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Drammaticamente vuoto, tuttavia, rimane il senso anagogico, ovvero il livello del Senso supremo, del senso

divino. Non «vi può essere un ordine», una Verità assoluta, infatti, in quel labirintico e così attuale universo

+dell'autunno del Medioevo, epoca di profonda crisi e di grandi contrasti ideali e politici, in cui i segni sono
«la sola cosa di cui l'uomo dispone per orientarsi nel mondo».

Specchio e figura dell'uomo contemporaneo, Gugliemo da Baskerville, inseguendo ostinatamente una


parvenza d'ordine, giunge alla fine a dipanare la «bella e intricata matassa», ma con suo grande sconcerto,
«seguendo una ragione sbagliata».

E infine, non gli rimane che confessare che forse «il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità,
fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci della passione insana della verità», e che
quindi: «le uniche verità che servono sono strumenti da buttare».

È forse questo, dunque, il senso ultimo di questo libro dall'enigmatico titolo?

«Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus» [la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i
semplici nomi]

Premessa

L'obiettivo di questo saggio e quello di segnalare l'importanza del tema del riso nel Nome della
rosa, anzitutto attraverso un'analisi descrittiva dei passi del romanzo in cui si tratta
dell'argomento. La citazione, a volte prolungata, dei testi e necessaria in questa sezione per la
comprensione della centralita del tema del riso. Si vuole poi indagare brevemente la presenza
del tema nell'epoca classica e nel Medioevo, giungendo all'altezza cronologica in cui il romanzo
e ambientato. Infine, si vuole riflettere su alcune implicazioni di carattere teologico e culturale.
Ritengo che si possa parlare di centralita del tema del riso nel romanzo, al punto che il riso
discrimina i personaggi, condiziona l'intreccio degli avvenimenti ed e l'elemento che conduce
all'estrema conclusione. Il riso, come ci si propone di mostrare, e il filo conduttore del romanzo,
ed esso permette anche una rivisitazione di alcuni nodi filosofico-teologici tipici dell'eta
medievale: riso e fede, fede e paura, paura e castigo, castigo e peccato, peccato e redenzione.

I testi sul riso: analisi descrittiva

Il nome della rosa si presenta come una ricostruzione-trascrizione di un manoscritto medievale,


scritto verso la fine del XIV secolo da un anziano monaco, Adso da Melk, e narra una serie di
vicende awenute alla fine di novembre del 1327 in una zona imprecisata tra l'Italia del nord e la
Francia meridionale, in un'abbazia benedettina ormai distrutta e senza nome in cui Adso si era
recato al seguito del suo maestro, Fra' Guglielmo da Baskerville, quando era un giovane
novizio. Per quanto riguarda la struttura del romanzo, si nota la presenza di vicende che si
svolgono nell'arco di sette giornate, suddivise in ore canoniche, secondo il ritmo di preghiera
dei monasteri benedettini. Quasi tutte le giornate hanno una struttura binaria, con l'alternanza
di un delitto e di una serie di investigazioni. Il ritmo narrativo diventa sempre piu serrato, fino a
quando l'incendio della biblioteca-luogochiave del romanzo--distrugge lo scenario della
narrazione e tutto si ricompone in una catarsi che pone fine all'elaborata trama investigativa.

Sono quattro all'interno del romanzo gli episodi fondamentali in cui si tratta del riso, o vi si
allude:

1) "Primo Giorno. Dopo nona. Dove si visita lo scriptorium e si conoscono molti studiosi, copisti
e rubricatori, nonche un vegliardo cieco che attende l'Anticristo" (Il nome della rosa 79-91);

2) "Primo Giorno. Completa. Dove Guglielmo e Adso godono della lieta ospitalita dell'Abate e
della corrucciata conversazione di Jorge" (101-105);
3) "Quinto Giorno. Compieta. Dove si ascolta un sermone sulla venuta dell'Anticristo e Adso
scopre il potere dei nomi propri" (400-409);

4) "Settimo Giorno. Notte. Dore, a riassumere le rivelazioni prodigiose di cui qui si parla, il titolo
dovrebbe essere lungo quanto il capitolo, il che e contrario alle consuetudini" (467-482) e
"Settimo Giorno. Notte. Dove avviene l'ecpirosi (1) e a causa della troppa virtu prevalgono le
forze dell'inferno" (483-496).

Analizziamo questi episodi.

Si puo notare il tema del riso anzitutto durante la prima visita di Guglielmo e Adso allo
scriptorium, un "gioioso opificio di sapienza" (80), in cui i monaci svolgono il loro lavoro di
studiosi, copisti, traduttori, miniatori, antiquari, librai, rubricatori. Guglielmo e Adso vengono
accompagnati dal bibliotecario, Malachia di Hindesheim, il quale presenta loro alcuni monaci, in
particolare Venanzio di Salvemec, traduttore dal greco e dall'arabo e "devoto di quell'Aristotele
che certamente fu il piu saggio di tutti gli uomini" (81). Il riferimento non e casuale: Venanzio
trovera la morte nel tentativo di leggere il libro "proibito" sul genere comico, la Poetica di
Aristotele. Aristotele ha un ruolo fondamentale nel romanzo, dal momento che la serie di delitti
che vi si narrano origina proprio dal tentativo, da parte di alcuni monaci, di leggere la Poetica,
in particolare il secondo libro, considerato perduto.

Generalmente gli studiosi ritengono che Aristotele abbia discusso il genere comico in maniera
sistematica, al punto che "evidence in the Poetics, references in his other works, evidence in
other writers who refer to him, and general probability, favor the view that he discussed the
subject in more than passing fashion in a written record" (Cooper 5). (2) Umberto Eco opera
sostanzialmente in due direzioni: da una parte "ricostruisce" la teoria aristotelica circa il genere
comico (si veda al riguardo Golden 239-249), e dall'altra istituisce una sorta di dialogo tra se
stesso, la teologia medievale ed il trattato perduto di Aristotele, come mostra Timmermann (9-
24).

Nel corso della visita allo scriptorium, Guglielmo estrae dalla propria sacca uno strumento che
appare strano agli occhi dei monaci, ossia gli occhiali, "una forcella, costruita cosi da poter
stare sul naso di un uomo ... due cerchi ovali di metallo, che finserravano due mandorle di
vetro spesse come fondi di bicchiere" (82). Cio suscita una reazione di ilarita che conduce al
riso. Lo stupore e l'allegria dei monaci suscitano la riflessione di Adso: "Anche in un luogo cosi
gelosamente e orgogliosamente dedicato alla lettura e alla scrittura, quel mirabile strumento
non era ancora penetrato" (82). Gli occhiali, rafforzando la vista, pongono Guglielmo in netto
contrasto con la cecita di Jorge. Non solo: essi rappresentano un tratto tipicamente baconiano,
poiche Ruggero Bacone, uno dei maestri di Guglielmo, "believed that to choose optics meant
choosing experience over traditional authorities" (Kellner 11). In sostanza, gli occhiali
segnalano la scelta di un metodo, quello empirico-sperimentale, contro il dogmatismo dell'ipse
dixit. La scienza sperimentale appare come scienza della visione, in un contesto in cui l'ottica
assume una grande importanza.

A Guglielmo importa anzitutto di chiarire l'episodio della morte di Adelmo da Otranto (suicidio o
omicidio?), e per questo vi allude parlando con Malachia, che mostra un'ostentata--e quindi
sospetta--indifferenza. La narrazione prosegue con la descrizione delle miniature dipinte da
Adelmo. Si tratta di disegni e figure (animali, mostri di origine classica, creature fantastiche,
secondo la tradizione dei bestiari medievali, per cui ogni creatura ha un significato morale) che
suscitano in Adso sentimenti a meta tra "l'ammirazione muta e il riso, perche le figure
inclinavano necessariamente all'ilarita, benche commentassero pagine sante. E frate Guglielmo
le esaminava sorridendo" (85-86, il corsivo e mio). Questi eventi, cosi come i disegni allegorici
di Adelmo, suscitano nuovamente un clima di allegria: "Allora gli altri monaci, che avevano
seguito la conversazione con una certa timidezza, si misero a ridere di cuore" (86, il corsivo e
mio).

A questo punto si ode la voce severa e ammonitrice di Jorge da Burgos, che irrompe nella
biblioteca con toni e atteggiamenti da profeta apocalittico e annunciatore di sventure. Jorge e il
monaco piu vecchio dell'abbazia e incute rispetto e venerazione. Pur senza essere il
bibliotecario, egli appare come il vero custode della biblioteca e dei suoi misteri. Siamo cosi
giunti al prologo, per cosi dire, di quella che potremmo chiamare la "questione del riso":

Verba vana aut risui apta non loqui ... Chi aveva parlato era un
monaco curro per il peso degli anni, bianco come la neve, non dico
solo il pelo, ma pure il viso e le pupille. Mi avvidi che era
cieco. La voce era ancora maestosa e le membra possenti anche se il
corpo era rattrappito dal peso dell'eta. Ci fissava come se ci
vedesse, e sempre, anche in seguito, lo vidi muoversi e parlare
come se possedesse ancora il bene della vista. Ma il tono della
voce era invece di chi possiede solo il dono della profezia ...

Ho udito persone che ridevano su cose risibili ed ho ricordato


loro uno dei principi della nostra Regola. E come …

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