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Attrezzatura
L'attrezzatura necessaria ai nostri scopi potrebbe essere davvero tanta anche se, in effetti, per avere
giusto l'indispensabile nel proprio laboratorio non occorre di certo spendere un occhio della testa.
Per quanto ci riguarda ci limiteremo a citare gli attrezzi che assolutamente non possono mancare,
non tralasciando considerazioni sui prezzi e sulla bontà che ognuno di essi dovrebbe rispettare.
Nell'elenco che vi proponiamo abbiamo distinto con un * tutti quei componenti che non sono
necessari ma che potrebbero aiutarci nel lavoro semplificandoci la vita. Ovviamente chi ha già un
piccolo laboratorio attrezzato non deve di certo ricomprare i propri attrezzi ma effettuare solo
un'eventuale integrazione.
*Bromografo. Chi volesse autocostruirsi i propri circuiti stampati dovrebbe premunirsi di ulteriori
attrezzi come il bromografo. Questo elemento serve ad effettuare la foto incisione, tramite raggi
ultravioletti, per realizzare PCB a partire da una stampa del circuito su fogli lucidi o acetati.
*Vasca incisioni PCB. Altro elemento utile nello sviluppo di circuiti stampati è la vaschetta per le
incisioni dello stampato proveniente dalla fotoincisione.
*Percloruro ferrico. Acido utilizzato per l'incisione di circuiti stampati. Esso attacca il rame non
protetto dalla sottile lamina plastica che rimane dopo la fotoincisione del PCB ed il passaggio dello
stesso nella soda caustica. Di solito si trova in bottiglie da 1 litro al costo di 4-6 Euro oppure in
grani da sciogliere.
*Soda caustica o soluzione per sviluppo positivo. Serve a rimuovere la parte di pellicola che
protegge tutto il rame del circuito dopo aver effettuato la fotoincisione. Di solito si trova in
confezioni da sciogliere in un litro d'acqua al costo di 1-2 Euro.
*Vetronite. Questo è il supporto sul quale realizzare i propri circuiti. Si tratta di una lastra di
vetronite isolante sulla quale trova posto una sottile lamina di rame che verrà incisa e modellata a
seconda dello schema circuitale che si vuole realizzare. Si
trova sia a singola faccia che a doppia faccia (due lamine di
rame, una da un lato ed una dall'altro) e di dimensioni
variabili e dunque di costi variabili. In genere è buona
norma acquistare una lamina di una certa dimensione
(anche 30x30 cm) dalla quale ritagliare pezzi delle
dimensioni desiderate. Disponibile anche la vetronite
presensibilizzata sulla quale realizzare in modo semplice i
propri circuiti.
*Terza mano con lente. Molto utile, questo supporto dotato di 2 o più
pinzette a molla, per sorreggere la basetta durante il montaggio. La lente,
non presente in tutte le versioni, potrebbe risultare utile nei casi in cui si
debbano realizzare operazioni di precisione. Il costo si aggira dui 5-8 Euro.
Questa nostra panoramica non è di certo esaustiva, ma spera di avere elencato con precisione i primi
elementi indispensabili in un laboratorio di elettronica, necessari anche per mettere su qualche
piccolo progetto di modding. Nelle prossime pagine illustreremo l'uso di alcuni degli strumenti
visti, anche se poi sarà necessario conoscere un minimo di teoria per poter usare appieno tali
strumenti.
Uso degli attrezzi
Come detto anche nelle pagine precedenti, è molto importante avere gli attrezzi giusti ma
soprattutto saper usare quelli che si possiedono. Gli attrezzi che maggiormente vogliamo analizzare
sono il saldatore, il succhiastagno ed il tester. Per ora non prenderemo in esame tutti gli attrezzi utili
per la realizzazione di PCB in quanto questa sarà una guida solo per principianti... Al termine della
stessa valuteremo se sarà il caso di analizzare anche questa possibilità.
Il saldatore
Forse uno degli elementi più importanti nel fare elettronica e di riflesso anche per il modding ma di
certo quello su cui si nutrono i dubbi maggiori nell'uso. La saldatura a stagno, in elettronica, è quasi
un'arte! E per questo il fatto di saper saldare bene non è per nulla automatico, anche se la saldatura
necessita solo di un po' di allenamento e di un minimo di teoria per essere fatta ad arte. Ma cosa
vuol dire essere fatta ad arte? Bene, partiamo dall'inizio.
La prima cosa da fare, ovviamente, è quella di collegare il saldatore alla presa elettrica e attendere
che si riscaldi. E già da questo punto possono partire alcuni suggerimenti utili: se avete un
portasaldatore, usatelo! Lasciate il saldatore inserito al suo interno e accendetelo. In questo modo
sarete certi che il riscaldamento del saldatore avverrà in modo lento con un notevole prolungamento
della vita della punta del saldatore. Per lo stesso motivo evitate di tenere premuto l'eventuale
pulsante, presente su alcuni modelli, che raddoppia la potenza del saldatore.
Prima di cominciare le operazioni di saldatura e dopo che il saldatore sia arrivato alla temperatura di
regime (circa cinque minuti dopo averlo acceso), verificate che la punta del saldatore sia pulita
altrimenti potete usare la spugnetta, imbevuta d'acqua, presente sulla base di tutti i portasaldatore
oppure potete usare un panno di cotone umido. Fate attenzione a non scottarvi le dita, anche se
inizialmente dovrete mettere in conto anche questi inconvenienti... Ricordo le mie dita divenute
nere e dure dopo la prima settimana di utilizzo del saldatore !
Vediamo punto per punto come risolvere ogni situazione. Della prima abbiamo già parlato.
Aggiungiamo solo che per verificare il raggiungimento di una adeguata temperatura basta sciogliere
un po' di stagno sulla punta del saldatore e verificare il suo facile scioglimento.
Il punto due potrebbe essere o meno un problema a seconda che le superfici siano sporche o molto
sporche. Infatti, di solito, basta l'acido contenuto nell'anima del filo di stagno che opera una ottima
pulizia dei contatti da saldare. Nel caso in cui, invece, i contatti fossero davvero molto sporchi
allora potrebbe essere necessario pulirli preventivamente sia con una piccola spazzola che con
prodotti appositi in vendita presso tutti i negozi di componenti elettronici.
Della qualità dello stagno abbiamo già parlato nella pagina precedente anche se ci teniamo a
ribadire che questo dovrebbe essere scelto con le caratteristiche di una lega Sn/Pb al 60/40% con
anima interna con flussante. E' proprio grazie a questo flussante che la saldatura potrebbe risultare
più o meno valida.
Per il quarto ed ultimo punto cercheremo di darvi le maggiori spiegazioni possibili. La cosa da
evitare ASSOLUTAMENTE, quando si salda, è quella di sciogliere lo stagno sulla punta del
saldatore per poi depositarlo sulle aree da saldare; così facendo tutte le caratteristiche del flussante
interno allo stagno verrebbero mandate "in fumo" vanificando i benefici effetti sulla pulizia dei
contatti. La migliore saldatura è quella che si ottiene ponendo il saldatore sulle due parti da saldare,
scaldandole leggermente per qualche secondo e sulle quali verrà applicato poi il filo di stagno che
dovrebbe sciogliersi e collegare assieme le due parti. Ovviamente occorre fare molta attenzione a
che non sia scaldino troppo quei componenti molto sensibili al calore come transistor o integrati di
diverso tipo.
Ma i dettagli non finiscono di certo qui! Di vitale importanza anche il comportamento "post
saldatura". Dopo aver disciolto la giusta quantità di stagno fra i due contatti da saldare ed averlo
fatto nel modo corretto è bene anche non accelerare il processo di raffreddamento della saldatura
evitando di soffiarci sopra, ad esempio.
A questo punto, un buon controllo di quanto fatto può subito rivelare se la saldatura è "fredda" o
meno. Per saldatura fredda si intende una saldatura non ottimale che non realizza un perfetto
contatto elettrico fra le due parti; questa è determinata spesso dal fatto di disciogliere lo stagno sulla
punta del saldatore per poi applicarlo sulle zone da saldare. Essa si presenta ruvida e molto opaca,
mentre una saldatura ben fatta si presenta liscia e lucida:
Ma come diventare esperti in questo campo? Molto facile: applicate le regole di cui sopra ed
allenatevi su vecchie schede, su spezzoni di fili di rame, etc. Provate anche a sciogliere lo stagno
sulla punta del saldatore e poi usatelo per "attaccare" qualche componente fra loro e vedete qual'è la
differenza fra questa ed una saldatura fatta a regola d'arte!
Succhiastagno
Dopo aver visto come attaccare assieme due parti, è bene sapere anche come staccarle! Per questa
operazione ci aiuta l'aspira o succhiastagno. Questo strumento, usato in congiunzione con il
saldatore, permette di aspirare lo stagno presente fra circuito stampato e componente in modo facile.
Anche in questo caso, però, è bene fare un minimo di allenamento con qualche vecchio circuito
divertendosi a staccargli le varie parti perché, vi assicuro, inizialmente non è proprio così semplice
e banale come potrebbe sembrare.
Tester
Il tester è un altro strumento molto utile anche se non sempre indispensabile. Grazie a tale
strumento è possibile misurare le grandezze elettriche più importanti come tensione, corrente,
resistenza e a volte anche capacità, bontà di diodi e transistor, etc. L'utilizzo del tester lo
analizzeremo in seguito, di volta in volta, quando ne avremo bisogno. Anche perché, prima di poter
misurare tali grandezze, sarebbe bene capire cosa sono e come agiscono all'interno dei nostri
circuiti.
Alcuni consigli
Alcuni consigli potrebbero risultarvi molto utili nella realizzazione pratica dei circuiti. Oltre a quelli
già visti in precedenza per quanto concerne le operazioni di saldatura, ce ne sono altri, altrettanto
interessati:
Volendo fare una suddivisione possibile dei diversi componenti usati nel campo dell'elettronica ci
troviamo di fronte a molteplici scelte. Abbiamo pensato, perciò, di suddividere la componentistica
in passiva ed attiva sempre nell'ottica in cui ci siamo posti nel redigere questa guida: quella
dell'utilizzo della stessa per realizzare progetti di modding. Infatti, il modding richiede molto spesso
l'utilizzo di componenti passivi e, quei casi in cui andremo ad usare componenti attivi sarà solo per
circuiti di bassa complessità.
Supponendo che ci segue non abbia alcuna concezione di cosa sia l'elettronica né tantomeno quali
siano le variabili in gioco, ci proponiamo di descrivere brevemente cosa si intende per differenza di
potenziale e corrente elettrica.
Differenza di potenziale
Con il termine differenza di potenziale indichiamo una grandezza, misurata in Volt (V), che
rappresenta la differenza fra un punto ad un certo potenziale elettrico ed un altro punto di
riferimento. Tale grandezza prende il nome di tensione. Prendendo, ad esempio, una pila come
quelle quadrate piccole che tutti noi abbiamo usato almeno una volta nella nostra radio portatile o
nella nostra sveglia o altro dispositivo, possiamo leggere sul suo involucro che si tratta di una pila
da 9 Volt. Questo vuol dire che quella pila è in grado di creare una differenza di potenziale, o
tensione, ai suoi elettrodi (+ e -) pari proprio a 9 Volt.
La tensione può essere di due tipi: continua oppure alternata. La tensione continua ha un
andamento costante; alcuni esempi sono le tensioni fornite dalle pile, dalla batteria dell'auto, etc.
Nel caso di tensione continua si hanno due morsetti distinti: uno positivo che rappresenta quello a
potenziale maggiore ed uno negativo che rappresenta quello a potenziale minore. La tensione
alternata ha di solito un andamento sinusoidale e si inverte continuamente; in questo caso non è
possibile contrassegnare i due morsetti come positivo e negativo. Ad esempio è alternata la tensione
di rete 220V.
Generatore di tensione
Un generatore di tensione è un dispositivo in grado di generare una differenza di potenziale tra i
suoi morsetti. Esistono generatori di tensione continua oppure alternata.
Corrente elettrica
L'intensità di corrente elettrica (I) è il flusso di corrente che scorre all'interno di un conduttore
nell'unità di tempo. Essa si misura in Ampere (A).
Rimanendo all'interno del paragone elettrico-idrico, la corrente è data dal flusso di liquido che
scorre in un certo istante su una sezione del tubo. Un circuito elettrico è fatto di fili invece che di
tubi ma basta pensare a tali fili come ad un tubo per avere chiare le idee tanto che, come è facile
immaginare, il flusso avrà un massimo valore possibile determinato dalla sezione del tubo come il
flusso di corrente elettrica è delimitato dalla sezione del cavo. Insomma, se aumentiamo la
differenza di livello fra i punti A e B la velocità del flusso di acqua che passa da A a B aumenta:
allo stesso modo aumentando la differenza di potenziale aumenta l'intensità della corrente.
Resistenza
Finora abbiamo parlato di situazioni del tutto ideali, ma come accade anche per un circuito idrico,
anche quelli di tipo elettrico potrebbero incontrare delle situazioni non ideali, nella fattispecie delle
resistenze.
Volendo tornare al paragone con l'idraulica è stato già detto che tanto più in alto è posto il punto A,
tanto più velocemente l'acqua scorre verso B: ovvia conseguenza è una maggiore quantità d'acqua
che scorre durante una certa unità di tempo. Quello che può accadere è che lungo il tubo potrebbero
aversi dei restringimenti della sezione o anche degli ingorghi e l'acqua, in quei punti, farà maggiore
fatica a passare. Quando il liquido incontra sul suo cammino tali resistenze, esso scenderà con
minore velocità così come minore sarà la quantità d'acqua che scorre nell'unità di tempo in maniera
inversamente proporzionale alla resistenza incontrata. Lo stesso fenomeno si verifica nei circuiti
elettrici: tanto più alta è la tensione applicata al conduttore, tanto maggiore risulterà la corrente che
in esso fluisce; questa verrà attenuata, però, dalle resistenze attraversate.
La definizione di resistenza, in elettronica, è data da una proprietà che i corpi manifestano quando
vengono attraversati da una corrente elettrica presentando un certo "attrito" al suo passaggio. In
effetti la resistenza si spiega a livello microscopico come come un attrito fra cariche atomiche.
La resistenza elettrica si indica con R e si misura in Ohm ( ). Per convenzione, un Ohm è quella
resistenza manifestata da una colonnina di mercurio di 1mm quadrato di sezione e di 106.3 cm di
lunghezza posta alla temperatura di 0°.
Legge di Ohm
La legge di Ohm rappresenta la legge fondamentale dell'elettrotecnica che lega le tre grandezze
viste sinora: tensione, corrente e resistenza. Essa esprime il fatto che, in un circuito elettrico,
l'intensità I della corrente è direttamente proporzionale alla tensione V applicata e inversamente
proporzionale alla resistenza R incontrata:
I = V/R
Da cui si ricava:
R = V/I
E ancora:
V=IR
Da questa ultima espressione della legge di Ohm si ricava una nuova definizione delle grandezze
coinvolte. Il Volt rappresenta la differenza di potenziale che si misura ai capi di una resistenza di 1
Ohm percorsa dalla corrente di 1 Ampere.
Secondo la legge di Ohm nelle sue diverse forme viste sinora, siamo in grado di dire che:
Potenza elettrica
La potenza elettrica è una grandezza composta dalle due precedenti e si misura in Watt (W). La
formula per ricavare la potenza dal potenziale e dalla corrente è la seguente:
W=V*I
La potenza deriva dal lavoro compiuto durante un'unità di tempo. L'unità di lavoro è il Joule e
l'unità di potenza è il Watt: 1 Joule al secondo corrisponde ad 1 Watt (W = J/s).
Per fare un esempio calzante di cui si sente parlare sempre più spesso, attraverso questa formula è
molto facile intuire perché, quando si vuol far si che un chip consumi poco si tenta di ridurre la
tensione di alimentazione. Infatti riducendo V la potenza W si riduce di conseguenza.
P = (R * I) * I = R * I2
P = V * (V / R) = V2 / R
Componentistica passiva
Circuito elettrico
Un circuito elettrico è un sistema chiuso per la distribuzione e l'utilizzo di energia elettrica. Un
circuito di base è composto dai seguenti elementi:
1. un generatore;
2. un utilizzatore;
3. un conduttore di andata;
4. un conduttore di ritorno.
Nella immagine seguente una rappresentazione di un circuito composto da una pila (il generatore),
due fili (i conduttori di andata e ritorno) ed una lampadina (l'utilizzatore):
Resistore
Un resistore è un elemento composto di materiale ad alta resistività come grafite, nichelcromo,
impasto di carbone, etc. Generalmente un resistore si presenta come un cilindro ceramico sul quale
viene depositato un impasto resistivo oppure viene avvolto del filo metallico. Ai capi del corpo
cilindrico di materiale isolante sono disposti due spezzoni di filo connessi al materiale resistivo e
detti reofori, i quali vanno connessi agli altri punti del circuito. Qui in basso potete vedere una
immagine di alcuni resistori reali:
A seguito delle norme IEC sono stati fissati 4 gruppi di valori normalizzati per i resistori a seconda
che si tratti di resistori di alta/altissima precisione oppure di altri. I valori che vengono forniti sono
compresi nell'intervallo 0 ... 10, gli altri sono tutti multipli e sottomultipli di questi.
Il quarto gruppo, E96, consta di ben 96 valori; per i nostri scopi non avremo mai bisogno di far
ricorso a resitori di elevata precisione: quelli con il 5% o 10% di tolleranza saranno più che
sufficienti. Tornando alla tabella precedente, vogliamo fare qualche esempio: prendiamo la colonna
E12 e leggiamo i valori in essa contenuti. Tra questi, pescando a caso, abbiamo il valore 5,6 dunque
da qui sappiamo che potremmo trovare resistenze di valore pari a 5,6 Ohm, 56 Ohm, 560 Ohm,
5600 Ohm, 0,56 Ohm e così via anche per gli altri numerelli.
Sulle resistenze a filo e/o di grossa potenza, il valore di resistenza viene espresso numericamente. A
questo proposito è interessante notare che spesso appaiono delle sigle come k oppure M. Si tratta di
moltiplicatori (o multipli) che aiutano a scrivere il valore in forma concisa:
Moltiplicatori o multipli
Prefisso Fattore di moltiplicazione Simbolo Valore
Tera 10E12 T 1000000000000
Giga 10E9 G 1000000000
Mega 10E6 M 1000000
kilo 10E3 k 1000
etto 10E2 h 100
deca 10E1 da 10
unità 10E0 1
deci 10E-1 d 0.1
centi 10E-2 c 0.01
milli 10E-3 m 0.001
micro 10E-6 µ 0.000001
nano 10E-9 n 0.000000001
pico 10E-12 p 0.000000000001
Seguendo le indicazioni di quest'ultima tabella potremmo scrivere, per una resistenza da 1.000.000
di Ohm:
Adesso non ci resta che capire come interpretare il codice a bande colorate presente sui resistori.
Vediamo a cosa si riferiscono le bande presenti che possono essere in numero di 4:
Oppure 5:
Codice colori per resistori
Colore Cifre 1, 2, 3 Moltiplicatore Tolleranza
nero 0 1 -
marrone 1 10 1%
rosso 2 102 2%
arancione 3 103 -
giallo 4 104 -
verde 5 105 -
blu 6 106 -
viola 7 - -
grigio 8 - -
bianco 9 - -
oro - 10-1 5%
argento - 10-2 10%
nessun colore - - 20%
Alcuni esempi potrebbero chiarire la situazione. Supponiamo di avere un resistore a quattro bande
con la prima di colore marrone, la seconda di colore nero, la terza di colore arancione e la quarta di
colore oro. Il resistore in questione, dunque, presenta una resistenza di 10 x 103 Ohm, cioè, 10
kOhm con una tolleranza del 5%. Come vedete si tratta di un metodo abbastanza semplice!
Per i resistori di potenza l'indicazione è riportata in modo numerico, come detto in precedenza.
Anche in questo caso, però, oltre ai multipli è utile capire la logica delle indicazioni che risulta utile
anche per indicare la posizione della virgola che divide i decimali. Prendendo come esempio i vari
multipli e sottomultipli del valore 4,7 abbiamo:
Facile notare come il simbolo del multiplo viene usato al posto della virgola in modo da rendere
chiara a concisa l'indicazione del valore.
Altro parametro fondamentale per la scelta di un resistore è la potenza che esso è in grado di
dissipare. In commercio di trovano resistori da 1/8W, 1/4W, 1/2W ed 1W che sono normalmente in
carbone. Oltre il Watt si passa a resistori di potenza che possono arrivare anche fino a 50W. La
potenza che i resistori devono avere dipende sempre dalla corrente che in essi circola e dalla
differenza di potenziale che si instaura ai loro capi; infatti come abbiamo visto nella pagina
precedente, la potenza è calcolata come W = V * I.
Condensatore
Si tratta di un dispositivo costituito da due piastre affacciate l'una all'altra. Al centro di ogni piastra
viene saldato un reoforo e tra le piastre esiste uno spazio più o meno largo che può essere vuoto
oppure riempito da un materiale isolante, detto dielettrico, come vetro, mica, carta, ceramica, etc. Il
condensatore è in grado di accumulare cariche elettriche sulle armature quando fra di esse viene
applicata una tensione, in modo proporzionale a quella che è la sua capacità. La capacità del
condensatore è determinata dai tipi di materiale usato come dielettrico e dalle caratteristiche
geometriche del condensatore stesso: più larghe sono le piastre e più sottile il dielettrico, tanto più
alta è la capacità del condensatore. La capacità si misura in Farad e deriva dalla formula C = Q / V
dove C è la capacità, Q è la quantità di carica elettrica accumulata sulle armature e V la tensione
applicata ai suoi capi.
Il condensatore si comporta in modo diverso a seconda che lavori in corrente continua oppure in
corrente alternata. Un condensatore ideale il quale ha una resistenza del dielettrico infinita
rappresenta un ostacolo totale al passaggio della corrente continua e non dissipa nessuna energia.
I condensatori possono essere fissi o variabili e quelli fissi a loro volta si suddividono in poliestere,
elettrolitici, al tantalio, ceramico, etc. a seconda del materiale di cui sono fatti. Le differenze
sostanziali fra condensatori elettrolitici e quelli di atro genere, a parte il materiale di cui sono
composti, sono solo nel fatto che i primi hanno una polarità ed i secondi no.
Anche per i condensatori, come per i resistori, esiste un codice colori ed una siglatura standard per
indicarne il valore; e come per i resistori, anche i condensatori sono disponibili in una moltitudine
di valori. Quelli di valore più basso sono, di solito, di tipo ceramico a disco, quelli di valore medio
in poliestere e quelli di valore più alto sono di tipo elettrolitico. Ecco un possibile range di valori da
considerare, comunque, solo in modo indicativo:
Purtroppo, a differenza dei resistori, esistono diversi tipi di codifiche per determinare l'effettivo
valore di capacità; e la tipologia di codice dipende anche dal tipo di condensatore considerato. Per
quelli ceramici ed in poliestere, abbiamo le seguenti regole:
Nei condensatori elettrolitici, ricavare il valore di capacità reale è molto semplice, dato che il valore
stampigliato sul loro involucro è espresso in microFarad (µF) ed il valore della tensione applicabile
ai capi dello stesso in Volt. Dunque possiamo trovare, ad esempio, un condensatore da 47µF con
tensione massimo di 63Volt sul quale è stampigliata la sigla 47uF 63V. Sull'involucro dei
condensatori elettrolitici troviamo stampati anche i segni + e - che indicano la polarità dello stesso.
Induttore
L'induttore è un dispositivo composto generalmente da un filo elettrico avvolto come una bobina
che può avere o meno un supporto di avvolgimento a seconda della rigidità del filo. Come per il
resistore, il filo elettrico termina in due capi detti reofori. A seconda del numero
di spire che esso possiede l'effetto elettromagnetico generato dallo stesso verrà
più o meno accentuato. Gli induttori vengono identificati dai seguenti simboli a
seconda che si tratti di un induttore senza nucleo oppure con nucleo.
Componentistica attiva
Dopo aver analizzato alcuni componenti passivi, tra i più importanti, volgiamo la nostra attenzione
verso quelli che sono denominati componenti attivi. Si parla di componenti attivi quando questi
richiedono, per funzionare, una alimentazione e possono essere in grado di erogare energia. I
componenti passivi, invece, non richiedono nessuna sorgente di alimentazione per funzionare ma
non sono in grado di erogare energia.
Il campo della componentistica attiva è davvero molto vasto ed in questo ambito non ci proponiamo
di certo di esplorarlo tutto. Prenderemo in esame alcuni componenti che maggiormente ci
interessano e tratteremo il loro comportamento solo a grandi linee.
Il transitor
Tutti noi abbiamo qualche volta sentito parlare di "transistor". Questo componente costituisce la
base di tutti i moderni dispositivi integrati; si pensi, ad esempio, alle CPU, ai chip video, alle
memorie ma anche ai più semplici circuiti integrati disponibili in commercio. In realtà il transistor
esiste in commercio anche come singolo componente ed è proprio in questa forma che cercheremo
di usarlo e di capirne il funzionamento.
Il simbolo del transitor è visibile nella seguente figura:
I terminali evidenziati con le lettere B C E sono o tre punti di contatto che fuoriescono
dall'involucro di tutti i transistor. Questi tre terminali vengono identificati dai nomi:
• Base (B)
• Collettore (C)
• Emettitore (E)
Possiamo dire a grandi linee che il funzionamento dei due tipi di transistor risulta invertito: mentre
per un transistor NPN il collettore va collegato al polo positivo e l'emettitore al polo negativo del
circuito, per uno PNP questi si invertono.
Dal punto di vista dell'aspetto del componente reale, il transistor si può presentare sotto diverse
spoglie anche in modo dipendente dalla potenza che esso può erogare. I vari packages dove un
transistor può essere contenuto sono classificati con delle sigle che qui non approfondiremo. Vi
forniamo, invece, una foto dove potete vedere un certo numero di transistor:
Ic = α * Ie
dove il parametro α dipende dal drogaggio e dallo spessore della base (si tratta di considerazioni a
livello microscopico): il valore di α può anche superare 0.99 rendendo la corrente di emettitore
molto vicina, in valore, a quella di collettore.
Frequenza di taglio
Ogni dispositivo elettronico ed a maggior ragione un transitor, può lavorare secondo le sue
caratteristiche, solo entro un certo range di frequenze. Al di fuori di questo range il comportamento
del dispositivo non è quello desiderato. La frequenza di taglio rappresenta proprio la massima
frequenza, oltre la quale il transistor non presenta più una capacità di amplificazione del segnale.
Tale caratteristica è molto importante soprattutto se dobbiamo realizzare amplificatori audio per
frequenze elevate oppure un generatore di funzioni.
Guadagno
Il guadagno, indicato in dB (deciBel) è la capacità di amplificazione del transistor. Esso è legato
alla frequenza del segnale: di solito rimane costante fino ad un certo valore oltre il quale diminuisce
rapidamente. Questo valore limite è quello che viene definito frequenza di taglio, come
precedentemente indicato.
Se indichiamo con dIb una variazione della corrente di base del transistor e con dIc la
corrispondente variazione della corrente di collettore, il guadagno è dato da:
Esiste anche un guadagno statico di corrente del transitor. Questo parametro, hFE, è legato al
parametro α visto in precedenza e vale 99 proprio quando α vale 0.99. L'hFE rappresenta il legame
fra corrente di collettore e corrente di base:
Ic = hFE * Ib
Quando la tensione Vbe è negativa o nulla, essendo positiva la Vcc, non si ha passaggio di corrente,
dunque il transitor si trova nella zona di interdizione. Un transistor lavora come amplificatore
quando la Vbe diventa maggiore di zero e quindi la giunzione base emettitore è polarizzata
direttamente. In questa zona si vengono a creare legami approssimativamente lineari tra Ic ed Ib e le
altre grandezze. Al crescere di Vbe la corrente di base continua a crescere senza limiti; quello che
invece arriva al limite massimo è la corrente di collettore non può mai superare la corrente Vcc / RL.
Al crescere di Vbe la tensione Vce, tra collettore e massa, scende fino a diventare minore della
tensione Vbe. In tali condizioni si ha Vcb minore di zero e anche la giunzione base collettore
diventa polarizzata direttamente entrando così nella zona di saturazione.
L'impiego del transistor come amplificatore comporta il suo utilizzo in zona lineare. Possiamo
vedere cosa accade nella esemplificazione nella figura seguente dove è visibile una caratteristica di
ingresso-uscita tipica di un transistor (abbiamo visualizzato solo la zona lineare):
L’impiego del transistor come interruttore comporta il suo funzionamento sempre nella zona di
saturazione oppure in quella di interdizione; durante la commutazione da uno stato all'altro
dell'interruttore (da ON a OFF oppure da OFF a ON) la zona lineare può essere percorsa più o meno
velocemente.
Un esperimento
Proviamo a realizzare il nostro primo circuito utilizzando un transistor.
Procuriamoci, anzitutto, un transistor NPN come ad esempio un BC107
oppure un BC108. In questi transistor, una tacca sul corpo indica il pin di
collettore, di fronte ad esso il pin di emettitore ed al centro la base.
Ci occorrono, poi, due resistenze da 1/2 watt, del valore di 220 Ohm e di 1,5 KOhm, un diodo led
(quelli emettitori di luce) ed una batteria da 9V. Il diodo led ha un suo verso che se non viene
rispettato esso non si accende; il led necessita di circa 1,5V per potersi accendere alla massima
luminosità. Per individuare il verso giusto del led, occorre osservarlo in trasparenza: al suo interno, i
due elettrodi hanno una forma diversa. L'elettrodo più piccolo è il catodo (K) e va collegato al polo
positivo mentre quello più grande va collegato al negativo ed è denominato anodo (A).
Cominciamo a saldare assieme i pochi componenti utilizzando il saldatore ed un po' di stagno
oppure possiamo usare quelle basette di test piene di numerosi buchi connessi tra loro. Iniziamo ad
individuare i pin del transistor e colleghiamo l'emettitore al polo negativo della batteria.
Colleghiamo, al collettore, la resistenza da 220 Ohm. L'altro capo di tale resistenza va collegato
all'anodo del diodo led. Il catodo del diodo led lo colleghiamo al positivo della batteria. Prima di
terminare il circuito, come visibile nella figura, abbiamo già connesso il diodo led e la giunzione CE
alla pila, ma come vedete il led rimane spento...
In effetti non abbiamo fornito ancora alcuna tensione alla base del transistor. A questo punto
saldiamo la resistenza da 1,5 KOhm alla base del transistor e l'altro capo della resistenza
colleghiamolo al polo positivo. Il led dovrebbe accendersi!
Il fatto di aver connesso la resistenza di base alla tensione positiva porta lo scorrimento di una
debole corrente nel circuito di base. Tale corrente "innesca" una corrente maggiore nel circuito di
collettore che farà accendere il led. Praticamente con una corrente di pochi milliampere che entra
nella base, possiamo comandare una corrente di alcune centinaia di milliampere nel circuito di
collettore: in questo caso stiamo sfruttando il transistor come un amplificatore di corrente.
Elettronica analogica
In elettronica, come nella altre discipline, ragionare in analogico o farlo in digitale comporta
l'adottare metodi di analisi e tecniche di realizzazione completamente diverse. A basso livello, cioè
quando si scende sul circuito fisico, però, il funzionamento è pur sempre in analogico, cioè i segnali
elettrici, anche se rappresentanti 1 e 0 binari a determinati intervalli di tempo, sono comunque dei
segnali continui (approssimabili generalmente ad onde quadre).
Filtri
La realizzazione di un circuito analogico semplice prende spunto anche solo da qualche
componente passivo come condensatori e resistori. In questo caso potremmo realizzare, ad esempio,
alcuni filtri che riescono a tagliare via determinate frequenze facendone passare altre. Esistono,
sostanzialmente, quattro tipi di filtri:
Come vedete nel circuito, la misurazione a vuoto della tensione di uscita restituisce un diverso
valore della misurazione della tensione quando il circuito è sotto carico. Infatti, facendo scorrere
una corrente diversa da zero nel circuito si crea una caduta di tensione ai capi della resistenza
proporzionale, secondo la formula V = R * I, alla corrente stessa. Dunque se abbiamo, ad esempio,
questi dati:
• Vin = 12V
• R = 100 Ohm
• I = 0.1 Ampere (la corrente assorbita dal carico in uscita)
12 - (100 * 0.1) = 2V
Come vedete, con un circuito simile non si può avere una tensione di uscita stabile.
Usando un partitore di tensione, come quello raffigurato qui sopra, non abbiamo problemi di questo
genere. Vediamo, in formule, cosa accade. La tensione di uscita, Vout, è determinabile dalla
formula: Vout = R2 * I. Se andiamo a cercare quanto vale I (I è la stessa sia sulla R1 che sulla R2)
dalla maglia di sinistra possiamo scrivere:
Vin = R1 * I
da cui segue:
I = Vin / R1
Come capite, abbiamo eliminato la dipendenza da I nella determinazione della tensione di uscita;
usando un partitore di tensione la tensione di uscita è determinata solo dal rapporto R2 / R1.
Alimentatore
Infine un circuito di utilità pratica immediata: un alimentatore. Un circuito di alimentazione è
quanto di più necessario possa risultare in un qualunque laboratorio di elettronica. Nel nostro caso
l'alimentatore potrebbe essere utile per testare qualunque tipo di circuito realizzato senza per questo
realizzarne ogni volta uno ad-hoc. In effetti potrebbe essere usato anche un alimentatore recuperato
da un vecchio PC ma noi vogliamo tentare un esperimento e procedere per la nostra strada :).
Elenco componenti:
Il circuito, pur non essendo complicato, merita una dettagliata spiegazione. Per farlo partiamo dalla
sinistra dove vedete 220V. Dalla linea dei 220V della rete Enel preleviamo tensione che va
abbassata a 24V attraverso un trasformatore che riesca a fornire in uscita almeno 2A. In uscita dal
trasformatore otteniamo una tensione alternata che va raddrizzata per renderla continua: a questo
pensa RS1, un ponte raddrizzatore da 50V 3A. Sulle uscite + e - di RS1 troviamo subito due
condensatori, C1 e C2; il primo è un poliestere da 0.01 uF (10nF) ed il secondo un elettrolitico
(attenzione al verso!) da 2200 uF 50V. Questi due condensatori servono a stabilizzare la tensione
continua proveniente dal ponte. Il primo elimina i veloci picchi che possono verificarsi sulla linea
mentre il secondo spiana i picchi lenti di tensione.
Per essere precisi, anche se l'uscita del trasformatore è pari a 24V, l'applicazione di un ponte
raddrizzatore e di due condensatori di livellamento, porta la tensione all'uscita del ponte ad un
valore maggiore dei 24V, quantificabile intorno ai 28-30V.
La linea del positivo prosegue fino al piedino 3 dell'integrato LM317, un regolatore di tensione
realizzato dalla National Semiconductor in grado di tirar fuori fino ad un massimo di 1.5A. Il
piedino 2 dell'LM317 è il piedino sul quale prelevare la tensione di uscita che potrà variare da circa
2V ad un massimo di 25V. La variazione di tensione è imposta dal potenziometro R1 da 5KOhm
lineare e dal resistore fisso R2 da 240Ohm 1/2 Watt. L'ultimo condensatore in uscita termina il
lavoro di livellamento della tensione.
Per ultimo, non dimenticate di applicare una aletta di raffreddamento di generose dimensioni
sull'integrato LM317 per aiutarlo a dissipare il calore generato.
Elettronica digitale
La branca di elettronica digitale studia tutti quei sistemi che hanno una scansione discreta del
tempo di funzionamento. Questo vuol dire che in ogni sistema digitale è presente almeno un clock,
un segnale (di solito ad onda quadra) che realizza un timer: ogni evento dell'intero sistema digitale
è legato a questo timer ed avviene solo negli istanti prefissati e scanditi dal clock digitale.
Dunque si parla di elettronica digitale non perché esistano dei componenti digitali ma perché è il
sistema che viene realizzato secondo una logica differente da quella analogica dove il tempo non
era una variabile così importante. In effetti la componentistica con cui realizzare i circuiti digitali
deve per forza di cose essere analogica: solo questa scienza rappresenta la realtà, mentre quella del
digitale è una astrazione dell'uomo.
Nella sezione di elettronica analogica abbiamo parlato di filtri. Ebbene, filtri molto più complessi in
grado di discriminare sia una intera banda che anche una sola armonica possono essere realizzati in
elettronica digitale con circuiti molto più complessi di quelli RC visti.
A questo punto è necessario introdurre l'algebra booleana e l'alfabeto binario su cui si basa tutta
l'elettronica digitale. Tutti saprete, almeno per sentito dire, che la logica binaria è composta da due
soli valori, 0 e 1 che rappresentano i due stati fondamentali (vero - falso o basso - alto). Le
operazioni fondamentali possibili su tale algebra sono quelle di NOT, OR, AND, mentre quelle
derivate NAND, NOR, XOR, XNOR. Tutti questi operatori agiscono su due operandi tranne quello
di negazione o NOT. Di seguito vi mostriamo le cosiddette tabelle della verità per queste operazioni
tramite le quali è possibile leggere i risultati di ogni combinazione di due bit (il bit è l'unità minima
dell'algebra booleana: essa può assumere valore 0 oppure 1). Supponendo che A e B siano due
variabili binarie:
NOT AND OR
A NOT A A B A AND B A B A OR B
0 1 0 0 0 0 0 0
1 0 0 1 0 0 1 1
1 0 0 1 0 1
1 1 1 1 1 1
AND - Operatore di
NOT - Operatore di negazione OR - Operatore di disgiunzione
congiunzione
A questi operatori sono associate delle porte logiche disponibili integrate in chip che potete trovare
presso qualunque negozio di elettronica. Di seguito la simbologia usata per distinguerle:
Mostriamo anche quelli che sono alcuni degli operatori composti (composti perché non sono altro
che la composizione di due o più operatori fondamentali)
Anche per questi operatori esistono delle porte logiche pronte con i seguenti simboli: