ri-velazione
PINA DE LUCA
Un velamento necessario
Troppo deboli siamo noi umani per reggere il tremendo del dio.
Lo sapeva Hölderlin e perciò volle che il poeta, nel mostrare ai
mortali la potenza del dio, anche li proteggesse da simile visione.
E di una protezione gli umani avevano bisogno perché non si ri-
petesse ancora quanto era accaduto a Semele: “Lei il Dio / De-
siderò vedere manifesto” e “così cadde […] la folgore sulla casa
di Semele”.1 Se Platone aveva fatto del poeta un archi-schermo2
per il quale il dio si faceva presente rimanendo assente,3 per Höl-
derlin, invece, il poeta doveva delegare questa funzione a qualcosa
– un dispositivo – attraverso cui il dio potesse manifestarsi senza
che la sua manifestatività fosse distruttiva. Ed è così che il poeta,
rimanendo lui solo “sotto le folgori del Dio […] a capo scoper-
to”, afferra “il fulmine del padre” e porge “al popolo, avvolto /
Nel canto, […] il dono celeste”.4 In tal modo il popolo potrà sì
esperire il terribile del dio, ma lo farà attraverso la protezione del
canto ed è soltanto per l’azione di velamento/protezione svolta da
questo che sarà possibile al popolo fare esperienza di ciò che ec-
cede l’umana misura.
5. Id., “Natura e arte ovvero Saturno e Giove” (prima stesura), in Tutte le liriche, cit.,
p. 799.
42
Immagini chiasmatiche
ROBERTO DIODATO
1.
Ikonische Wende e Pictorial Turn sono
espressioni che appartengono al dibattito
dell’estetica degli ultimi decenni e dise-
gnano in modi differenti la rilevanza dell’immagine a diversi li-
velli, teorico, artistico, sociale, politico, tecnico, comunicativo ecc.;
qui interessano per un punto concettuale: l’autonomia o irriduci-
bilità del visuale, quasi che il termine visuale prendesse distanza
in ragione di tale irriducibilità dal visivo simpliciter. Scontata l’ov-
vietà dell’eccedenza, per cui il visuale integra nel visivo altre espe-
rienze sensibili, si tratterà di mettere in questione proprio l’ovvietà
e di mostrare la logica chiasmatica che si esemplifica in alcuni
esempi di ciò che chiamiamo immagine. Preliminarmente il pro-
blema riguarda il rapporto tra logos e immagine, non tanto nel sen-
so della possibile traducibilità storica o di fatto nelle due direzioni
e dei suoi limiti necessari, o delle differenti forme dell’ekphrasis,
ma delle condizioni di possibilità di un logos proprio dell’immagi-
ne e della sua dicibilità nella lingua della filosofia. Già il fatto che
io, o chiunque altro, ne scriva in un contesto “filosofico”, cioè oc-
cidentale, costituisce un pregiudizio; potrebbe forse essere evitato
dall’uso di una scrittura ideografica o geroglifica? Implicherebbe
questo il collocarsi in un ordine non umano del logos? Si ricordi
al proposito quanto scriveva in greco Plotino.
59
Immagini e pensiero
Concetti vuoti e immagini cieche.
Una dissimmetria
PIETRO MONTANI
1.
La relazione tra cultura visuale e discorso
filosofico è una modalità, senz’altro signi-
ficativa, del rapporto che l’immaginazio-
ne stabilisce, in generale, con il pensiero linguistico. La cosa più
ovvia da registrare a questo proposito è che, a meno di un pensiero
linguistico adeguatamente sviluppato, non si potrebbe fare alcu-
na filosofia. Resta aperta, per contro, la questione se si potrebbe
filosofare – o addirittura pensare – se non ricorrendo a qualcosa
come una cultura visuale (nel senso più ampio). Per cominciare a
chiarire questo punto mi farò aiutare da un riferimento paleoan-
tropologico e osserverò che se i progenitori di Homo sapiens (alla
cui evoluzione specifica va ascritta la comparsa di un linguaggio
articolato capace di concettualità)1 di certo non filosofarono, sa-
rebbe incongruo sostenere che non pensassero.
non avrebbero prodotto gli stessi effetti sull’invenzione del discorso articolato. Ho discus-
so in modo più dettagliato questo punto in P. Montani, Destini tecnologici dell’immagina-
zione, Mimesis, Milano-Udine 2022.
2. Sull’opportunità di assicurare alla parola “immagine” un’estensione semantica mol-
to ampia, in conformità con il carattere multimodale dell’immaginazione, si veda, per
esempio, l’uso intenzionalmente indeterminato che ne fa A. Damasio, Sentire e conoscere
(2021), trad. di I.C. Blum, Adelphi, Milano 2022, per fornire una rappresentazione teori-
ca adeguata di che cosa sia una “mente cosciente”. Un’utile ricognizione sulla questione
degli habits (o habitus) si può leggere in M. Portera, La bellezza è un’abitudine, Carocci,
Milano 2021.
76
Parola, scrittura e regimi di visibilità
GRAZIANO LINGUA
Introduzione
A forza di parlare della nostra come di una “civiltà delle immagi-
ni” si finisce per credere che i sistemi simbolici legati alla parola,
in particolare nella loro forma scritta, siano perdenti e votati a un
ruolo sempre più marginale. Già nel 1987 Vilém Flusser lanciava
il grido di allarme con questa frase inequivocabile: “La scrittura,
nel senso di porre lettere e altri segni uno dopo l’altro, sembra
avere poco o nessun futuro”.1
In un ambiente sempre più dominato da schermi digitali che
saturano di stimoli visivi lo spazio in cui viviamo, i rapporti di
forza tra parole e immagini parrebbero infatti capovolgersi. Le
immagini sono dappertutto e come non mai appaiono capaci di
unire il mondo.2 La loro forza emozionale sembra contrastare la
logica lineare e astratta della scrittura, finendo per marginalizzare
la razionalità discorsiva che su quest’ultima si era basata.
Ma davvero il “popolo dello schermo” sta soppiantando il “po-
polo del libro”? O, come ritiene Kevin Kelly, a cui si deve questa
distinzione,3 l’ubiquità degli schermi non ha per nulla eliminato
la scrittura, ma l’ha “rinvigorita”, alimentando nuove articolazioni
tra iconico e logico?
96
La fallacia diagrammatica.
Husserl e l’immagine del tempo*
EMMANUEL ALLOA
4. E. Husserl, Ideen I, § 19; trad. a cura di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e
per una filosofia fenomenologica. I (1913), Einaudi, Torino 2002, pp. 43-44.
5. Mauro Carbone ha sintetizzato gli esiti di questa tradizione, attualizzandone la per-
tinenza per le forme contemporanee: M. Carbone, The Flesh of Images: Merleau-Ponty
between Painting and Cinema, SUNY Press, Albany (N.Y.) 2015. Rimando inoltre al bel sag-
gio di P. Rodrigo, L’intentionnalité créatrice: problèmes de phénoménologie et d’esthétique,
Vrin, Paris 2009.
114
Il diagramma, o la catastrofe
dell’immagine del pensiero
JACOPO BODINI
Come uscirne?
L’individuazione di una via d’uscita è una questione fondamen-
tale per la filosofia di Gilles Deleuze. Nelle Conversazioni con
Claire Parnet, Deleuze sembra farla coincidere proprio con l’es-
senza della filosofia stessa: se l’esercizio della filosofia è quello
di costruire un problema, la sua finalità non è tanto rispondere
al problema – e, più in generale, a un interrogativo filosofico –
quanto piuttosto trovare una via di fuga, “uscirne”.1 Tale gesto,
in realtà, non implica davvero l’andare da qualche parte, quanto
piuttosto una fuga sul posto, in intensità. E quindi la possibilità
della fuga, il suo tracciato virtuale. Se la costruzione del problema
comporta la costituzione di un piano, di una carta, l’individuazio-
ne di una via d’uscita si registra virtualmente in un diagramma,
linea di una cartografia intensiva.
L’interrogarsi esplicitamente su che cosa sia la filosofia è un’esi-
genza che ritroviamo spesso nelle opere dell’ultimo Deleuze, al
doppio fine di interrogare i limiti epistemologici della filosofia e
di ritornare in maniera indiretta sul proprio pensiero, e quindi sul
proprio contributo alla filosofia. In Che cos’è la filosofia?, allora,
alla domanda in copertina, Deleuze e Guattari rispondono: “La
filosofia è l’arte di formare, di inventare, di creare dei concetti”.2
3. Ivi, p. 27.
4. Cfr. F. Treppiedi, Il problema dell’immagine del pensiero in Deleuze, reperibile pres-
so il sito www.filosofia.it, Essais.
5. G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, cit., pp. 48-49.
137
Il visuale tra tecnologie e teorie
L’immagine-caleidoscopio.
Archeologia di una modernità
allucinata
MARIE REBECCHI
157
La vista senza senso
ANNAROSA BUTTARELLI
H
o tenuto davanti alla mia comprensione
il senso della proposta filosofica di Mau-
ro Carbone per questo numero di “aut
aut”, una proposta come sempre vivamente acuta e appassionata.
E già questa mia frase si autodenuncia in tema: “tenere davanti” è
come dire “tenere davanti agli occhi della mia mente”, il che con-
fermerebbe ancora una volta la priorità del visuale, nella nostra
agonizzante civiltà, anche per il poter pensare. Certamente, il po-
ter e il saper pensare si fondano sulle immagini, ma non attraverso
la priorità della vista; così ho appreso dagli insegnamenti radicali
di una delle mie maestre più sovversive, María Zambrano, a sua
volta istruita dalla filosofia mediorientale.
Tuttavia, ora non vorrei approfondire questa pista, che tengo
però sottotraccia; torno piuttosto alle riflessioni di Mauro Carbo-
ne. La presenza dell’ennesima guerra nelle nostre vite, così fragili
in proprio e ulteriormente esposte se lasciate in mano a chi ha il
potere delle armi, mi ha imposto di riscrivere il mio contributo,
che si era allineato alla necessaria valutazione delle conseguenze
dell’era digitale nel campo del filosofare. Per esempio: l’assurda
guerra tra Russia e Ucraina – già diventata mondiale – ci si è pre-
sentata con l’aspetto delle guerre predigitali. È combattuta a ter-
ra, con i vecchi mezzi militari pesanti, con i soldati appiedati. Non
1. Su “Domani” del 29 aprile 2022, Manlio Graziano scrive: “La storia non insegna
nulla. Quando scoppia una guerra, non solo riscopriamo che, come esseri umani, ‘proce-
diamo a quattro zampe e che non siamo ancora usciti dall’era barbarica della nostra storia’
(come scrisse Trockij allo scoppio delle guerre balcaniche centodieci anni fa); ma ricadia-
mo anche, pavlovianamente, nell’atavico bisogno di cieco intruppamento sviluppato al-
l’era delle caverne”.
176
Pensare con due occhi. Filosofia
e tecnologie dell’immagine
STEFANO CATUCCI
183
Il medium di trasporto
della percezione
ANDREA PINOTTI
Qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli
uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che
si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arri-
vare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente
200