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La scuola italiana

Enrico Andrea Pilisi

E’tempo di campagna elettorale: i numerosi demagoghi sono molto attivi nell’infiammare le


masse con mirabolanti promesse e dubbie soluzioni ai problemi più sentiti, sperando di ottenere
così il massimo del consenso.

Si parla di immigrazione, di alleanze elettorali e di pettegolezzi vari, ma il problema della scuola


viene completamente ignorato. Evidentemente la tematica viene percepita come secondaria e lo
status quo è del tutto soddisfacente per l’opinione pubblica.

Eppure i dati elaborati dalle organizzazioni internazionali dipingono una situazione disastrosa,
una catastrofe educativa che vede la scuola italiana indietro in tutto: minima è infatti la
conoscenza delle lingue straniere, della matematica ed insufficiente la comprensione dei testi
(Invalsi 2019).

Se le competenze fornite sono assolutamente minimali occorre dunque interrogarsi sulle cause e
sulle ragioni per le quali non si è adottata alcuna soluzione al problema.

La scuola primaria continua a costituire un’eccezione positiva nella tragedia educativa italiana,
con i dati che vedono le abilità dei bambini italiani poco al di sotto della media europea (OCSE
2020). I maestri sono infatti formati in modo specifico per insegnare ai fanciulli e il collegamento
con le iniziative delle associazioni presenti sul territorio stimola efficacemente la curiosità degli
allievi.

La situazione inizia a diventare difficile nelle scuole medie, i tre anni di cultura generale che lo
stato italiano vorrebbe instillare nelle menti dei preadolescenti. I giovanissimi rifiutano
spessissimo questa imposizione e non sono quindi in grado di mantenere alcuna disciplina,
nell’attesa di abbandonare definitivamente gli studi.

La risposta dello stato a questi milioni di disillusi è la segregazione classista: vengono proposti
indirizzi elitari dalla tradizione secolare per i rampolli della classe dirigente e scuole di terza
categoria per tutti gli altri.
I bambini di 12 anni naturalmente ignorano le conseguenze di una tale divisione e tendono a
propendere per la scelta già percorsa in passato dai membri della propria famiglia o della
comunità di appartenenza.

Questo meccanismo, inventato dal fascista Giovanni Gentile e mai modificato, vede oggi tra i suoi
più accaniti difensori schiere di pedanti intellettuali pronti a spiegare le ragioni filosofiche del
valore del nozionismo e dello studio a memoria.

Lo sviluppo di competenze viene genericamente respinto come “innovazione americana” e ogni


metodo innovativo scartato a tutti i livelli, per testardaggine od incapacità nell’applicarlo.

Il dibattito pubblico risulta così limitatissimo e totalmente improduttivo, concentrato su slogan


facili e su mille opinioni sganciate quotidianamente da schiere di arroganti tuttologi televisivi.

La politica italiana ha sviluppato questo penoso sostrato in un susseguirsi continuo di interventi


approssimativi, propagandistici ed inutili. A simboleggiare la cialtroneria di tali interventi sono
state le sette modifiche apportate all’esame di maturità negli ultimi vent’anni.

Non si sottrae al fallimento generale neppure l’università pubblica, sempre più costosa con rette
medie ormai prossime ai quattromila Euro. Questo fiume di denaro sempre più ampio finanzia
generosamente un sistema di potere totalmente iniquo, storicamente guidato da baroni
intoccabili e in grado di costruire da decenni serie infinite di esami pilotati.

Tali comportamenti, al limite della legalità, non provocano alcun tipo di reazione nell’opinione
pubblica .

Una simile indifferenza all’istruzione dei giovani non può che rappresentare la miseria di un’Italia
sempre più decadente. Un’Italia destinata ad un futuro di povertà, irrilevanza e di totale
sudditanza.

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