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Cognomi di Stabia
Storia • Etimo • Semantica • Frequenze
revisione generale
Ennio D’Alessio
progetto grafico
R&MAG Partners
www.remag.it
stampa
Tipolito TCE
www.tipolitotce.it
foto di copertina
© 2019 Enzo Criscuolo
La foto del quadro restaurato nel 2020 della Madonna di Portosalvo è stata gentilmente
concessa dall’Ufficio Beni Culturali della Curia Arcivescovile Sorrento-Castellammare.
Amichevoli contributi di: Peppe Angiò, Aldo Cinque, Ciro Moses D’Avino, Nico-
la Cuomo, Salvatore Gallo, Anna Bellaviti, Elio Dattero, Mirella Banditelli, Gina
Soave, Simone Fontanella, Monica D’Alessio, Giulio Clemente, Pierluigi Fiorenza,
Paola Ocone, Attilio Masi, Olimpia Staiano, Ugo Carella, Patrizia De Iulio, Nicola
Longobardi, Carmen Matarazzo, Maurizio D’Alessio, Enrico Cesarano, Annamaria
Paolino, Vittoria Marino, Maurizio Santoro, Gelsomina Langella, Mauro Bubbico,
Pasquale Donnarumma, Maria Rosaria Napolitano, Giustiniano Cuccurullo, Antonio
Cuccurullo, Guglielmo Esposito, Gianni Giandomenico, Adriana Carella, Sofia Ocone,
Giulio D’Alessio, Antonio Violante, Agostino Martorano, Francesco Marigliano, Bia-
gio Vanacore, Maurizio Di Somma, Marcello Esposito di Cesariello, Anna Di Somma,
Francesca Del Cogliano, Patrizia Tavella, Carmine D’Amato, Alberto Festa, Francesco
Paternoster, Enrico D’Alessio, Roberto Elefante, Domenico Santo, Elodia Del Sorbo,
Francesco Annarumma, Rosanna Cesarano, Valentina Esposito…
© arsc
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Gaetano Cimmino
sindaco di Castellemmare di Stabia
Delibera del sindaco Mi ha sempre affascinato la ricerca attenta delle radici, specie se alla 7
Gaspare d’Avitaya per la
creazione della piazza del base della cultura e degli usi di un popolo. Non posso perciò che essere
Duomo (1814) conservata
nell’Archivio Storico di
felice ed orgoglioso del lavoro svolto da uno stabiese, Raffaele Fontanella,
Castellammare di Stabia per la comunità di Castellammare di Stabia e per il patrimonio storico e
culturale del Paese intero.
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Francesco Bettarini
genealogista e docente di Storia Medievale all’Università Ca’ Foscari di Venezia
Zodiaco marmoreo (1207) Quando Raffaele Fontanella mi ha contattato per condividere il suo 9
nella pavimentazione del-
la Basilica di San Miniato lavoro accennandomi alla sua esperienza di studio dei cognomi stabie-
al Monte di Firenze
si, confesso di essermi immaginato di trovarmi davanti ad uno studio
di microstoria genealogica, frutto della passione e dell’amore per la
propria terra. Mi sbagliavo. È questo ma anche molto di più. La storia dei
cognomi stabiesi è affrontata con una rigorosa esegesi storica e storio-
grafica nei diversi contesti documentari che hanno portato alla graduale
diffusione di questo attributo onomastico che lega il passato al nostro
presente nella pratica quotidiana, alla pari del nostro codice genetico.
Nella mentalità comune, riscontrata in tanti anni di impegno al servizio
degli studi genealogici, il rapporto con il proprio cognome è pervaso da
emozioni e sentimenti che vanno ben oltre il significato ed il ruolo che
esso assume nella nostra esistenza.
Citazione tratta dal Ho scelto questa citazione di Cesare Pavese perché descrive in poche e 13
romanzo “La luna e i falò”
di Cesare Pavese (1950) semplici parole ciò che il Museo del Cognome rappresenta non soltanto per
me, ma anche per coloro che, una volta varcata la soglia, fanno un tuffo
nel passato e scoprono nuovi, ma soprattutto vecchi mondi. Questa pic-
cola realtà nasce a Padula otto anni fa, un piccolo museo al piano terra di
un antico palazzo del centro storico, che contiene in sé la mia immensa
passione per la genealogia e anni e anni di ricerche sulla mia storia di
famiglia, e non solo sulla mia. Tutto ha inizio più di trent’anni fa, ero
un giovane ragazzo, avevo perso i tasselli importanti e sentivo il bisogno
di capire, scoprire. Nessuno riusciva a darmi le risposte che cercavo.
Quindi, ho fatto il primo passo. Ho bussato per anni alle porte di archivi
comunali, parrocchiali e archivi di Stato. Ho osservato, sfogliato, rigirato
e studiato manoscritti in italiano e latino, conservati in migliaia di fal-
doni impolverati e consumati dal tempo. Ho cercato ciò che mi avrebbe
permesso di tracciare le mie origini e ritrovare le tessere mancanti. Non
ho ancora finito, e continuo con instancabile volontà. La citazione fa
riferimento alla gente, alla terra, alle radici. Non è casuale, ma voluto.
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Tempera con le tipiche del Cognome, perciò, non è soltanto un luogo, ma un ponte, un punto di
vestiture delle donne
delle province del Regno riferimento dove si incrociano culture, storie, emozioni contrastanti e
di Napoli (xix secolo)
passioni. Qui, la ricerca genealogica diventa curiosità, scoperta. Avvici-
namento e attaccamento alle origini allo stesso tempo. Sto portando que-
sta mia passione in giro per l’Italia e per il mondo tra Stati Uniti, Brasile,
Argentina, Colombia dove milioni di italiani sono arrivati in cerca di
una vita migliore, lontano dal proprio focolare e dagli affetti. Gli sguardi
di tante persone. Gli occhi pieni di lacrime. La possibilità di trasmetterla
e di condividerla mi riempie di gioia e mi spinge a non fermarmi.
Lapide con cognomi e In questo lavoro il Nostro Autore, con l’entusiasmo del ricercatore per 17
nomi di caduti stabiesi
della Prima Guerra Mon- passione, con un’indagine attenta e tenace, ci conduce in un viaggio
diale (1918) conservata
nella Cattedrale di Ca-
attraverso i secoli per farci conoscere l’origine dei cognomi e, in partico-
stellammare di Stabia lare, in che modo i trovatelli erano accolti e ricevevano un’identità, con la
fondazione di orfanotrofi e la promulgazione di leggi che ne regolassero
la materia. Importante il lavoro di ricerca nei registri sia delle istituzioni
civili che religiose, dai quali si attingono notizie preziose per ricostruire
una storia minore ma non per questo priva di fascino e di importanza,
non fosse altro che essa è anche la storia dei nostri antenati e delle
nostre famiglie. La ricerca ci fa comprendere come una società, certo non
priva di contraddizioni ma fecondata dall’annuncio del Vangelo, si sia
posta il problema di salvare i bambini abbandonati ed esposti ad una
morte quasi certa e assicurare loro un futuro dignitoso.
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Lapide alla memoria di Leggendo queste gustose pagine, fa riflettere l’attualità di certe inven-
Raffaele De Rogatis (1757)
conservata nella Catte- zioni del passato; la famosa ruota degli esposti, che permetteva di lasciare i
drale di Castellammare neonati presso pie istituzioni di carità a tutte le ore e in anonimato, ab-
di Stabia
bia poi trovato in tempi recenti, in certi ospedali, una versione moderna
e sicura per salvare i bambini abbandonati nei modi più diversi con gra-
vi rischi per la loro incolumità. Certo, questa moderna ruota, al di là dei
numeri reali piuttosto bassi di casi censiti, serve anche da segno per ri-
cordare che oggi è possibile partorire in sicurezza e nell’anonimato, con
diritti all’assistenza garantiti a tutti indistintamente, e permettere al
piccolo, che la madre non vorrà riconoscere, di essere dato in adozione a
una coppia che desiderava il dono di un figlio e ne aveva gli opportuni
requisiti. È proprio vero, come affermato da qualcuno, che una società va
giudicata per il suo grado di civiltà, non solo per le sue conquiste scien-
tifiche, economiche, artistiche ma anche, e soprattutto, per l’attenzione
agli scartati, ai poveri, ai piccoli, ai malati, agli anziani, a coloro che non
hanno voce o non sono economicamente produttivi. 19
A tal proposito, gli storici attenti alle vicende del nostro meridione
hanno messo in luce iniziative ed istituzioni benefiche di quello che fu
il Regno di Napoli prima, e delle Due Sicilie poi, in cui tanta attenzione si
ebbe per i poveri. Ciò non sfugge al Nostro Autore che, tra le tante cose, ci
parla del brefotrofio della Reale Casa dell’Annunziata di Napoli con la sua
lunga e ricca storia, di cui gli archivi sono una preziosa testimonianza.
Colpisce non poco noi moderni il constatare che, nel summenzionato
grande complesso architettonico ancora visibile nella città, allora capita-
le del regno, i nostri antenati abbiano saputo coniugare in mirabile sin-
tesi la bellezza e la carità, come a ricordarci che anche i più poveri hanno
diritto alle cose belle dei nobili, perché tali sono anch’essi agli occhi di
Dio. Nel libro, la spiegazione di come si dava o si inventava un cognome,
mentre ci dice di una crescente attenzione alla dignità delle persone e
alla pubblica sicurezza, con un pizzico di ironia, ci narra della creatività
di alcuni nel forgiare nuove identità partendo da un particolare giorno,
da una festa, da una caratteristica fisica del trovatello. Ringraziamo l’Au-
tore per questa ricerca che stuzzica la nostra curiosità, ci fornisce tante
notizie interessanti e ci permette di sapere di più con l’altrui fatica, ben
sapendo che il sapere si moltiplica e si gusta condividendolo.
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© banca stabiese
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abbreviazioni ricorrenti
30 Introduzione
496 Appendice
506 Bibliografia
Dizionario di Afèresi (o procope): eliminazione o scomparsa di uno o più suoni all’inizio di
linguistica una parola come, per esempio, il cognome Tognazzi è aferesi di Antognazzi.
Agionimo: nome proprio di santi come i cognomi: Andrea, Marco, Pietro, Giovan-
ni, Evangelista, Sammartino, Mattei.
Agnomen: termine latino col quale viene indicato un quarto nome (oltre ai tre di
tradizione classica: praenomen, nomen, cognomen) che indicava una particolare
caratteristica o condizione, per esempio: Marcus (praenomen) Porcius (nomen)
Cato (cognomen) Censorius (agnomen); l’agnomen Censorius indicava la condizio-
ne di censore.
Apocope: scomparsa di uno o più suoni alla fine della parola come, per esempio,
Berlen è apocope del cognome Berlengieri.
Betacismo: fenomeno e processo fonetico per cui la -b- può trasformarsi in -v- e
viceversa come, per esempio, Varvaro in Barbaro e Varnavà per Barnabà.
Biblico: sono quei cognomi che si rifanno alle Sacre Scritture come: D’Adamo,
D’Abramo, Noè, D’Elia, Giacobbe, Patriarca.
Campidanese: dialetto sardo parlato nella Sardegna meridionale.
Fitonimo: cognome derivato da piante e fiori come: Giglio, Rosa, Frasca, Viola.
Grico: sono così denominati i dialetti parlati in alcune zone del Salento, Cala-
bria e, in passato, in aree più vaste del Meridione.
Lemma: ciascuno degli articoli dai quali sono formati i dizionari, enciclopedie,
repertori, riunito sotto una voce o nome chiamati esponente.
Matronimico: cognome che prende il nome della madre; per esempio: D’Anna,
De Maria, De Rosa, Martina, Agnese.
Metàtesi: fenomeno per cui si verifica lo spostamento di uno o più suoni all’in-
terno della parola; per esempio nel cognome Craparelli da Caprarelli.
Mitologico: sono cognomi legati alle narrazioni fantastiche e religiose del mon-
do greco-romano come: Eraclea, Ercoli, Mercuri, Orione, D’Apollo.
Patrionimico: cognome derivato dal nome della patria di origine; per esempio
Francia, Olanda, Veneto, Calabria, Ferrara.
Patronimico: cognome preso dal nome del padre; per esempio: De Filippo, Di
Matteo, Daniele, Raffaele, D’Alessio.
Pluralizzato: lo sono quei cognomi che assumono la desinenza -i; per esempio:
Russi, Bianchi, Negri, Fornari.
Prenomen: termine latino che indicava nella sequenza onomastica il primo ele-
mento; per esempio nel nome completo Caius Iulius Caesar il prenomen era Caius.
Rotacismo: processo fonetico per il quale una consonante diversa da -r- (di solito
-l- o -s-) si trasforma in -r-; per esempio: Cifaldi diventa Cifardi. 27
Sicano: antichissima lingua parlata dai Sicani, popolo stanziato nella Sicilia
meridionale e occidentale.
Sincope: scomparsa di uno o più elementi all’interno di una parola con con-
seguente fusione di due sillabe in una; per esempio nei cognomi Almanno per
Alemanno, Balsari per Baldassarri.
Slavo: sono quei cognomi di lingua slava come Bodulic, Petrovic, Schiavone.
Storico: sono quei cognomi tratti da personaggi illustri della storia come Carlo-
magno, Buonaparte, Colombo, Castriota.
nelle due pagine seguenti
“Acqua della Madonna”
Teoforo: nome personale che esprime e contiene il concetto di Dio; per esempio:
con il Cantiere navale Amen, Amodio, Deodato, Dioguardi, Servadio, Di Dio.
(xix secolo) •
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© archivio plaitano
30
Introduzione
Nobildonna ai bagni di Se, per gioco temporale, facessimo riferimento proprio al periodo con- 31
Pozzano a Castellammare
di Stabia (1908) temporaneo per l’originazione dei cognomi, potremmo consegnare
ai posteri elenchi alfabetici con il signor Benzinaio o Elettricista, la pro-
fessoressa De Padania o Dell’Aeroporto, l’avvocato De Jessica o Deborah, il
maresciallo Fuxia o Stressato e così via. Balza sicuramente agli occhi il
fatto che le suddette parole siano prese dal linguaggio contemporaneo
e non da quello del periodo che va dall’XI al XVI secolo. Perché questa
provocazione? Proprio per far capire come la formazione dei cognomi ha
tenuto, in gran conto, del vissuto dell’epoca in cui avvenne tale trasfor-
mazione; infatti bisogna contestualizzare tale processo all’interno del
vivere quotidiano, delle vicende storiche, delle disposizioni legislative,
dei modi di essere del periodo in cui si sono originati.
Per studiare l’origine della parola, che diventerà poi il cognome, biso-
gna indagare sui nomi più diffusi, sui rapporti familiari, sui luoghi
più importanti, sui mestieri più diffusi e sui soprannomi utilizzati
nello specifico periodo. Questo libro risponde alla più spontanea delle
domande sulla propria identità e, cioè, sapere cosa significano i propri
cognomi e, in particolare, quelli tipici stabiesi ma anche conoscere tutte
le vicende del suo uso a cominciare dalla sua originazione. I cognomi si
sono lentamente e faticosamente formati, e poi stabilizzati, come conse-
guenza di un complesso processo d’interazione tra molti fattori: onoma-
stica personale, pratiche dei notai, procedure ereditarie e testamentarie,
peso della nobiltà, urbanesimo, storie dei santi, ruolo delle corporazioni,
importanza dell’individuo nella famiglia, posizione della famiglia nella
comunità di appartenenza, tutela dei bambini nati fuori dal matrimo-
nio e, infine, l’intervento delle autorità costituite come la Chiesa e i vari
Stati che hanno esercitato la sovranità nel nostro paese e, nel Sud Italia,
in particolare. Certamente affrontare l’origine dei cognomi ha, per me,
significato necessariamente (ri)studiare la macrostoria e la microstoria di
molti secoli (dal XI al XIX secolo), le tradizioni dei popoli, l’araldica e
gli stemmi, il latino, la geografia europea, i mestieri e la vita sociale del
Medioevo, le leggi locali, le migrazioni, la trasformazione dal latino al
volgare, la linguistica, i soprannomi, le prassi notarili. Per corroborare
questa storia ho studiato, oltre che la bibliografia esistente, anche le
fonti e le testimonianze storiche locali (lapidi, saggi, scritti, memorie, atti
giuridici, anagrafi, archivi parrocchiali, catasti).
Nella mia esperienza di docente ho avuto modo di conoscere, tra gli altri,
due gemelli sordi. Ebbene, nella nostra frequentazione sono prevalsi gli
sguardi, i gesti e le posture; evidentemente non le parole. Uno dei due
gemelli un giorno, parlando di me ad una collega, mi ha indicato con un
gesto che mi ha incuriosito; ho chiesto lumi all’assistente alla comunicazio-
© raffaele fontanella
Lo studio dei cognomi ha già attirato nel passato l’attenzione degli stu-
diosi a partire da Ludovico Antonio Muratori che al tema dedicò nel 1738
la trattazione De cognominum origine; pochi anni dopo, nel 1756, Gennaro
Grande pubblicò il libro Origine de’ cognomi gentilizj nel regno di Napoli. Poi
nel 1978 Emidio De Felice pubblicò il libro Dizionario dei cognomi italiani
(Mondadori) ma la trattazione più corposa e autorevole si deve nel 2008
ad Enzo Caffarelli e Carla Marcato con I cognomi d’Italia. Dizionario storico
ed etimologico (UTET) che affrontano la tematica analizzando i cognomi
© wikipedia
Forse non tutti sanno che l’Italia detiene, nel mondo, il primato per il
numero dei cognomi con ben 350.000 forme differenti! In Cina, dove
vivono più di un miliardo di abitanti, i cognomi sono complessivamente
più di 3.000 di cui 700 quelli più diffusi (tra cui Zhang, Wang, Li, Zhao)
rappresentano quasi il 90% della popolazione! Il nostro è un patrimonio
straordinariamente ricco e vario perché si è alimentato della frantuma-
zione linguistica che ha caratterizzato il territorio nazionale nei secoli
e, soprattutto, nella tardiva unificazione linguistica. Nell’uso quotidia-
no della lingua è accaduto che il nome di battesimo e il soprannome
venissero diffusamente modificati da storpiature, forme dialettali, errate
pronunce, vezzeggiativi, dispregiativi, diminutivi o accrescitivi; se poi
consideriamo che i cognomi sono assimilabili alle parole, ci accorgiamo
che la loro genesi è intimamente connessa alle lingue esistenti in un
determinato territorio. Infatti si sono affermati in periodi durante i quali
la penisola era suddivisa in diversi Stati che presentavano netti confini
politici fino al 1861, quando si realizzò l’unità nazionale. A riprova di
ciò si considerino le numerose varianti, dovute proprio alle numerose
alterazioni, del terzo cognome più diffuso in Italia e cioè Ferrari: Ferraro,
Ferrero, Ferreri, Ferri, Ferro, Fierro, Ferrario, Ferraris, Ferraiuolo, Ferraio-
li, Ferrigno, Ferré, Ferrer e quelli omologhi Fabbri, Magnani, Forgione.
Fotogrammi tratti da Quante volte Totò, di cui sono un grande appassionato, ha giocato in
diversi film di Totò
diverse gag con i cognomi? In alcune diceva Lei è un donatore di sangue?
Allora di cognome fa Sanguigno oppure in altre etichettava il presentatore
Corrado come scognomato; quante volte il principe Antonio De Curtis ha
maltrattato i cognomi delle sue spalle nei film deformandoli e beffeg-
giandoli? Tutti ricordiamo quando volutamente alterava il cognome del
tipografo Lo Turco, interpetato da Peppino De Filippo ne La banda degli
onesti, in Lo Turzo, Lo Turzo, Lo Curto, Turchesi, Lo Tripoli, Lo Struzzo,
Gianturco, Turchetti, Turco. Poi, nella celeberrima scenetta del vagone
letto avrebbe conosciuto il padre dell’onorevole Trombetta, e cioè quel
Trombone di suo padre!, ma anche, sapendo che la sorella era sposata con
un tale di cognome Bocca per cui faceva Trombetta in Bocca, gli avrebbe
risposto e dove la vuoi mettere la trombetta? Ancora in Totòtruffa 62, con
la complicità di Girolamo Scamorza (Nino Taranto), per la vendita della
Fontana di Trevi di Roma al malcapitato italo-americano Decio Cavallo,
36 sbeffeggiato come Caciocavallo!
© wikipedia
Fotogrammi dei film Di seguito alcuni cognomi originali ed eloquenti per i suoi personaggi:
“Totò a colori” (1952) e
“Totòtruffa 62” (1961) mastr’Agostino Miciacio (San Giovanni decollato), Antonio Casamandrei
(Totò al Giro d’Italia), Antonio Scannagatti (Totò a colori), Felice Sciosciam-
mocca (Un turco napoletano / Miseria e nobiltà / Il medico dei pazzi), Antonio
Cocozza (Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi), Antonio Guardalavecchia (Chi si
ferma è perduto), Antonio La Trippa (Gli onorevoli), Antonio Bonocore (La
banda degli onesti), duca Gagliardo della Forcoletta (Totò lascia o raddop-
pia?), Antonio Caponi (Totò, Peppino e… la malafemmena), Totò Scorcelletti
(Totò, Eva e il pennello proibito), Ottone Spinelli degli Ulivi detto Zazà
(Signori si nasce), Antonio Barbacane (Totò, Peppino e la dolce vita), Antonio
La Puzza e l’ammiraglio Canarinis (Totò e Peppino divisi a Berlino).
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© wikipedia
Nel cognome si sono sedimentati i caratteri di intere generazioni, in-
fluenzate proprio da quel cognome. Nella vita di ognuno di noi la ripeti-
zione del cognome fissa un marchio di fabbrica sull’indole e sulla perso-
nalità. Alla nascita il cognome ci piomba addosso e non lo si pratica fino
all’età scolare; comincia ad essere adottato nell’uso non appena si diven-
ta, a qualche titolo, un soggetto pubblico (scuola, catechismo, palestra)
dove l’elencazione alfabetica porta a rispondere presente. Tutti abbiamo
nel cassetto il ricordo del professore che fa l’appello in aula; di seguito il
mio del 1979 in terza media: Avagnale, Carrubba, De Simone, Donnarumma,
Fontanella, Greco, Guadagna, Longobardi, Malafronte, Masi, Murolo, Pappalar-
do, Simoncini, Somma. Suscitava l’ansia dell’interrogazione, quando non
era programmata, e produceva la volatile confidenza e lo sfottò fra com-
pagni di scuola al liceo. Oppure ricordiamo i cognomi quando ripetiamo
la sequenza dei giocatori della squadra del cuore, come per la Nazionale
campione del mondo del 1982 in Spagna: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collo-
38 vati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani.
Spero che il lettore possa apprezzare questo libro che ci riporta indietro
nel tempo, nei ricordi, nelle persone e negli avvenimenti, tanto da aprire
nuovi orizzonti alla ricerca e alla conoscenza delle nostre radici. Tale
mia intenzione assume un certo rilievo documentario proprio per la
costante e rapida sparizione di numerosi cognomi a causa del calo delle
nascite in Italia; infatti molte famiglie, nelle quali sono presenti una o
piú figlie, sono condannate alla scomparsa del proprio cognome conside-
rato che da noi la trasmissione dei cognomi è solo patrilineare. Ritrovare
il proprio, nella marea dei cognomi formanti la grande famiglia stabiese,
dovrebbe essere una gradita sorpresa; per i riferimenti storici, biografici,
araldici, l’argomento è di notevole interesse anche per i non stabiesi e i
campani. Nel Basso Medioevo la nostra città era un piccolo borgo che
ospitava più o meno 1000 anime; da loro ci separano cinque o sei secoli
e, a seconda dei casi, circa 15-20 generazioni durante le quali le discen-
denze si sono ramificate fino a perdere il ricordo dell’antenato comune.
Ogni cognome ci può raccontare la storia dei capostipiti, cioè chi ci ha
preceduto e per primo ha portato il nostro cognome; come hanno trascor-
so la loro esistenza, più o meno fortunata, più o meno ignota, con una
Tempera con le tipiche
vestiture delle donne
delle province del Regno
di Napoli (xix secolo)
40
famiglia, una casa, un pezzo di terra o una bottega. I loro modi di nomi-
narsi si sono perpetuati e ci suonano familiari, li ritroviamo nei nostri
cognomi, sui citofoni e sugli elenchi telefonici. Con queste intenzioni ci
si rende conto immediatamente che per soddisfare la nostra curiosità
è indispensabile tornare indietro nel tempo, molto indietro, per capire
quando e come questa storia ha avuto inizio, poiché senz’altro un nostro
lontanissimo progenitore avrà dato l’originario input. Quindi è legittimo
farsi domande del tipo: quando è nato il proprio cognome? in relazione a quali
esigenze? che origini ha? che significato ha?
Per gli antroponimi bisogna risalire al Mille, a partire dal Basso Me-
dioevo, periodo nel quale si diffusero numerose formazioni sopranno-
minali e augurative. Non solo la storia è coinvolta in questo fenomeno
(con il Medioevo e il feudalesimo, i comuni e le signorie, le dominazioni
e le migrazioni, l’urbanesimo e l’agiografia); altre discipline concorro-
no in modo considerevole come la linguistica (dialetti e alterazioni), i 41
trovatelli, la giurisprudenza e le pratiche notarili, la trasformazione dal
latino al volgare, le pressioni demografiche che generavano omonimie, le
errate trascrizioni. Il tutto scoprendo i luoghi di provenienza, i mestieri,
le particolarità fisiche e morali dei nostri antenati, come si chiamava-
no tra loro, che lingua o dialetto parlavano. Chi si è occupato di storia
di famiglia e genealogia, chi ha cercato di risalire ai propri antenati
consultando documenti storici, si è spesso trovato di fronte a continui
cambi formali del nome di famiglia da una generazione all’altra, da una
documentazione all’altra.
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© wikipedia
Gli antichi vedevano una stretta correlazione tra la cosa e la parola che la
designava affermando con nomen omen che il nome è un auspicio, buono
o cattivo. Perciò imponevano ai figli nomi beneauguranti: Demostene
contiene il concetto di popolo e forza, Alessandro vuol dire protettore di
uomini, in Elena c’è il sole (elios). Analogamente, noi moderni battezzia-
mo i figli Placido, Clemente, Pio, Patrizia, Azzurra; mai ci sogneremmo
di chiamarli Inquieto, Spietato, Empio, Plebea, Scolorita!
L’onomastica nell’antica Roma
È bene ricordare quali zone d’Italia fossero state occupate dai Longobar-
di e quali dai Bizantini; erano longobarde l’Italia settentrionale con la
Toscana e gran parte dell’Italia centro meridionale sotto i ducati di Spo-
leto e Benevento mentre appartenevano all’Impero Romano d’Oriente
l’estremo sud d’Italia con la Sicilia e la Sardegna, poi Venezia, Ravenna,
Roma e Napoli. Questi due governi differivano per impostazione politica
ma anche per la prassi onomastica. Da un lato, i Longobardi avevano una
forte propensione per il nome unico ad ogni livello, sia per i nobili che
per il popolo. Dall’altro lato, le aree ancora legate alla conservazione del
patrimonio linguistico e culturale della tradizione romano-bizantina
propendevano per denominazioni tipiche a due o più nomi. Se, talvolta,
nell’ambito di un villaggio capitava un caso di omonimia, lo si risolveva
indicando la paternità ossia che Marcus era il figlio di Johannes oppure
utilizzando la voce alter o qui vocatur o alius (cioè detto il) e il soprannome
così come in Johannes qui vocatur Vassus (Giovanni detto Vassallo). Mentre
si generalizza l’uso del nome unico, si restringe sempre più quello della
formula binomia o trinomia, limitata alle classi più elevate e all’uso
ufficiale, che si esaurisce nel primo Alto Medioevo per quanto non sia
da escludere una latinità tenacemente conservata, come potrebbe essere
il caso di Venezia dove la presenza del sistema binomiale moderno,
costituito da nome e cognome, è attestato assai precocemente. Quando,
per specifiche circostanze, si voleva definire con maggior precisione un
individuo, per esempio in occasione di una donazione o una compra-
vendita, accanto al nome unico si ricorreva ad alcuni elementi onomastici
accessori impiegati singolarmente o cumulativamente: in primo luogo
la filiazione con Athelardus filius Guilielmi (Atelardo figlio di Guglielmo),
Petrus de Patricia (Pietro di Patrizia), Albertus filius quondam Guidi (Alberto
figlio del fu Guido) o un altro rapporto di parentela con Albertus frater
Ildibrandi (Alberto fratello di Ildibrando), Guilla uxor Alberti (Guilla moglie 57
di Alberto). Poi si cominciò ad aggiungere il nome del titolo acquisito per
l’esercizio di cariche pubbliche come per marchio (marchese), comes (conte
come, ad esempio, Guarinus Comes Ferrariensis cioè Guarino conte di Ferra-
ra), vicecomes (viceconte o visconte), advocatus (avvocato), gastaldus (gastal-
do), notarius (notaio), judex (giudice), vassus (vassallo), presbyter (presbitero).
Ancora poi le dichiarazioni di status o di nazionalità (clericus, servus,
alamannus) con Albertus de civitate Florentia (Alberto della città di Firen-
ze); i nomi di mestiere (aurifex, magister, massarius, fornasarius, beccarius,
balisterius, caligarius).
Alla base della gerarchia feudale, al di sopra dei contadini liberi e dei
servi della gleba, c’erano i milites e i caballari dotati di scarse risorse ma
aventi il diritto e le capacità economiche di possedere rispettivamente
un’armatura e un cavallo nonché di partecipare alla vita delle corti. La
60 gerarchia tra i nobili era, in ordine decrescente, la seguente: imperatore,
re, principe, duca, marchese, conte, visconte, barone, signore e cavaliere;
si noti come tali cariche diventeranno cognomi diffusamente presenti
in Italia. Bisogna ricordare la differenza fondamentale che intercorre
tra il feudo franco e il feudo longobardo. Il primo è il feudo che si potrebbe
definire puro, riscontrabile soprattutto in territorio francese: ha come
caratteristiche fondamentali l’indivisibilità, l’inalienabilità e l’impossi-
bilità ad essere trasmesso ereditariamente per via femminile. Un feudo
di questo tipo tende a generare una società in cui il possesso fondiario è
molto statico; ed infatti fu introdotto in Italia al momento della discesa
nel meridione della casa francese degli Angiò, alla fine del XIII secolo,
che favorì l’insediamento nel territorio italiano dell’aristocrazia d’oltral-
pe portando con sé i propri istituti e le proprie consuetudini.
La “Tabula Peutingeriana” la quale una proprietà di famiglia, il podere o maso chiuso, passava di pa-
con le vie militari dell’im-
pero romano (xii-xiii seco- dre in figlio in linea maschile, e solo al primogenito, non potendo essere
lo) conservata presso la
suddiviso per garantire così la continuazione del possedimento.
Hofbibliothek di Vienna
Agli inizi del Mille si assistè ad una vera e propria transizione fra due
epoche: si organizzava definitivamente il regime feudale che legava
l’uomo alla terra e distingueva i gruppi sociali, separati e gerarchizzati.
Nell’Alto Medioevo le città avevano perso quasi ogni funzione; molte
erano sopravvissute a stento come centri di residenza vescovile, spopo-
landosi e contraendosi. A partire dal XI secolo vi fu una rapida e rigo-
gliosa rinascita. La crescente produttività agricola creava un’eccedenza di
prodotto (surplus) disponibile per essere venduto; poi, i progressi tecno-
logici richiedevano beni e strumenti che la curtis non poteva produrre
al suo interno nella quantità e qualità necessarie. La città venne quindi
assumendo un ruolo di centro di produzione artigianale e di mercato;
tale rinascita era dovuta alla sua nuova funzione economica, cioè alla
economia chiusa della curtis si sostituì l’economia aperta della città,
basata sulla divisione del lavoro tra città e campagna. Poi la maggiore 63
sicurezza nelle strade e il crescente volume di scambi rimise in movi-
mento i mercanti; la ricomparsa delle fiere e dei mercati portò con sé una
ripresa della circolazione monetaria come mezzo di scambio. Nelle fiere
più importanti comparvero i cambiavalute per scambiare le monete dato
l’alto numero delle autorità con diritto di battere moneta. Cominciarono
a svilupparsi forme di pagamento moderne (cambiali e lettere di credito)
ed il credito con il prestito ad interesse.
Dalla fine del IX secolo e nei due successivi, di fronte alla furia deva-
statrice dei nuovi invasori (Normanni, Ungari e Saraceni) si determinò
un generale clima di grande paura che causò, nelle aree più esposte agli
attacchi, l’abbandono delle proprie terre per luoghi ritenuti più sicuri e
quasi ovunque si verificò il fenomeno dell’incastellamento, cioè il prolife-
rare dei castelli di difesa. Molto diffusa fu la paura che vide protagonisti
i terribili Saraceni (i cosiddetti li turchi); si pensi poi che la parola orco
derivi dal francese ogre che stava per ungaro.
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66
si ritrova in vari nomi di città italiane come Villafranca di Verona, Villa-
franca in Lunigiana (Massa Carrara), Villafranca Padovana, Villafranca
Piemonte (Torino); ed anche Francavilla come Francavilla al Mare (Chieti),
Francavilla Fontana (Brindisi), Francavilla d’Ete (Ascoli Piceno), Franca-
villa di Sicilia (Messina), Francavilla Angitola (Vibo Valentia).
Gli abitanti dei borghi medievali furono chiamati borghesi; il loro ruolo
sociale crebbe rapidamente perché divennero indispensabili al processo
di crescita delle città stesse. Oltre al clero, alla nobiltà e ai contadini,
si presentò questa nuova classe sociale costituita da persone capaci di
migliorare, con le conoscenze e le capacità, la propria condizione sociale.
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L’esperienza dei Comuni
Come in Inghilterra, anche il regno normanno del Sud Italia risultò forte
e ben organizzato; alcune città si opposero ma furono sconfitte a con-
ferma che nel Sud non era praticabile l’esperienza comunale. Nel 1231 73
l’imperatore svevo Federico II, come re di Sicilia e sovrano di tutta l’Italia
meridionale, fece promulgare un testo legislativo, detto Costituzioni mel-
fitane, mirato ad un’efficace organizzazione del potere amministrativo,
fiscale e giudiziario dello Stato. Per quest’ultima esigenza il re richiede-
va l’identificazione precisa di tutti gli individui che si erano resi colpe-
voli di un crimine; nei particolari richiedeva che per la persona colpita
dal provvedimento dovesse essere specificato il nome e il cognome, così
come nel testo in latino banniti nomen atque cognomen. Uno dei primi casi
dove, per legge, il cognome ufficialmente completava il prenome.
Nella comunità feudale, nella fase che precede la nascita dei Comuni,
i sudditi del feudatario avevano scarse relazioni reciproche e scarsa
importanza gli uni per gli altri per poter acquisire una denominazione
complessa e per tale motivo bastava il solo nome unico. Col passare del
tempo i governi si videro costretti a registrare sempre più informazioni
sui cittadini nell’adempimento di doveri pubblici come, ad esempio, la
contribuzione fiscale e il servizio di leva; questi adempimenti comincia-
rono ad interessare una percentuale sempre crescente di popolazione (si
pensi all’aumento della natalità e al fenomeno dell’urbanesimo) renden-
do necessaria l’identificazione di ogni soggetto in modo inequivocabile.
Laurentius de Voltolina sociale sia per gli aristocratici che per le classi contadine; ma anche il
“Henricus de Alemannia
con i suoi studenti a sistema più ampio di negozi giuridici come la compravendita, i lasciti
Bologna” (xvi secolo) con- testamentari, le donazioni. Il progressivo prevalere dei nomi germanici e
servato nella Kupfersti-
chkabinett di Berlino la conseguente decadenza dell’onomastica latina e cristiana, determina-
rono una semplificazione nella scelta dei nomi personali che contribuì
ad alimentare i casi di confusione nella identificazione delle persone.
Necessità tanto più sentita in quelle società nelle quali il numero dei
nomi utilizzati al battesimo era ristretto e le omonimie frequenti;
necessità ineludibile man mano che cresceva la popolazione (si calcola
che dal 950 al 1300 la popolazione italiana sia passata da 5 a 8 milioni
di abitanti) e si sviluppavano i centri urbani. In un piccolo villaggio la
quasi totalità dei nomi di battesimo era legata al culto particolare dei
santi, specialmente quando sussistevano devozioni per grazie ricevute; si
intuisce quindi che chi si chiamava Johannes o Petrus, nomi molto diffusi
all’epoca, necessitava di ulteriori elementi onomastici. Chiaramente il
nome aggiunto era utilizzato nel colloquio orale in modo informale ma
risultò necessario specialmente quando dovette essere trascritto ufficial-
mente su un contratto. Quindi l’uso del solo nome di battesimo si rivelò
insufficiente; si impose dunque la necessità di coniare nuovi epiteti da
aggiungere al nome unico individuale. Cominciò a farsi necessaria l’iden-
tificazione non equivoca delle persone per l’applicazione delle norme
Particolare di scultura
religiosa del xiii secolo
78
Di solito, nel XII secolo il notaio o l’ufficiale preposto indicava ogni dato
onomastico pertinente ad una persona; il nome del padre da aggiunge-
re al proprio nome (Petrus Iohannis cioè Pietro figlio di Giovanni che si
distinge da Petrus Alberti cioè Pietro figlio di Alberto), il nome della terra 79
o luogo (Johannes de Capua, Michael de Nola), la dignità o ufficio (Petrus
vicecomes, magister Rainerius scriptor, o notarius, grammaticus), il mestiere
svolto (Petrus ferrarius, magister Caffolus murator, o pelliciarius, calzolarius,
aurifex, doctor, consul) o il ricorso a soprannomi (Petrus qui dicitur Grassus
o, direttamente, Petrus Grassus). Fu a partire da queste tipologie di doppio
nome (ancora personali, spesso instabili e comunque non ereditarie) che
nacquero vere e proprie forme cognominali.
Questa prassi sarà utilizzata con frequenza nella redazione degli atti e
documenti ufficiali; chiaramente per un pubblico ufficiale del XI secolo,
un notaio ad esempio, una cosa è ascoltare le generalità del richiedente
e un’altra cosa è la scrittura in latino, in un periodo storico nel quale si
assiste alla trasformazione linguistica dal latino al volgare. La trascrizio-
ne in latino delle generalità di una persona è il frutto del compromesso
tra il parlato comune e la redazione notarile. In un documento redatto
a Napoli nel 1120, il latino è così di facile lettura che si riescono ad ap-
prezzare le trascrizioni onomastiche in lingua volgare che, con tenacia,
metteranno da parte la lingua latina antica e formale; dal documento
è possibile stralciare alcune frasi scritte tutto in minuscolo: sergio de
ginnarum (qui il protocognome patronimico De Gennaro) qui nominatur
pappahasinum; sergio qui nominatur de porta noba (qui il protocognome
toponimico Portanova) marenario; drosu filia quondam gregorii marenarii
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miniatura con allegoria (qui il protocognome di mestiere Marinaro) qui vocatur manco; sergio
dell’ingordigia tratta
dal “Trattato sui Sette marenario qui vocatur (detto) torto (qui il protocognome di soprannome
Vizi Capitali del codice
Torti) filio quondam (figlio del fu) stephani torti; iohanne fictiliario qui vocatur
Cocharelli” (1330-1340)
conservata nella British ascana filio quondam petri fictiliarii qui nominatur (soprannominato) ascana;
Library di Londra
maria filia quondam romani marenarii qui nominatur de anastasu; iohanne et
marinus uterinis germanis (fratelli) filiis quondam gregorii et quondam drosu;
iohanne filio quondam leoni cui super nomen (soprannominato) balabate.
Quindi nel Basso Medioevo tale nome aggiunto, che in origine serviva ad
individuare una sola e definita persona, poco a poco, tese a consolidarsi
come vero cognome di famiglia, cioè come casato facendosi ereditario e
trasmissibile da padre in figlio e da questo alle generazioni successive; in
questo modo l’individuo era distinto anche per la sua appartenenza ad
una comunità minore, cioé alla sua famiglia.
Passo a fare una carrellata dei modi con cui venivano identificati gli
individui nel Basso Medioevo con la trascrizione in latino, preceduta
dall’anno, e la relativa traduzione in italiano.
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Giovanni di ser Giovanni • Tratto dal libro Regii Napoletani Archivi Monumenta (1049-1114),
Guidi (detto Scheggia)
“Cassone Adimari” (1450) Napoli, Ex Regia Typographia, 1857.
conservato nella Galleria
dell’Accademia di Firenze
1050. Ideoque nos i sumus leo filius boniti et gizzo et petri et iohannes germani
filii quondam bonecari abitatori sumus de finibus liburie loco casale.
(Quindi noi siamo Leo figlio di Bonito e Gizzo, Pietro e Giovanni fratelli
figli del fu Bonecari siamo abitatori di un casale situato ai confini della
Liburia, cioè la Terra di Lavoro).
1090. Stephanus presbite, geraldus presbite, petrus de montorio, ricardus male-
tus, ragnulfus elemosinarius, nicholaus notarius et alii plures.
(Stefano sacerdote, Gerardo sacerdote, Pietro di montagna, Riccardo ma-
leto (?), Ragnulfo elemosinario, Nicola notaio e molti altri).
1114. Ego iohannes iudex, ego fulco miles testis sum, ego leo iudex, ego paganus
miles me subscripsi, ego berardus miles me subscripsi et testis sum, ego mignanus
presbyter et notarius manum posui.
(Io Giovanni giudice, io Fulco soldato sono testimone, io Leone giudice, io
Pagano soldato ho firmato, io Berardo soldato ho firmato e sono testimo-
ne, io Mignano prete e notaio ho posto la mano).
1114. Quoniam ego richardus musca nepos et heres rainaldi musce filii turol-
di musce pro redemptione anime mee et predicti avunculi mei rainaldi musce.
(Perché io sono il nipote di Riccardo mosca, nipote e erede di Rainaldo
mosca, figlio di Turoldi mosca per la redenzione della mia anima e del
suddetto mio zio Riccardo).
1114. Ego richardus musca me subscribere feci, ego radulfus tyrollus testis sum,
ego radulfus sainiscalcus testis sum.
(Io Riccardo mosca mi fece firmare, io Radolfo tirolese come testimone, io
Radolfo siniscalco come testimone).
1114. Ego petrus caprarus presente filio quondam bonalvicina.
(Io Pietro capraro figlio del fu Bonalvicina).
1114. Ego pandulfus filio domini landulfus, ego milo filio domino leo, ego petrus
diaconus et notarius suprascripte.
(Io Pandolfo figlio del signore Landolfo, io Milo figlio del signore Leone,
io Pietro diacono e notaio suddetto.
1114. Ego richardus ferrarius cum uxor melilla.
84 (Io Riccardo ferraro con la moglie Melilla).
85
1272. Donat quibusdam de familia cancellaria qui il cognome Cancellario
veniva accordato al femminile per indicare l’intera famiglia.
1272. Assensus pro matrimonio contrahendo inter gerardum dictum de cremona
milite et mariam uxorem quondam henrici de sancto archangelo de aversa, cum
usufructu medietatis cuiusdam pheudi, quod petrucius de sancto archangelo,
eiusdem marie filius, tenet sub baronia francisca.
(Assenso per il matrimonio da contrarsi fra Gerardo detto di Cremona,
milite, e Maria moglie del fu Enrico di Sant’Arcangelo di Aversa, con
l’usufrutto della metà di un certo feudo, che Petruccio di Sant’Arcangelo,
figlio della stessa Maria, possiede sotto la baronia Francisca).
1273. Symonem de parisius (Simone di Parigi).
1278. Giullelmi dicti accroczamuri (Guglielmo detto Accrocciamuro).
1278. Actum neapoli presentibus leonardo cancellario achaye et angelo de marra
mag. rationalibus, gualterio de alneto, iohanne de fossomis senescalco viromandi.
(Redatto in Napoli presenti Leonardo Cancellario di Acaia e Angelo de
Tino di Camaino, lunetta
86
centrale (1325 circa) del
Marra Maestri Razionali, Gualterio de Alneto, Giovanni de Fossomis
Duomo di Napoli Senescalco di Viromandi).
Il processo di fissazione
Questa prassi è registrata, per i documenti stabiesi, nel Catasto della città
del 1554, nel Catasto dei Terzieri del 1603, nel Catasto Onciario del 1753
nonché negli Archivi della Cattedrale e di Confraternite cittadine; ciò
mostra come all’epoca il cognome era un accessorio del nome di batte-
simo o, comunque, un elemento secondario tanto è vero che era suscet-
Veduta dal mare della
tibile di modificazioni, di accordi grammaticali per genere e numero.
88 città di Napoli nella Non era ancora divenuto una designazione stabile e ereditaria perché
“Tavola Strozzi” di Fran-
cesco di Lorenzo Rosselli legato alle vicissitudini storiche e alla discrezionalità della famiglia. La
(1470) conservata nel diffusione dei cognomi e l’amministrazione politica divennero intercon-
Museo Nazionale di san
Martino di Napoli nessi perché divenne essenziale l’accertamento, individuo per individuo,
della condizione dei cittadini attraverso il censimento, la redazione e
l’aggiornamento di matricole delle corporazioni, gli elenchi dei banditi, i
contribuenti fiscali; si consolidò un nuovo ruolo dello Stato nei rapporti
con i cittadini, divenuti soggetti di una intensa vita politica, amministra-
tiva, economica e sociale ma, soprattutto, giuridica e notarile. Per queste
ultime necessità l’individuo, in relazione alle attività e ai compiti che era
chiamato ad assolvere (cariche pubbliche, contratti commerciali, compra-
vendite, eredità e donazioni), doveva essere facilmente identificabile con
una precisa denominazione distintiva.
Per la grande nobiltà i cognomi dal XIV secolo, pur se già esistenti ma
non ancora considerati come l’elemento fondante dell’identità delle
persone, risultavano immancabili in tutti quei documenti, lettere o
registrazioni ai quali era riconosciuta una valenza politica; ad esempio,
nei provvedimenti di un re verso un nobile, nelle epigrafi celebrative e
funerarie oppure nella redazione degli statuti comunali dove il cognome
continuava a perpetuare la memoria e ad affermare la solidarietà fra
un determinato gruppo di parenti. In tutti questi atti pubblici si sareb-
be richiesta un’identificazione personale molto accurata (con nome di
battesimo e l’aggiunta di altre qualificazioni) a dimostrazione che per
le famiglie nobili il cognome aveva una funzione non tanto identificato-
ria, quanto autocelebrativa e, soprattutto, politica come strumento atto
a definire ambiti di potere e ad ostentare l’orgoglio della stirpe al pari
degli stemmi di famiglia. Invece gli atti scritti legati ad accordi privati 93
di natura patrimoniale, come le divisioni ereditarie di famiglie aristo-
cratiche molto note, avrebbero fatto avvertire l’indicazione del cognome
come superflua. Comunque anche se c’era l’assenza di un cognome in un
documento, ciò non sempre implicava la sua inesistenza nella realtà.
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© wikipedia
Infatti nel 1497, scrivendo al fratello Gismondo, si firmava come Buo-
narroto di Ludovicho Bonarroti; lo stesso fratello nel 1507, in risposta ad
altre lettere, lo chiamava dapprima Buonarotto Simoni, poi Michelagniolo
di Lodovico Simoni ed anche Michelagniolo di Lodovicho di Buonaroto. In una
lettera del 1532 compare come Bonniroti; firmerà la Pietà, il suo capolavo-
ro in marmo bianco di Carrara, in latino con Michael A(n)gelus Bonarotus
Florent(inus) faciebat cioè lo fece il fiorentino Michelangelo Buonarroti.
Quanto alle cause del graduale riallineamento, disteso tra Basso Medio-
evo ed Età Moderna, del sistema onomastico dell’Italia Centrale a quello
dell’Italia del Nord, si suggeriscono due principali fattori che stimolaro-
no il processo di cognominazione. Innanzitutto la gestione in comune di
importanti beni immobili come case e torri urbane, complessi signorili,
patronati ecclesiastici; le famiglie contadine si legarono alle piccole do-
tazioni fondiarie in modo più stabile acquisendone la proprietà.
E nel Sud Italia? L’avvento del cognome sembra abbia seguito una tempi-
stica più in linea con quella riscontrata al Nord. Nell’Italia meridionale
il sistema feudo-vassallatico raggiunse nel Basso Medioevo il suo mas-
simo livello di strutturazione tanto da contrastare fortemente l’emergere 101
delle autonomie cittadine; con il Catalogus Baronum, redatto verso la metà
del XII secolo dai Normanni all’indomani della conquista dell’Italia me-
ridionale, si elencavano tutti i vassalli (conti, baroni e cavalieri), i relativi
possedimenti nonché i servigi che dovevano al sovrano. Nel Catalogus
è citato il primo feudatario dell’universitas di Castellammare di cui si
ha notizia, Jacobo Guarna, fratello dell’arcidiacono salernitano Roberto
anche se altre fonti riportano Alfano de Castello Maris dal 1140 al 1185.
Le terre del sud Italia nel IX e X secolo erano possedute da vari prìncipi
longobardi, divisi nei tre principati di Benevento, Salerno e Capua; tra
l’XI e il XII secolo, a poco a poco, queste si unirono sotto i prìncipi nor-
manni che ne possedettero alcune, prima con titolo di Conte e di Duca, e
poi tutte nel regno stabilitosi in Sicilia. Il processo di originazione dei
cognomi è iniziato nell’XI secolo proprio sotto i re normanni perché fu-
rono nominati tanti ufficiali della Corona e della Corte, tanti ministri di
giustizia e di governo per tutte le Province, tanti uomini d’arme provvisti
di feudi. Queste operazioni di corte resero nobili molte persone (conti,
duchi, capitani, militi, fedeli, vassalli) che, per distinguersi dall’altre di
basso lignaggio, cominciarono ad usare, oltre al nome di battesimo, qual-
che nome aggiunto derivato dai titoli, i feudi, dalla patria, dai padri; i loro
figli avevano tutto l’interesse a perpetuare il cognome dei padri tanto
che nelle famiglie il cognome divenne gentilizio e perpetuo.
Il ponte di Rialto di La precocità di Venezia e del Piemonte
venezia (costruito in
legno come ponte leva-
toio) tratto dal quadro
La cristallizzazione di questi vari nomi aggiunti in cognomi fu la conse-
di Vittore Carpaccio “Il
miracolo della reliquia guenza dello sviluppo dei Comuni; non fu un fenomeno puntuale perché
della Santa Croce” (1494)
conservato nelle Gallerie avvenuto in tempi diversi secondo le varie regioni. È accertato che sia
dell’Accademia di Venezia avvenuto prima nelle città dell’Italia settentrionale; tra le prime zone a
sperimentare l’uso del cognome ci furono Venezia e il Piemonte.
Alla fine di un lungo periodo di guerre, nel 1442 furono gli aragonesi,
con Alfonso V, ad impadronirsi del regno di Napoli aggiungendolo alla
Sicilia sulla quale governavano dal 1302. Gli argonesi imposero al Sud
un governo di sfruttamento: le manifatture, i commerci e le banche di-
vennero di proprietà spagnola e tutti i domini italiani dovettero fornire
i prodotti agricoli. La presenza di questa forte autorità centrale, assieme
ai baroni proprietari dei latifondi, impedì in tutto il Sud lo sviluppo del
106 movimento comunale: le città erano governate dai funzionari del re e i
cittadini non ebbero mai voce in capitolo nella gestione del potere.
Nella scala sociale del Basso Medioevo al di sotto dei nobili, per i quali
il cognome diventò un elemento stabile e trasmissibile dell’onomastica
personale, esistevano famiglie benestanti (come prestatori di denaro,
commercianti, artigiani, piccoli e medi proprietari, amministratori pub-
blici) che cominciarono a rivendicare emancipazioni di ogni sorta, tra
cui quella del prestigio familiare legato proprio al cognome.
La peste che imperversò in quasi tutta l’Europa nella metà del XIV
secolo, sterminò una quota enorme della popolazione; questo fattore
contribuì decisamente alla scomparsa di molti cognomi preesistenti ed
anche alla riduzione dei processi di fissazione cognominale. Pertanto
la maggior parte di quelli che utilizziamo oggigiorno, al netto di errate
trascrizioni, risale ad almeno 600-700 anni fa! Una significativa quan-
tità di nuovi cognomi si inventerà (e si perpetuerà) nella prima metà del
XIX secolo allorquando le disposizioni napoleoniche obbligheranno gli
ufficiali giudiziari ad attribuire una nuova identità agli orfanelli.
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I linguisti sono concordi nel ritenere che il periodo di fissazione dei
cognomi va dal Basso Medioevo all’Età Moderna, che per convenzio-
ne inizia con la scoperta dell’America nel 1492. Attorno alla metà del
Quattrocento si registrò la nascita dei primi veri Stati europei come la
Francia, la Spagna e l’Inghilterra; tali monarchie riuscirono ad unificare
il territorio nazionale imponendo la propria autorità a tutti i ceti sociali.
I grandi feudatari, le chiese locali, le città autonome furono sottomessi
al governo centrale e ridotti alla condizione di sudditi; in quest’opera di
accentramento politico, le monarchie reali si dotarono di nuovi poten-
ti strumenti di governo: dall’uso di personale politico specializzato
(funzionari e burocrati) alla creazione di eserciti personali permanenti
alle dirette dipendenze della corona, al sistematico prelievo fiscale che
manteneva la costosa macchina dello Stato.
Nella penisola italiana, invece, tra XIII e XIV secolo i Comuni ritrovaro-
no stabilità nella nuova forma della Signoria e, contemporaneamente, il
mosaico frantumato delle città-stato del Duecento venne riorganizzan-
dosi nei cinque stati regionali italiani, cioè quelli di Milano, Venezia,
Firenze, Napoli e Stato della Chiesa. Per la diffusione e la fissazione dei
cognomi questi nuovi scenari ebbero significative implicazioni con fat-
tori concomitanti: la migrazione entro e fuori dell’Europa, l’interscambio
tra diverse aree culturali, le nuove prassi religiose e burocratiche.
Il Concilio di Trento del XVI secolo
Alla fine del Medioevo tutti i nomi aggiunti iniziarono a fissarsi in modo
definitivo e per tutti i ceti sociali anche se queste denominazioni erano
molto spesso destinate ad un’esistenza controversa e provvisoria; non
erano più epiteti individuali ma si presentavano come cognomi della
discendenza diventando così un fatto ereditario.
Elia Naurizio “Il Cardina-
le Ercole Gonzaga presie-
de la seduta del Concilio
di Trento” (xvii secolo)
conservato nella chiesa
di Santa Maria Maggiore
di Trento
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Con le disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563), il processo si ac-
centuò; imponendo la registrazione dei battesimi, dei matrimoni e delle
morti, la Chiesa Cattolica istituì di fatto il primo ufficio anagrafico della
popolazione, seppur per l’esigenza di evitare i matrimoni tra consan-
guinei. Alla fine del 1563, per risposta alle nuove dottrine protestanti di
Lutero, vennero prese delle decisioni che hanno avuto un significativo
ruolo nella fissazione dei cognomi italiani e che hanno rappresentato,
pertanto, uno spartiacque nella storia onomastica italiana. Tali disposi-
zioni stabilivano la trascrizione, in appositi registri, degli eventi reli-
giosi più importanti delle vite laiche e cioè il battesimo (e non la data di
nascita), la cresima, il matrimonio, il precetto pasquale della comunione,
la morte. Dopo mezzo secolo, nel 1614, un’altra disposizione ecclesiastica
previde che ad ogni Pasqua si redigesse lo Status animarum (Stato delle
anime), cioè una sorta di censimento che fotografava tutta la popola-
zione di un territorio comprendendo anche i bambini; nati per esigenze
religiose, questi registri sono preziosi per recuperare informazioni ana-
grafiche sull’identificazione delle persone e, in particolare, per i nomi,
cognomi, età, strutture familiari, parentele, mestieri, soprannomi.
In ogni caso nei primi del Seicento, quando cioè il processo di intro-
Registrazioni di matri- duzione delle norme tridentine arrivò a maturazione, il processo di
moni (xvii secolo) nella
cattedrale di Castellam-
identificazione del singolo individuo mediante il cognome si estese a
mare di Stabia tutti i ceti della società. Infatti dal XVII secolo in poi, l’uso del cognome 113
è precisato in tutti i suoi risvolti sociali e giuridici; il collegamento fra
il cognome e la famiglia è ormai un fatto universalmente e definitiva-
mente acquisito. Quindi per il cognome si è decretata la sua immutabilità
potendo trasmetterlo in linea ereditaria maschile iure sanguinis; si è
affermato soprattutto perché ogni persona potesse essere identificabile
con certezza di fronte alle autorità pubbliche ed ecclesiastiche al fine di
garantire rigorose procedure sociali, civili (economiche, amministrative,
giuridiche, notarili) e religiose.
115
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Piero di Cosimo “Libera- Giunsero al loro apice la cultura dell’aristocrazia di sangue, l’esaltazione
zione di Andromeda” (1520
circa) conservato nella dell’antichità e lustro delle famiglie, l’esclusione dei non nobili dalle
Galleria degli Uffizi di
cariche pubbliche; ciò ebbe conseguenze anche sul piano onomastico.
Firenze
Infatti chi aveva ambizioni amministrative e aveva un cognome non
altisonante decideva opportunamente di cambiarlo con un altro dalle
risonanze prestigiose oppure chi godeva di una fortunata omonimia
manipolasse le carte per rivendicare presunti legami di sangue blu che
talvolta si ripete anche oggi quando le preposizioni Di e De si trasforma-
no in minuscole di e de per far credere discendenze nobiliari. A difesa del
cognome o dello stemma nobiliare sorsero delle commissioni incaricate
di controllare costantemente gli abusi. Spesso succedeva che il superstite,
Registro battesimale senza figli, di una famiglia nobiliare potesse adottare o nominare un
ordinato per nomi e
non per cognomi (xvii erede concedendogli il cognome (aggiungendolo al proprio) per perpe-
secolo) conservato
tuarne la memoria; tale procedura giustifica la presenza, ancor oggi, di
nella Cattedrale di
Castellammare di Stabia numerosi casati italiani costituiti da due cognomi.
Di seguito alcuni stralci delle disposizioni: Gli abitanti del Regno d’Italia i
quali non hanno un cognome, o sia un nome di famiglia, devono entro tre mesi
prenderne uno e farne la dichiarazione avanti l’Ufficiale dello stato civile del
Comune in cui sono domiciliati. (…) I capifamiglia maschi sceglieranno il cogno-
me, che diverrà poi automaticamente quello di tutti i discendenti. In caso di più
maschi appartenenti alla stessa generazione senza un capo più anziano, il co-
124 gnome sarà scelto collettivamente, e in caso di mancato accordo sarà imposto dal
podestà o sindaco del comune. Non si potranno scegliere cognomi che suonino
nobiliari, in quanto corrispondenti a nomi di città, castelli, o luoghi di battaglie
famose. (…) I contravventori subiranno una multa di cento lire e un cognome im-
posto dal Podestà o Sindaco. Molte persone intravidero per questo obbligo
di legge un’occasione propizia per cambiare pagina della propria storia e
ridisegnare onomasticamente la propria identità familiare e sociale.
I cognomi inventati ex novo dopo il 1813 hanno avuto una sorte completa-
mente diversa da quelli originati a partire dal Basso Medioevo. Perché?
Perché sono stati inventati nel periodo della maturità della lingua italia-
na, non sottoposta al periodo di transizione dal latino, per cui tali nomi
sono arrivati a noi senza metamorfosi significative. Ci si riferisce alle pa-
role pescate dai vocabolari e dalla nomenclatura della cultura ottocen-
tesca, alcune delle quali per noi desuete come, ad esempio, Talamo, Tor-
nese, Panariello, Romito, Fabbricatore.
Invece in altri casi, come per le rivele (le dichiarazioni dei cittadini)
relative al censimento della città di Napoli e a quelli delle città della sua
provincia, si registravano disposizioni perentorie sulla situazione abita-
tiva e familiare degli intervistati; infatti si legge (…) in questa rivela dovrà
indicarsi la strada o vicolo ed il numero della casa, il piano e la qualità dell’ap-
partamento, il nome e il cognome, il genitore, il luogo di nascita e la condizione
dell’inquilino che è sloggiato, e la strada, numero e piano della nuova casa, in cui
quegli ha detta che passava ad abitare (…). Colpisce come ormai il nome e il
cognome fanno parte, in modo fisso e cogente, dell’identità dei cittadini
al pari del luogo e della data di nascita.
Nonostante la nascita nel 1866 dell’Anagrafe dello Stato Civile (tratto dal li-
bro di Roberto Bizzocchi, I cognomi degli Italiani, Laterza, Bari, 2014)
ci saranno nel Novecento alcuni eventi che interesseranno e modifiche-
ranno i cognomi degli italiani. L’esito della Prima Guerra Mondiale (con
l’annessione dell’Alto Adige, della Venezia Giulia e dell’Istria) attribuì
al Regno d’Italia alcuni territori e, soprattutto, persone che non avevano
cognomi tipicamente italiani; tutto ciò perché durante la precedente
dominazione asburgica furono forzatamente modificati i cognomi degli
italiani. Quindi negli anni Venti si auspicava un ripristino o riduzione
all’originaria denominazione italica perché il sentimento nazionalisti-
co voleva correggere tale stortura con procedure attuate sia nell’ambito
dell’area linguistica germanica che in quella slava.
Nel primo caso non ci furono grandi e fattivi risultati perché di fronte a 127
un simile tentativo c’era il grande prestigio politico e culturale del mon-
do germanico per cui l’operazione era stata subito ostacolata, ancor pri-
ma che l’alleanza degli anni Trenta tra Germania e Italia la rendessero
inopportuna e di fatto impossibile. Per tali motivi i nostri connazionali
altoatesini hanno per lo più mantenuto i loro cognomi così come Gruber,
Lilli Gruber
Reinhold Messner Messner, Kostner, Thöni, Moser, Pircher, Huber, Mair, Merz, Zöggeler
Carolina Kostner (tratto da Cognomi in provincia di Bolzano 2010 dell’Istituto Provinciale di
Gustav Thöni
Francesco Moser Statistica della provincia autonoma di Bolzano).
128
Modulo della prefettura Invece tra gli anni Venti e Trenta del Novecento la campagna di naziona-
di trieste (1927) per la
riduzione del cognome in lizzazione dei cognomi (ma anche dei toponimi) nei confronti dell’area
forma italiana
linguistica slava ebbe un forte impatto a Trieste e nei territori circostanti;
qui tali operazioni incontrarono minori resistenze al confronto con il
versante germanico. Il funzionario ministeriale Aldo Pizzagalli pub-
blicò nel 1929 il libro Per l’italianità dei cognomi con lunghe appendici di
cambiamenti suggellati da decreti emessi e pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale. Sotto il profilo linguistico si trattava quasi sempre di ritoc-
chi che dovevano mettere in evidenza la naturalezza della restituzione
attuata come Callegari per Callegarich, Adami per Adamic, Sossi per
Sosic, Franceschi per Francescovich. Dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale i cognomi e i toponimi restituiti nella versione italiana furono
ovviamente cancellati nelle zone passate sotto il controllo comunista
della ex Jugoslavia.
130
Dal latino al volgare
il poeta Dante Alighieri La lingua italiana è il frutto di un’evoluzione lenta e deriva dal latino 131
in un ritratto anonimo
(xvi secolo) parlato nell’antica Roma; pertanto si definisce una lingua neolatina
perché tra il V ed il X secolo, a partire dalla caduta dell’Impero Romano,
il latino volgare parlato dal popolo si trasformò sempre più rapidamente
frantumandosi in tante parlate locali diverse. La lingua delle istituzioni
e della cultura rimase comunque il latino di Virgilio fino al Duecento e
oltre, grazie anche al carattere conservatore della Chiesa nelle cui scuole
religiose medievali, diffusissime e gratuite, era utilizzato come lingua
obbligatoria con cui impartire le lezioni.
© wikipedia
Stralcio del Placito Il primo documento ufficiale scritto in cui appare chiaramente la
capuano (x secolo)
contrapposizione del volgare al latino, e quindi la differenza delle due
lingue, è il Placito capuano nel X secolo. Si tratta di una sentenza giudi-
ziaria relativa ad una contesa fra il monastero di Montecassino ed un
privato, sorta per il possesso di alcune terre. Il giudice, nel verbale scritto
in latino, riporta la formula pronunciata dai testimoni per confermare
il possesso trentennale delle terre; i testimoni in questione parlavano in
volgare e la formula recita così: Sao ko kelle terre, per kelli fini queli contene,
trenta anni le possette parte sancti Benedicti (So che quelle terre con quei
confini le possedette per trent’anni il monastero di San Benedetto).
Certamente la chiave di volta è il Trecento; in questo secolo si verifica un
fenomeno significativo e cioè il prevalere, su tutte le parlate, del volgare
fiorentino. Questo accade perché è molto somigliante al latino; poi perché
Firenze è al centro della penisola e quindi la lingua può facilmente
diffondersi verso Nord e Sud. La città è certamente una delle più ricche
per le attività commerciali e finanziarie; i nostri padri della letteratura
(Dante, Petrarca, Boccaccio) composero le loro opere immortali proprio
in volgare fiorentino. In particolare, nella Divina Commedia di Dante la
lingua volgare arriva ad una altissima espressività tanto da diventare,
col tempo, la lingua letteraria nazionale. Nel Quattrocento il volgare ha
però una battuta d’arresto in quanto si diffonde quella corrente culturale
che prende il nome di Umanesimo che ha come caratteristica principale la
riscoperta dell’uomo attraverso la ricerca e la lettura dei classici latini e
greci; gli umanisti ritengono il volgare una lingua inferiore ed inadatta
all’espressione letteraria. Anche Dante viene criticato per aver preferito il 133
volgare alla lingua dotta.
Per l’esito dotto, si tratta di parole che non erano di uso comune ma che
i colti (i letterati, gli ecclesiastici, i giuristi) hanno attinto dal latino nel
corso dei secoli ed hanno immesso nell’italiano scritto, e quindi anche
parlato. Ad esempio, la parola latina mirabilia (e cioè miracolo) ha avuto
l’esito popolare, cioè la parlata quotidiana, con meraviglia mentre l’esito
dotto ha confermato mirabilia; stessa cosa per il latino parabolam che è
134 diventata parola con l’esito popolare e parabola con l’esito dotto. Dato in-
teressante è che la maggior parte delle parole delle lingue neolatine sono
la continuazione delle parole latine al caso obliquo (cioè con l’accusativo
e non al nominativo) come, ad esempio, la parola latina mater è arrivata
in italiano dall’accusativo matrem con madre; la -m finale è caduta e il
gruppo -tr- è diventato -dr-, così come patrem è diventato padre. Ma ci
sono stati anche casi in cui sono continuati entrambi i casi come, ad
esempio, il mestiere di sarto che è derivato sia da sartor al nominativo
(da cui sarto) sia da sartorem all’accusativo (da cui sartore). Il latino del
Cristianesimo conosce, accanto ad episcopus (vescovo), i derivati episcopalis
(episcopale), episcopatus (episcopato), episcopium (residenza del vescovo);
mentre la parola base è entrata per via popolare, grazie all’importanza
che i vescovi avevano non solo nel campo strettamente religioso ma an-
che in quello amministrativo e civile, diventando così vescovo (si notino
le due -p- tra vocali che sono divenute -v- con la caduta della vocale
iniziale), i derivati sono entrati per via dotta, in forma quindi più vicina
a quella latina, divenendo episcopale, episcopato, episcopio. Di conseguenza,
la diffusione dei cognomi derivati da questa parola, specie nel napoleta-
no, ha prodotto Piscopo, De Piscopo, Vescovo, Viscovo, Visco, Episcopo.
Alcune volte questi cognomi erano espressi proprio come in latino: Luigi 135
Landi, Oliviero Berardi, Ruggiero Rinaldi sottintendendosi filius. In quest’ul-
timo caso, specialmente nel periodo di transizione dal latino all’italiano,
fu tradotto il solo nome proprio nel modo italiano lasciando il cognome
nella sua desinenza latina. Ecco come si avviò il processo di alterazione
di uno stesso cognome originario nei diversi luoghi, tempi e scritture:
Rinaldi, Rinaldo e Di Rinaldo; Gennari e Di Gennaro; Benedetto, Di
Benedetto e Benedetti; Buono, Buoni e De Buono; Mattei e Di Matteo; Li-
guori, Liguoro, e De Liguoro; Amico, Amici e D’Amico. Allo stesso modo
subirono alterazioni anche i cognomi derivanti da mestieri e cariche
sociali come Abbate, Abbati e dell’Abbate; Duce, Duci, Del Duce; Giudice,
Giudici e Del Giudice; Nobile, Nobili e dello Nobile. Non conoscendo la
procedura di originazione dei cognomi, qualcuno li alterò al punto che,
supponendo che forse i genitivi latini Mattei, Amici, Buoni, Benedetti
significassero De Mattei, Degli Amici, Del Buono, De Benedetti, (ri)
tradussero questi cognomi in latino De Matthaeis, De Amicis, De Bonis,
De Benedictis. Invece, i cognomi presi dalla patria o dal feudo non sono
stati oggetto di corruzione linguistica perché il nome della città è nor-
malmente scritto secco (sottintendendo sia la preposizione che la parola
cittadino), oppure anteponendo la preposizione di oppure con l’aggettivo
etnico: Capua, Di Capua e Capuano; Napoli, Di Napoli e Napolitano;
Valle, Della Valle e Vallese; Nocera, Di Nocera e Nocerino.
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© wikipedia
136
L’eredità onomastica dei Longobardi
Miniatura con il principe Dalla caduta dell’Impero Romano nel 476 dC, la penisola italiana diven- 137
di Benevento Arechi II,
tratta dal “Codex Legum ne meta di scorribande per le popolazioni del nord Europa. I Longobardi
Langobardorum” (1005),
conservata nell’Archivio
saranno l’ultimo popolo barbaro che invase il mondo romano ma non
della Badia della Santis- giunsero in un impero ancora ricco e organizzato bensì in un’Italia
sima Trinitá di Cava de’
Tirreni, Salerno devastata e spopolata dalla terribile guerra greco-gotica; si ipotizza che
addirittura l’impero bizantino ne abbia favorito il trasferimento per
l’impossibilità di governare l’intera penisola. I Longobardi non furono
cinici invasori e spietati oppressori ma si fusero perfettamente con le
popolazioni locali; al loro arrivo in Italia, parlavano una lingua germa-
nica e il loro cristianesimo ariano convisse con pratiche di culti politei-
stici. Col tempo persero questa identità assimilandosi alle popolazioni
latinofone e cattoliche della penisola.
141
Per essere più precisi, è necessario indicare i lemmi da cui sono deri-
vati i nomi longobardi e, poi, i cognomi italiani. Questi nomi propri
originari derivarono da soprannomi legati alle qualità dell’animo e del
corpo. Così da Hulf, che significa aiutante, si formarono i nomi Gisol-
fo (Gies-hulf, compagno aiutante), Rodolfo (Rad-hulf, aiutante celere),
Siginolfo (Siges-hulf, aiutante vincente), Sindolfo (Sind-hulf, aiutante
sensibile), Paldolfo (Pald-hulf, aiutante audace). Da Mund, che significa
bocca, si formarono i nomi Gundamondo (Gund-mund, bocca benevola),
Sigismondo (Siges-mund, bocca vincente), Guismondo (wife-mund, bocca
sapiente, con la pronuncia della -w- che si è trasformata in -gu- come
Guillelmus, Gualterius, Guido invece di Willelmus, Walterius, Wido),
Grimondo (Grim-mund, bocca irata), Ramamondo (Ram-mund, bocca
rinomata). Da Rich, che significa fornito o potente (da cui in italiano la
parola ricco) si formarono i nomi Atalarico (Atal-rich, nobile potenza),
Friderico (Frid-rich, signore della pace), Ilderico (Hilde-rich, potenza
straordinaria, con il cambiamento di vocale anche Alderico e Alderisio),
Roderico (Rode-rich, ricco di gloria, detto in spagnolo Rodrigues). Da
Wald, che significa potente si formarono i nomi Grimaldo (Grim-wald,
142
Pluteo con croce gemma- potente con l’elmo), Sesualdo (Sits-wald, potente come un montone, detto
ta (viii secolo) conservato
nel Museo di Santa Giulia poi Gesualdo), Walderada (Wald-rade, buon consigliere, reso in italiano
di Brescia
con Valderano), Walerano e Waleramo (Waleram, molto famoso, detto poi
Gallerano), Waldero (Wald-here, potente nell’esercito, detto poi Gualtiero
o Galdiero ed accorciato Galdo). Da Gis, che significa forte, si formaro-
no i nomi Algisio (Al-gis, certamente forte), Rachisio (Rat-gis, potente
consigliere). Da Frid, che significa pace, si formarono i nomi Warnefrido
(Warne-frid, custode della pace), Loffredo (Loef-frid, pace assoluta),
Gotofredo (Goten-frid, buona pace, detto in italiano Goffredo), Manfredo
(Man-frid, uomo di pace). Da Berd o Breht, che significa abbondante, si
formarono i nomi Bertarito (Breht-reita, grande cavalleria, poi accorciato
in Berto), Giselberto (Gisel-breht, molti amici, poi accorciato in Gilberto),
Alberto (Al-breht, abbondanza di tutto), Lamberto (Lama-breht, illustre
nel proprio paese), Raginberto (Ragin-breht, purezza abbondante). Da
Ragin, che significa puro, si formarono i nomi Raginero (Ragin-here,
uomo puro, poi detto Raniero), Reginaldo (Ragin-alda, anziano saggio, 143
poi detto Rinaldo). Da Here, che significa padrone, e Rausch, che significa
strepitoso, si formarono il nome Ravaschiero (Rausch-here, strepitoso pa-
drone). Da Baud, che significa audace, si formarono i nomi Balta e Baldo
(da cui l’italiano baldanza e baldanzoso) e i suoi derivati come Sinibaldo,
Frescobaldo, Balduina, Baldino.
144
Il testamento nel passato
Testamento di Honofris La caduta dell’Impero Romano fu seguita da un’epoca di incertezze e ciò 145
de Rocco redatto in
latino dal notaio stabiese determinò una nuova organizzazione dei rapporti giuridici interperso-
Ajello (1632) conservato
nell’Archivio Storico di
nali per regolare la trasmissione dei beni a causa di morte; i modelli di
Castellammare di Stabia vita delle popolazioni barbare erano segnati dal bisogno pressante di
dare risposta alle esigenze basilari di sopravvivenza ed autotutela della
comunità. Pertanto nel diritto germanico prevalsero le tendenze natura-
listiche perché apparvero senz’altro più adatte ad affrontare la difficoltà
dei tempi. Nell’alto Medioevo i rapporti tra le generazioni erano regolati
secondo natura, cioè direttamente dai vincoli di sangue; il figlio, soprav-
vivendo naturalmente al padre, gli succedeva fisiologicamente quale
erede (senza un’evidente espressione di volontà né una sua modificabi-
lità come nel testamento moderno), e subentrava nella sua posizione in
tutti i rapporti giuridici, sia attivi che passivi.
© wikipedia
147
A partire dalla metà del XII secolo in tutta Italia si rinnova, dopo una
interruzione di alcuni secoli, l’usanza della redazione degli atti d’ul-
tima volontà, sempre più particolari nella loro struttura e sempre più
corrispondenti alla configurazione romana. Nel testamento medievale
emerge di nuovo il profilo di un atto unilaterale con funzione patrimo-
niale, mortis causa, strettamente personale e sempre revocabile. Nono-
stante ciò le differenze tra l’istituto romano e la sua riedizione del Basso
© cpcs
148
Disposizioni testamenta- Medioevo sono evidenti ed assai rilevanti. Mentre l’essenza dell’atto di
rie per il legato di Saverio
Di Martino della Confra- ultima volontà a Roma contiene una istituzione di erede, il fulcro sostan-
ternita del Purgatorio
ziale intorno a cui si costruisce la versione medievale e cristiana è la
(1863) conservate nella
Chiesa del Gesù di Castel- preoccupazione per la sorte della vita ultraterrena, prima che per quella
lammare di Stabia
del proprio patrimonio. Scorrendo le righe dei vari testamenti, infatti, si
percepisce in maniera chiara ciò che era importante per l’uomo medie-
vale: la raccomandazione della propria anima, l’elemosina agli Ospedali,
la disposizione dei propri beni mobili e immobili e tanto altro.
150
Le abitudini notarili
Quentin Massys “Ritratto Nel Basso Medioevo, a partire dal XI secolo, gli atti notarili hanno costi- 151
di un notaio” (1517) con-
servato nella Scottish tuito la documentazione più attendibile esistente a quell’epoca e costi-
National Gallery di Edim-
burgo, Gran Bretagna
tuiscono, oggi, un’imponente fonte di informazioni storiche. Pertanto i
notai, custodi di tutti i documenti privati e pubblici come testamenti o
concessioni, hanno avuto un ruolo determinante nella diffusione e nella
fissazione dei cognomi; nella diffusione, perché a loro era demandato il
compito formale di trascrivere negli atti, in modo univoco e distintivo,
l’identità di una persona con il nome di battesimo e altri nomi aggiunti.
Tutti gli atti legali venivano redatti in latino; nel XII secolo, ad esem-
pio, la maggior parte dei notai traduceva in latino ciò che i loro clienti
pronunciavano in volgare mentre altri notai, li definirei emancipati,
protendevano per la trascrizione dei nomi (e dei mestieri, dei luoghi
d’origine, dei soprannomi) in volgare, cioè il dialetto latino che parlava
il comparente. Nelle mie ricerche, quello che più mi ha colpito è stato il
cognome (trascritto in latino e derivato da soprannome) Bibentisaquam
che, tradotto in volgare, lo ritroviamo oggigiorno con Bevilacqua. È questo
il motivo principale della coesistenza di cognomi in lingua italiana e,
contemporaneamente, anche quelli derivati dalla parlata napoletana
come, ad esempio: Salierno, Sorriento, Napolitano. Pertanto, dal XIII secolo i
notai iniziarono ad utilizzare anche il volgare (sebbene filtrato dalle loro
conoscenze giuridiche e dalle abitudini grafiche del latino), probabil-
mente a fini di pubblica attestazione e divulgazione; si veda la dichia-
razione contenuta nel cosiddetto Placito Capuano che costituisce il primo
documento ufficiale scritto in latino e in volgare (cfr. pagina 132). I notai
possedevano un proprio sigillo, a forma di stemma araldico, visibile
nelle firme a calce dei contratti o nei diversi timbri; conteneva in genere
un’immagine ed un motto in latino con le iniziali del notaio.
Nel XIII secolo era diffusa, nei documenti ufficiali, l’usanza tra i notai
di omettere il cognome dei contraenti e tale abitudine ricorreva per tutti 155
i livelli sociali, per i baroni come per i semplici cavalieri, per i mercanti
come per i maniscalchi. Menzionarlo era una questione di gusti e pro-
pensioni personali, piuttosto che un’esigenza o un obbligo professionale.
Perché? Anche se i cognomi erano sicuramente già esistenti in quel pe-
riodo, i notai li omettevano nella redazione di atti di natura patrimoniale
come nelle indicazioni di confine, nelle compravendite o nelle locazio-
ni; tale comportamento trovava giustificazione con la natura privata
dell’atto o con l’agevole riconoscimento degli attori. Quindi appare
evidente che al cognome in quel periodo non veniva ancora riconosciuta
una funzione identificativa. Invece, primeggiava in tutti quei documenti,
lettere o registrazioni a cui era riconosciuta una valenza politica; infatti,
per le famiglie nobili, il cognome aveva una valenza autocelebrativa
con cui ostentare l’orgoglio della stirpe al pari degli stemmi di famiglia
così come per le cariche pubbliche o per le epigrafi tombali. Il cognome
aveva una funzione prettamente politica volta ad affermare solidarietà
tra i componenti del gruppo familiare, a definire ambiti di potere e, al
contempo, rimarcare le differenze rispetto ad altre genti.
156
Sigilli notarili di notai di potere e ad esibire una discendenza da ossequiare. Il ruolo dei notai
stabiesi (xvi-xix secolo)
sembra sia stato decisivo anche per la determinazione del singolare o del
plurale dei cognomi; ad esempio, il comune cognome Petri è un antico
genitivo o un plurale? Storicamente i plurali si sono diffusi nell’Italia
settentrionale mentre i cognomi terminanti in –o sono stati più frequen-
ti nell’Italia meridionale, in Piemonte e in Liguria.
158
Le alterazioni delle parole
Miniatura con un monaco Le alterazioni linguistiche comprendono tutte le derivazioni morfologi- 159
amanuense (xiv secolo)
che delle parole e, tra queste, i cognomi che partecipano a tali trasfor-
mazioni attraverso i prefissi e i suffissi (questi ultimi con i diminutivi,
gli accrescitivi e i peggiorativi); ma anche la genesi involontaria con le
errate trascrizioni. Le procedure della suffissazione si sono applicate alle
diverse fonti di originazione dei cognomi italiani (nomi personali, topo-
nimi e etnici, soprannomi e nomi di mestiere). È fondamentale indagare
il rapporto che sussiste tra la categoria dei suffissi cognominali italiani
e la loro funzione nella formazione delle parole; tali suffissi possono
diventare, con le loro forme particolari, indizi della distribuzione areale
di un cognome. Infatti, con l’andar del tempo i cognomi hanno perduto
moltissimo della loro forma primitiva acquisendo, nei diversi popoli,
forme e desinenze talmente caratteristiche che, alla vista di un cognome,
siamo in grado di dire a quale nazionalità o etnia appartiene: a grandi
linee, la desinenza -u è rumena; -sohn, -mann, -burg è tedesca; -ski è po-
lacca; -ic è slava; -off è russa o bulgara; -ez è spagnola; -sen è nordica.
La vocale finale dei cognomi Belli, Bella e Bello non può essere inter-
pretata come desinenza grammaticale poiché i cognomi italiani non
vengono flessi secondo il sesso dei referenti, a differenza di quanto av-
viene nelle lingue russe; inoltre, un cognome come Vacchi presenta una
desinenza incompatibile con le regole della flessione italiana.
160 Come già detto, a moltiplicare la varietà dei cognomi sono intervenuti i
suffissi diminutivi, accrescitivi e spregiativi; i nomi personali, di solito
riservati per l’uso infantile o per l’uso affettivo, sono oggetto di vezzeg-
giativi; il nome è alterato con suffissi diminutivi (Pierino, Mariuccia) o
con l’aferesi come per Cesco (da Francesco) o Enzo (da Vincenzo); con
la sincope come per Bice (da Beatrice); con l’aferesi e la sincope assieme
come per Lisa (da Elisabetta) o Franco (da Francesco); infine con l’apoco-
pe come per Bartolo (da Bartolomeo).
Anche per uno dei cognomi tipici stabiesi, Schettino, vale lo stesso ragio-
namento; probabilmente nel borgo medievale stabiese c’erano diversi
Francesco e bisognava distinguerli utilizzando i diminutivi (quindi uno
degli omonimi fu chiamato, ad esempio, Franceschetto) o, ancora di più,
con il diminutivo del diminutivo (quindi Franceschettino). Da quest’ulti-
ma denominazione si utilizzò, per aferesi, solo la parte finale e cioè solo
Schettino; questo nome divenne cognome nella sua funzione patronimica.
Secondo me tale cognome poteva derivare anche da un’alterazione della
parola schiatta (stirpe) in funzione dispregiativa per indicare un trovatel- 165
lo (un po’ come per Schiattarella) e cioè schiattina e poi Schettino.
© asc
Quindi non poche volte i cognomi, così come anche i nomi, nelle annota-
zioni parrocchiali comportavano variazioni, spesso dovute alla fantasia
dei trascrittori. Ciò ha accresciuto enormemente i numeri dei cognomi
in Italia, arricchita nel tempo da tali variazioni lessicali o da processi
migratori. Nei registri ottocenteschi è visibile la lettera -i- che diventava
la consonante -j- quando era posta tra due vocali; in seguito le due lettere
vennero scritte una distinta dall’altra, come attualmente.
© arsc
© asc
Infine, per Vincenzo Gemito nel corso dell’anno 1862 a Napoli fu scelta,
per un determinato giorno, la parola Genito come cognome da attribu-
ire ai bambini abbandonati; per un errore di trascrizione, il cognome 171
divenne Gemito e un bambino di nome Vincenzo divenne uno dei grandi
scultori italiani dell’Ottocento.
Come si vedrà, alcuni cognomi stabiesi hanno avuto nel tempo varia-
zioni e oscillazioni nella scrittura, spesso di poca importanza (è il caso
di Censone, Sansone o Sanzone); talvolta, invece, più rilevanti come per
De Aputeo, D’Aputeo, Del Pozzo, D’Apuzzo, Apuzzo fino ad assestarsi
nella forma odierna, in genere nell’Ottocento e soprattutto dopo l’Unità
d’Italia. Altri come Vaccaro, Coppola, Longobardi, Riccio, Afflitto hanno
avuto invece sempre (o quasi) la stessa forma fin dal loro apparire nella
documentazione scritta. Tutto ciò è dipeso da molteplici fattori, fra i
quali il più rilevante è stato sicuramente il tipo e il livello di conoscenza
della lingua (latino, longobardo, francese, spagnolo, italiano) usata da
chi quei cognomi ha in pratica scritto su carta o pergamena, in genere
i sacerdoti e i notai, con conseguenti storpiature, dialettizzazioni o, al
contrario, italianizzazioni.
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172
Le influenze dialettali
Libretto della canzone Nel panorama cognominiale italiano, degni di nota sono i cognomi nei 173
napoletana “Funiculì
Funiculà” composta dallo quali persistono numerose tracce dei dialetti e che derivano palesemente
stabiese Luigi Denza per
la festa di Piedigrotta
da trascrizioni in vernacolo. Nel periodo di transizione tra il latino e l’af-
del 1880 fermazione del volgare, i vari dialetti italiani hanno prodotto cognomi
molto riconoscibili per prefissi, suffissi e soluzioni espressive. Dal latino
hanno prelevato la maggior parte dei loro vocaboli adattandoli al proprio
modo di parlare, riuscendo anche a trasformarli pur di adattarli alle
proprie esigenze di pronunzia in quanto il problema era molto sentito
dalla massa popolare e si è dovuti ricorrere alla sostituzione delle sillabe
più impegnative con altre certamente meno.
Del suddetto cognome Russo è facile pensare che possa aver tratto origine
dall’aggettivo etnico russo (dalla Russia), così come esiste francese, tede-
sco, greco o bulgaro; un accostamento paretimologico (cioè superficiale
e non supportato da rilevanze scientifiche) che viene richiamato anche
da Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo: Poco dopo venne Russo, l’uomo
che il Principe trovava più significativo fra i suoi dipendenti. Svelto, ravvolto non
senza eleganza nella bunaca di velluto rigato con gli occhi avidi al di sotto di
una fronte senza rimorsi, era per lui la perfetta espressione di un cero in ascesa.
Ossequioso del resto, e quasi sinceramente affettuoso poiché compiva le proprie
ruberie convinto di esercitare un diritto (…) Questo era il paese degli accomoda-
menti, non c’era la furia francese; anche la Francia d’altronde, se si eccettua il
giugno del quarantotto, quando mai era successo qualcosa di serio? Aveva voglia
di dire a Russo, ma la innata cortesia lo trattenne: Ho capito benissimo: voi non
volete distruggere noi, i vostri ’padri’. Volete soltanto prendere il nostro posto.
Con dolcezza, con buone maniere, mettendoci magari in tasca qualche migliaio
di ducati. È così? Tuo nipote, caro Russo, crederà sincerameme di essere barone;
e tu diventerai, che so io, il discendente di un granduca di Moscovia, mercé il tuo
nome, anziché il figlio di un cafone di pelo rosso, come proprio quel nome rivela.
178
I decreti napoleonici dal 1809
Fino a tale data la compilazione degli atti dello Stato Civile era esclusiva
competenza del mondo religioso grazie ai diversi registri parrocchiali;
infatti il Concilio di Trento (1545-1563) aveva ordinato a tutti i parroci di
tenere un libro con l’annotazione del battesimo, cresima, comunione e
morte di ogni suo fedele. Con le disposizioni napoleoniche si attuò, in
un certo senso, una separazione fra l’autorità ecclesiastica e quella civile
Frontespizio degli atti ma, non essendoci precedenti strutture per un rilevamento statistico
dello Stato Civile (1809)
del comune di Castellam- di tipo moderno, all’inizio non si fece altro che raccogliere i dati dalle
mare di Stabia
parrocchie per poi trasferirli alle neonate istituzioni civili. Negli anni
successivi grandi attenzioni furono rivolte a dare risposte giuridiche alle
nuove esigenze di identificazione personale come, ad esempio, l’obbligo
di dare un cognome a persone che, loro malgrado, non ne avessero. Il Re-
gio Decreto n. 985 del 1811 stabilì che i fanciulli esposti dovessero portare
il cognome di coloro che ne avessero assunto la tutela; con questo decreto
ai trovatelli non si attribuì il cognome di Esposito ma il cognome che
richiamava l’orfanotrofio, come Annunziata, Grazia e Madonna.
Con l’Unità d’Italia, il nuovo Stato emanò leggi in materia di Stato Civile
con il R. D. 2602 del 1865, strumento normativo rimasto vigente per oltre
settanta anni; poi entrò in vigore il R. D. 1238 del 1939 che, con succes-
sive modificazioni e integrazioni, ha mantenuto la sua validità per circa
180 sessanta anni. Di recente ci sono state altre normative riguardanti lo Sta-
to Civile come la legge n. 127 del 1997 e il DPR 396 del 2000 Regolamento
per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile.
articolo 1. Gli abitanti del Regno, i quali non hanno un cognome, ossia un
nome di famiglia, dovranno entro tre mesi dalla pubblicazione del presente
decreto prenderne uno e farne la dichiarazione avanti l’ufficiale dello stato
civile del comune in cui sono domiciliati.
articolo 2. I forestieri che venissero ad abitare nel Regno e che fossero nel
caso previsto all’articolo precedente, saranno tenuti ad adempire alla stessa
formalità entro tre mesi successivi al loro ingresso nel territorio italiano e a
fare analoga dichiarazione avanti all’ufficiale dello stato civile del comune
in cui si propongono di stabilire il loro domicilio.
181
© ascs
articolo 3. Il nome di famiglia che il padre od altro ascendente paterno
di grado superiore, ove fosse ancora vivente, avranno dichiarato di voler
prendere, sarà dato a tutti i figli discendenti, i quali dovranno portarlo e
farne uso negli atti a quest’effetto il padre o altro ascendente come sopra
comprenderà nella sua dichiarazione i detti figli e discendenti, e il luogo
del loro domicilio, e questi si limiteranno a dichiarare l’esistenza ed il luogo
del domicilio del padre od altro ascendente paterno in grado superiore
ancora vivente.
articolo 2. Ove presso qualche luogo pio gli esposti avessero un cognome
comune per espressa disposizione di qualche testatore o benefattore, lo
stesso cognome sarà conservato, aggiungendovi però un altro cognome
particolare come sopra.
articolo 3. Questa disposizione sarà messa in esecuzione al più presto pos-
sibile e nel termine al più di tre mesi per tutti gli esposti che attualmente
appartengono a ciascun luogo pio, siano essi ricoverati e mantenuti entro lo
stabilimento, siano affidati a nutrici o custoditi fuori della pia casa.
articolo 4. Restano eccettuati quegli esposti che avessero già cessato defini-
tivamente di appartenere e stare a carico del luogo pio.
articolo 8. Nel caso che qualche figlio venisse esposto con un cognome
particolare, gli sarà questo conservato (aggiungendovene al più un secondo
qualora le circostanze lo rendessero conveniente), potendo ciò servire al più
facile e sicuro suo riconoscimento.
184
185
articolo 11. Di tre in tre mesi dovrà farsi la notificazione dei nomi che sa-
ranno stati applicati ai singoli esposti all’autorità comunale del luogo ove è
situato ciascun istituto degli esposti a senso del decreto dell’11 giugno 1813
e della circolare governativa del 2 agosto 1816.
articolo 12. Tutte queste disposizioni sono comuni agli esposti d’ambo i
sessi, ma per non moltiplicare eccessivamente i cognomi potranno servi-
re per le femmine gli stessi cognomi che si applicheranno ai maschi, non
potendo un tale duplicato produrre alcuna confusione.
articolo 2. Tutti i curati incaricati di tenere i libri degli atti di nascita nelle
rispettive parrocchie, allorché loro si presenta al battesimo un bambino
illegittimo d’ignoti genitori, di cui la madre naturale non sia contempora-
neamente notificata, debbono imporgli un cognome determinato, avverten-
do che a tenore del decreto italico dell’11 giugno 1813 non possono essere
imposti i nomi di fortezze, di città o di luoghi celebri per battaglie, come
a tenore del decreto aulico del 27 dicembre 1825, sono da evitarsi assolu-
tamente i nomi di famiglie già note e distinte, e che devesi nel libro stesso
aggiungere alla rubrica delle annotazioni l’osservazione che quel nome di
famiglia fu attribuito al bambino medesimo a senso di legge.
188
I patronimici e gli agionimi
Dipinto di Mattia Preti Nei tempi barbari era uso nominare gli uomini utilizzando il nome del 189
“Predica di san Giovanni
Battista” (1665 circa) padre; poi con i Normanni questa abitudine divenne stabile in modo
conservato nel Fine Arts
Museum di San Francisco,
che i discendenti di un individuo potessero usarlo come nome gentili-
Stati Uniti d’America zio di famiglia, cioè come cognome stabile e ereditario. Di seguito, un
caso campano: nel XIII secolo un certo Odofredo, nativo di Benevento,
insegnò a Bologna il diritto civile e i suoi discendenti si cognominarono
proprio Odofredi. Il capostipite era conosciuto (come era uso all’epoca)
con il solo nome di battesimo, cioè Odofredo, ma i suoi discendenti lo
usarono per indicare il legame con il padre come risulta dai documenti
per il figlio Alberto Odofredo (cioè figlio di Odofredo).
193
194
I toponimi e le migrazioni
Dipinto raffigurante i Toponimi ed etnici sono cognomi che indicano, per lo più, i movimenti 195
traffici mercantili di
una tipica città italiana migratori; la formazione di tali cognomi su base geografica (nazioni,
marinara del xv secolo
(anonimo)
regioni, città, villaggi, frazioni) rappresenta il 37% del totale dei nostri
nomi di famiglia. Si consideri che a Genova il cognome più diffuso è
Parodi (da Parodi Ligure in provincia di Alessandria ma storicamente
legato alla Liguria), a Milano è Brambilla (da Brembilla in provincia di
Bergamo), nella provincia di Ferrara è Mantovani, a Trieste Furlan (friu-
lano detto in dialetto friulano), a Palermo il cognome Messina è il più
diffuso e a Catania risulta tra i più frequenti.
Nelle trascrizioni del passato le parole (che poi sarebbero diventate co-
gnomi) subirono le influenze linguistiche dei vari dominatori e risenti-
rono dei fenomeni migratori che interessarono il Meridione d’Italia. Le
fonti per poter analizzare tali spostamenti derivano da censimenti della
popolazione, liste di concessione di cittadinanza, registri di battesi-
mo, rilevazioni fiscali, catasti, estimi, registri notarili. Per analizzare i
movimenti migratori sul territorio europeo, bisogna prestare attenzione
ai luoghi di origine di questi flussi per individuare tipologie causali di
valore generale; nel Basso Medioevo la penisola italiana è stata prota-
gonista di un’alta mobilità, con flussi migratori in arrivo e in partenza
di raggio variabile, di diverse tipologie sociali come lavoratori agricoli,
artigiani, studenti, gruppi di religiosi, militari, amministratori, mercanti,
mendicanti. Risulta, pertanto, fondamentale valutare il fenomeno con un
approccio multidisciplinare (dalla demografia all’economia, dalla geo-
grafia al diritto); in particolare, con la disamina delle caratteristiche geo-
La penisola italiana in
una cartina medievale
198
Come mai il cognome De Luca, molto diffuso nella nostra regione, lo tro-
viamo qui nel capitolo dedicato ai toponimi e non in quello dei patroni-
mici? Sì perché proprio in Campania, rispetto al resto dell’Italia, ha un’o-
rigine legata alla provenienza dalla Lucania, l’attuale Basilicata. Questo
cognome era solo uno dei tanti modi generici per riconoscere persone
originarie da questa terra di emigrazione. Nel Basso Medioevo si registrò
un primo flusso migratorio, verso la capitale del Regno di Napoli, con
moltissimi lucani che si fermarono fra la provincia di Napoli e di Saler-
no trovando fortuna specialmente nell’agricoltura e nella pastorizia; da
queste motivazioni nacquero i primi soprannomi, poi diventati cognomi.
Nei lavori per dissodare nuove terre, nel Medioevo il proprietario con-
cedeva, a chi sopportava l’onere di trasferirsi in nuove aree, particolari
libertà (dette franchigie) da cui il nome Villafranca dato a tante località. A
differenza degli schiavi, giuridicamente i servi della gleba non erano cose
ma persone con pochi diritti come la proprietà privata dei soli beni mo-
bili, possibilità di sposarsi e di avere figli ai quali lasciare un’eredità.
Il feudatario non aveva potestà sulla vita del servo, che però poteva esse-
re venduto insieme alla terra, nella quale aveva l’obbligo di restare. Per il
servo questo cambio di proprietà era rilevante solo se gli avessero impedito
di contrarre matrimonio; chi tentava di allontanarsi, veniva ricercato e 201
Cartina geografica del
mondo (xiv secolo) riportato indietro con la forza. Solamente quando un servo riusciva a
202
Pianta a volo d’uccello raggiungere una città, e otteneva di conseguenza il diritto di residenza,
della città di Napoli
realizzata dall’incisore poteva sottrarsi alla giurisdizione del proprietario fondiario; in generale,
Bastiaen Stopendaal lasciare la campagna era illegale ma i liberi Comuni proteggevano i nuo-
(1663)
vi cittadini da ritorsioni del feudatario. In Germania si diceva Stadtluft-
machtfrei ossia l’aria della città rende liberi. Nello statuto di Parma la libertà
era subordinata alla permanenza in città per 10 anni. I flussi migratori,
promossi dalla crescita economica del Basso Medioevo, hanno causato il
trasferimento di mercanti, membri di una nuova élite internazionale, che
si muovevano fra le corti e le città dell’Europea e del Mediterraneo. Da
una fase tardo-antica e alto medievale nella quale la penisola italiana è
stata oggetto di successive invasioni, che si presentano come flussi mi-
gratori di interi popoli, si è passati a spostamenti più diffusi che hanno
coinvolto realtà locali e situazioni individuali.
203
Dalle tesi dello storico Carlo De Lellis si afferma che il primo feudatario
in età normanna fu Tancredi, il figlio di Pietro, menzionato in un docu-
mento riferibile a Santa Maria di Galeso in Puglia: (…) i Sanfelici preso ha-
vessero il lor cognome dal dominio che ebbero del Castello di Santo Felice posto
nelle due pagine seguenti nella Provincia di Terra di Lavoro e ch’il primo, che nel nostro Regno pervenisse,
Pianta a volo d’uccello
della città di Napoli
fusse stato Pietro ò vero il patre suo in compagnia de’ Principi Normandi poichè
(1572) realizzata dagli si trova fra le scritture di Santa Maria di Galeso in Puglia una donatione fatta
incisori Frans Hogenberg
e Georg Braun, conser- in Lucera ò sia Nocera de’ Saraceni nell’anno 1090. Sotto Rogiero Duca di
vata nell’Universitäts Puglia, da Tancredi di Sanfelice alla suddetta chiesa d’alcuni beni esistenti nel
Bibliothek di Heidelberg,
Germania territorio della città di Troia, per l’anima sua, e di Pietro, il qual dice essere stato
206
207
nominato di Santo Felice, e di Gertruda, suoi genitori. Nel documento in lati-
no è scritto Tancredus filius quondam Petri, qui de Sancto Felice fuit cognomi-
natus e cioè: Tancredi figlio del fu Pietro, che fu cognominato Sanfelice.
Oltre ai nomi propri, i toponimi potevano essere resi anche con nomi co-
muni; spesso il notaio o il parroco faceva diventare cognome l’appellativo
che rinviava al vivere di una certa famiglia all’interno della dimensione
spaziale come per Isola, Strada, Fontana, Valle, Rocca, Villa, Collina, Piazza,
Monte, Montagna, Arco, Fiume, Costa, Porta, Piane, Pozzi. Ad esempio, il Gio-
vanni che abitava sul Faito divenne per tutti Giovanni Montagna mentre
quello che viveva nei pressi del Sarno Giovanni Fiume. Risulta interessante
comparare tale originazione dei cognomi con esperienze di altre lingue
e di altre culture. Ad esempio, il concetto della provenienza è reso con
cognomi diffusissimi: in Portogallo con Silva (foresta); nel mondo anglo-
sassone con Bush (cespuglio), Ford (guado), Hill (collina) e Wood (bosco);
208 nel Belgio francofono Dubois (bosco); Dumont e Van der Berg (montagna)
nel Benelux; Dupont (ponte) in Francia; Van der Meer (lago) in Olanda; Del
Bosque in spagnolo. Ritornando all’italiano, in questa categoria rientra-
no tutti quelli che terminano con il suffisso -monti (Rigamonti), -boschi
(Tagliaboschi), -acqua (Passalacqua per indicare un ponte sul fiume).
In generale sia per i nomi propri che quelli comuni, perché certi luoghi e
non altri? Perché non è diffuso ampiamente il cognome come toponimo
della nostra città (ad esempio Stabia, Stabiese, Castrimaris, Castellammare)?
Eppure sono molto diffusi (addirittura alcuni a carattere nazionale come
Sorrentino) i cognomi derivati dalle cittadine nelle vicinanze: Gragnano,
Pompei, Sorrento, Scafatese (da Scafati), Letterese (da Lettere), Saviano,
Nola, Nocera, Aversa, Sarno, Scala, Siano, Ravallese (da Ravello), Striane-
se (da Striano), Angrisani (da Angri), Visciano, Capua, Salerno, Procida,
Marano, Giugliano, Maddaloni, Marigliano, Amalfi. Il ridotto utilizzo
del nostro soprannome etnico è dovuto al fatto che la nostra comunità,
all’epoca dell’originazione dei cognomi e cioè dal XI al XIII secolo, non
era considerata una vera e propria città rispetto ad altre; con la distruzio-
ne di Stabiae nel 79 dC, gli abitanti, ormai privati delle proprie abitazioni,
costituirono un villaggio lungo la costa più proteso nel mare rispetto
a quanto fosse in passato. Questo nuovo villaggio entrò a far parte del
Ducato di Sorrento e furono proprio i sorrentini a costruire il castello sulla
collina di Pozzano per difendersi dalle incursioni barbariche.
Questa condizione di subalternità produsse una scarsa riconoscibilità e
individuazione della provenienza degli stabiesi presso altre città; allora
si preferiva, forse, dire di provenire genericamente da Napoli e da Sor-
rento piuttosto che dire di essere uno stabiano o di provenire da Stabia. A
parziale consolazione, alcuni linguisti attribuiscono ai cognomi Staibano
e Staiano proprio la valenza etnica, anche se corrotti rispettivamente per
metatesi e sincope nella resa attuale, derivando dall’etnico stabiano che
indicava probabilmente, nel Medioevo, la provenienza dalla nostra città.
210
Come mai cognomi non proprio autoctoni, come Pisano e Toscano, sono
fra i più frequenti in Sicilia? Si tratta di un fenomeno di migrazione
interna alla rovescia! Le famiglie italiane del Medioevo non cercavano
fortuna spostandosi dal Sud al Centro-Nord; anzi, al contrario, conside-
rato che la Sicilia era una delle aree più ricche e produttive d’Italia, assai
numerosi erano i contingenti famigliari che, di frequente, si spostavano
verso il Sud dalla Toscana o dalla costa lucchese (nota fra l’altro per esse-
re infestata dalla malaria!).
Consentitemi ora una divagazione culinaria, pur se fuori tema, per par-
lare di uno dei più antichi (ancor prima del ragù, degli spaghetti e della
pizza) piatti della cucina napoletana: la genovese, appunto. Proprio nel 215
periodo tra il Trecento angioino e il Quattrocento aragonese risalirebbe
Sebastiano Luciani (detto
Del Piombo) “Ritratto
di Cristoforo Colombo”
(1519) conservato al
Metropolitan Museum of
Art di New York, Usa
la diffusione di questo piatto che si ottiene facendo cuocere molto (ma
molto a lungo!) carne e abbondanti cipolle con vino bianco. A portare
dunque questa prelibatezza a Napoli sarebbero stati proprio i Genovesi,
imprenditori e mercanti stanziati nelle zone prossime al porto dove pul-
lulavano le osterie e dove, appunto, la tradizione vuole che si sia cucinata
la prima genovese presso quella che ancora si chiama Loggia di Genova.
Cartina “il Regno di
Napoli diviso nelle sue
provincie” (1782) realizza-
ta da Antonio Zatta
216
Nello stesso periodo è documentata la presenza di artisti toscani (fio-
rentini in particolare) a Napoli. Questi vari gruppi di forestieri presto si
organizzarono in colonie dotate di legittimi governanti, i cosiddetti con-
soli nominati dalla città d’origine, che avevano il compito di pattuire con
l’autorità locale le condizioni d’accoglienza; si adoperarono anche nella
costruzione di chiese con l’antica titolarità del santo protettore della
comunità. A Napoli le nazioni più numerose furono quelle dei marsigliesi,
dei genovesi e dei pisani; oltre queste, si registrava la presenza di ebrei,
scalesi, greci, provenzali, lombardi, catalani. Tracce di queste migrazioni
si registrano nei cognomi napoletani come Marsiglia, Pisani, Genovese, Sca-
la, Greco, Provenzale, Franzese, Todisco, Toscani, Siciliano, Fiorentino, Lombardi,
Catalano, Lucchesi, Senesi e loro derivati.
Quando una persona decide di emigrare, porta con sé non solo il deside-
rio di cambiare vita e la speranza di trovare fortuna ma anche qualcosa
di più importante: il proprio cognome. Dunque, quante persone hanno 217
un cognome che, evidentemente, non si è originato nella provincia in cui
vivono? Per capirlo i ricercatori hanno considerato quasi 80.000 cogno-
mi diversi e, tramite un modello informatico, sono riusciti a stabilire
l’origine geografica di 50.000 di essi. Sono così riusciti a stabilire dove
vivevano i rispettivi antenati (maschi) intorno al 1500.
Tutto inizia dagli elenchi telefonici italiani del 1993; sono stati estratti
77.451 cognomi (corrispondenti a circa 17 milioni e mezzo d’individui)
escludendo o quelli estremamente rari o quelli troppo frequenti (tipo i
soliti Ferrari, Rossi, Verdi, Bosco, ecc). Tre quarti di questi cognomi (per
la precisione 49.117) provengono da una zona più o meno identificata e
quindi con un toponimo. L’autore dello studio è riuscito così a stabilire
dove vivevano i rispettivi antenati (maschi) intorno al 1500. Poi si è pas-
sati ad individuare dove vivevano i loro antenati maschi cinque secoli fa,
a partire dal 1545 quando, in seguito al Concilio di Trento, divenne ob-
bligatorio per ogni parrocchia registrare le nascite. Quello che è emerso è
che gli italiani non sono mai stati un popolo stanziale ma, anzi, si sono
spostati moltissimo sempre e non soltanto nell’ultimo secolo. Quindi
tutti i cognomi italiani non hanno un punto di partenza geografico pre-
ciso e, pertanto, la metà non potrà mai sapere dove abbia avuto origine;
ci si riferisce ad individui che hanno cognomi polifiletici come Bosco,
Fabbri, Ferrari, Esposito, le cui origini sono multiple e indipendenti, e
sono diffusi sull’intero territorio nazionale.
30-40% 70-80%
40-50% 80-90%
219
ria o posseggono testimonianze della loro effettiva provenienza. Ma una
cosa è certa: l’antenato più antico, per qualche ragione, da lì proveniva.
Quanto a Castellammare di Stabia, ho analizzato i soli cognomi toponi-
mici derivati dall’elenco telefonico del 2007; tali dati fanno ovvio riferi-
mento a paesi o siti da cui è da supporre che sia partito il primo espo-
nente delle successive generazioni; alla rinfusa: Ungaro (dall’Ungheria),
Todisco (da tedesco), Troiano (da Troia in provincia di Foggia o nome colto
inventato per i trovatelli), Spagnuolo, Sorrentino, Sicignano (in provin-
cia di Salerno), Romano, Aiello (diversi comuni dell’Italia meridionale o
come nome comune derivato dal latino agellus cioè piccolo podere, campi-
cello), Paduano (da Padova), Nocera (nel XIV secolo è già documentato in
città il cognome de Nocera), Napolitano, Calabrese, Calvanico (in provin-
cia di Salerno), Castigliano (proveniente dalla regione spagnola della
Castiglia o per indicare chi parlava lo spagnolo), Celentano (dal Cilento),
Cosenza, Pisano, Milano, Pisa, Napolitano, Barletta, Cartagine, Algerino,
220 Francia, Trevisano, Cipriano (da Cipro), Albanese, Labriola (dalla citta-
dina lucana Abriola, in provincia di Potenza), Di Corato (in provincia di
Bari), Abruzzese, Saraceno, Calabrese, Messina, Palermo, Greco, Toscano,
Veneziano, Di Capua (in provincia di Caserta), Ferrara, Di Palma (Palma
Campania, in provincia di Napoli), Fiorentino, Formisano (da Formia),
Gaeta (in provincia di Latina), Lombardi, Longobardi, Manfredonia (in
provincia di Foggia), Genovese. In alcuni cognomi il riferimento topo-
nimico potrebbe essere generico indicando un luogo comune come in
Massa, D’Arco, Di Somma, Del Vasto, Di Palma.
Alla fine del XVI secolo a Sorrento si registrò una massiccia presenza di
individui con il cognome Fiorentino o Milano. Questi cognomi si diffusero
in seguito ad un’ondata di conversioni forzate al cristianesimo, così come
era già avvenuto nel XIII secolo. È interessante constatare che un numero
imprecisato di ebrei, nel tentativo di far perdere le tracce delle proprie
origini, abbia scelto proprio il panitaliano Sorrento o Sorrentino. 221
222
I mestieri e le cariche nel Medioevo
Stemmi delle corporazio- Quali erano i lavori e le occupazioni dei nostri avi, evidenziati dai co- 223
ni dei mestieri presenti
sulle facciate degli edifici gnomi giunti fino a noi dopo secoli? I cognomi come Cacciatori, Fabbri,
medievali di Firenze
Ferrari, Fornari, Fornaciari, Macellari, Molinari, Pastore, Pescatori sono
tutti corrispondenti a professioni che ancor oggi siamo in grado di
riconoscere; in altri casi, però, il significato di un cognome si riferisce a
lavori che non si fanno più; così i Mondadori, un tempo, mondavano (cioè
pulivano) i campi o le risaie dalle erbacce oppure lavavano le lane e le
stoffe. Mannesi e Mannara (variante dialettale di mannaia, cioè lo stru-
mento per tagliar la legna) erano, in lingua napoletana, i falegnami di
carri. Gli Arcari erano fabbricanti di arche (in pratica falegnami) o fun-
zionari che custodivano il tesoro delle comunità locali in un’arca (ovvero
in una cassa). I Baglioni erano funzionari statali addetti alla riscossione
delle tasse, all’esecuzione delle condanne e alla convocazione delle mili-
zie. Interessanti i cognomi Appicciafuochi o Buttafuoco che sono attinenti a
chi accendeva il fuoco dei lampioni per illuminazione pubblica ed anche
nelle case degli ebrei nel giorno di sabato, quando erano loro interdetti
persino i lavori domestici.
Bassorilievo del xiv (bottaio), Cook (cuoco), Gardener (giardiniere), Turner (tornitore), Potter
secolo che raffigura il
mestiere degli scalpellini (vasaio), Tailor (sarto), Weaver (tessitore), Miller (mugnaio) nel mondo an-
glosassone; Herrero e Fernàndez (fabbro), Contador (contabile), Sastre (sarto),
Zapatero (calzolaio), Pintor (pittore) in spagnolo; Lefèvre (fabbro), Boucher
(macellaio), Berger (pastore), Chevalier (cavaliere) in francese; Grüber (mi-
natore) in Austria; Melnyk (mugnaio) in Ucraina; Popa (prete) in Romania;
Hoxha (predicatore) in Albania.
226
© wikipedia
Di seguito in latino alcuni tipici mestieri medievali da cui sarebbe-
ro potuti nascere i cognomi: Acatapano (mastro di piazza preposto a
vigilare su pesi e misure nei mercati, nelle fiere, nei mulini), Albergator
(locandiere), Alferius (cavaliere, alfiere), Ambaxiator (rappresentante
all’estero di uno Stato), Apontalador (colui che metteva i tacchi alle
scarpe), Arginterius (produttore e commerciante d’oggetti in argento),
Auditor (qualifica di magistrato al grado iniziale della carriera), Aurifex
(orefice, proprietario di un’officina dell’oro), Bagactiere (prestigiatore,
ciarlatano, impostore), Baiulus (facchino, portalettere, portatore di pesi
per compenso), Balisterius (costruttore di archi e balestre), Barberius
(barbiere, dentista, chirurgo, praticante di salassi), Bardari (fabbricante
di basti, selle ed ornamenti per muli o cavalli), Barrilarius (fabbricante di
botti, barili, tini), Beccarius (macellaio), Boarius o Bovarius (conduttore di
buoi aggiogati a carri ma anche mediatore nella compravendita di questi
animali), Borsarius (realizzatore di borse, bisacce e sporte), Bucherius
(venditore di carne, macellaio), Buffettarius (fabbricante di borse, cinghie 227
e giberne), Burgenses (contadino, colono ovvero chi lavora le terre degli
altri avendole avute in affitto), Caballarius (colui che ha cura dei cavalli
da posta, da viaggio), Calafatus (maestro specializzato nell’impermeabi-
lizzazione delle navi con scafo in legno), Calcararius (addetto alla forna-
ce per la calce), Caldararius (fabbricante di stufe, scodelle e contenitori in
lamiera), Caligarius (riparatore di calzature), Calzolarius (fabbricante di
scarpe), Camberarius (cameriere), Camisarius (sarto che cuciva camicie),
Camparius (guardia campestre), Cancellarius (cancelliere), Cannavarius
(fabbricante di corde, sacchi e prodotti in canapa), Campanarius (addetto
al suono delle campane oppure fonditore), Canonicus (prete o chierico
facente parte di un capitolo ovvero dell’insieme di ecclesiastici addetti
al servizio di una chiesa cattedrale o collegiale), Cantor (cantore, musico,
corista), Capitaneus (titolo di dignità capitolare nelle chiese collegiate
che hanno la preminenza su altri parroci), Cappellarius (fabbricante di
cappelli), Carbonarius (produttore e venditore di carbone), Cardararius
(cardatore di canapa, lino, lana), Carpentarius (fabbricante di carri e
carrozze, a due o quattro ruote), Cartarius (fabbricante di carte, perga-
mene), Cartularius (achivista, notaio), Castaldus (ciambellano), Cirarius
(produttore e mercante di ceri), Cirurgicus (dottore, medico chirurgo),
Clericus (sacerdote, chierico, amanuense), Coadiutor (l’incaricato per
aiutare o supplire il titolare di un ufficio ecclesiastico), Consulis (console,
magistrato), Coppolarius (chi fa o vende berretti e copricapi), Cordarius
(fabbricante di corde di strumenti musicali, funi, capestri), Curviserius
(ciabattino, conciapelli, artigiano di basso rango), Cuccherius (conduttore
di carrozze patrizie), Doctor (insegnante, maestro, precettore), Fabbricator
(maestro muratore o titolare di impresa edile), Falcarius (artigiano che
fabbrica falci, falcetti da vigna e da bosco), Factor (conduttore di un’a-
zienda agricola), Flasconarius (costruttore di fiaschi in vetro, soffiatore),
Fiscalis (avvocato che difendeva gli interessi del demanio), Fornasarius
(addetto alla fornace per la produzione di laterizi), Furnarius (fornaio),
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Bottega di stoffe e pella- Carcararo (per le diverse fornaci di calce presenti a Castellammare nel
mi del xiii secolo
passato), Cositori (sia per l’attività di sarti che nella fiorente lavorazione
del cuoio). Nelle mie ricerche ho incontrato uno stabiese del 1451 che si
chiamava Astasio Bastasi; il cognome era legato al mestiere di facchino
perché derivava dal greco bastazos che significa portare sulle spalle.
Poi, nel XVI secolo nella nostra città è documentato il cognome Armo-
sano. Cosa indicava tale mestiere? Sul finire del XVI secolo vivevano a
Napoli più di una trentina di tessitori di armosino originari di Castellam-
mare; l’ermisino o ermesino (in napoletano armosino) era un tipo di stoffa
leggera di seta che prendeva il nome dalla città di Ormuz (golfo Persico),
luogo di provenienza del prodotto. Generalmente nel sud d’Italia, il
primo impulso alla seta fu dato dagli ebrei; poi, nell’anno 1477, il re Fer-
rante D’Aragona decise di istituire a Napoli il Consolato dell’Arte della Seta.
Era una corporazione molto potente che si distinse vantando agevola-
230 zioni fiscali e commerciali, un proprio governo, un proprio tribunale con
annesse carceri nella piazza della Sellaria. La dinastia aragonese darà
un grosso impulso all’arte serica incoraggiando l’arrivo a Napoli dei più
esperti lavoratori stranieri da Venezia, Genova, Firenze; dal 1580 al 1630
la provincia di Napoli sarà tra i primi posti in Europa nella lavorazione
della seta producendo notevole quantità di tessuto damascato, tipico della
Siria (Damasco) da cui il nome; a riprova dell’aspetto etimologico, lo
stesso baco nel dialetto napoletano veniva chiamato sirico.
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nel XVIII secolo, era una piazza molto più spaziosa tanto da essere uti-
lizzata anche per pubbliche riunioni. Come afferma Giuseppe Plaitano
nel suo omonimo archivio online, molti anziani del posto, riferendosi al
luogo specificato, lo ricordano ancor oggi come mmiez ’o cievezo (in mezzo
al gelso). Nel territorio cittadino esistono ancora diversi alberi di gelso:
uno di quelli bianchi è situato davanti all’ingresso della scuola elemen-
tare Basilio Cecchi, un altro esemplare si trova all’entrata dell’Ospedale
San Leonardo. Al momento rappresentano la testimonianza dell’eredità
lasciata dall’allevamento dei bachi da seta a Castellammare di Stabia.
A partire dal XII secolo i centri urbani che rifioriscono con lo sviluppo
economico del Basso Medioevo erano formati da classi sociali assai
differenti. In primis le famiglie nobili che, anche se possidenti di terre
lontane dal borgo, preferivano vivere in città piuttosto che nei castelli; in
città, invece, si registrò l’avvento della borghesia (parola derivata da borgo,
232 cioè il centro urbano fortificato) ossia la classe sociale impegnata nelle
libere professioni, cioè i mestieri non alle dipendenze di altri.
Manoscritto del ix secolo
che illustra le attività
mensili di una curtis da
gennaio a dicembre
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Al contrario della nobiltà, la ricchezza di questa classe era costituita
dal denaro e non dal possesso della terra. In particolare con il termine
borghesia si include il popolo grasso che svolgeva le Arti Maggiori (le attività
più redditizie come giudici e notai, banchieri, cambiavalute, produttori
di lana e seta, medici e speziali, vaiai e pellicciai) e il popolo minuto che
svolgeva le Arti Minori (mestieri di minore prestigio sociale e scarsa forza
economica come beccai, calzolai, fabbri, muratori, maestri di pietra e le-
gname, rigattieri, osti, albergatori, venditori di olio e formaggi, salumieri,
cuoiai e conciatori di pelli, cappellai, tessitori, legnaioli, fornai).
234
I soprannomi medievali
Particolare dell’affresco Nei centri minori il cognome, in origine la denominazione popolare 235
di Simone Martini “L’inve-
stitura a cavaliere” (1317 aggiunta al nome proprio dell’individuo, spesso finiva per essere solo un
circa) conservato nella
Chiesa Inferiore di San
fatto burocratico poiché l’individuo aveva un soprannome (che poteva es-
Francesco, Cappella di sere individuale o familiare) ed è con questo che nella comunità fu uni-
San Martino, Assisi
vocamente riconosciuto; prima che i cognomi venissero legalmente fissati
e resi ereditari, non era raro per un soprannome accompagnarsi al nome
personale proprio per facilitare l’identificazione. Ancor oggi il manifesto
funebre rivela, proprio in extremis, l’identità precisa di una persona at-
traverso il suo soprannome, rigorosamente in dialetto: Pasquale Esposito
detto ’o barbiere oppure Mario Parmendola detto ’o guaglione.
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Miniatura tratta dal
manoscritto Chansonnier
de Paris “Il gioco della
mosca cieca” (1280-1315)
conservato nel Musée
Atger di Montpellier,
Francia
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frase che ha addensato il verbo, l’articolo e il complemento oggetto!
Tipico del Napoletano, è il cognome Auriemma (anche Aurigemma) che,
in origine, era il sopranome di donne che avevano particolari requisiti di
bellezza perché, com’è evidente, la voce si compone di due parti, cioè auri
e gemma che vuol dire oro e pietra preziosa.
Poi i cognomi legati ad alte cariche politiche e religiose come per Re,
Papa, Principi, Marchesi, Conti, Baroni, Cardinale, Vescovi, Abbate,
Capitani; tutti questi raramente discendono da antenati che avevano
effettivamente tali titoli nobiliari o religiosi. Sono piuttosto i sopranno-
mi che venivano imposti a chi lavorava (come soldato, contadino, cuoco,
cameriere) presso questi potenti in castelli, palazzi patrizi, monasteri
e chiese oppure a chi si atteggiava, imitava, somigliava fisicamente ai
potenti del tempo e del luogo o ne aveva interpretato il ruolo in una
rappresentazione teatrale, in un gioco popolare o in una processione.
In questa mia lunga frequentazione dell’antroponomastica, mi hanno
sempre colpito i cognomi Papetti, Cardinaletti e Vescovini; lungi dal con-
siderarli soprannomi ironici al limite del vilipendio o della blasfemia
nei confronti del Papa, di un vero cardinale o vescovo, sono con grande
probabilità soprannomi scherzosi per qualcuno che vantava presunte
egemonie di potere o contatti clericali. Degni di nota sono i soprannomi
teofori (esprimono un ringraziamento a Dio per il figlio che ha concesso)
come Deodato (donato da Dio), Deogratias (dono di Dio), Teofilo (amico
di Dio), Timoteo (timorato di Dio), Diotaiuti, Diotallevi o quelli gratulatori
(cioè i nomi indicanti buoni auspici per il nascituro o l’infante) tra cui
Amato (amato da Dio), Anastasi (il risorto), Bonaccorso o Benvenuto (il
ben accolto), Lazzaro (l’assistito da Dio), Rubino (il figlio della Provviden-
za), Mieli (il bimbo dolce come il miele), Benfaremo, Pensabene.
Anche se tali nomi manifestano contentezza per la nascita del figlio, non
mancano quelli negativi come Incresciuto (nel senso di non desiderato), 243
Pocobelli, Schifata, Soperchia e Soperchina (napoletano per superfluo).
Poi i cognomi Rinato, Rifatto, Ritrovato, Conforti, Rimedio, derivano dai
nomi dati ai secondi, terzi e quartogeniti che avevano sostituito i fratel-
lini, vittime dell’elevata mortalità infantile. Anche il cognome Santoro,
molto diffuso nelle regioni meridionali, ha una derivazione religiosa;
Nella mia famiglia allargata e nella cerchia delle mie amicizie ci sono
diversi esempi di soprannomi. Ad esempio, mia nonna paterna aveva
come cognome Liguori ma la sua progenie era conosciuta con una deno-
minazione di mestiere e cioè con il soprannome ’e trafilari, per le trafile
in bronzo nella produzione della pasta gragnanese; il mio caro amico
Vincenzo Giordano è soprannominato in città come ’o tarantino, per le
presunte origini pugliesi della sua parentela. Ma anche, scherzosamente,
l’altro mio caro amico Roberto Elefante che fu etichettato come Kojak
perché da ragazzini alle docce della palestra di via Alvino notammo la
vistosa mancanza di peli sui suoi genitali, che ci ricordava la testa pelata
dell’attore americano Telly Savalas. Alla rinfusa, altri miei amici iden-
tificati proprio dal soprannome: Michele quatt’capill, Attilio pedalino, Lello
mullicone (era il mio!), Franco palatone, Gaetano ’o cinese, Rosario draculino,
Michele ’o meticcio, Guglielmo scheletrino…
•
© arsc
246
I cognomi di Stabia
Firma del sindaco e degli L’uso dei cognomi in Campania, seppur non come li consideriamo 247
assessori stabiesi per una
delibera comunale (1837) oggigiorno, risale al periodo compreso tra il IV e il III secolo aC quando
conservata nell’Archivio
Storico di Castellammare
i suoi territori passarono sotto il dominio di Roma. Il riferimento era
di Stabia al cognomen con le tipiche tre denominazioni utilizzate per tanti secoli
nell’impero romano; tale modalità onomastica entrò in disuso con le in-
vasioni barbariche che, nel 476 dC, determinarono la caduta dell’Impero.
Successivamente in Campania ci fu, tra gli altri, il dominio dei Goti e dei
Longobardi. Il ritorno all’uso dei cognomi si verificò nel X secolo quando
Napoli, e tutta l’Italia meridionale, passò sotto il dominio normanno ma
riguardò esclusivamente le famiglie nobili. I cognomi formatisi in questa
epoca generalmente traevano origine dal nome del capostipite come
Amicone, Berardo, Borrello, Guarino, Maio, Miranda, Ranieri, Troisi.
Dopo il XIII secolo l’uso del cognome si diffuse anche tra gli strati meno
abbienti della popolazione per poi divenire obbligatorio con il Concilio di
Trento del 1564, al fine di evitare matrimoni tra consanguinei. I cognomi
delle famiglie residenti in Campania hanno alcune loro peculiarità; il
più diffuso è Esposito che deriva dal latino expositus, ovvero esposto, che
veniva assegnato ai neonati abbandonati alla nascita. Il primo Espo-
sito della storia fu registrato presso l’Ospedale dell’Annunziata il primo
gennaio 1623 e si trattava di Fabritio di due anni. L’assegnazione di
questo cognome avvenne fino ai primi dell’Ottocento; in epoca napole-
onica Gioacchino Murat, considerando quel cognome come un marchio
Successione delle domi- infamante, diede disposizione che i bambini abbandonati non fossero
nazioni nella storia della
città di Napoli dal XII al più così chiamati ma con un nome di fantasia (cfr. capitolo Le identità dei
XIX secolo
trovatelli a pagina 390). La maggior parte dei cognomi campani è di forma
singolare perché dovuta alle abitudini di trascrizione notarili. Altra loro
importante caratteristica, dovuta principalmente alle influenze dialetta-
li e ai derivativi, è la presenza dei suffissi -iello, -uolo, -illo e -icchio. Nume-
rosi cognomi campani derivano da soprannomi legati a caratteristiche
fisiche del capostipite come Capuozzo, Palumbo, Picariello, Caputo,
Caruso, Coppola, Cozzolino, Fusco, Gargiulo, Luongo, Longo, Ruotolo,
Russo, Varriale. Tra i cognomi derivati da soprannomi legati a mestieri
figurano, invece, Abate (e Abbate), Castaldo, Iodice, Monaco, Pastore,
Piscopo (e De Piscopo), Senatore. Significativa è anche la presenza di
cognomi derivati da prenomi come Annunziata, Bruno, Cirillo, Giorda-
no, Romano, Ruggiero, Santoro, Vitale, molti dei quali preceduti dalla
preposizione De come in D’Angelo, De Filippo, De Luca, De Martino, De
248 Lucia, De Rosa, De Simone, De Stefano. Sono presenti anche cognomi di
origine etnica come Formisano, Franzese, Provenzale, Greco, Irlanda, Na-
politano, Sorrentino o quelli derivati da toponimi come Aiello e Ferrara.
253
Per indicare il luogo, in napoletano il quartiere era nominato de li Certa;
l’antico articolo determinativo plurale li si è fuso per agglutinazione al
cognome tanto da generare un’unica parola. Stessa citazione per il rivo
li Volpora di Scansano che veniva anche chiamato Li Vorpe o Li Vulpura e
derivava il nome dalla famiglia Vulpura (cognome probabilmente deri-
vante dall’animale, simbolo di furbizia). Altro dato interessante è che a
Mezzapietra oltre la metà dei proprietari si chiamava Longobardi o Scarfati
mentre a Privati oltre la metà si chiamava Longobardi o Coppola. Per contro
il centro, che cominciava ad assumere un profilo urbano, presentava
sparute abitazioni tanto che anche i cognomi più diffusi non contabiliz-
zavano numeri significativi.
Un altro esempio riguarda un tale Marco Longobardo che era annotato con
la specifica supplementare di Battista ma in un’altra trascrizione dello
stesso catasto era menzionato con Marco di Battista Longobardo; tutto ciò
dimostra come la denominazione di un individuo era all’epoca poco
cristallizzata e si modificava nelle varie trascrizioni senza grandi vin-
coli, magari privilegiando il patronimico. Le altre notazioni più curiose:
Francesco Pappalardo era debetuso (fortemente indebitato), Luca Sicardo
era senex, malsano e debetuso (vecchio, malato e indebitato; niente più?),
Stefano Coppola era sexagenario (perché i sessantenni erano esentati
dalle imposte), Geronimo Donnarumma era povero, Colangelo Porco 255
era vecchio, Anna Coppola era vidua quondam Michele Lardaro (vedova del
defunto marito), Salvatore Scafarto era figlio della zoppa, Pietro de Serino
era di Gabriele, Cola Longobardo era di Brunetta, Minico Longobardo era
di Tudisco, Santoro Spignola era stroppiato, Petro de Miranda era malsano
et pelagruso (ammalato di pellagra), Francesco Carrese era di Colaioanne,
Felippo Scafarto era invalido.
La città aveva all’epoca circa 700 fuochi (di cui 597 rilevati) e, se ogni
fuoco contava in media 5 componenti, si può ipotizzare un totale di circa
3.500 abitanti con un totale di 286 diversi cognomi; l’elenco completo è
consultabile nell’appendice a pagina 496. Di seguito i cognomi raggrup-
pati in categorie intitolate alla loro possibile etimologia.
La città aveva all’epoca circa 740 fuochi e, se ogni fuoco contava in media
5 componenti, si può ipotizzare un totale di circa 3.700 abitanti con un
totale di 87 diversi cognomi; l’elenco completo è consultabile nell’appen-
dice a pagina 496. Nel catasto sono stati rilevati anche nomi di battesimo
in un napoletano antico: Vicienzo, Pascariello, Martiniello, Gioseppe,
Francisco, Funzina, Catarinella, Catiello, Beneditto, Alexandro, Saba-
tiello, Ribecca, Giovanniello, Faustina, Carluccio. Di seguito i cognomi
raggruppati in categorie intitolate alla loro possibile etimologia.
il “Liber ii Baptizatorum”
(dal 1590 al 1599) conser-
vato nell’archivio della
Cattedrale di Castellam-
mare di Stabia
257
I cognomi Certa (1609) e
Volpora (1627) in due regi-
strazioni matrimoniali e
il cognome Sansone (1648)
in una registrazione bat-
tesimale, conservati nella
cattedrale di Castellam-
mare di Stabia
258
© asc
In questo catasto ci sono tantissimi casi di trovatelli (detti anche figli d’al-
levo) che, nonostante facessero parte di una nuova famiglia, continuava-
no a portare il cognome da trovatello e cioè Esposito; di solito le femmine
avevano l’appellativo Esposita, accordato quindi per genere, come nel
caso di Geronima Esposita, la figlia adottiva di 18 anni del capofamiglia
Aniello D’Apice. Alcuni trovatelli mostravano, invece, la dicitura ossia
seguito dal cognome della famiglia ospitante come, ad esempio, per il
lavorante di remi Francesco Esposito ossia Pagano o per il marinaro Antonio 259
Esposito ossia Vingiano. Tale procedura avrebbe potuto determinare il
nascere del doppio cognome: ad esempio Crescenzo Esposito, adottato da
Mattia Sanzone, sarebbe potuto in successive trascrizioni essere identifi-
cato con il doppio cognome e cioè Crescenzo Esposito Sanzone.
Nel catasto era molto diffusa la dicitura sorella in capillis che indicava la
sorella da maritare; l’origine di questa formula va ricercata nella legge
romana dove virgo in capillis si riferiva alla condizione di verginità di una
ragazza legata all’abitudine di lasciare i capelli sciolti e scoperti, a volte
semplicemente legati in una coda di cavallo. Le donne sposate invece
mostravano diverso aspetto perché usavano portare i capelli legati, messi
insieme in una pettinatura complessa e spesso coperti.
© libero ricercatore
260
Dall’esame dei dati era evidentissima la vocazione della città per il suo
mare per la quasi totalità dei suoi cittadini; su presunti 4.000 abitanti:
546 marinari, 103 pescatori, 16 mastri calafati, 4 mastri falegnami di
mare, 2 padroni di bastimento, 1 calafato, 1 lavorante di remi.
La nostra città aveva all’epoca circa 800 fuochi (di cui 606 rilevati) e, se
ogni fuoco contava in media 5 componenti, si può ipotizzare un totale
di circa 4.000 abitanti con un totale di 395 cognomi; l’elenco completo
è consultabile nell’appendice a pagina 496. Nel 1656 Napoli (e provin-
cia) fu flagellata dalla peste che uccise l’80% della popolazione; questa
riduzione fu evidente anche a Castellammare di Stabia perché, anche se
dopo quasi un secolo dalla peste e nonostante la tendenza ad un natu-
rale incremento, la popolazione risultò pressoché invariata. Di seguito i
cognomi raggruppati in categorie intitolate alla loro possibile etimologia.
© libero ricercatore
Incisione (1707) del car-
tografo Vincenzo Maria Grieco (dalla Grecia), Lajno (da Laino Borgo in provincia di Cosenza),
Coronelli Lombardo (dalla Longobardia), Longobardi e Longobardo (dalla Longo-
bardia), Montefusco (in provincia di Avellino), Montella (in provincia di
Avellino), Napoli, Palermo, Pistoia, Ravenna, Revella e Raviello (alterazio-
ne dialettale di Ravello in provincia di Salerno), Romano, Salerno, Savoja
(dalla regione alpina francese), Scalese (da Scala in provincia di Salerno),
Sciacca (in provincia di Agrigento), Serino (in provincia di Avellino), Sor-
rentino, Spagnuolo (etnico dialettale per provenienze eterogenee dalla
Spagna), Telese (in provincia di Benevento), Valanzano e Valenza (dalla
città catalana di Valencia in Spagna)
Toponimi (nomi comuni) • Acampora, Acanfora, Amendola (luogo di
coltivazione di mandorle), Casale (abitazione di periferia), Carcatella
(piccola fornace da calce), D’Acanfora, D’Ajello (da agellus, diminutivo di
ager, cioè campicello), D’Apozzo e D’Apuzzo (dal pozzo), Dell’Acqua, Della
Fratta, Della Rocca, Della Torre, Del Porto, Del Vasto, De Turris, Di Som-
ma, Fiumara, Maresca (dai campi coltivati a maresca), Massa, Montanile
(dalla montagna), Monte, Montuoro, Monturo (dal monte); è rilevata an-
che una generica (ma, per noi contemporanei, molto precisa) indicazione
di luogo e cioè Possiede la casa dove abita nel luogo detto fuori la fontana (…)
Toponimi (nomi propri ed etnici) • Ungaro, Todisco (da tedesco), Troia- 267
no, Spagnuolo, Sorrentino, Sicignano (in provincia di Salerno), Romano,
Paduano (da Padova), Nocera, Di Nocera, Napolitano, Calabrese, Calva-
nico (in provincia di Salerno), Castigliano (per spagnolo), Celentano (dal
Cilento), Cosenza, Di Capua, Ferrara, Fiorentino, Formisano (da Formia),
Gaeta, Genovese, Greco, Lombardi, Longobardi, Manfredonia, Messina,
Mauriello (da Mauritania, l’attuale Marocco)
268
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© raffaele fontanella
La disamina storica di tutte le famiglie la cui origine può essere collegata
alla nostra città, ci induce ad alcune riflessioni legate al popolamento
dei casali e all’arrivo delle prime famiglie che hanno abitato i nostri ter-
ritori. Castellammare ha subìto, a causa dei conflitti, tre diversi spopola-
menti, più o meno intensi, avvenuti durante le guerre bizantino-
longobarda, svevo-angioina ed angioino-aragonese.
271
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Dal libro I
• 155. (…) tibi mandamus quatenus arcem civitatis Stabiensis seu Castrimaris,
cure tue commissam, cum omnibus armis, Guillelmo Guilloti laori (…). (1265)
• 5. (…) et honorum Palmerii Coppule in Castromaris. (1266)
Dal libro IV
• 234. Hominibus Castri Maris de Stabia, provisio pro restituzione mutui unc.
Auri LIX. Nomina illorum sunt: jud. (giudice) Petrus Vulpula, Ioannes de
Auferio, jud. Goffridus Castaldus, jud. Petrus Castaldus, jud. Symon Vergatus o
Vergara, et Jacobus de Sancto Marco. (1269)
• 562. Mag. (magistrato) Iacobo de Atrabato, provisio pro decima startie, quam
tenente et laborant nomine Castrimaris, in territorio Scafati, eidem mag. Iacobo
debita ratione cappelle S. Leonis de Nuceria Christianorum. (1270)
274 Acquaforte di Ciro Denza • 892. Mutuatoribus Castri Maris, provisio pro mutuo. Et nomina eorum sunt
(1873 circa) che raffigura
il Castello Angioino hec: iudex Petrus Castaldus, iudex Petrus Vulpula, iudex Mazziottus Vaccarius,
costruito nel 1268 Johannes de Oferia, Guilielmus iudicis Castaldi, Venutus de Alesio, not. (notaio)
Catellus Accursus de Sancto Marco, mag. Bartholomeus Montanarius, Johannes
Cannabasolus, Mactheus Coppula, Bartholomeus Tentamolle, Bonavita Siccar-
dus, Maresca, Bartholomeus Spina, Jacobus Cannavaciolus, Jacobus Coppula,
mag. Ventura Bosus, Johannes de Jacta, Stephanus Longobardus, Bartholomeus
Plagese, Rogerius Scafarus, et alii plurimi. (1270)
In questo elenco di prestatori di denaro sono presenti, dopo più di 750
anni (sic), cognomi ancora diffusi in città. Da notare la trascrizione della
particella de in minuscolo perché, all’epoca, aveva la semplice funzione
di introdurre i vari complementi di specificazione o di provenienza.
Dal libro V
• 234. Nominantur nomine qui in diversis locis Principatus mutuaverunt pecu-
niam Regi: (…) in Castellammare: Ungaro, Castaldo, ecc. (1272)
Dal libro VI
Nel 1270 c’era un inquisitore contro gli eretici chiamato Mattheo de Ca- 275
stromaris (Matteo di Castellammare) dell’ordine dei Predicatori.
• 685. Provisio super contenzione orta inter Mazzioctum Vaccarium et Iaco-
bum de Sancto Marco, de Castromaris, qui a R. Curia locaverunt baiulationem
dohane et fundici Castrimaris, et nob. (nobile) virum Radulfum de Suessione
Comitem Laureti et dom. Scafati, qui pretendit tenimenta Matine et Pontis de
Persica pertinere sibi ratione dominii dicte terre Scafati. (1271)
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© raffaele fontanella
# Dal libro Sorrento, Giovanni Raparo 3 gennaio–31 dicembre 1436, a
cura di Sandra Bernato, Laveglia Editore, Salerno, 2007.
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290 Tra i tanti componenti delle famiglie napoletane, spicca nel 1291 l’huomo
nobile il signor Raullo de Grillo capitano (carica che corrisponde all’attuale
sindaco) di Castello à Mare di Stabia. Ed anche nel 1423 il nobile huomo
Miniatura con le cartiere
ad Amalfi (xii - xix secolo) Nicolò Antonio di Castello à Mare di Stabia, capitano della città di Trani.
# Tratto dalla tesi di laurea di Rosaria Falcone, Amalfi nei secoli XII
-XIII in Storia, Archeologia e Storia delle Arti, Università degli
Studi di Napoli Federico II, 2013.
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Dal libro IV
• Nob. viro Colucio de Aflicto de Scalis dohanerio seu fundicario maioris fundici
seu dohane Neapolis etc. Mandat quatenus viro nob. Jaymo Laurencio castellano
castri civitatis Castri Maris de Stabia (…). (1445)
Il nobiluomo doganiere Coluccio D’Afflitto era stabiese ma proveniente
da una famiglia originaria di Scala (in provincia di Salerno).
• Nob. viro Iacobo Caczano de Neapoli dohanerio seu fundicario fundici seu
dohane Castri Maris de Stabia etc. Mandat quatenus totum sal viri nob. Iohan-
nis de Monte Acuto militis (…). (1445)
• Nob. viro Iacobo Cazano de Neapoli, dohanerio Castrimaris de Stabia. Quia
vir nobilis Franciscus Porcus de civitate Castrimaris de Stabia satisfacere nequit
Villano de Aldemari (…). (1445)
• Nob. viro Marinello de Medicis, capitano civitatis Castrimaris de Stabia. (1445)
• Nob. viro Iuliano Ricio de Castro Maris de Stabia regio commissario (…). (1445)
• (…) Nos Rainaldus de Duracio miles etc. in presentia iudicis Iacobi Ramuli de
civitate Castrimaris de Stabia. (1449)
Dal libro IX
• Nel 1480 una lettera del re Ferdinando I d’Aragona fu spedita ai nostri
governanti per la vendita della portolania, bagliva e mastrodattia (cioè
cariche amministrative dell’epoca): Ad tractatum devenimus cum nobilibus
et egregiis viris Ruffo Vergario, et Minichello Plagensio Syndicis, nec non cum
Marino Sicardo, et Paulo de Miranda, et Gabriele de Afflicto procuratoribus
Universitatis Civitatis jam dicte.
• Nel 1486 fu fatta una selezione dell’equipaggio di una nave per il
296 trasporto di merci in Sicilia; tra i tanti marinai, e cioè Ntonuzo Sorentino,
Bartolomeo Gienovese, Fabio de Pomigliano, Ntonio de Catania, Giuliano de
Aversa, Baldo Pisano, Tomaso de Pisotta, Gioani de Napoli, c’erano anche gli
stabiesi Ndrea de Castelo a Mare e Rfonzo de Castelo a Mare. Da notare che
tutte queste persone, di ceto inferiore, oltre al nome di battesimo non
avevano altro che il soprannome legato all’origine geografica.
• (…) Joannes Baptista Burrellus de Neapoli, regius dohanerius dohane salis Ca-
stri Maris, Bernardus Corbera catalanus credenzerius dicte dohane salis. (1487)
• Da Francisco de Marchese, sostetuto de Johan Battista Burriello, duaniere del
sale de Castello ad Mare, vinte secte ducati, disse sonno de dinare in soy mano
per venute dela dicta doana. (1487)
• Da Francisco Nagro, doanere magiore de Castello a mare de Stabia, (…) che
intro Francisco de Marchise per suo sostituto. (1487)
• In computo Francisci de Bonello substituti dohanerii salis Castri Maris anni
1495, penes Bartholomeum Felicem folio, (…) declaratur quod recognitis com-
putis temporis Narcisii Borel, partis dicti Joannis Baptiste, fuit copertum eidem
solutum esse ad rationem unciarum 12 per annum et sic mandatum solvi dicto
Joanni Baptiste. (1497)
• Et più dicti arrenda turi hanno liberato a dì 24 dicto ad Joanbaptista Burrello
de Neapoli, regio dohanero de la dohana de Castellammare del sale (…). (1499)
Nell’arco di dodici anni, dal 1487 al 1499, la stessa persona viene men-
zionata in quattro documenti, in latino e in italiano, con denominazioni
diverse, a testimoniare ancora della grande variabilità del cognome a
quel tempo: Baptista Burrellus de Neapoli, poi Johan Battista Burriello, poi
Joanni Baptiste Borel e infine Joanbaptista Burrello de Neapoli. Ciò si verifica
anche per Francisco de Marchese, menzionato anche Francisco de Marchise,
ed anche per Francisci de Bonello, menzionato anche Francisco Bunello.
• (…) substituendi fuisse concessum officium credenze rie dohane salis civitatis
Castrimaris de Stabia vacans in possessione Curie ob mortem Luce Mactey et
domini Martini de Graniano. (…) Assignat apodixam dicti domini secreta rii,
actam ultimo septembris 1498, confitentis recepisse a Francisco Bunello, substi-
tuto dohanerio fundici salis castri Maris de Stabia (…). (1497)
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Gilbert De La Croix “Vue In altre trascrizioni compaiono i nomi e cognomi dei titolari delle
d’une tour antique prés
de Castel Amar sur le calcare stabiesi con l’aggiunta del toponimo cittadino o del quartiere
Golphe de Naples” (1798
circa) con la torre di
di provenienza: Jacobo Coppola de Castelloamare, Mathiuzo Longobardo de
302 Portocarello Privato, Natale Damiano de Castelloamare, Guidone Plagese de Scanzano,
© libero ricercatore
Jeronimo Longobardo de Castelloamare, Mathiello de Miranda de Castelloamare,
Cola Francisco Certa de Castelloamare, Janocta Firpo de Castelloamare. Nei
documenti compare la menzione di un altro fornitore di calce chiamato
Gervasi de Sinnaldo de Summa (chiamato in altra trascrizione solo con Ger-
vasi de Somma); il suo cognome poteva indicare la provenienza da Somma
Vesuviana o da un quartiere della nostra città posto in collina. Probabil-
mente tale toponimo, legato ad un luogo generico, genererà due cognomi
molto diffusi attualmente in città e cioè Somma e Di Somma.
Poi sono citati due magistri intallyaturi e cioè Costanzo Bonocore e Tropho-
nello de Balsano de Vico (di Vico Equense). Per la costruzione furono
richieste forniture di acqua a Benutolo de Raffone, forniture di legname a
Antonino Canzano e forniture di cordame di canapa a Salvato Cito. Nel set-
tembre 1452 Martino Certa ricevette 8 ducati per aver locato una casa di
Loyse Pagano a favore dei mastri frabicaturj. Poi Jacobo Rizo che realizzerà
un solaio della costruzione mentre Cola Cannabazulo e Raymondo Trenta-
molla parteciparono alla costruzione con altri incarichi.
Il Codice Cirsfid-Irnerio In alcuni casi nel documento c’è discordanza tra le diverse trascrizioni
(1459) dove si legge in
chiaro “dominus Michael della stessa persona, testimonianza della scarsa fissità del cognome a
Ricius de Castromaris”
quel tempo: Jacobo Copola (e Coppola), Angelillo Dealexio (e de Alesio), Gicho
Pregansano e Cicho Breazano, Natale Damiano (e Adamiano), Gentile de Iulio
(e de Julio), Palomides Copola e Palamidesso Coppola, Costanzo Bonocore (e Bo-
nacore); infine in 3 modi diversi sia per Angilo Durso, Angilo de Urso, Angelo
Urso che per Jnnocente Cubelly, Innocente Cobellis, Innocente Cubellis.
304 ////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
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Il primo dei tre figli di Carletto d’Apozzo fu appunto quel Ranieri men-
zionato nell’istrumento di Massa; il secondo ebbe nome Brancaleone e il
terzo Paride. I primi due si distinsero presso la Corte dei re aragonesi:
Brancaleone divenne il Segretario del re Ferdinando I mentre Ranieri
divenne così di famiglia tanto da ricevere direttamente dal re alcune
commissioni; infatti nel 1465, in un instrumento stipulato dal notaio sta-
biese Giovanni Coppola, si registrò che (…) per questa causa Re Ferrante fece
una commissione al Dottore Rainerio d’Apuzzo di Castell’a Mare. Per mostrare
come all’epoca il cognome fosse un elemento variabile, è utile comparare
le diverse trascrizioni della stessa persona nelle trascrizioni giuridiche:
nel 1461 Raynerio De Apuzzo, nel 1465 Rainerio d’Apuzzo, nel 1470 Ranieri
D’Apuzzo, poi De Apuczo ed anche D’Apozzo.
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In questo libro l’autore tratta la storia del Regno di Napoli, dei privilegi
acquisiti dai vari sovrani e dei vantaggi ottenuti dalla nostra città grazie
a nobili ed illustri suoi concittadini.
• Per la verità il cognome Riccio è trascritto in diverse parti del libro in nu-
merosi modi: Michael Ricius de Castro Maris de Stabia J.C. Regius Consiliarus
sub Alphonso seniori Rege fuit anno 1445 cioè Michele Riccio di Castellam-
mare di Stabia, regio consigliere anziano sotto il re Alfonso nel 1445. In
un altro punto: A’ 28 Gennaro 1448 XI Indit, in Gragnano i Sindici della Terra
di Pimonte danno il giuramento di fedeltà al Sig. Michel Riccio di Castell’a mare
Dottor di legge, e Regio Commissario per parte della Sacra Regia Maestà. (…) E
parlando di lui (per error di stampa ne sbagliò la prima lettera del cognome) ci fa
comprendere il suo carattere: Michael Pitius (al posto di Ritius).
• Nel libro compare una citazione dello storico Niccolò Toppi a proposito
di una concessione nella quale è contenuto il più grande elogio per lo
stabiese Michele Riccio e suo figlio Pierluigi; e tanto più grande perché
viene direttamente dal re Alfonso: Nobili, et ingenuo adolescenti Petra Loysio
(Pierluigi) Ricio de Neapoli fideli nostro gratiam, et bonam voluntatem. Nello
stesso privilegio il cognome viene poi trascritto con Ricius a dimostrazio-
ne, ancora una volta, della sua debolezza nella fissazione: Et si Michael Ri-
cius olim pater vester, vir profecto omni studio, omnique doctrina refertus nobis
et familiaris, et necessarius vita defunctus est.
314
Errico Gaeta (1867) Sebbene notevolmente diffusi, nel Seicento i cognomi non erano ancora
“La Torre di Portocarello
a Pozzano” un elemento fisso dell’antroponomastica; nella stessa frase dell’Ughelli
appare una prima volta il cognome accordato al femminile casa (e cioè
Riccia) e poi accordato al plurale (e cioè Ricci), quando il cognome vero era
Riccio. Nel 1662 lo stesso Ughelli scrive la Casa Riccio venne da Castello a
mare mentre nel 1786 lo scrittore Gaetano De Felice trasforma libera-
mente e impropriamente al plurale i cognomi Se abbiam veduto essi Ricci
legati in matrimonio colle Patrizie famiglie de’ Correali, de’ Carboni, de’ Galeoti,
de’ Barrili, e de’ Caraccioli (…). Poi Martucci, nel 1786, scrive il cognome
ancora in modo incerto: Ecco dunque quanto quegli Autori abusarono di quelli
aggiunti; e quanto fu rispettata in Napoli la famiglia del Ricci, in tempo che egli
stava al servigio del Re di Francia.
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Nell’archivio storico della famiglia Coppola (in possesso degli eredi del
compianto Giuseppe D’Angelo) è depositato il libro originale dei conti,
relativi ai primi tre anni di costruzione, che il canonico Giulio Coppola
consegnò al fratello dopo il controllo operato dai razionali (cioè i revisori)
affinché lo depositasse nell’archivio di famiglia: a dì otto de agusto 1589
io donno Julio Coppola, primigerio de Castiello ad Mare, ho avuta la liberatoria
de tutta la ministracione mia como ad cassa (cioè cassiere) delo novo Viscopato
dalo Magnifico Joannominico de Ranito rationale depotato, tanto dalo Reveren-
dissimo Monsignore Lodovico Maiorano quanto dali Signori sindico et eletti de
vedere li mei conti de tutti li denari, tanto delo introito como delo esito, et per che 317
a trovato per gratia delo Signore ogne cosa listo et integro me haffatta una libe-
ratoria amplissima, che la ho data alo Signore Scipione Coppola, mio fratello, che
la conserva con le soi scritturi. Io donno Julio Coppola primigerio mano propria.
Nel libro dei conti del 21 febbraio 1588 il mastro Santolo Cartolano appare
con una notazione toponomastica in più e cioè Santolo Cartolano de Napo-
le, sempre a dimostrazione della scarsa fissità del cognome.
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La chiesa di Santa Maria dell’Orto fu fondata nel 1580 dal notaio Giovan-
ni Jeronimo de Majo e Marco de Maio. I maestri ortolani della confraternita
erano Catello Longobardi, Giacomo de Monaco, Alfonso Chiaiese. I padri ago-
stiniani pagarono a Giuseppe De Cataldo l’estinzione del debito contratto
nella costruzione della chiesa; le cappelle gentilizie furono intitolate alle
famiglie Cataldo, Fedele, Pietro Imperatore.
La chiesa dello Spirito Santo fu fondata nel 1577 dalla confraternita dei
bottai tra cui Samuele Longobardi, Minico de Giglio, Felice de Buono, Ambrosio
de Cataldo, Geronimo Acampora, Agostino Cannavaczuolo. Invece la chiesa di
San Gioacchino fu fondata nel 1892 da Vincenzo Postiglione (il cui rione ha
Lapide (1625) con lo stem-
preso il suo nome), un ricco commerciante di semi d’ortaggi, aiutato da
ma dei bottai nella chiesa un comitato di fedeli che fu graziato da un’infezione colerica.
dello Spirito Santo di
Castellammare di Stabia
La chiesa di San Salvatore ha le cappelle gentilizie delle famiglie Galterio,
Scalisi, de Felice, Montanaro, comite (conte) Genovino, Barbella, Foglia, Sportiel-
lo. La chiesa di San Nicola fu fondata nel 1641 dal nobile Carlo Rocco. La
322 chiesa di San Eustachio fu fondata nel 1308 da Bernardinus Verdeauliva,
il notaio Iohanne Firpo, Cesare Longobardi, Francesco Coppula, Natale Cuomo;
ha le cappelle gentilizie delle famiglie Longobardi e d’Apece.
Per la chiesa di San Matteo sono annotati nel 1583 come deputati Cola
Francesco Ferrara e Johannes Roberto Coppola mentre nel 1584 Prospero de
Palma e Thomase Longobardi; ha la cappella gentilizia della famiglia di
Jeronimus Castaldo.
Nel 1565 la prima cattedrale della nostra città fu costruita a Varano pres-
so i terreni dello stabiese Nardo Lardaro; al suo interno c’erano i sepolcri
gentilizi delle famiglie Cannavaczulo, Certa, Longobardi, d’Avitaja.
Diversi erano i mestieri legati al mare presso la Dogana del porto nel
XIII secolo; infatti nel 1269 come portulanotti erano menzionati il giudice
Mattheus Castaldo, Thomase Pinto, Salvato Coppola. I baiuli erano Macziotto
Vaccaro, Jacobo de Sancto Marco. I credenzieri erano Alessandro de Afficto,
Ursus Rufolo, Johannes de Juvene, Marino d’Apozzo, Johanne Tommaso de
Avitabulo. I capitani marittimi erano Januarius de Lauro, Antonio Filosa,
Johannepaulo Benetti mentre gli addetti alla custodia nel 1280 erano Petro
Cutanea, Gulielmus Vaccaro, Florio Montanaro. Nel 1585 i capitani marittimi
erano Giovanroberto Comparato, Joanne Roberto Coppola.
C’è una trascrizione del 1681 che racconta di una costituenda società
marittima tra gli armatori stabiesi Sabbato Martorello e Giovanni Celona.
Nel 1692 si annoveravano, come costruttori marittimi, Alessio e Antonio
Bonifacio. Dal 1693 al 1750 sono menzionati gli armatori Raimo e Marco
del Giudice, Bernardo Cacace, Michele Vanacore, Antonio d’Aiello.
327
Lapide (1817) della fonte Nel 1802 la Torre del Quartuccio fu venduta dal Comune a Michele Stan-
dell’acqua di San Giacomo
a Castellammare di Stabia zione che nel 1822 la rivendette a Baldassarre e Luigi Parise.
Una disamina a parte riguarda i vescovi stabiesi. Nel 1392 è citato Anellus
de Avitabulo abas (cioè abate). Nel 1421 fu eletto il nobile Loise Certa, figlio
di Giovanni, a sua volta fratello di Matteo, Martino e Giacomandrea; nel
1446 da questa nobile famiglia fu eletto il vescovo Lodovico Certa.
328
Particolare inferiore del # Dal libro di Padre Serafino de’ Ruggeri, Storia dell’immagine di S.
quadro della “Madonna
di Portosalvo” che raf- Maria di Pozzano, Stamparia di Giuseppe Guarracino, Napoli, 1743.
figura Castellammare di
Stabia nel xvii secolo
L’autore, prima di trattare la storia dell’immagine della Madonna di
Pozzano, magnifica Stabia evidenziando i personaggi legati alle varie
sfaccettature della sua storia; infatti (…) e per verità, chi le nostre e le stranie-
re Storie è vago di leggere, troverà (benché spartitamente ed in diversi libri) essere
stati gli Stabiesi in ogni stagione, così nella gloria dell’armi, come delle lettere, in
dignità ecclesiastiche e secolari, in Santità, ed in ogn’altra laudabil cosa, rinomati,
ed eccellenti. E benché mia intenzione non sia far qui di ciascun di essi minuto
racconto; contuttociò somma ingratitudine sarebbe, il tacer di tutti, e passar sotto
silenzio ancor il nome di coloro, che finora son alla mia notizia pervenuti.
Oltre questi, altri patrizi hanno onorato la storia di Stabia come Paris
d’Apozzi (è giunto a noi contemporanei con la traduzione in Paride del Poz-
zo) che dal re Alfonso d’Aragona fu fatto Consigliere di Santa Chiara ed
educatore del suo primogenito Ferdinando Duca di Calabria. Poi Tomase
e Johannedominico Comparato, regi consiglieri; Johannes Camillo Cacace e An-
tonio Coppola, presidenti della Regia Camera. Niccolus Vaccaro fu giudice
della città di Altamura. Gabriel Longobardi fu filosofo e medico dell’Impe-
ratore Carlo VI nonché protomedico di tutto il regno di Napoli mentre il
nobile Antonio Massamormile garantì al sovrano fedeltà assoluta. Il regio
consigliere Francesco Rocco e suo figlio Johan Baptista, presidente della
fronte e retro del Ducato Regia Camera; Andrea de Orso, presidente della Regia Camera nel 1500.
(1693) all’epoca di Carlo ii
di Spagna L’autore passa alla trattazione dei militi (il nome latino milites venne
utilizzato nel Medioevo per designare gli uomini liberi, individuati dai
sovrani, per l’uso delle armi con lo scopo di creare la classe dei cavalieri
e, poi, quella dell’aristocrazia): Iohanne e Goffridus de’ Rogati, ambedue
consiglieri della corte regia; poi una lunga dinastia a partire da Julianus
Ricci de Stabia (anche qui la completa denominazione comprendeva, oltre
al cognome Ricci, il toponimo supplementare che, ahimè, non è stato
perpetuato fino ai giorni nostri), presidente della Regia Camera. Poi Bal-
dovino e Roberto, il primo regio consigliere e il secondo mastro giustiziere.
Ci furono anche due Michele Ricci, il primo ambasciatore presso Firenze
e il secondo, nato da Niccolò Ricci e dalla nobile sorrentina Mariella
Correale, fu per il vicerè di Luigi XII, re di Francia, mastro razionale del
sedile di Nilo, uno dei sette quartieri della Napoli del 1501. Termina la
lista dei Ricci con Anghelo, Franciscus e Baldovino.
331
Breviario (1805) del cano-
nico e teologo Michele
Esposito del capitolo
della Cattedrale di Ca-
stellammare di Stabia
332
Pianta del vecchio porto e Nel 1445, ai tempi del Re Alfonso I, si ritrova registrato Egregius Miles
progetto del nuovo molo
del porto di Castellam- Marinellus de Medicis de Castellomaris con la modalità tipica dell’epoca e
mare di Stabia (1726)
cioè distinguere le persone anche con il toponimo; suo figlio Camillo de’
Medici ebbe da Filippo II, re di Spagna, la toga di regio consigliere. Qui si
registra la trasformazione dal nome latino de Medicis nella trascrizione
in volgare de’ Medici (trascritto anche con de Medici). Inoltre è menzionato
Bartolomeus Massa quale tesoriere e maestro razionale del re Carlo III nel
1138; poi Pirro (cioè Pietro) Massa, portulano del regno nel 1381. Anche
per la dinastia de Miro (talvolta questo cognome, per errate trascrizioni o
per la traduzione in volgare, appariva come di Miro) si elencano Roberto,
Carluccjo, Petrus, Bartolomeus, Carolo, Anghelo, Gasparro; quest’ultimo fu
vicerè di Calabria al tempo di re Roberto nel 1262. Poi Cola Francesco
Rosania fu segretario del re Alfonso di Aragona nel 1494. Presidenti
della Regia Camera furono Andrea de Miro nel 1419 e Bartolomeo Vaccaro
nel 1640. Come maestro portulano della Campania e vicine province fu
nominato Johanne Loise Sansone; infine Francesco de Avitaya fu segretario 333
del Regno di Napoli al tempo dell’Imperatore Carlo V nel 1535.
Per il loro valore nel mestiere della guerra e per il comando delle armate
navali, si ricordano Bartolomheus Vaccaro e Francesco Sicardi come ammi-
ragli del regno di Carlo I d’Angiò mentre Pierus Nocera, per i suoi servigi,
ebbe in dono il Palazzo Reale di Quisisana. Così come in mare, ci furono
stabiesi illustri anche per meriti terrestri come il capitano Tomasangelo
d’Arcos, generale d’esercito in Italia, Spagna, Portogallo e Fiandra; anche
suo figlio Tomas Ignatio fu un alfiere di cavalleria. Poi per trofei militari
si ricordano Matteus Castaldi, Cesaris Coppula, Gioseppe de Giovanni. Ancora
come capitani di cavalleria sia Francesco de Avitaya che Fabritio Longobardi.
Come marescialli del re Roberto sia Laurino Massa Scutifero che Johanan-
tonio Sansone; poi capitano di cavalleria Johan Baptista de’ Rogati e Felice
Angelo de Orso, scudiero del papa Paolo III.
Essendo dunque Stabia così feconda di Uomini per Santità, per lettere, per
cariche, e per valore chiari ed illustri, non è meraviglia, che ella sia sempre stata
in tal guisa cara a Regi, che abbiano con titoli di Nobiltà, e di Feudi i suoi Patrizi
abbondevolmente arricchiti, siccome in autentiche scritture troviam registrato.
Per tali premesse Marino de Avitabile ricevette l’incarico della Bagliva e
Mastrodattia della Terra delle Franche (l’ufficio della Mastrodattia, dal
latino magister actorum, era nella burocrazia del Regno di Napoli gestito
334
Giacinto Gigante “Veduta da un funzionario addetto alla custodia degli atti pubblici e privati da
di Castellamare” (1833)
trasmettere per il pronunciamento del giudice o Balivo). Lorenuszo de
Apozzo fu segretario del re Ladislao. Carolus de Miro fu giudice della Gran
Corte della Vicaria nel 1392. Il milite Petrus Castaldi, essendo raccoglitore
del denaro fiscale del re Carlo I d’Angiò, ebbe per ricompensa in feudo
un gran tratto di territorio di Stabia, attualmente detto Schito. Anche il
milite stabiese Restaino Massa ricevette territori in feudo dai regnanti.
Il re Carlo II d’Angiò donò ricchi feudi a Giacomo Tentamolla de Stabia
(il primo cognome è trascritto in altri casi anche come Trentamolla); il
re Ladislao concesse nel 1414 al nobile Carluccio Vaccaro, morto in suo
servigio, la metà dello scannaggio (balzello imposto nel Regno di Napoli
sulla macellazione degli animali) di Castellammare, privilegio poi con-
fermato a suo figlio Bartholomeus dalla regina Giovanna e dal re Alfonso.
Poi Scipione Longobardi ebbe in feudo dall’Imperatore Carlo V i dazi della
stadera e misura di Castellammare; Humberto Ricci fu il ciambellano
(ossia il Camerier Maggiore) della regina Giovanna mentre Niccolò Ricci
fu barone del Casale de’ Latronici in Lucania. Christoforo de Orso ebbe in
dono alcuni beni feudali dal re Ladislao nel 1390.
Ne solamente di feudi, e di facoltà furono gli Stabiesi da suoi Signori arricchiti,
ma eziandio li nobilitarono col decoroso e ragguardevole titolo di Milite, il quale
non indifferentemente esi davano a tutti al rapporto di Camillo Tutini e di altri
celebri Autori, ma solamente a coloro, che erano di antiche ed illustri famiglie di
schiatta militare, e per lor proprio valore chiari e rinomati. Milite e cavaliere
Lionardo de Afflitto nel 1470, milite Marino de Avitabile (in un’iscrizione
del 1383 tale cognome in latino era trascritto come de Abitabulo ma è
possibile riscontrare anche la trascrizione con d’Avitaja) nel 1370, milite
Landolfo Caracciolo nel 1383; la regina Giovanna nel 1414 concesse il
privilegio di godere della Nobiltà e gli onori di Stabia al milite Masellus
de Avitabile. La famiglia Massa contò diversi militi ai servigi della regi-
na Giovanna: Ciccarello, Juliano, Marino e Amelio. Nel 1303 il re di Napoli
Carlo II nominò come milite Niccolò Castaldi Stabiese (da notare il secondo
cognome Stabiese, toponimo che non avrà grande diffusione). Tra i militi
della famiglia Castaldi ricordiamo Rinaldo, Pietro e Horatio, quest’ultimo
valoroso cavaliere dell’Ordine di Malta nel 1578. Anche la famiglia di 335
Rosania ebbe i suoi militi: Gregorio, Andrea e Giovanni (in altri libri sono
trascritti anche con de Rosania).
L’autore del libro si sofferma, poi, sui matrimoni tra stabiesi e altre fami-
glie del regno di Napoli; in particolare, Rinaldo Sicardi con Caterina Carafa,
Giovanpaolo Sicardi con Aurelia Gambacorta, Niccolò Castaldi con Susina
Malerba, Marino di Avitabile con Catterina Caracciolo, Michele Avitabile con
nelle due pagine seguenti
Litografia (1850) che Cornelia Ippolita Ramirez, Giacomo Avitabile con Rosa Barretta, Gennaro Avi-
illustra in modo fanta- tabile con Saveria Marchese, Colantonio di Avitaya con Maddalena Miroballo,
stico una festa del mare
a Castellammare di Stabia Gasparo di Avitaya con Flaminia Cavafelice, Giacomo Avitaya (da notare che
© giuseppe d’angelo
336
337
338
Johann Rudolf Bühlmann questo cognome presenta il patronimico senza la preposizione semplice
“Veduta di Castellamma-
re di Stabia” (1875) oppure è semplicemente un’errata trascrizione, fonte cospicua di origi-
nazione di nuovi cognomi) con Ovidia Nocera, Cesare di Avitaya con Anna
Pagano, Mattia di Avitaya (seniore) con la sorrentina Maddalena Roviglione,
Mattia di Avitaya (juniore) con la sorrentina Francesca Roviglione, Girolamo
di Avitaya con nobile amalfitana Giulia del Giudice, Andrea di Avitaya con la
sorrentina Vittoria Acconciagioco, Baldassarre di Avitaya con Angela Zurolo.
339
Cartolina “Panorama dal Poi, Marino di Avitabile si casò con Catterina Caracciolo, dal qual matrimonio
Grand Hotel Quisisana”
(1901) ne nacque Ceccarella e Mariella Avitabile, la quale Mariella si sposò con Tan-
credi del Balzo Cavalier Capoano di chiara, nobilissima ed antica famiglia; qui
l’autore trascrive il cognome del padre con di Avitabile e, poi, con Avita-
bile quello della figlia in un’approssimazione tale che una trascrizione
successiva avrebbe, involontariamente, originato un nuovo cognome, cioè
Avitabile senza la preposizione semplice. Di seguito i matrimoni della
famiglia Longobardi: Paride con Camilla Afeltria, Giacomo con la nobile
napoletana Dianira Buccina, Scipione con la napoletana Porzia Spina.
La famiglia Massa si unì con la famiglia Mormile, onde un ramo di essa
fu detto di Massamormile (altro caso di originazione di cognomi). Ci
furono matrimoni anche con le famiglie napoletane Galeoti, Miroballo,
Afflitti, di Alessandro; ed anche con le famiglie Santomanco (di Salerno),
Guardati (di Sorrento) e Pagani (di Nocera). Anche la famiglia Pandona
Stabiese s’imparentò con persone di sangue nobilissimo: Aquini, Sangri,
Balzi, Acquaviva. Della famiglia Sansone, Francesco prese in moglie Giulia
Coronata; l’autore, poi, accorda il cognome Sasso al plurale: La famiglia
Sansone (…) poiché si unirono co’ Sassi, nobili di Scala, la di cui casa fu illustra-
ta dal Cardinal Lucio Sasso. Altro esempio nel quale c’è un uso libero del
cognome al plurale: (…) ma eziandio con le principali famiglie di tutti i Sedili di
Il registro delle nascite Napoli, cioè con i Galeoti, Caraccioli, Mormili, Miroballi. Finanche nel XVIII
(1811) conservato
all’Anagrafe Storica di secolo era usuale accordare il cognome originario con il femminile o con
Castellammare di Stabia
il plurale; ciò perché il cognome non era ancora diventato un elemento
totalmente fisso dell’identità di una persona.
340
Abraham Louis Rodolphe Della famiglia de’ Risi, Cesare prese in moglie Giovanna Castaldi nel
Ducros (1801 circa) “Il Ve-
suvio da Castellammare” 1570, Domenichi (seniore) con la sorrentina Isabella Molignano nel 1668
e Domenichi (juniore) con Catterina di Miro nel 1681; poi Vincenzo con
la nobile nocerina Porzia Pagano nel 1626 e, in seconde nozze, sposò la
nobile amalfitana Felice del Giudice.
341
Paride d’Apozzo prese in moglie la dama napoletana Nardella Galeota men-
tre i Comparati si ritrovarono imparentati con Minutolo, Savedra, Severino
e Caracciolo. Al tempo di re Roberto, Filippella Vaccaro con il salernitano
Roberto Grillo, Maria Vaccaro con il celebre avvocato napoletano Camillo de
342
Giacinto Gigante “Piazza Medici Stabiese, Isolda Nocera con il barone Simone di Belvedere. Al tempo di
Municipio” (1839)
re Ladislao, Antonella Di Miro col nobile Cecco del Borgo e la loro figlia, Gio-
vannella del Borgo, con Francesco di Aquino; la stessa Antonella, in seconde
nozze, si sposò col conte Perdicasso Barile nel 1409. Altruda di Miro col con-
te Guaimarius Longobardo, Lisola Castaldi nel 1462 con Rinaldo de Durazzo,
figlio naturale del re Ladislao. Ippolita Longobardi con Felice Carmignano,
Laura di Avitaya col cavaliere napoletano Francesco Zurolo, Marino di
Avitaya col nobile capuano Siginulfo de’ Tomasi, Teresa di Avitaya con Nicolò
Baldini, Ovidia di Avitaya con il cavaliere amalfitano Giovanantonio Bonito,
Porzia de’ Rogati con Cesare Strina.
Il patriziato stabiese, oltre a legarsi in matrimonio con cavalieri e dame
sorrentini, capuani, nolani, salernitani, nocerini, preferirono anche le
principali famiglie napoletane: Liguoro, da Ponte, Carafa, Spina, di Gennaro,
di Alessandro, Carmignani. Fin dal XI secolo nella gerarchia sociale i nobili
stabiesi erano distinti dal clero e dal popolo; infatti l’arcivescovo Barbato
di Sorrento nella bolla della consacrazione di Gregorio come vescovo di
Stabia, così scrisse: Barbatus Dei gratia Archiepiscopus Sedia Sanctae Sur-
rentinae Ecclesiae, omnibus Fidelibus ortodoxis, Clero, Ordini, & Plebi consistenti
Ecclesiae Stabianae, dove per Ordini si intendono proprio i nobili cavalieri.
Sebbene in Stabia non vi sia stato alcun sedile, come in altre città del Re-
gno di Napoli, in città sono fiorite comunque famiglie nobilissime negli
ordini cavallereschi.
Il nobile padovano Giovanni de’ Rogati, allontanatosi dalla sua Padova per
sfuggire alla tirannide del crudele Ezzelino, con un drappello di valorosi
cavalieri si unì all’esercito di Carlo d’Angiò per la conquista del regno di
Napoli; allorché poi i re Angioini elessero Stabia per luogo di loro delizie,
il milite e consigliere Giovanni de’ Rogati qui volle stabilire la sua dimora.
Vetturetta da nolo (xix La famiglia Rocco trae origine, invece, dalla vicina città di Lettere. La
secolo) tratta dal cata- famiglia Ricci trae la sua origine dalla città di Firenze per poi trasferirsi
logo della ditta stabiese
“Catello Scala & figli” a Napoli sotto il re Carlo I d’Angiò; in particolare, il ciambellano Umberto
Ricci fu molto legato alla Regina Giovanna dalla quale ricevette in dono il
344
castello delle Franche (presso Pimonte) e altri beni in Stabia. La famiglia
de’ Risi (trascritta anche con Risi) traeva origine da Napoli; nel 1525 Toma-
sino de’ Risi si trasferì in Stabia. La famiglia Vaccaro (trascritta anche con
il femminile Vaccara) era di origine romana; molti suoi rappresentanti si
trasferirono in Stabia per fiorire nelle lettere e nelle armi.
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# Dal libro di Aldo Pinto, Raccolta notizie per la storia, arte, archi-
tettura di Napoli e contorni, libero su Internet, 2017.
In questo interessante libro sulla storia del regno di Napoli sono men-
zionati diversi contratti giuridici redatti nel 1498 dal notaio stabiese
Fiorillo Testa di Castello a mare di Stabia che abitava a Napoli.
Nel 24 ottobre 1592 in un documento contabile del Banco dello Spirito 345
Santo (uno degli otto istituti di credito che, per tradizione, hanno dato
vita al Banco di Napoli nel 1539) c’è la menzione di uno stabiese: (…) Al
magnifico Gio:Battista Longo di Vico trentaquattro et per lui con pol.a di ducati
trentacinque al magnifico Francesco Avitaya di Castello à mare di Stabia d.o celi
paga per il prezzo di cinque statue di marmo gentile che l’ha vendute con una
porta di marmo quali giontam.te d.o ran.co l’ha da consignare nella massaria di
esso Francesco in territorio della Torre della Nunciata (l’attuale Torre Annun-
ziata) seu territorio di Vallo ad ogni semplice richiesta di Gio:Battista insieme
con la qual pol.a vi è declaratione di mano di dicto Francesco per la quale si
contenta pigliarsi ducati 34 citra preiuditio di recuperare il resto dal predicto
Gio:Battista, a lui c.ti ducati 34.
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Nel documento sono narrati due anni dei lavori per la costruzione del
nelle due pagine seguenti
Catalogo della ditta castello di Gaeta. Sono registrate spese di pezzi di corde, chiodi, pali
stabiese di carrozzelle di legno, barili nuovi, recipienti grandi per passare la calce e altri per
“Catello Scala & figli”
(xix secolo) mischiare la calce; per alcune merci è individuato un fornitore stabiese
Cestina leggiera
346
Milordina
Carrozzino
Biroccino
Vettura calabrese
Vis a vis
347
Carrozzino moderno
Bagherino
Domatrice
348
Litografia (1879) del come si evince dal testo scritto in catalano ma facilmente intuibile: Item
caricaturista napoletano
Mario Buonsollazzi alias a VIII de febrer donà a Senso de Moscha di Castellamar per VIII perxes longuts
Solatium
de castanya que d’el compra per fer menechs per les sapts de pastar calc e per le
palles de ferro a raò de III grans la petza (…).
Presso l’Archivio di Stato di Napoli, all’interno del fondo della Regia Came-
ra della Sommaria, si conserva il registro di contabilità del 1451 relativo
ai lavori di ristrutturazione delle mura e del castello di Castellammare
di Stabia; il responsabile del registro è Giovanni Rubio, regio commissario
per le opere di ristrutturazione.
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In diversi punti del libro l’autore ribadisce che il cognome Riccio ebbe
origine a Napoli ma si diffuse grazie al ciambellano Humberto Riccio
che si stabilì a Castellammare di Stabia dopo aver ottenuto dalla regina
Giovanna I, per ricompensa dei suoi servigi e dei suoi meriti, la proprietà
della nostra città ed anche la cosiddetta Terra de’ Franchi, che oggigiorno
è chiamata delle Franche e si trova a Pimonte. Egli ottenne la cittadinan-
za dal re Ladislao nel 1412, nello stesso anno in cui l’ottenne anche la
famiglia degli Apozzi.
Nel libro sono presenti, accordati in latino nei diversi casi, i cognomi:
Montagnaro (trascritto con Montanarius, Montanaria, Montanarii, Mon-
tanarium, Montanario), Apuzzo (con Aputea, Aputeam, de Puteo, de Aputeo),
Sansone (con Sansonam, Sansonum, Sansonis, Sansones, Sansona), Avitaia (con
Avitaja, Avitaiam, Abitabulam, de Abitabulo, de Avitabulo).
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Nel libro sono menzionati, tra gli altri, i debiti di stabiesi per le loro
attività produttive del XVII secolo; in particolare Claudia Vaccaro per la
tassa di 5,2 ducati per la metà del scannaggio (balzello imposto nel Regno di
350 Napoli sulla macellazione degli animali) della terra di Castello à Mare di
Stabia, deve per anno 7,2 ducati così come Geronimo Raffone e Luca Sanfelice
per la tassa di grana 15 come padroni della Selva Ceppatura in territorio di
Cartolina con la Cassa
Armonica (xix secolo) Castello à Mare di Stabia, deveno di adoho per anno 3 grani.
# Dal libro di Raymundus Tellerìa, Communicationes, 1743.
Ancora in un altro passo del 1735 sono citati anche altri stabiesi (…)
Avanti di noi Regio notaio, giudice a contratto, e testimonij e nella nostra Curia
se ne sono comparsi li R.mi Sig.ri D. Domenico d’Amore e D. Rogato de Rogatis,
cantore e decano del R.mo Capitolo di questa città.
352
Pianta di Castellammare # Dal libro di Domenico Antonio Parrino, Dell’antica Pompei, Taura-
di Stabia con i nomi dei
casali (1897) nia, Tora o Cora, Stabia, e moderna Torre dell’Annunziata e Castell’a
Mare di Stabia, volume II, Stamperia Parrino, Napoli, 1700.
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# Dal libro di Giovan Battista Pacichelli, Vita del servo di Dio P. Gio-
seppe Imparato, Napoli, 1686.
358
Le fonti storiche stabiesi
San Catello, il patrono di Lo studio etimologico dei cognomi può svilupparsi esclusivamente attra- 359
Castellammare di Stabia,
nel bassorilievo del verso la ricerca e l’approfondita analisi di tutti quei documenti, soprat-
portale in bronzo della
Cattedrale
tutto quelli più antichi, in cui è possibile trovare una loro traccia. Quali
sono state le fonti a cui ho fatto riferimento? Gli archivi, naturalmente,
che sono preziosi scrigni della memoria dove è conservata la vera storia
(qui volutamente scritta con la iniziale minuscola) delle persone comuni
e degli antenati della nostra città. E quindi gli archivi parrocchiali con
i registri di battesimi, matrimoni e morti nonché gli archivi di Stato con
i protocolli dei notai contenenti testamenti, contratti, compravendite.
L’esercizio di questa attività, da cui traspare netto il rapporto tra la storia
dei cognomi e le sue fonti, si rivela particolarmente ostico poiché proble-
mi di lettura, scarsa accessibilità, interpretazione ed autenticità frequen-
temente ne compromettono le causalità.
Incisione di Jules Coignet co, i registri anagrafici del Comune controllando (e correggendo) i dati
“Château de Castelama-
re” (1827) stampata dalla civili con quelli religiosi nel senso che i registri parrocchiali contengono
litografia Villeneuve e evidentemente solo atti religiosi e pertanto risultano carenti quando il
tratta dalla raccol-
ta “Vues pittoresques nascituro veniva registrato solo allo Stato Civile senza essere battezzato
d’Italie, dessinees d’apres
nature” o morto senza sacramenti; in generale i documenti religiosi registravano
i battesimi (ma non le nascite), i seppellimenti (ma non i decessi).
Per quanto riguarda gli archivi delle Parrocchie, è noto che il Concilio di
Trento stabilì nel 1563, tra l’altro, l’istituzione dei registri parrocchiali
cioè che ogni parroco dovesse annotare in libri separati i battesimi e i
matrimoni, norma estesa poi anche ai morti con successive disposizioni
pontificie. Pertanto oggi è possibile rinvenire soltanto registri dalla se-
conda metà del secolo XVI, e per alcune parrocchie inadempienti, anche
più tardi; in seguito alla legge murattiana del 1808, quando tali registri
furono tenuti anche dai Comuni proprio per la nascita dell’Anagrafe
cittadina, le informazioni divennero via via più blande. Ciascun parroco,
poi, aveva anche l’obbligo di redigere un registro per i confirmati (cioè i
cresimati) ed uno Stato delle anime dei propri amministrati; per questi
ultimi registri né nell’Archivio Storico Diocesano né nelle parrocchie vi
è alcuna traccia, perché andati dispersi. Le parrocchie che conservano
i documenti più antichi sono, ovviamente, quelle di più remota istitu-
zione e, pertanto, di seguito indico le parrocchie a tutto il secolo XVII:
Cattedrale, Spirito Santo, San Matteo (Fratte), Santo Spirito (Quisisana),
Santissimo Salvatore (Scanzano), San Nicola (Mezzapietra), Sant’Eusta-
chio (Privati). Il fondo più cospicuo è costituito da quello della Cattedrale
che conserva la seguente documentazione: 33 tomi di Libri Baptizatorum
dal 5 agosto 1575 al 1861; 14 tomi di Libri Matrimoniorum dall’11 novem- 361
bre 1599 al 1861; 20 tomi di Libri Mortuorum dal 19 gennaio 1577 al 1861;
13 tomi di Libri dei Confirmati dal 13 ottobre 1658 al 1861.
362
363
nosi pur conservando moltissimi fasci di schede di censimento. Ancora,
il Fondo Museo che è costituito da 4 sezioni: 1) Scritture d’Ayello in rife-
rimento alle scritture del notaio Vincenzo d’Ayello junior che, nel corso
della sua vita, raccolse quanto poté degli antichi documenti relativi alla
città distribuendoli in 20 volumi di affari civili e 4 di affari ecclesiastici.
Nel corso dei secoli i volumi ecclesiastici, più uno di indici, sono andati
dispersi, ad eccezione della seconda parte del quarto volume, attual-
mente conservato nell’Archivio Storico Diocesano. I volumi civili hanno,
per fortuna, subìto miglior sorte tanto è vero che oggi se ne conservano
ben 18. In generale tali scritture riguardano la nomina di diversi notai
(come Fiorillo Testa, Marino Buonocore, Tommaso Mangrella, Giovanni
Spenta), i libro dei conti della Città, il registro delle delibere comunali
dal 1513 al 1550, atti tra privati, atti dei vescovi stabiesi, il Catasto di
Castellammare dell’anno 1554, il Catasto dei terzieri (così erano chiamate le
frazioni di Quisisana, Fratte, Scanzano, Privati e Mezzapietra) dell’anno
364 1603, il registro dei Creditori Istromentarij della fedelissima Città di Castellam-
mare del 1617; 2) Debiti Istrumentari che comprende circa una ventina di
fascicoli che contengono atti dal XVI al XVIII secolo.
366
Gli atti parrocchiali
Miniatura (xiv secolo) Gli atti parrocchiali rappresentano una sorgente inesauribile di infor- 367
che raffigura il sacra-
mento del Battesimo, mazioni legate all’onomastica e la consultazione di questi documenti
tratto da “Chroniques de
France ou de St. Denis”,
appare sicuramente molto più fruttuosa degli atti dello stato civile
conservato nel British perché coprono un periodo molto lungo tanto da poter rintracciare, se
Library di Londra
fortunati, atti fin dalla seconda metà del Quattrocento. Ogni singolo
documento rappresenta una raccolta di informazioni sia per gli antenati
protagonisti sia per le persone che li circondavano (per esempio, i padri-
ni ai battesimi oppure i testimoni ai matrimoni). Ufficialmente i parroci
erano obbligati a tenere ed aggiornare i Registri dei Battesimi e dei Matri-
moni a partire dall’entrata in vigore della risoluzione Tametsi durante la 24°
sessione del Concilio di Trento nel 1563, e quelli di Morte, delle Cresime e
gli Stati delle Anime con l’emanazione del Rituale romano nel 1614.
Non sempre la tenuta dei registri ha avuto inizio a partire da queste date
in quanto poteva variare da parrocchia a parrocchia. Purtroppo, nel cor-
so dei secoli, i motivi che hanno portato alla perdita o distruzione degli
archivi parrocchiali sono stati molteplici; gli incendi erano una delle
cause principali ma anche i bombardamenti, i terremoti o semplicemen-
te l’incuria degli stessi parroci. All’epoca la lingua usata era il latino ed
i registri parrocchiali erano costituiti da grossi libri con fogli bianchi
cuciti che, in rari casi, avevano appena l’accenno di qualche linea per
scrivere il testo perfettamente in orizzontale; erano pieni di abbrevia-
zioni per cui solo con la conoscenza e la pratica è possibile ricostruirne
© asc
368
Registro (xvii secolo) il senso. Questi registri spesso erano accompagnati da altri volumi che
con l’indice a rubrica dei
battezzati stabiesi contenevano gli indici dei nomi come una rubrica: riportavano il numero
progressivo dell’atto, il nome e cognome della persona, in qualche caso
la paternità, ed il numero di pagina corrispondente all’atto in questio-
ne. Fino alla fine del Settecento furono redatti solitamente in lingua
italiana su fogli prestampati e gli indici elencati in ordine alfabetico in
base all’iniziale del nome di battesimo, e non secondo quella del cognome;
solo a partire dall’inizio dell’Ottocento gli indici furono ordinati in base
al cognome. Pur avendo l’obbligo di tenere questi registri, i sacerdoti non
hanno mantenuto nel tempo un’uniformità nel redigere i vari atti; così
spesso si trovano metodi di registrazione diversi da parroco a parroco,
pur contenendo lo stesso tipo d’informazione.
369
© asc
Registrazione (1597) del Liber baptizatorum • Detto anche liber renatorum, conteneva l’anno, il
battesimo di una neonata
stabiese numero di pagina ed il numero progressivo a fianco del nome, la data di
battesimo, il nome ed il cognome del neonato, il nome del padre (e di suo
padre), il nome e cognome della madre (ed il nome di suo padre), la data
e l’ora di nascita, il nome del parroco, nome e cognome dei padrini (e dei
loro rispettivi padri) e la parrocchia dalla quale provenivano, se diversa
da quella dove il neonato era battezzato. In qualche caso era la stessa
ostetrica che amministrava il battesimo perché il bimbo era reputato
in pericolo di vita. A volte i padrini erano presenti in rappresentanza
di qualche nobile locale: la tendenza era quella di proteggere il figlio
assicurandogli padrini importanti in modo che, qualora fosse capitato
qualcosa ai legittimi genitori, ne prendessero cura. A partire dalla secon-
da metà dell’Ottocento sui registri erano annotati anche la professione
dei genitori e l’indirizzo cittadino.
370
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Il “Liber matrimoniorum” Liber matrimoniorum • Riportava l’anno, il numero progressivo, la data
(1701) conservato
nella Cattedrale di del matrimonio ed il nome del parroco celebrante, le tre date obbligatorie
Castellammare di Stabia
di pubblicazione nei giorni festivi, i dati dello sposo, la sua professione,
la parrocchia di provenienza; per la sposa era annotato solo il nome, poi
anche il cognome, la paternità e maternità della sposa. Si scrivevano
anche informazioni, ricevute da parenti e vicini, raccolte dai preti per
accertare che gli sposi fossero fisicamente e psichicamente sani e non
avessero commesso alcun delitto come, ad esempio, essere già sposati
altrove. Già dal 1215 il papa Innocenzo III aveva proibito di contrarre
nozze tra parenti fino al quarto grado di consanguineità; ciò voleva dire
che se i due fidanzati avevano un trisavolo in comune dovevano chie-
dere un dispensa al vescovo con la celebrazione, durante la messa, del
cosiddetto bruciamento della parentela. Per tale motivo, molto importante
era l’eventuale annotazione di una possibile consanguineità degli sposi
stessi e il grado di tale legame; grazie infatti a questo tipo di annotazio-
ne era possibile risalire ad un eventuale antenato comune ad entrambi. 371
I testimoni erano annotati con i loro nomi e la loro paternità, la parroc-
chia dalla quale provenivano, se diversa da quella in cui si celebravano le
nozze. Nei tempi più remoti, come oggi, era consuetudine sposarsi nella
chiesa parrocchiale della sposa, salvo casi particolari concessi dal suo
parroco; le pubblicazioni matrimoniali, come quelle ancora in uso, erano
Registrazione di un
matrimonio (1658) affisse alla porta della chiesa generalmente nei tre giorni festivi prece-
conservato nell’Archivio denti il matrimonio; servivano per annunciare l’evento alla comunità e a
della Cattedrale di
Castellammare di Stabia coloro che, potenzialmente, avrebbero potuto opporsi.
© asc
© cpcs
372
Registro dei Legati Liber mortuorum • Tra i principali registri, era certamente quello che
della “Confraternita
del Purgatorio” (1935), conteneva il minor numero di informazioni utili; nei tempi più remoti
conservato nella
i defunti erano annotati sommariamente, in un elenco confuso, spesso
Chiesa del Gesù di
Castellammare di Stabia senza menzionarne nemmeno la paternità o l’età. Se il defunto era un
neonato o un lattante, si definiva infantulo e si usava la frase ad celum
evolavit per indicarne la morte. Nei registri si registrava l’anno, il numero
progressivo, il nome e cognome del defunto, la sua età, a volte la paterni-
tà ed in qualche caso la causa di morte, la data di morte, la data di sepol-
tura e l’indicazione dei sacramenti somministrati prima della morte.
374
Gli stemmi delle famiglie
Stemmi delle famiglie Dopo il Mille cominciarono ad adottarsi i cognomi perché ciò che era 375
nobili del seggio di Nido
di Napoli (bnn) stato il frutto dell’ambizione e dello spirito aristocratico dei nobili guer-
rieri dell’epoca, fu sentito come un bisogno comune da tutte le altre clas-
si sociali. L’espansione demografica e l’urbanesimo contribuirono alla
moltiplicazione dei casali e, pertanto, fu necessario distinguerli; l’intro-
duzione dei cognomi in tutti gli ordini della società fu la naturale conse-
guenza per esplicitare, anche nel mondo civile, la varietà delle stirpi fra
le classi cittadine. Tuttavia tutti questi attributi familiari divennero veri
cognomi soltanto nel XIII secolo quando le famiglie nobili o i borghesi
più abbienti iniziarono a trasmettere il secondo nome di generazione
in generazione iure sanguinis, incastonandolo nei loro stemmi gentilizi.
Quindi il cognome, in un certo senso, ha svolto la stessa funzione degli
stemmi familiari che i nobili fecero scolpire o dipingere sulle facciate
delle case poste nelle zone urbane di loro massima influenza.
Qualunque notaio nel Medioevo aveva il suo stemma, anche i papi, i ve-
scovi così come, oggigiorno, tutte le città hanno il proprio. Questi stemmi
hanno contraddistinto non soltanto i singoli ma anche i casati, le fami-
glie. All’inizio il cavaliere si faceva dipingere il suo simbolo sullo scudo;
poi diventò identificativo della famiglia perché andò di pari passo con
la nascita dei cognomi. Quando un nobile era, ad esempio, un Visconti o
uno Sforza, abituato a portare lo stesso cognome con tutti gli altri maschi
della famiglia, nacque l’idea che anche lo stemma dovesse essere uguale
per tutti. Quindi lo stemma diventò un’abitudine estesa agli altri ceti
della società; avere uno stemma equivaleva a sentirsi nobile.
© simone fontanella
© wikipedia
378
Xilografia su carta Man mano che nascevano nuovi motivi, si rese necessario registrare e
di Utagawa Kuniyoshi
raffigurante una scena depositare gli stemmi per tutelare i diritti d’autore ed evitare che più ca-
goliardica con samurai
valieri si avvalessero della stessa insegna. Si iniziò così a tenere appositi
del periodo Meiji
(1868-1912) registri, chiamati stemmari o armoriali, che conferivano a ciascun cavalie-
re il diritto d’uso esclusivo della rispettiva arma.
Una pezza molto utilizzata fu il vaio, cioè una pelliccia (tessitura) costitu-
ita da un’alternanza di campanelle d’argento e d’azzurro, disposte in
allineamenti chiamati file; questi disegni traevano origine dall’uso di
decorare lo scudo con vere strisce di pelliccia animale e, tra queste, si im-
pose proprio il vaio, cioè uno scoiattolo petit-gris (Sciurus vulgaris varius)
originario della Russia dal ventre bianco ed il dorso grigio-azzurro.
nelle; si dice vaio in palo quando le campanelle sono le une sotto le altre.
Le forme originali prevedono le campanelle d’azzurro con la punta in
Pelliccia composta con
alto, alternate con l’argento. Il disegno del vaio a campanelle è relativa- 381
strisce di vaio russo mente recente perché è stato preceduto da forme ondate (cioè ondulate),
definite anche vaio antico.
Stemmi delle famiglie no- Nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, sita nel Palaz-
bili del regno di Napoli
zo Reale in piazza del Plebiscito, alla Sezione Manoscritti e Rari M.042 è
conservato uno stemmario seicentesco di autore ignoto. Alcuni scrittori
di storia locale e di araldica lo hanno consultato e spesso citato nelle loro
opere, qualche volta riportando anche immagini degli stemmi; infat-
ti erano presenti anche in bianco e nero nel libro Castellammare di
Stabia, Giovanni Celoro Parascandolo, tipografia Antonio Cortese,
Napoli, 1965. Nella raccolta del XVII secolo ci sono gli stemmi di più di
1.000 famiglie nobili del regno di Napoli; tra queste anche 24 di Ca-
stellammare e cioè: Afflitti, Castaldi, Certa, Sicardo, Napone, Rosania,
Riccio, Miro, Panno, De Avitaya, Plagese, De Nucera, Vergara, Comparato,
De Massa, De Rogatis, D’Apuczo, Marchese, Montanaro, Cannavacciuolo,
Coppola, Longobardo, Vaccaro, Suldano.
383
Stemmi delle famiglie no- Fra le città del Regno di Napoli riconosciute sede di patriziato, sono pre-
bili del regno di Napoli
senti nello stemmario: Napoli, Amalfi, Aversa, Aquila, Bari, Benevento,
Cosenza, Giovinazzo, Lucera, Pozzuoli, Ravello, Salerno, Scala, Sorrento,
Trani e Tropea. Invece, fra le città riconosciute sede di nobiltà civica, sono
presenti nello stemmario: Barletta, Bitonto, Capua, Crotone, Gaeta, Lette-
re, Monopoli, Nola, Reggio, Sanseverino, Taranto.
Lo stemmario delle famiglie nobili stabiesi
Come per altre città importanti del regno di Napoli, anche i blasoni delle
famiglie nobili stabiesi hanno attinto all’iconografia classica con simbo-
li, motivi e colori della grammatica araldica.
Gli Afflitti possedevano uno stemma con il vaio in palo, cioè le campa-
nelle d’azzurro su fondo argento disposte su quattro file, le une sotto le
altre; gli Afflitto, invece, vantavano sei file.
Lo stemma dei Castaldi recava, nel terzo superiore, due pesci che si incro-
ciano e, nei due terzi inferiori, fasce orizzontali ed oblique di color oro e
azzurro.
Quello della famiglia Certa una croce bianca partizionata su fondo az-
384 zurro e quattro stelle nei suoi intervalli.
Quello della famiglia Iovene (gli attuali Iovino, Iovine e Iovieno) con i leoni
rossi che sorreggono un generico albero.
Lo stemma dei Rosania, molto simile a quello dei Sicardo, recava il leone
su fondo rosso e le rose argento.
385
Stemmi delle famiglie Seppur simile, lo stemma della famiglia D’Apvczo (anche D’Apuzzo) raffi-
nobili di Castellammare
di Stabia gurava due grifoni appoggiati al pozzo da cui fuoriusciva una croce.
nella due pagine seguenti La famiglia Plagese mostrava una palma sulle onde (l’etimologia della
Stemmi delle famiglie parola potrebbe indicare il significato di spiaggia), sorretta da due leoni
nobili di Castellammare
di Stabia rampanti e disposti uno di fronte all’altro.
© bnn
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387
© bnn
Stemma della famiglia
nobile Longobardo di
Castellammare di Stabia
388
Nello stemma dei Coparato (anche Comparato) i soliti due leoni lampassati
di rosso che sorreggevano una torre turrita, il tutto su fondo rosso.
Stesse cromie per quello dei Givrdano (anche Giordano) che presentava la
fascia orizzontale rossa con due conchiglie, un fiore e le onde del mare.
Il cognome Vitale presentava una fascia obliqua dorata che stava tra un
braccio con un compasso e una vipera di color argento.
Lo stemma dei Coppola mostrava due leoni lampassati di rosso che innal-
zavano una grande coppa (da cui il cognome).
390
Le identità dei trovatelli
Particolare dell’affresco La questione dell’infanzia abbandonata affonda le sue radici nella notte 391
di Domenico di Bartolo
“Accoglienza, educazione dei tempi. Si pensi che nell’antica Grecia era considerata una pratica
e matrimonio di una figlia
dello spedale” (1441)
legale mentre nella lunga storia di Roma si sono susseguiti diverse
conservato nel Pellegri- consuetudini per i neonati indesiderati. In un primo momento i bambini
naio di Santa Maria della
Scala di Siena malaticci, deformi oppure i figli arrivati in una famiglia già numerosa
venivano esposti (cioè abbandonati) sulla porta di casa, gettati nell’im-
mondizia se non, addirittura, direttamente asfissiati. Tali frequenti
infanticidi erano dovuti al bisogno di nascondere relazioni proibite o
alla povertà delle famiglie. Talvolta i problemi nascevano dal sesso del
neonato: la tendenza era di abbandonare prevalentemente le bambine,
data la condizione della donna impossibilitata a lavorare al di fuori della
propria casa e difficile da mantenere, soprattutto per le spese nuziali. Per
non ucciderli direttamente, i neonati cominciarono ad essere abbando-
nati per strada in posti poco visibili, lasciandoli morire di fame o riposti
dentro grandi giare per non essere sbranati dai cani randagi.
© wikipedia
Lapide presso l’Ospedale
della Pietà di Venezia
(1548)
© wikipedia
394
Diffuse forme di assistenza si avviarono tra il XVI e il XVII secolo.
Progressivamente si passò alla pratica detta oblazione, che consisteva nel
lasciare in dono i propri figli nei conventi; questa pratica fu utilizzata
diffusamente nel Settecento e in tutta la prima metà dell’Ottocento.
Dal Regolamento del 1739, all’articolo 8 si legge: (…) Perché si trova intro-
nella due pagine seguenti
La “ruota degli Esposti” dotto il detestabile abuso di rompersi il merco pendente dal collo degli esposti e
della chiesa dell’Annun- particolarmente dopo che sono usciti di paga, perciocché allora non ricevendo
ziata di Napoli con i due
fori per l’ispezione visiva le madri di allievo le mesate, non sono in obbligo di condurle alla Ruota, per
396
© giuseppe zingone
397
osservarsi dal magnifico ufficiale che ne ha il peso se sono gli esposti mercati
per farne il pagamento e dal detto abuso n’è derivato danno e pregiudicio alla
nostra Real Casa Santa, essendosi molte volte pagato non già per gli espositi ma
per li supposti somministrandosi le mesate per bambini morti e le doti a figliuole
che non erano della Casa, o se lo erano, non erano vergini facendo comparire
una persona per un’altra; li quali inconvenienti sebbene abbiano mosso il zelo
e l’attenzione dei signori Governatori nostri predecessori in vari tempi a fare
più e diverse determinazioni ed ordinazioni, ha niente di manco la esperienza
dimostrato che i rimedi niente han profittato, perciocché non si sono applicati a
svellere la radice del male. Per conseguir questo effetto han considerato che l’uni-
co e solo rimedio sarebbe stato quello di bollare gli esposti sopra le carni… Questo
espediente però fu reputato pericoloso per gli esposti… e persuadente con l’andar
del tempo la memoria non fu più introdotto.
© raffaele fontanella
© wikipedia
specie nelle campagne. A quei tempi la mortalità infantile era elevatissi-
ma a causa delle pessime condizioni igienico-sanitarie e i trovatelli che
riuscivano a superare le grosse difficoltà dovute all’allattamento e alle
malattie infantili erano quasi sempre condannati a essere degli emargi-
nati sociali, soprattutto i maschi; la maggior parte delle femmine, invece,
grazie alla dote fornita dai conventi o dalle varie Opere Pie, potevano 399
sposarsi o rimanere in convento. Poi, allo scadere del 12° anno di alle-
vamento, il brefotrofio ritirava gli esposti: senza alcuna deroga nel caso
delle femmine, destinate alla vita matrimoniale o avviate a diventare
monache; con notevoli ritardi, sino al 16° anno ed oltre, e molte deroghe
nel caso dei maschi.
Negli Stati delle Anime, cioè gli elenchi nominativi della popolazione
residente all’interno dei confini della parrocchia, sono registrati molti
casi di proietti presi a baliatico e adottati de facto da vari nuclei familiari
i quali, conservando il cognome imposto dal brefotrofio, andarono così
a costituire i capostipiti di numerose famiglie stabiesi dei nostri giorni.
Solo i fortunati potevano essere ripresi dai genitori, una volta superate le
difficoltà economiche. Ciò era possibile se il bambino veniva abbando-
nato con un oggetto che ne rendesse certa la riconoscibilità: una moneta,
una medaglietta, dei nastri colorati ai polsi o alle caviglie, un biglietto
con il nome dei genitori oppure la metà di un santino o di una meda-
glietta per dimostrare, con l’altra parte detenuta dalla madre, il legame di
La ruota degli esposti (xv sangue. Ma molto frequente era l’abbandono vero e proprio, senza segni
secolo) allo “Spedale de-
gli Innocenti” di Firenze di riconoscimento, quasi ad attestare una precisa volontà di rifiuto, ri-
flesso di un malinteso senso di colpa o conseguenza di un radicale stato
di disperazione o indigenza.
© wikipedia
di Roberto d’Angiò, provvide a dotare la congregazione di sovvenzioni
reali attribuendole la veste giuridica di Real Casa dell’Annunziata di Napoli.
Questa istituzione fu così legata all’accoglienza e alla cura dei trovatelli
che la ruota degli esposti (detta in latino rota projecti) fu detta, popolarmen-
te, la ruota dell’Annunziata. La chiesa ha subìto rifacimenti nel XVI secolo
in forme rinascimentali e nel XVIII secolo, dopo un incendio, da Luigi e
Carlo Vanvitelli. All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di
© wikipedia
marmo con la scritta: O padre e madre che qui ne gettate / alle vostre limosine
siamo raccomandati ed anche una feritoia nel muro, una specie di buca
Il foro dove era possibile
delle lettere, dove introdurre eventuali offerte in denaro o piccoli oggetti
introdurre le elemosine preziosi per contribuire alla cura degli esposti stessi. Gli ospiti dell’isti-
per i trovatelli
tuzione venivano chiamati figli della Madonna oppure figli d’a Nunziata e
godevano di particolari privilegi.
404
Statua di Gioacchino era l’ospizio di Santa Caterina della Ruota, annesso all’antico complesso
Murat (1808-1815) sulla
facciata del Palazzo dell’ospedale sforzesco, che aveva come simbolo una colomba (e colombìt
Reale di Napoli
erano chiamati gli addetti all’ospedale e all’ospizio, per la colomba che
portavano come distintivo sulla giacca); perciò qui i trovatelli vennero
cognominati molto frequentemente come Colombo e Colombini. Per lo
stesso motivo a Pavia, ad esempio, gli esposti vennero chiamati spesso
Giorgi mentre a Siena furono denominati Della Scala: si rafforzava così
il legame filiale che legava il bambino abbandonato all’istituto che l’ave-
va accolto per cui il giovane assistito traeva dal padre putativo il proprio
cognome. In Sicilia si usava il cognome Ignoto o Trovato, dal significato
facilmente intuitivo.
In Italia il primo atto ufficiale concepito in tal senso fu emanato nel re-
gno di Napoli nel 1811; tale disposizione fu introdotta in concomitanza
dell’istituzione dello Stato Civile. In particolare il decreto di Gioacchino
Murat recitava: Considerando che l’antica usanza in alcune Province del regno
di distinguere i proietti col cognome di espositi, lascia una macchia che impedisce
talvolta i vantaggi che potrebbero avere nello Stato Civile. Considerando che non
è consentaneo alla ragione che tali individui soffrano danno per motivi a loro
non imputabili, sul rapporto del nostro Ministro dell’interno, abbiamo decretato
e decretiamo quanto segue: Art.1- Tutti i fanciulli esposti porteranno da ora
innanzi un cognome che verrà loro imposto da coloro che a norma del nostro
decreto del 10 maggio 1810 sono incaricati della tutela dei medesimi.
Bollettino delle leggi del Art.2- I cognomi imposti saranno scritti nei registri dello Stato Civile nell’adem-
Regno d’Italia del 1813
pirsi all’atto di nascita prescritto dal codice Napoleone. Pertanto, dal primo ago-
sto 1811 si iniziò a imporre agli esposti cognomi a caso (raramente quello della
madre), ufficialmente indicati dal Governatore incaricato alla tutela degli esposti.
Dopo la Restaurazione del 1815, nel Regno delle Due Sicilie e special-
mente nel Napoletano tra il 1820 e il 1836, molti Esposito ottennero il
cambiamento del cognome in un altro che non denunciasse la propria
origine come Assante, Garofalo, Giangrande, Martone, Pepe, Santoro,
Vitolo ma anche patronimici come De Luca, De Felice, De Pietro, De
406 Nicola. Gli stati della Restaurazione, e poi quelli dell’Italia unita, hanno
proseguito ad applicare le volontà dei decreti napoleonici vietando sia
i cognomi derivati dai nomi degli istituti di accoglienza sia gli altri
parimenti riconoscibili e offensivi. Il provvedimento intendeva annul-
lare i più marcati inconvenienti del precedente sistema ma creava anche
un’inevitabile confusione tra individui provvisti dello stesso cognome;
infatti gli istituti dovevano distinguere i molti casi di omonimia quando,
in un solo giorno, ricevevano una decina di bambini a cui corrispondere
lo stesso cognome Esposito (e spesso aventi anche lo stesso nome).
Quando l’estro creativo tendeva a ridursi, gli istituti erano soliti affibbia- 411
re cognomi scelti dopo aver consultato un atlante o un testo di geografia;
sono stati inventati cognomi come Inghilterra, Portogallo, Polonia, Scozia,
Romania, Svezia, Olanda, Vaticano, Belgio, Austria, Danimarca. Risul-
ta fuorviante pensare alle reali provenienze proprio perché i cognomi
furono concepiti a tavolino. Stessa conclusione per indicare l’ardita inven-
zione legata ad un pianeta o una stella come per gli improbabili cognomi
Saturno, Mercurio, Plutone e Sirio. Altri avevano cognomi imbarazzanti
come Scarafaggio (!) o come il cognome Te l’ho fatta registrato a L’Aquila
da un meschino e sadico ufficiale di stato civile. Altri, invece, avevano
cognomi presi dalle famiglie più diffuse e altisonanti del paese, per cui
era difficile identificarli come proietti e altrettanto difficile intuire di chi
fossero figli. In alcuni casi succedeva l’opposto: per dissimulare un amo-
re segreto (specie tra un nobiluomo ed una serva, ad esempio), si dava il
cognome Parascandalo che, letteralmente, significa nascondere lo scandalo.
In altri casi il bambino veniva registrato come proietto ma con il cogno-
me del padre; tale manovra sottintendeva un inganno ai danni dello
Stato perché le famiglie povere approfittavano dell’allora pratica diffusa
di registrare un figlio come proietto per poi riprenderlo in affidamento a
baliatico esterno (le balie avevano la libertà di sceglier l’infante da nutrire)
affinché la mamma legittima, qui nell’insolito ruolo di nutrice mercena-
ria, fosse pagata fino ai 5 anni d’età del piccolo. In altri casi, il cognome
dell’abbandonato trasse spunto da un clamoroso fatto di cronaca, come
per i cognomi inventati tra il 1885 ed il 1896 legati a località, personag-
gi e fatti connessi con la prima cruenta colonizzazione italiana: Adua,
Alagi, Ambalagi, Asmara, Dogali, Eritreo, Macallè. In altri casi sono stati
mutuati dalla natura (fauna e flora): Tassi, Tassoni, Carpini, Volpi, Gab-
biani, Caprioli, Elefante, Formica, Cervi, Grilli, Orsi, Orsini, Pavone, Lupi,
Serpi, Tacchini, Delfino, Dentice, Falco, Gallo, Erba, Fiore, Giglio, Lilla,
Pietra, Pioppi, Peri, Susini, Limoni, Rosai, Gelsomini, Garofalo, Gerani,
Felci, Alberi, Allori, Alberoni, Arbusti, Giacinti, Nespoli, Ontani, Peri,
Sorbi, Susini, Bosco.
Per attutire i patimenti del trovatello, sia psicologici che sanitari, nella
seconda metà dell’Ottocento si diffuse la consuetudine di piazzarne
la maggior parte presso tenutari esterni piuttosto che all’interno degli
istituti; queste famiglie ritiravano dai brefotrofi i bambini quasi uni-
camente perché li ritenevano un buon investimento. Una volta cresciuti,
sarebbero potuti diventare nuova forza-lavoro o nuove fonti di entrate.
Un altro aspetto del problema dell’infanzia abbandonata si collega alle
scarse condizioni igienico-sanitarie dei brefotrofi del Regno, tanto che
davvero alta fu la mortalità infantile all’interno di queste istituzioni.
L’incapacità economica da parte dei brefotrofi di gestire un numero così
elevato di bambini, l’alta mortalità infantile e la convinzione da parte
delle autorità che la ruota rendesse troppo facile per chiunque liberarsi
di un figlio, portarono alla sua abolizione. La prima città che lo fece fu
Ferrara nel 1867, poi Brescia nel 1871, Napoli e provincia nel 1874. A par-
tire dal 1875 pian piano furono abolite in luogo di appositi uffici per le
adozioni, dislocati in tutto il territorio nazionale, affinché i bambini non
portassero nel cognome il ricordo indelebile della loro sventura. Tutte le
ruote scomparvero ufficialmente nel 1923 con il Regolamento generale per
il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini, sostituito
con legge del 1925 dall’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia).
© wikipedia
e la conseguente vendita dei garzoni, ingaggiati come salariati fissi nelle 417
campagne al servizio degli agricoltori più abbienti. I contratti venivano
pattuiti oralmente il 15 agosto ma dall’8 settembre avveniva la consegna
dei lavoratori. Si trattava per lo più di ragazzi tra i sette e i tredici anni;
giovani che, appartenendo a famiglie numerose di braccianti o di con-
tadini poverissimi, dalle stesse famiglie venivano venduti per un anno
in cambio di un tozzo di pane e di un giaciglio per servire da schiavi
nei lavori più umili e duri delle campagne, privi di ogni diritto sancito
dalle leggi sul lavoro. A Benevento, fino alla fine degli anni Cinquanta,
questo insolito mercato si teneva in piazza Duomo, addirittura dinanzi
all’ufficio comunale di collocamento. Oggi il fenomeno si è praticamente
estinto; le leggi dell’adozione sono molto più protettive e garantiscono a
chi viene adottato almeno una vita senza stenti.
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L’attribuzione ex novo di cognomi agli infanti abbandonati, a partire
dai primi dell’800, ha dato origine alla categoria dei cosiddetti cogno-
mi inventati dei quali è possibile conoscere, quasi certamente, la data di
nascita e le cause della loro origine; questi cognomi sono accomunati dal
fatto che vengono a mancare due delle caratteristiche costitutive di ogni
cognome: l’indeterminatezza storico-cronologica della sua genesi e la
tendenziale fissità nel tempo della sua forma.
Spesso si sapeva chi era la madre del trovatello, perché la donna aveva
partorito nel reparto ostetrico annesso al brefotrofio; tuttavia il neona-
to veniva registrato come figlio di ignoti. Se la madre era benestante,
pagava una certa somma; se era povera si prestava come balia all’interno
dell’istituto per un certo periodo. Molti bambini venivano lasciati nelle
ruote con qualche segno particolare: una medaglia, l’immagine di un
santo, un foglio con una frase qualsiasi in cui si avvertiva che erano già
stati battezzati e si precisava il nome che era stato loro imposto.
Anno Domini die 30 maggio 1679 martedì. Camillo di giorno uno venuto
senza cartola et tal nome l’è stato imposto da noi nel sacro Battes(i)mo;
faccia tonda, naso accorciato, occhi et capelli negri; involto con fasciatoio;
straccio torchino, fascia di coverta seu (oppure) manta di lana, et con una
pezza in capo; scritto in libro Q di notte n. 265, di n.1.
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I cognomi dei figli d’allievo
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La facciata della chiesa affidato. La legge, dunque, poneva i bambini esposti a carico delle ammi-
dell’Annunziata di Napoli
nistrazioni locali, stabilendo anche che in ogni comune dovesse funziona-
re una ruota con una pia ricevitrice che avrebbe poi consegnato i bambini a balie
stipendiate. Ma è chiaro che, per motivi economici, la responsabilità dei projetti
veniva palleggiata tra province, comuni e istituzioni di beneficienza. Pertanto
è lecito pensare che il destino di questi soggetti esposti non interessasse
nemmeno alle autorità locali che pure ne avevano tutta la responsabilità.
Ad esempio, nel 1823 anche il comune di Massa Lubrense non era in
circostanza di dare i soccorsi alle notrici per li ristretti mezzi del peculio comuna-
le, per cui si rendeva indispensabile d’implorare dal governo il pagamento delle
mesate loro assegnate e finora arretrate per dieci mesi, tanto più che andandosi
incontro alla rigida stagione d’inverno, quelle han bisogno delle dette mesate per
vestire i projetti e per apprestarne loro quegli alimenti che la nuda campagna
non offre, e che debbono comprare col denaro.
Rientra nel primo caso la famiglia Telese che, nonostante avesse già 7
430 figli, adottò tre bambini (Carmine di 9 anni, Paolo di 8 anni e Matteo
di 6 anni) ai quali fu dato il cognome; stessa cosa per la famiglia Girace
che allevò tre trovatelli, cioè Pascale di 12 anni, Giacinto di 16 anni e
Rosa di 22 anni. Nel secondo caso, invece, la famiglia Di Simone adottò
due bambini (Vincenzo di 5 anni e Antonio di 1 anno) che già avevano
il cognome Esposito; oppure, tra gli altri, la famiglia Sciacca che adottò
Bonifacio Esposito di 4 anni, la famiglia Ferraro che adottò Gennaro
Cosenza di 7 anni e la famiglia D’Apreja che adottò Sabbato Longobardo
alla tarda età di 25 anni.
Un caso atipico è quello nel quale si adottarono sia bambini senza cogno-
me sia altri già con un cognome: nella famiglia Longobardo fu adottato
Nicola Casale di 15 anni ma anche Antonio di 13 anni e Rosolina di 23
anni ai quali fu dato il cognome Longobardo. Tutti questi adottati pote-
vano perpetuare, per i loro figli, il cognome del brefotrofio o quello dei
genitori d’allievo e ciò dimostra la discrezionalità e la variabilità con la
quale si assumeva e si poteva trasmettere il cognome. Oltre che per otte-
nere la retta, che la Casa Santa dell’Annunziata concedeva a chi allevava
gli esposti e che permetteva di integrare il reddito familiare, la presenza
di questi trovatelli, soprattutto presso braccianti, marinai o comunque
presso famiglie i cui capo-fuochi esercitavano un mestiere che richiede-
va l’apporto di molte braccia, può far supporre che ci fosse un interesse ad
avere più braccia a disposizione.
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Atto di registrazione I proietti a Castellammare di Stabia
(1809) per un bambino
nato da un legittimo
matrimonio
Dalla consultazione dei registri dell’Anagrafe Storica del nostro comune
ho potuto effettuare un’analisi profonda e capillare degli atti di nascita
con i relativi cognomi a partire dal 1809 fino al 1874. Infatti solo dopo
l’istituzione dello stato civile (ufficio che disciplina gli atti di nascita,
matrimonio e morte), avvenuta sotto l’amministrazione napoleonica con
il Real Decreto del 29 ottobre 1808 ed andato in vigore il primo gennaio
1809, si è potuto attribuire consistenza numerica a tutti quei neonati che
prima di quella data erano noti soltanto agli istituti religiosi o a qualche
famiglia benestante che si accollava l’onere di crescerli ed educarli.
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Atto di registrazione ta di un bambino al quale dette il nome di Pietro; dichiarò poi di affidar-
della nascita (1809) e
successivo decreto (1832) lo all’orfanotrofio Deputazione dell’Opera de’ Proietti, istituzione pubblica a
per il cambio di cognome
Castellammare ubicata in via Gesù. Interessante l’annotazione del 1832
di un proietto stabiese
(quando l’individuo raggiunge i 23 anni nel regno di Ferdinando II) po-
sizionata alla sinistra del documento stesso (numero 348) che così recita:
Con Real Decreto del quattordici febbraro Milleottocentotrentadue, Sua Maestà
ha permesso che il cognome di Esposito dovuto al controscritto projetto Pietro sia
cangiato in quello di Filose. Undici Aprile Milleottocentotrentadue. Il Sindaco.
Di solito gli atti di nascita non venivano sempre redatti il giorno della 435
nascita del bambino; pertanto risulta importante non confondere la data
di nascita con la data di registrazione. Il 12 febbraio 1813 la già citata
Anna Longobardi denunciò la nascita di una bambina all’ufficiale di
Stato Civile che scrisse che è stata presentata nella Ruota de’ Proietti una fan-
ciulla avvolta in laceri vestimenti, e senza alcun segno, la quale ci ha presentata
essendo stata da noi osservata, si è creduto essere una femina che appariva nata
nel giorno antecedente a cui è stato dato il nome di Luisa Longobardi. In quel
periodo l’attribuzione del cognome generico Longobardi era molto diffu-
so ma qui probabilmente era stato dato lo stesso cognome della rotera. Il
18 ottobre ancora Anna Longobardo (notare l’errata trascrizione del suo
cognome rispetto alla denuncia di febbraio) presentò un altro neonato
chiamandolo, invece, Giuseppe Di Luca.
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Atto di registrazione Mauro, Glorioso, Candeloro, Freddo, Conte, Colombo, Imperatore, Re,
(1813) per la proietta
Luisa Longobardi Scarico, Candido, Santo, Fausto avevano anche i corrispondenti femminili
come, ad esempio, le trovatelle Francesca Contessa e Carolina Spagnuola.
In alcune lingue orientali (come ad esempio il russo) si usa ancora oggi
modificare al femminile il cognome, cosicché la moglie di Gorbacev si
chiamò Gorbaceva e Brezneva quella di Breznev. Eppure nei Registri
Parrocchiali il femminile dei cognomi è cosa comunissima, fino ai primi
anni del Novecento, e troppo frequente perché il fenomeno possa essere
liquidato come errore ortografico. La fantasia degli ufficiali di Stato Civi-
le, che dovevano imporre un cognome inventato ai pargoletti non ricono-
sciuti o abbandonati, non aveva limite.
Nell’analisi degli atti dei nati a Castellammare di Stabia dal 1809 al 1874
ho trovato moltissime cose strane ed interessanti; ho ordinato i cognomi
inventati in relazione a diversi fattori quali: l’accoglienza, i mestieri, i
patronimici, la religiosità, i toponimi, le stranezze. 439
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Registrazione civile del Cognomi legati all’accoglienza • Nell’Ottocento si attribuivano
battesimo (1799) di un
esposto al comune di Ca- cognomi ex novo in relazione alle impressioni che registrava l’incaricato
stellammare di Stabia
al momento della presentazione del neonato (come l’ora del giorno, il
giorno della settimana, il giorno del mese, il mese dell’anno, la stagione,
il santo del giorno o la festività); in Italia si sono registrati: Bonora, Me-
riggi, Tramontin, De Luna, Della Chiara, Sabbadin, Del Sabato, Dome-
nicali, Dominici, Domenichini, Tredici, Sedici, Quattordici, Gennari, Di
Marzio, Marziano, Aprile, Di Maggio, Maggioni, De Julii, Lugli, Agosti,
Agostini, Augusti, Settembrini, Inverni, Invernizzi, Primavera, Gennari,
Santamaria, Antonini, Giuseppi, Sangrato, Santoro, Natali, Pasqualin,
Pasquetto, Quaresimino, Annunziata, Rosario, Carnevale, Festa.
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L’impegno di spesa (1799) agosto 1842, proprio di giovedì), Agosto (registrato il 19 agosto 1868), Set-
del comune di Castellam-
mare di Stabia a favore tembre (registrato il 2 settembre 1840), Sette (registrato proprio il giorno
della “mammana” stabiese
7 settembre 1873), Piedigrotta (registrato il 7 settembre 1852 proprio in
Rosa Rescigno
concomitanza della festa che solitamente si svolgeva nella notte tra il 7 e
l’8 settembre), Ottobre (registrato il 27 ottobre 1846), Novembre (registra-
to il 19 novembre 1854), Martedì (registrato l’11 luglio 1843, proprio di
martedì), Mercoledì (registrato il 29 giugno 1864, proprio di mercoledì),
Vento (registrato il 17 novembre, forse in un giorno ventoso!), Pioggia (re-
gistrato il 5 dicembre, forse in un giorno piovoso!), Dicembre (registrato il
1 dicembre 1854), Vigilia (di nome Natale, registrato il 24 dicembre 1822),
Natale (registrato il 26 dicembre 1837, di nome Stefano!), Mustacciuoli
(registrato il 24 dicembre 1859, di nome Natale!), Mustacciuolo (registrato
il 23 dicembre 1847), Capodanno (registrato il 29 dicembre 1844 e, un al-
tro, registrato il 30 dicembre 1849), Capodanni (registrato il 31 dicembre
1846), Dell’Anno (registrato il 31 dicembre 1843).
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Seguono i cognomi concepiti all’atto della registrazione in relazione
all’aspetto del neonato; mi riferisco a percezioni legate al presunto carat-
tere, al colore, alle misure, all’età e alle prospettive del suo futuro.
• 1811 Bruni / 1812 Ricciardi, Brunelli, Fiore, Pinto, Pepe, Forte / 1813
Bonajuto, Apprendente, Venturo (da bonaventura, cioè augurare buona
fortuna) / 1814 Buonocore, Vanacore (deformazione dialettale per betaci-
smo del cognome Bonocore), Cioffi (per ciuffo di capelli), Fortunato, De
Rosa, Mollo, Scarpetta (dotazione all’arrivo) / 1815 Grasso, Rosa / 1816
Russo (dialetto per rosso), Serio / 1817 Amaro, Ingenito (nel senso di
non registrato da regolare matrimonio), Gagliardi / 1818 Buonati, Curcio
(dialetto per corto), Dello Schiavo, Finto, Verdoliva, Gargiulo (da gargia
ovvero bocca e quindi mento sporgente) / 1819 Gentile / 1820 Terribile,
Ambrosio, Buonoregistrato, Famiello, Vitaglione, Vitale, Graziuso (dia-
letto per grazioso) / 1821 Rigenerata, Vittorioso, Ercole, Infante, Sagace /
1822 Bevilacqua, Famella, Tenneriello / 1823 Pacifico, Vivo, Veropalumbo
(trattasi di un vero colombo), Pane / 1825 Allegro, Fusco (termine antico
per bruno, scuro) / 1826 Acanfora, Balsamo, Faceto, Miccio (in napole-
tano sta per piccolo, minuto) / 1827 Bello, Lodevole, Presentata / 1829
Dell’Orto (di nome Maria, come la chiesa del centro città), Benvenuto,
Martire, Modesto, Manna / 1830 Pace, Gioia / 1831 Rosario (dotazione
all’arrivo) / 1833 Buono, Pietoso, Principe, Pura, Miele, Ricci / 1834 Vin-
centi, Contento, Juniore (forse, tra due trovatelli, quello più piccolo) / 1835
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La ruota degli esposti Rosato, Buonanno, Parascandolo (il prefisso para- significa evitare come
(vista dall’interno) della
chiesa di san Bartolomeo nel sinonimo di ombrello, parapioggia, e cioè abbandonare il neonato
di Castellammare di era un modo per evitare lo scandalo di una relazione extraconiugale) /
Stabia (xix secolo)
1836 Allegretta / 1837 Brunone, Moribondo (scelta incomprensibile se
non per la diffusione del colera proprio in quell’anno) / 1838 Bisogno,
Vittoria / 1839 Valente, Vegliante, Ebano (forse per il colore scuro della
pelle) / 1840 Pecora, Assiduo, Rosetta, Bottone (dotazione all’arrivo),
Furia, Fracasso, Guerriero, Marziano, Sposata (nome augurale) / 1841
Peccatore, Furore, Innocente, Valoroso, Spinoso / 1842 Freddo, Fuggi-
ta, Pazzo, Pecorella, Lamento, Cardillo, Canario, Cinise (per l’aspetto
orientale), Spenta, Sfortunata (nome apotropaico), Scirocco / 1843 Febbre,
Iovane, Iovino, Iovine, Letizia, Mezzanot (l’ora dell’arrivo, scritto così
proprio senza le lettere finali) / 1844 Benigno, Ricatti / 1845 Ricevuto,
Grande, Fruncillo (dialetto per fringuello), Sollazzo, Peluso (dialetto per
peloso), Selvaggio / 1846 Buontempo, Labruna, Virgulto (pianta giovane),
Luminoso / 1847 Notturno (l’ora dell’arrivo), Rosanova, Piccirillo (dialetto
per piccolo) / 1848 Risorto, Basso, Piccolo, Coscia, Sincero / 1849 Sepolta
(scelta incomprensibile!) / 1850 Salute / 1851 Belgioioso, Celeste / 1852
Rotondale, Umile, Capone (dialetto per testa grande) / 1853 Perla, Luongo
(dialetto per lungo) / 1854 Rinato, Provvidenza, Gioiello, Lione (dialetto
per leone) / 1855 Pastorella, Verginella, Buonsanti / 1856 Rosella, Risorso
(da risorsa) / 1858 Stella / 1859 Bagnato, Pesante, Della Vittoria, Cioc-
colata (forse per il colore scuro della pelle) / 1860 Il Grande, Prezioso,
Seniore (forse, tra due trovatelli, quello più grande) / 1861 Venturino (da
bonaventura, cioè augurare buona fortuna) Ceraso / 1862 Gemma / 1863
Brillante / 1864 Ubertosa (fertile, abbondantemente produttiva), Cascone
(dialetto per testa grande), Farfariello / 1867 Gloriosa, Maltempo / 1868
Ventorino / 1869 Furiosa, Rossi, Redenta, Rossini / 1870 Arrivabene,
Biondo, Mezzanotte (l’ora dell’arrivo) / 1871 De Grandis, De Grandi, Il
Giusto, Rossetto / 1872 Di Rosa, Giovane, Pocobello / 1873 Perla, Tesoro,
Altezza, Bonafronte / 1874 Ardita, Argento, Ridente, Riccio, Avorio (forse
per il colore chiaro della pelle), Bennato, Moretto, Secondo. Nonostante
nella maggior parte si evidenzino appellativi bonari e pieni di compas-
sione, restano tuttavia incomprensibili (per durezza e impietosità) i casi
di Moribondo del 1837 e di Estinto e Sepolta, entrambi del 1849! Per
attutire la crudeltà dell’epoca, si può dire che i cognomi, così come gli
amuleti tanto cari alla napoletanità popolare, potevano avere anche una 445
funzione apotropaica (cioè allontanare o annullare un influsso maligno);
si attribuiva il cognome Sfortunata (1842) per augurare, invece, una vita
La ruota degli esposti
(vista dall’androne) della fortunata alla trovatella oppure attribuire il cognome Moribondo (1837)
chiesa di san Bartolomeo
di Castellammare di
per augurare una vita piena e sana, proprio nell’anno del devastante
Stabia (xix secolo) colera a Castellammare di Stabia.
Cognomi legati ai mestieri e cariche sociali • Risulta ovvio ricordare
che tutti i cognomi elencati si riferiscono a mestieri e cariche medievali
ad esclusione di alcuni che sono legati al periodo in cui sono stati gene-
rati, cioè dal 1809 al 1875. Generalmente si esplicitava il mestiere svolto
oppure l’oggetto della sua produzione come, ad esempio, Ferro, Frutta,
Forno. • 1812 Vinaccia (in riferimento all’attività vinicola), 1817 Abate,
Regina / 1818 Ferreri, Del Giudice, Della Merce / 1819 Ferraro / 1820
Conte / 1821 Ferraiolo, Siniscalchi (in epoca medievale era il maggior-
domo dei signori feudali; in seguito, divenne un alto dignitario ammini-
strativo), Fabbrini / 1822 Ferrante, Cavaliere / 1826 Marchese, Sensale /
1828 Pastore, Vescovo / 1829 Falconieri / 1830 Prete / 1837 Del Re / 1838
Imperatore / 1839 Tagliamonte (attività legata all’estrazione ed alla lavo-
razione dei materiali da costruzione), Ferro / 1840 Guerriero, Artigliero
/ 1841 Pescatore, Padrone / 1842 Contessa, Favà (alterazione di favaro,
termine desueto per fabbro) / 1843 Soldato, Marinaro, Deputato / 1844
446 Saponaro, Monaco / 1845 Nobile, Fabbricatore (muratore) / 1846 Viscon-
ti / 1847 Abbadessa, Imperatrice, Ferri / 1848 Favaro (vedi Favà) / 1849
Cardinale, Dottore / 1850 Carpentiero, Re (di nome Ferdinando, in onore
al re Ferdinando II che regnò dal 1830 al 1859) / 1851 Proteggitore / 1852
Vicedomini / 1853 Forno / 1854 Frutta / 1856 Ferrentino / 1857 Mangano
(nell’industria tessile era la macchina che rendeva liscia la superficie
dei tessuti), Castellano / 1858 Ferrajuolo / 1859 Pecoraro, Ferrigno /
1860 Monaca / 1861 Scognamiglio (dialetto per trebbiare il miglio) / 1862
Cavallaro / 1864 Manganaro / 1866 Carpentiere, Carpentieri, Balestrieri
/ 1870 Spaccapietra, Presidente, Primigerio (da primicerio, dignitario di
confraternite religiose), Alfieri / 1871 Fontanaro / 1872 Pellegrino / 1873
Rotaro (l’addetto alla Rota dei proietti), Medici / 1874 Liberta, Fante.
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zione di Lorenzo), Pucci (derivato da Filippuccio o Iacopuccio), Orlando,
Olivieri, Di Ottone / 1871 Di Vincenzo, Perrono (da Pietro), Perrone (da
Pietro), Pantaleone (da Pantaleone di Nicomedia), Gerardi, Giannetto /
1872 Di Rosa, Pipino, Violante, Di Prisco, Giampaolo, Carlotta, Giancola,
Giannelli / 1873 Leone, Gemmina, Orlandino, Giannone, Lara / 1874
Gelsomino, Lucilla.
/ 1858 Orsini (da Papa Benedetto XIII, al secolo Pietro Francesco Orsini),
1859 Pastorale, Della Pace, Santella, Del Buon Consiglio / 1860 Monaca,
la Pulzella d’Orléans Di Palma, Passione, Nazzareno / 1861 Agnello / 1862 Pulzella (vedi Or-
Santa Giovanna d’Arco léans), 1864 Del Gaudio, Purgatorio, Santarpino / 1866 Crisostomo / 1869
Giobbe, Sabato Santo (nato in prossimità della Pasqua), Santobuono,
Redenta / 1870 Primigerio (da primicerio, dignitario di confraternite reli-
giose), Di Natale, Salette / 1871 Sammartino / 1872 Di Pasqua, Pellegrino,
Cardinale / 1873 Natalizia / 1874 Presepe, Episcopo, Organo, Mistica. 451
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letteratura (Salomè, Castore, Polluce, Sanzio, Minerva, Saturno, Nestore,
Marte, Minossi, Giove, Anarchia, Faraone, Pulzella, Temistocle, Tetrarca,
Venere). Infine i cognomi presi, pari pari, da cose e oggetti quotidiani
(Gerla, Bottiglia, Organo, Cielo, Chiodi, Pungolo, Pagnotta, Presepe,
Miele, Popolo, Marmo, Torta, Gelone, Trombetta, Streppone, Cottone,
Pizza, Tempesta, Talamo, Porta, Canestro) • 1812 Cotone, Zuppa, Oliva,
Pepe, Tortora, Vinaccia, Pollice, Cocurullo / 1813 Tartaglione, Trampa-
ruolo, Venturo, Palumbo (dialetto per colombo), Pica, Misto / 1814 Mollo,
Scarpetta / 1815 Cece, Petti, Caccioppoli, Nettuno / 1816 Eremita / 1817
Piatti, Gambardella, Amaro / 1818 Dello Schivo, Finto, Passa, Pratilli,
Della Merce / 1819 Verdoliva (il colore verde dell’oliva), Mercurio, Salomè,
Carrozza / 1820 Troiano, Mosca, Saturno, Castore, Polluce / 1821 Cane-
stro, Pesce, Procedura, Valle, Tramparulo, Quarto (dei fratelli?) / 1822
Tornese (la moneta), Paragallo, Mercolella (dall’erba mercorella), Leopar-
do / 1823 Decimo (dei fratelli?), Preta (dialetto per pietra), Vacca, Pane,
460 Rana, Passaro (per passero), Calamita / 1824 Barca, Volpe / 1825 Passero
/ 1826 Arancio, Renna, Pallotta, Prima, Petraglione, Avanzo, Sanzio
(cognome dell’artista Raffaello) / 1827 Coda, Panica, Panza, Fumo / 1828
Minerva, Pastore, Porta, Nestore / 1829 Saturnino, Boccia / 1830 Vergi-
ne, Paparone, Silenziario / 1831 Pacca / 1832 Della Marca / 1833 Marte,
Miele, Popolo, Proto, Compagno, Garofalo, Guarracino, Crescente / 1834
Vallin, Bacchetta, Parziale / 1835 Notabene, Porri, Cantieri, Minossi (per
Minosse?) / 1836 Giove, Noce, Porpora, Ottavo, Nocella / 1837 Ruta, Uva,
Visita, Terra, Zucca, Finocchio, Patata, Pomo, Panico, Pergola, Papavero,
Platano, Cipresso / 1838 Universale, Talamo, Treglia (dialetto per triglia),
Arangio (alterazione di arancio), Vigna, Viola, Palazzo, Penna, Patella,
Panaro, Capitone, Balcone / 1839 Scatola, Velleggiante, Vegliante, Sino-
nimo, Limone, Lapide / 1840 Pecora, Trapunto, Tempesta, Tirone (recluta
dell’esercito romano che dopo un anno di istruzione diventava soldato),
Notte, Rafaniello, Ronda, Sposata, Marziano, Mercuriale, Sardella, Fi-
nestra, Verde, Sedia, Vipera (?), Vento, Villa, Spada, Guerriero / 1841 Tra-
bacolo (imbarcazione tipica del mar Adriatico), Brigada, Salute, Spinoso,
Patanella, Padrone, Scirocco, Grifone, Guerra, Mandorle, Malvato / 1842
Trenta, Contessa, Tronco, Tromba, Giardino, Fiocco, Giardiniera, Pignolo,
Varra, Pizza, Pagnotta, Patana (dialetto per patata), Panaro (dialetto per
cesto), Panariello (vedi Panaro), Navetta, Capra, Nastro, Pazzo, Del Pezzo,
Pecorella, Nota, Neve, Caramella, Cocozza, Spenta, Sfortunata, Serpino,
Serpenta, Salsiccio, Soppressata / 1843 Vinto, Carciofi, Sporta, Mezzanot
(per mezzanotte, così senza le due lettere finali), Prola, Malerba / 1844
Capretti, Teatro, Eletto, Vadalà (un insulto dell’epoca!), Stoppa, Ricatti,
Sorveglia / 1845 Rupe, Riegler, Lepre, Pagliara, Piano, Vispier, Scalan-
drone, Selva, Selce, Fruncillo (dialetto per fringuello), Delfino, Carbone,
Codice, Grandine, Incendio / 1846 Temistocle, Fox (volpe in inglese?),
Parente, Quinto (dei fratelli?), Cespuglio, Candele, Caligine, Sollecito,
Anguillo / 1847 Carpe, Picaro, Pazienza, Moribondo, Mustacciuolo, Vec-
chi, Vermiglio, Rubino / 1848 Simplicio, Parziale, Semmola (dialetto per
semola), Truppa, Tony, Anarchia / 1849 Sepolta, Bisaccia, Gatta, Estin-
to, Terrone, Testa, Tortoriello, Montetamburro / 1850 Toro, Dilettante,
Meschino, Cosa, Vanespen, Wolf, Le Rouge, Vascello, Del Vecchio / 1851
Appetito, Missione, Tetrarca, Sosamello / 1852 Umile, Romito, Cipolla,
Lupo, Cottone (dialetto per cotone), Gallina, Anguilla / 1853 Sanguinac-
cio, Tambur (chissà perché proprio così senza la vocale finale), Perla,
Forno / 1854 Sepressata, Moribonda, Miracolosa, Pigna, Frutta / 1855
Miracoloso, Delle Galline / 1856 Papà / 1857 Scarola, Cardillo, Canario / 461
1858 Geniale, Percuoco, Venere, Marvizzo (dialetto per tordo, sia uccello
che pesce), Galletta (riferimento al biscotto stabiese?) / 1859 Kosta, Del
Buon Consiglio, Mustacciuoli / 1860 Prezioso, Caribaldi (dialetto per
Garibaldi) / 1861 Pappalardo, Melone / 1862 Polimeno, Della Mercede,
Rapacciuolo, Medaglia, Colaps, Calaps, Susamello, Streppone / 1863
Tele, Tamburo / 1864 Margine, Ubertosa / 1865 Percoco / 1866 Passeggia,
Ratti, Raia, La Porta, Fasolino / 1867 Oriente, Maltempo / 1868 Carofano
(dialetto per garofano), Pellicano / 1869 Palummo (dialetto per colom-
bo), 1870 Cantido (dialetto per candido), Mezzanotte, Posta, Presidente,
Menta / 1871 Quercia, Trotta, Mollica, Faraone, Cuoro (dialetto per cuore)
/ 1872 Zampa, Verdetto, Zuccone, Rosone, Tulipano, Spalice (dialetto per
asparago), Pocobello / 1873 Tesoro, Tasso, Trombetta, Pino, Pomo, Puca,
Pira, Cima, Ramo, Raggio, Roveto, Otto, Olmo, Scialuppi, Muro, Zero,
Cappiello (dialetto per cappello), Cingoli (i cordoni di lana che vengono
indossati dal sacerdote sul camice all’altezza della vita), Violetta, Gelone,
Pirro, Pitone, Cardenia (dialetto per gardenia) / 1874 Ordini, Lava (negli
anni precedenti il Vesuvio aveva eruttato), Torta, Terno, Muto, Navicella,
Mina, Piroga, Picca, Radice, Rotolo, Prato, Pista, Pungolo, Presepe, Mar-
mo, Mirto, Scoppola, Erba, Gerla, Gelsomino, Organo, Bottiglia, Battaglia
/ 1875 Cielo, Chiodi.
•
© raffaele fontanella
462
Il poster dei cognomi stabiesi
Il poster con tutti i Il poster visualizza il numero dei residenti di Castellammare di Stabia 463
cognomi dei residenti a
Castellammare di Stabia aventi lo stesso cognome con dati aggiornati al 2 settembre 2019 (database
al 2 settembre 2019
fornito dall’Ufficio Anagrafe con autorizzazione alla pubblicazione). L’infografi-
ca, cioè la sintetica e efficace modalità di esporre i dati statistici, diventa
così un manifesto delle proprie radici; ogni cognome rappresenta un
pezzo dell’identità delle persone e della nostra città. Le caratteristiche
tecnico-grafiche del poster sono esplicitate con l’infografica a cascata
partendo dal cognome più diffuso, 2.838 individui con cognome Esposi-
to, fino al cognome attribuito ad un solo individuo; sono rappresentati in
tutto 5.019 cognomi. La diffusione dei cognomi è visualizzabile sia con il
numero ma anche attraverso la dimensione del testo; infatti più grande è
il corpo del carattere tipografico con cui è scritto, più alto sarà il numero
delle persone a cui è attribuito e viceversa.
469
© francesco paternoster
Questa idea è stata presa in prestito da un collega grafico di Matera,
Francesco Paternoster, che l’ha realizzata nel 2013; la sua infografica
è stata fra i finalisti degli European Design Awards 2015, nell’ambito del
concorso Open Data Matera. Lo scopo del concorso era quello di rendere
più fruibile al pubblico la lettura dei database che il comune di Matera
rilascia periodicamente online; tra questi, il più interessante era proprio
quello sui cognomi della città. Il mio amico Francesco ha commentato
che i dati hanno anche un volto umano. Quando gli ho chiesto l’autoriz-
zazione per realizzare lo stesso poster della mia città non ha mostrato
alcuna esitazione, anzi orgoglioso che la sua idea potesse essere replicata
democraticamente e liberamente per altre città!
•
© wikipedia
470
I cognomi nel mondo
Con il passare del tempo i cognomi sono diventati parte integrante della 471
nostra identità e tutti ne abbiamo almeno uno ma, stranamente, non
sono in uso in ogni stato del mondo. I tibetani e gli abitanti dell’isola di
Giava (Indonesia) non lo utilizzano; l’ex presidente indonesiano Sukarno
si chiamava col nome Sukarno e basta. Non hanno cognome i membri di
molte stirpi reali come quella inglese e giapponese. Altro aspetto della
questione è che nel mondo è comune per le donne cambiare il proprio
cognome con quello del marito dopo il matrimonio; infatti alcune nazio-
ni, ad esempio il Giappone o la Romania, non permettono che la mo-
glie mantenga un cognome diverso da quello del marito. Altre nazioni,
invece, permettono di mantenere il cognome da nubile ma il cambio è in
qualche modo suggerito o incentivato; altre ancora permettono l’opposto,
cioè che l’uomo prenda il cognome della moglie.
Come mai grammatiche diverse per la formazione dei cognomi nel mon-
do? Comparando le fonti dell’originazione del caso italiano con quelle di
altre parti del mondo, si possono giustificare percorsi creativi e motiva-
zioni diverse perché differenti sono le abitudini, i mestieri, i rapporti fa-
miliari, le prassi notarili e le successioni ereditarie nelle varie esperienze
nazionali. In definitiva la varietà di cognomi e le diverse originazioni
nel mondo rispecchiano bene l’eterogeneità dei vari continenti, formati
da popoli con origini simili ma molto diversi per lingua, cultura, usi e
costumi; chiaramente alcune nazioni hanno prediletto i patronimici,
altre i toponimi, altre i mestieri ed altre ancora i soprannomi. Di seguito
cenni sulle tipicità di originazione dei cognomi nel mondo.
India • I figli prendono come cognome il nome proprio del padre mentre
le spose cambiano cognome prendendo quello del marito.
Belgio • Nel nord del paese i cognomi sono per lo più di origine olan-
dese mentre il resto del paese risente dell’influenza della Francia e, in
particolare, del dialetto vallone.
Inghilterra • Alla fine del XIII secolo i nomi e cognomi inglesi avevano
ormai varcato i confini dell’Inghilterra diffondendosi in molte regioni
della Scozia, Galles e Irlanda. Alcuni cognomi erano tratti dalla Bibbia
o dai nomi dei santi e martiri della prima Chiesa cristiana come, ad
esempio, per Cuthbert. Molti erano di origine normanna, altri di origine
anglosassone. Esempi dell’intera Gran Bretagna: Smith (fabbro), Wood
(bosco), Taylor (sarto), Wilson (figlio di William cioè Guglielmo).
John Fitzgerald Kennedy, Irlanda • I cognomi ereditari cominciarono ad essere utilizzati nel X
il 35° presidente degli
Stati Uniti d’America di secolo ma questa abitudine si diffuse solo nel XII secolo. Poiché la pro-
origini irlandesi
prietà della terra veniva trasmessa in base al principio ereditario, gli al-
beri genealogici sono stati conservati con la massima cura e scrupolosità.
Ed è proprio in virtù di questo interesse per la discendenza che la mag-
gior parte dei cognomi irlandesi è di origine patronimica come mostrano
i prefissi O-, Fitz- e Mac- (a volte abbreviato in Mc-). Il primo sta per il
vecchio dittongo gaelico ua che significa discendente da mentre il secondo
e il terzo significano figlio di. A causa delle persecuzioni, molte persone
eliminarono tali prefissi dal proprio cognome anche se, nel secolo scorso,
sono stati reintrodotti. Esempi: McClary (figlio di un sacerdote), Rogan (dai
capelli rossi), O’ Brian (figlio di Brian), Fitzgerald (figlio di Gerard).
Polonia • La caratteristica più evidente dei cognomi è data dai suffis- 479
si –ski e –orocki utilizzati originariamente dalla nobiltà per distinguersi
dal resto della popolazione. Col tempo, poi, il loro uso si è diffuso anche
agli strati inferiori nel significato di figlio di. Data l’influenza della vicina
Germania, sono molti i polacchi che hanno cognomi tedeschi anche se,
dopo la seconda guerra mondiale, molti preferirono cambiare cognome
per cancellare il doloroso ricordo dell’occupazione tedesca. Nei cognomi
polacchi è possibile assegnare diversi suffissi per distinguere la moglie
o la figlia; mediante il suffisso -owna aggiunto al cognome paterno ci
si riferisce alla figlia mentre col suffisso -owa si indica la moglie per
cui Nowakowna è la figlia del signor Nowak e Nowakowa ne è la moglie.
Attualmente anche in Polonia si sta procedendo verso una sola forma
di cognome che non varia nel genere. Altri esempi: Drozd (tordo), Pajak
(persona che somiglia ad un ragno), Rudzinski (abitante in prossimità di
una miniera), Gorcyzka (coltivatore di senape).
480
Il futuro dei cognomi
Fumetto genealogico È dal Medioevo che al nome di battesimo si unisce quello di famiglia; 481
e romanzo illustrato
in spagnolo del “Museo ancor di più in Italia viene trasmesso in via patrilineare e la donna
del Cognome” di Padula
(Salerno)
sposata conserva il suo cognome. Negli ultimi tempi si è sentita la
necessità di adottare altri sistemi per la trasmissione del cognome e non
esclusivamente da parte del padre; infatti una Commissione del Senato
ha lanciato la proposta secondo cui i genitori hanno quattro possibilità
di trasmetterlo: il cognome del padre, della madre, ambedue in ordine
padre-madre o madre-padre. Poiché i figli, i nipoti e gli altri discendenti
potrebbero fare, a loro volta, difformi libere scelte, il percorso generazio-
nale diventerebbe un groviglio onomastico dal quale sarebbe difficile
poter risalire agli antenati sia per diletto genealogico che per ragioni
giuridiche come l’eredità.
487
Fumetto genealogico e Mi auguro che nel futuro i cognomi possano, così come nel recente pas-
romanzo illustrato del
“Museo del Cognome” di sato, continuare ad essere la fonte inesauribile di invenzione di neologi-
Padula (Salerno)
smi; mi riferisco, in particolare, ai deonimici cioè nuove parole derivanti
da un nome proprio, frequentemente da un cognome, in genere basato
sul reale nome di un inventore oppure su determinate proprietà conven-
zionalmente attribuite a un personaggio storico reale o fittizio (ercole,
fariseo, adone, venere, mecenate, dongiovanni).
Nel 1525 si combattè a Pavia una battaglia che vide contrapposti gli
imperiali di Carlo V e i francesi di Francesco I; il maresciallo francese
Jacques de la Palisse morì affrontando così valorosamente il nemico che i
suoi soldati lo immortalarono con un eloquente e appassionato epitaffio:
Ci-gît Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie (Qui
giace il signore de La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia).
Tuttavia, con il tempo la effe di ferait (farebbe) fu letta esse (a quel tempo
le due grafie erano simili) diventando quindi serait (sarebbe) e la parola
envie (invidia) divenne en vie (in vita); il nuovo testo recitava se non fosse
morto, sarebbe ancora in vita (si il n’était pas mort, il serait encore en vie).
Da qui il significato di ovvietà attribuito all’aggettivo lapalissiano per in-
dicare una cosa ovvia e tanto palese da non poter essere messa in dubbio,
come la condizione che un uomo, prima di morire, sia ancora vivo!
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La Cassa Armonica (1900) 81, Ascione 16, Avitabile 12, Balestrieri 28, Balzano 15, Barbato 22, Barretta 18, Boccia
progettata dall’architet- 13, Bonifacio 24, Borrelli 12, Bruno 19, Buondonno 19, Buonocore 38, Buonomo 13,
to Eugenio Cosenza
502 Cacace 31, Cafiero 25, Caiazzo 29, Calabrese 30, Calvanico 19, Cannavacciuolo 16,
Cannavale 68, Capriglione 30, Carrese 29, Cascone 149, Castellano 40, Castigliano 19,
Cavaliere 26, Cavallaro 34, Celentano 12, Celoro 12, Celotto 28, Cerchia 30, Cesarano
68, Cimmino 51, Cinque 20, Cioffi 32, Cirillo 41, Conte 39, Coppola 95, Cosenza 20,
Cotticelli 13, Cozzolino 16, Criscuolo 71, Cuomo 96, D’Alessandro 15, D’Amato 26,
D’Amora 23, D’Aniello 39, D’Antuono 18, D’Apice 56, D’Arco 20, D’Auria 81, De An-
gelis 26, De Falco 12, De Feo 12, De Gennaro 13, De Gregorio 27, Del Gaudio 61, Della
Monica 21, Del Sorbo 32, De Luca 40, Del Vasto 19, De Martino 67, De Pascale 13, De
Riso 21, De Rosa 37, De Simone 101, De Stefano 14, Di Capua 72, Di Maio 86, Di Mar-
tino 109, Di Nocera 38, Di Palma 19, Di Ruocco 24, Di Somma 68, Donnarumma 85,
Elefante 59, Esposito 428, Ferraiuolo 12, Ferrara 23, Filosa 18, Fiorentino 13, Fontana
14, Fontanella 13, Formisano 12, Fortunato 14, Gaeta 18, Galasso 15, Gallo 23, Gallotti
12, Gambardella 20, Gargiulo 79, Genovese 19, Gentile 20, Giannattasio 21, Giordano
62, Girace 21, Graziuso 31, Greco 43, Grimaldi 14, Guarino 19, Guerriero 13, Guida
36, Iaccarino 39, Iezza 40, Imparato 76, Infante 20, Ingenito 42, Iovine 12, Iovino 31,
Iozzino 15, Izzo 51, La Mura 21, Landolfi 30, Langellotti 24, Lepre 12, Liguori 13,
Lombardi 24, Longobardi 109, Luise 21, Macera 13, Malafronte 49, Manfredonia 12,
Manzo 20, Marciano 12, Maresca 61, Martone 62, Martoriello 19, Mascolo 32, Massa
40, Matrone 29, Mauriello 16, Messina 12, Montuori 18, Mosca 50, Napolitano 13,
Nastro 28, Nocera 21, Orazzo 28, Ottone 12, Paduano 12, Palmieri 19, Palomba 15, Pa-
lumbo 32, Pane 16, Pappalardo 25, Parmendola 20, Parmentola 41, Polito 18, Porzio 31,
Raffone 38, Raimo 29, Rapicano 18, Ricci 12, Ricciardi 13, Romano 26, Rotondale 12,
Ruocco 32, Russo 91, Sabatino 21, Salvato 32, Sansone 33, Santaniello 51, Santarpia
22, Santoro 13, Sarcinelli 28, Savarese 41, Scarfato 18, Scala 19, Scarica 23, Scarpato
20, Scelzo 21, Schettino 139, Scognamiglio 31, Sicignano 69, Somma 96, Sorrentino 67,
Spagnuolo 33, Staiano 40, Starace 47, Stella 12, Suarato 19, Todisco 23, Tommasino 19,
Torre 13, Tramparulo 28, Troiano 15, Ungaro 12, Valanzano 12, Vanacore 81, Varone
33, Vecchione 12, Verdoliva 46, Veropalumbo 28, Vingiani 30, Vitaglione 41, Vitiello
45, Vollono 61, Vuolo 12, Zingone 19, Zurlo 20, Zurolo 38
Statistica con frequenze relative • Di seguito i cognomi, rilevati su 7.285 abbonati,
con una frequenza relativa maggiore o uguale a 12 abbonati: Esposito (5,9%), Cascone
(2%), Schettino (1,9%), Di Martino (1,5%), Longobardi (1,5%), De Simone (1,4%), Cuomo
(1,3%), Somma (1,3%), Coppola (1,3%), Russo (1,2%), Di Maio (1,2%), Donnarumma
(1,2%), Apuzzo (1,1%), D’Auria (1,1%), Vanacore (1,1%), Gargiulo (1,1%), Imparato (1%),
Di Capua (1%), Criscuolo (1%), Sicignano (0,9%), Cannavale (0,9%), Cesarano (0,9%), Di
Somma (0,9%), De Martino (0,9%), Sorrentino (0,9%), Giordano (0,8%), Martone (0,8%),
Del Gaudio (0,8%), Maresca (0,8%), Vollono (0,8%), Elefante (0,8%), D’Apice (0,8%),
Amato (0,7%), Cimmino (0,7%), Izzo (0,7%), Santaniello (0,7%), Mosca (0,7%), Mala-
fronte (0,7%), Starace (0,6%), Verdoliva (0,6%), Vitiello (0,6%), Greco (0,6%), Ingenito
(0,6%), Cirillo (0,6%), Parmentola (0,6%), Savarese (0,6%), Vitaglione (0,6%), Alfano
(0,5%), Castellano (0,5%), De Luca (0,5%), Iezza (0,5%), Massa (0,5%), Staiano (0,5%),
Aiello (0,5%), Conte (0,5%), D’Aniello (0,5%), Iaccarino (0,5%), Buonocore (0,5%), Di
Nocera (0,5%), Raffone (0,5%), Zurolo (0,5%), De Rosa (0,5%), Guida (0,5%), Caval-
lar (0,5%), Sansone (0,5%), Spagnuolo (0,5%), Varone (0,5%), Cioffi (0,4%), Del Sorbo
(0,4%), Mascolo (0,4%), Palumbo (0,4%), Ruocco (0,4%), Salvato (0,4%), Cacace (0,4%),
Graziuso (0,4%), Iovino (0,4%), Porzio (0,4%), Scognamiglio (0,4%), Angellotti (0,4%),
Calabrese (0,4%), Capriglione (0,4%), Cerchia (0,4%), Landolfi (0,4%), Vingiani (0,4%),
Caiazzo (0,4%), Carrese (0,4%), Matrone (0,4%), Raimo (0,4%), Abagnale (0,4%), Amodio
(0,4%), Balestrieri (0,4%), Celotto (0,4%), Nastro (0,4%), Orazzo (0,4%), Sarcinelli (0,4%), 503
Tramparulo (0,4%), Veropalumbo (0,4%), Acanfora (0,4%), De Gregorio (0,4%), Cavaliere
(0,4%), D’Amato (0,4%), De Angelis (0,4%), Romano (0,4%), Cafiero (0,3%), Pappalardo
(0,3%), Bonifacio (0,3%), Amore (0,3%), Di Ruocco (0,3%), Langellotti (0,3%), Lombardi
(0,3%), D’Amora 23 (0,3%), Ferrara (0,3%), Gallo (0,3%), Scarica (0,3%), Todisco (0,3%),
Barbato (0,3%), Santarpia (0,3%), Amendola (0,3%), Della Monica (0,3%), De Riso
(0,3%), Giannattasio (0,3%), Girace (0,3%), La Mura (0,3%), Luise (0,3%), Nocera (0,3%),
Sabatino (0,3%), Scelzo (0,3%), Cinque (0,3%), Cosenza (0,3%), D’Arco (0,3%), Gambar-
della (0,3%), Gentile (0,3%), Infante (0,3%), Manzo (0,3%), Parmendola (0,3%), Scarpato
(0,3%), Zurlo (0,3%), Apicella (0,3%), Bruno (0,3%), Buondonno (0,3%), Calvanico (0,3%),
Castigliano (0,3%), Del Vasto (0,3%), Di Palma (0,3%), Genovese (0,3%), Guarino (0,3%),
Martoriello (0,3%), Palmieri (0,3%), Scala (0,3%), Suarato (0,3%), Tommasino (0,3%),
Zingone (0,3%), Barretta (0,2%), D’Antuono (0,2%), Filosa (0,2%), Gaeta (0,2%), Montuori
(0,2%), Polito (0,2%), Rapicano (0,2%), Scarfato (0,2%), Ascione (0,2%), Cannavacciuolo
(0,2%), Cozzolino (0,2%), Mauriello (0,2%), Pane (0,2%), Balzano (0,2%), D’Alessandro
(0,2%), Galasso (0,2%), Iozzino (0,2%), Palomba (0,2%), Troiano (0,2%), Aprea (0,2%), De
Stefano (0,2%), Fontana (0,2%), Fortunato (0,2%), Grimaldi (0,2%), Boccia (0,2%), Buo-
nomo (0,2%), Cotticelli (0,2%), De Gennaro (0,2%), De Pascale (0,2%), Fiorentino (0,2%),
Fontanella (0,2%), Guerriero (0,2%), Liguori (0,2%), Macera (0,2%), Napolitano (0,2%),
Ricciardi (0,2%), Santoro (0,2%), Torre (0,2%), Avitabile (0,1%), Borrelli (0,1%), Celentano
(0,1%), Celoro (0,1%), De Falco (0,1%), De Feo (0,1%), Ferraiuolo (0,1%), Formisano (0,1%),
Gallotti (0,1%), Iovine (0,1%), Lepre (0,1%), Manfredonia (0,1%), Marciano (0,1%), Mes-
sina (0,1%), Ottone (0,1%), Paduano (0,1%), Ricci (0,1%), Rotondale (0,1%), Stella (0,1%),
Ungaro (0,1%), Valanzano (0,1%), Vecchione (0,1%), Vuolo (0,1%)
•
504
505
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settembre 2021