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PROMUOVERE CONSAPEVOLEZZA
Per svolgere un buon lavoro di prossimità si comincia dalla realizzazione delle azioni di comprensione, cioè attività di
rilevazione, di analisi e di valutazione delle informazioni inerenti il contesto di prossimità in cui si intende operare.
Charleston Handy evidenzia quanto il comprendere sia <<to put choice in place of chance>> cioè “mettere la scelta
in luogo del caso”.
Alcuni autori come Pierantoni, Albanesi e Villani sottolineano Chi conoscere gli ambienti di vita significa individuare
strutture, risorse e attività che si svolgono in un contesto Socialmente rilevante e cogliere i segnali relativi ai bisogni
dei soggetti che vivono in quel contesto. Le azioni di comprensione vengono classificate tra le STRATEGIE INDIRETTE,
cioè quelle che contribuiscono allo sviluppo del contesto pur non puntandovi in modo esplicitamente finalizzato.
Quindi si tratta di raggiungere una consapevolezza, e in particolare della consapevolezza dell’essere con. Si tratta di
un lavoro di “analisi collettiva” dei bisogni e delle risorse del contesto di prossimità in cui il primo passo non è “fare”
ma “capire” e soprattutto “capire insieme”. Tra i vari costrutti che ci permettono di indagare la consapevolezza
dell’essere con particolare rilievo hanno
❖ il senso di comunità
❖ Il senso di appartenenza
❖ il senso del bene comune
Per spiegare il senso di comunità si parte dalla distinzione proposta da Martini e torti tra
Per spiegare il senso di comunità si parte dalla distinzione proposta da Martini e Torti tra:
1. sentirsi comunità = dimensione soggettiva legata alle relazioni fiduciarie presenti nella comunità e al senso
di appartenenza vissuto dai membri
2. essere comunità: dimensione oggettiva, inerente le forme di interdipendenza.
Già Weber, per quanto riguarda questa distinzione, nel definire le relazioni comunitarie precisa che esse sussistono e
che quindi si può parlare di comunità sei membri “praticano” e “sentono” tale relazione. Quindi si tratta di una
dimensione il cui sviluppo è determinato dalle dinamiche interpersonali che si sviluppano nella comunità. Ma parlare
di senso di comunità non significa solo parlare delle relazioni in essa presenti ma anche parlare degli elementi che
emergono dal contesto/comunità. Lavando e Novara evidenziano i due processi di maggiore e minore sviluppo del
senso di comunità:
• la DISTINTIVITÀ = cioè quella possibilità di percepire una comunità in rapporto alle sue caratteristiche
• L’ IDENTIFICAZIONE = rimanda al senso di affiliazione e al riconoscimento di se stessi all’interno di una storia
Miretta Prezza definisce il senso di comunità “la certezza soggettiva che i membri hanno di appartenere e di essere
importanti per il gruppo è una FIDUCIA (tasso di fiducia) della possibilità di soddisfare i propri bisogni essendo
insieme”.
1- INTEGRAZIONE E SODDISFAZIONE DEI BISOGNI = cioè la convinzione che in caso di necessità la comunità si
attiverebbe nel dare il sostegno necessario
Per misurare il senso di comunità ci sono varie scale e strumenti (esempio questionario).
Ovviamente ci sono anche aspetti negativi da considerare relativi al senso di comunità: come il senso di comunità
latente proposto da Lavanco e Novara; Abbe Brodsky parla di un asse dotato di un versante positivo (caratterizzato
da tutto quello che abbiamo detto del senso di comunità) e un versante negativo connotato da conflitti e disarmonia
Lavanco e Novara descrivo il senso di appartenenza, che influenza molto la percezione dell’essere con proprio
perché è dato dalla consapevolezza di far parte di un qualcosa di ampio dove siamo reciprocamente in relazione con
gli altri, come:
Inoltre, Lavanco e Novara, indicano anche quali sono gli ingredienti che formano il senso di appartenenza:
1. CONFINI = che distinguono tra coloro che sono “dentro” (ingroup) e coloro che sono “fuori” (outgroup) e che
quindi favoriscono una percezione di sicurezza
2. SISTEMA DI SIMBOLI = insieme di usi, costumi, valori e riti che favoriscono il consolidamento del senso di
condivisione tra i membri
3. IMPEGNO PERSONALE = dei singoli membri ad appartenere, attraverso un effettivo coinvolgimento sia
materiale che emotivo
Il senso di appartenenza può essere connesso a quello stato mentale che Wilfried Ruprecht Bion definiva
MENTALITà DI GRUPPO , ovvero espressione del volere del gruppo alla quale l’individuo contribuisce in modo
inconscio e che lo mette a disagio ogni volta che pensa o si comporta in modo differente.
Altro elemento che contribuisce alla consapevolezza dell’essere con è il senso di bene comune intendendo con ciò
quella convinzione etico-valoriale e di percezione cognitiva ed emotiva su ciò che è bene per tutti e ciascuno che,
Sergio Tramma ci spiega che << c’è stata una profonda riformulazione della pratica e della percezione del bene
comune. Prima poteva anche non avere bisogno di diventare un atto di coscienza ed essere soggetto a negoziazioni
poiché dato e certificato dalla storia e dalla cultura, in seguito il bene comune è diventato meno immediatamente
evidente
Descritto il tema della consapevolezza dell’essere con bisogna comprendere come attivarsi per favorirne la crescita.
Si può pensare alla realizzazione di un lavoro di “analisi collettiva” Dei bisogni e delle risorse del contesto di
prossimità. Perché il primo passo non è “fare” ma capire e soprattutto “capire insieme” altrimenti si rischia di fare a
vuoto oppure di fare male. Quindi si deve fare una riflessione partecipata sulla situazione relazionale del contesto di
prossimità. Si tratta di un percorso che coinvolga attivamente quanti più membri possibili del contesto di prossimità
e per approfondire gli elementi che caratterizzano le relazioni e il contesto.
Definizione di Lavanco e Novara: il profilo di comunità consiste nella lettura del contesto, una mappatura della
comunità e dei suoi bisogni. L’analisi dei bisogni si lega alla possibilità di aumentarne la consapevolezza nei membri
della comunità, così da progettare in modo partecipato il cambiamento.
Altri autori inseriscono il lavoro di comprensione del lavoro di “ricognizione sociale” che include tre aree di azioni:
1. CONOSCENZA DELLA COMUNITÀ = conoscenza dei suoi problemi, delle sue risorse e delle sue potenzialità
2. mobilitazione e attivazione dei soggetti della comunità e coordinamento dei loro rapporti
3. marketing sociale e la comunicazione.
Altri ricorrono al concetto di “analisi di comunità” inteso come processo che ne descrive le caratteristiche
dell’interno avviando un cambiamento su ciò che i membri della comunità ritengono prioritario.
Infine ci sono coloro che parlano di MAPPING per indicare l’azione che mira a lavorare sul rapporto tra
Il MAPPING, attraverso l’interazione di queste due forme di conoscenza di contesti, punta a costruire una
conoscenza partecipata dei luoghi e della società favorendo il passaggio dalle mappe naturali a quelle culturali,
contribuendo così ad accrescere la consapevolezza il senso di identità
Martini e Sequi sottolineano che per ridurre il rischio di analisi distorsive occorre che la conoscenza del contesto
avvenga <<dal di dentro, adottando lo strumento dell’osservazione partecipata e che a leggere il contesto non è
l’operatore ma il contesto stesso>>.
Per Donata Francescato si tratta di mettere in campo un lavoro di <<ricerca partecipata, dove partecipata si intende
non solo la partecipazione dell’operatore alla vita comune ma anche la partecipazione attiva della comunità al
processo di conoscenza e progettazione degli interventi ad essa destinati.>>
Uno degli schemi più utilizzati per l’analisi dei contesti di prossimità (elementi da approfondire per sviluppare un
adeguato profilo del contesto) è quello sviluppato da Martini e Sequi che hanno proposto un sistema di rilevazione
oggettivo-soggettivo che distingue sette aree di indagine:
1- PROFILO TERRITORIALE = relativo alle caratteristiche strutturali (confini, risorse, clima ecc...) e semistrutturali
(cioè costruite dall’uomo, come sistema di comunicazione e quello di circolazione, le reti idriche e fognarie ecc...)
2- PROFILO DEMOGRAFICO = Che riguarda il numero e la densità della popolazione, l’andamento del bilancio
nascite-morti e emigrazioni-immigrazione, la composizione per età, sesso, livello di istruzione…
3- PROFILO ECONOMICO = Relativo ai livelli reddituali totali e pro-capite, ai settori produttivi, Al bilancio occupati-
disoccupati-inoccupati-pensionati, all’eventuale incidenza di pendolarismo, al lavoro nero, sfruttamento minorile…
4- PROFILO DEI SERVIZI = Scuole, servizi sociali e sanitari, servizi culturali e di socializzazione…
A queste 7 aree di analisi dei contesti, Donata Francescato aggiunge un’ottava dimensione cioè
8- PROFILO DEL FUTURO = intendendo con tale dicitura l’area relativa alle aspettative positive (gli auspici) o
negative (i timori) che le persone hanno nei confronti di ciò che avverrà. Quest’area la ruota essenzialmente intorno
a tre domande-stimolo: come sarà secondo lei tra 10 anni questa città? Cosa temi maggiormente per il futuro di
questa città? Cosa desidera maggiormente per il futuro di questa città?
Ora bisogna analizzare con quali precise tecniche e strumenti la rilevazione viene realizzata. Donato Francescato ci
dice che <<di solito i profili di comunità sono stati indagati su richiesta di gruppi ambientalisti, servizi sociosanitari e
altri enti. In ognuno di questi casi veniva formato un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da rappresentanti
diversi della comunità che esprimono la varietà degli attori sociali e comprendono sempre esponenti dei gruppi
ritenuti più marginali o meno visibili. Tale gruppo ha lo scopo di svolgere un’analisi preliminare, cioè gli si chiede di
utilizzare la tecnica del “brainstorming”per elencare i punti deboli e punti di forza della loro cittadina del loro
quartiere. gli elenchi ottenuti vengono poi classificati di otto profili: ad esempio “degrado ambientale“ viene
inquadrato come criticità del profilo territoriale, “presenza di buone scuole“ rappresenta un punto di forza del
profilo dei servizi ecc...>>.
Questo approccio è volto ad individuare le aree-problema prioritarie sulle quali porre maggiore attenzione e le
risorse sulle quali si può contare.
Alessandro Fort Sony, invece, presenta i “CIRCLI DI STUDIO” ovvero un piccolo gruppo di persone (8-10) che si
riuniscono per apprendere dibattere e approfondire una tematica. La partecipazione è aperta a tutti e questi circoli
di studio rappresentano un percorso di attivazione partecipativa, che alcuni definiscono “demand oriented” cioè
<<la domanda precede l’offerta>>, essendo cittadini stessi a decidere di parteciparvi e a scegliere il tema di studio.
Lavanco e Novara, per quanto riguarda gli strumenti di rilevazione, dicono che le informazioni oggettive (I
cosiddetti profili hard) sono da rilevare mediante il ricorso agli indicatori sociali quantitativi, mentre i dati soggettivi
(i cosiddetti profili soft, inerenti opinioni, rappresentazioni, percezioni) possono essere studiati ricorrendo a
“tecniche proiettive di gruppo”, volte a far emergere elementi emotivi e inconsci, e a “tecniche animative di
comunità”, miranti ad esplorare i vissuti e gli atteggiamenti delle persone verso il contesto. (Esempio tecnica
animativa = fotografare il quartiere, disegnare il quartiere proprio perché sono gli stessi membri della comunità che
in essa risiedono che, con un click o con un disegno, sono invitati a ritrarne/disegnare i luoghi più rappresentativi per
poi discutere degli aspetti negativi e positivi e delle emozioni che suscita)
➢ SCENEGGIATO DI QUARTIERE = una sorta di cortometraggio sul contesto auto-costruito da coloro che ne
fanno parte
➢ PLANNING FOR REAL = (pianificazione per davvero) consiste nella realizzazione di un lavoro di confronto sui
problemi e sui punti di forza del territorio a partire dalla realizzazione di un plastico tridimensionale del
territorio come “base“ per veicolare i confronti
➢ BLOCK ENVIRONMENT INVENTORY = (blocco inventario ambiente) finalizzato ad analizzare il profilo di
unisolato.
Una volta raccolti i vari dati ed informazioni che compongono il profilo del contesto sarà importante concentrare
l’attenzione su quegli elementi positivi e negativi che “attraversano“ i vari profili. Lavanco e Novara sottolineano che
<<l’analisi dovrà mettere in luce i vincoli e le opportunità trasversale a tutti gli otto profili e da questi prendere le
Una modalità particolarmente preziosa e assai diffusa per compiere una valutazione complessiva e trarne le
opportune conseguenze operative è quella resa possibile dalla cosiddetta MATRICE SWOT ideata da Albert
Humphrey. È uno strumento di pianificazione strategica, inerente la definizione progettuale di medio-lungo periodo,
utilizzato per valutare in modo distinto, ma allo stesso tempo anche in modo complessivo, l’ambiente interno (punti
di forza e di debolezza) e l’ambiente esterno (opportunità e minacce, vincoli) di una determinata realtà.
Si tratta non di distinguere gli elementi utili da quelli negativi, ma gli elementi interni ed esterni alla realtà (il
contesto di prossimità). Esterni non significa “ininfluenti sul percorso” (quindi quei dati superflui che non ci
interessano), ma “fuori da nostro campo di azione” cioè quei fattori che possono condizionare positivamente o
negativamente il nostro lavoro ma che non possiamo modificare; ma individuarli consente di mettere in campo
strategie di valorizzazione (degli elementi positivi cioè le opportunità) e di fronteggiamento o evitamento (degli
elementi negativi cioè minacce e vincoli).
Esempio ——— contesto caratterizzato da piovosità estiva molto elevata, si potranno programmare attività di
socializzazione all’aperto solo se si fronteggerà il problema (dotandosi si tendoni, ombrelli, impermeabili) o se lo si
eviterà (organizzando attività di socializzazione al coperto). Invece se la zona fosse meno piovosa e piena di boschi e
prati, pur non avendo determinato noi tale condizione positiva, bisogna valorizzarle organizzando passeggiate,
campeggi o altro che possa contribuire alla socializzazione delle persone.
Inoltre ci si deve impegnare ad individuare i punti di forza e capire come custodirli, potenziarli e valorizzarli e ad
individuare i punti di debolezza e capire come risolverli, o almeno ridimensionarli
1. ANALISI DEL BENESSERE DEL CONTESTO DI PROSSIMITÀ = consiste in un focus che punta a esplorare e valutare
il benessere delle persone, approfondendo tre specifiche dimensioni:
• benessere soggettivo: componente cognitiva del benessere, che consiste nel giudizio di soddisfazione verso
la vita, e la componente affettiva, relativa alle emozioni positive e negative abbinate a tale livello di
soddisfazione
• benessere psicologico: riguardante aspetti come l’autonomia, la crescita personale, le relazioni positive con
gli altri ecc...
• benessere sociale: che riguarda le interazioni con gli altri membri del contesto e con le istituzioni.
Per misurare e valutare tali variabili, Zani e Cicognani propongono per il benessere soggettivo varie scale di SELF-
REPORT (cioè informazioni rilasciate dai membri del contesto esprimendo accordo o disaccordo su lista di
affermazioni); scale di SELF-EFFICACY, di LOCUS OF CONTROL, quelle riguardanti la rilevazione di autostima, ansia,
depressione per il benessere psicologico; per benessere sociale si fa riferimento alla misurazione del sostegno sociale
e del senso di comunità.
4.2.6 LA RICERCA-AZIONE
Lo psicologo tedesco KURT LEWIN introduce l’approccio metodologico della RICERCA-AZIONE. Si tratta di una
modalità di lavoro che propone un modo di conoscere nelle relazioni e attraverso le relazioni che considera gli attori
(cioè i membri del contesto di prossimità) chi sono i proprietari di una conoscenza pratica che infatti situata nel
corpo sociale. Il ruolo della ricerca-azione è di renderla esplicita non in modo lineare ma basato su un flusso
mutevole e partecipato di rilevazioni, acquisizioni, comprensioni.
Particolarmente utile al lavoro di prossimità è la RICERCA-AZIONE ESISTENZIALE INTEGRALE che si basa su:
1. COMPLESSITÀ = in particolare il giusto apprezzamento della complessità del reale, stando attenti ad ogni
tentazione di decostruire la realtà perché si rischia di separare ciò che è legato (disgiunzione) e di unificare ciò
che è diverso (riduzione), mentre la realtà è una totalità dinamica e indissociabile
2. ASCOLTO SENSIBILE = cioè impegno ad ascoltare/vedere con empatia coloro che osservano e si confrontano per
comprendere dall’interno gli atteggiamenti, i comportamenti, il sistema di idee ecc
3. CAMBIAMENTO = quindi si deve procedere verso un sistema di valori, prassi e situazioni che dovrebbe essere
migliore di quello vigente, superando problemi e disagi e attuando desideri e benessere
4. NEGOZIAZIONE-VALUTAZIONE-AUTORIZZAZIONE = cioè l’impegno ad accompagnare le persone in un crescente
lavoro di mediazione tra diverse posizioni (negoziazione), di discussione dei valori e dei sensi (valutazione), di
acquisizione della capacità di essere autori di se stessi (autorizzazione) puntando a produrre non conoscenza
“sulla gente” ma “con la gente”, mirando a far fare alle persone esperienze di riflessione e accompagnandole a
prendere coscienza dei problemi e delle risorse appropriandosi degli strumenti per agire
5. PROCESSO = (in contrapposizione alla nozione di “procedura”) caratterizzato da una successine di passi ma
aperto al cambiamento e alla valutazione, svincolato dalle regole formali e predefinite
ESPLORAZIONE DI RETE = è la parte iniziale del trittico “esplorazione-ipotesi-mobilitazione” proposto dai fautori del
lavoro sociale di rete. L’esplorazione di rete consiste nell’atto di “introdursi in un ambiente dato, ma non noto, per
cercare di conoscerlo, rappresentarlo e descriverlo
ANALISI ORGANIZZATIVA = è finalizzata ad esplorare gli aspetti organizzativi del contesto di prossimità,
approfondendone in particolare le dimensioni strutturali, funzionali, psicodinamiche e psicoambientali
Affinché si sviluppino adeguati livelli di connessione emotiva, è necessario che l'agente abbia opportunità di
incontrarsi interagire in modo costruttivo.
Un antico e noto proverbio dice “chi ben comincia, è a metà dell'opera”. Ebbene, vale la pena concentrare
l’attenzione innanzitutto su quelle realtà che la dimensione relazionale già la praticano. Indicando i territori
locali come potenziali reti di reti e che in esso è presente compattezza, con rarefazioni ed addensamenti,
Martini e Sequi (riferendosi a questi addensamenti) parlano di comunità nella comunità locale, di sotto-
comunità o comunità di settore, riferendosi alla famiglia, al condominio, alla scuola, alla parrocchia, alle
associazioni.
Famiglia: “famiglia” è una delle parole d'uso comune che etimologicamente indica i membri della casa
uniti per legame di sangue. Nella Costituzione italiana la famiglia è definita come società naturale fondata
sul matrimonio. Questa formulazione comprende tutte le coppie unite in matrimonio, con o senza figli, e i
nuclei monogenitoriali con figli. Sociologicamente sempre più si parla di famiglie, riconducendo sotto
questo termine anche le ulteriori informazioni affettive: le convivenze , le ragazze madri o ragazzi padri, le
famiglie ricostruite. Una prima indicazione sul ruolo delle famiglie ce la offre l'Ottavo Rapporto CISF sulla
famiglia in Italia. Lo studio dimostra che la famiglia è il capitale sociale primario della società perché è dalla
famiglia che nascono la fiducia, lo spirito di collaborazione e la reciprocità verso gli altri. Ma non tutte le
esperienze familiari portano a percepire queste dinamiche queste potenzialità. Alla base della riflessione
sul ruolo della famiglia come generatrice di capitale sociale c'è l'idea di famiglia che si trova ad essere
crocevia tra due categorie da ridefinire: pubblico e privato; dal privato all’individualismo, dal pubblico allo
statalismo. Se si concorda che il concetto di persona è fondato sulla relazione, la contrapposizione tra
pubblico e privato si supera perché la famiglia è luogo di crescita personale, interpersonale e sociale.
Condominio: le assemblee condominiali si stagliano come uno degli esempi più evidenti dell’incapacità
delle persone di relazionarsi e di intendersi su questioni anche di minima entità. Pur avendo ben presente
questo, Martini e Sequi ci invitano invece a non perdere di vista il potenziale relazionale di questi contesti di
prossimità. Loro indicano varie ipotesi di lavoro:
A sostegno di tale ipotesi si potrebbe ad esempio mettere in conto la realizzazione di iniziative locali di
formazione per gli amministratori condominiali sui temi del lavoro di prossimità, della mediazione e della
negoziazione dei conflitti; si potrebbero ipotizzare tornei di quartiere, momenti di festa comune.
Un'altra importante evoluzione nel mondo della scuola e quello che riguarda il sostegno agli alunni in
difficoltà, considerando tre filoni:
• alunni con problemi di disabilità o con disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia e
disortografia);
• minori stranieri;
• dispersione scolastica.
In merito a quest'ultimo punto molto si discute su quali siano le migliori strategie da porre per prevenire e
contrastare il fenomeno dell'abbandono scolastico. Il primo grande ambito di intervento e quello della
prevenzione. Occorre aver presente che:
➢ chi è un'azione di prevenzione diviene tanto più efficace quanto più è continuativa nel tempo;
➢ è importante scommettere sulla scuola come luogo non solo della formazione ma anche della
socializzazione;
➢ serve un forte lavoro di coordinamento e integrazione tra i diversi soggetti;
➢ bisogna mettere in campo percorsi partecipativi nei quali i ragazzi a rischio e le loro famiglie siano
coinvolti.
All'interno di questo scenario e possibile indicare alcune linee di intervento ritenute efficaci:
o il sostegno laboratoriale, sia come accompagnamento nello studio pomeridiano che come attività
ludico-ricreative;
o l'attività di orientamento e ri-motivazione, volta ad aiutare i ragazzi a prendere sul serio la grande
possibilità della vita;
Particolarmente importante può inoltre essere un lavoro volto a migliorare il clima scolastico. A tal riguardo
possono essere utili:
❖ i percorsi di partecipazione attiva alla vita scolastica mediante laboratori all'interno della scuola;
❖ i percorsi di accompagnamento dei genitori a partecipare alla governance scolastica;
❖ i laboratori di empowerment relazionale e solidale nella classe, volti a migliorare i rapporti alunno-
alunno, alunno-insegnante, insegnante-famiglia.
Riguardo il potenziamento della relazione tra i genitori di alunni frequentanti la stessa classe sono molto
interessanti i percorsi sulla loro genitorialità, sperimentati con buoni esiti in varie scuole del Sud Italia. Ecco
una breve presentazione:
box 1.
ideati e promossi dalla Federazione Progetto Famiglia, i percorsi sulla pro-genitorialità sono iniziative che
mirano a favorire l'individuazione di famiglie disponibili ad incamminarsi in esperienze di solidarietà con
altre famiglie. Privilegiate sono le scuole elementari e le scuole medie inferiori. Il percorso mira a
promuovere la nascita di forme di mutuo-aiuto tra i genitori. Non di rado tra i genitori della medesima
classe si sviluppano spontaneamente forme di amicizia e di solidarietà, ma queste dinamiche non si
innescano sempre oppure riguardano solo alcuni genitori. Il percorso parte con il proporre ai
rappresentanti di classe la partecipazione a due incontri di confronto in cui vengono illustrate le finalità e le
modalità di svolgimento del percorso. Si procede con la realizzazione delle attività, che nella gran parte dei
casi consistono nella realizzazione di 5 incontri tra i genitori della stessa classe, moderati da un
psicopedagogista, durante i quali vengono affrontati alcuni temi educativi. Elemento importante è il luogo
di svolgimento degli incontri e cioè non la scuola, bensì l'abitazione dei genitori stessi, possibilmente
svolgendo ogni incontro in una diversa casa. Quando è possibile , viene svolto con i figli un laboratorio
curato da un educatore che propone loro di lavorare sui medesimi argomenti sui quali sono impegnati i
genitori. I livelli relazionali tra i genitori partecipanti risultano cresciuti ed evolvono spontaneamente in
maggiori forme di mutuo-aiuto.
Parrocchia: in Italia sono circa 26.000 con una popolazione media che oscilla tra i 1500 e i 3.000 abitanti,
anche se il dato medio nasconde una situazione con parrocchie rurali composte da poche centinaia di
persone e parrocchie urbane nelle quali la media sale intorno ai 10.000 abitanti. Martini e Sequi segnalano
che le parrocchie sono caratterizzate da alcuni elementi comuni che le rendono a tutti gli effetti delle
comunità:
• i confini sia geografici che di distinzione tra persone impegnate in parrocchia, persone che
frequentano le celebrazioni domenicali, persone non praticanti;
• un luogo comune (il complesso parrocchiale);
Martini e Sequi evidenziano alcuni aspetti della vita parrocchiale che possono contribuire allo sviluppo
relazionale della parrocchia stessa, come: insegnare il catechismo, leggere durante una cerimonia, cantare
nel coro, eccetera. Tutto ciò rappresenta uno spazio per la crescita del senso dell'essere con. La parrocchia
è infine vista anche come un centro di aggregazione, infatti nelle sale parrocchiali si svolgono numerose
attività che vedono coinvolte tutte le fasce d'età.
Associazionismo: il mondo dell'associazionismo In Italia è normato da alcuni articoli del Codice civile ed
alcune leggi di settore. Vi sono poi ulteriori normative regionali che aggiungono al quadro altri elementi,
come ad esempio la legge della Regione Lombardia sulle associazioni familiari. L’associazionismo si
presenta molto eterogeneo e magmatico; in esso sono presenti realtà assai diverse tra loro sul piano dei
fini, della composizione, dell'organizzazione, delle dimensioni, delle modalità operative. Alcune associazioni
sono orientate alla solidarietà e più di frequente sono impegnate su tematiche specifiche quali la cultura, le
attività ricreative, i diritti sociali. Tutte queste tematiche sono connesse alla possibilità di contribuire al
cammino di crescita del sistema di relazioni: alcune associazioni hanno grandi dimensioni con sedi in diversi
contesti territoriali, altre sono locali e di piccole dimensioni; alcune svolgono servizi specifici, altre
esprimono chiari cammini di radicamento locale; alcune partecipano a coordinamenti tematici, regionali o
nazionali, altre a reti territoriali con altre associazioni. Anche in questo caso, così come le parrocchie, le
iniziative relazionali messe in campo potranno consistere nel sostegno e nella valorizzazione di quanto le
associazioni già fanno e nel loro coinvolgimento in percorsi diretti con altre agenzie territoriali.
Mondo del lavoro: Rappresenta per una parte importante della popolazione adulta uno dei contesti nei
quali vengono vissute alcune delle più intense relazioni di prossimità, in senso sia positivo che negativo.
Operare in questi ambiti può offrire spazi di promozione del benessere personale e collettivo. Francescato e
Tomai indicano tre distinti ambiti di intervento:
o Strategie di empowerment centrate sui singoli o su gruppi lavorativi per aumentare le loro
conoscenze e competenze tramite attività di formazione-intervento;
o strategie di empowerment centrate sui mutamenti organizzativi;
o strategie di empowerment di rete tra individui, organizzazioni, forze sociali e istituzioni del
territorio.
Proseguiamo il nostro discorso allargando il tema della “tessitura delle relazioni”. L'obiettivo è di favorire
un intreccio di legami che permette di configurare una sorta di “rete di parentele sociale”, nella quale siano
possibili fiducia e aiuti reciproci fino a dar forma a quelli che abbiamo chiamato Nuovi Cortili (spazi di
responsabilità e di quotidianità condivisa, protesa verso il benessere proprio e degli altri).
Nel corso degli anni è stato possibile riflettere su come e quali possano essere i canali per favorire una
rinnovata tessitura relazionale. È l'esperienza di debolezza e di bisogno ad innescare la tensione verso
l'altro. Evocativo è l’attivare luoghi di senso che rendono possibile una rinnovata condivisione dei bisogni
ma non necessariamente luoghi fisici, ma anche percorsi che favoriscano la costruzione di risposte comuni
alle esigenze, difficoltà e problematiche della vita quotidiana. Ci interessa insomma favorire aiuto reciproco
a partire dal confronto sui propri vissuti fino ad arrivare alle forme del mutuo sostegno nelle esigenze
pratiche (come l’andare e venire dei figli da scuola e dalla palestra, la gestione di piccole emergenze
personali e familiari, etc.). Tuttavia occorre rilevare che nell’odierna cultura condividere con gli altri i propri
problemi, cioè chiedere aiuto e dichiararsi bisognosi, non è affatto semplice.
È come se per il solo fatto di ricevere aiuti, le nostre qualità personali subissero una limitazione, la nostra
persona divenisse meno valida, inadeguata. Di analogo orientamento le considerazioni proposte da Fabrizia
Ferrari che, coordinatrice di un servizio di accoglienza per madri e bambini di Milano, non solo segnala il
problema ma indica anche la soluzione, cioè quella della simmetria della relazione la quale, applicata al
tema dell’aiuto nelle difficoltà, chiarisce il significato profondo dei termini condivisione da noi più volte
utilizzato. Condivisione infatti è una dinamica intrisa di reciprocità nella quale l'uno e di aiuto nell'altro e
viceversa. Chi ha bisogno comprende meglio le necessità degli altri, riesce ad immedesimarsi meglio. Una
prima indicazione operativa per il lavoro di prossimità è che, volendo iniziare dai contesti dove vi sono già
in atto processi di vicinanza e reciproca mutualità, sarà opportuno partire da quelli meno agiati, i quali
saranno probabilmente assai più ricchi di relazioni. Il che non significa che siano contesti privi di
problematiche; anzi, violenza, sopruso e illibertà sono facilmente presenti nei luoghi più miseri.
Un’altra considerazione utile può essere quella della condivisione delle gioie, cioè del proporre momenti di
festa e di convivialità, tali da favorire l’incontro e la vicinanza emotiva. Si tratta di una modalità di facile
realizzazione che favorisce gradualmente lo sviluppo di una certa confidenza, fino ad attivare la
connessione emotiva condivisa e quindi ad innescare la condivisione dei bisogni. Bisogna impegnarsi
insieme a favore di terzi o del bene comune, cioè di condividere le competenze per il perseguimento di un
obiettivo di solidarietà o di pubblica utilità e bisogna innescare relazioni a partire dalla condivisione delle
passioni e degli interessi, come l’arte, la cultura, la natura, lo sport, la cucina, etc.
Il primo ingrediente per avviare in modo efficace innesco di nuove relazioni e infatti la presenza di persone
facilitatrici di relazione (natural aggregator). Si tratta di persone che, dotate di una buona capacità
relazionale, sono chiamate ad impegnarsi nel lavoro di reticolazione relazionale, cioè a fare in modo che
ciascuna persona coinvolta in una certa attività man mano conosca tutte le altre. A tal fine i facilitatori-
aggregatori coglieranno ogni occasione utile e ne creeranno di apposite. Ad esempio, si soffermeranno per
• Un'attività che sortisce ottimi effetti è quella della realizzazione di incontri di confronto sul ruolo
educativo, rivolti ai genitori della stessa classe scolastica.
• Un'altra utile iniziativa è quella che mira ad organizzare il mutuo-aiuto tra genitori
nell’accompagnamento dei figli a scuola o nel baby parking mattutino, al fine di permettere a
coloro che devono andare a lavoro la mattina presto di lasciare i propri figli in custodia ad altri
genitori disponibili ad accompagnarli a scuola.
• Un'altra ipotesi simile è quella di organizzare l’alternanza dei genitori nella presenza accanto ai figli
durante lo svolgimento dei compiti scolastici pomeridiani.
• Ulteriori iniziative di vicinanza e mutualità tra genitori sono quelle che consistono nell’organizzare
attività educative condivise, come laboratori di movimento, teatrali, gastronomici o momenti
ricreativi come tornei, cacce al tesoro, giochi di gruppo.
• Citiamo, ad esempio, quanto organizzato nella parrocchia San Luigi Gonzaga di Pesaro, dove hanno
deciso di attivare l'iniziativa delle domeniche dell’invito a pranzo, finalizzata a favorire il
consolidamento dei rapporti tra i genitori di bambini e ragazzi partecipanti alla medesima attività
parrocchiale e consistente nel predisporre un elenco di famiglie disponibili periodicamente ad
ospitare a casa altre famiglie per il pranzo.
• Realizzata in alcune parrocchie è la promozione della pratica della Peregrinatio Mariae, cioè la
recita del Rosario nelle case, accompagnati dalla presenza di una statua o di un'immagine della
Vergine Maria.
• Domenica delle gite familiari che abbinano le famiglie in piccoli gruppi affinché trascorressero
insieme una piccola passeggiata “fuori porta” e le serate della cena in parrocchia che coinvolgono a
piccoli gruppi le famiglie del quartiere per trascorrere insieme una serata in una delle sale
parrocchiali, cucinando insieme o portando ognuno qualcosa da casa.
• Un ultima iniziativa è stata quella di attivare un laboratorio di cucina e salute durante il quale le
partecipanti, con l'aiuto di un dietologo, si sono confrontate sull'alimentazione dei propri figli e
hanno insegnato le une alle altre le proprie “ricette speciali”, con tanto di dimostrazione.
Alcune iniziative che possono contribuire alla tessitura di relazioni possono essere:
o l'organizzazione di una festa di strada o di quartiere o qualche altra iniziativa aperta a tutti i
residenti. Importante non è tanto il “cosa” si organizza ma il farlo insieme.
o Iniziative di benvenuto che possono essere attivate quando una persona o una famiglia viene a
vivere nel quartiere. Spesso il trasferimento è dettato da motivi lavorativi e porta le persone ad
insediarsi i luoghi in cui non conoscono nessuno. Una semplice ma efficace forma di attenzione che
si può avere verso costoro è quella di dargli il benvenuto andando a bussare alla loro porta,
portando loro un piccolo dono.
o Il benvenuto ai nuovi nati; una nuova nascita per una famiglia è sempre un evento complesso nel
quale la gioia della genitorialità si confronta con il fronteggiamento di numerose incombenze
pratiche. Spesso le coppie si trovano da sole ad affrontare mille imprevisti. Ci si può dunque
impegnare ad andare a casa di queste coppie, recando gli auguri e qualche piccolo dono che
simbolicamente esprima la vicinanza per il felice evento, dando informazioni per i servizi della
prima infanzia attivi sul territorio ed altre indicazioni utili.
o Percorsi che permettono di condividere con altre persone le proprie passioni e competenze. È il
caso delle iniziative che coinvolgono la popolazione locale nella cura degli spazi urbani: dalla
sistemazione delle aiuole e dei giardinetti, all’abbellimento dei punti di ritrovo o di passeggio, dall’
allestimento di spazi, alla tinteggiatura e manutenzione degli arredi urbani. Ovviamente prima
occorrerà accordarsi con l'amministrazione comunale.
o Reti dei Messaggero parrocchiali o dei referenti di via con le quali le parrocchie si sono impegnate
ad avvicinarsi al territorio, impegnando alcune persone a fare da filo di comunicazione tra la gente
del quartiere e la parrocchia.
o Coppie angelo, cioè famiglie con prolungata esperienza coniugale e genitoriale che affiancano una
neo-famiglia per accompagnare, con suggerimenti e piccoli aiuti pratici, la preparazione al
matrimonio i primi anni di vita familiare.
o La banca del tempo; può essere un ottimo veicolo di tessitura relazionale, anche se occorre tener
presente che la sua attivazione e gestione richiede un certo impegno organizzativo.
Un aspetto fortemente connesso alla tessitura delle relazioni interpersonali e alla crescita del benessere
comune è quello della fiducia. La fiducia non può essere creata artificiosamente, è un elemento che nasce
spontaneo nel rapporto tra le persone ma dobbiamo attivare una serie di azioni di cornice e di contesto che
ne favoriscano la nascita e nei custodiscono la permanenza. Alcuni sociologi hanno sviluppato un insieme di
indicazioni che vanno sotto il nome di costruzione sociale della fiducia; in particolare sono tre ingredienti
che vengono indicati come necessari per favorire lo sviluppo di intensi reti fiduciarie:
1. La familiarità, cioè la vicinanza culturale, ambientale e sociale tra le persone che può essere
favorita stimolando spazi di reciproca conoscenza intorno ai valori comuni;
2. la visibilità, che spinge ad avere fiducia quando l'altro è trasparente alle sue attività, intenzioni,
modalità;
3. autenticità, cioè la verità di ciò che si dice, la non manipolazione della comunicazione.
La fiducia si espande soprattutto quando i legami tra le persone diventano duraturi. L'orizzonte verso il
quale camminare è lo sviluppo di un reticolo fiduciario tale da innescare la fiducia generalizzata, cioè
quella rivolta anche verso gli sconosciuti, e la fiducia sistemica, cioè quella avvertita verso la collettività
generale, risultato di una lunghissima serie di esperienze nelle quali i conflitti sono stati rielaborati. Tutto
questo a che fare con il quotidiano: l’amorevolezza con cui tanti genitori accompagnano la crescita dei figli,
l'onestà di tanti lavoratori, il buon funzionamento di alcuni servizi, lo sviluppo del volontariato, etc.
Le relazioni interpersonali e collettive non sono sempre segnate da dinamiche positive e di solidarietà
reciproca. Non di rado esse sono il terreno nel quale si sviluppano sentimenti di avversione ed esperienze di
delusioni, al punto che abbiamo parlato di legami negativi. Nei confronti di queste dinamiche distruttive
Negoziazione = processo mediante il quale a partire da posizioni diverse e contrapposte si tenta di costruire
terreni condivisi e visioni comuni. A tal proposito è utile richiamare quanto proposto da Fisher, Ury e Patton
i quali hanno molto approfondito questo tema. Così ne parla Silvia Fargion nel testo della metodologia del
servizio sociale:
L’invito della negoziazione fondata sui principi è quello di non dare per scontate le premesse che portano
ciascuno ad assumere una certa posizione. Lo scopo di questo approccio è quello di deporre le armi e di
chiarire tali premesse, favorendo un avvicinamento emotivo tra le persone e un avvicinamento tra le
posizioni, che potranno divenire sempre meno diverse e contrapposte fino ad arrivare alla cosiddetta
“fusione di orizzonti”. Questa dinamica è descrivibile non solo come soluzione a somma zero (tipica delle
negoziazioni dure, che esitano nella presenza di un vincitore ed un perdente) ma ad una con somma diversa
da zero (perché laddove le posizioni si fonderanno, si approderà ad una con due vincitori e nessun
perdente). Come suggerito da Thomas Gordon l'applicazione del metodo senza perdenti richiederà che
l'operatore di prossimità favorisca la reciproca comprensione tra le persone invitandoli a manifestare le
proprie preoccupazioni, muri e bisogni manifestandoli con messaggi in prima persona ed evitando di cadere
in accuse o giudizi. Sarà inoltre importante adoperarsi nella valutazione delle varie soluzioni possibili,
individuando le ipotesi e comparandole al fine di giungere alla scelta di quella che favorisce la maggiore
soddisfazione comune.
Gruppo = il termine, derivante dalla lingua celta e germanica “crup” cioè stringere insieme, ammassare e
dal tedesco “kropt”, cioè nodo, indica una realtà relazionale Caratterizzata da coesione, interazione e
cambiamento. Più in dettaglio si distinguono
A volte i membri dei contesti di prossimità fanno parte te di gruppi secondari tipo quelli culturali, di
volontariato, spirituali. In tali casi è importante coinvolgere man mano tutto il gruppo nel percorso di
crescita relazionale. Quando un gruppo è unito e coeso è molto più efficace, il noi è sempre più ricco
dell’insieme dei singoli componenti. Quando le persone non fanno parte di alcun gruppo secondario si
potrà favorirne la divisione ad una realtà già esistente oppure si potrà avere la nascita di un gruppo nuovo.
In questo caso l'impegno dell'operatore di prossimità consisterà innanzitutto nel favorire l'aggregazione di
alcune persone disponibili. Per fare questo non basterà riunirle periodicamente ma occorrerà anche
aiutarle ad attivarsi insieme. La condizione necessaria per avviare un gruppo è che le persone siano
disponibili ad un esperienza di partecipazione sociale e intenzionato a farlo con gli altri, altrimenti
l'operatore non potrà fare nulla. Mentre a volte la nascita di un gruppo avviene con difficoltà, in altri invece
è una semplice conseguenza. Man mano che il percorso evolverà attraverso varie fasi (come l'analisi dei
bisogni, stimolazione della condivisione, obiettivi da perseguire, valutazione delle possibilità d'azione,
predisposizione di un piano d'azione con ruoli e compiti , etc.) il gruppo maturerà una consistenza fino a
determinare nei membri la consapevolezza di farne parte. In questo contesto l'operatore di prossimità
dovrà prestare attenzione alla comprensione dei bisogni di ogni singolo membro avendo in mente che in
ogni persona sono presenti esigenze varie. Egli favorirà in ciascun partecipante la maturazione di
un’adeguata apertura agli altri, basata sul riconoscimento del valore altrui e sulla convinzione che ogni cosa
che una persona fa o pensa ha un motivo. Poi dovrà saper aspettare evitando di incorrere nell’errore di
accelerare poiché questo creerebbe una relazione di dipendenza, anziché di collaborazione, tra lui e il
gruppo. Nei casi eccezionali in cui emerga una totale incapacità dei membri, allora l'operatore potrà
attivarsi sostituendosi loro per il tempo minimo necessario ad innescare il processo, poi dopo dovrà
rientrare nel suo ruolo.
Nella prima fase di vita del gruppo l'operatore di prossimità svolge una funzione di guida. Dovrà dedicare
impegno nel curare la qualità dei momenti di incontro del gruppo svolgendo a tal fine ruoli flessibili.
Quando le persone coinvolte nel gruppo hanno già rapporti tra loro, possono innescarsi dinamiche critiche
poiché costoro potrebbero tendere a replicare forme adeguate di dialogo. Occorre che l'operatore di
prossimità sostenga le conversazioni evitando alterazioni ed orientandole verso gli obiettivi dell’incontro.
L'operatore potrà intervenire, fare domande oppure osservazioni ed è possibile che servono diversi incontri
prima che le persone si concentrano davvero sul bisogno da affrontare e sugli obiettivi.
▪ Una delle attenzioni che l'operatore dovrà avere è quella di favorire la “rottura del ghiaccio” tra
coloro che non si conoscevano, stando attento ad evitare che si creino situazioni di indifferenza e di
imbarazzo. Un ottimo aiuto sarà offerto dalla condivisione della gioia, cioè dalla previsione di piccoli
spazi informali (come prendere un caffè) che ammorbidiscano la parte dell’incontro.
▪ Un'altra attenzione dell'operatore sarà quella di organizzare gli argomenti di discussione optando
per temi sui quali ognuno possa contribuire e dire la propria. Nel guidare gli incontri l'operatore
dovrebbe avere ben chiari gli obiettivi che intende perseguire, pur restando aperto ad eventuali
modifiche.
▪ Un'attenzione particolare dovrà essere posta nell’affrontare i conflitti e i sentimenti, adottando
strategie di negoziazione che puntino ad affrontare le difficoltà in chiave evolutiva.
Le fasi tipiche del ciclo di vita di un gruppo secondario, che hanno al centro del proprio impegno la
realizzazione di attività rivolte all’esterno, (es. gruppi di volontariato) sono
1. Il punto di start: è il momento in cui nasce il gruppo. Si tratta di una fase evidente nei gruppi
spontanei caratterizzata da un piccolo numero di membri, da un’elevata densità relazionale poiché
tutti si conoscono bene, da un’intesa progettuale sul cosa si vuole realizzare e perché, da una
ridotta densità operativa, connessa al fatto che il gruppo alla nascita ha poche attività concrete. Il
punto di start si colloca in alto a sinistra del grafico.
2. La fase di avvio e sviluppo iniziale: riguarda il periodo di sviluppo iniziale del gruppo; può avere
durata variabile compresa in genere tra alcuni mesi e un anno. Si tratta di una fase caratterizzata
dall’aumento dell’entusiasmo e dell’enfasi iniziale, connessa alla gioia di vedere concretizzarsi le
azioni che si erano ipotizzate. È una fase dove non ammette forme di avvilimento o rinunce. Qui il
gruppo si incontra con frequenza elevata; aumenta la densità operativa, il numero dei componenti,
l’intesa-progettuale, la densità relazionale. Dal punto di vista grafico questa fase è rappresentata
dal punto che avanza verso l’alto e verso destra.
3. La fase di plateau: il gruppo giunge a questa fase (letteralmente “altopiano”), cioè ad un punto nel
quale all’aumento delle attività e della numerosità del gruppo non corrisponde un incremento della
densità relazionale e dell’intesa progettuale, che restano più o meno stabili. È un periodo che può
durare da alcuni mesi a qualche anno. È una fase in cui si riduce il numero degli incontri del gruppo
e più frequentemente ci si ritrova in sottogruppi anche in base alla suddivisione dei ruoli e dei
compiti per lo svolgimento delle attività. Sul piano cartesiano il punto si muove in orizzontale verso
destra.
4. La fase di indebolimento: andando ad ampliare le attività o il numero dei componenti possono
iniziare ad emergere alcuni segnali di indebolimento. L’elevato numero di componenti impedisce
una conoscenza reciproca, il che fa nascere un senso di estraneità. Proseguendo, gran parte dei
membri inizia a trovarsi nella condizione di non conoscere gran parte dei componenti, riducendosi
la quota di coloro con i quali si ha un rapporto di confidenza. Ciò determina una crescente difficoltà
del gruppo a coinvolgere i nuovi membri nel reticolo relazionale; molti restano ai margini. Nel
frattempo, nella maggior parte dei gruppi avviene che alcuni dei fondatori vengono meno e in parte
sono sostituiti da persone altrettanto intime. Gli stessi incontri, inizialmente presenti, iniziano a
divenire meno numerosi e a perdere la capacità di consolidare le relazioni vista la presenza di
persone estranee le une alle altre. Inoltre, il ridotto numero delle riunioni, impedisce un confronto
adeguato perché l'aumento delle complessità moltiplica la quantità di elementi da valutare e porta
a dei sottogruppi. Tutto questo non solo contribuisce al venir meno di alcuni membri vecchi e
nuovi, ma anche all’insorgere di una serie di problemi operativi e sempre più spesso queste azioni
restano incompiute. Inizia cioè ad esserci aria di crisi, il che porta al disorientamento. Il nostro
punto continua a muoversi verso il lato destro del grafico ma poi inizia a scendere. Per fronteggiare
la crisi, il gruppo a seconda delle soluzioni adottate transita in una delle tre seguenti fasi:
Nei gruppi che fin dalla loro nascita mettono in atto specifiche strategie di rafforzamento relazionale e
riflessivo-progettuale e che ricorrono a qualche periodo sabbatico, la fase di indebolimento può anche non
aggiungere e non si giungerà alla soglia di sfaldamento. Quando questo avviene, manifesta una
consapevolezza, da parte di chi guida il gruppo, dell'importanza di tale dimensioni e del rischio che si
correrebbe nel tralasciarle. Sotto questo aspetto l’empowerment relazionale va inteso come un lavoro
costante che accompagna tutta la vita del gruppo.
Nella realtà vi sono anche formazioni gruppali miste, che hanno sia obiettivi esterni che di mutualità
interna. L’analisi delle singoli fasi si limita a considerare la combinazione di quattro indicatori:
o La coesione o densità relazionale tra i membri, cioè il grado di intimità, di sintonia emotiva, di
reticolazione;
o L’intesa progettuale, cioè il grado di sintonia inerente le finalità e gli obiettivi del gruppo, le priorità
d’azione, lo stile operativo, le modalità di interazione con l’esterno;
o La densità operativa, cioè la quantità e la complessità delle azioni messe in campo, la loro
distribuzione sui territori, l’onerosità globale del carico;
o La dimensione del gruppo, cioè il numero dei componenti, la loro dispersione geografica, il grado di
eterogeneità o di omogeneità (età, interessi, professione, etc.).
La vita di un gruppo necessita, dunque, di attenzioni costanti. A tal proposito evidenziamo la necessità di
tenere fluidi i confini del gruppo. La partecipazione di diverse persone si esprime con livelli di intensità vari,
soggetti ad evolvere nel tempo. Occorre allora pensare al gruppo come una realtà costituita da tre fasce:
Con il passare del tempo alcune persone possono transitare verso le fasce più interne e altre possono
spostarsi verso l'esterno poiché vivono fasi di rallentamento. Alcuni di questi dopo un periodo di tempo
intensificano nuovamente l'impegno, mentre altre restano ai margini. Quindi è importante che il gruppo si
impegni a tenere fluidi i confini, nel senso che deve permettere di variare l'intensità della partecipazione
senza che nessuno si senta escluso o sovraccaricato.
Alla riflessione sui confini è connesso quella sulla modulazione del ritmo del percorso gruppale. Quando il
gruppo ha un ritmo sostenuto si presenta vitale ma occorre evitare i carichi eccessivi, per evitare
l’affaticamento e il rischio di abbandono. Ugualmente bisogna evitare di assumere ritmi troppo bassi che
genererebbero nel gruppo debolezza e stanchezza. Occorrerà invece impegnarsi in una continua
modulazione, cercando di individuare il ritmo giusto in quel dato momento.
a) area della solidarietà impossibile, con elevato grado di responsabilità e consapevolezza ma priva di
condivisione tra le persone. Si tratta di una zona fredda nella quale le persone, pur consapevoli del
come e del perché essere solitari, non vi riescono perché schiacciate dai propri problemi che
affrontano in solitudine
b) area della non solidarietà, in cui alla condivisione e alla consapevolezza non corrisponde
un’adeguata responsabilità e cioè non vi è un concreto impegno solidare a favore degli altri. Vi sono
quei meccanismi di indifferenza tra le persone
c) area della solidarietà inconsapevole, con buoni livelli di responsabilità e di condivisione ma privi di
un'adeguata consapevolezza da attribuire alla mancanza di un percorso di riflessione, formazione e
di approfondimento delle modalità dell’agire. I rischi qui sono vari, dalla realizzazione di azioni
superficiali, alla trasformazione in organismi spesso appiattiti sul mercato
(CONSAPEVOLEZZA)
(area di capacitazione
solidale)
SOLIDARIETA’ INCONSAPEVOLE)
I gruppi di self-help: In questi gruppi, detti anche di auto- aiuto, i membri mentre riflettono su una data
questione, si aiutano reciprocamente. Il primo a parlare di auto- aiuto è stato un filosofo russo all'inizio
degli anni 70 del secolo XIX. Egli vedeva in questi gruppi l'espressione di una tendenza dell'essere umano
alla cooperazione e alla mutualità. Queste mutualità erano rinvenibili già dall'antica Roma, dove gruppi
religiosi sviluppavano forme di reciproco aiuto, dedite ad assicurare ai defunti esequie dignitose e sostegno
o le Trade Unions, sorte ad opera di lavoratori specializzati al fine di tutelare le proprie prerogative
professionali, minacciate dallo sviluppo del sistema industriale, prima con funzioni assistenziali e
poi diffusasi a livello nazionale con scopi sindacali.
o Le Friendly Societies, diffusesi successivamente in Gran Bretagna, consistenti in gruppi auto – aiuto
costituiti di persone interessate a condividere forme di reciprocità a fini assicurativi, pensionistici,
di gestione del risparmio, etc.
Il self-help contemporaneo vede la sua nascita nel 1935 con la Fondazione dell'Associazione “Alcolisti
Anonimi”, nata dall' incontro di un agente di borsa di Wall Street ed un medico chirurgo di Akron, entrambi
alcolisti, i quali si resero conto che condividendo le loro esperienze e aiutandosi a vicenda riuscivano a
mantenersi lontani dall’alcol. Oggi testimonia che l'auto-aiuto è un vero e proprio metodo di cambiamento
personale che può contribuire al benessere e all’empowerment degli individui. Le caratteristiche comuni
dei gruppi di self-help sono:
• la condivisione del problema, il racconto della propria storia e il confronto con altre situazioni
simili. Permette di attivare il doppio canale della destrutturazione del problema e della
ricostruzione del senso di sé
• l'apprendimento connesso all’esperienza e alla messa in atto di modalità di azioni fissate nel
gruppo ma sperimentato anche fuori dal gruppo in confronto con altri pari. Si fonda sulla
convinzione che coloro che si confrontano con certe sfide nella vita diventano esperti di esperienza
e sviluppano saperi per affrontare situazioni simili
• la reciprocità degli aiuti (sostegno reciproco) che consente l'identificazione con il problema
consentendo ad ogni membro di essere allo stesso tempo fruitore e fornitore di aiuto. Si pone alla
base della cosiddetta cura dell’aiutatore, secondo la quale chi offre sostegno agli altri riceve a sua
volta aiuto
Dunque, come evidenzia Mara Tognetti Bordogna, l'azione dei gruppi di self-help offre risposte non solo
alla parte emergente dei problemi (cioè ai sintomi) ma approfondisce il legame con gli individui e giunge
alle cause personali dei problemi; determina quindi i cambiamenti al di là del problema immediato.
Capacitazione: libertà sostanziale di un soggetto all'interno del sistema. Questo concetto è da connettere al
cambiamento del significato della povertà, sempre meno indicativa della carenza di mezzi. Si tratta di un
costrutto che richiama il corrispondente italiano “rendere capace”, cioè rendere abile ad una cosa, idoneo,
esperto. Carlo Dondolo lo definisce un processo di apprendimento in cui si sviluppano competenze.
Dunque, un'azione che mira a rafforzare le capacità che i soggetti hanno per fronteggiare problemi e
difficoltà. Le attività di conoscenza e comprensione e di reticolazione razionale e gruppale sortiscono un
effetto di capacitazione, sia perché la presenza dell'operatore di prossimità produce dei cambiamenti, sia
• Lavanco lo indica come il processo mediante il quale gli individui aumentano le possibilità di
esercitare un controllo attivo sulla propria esistenza, sviluppando abilità che permettono loro di
fare una lettura critica della realtà sociale e stimolando l'elaborazione di strategie per il
raggiungimento di obiettivi.
• Folgheraiter lo definisce un processo che dal punto di vista di chi lo esperisce significa “sentire di
avere potere” o “sentire di essere in grado di fare”. Dal punto di vista di chi lo facilita significa un
atteggiamento capace di accrescere le probabilità che le persone si sentano in grado di fare. Il
termine deriva dall’ambiente statunitense degli anni ‘50- ‘60 del secolo scorso, dove venne
introdotto per indicare alcuni movimenti per la tutela dei diritti e il riconoscimento
dell'uguaglianza.
• Il termine empowerment in ambito psico-sociale è stato introdotto per indicare l'aumento della
possibilità delle persone di esercitare un controllo sulla propria vita e di dare risposte ai propri
bisogni. Lavanco e Novara propongono di distinguere una variante psicologica dell’empowerment,
che consiste nel senso di padronanza e controllo che il soggetto sperimenta, è una variante
oggettivo- ambientale che attiene alle risorse che si trovano in ambiente.
• Claudia Piccardo dice che l’empowerment può riguardare sia un oggetto a rischio sia un oggetto
che del rischio corso porta le ferite.
• Marc Zimmermann distingue tre diversi livelli di analisi: degli individui (empowerment psicologico),
delle organizzazioni (empowerment organizzativo), della comunità (empowerment socio politico).
Allargando il discorso viene alla mente il libro “Messaggio per un'aquila che si crede un pollo”, pubblicato
da Anthony de Mello all'inizio degli anni ‘90. L’aquila ha appreso di non essere capace di volare, cioè ha
vissuto esperienze che l'hanno fatto sperimentare l'incapacità di controllare una situazione di volo. In tali
casi convincersi delle proprie incapacità attese è automatico. Per rompere questa cappa, occorrerà aiutare
il nostro aquilotto a vedere e sperimentare le sue risorse. Così occorrerà lavorare sulla rimozione dei fattori
esterni che impediscono l'attivazione delle persone in un processo in cui la tensione dovrà spostarsi dalle
carenze agli ostacoli. Per quanto riguarda i livelli di power raggiunti dalle singole persone, occorre rilevare
l'esistenza di caratteristiche della personalità. In particolar modo va esplorato il cosiddetto locus of control,
cioè l'attribuzione di causalità che una persona fa dei risultati raggiunti ritenendoli frutto della propria
attivazione o causati da fattori altri. Un altro elemento utile è quello dell'autoefficacia, in particolare
rispetto alla probabilità di raggiungere gli obiettivi fissati (cosiddetta aspettativa di risultato) e alla
probabilità di attivarsi in modo adeguato (aspettativa di competenza).
Gli interventi proposti per il livello individuale muovono nella direzione di accompagnare le persone a
maturare un approccio alla vita più attivo e si concentrano su tre assi: le competenze, l'autostima, la
creatività. Tali azioni possono rivolgersi a target ristretto di persone svantaggiate, quindi mettendo in
campo dinamiche di tipo riparativo, oppure aprirsi ad una platea di soggetti assumendo una valenza di tipo
preventivo- promozionale. I processi di empowering sono quasi tutti di tipo relazionale: il lavorare con gli
altri (per le empowerment individuale), il condividere decisioni e responsabilità (organizzazioni), lo
sviluppare coalizioni e connessioni con tutti (livello di azione socio politico). Dunque emerge una positiva
escalation simmetrica, nella quale l’empowerment psicologico di ciascuna persona è sostenuto dallo
sviluppo di legami con gli altri. Tutto questo determina il distanziamento da condizioni di incapacità appresa
e accompagna ciascuno verso un orizzonte di competenza definito da alcuni come comunità competente.
Secondo Zimmerman si può evidenziare inoltre che i processi proposti per il livello delle organizzazioni e
per quello della comunità declinano il tema relazionale con chiavi inerenti la leadership, il sistema di
responsabilità, etc. È utile infine chiamare le cosiddette tecniche di auto-cambiamento le quali se non
utilizzate, possono contribuire al percorso di capacitazione delle persone. Sono tecniche attuate dalla
persona che beneficia. Uno strumento utile è quello del Personal Learning Audit, consistente in un
questionario che consente a persone di qualunque età di analizzare i propri atteggiamenti nei confronti
LA PARTECIPAZIONE SOCIALE:
Un tema conseguente alle riflessioni sulla capacitazione e sull’empowerment è quello della partecipazione,
cioè dell'attivazione delle persone alla costruzione dei processi collettivi, alla promozione del bene comune,
al governo della polis. Si tratta di una dimensione rilevante che rappresenta uno dei principali aspetti del
lavoro di prossimità. Nei contesti post-moderni quello che emerge è un processo di fuga dalla
partecipazione e di ritiro nel privato. Molti popoli ritengono che il tempo vada dedicato al lavoro, alla
famiglia, alla salute e agli interessi personali. L’allontanamento dalla società trova accelerazione in quel
sentimento di inadeguatezza che le persone avvertono nei confronti della res pubblica, dovuto a mancanze
di esperienze. Occorre rilanciare la partecipazione, che non si esplica solo nell’andare a votare o nel seguire
i fatti di cronaca politica, ma anche nell’impegnarsi in prima persona nel perseguimento di uno scopo
sociale. Occorre chiedersi in quale modo sia possibile favorire una sana attivazione della gente: uno spunto
ce lo offre l'idea che la partecipazione si apprenda praticandola; occorrerà dunque stimolare le persone alla
realizzazione di alcune esperienze positive. A tal riguardo una soluzione è quella di favorire esperienze
associate e non solitarie in modo che i primi passi appaiano alla portata delle persone.
Una delle forme per innescare i processi di capacitazione e partecipazione attiva delle persone al contesto
comune è quella di coinvolgerli nella fase di analisi di ideazione del percorso, riconoscendo loro una
competenza connessa ai loro profili professionali e all’essere esperti di esperienza. Tale forma di
coinvolgimento può essere riassunta con il concetto di progettazione sociale partecipata . Essa consiste in
un lavoro che coinvolge tutti i membri di un gruppo nella definizione dell’azione comune che si intende
portare avanti. Essa si sviluppa nelle seguenti fasi:
La progettazione sociale valorizza il ruolo dell’esperto e lo coinvolge in modo più articolato perché è
costretto a comunicare le proprie idee e a sollecitare un contributo da parte dei propri interlocutori.
o Una forma particolare di progettazione è quella che si innesca quando i rappresentanti scelgono di
ricorrere alle pratiche di sostegno, cioè di incontro con i cittadini per ricevere loro aiuto per la
raccolta di informazione, di richieste e pareri.
o Altro esempio di progettazione è quello proposto dal modello dell'action planning che consente alla
comunità locale di predisporre programmi facendo sì che i partecipanti locali contribuiscano sul
contenuto e sulla struttura del programma. Questo approccio permette la creazione di visioni
condivise sullo sviluppo della comunità, azioni finalizzate alla rimozione di elementi che ostacolano
Come già detto, per accompagnare l’avvio di un ciclo di partecipazione sociale, occorre far fare alle persone
alcune esperienze di stimolo, delle brevi tappe iniziali, che confermino la percezioni di capacità, rinforzino
la disponibilità e l’impegno. Tornando all’aquila di De Mello, occorre aiutarla a fare alcuni “primi voli”.
Saranno voli protetti, accompagnati ma brevi, semplici e pur sempre veri, reali che confermeranno al
votatile di non essere un “pollo” e che stimoleranno il desiderio di proseguire, di volare più in alto. Per far
questo occorre abbassare la soglia di accesso alla partecipazione con lo scopo di favorire l'attivazione del
maggior numero possibile di persone, proponendo loro di vivere piccole esperienze iniziali. Questo non
impedisce di proporre in seguito più intensi percorsi, ma all'inizio occorre andarci piano.
o attività di breve durata che non richiedono impegni di lungo periodo; quella più soft è l'esperienza
una tantum, alla quale sarà possibile partecipare anche solo una volta.
o attività di gruppo alle quali la persona partecipa insieme agli altri non svolgendo quindi un ruolo
indispensabile, il che le permette di sentirsi libera.
o attività di affiancamento, utili per partecipazioni che comportano attività complesse.
Uno degli aspetti da considerare è quello della verifica di compatibilità tra il percorso di partecipazione e il
corredo di capacità (abilità, competenze, esperienze) che dispone la persona. In quest’ottica abbassare la
soglia, non significa proporre attività semplici, ma attività che valorizzino i punti di forza della persona. Ciò
permetterà a ciascuno di fare esperienze positive e in questo caso si tratta di personalizzazione della
soglia. A tal riguardo è bene considerare due diverse aree di competenza:
➢ l'area delle capacità specifiche, relative allo svolgimento di compiti particolari come aiutare nello
studio un ragazzo in rischio di bocciatura scolastica, richiede che la persona sia in possesso di buone
competenze nelle materie
l’abitare sociale è inteso come la possibilità d’intendere un modo attivo del cittadino di risiedere nella
propria zona di residenza. C’è il rischio che la partecipazione sia percepita come percorso alla portata solo
di persone benestanti. Se intendiamo stimolare percorsi di partecipazione diffusa occorrerà calarli negli
spazi di ogni giorno, intrecciandoli con gli impegni, le passioni e i problemi delle persone. Facciamo alcuni
esempi:
Il bisogno di partecipazione: è utile evidenziare che la partecipazione delle persone non esprime solo un
potenziale impegno ma anche ad un loro profondo bisogno. Possiamo affermare che partecipare fa bene,
sia come fonte di capacità apprese e quindi di maggiore benessere personale sia perché essa contribuisce a
contrastare le passioni tristi, tipiche dell'adolescenza ma che interessano anche altre fasce della
popolazione. In questa linea in un testo, Carlo Maria Martini sottolineava che le pratiche di partecipazione
e di solidarietà attiva reggono nel tempo solo nella misura in cui sono sostenute da un adeguato spazio di
gioia. La condivisione delle gioie, come abbiamo visto, è una delle strade per entrare in una relazione
sempre più profonda; ecco che gite, compleanni, feste e giochi non sono semplicemente azioni di svago
bensì assumono il valore di spazi di prossimità e di capacitazione.
PRATICHE ATTIVE DI SOLIDARIETA’ RELAZIONALE: una forma importante di partecipazione sociale è quella
che si esprime nell’attivazione di pratiche attive di solidarietà sociale (volontariato). Intendiamo qui riferirci
a quella porzione di pratiche solidali che mettono al centro del proprio operato l'offerta di relazioni di
vicinanza e le attività di assistenza materiale. Concentriamo la nostra attenzione sul sostegno informale,
cioè su quelle pratiche di solidarietà che vengono attivati spontaneamente dalle persone quando si trovano
di fronte a determinati bisogni. Si affiancano degli operatori istituzionali e del terzo settore, realizzando
forme di aiuto popolare rivolto a quei bambini, famiglie, anziani, etc. che vivono situazioni di disagio
sociale. Si tratta di pratiche definite relazionali per indicare che consistono nell’offrire spazi di conoscenza,
frequentazione e amicizia a persone che per vari motivi ne sono rimaste prive. È un importante campo di
partecipazione. Di disponibilità ve ne sono sicuramente più di una, eppure accade raramente che si
traducono in concreta attivazione con la conseguenza che una parte di anziani bisognosi restano sprovvisti
di queste forme di accompagnamento. C'è un problema di innesco, cioè i potenziali accompagnatori non si
propongono per mancanza di confidenza, perché temono di essere invadenti o anche perché non sono a
conoscenza del desiderio dell’anziano di essere accompagnato. Per facilitare la cosa ci si potrebbe attivare
proponendola e organizzandola.
in un contesto in cui facilmente si pensa al sistema di welfare e di protezione sociale come a un qualcosa di
esclusiva competenza di servizi professionali, parlare di ascolto rimanda all'immagine degli sportelli di
ascolto socio-sanitari, dove si recano coloro che hanno un bisogno. Sono questi contesti di ascolto formale,
intendendo con ciò che l'ascoltatore svolge una funzione sulla base di un ruolo e di una apposita
organizzazione in determinati orari e con specifiche modalità. Una tipologia di ascolto meno tecnico ma
comunque formale, è quello attivato dalle Caritas diocesane e parrocchiali. In questi casi gli operatori sono
soprattutto volontari senza competenze specialistiche, preparati a questo ruolo dalle Caritas stesse
attraverso percorsi di formazione. Anche in questo caso però l’ascolto si svolge in una struttura in
determinati orari e secondo particolari procedure. Oggi è necessario che il sistema dell’ascolto formale sia
integrato da un ascolto diffuso ed informale, intendendo con ciò riferirci all’ascolto operato
spontaneamente. Si tratta di una dimensione assai preziosa perché esprime la capacità delle persone di un
contesto di prossimità di essere attente agli altri membri, è espressione dell'attenzione all'altro, ai suoi
vissuti e le sue difficoltà. Questa modalità risponde maggiormente il bisogno di ascolto generale che hanno
le persone. È noto infatti che una parte dei bisognosi non si recano ai centri di ascolto né a quelli delle
Caritas o altri. I motivi sono vari: non ci vanno per un senso di riservatezza, si sentono a disagio nel
raccontare le proprie difficoltà persone sconosciute, non hanno fiducia, hanno impedimenti come orari di
lavoro o assenza di mezzi di trasporto. All’opposto vi sono le situazioni di persone che tendono aggirare
servizi e centri di ascolto nel tentativo di ottenere maggiori aiuti. L'ascolto informale, realizzato da persone
cioè del vicinato, da colleghi, conoscenti, potrebbe superare l'una e l'altra difficoltà, ascoltando senza
umiliare. Non si intende però affermare l’inutilità dei centri di ascolto formale ma piuttosto il bisogno di
integrarli. All'ascolto informale segue che una parte delle risposte possa avvenire
o in modo diffuso e informale: le risposte qui sono relative a quelle situazioni nelle quali, avendo a
che fare con bisogni che non richiedono risposte specialistiche o molto complesse, possono essere
affrontati direttamente dalle persone come conseguenza spontanea ed immediata all’ascolto. Ad
esempio il bisogno di un momento di dialogo, di un accompagnamento in qualche luogo, etc.
o in modo formale e strutturata: se ascoltando i bisogni, dovesse emergere la necessità di dare
risposte più articolate, sarebbe opportuno accompagnare le persone ad un punto di ascolto
formale affinché si proceda con il valutare una eventuale presa in carico più articolata.
Cosa orienta le intenzioni, la volontà, i desideri, le decisioni verso il bene comune? Certamente la tessitura
relazionale e fiduciaria contribuisce gradualmente. L'esperienza mostra che, accanto a questi percorsi
graduali, la disponibilità delle persone a mettersi in gioco può essere stimolata da alcuni incontri “speciali”.
Si tratta di incontri che “cambiano il cuore e la vita” delle persone orientandola verso il bene. Questi
incontri “potenti”, sono riassumibili in due categorie:
➢ incontri con gli indifesi, ovvero coloro che soffrono gravissime condizioni di solitudine e non hanno
nessuna possibilità di porvi rimedio: bambini privi dell'affetto dei genitori, disabili privi di amici,
anziani non-autosufficienti abbandonati, rifugiati che fuggono dalla guerra, etc. L'incontro con
costoro, se significativo, cambia la vita perché il contatto con la sofferenza interpella quella
solidarietà che ciascun essere umano ha dentro di sé.
➢ Incontro con i testimoni, cioè coloro che hanno compiuto scelte importanti, di dedizione totale alla
cura degli indifesi e alla costruzione del bene comune. Persone che hanno deciso di donarsi
completamente agli altri rischiando e rimettendoci in prima persona. Pochi restano indifferenti di
Non di rado la vita quotidiana scorre così veloce che anche in quei quartieri nei quali gli indifesi e i
testimoni ve ne sono molti, gran parte della gente residente non li incontra se non ci si organizza. Le
modalità da adottare possono essere diverse. Accanto alle classiche ed efficaci testimonianze, consistenti
nell’invitare alcuni testimoni a prendere parola in occasioni di pubblico raduno, assai utile può essere la
valorizzazione di quelli che la Caritas italiana chiama i luoghi segno, cioè le case d'accoglienza, i centri diurni
ed ulteriori luoghi. L'invito a trascorrere una giornata in questi luoghi può offrire alle persone del quartiere
un’occasione di incontro ravvicinato. L'efficacia dell’incontro con gli indifesi e con i testimoni è alla base del
successo di due ulteriori modalità di “sensibilizzazione alla solidarietà”:
• Appelli = consistono nella diffusione (tramite canali di comunicazione mediatica come giornali,
televisioni, radio, siti web) di richieste di aiuto nelle quali vengono presentate alcune situazioni di
bisogno invitando gli ascoltatori a rendersi disponibili a dare una mano. Gli appelli mettono le
persone a contatto con gli indifesi e questo attiva maggiori risposte.
• Passaparola = si ispira al filone dell’incontro con i testimoni. Intendiamo infatti l'impegno di coloro
che praticano forme di solidarietà attiva a parlarne con i loro vicini, colleghi, parenti e amici
invitandoli a mettersi in gioco. Il passaparola rientra nelle cosiddette strategie di marketing
conversazionale, finalizzate a far aumentare il numero e il volume delle conversazioni inerenti un
certo prodotto o servizio. Ma nel caso della solidarietà sociale il passaparola non è riducibile solo ad
una tecnica per aumentare la notorietà di qualcosa. Come ben evidenziato da Pasquale Addesso la
diffusione della carità non è pianificabile ma il metodo è quello dei testimoni, cioè famiglie che
trasmettono il desiderio di accogliere. L'efficacia del passaparola è da attribuire al fatto che
l'apertura alla solidarietà chiede alle persone un percorso di maturazione non accrescibile tramite
la semplice informazione generale ma di una testimonianza vera, ricca, da farsi conoscere dal cuore
delle persone. La disponibilità si attiva quando le famiglie vedono altre famiglie fare solidarietà,
quando le scoprono impegnate nella cura dei figli non propri. La diffusione della disponibilità ad
impegnarsi in pratiche di solidarietà richiede dunque una trasmissione diretta, da persona a
persona, un contatto ravvicinato. Richiede una relazione tra chi già vive l'esperienza e il
destinatario dell'invito.
IL CAMMINO FORMATIVO:
La formazione è una delle attività di capacitazione più diffuse oggi e offre a coloro che vi partecipano la
possibilità di apprendere e crescere in termini di conoscenze, capacità, atteggiamenti. Può concentrarsi
sulla trasmissione di informazioni o anche mediante l'attivazione di una riflessione sull’esperienza. Il
riferimento scientifico dei diversi modelli ed approcci oggi attivi, trae origine dalla gioia dei training group
elaborata da Kurt Lewin per aumentare nei partecipanti la consapevolezza di se stessi, delle relazioni
interpersonali e delle dinamiche di gruppo. La parola training rimanda all'idea dell'addestramento,
dell'allenamento, del tirocinio, cioè ad una serie di approcci formativi non soltanto teorici. Fin dalla
formazione in aula occorrerà adottare modalità interattive, che coinvolgano i partecipanti valorizzandone le
esperienze. Occorre cioè attuare modalità efficaci di formazione che intrecciano momenti frontali, di
gruppo e riflessioni su casi concreti. La formazione ovviamente non sarà soltanto iniziale ma occorrerà
mettere in campo un programma permanente, che accompagna il percorso delle persone.
è evidente a tutti la capacità persuasiva degli strumenti di comunicazione di massa. La facilità con la quale
viene raggiunto un numero elevatissimo di persone, la capacità della comunicazione audio-visiva, stimolare
emozioni e pensieri, rende i mass media uno strumento potentissimo che può contribuire all’evoluzione del
contesto di prossimità. Le forme a cui ricorrere possono essere sia quelle delle cosiddette “pubblicità
progresso” con il lancio di messaggi espliciti di informazione su determinati temi, sia di tipo implicito
inserendo i contenuti nella trama di film, fiction, etc. L’azione dei media non è sempre efficace,
specialmente per quanto riguarda la determinazione di scelte non facili e il cambiamento di comportamenti
complessi. Non esiste messaggio che influenzi se non è supportato dall’ambiente circostante. L’azione dei
media è un tassello utile ma non sufficiente per attrarre risorse umane e per informare la comunità dei
cambiamenti avviati.
Patti di collaborazione ordinari: (…) interventi di cura di modesta entità (…); (…) pulizia, imbiancatura,
piccola manutenzione ordinaria, giardinaggio, allestimento, attività culturali e formative,…
Patti di collaborazione complessa: riguardano spazi e beni comuni che hanno caratteristiche di valore
storico, culturale o che, in aggiunta o in alternativa, hanno dimensioni e valore economico significativo, su
cui i cittadini propongono di realizzare interventi di cura o rigenerazione che comportano attività complesse
volte al recupero, alla trasformazione e alla gestione continuata nel tempo per lo svolgimento di attività di
interesse generale.
Per le singole organizzazioni il primo passo da compiere è quello della conoscenza e della comprensione. Un
primo aspetto da considerare è che molti contesti di prossimità non sono riducibili ad un unico soggetto,
bensì si compongono di numerose diverse entità organizzate. In tali casi non sarà possibile compiere un
solo percorso di analisi organizzativa ma occorrerà dedicarsi alla conoscenza di ciascuna realtà. Come
Lavanco e Novara spiegano, è possibile indicare tre diverse scuole: quella relazionale, naturale e sistemica e
quindi compiere analisi organizzative classiche, delle relazioni umane e per sistemi. I principali elementi
distintivi delle tre scuole sono:
Francescato, Tomei e Ghirelli intendendo valorizzare ciascuna delle tre scuole sopra elencate, hanno
proposto l'adozione di uno schema da loro denominato analisi organizzativa multidimensionale. Tale
schema propone di esplorare l'organizzazione attraverso quattro diverse dimensioni:
o la dimensione strategico - strutturale, consistente in una sorta di analisi storica della struttura, in
particolare dell'evoluzione degli obiettivi, dei bilanci del patrimonio, delle sedi e dell'assetto
giuridico. Si tratta di una dimensione che punta a comprendere la quantità e la qualità delle
prestazioni, la distribuzione di ricchezza e di potere che vengono dal territorio dove l’ente è
impegnato
o la dimensione funzionale, che punta la tensione sulle funzioni che devono essere espletate per il
perseguimento degli obiettivi. Approfondisce tre sistemi: il sistema di controllo di gestione, relativo
alla pianificazione dell'attività operativa; il sistema operativo, relativo alla produzione del servizio
dando attenzione all’acquisizione, trasformazione e collocazione delle risorse dei mezzi finanziari e
delle conoscenze; il sistema informativo, relativo ai dati sui risultati raggiunti e alle attività di
acquisizione, archiviazione, elaborazione e trasmissione a chi gestisce il sistema di controllo
o la dimensione psicodinamica, che sposta l'attenzione dagli aspetti razionali a quelli relativi ai vissuti
delle persone. Allo scopo di permettere il riconoscimento e l’elaborazione dei conflitti latenti, al
fine di farli evolvere verso il miglioramento e la crescita individuale e dell'organizzazione
o la dimensione psico ambientale, che concentra l'attenzione sulle reti di relazioni interpersonali e le
relative dinamiche.
“Essere una guida responsabile favorendo la partecipazione”, frase che fa da sottotitolo alla traduzione
italiana del libro Leadern Effectiveness Training (tradotto con leader efficaci), pubblicato da Thomas
Gordon. Il sottotitolo del libro coniuga il principio della partecipazione con quello della responsabilità del
leader. Nel testo richiamiamo: l'invito a considerare che avere il ruolo di leader non basta per essere un
Leader non significa semplicemente capo; da una ricerca sono emerse ben 8 differenti tipologie di
leadership che nell’ordine d’importanza sono risultate:
1. lo stratega
3. il comandante
4. il creatore di gruppi
5. il creativo
6. il competente
7. il coinvolto
8. il passionale
Johnson ha proposto l'analisi etimologica della parola leader: “la parola inglese lead ha più di mille anni, la
sua radice anglosassone laedare significa guidare delle persone lungo un viaggio influendo sulla
destinazione e sulla direzione che il gruppo deve prendere. Il termine leadership comparve nel 1800. Un
leader è una persona che può influire sugli altri così che questi siano più efficienti nei lavorare per il
raggiungimento di un obiettivo comune e riescano a mantenere efficaci relazioni di lavoro.”
o capacità di influenza sociale, quindi della messa in atto di uno stile e di singoli comportamenti che
orientano le persone in un verso piuttosto che in un altro
o obiettivi comuni, proponendo quindi una connotazione del leader non ripiegata sui propri
personali interessi ma attenta a quelli di tutti, che egli condivide
o team, cioè squadra, persone che lavorano insieme per raggiungere gli obiettivi. Il capitano guida la
squadra, ma è tutta la squadra che gioca. È la forza del collettivo la vera risorsa vincente.
Gli stili di leadership sono modalità generali adottate dal leader durante il suo operato, le quali influiscono
sul raggiungimento degli obiettivi; lo stile migliore dipende dalla situazione. Alcuni leader sono:
➢ autocratici: impartiscono ordini e determinano l'azione senza coinvolgere i membri del gruppo
nella decisione. Alcuni autori li definiscono autoritari o direttivi
➢ battistrada: è il primo a buttarsi nella mischia, risolve i problemi, dà e chiede il massimo dai
membri del gruppo. Gli altri sono selezionati in base all’efficienza e alla sintonia con il suo stile
➢ coach: sono concentrati sul potenziamento dei propri collaboratori, di cui ispirano l’impegno e la
dedizione. Svolgono un costante ruolo di motivatori della squadra
A fronte di questo quadro è scontato ritenere che un buon leader sia quello democratico - autorevole-
partecipativo e non gli altri. Lavanco e Novara propongono una tripartizione parzialmente differente:
▪ modello autoritativo- verticistico, crea rapporti subalterni tra un leader che detta compiti e
squadre di esecutori che si occupano di portarli a termine
▪ modello funzionale- piramidale con diversi livelli di azioni ricoperti da fasce di persone con ruoli
paralleli
▪ modello democratico- circolante, quello in cui il leader stimola la creazione di una rete di rapporti
tra tutti i partecipanti. L'obiettivo è il potenziamento di tutte le risorse umane.
La tripartizione mira ad evidenziare che nessun stile di leadership è in assoluto il migliore ma che va
considerato in base alla situazione, cioè agli obiettivi, tempi, risorse disponibili. Il modello verticistico infatti
si presenta efficiente nella guida dei gruppi in situazioni di tempi ridotti, con scadenze imminenti. Il modello
funzionale- piramidale propone una struttura a matrice dove emerge la gerarchia decisionale ma una parte
delle funzioni di guida è legata a dei capisquadra. In questo aumenta la complessità del processo
decisionale e operativo con un allargamento dei tempi e con maggiore attenzione alla valorizzazione e
vissuti delle persone. Il modello democratico- circolante è caratterizzato da una forte incertezza dei tempi
e anche dall' emersione dal basso di obiettivi inizialmente non contemplati.
Williams e Hierck propongono una lista delle caratteristiche assunte da un gruppo guidato da un leader
democratico- circolante: la condivisione del ruolo di guida tra più persone, valorizzazione delle persone,
realizzazione di lavori e prodotti collettivi, avere discussioni aperte, assunzione di decisioni comuni. Questa
analisi ci porta a riflettere sulla connessione tra lo stile adottato dal leader e le caratteristiche assunte dal
gruppo che guida. Uno degli elementi ai quali leader deve prestare attenzione è quella del clima
organizzativo. Si tratta di un concetto che può essere inteso in senso soggettivo, riferendoci alla percezione
che le persone hanno dell'organizzazione e che influenza i vissuti e comportamenti. Ad esempio la
percezione di un buon clima collaborativo induce le persone ad essere aperte allo scambio con gli altri. Il
clima organizzativo può essere inteso anche in senso oggettivo, riferendosi cioè a quei comportamenti
favoriti o contrastati dall’organizzazione. Questo aspetto può essere denominato anche cultura
organizzativa, cioè il sistema di valori, credenze, abitudini che orientano i comportamenti dei membri. Sia il
clima che la cultura sono il frutto di varie scelte, accadimenti, problemi e successi. A volte queste liste
vengono esplicate in una sorta di manifesto. Quando l’esplicitazione è frutto di una riflessione partecipata
dal basso, essa contribuisce all’approfondimento del senso di comunità percepita dalle persone. Una sintesi
efficace degli elementi che caratterizzano il buon clima e una positiva cultura organizzativa è proposta da
Johnson e Johnson con l’acronimo F. U. N . C. T. I. O. N. I. N. G.:
o Understand: i fatti e i ragionamenti degli altri vengono compresi ripetendone con parole proprie
quanto si è compreso
o Note: attenzione ad annotare in modo chiaro quali sono le direttive secondo le quali il gruppo deve
procedere
o Note (2): si prende nota dei bisogni degli altri membri del gruppo
Come si superano i conflitti a lavoro? Acquisendo una visione non giudicante della realtà e passando dalla
conferma egoica a quella animica (Parlare Pace, Rosenberg).
La crescita del benessere di un contesto territoriale è al centro dell'azione di gran parte degli enti che vi
operano. Per dare efficacia all’insieme degli interventi, è necessario un adeguato raccordo tra tali diversi
enti. La necessità di lavorare in rete con gli altri enti attivi sul territorio è evidenziata nelle normative che
regolano vari settori della vita locale. Un'indicazione è presente nella Legge Quadro n 328 del 2000 che
indica il bisogno di attivare sistemi integrati di servizi e interventi. Per assicurare una piena tutela dei diritti
sociali e favorire la crescita del benessere, occorre collaborare con tutti coloro che svolgono un ruolo
significativo nei territori e coinvolgerli in una messa in opera del sistema. Queste ed altre indicazioni
normative hanno portato ad accordi di programma, protocolli, convenzioni etc. che hanno sancito le
modalità di lavoro di tali reti. Occorre tuttavia rilevare che a questa enorme produzione di accordi formali
non corrisponde un altrettanto vasta attivazione di sinergie reali. L’ostacolo al funzionamento delle reti
sarebbe il loro essere state calate dall'alto, senza un coinvolgimento attivo delle persone. Bisogna tener
presente la dimensione psicodinamica delle organizzazioni segnalata da Francescato, Tomai e Ghirelli che
evidenzia la presenza nei gruppi di vissuti e dinamiche interpersonali, spesso conflittuali, che addirittura
bloccano la realizzazione del percorso. La strada per superare questo è dare attenzione alla dimensione
psicologica e relazionale, favorendo il riconoscimento dei conflitti ed attivandosi in un percorso di
elaborazione che li traduca in occasione di crescita evolutiva. Che la collaborazione di reti funzioni poco, è
emerso in occasione della Conferenza Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza promossa dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e tenutesi a Bari nel 2014, Dove si sottolinea ho la necessità di superare ogni
inutile scollamento tra servizi sociali, sanitari e educativi.
Lavorare insieme non è semplicemente stare intorno ad un tavolo con persone che hanno formazioni
diverse. Nell’accompagnare un gruppo di lavoro composto da più persone occorrerà fare attenzione
Sanicola suggerisce anche di mettere in campo un’adeguata cura delle relazioni. La rete relazionale tra gli
operatori va facilitata, consolidata e diffusa. Uno dei primi passi da fare è quello di procedere alla
esplicitazione delle connessioni relazionali positive, disegnando la mappa della rete informale, capace di
evidenziare le connessioni amicali e le coalizioni esistenti tra gli operatori. I metodi sono vari, ad esempio
quello dell'analisi organizzativa multi dimensionale che permette di evidenziare le connessioni
interpersonali. I manuali sul lavoro di rete suggeriscono vari strumenti come: la carta di Todd, la carta di
Rousseau, la tavola del supporto, etc. Accanto all’azione di analisi e mappatura dei reticoli informali,
occorrerà mettere in campo percorsi volti a favorirne la crescita . Tali azioni sono definibili con la dicitura
Team Building. Quando in un percorso di rete tra enti si giunge a comprendere l'importanza di rafforzare
l'integrazione relazionale tra le persone, spesso ci si orienta erroneamente nell’attivazione di forme di
intensificazione generale. L'ampliamento delle relazioni richiede tempo dedicato e non può essere
intensificato in modo generico. L'esito difatti sarebbe quello di sovraccaricare inutilmente il sistema con
l'effetto di determinare uno sfiancamento relazionale. Ciò che invece può essere opportuno mettere in
campo sono le azioni di intensificazione relazionale mirata ad esempio individuando nella rete i puls taker,
cioè le persone maggiormente vicine a tutte le altre. Un'altra indicazione è quella di rinunciare alla
strutturazione di organigrammi formali, al fine di valorizzare le reti emergenti, sostenendo la capacità di
auto-organizzazione nelle reti informali e attribuendogli specifici compiti.
Annamaria Campanini ci ricorda che per progettare una rete tra servizi, può essere utile collegarsi alle
esperienze di scambio già in essere, a quelle reti naturali non programmate e non governate da un entità
superiore che collegano tra loro operatori e servizi. Si tratta di favorire la nascita e il consolidamento di reti
informali tra operatori, che parte dalla ricerca definisce comunità di pratica, intendendo quegli insiemi di
persone, congiunte da vincoli di relazione informali, che condividono una certa pratica comune. A tal fine
sarà opportuno organizzare incontri periodici di formazione, momenti di convivialità, confronti con reti
analoghe di altri territori, etc. Sarà importante anche individuare reti informali già esistenti e valorizzarne il
ruolo.
Un'altra indicazione è quella di investigare le singole specifiche relazioni per mettere in campo interventi
mirati per favorire il miglioramento di ciascuna connessione relazionale . Alcuni testi propongono liste di
ingredienti di un buon team. Una di queste indica:
Fabio Folgheraiter nel libretto “Sorella crisi” suggerisce di incamminarsi con i colleghi su un sentiero che
coinvolga tutti, ognuno con le sue storie e con i suoi bisogni, aprendosi alla possibilità che ciascuno possa
essere risorsa per l'altro. L'invito è ad essere aperti, intrecciando la competenza professionale con una
necessaria disponibilità relazionale e incamminandosi sulla strada della corresponsabilità, cioè del
rispondere e dell’agire insieme in una traiettoria di condivisione. Un'attenzione particolare viene data ai
flussi di comunicazione interna che, se ben condotti, facilitano il senso di appartenenza e favoriscono il
consenso di tutti sulle decisioni man mano prese; riducono le incomprensioni e aumentano il livello di
apprezzamento reciproco.
Considerata la complessità degli interventi sociali e dei percorsi di crescita, occorrerà optare per lo sviluppo
di sistemi di comunicazione policentrica e pluridirezionale. Dunque al centro della qualità del lavoro di una
squadra gli operatori si pone la presenza di buoni livelli relazionali. Intrecciandoli con i necessari livelli di
competenza ed impegno professionale, possiamo avere la seguente funzione T=f (P x R), dove
Provando a collocare questa funzione su un sistema cartesiano, che riporti sull'asse delle ascisse (x) il grado
di qualità professionale e su quello delle ordinate (y) il grado di qualità relazionale, otteniamo lo schema
riportato di seguito
efficienti
1) “No Welfare Area” (III quadrante), caratterizzata da scarsi livelli di relazione, di professionalità e
impegno, in cui la rete è inesistente e il lavoro sociale si mostra inefficace ed inefficiente.
2) “Area dell'Esperto Solitario” (II quadrante) e Area del Volontarismo (IV quadrante) nelle quali, per
motivi diversi, si raggiungono livelli di parziale efficacia ed efficienza della rete.
3) “Area del Good Team” (I quadrante), ovvero della buona squadra, caratterizzata da elevanti
standard relazionali e professionali in cui la qualità del lavoro sociale svolto raggiunge significativi
livelli di efficacia ed efficienza.
Il modello dell'agire sussidiario è sviluppato da Pierpaolo Donati, il quale amplia la definizione classica di
sussidiarietà interrogandosi sui criteri di regolazione dei rapporti tra enti. Donati propone la seguente
definizione di sussidiarietà: “l'espressione della norma di reciprocità che un soggetto autonomo esercita per
la capacitazione (empowerment) di un altro soggetto autonomo”. Al centro vi sono dunque due soggetti
autonomi l'uno dall'altro ma che scelgono di utilizzare le proprie energie per rafforzare quelle dell’altro.
Questo modello proposto da Donati invita a considerare, facendo un esempio pratico, che nel rapporto tra
il servizio sociale territoriale e un'istituzione scolastica occorre che il primo aiuti l'altra ad essere migliore e
che viceversa la scuola sostenga il servizio sociale nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Ben poco potrebbe
realizzare il servizio sociale di un paese, privo di buone istituzioni scolastiche. C'è bisogno che operatori,
dirigenti e policy maker imparino a cogliere la coincidenza di una parte degli obiettivi delle diverse
istituzioni e dei diversi enti, atteso che tutti lavorino a supporto della stessa realtà locale. Questo
chiederebbe l'elaborazione di un piano di intervento generale, pensato e attuato con la partecipazione di
tutti gli enti svolgendo ciascuno il suo ruolo.
Bisogna ora interrogarsi su quali siano i percorsi che meglio possono contribuire allo sviluppo di modalità di
funzionamento relazionali. Uno stimolo di grande utilità ci viene offerto dalle istituzioni di Karl Edward
Weick e ripresi da Stefano Zan, sull'analisi dei legami organizzativi. Se ne parla nel forum online di
confronto tra operatori sociali:
o “riferendosi ai servizi socio-sanitari ed educativi alcuni autori parlano di sistemi a legame debole
per indicare lo scarso collegamento tra le diverse parti del sistema. Non c'è relazione forte e certa
tra input e risultato. Il grado di prevedibilità che caratterizza i legami forti è tipico, ad esempio,
della fabbrica dove un operaio ha un effetto certo su alcune operazioni in una catena di montaggio.
In ambito socio-sanitario abbiamo, invece, legami deboli perché il comportamento di un operatore
può comportare risultati diversi in persone diverse e addirittura risultati diversi nelle stesse
persone”.
Qui il termine relazione e legame non indica il rapporto tra due persone o tra due enti ma vengono indicati
come sinonimo di connessione operativa, in quanto come abbiamo visto sopra sono deboli. C'è da chiedersi
quindi come sia possibile, in questi ambiti, condurre l'azione di governo, perseguire obiettivi di gruppo, etc.
Secondo Weick e Zan il tipo di leadership esistente in organizzazioni a legami deboli deve essere diverso da
quello in organizzazioni a legami forti. Insomma, il processo in ambito educativo e socio-sanitario può
essere condotto solo se si lavora ad una sintonizzazione interiore tra i vari operatori. Tutto questo si può
sintetizzare con “più condivisione e meno accordi”.
Lia Sanicola nel suo testo sull'intervento di rete indica la necessità di:
➢ individuare un oggetto comune che si colloca nell’intersezione dei campi di intervento di diversi
enti
➢ procedere all’individuazione degli enti avendo attenzione che non siano solo immanenti nella
realtà sociale, ma lo siano in modo radicato e che ciascuno abbia le condizioni per partecipare agli
obiettivi della rete
➢ identificare uno o più nodi di base a cui ancorare la rete, cioè persone disponibili e capaci di tenere
in piedi il reticolo relazionale e organizzativo
➢ impegnarsi a offrire vantaggi a tutti per favorire il concreto intreccio di percorsi dei vari enti
➢ tradurre in azioni concrete l'esistenza della rete per evitare forme apparenti di connessione ,
limitate a discorsi e dibattiti
➢ mantenere il tutto con una struttura leggera in modo che sia sostenibile nel tempo senza
comportare investimenti troppo onerosi
• livello operativo, cioè le connessioni relazionali ed azione tra gli operatori dei diversi enti coinvolti
nella rete
• livello progettuale, relativo all’attivazione di una partnership tra diversi enti, inerente alcuni
obiettivi comuni perseguiti tramite iniziative
Quest’analisi ci permette di evidenziare che occorre che tutti e quattro i livelli di strutturazione siano
presenti ed attivi. Una rete solo operativa avrebbe i caratteri della parzialità se non sostenuta da livelli di
strutturazione superiori. All'inverso una rete strutturata solo sul piano istituzionale e organizzativo
resterebbe inattiva e vuota.
LA RELAZIONE TRA SERVIZI E POPOLAZIONE: È utile proporre una classificazione dei servizi elaborata da
Fabio Folgheraiter in base al livello di relazionalità:
▪ Livello 1. Servizi relazionali impersonali o simil-robotici erogati da una persona ad un'altra senza che
la qualità della connessione umana tra i due conti qualcosa nel determinare la qualità del servizio o
del bene erogato. Esempio: un medico del pronto soccorso misura la pressione ad un paziente semi
svenuto
▪ livello 2. Servizi relazionali strumentali in cui la relazione serve per erogare la prestazione tecnica
specifica come nel caso dell'assistente sociale che deve esercitare un controllo su un genitore che
tratta male i figli
▪ livello 3. Servizi relazionali in assenza in cui la relazione e il servizio in sé senza che sia funzionale
all’erogazione di una prestazione. Esempio: coloro che assistono una persona disabile
▪ livello 4. Servizi relazionali generativi in cui le relazioni producono beni comuni, come gruppi di
auto mutuo aiuto in cui le persone e i diversi ruoli si relazionano per un bene comune
▪ livello 6. Servizi relazionali come organizzazioni aperte alle relazioni societarie deputati al supporto
del lavoro di rete dei propri professionisti
È bene tener presente che le interazioni tra operatori formali e persone si iscrivono in un ambito
relazionale diverso da quello dei rapporti informali che le persone sperimentano nella quotidianità dei
rapporti familiari o amicali. Per capire la dinamica, ci aiutano due citazioni:
➢ la prima è tratta da un saggio di pedagogia sociale in cui si evidenzia che le istituzioni vincolano,
conformano e assimilano i soggetti; li omologano e li tutelano ma non come soggetti singoli.
o In merito alla comunicazione occorrerebbe approfondire il tema del marketing dei servizi
inteso come strategia comunicativa capace di diffondere valori e promuovere benessere
alla comunità;
o in merito alla relazione occorre interrogarsi sul grado effettivo di vicinanza sociale e di
prossimità tangibile messa in atto dai servizi.
Il sociologo Piero Fantozzi, parlando di accoglienza, pone in evidenza il tema della responsabilità della
promozione delle reti indicando che essa riguardi sia la vita e le relazioni di comunità sia le istituzioni e i
servizi pubblici, con una differenza: se nella vita comunitaria la responsabilità si vive entro il confine
dell'appartenenza e nei legami di vicinanza, nella realtà dello Stato essa dovrebbe essere esercitata nei
confronti di tutti. In questi percorsi un ruolo determinante possono svolgerlo gli operatori prossimi, cioè
quelle figure che lavorano all'interno del tessuto locale svolgendo un ruolo formale ed entrando in contatto
con la gente; parliamo di medici di famiglia, insegnanti, catechisti, etc. Da soli potranno fare ben poco e
quindi l'invito è di attivare micro-reti locali di operatori. Il ruolo delle istituzioni diviene di ulteriore sostegno
alla partecipazione popolare quando si ha a che fare con situazioni di disagio sociale. Bisogna infatti tener
presente che l'aiuto informale nei processi di aiuto che riguardano in particolar modo le famiglie in
difficoltà, ha senso solo qualora vada ad integrarsi, ma non a sostituire, il lavoro dei servizi istituzionali.
Occorre cioè puntare sull'integrazione tra intervento formale e informale.
Nel vocabolario Treccani, troviamo la seguente definizione di disagio: “mancanza di agi, senso di pena e di
molestie provato per l'incapacità di adattarsi a un ambiente, a una situazione”.
Provando a riformulare il concetto con altre parole, il disagio può essere definito come qualcosa di negativo
che emerge quando mancano i fattori di benessere. Dunque, il disagio non si configura come difficoltà in
quanto tale, ma come difficoltà irrisolta; non per questo ad ogni difficoltà corrisponde un disagio. Le
difficoltà possono avere maggiore o minore entità. Alcune forme di difficoltà hanno
• altre nascono in seno alle relazioni primarie (difficoltà di ordine psicologico connessa alla qualità
delle relazioni familiari)
Ciò che rende una difficoltà disagevole è l'insufficienza delle risorse per fronteggiarla. In situazioni diverse,
una piccola difficoltà priva di risposte può recare disagi maggiori di una grande difficoltà bilanciata
dall'attivazione di risorse e supporti. Questa riflessione diviene significativa se la intrecciamo con l'analisi
etimologica della parola “disagio” propostaci dal Dizionario di Servizio Sociale nell’edizione curata da
Annamaria Campanini (vedi pagina 3 de “gli assistenti sociali non rubano più i bambini?”). Questa
definizione non parla della presenza o dell’assenza di problemi. Essere disagiati, significa essere lontani,
soli, isolati dagli altri. Contro, ciò che produce benessere sarebbe lo stare insieme. Intrecciando tali
significati etimologici con quelli del linguaggio comune, possiamo trarre che la capacità delle persone di
permanere in situazioni di benessere o il loro scivolamento verso situazioni di disagio è da imputare alla
sufficienza o insufficienza della loro rete relazionale nel dare risposte alle difficoltà che man mano che si
presentano.
Pierpaolo Donati, nell’introdurre il testo di Fabio Folgheraiter sulla prospettiva di rete nel lavoro sociale,
precisa che il disagio, il quale emerge nella vita di una singola persona o di un singolo gruppo di persone, è
l’espressione di un problema più profondo della rete relazionale in cui questi sono inseriti. Di conseguenza,
un intervento di sostegno che concentrasse l’attenzione solo sulle difficoltà vissute dal singolo
assomiglierebbe ad una di quelle cure sintomatologiche che pur rispondendo alla contingenza immediata di
un’emergenza sanitaria, non procedono con una vera azione terapeutica, cioè che non vanno a colpire le
cause del malanno. Si correrebbe il rischio di cadere nel paradosso denunciato da Tonino Bello in
riferimento a chi affronta i problemi senza porsi nella logica di rimuovere le cause che li determinano.
Lavorare sui problemi della rete relazionale permette, invece, di andare alla radice del disagio. Lia Sanicola
precisa che la relazione interpersonale connota i problemi e le soluzioni, e che il disagio non esiste in se
stesso. Per fronteggiare il problema specifico dell’individuo occorrerà lavorare per risolvere le
contraddizioni della rete, cercando di migliorare le relazioni. Occorre cioè partire dalla domanda di aiuto,
per porre poi al centro dell’attenzione il cambiamento nei rapporti tra persone, come modalità per
affrontare il bisogno. Donati sottolinea quanto all’approccio relazionale non solo permetta di individuare i
problemi ma anche le soluzioni. L'operatore si colloca come una sorta di simulatore di risposte altrui, cioè
interviene sulla rete affinché questa agisca sul problema. Lo stimolo a non concentrare l'attenzione solo sui
problemi e sulle responsabilità dei singoli viene confermato dal filone di riflessione cosiddetto anti-
oppressivo, che propone un'analisi delle cause di contesto che determinano il disagio delle persone. Vanno
in questa direzione, ad esempio, gli interventi di Antonio Mazzi, promotore della Fondazione Exodus e
attivo nel campo del recupero delle persone con problemi di dipendenza.
Lavoro sociale di
prossimità
promozionale
Come si può notare, nella figura abbiamo collocato nel primo quadrante (in alto a destra) il lavoro sociale di
prossimità, connotato da un approccio di tipo collettivo e preventivo/promozionale, e nel terzo quadrante
(in basso a sinistra) il lavoro sociale sui singoli casi, con caratteristiche di tipo riparativo e approccio ai
problemi di tipo individuale. Con questo grafico quello che si vuole evidenziare è l'importanza di una
strategia di lavoro capace di andare oltre la gestione delle crisi, per realizzare percorsi che siano in grado di
prevenire il disagio e promuovere risorse positive delle reti relazionali. Per chiarirci è bene esplorare
brevemente i concetti di prevenzione e di promozione.
Per quanto riguarda la prevenzione, il vocabolario Treccani la definisce come “l'adozione di una serie di
provvedimenti per cautelarsi da un male futuro e quindi l'azione o il complesso di azioni intesa raggiungere
questo scopo. Genericamente, ogni attività diretta a impedire pericoli e mali sociali di varia natura.” Il
Glossario di promozione della Salute dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nel definire la
prevenzione, “non comprende solo misure finalizzate a prevenire le insorgenza di malattie ma riguarda
anche misure volte ad arrestare l'evoluzione di una malattia già insorta e a ridurne le conseguenze.” In
particolare l’OMS indica tre diverse forme di prevenzione:
Lavanco e Novara propongono un’ulteriore classificazione delle forme di prevenzione basata sulla
distinzione dei destinatari dell’azione.
Essi individuano:
➢ una prevenzione a livello della comunità allargata, in cui gli individui ricevono l'intervento. Si pensi
alle campagne contro il fumo;
➢ una prevenzione centrata sulle fasi di vita, cioè rivolta gruppi di persone che attraversano periodi di
vita difficili in cui si è esposti a fattori di stress. Si pensi all’intervento sugli adolescenti, studenti,
anziani;
➢ una prevenzione rivolta a soggetti ad alto rischio. Si pensi agli individui sopravvissuti a catastrofi,
che hanno subito interventi chirurgici.
Nell'ambito della prevenzione primaria essi inoltre distinguono tra gli interventi che mirano a ridurre
l'impatto degli agenti ambientali negativi, contenendo i fattori dannosi (prevenzione primaria proattiva) e
gli interventi che puntano a rafforzare le capacità degli individui di fronteggiare le situazioni di difficoltà in
modo efficace (prevenzione primaria reattiva).
Nel Glossario dell'OMS troviamo un’ulteriore sottolineatura, infatti si precisa che la prevenzione è diretta
ad individui e popolazioni che presentano fattori di rischio riconoscibili, mentre la promozione si rivolge
all'intera popolazione per accompagnare lo sviluppo del benessere generale. Nell'ambito del disagio sociale
la promozione del benessere richiama un approccio all'utente centrato sulle sue risorse. Nell’intervento
sociale l'attenzione finisce con il concentrarsi sui bisogni e i problemi dell'utente, correndo il rischio di
ridurlo alle sue difficoltà. Per questo si rischia di perpetuare il ciclo dell’incapacità appresa (capitolo
sull’empowerment).
Secondo Claude Brodeur la promozione del benessere delle persone è tanto più efficace quanto più essi
possono affrontare i problemi condividendone la soluzione con gli altri ed agendo in autonomia.
All'estremo opposto la condizione di massimo malessere, per gli, è caratterizzata da una gestione solitaria
dei problemi da parte delle persone senza alcun coinvolgimento della loro rete primaria e dalla dipendenza
dalle risposte erogate dalla rete secondaria. Secondo l'intervento di rete sviluppato da Brodeur, un
adeguato lavoro di promozione del benessere delle persone deve essere centrato sulla costruzione di
percorsi relazionali che permettono il raggiungimento di una piena autonomia. Questo contributo rende
necessaria una riflessione sul volontariato, in quanto questa è una realtà che si trova in una posizione
intermedia tra le reti primarie e secondarie. Da un lato ci sono i cosiddetti natural helper, persone del
vicinato che si attivano spontaneamente offrendo sostegno a chi si trova in difficoltà e poi ci sono i piccoli
gruppi locali di volontariato, aggregazioni spontanee di persone che si coinvolgono i rapporti face to face
con i portatori di bisogni. Dall'altro lato ci sono forme più strutturate del volontariato, caratterizzate da
elevati livelli di organizzazione e divisione funzionale, che attivano nei confronti dei beneficiari relazioni
formali. Riprendendo le riflessioni di Brodeur, occorrerà tener presente che il primo gruppo di volontari è
chiamato a partecipare direttamente alla condivisione con i portatori di bisogni e con gli altri membri della
rete primaria, mentre il secondo gruppo, per la natura formale e secondaria, accompagnerà i beneficiari in
modo che diventano autonomi da loro.
1) esplorazione delle reti: lavoro che si attiva a partire dal momento in cui giunge all’operatore la
domanda di intervento. Essa si sostanzia nel lavoro di analisi delle reti primarie ancorate al reticolo
relazionale che l'utente ha in seno alla sua famiglia, al vicinato, agli amici, nel contesto lavorativo o
un altro ambiente frequentato. Di ciascuna rete occorrerà esplorare la struttura, realizzando una
sorta di “foto” che ritragga
2) Mobilitazione delle reti (sia delle reti primarie che di quelle secondarie): azioni di valorizzazione
della positività esistente, supporto alla circolazione delle informazioni, alleanza con chi manifesta
un desiderio di condivisione e accompagnamento delle persone al superamento di resistenze a
condividere, orientamento verso soluzioni possibili. Gli obiettivi perseguiti con la rete primarie
saranno di riattivare i legami esistenti, supportare le persone di sostegno (cosiddetti care giver) e
favorire una distribuzione più ampia di responsabilità, coinvolgere eventuali aiutanti presenti,
stimolare l'attivazione dell'utente affinché anche egli diventa aiutante di altri, promuovere la
partecipazione ad un gruppo di mutuo-aiuto.
Fabio Folgheraiter propone un'ampia descrizione del lavoro di guida relazionale delle reti. L'azione che
svolge un operatore che entra in contatto con una persona portatrice di problemi, viene denominata
lavoro in rete e il lavoro sovraordinato nei confronti della rete intesa complessivamente prende il nome di
lavoro di rete o anche guida di rete. La funzione di guida si sostanzia in particolare nell’accompagnare la
rete ad attivarsi e favorendo il riorientamento dei processi. Si parte quindi dal presupposto che, di fronte a
un problema, i membri della rete tendano spontaneamente ad attivarsi ma che questo, nelle reti
disfunzionali, avvenga in modo scoordinato ampliando il disagio che si vorrebbe superare. Il ruolo di guida
si concentra sul favorire il direzionamento di quanto già sta avvenendo e per fare questo non effettuerà
azioni di contrasto, evitando interventi volti alla riparazione dei problemi. Si impegnerà piuttosto a svolgere
un lavoro di retro-informazione, cioè di dialogo con i membri della rete offrendo loro una riformulazione di
fatti, sentimenti e vissuti. Folgheraiter precisa che per svolgere questo ruolo l'operatore sociale deve aver
presente una generica direzione, comprensiva di azioni possibili che la rete dovrà scegliere e realizzare
anche grazie all’operatore ma senza forzature. Folgheraiter precisa che il lavoro di guida è un lavoro che
agisce consapevolmente sulle reti di relazioni e l'operatore punta a impegnarsi in particolare nello sviluppo
ESPERIENZE DI VALORIZZAZIONE DELLE RETI PRIMARIE: Le family group conference (in italiano riunioni di
famiglia) sono un modello di intervento partecipativo nato in Nuova Zelanda negli anni ‘80, per le pratiche
di sostegno a famiglie con difficoltà di protezione e cura dei propri figli. Esso mira al coinvolgimento della
famiglia allargata del nucleo in difficoltà. L'idea di fondo è basata sulla capacità della famiglia di attivare
risposte adeguate di fronte alle difficoltà. Gli obiettivi perseguiti da questo modello sono: il contribuire alla
protezione e al benessere dei minorenni e degli altri membri, favorire l’empowerment e la partecipazione
della famiglia, favorire l'elaborazione di progetti di intervento, sostenere l'integrazione tra la famiglia e i
servizi competenti. Il metodo prevede la presenza di almeno tre diversi ruoli:
➢ l'attivazione: il servizio sociale valuta l'opportunità di ricorrere alla family group conference e
interpella i genitori in difficoltà e il facilitatore il portavoce;
➢ la preparazione: il facilitatore incontra la famiglia e traccia una mappa della rete familiare, poi
incontra ed invita ciascuna delle persone nella riunione e organizza l'appuntamento con luogo e
orario;
➢ la realizzazione: riunione di famiglia in cui servizi sociali presentano ai convenuti le criticità che
occorre fronteggiare e ci si confronta per il problema. Una seconda parte riservata invece alla
famiglia, in cui gli operatori “escono” affinché siano i convenuti a formulare l'ipotesi di intervento.
L'ultimo momento è quello in cui la famiglia presenta agli operatori quanto si è ipotizzato di
realizzare e il servizio approva il progetto oppure chiede eventuali modifiche;
Una delle esperienze relative alla realizzazione di percorsi che favoriscono forme di mutuo-aiuto tra
famiglie in difficoltà, è quella realizzata dalla provincia di Parma mediante l'attivazione di un gruppo tra
genitori con figli allontanati dai servizi istituzionali e accolti presso famiglie affidatarie. L'obiettivo di questo
percorso è stato quello di consentire, attraverso lo scambio con altre famiglie nella loro stessa condizione,
di accedere a tutto il “non ho detto” riguardo alla loro situazione di genitori. Il percorso si è concluso in 6
incontri, di cui 4 offrivano l'occasione di visitare la loro situazione di genitori di minorenni in affido, dando
CRISI DEL WELFARE E LAVORO DI PROSSIMITA’: Come evidenziato da Zilianti e Rovai “il tramonto delle
società industriali ha creato una frattura fra stato, famiglie e singoli cittadini”, determinando un’incapacità
di produzione e di benessere da parte del servizio e l’impennata quantitativa e qualitativa di bisogni sociali
della popolazione. Sergio Tramma sintetizza in tre processi le traiettorie della crisi:
1. crescenti difficoltà del mercato del lavoro con disequilibrio quantitativo tra la quota di popolazione
occupata e la quota dei non occupati, la crisi del sistema pensionistico retributivo;
3. aumento dei costi di assistenza sanitaria connessi ai progressi scientifici e tecnologici, che rendono
le cure più valide ma anche più costose.
Questi elementi accompagnano la crisi del welfare da oltre trent'anni. In questo tempo si è assistito alla
“morte” del welfare state per l'incapacità di far fronte ai vari bisogni e disagi. Successivamente si è tentato
il passaggio verso un regime stabile tra settore di volontario settore pubblico, da alcuni definito welfare
mix. Nel panorama italiano si è generata una situazione a macchia di leopardo, con alcune zone di
eccellenza in cui, nonostante la crisi, la risposta ai bisogni sociali raggiunge standard ragguardevoli, ed
ampie zone desertiche, prive di forme di protezione sociale.
STRUMENTI DIALOGICI
Lo strumento principale del lavoro di rete sono i momenti di dialogo tra l’operatore e i componenti della
rete stessa, poiché la conversazione rappresenta il luogo privilegiato nel quale l’interazione si manifesta
nelle sue componenti di inter-soggettività e di costruzionismo. Distinguiamo:
• L’empatia: “la capacità di mettersi nei panni dell’altro”, va corredata di alcuni ingredienti:
Molto eloquente il modo in cui l’empatia viene presentata da Brené Brown, professoressa
dell’Università di Houston, in Texas. Brown dice che il dialogo con le persone richiede la capacità e
la disponibilità di stare con loro. Diversamente, la relazione sarebbe segnata dall’indifferenza per il
loro vissuto o, peggio, da un giudizio colpevolizzante e dalla pretesa di potergli impartire delle
lezioni di vita. Invita a stare in guardia dal parlare troppo presto di futuro, dal momento che
difficilmente la persona sarà subito in grado di immaginare per sé un futuro privo dal problema. In
queste situazioni si corre il rischio di perdere per strada la persona.
➢ I responsi di riconoscimento, cioè piccoli segnali come il contatto oculare, il fare cenni di
assenso con il capo, etc.;
➢ L’ascolto attivo, consistente in brevi feedback con i quali l’ascoltatore ripete a parole sue
quanto sta comprendendo della comunicazione dell’altro, trasmettendogli un senso di
accettazione di quanto sta dicendo.
➢ sul piano dei fatti, relativo alla riformulazione del contenuto stimolando eventuali
accorgimenti per migliorare la situazione. Ad esempio dire: “suo marito non le è d'aiuto” in
risposta ad una donna che sta parlando della difficoltà di gestire da sola la famiglia;
➢ sul piano dei sentimenti. Ad esempio dire: “è demoralizzata per come vanno le cose in
famiglia”;
➢ sul piano dei vissuti auto-affettiva. Ad esempio dire: “e demoralizzata perché sente che non
ce la fa più”.
1. definizione del problema: l'operatore guida il gruppo a formulare il problema inteso come
“problema della rete” e non come problema di qualcuno in particolare. La domanda stimolo può
essere: che cosa dobbiamo affrontare insieme?
2. Brainstorming: l'operatore guida il gruppo a farsi venire in mente ogni tipo di idea, anche bizzarra,
che possa rappresentare una soluzione al problema. La domanda stimolo può essere: quali nostre
azioni risolverebbero il problema?
3. valutazione delle alternative: l'operatore guida il gruppo nel ponderare i pro e contro delle varie
soluzioni prospettate. La domanda stimolo può essere: quali vantaggi e svantaggi vediamo apparire
dalle diverse soluzioni?
5. attuazione della decisione: l'operatore guida il gruppo a mettere in atto la soluzione concordata. La
domanda stimolo può essere: è chiaro cosa deve fare ciascuno di noi? Stiamo tutti facendo quanto
concordato?
6. verifica dell'esito: l'operatore guida il gruppo a valutare la congruità della nuova situazione a cui si
è giunti. La domanda stimolo può essere: abbiamo raggiunto quanto sperato?
Accanto alle tecniche e agli strumenti dialogici di cui abbiamo parlato sopra, il lavoro di rete ricorre
all'utilizzo di ulteriori elementi che favoriscono l'attività di identificazione, analisi e valutazione del reticolo
relazionale di cui la persona fa parte. gran parte di questi strumenti possiamo riassumerli in tre categorie:
• griglie di raccolta e catalogazione: schemi amatrice che permettono di approfondire vari aspetti
della rete; sono cioè tabelle composte da più righe e più colonne. Le più diffuse elencano i
componenti della rete attribuendo a ciascuno di loro una riga o una colonna ed inserendo poi nelle
varie caselle le informazioni richieste dalle aree di analisi corrispondenti a ciascuna delle colonne o
delle righe. Un esempio di griglia è la Tavola del supporto, presentata da Lia Sanicola.
Aiuto quotidiano
materiale/domestico
(cose, denaro, servizi)
Aiuto nell’emergenza
Supporto normativo
Consiglio
Ospitalità
Socializzazione, svago
La griglia permette di analizzare le funzioni di sostegno svolte dalla rete. La Tavola colloca nelle
colonne i vari membri (uno alla volta o raggruppati per tipologie, tipo famiglia, parenti, amici,
colleghi, …) e sulle righe le varie forme di sostegno che una rete può erogare (aiuto materiale
quotidiano, supporto emotivo, aiuto materiale nelle emergenze, …). Le caselle relative alla colonna
di ciascuna persona vengono poi segnate o meno con una x, a seconda della presente o assente
erogazione di ogni forma di sostegno. Una volta compilata la Tavola, sarà possibile osservare se la
funzione di supporto è concentrata solo su alcune persone o alcune tipologie di persone, etc. La
Tavola, inoltre, suggerisce di inserire alla fine il grado di soddisfazione di ogni persona di cui si sta
analizzando la rete.
FAMIGLIA/PARENTELA
Nel cerchio piccolo centrale è inserita la dicitura “EGO”, indicante la persona di cui si vuole studiare
il reticolo relazionale. L'esercizio si svolge indicando per ciascun settore (amici, vicini di casa, etc.) i
nominativi delle persone con le quali vi è una relazione. Nel farlo si evidenzierà l'intensità di tali
relazioni mettendo più vicini ad EGO coloro che hanno con lui una relazione più significativa e più
Un'altra tipologia di rappresentazione grafica è quella proposta da Rousseau all'inizio degli anni ‘80
in Canada. Essa consiste nell’utilizzo di alcuni simboli grafici, ciascuna indicante una qualità,
evidenziando la tipologia di membro (familiare, amico, etc.) e lo stato della relazione (normale,
forte, conflittuale, …). La Carta di Rousseau può essere elaborata dopo la Carta di Todd. Questo
permetterà di mantenere le informazioni offerte da quest’ultima in termini di vicinanza/lontananza
affettiva da EGO e al contempo di aggiungere ulteriori informazioni sulla qualità del legame.
➢ indicatore di densità, dato dal rapporto tra il numero di legami presenti e il numero
massimo di legami che potrebbero essere presenti. La formula per calcolare questo
indicatore è L /N (N -1), dove L è il numero dei legami attivi e N il numero dei membri. La
densità ci dice qual è il tasso di relazioni tra le persone della rete, ma non ci dice se si tratti
di relazioni forti, normali, deboli o discontinue. Allora diviene utile calcolare l'indicatore di
coesione della rete, cioè la media del percorso più breve tra ogni paio di membri.
➢ Indice di centralità locale, che misura il numero di connessioni che ciascuna persona ha
con gli altri membri della rete.
➢ betweenness, che misura la presenza o meno di legami tra i contatti diretti della persona.
ALTRI STRUMENTI:
Tutti coloro che operano nel contesto con un ruolo formale (cioè a tutti gli operatori del contesto) li
indichiamo con la dicitura “operatori prossimi”, cioè quegli operatori che hanno ruoli variegati, ma che
svolgono le loro funzioni con un particolare approccio, che li rende tessitori di legami e promotori di
relazioni.
❖ Gli operatori di prossimità rappresentano un soggetto specializzato che fa del lavoro di prossimità
il principale ambito del proprio agire. Spesso svolgono una funzione di ricerca, coinvolgimento,
formazione, attivazione, accompagnamento, … in coordinamento con i secondi.
❖ Gli operatori prossimi sono coloro che “fanno altro”, ma lo fanno “in modo relazionale”.
Nell’accompagnare il ruolo di questi operatori un’attenzione importante sarà quella di stimolare un
approccio strategico al rapporto con l’utenza, invitandoli ad essere sempre più “stimolatori di
soluzioni relazioni”. Loro compito non sarà tanto quello di risolvere i problemi, ma il compito è
quello di fornire stimoli ed eliminare gli ostacoli. Con il sostegno dell’operatore di prossimità:
➢ L’insegnante “prossimale” potrà stimolare il mutuo aiuto tra genitori e tra alunni nel gestire
insieme alcuni aspetti del percorso formativo;
Indicazioni offertoci dalla psicologia di comunità: un buon operatore di prossimità deve possedere
un’adeguata area di competenza specifica (un buon “saper fare”) fondata su una solida area di studio (un
buon “sapere”) e integrata con un adeguato “saper essere” propulsore di cambiamento e attivatore di
risorse.
Indicazioni offertoci da Lavanco e Novara: l’operatore di prossimità è una persona competente e formata
allo svolgimento di questo ruolo, capace di maneggiarne le varie tecniche. Egli deve inoltre avere alcune
caratteristiche che attengono alla dimensione dell’essere.
Indicazioni offertoci da Folgheraiter: l’operatore di prossimità è una persona che “ha il senso e il gusto della
propria relazione con gli altri che opera nello spirito della rete, cercando sempre di interagire con altri
membri a lui vicini. Il primo ingrediente, dunque, è personale, cioè si tratta di una persona che ha una
naturale predisposizione per la relazione con gli altri. Il suo agire dovrà partire dalla profonda convinzione
dell’importanza e della necessità del gioco di squadra.
Gli aspetti nei quali Lia Sanicola sintetizza l’approccio e lo stile che devono caratterizzare l’azione
dell’operatore di prossimità sono:
➢ Disponibilità: intesa come intima propensione a mettersi in gioco nella relazione con gli altri
(disponibilità interiore) e come attenzione alle condizioni operative che l’operatore mette in campo
per far sì che la disponibilità interiore possa avere ricadute anche esterne (attività di piazza, di
parrocchia, mezzi di trasporto,…);
➢ Valorizzazione del positivo: atteggiamento di fondo dell’operatore che è convinto che la realtà,
anche se contiene problemi, drammi o dolori, contiene sempre una positività. Forse solo chi vive
questa convinzione, può cogliere ed evidenziare questo. L’atteggiamento non si fonda
sull’ottimismo ma sulla ragione;
I natural aggregator sono persone che hanno per natura, storia personale, indole o per carattere una
marcata propensione relazionale. Persone che con spontaneità tessono e favoriscono relazioni “calde” con i
vicini di casa, i colleghi, etc. Con una metafora, potremmo dire che i tessitori formali sono come fornai, cioè
che svolgono un ruolo di preparare il pane comune, impastando la farina (intrecciando le relazione tra
persone), accendendo il forno (attivando contesti capacitanti), ecc. I tessitori informali sono invece il lievito,
persone del quartiere che fanno crescere il sistema relazionale di cui esse stesse fanno parte. I fornai
lavorano il pane “da fuori”, pur mettendo pienamente le mani in pasta. Vi lavorano senza diventare
anch’essi pane, restando sul secondo livello e favorendo cioè l’autonomizzazione della rete primaria da
loro. Il lievito invece lavora “da dentro”, diventando anch’esso pane.
▪ mappatura delle persone già note agli operatori formali: gli operatori di prossimità che gli
operatori prossimi nel corso delle loro attività nel territorio avranno avuto modo di incontrare e
conoscere persone dotate di attitudini relazionali. Ognuno ha una “lista personale” dei natural
aggregator. Si tratta spesso di sensazioni, mentre altre volte gli operatori hanno una conoscenza
approfondita di tale persone, dovute a collaborazioni. Dunque il primo passo è quello di lavorare
per fare una “mappa comune”, che integri le “liste” dei singoli operatori permettendo un confronto
tra loro in merito alla valutazione di razionalità dei presunti aggregator.
▪ Mappatura delle persone attive in ambiti visibili di tessitura: spesso accade che i natural
aggregator si trovano già coinvolti in alcuni ruoli, tipo rappresentante di classe, volontario di
un'associazione, animatore parrocchiale, etc. Sarà opportuno attivare percorsi di incontro con tali
persone.
▪ Mappatura delle persone che si attivano in occasione di iniziative di tipo relazionale: mettere in
campo attività di incontro, confronto e socializzazione organizzandole con modalità che rendono
“individuabili” le persone che hanno una più spiccata indole relazionale. Esempio: tornei e giochi
con squadre pluri-familiari, incontri domestici di formazione, etc.
In alcuni casi gli aggregator si trovano la guida di gruppi informali di persone e qui potrà essere opportuno
offrire alcuni supporti alla vita di gruppo con attività di monitoraggio e supervisione periodica del loro