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Nel cap.

XXII, nell'esporre la biografia del cardinal Borromeo, viene in primo piano il


Narratore onnisciente esplicito, attraverso commenti, interventi in prima persona,
dialoghi con il lettore. Rintraccia e riporta almeno due esempi di questa presenza
esplicita, individuando i punti in cui il N. non si limita ad esporre i fatti, ma li interpreta e
li commenta, anche in colloquio col lettore.
Manzoni nella narrazione della storia è un narratore onnisciente, cioè colui che conosce tutto,
sia la storia che i personaggi. Infatti lui finge di aver trovato un manoscritto anonimo del ‘600,
che ha letto e reputato interessante e perciò ha scelto di pubblicarlo; però prima di fare ciò,
decide di riscriverlo giustificandosi dicendo che la forma era orribile e incomprensibile dato che
era stato scritto durante il periodo barocco. Nell’introduzione per accreditare ciò che dice,
aggiunge una parte del “romanzo seicentesco” realizzando così un’opera di metaletteratura e
fingendo perciò di essere solo il narratore.
Manzoni fondamentalmente fa questo (ispirandosi a Cervantes, che anche lui aveva usato il
metodo della finzione letteraria per scrivere Don Chisciotte) per due motivi: il primo, dato che gli
avvenimenti della storia erano ambientati nel 1600 l’anonimo ne era stato testimone e avrebbe
reso il romanzo più credibile da un punto di vista storico; l’altro motivo invece era proprio per
dare dei pareri, dei giudizi alla trama, ai personaggi o alle azioni compiute da essi.
Nell’introduzione infatti si rivolge molto spesso al lettore spiegando come ha trovato il libro e
perché voglia riscriverlo, arrivando anche a porsi alcune riflessioni (“Ma, quando io avrò durata
l’eroica fatica di trascriver questa storia da questo dilavato e graffiato autografo, e l’avrò data,
come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?” righe 51-54) o domande
al lettore (“Ma, rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autore, che dicitura vi abbiam
noi sostituita? Qui sta il punto.” righe 101-105).
Nel XXII capitolo, come anche in quelli precedenti, è facile individuare la presenza esplicita del
narratore onnisciente, ad esempio nella frase “… e l’eseguì, in mezzo all’ignorantaggine, a
quell’inerzia, a quell’antipatia generale per ogni applicazione studiosa, e per conseguenza in
mezzo ai cos’importa? e c’era altro da pensare? e che bell’invenzione! e mancava anche
questa, e simili: che saranno certissimamente stati più che gli scudi spesi da lui in
quell’impresa…” (righe 277-287). Qui Manzoni sottolinea l’azione coraggiosa del cardinale
Borromeo che fondò la Biblioteca Ambrosiana nonostante i commenti negativi della società
seicentesca.
Anche dalla riga 308 alla riga 312 notiamo l’intervento del narratore “… se non che sarebbe da
desiderarsi che si vedessero spesso eccessi d’una virtù così libera dall’opinione dominanti…”
che questa volta elogia il nobile gesto compiuto da Borromeo e lo giustifica da coloro che
pensavano che spendere 4000 scudi per un simile capriccio erano soldi sprecati.
Nelle righe 381-382 e 390 (“Non è certamente fare ingiuria ai nostri lettori il supporre che…”, “E
come mai, dirà codesto lettore, tante opere sono dimenticate…”) ci sono dei riferimenti al lettore
che contribuiscono a creare un rapporto tra lui e il narratore, portando la storia ad un livello
meno formale, quasi intimo, come se narratore e lettore fossero amici o avessero stretto un
patto.
Verso la fine del capitolo Manzoni pone una domanda (“Come mai, tutte insieme, non sono
bastate a procurare, almeno col numero, al suo nome una fama letteraria presso noi posteri?”
righe 397-398) e nel capoverso successivo (righe 399-408) interviene nuovamente spiegando
che, dare una risposta alla domanda, sarebbe stata una cosa troppo prolissa o complicata, e
termina dicendo che preferisce riprendere la narrazione della storia dopo la digressione della
vita del cardinale Federigo Borromeo.

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