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LE AUTONOME

Donne pericolose e sovvertimento dei ruoli

Le collettività mitiche
Le Amazzoni, le Lemnie, le Danaidi sembrerebbero soddisfare
pienamente i requisiti di ribellione femminile, consapevole e
organizzata: libertà, legislazione autonoma, forza fisica,
esclusione degli uomini e così via.
Se la donna nel mondo greco riveste sostanzialmente il ruolo di
madre, l’unico assegnatole dalla società in vista della
procreazione di figli legittimi che garantiscano la continuità
dell’oikos, se il corpo della donna è concepito in funzione della
maternità, seppure privata del ruolo generativo ,, in quest’ottica la
i

verginità non può che essere una malattia . Le donne che


ii

“rifiutano i doni di Afrodite” quelle che scelgono la verginità


(παρθενία) e respingono il matrimonio, che scelgono di vivere
senza un uomo sottraendosi così al giogo matrimoniale,
trasgrediscono e sovvertono un ordine dato, sottolineando
l’assurdità ma soprattutto la pericolosità, per l’uomo greco,
dell’autonomia femminile . Siamo in un mondo in cui rifiutare la
iii

sessualità e spregiare il matrimonio sono comportamenti che si


oppongono al giusto ordine delle cose, in particolar modo per le
donne la cui funzione è quella di assicurare la continuità del corpo
civico attraverso il matrimonio e la riproduzione legittima. La
destinazione nuziale è a tal punto ovvia che le iscrizioni funebri di
giovani donne morte prima di aver potuto essere madri e mogli le
descrivono come incomplete o imperfette.
«Un tempo esistevano le Amazzoni, figlie di Ares, e abitavano
presso il fiume Termodonte» racconta Lisia, nella orazione
funebre in onore dei caduti nella guerra contro Corinto. «Sole fra i
popoli vicini, esse indossavano armature di ferro. Furono le prime
ad apprendere l’arte di cavalcare: sorprendevano a cavallo il
nemico disorientato, raggiungendolo se fuggiva, sfuggendolo se le
inseguiva. Donne quanto al sesso, erano considerate uomini per il
coraggio. Padrone di molte genti, avevano asservito i popoli
vicini, ma quando conobbero la fama di Atene, per desiderio di
gloria avanzarono in armi contro di noi. Ma nonostante i loro
costumi il loro animo era femminile, e furono sconfitte (...)» .
iv

La più antica testimonianza sulle Amazzoni è, ancora una volta,


in Omero che le qualifica come Ἀμαζόνες ἀντιάνειραι·la cui
traduzione oscilla tra “uguali agli uomini” “forti come gli uomini”
ma anche “nemiche degli uomini” a seconda del valore attribuito
ad ἀντί. Come guerriere combattono gli uomini, ma come donne
confermano la differenza annullata dall’essere guerriere.
Le Amazzoni non sono esseri mostruosi, e non costituiscono
nemmeno un terzo sesso, anzi sono compiutamente donne ma si
esprimono attraverso tratti propri della cultura maschile. Per
questa loro alterità tutti i miti le collocano in uno spazio
marginale, e la loro presenza incombe minacciosa sul mondo
greco .
v

La ginecocrazia delle Amazzoni capovolge dalle fondamenta


l’orizzonte culturale dei Greci, delineando un mondo in cui i
rapporti di potere appaiono rovesciati.
La regina delle Amazzoni nel racconto di Diodoro «assegnò
agli uomini la lavorazione della lana e le attività domestiche che
sono proprie delle donne e introdusse leggi, in virtù delle quali,
promuoveva le donne al combattimento in guerra mentre agli
uomini impose umiliazione e servitù» .vi
L’esistenza stessa di queste guerriere minaccia le fondamenta
della polis inventata e dominata dagli uomini: le Amazzoni
combattono, cacciano, vanno a cavallo, rifiutano il ruolo materno
e disprezzano l’eros. Rifiutano in ogni caso la supremazia
maschile e impongono la loro ai popoli sottomessi con le armi. Si
tratta di una collettività mitica con statuto autonomo,
integralmente femminile e per questo collocata alla periferia del
mondo civile. Le guerriere vivono tra loro escludendo gli uomini
ai quali si uniscono unicamente per riprodurre il loro gruppo. Se
nascono figli maschi, questi vengono uccisi, accecati o resi storpi,
mentre alle figlie femmine viene tagliato o bruciato il seno destro
affinché possano meglio tendere l’arco. Da qui deriverebbe una
vii

etimologia popolare già diffusa nell’antichità che leggeva nel


nome Amazzoni un termine composto da un α privativo (senza) e
μαζός (seno). Interessante nella costruzione della collettività delle
Amazzoni risulta anche un’altra etimologia secondo la quale le
Amazzoni sarebbero le donne “senza focaccia” (μάζα), coloro che
non coltivano il grano e non si nutrono di pane, poiché vivono
solo della loro attività di cacciatrici. Ma per i Greci in cui la dieta
alimentare è un forte marcatore di identità, mangiare pane, cibo
“culturale” per eccellenza poiché presuppone la coltivazione della
terra e la lavorazione organizzata del grano, è un segno di civiltà
da cui le Amazzoni vengono escluse.
Analogamente alle Amazzoni anche le Lemnie danno vita a una
società di sole donne. Il mito ci racconta che le Lemnie, avendo
trascurato il culto di Afrodite, erano state punite dalla dea che
aveva inflitto loro un odore nauseabondo che teneva lontano i
viii

loro uomini, spingendoli a cercare conforto tra le braccia di


fanciulle provenienti dalla Tracia; cosa per cui le Lemnie si
vendicano uccidendoli tutti e fondando una comunità di sole
“donne che governano da sé” (γυναικοκρατουμένη) . ix

E da allora in poi, alle donne di Lemno, allevare i buoi,


indossare le armi di bronzo e lavorare i campi di grano,
tutto divenne più facile dei lavori di Atena, che sempre
svolgevano un tempo . x

Quando poi all’orizzonte compare la nave Argo «vestirono le


armi e si riversarono in massa dalle porte di Mirina alla spiaggia:
parevano le Tiadi, mangiatrici di carne cruda» . xi

Dopo l’approdo della nave Argo tuttavia, le Lemnie accolgono


Giasone e gli Argonauti e si uniscono a loro per generare una
nuova progenie. Il cattivo odore scompare nel momento in cui
accolgono nuovamente gli uomini ripristinando la normalità dei
ruoli sociali.
Dello stesso crimine nefando, dell’uccisione dei mariti, si
macchiano anche le Danaidi, le cinquanta figlie del re Danao che
rifiutano il matrimonio con i loro cugini e, durante la prima notte
di nozze, obbedendo al volere del padre, li uccidono tagliando
loro la testa.
Le Danaidi, come ci dice Eschilo erano risolutamente avverse
xii

al matrimonio «per innato odio verso i maschi» (αὐτογενής


φυξανορία).
Tutte le Danaidi uccidono lo sposo, eccetto Ipermestra che
salva Linceo o perché si innamora di lui o perché questi ne
xiii

rispetta la verginità .
xiv

Sul destino delle quarantanove vergini esistono diverse


versioni. Una di queste narra che le fanciulle, dopo esser state
purificate da Atena ed Ermes, vengono assegnate dal padre ai
giovinetti argivi mediante una gara di corsa il cui premio era una
sposa. Così, unite in matrimonio a giovani del luogo, diventano
madri dei Danai e spezzano le leggi dell’endogamia . xv

Un altro racconto ci dice che le Danaidi sono poi uccise con


Danao da Linceo che diviene re e capostipite della dinastia
argiva . Infine, a un’epoca più recente, risale la tradizione
xvi

secondo la quale, dopo la morte, le Danaidi vengono punite


nell’Ade e condannate ad attingere per l’eternità acqua con orci
forati che mai potevano riempirsi .
xvii

Le Danaidi si ribellano e affermano la propria violenza


guerriera sulla razza maschile: si fanno lupi per vincere i cani che
le cacciano con ardore e invocano il potere ( κράτος) per le
xviii

donne . Ben lontane da essere soltanto deboli vittime, le Danaidi


xix

sono determinate, coraggiose, sicure di sé e persino arroganti:


presentano un’indole dai tratti tipicamente maschili e per questo
sono assimilate alle Amazzoni, «carnivore e nemiche dell’uomo»
(τὰς ἀνάνδρους κρεοβόρους [δ'] Ἀμαζόνας) . xx

In virtù dell’efferato delitto a loro attribuito nel dossier


mitologico le Danaidi rappresentano un modello di negazione
della norma femminile. Allo stesso modo la società delle
Amazzoni, dotata di tratti abnormi come la violenza verso mariti e
figli, è inserita in un disegno che vuole esorcizzare la paura di un
potere femminile rappresentandolo come il rovescio della società
greca e dell’ordine della civiltà androcratica.
Per il mondo greco e per il pensiero occidentale la comunità
amazzonica diventa il modello eccellente di un rapporto maschio-
femmina misurato sul codice della violenza e della guerra che la
polarità del gender system propone sempre in modo fallimentare
per il genere femminile.
Le Amazzoni sfidano gli uomini e sono in grado di mettere in
crisi il loro potere, per questo nel mito il loro destino è sempre
identico: essere sconfitte. Per quanto ribelli e pericolose esse
vengono ricacciate nel mondo lontano da cui provengono: la loro
sconfitta è necessaria e funzionale all’immaginario greco: è la
vittoria dell’ordine sul caos, del maschile sul femminile. Le
Amazzoni catalizzano l’angoscia e la paura che i Greci hanno
delle donne. Relegate nella categoria del mito, incarnano l’idea di
disordine assoluto, diventando una delle figure emblematiche del
nemico. Chi le combatte è un eroe culturale, un eroe civilizzatore
come Eracle, Bellerofonte, Teseo, greci e maschi, che
sconfiggono le Amazzoni, barbare e femmine: per questo la loro
sconfitta occupa un posto di rilievo nella cultura greca delle città
tanto da fare dell’Amazzonomachia un motivo privilegiato
dell’iconografia spesso rappresentato sui frontoni e nei fregi dei
templi, primo fra tutti il fregio del Partenone dove compaiono
accanto alla scene di centauromachia e gigantomachia, episodi
destinati a celebrare la vittoria della civiltà sulla barbarie.
Accentuare la barbarie e il carattere selvaggio e brutale delle
Amazzoni giustifica l’emarginazione e l’oppressione del
femminile.
Anche le Lemnie sono presentate come selvagge e assimilate
alle Tiadi (Baccanti), anch’esse soggetti di pratiche separatiste e
in contrasto con l’ideologia della polis. Il ritorno alla normalità
segnato dalla scomparsa del “cattivo odore” (δυσοσμία) configura
il potere femminile e l’autodeterminazione delle Lemnie come
una situazione patologica.
Tutte queste collettività conducono la loro esistenza rifiutando
il ruolo tradizionalmente assegnato alla donna e perseguendo una
condizione che rappresenta l’esatto opposto della normalità
femminile ; esprimono tutte un modello di femminilità estraneo
xxi

alla civiltà greca della polis.


Nella mentalità greca il separatismo e il rovesciamento dei ruoli
si connotano come violazione dell’ordine sociale, per questo il
rifiuto del matrimonio deve essere punito, per esorcizzare la paura
dell’uomo greco di un mondo in cui il femminile possa mettere in
discussione il potere del maschio.
In diversa misura queste collettività rappresentano nel mito la
marginalità estrema di un comportamento femminile che, proprio
per la sua pericolosità, non può perdurare e viene sempre
recuperato attraverso il reinserimento nel circuito regolamentare
del gamos, della fruizione matrimoniale . xxii

Così le figlie di Danao accettano di risposarsi con i pretendenti


che le vincono al regolare torneo organizzato dal padre stesso; le
Lemnie aprono le braccia agli Argonauti guidati da Giasone e le
Amazzoni segnano con la loro morte in battaglia ad opera
dell’eroe di turno, la fine, o meglio i limiti del loro avanzare dalle
sedi limitrofe che sono loro proprie verso il centro dove le tombe
rimangono a testimoniare l’avvenuta impresa civilizzatrice di
Eracle o di Teseo, fondatore della democrazia.
Nel suo celebre saggio sul matriarcato Bachofen afferma che
l’episodio delle Lemnie, come il mito amazzonico e quello delle
Danaidi, costituisce una trasposizione di eventi storici: più
precisamente testimonierebbe il culmine violento di una fase
matriarcale antica che avrebbe coinvolto tutto il vicino Oriente .xxiii

Ma le Lemnie, così come le Amazzoni non sono e non


rappresentano un esempio di società matriarcale reale, forte e
vincente. Entrambe le comunità, come ha sottolineato Eva
Cantarella, regnano su una popolazione “separata” di sole donne.
In nessun caso detengono il potere su una società normalmente
composta da uomini e donne. E anziché rappresentare un
momento di potere matriarcale, questi miti sembrano piuttosto
voler esorcizzare l’idea di un eventuale potere femminile .
xxiv
i
Già Eschilo nelle Eumenidi, versi 658- 660, dirà: «Non è la madre la generatrice di
colui che si dice da lei generato, di suo figlio, bensì la nutrice del feto appena in lei
seminato. Generatore è chi getta il seme» e ancora Aristotele, De generatione
animalium 728 a,17 ss sosterrà che nel processo riproduttivo il seme maschile
«cuoce» il residuo femminile (sangue mestruale) trasformandolo in un nuovo essere.
In altre parole, il seme ha un ruolo attivo, il sangue femminile un ruolo passivo.
Anche se indispensabile, infatti, il contributo femminile è quello della materia, per la
natura passiva con cui la donna si identifica; l’apporto dello spirito è invece quello
dello sperma, attivo e creatore. La constatazione della passività nella riproduzione è
dunque uno degli elementi che consente ad Aristotele di giustificare la subalternità
sociale e giuridica della donna. Aristotele, Politica I, 5, 1254b «(…) il maschio è per
natura migliore, la femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra ad obbedire. È
dunque necessario che questo sistema di rapporti regni su tutti gli uomini». Questo
quadro, trasmesso dall’autorità di Aristotele, nei secoli, finisce per diventare
elemento fondamentale del patrimonio culturale dell’Occidente.
V. Andò, Introduzione in Ippocrate, Natura della donna, BUR, Milano, 2000, pp.5-
ii

65.
Significativamente il greco utilizza l’aggettivo ἄδμητος (indomito, non sottomesso)
iii

sia per indicare gli animali non ancora sottoposti al giogo o alle briglie sia le fanciulle
non sposate. L’aggettivo è etimologicamente connesso a δαμάζω (domare,
sottomettere, vincere ma anche sottomettere al giogo matrimoniale, sposare).
iv
Lisia, Epitafio, 4.
v
La maggior parte delle fonti classiche concorda nel collocare le Amazzoni nella
Scizia presso la palude Meotide dalla quale sarebbero poi migrate verso la costa
centro settentrionale dell’Anatolia o viceversa da questa in Scizia. Eschilo, nel
Prometeo Incatenato (vv. 723-725) accenna all’origine caucasica delle Amazzoni e
afferma che migreranno in Anatolia fondando la città di Themiskyra sul fiume
Termodonte (sull’attuale costa turca del Mar Nero). Erodoto (Storie, IV, 110-117) le
colloca, invece, in Scizia presso il fiume Tanai e, contrariamente a Eschilo, fornisce
un elaborato racconto della migrazione delle Amazzoni, sconfitte dai Greci,
dall’originale sede di Temiscira fino alla palude Meotide ove si sarebbero unite a un
gruppo di giovani maschi Sciti migrando, successivamente, assieme a costoro, in una
zona imprecisata lungo il corso del fiume Tanai. In quel luogo i loro figli avrebbero
dato origine a un unico popolo: gli auromati (Sarmati).
Ma la geografia amazzonica è complessa e contraddittoria anche se distribuita
prevalentemente sul versante orientale. Sul tema cfr Strabone, Geografia XII, 3, 21-
24.
vi
Diodoro Siculo, Biblioteca, II 45, 2.
Varie le fonti che narrano i costumi delle Amazzoni: Diodoro Siculo, Biblioteca, II
vii

45; Apollodoro, Biblioteca, II 5,9; Giustino Trogo, Storie Filippiche, II, 4, 12;
Filostrato, Eroico 57, 3-6; Strabone in Geografia XI. 5.1 racconta che le Amazzoni
erano solite compiere, ogni primavera, una visita nel territorio del popolo vicino dei
Gargareni, i quali si offrivano ritualmente per accoppiarsi con le donne guerriere
affinché potessero generare dei figli. L’incontro avveniva in segreto, nell’oscurità,
perché nessuno dei due amanti potesse conoscere l’identità dell’altro. Le femmine
nate da questi brevi incontri erano destinate a divenire Amazzoni, i maschi venivano
restituiti ai padri. In questo modo la popolazione delle donne guerriere poteva
aumentare anche senza la presenza costante di individui di sesso maschile. Secondo
Plutarco la stagione degli accoppiamenti durava due mesi, ogni anno. Poi le
Amazzoni facevano ritorno nei loro territori (Vita di Pompeo 35, 3-4).
Solo per un inciso erudito e soprattutto per ricordare le sue doti di maga è doveroso
viii

segnalare che per lo storico Mirsilo (Myrs. FGrHist 477 fr. 1 (Schol. Ap. Rhod. I
609-10 Wendel; Antig. Hist. Mir. 118; Phot.-Suid. s.v. Lemnion kakon), la dysosmia
delle donne sarebbe dovuta a un incantesimo di Medea, che, stando a quella che
sembra la versione più antica del mito, era giunta a Lemno insieme agli Argonauti
sulla via del ritorno dalla Colchide (cfr. Pindaro, Pitiche, 4, 250-254).
ix
Soltanto Ipsipile non si rassegna a uccidere il padre e la notte del massacro lo
nasconde e lo salva spingendolo in mare in un’imbarcazione improvvisata
(Apollodoro, Biblioteca, I, 9, 17 e Igino, Miti, 15, Apollonio Rodio, Argonautiche, I,
609 ss.).
x
Apollonio Rodio, Argonautiche, I, vv. 627-630.
xi
Ivi, I, vv. 634-636.
Eschilo, Supplici, v.9.
xii

Eschilo, Prometeo incatenato, vv.865-866; Schol. Euripide, Ecuba v.886.


xiii

xiv
Schol. , Nemee, X 10a; Apollodoro, Biblioteca, 2,1,5; Schol. D.Omero, Il. 4,171.
xv
Pindaro, Pitiche, IX, Pausania, III, 12, 2.
xvi
Schol. Euripide, Ecuba, v. 886.
xvii
La tradizione che colloca le figlie di Danao negli Inferi e che parla di orci forati
affonda le radici in un tempo più lontano: una sua prima riproduzione iconografica è
stata, infatti, individuata in una hydrìa apula verosimilmente del 350 a.C. dove sono
raffigurate donne che versano acqua in un pìthos in un’ambientazione che sembra
essere quella infernale. Più tarda invece la tradizione letteraria, la cui prima
attestazione certa troviamo nell’Assioco pseudo platonico, di difficile datazione, forse
del I secolo a.C. dove si incontrano le «Danaidi che attingono l’acqua inesauribile»
(Pseudo Platone, Assioco 371e). È inoltre presente in Igino Miti, 168, Orazio, Odi,
III, 11, 30. Seppur tarda, tale tradizione è talmente consolidata che l’azione di
attingere acqua con un orcio bucato assume la forma di un proverbio.
Eschilo, Supplici, v. 760.
xviii

xix
Ivi, v. 1069.
xx
Ivi, v. 287.
xxi
Anche un frammento di Melanippide (P.M.G 757) ci restituisce un ritratto
suggestivo di queste fanciulle:
οὐ γὰρ ἀνθρώπων φόρευν μορφάν ἐνεῖδος/ οὐδὲ τὰν αὐτὰν γυναικεὶαν ἔχον/, ἀλλ᾽ἐν
ἁρμάτεσσι διφρύχοις/ ἐσγυμνάζον᾽ ἂν εὐὴλι᾽/ἅλσέα πολλάκις/ θὴραις φρένα
τερπόμεναι, /<αἰ δ’> ἰερόδακρυν λὶβανον εὐώδεις/τε φοίνικας κασίαν τε ματεῦσαι,/
τέρενα Συρίας σπέρματα. («Non avevano sguardo né forma di uomini, né corpo
simile a donne:/ su carri da corsa nude s’addestravano lungo le selve, e spesso nelle
cacce/allietavano la mente o cercando la resina negli alberi di incenso e gli/odorosi
datteri o la cassia, i teneri semi di Siria»).
In tale contesto è doveroso ricordare anche la figura di Atalanta, figlia di Iasio e di
xxii

Climene; personaggio mitologico dal temperamento di amazzone, sprezzante del


genere maschile, esperta cacciatrice e velocissima nella corsa a tal punto che nessuno
era capace di raggiungerla. I centauri Reco e Ileo tentarono di violentarla, ma
restarono uccisi dalle sue frecce. Atalanta, sia per fedeltà ad Artemide, sia perché le
era stato detto dall’oracolo che, se si fosse sposata, sarebbe stata trasformata in un
animale, quando il padre le impose le nozze stabilì come condizione al suo
matrimonio che lo sposo avrebbe dovuto vincerla nella corsa a piedi. I pretendenti
che avessero perso sarebbero stati immediatamente messi a morte. Molti sfidarono
Atalanta e furono tutti sconfitti e uccisi. Alla fine fu vinta a sua volta da Ippomene
che, gettandole i tre pomi aurei donatigli da Afrodite, la fece attardare. Più tardi i due
sposi, durante una battuta di caccia, entrarono in un santuario dedicato a Zeus o,
secondo un’altra variante, dedicato ad Afrodite, e qui fecero l’amore. Zeus (o
Afrodite), indignato per l’oltraggio, li mutò entrambi in leoni (questo si spiega con la
credenza antica che i leoni non si accoppiassero tra di loro ma con i leopardi e
dunque i due amanti furono condannati alla castità). Al di là della punizione ciò che
ci preme rilevare è come ancora una volta il sovvertimento dei ruoli e la trasgressione
venga riportato entro i giusti confini.
xxiii
J.J. Bachofen, Das Mutterecht, Stuttgard 1861, trad. It Il matriarcato,
Einaudi,Torino, 1988. Per l’autore la vicenda delle donne di Lemno è esemplare del
passaggio dalla fase di amazzonismo a quella dell’affermazione del diritto paterno.
Bachofen è dell’idea che tutto ciò non sia solo esagerazione del mito, ma concreta
realtà storica. La strage può essere realmente accaduta, dice lo studioso, se si pone
mente al «carattere della donna, insaziabile nella sua sete di sangue». L’arrivo di
Giasone e dei suoi compagni può essere letto come l’arrivo di nuovi popoli nell’isola.
Appare evidente come la ricostruzione dell’autore lungi dall’anticipare teorie
femministe, si presenti, al contrario, come supporto ideologico al predominio
maschile: affermare che il matriarcato sia stato un momento precedente e quindi
imperfetto, superato dall’instaurarsi della società patriarcale, inequivocabilmente
significa anteporre i diritti maschili a quelli femminili.
E.Cantarella, L’ambiguo malanno, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp.32-34.
xxiv

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