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NOVEMBRE 2020

NOVEMBRE 2020 - Anno CLIII


RIVISTA
MARITTIMAMENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

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* RIVISTA MARITTIMA *
La formazione marittima e navale in Italia
Flavio Biaggi, Massimiliano Siragusa, Antonio Donato, Emiliano Beri, Fabio De Ninno, Giuseppe Piazza

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Sommario
IL SUPPLEMENTO PANORAMICA
PER GLI ABBONATI TECNICO-PROFESSIONALE
Glossario di Diritto del 60 Maritime cyber security per la shipping industry
Mare Francesco Chiappetta
di Fabio Caffio

QUESTO MESE
CON LA RIVISTA MARITTIMA

SAGGISTICA
PRIMO PIANO E DOCUMENTAZIONE
6 La formazione in Accademia navale, tra passato, 66 Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso
presente e futuro
e nell’oceano Indiano
Flavio Biaggi
Aldo Caterino

18 L'Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia


Massimiliano Siragusa

26 La formazione dei marescialli della Marina Militare


Antonio Donato STORIA E CULTURA MILITARE
80 Buona Guardia!
Enrico Cernuschi

RUBRICHE
91 Focus diplomatico
34 Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale 94 Lettere al Direttore
dell’Università di Genova 95 Osservatorio internazionale
103
Emiliano Beri, Fabio De Ninno
Marine militari
42 Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina 124 Scienza e tecnica
mercantile: evoluzione dell’ordinamento
Giuseppe Piazza 125 Che cosa scrivono gli altri

56 Le navi scuola della Marina Militare 129 Recensioni e segnalazioni

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RIVISTA
MARITTIMA
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
PROPRIETARIO ED EDITORE

UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE


DIREZIONE E REDAZIONE
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Codice fiscale 80234970582 Capitano di fregata Antonio Donato
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ISSN 0035-6964
Professor Fabio De Ninno
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Circolo di Studi Diplomatici
COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA MARITTIMA Dottor Enrico Magnani
Prof. Antonello BIAGINI Dottor Luca Peruzzi
Ambasciatore Paolo CASARDI
Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte
Prof. Massimo DE LEONARDIS Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
Prof. Mariano GABRIELE
Prof. Marco GEMIGNANI Contrammiraglio (ris) Paolo Bembo
C.A. (aus) Pier Paolo RAMOINO Professor Alessandro Mazzetti
A.S. (ris) Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE
Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI
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E ditoriale
L
a formazione è un argomento complesso, anzi scottante, perché rappresenta
la base stessa di qualsiasi attività umana, sia individuale, sia sociale. Per
formazione si intende, infatti, un vero e proprio amalgama di cultura e
pensiero: l’anima stessa della nazione che si traduce nello Stato. È lo strumento
che dà senso al sapere, elevandolo dal rango della mera erudizione a qualcosa
di più profondo, rivelatosi sempre decisivo nei secoli. Ogni cultura, spesso
in modo diverso, cerca di capitalizzare, a beneficio di se stessa e delle nuove
generazioni, le proprie esperienze facendo anche tesoro dei propri errori.
Formare, beninteso, non è sinonimo del ben più gretto modellare o, peggio,
distorcere, tipico della propaganda. Formare significa far acquisire pen-
siero e raziocinio e, soprattutto, senso di responsabilità e di dignità verso
la propria gente; di uomini liberi che si identificano in un’Istituzione do-
nando a essa tutto se stessi. Certo, non si tratta di una formula e di un
dosaggio semplice, ma la formazione serve proprio a questo: sano con-
tributo alla crescita di ogni individuo incluso nella prospettiva del libero
impegno personale assunto nell’ambito e nell’interesse della colletti-
vità, per tutta la vita. Nessuna civiltà ha volutamente trascurato la for-
mazione. Non sono però mancati gli errori, tanto più gravi in quanto
la formazione è la strategia della vita e, come insegnava il grande teo-
rico von Clausewitz, agli errori tattici si può porre rimedio, magari a
caro prezzo, ma a quelli strategici no.
In Italia, realtà millenaria a vocazione marittima — spesso inconsapevole
—, la formazione non può non rispecchiarsi nel mare, così come non ci
si può dimenticare di respirare. Certo, occorre farlo con metodo, consa-
pevoli delle solide e profonde radici di un passato (e di un presente) na-
vale e marittimo vivo e indispensabile. L’Italia ha bisogno oggi più che
mai di una rinnovata e maggiore consapevolezza della propria maritti-
mità. Nel Mediterraneo — scrisse il celebre storico francese Braudel (1)
— «l’Italia trova il senso del proprio destino». Oggi abbiamo concettua-
lizzato, con espressione felice dovuta a uno dei nostri maggiori pensatori
navali contemporanei, l’ammiraglio Pier Paolo Ramoino ben noto ai nostri
lettori: il «Mediterraneo Allargato». Un mare che, sia geograficamente, sia
dal punto di vista degli interessi, spazia dal Medio Oriente al Golfo Persico
passando per l’oceano Indiano, il Golfo di Guinea, il Mar Nero e l’Atlantico
fino all’Artico. Un’area vasta, come ha recentemente sottolineato il Capo di
Stato Maggiore della Marina nel corso di un’apposita audizione alla Commis-
sione difesa della Camera dei deputati: «… densa d’interessi vitali per il nostro
paese, ma altrettanto ricca di focolai di crisi e minacce emergenti che si riverbe-
rano su tutta l’Europa, influenzando da sempre gli equilibri globali. E colgo l’oc-
casione per sottolineare come il Mediterraneo Allargato, citato dal ministro della
Difesa Lorenzo Guerini in numerose occasioni, sia un concetto la cui connotazione

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geografica ha visto una costante espansione dalla sua introduzione, a metà anni Novanta, a oggi, in linea
con l’evoluzione degli scenari geopolitici e geostrategici».
La marittimità del nostro paese è (e deve essere), a sua volta, il frutto di una forte presa di coscienza
nata da una formazione culturale (e, per gli addetti ai lavori, professionale) libera, critica, completa
e sempre aperta a nuovi approdi. E proprio per contribuire a quello che deve essere lo spirito della
formazione, ovvero di progresso e di coraggio del pensiero, nel panorama di uno sforzo collettivo che
si rinnova anche se con sacrificio nei secoli, questo numero della Rivista Marittima propone una pa-
noramica a giro d’orizzonte, il più possibile vasta. Tutto è, e contribuisce alla formazione navale e ma-
rittima del popolo, dalle Scuole superiori alle Università fino agli Istituti militari, rivolgendosi alla
collettività. Nessuno deve essere escluso perché solo l’apporto di tutti rispecchia l’anima profonda di
un popolo, le sue scelte e il suo futuro.
Non è un caso che Augusto Antonio Riboty, comandante della fregata corazzata Re di Portogallo a
Lissa e decorato di medaglia d’oro per la propria valorosa condotta, poi ammiraglio comandante la
Squadra navale e, infine, più volte ministro della Marina tra il 1868 e il 1873, abbia messo immedia-
tamente in agenda, a un tempo, sia una rinnovata formazione e preparazione del personale, sia l’espan-
sione della flotta sia, «si parva licet», l’immediata nascita, appunto nell’aprile del 1868, della Rivista
Marittima; una rivista che fosse strumento di formazione navale e marittima dello Stato Maggiore, ri-
volta a tutti, classe dirigente e cittadini. Un’altra significativa azione fu, meno di sei mesi dopo, con il
Regio Decreto del 20 settembre 1868, l’unificazione delle due Scuole navali di Napoli e Genova: «sia
per la unicità dell’indirizzo degli studi, sia per la migliore fusione e affratellamento degli allievi», po-
nendo le basi di quella che sarebbe poi divenuta l’Accademia navale di Livorno.
Una «vision a 360°», come si direbbe oggi, messa in chiaro in Parlamento già nel febbraio 1868, af-
fermando e superando, ancora una volta, schemi vecchi e consolidati: «Non vi ha nessuno che ponga
in dubbio che il nostro paese, per la sua posizione geografica, per l’immenso sviluppo delle sue coste,
per le numerose e ricche sue isole, per il suo esteso commercio, e finalmente per le sue tradizioni, non
sia un paese eminentemente marittimo… ci incombe l’obbligo di mantenere una Forza navale capace
di raggiungere siffatto scopo tanto vitale per la nostra esistenza». Parole che non hanno perso una sil-
laba di attualità e nel cui ambito globale, è il caso di dirlo, la formazione ha un preciso ruolo strategico
e costituisce essa stessa, a pieno titolo, un elemento fondante del potere marittimo nazionale.
Non siamo quindi davanti a un passato sbiadito color seppia, ma a un sistema, anzi metodo, di idee coerenti,
collaudato con successo attraverso le prove più dure e imprevedibili cui possono guardare, con orgoglio
e speranza di legittime soddisfazioni, i ragazzi che scelgono liberamente un cammino d’eccellenza non fa-
cile né agevole, ma parimenti ricco di conoscenza, di avventura e, diciamolo pure, di bellezza.

NOTE
(1) Fernand Paul Achille Braudel (Luméville-en-Ornois, 24 agosto 1902-Cluses, 28 novembre 1985): Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le
tradizioni. Milano, Bompiani VII ed., 1977, p. 12.

DANIELE SAPIENZA
Direttore della Rivista Marittima
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PRIMO PIANO

La formazione in Accademia navale,


tra passato, presente e futuro

Sfide e opportunità della formazione nel blue century,


per lo storico Istituto che prepara gli ufficiali di Marina dal 1881
plomatica». Con queste parole, lo scorso 15 ottobre
Flavio Biaggi (*) 2019, il Capo di Stato Maggiore della Marina, ammi-
raglio Cavo Dragone, dava ufficialmente il via ai lavori
del XII Regional Seapower Symposium (XII Venice
Il blue century RSS) incentrato sul tema «Shaping our Navies for the
«Oggi l’interpretazione del potere marittimo non è Blue Century».
più solo economica e militare, ma anche culturale e di- Un secolo blu, quindi, quello che viviamo ormai da

(*) Contrammiraglio, nato a Milano il 17 luglio 1966. Ha frequentato l’Accademia navale di Livorno dal 1985 al 1989. Dopo aver
conseguito i brevetti di pilota di aereo e di elicottero presso le scuole di volo della Marina degli Stati Uniti, è stato imbarcato in
qualità di pilota di elicottero sulla fregata Maestrale e successivamente sulla fregata Libeccio, dove ha ricoperto l'incarico di capo
Componente volo con il grado di tenente di vascello. Nel 1997 ha frequentato il Corso Normale di Stato Maggiore presso l’Istituto
di Guerra marittima di Livorno e la Scuola di Comando navale ad Augusta. Nel 2001 è stato inviato a frequentare la United States
Naval Test Pilot School di Patuxent River (Maryland - Stati Uniti) dove ha conseguito il titolo di Pilota collaudatore sperimentatore.
Promosso capitano di fregata ha frequentato il 104 Senior Course del NATO Defense College a Roma. Nel luglio 2009 è stato pro-
mosso capitano di vascello e ha svolto l’incarico di Direttore dei Corsi allievi in Accademia navale. Promosso Contrammiraglio
nel 2015, dal 7 novembre 2017 al 18 luglio 2019 è stato Comandante della 3a Divisione navale (COMDINAV TRE), Comandante
della Task Force Anfibia (CATF) nazionale e vice Comandante delle Forze marittime italiane (Deputy COMITMARFOR). Ha rico-
perto i seguenti comandi navali: pattugliatore d’altura Spica; fregata Grecale; Prima squadriglia pattugliatori e relatore della
Scuola comando navale di Augusta; Seconda squadriglia pattugliatori; incrociatore portaeromobili Garibaldi. Durante la sua car-
riera militare ha partecipato alle operazioni della NATO e dell’Unione europea in ex-Jugoslavia, all’operazione NATO Active En-
deavour nel Mediterraneo Orientale e, quale IT SNR presso il comando degli Stati Uniti di CENTCOM, alla operazione Inherent
Resolve. Ha conseguito con lode la Laurea specialistica in Scienze marittime e navali presso l'Università di Pisa. Ha maturato circa
2.300 ore di volo su diversi aerei ed elicotteri tra cui: T-38, F-18, T-2, T-44, T-34, UH-60, P-3 Orion, SH-60B, SH-3D, AB-212, NH-
90, EH-101, TH-6, OH-58, C-12, Bell 427. Dal 24 luglio 2019 è il comandante dell’Accademia navale.

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Il piazzale dell’Accademia navale è il luogo simbolo per


tutti gli ufficiali di Marina, i quali hanno mosso i primi
passi proprio qui, con coraggio e predilezione verso
una vita ricca di emozioni e soddisfazioni (Tutte le im-
magini dell’articolo appartengono al repertorio Accade-
mia navale, dove non diversamente indicato).

vent’anni con un sistema economico globalizzato e in- venga in maniera controllata e legale. In tale contesto
centrato sui traffici marittimi sempre più intensi grazie i recenti avvenimenti che hanno interessato il Mediter-
alle capacità di carico imparagonabili con quelle dei raneo Orientale, con la contesa greco-turca sulla defi-
mezzi su terra e con un impatto sull’ambiente decisa- nizione delle Zone Economiche Esclusive, sono un
mente minore. campanello d’allarme e dimostrano come il cosiddetto
I numeri poi, lo definiscono in maniera inequivoca- fenomeno della «territorializzazione dei mari» necessiti
bile. Più del 90% del commercio globale si svolge at- di regole specifiche e soprattutto condivise, riflettendo
traverso il mare, circa l’ottanta per cento della l’inefficacia dei paradigmi normativi della Conven-
popolazione mondiale vive entro 200 km dalle coste e zione di Montego Bay del 1982.
più del 99% del traffico e delle telecomunicazioni mon- Risultano, quindi cruciali la presenza e la sorve-
diali si svolge tramite una rete strategica di cavi sotto- glianza sul mare.
marini. Il prerequisito è la capacità di continuare a garantire
Sono questi i dati che negli ultimi venti anni hanno il libero accesso ai mari a favore di tutti gli attori che
portato, una dopo l’altra, le più grandi economie mon- operano nel pieno rispetto delle leggi marittime interna-
diali a dotarsi di una «Strategia Marittima» che conci- zionali, compito questo che solo le Marine militari, tra-
liasse interessi economici e politici, delineando un dizionalmente per la loro funzione, possono assicurare.
piano di predisposizioni volte a garantire che l’alto Pirateria, traffico d’armi e di essere umani, terrori-
mare, global common per eccellenza, possa rimanere smo, sfruttamento delle risorse energetiche in maniera
un luogo di diritto ove lo sfruttamento delle risorse av- non coerente, sono queste le principali sfide che hanno

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

dapprima riguardato l’oceano Indiano, e in particolare ed esploratori italiani che hanno contribuito a scoprire
il Golfo di Aden, e che oggi interessano più aree del il mondo come oggi lo conosciamo.
pianeta: dal «Mare Giallo», al Golfo Persico, dal Golfo
di Guinea al Mediterraneo. La Marina Militare e il suo capitale umano
«A vederlo nel mappamondo, il Mediterraneo è una Lo scenario delineato, caratterizzato da numerosi
culla situata al centro del pianeta. E al centro di questo fattori di instabilità e dimensioni conflittuali intra e in-
bacino, di questa culla, c’è la penisola italiana e le sue terstatali, pone la Marina Militare, con i suoi uomini e
isole. La centralità dell’Italia nel Mediterraneo e del le sue donne, in un ruolo da protagonista nella tutela
Mediterraneo nel mondo è davvero una realtà prima degli interessi nazionali sul mare, nel garantire la li-
che un pensiero. Tre continenti si affacciano su questo bertà di navigazione e di commercio, condizione stra-
balcone unico al mondo». Così scrive il saggista Mar- tegicamente determinante per lo sviluppo e la crescita
cello Veneziani. del «Sistema-Paese».
Al suo interno, con ottomila chilometri di coste, I fenomeni che si svolgono nel nostro mondo multi
l’Italia: un paese che vanta grandi flotte mercantili e sfaccettato e fortemente interconnesso hanno, infatti,
pescherecce, i cui porti godono di una posizione bari- riverberi a lunga distanza. Solo per citare un esempio,
centrica rispetto ai due passaggi ristretti di Gibilterra e lo scioglimento dei ghiacci nell’Artico sta aprendo a
Suez, rappresentando un fondamentale crocevia per il nuove opportunità e a ulteriori contese, tra rotte com-
traffico commerciale e una fonte strategica di approv- merciali e giacimenti di risorse naturali. Anche in que-
vigionamento per l’industria manifatturiera non solo sto teatro la Marina Militare è ormai presente
italiana ma dell’intera Europa. Ed è proprio la sua po- stabilmente con l’operazione High North, non solo a
sizione geografica che ha consentito all’Italia di svi- dimostrazione delle capacità di proiezione dello stru-
lupparsi come paese marittimo e diventare la culla di mento operativo ma anche e soprattutto a tutela degli
una delle più grandi civiltà della storia, con un rapporto interessi nazionali.
diretto e quotidiano con il mare che non è mai mutato Risulta quindi evidente la necessità di sforzi comuni
e ha permesso la nascita nel tempo di illustri marinai volti a ottimizzare l’impiego delle capacità marittime

Cerimonia dell’ammaina Bandiera solenne dell’equipaggio di nave LUIGI DURAND DE LA PENNE, un’esperienza indimenticabile per gli allievi del Corso Spartani.

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

«LO GIURO!». Queste sono le parole che riecheggiano nel Piazzale dell’Accademia navale alla fine del giuramento solenne degli allievi della Prima classe
dei Ruoli Normali.

con un approccio intergovernativo, inter-istituzionale, e passione, adattandosi alle innovazioni e alle trasfor-
inter-agenzia, nonché alla cooperazione con le altre mazioni proprie di una vita sul mare e per il mare.
Marine mondiali al fine di sviluppare fiducia e intero- Le sfide sono molteplici e imprevedibili.
perabilità. Se pensiamo a coloro che nel 1982 avevano fatto da
Un’area, questa, in cui la Marina Militare fornisce poco ingresso in Accademia navale, questi si vedevano
un contributo fondamentale, grazie alla sua versatilità proiettati in uno scenario in cui la guerra simmetrica in
strategica intrinseca e alla flessibilità operativa, tramite mare era plausibile, con due grandi paesi che si affron-
lo sfruttamento completo delle postazioni in mare, forte tavano con cannoni, siluri e missili. Le navi affonda-
di un supporto logistico autonomo. vano e la gente moriva (1) in una guerra combattuta
Non meno importante, la capacità di «show the dagli inglesi a oltre 12.000 chilometri da casa, per
flag», ovvero di mostrare la bandiera tricolore nel quella che, di fatto, era una disputa territoriale relativa
mondo, solcando i mari nell’alveo della cosiddetta a un arcipelago sperduto nell’Atlantico.
naval diplomacy che storicamente affida alla Marina Oggi, quegli allievi, sono gli ammiragli chiamati a
Militare quel ruolo di ambasciatrice del concreto livello dirigere una Forza armata impegnata in contesti nazio-
di competenza che l’Italia è in grado di esprimere a 360 nali e internazionali per la salvaguardia della libera na-
gradi dal punto di vista non solo militare ma anche tec- vigazione e circolazione delle merci, nel contrasto alla
nologico e industriale. pirateria, al terrorismo e ai traffici illeciti sul mare. Il
È pertanto fondamentale l’azione degli istituti di for- tutto fronteggiando la contrazione dei budget, la ridu-
mazione volta a consegnare alla Forza armata, e al zione degli organici e la transizione, mai banale, verso
paese, uomini e donne preparate, non solo dal punto di un nuovo concetto operativo connesso all’entrata in
vista tecnico-professionale, ma anche e soprattutto dal servizio delle unità navali di nuova generazione.
punto di vista caratteriale ed etico. Una volta impiegati Sono questi gli impegni operativi per i quali gli uo-
a bordo o presso i comandi ed enti a terra, essi saranno, mini e le donne che entrano a far parte della Marina
infatti, chiamati a operare giorno e notte, con coraggio oggi devono prepararsi. Si tratta di attività che richie-

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

dono un processo di crescita professionale che, pur non oltre 80 anni dalla sua pubblicazione, la preparazione
prescindendo da un’attenta e mirata formazione di professionale del capitale umano della Forza armata as-
base, si fonda su flessibilità, umiltà, generosità, spirito sume una valenza altissima e rappresenta il substrato
di iniziativa, determinazione e capacità di gestire situa- da cui ergere lo strumento militare del futuro, uno stru-
zioni di crisi. Al contempo, per mantenere la Forza ar- mento moderno, tecnologico, dotato di grande attitu-
mata moderna ed efficace, al personale è richiesto il dine all’innovazione, di versatilità di impiego, di
possesso di adeguate competenze e conoscenze, indi- intrinseca capacità di integrazione e di percezione del
spensabili per poter agire in un contesto di sempre contesto sociale, giuridico, politico ed economico na-
maggiore interoperabilità e sinergia con le Marine eu- zionale e internazionale, in cui la Forza armata è chia-
ropee, alleate e dei paesi rivieraschi, situati nelle aree mata a operare.
di interesse strategico della nazione. La formazione si colloca, quindi, al centro della stra-
Passione, coraggio e spirito di sacrificio miste a ele- tegia della Forza armata, ne costituisce il nocciolo da
vata preparazione, continuo accrescimento professio- cui sviluppare tutte le future linee di azione e ne rap-
nale e propensione all’interazione culturale, presenta il valore aggiunto, valore di cui l’Accademia
costituiscono, quindi, il substrato su cui poggia il pre- navale (definita «Università del mare»), costituisce il
zioso capitale umano della nostra Marina Militare. cuore pulsante. All’interno dell’Istituto livornese, si
forgia, infatti, la futura classe dirigente della Forza ar-
La formazione dell’ufficiale di Marina mata, si gettano le fondamenta per una Marina sempre
«Nell’evoluzione dalla vecchia Marina alla nuova, più caratterizzata da un solido connubio tra attitudine
con il suo enorme sviluppo materiale, la sua compli- militare e istruzione qualificata di alto livello che rap-
cazione di macchinari e di apparecchi, con la sua mole presentano due facce della stessa medaglia.
e le sue cifre, i suoi compartimenti stagni e il suo de- Si tratta di oltre cento tra giovani, uomini e donne,
centramento di autorità, con le continue innovazioni che ogni anno varcano il cancello verde dell’Istituto
nei suoi vari rami, si è verificata una forte tendenza a per far ingresso in Marina Militare. Molteplici le prove
perdere di vista l’uomo rispetto alla macchina. Nessun selettive, condotte da personale altamente qualificato,
errore potrebbe essere più grande, ne racchiudere in comprensive di accertamenti medici, psico-attitudinali,
sé maggior pericolo di disastri» (2). di efficienza fisica, di cultura generale, di conoscenza
Partendo da questo assunto, quanto mai attuale a della matematica, della biologia (3) e delle lingue.
Una volta entrati in Accademia, nulla è
lasciato al caso.
Ogni giorno, infatti, gli inquadratori
ispezionano la divisa dei propri allievi af-
finché questa sia sempre in ordine. Control-
lano che le scarpe siano state correttamente
lucidate, che i pantaloni abbiano una per-
fetta piega, che il maglione sia pulito e
spazzolato.
Piccoli gesti che possono sembrare ma-
niacali, ma che invece sono alla base del-
l’ordine e della disciplina. Essere perfetti
fuori è il primo passo per diventarlo anche
dentro. Essere perfetti dentro per essere un
Un momento che non si dimentica mai, la prima volta che si varca il cancello verde di San professionista adeguato domani.
Jacopo. Gli ufficiali che vengono formati in Ac-

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

Gli studenti che entrano in Accademia vengono a con-


tatto con il cuore della tradizione su cui poggia la Marina,
ne assorbono la linfa e ne rappresentano al contempo i
futuri frutti, che consentiranno di piantare i nuovi semi
da cui germoglieranno altri ufficiali di Marina.
L’allievo in Accademia vive con entusiasmo le sue
giornate, pur se scandite da ritmi serrati, e impronta
ogni attività ai valori fissati sulla torre dell’orologio del
Piazzale Allievi: Patria e Onore.

Il mare innanzitutto
La formazione dell’allievo dell’Accademia navale inizia sin dal mattino.
L’ufficiale di Marina vive un legame inscindibile
con il mare. Egli, infatti, opererà sul mare, e con il mare
cademia navale saranno presto chiamati a operare in si abituerà a convivere in ogni condizione, senza mai
mare, mettendo al servizio del paese le loro capacità e temerlo e nutrendo per esso un profondo rispetto.
le loro competenze professionali. In mare non si pos- L’ufficiale di Marina è, quindi, innanzitutto un ma-
sono fingere competenze che non si hanno e loro non rinaio. Ed è quindi a bordo delle barche a vela ormeg-
potranno, in quest’impervio e affascinante cimento, giate nei due porticcioli dell’Accademia navale, che gli
guidare i loro uomini verso il successo, se non sapranno allievi hanno il loro primo contatto con il mare, in un
dimostrarsi autorevoli. Non potranno essere autorevoli, crescendo di esperienze che li porterà dalle derive quali
se non saranno preparati. i Tridente 16 ai J24, alle barche d’altura. Dall’essere
La preparazione che si raggiunge in Accademia na- semplicemente parte dell’equipaggio nei primi tre anni,
vale avviene attraverso un binomio indissolubile: edu- a essere responsabili della pianificazione e della con-
cazione e istruzione. L’educazione militare si struttura dotta di attività su imbarcazioni d’altura che includono
di tutti quegli elementi peculiari del militare e del ma- la navigazione notturna e l’ormeggio nei porti del lito-
rinaio, tramite attività etico-militari, professionali-ma- rale toscano.
rinaresche e fisico-sportive. L’istruzione, di contro, si In aggiunta, a sugello della profonda vocazione ve-
estrinseca nel campo della didattica e si prefigge lo lica e marinara dell’Istituto, ogni anno l’Accademia è
scopo di fornire e completare le conoscenze speciali- tra gli organizzatori della Settimana Velica Internazio-
stiche e culturali per consentire l’acquisi-
zione delle competenze professionali di
base parimenti il conseguimento dei titoli
di studio previsti per i differenti Corpi e
Ruoli della Marina Militare.
La vita in Accademia insegna la disci-
plina rispettando l’individuo ed esaltan-
done le peculiarità e le attitudini. Si basa
su dinamiche di gruppo in grado di far
comprendere, attraverso l’esempio del
passato e del presente, ovvero attraverso i
formatori e i frequentatori dei corsi più an-
ziani, quali siano le qualità e i valori che
nel proseguo della carriera dovranno es-
«Arma la prora e salpa verso il mondo», cit. Gabriele D’Annunzio. Attività velica in Accademia.
sere di riferimento.

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

«Il mare che unisce», cerimonia di inaugurazione della Settimana Velica La SVIANCL è un evento internazionale, dove la passione per il mare e lo
Internazionale dell’Accademia navale città di Livorno (SVIANCL). sport si conciliano in una manifestazione di estrema bellezza (SVIANCL).

nale, una competizione internazionale che


nell’ultima edizione ha visto la partecipa-
zione di oltre 600 imbarcazioni con 1.000
regatanti provenienti da 26 paesi.
Non meno importanti, inoltre, le attività
di canottaggio e condotta mezzi navali mi-
nori attraverso le quali i frequentatori svilup-
pano il c.d. «piede marino» che nei
successivi imbarchi si rivelerà fondamentale.
Infine, ai margini del Piazzale Allievi, è
presente il «simulatore» per eccellenza, per
l’insegnamento dell’arte marinaresca: il bri-
gantino interrato G. Cappellini. Salendo a
riva, gli allievi della 1a Classe si esercitano
Coadiuvati dal fischio del nostromo, gli allievi della Prima classe spiegano le vele sul trevo in sicurezza nelle manovre alle vele per
di maestra di nave AMERIGO VESPUCCI, un’esperienza unica.
l’imbarco sulla Regina del mare, nave Ve-
spucci, durante i tre mesi estivi.
Durante la campagna sulla nave più bella
del mondo i giovani allievi apprendono l’arte
marinaresca da qualificati istruttori e svilup-
pano un profondo e stabile legame di corpo
che li accompagnerà per la vita. Le difficoltà
di uno sono quelle di tutti, così come la gioia,
i successi, le paure e le sconfitte.
Infine, merita particolare menzione il si-
mulatore di plancia dell’Istituto, un mo-
derno e sofisticato simulatore di manovra
che, mediante una riproduzione realistica
delle diverse condizioni di navigazione e
Il simulatore di plancia è un fiore all’occhiello dell’Accademia navale, dove ogni giorno gli grazie all’ausilio di qualificato personale
allievi si addestrano per il futuro impiego a bordo. docente, accompagna i frequentatori lungo

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

un percorso, al termine del quale, essi avranno appreso


tutte le nozioni pratiche e teoriche, consolidate nella
cosiddetta «Abilitazione al servizio di Guardia in Plan-
cia Basico» (AGPB) che gli consentirà di poter essere
responsabili di navigazioni addestrative diurne a bordo
delle unità della Marina Militare.

La cultura dello sport


Gli allievi in Accademia vengono formati nella cul-
tura dello sport. Essi, infatti, imparano a prendersi cura
quotidianamente del proprio fisico preparandosi, così, Lealtà e Passione, questi sono i sentimenti che uniscono la «Brigata
a operare negli ambienti operativi, spesso ardui e ostili, Allievi».

in cui saranno un domani protagonisti.


Lo sport in Accademia costituisce una parte fonda- A loro disposizione vi sono oltre 20 professionisti fra
mentale del profilo dell’ufficiale di Marina e rappre- insegnanti civili e istruttori militari, e un complesso di
senta un bagaglio che il frequentatore si porterà dietro strutture sportive con campi polifunzionali di rugby, cal-
per il resto della carriera. cio, basket, volley e tennis e una palestra che include un
Attraverso lo sport, gli allievi rinsaldano quegli campo coperto per le attività di basket e volley, una sala
stessi valori cui è orientato tutto il processo formativo. pesi e una sala attrezzata per esercizi a corpo libero.
Senso di appartenenza, lealtà, coraggio, leadership, Ogni anno viene organizzato un torneo inter-classi
spirito di sacrificio contraddistinguono tanto il lato pro- con diverse competizioni, mentre, ogni due anni, a ro-
fessionale, quanto quello sportivo dell’allievo dell’Ac- tazione fra le accademie delle F.A., una rappresentativa
cademia navale e rappresentano il magma dell’Istituto di frequentatori partecipa al torneo inter-accademie.
di formazione. In Istituto è presente inoltre un poligono coperto per
A latere dell’attività di educazione sportiva, neces- il tiro sportivo e un maneggio, nel quale i frequentatori
saria al mantenimento dell’efficienza fisica del mili- svolgono attività massiva di introduzione all’equita-
tare, accertata ogni anno mediante dedicate prove, i zione, mentre gli allievi selezionati preparano l’annuale
frequentatori svolgono un ampio spettro di attività, partecipazione al Concorso ippico.
quali il nuoto nella piscina coperta dell’Istituto, la pal-
lavolo, la pallacanestro, il rugby, il calcio, le discipline L’offerta formativa
dell’atletica leggera. Sono diversi i corsi di laurea specialistica erogati
nelle aule dell’Accademia e delle Università con cui
l’Istituto è convenzionato, al termine dei quali i giovani
ufficiali dei Ruoli Normali conseguono la laurea ma-
gistrale prevista per ciascun Corpo.
Nel dettaglio vi sono sei corsi di laurea attivi:
«Scienze marittime e navali» per il Corpo di Stato
Maggiore, «Ingegneria Navale» per il Corpo del Genio
Marina-Genio Navale, «Ingegneria civile ed ambien-
tale» per il Corpo del Genio Marina-Infrastrutture, «In-
gegneria delle Telecomunicazioni» per il Corpo del
Genio Marina-Armi Navali, «Giurisprudenza» per il
Lo sport è un elemento imprescindibile per la formazione dei militari, agli allievi Corpo di Commissariato e delle Capitanerie di porto,
sono richiesti tanti sacrifici che si tramuteranno in ricchissime soddisfazioni.
«Medicina e chirurgia» per il Corpo Sanitario.

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

La preparazione dei giovani allievi ufficiali può contare sulle eccellenze professionali dell’Università di Pisa, grazie al connubio con l’Accademia navale.

A ogni modo, come detto, tutti gli ufficiali sono for- ratterizza per l’impiego di ausili didattici moderni e in-
mati in Accademia e ricevono quell’imprinting fonda- novativi quali piattaforme informatiche, simulatori e
mentale che unisce, ai valori tradizionali dell’Istituto, laboratori multimediali.
un profondo senso d’appartenenza e una solida prepa-
razione professionale. Vivono all’interno dell’Istituto, La vocazione internazionale della formazione
ne rispettano le regole e vi frequentano le lezioni inte- Oggi più di ieri, entrare a far parte della Marina Mi-
ragendo tra essi, con gli studenti civili e con i docenti litare non significa soltanto divenire membri di una
militari e universitari. prestigiosa istituzione nazionale ma anche, e soprat-
Al termine del primo triennio di studi, gli ufficiali tutto, aver la possibilità di partecipare a operazioni na-
del Corpo dello Stato Maggiore conseguono il diploma zionali e multinazionali come quelle dell’Unione
di laurea triennale e, dopo un ulteriore anno, la laurea europea, della NATO e delle Nazioni unite, solo per ci-
magistrale. Gli ufficiali del Corpo del Genio della Ma- tarne alcune. Sono numerosi, infatti, gli impegni oltre
rina, invece, al termine dei quattro anni di frequenza in confine che vedono coinvolti gli ufficiali della Marina
Istituto, proseguono col biennio presso gli atenei di Ge- Militare, sia a bordo di navi di paesi alleati, sia a terra
nova, Napoli e Trieste, per la specialità Genio Navale in contesti internazionali, facendo dell’ufficiale, non
e Infrastrutture e Pisa, per la specialità Armi Navali. solo un professionista del mare e un esperto della Di-
Gli ufficiali del Corpo di Commissariato e delle Capi- fesa, ma anche un ambasciatore della professionalità,
tanerie di porto, invece, svolgono l’intero iter accade- dell’ingegno e delle capacità che caratterizzano la parte
mico presso l’Istituto, mentre gli ufficiali del Corpo migliore del nostro paese.
Sanitario, dopo i primi quattro anni in Accademia, ul- In tale scenario, al fine di predisporre uno strumento
timano il proprio iter presso la facoltà di medicina e militare sempre più internazionale, grande importanza
chirurgia dell’Università di Pisa. viene data allo studio della lingua inglese, in modo da
Le discipline universitarie e i piani di studio sono conferire, dai momenti iniziali della carriera, la propen-
sviluppati in sinergia con gli atenei e la didattica si ca- sione e l’attitudine a operare nei succitati contesti inter-

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

Conferenze Internazionali in inglese per gli Aspiranti guardiamarina, consci del fatto che questi insegnamenti saranno indispensabili a bordo.

1a Classe, gli allievi si abituano a studiare


su testi tecnici appositamente tradotti, par-
tecipano a conferenze e seminari e produ-
cono elaborati scritti e orali in lingua
inglese.
Ma il vero valore aggiunto, sotto il profilo
della didattica in inglese, è rappresentato dal-
l’introduzione dell’International Naval Se-
mester: un progetto didattico innovativo, cui
partecipano gli ufficiali frequentatori del
quarto anno del Corpo di Stato Maggiore;
un’esperienza dall’elevato spessore forma-
tivo, che si inserisce nel programma EMI-
LYO (European Initiative for the Exchange
Pillole di formazione, con l’obiettivo di renderli ancora più consapevoli della scelta che hanno
fatto: amare il mare, senza differenze di nazioni e bandiere. of Military Young Officers inspired by Era-
smus) nell’ambito delle iniziative patrocinate
nazionali in cui la conoscenza e la padronanza della lin- dall’ESDC (European Security and Defense College)
gua straniera si traduce in un efficiente canale di comu- che estendono i benefici del programma ERASMUS
nicazione con colleghi di altre Marine e Forze armate. (EuRopean Community Action Scheme for the Mobility
Personale docente altamente qualificato e madrelin- of University Students) anche ai frequentatori degli isti-
gua cura, quindi, la formazione dei frequentatori a 360 tuti di formazione militari europei.
gradi, dalla grammatica, alla sintassi, alla terminologia Lo studio dell’inglese, quindi, si innesta su una pre-
tecnica e navale, attraverso il ricorso, anche, a eserci- parazione tecnico-professionale già spinta e all’avan-
tazioni individuali e di gruppo. Per ciascun anno acca- guardia e proietta l’ufficiale verso il contesto
demico, per tutti i corsi di laurea attivi, interi moduli multinazionale della Forza armata, risolvendosi in in-
didattici, inclusi i relativi esami, vengono svolti in lin- discusso valore aggiunto per la sua futura carriera quale
gua inglese da docenti militari o universitari e, già dalla professionista del mare.

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La formazione in Accademia navale, tra passato, presente e futuro

Gli esami che semestralmente gli allievi devono affrontare sono un connubio di preparazione e dedizione che si costruisce passo dopo passo.

Innovazione nella tradizione piattaforme digitali impiegate, di lezioni ed esami e as-


La formazione universitaria erogata presso l’Acca- sicurando il completamento, senza alcun ritardo, di
demia navale trova, in conclusione, un ulteriore punto tutte le attività curriculari, ivi inclusa la laurea.
di forza nel largo utilizzo dei più moderni sistemi di- Lo scorso 3 aprile 2020 si è, infatti, tenuta, per la
dattici offerti dalla tecnologia, quali aule didattiche prima volta nella storia dell’Accademia navale, la
multimediali, le variegate e versatili risorse offerte tra- prima seduta di laurea in modalità «a distanza» per
mite la piattaforma e-learning Moodle dell’Istituto, il quattordici guardiamarina del Corpo dello Stato Mag-
SISDAN (Sistema Informativo per il Supporto Didat- giore, che hanno discusso la propria tesi, non nell’Aula
tico dell’Accademia navale), impiegato anche per la Magna dell’Istituto, bensì in un’aula virtuale, nella
formazione dei corsi e delle discipline professionali quale, al termine della sessione di laurea, hanno potuto
non universitarie e i laboratori ad alta valenza tecnolo- ricevere l’accademica stretta di mano.
gica come i laboratori di chimica, di fisica, GMDSS Innovazione nella tradizione, quindi, come il buon
(Global Maritime Distress and Safety System), di tele- marinaio che non dimentica mai la terra da cui proviene
rilevamento e di biologia marina. quando dirige la prora verso il mare aperto, così i fre-
Una struttura tecnologica, questa, che ha fatto sì che, quentatori dell’Istituto, formati in Accademia navale
in occasione dell’emergenza sanitaria nazionale dovuta dall’esperienza dei predecessori e dall’esempio degli
al Covid-19, le attività siano proseguite in modalità te- educatori, saranno pronti per le sfide di domani e pre-
lematica, con un impatto minimo sotto il profilo del- parati a servire l’Italia, paese a vocazione marittima,
l’efficienza, consentendo la continuità, attraverso le con competenza e consapevolezza. 8
NOTE
(1) Guerra delle Falkland.
(2) Da «Alcuni consigli ai giovani e ufficiali e agli altri», Tipografia della Regia Accademia navale, 1938.
(3) Per i concorrenti al Corpo sanitario della Marina Militare.

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PRIMO PIANO

L’Istituto di Studi Militari Marittimi


di Venezia

Ente di istruzione superiore per la formazione avanzata


degli ufficiali e polo culturale della Marina Militare

Massimiliano Siragusa (*)

(*) Capitano di vascello, Direttore del Centro Studi presso l’Istituto di Studi Militari Marittimi, dove si è dedicato per 4 anni alla
formazione avanzata dei futuri dirigenti della Marina come docente di comunicazione; nel 2019 ha anche svolto l’incarico di Di-
rettore ai Corsi. Qualificato formatore esperienziale interforze, dal 2016 collabora attivamente nel campo delle competenze gestionali
con il Centro Alti Studi per la Difesa (tutor nel Master di 2° livello in Leadership, Change Management & Problem Solving) e
l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (tutor nei moduli di Leadership e Problem Solving). Insegna anche Staff Commu-
nication Skills, in inglese, nei corsi Training Building organizzati dal Centre of Excellence for Stability Police Units (CoESPU) di
Vicenza. Ha al suo attivo più di 18 anni di imbarco su unità navali eterogenee della Marina Militare e di Marine alleate, molti dei
quali trascorsi lavorando in vari incarichi di staff. Ha comandato il cacciamine Termoli (2004-5) e la fregata Aliseo (2013-14).
Quale capo Ufficio operazioni, piani e addestramento (N3/5/7) della Seconda Divisione navale e assistant Chief of Staff operations
(ACOS N3) dell’Italian Maritime Forces Command, ha gestito varie attività addestrative e operative nazionali e multinazionali.
Nel 2020 è stato impiegato per 4 mesi nel Force HQs dell’Operazione EUNAVFOR Somalia «Atalanta», imbarcato sulla fregata
spagnola ESPS Numancia, prima come Chief of Staff e poi quale acting Force Commander.

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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

L’
Istituto di Studi Militari Marittimi (ISMM) due unità navali ausiliarie permanentemente basate
di Venezia è un ente di istruzione militare presso l’Arsenale di Venezia (la nave idrografica Are-
superiore che ha il compito principale di as- tusa e la nave moto-trasporto fari Ponza);
sicurare la formazione avanzata degli ufficiali della — l’organizzazione di eventi di rilievo per la Forza
Marina Militare, aggiornandone e integrandone le com- armata, quali il Venice Seapower Symposium, un im-
petenze professionali e culturali, in previsione del suc- portante evento di «diplomazia navale», giunto ormai
cessivo impiego in incarichi di staff — sia nell’ambito alla sua XII edizione, che si svolge con cadenza bien-
degli organismi centrali e periferici della Forza armata, nale e vede la partecipazione di circa 80 delegazioni
sia in ambito interforze e inter-agenzia — o in incarichi delle Marine di tutto il mondo e di industrie/organiz-
di comando presso enti periferici. zazioni/agenzie del cluster marittimo internazionale.
L’ISMM svolge anche la funzione di «polo cultu- Nel prosieguo dell’articolo si illustreranno la storia
rale» della Marina Militare, curando lo studio, la ri- dell’Istituto e il contenuto dei corsi attualmente svolti.
cerca e la sperimentazione nel settore della formazione
e in quelli afferenti alle tematiche strategiche, operative Storia dell’Istituto
e ordinamentali di interesse della Forza armata. L’Istituto affonda le sue radici nella Scuola navale
Gli ulteriori compiti dell’Istituto riguardano: di Guerra, la cui prima sessione venne inaugurata dal
— la valorizzazione del patrimonio storico e cultu- re Vittorio Emanuele III l’8 settembre 1908, nella Sala
rale dell’Arsenale MM di Venezia, di cui fanno parte il a Tracciare dell’Arsenale della Spezia. Contestual-
Museo Storico Navale e le infrastrutture presenti nel mente a questo avvenimento sorse, di fatto, il primo
comprensorio arsenalizio; Centro superiore navale della Regia Marina. Secondo
— il supporto logistico e amministrativo a favore di il decreto istitutivo, la Scuola doveva «coltivare e af-
tutti i comandi/enti MM presenti nella sede, incluse le fermare un pensiero navale sulla nostra preparazione

Venezia, ottobre 2019. Foto di gruppo dei partecipanti al XII Regional Seapower Symposium.

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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

alla guerra valendosi della cooperazione di tutti gli uf- Dal 1939 al 1947 le attività dell’Istituto vennero
ficiali a mezzo di conferenze di organica, arte e tecnica sospese a causa della concentrazione delle energie
militare navale, discussioni relative ai detti argomenti della Forza armata prima verso il Secondo conflitto
e applicazione del gioco di guerra navale». mondiale e poi nella ricostruzione; successivamente
La Scuola interruppe la sua attività nel 1911, a causa i lavori ripresero con lo svolgimento di due tipi di
dello scoppio della guerra italo-turca e poi della Prima corsi: uno per capitani di corvetta di recente promo-
guerra mondiale. Negli anni successivi al termine del zione e uno per capitani di fregata/capitani di vascello
conflitto prese corpo una duplice esigenza: consolidare che, per esigenze belliche, non avevano potuto fre-
una dottrina militare navale sulla scorta degli insegna- quentare l’Istituto. Nel 1956 le sessioni del primo
menti della guerra e affiancare ai vertici militari, chia- corso assunsero la denominazione di Corso di Stato
mati ad assumere decisioni sempre più gravi e Maggiore (SM), mentre le sessioni del secondo quella
immediate, ufficiali più preparati. di Gruppo di Studi di SM, con compiti di studio su
Il ministro per la Marina, Giovanni Sechi, durante il specifici problemi assegnati dal Capo di Stato Mag-
suo mandato (1919-21), affidò a un brillante ufficiale su- giore della Marina. Nello stesso anno, la partecipa-
periore, Romeo Bernotti, l’incarico di progettare un zione ai Corsi di SM venne aperta agli ufficiali degli
nuovo Istituto ispirato alla Scuola navale di Guerra. Ber- altri corpi della Marina, che avrebbero potuto essere
notti raccolse approfondite informazioni sulle scuole di inseriti come collaboratori tecnici negli Stati Mag-
guerra esistenti all’estero e pubblicò un breve saggio giori. Si sottolinea che ai corsi già partecipavano uf-
esponendo intenzioni e prospettive tra le quali quella di ficiali dell’Esercito e dell’Aeronautica.
creare un nuovo centro di formazione: «(...) affinché gli Nel 1963 l’Istituto dovette sospendere nuovamente
ufficiali di vascello possano meglio provvedere alla pro- le lezioni, stavolta per carenza di potenziali frequenta-
pria cultura negli studi che interessano la preparazione tori dovuta all’aumento delle destinazioni di impiego.
e la condotta della guerra marittima e possano acqui- Nei tre anni successivi l’attività didattica continuò in
stare maggiore attitudine e competenza per i servizi di forma ridotta ad Augusta (SR), proponendo moduli di
Stato Maggiore. (...) L’Istituto deve essenzialmente co- «Servizio di Stato Maggiore» in favore dei tenenti di
stituire un libero centro di studi ove gli ufficiali intendano vascello selezionati per il Comando navale, a margine
la necessità di riesaminare la propria
esperienza pratica in rapporto ai prin-
cipi della condotta della guerra, di for-
marsi, con unità di criteri direttivi,
l’attitudine intellettuale a considerare
e risolvere i problemi di strategia, di
tattica e di organica».
Il nuovo centro di formazione, la
cui costituzione fu disposta con
Regio Decreto del 5 maggio 1921,
venne istituito il 1° novembre 1921
con la denominazione di Istituto di
Guerra marittima (IGM), iniziando la
sua attività l’anno successivo nel se-
dime dell’Accademia navale a Li-
vorno. Bernotti ne fu il primo
comandante, con il grado di capitano
Vista aerea dell’Istituto di Studi Militari Marittimi (ISMM).
di vascello, e lo diresse fino al 1924.

20 Rivista Marittima Novembre 2020


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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

difficoltà di organico nei gradi degli ufficiali inferiori,


contestualmente la durata del Corso Superiore di SM
venne portata a un intero anno accademico. Dal 1993
riprese l’erogazione dei CNSM, ma la durata del Corso
Superiore venne mantenuta immutata fino al 1998,
quando ne fu disposta la soppressione contestualmente
alla costituzione dell’Istituto superiore di Stato Mag-
giore interforze (ISSMI). Lo Stato Maggiore della Di-
fesa decise, infatti, che da quell’anno la formazione di
alto livello degli ufficiali superiori di tutte le Forze ar-
mate sarebbe stata congiunta.
Nell’estate del 1999, nel quadro della generale
riorganizzazione dei comandi e delle strutture della
Arsenale di Venezia, ingresso Porta di Terra o Porta Magna. Forza armata e per tener conto dell’esigenza di valo-
rizzare la sede di Venezia quale «polo culturale» della
Marina Militare, venne deciso di cambiare la sede
delle attività svolte a bordo durante le sessioni di dell’Istituto; senza interrompere le proprie attività e
Scuola comando. funzioni, l’Ente si trasferì nella città lagunare, all’in-
Dal 1966 l’Istituto riprese pienamente la sua atti- terno dello storico Arsenale, occupando le sistema-
vità a Livorno con sessioni frequentate da ufficiali zioni del locale Comando Marina e assorbendone le
compresi in un’ampissima fascia di anzianità, per far funzioni di Presidio.
recuperare coloro che non avevano potuto seguire i Contestualmente al trasferimento a Venezia la deno-
corsi in precedenza. minazione dell’Ente cambiò da «Istituto di Guerra Ma-
Nel 1969 entrò in vigore un nuovo Ordinamento rittima» (IGM) a «Istituto di Studi Militari Marittimi»
degli Studi che prevedeva lo svolgimento annuale di (ISMM), conosciuto in ambito internazionale quale Ita-
due corsi complementari: un Corso Normale di SM lian Naval Staff College.
(CNSM), per tenenti di vascello inclusi nell’aliquota di Venne trasferita da Livorno a Venezia anche la Bi-
avanzamento al grado superiore (della durata di due blioteca «Dante Alighieri», che è ancora più antica
mesi) e un Corso Superiore di SM, per capitani di fre- dell’Istituto poiché la sua apertura risale al 1905; oggi
gata e un’aliquota di ufficiali superiori di altri corpi ospita circa 96.000 volumi prodotti da oltre 53.000 au-
della Marina Militare (della durata di quattro mesi). tori diversi. È aperta al pubblico su prenotazione ed è
Dal 1980 il CNSM venne soppresso, a causa delle inserita nell’On-line Public Access Catalogue (OPAC),

Biblioteca «Dante Alighieri», lato consultazione. Biblioteca «Dante Alighieri», lato conferenze.

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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

il catalogo internazionale informatizzato delle biblio-


teche che offre, a chiunque sia collegato al web, la pos-
sibilità di interagire per cercare informazioni e
programmare visite per consultare i volumi.
A supporto della funzione di «polo culturale» del-
l’ISMM, a seguito del trasferimento nella nuova sede ve-
neziana, venne istituito il Centro studi militari marittimi
al fine di disporre, all’interno dell’Istituto, di un organi-
smo specificamente deputato a promuovere lo sviluppo
del pensiero navale, svolgendo attività di ricerca e studio Aula lezioni standard.
nel campo militare marittimo, con particolare riguardo
alle tematiche strategiche, operative e ordinative di inte-
resse della Marina Militare. Il Centro organizza Giornate vari corpi della Marina Militare, con un’esperienza
di Studio e Seminari per dibattere temi di attualità e di media di 15 anni di servizio.
interesse generale nei settori strategico-militare, tecnico- Il Corso, indirizzato a preparare i frequentatori per
scientifico e sociologico. Intrattiene rapporti con enti mi- affrontare incarichi di livello gerarchico superiore, for-
litari analoghi, con varie università italiane e con altri nisce i presupposti essenziali, in termini di conoscenze,
organismi interessati alle tematiche di carattere strategico competenze e comportamenti, per lavorare efficace-
e della politica di sicurezza. Ha il compito di redigere e mente negli staff degli organismi decisionali della
diffondere pubblicazioni a carattere periodico quali il Forza armata e interforze.
Bollettino d'Informazione (annuale) e l'Osservatorio In virtù di un accordo di collaborazione stipulato nel
(quadrimestrale). 2014 con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, al ter-
mine del CNSM i frequentatori conseguono un Master
I corsi erogati di 2° livello in «Studi strategici e sicurezza internazio-
Le principali attività formative di cui l’Istituto è at- nale». Sulla base dell’accordo con l’ateneo veneziano,
tualmente responsabile comprendono il Corso Normale il Corso può essere frequentato anche da studenti civili
di Stato Maggiore (CNSM) e il Seminario per capitani in possesso di Laurea magistrale (mediamente vi par-
di vascello e capitani di fregata designati al Comando tecipano 3 civili per ogni sessione) che svolgono le
navale e territoriale (Seminario CCVV/CCFF). stesse attività previste per i militari.
Ulteriori moduli didattici, corsi e seminari possono L’insegnamento segue criteri di approfondimento
essere organizzati, di volta in volta, sulla base di spe- progressivo delle materie trattate, attraverso una didat-
cifiche esigenze formative prospettate anche da enti tica che comprende: insegnamento diretto, conferenze
esterni al comparto militare. Un recente esempio in integrative (anche in lingua inglese), attività applica-
tal senso è rappresentato dal Corso di Competenze ge- tive/esperienziali individuali e di gruppo, partecipa-
stionali, della durata di due settimane, erogato a otto- zione a eventi culturali e periodi di studio individuale.
bre scorso in favore degli ispettori della Polizia locale I moduli proposti nel CNSM per l’Anno Accade-
di Venezia. mico 2020/21 sono i seguenti:
— servizio di Stato Maggiore, mirato a far compren-
Corso Normale di Stato Maggiore dere e applicare il metodo di lavoro in uso negli staff
L’erogazione del CNSM è l’attività principale del- degli enti centrali;
l’Istituto: vengono svolte 3 sessioni l’anno, della durata — comunicazione, predisposto per migliorare le
di 13 settimane ciascuna; ogni sessione è frequentata competenze nella comunicazione scritta e orale attra-
da circa 35 ufficiali — di massima, nel grado di capi- verso fondamenti teorici, esercizi di public speaking
tano di corvetta/tenente di vascello — appartenenti ai (secondo precisi vincoli di tempo, con e senza ausili

22 Rivista Marittima Novembre 2020


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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

sulla Strategia marittima, nella prospettiva di far com-


prendere le dinamiche che sottendono le interazioni tra
Stati e analizzare in maniera olistica e oggettiva gli
eventi internazionali. Il modulo è arricchito da conte-
nuti di geopolitica, storia militare ed economia;
— pianificazione operativa, organizzato per illu-
strare la metodologia per la risoluzione dei problemi
militari di azione operativi e le procedure di lavoro dei
comandi operativi, anche internazionali.
Interviste individuali di comunicazione. I moduli di Studi strategici e Pianificazione opera-
tiva sono proposti in lingua inglese, per fornire agli uf-
ficiali una ulteriore valenza formativa finalizzata
audiovisivi), applicazione degli standard in uso negli all’impiego in consessi internazionali; sono aperti a uf-
staff degli enti centrali, coinvolgimento nelle dinami- ficiali stranieri di paesi alleati e amici.
che della comunicazione istituzionale e pubblica infor- Alla frequenza del CNSM possono essere ammessi
mazione (inclusi esercizi di intervista con giornalisti anche funzionari civili dell’amministrazione della Di-
specializzati nel settore difesa); fesa, ufficiali di altre Forze armate o Corpi armati dello
— scienze manageriali, ideato per fornire cono- Stato e ufficiali di altri paesi (purché abbiano una
scenze sui principi, strumenti manageriali ed elementi buona conoscenza della lingua italiana).
socio-psicologici delle organizzazioni complesse, come
strumento per la gestione delle risorse;
— scienze giuridiche, approntato per approfondire
le norme più significative del Diritto internazionale
pubblico, Diritto internazionale marittimo e Diritto in-
ternazionale dei conflitti armati;
— dottrina delle operazioni militari, costruito per il-
lustrare i concetti fondamentali della Dottrina inter-
forze nazionale, marittima nazionale e NATO, nonché
i principi delle operazioni marittime;
— studi strategici, preparato per spiegare i concetti
Lavoro di gruppo di pianificazione operativa.
fondamentali della strategia, con particolare enfasi

Lavoro di gruppo di scienze manageriali. Presentazione briefing pianificazione operativa.

Rivista Marittima Novembre 2020 23


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L’Istituto di Studi Militari Marittimi di Venezia

Seminario per capitani di vascello e capitani di fregata corpi destinati a rivestire un incarico di comando, di-
designati al Comando navale e territoriale rezione o vice direzione (o incarichi equipollenti)
Il Seminario CCVV/CCFF viene tradizionalmente presso un ente territoriale.
svolto a Taranto ed è indirizzato agli ufficiali superiori
designati per il Comando navale di unità maggiore, la Conclusione
direzione o vice direzione di enti territoriali e il Co- Il primo ottobre scorso, in occasione della cerimonia
mando di Compartimenti/Direzioni marittimi. Costitui- di apertura dell’Anno Accademico 2020/21, l’ammira-
sce un importante momento di aggiornamento glio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato
professionale in vista del fondamentale impegno di co- Maggiore della Marina Militare, ha definito l’Istituto
mando, in relazione sia al tempo intercorso dall’ultima di Studi Militari Marittimi il «tempio del pensiero della
analoga esperienza, sia alla diversificata attività che nostra Forza armata, cui è affidato l’indispensabile e
ciascuno ha nel frattempo effettuato. difficilissimo compito di concepire, in piena e severa
Ha un carattere preminentemente informativo ed è libertà intellettuale, il futuro della nostra Marina e, con
caratterizzato da una spiccata connotazione interattiva, esso, in un certo senso, anche il futuro del nostro paese,
con interventi tenuti da ammiragli, ufficiali superiori e dato l’intimo e indissolubile rapporto che, storica-
dirigenti civili che ricoprono posizioni di vertice nel- mente, lega l’Italia al mare».
l’organizzazione Difesa/Marina. I briefing sono sempre L’ammiraglio Cavo Dragone ha spronato i frequen-
seguiti da ampi periodi destinati alla discussione, in cui tatori della 84a sessione del CNSM presenti in sala,
i frequentatori hanno la possibilità di chiedere appro- con queste parole: «Voi, che vi affacciate alla fase più
fondimenti. produttiva della vostra vita professionale, ne dovrete
Gli obiettivi del Seminario sono: essere i protagonisti, con il confronto costruttivo delle
— spiegare le più recenti e significative novità di idee, la franchezza nell’esprimere le vostre convin-
carattere normativo, ordinativo e procedurale; zioni, ma anche e soprattutto la disponibilità intellet-
— illustrare tematiche particolarmente sensibili tuale a comprendere e accettare il nuovo. Approfittate
quali comunicazione esterna, gestione del personale di questa eccellente opportunità di riflessione e ap-
civile, tutela ambientale, responsabilità amministra- profondimento che vi permetterà di affrontare il vo-
tiva, tutela del segreto, sensibilizzazione di natura stro futuro professionale meglio attrezzati e con
contro informativa; rinnovato entusiasmo».
— aggiornare la formazione in campo antinfortuni- In effetti, lo spirito che da sempre caratterizza l’of-
stico; ferta formativa dell’ISMM è quello di puntare non solo
— favorire la conoscenza diretta tra i futuri coman- a elevare il livello culturale e professionale individuale
danti/direttori/vice direttori e i vertici degli organismi dei frequentatori, ma anche di armonizzare e valoriz-
MM, per facilitare le successive relazioni. zare, in un’ottica unitaria, le professionalità acquisite
Il Corso è strutturato su un «Modulo Congiunto», a dagli ufficiali dei vari corpi nella prima parte della loro
cui partecipano tutti gli ufficiali frequentatori, e tre carriera, per prepararli ad assolvere efficacemente in-
«Moduli Specifici», che hanno luogo a latere: carichi di maggiore responsabilità. Il miglioramento nel
— modulo navale, riservato a ufficiali di vascello «saper fare» e nel «saper essere», oltre all’approfondi-
destinati a comandare unità navali o comandi com- mento del «sapere», vengono stimolati attraverso la
plessi alle dipendenze della Squadra navale; proposta di numerose attività volte a promuovere il
— modulo Capitanerie di porto, riservato a ufficiali pensiero critico e la condivisione delle idee nei lavori
delle CCPP destinati a ricoprire un incarico di comando di gruppo, nell’ottica di creare un network virtuoso tra
nell’ambito dell’organizzazione centrale e periferica coloro che, tra alcuni anni, ricopriranno posizioni di ri-
delle Capitanerie di porto; levo nei vari settori della Forza armata e degli organi-
— modulo territoriale, riservato a ufficiali degli altri smi interforze. 8

24 Rivista Marittima Novembre 2020

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CODIN – le PMI alla guida dell’Innovazione e del Real Time Analytics.


Una rivoluzione in ambito Cyber and Home Land Security
Sempre più spesso si viene a conoscenza fornire ai Command&Control delle marine. coordinare e supervisionare l’acquisizione
che in qualche particolare settore sia stato L’analisi dei dati è realizzata utilizzando e l’integrazione di informazioni eterogenee
realizzato qualcosa di nuovo e di innovativo algoritmi basati su reti neurali artificiali. e definire un innovativo sistema di supporto
impiegando quella che viene definita Intel- “Ci siamo trovati in uno scenario – continua alle decisioni che ottimizza i tempi di inter-
ligenza Artificiale; una disciplina che viene Leuzzi – in cui il contrabbando, l’immigra- vento a salvaguardia dell’incolumità delle
dottrinalmente inserita nell’informatica ma zione clandestina ed il terrorismo trovano persone, ottimizza gli asset nelle operazioni
che in realtà si basa sulla convergenza di di- punti di accesso strategici nelle frontiere di controllo, garantisce elevati livelli di sicu-
verse discipline. marittime europee compromettendo la si- rezza e contiene i danni all’ambiente marino.
“Per CODIN – che oggi impiega 70 professio- curezza dei cittadini e del territorio. Partico- Il progetto si concluderà a Febbraio 2021, a
lare attenzione è necessaria per indirizzare quel punto, ne è convinto Tisone, non si po-
nisti attraverso 3 sussidiarie in Italia – spie-
trà più prescindere da sistemi intelligenti in
ga Walter Tisone, da oltre 30 anni alla guida efficacemente i temi posti da questa sfida.
ambienti e scenari sempre più complessi e
dell’Azienda, portare le proprie soluzioni di Occorrono misure innovative per garantire
connessi, sia in campo militare che civile.
machine learning più innovative è diventato la diagnosi precoce di eventi di rischio e atti-
business as usual ma le prime esperienze vare immediatamente le contromisure utili a
furono molto difficili, tutta l’azienda ha do- contrastare le potenziali minacce.
vuto sapersi adattare ad un profondo cam- La complessità delle problematiche che de-
biamento del modo di lavorare, si è deciso di vono essere affrontate comporta una mo-
investire più di 1 Mln di Euro nella creazione dellazione matematica estremamente com-
di un laboratorio interno di R&S, inserendo plessa dove metodi deterministici e metodi
giovani laureati che hanno portato in azien- euristici contribuiscono a creare le leggi di
da competenze variegate che, di fatto, hanno controllo desiderate, affidandosi ad un’anali-
permesso di immergerci in un ambiente fat- si più qualitativa del sistema in esame. L’uti-
to di discipline legate non solo all’informati- lizzo congiunto di tali metodologie permette
ca ma ai processi fino ai modelli matematici la realizzazione di soluzioni che mettono l’u-
complessi. tente in condizione di prendere decisioni nel This project has received funding from
Il framework ESSG – spiega Roberto Leuzzi, più breve tempo possibile, fornendogli tutte the European Union’s Horizon 2020
a capo della funzione R&D - include librerie le informazioni necessarie allo scopo, attra- research and innovation programme
verso un intelligente gestione delle informa- under grant agreement No 833881. This article
di algoritmi Real Time Analytics che permet-
reflects only the author’s view and the Research
tono di analizzare i comportamenti di tutti gli zioni stesse.”
Executive Agency (REA) is not responsible for
attori coinvolti: utenti, applicazioni, sistemi, Il sistema realizzato da CODIN si basa su any use that may be made of the information it
infrastrutture di comunicazione. un’architettura multilayer con l’obiettivo di contains.
Nell’ambito dei progetti finanziati CODIN sta
partecipando al progetto ANDROMEDA (An
EnhaNceD Common InfoRmatiOn Sharing
EnvironMent for BordEr CommanD, Control
& CoordinAtion Systems) - Grant Agreement
No 833881 - finanziato nell’ambito del Pro-
gramma Quadro europeo “Horizon 2020”
in consorzio insieme con la Marina Militare
Italiana, il CMCC (Centro euro-Mediterraneo
sui Cambiamenti Climatici) ed altri sedici
partner europei ed extraeuropei (https://
www.andromeda-project.eu/). Il progetto
mira a realizzare un sistema innovativo ed
unitario di monitoraggio del territorio, fina-
lizzato a migliorare la sicurezza delle fron-
tiere marittime e terrestri. In particolare, il
contributo di CODIN è finalizzato al moni-
toraggio delle rotte navali rilevate grazie
a sistemi AIS e Radar a cui si aggiungono
dati metereologici al fine di rilevare com-
portamenti “anomali” e generando alert da

informazione pubblicitaria

codim_bozze_riv marittima_2.indd 1
codim_bozze_riv 15/11/2020 15:47:50
15/11/2020
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PRIMO PIANO

La formazione dei marescialli della


Marina Militare
La Scuola sottufficiali di Taranto, una storia di oltre settant’anni

26 Rivista Marittima Novembre 2020


3_DONATO.qxp_Layout 1 18/12/20 20:33 Pagina 27

Antonio Donato (*)

L
a Scuola sottufficiali della Marina Militare di
Taranto, unica scuola di Forza armata deputata
alla formazione dei marescialli, ha una storia
di oltre settant’anni. La prima sede, nell’immediato se-
condo dopoguerra, fu su nave Cadorna, ove essa venne
costituita ufficialmente il 7 maggio 1947, con la deno-
minazione di Comando scuole CEMM (Corpo equi-
paggi militari marittimi). Il 17 maggio 1957 la Scuola,
già nella sede attuale di Taranto San Vito, fu intitolata
alla memoria del capitano di corvetta Lorenzo Bezzi,
medaglia d’oro al valor militare, scomparso in mare nel
giugno del 1940 al comando del sommergibile Liuzzi,
fulgido esempio delle virtù eroiche e umane che con-
traddistinguono da sempre il marinaio.
Oggi la Scuola sottufficiali (MARISCUOLA Ta-
ranto) si presenta come un moderno campus univer-
sitario, con una superficie di circa 32 ettari di larghi
viali costeggiati da palazzine e infrastrutture immerse
nel verde; un luogo nel quale il tempo è scandito dai
ritmi della vita militare e dell’attività didattica e dove
ci si accorge di essere in un’area militare, solo
quando i frequentatori in divisa si spostano per i
viali, inquadrati in sezione al ritmo degli ordini for-
mali di marcia.
L’Istituto, dal punto di vista delle infrastrutture di-
dattiche, può contare su 55 aule, 48 laboratori attrezzati
e un’Aula Magna da 534 posti e, per le attività sportive,
su una piscina coperta, due campi da calcetto, tre campi
da tennis, tre da pallavolo, tre da pallacanestro e su un
porticciolo con le imbarcazioni a vela, a remi e a mo-
tore. Uffici, alloggi, mense, sale ricreative e TV, infer-
meria, biblioteca, diverse officine, una centrale
elettrica, un depuratore, fanno del comprensorio una
vera e propria città completamente autosufficiente.

Giuramento solenne 1ª Classe NMRS e (*) Capitano di fregata, nato a Gallipoli il 27 febbraio 1970. Al
VFP1 - piazza d'armi Mariscuola Taranto termine dell’iter formativo presso l’Accademia navale è stato
(Tutte le immagini dell’articolo sono state impiegato nella Componente sommergibili e, successivamente,
fornite da Mariscuola Taranto).
a bordo delle UU.NN. nelle mansioni di comandante in 2a e co-
mandante. Nelle recenti esperienze nel settore formativo presso
la Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto, ha
espletato prima l’incarico di direttore Corsi e, attualmente, l’in-
carico di direttore degli Studi.

Rivista Marittima Novembre 2020 27


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La formazione dei marescialli della Marina Militare

introdotto, per il ruolo marescialli, dei percorsi forma-


tivi finalizzati al conseguimento della laurea triennale,
in forza delle convenzioni in vigore dapprima con
l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo e, oggi,
con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
Attualmente, per gli allievi marescialli, è prevista
l’immatricolazione:
— al Corso di laurea triennale in «Scienze e gestione
delle attività marittime», che ha l’obiettivo di assicu-
rare al frequentatore un’adeguata padronanza di metodi
e contenuti scientifici generali, nonché l’acquisizione
Allievi 2a cl. NMRS, lezione presso il dipartimento insegnamento nocchieri.
di specifiche conoscenze professionali nel settore delle
attività marittime e portuali e contribuisce alla forma-
zione culturale e professionale dei sottufficiali del ruolo
In media, da ottobre a giugno, la Scuola sottufficiali marescialli;
di Taranto ospita circa 900 allievi e frequentatori, con — al Corso di laurea triennale in «Infermieristica»
picchi fino a 1.250 unità, nel periodo di massimo af- per i Normali marescialli (i cui frequentatori sono vin-
flusso. citori di pubblico concorso) della categoria/specialità
L’attività cardine è la formazione dei marescialli ap- SS/I;
partenenti a tutte le dieci categorie di sottufficiali: Spe- — a partire dall’anno accademico 2015-16, anche al
cialisti del sistema di combattimento, Tecnici del Corso triennale in «Informatica e comunicazione digi-
sistema di combattimento, Specialisti del sistema di tale» per i Normali marescialli della categoria/specia-
piattaforma, Supporto e servizio amministrativo logi- lità TSC/Ead.
stico, Incursori, Fucilieri di Marina, Palombari, Servi- Ai primi due corsi di laurea, che si svolgono presso
zio sanitario, Nocchieri e Nocchieri di porto. l’Istituto (sede didattica dell’ateneo barese), sono
Si continua, poi, con la formazione del ruolo ser- iscritti anche studenti civili, circostanza che favorisce
genti, dei graduati e della truppa, a eccezione delle ca- ulteriormente il processo di integrazione e osmosi tra
tegorie Nocchieri, Nocchieri di porto e Tecnici di il mondo civile e quello militare.
macchine, che seguono i rispettivi corsi presso MARI- La formazione nella Scuola sottufficiali ha l’obiet-
SCUOLA La Maddalena. tivo di creare dei professionisti capaci e leali, in grado
A partire dall’A.A. 2005-06, la Marina Militare ha di anteporre il bene della collettività all’interesse per-

Allievi NMRS, attività piscina. Allievi NMRS, attività sportiva.

28 Rivista Marittima Novembre 2020


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La formazione dei marescialli della Marina Militare

Allievi NMRS, dipartimento insegnamento sanitario, lezione di anatomia. Allievi NMRS, dipartimento nocchieri di porto, lezione al simulatore.

sonale, sempre pronti a intervenire in soccorso degli Presso l’Istituto di formazione, poi, si svolgono
altri e con valori di patria, disciplina e onore, radicati e anche altri corsi professionalizzanti, tra i quali il corso
profondi. Ecco perché i formatori militari dell’Istituto per sottufficiali inquadratori e quello per sottufficiali
non si pongono come semplici insegnanti, ma come istruttori, personale destinato a essere impiegato presso
guida costante ed esempio, cercando sempre di eviden- tutti gli istituti di formazione della Marina Militare in
ziare i legami tra la pura teoria e la prassi quotidiana, compiti delicatissimi e di prioritaria e fondamentale
per non correre il rischio di trasmettere concetti decon- importanza per la Forza armata.
testualizzati che, inevitabilmente, rimarrebbero inerti. L’emergenza sanitaria correlata alla pandemia di
Fondamentale, per questo habitat formativo, sono la Covid-19 che, purtroppo, ha coinvolto la quasi totalità
collaborazione e il dialogo che devono instaurarsi, sem- del globo terrestre, ha indotto anche il mondo della
pre nel rispetto delle regole e dei ruoli, a tutti i livelli e formazione a orientarsi verso l’erogazione di soli
in tutte le direzioni, nell’ottica condivisa che il «fare corsi on-line, in tutti gli ambiti e in tutte le discipline.
formazione» deve essere il risultato di una vera e pro- MARISCUOLA Taranto non si è fatta trovare impre-
pria comunità di esperienze, in grado di alimentare parata a questa nuova sfida e la risposta è stata pres-
quello spirito di corpo, vero cardine di una disciplina soché immediata, avendo l’Istituto già consolidato,
consapevole e partecipata e, come tale, autoimposta. nel campo dell’e-learning, una consolidata espe-

Allievi della scuola sottufficiali Marina Militare di Taranto in audizione Allievi NMRS in visita al quirinale per saluto al Presidente della
generale da Papa Francesco. Repubblica.

Rivista Marittima Novembre 2020 29


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La formazione dei marescialli della Marina Militare

Celebrazione della santa Messa, presso la cappella dell’Istituto, in occa- Cerimonia, in Piazza d’armi, della consegna, da parte dell’Ammiraglio
sione del Precetto Pasquale. Comandante, dei gradi agli Allievi NMRS.

Allievi e frequentatori riuniti presso l’Aula Fasan in occasione della ceri- L’Ammiraglio Comandante (CA Enrico Giurelli) durante un momento
monia di apertura dell’anno accademico. della cerimonia di fine corso SGT.

rienza, attraverso la propria piattaforma per la didat- portanza del rapporto tra docente e discente, che va sal-
tica a distanza, mediante la quale già veniva erogata vaguardato a prescindere.
una molteplicità di corsi a favore degli allievi e fre- Nello stesso comprensorio di San Vito è ubicato
quentatori militari. anche il Centro addestramento aero-navale (MARI-
In tal modo, sulla piattaforma didattica on-line della CENTADD), la culla degli equipaggi della Marina Mi-
Marina Militare, così come sulla piattaforma utilizzata
dall’ateneo barese per le lezioni universitarie, è stato
possibile costituire delle vere e proprie «aule virtuali»
che hanno consentito di tracciare le attività formative
(login, durata, azioni intraprese durante la sessione for-
mativa), di confrontarsi on-line con i docenti, di utiliz-
zare la chat di gruppo per lo scambio di opinioni con
gli altri partecipanti, di visualizzare le slide o la lavagna
virtuale per condividere i contenuti del corso, di moni-
torare, attraverso sondaggi o test in tempo reale, il li-
vello di gradimento della lezione e l’efficacia
dell’apprendimento e, non ultimo, di sostenere anche Palazzo studi, cerimonia di consegna delle lauree infermieristiche al per-
sonale militare e civile.
gli esami. Il tutto nella piena consapevolezza dell’im-

30 Rivista Marittima Novembre 2020


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La formazione dei marescialli della Marina Militare

Gli uomini in divisa che ve-


diamo varcare il cancello in uscita
dell’Istituto sono gli stessi che a
bordo delle unità navali dovranno
impiegare apparati e sistemi
d’arma sofisticati, che rappresen-
tano lo stato dell’arte della mo-
derna tecnologia.
La Scuola sottufficiali della
Marina Militare si occupa della
formazione di base degli allievi e
dei frequentatori intesa non solo
come momento di acquisizione di
nozioni al fine di sviluppare il «sa-
pere», costruendo solide fonda-
menta e ampliando le conoscenze,
Giuramento VFP1.
ma anche in modo intrinseco e
complementare come «saper es-
litare che, con i suoi sofisticatissimi apparati, provvede sere», infondendo i principi, comportamenti e valori che
anche all’addestramento dei frequentatori di MARI- contraddistinguono lo status proprio di militare.
SCUOLA Taranto appartenenti alle categorie/specialità Un processo delicato e continuo che si pone l’obiet-
più propriamente operative. Una collaborazione che tivo di plasmare figure professionali in grado di agire
dura da oltre trent’anni e che con il tempo non ha man- con consapevolezza all’interno della Forza armata, ali-
cato di trasmettere, sistematicamente, al personale do- mentando fin dal giorno dell’arruolamento, la passione
cente della Scuola sottufficiali un po’ della per la professione, la diffusione della «cultura marit-
professionalità specialistica di altissimo livello che ca- tima» e la consapevolezza dell’importanza della Ma-
ratterizza gli istruttori di MARICENTADD. rina Militare per lo sviluppo del «Sistema Paese».
Piazza d’Armi, il cui suolo nel
tempo è stato calcato con onore
da migliaia di allievi e frequenta-
tori che hanno giurato fedeltà alla
patria, è testimone di questa me-
tamorfosi.
Inoltre, dal 2019 l’Istituto af-
fronta una nuova sfida, l’eroga-
zione dei Corsi di formazione di
base a favore del personale della
Marina del Qatar (QENF - Qatar
Emiri Naval Forces) nell’ambito
del progetto industriale correlato
al contratto siglato dal ministero
della Difesa del Qatar con Fin-
cantieri SpA (FCN) per la forni-
Giuramento solenne 1ª classe NMRS e VFP1.
tura di nuove unità navali. Tali

Rivista Marittima Novembre 2020 31


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La formazione dei marescialli della Marina Militare

Schieramento sul lungomare Vittorio Emanuele a Taranto in occasione del giuramento solenne degli allievi 1a classe NMRS e personale VFP1.

corsi hanno una durata che varia dai 4 mesi, per il per- In conclusione, MARISCUOLA Taranto rappre-
sonale di truppa, ai 7 mesi, per i sottufficiali e rappre- senta «l’Accademia dei sottufficiali», non solo per
sentano, per consistenza di frequentatori e durata il volume dell’attività formativa che qui si svolge,
complessiva, i corsi a favore di militari esteri più im- senza eguali nella Forza armata, ma soprattutto per
portanti nella storia recente dell’Istituto. il livello qualitativo dei contenuti delle attività di
istruzione e di educazione svolte dal suo personale
altamente qualificato, la cui missione è formare pro-
fessionisti capaci, nei quali radicare culturalmente il
metodo della conoscenza e, moralmente, una forte
etica della responsabilità. L’odierna figura del mili-
tare è, infatti, quella del difensore dello Stato, disci-
plinato e attento alla sua società, in quanto sempre
pronto a intervenire in soccorso degli altri. Tale fi-
gura richiede una profonda preparazione culturale e
tecnica, in continuo aggiornamento, al fine di con-
seguire puntuale e costante perfezionamento delle
proprie capacità, per un livello sempre più elevato
Lectio Magistralis tenuta dal diplomatico Staffan de Mistura, a favore di professionalità e competenza al servizio dello
degli allievi e frequentatori presso l’Aula Fasan.
Stato. 8

32 Rivista Marittima Novembre 2020


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informazione pubblicitaria
4_BERI-DE NINNO.qxp_Layout 1 21/12/20 20:54 Pagina 34

PRIMO PIANO

Il NavLab.
Laboratorio di storia marittima
e navale dell’Università di Genova
«Laboratorio» richiama subito alla mente una realtà fi-
Emiliano Beri (*) - Fabio De Ninno (**) sica in cui si svolge un’attività di ricerca scientifica e di
analisi, in primo luogo strumentale. Qui ci troviamo in

R
accontare la realtà e l’esperienza di un Labo- una dimensione molto diversa, perché il NavLab è sì
ratorio di storia marittima e navale impone in una realtà di ricerca, ma una realtà di ricerca di un am-
prima battuta una premessa terminologica. bito disciplinare umanistico. La sua dimensione fisica

(*) Ricercatore di storia moderna presso la Scuola di Scienze umanistiche dell’Università di Genova, dove insegna storia sociale e
storia militare e dove coordina l’attività di divulgazione scientifica del Laboratorio di storia marittima e navale. È stato membro
del Centro interuniversitario di studi «Le polizie e il controllo del territorio» e dell’organizzazione scientifica internazionale «Red
Columnaria». Ha partecipato a diversi progetti di ricerca nazionali ed europei. È autore di tre monografie e di numerosi articoli e
contributi scientifici.
(**) Professore a contratto e assegnista di ricerca presso l’Università di Siena, segretario di redazione di Italia contemporanea, co-
ordinatore del progetto della bibliografia italiana di storia militare 2008-17, del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico
militari. Collabora con il Second World War Research Group del King’s college di Londra. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Fa-
scisti sul mare: la Marina e gli ammiragli di Mussolini (2017) e I sommergibili del fascismo (2014), oltre a numerosi capitoli e
articoli in pubblicazioni scientifiche italiane e straniere.

34 Rivista Marittima Novembre 2020


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configurazione materiale è quella del gruppo di ricerca,


di docenti, ricercatori, dottorandi e studenti che si oc-
cupano di storia marittima e storia navale nelle più sva-
riate declinazioni della disciplina.
Si tratta di una realtà recente, che non ha ancora su-
perato il traguardo della decade di vita. Il Laboratorio,
infatti, è nato nel 2012 grazie all’iniziativa di Luca Lo
Basso, oggi professore ordinario di storia moderna
dell’Università di Genova, nel 2012 ricercatore nello
stesso Ateneo, e di Guido Candiani, oggi ricercatore di
storia moderna dell’Università di Padova, nel 2012 ri-
cercatore del CNR (Consiglio nazionale delle ricerche)
presso la sede di Genova.
In Italia, in ambito accademico, la storia marittima
e navale non ha mai goduto di grande fortuna: sono
pochi gli studiosi che le hanno dedicato tempo e atten-
zione, e ancor meno sono quelli che ne hanno fatto il
fulcro della loro attività di ricerca e didattica. Non è
stato così per Lo Basso e Candiani, sia sotto il profilo
della ricerca, con decine di pubblicazioni, sia sotto il
profilo della didattica, con Lo Basso che è titolare
ormai da diversi anni della cattedra (nel linguaggio bu-
rocratico accademico il termine corretto oggi è «inse-
gnamento») di Storia marittima e navale nel corso di
Laurea magistrale in Scienze storiche dell’Università
Università di Genova, fondata nel 1481 e di Genova e con Candiani che, da quest’anno, è titolare
avente la sede principale nel centro sto-
rico della città (repubblica.it). della cattedra di Storia marittima e navale nel corso di
Laurea in Scienze storiche dell’Università di Padova.
Candiani è uno studioso della Repubblica di Venezia,
Lo Basso principalmente della Repubblica di Genova
è fatta di uffici, con una biblioteca tematica (che racco-
glie circa un migliaio di titoli) e un archivio digitale in
cui sono conservate le riproduzioni di migliaia di docu-
menti fotografati nelle missioni di ricerca condotte in
archivi italiani — Genova, Venezia, Firenze, Napoli,
Palermo, Torino ecc. — e stranieri — Parigi, Simancas,
Londra, Marsiglia, Siviglia, Dubrovnik ecc.).
Il Laboratorio è un centro di ricerca; un centro di ri-
cerca che non si chiama in questo modo per una scelta
di carattere pratico: la normativa accademica configura
il Laboratorio come una struttura di ricerca più snella Nicola La Banca (a sinistra), Luca Lo Basso (al centro) e Guido Candiani
(a destra) durante il Convegno internazionale «L’Italia e il mare dal Me-
e agile da gestire, sotto il profilo burocratico, rispetto dioevo all’età Contemporanea. Controllo politico, economia e società»,
Università di Siena, Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-
al centro di ricerca. La sua dimensione fisica è un mero militari, Laboratorio di storia marittima e navale - Università di Genova,
Siena 22-23 giugno 2018 (NavLab).
riferimento, è la sede della struttura, mentre la sua reale

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Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale dell’Università di Genova

(anche se i suoi primi lavori hanno avuto come oggetto


la Marina veneziana e quella sabauda). È come se le
due antiche realtà marittime italiane, ostili l’una all’al-
tra per secoli, avessero trovato un ideale punto di in-
contro nel tentativo di dare maggiore vitalità agli studi
marittimo-navali nel mondo accademico.
Nella loro idea di fondare una struttura di ricerca in-
centrata sulla storia marittima e navale (ossia sulla storia
civile e sulla storia militare del mare, del mare inteso
come ambiente sociale, economico e politico) Lo Basso
e Candiani hanno voluto dare corpo a una realtà che po-
tesse essere un punto di riferimento generale per tutti Emiliano Beri alla «Journée d’étude FED 4124 Histoire et Archéologie Ma-
ritimes, GRAN, SEAS, NavLab Università di Genova». Maison de la Re-
coloro che si occupano, a vario titolo, di discipline sto- cherche de Sorbonne Université, Parigi, 7 novembre 2019 (NavLab).

riche legate al mare e che potesse essere di stimolo agli


studi marittimi, a partire da un nucleo «genovese». Nel un approccio che va ad accostarsi, in forma complemen-
2012, nel progetto iniziale di fondazione del Laborato- tare, a quello adottato da Lo Basso nell’insegnamento
rio, hanno coinvolto due assegnisti di ricerca liguri: di Storia marittima e navale).
Paolo Calcagno ed Emiliano Beri, allievi, come Lo Il nucleo originale del NavLab, come si intuisce dalla
Basso, di Giovanni Assereto. Oggi il nucleo del Na- sua genesi, è stato principalmente, per tre quarti, ligure-
vLab, con Candiani in servizio all’Università di Padova, genovese e totalmente, per quattro quarti, modernista,
gravita intorno a Lo Basso, Calcagno (oggi professore ossia formato da studiosi dell’età moderna. Da questo
associato di storia moderna) e Beri (oggi ricercatore di primo nucleo, però, la proposta portata dal NavLab si è
storia moderna), con Calcagno e Beri che sono stati con- estesa. L’idea di Lo Basso e Candiani è stata quella di
vertiti da Lo Basso agli studi marittimi — a partire da dare corpo a una realtà che superasse i limiti fisici e scien-
interessi iniziali in ambito di ricerca che marittimi non tifici dell’Ateneo genovese, coinvolgendo studiosi italiani
erano — e che dedicano ampio spazio alla storia marit- e stranieri e collaborando con strutture di ricerca e pub-
tima nella didattica dei loro insegnamenti (una men- bliche nelle più svariate forme e accezioni. Questa idea
zione la merita, vista la sede di questo articolo, la si è tradotta in un’impostazione che emerge già dalla con-
cattedra di cui Beri è titolare nel corso di Laurea di figurazione del suo comitato scientifico del NavLab, for-
Scienze storiche dell’ateneo genovese: Storia militare. mato da molti tra i principali accademici italiani che si
È un insegnamento che tratta anche di storia navale, con occupano, o si sono occupati in tempi recenti, di storia
marittima e navale, oltre ad alcuni studiosi stranieri (ri-
conducibili in primo luogo agli studi mediterranei, e al
panorama accademico francese e spagnolo). Non solo, il
NavLab ha anche una dimensione che va oltre quella del
suo nucleo originale e del comitato scientifico: la dimen-
sione degli «associati». È la forma attraverso cui Lo
Basso, che dirige il NavLab dal 2012, ha scelto per col-
legare in una sorta di realtà di ricerca nazionale, e in parte
internazionale, una molteplicità di studiosi della materia
storico-marittima e storico-navale. È una realtà plurale e
priva di vincoli. Mi spiego: chi si associa alla struttura
non deve ottemperare a nessun particolare obbligo. L’as-
Paolo Calcagno al Festival del Mare di Genova, 19 maggio 2019 (NavLab).
sociarsi è un semplice strumento che permette di costruire

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Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale dell’Università di Genova

legami di collaborazione, interazione in materia di ri- Mi limito ad alcuni esempi: gli archeologi navali e su-
cerca, didattica e divulgazione. bacquei, come Francesco Tiboni, Renato Gianni Ri-
Quella degli associati è una nutritissima squadra di della (studioso anche, e soprattutto, di artiglieria
studiosi, accademici e non (alcuni inseriti anche nel co- cinquecentesca) e Fabrizio Ciacchella; studiose del
mitato scientifico). Gli associati accademici apparten- mondo marittimo ligure e napoletano, come Luciana
gono a una pluralità di atenei italiani, e si occupano dei Gatti e Maria Sirago; studiosi di storia navale dell’Ot-
più svariati rami della disciplina. Ne cito solo alcuni: tocento e del Novecento come Maurizio Brescia, diret-
Walter Panciera, modernista dell’Università di Padova; tore della rivista Storia militare, e Aldo Antonicelli.
Elisabetta Tonizzi, contemporaneista dell’Università di Lo scopo è quello di avere un approccio che sia, il più
Genova; Salvatore Bottari, modernista dell’Università possibile, a tutto tondo, attraverso una sinergia di com-
di Messina, Fabio De Ninno, contemporaneista del- petenze e conoscenze che il NavLab promuove e favori-
l’Università di Siena; Antonio Musarra, medievista sce, quale punto di riferimento (e, quando necessario, e
della Sapienza-Università di Roma; Giampaolo Salice, se richiesto, quale organo di coordinamento), mettendo
modernista dell’Università di Cagliari; Claudio Marsi- in contatto, anche e soprattutto a distanza — lontano dal
lio, modernista dell’Universidade de Lisboa; Massimo nucleo centrale, fisico, genovese della struttura — tutti
Corradi, dell’Università di Genova, storico della gli studiosi, ricercatori e docenti che si occupano di storia
scienza e docente di storia delle costruzione navali. marittima e navale. È uno scopo che si manifesta anche
Accanto agli accademici troviamo i «non accade- nella dimensione, molto attuale, della divulgazione scien-
mici»: studiosi delle più svariate tematiche storico-ma- tifica per mezzo dei social media, con la presenza del La-
rittime che non operano, quantomeno stabilmente, boratorio su Facebook, attraverso una pagina
all’interno di un ateneo. La presenza dei non-accade- («Laboratorio di storia marittima e navale - Università di
mici arricchisce il panorama, sia portando competenze Genova») e un gruppo collegato («Storia militare -
scientifiche e tecniche che non di rado gli accademici Scienze Storiche Unige») alla cui amministrazione, e pro-
padroneggiano solo parzialmente, sia coprendo aree te- posta scientifico-divulgativa, collaborano alcuni associati
matiche che sfuggono agli studi accademici, sia per accademici e non accademici — con l’ausilio anche di
questioni di approccio che, più semplicemente, di ri- alcuni collaboratori reclutati, ci si passi il termine, tra le
strettezza numerica (pochi studiosi accademici, in Ita- fila degli studenti dell’ateneo genovese — con sinergia
lia, a fronte di una moltitudine di temi da affrontate). di competenze e prospettive.

Fabio De Ninno, assegnista di ricerca e professore a contratto, Università Fabrizio Ciacchella durante la «Journée d’étude FED 4124 Histoire et Archéo-
di Siena, ideatore del convegno «L’Italia e il mare», qui alla conferenza «Il logie Maritimes, GRAN, SEAS, NavLab Università di Genova». Maison de la
Piemonte e la Marina Militare» organizzata dall’ANMI di Torino (NavLab). Recherche de Sorbonne Université, Parigi, 7 novembre 2019 (NavLab).

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Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale dell’Università di Genova

vorire l’accesso degli «uditori» alle lezioni degli in-


segnamenti universitari tenuti dai docenti del Labo-
ratorio. Un «uditore» è un non iscritto all’università
che segue le lezioni degli insegnamenti universitari.
Le lezioni universitarie sono pubbliche, ossia anche i
non iscritti all’università possono seguirle (in alcuni
casi con limitazioni normative imposte dal singolo
ateneo). Si tratta di una possibilità per il cittadino e
di una possibilità per una struttura, come il NavLab,
attenta alla dimensione della divulgazione al pub-
blico. Il problema si colloca nel fatto che la possibilità
sia poco nota ai cittadini; da qui l’intenzione di pub-
Alcune delle monografie pubbli-
cate dai membri del Laboratorio, blicizzarla, per diffonderne la conoscenza.
negli ultimi anni (NavLab). La dimensione della divulgazione in cui si muove il
nucleo genovese del Laboratorio si è arricchita, negli ul-
timi anni, di attività rivolte alle scuole, con alcuni incontri
La dimensione della tenuti in scuole secondarie e licei, e di un evento orga-
divulgazione al pubblico, nizzato dall’Ateneo genovese, il Festival del Mare. Nel
della storia marittima e Festival — di cui nel 2020 avrebbe dovuto tenersi la terza
navale, è un’attività a edizione, cancellata poi a causa dell’emergenza sanitaria
cui, fin dalla sua fonda- — tutte le anime dell’Università di Genova, che si occu-
zione, i membri del pano a vario titolo del mare, propongono alla cittadinanza
nucleo centrale del La- incontri, laboratori didattici e conferenze. E fra queste
boratorio hanno dedicato anime, quella storica è incarnata nel NavLab. Il Festival
una costante e intensa at- del Mare è divenuto, da un biennio, l’espressione divul-
tenzione, sia attraverso lo strumento classico delle gativa di una realtà di ricerca interdipartimentale del-
conferenze, sia aprendo al pubblico i convegni e i se- l’Università di Genova: il Centro del Mare. Nel Centro,
minari scientifici. Non che questi siano mai stati un «centro strategico d’Ateneo», tutte quelle anime
eventi chiusi, ma l’intento si è manifestato promuo- dell’Università che si occupano di mare, già coinvolte nel
vendo la partecipazione del pubblico, pubblicizzando Festival, si trovano a contatto, collaborando allo sviluppo
gli eventi anche fuori dal mondo scientifico. Sulla di progetti di ricerca e collaborazioni internazionali e na-
stessa linea si colloca, da alcuni anni, la scelta di fa- zionali, scientifiche e produttive. E anche nel Centro del

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Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale dell’Università di Genova

Mare la componente deputata alla storia e alla cultura del cerca di elevato interesse nazionale) coordinati dall’Uni-
mare è il NavLab. Peraltro, già in tempi precedenti alla versità di Milano sul controllo del territorio e le forze di
nascita del Centro del Mare, il NavLab ha collaborato, a sicurezza e di polizia, in cui i ricercatori del NavLab si
livello divulgativo, con altre realtà dell’Ateneo genovese sono occupati di controllo del mare e sicurezza marittima,
che si occupano di mare, per esempio sviluppando, in si- diventando il braccio marittimo del già Centro interuni-
nergia con l’Orto Botanico Hanbury (Dipartimento di versitario di studi «Le polizie e il controllo del territorio»,
scienze dell’ambiente, della terra e della vita), un progetto oggi Centri di studi, diretto da Livio Antonielli; un FIRB
laboratoriale e un ciclo di conferenze per l’edizione 2017 (Fondo per gli investimenti della ricerca di base, progetto
del Festival della Scienza. italiano finanziato con fondi europei sulle frontiere me-
Citando il Centro del Mare, il discorso si sposta dalla diterranee), coordinato da Valentina Favarò, dell’Univer-
dimensione della divulgazione a quella della ricerca e sità di Palermo. In ultimo, un progetto ERC (European
della formazione, e in particolare dell’attività di ricerca e Research Council) Starting Grant, Seafaring Lives in
formazione del nucleo centrale del NavLab, che prende Transition, Mediterranean Maritime Labour and Ship-
forma attraverso gli insegnamenti tenuti dai docenti del ping 1850s-1920s coordinato da Apostolos Delis dell’In-
Laboratorio nel corso di Laurea in Scienze storiche del- stitute of Mediterranean Studies of FORTH (Heraklion)
l’Università di Genova e attraverso la presenza di due di che ha coinvolto atenei e centri di ricerca di Grecia, Spa-
essi nel collegio docenti del corso di dottorato in Studio gna, Francia e Italia (con NavLab referente, come unità
e valorizzazione del patrimonio storico, artistico-architet- di ricerca, per l’Italia).
tonico e ambientale. All’interno di questo dottorato è at- È una dimensione, quella della collaborazione nazio-
tivo un curriculum in «Storia» diviso in cinque indirizzi, nale e internazionale con atenei, strutture di ricerca e isti-
tra questi, quello di Storia moderna, ha nel NavLab un tuzioni pubbliche, che il NavLab persegue con la
suo punto di riferimento per quanto riguarda il percorso massima apertura (possibile nel limite delle risorse,
di ricerca e formazione. Dal 2012 sono stati almeno una umane in primo luogo, disponibili), e che ha portato,
decina i dottorandi che hanno svolto un percorso di ri- oltre alla realizzazione dei progetti di ricerca di cui sopra,
cerca specifico su tematiche di storia marittima e navale, alla stipula di convenzioni di collaborazione che coin-
entrando nel novero dei membri del NavLab come stu- volgono l’IRCRES-CNR di Torino-Genova, ISSM-CNR
diosi formati specificatamente nella storia marittima e na- di Napoli, l’Archives du Palais Princier de Monaco,
vale dell’età moderna. Non solo, i membri del NavLab si l’Università «G. D’Annunzio» Chieti-Pescara, il CHAM
sono più volte messi a disposizione di dottorandi e ricer- di Lisbona e il Laboratoire histoire des économies et des
catori di altri atenei che, occupandosi di temi marittimi e sociétés méditerranéennes de la Faculté des Sciences
navali, avevano necessità di quei contatti e di quelle inte- Humaines et Sociales des Tunis. Non solo, uno stimo-
razioni che stimolano e arricchiscono lo studio e l’attività lante filone di interazione è nato, recentemente, con la
di ricerca. In aggiunta, il NavLab è presente anche nel pa- Marina Militare, attraverso la collaborazione col Museo
norama editoriale, promuovendo e contribuendo a finan- tecnico-navale della Spezia, grazie anche e soprattutto
ziare la pubblicazione di ricerche attraverso la collana all’attività estremante propositiva del suo direttore, ca-
«Biblioteca del Laboratorio di storia marittima e navale» pitano di vascello Leonardo Merlini. A fronte di tante e
della casa editrice Città del silenzio (Novi Ligure), e at- variegate collaborazioni a tutt’oggi manca un’intera-
traverso la direzione della collana «Studi storici marit- zione tra il NavLab e il Galata Museo del Mare di Ge-
timi» della casa editrice New Digital Frontiers (Palermo). nova, nonostante i tentativi fatti in alcune occasioni da
Per quanto concerne la dimensione della ricerca, la parte della direzione del Laboratorio.
particolare attenzione del nucleo genovese del Laborato- Sotto il profilo della collaborazione nazionale, e
rio alla collaborazione nazionale e internazionale si è ma- della presenza del NavLab sul panorama scientifico
nifestata negli anni attraverso la partecipazione a progetti europeo, una delle iniziative di maggior spessore, e
di ricerca italiani ed europei. Due PRIN (Progetti di ri- meglio riuscita, è stato il convegno internazionale

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Il NavLab. Laboratorio di storia marittima e navale dell’Università di Genova

Marina Miliare, nella persona


dell’allora capo dell’Ufficio,
Leonardo Merlini, nei saluti
introduttivi. La novità rappre-
sentata dall’iniziativa e l’ap-
prezzamento ricevuto dal
pubblico degli studiosi è stata
sottolineata dall’accorrere di un
numeroso pubblico di uditori
non iscritti a parlare, ma che
hanno comunque partecipato ai
lavori, arricchendo la discus-
sione con i loro contributi.
Il convegno ha consentito di
costatare i punti di forza e le
debolezze correnti della storia
marittima e navale italiana. Il
Locandina del Convegno «L'Italia e il mare. Dal Medioevo all'età contemporanea», tenutosi a Siena il 22-23
giugno 2018. lavoro degli studiosi presenti,
così come il Laboratorio in ge-
nerale, ha evidenziato la capa-
«L’Italia e il mare dal Medioevo all’Età Contempora- cità di apertura internazionale e innovazione tematica
nea. Controllo politico, economia e società», nato da della ricerca italiana. Al tempo stesso è emerso un certo
un’idea di Fabio De Ninno, col coinvolgimento di An- sbilanciamento verso il periodo moderno e aspetto
tonio Musarra ed Emiliano Beri. Il progetto del con- ancor più rilevante le difficoltà di strutturare la storia
vegno è stato sviluppato in collaborazione con il marittima e navale nell’ambito dell’università. Tale
Centro interuniversitario di studi e ricerche storico- problematica è in parte conseguenza della scarsa coor-
militari (CISRSM), diretto da Nicola Labanca e con dinazione tra le istituzioni del mare e il mondo univer-
sede all’Università di Siena, ma che raccoglie alcuni sitario, come abbiamo sottolineato nel caso del Galata
dei principali atenei italiani (Università di Torino, Museo del Mare, in opposizione a un modello collabo-
Pisa, Padova, Pavia, Milano Cattolica, Siena, Milano rativo che costituisce un sistema consolidato di rela-
Statale, Modena-Reggio Emilia, Bologna-Ravenna, zioni in altri paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna e
Roma La Sapienza, Roma Tre). Francia. Sarebbe auspicabile che iniziative di questo
L’idea alla base del convegno era quella di fare il punto tipo possano trovare continuità nel tempo.
sulla storiografia navale e marittima italiana, coinvol- In conclusione, sia la recente attività del NavLab, sia
gendo soprattutto i giovani studiosi. L’iniziativa si è l’iniziativa del convegno sull’Italia e il mare evidenziano,
svolta a Siena il 22-23 giugno 2018, con quattro sezioni: infatti, che il capitale umano della storia marittima e na-
una introduttiva, sullo stato dell’arte storiografica e le vale italiana è vario, ricco e capace di attirare l’interesse
altre tre dedicate rispettivamente alla storia medievale, della ricerca internazionale e potrebbe essere facilmente
moderna e contemporanea. Al convegno hanno parteci- potenziato per arricchire le nostre conoscenze su questo
pato studiosi provenienti anche da altri paesi, permet- aspetto della storia nazionale. A mancare, purtroppo, sono
tendo di raccogliere per la prima volta, dopo molto strutture e fondi. Il tutto è parte del problema più generale
tempo, il panorama nazionale dei ricercatori accademici del sottofinanziamento dell’università italiana, ma anche
di storia marittima e navale in un solo luogo. Il convegno del frazionamento delle iniziative di ricerca, divulgazione
ha visto la partecipazione anche dell’Ufficio Storico della e pubblicazione. 8

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Zextras_M
Zextras_M
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e riservatezza”, spiega Paolo Storti, installare presso il cliente (o di partner


amministratore delegato di Zextras. locali) all’interno di private cloud, che
Quali sono i vostri clienti principali, in quindi siano assoggettati a normative e
Italia e all’estero? classificazioni nazionali”.

Informazioni “Uno dei mercati principali in Italia per


noi è la Pubblica Amministrazione, sia
A livello di soddisfazione dei clienti,
quali ritorni avete ottenuto?
e dati: centrale che locale: la nostra soluzione
è qualificata AgID (Agenzia per l'Italia
“Abbiamo un tasso di rinnovi delle
licenze del 96% anno su anno, a livello
la sicurezza digitale) e ad oggi il prodotto è utilizzato
da oltre 500 enti in ambito sanitario o tra
mondiale. Con l’Esercito e col reparto C4

innanzitutto Regioni e Comuni capoluogo. Alla Difesa,


invece, dal 2016 Zextras è presente in due
abbiamo un accordo valevole fino al 2023.
Nel mondo l’assistenza viene erogata da
M.E. Virga intervista Paolo Storti, diverse configurazioni: il comando per le partner locali certificati. In Italia abbiamo
amministratore delegato di Zextras operazioni in rete, reparto C4, utilizza un network di sei partner qualificati PA.
Zextras come compente accessorio Studio Storti è il principale per la pubblica
del prodotto base open source Zimbra amministrazione, in quanto è l’unico, tra
per circa 40mila utenti, attraverso questi, a disporre della qualifica AgID
un’infrastruttura privata; invece l’Esercito per il servizio SAAS. Ogni Paese nel
ha un installato di circa 180mila utenti mondo ha un suo gruppo di partner per
e utilizza il prodotto sotto il marchio quanto riguarda il servizio di assistenza
Zimbra (per la quale siamo fornitori e altri partner per la parte di cloud. Per
della tecnologia a licenza). Zextras è, citare un esempio europeo, in Francia
nel circa 50% dei casi, installato negli è usato per tutte le università francesi
enti governativi e tra questi una parte tramite una sola azienda capofila. In
significativa è rappresentata dai corpi
Italia a volte, invece, manca una cultura
legati al mondo della sicurezza. Hanno
sull’open source, sulle normative in
scelto questo prodotto anche anche
merito alla protezione dei dati e le
ministeri e corpi americani, sudamericani,
asiatici”. certificazioni informatiche. Per questo
motivo io e altri colleghi proponiamo
Parlando di sicurezza, quali sono i periodicamente incontri formativi per
Zextras è nata in Italia nel 2010 e si occupa vantaggi principali che offrite? promuoverne la conoscenza così come
di produrre, in Italia, e commercializzare, “Innanzitutto il nostro prodotto è siamo stati promotori, fin dalla nascita,
in tutto il mondo, una suite per la posta basato su codici open source, offrendo del Cad, il Codice dell'Amministrazione
elettronica e collaborazione, Zextras garanzie di sicurezza e controllo; in Digitale, del 2005”.
Suite che estende, nello specifico, secondo luogo, permette una gestione
Zimbra Open Source. Zextras sviluppa avanzata dello storage, che può essere Quali sono i vostri progetti per il futuro?
tutte le funzionalità enterprise che spostato, modificato o ampliato, sempre “La crescita per noi è fondamentale:
si aggiungono alla gestione di posta mantenendo il servizio attivo. I nostri recentemente in C4 sono state aggiunte
elettronica (posta, calendario, rubrica, clienti richiedono una disponibilità alcune funzionalità per l’integrazione
attività) e all’antivirus o antispam con elevata di dati da salvare e non possono specifica con la loro parte di workflow
dei componenti collaborativi, come permettersi nessun tipo di blackout. sulla gestione documentale e sono state
l’editing online o i drive per la gestione La nostra soluzione, tra l’altro, ha una iniziate attività di implementazione per
dei file “cross device”, chat e videochat. Il caratteristica unica: la “georidondanza”
poter disporre di chat e videochat di
tutto è reso disponibile sia attraverso le viene effettuata in tempo reale. Ad
interfacce web native sia attraverso App gruppo riservate. Inoltre abbiamo iniziato
ogni modifica del dato se ne salvano
mobile native. Si tratta quindi di una suite l’integrazione dello storage nativo con
immediatamente una o più copie in
di collaborazione omnicomprensiva. La uno o più sistemi di back up. Essendo la parte di gestione documentale. Per il
società ha diverse sedi nel mondo, tra una realtà italiana, i nostri sistemi sono futuro prevedo un aumento della quantità
cui le principali, per dimensione, sono nativamente compatibili col GDPR, il di informazioni veicolate attraverso
in Italia, in Francia, in Sudamerica, India regolamento generale sulla protezione strumento privato, che garantisca la
e Russia. “Il prodotto è particolarmente dei dati dell'Unione Europea. La nostra riservatezza del dato e la sua sicurezza
adatto a gestire il private cloud, dove soluzione non nasce come servizio in fino ad averne una gestione diretta da
c’è una maggiore necessità di controllo public cloud, ma come soluzione da parte dell’ente”
informazione pubblicitaria

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PRIMO PIANO

Istruzione e formazione dell’ufficiale


della Marina mercantile: evoluzione
dell’ordinamento

Giuseppe Piazza (*)

(*) Docente di Scienza della navigazione, struttura e costruzione del mezzo navale presso ITTL «M. Colonna» di Roma. Collabora
con la Rivista Marittima dal 2003.

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Istruzione e formazione dal Basso Medioevo


alla scoperta dell’America
Sin dall’inizio dell’età medievale l’istruzione fu af-
fidata principalmente alla Chiesa, mentre l’arte della
navigazione si apprendeva con la «pratica salmastra»,
ovvero, con l’esperienza personale diretta in mare.
Gli allievi erano, in genere, gente nata nei paesi co-
stieri, abituata alla visione del mare e delle navi fin
dalla nascita, nutrita nell’ambiente dalle esperienze, dai
racconti, dall’esempio dei famigliari e degli amici, che
sul mare passavano la loro vita.
Quasi sempre si trattava di ragazzi analfabeti, ma
animati da un forte spirito d’avventura. Il pivetto (dal
genovese pivettu, ragazzo) imbarcato per la prima volta
senza «pratica salmastra», era sconvolto nella giungla
del cordame e dell’attrezzatura marinaresca.
«I giovani, imbarcati alle soglie dell’adolescenza
per seguire l’esempio del padre o sopperire ai bisogni
di una famiglia numerosa, rischiavano una precoce
perversione trovandosi brutalmente iniziati agli aspetti
più crudi dell’esistenza. E se sulle piccole imbarca-
zioni, in un ambiente familiare o quanto meno noto,
erano in qualche misura salvaguardati, sulle grandi
navi, i rapporti che si instauravano rischiavano di tra-
viarli» (1).
Per i ragazzi era normale iniziare la futura carriera
di ufficiali all’età di nove o dieci anni, direttamente a
bordo di una nave. Molti esperti ritenevano che fosse

«Il neofito del mare imparava a bordo: dallo scrivano, a saper leggere e
scrivere e far di conto; dal nostromo, l’arte marinaresca; dal pilota (che
corrispondeva all’ufficiale di rotta dei nostri giorni), l’arte della naviga-
Aula del Regio Istituto Nautico «Tomaso zione; dal comandante, la gestione e l’organizzazione della nave e del suo
di Savoia Duca di Genova», Trieste (foto- equipaggio» (Fonte immagine: Capitan Maltempo di Mario Cupisti, 1957).
teca dei Civici musei, Trieste).

Rivista Marittima Novembre 2020 43


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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

ormai troppo tardi se un ragazzo si fosse imbarcato guenze significative anche sull’evoluzione del sistema
all’età di quattordici anni, perché doveva «farsi il piede scolastico.
marino», vincere il mal di mare, imparare l’arte mari- Sul piano del sistema scolastico, parallelamente al
naresca, arrampicarsi sugli alberi, ecc. Per capire un circuito ecclesiastico, incentrato principalmente sulle
veliero bisognava lavorare con le proprie mani, in altre scuole monastiche prima e poi su quelle affidate agli
parole: la pratica in mare era l’unica scuola per appren- ordini dei Benedettini e dei Predicatori (Domenicani),
dere il mestiere. iniziarono a sorgere anche le scuole «laiche», gestite
Il neofito del mare imparava a bordo: dallo scrivano, sia da entità private che poi da quelle degli stessi Co-
a saper leggere e scrivere e far di conto; dal nostromo, muni. Si pensi per esempio alla nascita dell’Università
l’arte marinaresca; dal pilota (che corrispondeva all’uf- a Bologna, nel 1100 circa, con Irnerio. In tali contesti
ficiale di rotta dei nostri giorni), l’arte della naviga- «laici», ovvero centri di istruzione non religiosi, i futuri
zione; dal comandante, la gestione e l’organizzazione naviganti potevano apprendere i rudimenti di scrittura
della nave e del suo equipaggio. e lettura, basandosi esclusivamente sull’apprendimento
L’uomo di mare si formava in una scuola severa, ma a memoria. Queste necessità portarono a una vera e
che aveva un fascino irresistibile: la scuola della nave propria rivoluzione nell’ambito della scuola, con la na-
in mare. Gestire un legno era un’impresa complessa e scita della figura dell’insegnante professionista. Du-
richiedeva la costante attenzione e il lavoro di tutte le rante il XIII secolo iniziano a diffondersi le scuole
mani, ovvero di tutto l’equipaggio. La formazione e le laiche secondarie, rivolte agli alunni che già sapevano
mansioni erano diverse rispetto a quelle dei nostri leggere o scrivere. Queste scuole non erano organizzate
tempi, dove si richiede una mente scientifica; mentre come quelle odierne. Non si sostenevano esami e il li-
nelle unità dell’epoca si richiedeva l’abilità di un arti- vello dell’insegnamento era tutt’altro che uniforme, in
giano. Solo le persone che iniziavano il loro apprendi- quanto dipendeva sostanzialmente dalla preparazione
stato in tenera età potevano avere la speranza di e bravura del maestro.
padroneggiare il legno. Fino alla scoperta dell’America, la professione di
Era l’armatore o il proprietario del legno che, sce- marittimo era essenzialmente un’occupazione in cui la
gliendo fra gli elementi più validi, nominava il capi- performance dipendeva fortemente dall’esperienza, ov-
tano, persona di sua assoluta fiducia. Il capitano vero dalla «pratica salmastra». I giovani sopravvissuti
sommava in sé tutte le conoscenze e le abilità dell’equi- al calvario dell’iniziazione marinara progredivano nella
paggio. Tra il X e il XIII secolo iniziarono a rinascere gerarchia di bordo. La vetta della gerarchia di bordo
le prime corporazioni di arti e mestieri, che favorirono bisognava conquistarla affrontando il mare e il vento,
la ripresa economica e con essa la conseguente specia- dove la resistenza fisica e psicologica erano importanti.
lizzazione di commercianti e naviganti, rafforzando la «I piloti … molti erano analfabeti e sapevano con-
prosperità di quattro città portuali: Amalfi, Pisa, Ge- sultare soltanto carte nautiche estremamente semplifi-
nova e Venezia. cate, su cui erano tracciati porti e linee costiere
Per una crescita del commercio via mare era fonda- familiari, mentre per tutto ciò che riguardava venti e
mentale lo sviluppo di scuole che avrebbero favorito correnti si affidavano all’istinto» (2).
un miglioramento delle tecniche di navigazione e di co- La stima della posizione della nave era effettuata in
struzione dei navigli. L’invenzione della bussola (fino base agli elementi empirici (dead reckoning). All’aper-
ai nostri giorni sempre rimasta fedele e insostituibile tura degli oceani, i metodi di navigazione sviluppati
presenza a bordo di ogni nave), la redazione dei porto- prima della scoperta dell’America risultarono inade-
lani e soprattutto della neonata cartografia nautica, per- guati per navigare. In mancanza di punti di riferimento
misero di tracciare rotte, praticare la navigazione terrestri, l’attenzione si spostava al sole e alle stelle,
stimata e determinare il punto nave costiero. L’intro- unico mezzo per orientarsi nella vastità dell’oceano.
duzione di nuove tecniche per navigare ebbe conse- «Il marinaio medioevale aveva fatto fino ad allora

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

assegnamento sulla bussola e sulla carta nautica, sul Erano stati avanzati e testati numerosi sistemi per il
punto rilevato e sui sondaggi. Ora il pilota doveva sa- calcolo della longitudine, dall’ingegno di Galileo,
pere come eseguire un’osservazione astronomica, do- Newton, William Gilbert, Christiaan Huygens e Ed-
veva trovare l’altura, come era chiamata (propriamente mund Halley, ma non furono mai considerate piena-
la latitudine), e doveva conoscere l’altura di ciascun mente soddisfacenti.
porto di scalo» (3). Solo con un orologio regolato sul tempo del meri-
L’arte di navigare, che va ormai evolvendosi, esige diano di riferimento si poteva determinare: il tempo lo-
equipaggi sempre più esperti. Gli armatori dei legni ar- cale di astro osservato rispetto alla longitudine
ruolavano solo marittimi addestrati e ufficiali preparati dell’osservatore.
per affrontare le lunghe traversate oceaniche. Fu proprio John Harrison, nel 1761, finalmente riuscì nell’im-
questa enorme domanda di naviganti qualificati che presa, costruendo un orologio marino che permise di
portò alla nascita di scuole nautiche, inizialmente pri- determinare con precisione la longitudine in alto mare,
vate, prima dell’evoluzione delle disposizioni statali. Le dando così un decisivo apporto allo sviluppo della na-
lezioni di navigazione, tenute da cosmografi, integre- vigazione. Da questo momento, per circa un secolo,
ranno la formazione empirica di esperti marinai. I piloti con osservazioni separate si determinò la latitudine e
verranno addestrati all’uso di strumenti di misurazione la longitudine. La vera e propria navigazione astrono-
angolare d’invenzione araba (astrolabio nautico, ecc.). mica è quindi cominciata solo verso la fine del ‘700.
Ecco, dunque, la necessità di un’istruzione nautica
Innovazione della navigazione dal XV agli inizi articolata con insegnamenti impartiti da insegnanti di
del XIX secolo varie discipline, da quelle necessarie a una prima alfa-
Nel XV secolo i piloti erano in grado di calcolare betizzazione a quelle matematiche e nautiche. Gli
con una certa approssimazione la latitudine, soltanto istruttori di navigazione cominciarono a insegnare a na-
misurando l’altezza della stella polare. Il calcolo della vigare con la carta di Mercatore. La caratteristica prin-
latitudine meridiana, osservando la culminazione del cipale della carta di Mercatore era che, a differenza
sole, fu introdotto posteriormente, quando furono cal- della carta piana, forniva giuste direzioni o linee di
colate e messe in circolazione le effemeridi che ne da- rombi fra due punti qualsiasi e la rotta della nave po-
vano la declinazione, mentre la longitudine veniva teva essere trovata col porre una riga sulla carta.
semplicemente stimata. Considerato che a quei tempi In un’Italia divisa nell’assetto territoriale e politico,
non si conoscevano nemmeno i mezzi per
determinare il cammino di una nave (il sol-
cometro a barchetta risale al XVI secolo),
è facile comprendere la difficoltà della na-
vigazione. La diffusione della stampa a ca-
ratteri mobili, permetterà di stampare le
effemeridi (4), che forniranno le coordinate
astronomiche del sole e della stella polare
e, con un calcolo semplice, si era in grado
di stabilire la latitudine cui ci si trovava, os-
servando di giorno l’altezza meridiana del
sole e, di notte, quella della stella polare.
Il pilota poteva determinare in quale
punto di un meridiano nord-sud si trovasse
la nave, ma non quanto a est o a ovest, ov- Convitto prima camerata - Regio Istituto Nautico “Gioeni Trabia” di Palermo, primi del
Novecento (Ing. Andrea Tommaselli).
vero, la longitudine.

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in larga misura dipendente dalle grandi potenze euro- pegno di provvedere allo stipendio del Maestro, un in-
pee, la nostra penisola e le isole attraversarono un pe- segnamento di nautica. Più tardi (sec. XVII) troviamo
riodo di grave e progressiva decadenza economica. tra gli insegnamenti impartiti dalla Accademia del Col-
Mentre veneziani e turchi confliggevano nel Medi- legio dei Nobili alla Giudecca (fondato nel 1619)
terraneo, i confini del mondo si allargavano rapida- quello di scienza della navigazione» (5).
mente e il suo baricentro si spostava nell’Atlantico. La «L’odierno Istituto Nautico di Napoli trae origine
scoperta dell’America aveva ormai spostato il centro dal Collegio di S. Giuseppe a Chiaia, sorto nel 1623
del commercio internazionale dal mar Mediterraneo al- per opera del notaio Giulio Cesare Guadagno» (6).
l’oceano Atlantico. I porti italiani persero la loro im- «La fondazione dell’Istituto Nautico di Trieste risale
portanza a beneficio di quelli collocati sull’Atlantico. all’anno 1754, nel quale al padre Francesco Saverio
In questo periodo i vari stati soffriranno dalla carenza Orlando della Compagnia di Gesù, venne affidato l’in-
di navi e faranno fatica a organizzare un’efficiente carico di stabilire i programmi e di curare l’istituzione
istruzione nautica. Dominano le flotte straniere e il na- di una scuola che servisse all’educazione dei Capitani
viglio della nostra penisola e delle isole è in prevalenza e Scrivani della Marina mercantile» (7).
obsoleto, di conseguenza le scuole nautiche erano più Livorno, notevolmente sviluppatasi dalla seconda
che arretrate. metà del XVI secolo, fu importante porto franco. «Il
Nel 1837, dal comandante Thomas Sumner, fu in- granduca Pietro Leopoldo di Toscana nel 1766 fondò
trodotto il concetto della retta d’altezza, la sua teoria a Livorno una Scuola nautica, il cui insegnamento si
fu successivamente messa a punto dal comandante svolgeva in parte a terra (lingua francese, lingua in-
Saint- Hilaire della Marina francese, ideatore del me- glese, matematica e idrografia), ed in parte a bordo di
todo per il tracciamento della retta che porta il suo una nave dello Stato, ove i giovani apprendevano ed
nome. Sono note a tutti gli studiosi di nautica le circo-
stanze che condussero il capitano T. Sumner alla sco-
perta del metodo per la determinazione di un luogo
geometrico della nave con una altezza di sole.
I metodi di risoluzione del triangolo di posizione per
determinare il punto nave (fix), richiesero, nelle scuole
nautiche, uno specifico insegnamento dell’astronomia
nautica impartito da un esperto professore.

Istituzioni del mare prima dell’unità d’Italia


Dal XIV secolo la situazione era ormai consolidata:
le scuole nautiche laiche potevano essere comunali o
private. Dal punto di vista didattico il vero pilastro era
l’oralità. I testi di navigazione erano pochi e costosis-
simi e, l’apprendimento, mnemonico. Tale uso divenne
sempre più comune quando anche gli strumenti didattici
si perfezionarono e l’invenzione della stampa a caratteri
mobili portò a una graduale diffusione dei libri di testo.
Nel XV secolo, Venezia era il centro del commercio
mondiale e la maggiore città portuale del mondo.
«Fin dal 1573, con permesso del Consiglio dei
Dieci, venne istituito in Venezia, presso la Scuola detta Copertina del volume L’istruzione nautica in Italia, del ministero dell’Edu-
cazione nazionale (1931).
di S. NicoloÌ dè Marinai, la quale si era assunto l’im-

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

erano esercitati nella nautica d’altura, nel pilotaggio Il paese neo-unificato ereditava, dunque, dai vari
e nella manovra navale» (8). Stati italiani, una situazione estremamente differenziata
La penisola sorrentina ha una lunga tradizione, al- sia dal punto di vista delle strutture scolastiche sia dal
meno di tre secoli, come dimostrano gli armatori sor- punto di vista legislativo. Nel contempo comincia a dif-
rentini (Cafiero, Ciampa, Maresca, Lauro, Aponte, fondersi la navigazione delle navi a vapore, utilizzate
ecc.) e le antichissime scuole nautiche, che continuano però molto tardi nella Marina mercantile italiana. Dalla
a preparare valenti professionisti del mare (comandante fine del XIX secolo all’inizio del XX, l’elica e il suo
Gennaro Arma, ecc.). motore iniziavano ad avere il monopolio del mare, i ve-
«Tre Scuole nautiche erano istituite rispettivamente lieri andavano in disarmo e con essi tramontavano i
a Meta, Carotto o Piano, e Alberi; le due prime esiste- loro marinai. L’era della nave a vela si chiuse molto ra-
vano in epoca assai remota, ma ebbero indirizzo nau- pidamente, dopo neppure tre secoli, durante i quali la
tico nel 1875; la terza venne fondata nel 1786 dalla nave aveva cambiato il volto del mondo e i destini
famiglia Ruggeri» (9). dell’umanità.
Dal 1840, con gli armatori Florio, le vie del mare, si L’Italia è «colta nella sua difficile transizione dalla
aprono ai palermitani. «In Palermo fu aperto, nel 1789, vela al vapore, (…) segnata da un deficit non di espe-
un Collegio-Convitto per la istruzione nautica fondato rienza vissuta di vita sul mare, ma di conoscenze tec-
l’anno prima da monsignor Giuseppe Gioeni dei duchi niche, professionali, moderne» (14). L’inizio di una
d’Angiò» (10). politica scolastica nel nuovo Stato unitario italiano è
Genova è regina dei mari italiani dai tempi della glo- legato alla riforma del ministro Casati, che costituirà il
riosa Repubblica marinara di Genova ed è rimasta tale. perno del sistema scolastico italiano fino alla riforma
«La Scuola di Genova venne istituita il 13 gennaio 1827 Gentile (1923).
e il suo ordinamento rimonta al 12 dicembre 1840» (11). Fin dal 1866, l’istruzione nautica riguardante la for-
Camogli vive un’epoca di forte espansione e di de- mazione degli ufficiali della Marina mercantile, ebbe
collo della sua marineria durante il periodo napoleo- una sommaria sistemazione, che subì, nel corso degli
nico. La prima scuola di Marina, che preparava i anni, notevoli varianti negli ordinamenti, allo scopo di
giovani al titolo di «patronus», sorse in Camogli nel porre la preparazione degli allievi all’altezza richiesta
1780. «I camogliesi dettero in ogni tempo armatori ar- dall’evoluzione e dal progresso dei tempi. Perciò oc-
dimentosi, pionieri nel Nuovo Mondo, Capitani e Scri- correvano macchinisti per le nuove navi a vapore e per
vani abilissimi, intrepidi equipaggi molto ricercati. i brigantini mercantili che solcavano gli oceani.
Non vi fu parte del mondo ove non si recassero velieri Nel 1873 (con R.D.) ha luogo un passaggio impor-
camogliesi, comandati ed equipaggiati da Capitani e tante nella legislazione scolastica poiché si stabilisce
marinai camogliesi» (12). la chiara distinzione tra le sezioni per capitani, macchi-
nisti e costruttori. Per i capitani di gran cabotaggio sono
Istruzione e formazione nel Regno d’Italia previste scuole nautiche biennali, per quelli di lungo
Le politiche scolastiche intraprese dal governo fu- corso, istituti nautici triennali. Per i macchinisti ven-
rono indirizzate soprattutto a formare gli italiani. Il pro- gono avviate scuole speciali di macchine a vapore,
blema immediato era la formazione di una coscienza della durata di due o quattro anni, a seconda del grado
nazionale, affinché l’Italia non fosse più una semplice da conseguire; analogamente si predispongono scuole
«espressione geografica», ma una nazione e uno Stato speciali di costruzione navale per i corsi biennali o
modernamente organizzato. «L’insegnamento nautico triennali disposti per le due classi dei costruttori navali.
in Italia sugli albori del nuovo Regno doveva necessa- La fine del Mediterraneo e poi l’ascesa di una mo-
riamente risentire della diversità degli ordinamenti in narchia montanara come i Savoia, sembrano far tra-
vigore presso i vari Stati, che man mano entravano a montare la tradizione marinaresca. Il confronto con la
far parte del Regno d’Italia» (13). situazione di altri Stati europei conferma il quadro di

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

Studenti dell’ITTL «Duca degli Abruzzi» di Catania durante un’attività formativa e addestrativa (PCTO) - (prof.ssa C. Rapisarda).

un pesante ritardo dell’Italia. Un Paese arretrato ma L’insegnamento si completava con una crociera nau-
non immobile. A riaprire la tradizione marinaresca sa- tica d’istruzione. La soluzione quasi integrale del com-
ranno, nel 1881, i palermitani Florio e il genovese Ru- plesso problema si ebbe nel 1917 (con R.D.) col
battino, fondendo le loro flotte formeranno l’imponente passaggio degli Istituti nautici dalla dipendenza del mi-
«Navigazione Generale Italiana», la grande compagnia nistero della Pubblica istruzione al ministero della Ma-
avrebbe dominato per oltre quarant’anni le rotte com- rina. Furono anni di grande attività addestrativa, nelle
merciali e postali del Mediterraneo con collegamenti scuole, a bordo е a terra. «Il problema scolastico è visto
verso l’America e oltre Suez. Con la «Navigazione immediatamente come un problema nazionale, non
Generale Italiana» si registrò una prima piccola ri- solo per esigenze militari legate alla congiuntura bel-
presa della flotta mercantile e uno dei problemi cen- lica, ma più in generale in un contesto economico e po-
trali del nuovo Stato unitario fu quello di dare vigore litico internazionale» (15).
alla Marina mercantile, istituendo istituti (scuole) per Con tale passaggio gli Istituti nautici, acquistarono
formare comandanti e direttori di macchina (per il in pieno la dignità di «valide» scuole medie superiori.
personale non graduato non erano previsti percorsi Veniva così sconfitto il dannoso archetipo secondo il
scolastici). quale «la migliore scuola del mare è solo il mare».
L’incremento della lunga navigazione rispetto a Gli istituti nautici passati alla Marina erano 19: An-
quella costiera, l’aumento di stazza dei mercantili e cona, Bari, Cagliari, Camogli, Catania, Chioggia,
la nuova propulsione richiedono una diversa forma- Elena (Borgo di Gaeta), Genova, Livorno, Messina,
zione dei capitani, dei macchinisti e dei costruttori. Napoli, Palermo, Piano di Sorrento, Porto Maurizio,
Nel 1891 (con R.D.) si stabilì che la formazione sco- Procida, Riposto, Savona, Trapani e Venezia. Nel
lastica per capitani, macchinisti e costruttori abbia 1919 (con R.D.) fu istituito un ventesimo Istituto
luogo nell’Istituto Nautico, che comprende le tre cor- Nautico a Ortona a Mare. Nel 1923 (con R.D.) furono
rispondenti sezioni. Ognuna di esse aveva due corsi: soppressi ben sei Istituti nautici: Chioggia, Ortona a
biennale per capitani di gran cabotaggio, macchinisti Mare, Porto Maurizio, Procida, Riposto e Trapani.
e costruttori navali di seconda classe; triennale per Nel 1928 (con R.D.) tre Istituti nautici passano alla
capitani di lungo corso, macchinisti e costruttori na- Marina: Trieste, Fiume e Lussinpiccolo. Nel 1929
vali di prima classe. (con R.D.) gli Istituti Nautici dalla dipendenza del mi-

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

Copertina del volume In vela sull’oceano, di Flavio Serafini (1986).

nistero della Marina tornano sotto la giurisdizione del Il Regio Istituto Tecnico Nautico «M. Colonna» nac-
ministero della Pubblica istruzione, all’epoca dive- que nel 1937 per volere del governo dell’epoca, che
nuto ministero dell’Educazione nazionale. Nel 1931 volle così affermare la vocazione marinara dell’Italia,
(con R.D.) i Regi Istituti nautici furono trasformati in creando un Istituto Tecnico Nautico a Roma. La scuola
Regi Istituti tecnici nautici. fu dedicata all’ammiraglio della flotta pontificia, Mar-
Nel 1931 venne acquistata dal Governo italiano una cantonio Colonna, che fu vittorioso nella battaglia di
goletta a cinque alberi o schooner Susanne Vinnen (co- Lepanto del 1571.
struita come nave mercantile nel 1922 dai cantieri Frie- La solida preparazione culturale e professionale dei
drich Krupp Germaniawerft a Kiel) che la impiegò giovani diplomati ebbe la più eloquente prova durante
come nave scuola per la Marina mercantile ribattezzan-
dola Patria.
La nave fu gestita commercialmente e in tal modo
si poté compensare, con i noli, una parte delle forti
spese che tale tipo di nave richiede.
Nel 1936 (con R.D.) il consorzio delle scuole pro-
fessionali per la maestranza marittima, istituito nel
1920 (con R.D.) cambiò denominazione in Ente nazio-
nale per l’educazione marinara (ENEM).
Le scuole impartivano l’insegnamento attraverso un
corso triennale di studi comprendendo le sezioni di
nautica, motoristi navali e carpentieri per maestri
d’Ascia: padroni marittimi per condotta nel Mediterra-
Scambio di crest tra il Comandante generale del Corpo delle capitanerie
neo, delle navi fino a 700 tonnellate di stazza lorda; di porto-Guardia costiera, ammiraglio (CP) Giovanni Pettorino (ex allievo
dell’ITN «M. Colonna») e il Dirigente scolastico dell’ITTL «M.Colonna» di
motorista navale di I e II classe, per la condotta di mo- Roma, prof. Stefano Guerra, in occasione dell’ottantesimo anniversario
dell’Istituto Nautico «M.Colonna» (prof. Paolo Glave).
tori a combustione interna fino a 200 HP.

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

Nautico «Caio Duilio» di Messina); Luigi Durand de


la Penne (R. Istituto Nautico «S. Giorgio» di Genova);
Agostino Straulino (R. Istituto Nautico «Nazario
Sauro» di Lussinpiccolo).

Istruzione e formazione nell’Italia repubblicana


Nei primi anni del dopoguerra vennero inizial-
mente recuperate e ripristinate navi affondate nei ba-
cini portuali e sotto costa. Gli armatori italiani
acquistarono dagli Stati Uniti navi da trasporto del
tipo «Liberty». Successivamente, al risveglio econo-
mico, gli armatori italiani diventano i principali pro-
Aula di Arte Navale. Regio Istituto Nautico «S.Giorgio» di Genova (archivio
prof. Giuseppe Savà). tagonisti dello shipping mondiale. Dal dopoguerra ai
nostri giorni c’è stato un salto tecnologico di vasta
i due conflitti mondiali, in cui gli ufficiali di comple- portata. L’avvento del GPS (Global Positioning Sy-
mento assolsero con competenza e abilità il loro dovere stem) ha comportato una rivoluzione della naviga-
verso la Patria. zione, la portata della quale è paragonabile
Richiamiamo alla memoria: Luigi Rizzo (R. Istituto storicamente solo alla comparsa della cugina bussola

Studentessa dell’ITTL «M.Colonna» di Roma al simulatore di manovra (un ambiente di ponte di comando realistico riproducente gli apparati di bordo
quali RADAR, ECDIS, AIS, GPS, girobussola, comunicazioni GMDSS ( prof. Giuseppe Fiorini).

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

magnetica nel Medioevo. Il perfezionamento delle


tecniche di costruzione navale e di navigazione s’in-
treccia con una ridefinizione a livello internazionale
dei rapporti di lavoro e di mercato, con mutamenti
che hanno attraversato tutte le mansioni e profes-
sioni della gente di mare. I rapporti tra percorsi di
studio-lavoro sono vissuti, come una strategia eco-
nomica; c’è quindi, richiesta di formazione più dif-
fusa a qualsiasi livello e, di conseguenza, il sistema
scolastico/formativo italiano ha la nuova rotta trac-
ciata dalla convenzione internazionale STCW (Stan-
dards Training Certification Watchkeeping) che
garantisce gli standard dell’istruzione dei marittimi
in tutto il mondo.
In Italia, per accedere alle figure di allievo uffi-
ciale di coperta e allievo ufficiale di macchina oc-
corre essere in possesso dei diplomi di secondo ciclo
rilasciati dagli istituti tecnici a indirizzo trasporti e
logistica (ITTL, ex Istituto Tecnico Nautico) op-
zioni, conduzione del mezzo navale e conduzione
apparati e impianti marittimi (Decreto 28 giugno
2017); oppure essere in possesso di un titolo di stu-
dio conclusivo di un percorso di secondo ciclo di-
verso da quello rilasciato dall’ITTL, integrato da un
Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione
percorso formativo, finalizzato a perfezionare le e tenuta della guardia per i marittimi (IMO).
competenze specifiche di settore della durata di 700

Gara nazionale degli Istituti Tecnici Trasporti e Logistica. Studenti delle classi quarte, sez.
coperta, durante la prova di Scienza della navigazione sulla nave scuola SIGNORA DEL
VENTO (prof. Guido Andriani).

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

ITS - Fondazione «Giovanni Caboto» di Gaeta, cerimonia di consegna dei diplomi per i Corsi Gestione Apparati ed Impianti di Bordo e Conduzione del
Mezzo Navale (2019) - (ITS - Fondazione «G. Caboto» di Gaeta).

ore per la figura di allievo ufficiale di coperta e di seguire l’abilitazione di ufficiale di navigazione/mac-
800 ore per la figura di allievo ufficiale di macchina china. Effettuare 12 mesi di navigazione e sostenere
(Decreto 19 dicembre 2016); ovvero un diploma di un esame presso la Direzione marittima, i cui pro-
laurea triennale in Scienze e tecnologie della navi- grammi sono disciplinati dal Decreto 22 novembre
gazione (Università degli Studi di Napoli «Parthe- 2016, al fine di acquisire l’abilitazione di ufficiale di
nope»); oppure un diploma di laurea triennale in navigazione o ufficiale di macchina. In alternativa gli
Maritime Science and Technology (Scuola politec- allievi possono frequentare un ITS (Istituto Tecnico
nica, Università di Genova); essere iscritto nelle ma- Superiore). Nel 2010 sono nati gli ITS, un tipo di
tricole della gente di mare e avere effettuato con scuola italiana di alta specializzazione tecnologica,
esito positivo l’addestramento di base «basic trai- ovvero un ente di formazione di livello post-secon-
ning» presso centri di formazione autorizzati dal mi- dario non universitario, a cui possono accedere, tra-
nistero delle Infrastrutture e trasporti. mite selezione, coloro i quali sono in possesso di un
Gli istituti, le università e i centri di formazione diploma di scuola superiore di II grado. I percorsi di
marittima, per essere riconosciuti idonei all’eroga- alta formazione nel settore marittimo, di durata bien-
zione dei percorsi formativi, sono dotati di sistema nale, hanno l’obiettivo di condurre gli allievi ufficiali
di gestione per la qualità. Gli allievi di coperta o di all’acquisizione dell’abilitazione di ufficiale di navi-
macchina, possono scegliere fra due percorsi per con- gazione/macchina. Il percorso formativo per allievi

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Istruzione e formazione dell’ufficiale della Marina mercantile: evoluzione dell’ordinamento

ufficiali si articola, alternando periodi a terra (le- Pertanto gli ufficiali potranno scegliere di proseguire
zioni) con periodi di imbarco (12 mesi) retribuiti nei seguenti modi:
come allievi, fino al raggiungimento degli obiettivi — 12 mesi di navigazione su navi di potenza fino a
di apprendimento per sostenere l’esame di abilita- 3000 KW, oppure 18 mesi di navigazione su navi con
zione come ufficiale presso la Direzione marittima. potenza pari o superiore a 3.000 KW;
Una volta raggiunto il livello di ufficiale di naviga- — completare la formazione con i corsi previsti
zione, lo sviluppo di carriera prosegue in base al ton- dalla STCW e «Livello Direttivo» e accedere all’esame
nellaggio della nave su cui si effettua la navigazione, previsto dal Decreto 22 novembre 2016, acquisendo
conseguendo le successive abilitazioni. Pertanto gli l’abilitazione rispettivamente di: a) Primo ufficiale di
ufficiali potranno scegliere di proseguire nei seguenti macchina su navi di potenza compresa tra 750 e 3.000
modi (Decreto 25 luglio 2016): KW; B) Primo ufficiale di macchina su navi con po-
— 12 mesi di navigazione su navi di stazza com- tenza pari o superiore a 3.000 KW.
presa tra 500 e 3.000 GT, oppure con 18 mesi su navi
di stazza pari o superiore a 3.000 GT; Conclusioni
— completare la formazione con i corsi previsti L’istruzione e la formazione nautica mercantile,
dalla STCW e «Livello Direttivo» e accedere all’esame pur avendo subito profonde innovazioni e riorganiz-
previsto dal Decreto 22 novembre 2016, acquisendo zazioni ha mantenuto inalterate le finalità di fondo
l’abilitazione rispettivamente di: a) Primo ufficiale di che erano, e sono ancora oggi, la formazione degli uf-
coperta su navi di stazza compresa tra 500 e 3.000 GT; ficiali della Marina mercantile. Sul mare l’attività dei
B) Primo ufficiale di coperta su navi di stazza pari o nostri naviganti, troverà sempre, anche se la conquista
superiore a 3.000 GT. sarà faticosa, un campo fecondo di lavoro, purché so-
Per gli ufficiali di macchina, il percorso di carriera si stenuta da ferma volontà e da coraggioso spirito di sa-
sviluppa sulla base della potenza propulsiva dell’apparato crificio. Non si può fare un marinaio, di un uomo che
motore principale della nave su cui si effettua la naviga- non desideri veramente diventarlo, o di un uomo che
zione richiesta per conseguire le successive abilitazioni. non sia disposto a fare i sacrifici. 8

NOTE
(1) M. Mollat du Jourdin, pp. 241-242.
(2) Clifford D. Conner, p. 209.
(3) Storia della tecnologia, pp. 555-556.
(4) Ephemerides di Regiomontano, stampate a Norimberga nel 1474.
(5) L’istruzione nautica in Italia, p. 307.
(6) Ibid., p. 12.
(7) Ibid., p. 294.
(8) Ibid., p. 9.
(9) Ibid., p. 10.
(10) Ibid., p. 13.
(11) Ibid., p. 8.
(12) T. Gropallo, p. 41.
(13) L’istruzione nautica in Italia, p. 7.
(14) P. Frascani, p. 215.
(15) P. Frascani, p. 171.

BIBLIOGRAFIA
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AA.VV., ministero di Agricoltura, industria e commercio, Gli Istituti tecnici in Italia, Tipografia di G. Barbera, Firenze 1869.
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Frascani P., A vela e a vapore, Donzelli editore, Pomezia 2001.
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Singer C., Holmyard E.J., Hall A.R., Williams T.I., Storia della tecnologia, volume III, Bollati Biringhieri, Torino 1993.

Rivista Marittima Novembre 2020 53


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Le navi scuola del l


VESPUCCI

56 Rivista Marittima Novembre 2020


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l la Marina Militare
PALINURO

ITALIA

Rivista Marittima Novembre 2020 57


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Le navi scuola del l


STELLA POLARE

CORSARO II

ORSA MAGGIORE

SAGITTARIO (IGSA)

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l la Marina Militare
artica ii

CAPRICIA

CAROLY

CHAPLIN

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Maritime cyber security


per la shipping industry
Adeguamento all’ISM code. Formazione, incongruenze e criticità

Francesco Chiappetta (*)

Per il settore marittimo commerciale, come più volte ricordato nelle sedi più appropriate oltre che su questa
stessa Rivista, l’IMO (1) nel 2017, nell’ambito dei lavori della 98a sessione del Maritime Safety Committee (MSC)
con la risoluzione «MSC.428 (98) - Maritime Cyber Risk Management in Safety Management Systems», adottata
il 16 giugno 2017, aveva incoraggiato le amministrazioni (flag State) ad adoperarsi per garantire che i rischi in-
formatici fossero adeguatamente affrontati nei sistemi di gestione della sicurezza (safety) esistenti così come de-
finiti nel codice ISM (International Safety Management) (Fig.1) e, in particolare, entro e non oltre la prima
verifica annuale del previsto Documento di conformità (Document of Compliance - DOC) aziendale in scadenza
dopo il 1° gennaio 2021. Nell’imminenza di questa data quanto mai prossima, questa breve analisi prova a evi-
denziare alcuni elementi di incongruenza fino a ora emersi, nello specifico legati non solo ai profili di safety ma
anche a quelli di security, nonché criticità nella gestione delle problematiche legate ai temi di maritime cyber se-
curity, tra i quali emerge quella relativa alla necessità di percorsi formativi dedicati.

(*) Ufficiale di Stato Maggiore della Marina Militare, in ausiliaria dal 2016. Con prevalente esperienza operativa, segue temi di di-
fesa e security marittima. Consulente di CONFITARMA, dove segue tra l’altro il tema della cyber security, socio dell’Istituto italiano
di navigazione, svolge attività di docenza presso atenei e istituti di formazione marittima. In particolare presiede l’Osservatorio
sulla sicurezza marittima, istituito nell’ambito del Laboratorio di cyber intelligence dell’Università della Calabria. Collabora con
la Rivista Marittima e altre pubblicazioni a carattere marittimo.

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Maritime cyber security per la shipping industry

gestione del rischio informatico


(cyber risk management) che abbracci
più competenze e responsabilità.
Un rischio che, come ampiamente
analizzato (2), non riguarda solo gli
aspetti della safety ma anche, e sotto
certi aspetti prevalenti, quelli della
security marittima in termini soprat-
tutto di salvaguardia degli interessi
vitali nazionali.

L’attuale contesto
Nei primi 10 mesi del 2020, ag-
gravati, ma non solo, dalle conse-
guenze sul piano tecnico-operativo
legate all’emergenza da Covid-19
(vedasi per esempio smart working/
lavoro a distanza), a livello globale,
nel confronto con i dati del 2018 e
2019, sono particolarmente aumen-
tati, in numero e soprattutto in com-
plessità, gli attacchi o, semplicemente,
gli incidenti informatici a importanti
società di shipping (3). Del resto, at-
Fig. 1: “The International Safety Management (IS) Code & Cyber Risk Management (dal sito web IMO tacchi cyber, per esempio sistemi le-
https://www.imo.org/en/OurWork/HumanElement/Pages/ISMCode.aspx, con elaborazione grafica e dei
contenuti cura autore dell’articolo). gati alla tecnologia operativa (OT)
dell’industria marittima, sono au-
mentati del 900% (4) negli ultimi tre

L’
innovazione info-tecnologica sta portando anni, e il numero di incidenti segnalati dovrebbe rag-
enormi vantaggi all’efficientamento dei tra- giungere per la fine dell’anno volumi record con fattu-
sporti marittimi e, di pari passo, alla logistica rati di miliardi (5).
portuale, sia in termini di gestione delle spedizioni, sia Sulla base di analisi specifiche, nel periodo aprile-
sotto l’aspetto prettamente economico legato alla ridu- settembre 2020, si sono registrati, almeno 10 eventi di
zione dei costi. Nondimeno, si assiste sempre di più attacchi a importanti compagnie e società di naviga-
all’aumento dell’interconnettività tra i sistemi di bordo zione di cui alcune con ingenti impegni finanziari a li-
e quelli di terra, ovvero a una sempre più marcata inter- vello internazionale, cui si sono aggiunti eventi anche
dipendenza tra tecnologie operative e informatica. nei confronti di soggetti istituzionali.
Tuttavia, è ormai acquisito anche per i non addetti Tra questi ha sicuramente fatto notizia l’attacco su-
ai lavori che, pur tenuto conto degli enormi vantaggi e bito, nel mese di aprile, dalla MSC (cargo), società lea-
dei progressi introdotti nell’informatizzazione a tutto der mondiale del trasporto containerizzato — il caso è
campo e che ci riguarda in modo trasversale, si presen- stato anche oggetto di una specifica analisi (6). A tale
tano nuovi rischi e nuove sfide. A esse in particolare evento, il 29 settembre, è seguito l’attacco cyber alla
l’industria marittima deve prestare la massima atten- compagnia francese CMA CGM, anch’essa ai primi
zione attraverso una governance di sistema legata alla posti nel trasporto internazionale di container (7).

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Maritime cyber security per la shipping industry

In entrambi i casi, anche se non vi sono evidenze va- stione della sicurezza (safety), aggiornando/adeguando
lidate, si presume rilevanti siano stati i danni economici i previsti documenti di conformità (DOC). In combi-
subiti, seppur non direttamente conseguenti a un effet- nazione con la predetta risoluzione, nel luglio 2017,
tivo pagamento di un riscatto (attacchi perpetrati attra- l’IMO aveva pubblicato anche specifiche «Linee guida
verso c.d. di ransomware). Danni economici dovuti sulla gestione dei rischi informatici marittimi» (MSC-
quantomeno al ripristino in efficienza dei sistemi in- FAL.1 / Circ.3) (10).
formatici attaccati/danneggiati cui si sono poi aggiunte A questi adeguamenti normativi, in una analisi a
ripercussioni e ritardi sulle spedizioni, nonché effetti più ampio spettro, ovvero affrontando il tema della
sul piano reputazionale. È quanto mai evidente che un maritime cyber security non solo sotto il profilo della
attacco subito da compagnie di navigazione ampia- safety ma anche della security, la shipping industry
mente esposte sul piano commerciale internazionale ha prontamente risposto con dettagliate linee guida.
può avere enormi conseguenze economiche se parago- In particolare, come riportato sullo stesso sito web
nato ad altri settori industriali. IMO, sono da evidenziare soprattutto le «Linee guida
Un altro attacco, che non è passato certo inosservato, sulla cyber security a bordo delle navi» (11) pubbli-
è stato subito il 15 agosto dalla società statunitense Car- cate da BIMCO, ICS, CLIA, IUMI, OCIMF, INTER-
nival Cruise Line, leader del mercato crocieristico TANKO, INTERCARGO, Inter-Manager e WSC,
mondiale che, a seguito di hacking di account di posta ovvero sostenute da tutte le maggiori associazioni di
elettronica di propri dipendenti, ha invece sofferto una shipping a livello mondiale.
potenziale violazione di dati dei propri clienti (8). Nel recepire le indicazioni dettate dall’IMO nonché
Il 30 settembre, addirittura il quartier generale del- in linea con le più recenti diposizioni legislative na-
l’IMO a Londra è stato oggetto di un sofisticato attacco zionali sul tema della cyber security, il Comando ge-
informatico (Fig.2); fermo restando i danni economici nerale delle Capitanerie di porto (CGCCP), nel mese
relativi alla probabile perdita o furto di dati, evidenti di dicembre 2019, con la circolare serie generale n.
sono state le ripercussioni soprattutto a livello di im- 155/2019 (12), relativa al cyber risk management,
magine (9). Si ritiene che proprio in conseguenza di aveva fornito una guida per supportare le società ma-
tale evento, nella seconda metà del mese di ottobre, è rittime di gestione nella redazione del documento di
seguita la riconfigurazione del sito web dell’IMO. analisi del rischio informatico, al fine di proteggere i
sistemi connessi alla rete e le informazioni dalle mi-
nacce informatiche, e conseguentemente adeguare il
citato Document of Compliance (DOC) previsto dal-
l’ISM code. In particolare, è stato precisato che le so-
cietà si devono dotare di un c.d. risk management
framework il quale «deve tenere in debita considera-
zione gli elementi di cui all’annesso della presente
Fig. 2: msg IMO su twitter del 30 settembre 2020 (dalla pagina twitter circolare — parte integrante della stessa — nonché
@IMOHQ). la Risoluzione MSC.428 (98), la MSC-FAL.1/Circ.3 e
le disposizioni impartite dall’autorità NIS alle società
che sono state classificate Operatori di Servizi Essen-
Adeguamenti del codice ISM alla cyber security ziali (OSE)».
Il codice ISM, aggiornato nell’ultima edizione 2018 Va dato anche atto che la circolare del CGCCP non
proprio ai sensi della Risoluzione IMO MSC.428 (98), richiamava solo gli adeguamenti della cyber security
richiede agli armatori e ai gestori delle navi commer- ai sensi del codice ISM ma anche aspetti di security se-
ciali di valutare il rischio cibernetico e attuare misure condo l’ISPS code (International Ship and Port Faci-
pertinenti in tutte le funzioni del loro sistema di ge- lity Security) (13), in particolare relativamente a «radio

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Maritime cyber security per la shipping industry

and telecommunication systems, including computer 2019 (14), la pubblicazione della 3a edizione delle linee
systems and networks». guida sulla cyber security diffuse da BIMCO etc., con
la circolare IMO_MSC 101/4/4 del 26 marzo 2019
Incongruenze e criticità (15), in occasione della 101ma sessione del MSC, aveva
Il quadro normativo di cui sopra, in vista della sca- espresso preoccupazioni riguardanti potenziali incon-
denza prevista, sembrerebbe a questo punto abbastanza gruenze nell’attuazione dei requisiti oggetto della riso-
delineato. Tuttavia vi sono aspetti che necessitano di luzione MSC.428 (98), chiedendo allo stesso
essere sottolineati. (fig. 3) Committee di adottare azioni per evitare che potessero
Innanzitutto va detto che la stessa IMO, dopo aver emergere problematiche significative prima della fati-
segnalato, con la IMO_MSC_101/4/ dell’11 marzo dica data del 1° gennaio 2021.
Nello specifico l’IMO evidenziava criti-
cità, sia a livello nazionale, sia regionale,
riguardanti i seguenti aspetti:
— mancanza di requisiti che danno la
priorità, o sembrano dare la priorità, alle di-
sposizioni del codice ISPS rispetto a quelli
del codice ISM, per la gestione dei rischi
informatici;
— guida incentrata sulla sicurezza infor-
matica per contrastare — ndr efficace-
mente, — minacce informatiche malevoli
esterne, in un approccio più olistico piutto-
sto che fornire una gestione del rischio in-
formatico seguendo i soli principi stabiliti
nel codice ISM.
In estrema sintesi, sulla base delle pro-
poste contenute nella circolare IMO_MSC
101/4/4, confermate anche in discussioni
ambito ICS (16), sussiste dunque certa-
mente l’obbligo, dal prossimo 1° gennaio
2021, di adeguare il Documento di confor-
mità ai rischi informatici ai sensi dell’ISM
code, mentre, per quanto riguarda l’ISPS
code, pur tenuto conto delle «incon-
gruenze» segnalate dall’IMO, gli aspetti di
cyber security «dovrebbero» essere affron-
tati anche nei piani di security delle navi
(Ship Security Plan - SSP), ovvero non vi
è un espresso obbligo. Del resto ciò viene
anche confermato nella stessa circolare del
CGCCP n. 155 di cui sopra, dove si legge:
«non deve essere considerato obbligo per
Fig. 3: Prima pagina del documento IMO MSC_101/4/4 del 26 marzo 2019 (dal sito web IMO le società di gestione istituire un sistema
https://www.imo.org/en/OurWork/Security/Pages/Cyber-security.aspx).
di gestione separato della sicurezza infor-

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Maritime cyber security per la shipping industry

matica che operi in parallelo con il sistema SMS dei rischi e delle minacce informatiche, a tutti i livelli,
adottato». a partire dalla governance aziendale fino a livello dei
Stante la situazione e visto che al momento non vi dipendenti e di chi opera sui sistemi OT, è divenuto un
sono ulteriori indicazioni da parte dell’IMO, resta co- requisito ormai essenziale (19). Peraltro molti degli at-
munque l’incertezza sul piano normativo internazio- tacchi informatici (20) sono conseguenti a una certa
nale tra il pieno adeguamento alla cyber security, nei impreparazione o almeno a una non adeguata consape-
documenti previsti dall’ISM code, e un non pieno re- volezza dei dipendenti dai rischi informatici oltre che
cepimento su quanto il tema della cyber security im- alla intrinseca vulnerabilità dei sistemi gestionali (IT)
patti sui piani di security della nave, a meno che non e operativi (OT).
si rilevino aspetti che lo richiedano e che tuttavia sus- Non a caso poi, stante la situazione, le compagnie
sistono, a parere dello scrivente, pressoché sempre. di navigazione più attente stanno passando da un si-
Da quanto al momento noto, a livello informale, è stema di investimento sulla formazione obbligatoria,
possibile che l’IMO possa emanare ulteriori linee che resta lo zoccolo duro, a un sistema di valutazione
guida o risoluzioni all’argomento; è presumibile che, volontaria che si integra con il primo e che permette
anche a causa delle difficoltà dei lavori delle commis- nel contempo alla compagnia stessa di monitorare le
sioni conseguenti all’attuale emergenza sanitaria, tali competenze specifiche degli equipaggi e più in gene-
possibili previsioni potranno essere emanate non rale del personale dipendente. A livello nazionale vi
prima del primo, se non del secondo, trimestre del sono certamente le conoscenze e le professionalità per
prossimo anno. un salto di qualità e, in particolare, grazie anche ai ri-
Fermo restando quanto finora detto, sul tema della levanti investimenti a livello privato da parte di impor-
sicurezza marittima informatica, sussistono tuttavia ul- tanti società di navigazione anche italiane (21), vi sono
teriori criticità, sia sul piano gestionale sia tecnico (17). senza dubbio istituti di formazione e addestramento
In particolare, in questa sede si vuole quantomeno ac- alle professioni marittime di alto livello sui cui poter
cennare soprattutto a quelle connesse con gli aspetti di fare affidamento.
formazione del personale marittimo nel settore della si- In questo senso, la formazione vale tanto per il top
curezza informatica. E, soprattutto, in considerazione management quanto per i lavoratori impiegati nei vari
del fatto che, senza entrare nello specifico, com’è noto, dipartimenti a terra e a bordo. Si parte dalla mappatura
le professioni marittime e i compiti/mansioni assegnate dei sistemi interessati dalla digitalizzazione (che po-
al personale di bordo sottendono a ben precisi e detta- trebbe essere anche la “banale” e-mail) all’individua-
gliati regolamenti riconosciuti e certificati a livello in- zione di specifiche vulnerabilità; da qui si continua con
ternazionale (18). le misure che ogni ruolo deve adottare per irrobustire
Se, quindi, sul piano gestionale l’IMO ha in un le eventuali contromisure nel caso in cui si palesi un
modo o nell’altro reagito alle situazioni di contesto con attacco informatico (o anche il sospetto).
le specifiche norme e direttive sopra riassunte, dal Richiamare e implementare disposizioni o procedure
punto di vista della formazione dei marittimi non è per il riconoscimento, gestione o mitigazione del ri-
stata notata la stessa sensibilità. schio e il successivo (eventuale) recupero, serve a poco
A ciò si aggiunge il fatto che in questi ultimi anni il se non si ha il metro e la «cultura professionale» per
sistema di formazione e valutazione nelle professioni recepirli in modo appropriato. La formazione non è
a bordo delle navi commerciali, fino ad arrivare al per- pertanto marginale, ma è fondamento di una politica
sonale che opera sui sistemi gestionali portuali, acce- aziendale lungimirante per aumentare la «consapevo-
lerato giocoforza dall’effetto dirompente lezza» del personale e, considerando nello specifico le
dell’innovazione soprattutto digitale, si sta evidente- necessità a bordo nave, la capacità di evitare esposi-
mente spostando su molteplici competenze stretta- zioni che potrebbero accrescere le proprie possibili vul-
mente tecniche. In questo passaggio, la consapevolezza nerabilità.

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Maritime cyber security per la shipping industry

Considerazioni conclusive sottoposti, per esempio, alle regolamentazioni sulle


Nel raffronto shipping, cyber security e risk mana- sanzioni internazionali, nonché Stati proiettati sul piano
gement occorre tenere conto innanzitutto delle peculia- geo-politico e geo-economico globale. La salvaguardia
rità e delle specificità della dimensione marittima del dominio marittimo, il libero commercio marittimo
attraverso un approccio, si è detto, di sistema, olistico, legato sia al libero uso del mare sia alla protezione delle
che tenga conto di molteplici aspetti. infrastrutture critiche info-tecnologiche (vedasi anche
Intanto, uno degli aspetti principali risiede nel fatto i c.d. operatori di servizi essenziali pubblici e privati,
che i rischi informatici per le navi e, in generale, per anche nel marittimo) non è solo un problema di safety
l’industria marittima, anche nel segmento portuale, non ma anche di security, per le conseguenze sul piano
è solo un problema legato al danno economico — c.d. della sicurezza degli Stati e la tutela degli interessi na-
di «business interruption» — ma anche reputazionale, zionali. L’Italia in questo senso è quanto mai esposta
in un mercato per definizione globale. La minaccia in- in relazione alla sua prevalente interdipendenza proprio
formatica, è chiaro che ormai non proviene solamente dai traffici marittimi.
da settori criminali peraltro sempre più organizzati, con A ciò si aggiungono altri aspetti tra cui, come evi-
obiettivi puramente economici, ma si va vieppiù mani- denziato nella seconda parte del presente articolo,
festando con modalità complesse e sofisticate anche quello di individuare adeguati processi formativi mirati
provenienti o quantomeno riconducibili a entità statuali alla sicurezza informatica da dedicare a chi opera nella
che combattono una guerra prevalentemente econo- dimensione marittima e portuale, oltre che altre que-
mica. Numerose sono le analisi che riconducono un stioni, anch’esse complesse, che coinvolgono aspetti
considerevole numero di attacchi provenienti da paesi da governare con lungimiranza. 8
NOTE
(1) IMO, International Maritime Organization, https://www.imo.org/.
(2) Cfr. Chiappetta F., Rivista Marittima, ottobre 2016, pp. 53-62, Sicurezza Marittima Informatica, http://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/
marivista/Pagine/2016_10.aspx; Zampieri F., Rivista Marittima, novembre 2019, pp. 14-23, Maritime cybersecurity e maritime cyberwarfare.
(3) Gli attacchi di 5a generazione sono mirati, molto veloci e incredibilmente ben camuffati; (vedi Check Point Software Technologies, 5th Generation Cyber Attacks
Are Here and Most Businesses are Behind, https://www.checkpoint.com/downloads/product-related/whitepapers/preveting-the-next-mega-cyber-attack. pdf). Nel
numero di luglio 2020 della rivista Be Cyber Aware at Sea Ë stato peraltro notato che esiste un divario tra il numero di incidenti legati al cyber che si verificano nel
settore marittimo e il numero inferiore che viene segnalato.
(4) https://thedigitalship.com/news/maritime-satellite-communications/item/6706-maritime-cyber-attacks-up -by-900-in-three-years.
(5) Secondo il SOCTA (Serius & Organize Crime Threat Assesment, uno dei pi˘ qualificati rapporti periodici di EUROPOL, www.europol.europa.eu/socta-report), il
crimine informatico registra oggigiorno un fatturato che si aggira sui 3.000 miliardi di dollari, il 15% in pi˘ rispetto al traffico di stupefacenti (vedi anche articolo su Il
Secolo XIX del 22 novembre 19, Gli hacker fatturano 3.000 miliardi – Navi 4.0 nel mirino dei cyber pirati).
(6) F. Chiappetta, A. Sberze, maggio 2020, «Maritime Cyber Security - Analisi - L’attacco cyber alla Mediterranean Shipping Company», Osservatorio sulla sicurezza
Marittima. Il lavoro è stato pubblicato sul sito della Società di Intelligence: vedi https: //press.socint.org/index.php/home/catalog/book/2020_05_ chiappetta_sberze).
(7) Si è trattato di un attacco particolarmente sofisticato; gli hacker hanno utilizzato un ransomware denominato Ragnar Locker che, oltre a essere alquanto recente,
tra le proprie caratteristiche presenta quella di non essere direttamente rilevato o rimosso da software antivirus; dopo l’attacco, con tanto di richiesta di riscatto, il cui
pagamento peraltro risulta sia stato posto a rischio di sanzioni da parte degli Stati Uniti, il sito web della compagnia di navigazione francese CMA CGM è tornato
libero e visibile dopo quasi due settimane, cfr. https://lloydslist.maritimeintelligence.informa.com/LL1134044/CMA-CGM-confirms-ransomware -attack.
(8) Cfr. https://www.infosecurity-magazine.com/news/carnival-cruises-danger-ransomware/.
(9) Cfr. https://www.wsj.com/articles/mounting-ransomware-attacks-morph-into-a-deadly-concern-1160148 3945.
(10) Tutti i documenti citati sono reperibili sul sito web dell’IMO. Cfr. https: //www.imo.org/en/OurWork Security/Pages/Cyber-security.aspx.
(11) Le Linee Guida di BIMCO, 3a ed. marzo 2019, sono reperibili su http://www.ics-shipping.org/docs/default-source/resources/safety-security-and-operations/gui-
delines-on-cyber-security-onboard-ships.pdf?sfvrsn=16. In ambito nazionale Confitarma, nei mesi di maggio e giugno 2018, ha invece prodotto, a favore dei propri
associati, un opuscolo illustrativo: Best Practices sulla Cyber Security per le navi mercantili e soprattutto il Vademecum per la sicurezza informatica (cyber security)
a bordo delle navi mercantili nazionali (https://www.confitarma.it/riunioni-delle-commissioni-navigazione-oceanica-e-tecnica-navale-sicurezza-e-ambiente-cyber-se-
curity-presentato-il-vademecum-per-i-comandanti-delle-navi/).
(12) Cfr. https://www.guardiacostiera.gov.it/normativa-e-documentazione /Documents /circolare%20S.G.% 20n.%20155_2019.pdf.
(13) Per l’International Ship and Port Facility (ISPS) code vedi https://www.imo.org/en/OurWork/ Security/Pages/SOLAS-XI-2%20ISPS%20Code.asp.
(14) Vedi https://www.ics-shipping.org/docs/default-source/Submissions/cyber-risk-management-in-safety-managementsystems.pdf.
(15) Cfr. https://www.ics-shipping.org/docs/default-source/Submissions/cyber-risk-management-in-safety-management-systems.pdf.
(16) ICS - International Chamber of Shipping; memebership per l’Italia è Confitarma (https://www.ics-shipping.org/.
(17) Altre criticità sono certamente rappresentate dalla necessità/opportunità per un comparto come quello marittimo che, a differenza di altri settori, presenta
particolari specificità di individuare società di consulenza tecnico-gestionali o assicurative validate/certificate in ambito cyber security per il settore marittimo — di
fatto alcune di rilievo ampiamente presenti sul mercato — in grado di sostenere e accompagnare le società/compagnie di navigazione nella valutazione dei rischi
informatici (https://www.shippingitaly.it/2020/07/20/cybersecurity-e-navi-dal-2021-servira-la-certificazione-cyber-risk-management-system/).
(18) Per le professioni marittime si tratta, in particolare, della Convenzione STWC ’78 «Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e
tenuta della guardia per i marittimi», https://www.confitarma.it/convenzione-e-codice-stcw-1978-emendamenti-manila-2010/.
(19) Vedi https://www.lagazzettamarittima.it/2020/10/17/monticelli-e-la-mission-dellimat/.
(20) Cfr. https://www.cybersecurity360.it/soluzioni-aziendali/la-cyber-security-nel-settore-marittimo-lo-scenario-i-rischi-e-le-sfide-future/.
(21) Vedi https://www.imat2006.it/wp-content/uploads/2019/09/Fabrizio-Monticelli-CEO-IMAT-centro-di-formazione-per-marittimi-corsi-STCW-per-limbarco-The-me-
ditelegraph-TTM-risorse-umane-2.pdf.

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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

Le campagne idrografiche italiane


nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano
La ricerca scientifica in favore della sicurezza della navigazione

Aldo Caterino (*)

(*) Laureato in storia moderna, cultore di storia marittima. Ha lavorato presso la Biblioteca universitaria di Genova e oggi lavora
presso l’Ufficio relazioni esterne dell’Istituto Idrografico della Marina. Collabora dal 1994 con l’Università degli Studi di Trento e
dal 2016 con l’Università Link Campus di Roma e ha al suo attivo numerose pubblicazioni di storia navale.

66 Rivista Marittima Novembre 2020


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La realizzazione del Canale di Suez


Negli anni Sessanta dell’Ottocento, le linee di tra-
sporto a vapore — ferrovie e piroscafi — avevano
ormai raggiunto un elevato livello di maturità su scala
mondiale e stavano progressivamente rimuovendo gli
ostacoli naturali sul loro cammino attraverso opere in-
gegneristiche per l’epoca considerate «titaniche». L’Ita-
lia si trovava al centro di questa gigantesca rete di
collegamenti: nelle Alpi, infatti, erano in corso i lavori
di perforazione delle gallerie ferroviarie del Frejus e
del San Gottardo, che sarebbero state inaugurate, ri-
spettivamente, nel 1871 e nel 1882. Il superamento
della barriera alpina significava mettere in collega-
mento diretto le aree industriali e le principali città
della Francia, della Svizzera e della Germania con il
Mediterraneo. Il 17 novembre 1869 venne ufficial-
mente inaugurato il Canale di Suez che, congiungendo
il Mediterraneo con il Mar Rosso attraverso la penisola
del Sinai, permetteva di abbreviare notevolmente la na-
vigazione verso l’Asia orientale, risparmiando circa
4.000 miglia rispetto alla rotta del Capo di Buona Spe-
ranza. Per l’inaugurazione, il chedivè d’Egitto, Ismail
Pascià, viceré del paese per conto dell’Impero otto-
mano, chiese a Giuseppe Verdi di comporre un inno,
ma il maestro di Busseto, restio a comporre musica
d’occasione, rifiutò; in occasione della cerimonia
venne pertanto eseguito il Rigoletto. I contatti con
Verdi, comunque, proseguirono e culminarono nella
composizione dell’Aida, andata in scena per la prima
volta al Teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre
1871.
La direzione dei lavori venne affidata all’imprendi-
tore e diplomatico francese Ferdinand de Lesseps, cu-
gino di Eugenia de Montijo, consorte dell’imperatore
Napoleone III, promotore dell’iniziativa, su progetto
dell’ingegnere trentino Luigi Negrelli (1854). Gli scavi
iniziarono nel 1859, impiegando oltre 1,5 milioni di la-
voratori, di cui, purtroppo, 125.000 persero la vita a
causa di un’epidemia di colera, e videro la collabora-
zione di molte nazioni, tra cui la Francia, che diede il
Karl von Spruner, Mappa dell’Egitto, dell’Arabia e dell’Etiopia nell’antichità, contributo maggiore, anche in termini finanziari, sot-
Justus Perthes, Gotha, 1865 (Collezione privata).
toscrivendo il 56% delle azioni della società conces-
sionaria per la gestione (99 anni), mentre il resto fu
appannaggio dell’Egitto. Gli inglesi, inizialmente scet-

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

guerra anglo-egiziana, le truppe bri-


tanniche vennero dislocate nelle vi-
cinanze per proteggerlo, data la sua
notevole importanza strategica. Il 4
aprile 1885, a Parigi, si aprì la Con-
ferenza internazionale per il Canale
di Suez. Il regime che si voleva ap-
plicare era quello, non della neutra-
lità, ma della libertà. La neutralità,
in caso di conflitto, avrebbe chiuso
il canale alle flotte belligeranti; la li-
bertà, invece, lo avrebbe lasciato
aperto, vietando soltanto le opera-
zioni di guerra in prossimità. Il 29
Théodore Frère, L’imperatrice Eugenia assiste a un’esercitazione della cavalleria araba in occasione
dell’inaugurazione del Canale di Suez (1869) - (Collezione privata). ottobre 1888, la Convenzione di Co-
stantinopoli confermò il regime di li-
bertà del canale (sotto protettorato
tici circa l’utilità del canale, se non addirittura contrari britannico), dichiarato «libero e aperto, in tempo di
alla sua realizzazione, avviarono invece la costruzione guerra come in tempo di pace, a qualsiasi nave civile
di linee ferroviarie tra Alessandria, Il Cairo e Suez, per o militare, senza distinzione di bandiera». La sua im-
agevolare il trasbordo dei passeggeri e delle merci da portanza a livello globale crebbe rapidamente: nel 1870
un mare all’altro. Solo in seguito si resero conto del- vi transitarono 486 navi, per una stazza lorda di
l’errore commesso e decisero di rilevare le quote egi- 437.000 tonnellate; nel 1890 i transiti furono 3.389, per
ziane, approfittando del forte indebitamento del paese 6.580.000 tonnellate di stazza lorda; nel 1910 si ebbero
con i banchieri londinesi. Grazie al canale, il Mediter- 4.553 transiti, per 16.580.000 tonnellate di stazza lorda.
raneo tornò a rivestire un ruolo cen-
trale nei traffici transoceanici, dopo
essere stato per secoli ai margini del
grande commercio mondiale. Porti
come Valencia, Barcellona, Genova,
Venezia e Trieste, ma soprattutto
Marsiglia, rifiorirono subito grazie
alla ripresa dei traffici marittimi in-
tercontinentali, e al loro nuovo ruolo
di porte aperte dei rispettivi paesi
verso il Medio e l’Estremo Oriente.
Il canale risultò un’opera enorme:
lungo 163 chilometri, divisi in due
tratte, una a sud e l’altra a nord dei
Laghi Amari, era largo 52 metri e
profondo 8 metri e consentiva il pas-
saggio di navi con un pescaggio fino
a 6,7 metri, richiedendo circa 15 ore Cesare Vimercati, Panorama del Basso-Egitto-Canale artificiale di Suez, Litografia Toscana (1869) -
(Collezione privata).
per il transito. Nel 1882, durante la

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

Le linee di navigazione a vapore in Italia degli altri concorrenti. Quest’operazione permise a Ru-
Con lo sviluppo della rete ferroviaria in tutta la pe- battino di alleggerire il pesante indebitamento che gra-
nisola italiana, le linee di cabotaggio per il trasporto di vava sulla sua società, causato dal fallimento della
passeggeri e merci lungo le coste divennero sostanzial- Compagnia Transatlantica nel 1858.
mente inutili e, infatti, nel 1872 il governo decise di Nel marzo 1870, con il piroscafo Africa, comandato
non prorogare i servizi postali sovvenzionati lungo tali dall’ammiraglio Alfredo Acton, per l’occasione in abiti
rotte. La reazione al cambiamento delle compagnie di borghesi, avviò la nuova linea da Genova a Bombay,
navigazione attive nel settore fu assai diversa. La Pei- ampliando così i propri interessi commerciali fino al-
rano & Danovaro si ostinò a proseguire nel servizio fin- l’Abissinia. Nel 1877 inaugurò la linea per Singapore
ché, nel 1877, fu messa in liquidazione. Raffaele e nel 1878 iniziò a operare il cabotaggio fra i porti del
Rubattino, invece, uno dei protagonisti del Risorgi- Mar Rosso. Per gestire tutte queste linee, Rubattino ar-
mento (suoi, infatti, erano il piroscafo Cagliari, usato rivò a possedere 40 piroscafi, la seconda flotta in Italia
da Carlo Pisacane per la spedizione di Sapri, e i vapori dopo quella palermitana dei Florio, che armava 43 pi-
Piemonte e Lombardo, usati da Giuseppe Garibaldi per roscafi. Nel 1880 la linea dell’oceano Indiano faceva
la spedizione dei Mille) cercò degli sbocchi alternativi scalo a Port Said-Aden-Bombay-Calcutta-Colombo-
e fu uno dei primi armatori italiani a intuire l’impor- Point-de-Galle-Penang-Singapore-Batavia, collegando
tanza di aprire delle rotte commerciali verso il Medio l’Italia con i possedimenti coloniali inglesi e olandesi
e l’Estremo Oriente. Egli comprese immediatamente in Asia orientale. Nel 1881 le due compagnie si fusero,
che lo scenario politico-economico stava cambiando e auspice Francesco Crispi, dando vita alla Navigazione
che, se voleva sopravvivere come vettore marittimo, Generale Italiana (NGI), la più grande società di navi-
doveva adattarsi a un contesto ormai internazionale. gazione nazionale, con un capitale sociale di 50 milioni
Così, nel luglio 1868, inaugurò la linea di navigazione di lire, in grado di reggere la concorrenza dei colossi
Genova-Livorno-Alessandria-Port Said. Egli diede ini- stranieri che operavano dai porti italiani.
zio al servizio prima che il governo decidesse a chi as-
segnare le sovvenzioni statali su questa tratta. In tal
modo, mise il governo di fronte al fatto compiuto e riu-
scì, anche grazie all’amicizia di personaggi del calibro
di Garibaldi, Nino Bixio, Domenico Balduino e Carlo
Bombrini, a ottenere la convenzione postale a scapito

Ritratto del piroscafo SINGAPORE della Navigazione Generale Italiana


(1882). Genova, Cambi Casa d’Aste.

La presenza italiana nel Mar Rosso


Due giorni prima dell’inaugurazione del Canale di
Augusto Rivalta, Monumento all’armatore Raffaele Rubattino (1889) Ge- Suez, l’ex missionario lazzarista, esploratore e agente
nova, Piazza Caricamento (Collezione autore).
governativo Giuseppe Sapeto acquistò dai sultani fra-

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

telli Ibrahim e Hassan ben Ahmad, per la somma di 1885, prendendo a pretesto il massacro avvenuto in
6.000 talleri di Maria Teresa (la moneta austriaca risa- Dancalia di una spedizione commerciale guidata dal-
lente al 1780 che manteneva un corso legale in vari po- l’esploratore Gustavo Bianchi, un piccolo corpo di spe-
tentati africani), un territorio lungo circa 6 km tra il dizione italiano (800 uomini di un battaglione di
monte Ganga e il capo Lumah, sulle coste dell’Eritrea. bersaglieri), al comando del colonnello Tancredi Sa-
Per ragioni politiche, si scelse prudentemente di far ap- letta, occupò il porto di Massaua, allontanandone senza
parire come acquirente la compagnia Rubattino di Ge- alcuno scontro la locale guarnigione egiziana, che al-
nova e non il governo italiano, in modo da evitare l’epoca controllava il porto della città. Nei mesi suc-
possibili reazioni negative da parte di altre potenze, in cessivi, l’Italia occupò tutta la fascia costiera tra
particolare della Francia, che vantava già forti interessi Massaua e Assab, conquistò Saati e annesse Massaua
nella zona (Obok). L’idea era di farne una stazione di al regno.
sosta e di rifornimento di carbone (grazie alla «proba- Le operazioni militari, che prevedevano il trasporto
bile» presenza di giacimenti in loco), acqua e viveri per di un corpo di spedizione e sbarchi di truppe sulla
la navigazione a vapore lungo la rotta per le Indie costa, richiedevano naturalmente la partecipazione
orientali, poco prima dello sbocco del Mar Rosso nel della Regia Marina, che istituì una Divisione navale del
Golfo Persico attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb. Mar Rosso, composta, tra l’altro, dalle corazzate Ca-
Dal 12 marzo 1870, il tricolore sventolò per la stelfidardo e Principe Amedeo, dalla fregata (poi riclas-
prima volta in terra d’Africa, salutato da una salva di sificato incrociatore veloce) Giuseppe Garibaldi e dal
21 colpi di cannone del piroscafo Africa. Rubattino, piroscafo Gottardo. Tra febbraio e aprile 1889, poi, i
con successivi contratti stipulati il 30 dicembre 1875 comandanti degli avvisi Staffetta e Rapido conclusero
e il 24 maggio 1880, personalmente finanziati dal re un trattato con i sultani locali, in base al quale l’Italia
Vittorio Emanuele II, acquistò prima l’arcipelago di otteneva il protettorato sui territori dell’Obbia e della
Darmakieh e poi tutte le altre isole situate nella baia Migiurtinia in Somalia. La Colonia Eritrea nacque uf-
di Assab, da capo Lumah, a nord, a capo Synthiar, a ficialmente con il Regio decreto 1º gennaio 1890, n.
sud, e l’intero litorale compreso tra i due promontori. 6592, a firma del re Umberto I e del presidente del
Egli entrò così in possesso di un tratto di costa lungo Consiglio dei ministri Francesco Crispi.
66 km e largo dai 2 ai 6 km com-
prendente i villaggi di Alali, Ma-
caca, Assab e Margableh. Solo nel
1882 la baia di Assab passò ufficial-
mente al Regno d’Italia, come rea-
zione all’acquisizione della Tunisia
da parte della Francia nel 1881.
L’intenzione di farne un impor-
tante centro di scambi, i precedenti
insuccessi in Nordafrica e il deside-
rio di trovare la chiave dell’equili-
brio mediterraneo in zone al di fuori
di esso, spinsero il governo italiano,
incoraggiato anche da pressanti in-
viti da parte di quello inglese in fun-
zione anti-francese (Gibuti), a
estendere la propria penetrazione Deposito di materiali per la realizzazione delle infrastrutture portuali a Massaua (1892) - (Il Telegrafo
a Vapore).
all’interno dell’Eritrea. Nel febbraio

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

La Divisione navale operante nel Mar Rosso aveva porti del Mar Rosso e dell’oceano Indiano. Tra l’altro,
caratteristiche diverse rispetto a quelle oceaniche, pur ebbe grande rilievo il contributo dato da nave ed equi-
svolgendo compiti analoghi di controllo nell’oceano paggio per la cessione all’Italia dei porti somali di
Indiano e lungo le coste dell’Africa orientale. Essa ve- Brava, Merca, Mogadiscio e Uarsciek, in precedenza
niva considerata alla stregua di una Divisione nazio- appartenenti al sultanato di Zanzibar.
nale, come quelle, per intenderci, che operavano nel Il Dogali, dopo un turno di avvicendamento in Italia,
Mediterraneo, partendo da basi nazionali come La Spe- fu nuovamente inviato nel Mar Rosso nel 1895 e asse-
zia o Taranto. Nel 1887 la Staffetta effettuò una lunga gnato alla Divisione navale composta dalle navi Etna,
campagna intorno alle coste africane, passando da Gi- Etruria, Caprera, Curtatone e Scilla. L’incrociatore
bilterra: la nave visitò le isole di Capo Verde, la Liberia Etna, al comando del contrammiraglio Carlo Turi,
e la Sierra Leone, la colonia inglese del Capo e il Mo- operò con le altre unità sia in appoggio alle operazioni
zambico, adoperandosi a Zanzibar per la difesa degli del Regio Esercito in Eritrea, sia per contrastare il con-
interessi italiani, minacciati dalla crescente rivalità co- trabbando di armi destinate all’Abissinia, catturando,
loniale tra Gran Bretagna e Germania. Infine si fermò per esempio, il piroscafo olandese Doelwijk, carico di
diversi mesi ad Assab e a Massaua, per svolgere attività fucili e munizioni. Negli anni seguenti, giunsero a Mas-
idrografica, per poi rientrare in Italia. Nello stesso saua altre unità: l’incrociatore Piemonte, che visitò le
anno, giunse a Massaua l’incrociatore Giovanni Bau- acque somale e le coste africane, accompagnando a
san, che divenne la sede del Comando delle Forze na- Zanzibar il console generale Antonio Cecchi, incaricato
vali nel Mar Rosso, seguito dall’incrociatore Dogali. di importanti affari diplomatici. Nel 1902 la stessa
Quest’ultimo fu utilizzato lungo le coste orientali afri- unità, con il Caprera e il Galileo, svolse una dura
cane, spingendosi fino a Zanzibar, per contrastare il azione repressiva contro la pirateria bombardando,
traffico di armi e di schiavi, in cooperazione con altre nello Yemen, i porti di Medi e Khor Ualha.
navi inglesi e tedesche. Tra il 1891 e il 1899, la Staffetta Il contrasto alla pirateria, molto attiva nei pressi del
stazionò nelle acque del Corno d’Africa per «mostrare Corno d’Africa, fu uno dei compiti più importanti
la bandiera» a protezione degli interessi dell’Italia, che svolti dalle unità operanti nel Mar Rosso. Già nel
aveva colà fondato le colonie di Eritrea e Somalia, af- 1896 l’intera squadra, composta dalle navi Aretusa,
flitte da continue ribellioni: l’uso cui fu destinata in Caprera, Curtatone, Scilla, Etna, Etruria, Vesuvio e
questo periodo fu in sostanza quello di nave coloniale, Veniero, aveva effettuato numerose crociere di vigi-
specie in acque somale, toccando comunque molti altri lanza contro la pirateria e per la repressione del con-
trabbando, spingendosi a volte fino
a Zanzibar. L’anno seguente giunse
nel Mar Rosso anche l’incrociatore
Elba, che aveva l’incarico di rista-
bilire l’ordine nel Benadir, dopo
l’eccidio di Lafolè (25 novembre
1896), in cui erano caduti i compo-
nenti della spedizione Cecchi, com-
presi alcuni ufficiali delle navi
Volturno e Staffetta, inoltratisi al-
l’interno della Somalia con il com-
pito di esplorare la riva sinistra
dello Uebi Scebeli, farsi amiche le
popolazioni locali e stipulare con
L’incrociatore protetto italiano DOGALI alla fonda (1890 ca.) - (Collezione privata).
esse trattati e accordi commerciali.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

aprile (autunno-inverno), mentre spirano da nord-ovest


per tutto l’anno da Port Sudan fino a Suez, rendendo dif-
ficile la navigazione di bolina. Occorreva, pertanto, ri-
solvere il problema alla radice e l’Istituto Idrografico
della Regia Marina fu chiamato a intraprendere una
lunga serie di campagne idrografiche, geodetiche e to-
pografiche che, per la loro estensione e il loro contenuto
tecnico-scientifico, dovevano rappresentare un patrimo-
nio di indiscusso valore storico, geografico e culturale.
Rilievi, tra l’altro, eseguiti sempre in un contesto di
grave disagio per le condizioni ambientali estreme e di
pericolo a causa dell’ostilità delle popolazioni locali.
Si cominciò con la costruzione del piano della baia
Ascaro di Marina con la divisa bianca e il tarbush in feltro (1926 ca.) - (Col- di Assab, per il quale si dovette procedere a una pre-
lezione privata).
ventiva triangolazione, sviluppandola da una base di
437,05 metri misurata con una fettuccia metallica poco
L’aggiornamento della cartografia a sud di Ras Buia ed estendendola poi verso est su al-
Fin dall’inizio della presenza italiana nelle acque eri- cune isole dell’arcipelago antistante, con l’idea di ese-
tree e somale, fu avvertita l’insufficienza della cartogra- guire dapprima il rilievo delle aree maggiormente
fia nautica esistente ai fini della sicurezza della frequentate dalle navi. Ultimato il lavoro topografico e
navigazione nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano, per- di scandaglio, si procedette alla determinazione delle
ché garantiva una copertura soltanto parziale delle coste coordinate geografiche dell’asta di bandiera collocata
e comunque era ormai superata, risalendo a prototipi in- davanti al palazzo del Commissario Regio, calcolando
glesi e francesi del primo Ottocento. Fra l’altro, se la una serie di altezze meridiane del sole per stabilire la
rotta di Suez era favorevole alla navigazione a vapore, latitudine ed effettuando ripetute corse con quattro cro-
non altrettanto poteva dirsi per quella a vela, a causa nometri, fra Assab e Aden, per fare lo stesso con la lon-
della particolare rotazione dei venti nel Mar Rosso, che gitudine. Infine, venne determinata la declinazione
hanno un regime monsonico (ossia stagionale) fino a 20° magnetica, che risultò di 5°45’ ovest. Grazie a tale at-
di latitudine nord, spirando da nord-ovest da maggio a tività, l’Istituto, nel 1881, poté pubblicare il primo
settembre (primavera-estate) e da sud-est da ottobre ad piano della baia di Assab, alla scala di 1:35.000. Nello

La Regia nave STAFFETTA, che svolse numerose campagne idrografiche nel Stazione topografica nel Mar Rosso, Ufficio Storico della Marina Militare,
Mar Rosso e nell’oceano Indiano, Ufficio Storico della Marina Militare, 1899. 1910.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

stesso anno, il tenente di vascello Carlo Mirabello, unità idrografica. Per tutto il periodo dei lavori, fu-
prima, e il sottotenente di vascello Giovanni Boer, poi, rono compiute frequenti osservazioni mareometriche,
ripresero i lavori e portarono a termine il rilievo del ca- dalle quali si ricavarono i seguenti dati di ampiezza
nale Rubattino. della marea: alle comuni sizigie, 1,30 metri; alle qua-
A partire dal 1886, quando la città di Massaua drature, 0,80 metri. Con osservazioni di stelle al
passò in mani italiane, venne eseguito il rilievo idro- primo verticale, usando uno strumento dei passaggi
grafico del porto e delle sue adiacenze, caratterizzate di grandi dimensioni marca Throughton & Simms, si
da banchi di sabbia e scogli sommersi, alquanto pe- determinò la latitudine del pilastrino vertice trigono-
ricolosi per la navigazione. La topografia fu eseguita metrico situato sul Palazzo del Governo e, con il tra-
lungo il tratto litoraneo e insulare compreso fra Ras- sporto di sei cronometri, si misurò la differenza di
el-Garara e Archico dai tenenti di vascello Giuseppe longitudine fra questo punto e il monumento Biglieri-
Boccardi e Cesare Marcacci, sotto la direzione del Giulietti ad Assab. Dall’insieme di questi dati, l’Isti-
capitano di corvetta Mirabello, comandante della tuto poté ricavare, nel 1887, un piano generale
Regia nave Scilla, un’ex cannoniera trasformata in costiero e un altro particolareggiato del porto di Mas-

Carta del porto e della rada di Massaua, Genova, Istituto Idrografico della Marina, 1887.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

saua, alla scala di 1:5000. di ancoraggi ed eseguite determinazioni astronomiche,


Dal 1898, quando il tratto di costa somala compreso che consentirono di ricavare dei piani opportunamente
tra il golfo di Aden, a nord, e la foce del fiume Giuba, a aggiornati, in sostituzione di quelli vecchi francesi e in-
sud, fu dichiarato d’influenza italiana, tutte le unità mili- glesi, risalenti alla prima metà dell’Ottocento. Precisa-
tari inviate in quei paraggi come stazionarie contribui- mente, furono rilevati gli ancoraggi di Alula, Merca,
rono, in un modo o nell’altro, a studiare idrograficamente Brava, Itala e Obbia, operando con la massima celerità
la costa nei punti di maggiore interesse. In circostanze perché le popolazioni indigene spesso abbattevano i se-
particolarmente favorevoli per compiere tali ricerche si gnali, come segno di ostilità verso gli «invasori» europei,
trovò la Regia nave Staffetta nella campagna del 1898- per quanto fossero nel numero più limitato possibile e
1899, stante la generale tranquillità del territorio in quel consistenti, spesso, in semplici pali di legno imbiancati.
periodo, che non richiese l’impiego dell’unità in missioni Itala era l’ex villaggio costiero somalo di Ataleh, ribat-
diplomatiche e militari. Vennero, infatti, compiuti rilievi tezzato così da Vincenzo Filonardi dopo la sua occupa-
zione nel marzo 1891.
Altrettanto avvenne un decennio
dopo, sempre con la Regia nave
Staffetta, che rilevò 390 km di costa
e 30 km di corso del fiume Giuba ed
eseguì quattro stazioni astronomiche
complete (latitudine, longitudine e
azimut) a Chisimaio, Brava, Moga-
discio e Itala, otto determinazioni di
azimut a Merca, Brava, Zanzibar,
Uarsciek, Chisimaio, Mogadiscio,
Itala e Aden, 241 stazioni geodeti-
che, 406 stazioni topografiche, tre
stazioni mareometriche e sette sta-
La squadra dei sambuchi (GAZZELLA, CAMOSCIO, ANTILOPE e DAINO), Ufficio Storico della Marina zioni magnetiche, consentendo al-
Militare, 1910.
l’Istituto di pubblicare le prime due
carte della costa alla scala di
1:250.000, nonché i piani dei vari
ancoraggi. Ai rilievi topografici si
procedette con apposite spedizioni
nell’interno, scortate da «ascari» per
premunirsi contro eventuali atti ostili
da parte delle popolazioni locali. In-
tanto, con lance e piroghe vicino alla
costa e con la nave al largo, si ese-
guivano le linee di scandaglio e, nel
contempo, si effettuavano le neces-
sarie osservazioni mareometriche a
Mogadiscio, Brava e Giumbo, per ri-
cavarne gli elementi necessari per lo
Uso dello scandaglio meccanico per misure di profondità nel Mar Rosso, Genova, Istituto Idrografico studio della marea e la riduzione
della Marina, 1910.
degli scandagli. Infine, mediante

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

corse cronometriche, furono collegate a Chisimaio e ad ricorreva all’aiuto di sambuchi opportunamente anco-
Aden le località di Brava, Mogadiscio e Itala. rati in posizioni diverse e determinati per intersezione
Le operazioni si ripeterono nel 1910-11 sia a Mas- con visuali simultanee al teodolite.
saua sia a Mogadiscio, permettendo di correggere i I bassifondi isolati, sui quali in generale era possibile
piani costieri e di tracciare un profilo completo dei fon- ancorarsi, venivano individuati misurando gli angoli
dali fino a 20 miglia dalla costa. Le misurazioni furono formati con determinati punti di riferimento per mezzo
sensibilmente ostacolate da condizioni di tempo so- di strumenti a riflessione (sestante o circolo Amici-Ma-
vente sfavorevoli, oltre al fatto che i lati della rete to- gnaghi) e riportandoli sulla carta con l’ausilio dello sta-
pografica avevano, in generale, lunghezze rilevanti. La ziografo, e la loro esplorazione minuta, per la ricerca
triangolazione fu eseguita con sei reiterazioni del cer- del minimo fondale, veniva effettuata con l’impiego di
chio azimutale e, inoltre, in varie stazioni, furono com- imbarcazioni che muovevano a raggiera ed erano rile-
piute delle osservazioni di zenitali, per dedurre la quota vate dalla nave stessa in istanti convenuti e segnalati.
dei punti che presentavano caratteri cospicui e che, Il lavoro di scandaglio lungo il tratto di costa somala
quindi, potevano facilitare il riconoscimento della costa compreso fra Mogadiscio e Uarsciek fu eseguito mi-
dal largo. Il rilievo topografico veniva eseguito con il nuziosamente fino a circa otto miglia da terra, allo
tacheometro, appoggiando le singole stazioni anche ai scopo di avere la certezza dell’inesistenza di pericoli;
numerosi segnali di dettaglio determinati lungo la costa più al largo, fino a 16 miglia dalla costa, gli scandagli,
stessa. Gli scandagli in costa erano generalmente ese- generalmente superiori a 500 metri, vennero fatti a in-
guiti con la barca a vapore, mentre la nave scandagliava tervalli più lunghi, mirando soprattutto a riconoscere
minutamente tutte le aree di grande navigazione. Per l’andamento del fondo. Altre impegnative campagne
l’esecuzione degli scandagli dalla nave, in alcune zone ebbero luogo nel Mar Rosso negli anni 1912, 1913 e
dove i punti sulla terraferma non sarebbero stati suffi- 1914, a dimostrazione dell’importanza attribuita alla
cienti per una buona determinazione della posizione, si mappatura dei fondali e delle coste in quell’area stra-
tegica per gli interessi coloniali italiani.
Dopo la parentesi della Grande guerra, che vide il pro-
gressivo abbandono di tali attività in funzione delle esi-
genze belliche, la direzione dell’Istituto, nella primavera
del 1923, propose al ministero della Marina di riprendere
le ricerche idro-oceanografiche in Eritrea. Accolta favo-
revolmente la proposta, l’Istituto invitò il Regio comitato

Stazione geodetica allestita dal personale della Regia nave idrografica STAF- Operazioni dalla barca idrografica con lo scandaglio meccanico «Magna-
FETTA lungo le coste eritreenel 1910, Genova, Istituto Idrografico della Marina. ghi», Genova, Istituto Idrografico della Marina, 1924.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

talassografico italiano a partecipare alla campagna, per


eseguire quelle ricerche di biologia marina che potessero
coesistere con il lavoro idrografico della Regia nave Am-
miraglio Magnaghi. La campagna durò meno di un
anno: dal 3 ottobre 1923 al 7 giugno 1924. Le ricerche
biologiche incominciarono sin dall’arrivo a Port Said,
con particolare attenzione alle forme suscettibili di for-
nire indicazioni circa la migrazione di specie marine dal
Mediterraneo al Mar Rosso e viceversa. I lavori, con pe-
scate di profondità, continuarono durante il viaggio
verso Massaua e, in seguito, nel corso delle varie traver-
sate e durante le soste nelle zone di scandaglio. Le ricer- Scandagli e rilievi effettuati dalla plancia della Regia nave idrografica
AMMIRAGLIO MAGNAGHI nel 1924, Ufficio Storico della Marina
che furono sviluppate maggiormente nel golfo di Suez, Militare.
dove furono eseguite anche misurazioni di corrente e di
temperatura, raccogliendo altresì dati chimici da mettere Nell’anno 1928, sempre con la Regia nave Ammira-
a confronto con quelli raccolti durante precedenti cam- glio Magnaghi, fu ripreso il lavoro idrografico nell’ar-
pagne talassografiche. cipelago delle Dahlak, separato dalla terraferma dal
canale di Massaua, formato da 126 tra isole e scogli. In
Eritrea, come in Somalia, erano stati eseguiti numerosi
rilievi idrografici; tuttavia, per necessità di cose, si era
sempre trattato di rilievi parziali, anche se questi si ri-
ferivano ad aree di una certa ampiezza. Tali aree, co-
munque, dovevano essere collegate fra loro e questo sia
per ottenere il rilievo completo delle coste sotto giuri-
sdizione italiana, sia, soprattutto, per ottenere la neces-
saria unificazione geodetica delle posizioni dei punti
determinate in precedenza nelle singole aree. Veniva
profilandosi, pertanto, sempre più concretamente l’idea
di procedere alla realizzazione di un’estesa campagna
17 dicembre 1914. La Regia nave idrografica AMMIRAGLIO MAGNAGHI
alla fonda alla Spezia, subito dopo l’entrata in servizio, Ufficio Storico della di rilievi nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano, incomin-
Marina Militare.

Il prof. Luigi Sanzo, capo del suddetto Comitato,


oltre alle interessanti osservazioni sugli scambi fauni-
stici tra i due mari, sperimentò una rete planctonica di
sua concezione, ad apertura e chiusura in momenti vo-
luti, adottata successivamente in Italia e all’estero, che
si rivelò utilissima nell’esame sulla distribuzione ver-
ticale degli organismi marini. Durante le soste della
nave nei porti o distaccando speciali missioni a terra,
furono eseguite numerose stazioni gravimetriche e ma-
gnetiche, mentre misurazioni mareometriche furono ef-
Scandagli con l’apparecchio «Lucas» effettuati dalla Regia nave
fettuate lungo tutto il percorso, impiantando dei idrografica AMMIRAGLIO MAGNAGHI nel 1924, Ufficio Storico della
mareografi temporanei. Marina Militare.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

ciando, per l’appunto, a inviare la principale unità idro- ventare i vertici della triangolazione e porre i segnali
grafica nel Mar Rosso al fine di scegliere le località mi- di scandaglio. Inoltre, grazie all’aiuto del governo della
gliori. Durante il rilievo topografico della costa eritrea, Colonia Eritrea, fu possibile reperire mezzi automobi-
ci si servì in parte del tacheometro e in parte di foto listici, carovane di cammelli e tradotte di muli per rag-
aeree scattate dai velivoli della locale stazione idrovo- giungere le zone più impervie e isolate.
lanti, primo esempio di collaborazione fra rilievi terre- Nella fase preparatoria, fu anche ravvisata l’oppor-
stri e aerei che sarebbe proseguita, negli anni successivi, tunità di rilevare la costa con esattezza tale da consen-
con lo sviluppo dell’aerofotogrammetria. Nel corso di tire alle navi di limitata potenza la navigazione a
tale campagna, vennero anche eretti i fari di Guardafui distanza ravvicinata, in modo da diminuire la sensibile
e Ras Hafun, salutati da tutti i marinai come un grande perdita di cammino dovuta alle correnti, che aumenta-
contributo alla sicurezza della navigazione. vano progressivamente d’intensità dalla costa verso il
Fu, però, negli anni fra il 1933 e il 1939, in conco- largo, fino a raggiungere le sei miglia orarie. Ma ciò
mitanza con la Guerra d’Etiopia del 1935-36 e con il avrebbe comportato un grande dispendio di tempo, per
successivo consolidamento del dominio coloniale cui, per superare tale difficoltà, ci si rivolse alla Regia
nell’Africa orientale italiana, che l’Istituto ottenne dallo Aeronautica per chiedere l’esecuzione di fotografie
Stato Maggiore della Regia Marina il permesso di rea- aeree della fascia costiera, per una larghezza compresa
lizzare una serie di campagne che dovevano rappresen- tra 10 e 30 km, per ricavarne poi quei particolari del
tare un modello di capacità organizzative e soluzioni terreno che potessero risultare utili ai fini della naviga-
innovative per l’esecuzione di rilievi idrografici, geo- zione. Vennero anche presi accordi con l’Istituto Geo-
detici e topografici, e ciò sia per l’entità dei rilievi grafico Militare di Firenze, in particolare con il
stessi, sia per la mole dei dati raccolti, con i quali si capitano Ermenegildo Santoni, ideatore di un nuovo
poté, per la prima volta, pubblicare l’idrografia com- apparecchio per rilievi aerofotogrammetrici (una mac-
pleta delle coste e degli ancoraggi che interessavano china fotografica a lastra a doppia camera che permet-
l’Eritrea e la Somalia, in un’area fortemente strategica teva di allargare il campo trasversale della ripresa pur
per la navigazione mondiale. Dato, però, che le aree da conservando un buon campo longitudinale), per poter
rilevare erano lontane dalle basi di rifornimento, sprov- usare in maniera estensiva tale sistema.
viste di vie di comunicazione, aspre per la natura del L’Istituto, da parte sua, provvide a dotarsi di uno spe-
suolo e le condizioni climatiche, fu necessario inviare ciale «stereofotogrametro», costruito da una primaria
in avanscoperta ufficiali e personale vario per eseguire ditta nazionale, con il quale, a rilievi ultimati, fu possi-
ricognizioni del terreno, scegliere i punti destinati a di- bile realizzare dei disegni topografici di altissima preci-

Determinazione della posizione per mezzo di strumenti a riflessione per Disegnatori-topografi riportano sulla carta i risultati delle osservazioni,
misurare gli angoli (sestanti), Genova, Istituto Idrografico della Marina, 1924. e delle misurazioni, Genova, Istituto Idrografico della Marina, 1924.

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Le campagne idrografiche italiane nel Mar Rosso e nell’oceano Indiano

Carta della baia di Assab, Istituto Idrografico della Marina, 1936.

sione. Il collegamento geodetico fra i punti di coordinate blicare tre carte generali alla scala 1:1.000.000, sette
geografiche note fu attuato per mezzo di una poligonale carte alla scala 1:300.000, una carta alla scala 1:150.000,
costiera, accuratamente misurata, con lati di circa 4 km. due carte alla scala 1:60.000 e 16 piani di ancoraggi.
Il metodo, la sua teoria e l’applicazione pratica erano Nell’archivio storico dell’Istituto sono conservati i gra-
state studiate in precedenza presso l’Istituto, dove era fici di scandagliamento e i giornali di campagna, oltre a
stato costruito appositamente un nuovo strumento, il «fi- una buona parte della strumentazione impiegata nei ri-
lostadiometro», per la misura dei lati della poligonale. lievi, cimeli preziosi che costituiscono una documenta-
Grazie al lavoro preliminare, i risultati dei rilievi furono zione precisa, dettagliata e completa di un lavoro di
eccezionalmente cospicui e con essi l’Istituto poté pub- altissimo livello scientifico. 8
BIBLIOGRAFIA
Z.O. Algardi, Luigi Negrelli, l’Europa, il Canale di Suez, Firenze 1988.
S.C. Burchell, Il Canale di Suez, Milano 1967.
A. Cantile (a cura di), La cartografia in Italia: nuovi metodi e nuovi strumenti dal Settecento ad oggi, Istituto Geografico Militare, Firenze 2007.
A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, 4 voll., Bari 1976-84.
L. Di Paola, L’Istituto Idrografico della Marina: 1872-1972, Roma 1972.
G. Doria, Debiti e navi. La compagnia Rubattino: 1839-1881, Genova 1990.
F. Leva, Storia delle campagne oceaniche della Regia Marina, 4 voll., Roma 1992.
P. Maltese, Storia del Canale di Suez. L’Egitto e il canale 1833-1956, Milano 1978.
A. Monti, La storia del canale di Suez con cartografia finale, 1937.
P. Piccione (a cura di), Raffaele Rubattino. Un armatore genovese e l’Unità d’Italia, Cinisello Balsamo (MI) 2010.
P. Presciuttini, 125 anni al servizio del paese, Genova 2000.

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ne, sia centrale che locale, sta man SCAI Cygnature è dotata di una
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STORIA E CULTURA MILITARE

Buona Guardia!
Una storia di Etica a difesa dello Stato

La Regia Torpediniera ALISEO. Quest’unità


reagì all’aggressione tedesca distruggendo, il
9 settembre 1943, davanti a Bastia, un’intera
flottiglia tedesca (USMM).

trebbe il ruolo, decisivo e sempre affidabile, della Ma-


Enrico Cernuschi (*) rina nelle vicende italiane di ogni tempo.
Dall’altro, l’inedita vicenda narrata in queste pagine
pone al centro una questione fondamentale: quella,
Premessa cioè, della precedenza della formazione etica e carat-
Scopo dell’Accademia navale è formare, dal punto teriale rispetto a tutto quello che, di necessità, deve se-
di vista etico e professionale, gli ufficiali di Marina. guire, tra apprendimento ed esercizio fisico, nel corso
Nel corso dei secoli gli ordinamenti, i tempi e le mo- degli anni fino alla nomina a guardiamarina.
dalità di questo processo educativo e addestrativo, di Ma a questo punto è bene procedere con ordine dopo
per sé indispensabile per la vita e il progresso della un’ultima, indispensabile premessa: chi vive questi av-
Forza Armata, sono cambiati più volte. venimenti, siano essi in plancia o a terra, non ha altra
Quella che segue è una storia modesta, sia pur calata scelta che agire — sempre e soltanto sotto la sua esclu-
in maniera decisiva in occasione di uno dei momenti siva responsabilità — affidandosi al proprio apprezza-
più drammatici dell’intera vicenda unitaria italiana: mento della situazione e alle norme, appunto etiche,
l’armistizio dell’8 settembre 1943. La si potrebbe de- apprese o che, più semplicemente, l’hanno spinto, un
finire, in apparenza, financo piccola cronaca, ma non bel giorno, a tentare la via del mare, in generale, e
di meno presenta (beninteso a parere di chi scrive) una quella della Marina italiana in particolare. E talvolta
duplice valenza. può capitare che, mentre il processo formativo di cui
Da un lato evidenzia, infatti, come meglio non si po- sopra è ancora in corso (o, addirittura, è appena all’ini-

(*) Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, al-
trettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra
i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA - La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara),
«Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri» e «Gli
italiani dell’Invincibile Armata» (2016), «L’ultimo sbarco in Inghilterra» (2018) e «Venezia contro l’Inghilterra, 1628-1649» (2020).

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Buona Guardia!

zio), di dover agire lo stesso, d’istinto e di carattere. E mente, ai sempre pragmatici inglesi di proseguire, sot-
almeno in un caso, documentato nelle pagine succes- tobanco, i propri tentativi ai danni dell’Italia, cercando
sive, la posta in giuoco non fu quella del pur legittimo di far passare dalla finestra ciò che non avevano potuto
amor proprio personale o della stessa incolumità fisica contrabbandare dalla porta principale.
dell’interessato di turno, ma quella del futuro dell’in- L’andamento, dominato da superficialità ed equi-
tera nazione. voci, delle trattative tra i generali italiani del Comando
La storia dell’armistizio italiano dell’8 settembre Supremo e gli angloamericani culminò, infine, nella
1943 è stata narrata, vista da una parte o dall’altra, firma del documento armistiziale sottoscritto a Cassi-
un’innumerevole quantità di volte. In questa sede ba- bile il pomeriggio del 3 settembre 1943 sulla base di
sterà pertanto riassumere, brevemente, i fatti. un comune ed errato apprezzamento della situazione.
Nell’impossibilità di arrivare, assieme alla Germania Tutti i protagonisti di quelle vicende ritennero, infatti,
hitleriana, a una pace separata con l’Unione Sovietica che dopo l’annuncio della cessazione delle ostilità, da
a causa del comprensibile rifiuto, da parte del Führer, rendere noto al mondo poche ore prima di un nuovo
di sottoscrivere il proprio suicidio politico, e nell’inca- sbarco statunitense e britannico «a portata di Roma», i
pacità di opporsi militarmente allo strapotere militare tedeschi avrebbero dato senz’altro corso a una rapida
statunitense e, secondariamente, britannico, nel Medi- e «inevitabile» ritirata in direzione della congiungente
terraneo, i governi italiani succedutisi nel corso del Pisa-Rimini. Né era esclusa la possibilità della stessa
1943 (1) arrivarono alla conclusione che fosse neces- fine del conflitto replicando, con Hitler nel ruolo già
sario stipulare un armistizio con Washington e Londra. ricoperto dal Kaiser nel novembre 1918, una caduta
La buona volontà americana volta a concludere, nono- verticale della Germania e una sua sostanziale ridu-
stante la dichiarazione di Casablanca del 22 gennaio zione sotto la tutela britannica, lasciando agli Stati
1943, un armistizio militare e non la resa incondizio- Uniti l’offa rappresentata dall’Italia e dalla Francia.
nata (che invece si abbatté, infine, sulla Germania e sul La ritirata della Wehrmacht dall’Italia meridionale
Giappone, nel 1945, con conseguenze pesantissime per e centrale era data, anzi, tanto sicura da indurre i pur
le popolazioni di quelle due nazioni protrattesi fino al prudenti americani a promettere l’invio a Roma della
1950) era stata infatti assodata sia dal sovrano, sia dallo loro unica divisione di paracadutisti, l’82a Airborne, as-
stesso Mussolini già qualche giorno prima della dichia- sieme a una colonna corazzata destinata a risalire, a
razione di cui sopra (2). bordo di una LST (Landing Ship Tank) e di 3 LSI (Lan-
Londra, per contro, perseguiva dichiaratamente ding Ship Infantry) da 380 t, il Tevere, per poi mettere
l’obiettivo bellico di una politica peggio che punitiva a terra una dozzina di semoventi cacciacarri M 10 e al-
in quanto intendeva includere, dopo la guerra, l’Italia, cune batterie antiaeree e anticarro. Proprio le modalità
data la costante crescita economica del Bel Paese da un di quest’ultima operazione aeronavale, successiva allo
secolo a quella parte, nell’area della sterlina impo- sbarco (atteso incontrastato, o quasi) a Salerno e fissato
nendo, naturalmente, un cambio fisso e punitivo ai per il 9 settembre 1943, tradiscono i presupposti, asso-
danni della lira, come sempre avviene, in pace e in lutamente erratati, angloamericani. L’82ª, su due soli
guerra, con le monete d’occupazione, caratterizzate reggimenti a forza ridotta dopo le perdite subite in Si-
come sono dalla perdita della sovranità monetaria da cilia, avrebbe dovuto prendere, infatti, terra su alcuni
parte del soccombente. aeroporti laziali nel corso di due ondate, la prima delle
Tra il 24 luglio e il 14 agosto 1943 gli statunitensi quali fissata nel corso della notte tra l’8 e il 9 settembre
imposero, infine, ai riluttanti alleati britannici, la pro- e la successiva da rinnovare durante le ore di oscurità
pria politica (ben altrimenti benevola in quanto fondata del 9 e 10 di quello stesso mese. Quanto alle navi da
sui comuni interessi geopolitici e geo economici in atto sbarco, esse sarebbero arrivate a Fiumicino, se tutto
tra Washington e Roma sin dalla fine dell’Ottocento) fosse andato bene, il 10, e l’intero complesso sarebbe
nei confronti dell’Italia (3). Ciò non impedì, natural- stato a piè d’opera l’11. Soltanto allora, e in piena au-

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Buona Guardia!

tonomia rispetto agli italiani, gli statunitensi avrebbero ministri militari, meno quello della Guerra, generale
potuto agire, se del caso, contro i tedeschi. Si trattava Antonio Sorice, il quale si rifiutò di partire non avendo
di condizioni messe nero su bianco sin dall’inizio del approvato sin dal pomeriggio del giorno prima quel-
mese con i rappresentati del Comando Supremo e che l’armistizio — definito in quelle stesse ore alla stregua
confermavano il fatto, puro e semplice, che quell’aiuto di un gioco di bussolotti — e messo in piedi a sua in-
non era, in realtà, che una forza di occupazione, sia saputa e senza che il governo ne fosse messo a parte,
pure cordiale. Non c’è da stupirsi, a questo punto, in eccezion fatta, forse, per il ministro della Real Casa.
merito al sempre scarso entusiasmo che il comandante Scartato il piano A (discesa del Tevere a bordo di al-
dell’82ª, generale Maxwell Taylor (recatosi clandesti- cuni motoscafi di rappresentanza e imbarco a Civita-
namente a Roma il 7 settembre per capire che aria ti- vecchia sui cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli alla
rasse laggiù) manifestò sempre davanti a tutti, superiori volta della Maddalena), rimase quello B: viaggio via
inclusi, in vista di quell’operazione di natura più poli- terra fino a Pescara e da lì trasferimento per via aerea
tica che militare. L’aviosbarco fu annullato, come è in una località, come aveva deciso sin da agosto il Re,
noto, il pomeriggio del’8 settembre e la piccola Forza che fosse libera da minacce terrestri tedesche o angloa-
anfibia, partita il 5 da Biserta, fu dirottata, la sera del- mericane. Badoglio e alcuni generali, per contro, so-
l’armistizio, in direzione di Salerno. stennero allora e fino al 12 settembre, sempre senza
In quello stesso momento, un quarto d’ora dopo la successo data l’opposizione del Monarca, fisicamente
conferma italiana dell’armistizio, i tedeschi attaccarono debole, ma risoluto a non farsi più prevaricare, che
in omaggio ai piani che Berlino aveva prestabilito da fosse meglio trasferirsi in Sicilia.
tempo, e il pomeriggio del 10 Roma cadde in loro potere All’aeroporto di Pescara, però, il pomeriggio del 9
sulla base di una serie di patti via via violati dalla con- settembre, l’atmosfera si rivelò subito poco cordiale.
troparte germanica, fino alla fine del regime stesso della Fortunatamente per tutti, l’ammiraglio De Courten, mi-
città aperta e neutrale istituita il 10 al comando del ge- nistro e Capo di Stato Maggiore della Marina, aveva
nerale, conte Calvi di Bergolo, genero del Re succeduto pensato, da buon militare, di concepire, la mattina di
al governo, e consumata il 23 di quello stesso mese col quello stesso giorno prima di lasciare la capitale, un
disarmo delle ultime truppe italiane rimaste in città. piano alternativo basato sull’invio a Ortona di due cor-
Il 9 settembre, di prima mattina, data l’impossibilità, vette scortate dall’incrociatore Scipione. Imbarcati (in
assodata sin dal 31 luglio 1943, di poter difendere la parte) i vari personaggi, cui si era aggiunto, nel frat-
capitale nel caso di un colpo di mano tedesco, il Re, tempo e senza autorizzazioni, uno stuolo di generali ed
per quanto fosse evidentemente vecchio e malato, la- elementi vari del Comando Supremo e dello Stato
sciò, in quanto capo dello Stato, la capitale, essendo la Maggiore dell’Esercito, la corvetta Baionetta arrivò,
garanzia vivente dell’armistizio con gli angloamericani nel primo pomeriggio del 10 settembre, a Brindisi. Il
che lui solo aveva deciso (contro il parere del cosid- semaforo, interpellato, aveva segnalato che i pochi te-
detto e improvvisato consiglio della corona, nel pome- deschi presenti in città al momento dell’armistizio si
riggio dell’8 settembre 1943) di confermare. Con lui erano allontanati già il 9 senza incidenti. La diffidenza,
viaggiavano la Regina, il principe ereditario Umberto però, regnava tra i passeggeri e il Re, con la Regina e
(personalmente contrario a lasciare la città, ma co- il principe Umberto, scese per primo a terra, con un’im-
stretto a partire nel caso, non improbabile, di morte del barcazione, accolto dagli applausi di un gruppo di ma-
sovrano in quell’occasione o in seguito), assieme al ge- rinai e di civili. Rassicurati, anche gli altri passeggeri
nerale Vittorio Ambrosio, Capo di Stato Maggiore ge- seguirono alla spicciolata. Il comandante della piazza,
nerale, al presidente del consiglio, maresciallo Pietro ammiraglio Luigi Rubartelli, una volta ripresosi dalla
Badoglio — caduto sin dal giorno precedente in una sorpresa, riuscì a sistemare tutti, piuttosto spartana-
profondissima depressione che l’avrebbe accompa- mente, nel Castello Svevo, sede del suo comando, men-
gnato per una settimana — e, come da ordini del Re, i tre il Re e i suoi si trasferivano nella poco distante

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Buona Guardia!

palazzina del piccolo Circolo ufficiali della Marina cir- Eisenhower e il generale Marshall, Capo di Stato Mag-
condato dai viali e dal giardino che lo separavano dal giore generale statunitense, davano pertanto più che
perimetro esterno della base navale. Il servizio di guar- probabile la prosecuzione del conflitto in Italia, sia pure
dia al Sovrano fu assunto da un gruppo di marinai e di lungo quella che sarebbe stata chiamata, un giorno,
Reali carabinieri, questi ultimi, peraltro, «in numero in- Linea Gotica. Data quest’ipotesi di lavoro, la collabo-
significante», come ricordò in seguito il maggiore razione logistica del governo italiano era indispensabile
Luigi Marchesi (4). Ed è a questo punto, avendo trat- sin dal principio del nuovo corso, al pari dell’utilizzo
teggiato la tragica vicenda di sfondo dell’armistizio nei del porto di Napoli per le esigenze della 5ª Armata sta-
suoi contorni generali, che la piccola storia oggetto di tunitense, mentre l’8ª Armata britannica avrebbe do-
queste pagine entra nel vivo. vuto avvalersi degli scali di Bari e di Taranto. Le
Puglie, pertanto, rivestivano un compito decisivo nel
La sberla del secolo quadro delle complesse operazioni angloamericane del
La sera del 3 settembre 1943, dopo l’avvenuta firma settembre 1943.
dell’armistizio, i vertici angloamericani nel Mediterra- In realtà Slapstick altro non era che la pacifica messa
neo, agli ordini del generale statunitense Dwight Ei- a terra, in banchina, a Taranto, di una Divisione di pa-
senhower, incominciarono a concepire un’operazione racadutisti britannici, sempre che gli italiani fossero
totalmente nuova e di cui non dissero nulla agli italiani stati d’accordo. Le truppe britanniche (appiedate e do-
prima della mattina del 9. Denominato, non a caso, tate delle sole armi di squadra) sarebbero state portate
Slapstick, il piano in questione prevedeva uno sbarco laggiù dagli incrociatori inglesi Aurora, Penelope,
improvvisato a Taranto. Eisenhower pensava, infatti, Dido e Sirius, mentre il piccolo, ma più spazioso posa-
sin dal maggio 1943 che le ottimistiche previsioni in- mine veloce Abdiel doveva imbarcare una dozzina di
glesi in vista di una rivolta tedesca di palazzo che eli- cannoni anticarro da 57 mm e altrettanti trattori. La Di-
minasse Hitler e ponesse, contemporaneamente, fine al visione (1st Airborne Division), partita da Biserta la
conflitto europeo non appena fosse stata diramata la mattina dell’8 settembre, annoverava, a sua volta, dopo
notizia dell’armistizio italiano, erano non solo infon- le perdite subite in Sicilia, meno di 3.500 uomini, su 3
date, ma perfino contrarie agli stessi interessi statuni- battaglioni e un gruppo su due batterie, oltre a una com-
tensi, visto che quello che premeva davvero a pagnia del genio. All’ultimo minuto (7 settembre) gli
Washington era la rimozione definitiva della minaccia statunitensi resero disponibile anche un loro grosso in-
militare — e perfino culturale — del modello tedesco. crociatore, il Boise, il quale imbarcò, a poppa e dentro
la capace aviorimessa, un reparto esplorante dotato di
una sessantina di camionette jeep armate di mitraglia-
trici. Si trattava del Popsky’s Private Army (PPA), alias
No 1 Demolition Squadron, un’unità della Forza di una
scarna compagnia formata, nel 1942, da irregolari, in
prevalenza marocchini, algerini, neozelandesi (maori)
e polacchi, al comando di un ingegnere russo, Vladimir
Dimitrovich Peniakoff, naturalizzato belga. Il tono del
reparto era scarsamente marziale, tanto che l’ammira-
glio Morrison scrisse, al loro proposito, di una «Cu-
rious Arab unit» (5).
Giunti a Taranto, senza incidenti, la sera del 9, gli
Il generale statunitense Eisenhower, Comandante in capo angloamericano uomini di Peniakoff iniziarono, la mattina del 10, una
nel Mediterraneo fino alla fine del 1943, e il diplomatico statunitense Ro-
bert Murphy. Entrambi erano uomini del clan del presidente Roosevelt (Ro- serie di rapine a mano armata, impadronendosi, soprat-
bert Murphy, Diplomatico in prima linea, ed. Mondadori).
tutto, di automezzi, benzina e viveri. Ci volle tutta la

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Buona Guardia!

padronanza di sé del-
l’ammiraglio Giuseppe
Fioravanzo, coman-
dante militare marittimo
della piazza, per evitare
che la situazione preci-
pitasse e che l’ordine
tornasse, nel giro di un
paio di giorni, in città,
con le scuse del caso.
La sera del 10, a ogni
L’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo
(USMM). buon conto, dopo
un’ennesima rissa tra gli
irregolari di Peniakoff e
i paracadutisti, costata a questi ultimi alcuni dei loro
berretti rossi nuovi fiammanti, il comandante della 1st
Airborne, generale Gerald Hopkinson, pensò bene di
togliersi dai piedi quella gente così turbolenta, speden-
dola, il giorno dopo, in ricognizione in direzione di
Brindisi, Monopoli e Bari (tutte località rimaste noto-
riamente in mano italiana) con l’ordine di non farsi ve-
dere da eventuali reparti tedeschi in ritirata, mentre lui,
con i soli due battaglioni di paracadutisti disponibili,
avrebbe iniziato, l’11, un’avanzata su Massafra in di-
rezione dell’altopiano delle Murge.
Giunto a Brindisi il 10 settembre, il generale Am-
brosio e, con lui, il maresciallo Badoglio, aveva subito
La nave scuola CRISTOFORO COLOMBO. L’unità raggiunse Brindisi, as-
contattato (cosa che non era loro più riuscita dal giorno sieme al VESPUCCI, il 13 settembre 1943 con a bordo gli allievi del Corso
Argonauti (1942-45), a quell’epoca nel periodo di transizione tra il 1° e il
precedente) Eisenhower, chiedendo l’invio di una mis- 2° anno (USMM).
sione di collegamento angloamericana. La notte tra l’11
e il 12 la motonave passeggeri Saturnia, partita da Ve-
nezia il 10 con a bordo quasi mille persone tra allievi
del Corso Raffiche, concorrenti di quello che diventerà
il Corso Vedette del 1943-46, ufficiali, sottufficiali,
professori e famigli, si incagliò all’altezza di Lecce. Il
personale fu fatto imbarcare su cinque rimorchiatori e
gli allievi, coi loro pesanti fardelli pieni di vestiario e
libri, arrivarono, il pomeriggio del 12, alla loro nuova
sede provvisoria, il Collegio navale della GI (Gioventù
Italiana, già GIL, Gioventù Italiana del Littorio) di
Brindisi. Per quanto fossero esausti e scossi dopo tanti
giorni di ignote sorprese, il loro inquadramento impres-
sionò molto favorevolmente il Re il quale, osservandoli 12 settembre 1943. Lo sbarco a Brindisi degli allievi del Corso Raffiche, i
concorrenti del corso 1943 (Rivista Marittima).
dalla finestra, ordinò che provvedessero loro, per i

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Buona Guardia!

giorni successivi, alla guardia della modesta residenza commissione rimase in attesa, per tre ore, su quel
reale. Era stata, infatti, appena confermata una notizia campo d’aviazione devastato dai bombardamenti, oltre
in base alla quale una missione militare e politica an- che circondata da marinai e avieri italiani i quali chie-
gloamericana si sarebbe recata a Brindisi; la sostanza devano tutti: «I tedeschi riconosceranno l’armistizio?»,
e le forme andavano, pertanto, rispettate. Il servizio in- a conferma della confusione e delle perduranti speranze
cominciò quella sera stessa con un piccolo nucleo di in una pace generale (o in una fuoriuscita abbastanza
allievi della terza classe in regolare uniforme ordinaria indolore dell’Italia dalla guerra) che molti continua-
estiva (quella storica tuttora in vigore, con pantaloni vano a coltivare apertamente. Alla fine arrivò, a cura
bianchi e corpetto blu) in servizio armato, completa di di Fioravanzo, una piccola automobile (8), la quale tra-
cordino bianco e guanti. Come scrisse, molti anni dopo, ghettò, mediante due viaggi, l’irritatissimo MacFarlane
uno di quegli allievi, l’ammiraglio Antonio Cocco: «A e i suoi — mezza dozzina di persone in tutto — a Ta-
turno montammo di servizio armati di mitra, con com- ranto. Qui il generale britannico decise di recarsi, il
piti di sicurezza e anche di rappresentanza. Più volte giorno dopo, a Brindisi, senza preavvisare i suoi ospiti
al giorno i Reali e Badoglio scendevano in giardino (tattica del tutto inutile, in quanto Fioravanzo informò
per passeggiare nei viali, continuando a parlare dei subito l’ammiraglio De Courten, il quale aveva ricosti-
gravi compiti ed enormi problemi del momento. Questo tuito il proprio comando, consistente in poco più di una
ci costringeva a restare immobili sull’attenti per lunghi scrivania, nel Castello Svevo, sede del Comando mili-
periodi. Personalmente mi sono sempre ritenuto orgo- tare marittimo) e, cosa curiosa, rifiutando altresì la pre-
glioso di aver prestato questo servizio e la devozione vista, già pronta scorta di paracadutisti britannici,
verso il Re, verso la meravigliosa e buona Regina debitamente tirati a lucido, preferendo affidarsi al PPA,
Elena, sempre prodiga di affettuosi sorrisi
al suo passaggio, verso il Principe Um-
berto, in me aumentavano di giorno in
giorno: Essi erano non solo i Sovrani d’Ita-
lia, ma soprattutto i miei Sovrani!» (6).
Il pomeriggio del 13 atterrò a Grottaglie
un bimotore C 47 statunitense con a bordo
la delegazione anglosassone proveniente
dal Quartier generale di Algeri. Data la na-
tura militare dell’armistizio, la presiedeva
il generale inglese sir Frank Noel Mason
MacFarlane, governatore di Gibilterra. Era
un uomo dal carattere pessimo, oltretutto
«prevenuto nei confronti degli italiani sotto
più di un aspetto», (7) come avrebbe scritto
in seguito il diplomatico statunitense Ro-
bert Murphy, rappresentante politico ame-
ricano a quel medesimo incontro brindisino
assieme al collega britannico Harold Mac-
millan, futuro Primo ministro tra il 1957 e
il 1963 e «grande vecchio» della politica
europea fino alla fine degli anni Settanta. I
collegamenti con i comandi inglesi a Ta- I rappresentanti inglesi in Italia nel 1943: il diplomatico Macmillan, primo a sinistra, e il ge-
nerale MacFarlane (Robert Murphy, Diplomatico in prima linea, ed. Mondadori).
ranto lasciavano parecchio a desiderare e la

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in quel momento in corso di spostamento, sempre con Il pomeriggio del 13, infatti, Vittorio Emanuele III era
discrezione, in prossimità di Gioia del Colle, allo scopo stato fischiato, all’aeroporto di Brindisi, dai piloti di
di eseguire una ricognizione di quella località, presa una squadriglia da caccia, fatto commentato quel
dai tedeschi due giorni prima. giorno nel proprio diario dall’imbarazzatissimo mini-
Informato del prossimo arrivo, in un’ora non preci- stro e Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronau-
sabile, della missione anglosassone, De Courten decise tica, il generale Paolo Sandalli, con un asciutto: «Il
di rafforzare, per ogni evenienza, la vigilanza alla sede Ministro prende atto e annota che il morale dei piloti
del sovrano. Sempre su suggerimento del Capo di Stato è basso» (9).
Maggiore della Marina, il solo interprete italiano am- Partiti alle prime ore del 14 settembre con una scorta
messo ai colloqui sarebbe stato il capitano di corvetta formata da due sezioni di jeep, con a bordo una quin-
Gustavo Lovatelli, mentre l’ammiraglio Guido Bacci dicina di uomini armati, i rappresentanti della missione
di Capaci, comandante dell’Accademia, pensò bene, a angloamericana giunsero a destinazione, senza preav-
sua volta, di integrare il nucleo di guardia di servizio, viso, poco dopo le 10.00. Il primo contatto, avvenuto
il 14, con un paio di concorrenti dimostratisi padroni con il taciturno Ambrosio e con Badoglio non fu felice,
di un buon inglese e di bella presenza, naturalmente in in quanto il capo delegazione inglese, con notevole im-
tenuta da marinai con la «paperina», ossia l’uniforme barazzo di Murphy, MacMillan e dei loro due assi-
col solino e il berretto tondo (la cosiddetta «pizza»), e stenti, si comportò in maniera a dir poco villana. Come
senza armi. se non bastasse MacFarlane era volutamente trasandato
In effetti, l’atmosfera non era delle più liete e la si- e in pantaloni corti, esibendo, in seguito, le proprie gi-
curezza del Re era tutt’altro che da dare per scontata. nocchia e i polpacci, anche al Re, in occasione del col-
loquio fissato, a questo punto e senza
cerimonie di sorta, alle ore 11.30 (10).
Il generale Mario Roatta, Capo di Stato
Maggiore dell’Esercito, assistette, da spet-
tatore, all’arrivo della delegazione osser-
vando, a sua volta, che gli inglesi «… sono
così sommariamente e diversamente vestiti
e così trasandati che non c’è da fare com-
plimenti!» (11).
Subito dopo essere stato ammesso nel
piccolo salotto della palazzina col proprio
seguito alla presenza del Re, a sua volta af-
fiancato, oltre che dal comandante Lova-
telli, dal conte di Campello, MacFarlane
cercò di replicare lo show di pochi minuti
prima senza però riuscire a impressionare
Vittorio Emanuele.
In quegli stessi momenti ebbero luogo,
pressoché contemporaneamente, due di-
stinti incidenti, uno in corridoio e l’altro
nel giardino della modesta residenza reale.
Nel corso del primo, un soldato, diciamo
Re Vittorio Emanuele III nel 1943 (Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, ed. Palazzi, così, britannico, qualunque fosse la sua
Milano 1958).
vera origine, cercò di impadronirsi della

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pistola di un sottufficiale biascicando: «Souvenir, sou- pensò bene, a questo punto, di congedarsi. Il Re glielo
venir» e brandendo (a titolo di scambio?) un pac- concesse e il capo delegazione britannico, forse ormai
chetto di sigarette Camel. Allontanato con un braccio, convito di aver esagerato, tese, per la prima volta quel
quel cercatore di ricordi tornò alla carica alzando le giorno, la mano ai presenti, cominciando da di Cam-
braccia mentre altri due suoi commilitoni si facevano pello il quale, però, gliela lasciò penzolare per aria
sotto. Il sottufficiale sfoderò, a questo punto, «la (13). Più cordiale fu, per contro, il saluto fatto a Mur-
sberla del secolo», stampando le proprie dita sulla phy e a Macmillan.
guancia del malcapitato. L’esibizione, subito dopo, Seguì, nel pomeriggio, un nuovo colloquio, questa
dei fucili spianati da parte di due allievi, convinse gli volta senza MacFarlane (convenientemente messo
altri inglesi, o presunti tali, ad allontanarsi mormo- fuori gioco dai suoi due rappresentanti politici, visto
rando parole non comprensibili, ma certo non elogia- che il tentativo di intimidire il Re era fallito), tra il so-
tive. In giardino le cose minacciarono di andare vrano, il ministro della Real Casa Acquarone, Murphy
peggio, in quanto un altro commando puntò il proprio e Macmillan, con l’assistenza di due interpreti, uno
mitra contro un concorrente in servizio di interprete americano, il capitano di corvetta, della riserva, John
facendogli volare il berretto con la canna. Seguì, M. Shaheen, e il solito comandante Lovatelli, nel
d’istinto, un violento cazzottone sferrato dal ragazzo, corso del quale furono finalmente definite, da una
ormai a capo scoperto, seguito da un altro, diretto parte e dall’altra, nel giro di appena mezz’ora, le cose
questa volta sotto il mento, che spedì l’inglese, con il serie. Sovranità italiana, senza governo militare al-
suo elmetto a padella coperto da una zanzariera, al leato (AMGOT, Allied Military Government of Occu-
tappeto. Due altri elementi della scorta britannica pied Territories), della King’s Italy, formata dalle
puntarono, a questo punto, i loro mitra, ma il sottuffi- provincie non occupate dagli anglosassoni all’8 set-
ciale di guardia nel giardino e accorso nel frattempo, tembre 1943 e dalla Sardegna (14). In tal modo veniva
si rese subito conto che i Tommy Gun (ovvero mitra- riconosciuta, da parte delle Nazioni Unite, l’esistenza
gliatori Thompson) dei due, erano privi del caricatore. di un regolare Stato e governo italiano (sia pure da
I britannici, se davvero si era trattato di un piano co- implementare, data l’assenza di quasi tutti i ministri);
ordinato, non volevano, evidentemente, passare dalla conferma dell’impegno angloamericano a permettere
parte del torto, ma atteggiarsi, casomai, a vittime dei al Regno di provvedere, mediante anche le proprie
sempre infidi italiani. Una volta estratta la pistola, navi mercantili, alle necessità dei territori italiani as-
quella sì carica, del Capo, anche quella coppia di as- sicurando i traffici necessari col Nordafrica e prose-
salitori si allontanò subito portandosi dietro il proprio cuzione — sotto comando italiano — dell’attività
dolorante compagno. Avendo avvertito il trambusto delle Forze armate italiane nel Basso Adriatico, nel
in atto, il conte di Campello si era a sua volta allonta- Mar Jonio e nell’Italia meridionale, in risposta all’ag-
nato, con discrezione, un attimo. Subito informato in gressione tedesca in collaborazione con gli angloame-
merito ai due episodi, l’ufficiale rientrò immediata- ricani. MacFarlane cercò di vendicarsi dello scacco
mente dopo aver impartito l’ordine di mantenere il se- subito quel giorno scrivendo, in seguito, di aver in-
greto più assoluto su entrambe le faccende (12). Nel contrato un Re di 73 anni con l’aria assente di uno stu-
frattempo, l’atmosfera del colloquio, congelata dalla pido. Murphy, vero padrone del vapore, scrisse, per
fredda imperturbabilità del Re e dal silenzio, imba- contro, che «… a noi sembrava che il Re avesse dato
razzato e interrotto solo da qualche monosillabo for- prova di un considerevole spirito di iniziativa costrin-
mulato dal team anglosassone, in risposta alle gendo Mussolini ad andarsene; in seguito, allonta-
domande formulate sempre e soltanto dal generale in- nandosi da Roma dopo il mancato arrivo della
glese, era giunta a un punto morto. Non essendoci, protezione alleata, Vittorio Emanuele aveva dimo-
evidentemente, altro da dire, né essendosi prodotto strato di essere molto più intraprendente e molto più
alcun fatto nuovo (magari dall’esterno), MacFarlane antinazista della maggior parte dei ministri del suo

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governo formato dopo la caduta di Mussolini» (15). Solo un pugno di allievi e perfino un paio di con-
Questo giudizio fu fatto proprio, il giorno dopo, oltre correnti si interposero, quello stesso giorno 14, tra
che da Eisenhower, dal presidente statunitense Roo- quanto avvenne poi in realtà e quelle che avrebbero
sevelt e imposto, obtorto collo, dal Primo ministro potuto essere le conseguenze, fatali e definitive, di una
Churchill al proprio gabinetto di guerra (nonostante grave provocazione, meramente individuale o fredda-
l’ostinata resistenza avanzata dalla maggioranza dei mente orchestrata che fosse. I precedenti, d’altra parte,
suoi ministri) data la totale dipendenza del Regno non mancavano, il 16 aprile 1814, per esempio, il
Unito rispetto alle importazioni dagli Stati Uniti, ri- Regno d’Italia napoleonico aveva ottenuto, sul campo,
conosciuta formalmente da Londra il 29 marzo 1943. un armistizio militare con gli austriaci che rispettava
Poco dopo, alle ore 17.00 di quello stesso 14 settem- sia il territorio non occupato dagli Asburgo, sia quello
bre, il Re, «chiuso e arcigno», si recò in visita a bordo stesso Stato italiano, destinato a rimanere tale e indi-
delle navi scuola Colombo e Vespucci (giunte da Trieste pendente come specificato nel documento sottoscritto,
il giorno precedente) e dell’incrociatore Scipione. In se- quel giorno, a Villa Schiarino Rizzino, presso Man-
guito, il commento di Francesco di Campello fu: «Tutto tova, anche dopo la futura pace generale. In seguito ad
perfetto, come sempre in Marina». Il 15, l’Accademia alcuni incidenti organizzati e scatenati dagli austriaci
navale riprese regolarmente il proprio
funzionamento. Gli allievi della terza
classe furono nominati aspiranti guar-
diamarina, come riconoscimento del
loro comportamento in quei giorni.

Verso una conclusione


Nel pieno del caos armistiziale del-
l’alba del 9 settembre, soltanto l’am-
miraglio De Courten conservò la
lucidità necessaria sia per impartire gli
ordini necessari a Supermarina, sia
per organizzare un eventuale viaggio
via mare, debitamente scortato, del so-
vrano e del suo (in quel momento) ri-
dottissimo seguito.
Soltanto le comunicazioni della Ma-
rina permisero al Re di mantenersi in
contatto con Roma, il 9 e il 10 settem-
bre, conferendo al maresciallo Enrico
Caviglia i poteri, nel vuoto venutosi a
creare nel frattempo.
Solo la Marina poté assicurare la re-
siduale, minima base logistica del
Regno e la sicurezza di Vittorio Ema-
nuele, fino a quando non furono gettate
le basi, il 14 settembre, del futuro corso Il progetto di partizione dell’Italia presentato senza successo dai sempre tenaci inglesi alla confe-
degli avvenimenti succedutisi da allora renza interalleata di Tehran del novembre 1943, nonostante gli impegni presi in seguito all’incontro
del 14 settembre 1943 a Brindisi (mappa di Vincent P. O’Hara).
fino a oggi, novembre 2020.

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Buona Guardia!

a Milano il successivo 20 aprile, però, il Regno fu in- 1734, all’epoca della Guerra dei sette anni e durante il
vaso a tradimento, mediante un colpo di mano, dalle Primo conflitto mondiale (16). L’immediata risposta
truppe asburgiche, autonominatesi per l’occasione alla negativa di statunitensi e russi mise fine a quel-
stregua degli unici possibili tutori dell’ordine pubblico l’estremo tentativo di cambiare le carte in tavola, ma
e della proprietà privata. Quello Stato italiano scom- già il 25 ottobre 1943 il Capo di Stato Maggiore im-
parve, così, dalla carta geografica fino al compimento periale, generale Alan Brooke, aveva confidato con
del successivo Risorgimento. Con ogni probabilità malinconia al proprio diario che: «Quando guardo al
solo Vittorio Emanuele III conosceva, quel 14 settem- Mediterraneo mi rendo conto anche troppo bene di
bre 1943, tra i quattro muri della villetta alloggio am- quanto grandemente ho fallito».
miraglio di Brindisi, quella vicenda più nota sotto Che questo fallimento fosse stato causato, sul piano
l’etichetta de «L’eccidio del Prina». È, però un fatto strategico, dalla Regia Marina nel corso di tre anni di
che ancora nel novembre 1943, a Tehran, gli inglesi lotta passando dalla «guerra inglese» a quella «ameri-
chiesero, come già avevano in animo di ottenere nel cana», è un fatto ormai noto.
settembre di quello stesso anno, l’allontanamento di Che non solo gli ufficiali, i sottufficiali, i graduati e
Re Vittorio Emanuele III, abolendo, con lui, il governo i comuni della Forza Armata abbiano fatto la loro parte
italiano, così da poter assegnare a un’AMGOT auspi- è parimenti naturale. Scoprire che anche gli allievi
cabilmente diretta, per meriti di guerra, alla sola Gran hanno avuto, nel momento più buio, un loro ruolo è, per
Bretagna, l’intero controllo dell’Italia occupata. contro, una piacevole novità. Apprendere, infine, che
Quello stesso piano prevedeva, inoltre, la suddivisione anche la reazione (dettata dalla dignità del mondo cui
dell’ex Regno sabaudo, dopo la guerra, in 5 zone di aspiravano di essere ammessi) dei concorrenti al corso
occupazione: una ellenica estesa subito alle Puglie e, 1943, le future «Vedette», ha giocato anch’essa, in tutta
in seguito, al meridione, sulle linee dell’antica Magna semplicità, un ruolo, è a sua volta una conferma del fatto
Grecia; una jugoslava dall’Istria fino a Milano esclusa; che l’Accademia navale forma il carattere, ma che per
una francese comprendente la Valle d’Aosta, il Pie- decidere di tentare di entrarvi sono necessarie doti, a
monte, la Liguria, l’isola d’Elba e la Lombardia fino priori, di orgoglio e di rispetto di se stessi non comuni.
a Milano inclusa (città definita, non a caso, «il cestino Perché tutto parte da lì in quanto, come scrisse — per
del pane»); una inglese formata dalle isole maggiori esempio — Massimo d’Azeglio nelle proprie Memorie,
più la Calabria e una statunitense col Lazio (più Na- ricordando le parole che il marchese padre gli disse
poli) da governare assieme al Papa. L’Alto Adige, per quando, adolescente, quel futuro Primo ministro e padre
contro, doveva essere subito restituito all’Austria, in della patria era stato nominato alfiere di cavalleria: «Ri-
fin dei conti alleata secolare di Londra sin dalla fine cordati che l’onore del soldato sta sullo stesso piano
del Seicento, a parte pochi, momentanei screzi nel dell’onore del Primo generale e anche del Re». 8
NOTE
(1) Carlo Scorza, ultimo segretario del partito fascista, scrisse chiaramente che Mussolini, dopo l’esito imprevisto dell’ultimo Gran Consiglio del fascismo, aveva ac-
cettato l’idea di un armistizio con gli angloamericani, sia pure riservandosi di organizzarlo in maniera appropriata al termine di un ultimo tentativo volto a far ragionare
Hitler d’intesa coi giapponesi spedendo da Roma, entro il 25, un telegramma redatto in termini non ulteriormente differibili il cui testo doveva essere sottoposto, na-
turalmente, al Re. Carlo Scorza, La notte del Gran consiglio, ed. Palazzi, Milano 1968, p. 168. Per il telegramma in parola, ancora più duro di quello, pesantissimo,
spedito a Hitler il 18 luglio 1943, si vedano Frederick W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, volume I, ed. Einaudi, Torino 1963, p. 513 e Roberto Festorazzi,
Führer, liquidiamo il capitolo Russia, Il Giornale, 30 luglio 2001.
(2) Frederick W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, ed. Einaudi, Torino 1970, pp. 192-199. Giacomo Acerbo, Tra due plotoni di esecuzione, ed. Cappelli, Bologna 1968,
p. 483. Enrico Cernuschi, Il fantasma delle riparazioni, Rivista Marittima, ottobre 2007. Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana, ed. Laterza, Bari 1996, pp. 12-27.
(3) Kevin Smith, Conflict Over Convoys, ed. Cambridge University Press, Cambridge 1996, pp. 156-179. Kenneth Strong, Guerra segreta per l’Europa, ed. Garzanti,
Milano 1968, pp. 134 - 147. TNA (ex PRO), War Office (W.O.) 10006/39126, J.P. (43) 264 (Final) 24 July 1943, C.O.S. (43) 172 Meeting. (4)
(4) Luigi Marchesi, Come siamo arrivati a Brindisi, p. 119.
(5) Samuel Eliot Morison, Sicily-Salerno-Anzio, ed. Little Brown, Boston 1954, p. 235.
(6) Antonio Cocco, Per la Patria e per il Re, Bastogi, Foggia 2006.
(7) Robert Murphy, Un diplomatico in prima linea, ed. Mondadori, Milano 1967, p. 288.
(8) Non è escluso che l’ammiraglio italiano, cui i commando avevano rapinato tre giorni prima, a mano armata, l’auto di servizio, sottraendola al proprio autista mentre
lui stava discutendo con il generale inglese Hopkinson (sia pure ricevendo subito le scuse scritte di quell’ufficiale per il comportamento indisciplinato dei propri uomini
e, qualche giorno dopo, il veicolo in parola, peraltro tornato indietro piuttosto scassato), abbia voluto prendersi una piccola rivincita inviando a bella posta a Grottaglie,
in mancanza di meglio, una FIAT Topolino. Ufficio Storico della Marina Militare, La Marina dell’8 settembre 1943 alla fine del conflitto, Roma 1962, p. 210.

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(9) Paolo Sandalli, 8 settembre 1943, Forze Armate e disfattismo, ed. Gesualdi, Roma 1993, p. 102.
(10) Sir Frank Noel Mason-MacFarlane, silurato da Churchill nel giugno 1944 a causa della sua condotta in Italia, giudicata pessima e controproducente, basò la
propria futura carriera politica, venendo eletto deputato laburista l’anno successivo, proprio sul fatto di essersi presentato a «King Victor» in calzoncini corti. Morì nel
1953 in seguito alla frattura di una gamba.
(11) Mario Roatta, Diario 6 settembre-31 dicembre 1943, ed. Mursia, Milano 2017, p. 81.
(12) Lettera all’autore dell’ammiraglio Giuseppe Marsalona del 7 luglio 1995.
(13) Francesco di Campello, Un principe nella bufera, ed. Le Lettere, Firenze 2012, p. 57.
(14) A rigor di termini, poiché gli inglesi erano avanzati, tra il 3 e l’8 settembre 1943, di soli 50 chilometri in Calabria dopo lo sbarco a Reggio, anche le provincie di
Catanzaro e Cosenza, sostanzialmente attraversate dai tedeschi e non riconquistate come la Lucania, avrebbero dovuto essere sottratte all’AMGOT. In seguito alle
proteste inglesi si arrivò, il 15 settembre, a un compromesso: formale governo angloamericano, ma conservazione dei prefetti italiani, delle leggi e delle Forze del-
l’ordine, oltre a nessun disarmo della Divisione Mantova, come pure si era tentato di imporre, anche se senza successo, e delle altre unità del Regio Esercito, oltre
che dei comandi della Regia Marina e della Regia Aeronautica. L’11 febbraio 1944 anche questi territori, come il resto dell’Italia meridionale a sud della linea di com-
battimento, eccezion fatta per Napoli, tornarono sotto la sovranità del Regno.
(15) Idem nota (5), pagina 289.
(16) TNA (ex PRO) FO 371/37271 citato da Vanna Vailati, 1943-1945, La storia nascosta, ed. G.C.C., Torino 1986, p. 290.

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RUBRICHE

F OCUS DIPLOMATICO
Le elezioni americane Trump, che invece può contare sul sentimento preva-
Queste elezioni del 2020 sono state analizzate un po’ lente in vari Stati dell’Unione, che hanno visto in lui
da tutti e sotto tutti gli aspetti. Molti hanno espresso uno l’uomo capace di lottare contro la globalizzazione che
sconcerto nel constatare lo stallo e quindi la lunghezza ovviamente il suo protezionismo contrasta.
del tempo necessario alla conclusione della verifica del Ma c’è di più. La sua gestione della politica estera,
voto popolare negli Stati Uniti. Senza dubbio si tratta di peraltro lontana da guerre, ha regalato agli ebrei ameri-
un prolungamento della fase elettorale piuttosto inu- cani la speranza di un migliore inserimento di Israele
suale, anche se al momento dell’elezione di Bush, anche nel Medio Oriente con relazioni miracolosamente allac-
il rivale Al Gore aveva richiesto un nuovo conteggio dei ciate, con Emirati Arabi sotto il paterno consenso del-
voti, prima di rinunciare a ulteriori rivendicazioni. l’Arabia Saudita, nonché il dono di Gerusalemme, come
Ma qui oltre all’effettivo combattimento all’ultimo capitale a Netanyahu, che non sono doni di poco conto.
voto, c’è stata la sorpresa di una parte consistente del Con queste premesse la riconoscenza di larghi strati di
popolo americano che non solo non si è allontanata da ebrei americani avrebbe potuto trascinare con sé una
una gestione del potere da parte di Trump assai ondi- parziale adesione — malgrado tutto — di afroamericani
vaga, ma è rimasta anche poco scossa dal suo approc- che normalmente riconoscono negli ebrei i loro più an-
cio alla pandemia, che ha generato migliaia di morti e tichi compagni di strada. Questo però non sembra che
milioni di contagiati. Avrebbe dovuto essercene abba- sia avvenuto. Dovremo attendere ulteriori analisi sulla
stanza per far cadere il suo supporto al livello vicino composizione dei votanti per conoscerne la provenienza
allo zero. Invece no. Egli, pure assistendo a un’erosione etnica. Per adesso hanno evidentemente votato per lui i
del suo consenso nei confronti del rivale, non ne vedrà latino-americani della Florida, dove però la politica anti-
il fondo e continuerà a lottare attraverso tutti i mezzi Cuba, sostenuta dalle famiglie fuoriuscite dall’isola
legali su cui può contare per differire la designazione sotto Castro, sostiene da sempre la scelta di isolare
del vincitore fino ad arrivare, se possibile, a un pronun- l’Avana, nonché — come appare anche dalla cartina
ciamento della Corte suprema che per la sua composi- geografica tutta rossa — gli Stati del centro del paese
zione conservatrice e repubblicana potrebbe trovarsi in dove «la supremazia bianca» e xenofoba è un dogma
imbarazzo a decidere contro di lui. per difendersi dalla competizione della globalizzazione.
E il partito repubblicano? In qual-
che modo essendo lui il suo alfiere, e
come tale, promotore di alcuni obiet-
tivi ideologici dei conservatori, come
la riduzione delle tasse ai più ricchi
«per rianimare il mercato e creare più
posti di lavoro», la difesa della ven-
dita libera di armi, il sostegno priori-
tario a «Law and order» a tutti i costi
— che qui ha scavalcato i diritti civili
degli afroamericani — la distruzione
di un’assicurazione sanitaria persino
nei limiti blandi ottenuta da Obama
ecc., non può fare a meno di soste-
nerlo. Con più o meno entusiasmo.
«In queste elezioni, a contrapporsi in uno scontro molto acceso sono state due figure ormai
Ma questo sostegno appare più note all’opinione pubblica: da una parte Trump per i repubblicani e dall’altra Biden per i
democratici» (rai.it).
d’obbligo che rassicurante per

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Focus diplomatico

un uomo equilibrato, immediata-


mente impegnato a combattere l’epi-
demia di coronavirus, a ripristinare
un minimo di protezione sanitaria
all’indifesa popolazione americana
— spesso occupata ma in lavori pre-
cari e mal pagati — a ristabilire con
l’Unione europea un clima di mag-
giore solidarietà, e un rientro, forse
sottotono negli accordi di Parigi sul
clima. Del resto l’uomo ha già dimo-
strato di non avere un ego esuberante
Il democratico Joe Biden durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane, te- come Trump, ma grande resilienza, e
nutesi il 3 novembre 2020 (bbc.com).
quindi si accinge a sostenere la batta-
glia legale che il Presidente uscente
Intanto, probabilmente per meriti propri, e non come sembra intenzionato a scatenargli contro, con «pazienza»
corollario al voto per Trump, il Senato americano ha e sangue freddo.
mantenuto il suo colore, cosa che comporta un grande Sicuramente il sistema di voto americano, oltre a es-
potere di controllo sull’esecutivo del prossimo presi- sere piuttosto involuto, si presta a possibili «brogli» nella
dente statunitense. Dunque, anche se questa istituzione parte inviata per posta — come ha denunciato solo re-
non si riconosce del tutto nell’amministrazione Trump, centemente Trump — ma si tratta di un sistema oramai
rimane un foro conservatore, che deve mantenere un consolidato che è troppo comodo criticare solo quando
atteggiamento consono al suo obiettivo primario. si perde. Ciò nonostante così com’è offre possibilità di
E pensare che il medesimo partito fu in qualche contestare questa elezione se i legali del Presidente
modo trascinato a sceglierlo come candidato alla Casa uscente, troveranno appigli giuridici di qualche peso.
Bianca un po’ per forza di cose, in assenza di candidati Rimane comunque il fatto che i due grandi partiti
più convincenti, ma forse anche perché spendibile di sembrano entrambi indeboliti. Il repubblicano perché
fronte alla temuta supremazia del candidato democra- non ha saputo conquistare le masse esterne alle grandi
tico di allora: Hillary Clinton, cui andavano tutte le pre- città senza il trumpismo, ovvero senza gli eccessi anti
visioni di sicura vittoria. Dunque meglio sacrificare lui democratici del tycoon, che è riuscito a riportare al voto
che un personaggio più ortodosso e prevedibile, con- molti americani bianchi, frustrati dalla competizione
servando quest’ultimo per elezioni future. esuberante e più povera degli immigrati, e dal prevalere
L’ironia attuale è quindi che in queste elezioni, a delle nuove tecnologie. Questo, al momento ha sancito
contrapporsi sono state due figure minori ovvero meno uno scivolamento del partito repubblicano dalla sua ri-
rappresentative dei due partiti dominanti: da una parte gorosa linea conservatrice di McCain, onesta e senza
Trump inizialmente non voluto dai repubblicani di cui esclusioni etniche, a un populismo sciatto, fatto di pre-
ha stravolto l’immagine e Biden, approvato a malin- giudizi e personalismi.
cuore dai democratici, per mancanza di candidati più Il partito democratico ha anche accusato segni di mi-
accettabili all’insieme del partito. Biden, infatti, sep- nore vitalità, perché i voti per Biden hanno rappresen-
pure considerato una brava persona, non ha mai riscal- tato l’ultima spiaggia di un elettorato stanco del
dato il cuore del partito democratico, né galvanizzato prevalere delle grandi famiglie, purtroppo rappresen-
gli elettori che accettavano il duo, per votare Obama. tato da figure che avevano rivolto poca attenzione alle
Malgrado ciò, la sua vittoria porterà alla Casa Bianca, campagne del Midwest, e ai loro risentimenti, e al cui

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Focus diplomatico

partito quindi avevano già voltato le


spalle, negando all’arcigna Hillary
Clinton il loro voto.
In fondo quello che colpisce di
più di queste elezioni è il fatto che i
due schieramenti pro e contro Trump
non si sono mossi dall’irrigidimento
originario, rimasti quasi immutati di
fronte agli effetti devastanti della
pandemia. Mentre sulle coste ha
continuato a prevalere un orienta-
mento di tipo «europeo», quindi
flessibile e «multilaterale», ma
anche preoccupato dal Covid-19, al
centro dell’America, coloro che con-
La Casa Bianca (Washington - DC), residenza ufficiale del presidente degli Stati Uniti d’America
siderano e condannano come «socia- (bbc.com).
lismo» le scelte progressiste del
partito democratico, hanno trovato in Trump un soste- timento verso lo straniero del trumpismo. La pandemia
nitore che non hanno abbandonato nemmeno di fronte ha avuto un ruolo importante nei confronti di entrambi:
alla politica dissennata praticata dal governo nei con- per Trump ha fatto emergere tutte le contraddizioni di
fronti del virus. una gestione troppo dominata da personalismi, pregiu-
Dunque, in qualche modo si apre ora una nuova fase dizi e superficialità. Per Johnson ha ridotto la sua spe-
interna per il paese, più diviso che mai, che Biden ranza di una cavalcata gloriosa verso la Brexit,
dovrà cercare di riconciliare e, da vero leader, guidare facendogli incontrare un cammino pieno di spine e ora-
verso una più unitaria consapevolezza morale e un più mai senza l’assicurazione dell’usbergo statunitense.
coerente ruolo internazionale. Dall’altra parte si apre per Biden una stagione intensa
Verso Unione europea e NATO prevarrà un atteg- e breve, perché difficilmente potrà prolungarsi oltre i
giamento meno ruvidamente competitivo, ne fa testi- quattro anni, a motivo della sua età. Per sua fortuna però
monianza il sorriso luminoso con cui sembra aver ha il vantaggio di avere alle spalle un’esperienza di go-
ricevuto la notizia della vittoria di Biden, Angela Mer- verno negli otto anni di Obama, come vice presidente.
kel, sempre così invisa a Trump, come la povera leader Ciò gli permetterà di evitare le trappole più insidiose
britannica Teresa May, bersagliata o nevroticamente dell’opposizione e consentirà a lui, bianco, di battersi
elogiata a turno da Trump, che le preferiva dichiarata- per una maggiore giustizia verso «the Blake lives count»
mente Boris Johnson. più del «colorato» Barack Obama, obbligato ad apparire
Certo, in questa predilezione giocava una somiglianza «imparziale» nei confronti dei fratelli neri.
caratteriale, ma anche un orientamento politico conver- Jolanda Brunetti,
gente, se le motivazioni della Brexit echeggiano il risen- Circolo di Studi Diplomatici

L’ambasciatrice Jolanda Brunetti è entrata nel servizio diplomatico nel 1967, una delle due prime donne che hanno superato il dif-
ficile concorso di accesso. Tra alterni periodi al Ministero, è stata inviata nelle sedi estere di Kuala Lumpur, New York e Parigi.
Fortemente interessata alle culture e società asiatiche ha ricoperto ruoli di capo Missione in Myanmar (allora Birmania) Uzbekistan,
Tajikistan, Ucraina. Infine è stata nominata Coordinatore speciale per la riforma della giustizia in Afghanistan, dove ha soggiornato
per due anni.

Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo
di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e am-
pliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta re-
sponsabilità, a Roma e all’estero.

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Lettere al Direttore.qxp_Layout 1 16/12/20 11:59 Pagina 113

RUBRICHE

L ETTERE AL D IRETTORE
RINA, Registro italiano navale Nel 1971, prendendo spunto da questa storia,
Caro Direttore, scrissi un articolo per Il Secolo XIX intitolato Da
in merito al mio articolo, Le società di classi- sette anni nel nostro porto una nave che non vuole
fica delle navi. Caratteristiche, storia ed evolu- morire. Lei si chiamava Cor Jesu. Qualche setti-
zione: una particolarità del mondo marittimo mana dopo l’uscita del giornale, forse per la sco-
pubblicato dalla Rivista Marittima nel numero di perta di questo sentimento segreto dell’armatore,
settembre 2020, per un diavoletto che sempre è in la nave fu mandata alla demolizione e io mi sento
agguato, è saltata la sigla del RINA (Registro Ita- ancora oggi responsabile di questa drastica con-
liano Navale) in un paragrafo ove è indicata una clusione.
lista delle importanti società che decisero di col- Navi che parlano, urlano, s’indignano prima di
laborare per la nascita dello IACS (International venire fatte a pezzi in luride spiagge asiatiche non
Association of Classification Societies) (pag. 73) sono leggende perché questi corpi apparentemente
e quindi, pur non volendo, ho omesso una delle tre vuoti hanno un’anima; quella che progettisti, co-
più antiche e importanti società di classifica delle struttori, capitani e armatori trasmettono alle loro
navi e socio fondatore dello IACS, oltre che im- barche, alle loro navi, attraverso i loro sensi, la
portante risorsa dell’eccellenza italiana. loro intelligenza, vivendo insieme e dentro il loro
Il RINA, peraltro, in tutti gli altri paragrafi è corpo. Forse non c’è bisogno di studiare come
trattato come tale e l’articolo è proprio indirizzato dare il soffio della vita ai robot quando gli uomini
a valorizzare ancor più le risorse italiane in questo hanno sempre costruito macchine con l’anima.
importante settore e a renderle ancor più cono- Rudyard Kipling collocava il cuore, un vero cuore
sciute. come il nostro, nelle macchine della nave.
Confido che gli amici e colleghi del RINA non Vivere il mare significa navigazione, scienza,
me ne vogliano. tecnologia, attraverso il progresso culturale, civile
Cordiali saluti, e sociale dell’umanità, significa soprattutto la-
Ingegner Antonello Gamaleri voro.
Molti dei bravissimi comandanti di velieri non
Letteratura e lavoro di mare e di porto. sapevano nuotare e il loro pensiero, lo sguardo,
Marinai e portuali scrittori, il loro ruolo, la l’obiettivo, era, oltre che portare a destino nave e
loro lingua carico, la loro terra e la loro famiglia.
Caro Direttore, La realtà a terra ha superato la fantasia; in mare
non ci sono solo scrittori che rappresentano la nonostante le profanazioni (nello sfruttamento dei
cultura pubblica, se così vogliamo chiamarla; ci fondali e la rapina sui relitti) c’è ancora molto da
sono categorie di persone che descrivono il loro scoprire.
lavoro, il loro ambiente, forti della loro tradizione Quando si parla di mare si caricano spesso le
storica, usando il linguaggio e lo stile dei loro me- parole di ambiguità e di retorica che non contri-
stieri che diventano narrativa, romanzi, saggi. buiscono alla sua conoscenza culturale, scientifica
Sono gli uomini di mare e di porto, lavoro e lette- e del lavoro nell’industria marittima come insosti-
ratura che si fondono nella nostra storia marinara. tuibile via di comunicazione.
C’era un armatore genovese che guardava tutti Grazie, per diffondere la cultura e il sentimento
i giorni dalla finestra di casa la sua nave in di- del mare nel nostro amato paese.
sarmo dal 1964 sotto la Lanterna; quella nave
aveva fatto la fortuna della famiglia, era un basti- Un cordialissimo saluto,
mento di sessant’anni pronto a partire… Decio Lucano

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RUBRICHE

O SSERVATORIO INTERNAZIONALE

Una nuova sede per AFRICOM?


A luglio, l’amministrazione Trump ha annunciato la
riduzione del numero di truppe in Germania. La deci-
sione dell’amministrazione è stata decisa in risposta a
quella che è vista come una spesa insufficiente da parte
della Germania per la difesa. Il trasferimento di 12.000
militari dalla Germania ridurrà la dipendenza degli Stati
Uniti da quel paese, in particolare per le attività non
NATO. Molte delle forze saranno trasferite in Polonia,
Belgio e Italia. È stato anche deciso che il quartier ge-
nerale del Comando Africa degli Stati Uniti (AFRI-
COM) si sarebbe trasferito da Stoccarda. A seguito della
decisione, AFRICOM ha dichiarato di aver avviato la
ricerca di una nuova «casa», scatenando illazioni e in-
teressi. Tra questi, due senatori repubblicani della Ca-
rolina del Sud, Lindsey Graham e Tim Scott,
raccomandano che il quartier generale dell’AFRICOM
venga spostato da Stoccarda, sempre considerata una
collocazione provvisoria in attesa di spostarsi nel con-
tinente, ma mai concretizzatasi per diverse ragioni, a
Charleston (South Carolina). I due hanno inviato una
La Joint Base Charleston è una base militare congiunta US Air Force e
lettera al segretario alla Difesa, Mark Esper, affermando US Navy, gestita dall’Air Mobility Command e situata tra le città di North
che la Joint Base Charleston (JBC) sarebbe un luogo Charleston e Goose Creek, nella Carolina del Sud (wikipedia.it).

ideale per il quartier generale dell’AFRICOM. La loro


proposta sarà probabilmente la prima tra le tante. Joint ragioni politiche e logistiche) in quanto percepito come
Base Charleston, «già fornisce l’infrastruttura esistente una mossa di sfruttamento e un’interferenza nei loro af-
per soddisfare […] le esigenze operative con opportu- fari interni. Pertanto, AFRICOM si sta concentrando su
nità di risparmio sui costi. Un vantaggio specifico è che possibili posizioni in Europa o negli Stati Uniti. Il col-
JBC offre trasporto aereo e marittimo diretto a Camp locamento di comandi importanti negli Stati Uniti non
Lemonnier a Gibuti, nonché risorse stradali e ferrovia- è nuovo, basti ricordare che l’importantissimo CEN-
rie per fornire una risposta rapida qualora fossero ne- TCOM (che ha un’area di responsabilità che include
cessarie azioni immediate», hanno ribadito i senatori Egitto, Medio Oriente, Iran, Afghanistan, ex Asia cen-
nella lettera a Esper. L’area di Charleston, secondo i trale sovietica e Pakistan) opera dalla Mc Dill Air Force
due, offrirebbe al personale assegnato alla sede del- Base presso Tampa, in Florida (anche se ha un comando
l’AFRICOM e ai loro familiari un costo della vita infe- avanzato a Manama) e quindi Charleston non sarebbe
riore, non risiedendo all’estero e con una vasta gamma una novità. L’Africa soffre di molteplici guerre e insur-
di opzioni per l’alloggio, opportunità di istruzione e oc- rezioni, in particolare nel Sahel, dove l’AFRICOM è re-
cupazione coniugale (Graham aveva già presentato una sponsabile della lotta alla crescente presenza di terroristi
proposta per trasferire AFRICOM a Charleston all’ini- di al-Qaeda e dell’IS. Mentre le Forze armate stanno
zio del 2011). Un quartier generale AFRICOM perma- concentrando i loro sforzi per confrontarsi con Cina e
nente in Africa è stato rifiutato da molti paesi (con due Russia, l’Africa sembra un’arena che vede le tre super-
notabili eccezioni, Liberia e Marocco che si erano of- potenze in lizza per l’influenza. La Russia è pronta ad
ferti di ospitarlo, ma poi la proposta è stata rifiutata per aprire sei basi nel continente, mentre la Cina sta inon-

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Osservatorio internazionale

dando il continente di risorse finanziarie e sta espan- quello che si può definire uno Stato militare (nel senso
dendo la sua influenza attraverso prestiti predatori. Al che le Forze armate, anche dopo aver abbandonato un
momento, le opportunità per AFRICOM di rimanere in ruolo istituzionale, mantengono un peso esorbitante nella
Europa sembrano limitate. Spostare il quartier generale vita politica, economica e sociale della nazione); nel Pa-
con quello dell’EUCOM della NATO in Belgio non sa- kistan esiste una precisa gerarchia tra i vari servizi e la
rebbe l’ideale. Tuttavia, l’Italia potrebbe essere una po- Marina, che sino a oggi è stata la cenerentola perché
tenziale idonea località a seguito della sua posizione schiacciata tra l’enorme Esercito e la potente Aeronautica
strategica e perché ospita già due comandi subordinati (questo pure a fronte di uno sviluppo costiero non picco-
di AFRICOM (a Vicenza e a Napoli) mentre la Spagna lissimo, oltre 1.100 chilometri), la prossimità a un’area
potrebbe essere un altro competitor in quanto anche di grande importanza, quale il Mare Arabo-Persico e la
nella penisola iberica vi sono importanti installazioni, crescente importanza dell’oceano Indiano. Senza con-
come Rota e Moron. Se il Pentagono decidesse di tra- tare la sottile, ma non tanto, concorrenza tra la Guardia
sferire le risorse dell’AFRICOM in Italia, godrebbe di costiera (quasi 10.000 elementi) e la Maritime Safety
maggiori capacità nel sud-est dell’Europa, nel Mediter- Agency (specialità della Marina, ma molto più ridotta,
raneo, nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Tuttavia, il con solo 2.000 unità). Infine, parlando della gerarchia
mantenimento della sede centrale di AFRICOM in Eu- delle forze di sicurezza esterna e interna del paese, non
ropa troverà poca accoglienza nel Congresso poiché i si possono non citare le numerose Forze di polizia fe-
benefici finanziari che la sede di Charleston fornirebbe derali, locali, speciali e di intelligence di vario tipo, che
sarebbero enormi. Nel 2013, il General Accountability rappresentano un peso numerico e di influenza enorme.
Office (GAO) ha affermato che un trasferimento negli Questa situazione è cambiata a seguito della presa di
Stati Uniti potrebbe far risparmiare tra 60 e 70 milioni coscienza, da parte dei vertici politico-militari del Pa-
di dollari l’anno. Il potenziale impatto economico locale kistan, che la vicina India, sebbene partendo da una si-
di AFRICOM può variare da 350 a 450 milioni di dol- tuazione peggiore, quale una Forza navale
lari, secondo il rapporto del GAO. relativamente ridotta e poco influente rispetto a Eser-
cito e Aeronautica, uno sviluppo costiero mastodontico,
Pakistan: una Marina in crescita interessi economici in proporzione, si lanciasse in un
La Marina pakistana sta lavorando intensamente per impressionante programma di rafforzamento della sua
colmare le lacune operative e tecnologiche che la af- Marina, progettando di dotarsi di grandi portaerei (fino
fliggono come parte di uno sforzo di modernizzazione a 70.000 tonnellate) e persino di sottomarini nucleari
senza precedenti nei con- lanciamissili. Anche se la ragione principale di questa
fronti della capacità della corsa agli armamenti di New Delhi è indirizzata al con-
Marina indiana. La di- trasto dell’espansione della Cina, la questione con il
chiarazione dell’ammira- Pakistan non è di minore importanza, in considerazione
glio Zafar Mahmood di una rivalità che nasce dal raggiungimento dell’indi-
Abbasi, in occasione pendenza (del 1947, da parte di entrambe le nazioni) e
della cerimonia di saluto marcata da diversi conflitti (1947-8, 1965, 1971, 1999)
dal servizio, ha lasciato e ostilità profondissima. L’ammiraglio Abbasi, nel suo
divisi analisti ed esperti saluto finale, ha dettagliato le misure cha ha emanato,
sul fatto che la mossa dando priorità alla prontezza al combattimento e alla
scoraggerà i potenziali capacità offensiva per una Forza armata storicamente
avversari e che, soprat- sottodimensionata nel quadro della contrapposizione
tutto sia realisticamente con l’India. Oltre a riorganizzare la struttura della Ma-
L’ammiraglio (r) Zafar Mahmood Ab-
basi, ex ammiraglio a quattro stelle realizzabile. Innanzitutto rina, ha delineato i programmi di acquisizione e svi-
della Marina pakistana (ispr.gov.pk).
una precisazione, in luppo, alcuni dei quali sono stati menzionati per la

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Osservatorio internazionale

prima volta o confermati di nuovi dettagli. Questi in- condo questa scuola di pensiero, ciò è potenzialmente
cludevano l’espansione della Marina a più di 50 navi destabilizzante, in quanto potrebbe incoraggiare la bel-
da guerra (più che raddoppiando le principali unità ligeranza e l’aggressività indiana e alimenterebbe l’im-
combattenti di superficie, con piani per altre sei grandi prevedibilità delle crisi. Tuttavia, gli sforzi di
navi da pattugliamento offshore); l’apparente trasferi- modernizzazione del Pakistan aiuterebbero a mante-
mento gratuito di un sottomarino cinese di classe nere alta la soglia nucleare e migliorerebbero la sua ca-
«Yuan» per addestrare gli equipaggi pakistani per gli pacità di secondo colpo aumentando la sopravvivenza
otto sottomarini «Hangor» (costruiti sempre dalla Cina della flotta, fornendo una capacità di attrito notevol-
e attualmente in ordine per sostituire quelli francesi mente maggiore. Esperti navali dell’IISS (International
classe «Agosta», in servizio in numero di cinque); svi- Institute for Strategic Studies) di Londra ritengono che
luppo del missile balistico ipersonico P282 antinave/at- i piani di costruzione di navi e sottomarini, una volta e
tacco terrestre lanciato da unità di superficie; se realizzati, rappresenteranno un significativo impulso
istituzione del Naval Research and Development Insti- alla capacità marittima convenzionale del Pakistan.
tute, per formare una classe di tecnici e disegnatori spe- Entro la fine di questo decennio, la flotta di fregate do-
cializzati (che sarebbero attualmente impegnati in vrebbe aumentare della metà e quella dei sottomarini
programmi come lo sviluppo e l’adozione delle fregate probabilmente raddoppierà di capacità. Il pianificato
della classe «Jinnah», sottomarini di classe «Hangor», rafforzamento delle forze costiere migliorerà le capa-
UAV - Unmanned aerial vehicle da sorveglianza e at- cità di quelle d’altura, meno impegnate in ruoli impro-
tacco, armi a energia diretta, sistemi di difesa costiera pri. Il programma Hangor è probabilmente il più degno
e di sorveglianza, veicoli subacquei senza pilota); so- di nota a causa del massiccio coinvolgimento della
stituzione dell’aereo da pattugliamento P-3C Orion, Cina (nella dimensione industriale la Turchia è un altro
con gli ATR «Sea Eagle»; una nuova classe di pattu- importante partner), e che potrebbe incidere sul «ba-
gliatori costieri da produrre localmente. Nonostante lance of power» almeno per il Western Command del-
questa importante «lista della spesa» e di buoni propo- l’Indian Navy. Sebbene la costruzione locale dei
siti, alcuni analisti sono scettici sul fatto che questi pro- sottomarini Hangor (fortemente voluta per migliorare
grammi si dimostreranno un deterrente sufficiente le capacità locali da ogni punto di vista) sia prevista per
contro l’India, acerrima nemica del Pakistan. Per alcuni essere completata entro la fine del decennio, rigenerare
è addirittura del tutto impossibile per il Pakistan rea- quella capacità industriale sarà un grande sforzo; l’as-
lizzare una struttura navale che si avvicini a quella della sistenza cinese in tal senso sarà cruciale. In questo con-
Marina indiana, pur considerando che le portaerei in- testo, un fattore critico dipende dal fatto che la
diane, decisamente inferiori in termini di efficacia a li- Germania autorizzi o meno l’esportazione di motori
vello internazionale e non rappresentando una minaccia diesel per i sottomarini.
per la Cina, lo sono invece per la Marina pakistana
quando fuori dalla portata della copertura degli aerei Quad: embrione di una NATO per l’Oriente?
da combattimento basati a terra. In caso di conflitto con I ministri degli Esteri di quattro nazioni indo-paci-
l’India, il Pakistan, nella dimensione marittima, dispie- fiche, conosciute come il gruppo Quad, si sono riuniti
gherebbe tutte le sue risorse per distruggere la Marina a Tokyo agli inizi di ottobre per dei colloqui con i quali
indiana, che sebbene con gravi perdite, avrebbe un fat- il Giappone spera di aumentare il loro coinvolgimento
tore di attrito superiore e decisivo per annientare le ca- in un’iniziativa regionale chiamata «Indo-Pacifico li-
pacità operative della Marina rivale. Secondo altri bero e aperto», volta a contrastare la crescente asserti-
analisti (pachistani, ovviamente) al contrario, l’espan- vità alla Cina. L’incontro — i primi colloqui di persona
sione della Marina pakistana neutralizzerebbe effica- tra i ministri degli Esteri da quando è scoppiata la pan-
cemente la crescente capacità navale dell’India, che ha demia di coronavirus — ha riunito il segretario di Stato
tuttavia goduto a lungo del vantaggio numerico. Se- americano Mike Pompeo, il ministro degli Esteri au-

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Giappone considera anche la crescente at-


tività militare della Cina, una minaccia alla
sua sicurezza. Il documento annuale sulla
politica di difesa giapponese, pubblicato nel
luglio scorso, ha accusato apertamente la
Cina di cambiare unilateralmente lo status
quo nel Mar Cinese Meridionale, dove ha
costruito e militarizzato isole artificiali e sta
insistentemente rivendicando praticamente
tutte le principali attività di pesca e pas-
saggi marini. Il nuovo Primo ministro giap-
ponese, Yoshihide Suga, farà il suo debutto
diplomatico di persona quando parteciperà
a una sessione della riunione del Quad;
terrà anche colloqui separati con Pompeo,
I ministri degli Esteri delle quattro nazioni indo-pacifiche, conosciute come il gruppo
Quad (Australia, India, Giappone e Stati Uniti) durante l’incontro avvenuto a Tokyo il 6 sull’approfondimento dell’alleanza Giap-
ottobre scorso (newsweek.com). pone-Stati Uniti e del FOIP. «Il mondo sta
forse diventando ancora più imprevedibile
straliano Marise Payne, il ministro indiano degli Affari e incontrollabile a causa dell’aumento del nazionali-
esteri Subrahmanyam Jaishankar e il ministro degli smo egoista e della crescente tensione tra gli Stati
Esteri giapponese Toshimitsu Motegi. L’impatto della Uniti e la Cina», ha dichiarato Suga in un’intervista ai
pandemia e l’iniziativa Free and Open Indo-Pacific media giapponesi, il quale, ancora, «perseguirà una
(FOIP) per una maggiore sicurezza e cooperazione eco- diplomazia basata sul Giappone e l’alleanza con gli
nomica, ha spinto a riunire paesi «affini» che condivi- Stati Uniti come pietra angolare promuovendo strate-
dono le preoccupazioni per la crescente assertività e gicamente il FOIP e stabilendo relazioni stabili con i
influenza della Cina. Pompeo, prima degli incontri ha vicini, tra cui Cina e Russia». Suga ha sostituito
affermato che i quattro paesi sperano di ottenere alcuni Shinzo Abe, che si è dimesso a causa di cattive condi-
«risultati significativi», senza però approfondire. I col- zioni di salute, il 16 settembre, impegnandosi a portare
loqui arrivano settimane prima delle elezioni presiden- avanti la diplomazia da falco e le politiche di sicurezza
ziali statunitensi e in mezzo alle crescenti tensioni tra di Abe, il quale è stato una forza trainante del FOIP. Il
Stati Uniti e Cina su virus, commercio, tecnologia, Giappone considera cruciale avere accesso alle rotte
Hong Kong, Taiwan, acque del Mar Cinese Meridio- marittime fino al Medio Oriente, fonte fondamentale
nale, Tibet, Singkian, influenze indebite in patria e di petrolio per la nazione insulare povera di risorse.
presso gli alleati europei della NATO e diritti umani. Suga, ex segretario capo del governo, ha poca espe-
Pompeo ha cancellato le successive visite programmate rienza in diplomazia; un bilanciamento tra gli Stati
in Corea del Sud e Mongolia dopo che il presidente Do- Uniti, principale alleato per la sicurezza del Giappone,
nald Trump è stato ricoverato in ospedale per il coro- e la Cina, suo principale partner commerciale, sarà
navirus. I colloqui seguono una recente esplosione duro, secondo gli analisti. È indispensabile per il Giap-
delle tensioni tra Cina e India sul loro contestato con- pone rafforzare la cooperazione con l’UE, la Gran Bre-
fine himalayano. Anche le relazioni tra Australia e Cina tagna, l’Australia e l’ASEAN (Association of
si sono deteriorate negli ultimi mesi. Il Giappone, nel South-East Asian Nations). Il Giappone spera di rego-
frattempo, è preoccupato per la rivendicazione della larizzare i colloqui dei ministri degli Esteri del Quad
Cina sulle isole Senkaku controllate dai giapponesi, e di ampliare la loro cooperazione con altri paesi. Sa-
chiamate Diaoyu in Cina, nel Mar Cinese Orientale. Il rebbe una grande sfida per il Quad, in quanto una per-

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cezione condivisa della minaccia della Cina non signi- per cui vale la pena combattere anche in luoghi dallo
fica opinioni condivise su cosa fare, mentre è alta- Xinjiang a Hong Kong, a Taiwan. Mentre i ministri
mente prematuro trasformare il Quad in un qualcosa degli Esteri di India e Cina hanno concordato, durante
inteso sulla falsariga della NATO (a cui dovrebbero e un incontro a Mosca, sulla necessità di moderazione,
potrebbero partecipare anche Nuova Zelanda, Francia le tensioni lungo il confine rimangono più alte che in
e Corea del Sud, e le nazioni dell’ASEAN, almeno qualsiasi altro momento. Entrambe le parti continuano
nelle aspirazioni di Pompeo). Infatti, a fronte delle mi- a rafforzare gli schieramenti nell’area contesa, che è la
nacce cinesi, gli Stati Uniti e l’Australia sarebbero fa- chiave per controllare i passi montuosi dell’Himalaya,
vorevoli all’idea, mentre Giappone e India lo sono con colpi di avvertimento sparati con crescente fre-
meno, per differenti ragioni. La trasformazione del quenza e spostando aerei da combattimento e bombar-
Quad in un’architettura di sicurezza collettiva perma- dieri pesanti alla frontiera. Pechino ha messo in moto
nente, che prende di mira la Cina, costringerebbe molti il Central Theatre Command, sua riserva strategica,
governi a scegliere da che parte stare rischiando di per- azione che non fu compiuta nemmeno quando le due
dere le possibilità di affari e opportunità di commercio parti entrarono in guerra nel 1962. Sebbene nessuno
che Pechino lascia sempre (sottilmente) aperte. Pe- dei due paesi abbia un incentivo ad andare in guerra,
chino ha generato un arco di ansia in Asia, ma c’è an- la crescente intensità e persistenza dell’attrito potrebbe
cora una preferenza per il dialogo e i negoziati. far scatenare un conflitto anche per sbaglio. Il Tibet,
un’area più o meno delle dimensioni del Sudafrica, che
Tibet: una forza segreta ma non troppo si estende attraverso l’Himalaya, è stata un punto di
Durante un funerale di Stato sulle montagne dell’In- contesa nelle relazioni dell’India con la Cina, da
dia settentrionale, uno dei massimi assistenti del Primo quando il Dalai Lama è fuggito nella nazione dell’Asia
ministro Narendra Modi avrebbe reso omaggio a un meridionale, dopo una rivolta fallita nel 1959. Ha isti-
soldato tibetano ucciso in prima linea negli scontri tuito un governo in esilio nella città dell’India setten-
mortali con la Cina. Circondato da truppe che svento- trionale di Dharamshala, con grande dispiacere di
lavano le bandiere dell’India e del Tibet, Ram Madhav Pechino. L’India ha riconosciuto il Tibet come parte
avrebbe deposto una ghirlanda di fiori davanti alla bara della Cina solo nel 2003 e ha sempre tenuto un atteg-
durante una cerimonia che conferiva al defunto tutti gli giamento di stretto controllo delle attività dei tibetani,
onori militari. La bara di Nyima Tenzin, il soldato ti- per non irritare troppo Pechino. Poi l’enorme crescita
betano morto, era drappeggiata con le bandiere dell’In- economica (e militare) dell’India e soprattutto con l’ar-
dia e del Tibet (Ram Madhav ha scritto un libro rivo al potere del partito BJP (The Bharatiya Janata
pubblicato nel 2014 sul conflitto intitolato Uneasy Nei- Party) e di Narendra Modi, la situazione è migliorata
ghbors: India and China After 50 years of the War). In per i tibetani. L’India ha costituito per la prima volta
un tweet poi, Madhav, che è anche segretario generale l’unità militare dei rifugiati tibetani, nota come Special
nazionale del partito Bharatiya Janata Party (il partito Frontier Force, subito dopo la guerra India-Cina del
di Modi) ha dichiarato che sperava che la morte del sol- 1962, per svolgere operazioni segrete dietro le linee ci-
dato avrebbe portato alla pace lungo il confine indo-ti- nesi. Simile alle Forze speciali degli Stati Uniti, ogni
betano. Il raro riconoscimento di un’unità militare membro è addestrato come para-commando e opera
indiana formata da soldati tibetani, da solo minaccia di sotto copertura in collaborazione con l’Esercito in-
peggiorare una disputa sul confine che ha ucciso doz- diano. Il riconoscimento è un chiaro messaggio alla
zine di persone, da maggio, e ha interrotto i legami eco- Cina, ovvero che indiani e tibetani operano fianco a
nomici tra le nazioni più popolose del mondo. Ancora fianco. Negli anni in cui l’India non aveva interesse a
più significativo è stato che l’India abbia messo in dub- situazioni critiche con la Cina, la Special Frontier
bio la sovranità della Cina sul Tibet — una linea rossa Force è stata un’unità di cui si parlava il meno possi-
per Pechino, che vede il separatismo come una causa bile, che non usciva dalle sue basi e comunque mai in

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pubblicato le foto della cerimonia di laurea di circa 500


membri che sono stati addestrati per mesi in luoghi se-
greti, sollevando dubbi sull’efficacia delle agenzie di
sicurezza nella regione. La regione è prevalentemente
incuneata tra il lago Volta e il confine tra Ghana e Togo.
Attualmente, un certo numero di gruppi scissionisti
chiede che l’area sia riconosciuta come uno Stato so-
vrano. In un comunicato stampa, il presidente del
WTRF, Togbe Yesu Kwabla Edudzi I, ha dichiarato che
La Special Frontier Force (SFF) è una forza speciale indiana, creata il gli sforzi per consolidare lo statehood, iniziati il 1° set-
14 novembre 1962 e costituitasi subito dopo la guerra sino-indiana (wi- tembre 2020, sono stati messi in pratica. Il movimento
kipedia.it).
afferma di voler costringere il governo ghanese ad ade-
rire a negoziati agevolati dall’ONU per dichiarare il
uniforme. Invece ora la Special Frontier Force, che Togoland occidentale Stato indipendente. Il territorio
conterebbe 5.000 soldati, avrebbe partecipato a uno fu colonizzato per la prima volta dalla Germania nel
spettacolare raid notturno per impossessarsi di un’al- 1884 e incorporato nella colonia del Togo. Dopo la
tura strategica e rimanere in prima linea, di fronte ai sconfitta della Germania, durante la Prima guerra mon-
militari cinesi. Tuttavia, sia l’India, sia la Cina, stanno diale, la colonia fu divisa tra Francia e Gran Bretagna
cercando di minimizzare il «significato» dei soldati ti- come protettorato. L’area occidentale del Togo divenne
betani. Le Forze armate indiane hanno poi calmato la parte della colonia britannica della Gold Coast e indi-
situazione, affermando che sono impegnate a mante- pendente nel 1957, per formare il Ghana moderno. Il
nere la pace e la tranquillità proteggendo allo stesso
tempo l’integrità e la sovranità nazionale, a tutti i costi.
Anche la Cina ha minimizzato i rapporti sui tibetani,
pur sottolineando la ferma opposizione a qualsiasi
paese che faciliti, con qualsiasi mezzo, le attività sepa-
ratiste delle forze indipendentiste tibetane. Mentre il
governo ha evitato di infiammare la situazione, i media
statali cinesi hanno pubblicato filmati di esercitazioni
militari a fuoco reale in Tibet che coinvolgono carri ar-
mati, aerei da combattimento e droni.

Un altro lascito del colonialismo in Africa


Un’area del Ghana orientale si è dichiarata Stato so-
vrano. La regione nota come Togoland occidentale ha
avuto già in passato tentativi secessionisti e uomini ar-
mati che chiedevano la secessione del Togoland occi-
dentale dal Ghana hanno bloccato i principali punti di
Il Togoland (oggi Togo) fu una colonia tedesca dal 1884 al 1919. Mai co-
ingresso della regione, prendendo in ostaggio alcuni lonizzato prima (tranne un breve passaggio dei danesi limitato alla zona
costiera) venne dichiarato, dopo i Trattati di Togoville, il 5 luglio 1884,
agenti di polizia dopo aver assaltato alcune armerie. protettorato della Germania. Il trattato fu stipulato grazie al viaggio
dell’esploratore tedesco Gustav Nachtigal, inviato per conto dell'impe-
Poche settimane prima, in preparazione di quanto av- ratore Guglielmo I. Nell’immagine: in verde, territorio che comprende
venuto, altri elementi hanno posizionato dei cartelli la colonia tedesca di Togoland; grigio scuro, altri possedimenti tede-
schi; grigio più scuro, impero tedesco. Nota: la mappa usa i confini del
lungo le strade principali. Prima delle operazioni mili- presente, ma è raffigurata l’estensione storica dei territori tedeschi (wi-
kipedia.it).
tari, il Western Togoland Restoration Front (WTRF) ha

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Togo ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel gli aerei da guerra russi MiG-29 e Su-24 avrebbero con-
1960. Il Togoland occidentale è membro dell’Organiz- dotto missioni in Libia a sostegno delle forze militari
zazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati private sostenute dal Cremlino, per estendere l’in-
(UNPO), quattro milioni di persone vivono nella re- fluenza di Mosca in Africa. Attualmente, gli Stati Uniti
gione. In termini di lingua e cultura, in particolare la hanno 7.000 militari in dispiegamento a rotazione in
regione del Volta, ha più in comune con il Togo che con Africa. Queste truppe svolgono operazioni congiunte
il Ghana. La gente del posto afferma di sentirsi sotto con le forze africane contro estremisti o jihadisti. Sono
rappresentata dalle autorità ghanesi. Un precedente ten- ospitati in installazioni in tutto il continente, tra cui
tativo fallito di dichiarare il Togoland occidentale in- Uganda, Sud Sudan, Senegal, Niger, Gabon, Camerun,
dipendente dal Ghana è avvenuto nel 2017. Nel marzo Burkina Faso e Repubblica Democratica del Congo.
2020, circa 80 membri del gruppo separatista sono stati Inoltre, 2.000 soldati americani sono coinvolti in mis-
arrestati per aver protestato. sioni di addestramento in 40 paesi africani. Le forze
speciali americane operano in tutta l’Africa orientale,
La nuova presenza militare straniera in Africa nelle cosiddette posizioni di operazioni avanzate in
Recenti resoconti dei media hanno affermato che una Kenya e Somalia. Come gli Stati Uniti, la Francia ha di-
squadra paramilitare keniota sotto copertura è respon- spiegato forze militari o stabilito basi in un certo nu-
sabile dell’uccisione extragiudiziale di sospetti terrori- mero di paesi africani (più di 7.500 militari attualmente
sti. I rapporti si basano su interviste con funzionari in servizio nel continente). La sua presenza maggiore è
diplomatici e dei servizi segreti statunitensi e kenioti. nel Sahel, soprattutto nella zona di confine che collega
La squadra era addestrata, armata e supportata da uffi- Mali, Burkina Faso e Niger. La presenza di forze mili-
ciali dell’intelligence britannica e statunitense. È stato tari straniere in Africa non è limitata alle potenze occi-
riferito che dal 2004 un programma della Central Intel- dentali. La Cina è stata particolarmente attiva con la sua
ligence Agency (CIA) è operativo in Kenya senza con- presenza militare nel Corno d’Africa. È diventata più
trollo pubblico. Da parte sua, il British Secret presente dal 2008, da quando ha partecipato alla mis-
Intelligence Service (MI6) ha svolto un ruolo chiave sione multinazionale antipirateria nel Golfo di Aden.
nell’identificazione, nel tracciamento e nello stabilirne Tra il 2008 e il 2018, la Marina cinese ha dispiegato
gli obiettivi. Ciò ha richiamato una rinnovata attenzione 26.000 militari in una serie di operazioni di sicurezza
sulla realtà delle diffuse operazioni di sicurezza in marittima. Nel 2017, ha inaugurato la sua prima base
Africa. Diversi governi africani ospitano basi militari militare d’oltremare a Gibuti; ciò è avvenuto dopo che
straniere nonostante le continue preoccupazioni del gli Stati Uniti hanno fondato Camp Lemonnier, sempre
Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana a Gibuti, nel 2003, insieme a basi francesi, italiane, spa-
(UA) circa la proliferazione di basi militari straniere nel
continente. L’UA è anche preoccupata per la sua inca-
pacità di monitorare il movimento di armi da e verso
queste basi militari. Indipendentemente da ciò, una serie
di accordi bilaterali tra Stati membri dell’UA e potenze
straniere sono alla base della diffusione di forze militari
straniere in tutto il continente e, almeno tredici ne hanno
una consistente presenza. Gli Stati Uniti e la Francia
sono in prima linea nella conduzione delle operazioni
sul suolo africano. Inoltre, gruppi militari privati sono
attivi in diverse zone di conflitto sul suolo africano. Il La bandiera dell’Unione africana (UA), organizzazione internazionale
Mozambico settentrionale è il caso più recente. Queste comprendente tutti gli Stati africani, con sede ad Addis Abeba, in
Etiopia.
dinamiche coincidono con le affermazioni secondo cui

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gnole, tedesche e giapponesi. La Cina ha sviluppato una mantengono anche una consistente presenza militare e
struttura militare di 36 ettari per ospitare diverse mi- di sicurezza nella regione del Golfo e ha basi in paesi
gliaia di suoi militari e fornire strutture per navi, elicot- come Bahrain, Kuwait, Qatar e Emirati Arabi Uniti. Per
teri e velivoli ad ala fissa. La base militare cinese a alcuni osservatori potrebbe sembrare che i governi stra-
Gibuti è stata allestita per supportare cinque aree di mis- nieri stiano imponendo i loro eserciti all’Africa ma, in
sione, si tratta della lotta alla pirateria nel Golfo di Aden, realtà, molti governi africani (al di là delle dichiarazioni
raccolta di informazioni su altri paesi, evacuazione di facciata) sono desiderosi di ospitarli in quanto gli ac-
senza combattimento di cittadini cinesi dall’Africa cordi bilaterali con le maggiori potenze generano en-
orientale, operazioni internazionali di mantenimento trate. L’apertura della base militare cinese a Gibuti è un
della pace in cui sono dispiegati soldati cinesi e opera- esempio calzante. La maggior parte dell’economia di
zioni antiterrorismo. L’India è un’altra nazione asiatica Gibuti si basa sul credito cinese. Anche la presenza di
che ha aumentato la sua presenza navale in Africa. Il forze militari straniere ha svolto un ruolo significativo
paese ha istituito una rete di strutture militari in tutto nella lotta ai gruppi terroristici. Questi includono gruppi
l’oceano Indiano per contrastare la crescente impronta come al-Shabaab in Africa orientale e jihadisti in Mali.
militare della Cina nella regione. Vuole anche proteg- Questo spiega perché diversi paesi africani sono dispo-
gere le sue rotte marittime commerciali dalla pirateria sti a rivolgersi a governi stranieri per consigli, informa-
e ha schieramenti in corso che monitorano gli sviluppi zioni e supporto. Ma, c’è un aspetto negativo nella
nel Corno d’Africa e in Madagascar. Il paese prevede presenza di forze straniere nel continente, per esempio,
inoltre di stabilire 32 stazioni di sorveglianza radar co- il panorama della sicurezza africano è diventato sovraf-
stiera con siti alle Seychelles, Mauritius e in altre loca- follato da una molteplicità di attività militari e di sicu-
lità al di fuori dell’Africa. Quando si parla di Medio rezza straniere. Queste attività spesso funzionano a
Oriente, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono scopi incrociati. La competizione tra alcune delle po-
i due paesi con una notevole presenza militare in Africa. tenze mondiali è stata acuita dalla crescente presenza
La Turchia è entrata a far parte della task force interna- delle potenze asiatiche. La crescente presenza della
zionale contro la pirateria al largo della costa somala Cina a Gibuti desta preoccupazione, la sua influenza in
nel 2009. Nel 2017 ha aperto una base militare a Mo- Africa e nell’oceano Indiano sta preoccupando moltis-
gadiscio, in Somalia. Lo scopo è addestrare reclute per simo India e Giappone. Infine, i paesi africani non sono
l’Esercito nazionale somalo. La Turchia sosterrà anche d’accordo su come regolare la sicurezza straniera e le
la Marina e la Guardia costiera somale. Gli Emirati attività militari. L’approccio finora è stato disomogeneo;
Arabi Uniti hanno una base militare in Eritrea dal 2015 sebbene la capacità di mantenimento della pace in
che comprende un aeroporto militare con rifugi per Africa sia aumentata in modo significativo, l’UA è an-
aerei e un porto navale in acque profonde. La base è cora fortemente dipendente dai finanziamenti esterni e
stata utilizzata in operazioni contro le forze di opposi- dalle risorse per le sue operazioni di mantenimento della
zione nello Yemen. È chiaro che il Corno d’Africa è pace. Non ha la libertà di prendere decisioni, strategi-
l’epicentro dell’attività militare straniera nel continente. che, operative e persino tattiche, indipendenti nelle sue
Truppe straniere sono state dispiegate lì per contrastare operazioni. Finché sussisteranno queste carenze nella
le minacce alla pace internazionale, sottomettere gruppi risposta dell’Africa al conflitto armato, le Forze armate
terroristici e pirati e sostenere iniziative di sicurezza. straniere e i servizi di intelligence continueranno a ope-
Ma, ci sono altre motivazioni per stabilire basi militari rare nel continente. Si tratta di questioni che devono es-
in Africa. Queste includono la protezione degli interessi sere affrontate prima che gli Stati africani possano dare
commerciali, l’allineamento con i regimi amici e ascolto alle preoccupazioni del Consiglio di sicurezza
l’espressione del dominio su un continente che è al cen- e pace dell’Unione Africana circa un ampio coinvolgi-
tro della crescente concorrenza globale. Naturalmente, mento militare straniero nel continente.
l’Africa non è l’eccezione. Gli Stati Uniti, per esempio, Enrico Magnani

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RUBRICHE

M ARINE MILITARI

ARABIA SAUDITA combattimento dei caccia lanciamissili classe «Ho-


Varo della prima unità «HSI 32» costruita in loco bart». Nell’ambito del programma «SEA 4000 Phase
Secondo quanto annunciato dall’autorità generale 6», il DoD australiano intende ammodernare il sistema
per l’industria militare (GAMI, General Authority for di combattimento delle tre unità della classe entrate in
Military Industries) saudita, lo scorso 14 ottobre presso servizio fra il 2017 e il 2020, con una nuova versione
i cantieri Zamil Ship Manufacturing Company (ZSMC) del sistema AEGIS e rimpiazzare l’attuale sistema d’in-
è stata varata la prima unità velocità tipo «HSI 32». Co- terfaccia tattico di fornitura australiana. Secondo
struita in loco nell’ambito del contratto siglato con la quanto riportato dal DoD, il programma è destinato
società francese CMN che prevede la fornitura com- anche a migliorare la connettività e interoperabilità del
plessiva di 39 unità tipo «HSI 32» per la Marina Reale sistema nell’ambito delle Forze armate australiane e al-
saudita, di cui 21 realizzate in Francia dagli stessi can- leate, in ambito marittimo.
tieri CMN di Cherbourg, mentre le restanti vengono as-
semblate e messe in servizio dai cantieri Zamil Ship BRASILE
Offshore Services in Arabia Saudita con un pacchetto Il reattore nucleare per il programma PROSUB
di trasferimento di tecnologie da parte francese. Fa- prende forma
cente parte della famiglia di unità veloci tipo «DV15», Con una cerimonia tenutasi presso il centro speri-
la versione per la Marina Reale saudita si caratterizza mentale LABGENE della Marina brasiliana di Ipero,
per una seconda plancia e armamento rappresentato da vicino San Paolo, alla presenza del presidente brasi-
un sistema a controllo remoto Nexter «Narwhal» con liano Jair Bolsonaro e del Capo di Stato Maggiore della
cannone da 20 mm. Con una lunghezza di 32,2 metri, Marina, ammiraglio Ilques Barbosa, è stata avviata la
l’«HSI 32» dispone di un sistema propulsivo in grado costruzione del prototipo del reattore nucleare destinato
di raggiungere i 43 nodi con un equipaggio di 12 ele- a equipaggiare il futuro sottomarino di sviluppo e pro-
menti e la capacità di lanciare e recuperare un battello duzione nazionale nell’ambito del programma PRN. Il
per operazioni di controllo traffico mercantile e sicu- prototipo, unitamente ai sottosistemi della propulsione
rezza marittima nella sezione poppiera. nucleare, è destinato a essere testato presso il LAB-
GENE, per validare la configurazione finale destinata
AUSTRALIA a essere prodotta e installata a bordo della futura unità
Ammodernamento del sistema di combatti- Alvaro Alberto nell’ambito del più ampio programma
mento dei caccia classe «Hobart» PROSUB. Quest’ultimo comprende lo sviluppo di una
Il dipartimento della Difesa australiano ha lanciato capacità di progettazione, produttiva e di supporto na-
il programma per l’ammodernamento del sistema di zionale nel campo delle costruzioni subacquee per
mezzo del consorzio Itaguaí Construções Navais (ICN)
fra il gruppo brasiliano Odebrecht e la francese Naval
Group.

BULGARIA
Immessi in servizio i cacciamine Mesta (31) e
Struma (33)
Alla presenza del ministro della Difesa bulgaro Kra-
simir Karakachanov e del Capo di Stato Maggiore della
Il dipartimento della Difesa australiano ha lanciato il programma per Marina bulgara, contrammiraglio Kirill Mikhailov, si
l’ammodernamento del sistema di combattimento dei caccia lanciamis-
sili classe «Hobart», di cui è qui ripreso il capoclasse (Ministero della è svolta lo scorso 14 ottobre, la cerimonia di immis-
Difesa australiano).
sione in servizio dei due cacciamine Mesta (31) e

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Marine militari

nodi e un’autonomia di 7.000 mn a velocità di crociera,


in aggiunta a un ponte di volo e hangar in grado di ac-
cogliere un elicottero Sikorsky «CH-148 Cyclone» e
spazi predisposti per velivoli a pilotaggio remoto. Con
sistemazioni abitative per accogliere fino a circa 204
persone, le nuove unità disporranno di aree riconfigu-
rabili per moduli di missione e fino a 2 battelli veloci
da 9-12 metri, oltre a un tender da 9 metri. In aggiunta
al sistema di controllo della piattaforma fornito da L3
Harris, il sistema di combattimento sarà incentrato sul
sistema di comando e controllo Lockheed Martin Ca-
nada «CMS 330» nella versione integrata con il sistema
Con una cerimonia celebrata lo scorso 14 ottobre, la Marina bulgara ha AEGIS, un sistema integrato di gestione della plancia
immesso in servizio i cacciamine MESTA (31) e STRUMA (33) - (Mini-
stero della Difesa bulgaro). e navigazione con radar di navigazione in banda «X»
ed «S» e un sistema per le comunicazioni forniti rispet-
Struma (33). Si tratta delle unità appartenenti al tipo tivamente da OSI ed L3 Harris, unitamente a un si-
«Tripartite» classe «Alkmaar» in servizio con la Ma- stema integrato di difesa cyber e un sistema di gestione
rina olandese (rispettivamente ex Maassluis ed ex Hel- e scambio delle informazioni sui bersagli CEC (Coo-
levoetsluis) e trasferiti alla Marina bulgara in base perative Engagement Capability). La suite sensoristica
all’accordo siglato alla fine del 2019. e di gestione dell’armamento comprende un radar 3D
AESA a quattro facce fisse Lockheed Martin Canada
CANADA «SPY-7», un sistema di illuminazione bersagli con
Il programma CSC prende forma facce fisse (AESA) fornito dalla canadese MDA oltre
Con la pubblicazione da parte del dipartimento della a un sistema di sorveglianza e tracciamento bersagli
Difesa (DoD) canadese di una scheda sulle future fre- EO/IR non meglio specificato. La suite EW comprende
gate multiruolo destinate a essere sviluppate nell’am- sistemi RESM/CESM/RECM, sistema di scoperta e
bito del programma SCS (Canadian Surface contromisure laser nonché inganni in radiofrequenza.
Combatant), assegnato al team industriale capitanato La suite ASW comprende un sonar a scafo e una cor-
dalla Lockheed Martin Canada, la Royal Canadian tina trainata attiva/passiva a bassa frequenza della Ultra
Navy ha divulgato le prime informazioni sulle caratte- Electronics, un sistema di gestione delle boe acustiche
ristiche, capacità e fornitori delle future 15 unità desti- (General Dynamics) e un sistema di scoperta e inganno
nate al rimpiazzo delle fregate classe «Halifax» e dei anti-siluro Ultra Electronics «Sea Sentor S21700» e
caccia classe «Iroquois». Basate sul progetto BAE Sy- decoy acustici. L’armamento è incentrato su un com-
stems delle fregate «Type 26» in fase di progettazione plesso di lancio verticale Lockheed Martin «Mk 41» a
e produzione in differenti versioni per la Royal Navy, 32 celle per missili Raytheon «SM-2» ed «Evolved
la Royal Australian Navy e la stessa Royal Canadian SeaSparrow» (ESSM). Il DoD americano ha recente-
Navy, le nuove unità per quest’ultima Marina si carat- mente autorizzato l’acquisizione da parte canadese
terizzano per un dislocamento di 7.800 t, una lunghezza della nuova versione «Block IIIC» con guida radar at-
e larghezza rispettivamente di 151,4 e 20,75 metri e un tiva, mentre nell’ambito del programma PDMSU
apparato propulsivo in configurazione CODLOG (Point Defence Missile System Upgrade) per le fregate
(Combined Diesel-Electric or Gas) con una turbina a in servizio classe «Halifax», il DoD canadese ha acqui-
gas Rolls-Royce «MT-30», quattro diesel generatori stato la versione «Block 2» dell’ESSM. La scheda ri-
Rolls-Royce MTU e due motori elettrici General Elec- lasciata dal DoD canadese evidenzia anche la futura
tric, in grado di assicurare una velocità massima di 27 dotazione di missili da crociera Raytheon «Toma-

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voli destinati all’imbarco sulle due portaerei attual-


mente in servizio.

Varo di unità da pattugliamento da 10.700 t


La Maritime Security Administration (MSA) cinese
ha varato presso i cantieri Guangzhou Wenchong Shi-
pyard del gruppo CSSC (Cina State Shipbuilding Cor-
poration) lo scorso fine settembre l’unità da
pattugliamento Haixun (09). Quest’ultima si caratte-
rizza per una lunghezza di 165 metri e un dislocamento
Il dipartimento della Difesa (DoD) canadese ha reso pubblica una
scheda dettagliata sulle future fregate multiruolo destinate a essere svi- di ben 10.700 t, un apparato propulsivo in grado di as-
luppate nell’ambito del programma CSC (Canadian Surface Combatant).
Qui ripreso il gemello «digitale» del progetto per le 15 unità destinate sicurare una velocità massima di 25 nodi e un’autono-
alla Royal Canadian Navy (BAE Systems). mia di oltre 10.000 mn a 16 nodi e oltre 90 giorni
d’operatività. Dotata di un ponte di volo per elicottero,
hawk», senza fornire ulteriori informazioni sul relativo l’unità presenta un centro di comando, controllo e co-
programma d’acquisizione e la tipologia di munizione municazioni per operazioni di polizia marittima, coor-
(land-strike o ASuW). La dotazione missilistica delle dinamento di situazioni emergenziali ed
nuove fregate comprende anche il sistema per la difesa equipaggiamenti per missioni antinquinamento. Desti-
ravvicinata MBDA «Sea Ceptor» (senza specificare il nata a entrare in servizio nel 2021, la Haixun s’aggiun-
numero di lanciatori anche se diverse fonti parlano di gerà a tre unità da oltre 3.000 t già in linea.
24 celle) e missili antinave Kongsberg/Raytheon NSM
(Naval Strike Missile) (due lanciatori quadrupli), cui COREA DEL SUD
s’aggiungono un cannone da 127 mm non meglio spe- Consegnata la nave scuola Hansando (ATH 81)
cificato (BAE Systems o Leonardo) e due affusti a con- La Marina sudcoreana ha preso in carico lo scorso 22
trollo remoto da 30 mm forniti da BAE Systems, ottobre dai cantieri HHI (Hyundai Heavy Industries) di
nonché due lanciatori binati per siluri leggeri «Mk 54». Ulsan, la nave scuola Hansando (ATH-81). Con un di-
slocamento a p.c. di 4.500 e una lunghezza di 142 metri,
CINA la nuova unità può accogliere un equipaggio di 120 ele-
Nuovi caccia imbarcati «J-15» menti oltre a 300 marinai in addestramento, grazie a di-
L’aviazione di Marina cinese avrebbe ricevuto un verse aree ed equipaggiamenti che comprendono tre
nuovo lotto di velivoli imbarcati «J-15», secondo il grandi aule e compartimenti con sistemi dedicati. L’unità
China Aerospace Studies Institute. Sulla base dei video è equipaggiata anche con due stazioni di lancio e recu-
pubblicati dal sito cinese Military Express, i velivoli pero battelli veloci poppieri e un ponte di volo e hangar,
recentemente ripresi presso il centro per l’addestra- quest’ultimo in grado di accogliere fino a due elicotteri
mento e i test legati all’impiego imbarcato della PLAN, di medie dimensioni. L’armamento comprende un can-
riporterebbero numeri diversi e in sequenza rispetto a none Hyundai WIA da 76 mm e un affusto binato da 40
quelli finora identificati. Si tratterebbe pertanto di mm nonché lanciatori per siluri leggeri a fini addestra-
nuove macchine che si aggiungerebbero ai due lotti per tivi, e la predisposizione per l’imbarco di lanciatori ver-
un totale di circa 24 «J-15» monoposto e biposto in ser- ticali per sistemi missilistici (K-VLS). L’unità dispone
vizio, e confermerebbero le notizie di una ripresa della anche di aree mediche e spazi per essere convertita in
produzione di velivoli imbarcati presso la Shenyang nave con capacità ospedaliere per missioni umanitarie.
Aircraft Company. Le nuove macchine consentirebbero Si tratta della prima unità dedicata a entrare in servizio
di colmare almeno in parte il gap che non consentiva con la Marina dell’Estremo Oriente, in quanto finora ve-
fino a oggi di soddisfare le esigenze in termini di veli- nivano utilizzati i caccia per i medesimi fini.

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Lancio del missile da crociera «Haeseong III» Seahawk» equipaggiati con sonar filabile, boe acustiche
Secondo il video istituzionale pubblicato dal sito non e siluri leggeri. Secondo quanto dichiarato, la gara vedrà
ufficiale delle Forze armate della Corea del Sud, un sot- la selezione di un vincitore entro la metà del 2022.
tomarino identificato come appartenente alla classe «Son
Won II» (Tipo 214) ha effettuato un test di lancio del FRANCIA
missile da crociera lanciato da unità subacquea e deno- La Marina riceve l’SSN Suffren (S 635)
minato «Haeseong III» dalla Marina della Corea del Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di
Sud. Il sistema d’arma fa parte della famiglia di sistemi Tolone alla presenza del ministro delle Forze armate
missilistici superficie-superficie «Haeseong», sviluppata francesi, Florence Parly, il sottomarino d’attacco a pro-
dalla Agency for Defense Development (ASDD) del mi- pulsione nucleare Suffren (S 635) è stato ufficialmente
nistero della Difesa della Corea del Sud, insieme al consegnato dalla società Naval Group alla DGA (Direc-
gruppo LIG Nex1 e alla stessa Marina sudcoreana. Il tion Générale de l’Armement) il 6 novembre e imme-
missile avrebbe ricevuto la designazione «SSM-750K diatamente trasferito alla Marine nationale. Alla
Sea Dragon» e sarebbe equipaggiato con un sistema pro- cerimonia hanno partecipato il Comandante in capo
pulsivo incentrato sul turbogetto «SSE-750K» di produ- delle Forze armate francesi, generale François Lecoin-
zione locale che assicurerebbe una portata di 1.000 km tre, il responsabile della DGA, ingegner Joël Barre, il
(contro i 1.500 km finora stimati), secondo informazioni Capo di Stato Maggiore della Marina francese, ammi-
rilasciate tramite il video stesso. raglio Admiral Pierre Vandier, il direttore per le appli-
cazioni militari presso il Commissariato dell’Energia
DANIMARCA atomica e delle energie alternative (CEA) Victor Sal-
Le unità della classe «Absalon» diventano fre- vetti, l’amministratore delegato di Naval Group, Pierre
gate Eric Pommellet, e quello di TechnicAtome, Loïc Ro-
Con una cerimonia tenutasi lo scorso 19 ottobre card. L’evento segue un serrato periodo di test e quali-
presso la base navale di Frederikshavn della Marina da- fiche comprendente otto mesi d’attività in banchina e
nese, le due unità da supporto multiruolo della classe sei di prove in mare, portato a termine, come ha rimar-
«Absalon» sono diventate fregate. Si tratta delle unità cato il ministro della Difesa, con un notevole sforzo non
Absalon e Esbern Snare che, precedentemente identifi- soltanto tecnico ma anche in condizioni lavorative par-
cate con il distintivo ottico L 16 ed L 17, hanno rispet- ticolarmente difficili, caratterizzate da restrizioni orga-
tivamente ricevuto il nuovo identificativo F 341 ed F nizzative, causa la pandemia. Questo traguardo, ha
342. Nonostante le due unità siano equipaggiate con un continuato il ministro francese, è il risultato di anni di
sistema di combattimento che nulla ha da invidiare a sforzi collettivi guidati dagli attori coinvolti nel pro-
una fregata, le capacità di trasporto ro-ro di veicoli e gramma e in particolare DGA, Marina francese, Com-
materiali su un ponte dedicato attraverso un portellone missariat à l’énergie atomique et aux energies
poppiero usati anche per operazioni a mare, avevano alternatives (CEA), Naval Group, TechnicAtome e i ri-
portato la Marina danese a classificarle come unità da spettivi partner e subappaltatori industriali, unitamente
supporto. Per evitare fraintendimenti e rinforzare le ca- agli investimenti effettuati nelle precedenti e nella pre-
pacità antisom della Marina danese e della stessa sente Legge di Programmazione Militare (LPM) 2019-
NATO, contro minacce sempre più numerose ed evo- 25. La consegna del nuovo battello, primo di una classe
lute, la prima ha lanciato un programma e indetto una di sei unità destinate a rimpiazzare le attuali della classe
gara per l’acquisizione di un sistema sonar a elemento «Rubis», è stata preceduta di poche settimane dal lancio
rimorchiato da aggiungere al sonar a scafo Atlas «ASO coronato da successo di un missile da crociera MBDA
94» che già equipaggia le due unità. Tale sistema dovrà MdCN (Missile de Croisière Naval). Si tratta di un si-
essere integrato con il sistema di combattimento e ope- gnificativo evento per le Forze armate francesi e la
rare in simbiosi con i nuovi elicotteri antisom «MH-60R stessa Marine nationale, in quanto il sistema d’arma for-

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Parly ha annunciato che il sottomarino a propulsione


nucleare d’attacco Perle (S 606) classe «Rubis» verrà
riparato e rimesso in servizio. Il battello è rimasto dan-
neggiato da un grave incendio scoppiato il 12 giugno
scorso nella sezione prodiera del medesimo, mentre era
in bacino e stava effettuando i grandi lavori manuten-
tivi programmati. Quasi 300 fra pompieri e marinai
sono stati impiegati per sconfiggere l’incendio con un
intervento che è durato oltre 14 ore. Come anticipato
dallo stesso Ministro, successivamente all’incidente,
personale del cantiere costruttore Naval Group, del Ser-
vizio di Supporto della Marina francese e della DGA,
Il sottomarino d’attacco a propulsione nucleare SUFFREN (S 635) è sono stati impegnati in un’estesa valutazione dei danni
stato ufficialmente consegnato dalla società Naval Group alla DGA (Di-
rection Générale de l’Armement) il 6 novembre, e immediatamente tra- e della possibilità di rimettere in linea il battello. Le
sferito alla Marine nationale (Ministero delle Forze armate francesi).
conseguenti attività e studi hanno portato alla conclu-
sione che il battello è riparabile e tali lavori verranno
nisce per la prima volta una capacità di «deep strike» effettuati dai soggetti appena menzionati presso il sito
alla componente di battelli d’attacco nucleare in servi- di Naval Group di Cherbourg, dove lo scafo danneg-
zio, che si aggiunge alla panoplia d’armamento del bat- giato del Perle verrà trasferito per iniziare i lavori che
tello comprendente siluri pesanti di nuova generazione impegneranno 300 persone, per almeno sei mesi. A
Naval Group «F 21 Artemis» e missili antinave a cam- causa dell’incendio, la parte prodiera dello scafo è stata
biamento d’ambiente MBDA «Exocet SM-39 Block 2 sottoposta ad alte temperature che hanno alterato le
Mod 2», anch’essi lanciati con successo e qualificati nel qualità dell’acciaio della struttura resistente del bat-
corso dei sei mesi di prove in mare. L’entrata in servizio tello, oltre a distruggere completamente i sistemi im-
del Suffren è prevista per il 2021, dopo test operativi barcati nella medesima sezione interessata
volti a verificarne le capacità militari in condizioni di dall’incendio, che secondo quanto riportato, sarebbe
impiego simili a quelle dei teatri operativi. Le consegne scoppiato a causa di un fulmine. Per questi motivi, se-
degli altri cinque sottomarini del programma «Barra- condo quanto riportato dal Ministro, tale sezione verrà
cuda», attualmente in diverse fasi di costruzione, avver- tagliata e rimpiazzata con quella dello scafo del sotto-
ranno entro il 2030. Il secondo battello Duguay-Trouin, marino Rubis, dismesso dal servizio nel luglio 2019.
è attualmente in fase d’assemblaggio dello scafo e la Al momento dell’incendio, fortunatamente, il combu-
sua consegna è prevista per il 2022. Il terzo, Tourville, stibile nucleare, l’armamento e buona parte della siste-
è in fase di costruzione finale a lato del Duguay-Trouin. mistica elettronica e di piattaforma erano stati sbarcati.
Presso il sito di Nantes-Indret di Naval Group è in corso La sezione del battello ritirato dal servizio verrà revi-
anche l’assemblaggio del sistema propulsivo e del mo- sionata e riallestita in vista della saldatura al resto dello
dulo reattore nucleare del quarto, il De Grasse. Infine, scafo del Perle, che continuerà l’attività manutentiva
Naval Group ha iniziato a mettere insieme i primi ele- programmata dove era stata interrotta lo scorso giugno.
menti degli scafi del quinto e sesto sottomarino, il Rubis Il cantiere costruttore Naval Group ha il know-how e
e il Casabianca, nonché gli elementi dei moduli dei re- padroneggia le tecnologie necessarie a realizzare tale
lativi reattori nucleari. attività, ma nel corso dei lavori e successivamente al
completamento dei medesimi, verrà svolta un’intensa
Il sottomarino Perle (S 606) verrà riparato attività di verifica continua e introdotto un programma
Nei giorni concomitanti il salone «digitale» di Eu- ad hoc per la rimessa in servizio del battello, in piena
ronaval 2020, il ministro della Difesa francese Florence sicurezza per il personale imbarcato. Secondo quanto

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dichiarato da Naval Group, i lavori effettuati dal per-


sonale di Cherbourg a Tolone, inizieranno nel gennaio
del prossimo anno, per completarsi all’inizio del 2023.
Grazie a tale intervento, la Marina francese disporrà di
un sufficiente numero di battelli nucleari d’attacco in
attesa dell’entrata in servizio delle nuove unità classe
«Suffren», ma un gap temporale e operativo potrà ri-
scontrarsi per il ritardo nelle attività manutentive pro-
grammate del sottomarino Perle.

Lavori di rinnovamento e ammodernamento per


la fregata Courbet (F 710)
Come programmato, la prima delle tre fregate leg-
gere dal design stealth (FLF, Frégate Légère Furtive)
classe «La Fayette» è entrata nel bacino Castigneau 3
presso la base navale di Tolone. Si tratta dell’unità Cou-
bert (F 710), i cui lavori segnano l’avvio del pro-
gramma di rinnovamento e aggiornamento di tre delle
cinque unità tipo FLF della Marina francese: La Fa-
yette (F 712), Aconit (F 713) e Courbet (F 710). Tali
attività sono destinate all’ammodernamento del sistema
di combattimento e all’estensione della vita operativa
delle tre unità in occasione dei lavori di bacino. L’entrata in bacino della fregata leggera (FLF, Frégate Légère Furtive)
In particolare, l’ammodernamento riguarda l’intro- COUBERT (F 710) presso la base navale di Tolone, segna l’avvio del
programma di rinnovamento e aggiornamento di tre delle cinque unità
duzione di un sistema di comando e controllo allo tipo FLF della Marina francese (Naval Group).

stesso standard di quello della portaerei Charles de


Gaulle, un nuovo sistema optronico e nuovi data link la loro vita operativa verrà estesa di ulteriori cinque
per il potenziamento delle capacità net-centriche. Due anni in attesa che entrino in servizio le nuove fregate
sistemi di difesa antiaerea SADRAL sbarcati dalle fre- tipo FDI (Frégates de Défense et d’Intervention). I la-
gate dismesse tipo «F70» e rinnovati, armati con missili vori di ammodernamento del sistema di combattimento
terra-aria MBDA «Mistral» a brevissimo raggio, nella sono affidati a Naval Group (quale capocommessa)
più recente versione «M 3» con capacità d’ingaggio di mentre quelli relativi alla piattaforma e relativi sistemi
bersagli aerei e di superficie, sostituiranno l’attuale si- sono eseguiti dai cantieri Chantiers de l’Atlantique,
stema «Crotale». La FLF Courbet sarà anche dotata di sotto la direzione della DGA francese.
una nuova capacità antisom, grazie all’introduzione di
sonar a scafo attivo/passivo Thales «KingKlip Mk 2». Taglio della prima lamiera per il programma POM
In parallelo ai lavori legati al sistema di combattimento, Il programma per la costruzione e messa in servizio
verranno effettuate le necessarie revisioni e manuten- delle nuove sei unità tipo POM (Patrouilleur d’Outre
zioni legate alla piattaforma e ai relativi sistemi, fra cui Mer) è stato lanciato lo scorso 8 ottobre, con la ceri-
l’introduzione di un nuovo sistema di controllo auto- monia del taglio della prima lamiera per l’unità capo-
matizzato della propulsione. classe, alla presenza del ministro delle Forze armate
Grazie a questi interventi, destinati a concludersi nel francesi Florence Parly presso i cantieri di Saint Malo,
caso della FLF Courbet entro l’estate 2021, le tre unità del gruppo Socarenam. Assegnato a un team industriale
potranno svolgere una più ampia gamma di missioni e composto dalle società Socarenam/Mauric e CNN

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MCO (parte del gruppo Engie), rispettiva-


mente responsabili della progettazione, co-
struzione e supporto in servizio per i primi
sei anni, il programma POM comprende la
costruzione di sei unità che sostituiranno la
vecchia generazione di pattugliatori off-
shore più piccoli tipo «P-400» e altre navi
di stanza nei territori francesi d’oltremare.
Destinate a svolgere una vasta gamma di Il programma per la costruzione e messa in servizio delle sei nuove unità tipo POM (Pa-
trouilleur d’Outre Mer), qui rappresentate in un disegno al computer, è stato lanciato lo
missioni, dalla protezione degli interessi scorso 8 ottobre, con il taglio della prima lamiera per l’unità capoclasse, presso i cantieri
nazionali e delle zone marittime in Nuova di Saint Malo del gruppo Socarenam (Ministero della Forze armate francesi).
Caledonia, Polinesia francese e acque della
Reunion, al controllo della pesca, dalla lotta al traffico perficie e di navigazione, la suite EO/IR, comunica-
illegale di esseri umani e droga, alla ricerca e soccorso zioni SATCOM e veicoli aerei senza pilota. Il sistema
e alla protezione ambientale, le nuove unità tipo POM «Lyncea» comprende un data link che incrementa le
saranno consegnate tra il 2022 e il 2025, con la prima capacità di comunicazione con i battelli veloci e offre
che arriverà in Nuova Caledonia entro la fine del 2022. capacità aggiuntive per archiviare e analizzare i dati
Ciascuno dei territori d’oltremare riceverà due POM, raccolti dal velivolo senza pilota imbarcato. Il POM
che saranno rispettivamente di stanza a Nouméa sarà equipaggiato con un sistema d’arma a controllo re-
(Nuovo Caledonia), Port des Galets (Reunion) e Pa- moto Nexter «Narwhal 20B» con cannone da 20 mm,
peete (Polinesia francese). Progettate dal bureau di ar- due mitragliatrici da 12,7 mm e due da 7,62 mm. Seb-
chitettura navale Mauric (ECA Group), con un bene non siano state fornite indicazioni sul velivolo
dislocamento di circa 1.300 tonnellate, una lunghezza senza pilota imbarcato, il ministero della Difesa fran-
e larghezza rispettivamente di 79,9 e 12 metri e un pe- cese è previsto acquisti, nel 2020, una serie di sistemi
scaggio inferiore a 3,5 metri, le unità tipo POM saranno SMDM (Système de mini-drones Marine) ciascuno
in grado d’imbarcare e operare due RHIB da 8 metri comprendente due UAV «DVF 2000 Aliaca», forniti
(oltre a un tender) e accogliere nella zona poppiera un dalla società Survey Copter controllata da Airbus.
container standard oltre alla gru di supporto, in ag-
giunta a una piattaforma di volo ed equipaggiamenti GIAPPONE
per velivoli senza pilota fino a 200 kg. Con un sistema Varato il sottomarino Taigei (513)
propulsivo ibrido diesel/elettrico che offre una velocità Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Mitsu-
massima di 24 nodi, un’autonomia di 5.500 mn a 12 bishi Heavy Industries (MHI) di Kobe, alla presenza
nodi e di missione di 30 giorni, le unità tipo POM del ministro della Difesa e del Capo di Stato Maggiore
avranno un equipaggio di 30 unità e saranno in grado della Marina giapponese, è stato varato il sottomarino
di ospitare ulteriori 23 persone fra forze di polizia e di Taigei (513). Si tratto del primo di una nuova classe di
comando. Specificamente progettate per operare nei battelli a propulsione diesel-elettrica basato unicamente
teatri operativi dell’oceano Indiano e del Pacifico, oltre su batterie a ioni di litio e una segnatura complessiva
alle sistemazioni per l’impiego di velivoli senza pilota, ulteriormente ridotta rispetto all’attuale classe «Soryu»
queste unità saranno dotate anche di capacità idrogra- equipaggiata con un sistema propulsivo indipendente
fiche grazie a una suite ad hoc, antincendio e di traino. dall’aria (AIP), unitamente a un sistema di combatti-
Le nuove navi saranno equipaggiate con una suite di mento e armamento più avanzati per contrastare i più
navigazione, sorveglianza e combattimento incentrata silenziosi e capaci battelli avversari. Con una lun-
sul sistema «Lyncea» fornito dalla società Nexeya ghezza e larghezza rispettivamente di 84 e 9,1 metri e
France del gruppo Hensoldt, che gestirà i radar aria/su- un dislocamento standard di circa 3.000 t, il nuovo bat-

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Royal Air Force e dell’US Marine Corps,


dopo aver completato con successo la
prima esercitazione operativa del nuovo
Carrier Strike Group (CSG) britannico.
Quest’ultimo è destinato ad assicurare la
proiezione di potenza della Gran Bretagna
sul mare per i prossimi 50 anni. L’unità ha
lasciato la medesima base d’appartenenza
il 5 ottobre per congiungersi con le unità
navali facenti parte dell’UK CSG e pren-
dere parte all’attività addestrativa «Group
Exercise 2020» nel Mare del Nord, in pre-
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Mitsubishi Heavy Industries (MHI) di Kobe, parazione del primo dispiegamento opera-
alla presenza del ministro della Difesa e del Capo di Stato Maggiore della Marina giappo-
nese, è stato varato il primo sottomarino con propulsione a batterie agli ioni di litio TAIGEI tivo d’oltremare in Estremo Oriente nel
(513) - (Ministero della Difesa giapponese/Marina giapponese).
2021 come CSG 21. Successivamente a tale
attività, l’UK CSG ha preso parte all’eser-
tello presenta un sistema di immagazzinamento e pro- citazione NATO «Joint Warrior 2020» esercitandosi
duzione di energia elettrica basato su batterie a ioni di con le altre unità dell’Alleanza in scenari d’impiego
litio che estende l’autonomia operativa subacquea mare-cielo-terra. «Nel corso delle ultime settimane, la
senza incrementarne le dimensioni, nonché un sistema Royal Navy ha realizzato quello che molte persone
snorkel migliorato, accorgimenti e materiali di rivesti- hanno detto che sarebbe stato impossibile», ha dichia-
mento atti a ridurre in maniera significativa la segna- rato il comandante in capo dell’UK CSG, il commo-
tura del sottomarino. A questi s’aggiunge un nuovo doro Steve Moorhouse. «Abbiamo creato un UK CSG
sistema di comando, controllo e combattimento che nazionale con le navi e i velivoli necessari alla prote-
combina avanzati sensori fra cui una suite acustica ba- zione e al supporto delle operazioni su portaerei a li-
sata sull’impiego della fibra ottica per incrementarne vello globale. La Royal Navy ha raggiunto tale
le capacità di scoperta e tracciamento e sistemi d’arma obiettivo nonostante la pandemia e gli impegni nazio-
e di protezione di nuova adozione. In particolare i nali e internazionali», ha poi sottolineato, aggiungendo
nuovi battelli saranno equipaggiati con il nuovo siluro che è stato effettuato un ulteriore passo avanti nell’in-
pesante «Tipo 18». Destinato a entrare in servizio nel tegrazione di un gruppo di velivoli d’attacco congiunto
marzo del 2022, il Taigei è finora affiancato da altri tre UK/US e di unità navali alleate. «Ancora molte cose
battelli già finanziati e in fase costruttiva cui s’ag- devono essere fatte nell’ambito della preparazione per
giunge l’acquisizione di un quinto che aspetta di essere il primo dispiegamento operativo nel 2021. Ma non ci
approvato con il bilancio della Difesa 2021. Secondo sono dubbi», ha concluso il commodoro Moorhouse,
quanto dichiarato dal ministero della Difesa giappo- «dopo venti anni (…) l’UK Carrier Strike Group è oggi
nese, la nuova classe di battelli potrebbe raggiungere una realtà». L’UK Carrier Strike Group comprendeva,
le otto unità. in aggiunta alla portaerei Queen Elizabeth con a bordo
5 «F-35B» del No 617 Squadron «Dambusters» della
GRAN BRETAGNA Royal Air Force e 10 «F-35B» del Marine Fighter At-
L’UK Carrier Strike Group completa la prima tack Squadron (VFMA) 211 «Wake Islands Avengers»
esercitazione operativa dell’USMC, nonché elicotteri «Merlin HMA.2» del
Lo scorso 15 ottobre, la portaerei Queen Elizabeth 820 Naval Air Squadron (NAS), i due caccia lancia-
(R 08) ha fatto ritorno alla base navale di Portsmouth missili per la difesa antiaerea della Royal Navy, Defen-
con a bordo i velivoli Lockheed Martin «F-35B» della der (D 36) e Diamond (D 34) della classe «Daring»

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oltre al caccia lanciamissili Sullivans (DDG


68) classe «Arleigh Burke» dell’US Navy
e le fregate antisom Kent (F 78) e Northum-
berland (F 238) della RN e Evertsen (F
805) classe «De Zeven Provincien» della
Royal Netherlands Navy. Mentre queste
unità e velivoli assicuravano la protezione
del gruppo unitamente a velivoli da pattu-
gliamento basati a terra, le unità Tideforce
(A 139) e Fort Victoria (A 387) della Royal
Fleet Auxiliary ne assicuravano il riforni- Il nuovo CSG (Carrier Strike Group) britannico incentrato sulla portaerei QUEEN ELIZA-
BETH (R 08), equipaggiata con velivoli «F-35B» della Royal Air Force e dell’US Marine
mento e il supporto. A ulteriore protezione Corps e scortata da unità navali americane, olandesi e britanniche, ha completato con
successo la prima esercitazione operativa in vista del primo dispiegamento operativo
del gruppo anche almeno un’unità subac- nell’Estremo Oriente programmato per il 2021 (Ministero della Difesa britannico).
quea non identificata ma evidenziata in un
tweet introduttivo alle attività della stessa Royal Navy, navale e il primo trasferimento di munizioni da parte
presumibilmente un SSN classe «Astute». Un gruppo dell’unità da supporto ammodernata, Fort Victoria.
con nove unità (dieci conteggiando il sottomarino), 15 Unico elemento ancora mancante, la componente di
caccia, 11 elicotteri e oltre 3.000 marinai e aviatori di elicotteri «Merlin Crowsnet» AEW&C (Airborne Early
tre nazioni, che hanno preso parte all’attività prepara- Warning and Control), i cui primi esemplari saranno
toria nell’ambito della «Group Exercise 2020», nel soltanto disponibili in una configurazione pre-IOC (Ini-
corso della quale i velivoli della RN e dell’USMC tial Operational Capability) per il primo dispiega-
hanno operato insieme e portato a termine anche mis- mento operativo dell’UK CSG nel maggio 2021, causa
sioni aria-superficie su un poligono in Scozia, con il ritardi nell’integrazione del sistema AEW&C con il si-
supporto e la designazione bersagli fornita da elicotteri stema di missione del «Merlin HM2». La IOC è previ-
Leonardo «Wildcat» del 847 NAS. Un’attività che è sta per il settembre dello stesso anno mentre una piena
proseguita con la partecipazione dell’UK CSG all’eser- capacità operativa (FOC, Full Operational Capability)
citazione multinazionale «NATO Joint Warrior», la più è prevista per maggio 2023.
grande preparatoria attività dell’Alleanza sul mare, con
la partecipazione di 28 unità, 2 sommergibili, 81 veli- INDIA
voli e oltre 6.000 militari di 11 nazioni fra cui Australia, Nuovo lancio da nave del missile supersonico
Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Lituania, Paesi «BrahMos»
Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti. Il DRDO (Defence Research and Development Or-
Nel corso di quest’ultima, l’UK CSG è stato sottoposto ganisation) e la Marina indiana hanno completato con
ad attacchi simulati da parte di velivoli d’addestra- successo, lo scorso 18 ottobre, il lancio di un missile
mento avanzato «Hawk T1» del 736 Naval Air Squa- da crociera supersonico «BrahMos» in versione anti-
dron della Royal Navy e Dassault «Falcon» gestiti dalla nave, dal caccia lanciamissili Chennai (D 65) classe
società Cobham, che hanno svolto il ruolo «aggressor» «Kolkata» nel Mar Arabico. Secondo quanto dichiarato
di velivoli e sistemi d’arma lanciati, contro il gruppo, dal ministero della Difesa, il missile ha colpito il ber-
da un ipotetico avversario. In occasione di tale attività, saglio con precisione chirurgica dopo aver completato
in aggiunta alla celebrazione del ritorno in servizio ope- una serie di complesse manovre nel corso del volo. La
rativo delle portaerei con la Royal Navy, l’UK CSG ha società BrahMos Aerospace, una joint-venture russo-
conseguito e registrato una serie d’importanti eventi, indiana, produce il missile supersonico in diverse ver-
come l’impiego congiunto multinazionale di velivoli sioni per l’impiego da terra, mare, cielo. Nel corso
STOVL della quinta generazione da parte di un Gruppo dell’anno, lo scorso maggio, la nuova versione avio-

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lanciabile del missile è stata testata con successo da un costa indiana orientale. Il sistema si caratterizza per un
velivolo «Su-30 MKI» dell’Aeronautica indiana, men- vettore missilistico supersonico a lancio verticale, ca-
tre lo scorso settembre ha fatto seguito il lancio di una pace di portare un siluro leggero per l’impiego antisom.
nuova versione superficie-superficie del missile, con Lo SMART applica un concetto operativo già noto con
una portata maggiorata da circa 290 a 400 km. la munizione VL-ASROC (Vertical-Launched Anti-
Submarine Rocket) entrata in servizio nel 1993, ma più
In servizio la quarta corvetta classe «Kamorta» evoluto e capace rispetto a quest’ultimo. Secondo
Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di quanto dichiarato dal ministero della Difesa indiano nel
Visakhapatnam lo scorso 22 ottobre, la Marina indiana documento sulle attività del dicastero 2018-19, il re-
ha ufficialmente immesso in servizio l’ultima delle quisito per la portata del sistema SMART è compreso
quattro corvette antisom classe «Kamorta». Si tratta fra 50 e 650 km, con un carico utile rappresentato da
dell’unità Kavaratti (P 31), consegnata dai cantieri un siluro leggero. Il comunicato emesso in occasione
GRSE (Garden Reach Shipbuilders & Engineers) di del lancio evidenzia che tutti i sottosistemi di SMART
Kolkata, che presenta un elevato livello di componen- hanno funzionato a dovere, compreso il meccanismo
tistica nazionale, comprendente sistemi sviluppati dal- per la separazione e la riduzione della velocità di en-
l’industria nazionale o prodotti su licenza, oltre alla trata in acqua del siluro trasportato. Nessuna informa-
progettazione e costruzione locale. zione viene invece fornita sui sistemi di scoperta e
tracciamento eventualmente necessari all’individua-
Testato con successo il sistema SMART zione di bersagli subacquei così lontani dalla piatta-
Il DRDO ha testato con successo, per la prima volta, forma lanciatrice, che potrebbero indicare un impiego
il sistema SMART (Supersonic Missile-Assisted Re- integrato e connesso fra diverse piattaforme e sistemi
lease of Torpedo) lo scorso 5 ottobre, con un lancio ef- di scoperta.
fettuato dall’isola di Wheeler davanti Odisha, sulla
ITALIA
Nuovi e futuri programmi costruttivi
In occasione dell’audizione tenutasi il 28 ottobre da-
vanti alla IV Commissione difesa della Camera dei de-
putati, il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare,
ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone, trat-
teggiando l’impegno della Forza armata in questo pe-
riodo di pandemia a supporto alla popolazione e alla
difesa degli interessi nazionali nello scacchiere del Me-
diterraneo cosiddetto «allargato», ha delineato anche
lo stato dei presenti e futuri programmi per l’ammo-
dernamento della flotta. Guardando al futuro più lon-
tano, al netto, quindi dei programmi già in esecuzione
o in fase di avviamento, di cui parleremo oltre, al fine
del soddisfacimento del MOIR (Modello Operativo In-
tegrato di Riferimento della Difesa), in cui è confluito,
nel 2018, il piano di rinnovamento concepito dalla Ma-
Il DRDO (Defence Research and Development Organisation) ha testato
rina, il CSM ha evidenziato come occorre ancora prov-
con successo per la prima volta il sistema antisom SMART (Supersonic vedere alla sostituzione di numerose e importanti unità
Missile-Assisted Release of Torpedo), caratterizzato da un vettore mis-
silistico supersonico a lancio verticale con carico pagante rappresen- con nuove costruzioni. Fra queste, due nuovi caccia
tato da un siluro leggero (Ministero della Difesa indiano).
lanciamissili per compiti di difesa aerea, che avvicen-

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dino quanto prima le navi della


classe «Ammiragli», tre nuove
navi anfibie per rimpiazzare le
unità da sbarco della classe
«Santi», due unità logistiche per
la sostituzione delle altrettante
classe «Stromboli», che hanno
ormai superato i 40 anni di servi-
zio, otto nuove unità da pattuglia-
mento per il rinnovamento della
cosiddetta «seconda linea», due Fra i programmi costruttivi di prossima attuazione di cui ha parlato il Capo di Stato Maggiore della Marina
Militare, ammiraglio di squadra Cavo Dragone, nel corso dell’audizione davanti la Commissione difesa
nuovi sommergibili da acquistarsi della Camera, è compreso quello per due caccia lanciamissili (DDX) in possesso di elevate capacità di
contrasto alla minaccia di superficie e subacquea e dotati di spiccate caratteristiche per la protezione
nell’ambito del programma NFS d’area di Gruppi navali in contrasto alla minaccia aerea e missilistica convenzionale/balistica.
(New Future Submarine) per il
completamento della prevista linea di otto unità subac- ha personalmente disposto «un’aggressiva campagna
quee. Ai programmi costruttivi s’affiancano le esigenze di sfruttamento di tutte le opportunità perseguibili,
delle componenti specialistiche, tra cui l’ammoderna- come per esempio quelle offerte della Banca europea
mento dei mezzi ruotati, cingolati e navali della Brigata per gli investimenti — attivata per la prima volta in
Marina San Marco (incluse le capacità di comando e Europa proprio per sovvenzionare la costruzione delle
controllo) e le analoghe esigenze del COMSUBIN per nuove unità idro-oceanografiche della Marina e che
gli aspetti relativi a palombari e incursori. In merito al potrebbe, per esempio, continuare a supportare la co-
processo di rinnovamento, ha fatto cenno alla determi- struzione di nuove unità a duplice uso sistemistico». A
nazione con la quale la Marina ha agito per contrastare tal riguardo, il CSM ha evidenziato come nel contrasto
gli effetti disabilitanti della diffusione del Covid-19, alla pandemia, la Marina ha anche raccolto molti inse-
parlando dell’aggiornamento di nave Cavour (550) agli gnamenti «che ci hanno permesso di sviluppare nuove
standard tecnici stabiliti per il velivolo «F-35» nella esigenze operative, come quella per realizzare una
versione STOVL (Short Take-Off Vertical Landing). In nuova nave con capacità ospedaliere e definire il re-
ordine all’approntamento di nave Cavour, il CSM ha quisito per ospedali modulari dislocabili a mezzo nave,
evidenziato che, come noto, la portaerei rappresenta il attraverso moduli containerizzati con capacità di
fulcro della capacità di proiezione della Squadra na- triage, terapia intensiva e sub-intensiva».
vale. «Il mio obiettivo, molto ambizioso dato il contesto
e i numerosi fattori di “attrito” che combattiamo quo- Il DPP 2020-22 e i programmi navali
tidianamente, è quello di conseguire la transizione La pubblicazione del Documento programmatico
della linea “AV-8B Plus” a quella “F-35B”, almeno pluriennale (DDP) 2020-22 e le successive audizioni
in termini di capacità iniziale, al più presto, in accordo dei rappresentanti del ministero della Difesa e delle
a quanto stabilito dalle linee programmatiche del sig. Forze armate, ha messo in evidenza una serie di impor-
Ministro della Difesa», ha affermato evidenziando tanti programmi d’acquisizione e ammodernamento
come, «quando verrà raggiunta la capacità operativa per la Marina Militare. In particolare, nell’ambito dei
iniziale (indicata successivamente per il 2024), tenuto programmi di nuova introduzione che potranno essere
conto della Brexit, il nostro Gruppo portaerei sarà uno lanciati o trovare attuazione nel triennio 2020-22, ven-
dei soli due disponibili in tutta l’Unione europea e gono evidenziati il programma relativo allo studio per
a
l’unico equipaggiato con velivoli di 5 generazione». lo sviluppo e l’acquisizione di due nuovi caccia (nel-
Per alleviare la pressione finanziaria sul processo di l’ambito del programma «DDX») — inclusi del rela-
rinnovamento delle linee, il CSM ha sottolineato che tivo armamento — in possesso di elevate capacità di

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contrasto alla minaccia di superficie e subacquea e do- forze Esercito/Marina per lo sviluppo della munizione
tati di spiccate caratteristiche per la protezione d’area «Aster 30 Block 1NT». Il DPP 2020-22 introduce
di Gruppi navali in contrasto alla minaccia aerea e mis- anche il programma interforze Esercito/Marina volto
silistica convenzionale/balistica, quello relativo all’ac- allo sviluppo e all’acquisizione di radar per la sorve-
quisizione di una nuova unità di supporto logistico glianza e l’ingaggio (e relative attività di integrazione
(LSS) della classe «Vulcano» e di un nuovo veicolo e qualifica) quali sensori organi delle unità navali della
blindato anfibio (VBA). A questi s’aggiungono quelli Marina Militare dotate dei sistemi di difesa aerea
già evidenziati dai precedenti Documenti programma- FSAF/PAAMS con capacità incrementate grazie all’in-
tici pluriennali nonché minori di nuovo sviluppo. Fra troduzione dei missili «Aster 30 Block 1NT» attual-
questi progetti riguardanti lo sviluppo e acquisizione mente in fase di sviluppo.
dei nuovi sottomarini nell’ambito del programma
«U212 NFS» («Near Future Submarine») di cui attual- La BEI finanzia le future navi idro-oceanografiche
mente risultano finanziate le prime due unità oltre a un Con un’operazione innovativa a livello europeo, è
pacchetto iniziale di supporto e addestramento; lo svi- stato perfezionato un prestito di 220 milioni di euro tra
luppo, qualifica, industrializzazione e acquisizione del la Banca europea per gli investimenti (BEI), il mini-
nuovo missile MBDA «Teseo Mk2/E» (Evolved) non- stero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e quello
ché di risoluzione delle obsolescenze del missile in ser- della Difesa, finalizzato alla costruzione di tre navi
vizio «Teseo Mk2/A» con la finalità di salvaguardare idro-oceanografiche che saranno utilizzate dall’Istituto
la capacità missilistica superficie-superficie della com- idrografico della Marina Militare di Genova (IIM). Il
ponente marittima della Difesa; il programma di studio progetto prevede la progettazione e la costruzione di
per lo sviluppo di 12 nuove unità navali polivalenti di due diverse tipologie di unità navale dedicate: la NIOM
contromisure mine (CMM) con spiccate connotazioni (Nave Idro-Oceanografica Maggiore) destinata a rim-
modulari e multifunzionali; l’acquisizione di una nuova piazzare nave Magnaghi (A 5303) che ha ormai rag-
unità ausiliaria con spiccate capacità di soccorso a som- giunto la fine della vita operativa, e le due nuove unità
mergibili sinistrati e di supporto a operazioni speciali tipo NIOC (Nave Idro-Oceanografica Costiera) per il
e subacquee (SDO-SuRS), unitamente a un completo futuro rimpiazzo delle due navi idrografiche classe
sistema dispiegabile per il soccorso dei sommergibili «Ninfe», Aretusa (A 5304) e Galatea (A 5308). Le tre
sinistrati di concezione e produzione nazionale. Tale nuove navi svolgeranno attività prevalentemente a fa-
programma prevede anche la realizzazione di un centro vore della collettività: ricerca sul clima in ambiente ma-
iperbarico polifunzionale per attività duali. A questi rino e sicurezza della navigazione grazie all’opera di
s’aggiunge il programma pluriennale di acquisizione mappatura dei fondali necessaria per la produzione
della nuova unità idro-oceanografica maggiore delle carte nautiche ufficiali delle acque italiane. La
(NIOM) e delle nuove unità idro-oceanografiche co- NIOM verrà impiegata soprattutto per la ricerca idro-
stiere (NIOC) di cui abbia parlato ed evidenzieremo grafica e oceanografica nel Mediterraneo e negli oceani
oltre. Inoltre, si aggiunge il lancio del programma volto ma anche nelle regioni artiche e antartiche. Le due tipo
ad adeguare e rinnovare la capacità di assistenza alle NIOC opereranno essenzialmente nel mar Mediterra-
unità navali dei mezzi logistici dei porti della compo- neo. Destinato a svilupparsi nel periodo 2021-27, il
nente marittima, quali rimorchiatori, bettoline e mezzi progetto sostiene in modo significativo gli obiettivi pri-
minori di supporto in mare e in banchina, nonché il pro- mari di innovazione e l’azione per il clima, della BEI,
gramma pluriennale relativo all’approvvigionamento e contribuisce al raggiungimento di numerosi obiettivi
scorte del munizionamento guidato a lunga portata europei. I dati oceanografici che saranno raccolti dalle
«Vulcano» da 127 mm, oltre a quello riguardante l’ag- navi sono una componente chiave dei modelli climatici
giornamento delle munizioni «Aster 15» e «30» della che contribuiscono alla comprensione del cambiamento
componente marittima che si aggiunge a quello inter- del clima e sono alla base delle decisioni in merito alle

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nazionale nello studio dell’oceano Artico,


in relazione ai cambiamenti globali. Il con-
trammiraglio Massimiliano Nannini, diret-
tore dell’Istituto idrografico, ha enfatizzato
l’importante concetto di unicità che que-
st’anno rende la campagna di ricerca «High
North20» condotta con l’unità Alliance (A
5345) un contributo ancora più prezioso per
tutta la comunità e i principali enti di ri-
cerca coinvolti quali il CMRE della NATO,
JRC, CNR, ENEA, INGV e OGS e indu-
stria con e-Geos. I dati della missione
«High North20» sono infatti l’unica realtà
di acquisizione sul campo che fornisce con-
Con un’operazione innovativa a livello europeo ̀e stato perfezionato un prestito tra la Banca
tinuità alla serie storica di osservazioni am-
europea per gli investimenti (BEI), il ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e quello bientali, che altrimenti avrebbe una
della Difesa, finalizzato alla costruzione di tre navi idro-oceanografiche, di cui è qui ripreso
il rendering del progetto NIOM, che saranno utilizzate dall’Istituto idrografico della Marina mancanza a causa delle restrizioni per la
Militare di Genova.
pandemia in corso. La professoressa Ro-
berta Ivaldi, quale direttore scientifico di
azioni da adottare per mitigarne gli effetti. Dal punto «High North20», ha presentato i primi risultati della
di vista finanziario, l’operazione prevede un contratto campagna, nel corso della quale sono stati mappati
di prestito tra la BEI e il MEF e un «contratto di pro- 4.211,8 km2 di fondale inesplorato dell’oceano Artico
getto» tra la BEI e la Difesa. La durata del finanzia- con sistemi acustici multifascio ad alta risoluzione in-
mento è di 25 anni, in linea con la vita economica delle tegrati da altri non acustici. La mappatura ha riguardato
navi. Per lo Stato italiano utilizzare i prestiti della BEI aree inesplorate con acquisizione di dati al ciglio dei
hanno il duplice vantaggio di durate più lunghe e tassi ghiacci della banchisa artica raggiungendo, il 21 luglio
molto bassi. L’accordo rappresenta inoltre il primo 2020, la massima latitudine di 81° 16.93 N. Nel Molloy
passo per future collaborazioni finalizzate al sostegno Hole «uno Ziggurat rovesciato» situato nello stretto di
dei programmi di innovazione della Difesa. Le nuove Fram tra le Isole Svalbard e la Groenlandia, è stato
unità verranno affidate al Comando della Squadriglia identificato il punto più profondo dell’oceano Artico,
Navi Idrografiche e Esperienze (COMSQUAIDRO) e pari a 5.567 m. Alle ricerche condotte e coordinate
contribuiranno a effettuare i rilievi che permettono dall’Istituto idrografico della Marina hanno partecipato
l’aggiornamento della cartografia ufficiale dello Stato 46 membri dell’equipaggio, 13 esperti dell’Istituto, di
a garanzia della sicurezza della navigazione e a incre- cui 5 giovani ufficiali a testimonianza dell’alta forma-
mentare la conoscenza dell’ambiente marino. zione quale contributo a realizzare una young ocean re-
searcher in linea con quanto promosso dalle Nazioni
Presentati i risultati di «High North20» unite per l’Ocean Science Decade for Sustainable de-
In occasione della sessantesima edizione del Salone velopment 2021-30.
nautico internazionale, la Marina Militare ha presentato
i risultati scientifici della Campagna di ricerca «High Un operatore del GOI primo classificato al SOCM
North 20». Da 2017, la Marina Militare è presente e È un operatore di 24 anni del Gruppo Operativo In-
opera in Artico con un proprio programma pluriennale cursori della Marina Militare italiana, il 1° classificato
di ricerca denominato «High North», quale strumento su 72 partecipanti al corso SOCM (Special Operations
di supporto alla comunità scientifica nazionale e inter- Combat Medic) che si è svolto, dall’8 novembre 2019

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al 4 settembre 2020, in favore di operatori delle Forze per la riduzione delle emissioni inquinanti delle unità.
speciali internazionali, presso la base di Fort Bragg, Fa- In particolare, la Marina è stata la prima in Europa (e
yetteville in North Carolina (Stati Uniti), sede delle l’unica al momento) a qualificare operativamente un
Forze speciali dell’US Army. Nel corso delle 36 setti- combustibile green, perfettamente compatibile con gli
mane di dura formazione, gli Special Operation Com- impianti di propulsione e generazione di bordo, che
bat Medic acquisiscono competenze specialistiche in contiene fino al 50% di quota sintetica di origine rin-
diverse macro-aree come il Combat Trauma Manage- novabile. L’impiego di tale combustibile consente di
ment (CTM) e il Tactical Combat Casualty Care ridurre significativamente le emissioni inquinanti in at-
(TCCC), nonché nell’utilizzo di tecniche, strategie di mosfera e, al contempo, di incrementare la cosiddetta
diagnosi e procedure di soccorso alle vittime, in con- sicurezza energetica nazionale, limitando la dipendenza
testi ostili. Il giovane incursore del GOI, brevettatosi dal petrolio e dagli altri combustibili fossili.
appena tre anni fa grazie al concorso per Volontari in
Ferma Prefissata di un anno (VFP1), aveva già dimo- Inaugurazione dell’anno accademico dell’ISMM
strato le sue pregevoli qualità di soccorritore militare a di Venezia
maggio del 2019 quando era risultato 1° su 257 parte- Alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Ma-
cipanti al corso Combat Medic Specialist dell’US rina Militare, lo scorso 2 ottobre si è svolta la cerimonia
Army, svolto presso lo United States Army Medical di apertura dell’Anno Accademico dell’Istituto di Studi
Department Center&School, conquistando così l’Ho- Militari Marittimi (ISMM) presso l’Antico Arsenale di
nor Graduate, uno dei riconoscimenti più importanti Venezia. Rivolgendosi «agli ammiragli del domani»,
che viene assegnato dalle scuole militari d’oltreoceano. l’ammiraglio Cavo Dragone ha ricordato «che la prima
Questo successo è una dimostrazione tangibile dell’im- parola d’ordine è imparare. Siamo in un periodo in cui
pegno che COMSUBIN applica da anni nel campo veniamo bombardati da informazioni, ma va fatta
della medicina di combattimento e nella formazione un’analisi delle fonti, che devono essere approfondite
dei suoi soccorritori militari. per validarne le caratteristiche». Non solo. Ha chiesto
agli ufficiali di «sviluppare un pensiero proprio, auto-
15a riunione annuale VRMTC 5+5 nomo, illuminato di intelligenza, indipendenza e onestà
La Marina ha riunito i membri della comunità V- intellettuale». Valori che permeano la formazione degli
RMTC «5+5» NET nella 15a riunione annuale, orga- ufficiali di Marina.
nizzata e condotta dal 3° Reparto pianificazione e
politica marittima dello Stato Maggiore, tra la fine di Concluso il sesto modulo addestrativo «Oppo-
settembre e l’inizio di ottobre. L’attività è stata svilup- sed», culmine VBSS
pata per la prima volta in modalità «virtuale», con i par- Il 25 settembre si è concluso il sesto modulo «Op-
tecipanti collegati in videoconferenza. Nonostante posed» condotto a favore dei fucilieri del 2° Reggi-
l’impossibilità di incontrarsi in presenza, i rappresen- mento San Marco e del personale del Gruppo mezzi da
tanti delle Marine di Algeria, Francia, Italia, Libia, sbarco. Si tratta di un addestramento della durata di tre
Malta, Marocco, Mauritania, Portogallo, Spagna e Tu- settimane, che rappresenta il culmine del percorso ad-
nisia hanno avuto l’occasione di condividere le proprie destrativo dei fucilieri di Marina nel settore Vessel Bo-
considerazioni e commentare i risultati ottenuti nel- arding Seize & Secure (VBSS). Solo chi supera con
l’ambito della comunità in termini di conoscenza del- esito positivo questo modulo, viene, infatti, inserito nei
l’ambiente operativo e supporto all’azione sul mare. dispositivi della Brigata Marina San Marco che opera
Nell’ambito del virtual meeting si è anche tenuto un sulle navi, nei contesti operativi caratterizzati da mag-
webinar a cura di specialisti del 7o Reparto navi sul giore rischio per la sicurezza marittima.
progetto «Flotta Verde», iniziativa concreta della Ma- Sesto della serie iniziata il 2015, questo modulo è
rina per la tutela dell’ambiente marino e, in particolare, stato condotto per la prima volta, sempre con il sup-

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porto del Gruppo Operativo Incursori (GOI), intera- Sahel, la fregata Federico Martinengo (F 596) classe
mente nelle sedi di Brindisi e Taranto e ha decretato la «Bergamini» è intervenuta tra la fine di ottobre e l’ini-
maturità operativa raggiunta nello specifico settore zio di novembre in due attività di supporto e prote-
dalla Brigata Marina San Marco. zione al traffico mercantile contro attacchi da pirati.
Nel primo episodio, il 23 ottobre, mentre la fregata
Nave Durand de la Penne (D 560) partecipa alla stava effettuando attività di pattugliamento al largo
Dynamic Mariner 2020 delle coste della Nigeria ha fornito supporto al mer-
Il caccia Luigi Durand de la Penne (D 560) ha preso cantile Errina, battente bandiera panamense che è
parte all’esercitazione multinazionale NATO «Dyna- stato oggetto di un attacco e abbordaggio da parte di
mic Mariner 2020» per la certificazione del NRFC una piccola imbarcazione veloce con uomini armati a
2021. Appuntamento annuale cui la Marina Militare bordo, che avevano saccheggiato la nave e danneg-
non manca di partecipare; tale esercitazione ha lo scopo giato gli apparati radio, prima di abbandonare il mer-
di testare la prontezza operativa della NATO Response cantile. Rispondendo all’allarme lanciato dal
Force (NRF) e di certificare l’idoneità del futuro NRF comandante del mercantile, a elevata distanza dalla
Commander, che nel 2021 sarà assicurato dalla Francia. posizione iniziale della fregata, il personale di que-
Essa rappresenta una preziosa occasione per accrescere st’ultima si sincerava attraverso comunicazioni radio,
il livello di addestramento degli equipaggi coinvolti, che l’equipaggio della nave civile fosse in buone con-
consolidare la naval diplomacy e accrescere l’intero- dizioni e potesse riprendere il viaggio, mettendosi al-
perabilità con le unità delle altre Marine della NATO. tresì in contatto con l’armatore, che non riceveva
notizie da molte ore. Il successivo episodio si è con-
Convocazione della prima classe per l’Accade- cluso nella serata del 7 novembre, con l’intervento del
mia navale Martinengo in soccorso del mercantile Torm Alexan-
I 114 giovani, di cui 81 uomini e 25 donne, risultati dra, battente bandiera della Repubblica di Singapore,
idonei vincitori, al termine di un impegnativo processo attaccato dai pirati in acque internazionali al largo
di selezione, del concorso per allievi ufficiali dei corsi delle coste del Benin, nel Golfo di Guinea. L’opera-
normali dell’Anno Accademico 2020-21, sono entrati in zione ha visto inizialmente impegnato l’elicottero
Accademia navale lo scorso 5 ottobre. Dopo essere stati «SH-90» della fregata, che con il proprio intervento
sottoposti a uno screening sanitario, in ra-
gione delle misure cautelative nazionali do-
vute all’emergenza in atto e aver ricevuto il
benvenuto da parte del personale dell’isti-
tuto, quali nuovi componenti del grande
equipaggio della Marina Militare, i neo fre-
quentatori hanno indossato l’uniforme e sot-
toscritto l’atto di arruolamento assumendo
così lo status di «Allievo 1a classe».

Interventi antipirateria di nave Marti-


nengo (F 596)
Nell’ambito della nuova missione di
presenza e sorveglianza marittima nel
Golfo di Guinea, avviata più recentemente Nell’ambito della nuova missione di presenza e sorveglianza marittima nel Golfo di Guinea,
la fregata FEDERICO MARTINENGO (F 596) classe «Bergamini» è intervenuta tra la fine di
per tutelare gli interessi nazionali in ottobre e l’inizio di novembre in due attività di supporto e protezione al traffico mercantile
contro attacchi da pirati.
un’area contigua e complementare al

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ha messo in fuga l’imbarcazione dei pirati in stretto … e consegna di quattro unità veloci
coordinamento con le Marine dei paesi rivieraschi. Il gruppo cantieristico OCEA ha anche comunicato
Nave Martinengo ha quindi ridotto le distanze con il che nel mese di ottobre sono iniziate le consegne di 4
mercantile per prestare assistenza all’equipaggio an- unità veloci tipo «C-Falcon» per la medesima Marina
cora rinchiuso nell’area protetta designata e in condi- nigeriana. Con una lunghezza di 17,3 metri e un si-
zioni quindi di massima sicurezza, lanciando stema propulsivo in grado di assicurare una velocità
nuovamente l’elicottero con un team specializzato di massima di 40 nodi con un’autonomia di 320 mn a 40
fucilieri della Brigata Marina San Marco (BMSM), nodi, le nuove unità veloci presentano un equipaggio
che si è calato a bordo per ispezionare e rendere sicura di 4 elementi e la capacità di trasporto di 16 soldati in
la nave mercantile affinché l’equipaggio potesse pro- un compartimento prodiero equipaggiato con un por-
seguire la navigazione in sicurezza, dopo eventuale tellone sempre prodiero a comparsa da cui far scendere
assistenza. a terra la truppa trasportata.

NIGERIA NORVEGIA
Varo della nuova unità idrografica Lana (A 499) … Incremento del budget della Difesa
Secondo quanto comunicato dal gruppo cantieristico Il governo norvegese ha presentato un nuovo piano
francese OCEA, lo scorso 24 settembre, presso i can- a lungo termine per le Forze armate nazionali che pre-
tieri di Les Sables d’Olonne, è stata varata la nave vede un continuo incremento nei prossimi otto anni.
oceanografica tipo «OSV 190 SC-WB» per la Marina Con la presentazione da parte del governo di un primo
nigeriana. Si tratta dell’unità battezzata Lana (A 499) piano a lungo termine nell’aprile 2020, si è aperto un
che si caratterizza per una lunghezza di 60,1 m e un si- dibattito in Parlamento che ha portato la Commissione
stema propulsivo in grado di raggiungere i 24 nodi, con per gli Affari esteri e la Difesa di rivedere quest’ultimo
un’autonomia di 4.400 mn a 12 nodi e un’autonomia alla luce di otto specifici argomenti. È stato pertanto
operativa di 20 giorni. In grado di accogliere fino a 50 presentato un nuovo piano che si basa sugli stessi e am-
persone compreso l’equipaggio, l’unità presenta labo- biziosi progetti del piano precedente ma con un budget
ratori ed equipaggiamenti per attività oceanografiche e più consistente destinato a incrementare nei prossimi
idrografiche, compresa una suite sonar ed ecoscandagli otto anni. Nel 2024, l’aumento sarà di 8,3 miliardi di
di vario tipo e una lancia da 8 metri per le attività di ri- corone norvegesi rispetto a quello del 2020, mentre il
cerca e raccolta informazioni in acque costiere. prossimo anno, sarà superiore a tre miliardi. Per quanto
riguarda la Marina, la Difesa prevede di incrementarne
l’organico oltre il necessario ammodernamento delle
fregate e sottomarini in servizio. A questi s’aggiunge
l’immissione in servizio di tre nuovi pattugliatori per
la Guardia costiera fra il 2021 e il 2025, mentre per
quanto riguarda la componente di superficie della Ma-
rina, è previsto un piano per il rimpiazzo delle attuali
unità al fine di mantenere una capacità operativa oltre
il 2030. A tal riguardo, la Difesa informerà il Parla-
mento sui futuri sviluppi, nel 2022.

PAKISTAN
Secondo quanto comunicato dal gruppo cantieristico francese OCEA, lo
scorso 24 settembre presso i cantieri di Les Sables d’Olonne, è stata va-
Impostazione della terza corvetta tipo «MilGem»
rata la nave oceanografica tipo «OSV 190 SC-WB» per la Marina nigeriana Lo scorso 25 ottobre presso i cantieri KS&EW (Ka-
battezzata LANA (A 499) - (OCEA).
rachi Shipyard and Engineering Works) di Karachi è

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stata impostata la chiglia della terza corvetta tipo «Mil- presso i cantieri Anadolu nel febbraio 2019. L’unità che
Gem» destinata alla Marina pakistana. La cerimonia si è stata varata lo scorso ottobre entrerà in servizio con
è tenuta alla presenza del ministro della Difesa turco Hu- la Marina del Qatar nel 2021 mentre la gemella Al Sha-
lusi Akar, del ministro pakistano della produzione mili- mal (QTS 92) seguirà nel 2022. Il più grande progetto
tare Zubaila Jala e del Capo di Stato Maggiore della di unità navali (in termini dimensionali) finora realiz-
Marina pakistana, ammiraglio Muhammad Amjad Khan zato dalla cantieristica turca privata per l’export, la
Niazi. La capoclasse è in fase di costruzione presso i can- nave scuola progettata e realizzata dai cantieri Anadolu,
tieri Istanbul Naval Shipyard in Turchia mentre la se- si caratterizza per capacità multiruolo e un sistema di
conda viene costruita in Pakistan attraverso un pacchetto combattimento. In aggiunta alla missione di nave,
di trasferimento di tecnologie e sistemi dall’industria l’unità può svolgere anche compiti secondari di sorve-
turca sotto la direzione del gruppo statale ASFAT. glianza marittima e supporto. Con un dislocamento di
1.250 t a p.c., una lunghezza e larghezza rispettiva-
POLONIA mente di 90 e 14,2 metri, le unità classe «Al Doha» si
Tre nuovi OPV per la Guardia di frontiera caratterizzano per sovrastrutture in leghe leggere e
La società francese Socarenam ha annunciato lo scafo in acciaio, con due ponti plancia completamente
scorso 5 ottobre di aver siglato un contratto per la pro- operativi per compiti addestrativi nonché un ponte di
gettazione e la costruzione di tre pattugliatori d’altura volo poppiero per un elicottero tipo «NH90». L’im-
per la Guardia di frontiera polacca. Progettati e svilup- pianto propulsivo incentrato su due motori diesel e al-
pati in collaborazione con lo studio d’architettura navale trettanti assi/gruppi eliche è in grado di assicurare una
Mauric di Marsiglia, i tre nuovi OPV avranno una lun- velocità massima e di crociera economica rispettiva-
ghezza di 70 metri e saranno derivati dal progetto delle mente di 22 e 15 nodi, nonché un’autonomia operativa
unità similari realizzate per la dogana e la Marina fran- di 15 giorni senza rifornimento. Costruite sotto la su-
cese e in fase di realizzazione per quest’ultima Forza ar- pervisione e classifica del Lloyd turco, le nuove unità
mata nell’ambito del programma POM. Con uno scafo dispongono di sistemazioni, equipaggiamenti e arma-
e sovrastrutture rispettivamente realizzati in acciaio rin- mento per l’addestramento di un totale di 76 cadetti e
forzato e alluminio, i nuovi OPV saranno in grado di ac-
cogliere fino a 35 persone e di operare per un mese con
un equipaggiamento di missione comprendente due bat-
telli veloci di diversa lunghezza, un velivolo senza pilota
e una sezione poppiera in grado di accogliere due con-
tainer standard ISO 20 e gruetta di supporto.

QATAR
Varo della nave scuola Al Doha (QTS 91)
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri turchi
Anadolu (Adik) di Tuzla, alla presenza del vice Primo
ministro e ministro della Difesa del Qatar, Khalid bin
Mohammed Al Attiyah e del ministro della Difesa turco
Hulusi Akar, nonché dei Capi di Stato Maggiore delle
Marine dei due paesi, è stata varata lo scorso 8 ottobre
la nave scuola Al Doha (QTS 91) per la Marina del
Qatar (QENF, Qatari Emiri Naval Forces). Il contratto
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri turchi Anadolu (Adik) di Tuzla,
per due navi scuola è stato annunciato nel corso del sa- è stata varata lo scorso 8 ottobre la nave scuola AL DOHA (QTS 91) per la
Marina del Qatar (QENF, Qatari Emiri Naval Forces) - (Gruppo Adik).
lone di DIMDEX 2018 a Doha e l’attività è iniziata

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8 istruttori, in aggiunta all’equipaggio di 66 persone. Vokhov (B 603) destinato insieme al capoclasse Petro-
Come anticipato, queste unità potranno svolgere anche pavlovsk-Kamchatsky (B 274) alla flotta del Pacifico.
compiti di sorveglianza armata grazie a un affusto re- Il terzo sottomarino battezzato Magadan, è in fase di
moto da 30 mm e mitragliatrici da 12,7 mm. preparazione al varo, previsto per il primo trimestre del
2021, mentre le diverse sezioni dello scafo della quarta
ROMANIA unità battezzata Ufa sono in fase di congiungimento.
Batterie costiere con missili NSM L’impostazione del quinto battello della serie è prevista
Il dipartimento di Stato americano ha approvato la entro la fine di quest’anno.
possibile vendita al governo romeno di un numero non
specificato di batterie missilistiche costiere basate sul Varata la nave contromisure mine Georgy Kur-
sistema missilistico NSM (Naval Strike Missile) unita- batov (631)
mente al sistema data «Link 16». Secondo quanto co- Lo scorso 30 settembre presso i cantieri Sredne-
municato, si parla di due centri di comando e controllo Nevsky di San Pietroburgo è stato varato il caccia-
del sistema CDS (Coastal Defense Systems) con quat- mine Georgy Kurbatov (631) della classe
tro veicoli lanciatori nonché una serie di veicoli di sup- «Alexandrite» «Progetto 12700». Si tratta della se-
porto e vari sistemi. Il fornitore del sistema missilistico conda unità della classe, ma prima di produzione di
sarà il gruppo Raytheon. Il costo complessivo è pari a serie, che è stata impostata nell’aprile 2015 e nel giu-
300 milioni di euro. gno 2016 è stata protagonista di un incendio che ne
ha posticipato le lavorazioni. A seguito del varo e
RUSSIA delle successive prove e accettazioni, l’unità è previ-
Consegnato il battello Vokhov (B 603) sto venga consegnata nel prossimo anno. A oggi, della
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Admi- classe «Alexandrite», risultano in servizio l’unità ca-
ralteyskie Verfi di San Pietroburgo, alla presenza del poclasse Aleksandr Obukhov, in linea con la flotta del
vice Comandante in capo della Marina per gli arma- Baltico, l’Ivan Antonov e Vadlimir Yemelyanov con la
menti, Igor Mukhametshin e del Direttore generale flotta del Mar Nero.
della United Shipbuilding Corporation JSC, Alexey
Rakhmanov, è stato consegnato il secondo dei sei som- SENEGAL
mergibili progetto «636.6» classe «Varshavyanka» alla Taglio lamiera per la nuova unità ammiraglia
Marina della Federazione Russa. Si tratta del battello Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri fran-
cesi Piriou, alla presenza del generale Birame Diop,
Capo di Stato Maggiore delle Forze armate del Sene-
gal, e dell’ammiraglio Oumar Wade, Capo di Stato
Maggiore della Marina Senegalese, è stata tagliata la
prima lamiera del primo dei tre pattugliatori d’altura
da 62 m tipo «OPV 58S» ordinati nel novembre 2019.
Il programma vede la partecipazione e il supporto
della controllata Kership, la joint-venture fra gli stessi
cantieri Piriou e la società Naval Group, e avrà una
durata 44 mesi, fino all’estate 2024. Il progetto dei
pattugliatori «OPV 58S», derivato da quello svilup-
pato dalla joint-venture Kership come «OPV 58» da
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Admiralteyskie Verfi di San 58 metri, si caratterizza per un design versatile, uno
Pietroburgo, è stato consegnato il battello VOKHOV (B 603), secondo dei
sei sommergibili progetto «636.6» classe «Varshavyanka» alla Marina della scafo («C-Sharp») specificatamente studiato e otti-
Federazione Russa (United Shipbuilding Corporation).
mizzato per la tenuta al mare e assicurare un’estesa

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autonomia operativa, un ponte di comando panora- con due missili «Mistral» in grado di ingaggiare e
mico con visibilità a 360 gradi, e una zona poppiera neutralizzare non soltanto minacce aeree particolar-
multi-impiego per il trasporto sia di due container mente sfidanti come UAV e missili-antinave in ag-
standard e gruetta di supporto nonché una doppia po- giunta a velivoli ad ala fissa e rotante, ma anche
stazione poppiera per il lancio e recupero di RIHB per minacce asimmetriche di superficie come battelli ve-
il controllo del traffico marittimo e la lotta contro i loci armati.
traffici illegali, nonché il contrasto di superficie. Con
una lunghezza e larghezza rispettivamente di 62,2 e STATI UNITI
9,5 metri, e un pescaggio di 3 metri, le nuove unità Primo lancio di missile dal caccia Zumwalt
sono in grado di raggiungere una velocità massima di (DDG 1000)
21 nodi e un’autonomia di 4.500 miglia nautiche a 12 Lo scorso 13 ottobre, il caccia lanciamissili Zum-
nodi e 21 giorni di missione. Con un equipaggio di 24 walt (DDG 1000) ha lanciato con successo un missile
elementi e capacità di trasporto di ulteriori 24 fra per- superficie-aria «Standard SM-2» sul poligono della
sonale delle forze di sicurezza e speciali, i nuovi pat- Naval Air Weapons Center Weapons Division di
tugliatori disporranno di un sistema di combattimento, Point Mugu (California). Quale unità capoclasse, il
con una suite di sensori radar di scoperta e naviga- lancio effettuato mediante una cella del complesso di
zione, sorveglianza elettronica, una direzione del tiro lancio verticale «Mk 57» contro un bersaglio simu-
elettro-ottica in supporto alla suite di sistemi d’arma lante un missile da crociera antinave, ha dimostrato
particolarmente spinta, di fornitura franco-italiana. In non soltanto la capacità di scoperta, identificazione,
particolare, l’armamento comprende un cannone Leo- tracciamento e ingaggio del sistema di combatti-
nardo «Super Rapido» da 76/62 mm e quattro missili mento, ma anche di tenuta e shock delle sovrastrut-
antinave MBDA «Marte Mk2/N» con una portata di ture della nave. Il lancio, secondo quanto dichiarato,
oltre 30 km e capacità d’ingaggio «lancia-e-dimen- rappresenta un elemento significativo del grado di
tica» che assicurerà alla Marina senegalese potenziate maturità raggiunto dal sistema di combattimento a
capacità di controllo e difesa delle proprie acque e vantaggio della messa in linea delle rimanenti unità
confini. A questi s’aggiungono due affusti a controllo e del proseguo delle attività sull’unità capoclasse.
remoto Nexter «Narwhal» da 20 mm per la difesa rav- Quest’ultima deve completare una serie di test e ve-
vicinata e un sistema missilistico multiruolo MBDA rifiche operative prima di raggiungere la capacità
«SIMBAD-RC», caratterizzato da un affusto binato operativa iniziale nel 2021.

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri francesi Piriou, è stata tagliata
la prima lamiera del primo dei tre pattugliatori d’altura da 62 m tipo «OPV Lo scorso 13 ottobre, il caccia lanciamissili ZUMWALT (DDG 1000) ha lan-
58S» ordinati nel novembre 2019. L’armamento è incentrato su un cannone ciato con successo un missile superficie-aria «Standard SM-2» sul poli-
Leonardo Super Rapido da 76/62 mm e missili antinave MBDA «Marte gono della Naval Air Weapons Center Weapons Division di Point Mugu
Mk2/N» (Cantieri Piriou). (California) - (NAVSEA).

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Istituito il reparto addestrativo per il «CMV-22B» taerei. Si tratta della piattaforma Boeing «MQ-25A
L’US Navy ha reso operativo lo scorso inizio ottobre Stingray», destinata a portare a termine missioni di
il Fleet Logistics Multi-Mission Squadron 50 (VRM- rifornimento in volo, con capacità secondarie di sor-
50) «SunHawks» presso la Naval Air Station di North veglianza e intelligence. L’Unmanned Carrier-Laun-
Island, in California. Si tratta del Fleet Replacement ched Multi-Role Squadron 10 (VUQ-10) verrà
Squadron (FRS) ovverosia il reparto destinato all’ad- istituito il primo ottobre 2021 sulla Naval Air Station
destramento del personale di terra e di volo per il nuovo Point Mugu, in California. L’unità opererà alle dipen-
convertiplano Bell/Boeing «CMV-22B Osprey». Que- denze dell’Airborne Command & Control Logistics
st’ultimo è stato prescelto dall’US Navy per il rim- Wing, anch’esso di stanza presso la medesima Naval
piazzo del velivolo ad ala fissa «C-2A Greyhound» per Air Station. L’«MQ-25A Stingray» raggiungerà la ca-
il collegamento e trasporto materiali terra-portaerei e pacità operativa iniziale nel 2024.
viceversa (COD, Carrier Onboard Delivery). Il nuovo
reparto assumerà stabilmente il compito addestrativo Nuovi nomi per navi e sottomarini
finora eseguito dal Fleet Logistics Medium Multi-Mis- L’US Navy ha annunciato che un nuovo caccia
sion Wing Training Detachment 204, inserito nell’am- classe «Arleigh Burke Flight III» riceverà il nome
bito del Marine Medium Tiltrotor Training Sqadron John F. Lehman (DDG 137) in memoria del 65° se-
204, di stanza presso la Marine Corps Air Station New gretario della Marina che ha servito durante la presi-
River, in Carolina del Nord. Il primo dei due reparti denza Reagan dal 1981 al 1987, mentre un futuro
operativi a operare con il «CMV-22B» è stato il Fleet sottomarino d’attacco a propulsione nucleare classe
Logistics Multi-Mission Squadron 30 (VRM-30) isti- «Virginia» riceverà il nome Barb (SSN 804) asse-
tuito nel 2018, che fornirà le prime macchine e perso- gnato in precedenza a due sommergibili, di cui il
nale, per il primo dispiegamento a bordo di una Barb della classe «Gato» (SS 220) si è distinto nel
portaerei dell’US Navy, rappresentata dalla Carl Vin- corso del Secondo conflitto mondiale, mentre il se-
son (CVN 70), nell’estate del 2021 unitamente al veli- condo, appartenente alla classe «Permit» (SSN 596)
volo Lockheed Martin «F-35» nella versione «C» per ha preso parte a operazioni speciali durante la guerra
l’impiego da portaerei. Un secondo reparto che riceverà del Vietnam e quale piattaforma per i test del sistema
la designazione VRM-40 sarà istituito in futuro sulla missilistico da crociera «Tomahawk».
costa orientale degli Stati Uniti.
Nuove unità LCS
Prossima creazione del primo reparto su «MQ- Con una cerimonia tenutasi lo scorso 30 ottobre
25A Stingray» presso i cantieri Austal USA di Mobile (Alabama), è
L’US Navy ha annunciato i piani per l’attivazione stata impostata la sedicesima unità classe «Indepen-
del primo reparto destinato a operare con il primo ve- dence». Si tratta della futura LCS (Littoral Combat
livolo senza pilota ad ala fissa per l’impiego da por- Ship) Santa Barbara (LCS 32), mentre il successivo
2 novembre è stata va-
rata la LCS Marinette
(LCS 25) presso gli

L’US Navy ha annunciato i piani


per l’attivazione del primo reparto
cui è destinato a operare il primo
velivolo senza pilota ad ala fissa
per l’impiego da portaerei Boeing
«MQ-25A Stingray», qui ripreso, e
utilizzato per portare a termine
missioni di rifornimento in volo,
con capacità secondarie di sorve-
glianza e intelligence (US Navy).

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Marine militari

Chung-Shan (NCSIST, National Chung-


Shan Institute of Science & Technology)
insieme alla società olandese RH Marine,
saranno responsabili dell’ammoderna-
mento della piattaforma e del sistema di
combattimento dei due sommergibili, che
necessitano di estesi lavori per poter ope-
rare in sicurezza e contrastare le presenti
e future minacce. Tale attività consentirà
di estenderne la vita operativa, potenzian-
done le capacità di comando e controllo,
scoperta e attacco, grazie anche all’acqui-
sizione di nuovi siluri pesanti tipo «Mk 48
Mod 6AT». La Marina di Taiwan dispone
Con una cerimonia tenutasi il 2 novembre presso i cantieri Marinette Marine di Fincantieri
Marine Group in Winsconsin, è stata varata la LCS MARINETTE (LCS 25) quale tredicesima di due vecchi sommergibili classe «Hai
unità della classe «Freedom» (Lockheed Martin).
Shih» che sono stati trasferiti nel 1973 e
la cui operatività non è nota. Il ministero
omonimi cantieri Marinette Marine di Fincantieri della Difesa ha anche annunciato che il programma
Marine Group in Winsconsin, quale tredicesima unità per la progettazione e la costruzione in loco del
della classe «Freedom». primo sottomarino indigeno inizierà il prossimo mese
di novembre.
Consegnato il primo rimorchiatore classe «808»
Il primo rimorchiatore della classe «Yard Tug (YT) Approvata l’acquisizione di sistemi missilistici
808» è stato consegnato nel mese di ottobre all’US antinave costieri
Navy e precisamente alla base navale di Kitsap, Bre- Il dipartimento di Stato americano ha approvato la
merton (Washington). Costruito dai cantieri Dakota possibile vendita al governo di Taiwan di ben 400 mis-
Creek Industries, appartiene alla nuova classe di 6 unità sili antinave Boeing «RGM-84L-4 Harpoon Block II»
«green» in grado di soddisfare gli standard per le emis- in aggiunta a munizioni per l’addestramento e per l’im-
sioni «EPA Tier 4». piego da batterie costiere mobili che comprendono fino
a 100 sistemi di lancio per utilizzo da veicoli ruotati,
TAIWAN 25 unità radar mobili, pezzi di rispetto e addestramento
Ammodernamento della Componente subacquea per il personale.
Alla fine di settembre il ministero della Difesa di
Taiwan ha annunciato che il programma di ammoder- TONGA
namento della Componente subacquea oggi rappre- Seconda unità classe «Guardian»
sentata dai due battelli classe «Chien Lung» sarà Nell’ambito del Pacific Maritime Security Pro-
lanciato il prossimo anno e si svilupperà fino al 2024. gram, la seconda delle unità classe «Guardian» è
Battezzati Hai Lung (793) e Hai Hu (794) ed entrati stata consegnata dalla Difesa australiana al Regno di
in servizio rispettivamente nel 1987 e 1988, i due Tonga. Si tratta dell’unità Ngahau Koula (P 301) co-
sommergibili sono stati acquisiti e costruiti nei Paesi struita dai cantieri australiani Austal, responsabile del
Bassi sulla base del progetto dei battelli classe «Zwa- programma destinato alla realizzazione di 19 unità
ardvis», in servizio con la Marina olandese fino al della medesima classe per 12 nazioni del Pacifico
1994-95. Lo stesso ministero della Difesa ha ag- centrale.
giunto che l’Istituto nazionale di scienze e tecnologie Luca Peruzzi

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RUBRICHE

S CIENZA E TECNICA

Nuove unità navali mercantili con sistemi di MPP (MultiPurPose) con propulsione dual fuel a gasolio
propulsione a basso impatto ambientale e metanolo. Le navi avranno una stazza di 5.300 DWT,
Mentre l’industria marittima affronta le conseguenze una lunghezza di 84,70 metri e una velocità massima di
dell’entrata in vigore, avvenuta il primo gennaio 2020, 12 nodi. Il metanolo alla pressione atmosferica è liquido
dei nuovi limiti all’emissione di ossidi di zolfo da parte in un ampio campo di temperature, tra -98°C e +65°C. È
delle navi mercantili emanato dall’organizzazione inter- fortemente tossico per l’uomo, è difficile da individuare
nazionale marittima delle Nazioni Unite, l’IMO (sulphur senza particolari apparati, e brucia con fiamma invisibile;
cap), ferve l’attività di sviluppo e realizzazione di nuovi rispetto ai combustibili di origine fossile, ha una densità
concetti di propulsione basati su combustibili diversi dai inferiore e un minor potere calorifico, ma è molto infiam-
tradizionali combustibili fossili. Il gruppo multinazionale mabile, con una temperatura d’infiammabilità abbastanza
Wärtsilä ha annunciato nel gennaio 2020 di avere acqui- bassa (11°C-12°C). È solubile in acqua, per cui è impos-
sito dal gruppo armatoriale norvegese Aasen Shipping sibile rimuovere l’acqua che eventualmente entra nei ser-
un ordine per la progettazione e fornitura del sistema di batoi, con conseguenti problemi di densità energetica e
propulsione ibrido per due unità del tipo self-discharging di qualità della combustione. Per contro, se accidental-
bulk carriers da 9.300 DWT. mente disperso in acqua si
Le navi, che saranno co- decompone rapidamente
struite presso il cantiere senza provocare gravi inqui-
olandese Royal Bodewes, namenti. In conclusione i ri-
saranno le prima del loro schi principali di questo
tipo dotate di questo sistema combustibile sono l’incen-
di propulsione. Secondo gli dio, l’esplosione e il contatto
studi condotti congiunta- con gli esseri umani. Grazie
mente da Wärtsilä e dalla all’ottimizzazione idrodina-
compagnia, i maggiori costi mica effettuata presso la
di acquisizione dovuti all’in- vasca navale di Amburgo e
stallazione delle batterie sa- Immagine pittorica tridimensionale delle nuove navi da carico multipurpose all’efficienza del sistema di
ranno più che compensati dotate di sistema di propulsione dual fuel (gasolio ed etanolo) in costru- propulsione il consumo di
zione per la società di navigazione Liberty One (liberty-one.biz).
dai risparmi di combustibile, combustibile è di sole 4,5
anche grazie al contributo fornito dall’agenzia governa- tonnellate di carburante al giorno. L’autonomia è di 5.000
tiva norvegese Enova SF, dedicata alla promozione della miglia se si impiega gasolio, 4.000 se si impiega meta-
produzione e del consumo responsabili dell’energia. nolo, che ha una densità energetica per unità di volume
L’impianto di propulsione, che sarà consegnato al can- inferiore (ma superiore a quella del GNL). Il metanolo è
tiere a partire dalla metà del 2021, comprende, per ogni una materia prima per l’industria chimica, e quindi è di-
nave, un motore Wärtsilä 26 con riduttore ed elica a sponibile in grandi quantità (in un anno se ne trasportano
passo variabile, un quadro elettrico in corrente continua, via mare 100 milioni di tonnellate in più di 120 porti). Il
le batterie e il sistema di gestione dell’energia (power metanolo produce meno inquinamento da ossidi di zolfo
management system). In particolare le batterie alimente- e anidride carbonica rispetto ai combustibili liquidi tra-
ranno le sistemazioni per l’imbarco e lo sbarco del carico, dizionali, ma oggi è prodotto principalmente impiegando
che normalmente sono dotate di motori Diesel. Sempre energia prodotta da fonti fossili, quindi per essere consi-
nel mese di gennaio 2020, due società tedesche, lo studio derato un combustibile «verde» deve essere prodotto im-
di progettazione SDC Ship Design & Consult GmbH di piegando energia prodotta da fonti rinnovabili come
Amburgo e la società armatrice Liberty Group di Brema, l’eolico e il solare.
hanno annunciato l’intenzione di realizzare le prime navi Claudio Boccalatte

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RUBRICHE

C HE COSA SCRIVONO GLI ALTRI

«Libye, le terrain de jeu russo-turc» fornire armi all’Esercito di Haftar), l’Autore non tralascia
LE MONDE DIPLOMATIQUE, SEPTEMBRE 2020 di lanciare i propri strali anche nei confronti della Turchia,
Dalla rivolta popo- di cui denuncia la volontà di espansione nell’area già di
lare del febbraio 2011, influenza ottomana, nel senso che «moltiplica le occasioni
seguita dall’intervento per dimostrare le capacità di proiezione del suo esercito
aereo delle forze del- oltre le frontiere: invasione nel nord della Siria, intervento
l’Alleanza atlantica, la nel Kurdistan iracheno e in Iraq, progetto di una base
Libia è in preda al caos, nello Yemen, insediamento di una base militare in Qatar
alle divisioni interne e e, da ultimo, con la minaccia di occupare militarmente le
alle ingerenze esterne, coste dell’Azerbaigian nel conflitto del Nagorno-Kara-
scrive sulle colonne del bakh». Inoltre, approfittando della situazione libica, il 22
prestigioso mensile novembre 2019, Ankara ha negoziato un accordo con il
francese Jean Michel LNA «ridisegnando le Zone economiche esclusive dei due
Morel. Di qui l’analisi paesi in modo da poter fruire di blocchi di sfruttamento e
della complessa situazione libica divisa in tre parti. «A Est di prospezione del gas naturale nel Mediterraneo orientale
la Cirenaica, in cui a Tobruk ha sede la Camera dei Rap- in aree rivendicate da Cipro e dalla Grecia», creando mo-
presentanti e con Bengasi, divenuta feudo dell’autopro- tivi di grave tensione in seno all’Unione europea e alla
clamato maresciallo Khalifa Haftar, a capo del sedicente stessa NATO. La Turchia deve fare, però, i conti con la
Esercito nazionale libico (LNA); a Ovest, in Tripolitania, Russia, l’altra protagonista determinante del conflitto, lad-
regna quello che prende l’infelice nome di Governo di ac- dove, pur militando in campi avversi (in Libia come in
cordo nazionale (GNA), riconosciuto dall’ONU e presie- Siria e oggi nella regione del Caucaso che vede Mosca
duto da al-Sarraj, con un orientamento politico vicino ai schierata con l’Armenia e Ankara con l’Azerbaijan), nella
Fratelli musulmani; a Sud, nella regione multietnica del loro «alleanza contraddittoria», come la definisce l’Autore,
Fezzan, regnano indisturbati i miliziani Tebu che oscillano alla fine riescono a trovare sempre una «quadra» geopoli-
tra i due campi». Senza ovviamente dimenti-
care gli appoggi esterni, costituiti per il GNA
da Turchia e Qatar (e in maniera più «discreta»
da Italia e Germania), mentre per il LNA da
Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita —
un fronte quindi anti Fratelli musulmani — e,
soprattutto dalla Russia, «ansiosa di rafforzare
— dopo la Siria — i legami mediterranei […]
che le permettano di estendere la propria in-
fluenza al Maghreb e all’Africa subsahariana».
A questi attori si aggiunge poi la Francia che,
senza tagliare i ponti con Tripoli, preferirebbe
una vittoria sul campo di Haftar (la cui millan-
tata blizkrieg contro il LNA, iniziata il 4 aprile
2019, si è però arenata miseramente nelle sab-
bie del deserto!). Molto critico nei confronti di
Parigi (che come membro del Consiglio di si-
curezza, dovrebbe attenersi alla legalità inter-
Cartina geopolitica del caos libico (ottobre 2020).
nazionale, riconoscendo il LNA ed evitando di

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Che cosa scrivono gli altri

tica senza che il loro antagonismo regionale degeneri in ma nelle quali ci si può facilmente perdere non appena
conflitto aperto. Sebbene i loro interessi non sempre coin- «scarrocciamo» dagli eventi più noti! Quello che è im-
cidano, Mosca e Ankara danno l’impressione di sapere portante rilevare è che il Mar Nero e il suo dominio di-
fino a dove l’uno e l’altro possono spingersi senza superare ventano il perno geopolitico di una lotta, durata un secolo
un livello accettabile di conflittualità. «Il futuro della Libia e mezzo, tra i due imperi che si fronteggiano e si combat-
— conclude l’Autore — si giocherà al di fuori degli attori tono nella penisola balcanica e nella regione del Caucaso
nazionali del conflitto, ridotti al ruolo di figuranti. Alla in una panoplia estremamente variabile di alleanze inter-
Conferenza di Berlino [con cui l’Unione europea, con fun- nazionali. Se, infatti, la Guerra di Crimea (1853-56) che,
zioni notarili, ha sanzionato la pace tra LNA e GNA dettata con l’intervento anglo-franco-sabaudo in difesa dei turchi,
da Mosca e Ankara] non erano stati invitati né Sarraj né porta la Russia alla sconfitta, è con la Grande guerra che
Haftar. Ma, soprattutto, non è mai stato chiesto il parere Mosca, la «Terza Roma» (cioè dopo la Roma imperiale e
del popolo libico». Costantinopoli), la protettrice del mondo ortodosso dalle
vessazioni ottomane, rilancia il «grande sogno» del do-
«Relevancia Estratégica del Mar Negro» minio degli stretti (e ci sarebbe riuscita se la campagna di
REVISTA GENERAL DE MARINA, JUNIO 2020 Gallipoli del 1915 non si fosse rivelata un disastro per i
Sul mensile della franco-inglesi). Ma dopo la rivoluzione e la pace separata,
Marina spagnola, fon- se Mosca non si può godere i dividendi della vittoria del-
dato nel 1877 (quindi l’Intesa, lo sconfitto Impero ottomano che si avvia a di-
nove anni dopo la Rivi- ventare Repubblica di Turchia, con il trattato di Sèvres
sta Marittima), l’ammi- prima e di Losanna dopo, nelle travagliate vicende geo-
raglio (ris.) Marcelino politiche del tempo, riesce nonostante tutto a mantenere
González Fernández, in il controllo degli stretti acclarato poi la Convenzione di
un ampio articolo, trac- Montreux (1936). Ma è con la Guerra fredda e la presenza
cia un quadro analitico della Romania e della Bulgaria nel Patto di Varsavia che
del Mar Nero, dal il Mar Nero diventa un «lago sovietico», mentre la Tur-
punto di vista storico, chia, con l’adesione alla NATO, si colloca sul fronte geo-
fisico, geografico, geo- politico opposto, diventando così il bastione sudorientale
strategico e geoeconomico, dall’età moderna ai nostri dell’Alleanza atlantica. La disgregazione dell’Unione So-
giorni. Un mare il cui destino geopolitico è dettato dall’an- vietica nel 1991 («la più grande tragedia geopolitica del
tagonismo russo-turco che si è sempre declinato in una XX secolo» affermerà Putin), ha sottratto alla Russia oltre
panoplia di alleanze contrapposte. In estrema sintesi, in- cinque milioni di km2 di territori, trasformati in Stati in-
discusso «lago ottomano» dal XV secolo, dopo la con- dipendenti, oltre alla perdita d’influenza nell’Estero Vi-
quista di Costantinopoli, delle colonie genovesi in Crimea cino (la Bulgaria e la Romania, come altri paesi
e dell’impero Comneno di Trebisonda, lungo la costiera dell’Europa orientale, sono entrati nella NATO), in un
nordorientale dell’Anatolia al XVII, quando le sorti ormai primo tempo con l’Ucraina si arriva a una definizione dei
periclitanti della Sublime Porta cominciarono a cedere di rapporti bilaterali in ordine alla spartizione della flotta mi-
fronte all’espansionismo marittimo russo che, dopo le litare del Mar Nero (81% a Mosca e 19 a Kiev) nonché
guerre degli anni 1768-74 e la grande vittoria navale russa all’impiego russo della base navale di Sebastopoli, ac-
di Cesmé (5 luglio 1770) con l’annientamento della flotta cordi presto caducati dall’uso strumentale dell’arma delle
ottomana, si conclusero con il trattato di Küçük Kaynarca forniture di gas come arma geoeconomica. Quindi, con
nell’odierna Bulgaria, col quale la Russia si assicurò la la guerra in Georgia (con l’invasione delle repubbliche
sovranità sul mare d’Azov, nonché il transito delle proprie separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud) e in Ucraina
navi attraverso gli stretti. Quanto sono complesse e intri- stessa (con l’annessione della Crimea e l’intervento nel
cate le vicende della storia, che ci sembra di conoscere Donbass a sostegno delle forze separatiste sino ai recenti

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Che cosa scrivono gli altri

gravissimi incidenti con le unità militari nello stretto di mentre l’Unione europea continua a finanziare vari pro-
Kerch del dicembre 2018), la Russia di Putin mostra quali getti a sostegno degli Stati rivieraschi (l’Autore ne illustra
siano le linee maestre della propria politica estera nell’as- ben sei di grande rilievo) e gli «Estados Unidos y la
serire la propria primazia nello spazio ex sovietico, in ma- OTAN — «mostrando la bandiera» con le proprie mis-
niera da distanziarlo sempre più dall’Unione europea e sioni navali di presenza e sorveglianza, manifestano la
dall’Alleanza atlantica. Il tutto con particolare riguardo precisa volontà di — «utilizar sus aguas internacionales
alle risorse energetiche (proprio lo scorso 21 agosto è stata como las de cualquier otro rincón del planeta», per im-
annunciata la scoperta, nell’area marittima sotto giurisdi- pedire che il Mar Nero si trasformi in «mare clausum»
zione turca, di un grande giacimento di gas naturale sti- sotto l’egemonia moscovita. Corsi e ricorsi della storia si
mato in 320 miliardi di m3) e ai contrastati progetti di riflettono così nel Mar Nero, crogiolo di civiltà, religioni
trasporto di energia tramite pipeline sottomarine (dal e interessi più diversi, mare sempre «diviso» nonostante
South Stream, progetto affossato nel 2014 al TurkStream i vari tentativi di elaborare una cornice comune (ricor-
per intenderci, https://it.Insideover.com/ economia/south- diamo al riguardo, da ultimo, il Foro del Mar Nero per il
stream-loccasione-persa-dellitalia.html). Un contesto nel dialogo e la cooperazione del 2005). Un quadro dunque
quale la comunità internazionale ha reagito con l’appli- complesso in cui la storia sembra ripetersi in «un mar in-
cazione delle sanzioni contro la Russia a seguito dell’oc- terior otomano hasta finales del siglo XVIII, su situación
cupazione della Crimea definita «illegittima e illegale», en el XIX estuvo marcada por la hegemonía rusa, por el
duro control de la URSS durante la Guerra fría, por la
pérdida de influencia rusa a partir de 1991 en favor de
Occidente y de nuevo en manos de Rusia en el presente».
Un presente, aggiungiamo, caratterizzato da un inedito e
pericoloso avvicinamento geopolitico tra Mosca e An-
kara, membro storico della NATO, maturato nel caos si-
riano e libico e rafforzato dai contrasti tra Ankara e paesi
dell’Unione europea (Grecia e Repubblica greca di Cipro)
in ordine alla definizione dei «confini del mare» nel Me-
diterraneo orientale.

«Tre bandiere per due sommergibili»


LIBERO, 22 AGOSTO 20
La vittoria navale russa di Cesmé, nel quadro di Jacob Phillip Hachett
(it.topwar.ru).
«Per la maggior parte dei 3.430 militari italiani, la
guerra finì l’8 settembre; per 850.000 combattenti di
Salò, terminò con la resa della Germania l’8 maggio
1945, ma uno sparuto gruppo di nostri marinai depose
le armi solo il 2 settembre 1945 con la formalizzazione
della resa del Giappone — scrive nella sua rapida sin-
tesi Andrea Cionci, sulle colonne del quotidiano in
esame — È la storia degli equipaggi dei sommergibili
Comandante Cappellini e Luigi Torelli sulla cui tolda
sventolarono ben tre bandiere: il tricolore con lo scudo
sabaudo, la svastica e infine il Sol Levante rosso in
campo bianco». Nota la vicenda avventurosa del peri-
I confini del mare negli accordi Ucraina-Russia (2003), Ucraina-Romania
(2009) e Turchia-ex Unione Sovietica (1978), da rivedere alla luce dell’oc- plo in Estremo Oriente dei sommergibili italiani, che
cupazione russa della Crimea (2014) - (limesonline.com).
avevano già marcato la precedente storia della guerra

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Che cosa scrivono gli altri

sottomarina (al riguardo, in particolare, a titolo esem- terzo a Sebang (in Indonesia). Dapprima gli equipaggi fu-
plificativo, https://www.marina.difesa.it/media-cul- rono arrestati dai giapponesi, poi dopo la costituzione
tura/Notiziarionline/Pagine/202021016_130_ della Repubblica Sociale italiana, il personale che vi aderì
anni_di_sommergibili.aspx), la cui genesi si ritrova insieme ai tedeschi, riarmò i sommergibili che, alle dipen-
negli accordi nippo-tedeschi sullo scambio di materiali denze del comando tedesco di Penang, innalzarono la
strategici (prodotti chimici vs. gomma grezza, stagno e bandiera del Reich, assumendo la nuova denominazione
metalli rari) e in quelli italo-tedeschi sull’utilizzo di alcuni di U. IT. 23, 24 e 25 (Italienische Unterseeboot) e conti-
sommergibili oceanici debitamente modificati, di stanza nuando a combattere contro gli anglo-americani. L’ U. IT.
a Bordeaux in cambio di U-Boot tedeschi per la Regia 23 (ex Giuliani) venne affondato nello stretto di Malacca
Marina. Dei cinque nostri sommergibili che presero la de- nel ’44, mentre gli altri due proseguirono le loro missioni
nominazione di «Flotta del Monsone», due di essi scom- sino alla resa della Germania. Anche questa volta gli equi-
parvero in Atlantico (Tazzoli e Barbarigo) e solo tre paggi vennero internati, ma un paio di mesi dopo, con
(Giuliani, Torelli e Cappellini) riuscirono a proseguire nel l’integrazione delle due unità nella Marina giapponese,
lungo e difficile periplo durante il quale, il fatidico 8 set- alcuni marinai tedeschi e una ventina di italiani decisero
tembre 1943, i primi due furono colti a Singapore e il di continuare la guerra issando la Kyokujitsu-ki, cioè la
bandiera del Sol Levante, assumendo
la nuova identificazione di I - 503 e I
- 504 e continuando, dalla base di
Kobe, la lotta usque ad finem! Tant’è
che «durante il bombardamento ame-
ricano del 22 agosto 1945 su Kobe,
l’equipaggio italiano del Cappellini (o
del Torelli, secondo altre fonti) con la
mitragliera Breda da 13,2 mm, tirò
giù un bombardiere Usa B - 25 Mit-
chell. Fu con ogni probabilità l’ultimo
successo militare nello spirito del
Patto Tripartito», ormai in stato termi-
nale alla vigilia della resa del Giap-
pone. Veramente incredibili dunque le
vicende dei sommergibili italiani fuori
dagli stretti, troppo presto invero di-
menticate, ma per fortuna «L’Historia
— come leggiamo nel manoscritto
seicentesco che, nella finzione lettera-
ria, il Manzoni poneva alla base della
sua più celebre opera — si può vera-
mente deffinire [sic] una guerra illu-
stre contro il Tempo, perché
togliendoli di mano gl’anni [sic] suoi
prigionieri, anzi già fatti cadaveri, li
Immagini dei sommergibili oceanici Cappellini e Luigi Torelli, rispettivamente classe «Marcello» e
passa in rassegna e li schiera di nuovo
«Marconi», che prestarono servizio in tutte e tre le Marine dell’Asse (liberoquotidiano.it e conlapelle- in battaglia».
appesaaunchiodo.blogspot.com).
Ezio Ferrante

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RUBRICHE

Recensioni e
RECENSIONI E SEGNALAZIONI
Enrico Cernuschi Ma, quelle che il lettore attento farà subito proprie,
sono le molte analogie fra avvenimenti e situazioni
L’ultimo sbarco in che si svolgono a distanza di secoli. L’A. ci porta per
mano a capire, attraverso le guerre del passato più re-
Inghilterra
moto, anche le ragioni profonde di quelle a noi tem-
Le galee dei Medici e
degli Strozzi contro
poralmente più vicine e ci rende edotti, qualora non
Enrico VIII (1543-1551) l’avessimo capito, che una guerra economica è anche
oggi in corso, secondo le stesse logiche del passato.
Quali possano essere gli esiti di questo conflitto,
Mursia Editore chi i vincitori e come l’Italia possa «piazzarsi»…,
Milano 2018 sono tutte ipotesi che vengono avanzate in maniera
pp. 178
sobria e razionale da chi la materia la conosce bene.
Euro 17
Non voglio togliere la suspense del racconto a chi, in-
curiosito, leggerà il libro. Dico solo che, come spesso
nelle opere del Nostro, la sua posizione è abbastanza
L’A., Enrico Cernuschi, è ben noto ai lettori della ottimista circa i destini del nostro paese (che, per in-
Rivista Marittima. In particolare, di lui è molto ap- ciso, ha le terze riserve d’oro al mondo) e di ciò gli
prezzata la serietà di ricercatore; grazie a essa, negli siamo grati perché di questo ottimismo, oggi come
ultimi anni, egli è stato capace di raccontare la storia oggi, c’è proprio molto bisogno.
navale in maniera difforme da quella che, soprattutto
da fonti britanniche, era percolata sino nei libri di sto- Paolo Bembo
ria, anche nostrani, avallando la figura di un combat- Marco Valle
tente italiano sul mare pasticcione, non particolarmente
coraggioso e sicuramente inferiore all’avversario.
Ecco, quella che invece, grazie a lui, emerge dalle Suez. Il Canale,
fonti primarie è il caso di ribadirlo «… è tutt’un’altra l’Egitto e l’Italia
storia! ...». In essa, il marinaio italiano, il combat- Da Venezia a Cavour,
tente italiano, è determinato, competente, spesso su- da Mussolini a Mattei
periore al proprio rivale e in possesso di iniziativa e
creatività da vendere. Ciò è particolarmente vero nel historica edizioni
caso dell’ultimo conflitto mondiale, ma scopriamo Cesena 2018
dalle ricerche dell’A. che era così anche molti secoli pp. 336
or sono, come nel caso dell’opera che ci troviamo a Euro 22
trattare. Siamo di fronte a quello che sembrerebbe un
ritaglio di storia molto di nicchia e in parte è così.
Anche se in una prospettiva storica difforme, trattan-
dosi di un’epoca e di situazioni diverse, il motivo Sin dall’antichità il Mediterraneo era stato non
conducente è quello che già conosciamo da opere solo il centro motore degli scambi economici inter-
precedenti: la riscoperta di azioni meritorie — spesso nazionali e culturali, ma anche un luogo di crescita
gloriose — da parte di condottieri italiani, special- sociale e tecnologica. L’unico mare al mondo, dal
mente sul mare, che sono quasi sempre ignorate dal valore geopolitico nettamente superiore a quello geo-
grande pubblico; viene inoltre posta in evidenza l’alta grafico, capace d’essere trait d’union fra tre conti-
valenza del potere marittimo, in quasi tutte le situa- nenti. Il suo controllo garantiva la possibilità di facili
zioni in cui siano in ballo le economie delle nazioni, arricchimenti soprattutto sfruttando la redditizia via
ora come allora. commerciale delle Indie, con la compravendita di
La chiarezza della visione marittima di un banchiere sete, ambra e spezie che, è bene ricordarlo, oltre a
fiorentino come Filippo Strozzi, le imprese marinare e garantire cospicui guadagni, quest’ultime erano in-
militari di Pietro e Leone Strozzi, anche in mari lontani dispensabili per i processi di conservazione delle
dal Mediterraneo, fanno da sfondo alle lotte per il potere carni e dei cibi in genere. Proprio per evitare i pe-
economico fra le nazioni di quel turbolento ’500. santi dazi doganali veneziani e turco-ottomani e poi-

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Recensioni e segnalazioni

ché la tradizionale via orientale costituiva un grande in quegli anni, impegnato nella costruzione della
rischio, il Portogallo, per primo, con Dias (1487) ferrovia adriatica e nell’apertura del Moncenisio del
iniziò a ricercare una via marittima per l’India cir- Fréjus. Impressiona davvero come i temi e le neces-
cumnavigando l’Africa, seguendo l’esempio dei fra- sità affrontate dalla nostra classe politica dell’epoca
telli genovesi Vivaldi. Poi, fu il tempo degli siano praticamente gli stessi che si sono riproposti
spagnoli con un altro genovese: il famoso Cristoforo dopo l’ampliamento del canale di Suez. Infatti, per
Colombo (1492). Con la scoperta delle nuove rotte Torelli «il dibattito su Suez non stava producendo
e con quella del nuovo mondo il Mediterraneo perse risultati concreti, anzi proprio la mancanza di ini-
il suo antico splendore e la sua importanza, fino a ziative … da parte della finanza, e l’inattività della
quel fatidico 17 novembre 1869, quando venne classe politica, costituivano i principali ostacoli
inaugurato ufficialmente il canale di Suez. Da quel allo sviluppo commerciale del paese». In più «l’Ita-
momento il Mediterraneo tornò molto rapidamente lia doveva prepararsi a quella “rivoluzione co-
a giocare un ruolo fondamentale nei destini econo- smica” che avrebbe riportato il Mediterraneo “al
mici del mondo. Gli scambi commerciali aumenta- centro della terra abitabile”». Un tema attualissimo
rono notevolmente aprendo opportunità politiche, soprattutto dopo i recenti lavori e la creazione della
economiche e commerciali mai viste prima. In Belt and Road Initiative che tanto ha stravolto il
fondo, come ben sottolineato dall’autore, con il ca- mondo mercantile attuale. Oggi come ieri si parla
nale di Suez il globo divenne più piccolo e quel dell’Italia e del suo Mezzogiorno come piattaforma
corso d’acqua fu, ieri come oggi, il terreno di scon- logistica naturale dell’Europa, ma oggi come ieri,
tro delle grandi potenze. Proprio nel delineare i tanti soprattutto, il nostro Meridione ha bisogno di cospi-
interessi politici ed economici nella progettazione, cui investimenti per portare il suo complesso infra-
realizzazione e gestione del canale, l’autore ci guida strutturale in linea, non solo con i canoni europei,
per mano, con uno stile giornalistico molto grade- ma anche e soprattutto in conformità con le nuove
vole, che nulla cede al rigore scientifico, nella com- esigenze mercantili e commerciali mondiali.
prensione del ruolo italiano in quell’opera che In pratica, proprio il lavoro di Valle certifica la cir-
cambiò indubbiamente il modus operandi dell’eco- colarità storica vichiana sottolineando, però, come
nomia e della politica delle grandi potenze. Infatti, tali cicli siano asimmetrici a causa di quelle accele-
l’antico Mare nostrum, oltre a tornare a essere in razioni storiche tipiche della storia contemporanea,
pratica la Wall Street dell’epoca, era anche la via più scoperte dall’eccezionale intuito e sensibilità di Jules
breve per quel ricco oriente che da lì a breve sarebbe Michelet. Insomma il lavoro di Valle non solo ci con-
divenuto uno dei più importanti mercati del mondo. sente di rileggere la storia del canale scoprendo che,
Non sorprende quindi come proprio il canale e con se pur in maniera residuale, l’Italia ne ha avuto un
esso il Mediterraneo divenne il pivot della strategia ruolo, ma con forza ci da l’opportunità di leggere il
imperiale inglese, come si comprende dalla politica presente con un consapevole sguardo al passato. In-
di lord Salsbury e da Churchill. In questo compli- fatti, è inevitabile, leggendo questo lavoro, non ri-
cato ma affascinante contesto, s’innesta il ruolo ita- cordarsi della massima di Tucidide secondo la quale
liano e le vicende del progettista del canale, il «bisogna conoscere il passato per capire il presente
trentino Negrelli, che si è trovato a operare in un e orientare il futuro». Altro pregio, in questo volume,
ambito internazionale caratterizzato da un continuo come ben rilevato dalla bella prefazione di Eugenio
capovolgimento di fronti, condotto dalle più impor- Di Rienzo, è quello di colmare una lacuna storiogra-
tanti potenze dell’epoca: Inghilterra, Francia e Au- fica, in riferimento al ruolo che il fascismo ebbe nel
stria-Ungheria. L’Italia postunitaria avrebbe potuto tentativo di «spezzare la sbarre del Mediterraneo
giocare un ruolo nel controllo del canale? Probabil- che imprigionavano l’Italia nel suo stesso mare» cer-
mente sì, ma il giovane regno doveva fare i conti cando di far rientrare il paese nella compartecipa-
con i debiti contratti durante le guerre d’indipen- zione di Suez. Un tentativo fallito, poi ripreso da
denza e con il grande sforzo di sviluppare le infra- quella classe dirigente nazionale, costituita da De
strutture indispensabili per modernizzare il paese Gasperi, Mattei, Fanfani, e poi con Andreotti, Moro,
così fortemente carenti nel Mezzogiorno. Per cui, la Craxi, Berlusconi, che comunque tentò di giocare un
coperta economica era talmente corta che sarebbe ruolo in quell’area del mondo così importante per gli
stato impossibile acquisire importanti quantità azio- interessi nazionali.
narie. Una verità ben presente al valtellinese Torelli Alessandro Mazzetti

130 Rivista Marittima Novembre 2020


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Recensioni e segnalazioni

A ricordarcelo, in un silenzio carico di insegnamenti e


(a cura di) Chiara Mercuri pensieri su cui soffermarci, sono anche i tanti Caduti
(adattamento inglese di)
Luca Fratangelo che riposano nei Sacrari e le tante storie ed eventi «rac-
contate» nei nostri Musei.
Il mestiere delle armi Ministro della Difesa
Guida ai musei Lorenzo Guerini
e ai sacrari militari
I Sacrari e i Sepolcreti che accolgono le spoglie di
Edizioni All Around
migliaia di giovani soldati e civili che hanno perso il
Roma 2020
pp. 208 bene più prezioso, la vita, per la Patria sono, per il Com-
Euro 12 - ebook 4,99 missariato Generale per le Onoranze ai Caduti, Luoghi
della memoria carichi di significati che, oltre a evocare
Parlare di memoria è un dovere e una grande re- i singoli eventi e fatti storici, racchiudono in sé le storie
sponsabilità, perché è attraverso la forza aggregante e il sacrificio di migliaia di famiglie.
della memoria che una collettività si plasma e diventa Il Commissariato Generale, in oltre un secolo di at-
popolo. Memoria di fatti, luoghi e persone che hanno tività, non ha mai smesso di ricercare i Caduti tuttora
scritto, insieme, la storia di un paese. Coltivare la me- dispersi e di curare e valorizzare i Sacrari per mante-
moria significa anche riconoscere l’impegno affidato nere sempre viva la memoria, tramandandola alle
a chi è chiamato a custodirla, diffonderla e traman- nuove generazioni.
darla. I Sacrari e i Musei militari sono per questo luo- I Sacrari sono, infatti, considerati veri «Luoghi di
ghi significativi: i primi sono nati per onorare il Vita», attraverso i quali, in maniera trasversale e aggre-
sacrificio e dare degna sepoltura a coloro che hanno gante, senza distinzione di religione, credo politico e
combattuto per la conquista dell’indipendenza e della nazionalità, vengono resi ai Caduti i giusti onori e assi-
libertà del popolo italiano; i secondi raccontano di un curata loro la gratitudine eterna della nazione.
mondo, quello militare, che da sempre cammina di Per questi motivi i Sacrari sono meta di visita e di
pari passo con la vita del paese. pellegrinaggio da parte di migliaia di persone, scolare-
L’esempio dei nostri Caduti insegna il valore del sa- sche e turisti e, rappresentando un vero simbolo del-
crificio, lo stesso che tanti uomini e donne delle nostre l’unità nazionale, sono i luoghi dove le più alte cariche
Forze armate compiono ogni giorno, ora come allora, dello Stato commemorano gli eventi più significativi
in Patria e all’estero, per garantire la difesa del paese per la nazione.
e la sicurezza internazionale. Desidero per questi mo- Il libro, al quale il Commissariato Generale ha atti-
tivi esprimere il mio particolare apprezzamento per la vamente contribuito, costituisce un importante stru-
pregevole iniziativa editoriale Il Mestiere delle Armi. mento di valorizzazione favorendo, attraverso una
Guida ai Sacrari e ai Musei militari che non è, a di- lettura agile e dinamica, un più ampio avvicinamento
spetto del titolo, una «semplice» guida turistica, un ma- di questi luoghi simbolo a un pubblico sempre più vasto
nuale divulgativo a uso di quanti vogliano conoscere ed eterogeneo.
il pur interessante patrimonio architettonico dei Sacrari Questo volume si inserisce a pieno titolo nel più
e dei Musei militari presenti nel nostro paese. Essa rap- ampio progetto di valorizzazione di quei «Momenti» e
presenta un vero e proprio omaggio alla memoria del dei «Luoghi» che hanno fatto da scenario alla storia
nostro popolo, alla nostra storia nazionale, uno stru- d’Italia e, come pochi altri credo, ha la qualità di riu-
mento per pensare e non restare indifferenti. Allo scire a mantenere vive e attente le coscienze.
stesso modo rivolgo il mio più sentito ringraziamento Coscienze a cui si indirizza la missione del Commis-
al Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti sariato Generale per le Onoranze ai Caduti che, attra-
per la preziosa collaborazione alla realizzazione del- verso la perenne valorizzazione del culto della
l’opera e a tutte le donne e agli uomini della Difesa che memoria, riunisce e interpreta i più alti aspetti valoriali
operano al fine di curare e valorizzare il patrimonio che sono a fondamento di una nazione e, ponendosi
culturale e architettonico rappresentato dai Sacrari e come elemento di collegamento tra generazioni, di fatto
dai Musei militari. Credo che uno dei compiti fonda- fornisce i capisaldi grazie ai quali uno Stato viene vis-
mentali delle Istituzioni sia proprio quello di educare suto dai propri cittadini come «Patria».
le nuove generazioni in questa direzione: far capire chi Commissario Generale per le Onoranze ai Caduti
siamo, partendo dalla conoscenza del nostro passato. Gen. C.A. Alessandro Veltri

Rivista Marittima Novembre 2020 131


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L’ULTIMA PAGINA

RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

NEL PROSSIMO NUMERO


ECONOMIA E POTERE MARITTIMO
ERRATA CORRIGE Fascicolo di Settembre 2020
La fonte delle immagini a p.25 è l'Istituto Idrografico della Marina Militare.

LA COLLABORAZIONE ALLA RIVISTA È APERTA A TUTTI.


IL PENSIERO E LE IDEE RIPORTATE NEGLI ARTICOLI SONO DI DIRETTA RESPONSABILITÀ DEGLI AUTORI
E NON RIFLETTONO IL PENSIERO UFFICIALE DELLA FORZA ARMATA.
RIMANIAMO A DISPOSIZIONE DEI TITOLARI DEI COPYRIGHT CHE NON SIAMO RIUSCITI A RAGGIUNGERE.
GLI ELABORATI NON DOVRANNO SUPERARE LA LUNGHEZZA DI 12 CARTELLE E DOVRANNO PERVENIRE IN DUPLICE COPIA DATTILOSCRITTA E
SU SUPPORTO INFORMATICO (QUALSIASI SISTEMA DI VIDEOSCRITTURA). GLI INTERESSATI POSSONO CHIEDERE ALLA DIREZIONE LE RELATIVE
NORME DI DETTAGLIO OPPURE ACQUISIRLE DIRETTAMENTE DAL SITO MARINA ALL’INDIRIZZO HTTP://WWW.MARINA.DIFESA.IT/CONOSCIA-
MOCI/EDITORIA/MARIVISTA/PAGINE/NORMEPERLACOLLABORAZIONE.ASPX.
È VIETATA LA RIPRODUZIONE ANCHE PARZIALE, SENZA AUTORIZZAZIONE, DEL CONTENUTO DELLA RIVISTA.

132 Rivista Marittima Novembre 2020


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NOVEMBRE 2020

NOVEMBRE 2020 - Anno CLIII


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La formazione marittima e navale in Italia
Flavio Biaggi, Massimiliano Siragusa, Antonio Donato, Emiliano Beri, Fabio De Ninno, Giuseppe Piazza

10
Copertina completa.qxp 16/12/20 22:35 Pagina 3

Fabio CAFFIO

GLOSSARIO

GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE


DI DIRITTO DEL MARE
Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato

V Edizione
Supplemento alla Rivista Marittima V RIVISTA MARITTIMA 2020
Novembre 2020
Impaginato.qxp_Layout 1 20/12/20 20:07 Pagina 1

Fabio CAFFIO

GLOSSARIO
DI DIRITTO DEL MARE
Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato

V Edizione
RIVISTA MARITTIMA 2020
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Glossario di Diritto del Mare

Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione


Capo dell’Ufficio, Contrammiraglio ANGELO VIRDIS

Rivista Marittima
Direttore Responsabile, Capitano di vascello DANIELE SAPIENZA
Capo Redattore, Capitano di fregata DIEGO SERRANI
Redazione - Art Director, Guardiamarina GIORGIO CAROSELLA
Redazione, Secondo capo scelto QS GIANLORENZO PESOLA

Copyright © 2020

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Glossario di Diritto del Mare

INDICE

PRESENTAZIONE ............................................................................................................................ Pag. 5

PREFAZIONE .................................................................................................................................... Pag. 6

PREMESSA ......................................................................................................................................... Pag. 8

ABBREVIAZIONI E AVVERTENZE ............................................................................................... Pag. 10

GLOSSARIO ....................................................................................................................................... Pag. 12

NOTA CONCLUSIVA ....................................................................................................................... Pag. 219

POSTFAZIONE ................................................................................................................................. Pag. 221

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Glossario di Diritto del Mare

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Glossario di Diritto del Mare

PRESENTAZIONE

Con la pubblicazione del Glossario di Diritto Del Mare - Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato,
V edizione rivista e aggiornata, a cura dell’ammiraglio Fabio Caffio, la Biblioteca marittima nazionale
si arricchisce di un ulteriore prezioso Supplemento — disponibile anche online al sito www.marina.di-
fesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Pagine/Supplementi.aspx —, preceduto dalla Prefazione (con
la P maiuscola), lucida e godibile, di Lucio Caracciolo, fondatore e Direttore di Limes (1), a testimonianza
di un crescente interesse nazionale per il Diritto del mare sotto una molteplice ottica: giuridica, geopo-
litica ed inevitabilmente strategica.
Nella mia qualità di Direttore della Rivista Marittima non credo, pertanto, di aver nulla da aggiungere
se non, in quanto ufficiale della Marina Militare, permettermi un semplice suggerimento: i lettori non lo
mettano in biblioteca (accanto o sostituendo la precedente versione di questo vademecum) riservandosi
di riprenderlo quando — inevitabilmente, prima o poi — ne avranno bisogno. Lo sfoglino invece subito,
almeno un poco. Qui l’occhio esercitato troverà immediatamente le novità, mentre uno meno avvezzo
ma dotato di curiosità proverà divertimento; chi, invece, non lo conosceva, vedrà aprirsi un mondo in-
sospettato e, lo garantisco, affascinante. Un universo culturale dai profondi risvolti pratici, funzionale
alla conoscenza di una realtà che, sempre di più e sempre più spesso, ci coinvolge e chiede incessante-
mente di essere compresa.
Così l’auspicio della Rivista Marittima è che queste pagine continueranno ad accrescere e ad alimentare
la consapevolezza di tutti in merito alle leggi, non eludibili, del mare, al rispetto che esso richiede e alle
infinite opportunità, magari ancora da cogliere e realizzare, che la sempre felice unione della conoscenza
con la consapevolezza e la fantasia generano in ogni tempo.

Il Direttore della Rivista Marittima

(1) LIMES: Rivista Italiana di Geopolitica. GEDI Gruppo Editoriale SpA; limesonline.com.

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Glossario di Diritto del Mare

PREFAZIONE

Alla passione e alla competenza dell’ammiraglio Fabio Caffio si deve questa quinta edizione del Glos-
sario di Diritto del Mare. Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato, meritoriamente pubblicata dalla Ri-
vista Marittima. Manuale indispensabile non solo a chi nel mare naviga, ma all’intera nostra comunità
nazionale, circondata dalle acque eppure lontana dall’aver riconquistato la coscienza marittima che, non
solo per il glorioso passato, dovrebbe costituire parte determinante della pedagogia pubblica e della stra-
tegia geopolitica.
Il lettore troverà in quest’opera una rassegna completa e approfondita delle norme e delle consuetudini
che invitano a una gestione regolata e cooperativa degli spazi marittimi, di crescente rilievo geopolitico.
Nell’immenso spazio dell’oceano mondo, per sua natura intrinsecamente anarchico, la competizione
non sempre pacifica fra potenze ha trovato negli ultimi anni nuovi motivi di contrasto. Che si tratti di
diritti di pesca, di accesso a risorse minerarie, di libera circolazione delle merci o di puro prestigio, la
tendenza ad affermare specifici diritti su tratti di mare sempre più ampi è stigma del tempo nostro. Sullo
sfondo, echeggiano gli antichi dibattiti su Mare Liberum (Grozio) o Mare Clausum (Selden), per tacere del
Trattato di Tordesillas, mediato nel 1494 da papa Alessandro VI (Borgia), che bipartiva l’orbe terracqueo
fra Spagna e Portogallo con taglio meridiano. O ancora, le inevitabili, permanenti contrapposizioni fra
paesi costieri e paesi senza accesso al mare.
Storia e geopolitica confermano insomma che una visione davvero universalistica, come quella ideal-
mente postulata dal diritto, è inapplicabile. Comunque inapplicata. Allo stesso tempo, è costantemente
invocata a difesa dei propri interessi particolari da questo o quell’attore geopolitico, nella logica del co-
siddetto lawfare. Il diritto del mare è disciplina dunque decisiva per qualsiasi Stato si occupi della distri-
buzione del potere nella dimensione oceanica, non fosse che per opporre, quando necessario alla
protezione degli interessi nazionali, la propria interpretazione a quella altrui.
L’utilità del Glossario dell’ammiraglio Caffio è direttamente proporzionale alla scarsa coscienza pub-
blica della decisiva importanza del mare per la nostra esistenza collettiva e individuale. È sulle e sotto
le onde che si giocano partite decisive per l’ambiente, per l’economia e per la geopolitica italiana. Pur se
il profilo della nostra quasi isola è disegnato da circa 8.000 chilometri di coste, sembrerebbe che il titolo
del celebre romanzo di Anna Maria Ortese — Il mare non bagna Napoli — debba essere esteso all’Italia
tutta. Molte e diverse ragioni contribuiscono a spiegare questo paradosso. La postura urbanistica stessa
di molte città e località costiere italiane, guardate da torre di avvistamento e con le spalle al mare, con-
siderato fomite di minacce più che di opportunità, ce ne ricorda le origini antiche, quando le scorrerie di
saraceni (arabi) e turchi, percepiti mortali nemici della cristianità, producevano uno specifico genere di
quei «treni di paura» su cui Jean Delumeau ha scritto pagine decisive. Più di recente, la catastrofica scon-
fitta nella Seconda guerra mondiale, che spazzò via la potenza navale italiana, finallora una delle mas-
sime al mondo, e il trattamento seccamente punitivo inflitto dai vincitori alla nostra flotta con il Trattato
di pace del 1947, ha lasciato traccia profonda nella coscienza nazionale. Infine, ma non ultimo, il ricorrere
della costante campanilistica tipica della storia italiana, a suo tempo espressa a supremi livelli nella ri-
valità fra le repubbliche marinare, si riflette nella competizione fra gli scali italiani e fra le autorità de-
putate a gestirli, in carenza di una strategia o anche solo di una regìa nazionale.
Il concetto di Mediterraneo allargato cui l’ammiraglio Caffio fa riferimento è acquisizione recente della
nostra dottrina navale. Con esso si esprime l’intenzione di non limitare il nostro approccio al mare do-
mestico, all’ex Mare nostrum, ma di considerarne la scala oceanica. Non solo. Come ha recentemente af-
fermato il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, «stiamo
allargando il Mediterraneo allargato». Fino a considerare l’impiego della nostra flotta nell’altro Mediterra-
neo, quello asiatico (Mar Cinese Meridionale) dove si concentra oggi lo scontro fra Cina e Stati Uniti.

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Glossario di Diritto del Mare

Ovvero fra il «numero due» al mondo, che potenza marittima mai fu e ora capisce di doverlo diventare
per soddisfare le proprie ambizioni, e il «numero uno», che da quando ha assunto una dimensione in-
formalmente ma effettivamente imperiale, al di là della massa continentale nordamericana, è ben conscio
di come il suo rango derivi anzitutto dal controllo delle rotte marittime, attraverso cui passa il 90% delle
merci distribuite nel pianeta.
Tale competizione si riflette anche nelle acque mediterranee, di fatto medioceaniche: la rilevanza stra-
tegica del mare di casa sta anzitutto nella sua funzione di stretto fra gli oceani Atlantico e Indo-Pacifico,
ovvero di connessione fra Oriente e Occidente. Questo spiega anche l’inasprirsi della territorializzazione
del Mediterraneo, che noi abbiamo a lungo trascurato, fin quasi a trovarci circondati da zone marittime
altrui. Le definizioni e le analisi che Caffio dedica in questo Glossario alle Zone Economiche Esclusive
(ZEE) merita quindi un’attenzione tutta speciale, soprattutto da parte dei decisori politici. Tanto più
dopo che la Camera dei deputati ha licenziato una legge che ci consente finalmente di istituire una nostra
ZEE. In attesa che questa passi al Senato e torni (probabilmente) alla Camera, e considerando i tempi
tecnici necessari alla definizione e all’applicazione della ZEE italiana, rischiamo di trovarci di fronte a
fatti compiuti difficilmente alterabili. In ogni caso, è prevedibile che la ZEE italiana implicherà una serrata
negoziazione con paesi vicini. Siamo certi che i nostri rappresentanti chiamati a dirimere tali dispute
geopolitico-legali terranno bene in vista, sul loro tavolo di lavoro, questo manuale. Ci auguriamo ne fac-
ciano buon uso.

Lucio Caracciolo

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Glossario di Diritto del Mare

PREMESSA

Molto è cambiato negli ultimi decenni nella disciplina del diritto del mare per via dello sviluppo di
nuovi strumenti internazionali e di nuove prassi volte a garantire un uso sostenibile degli oceani quali
global commons. L’esigenza di una governance condivisa è emersa soprattutto per l’Artico, nuova frontiera
delle sfide climatiche. Per non dire della lotta alla pirateria e ai traffici illeciti via mare che vede le Marine
di tutto il mondo collaborare tra loro nello svolgimento dello storico ruolo di garanti della libertà di na-
vigazione.
Non ultimo è inoltre, sul piano della cooperazione internazionale, il salvataggio in mare dei migranti:
quello che è un imperativo morale e giuridico in teoria condiviso da tutti gli Stati, di fatto è stato un ob-
bligo che l’Italia ha assolto spesso in solitudine, senza risparmio di energie, grazie all’impegno congiunto
delle Forze marittime di Marina, Capitanerie di porto-Guardia costiera e Guardia di Finanza, del naviglio
mercantile di bandiera e delle ONG (Organizzazioni non governative).
L’eterno conflitto tra le pretese degli Stati costieri (legate al principio secondo cui la terra domina il
mare) e quelle dei paesi maggiormente interessati al libero uso del mare è purtroppo diventato ancor più
evidente. Si pensi alla contesa del Mar della Cina o all’inarrestabile processo di dichiarazioni, anche uni-
laterali, di ZEE (Zone economiche esclusive) nel Mediterraneo.
Naturale quindi continuare a guardare al mare, oltre che come bene comune, anche dal punto di
vista della tutela degli interessi nazionali. L’esigenza riguarda in primis il nostro paese, soprattutto
perché l’Italia evidenzia una sua specifica tendenza ad agire in termini per così dire universalistici
che la penalizza.
L’iniziale impostazione pragmatica del presente Glossario di Diritto del Mare — che ne fa una sorta di
compendio di diritto delle operazioni navali a beneficio del personale della Marina — è stata mantenuta
in questa nuova edizione. Per questo, si è anche continuato a prevedere voci, non strettamente inerenti
al diritto del mare, relative a discipline contigue come il diritto dei conflitti armati sul mare o il diritto
della navigazione.
Dare al lettore una visione complessiva dei mari, in particolare di quelli del Mediterraneo e dei bacini
adiacenti e strategicamente connessi (inquadrabili nel Mediterraneo allargato), in una prospettiva geopo-
litica oltre che giuridica, è in definitiva il taglio che contraddistingue il Glossario. Il lavoro è dedicato,
come per il passato, all’Italia, grande paese marittimo le cui bandiere navali (militari, di Stato e mercantili)
portano ovunque, sul mare, l’immagine della nazione.

L’autore

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Glossario di Diritto del Mare

BANDIERE NAVALI ITALIA

Bandiera Navale Militare

Bandiera Navale Mercantile

Bandiera navi servizio governativo non commerciale

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Glossario di Diritto del Mare

ABBREVIAZIONI

Sono qui riportate le abbreviazioni con cui si sono indicati nel presente lavoro i seguenti testi normativi
(i numeri riportati a fianco delle stesse, nelle varie voci, si riferiscono agli articoli citati):

CN Codice della navigazione, approvato con R.D. 30 marzo 1942.


COM Codice dell’Ordinamento Militare (D.LGS. 66-2010);
GinevraCon il pertinente numero cardinale di riferimento sono state citate le seguenti Convenzioni
adottate a Ginevra il 29 aprile 1958:
I Convenzione sul mare territoriale e sulla zona contigua;
II Convenzione sull’alto mare;
III Convenzione sulla pesca e sulla conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare;
IV Convenzione sulla piattaforma continentale.
UNCLOS Convenzione delle Nazioni unite (NU) sul Diritto del mare adottata a Montego Bay il 10 di-
cembre 1982 (*). (United Nations Conventions on the Law of the Sea)

AVVERTENZE

Le valutazioni e le opinioni espresse nel testo sono esclusivamente attribuibili all’autore e non coinvolgono
quindi, in nessun modo, il ministero della Difesa, la Marina Militare e la Rivista Marittima, né alcuna
altra istituzione governativa.

Le cartine riportanti l’indicazione IIM sono state realizzate dall’Istituto Idrografico della Marina. Le
stesse, come anche quelle di altra fonte, hanno finalità meramente illustrative del testo e non implicano al-
cuna rappresentazione ufficiale o riconoscimento dei confini marittimi ivi riportati.

Non è consentita la riproduzione anche parziale e in qualsiasi forma o supporto dell’opera senza au-
torizzazione scritta della Rivista Marittima. Nel caso di riferimenti ai suoi contenuti ne va fatta la cita-
zione nelle note e nella bibliografia.

TABELLA RIASSUNTIVA DEGLI SPAZI MARITTIMI


DI MAR MEDITERRANEO E MAR NERO

Una dettagliata tabella di questi spazi marittimi è a pag. 83 della Premessa agli Avvisi ai Naviganti,
Istituto Idrografico della Marina, 2020.
Ulteriori informazioni possono acquisirsi — accedendo al portale di UN DOALOS — consultando la
Table of claims to maritime jurisdiction.

(*) Il testo ufficiale della convenzione è in United Nations Treaty Collection, Ch. 21, 6. Il testo in lingua francese, con la
traduzione non ufficiale in lingua italiana, è allegato alla legge di ratifica 2 dicembre 1994, n. 689 pubblicata nel Sup-
plemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 295 del 19 dicembre 1994.

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Glossario di Diritto del Mare

Spazi marittimi italiani. Il limite esterno della zona contigua è ipotetico (Fonte: IIM).

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Glossario di Diritto del Mare

GLOSSARIO

ABBORDI IN MARE
Vedi: Polizia alto mare;
Prevenzione attività pericolose in mare;
Sicurezza marittima.

ACQUE ARCIPELAGICHE
Sono definite acque arcipelagiche le zone di mare che in un arcipelago (insieme di isole collegate tra
loro in modo così stretto da formare un’intrinseca entità geografica, politica ed economica) sono racchiuse
all’interno di un sistema di linee di base arcipelagiche (v.). Su di esse lo Stato arcipelagico, e cioè uno
Stato costituito interamente da uno o più formazioni insulari (UNCLOS 46), esercita la sua sovranità,
come anche sul sovrastante spazio aereo, sul fondo e sul sottofondo marino (UNCLOS 49).
Le acque arcipelagiche, dal punto di vista giuridico, costituiscono una categoria del tutto particolare.
La sovranità dello Stato, a differenza di quanto avviene per le acque interne (v.), non è, infatti, completa,
in quanto esso, nell’esercitare i suoi diritti, deve:
— rispettare i diritti di altri Stati derivanti da accordi preesistenti o concernenti consolidati interessi
di pesca (UNCLOS 51);
— permettere il transito inoffensivo (v.) delle navi straniere, al pari di quanto previsto in materia di
passaggio attraverso le acque territoriali (v.), nonché quel particolare tipo di transito non sospendibile
denominato «passaggio arcipelagico» che può essere esercitato in determinati corridoi di traffico relativi
a rotte usate per la navigazione internazionale tra una parte di alto mare (v.) o di zona economica esclu-
siva (v.) e un’altra parte di alto mare o di ZEE.
Il caso più importante di Stato arcipelagico è rappresentato dall’Indonesia. Hanno titolo a uno status
arcipelagico: Antigua-Barbuda, Bahamas, Capo Verde, Isole Fiji, Jamaica, Maldive, Papua-Nuova Guinea,
Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomon, Trinidad e Tobago. Non costituisce viceversa uno Stato arci-
pelagico Malta.

Gli spazi marittimi secondo l’UNCLOS; sulla sinistra, un esempio di acque arcipelagiche (Fonte: Francalanci).

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Glossario di Diritto del Mare

ACQUE INTERNAZIONALI
Vedi: Alto mare.

ACQUE INTERNE
Le acque comprese tra la costa e le linee di base (v.) del mare territoriale (v.) costituiscono le acque
interne (Ginevra 5,1; UNCLOS 8,1). Condizione perché esse esistano è dunque la circostanza che le
linee di base non coincidano con la linea di bassa marea della costa, fermo restando, comunque, che
sono giuridicamente tali anche gli specchi e le vie d’acqua esistenti sulla terraferma, quali laghi, fiumi
e canali.
Lo status legale delle acque interne è caratterizzato dal completo e incondizionato esercizio della so-
vranità dello Stato costiero, al pari di quanto avviene nell’ambito dei suoi confini terrestri. Non esiste
dunque, per le navi straniere, diritto di esercitarvi il transito inoffensivo (v.); esse devono essere pre-
ventivamente autorizzate per poterle attraversare o sostarvi, a meno che non siano costrette a far ciò in
una situazione di pericolo o di forza maggiore. Unica deroga a questo regime è il caso in cui continui a
essere in vigore il preesistente diritto di transito inoffensivo in aree che, per effetto del tracciamento di
linee di base rette, sono passate dallo status di acque territoriali a quello di acque interne (Ginevra I,5,1;
UNCLOS 8,2).

Vedi anche: Baia di Pirano, Baie storiche (Mediterraneo); Bosnia-Erzegovina.

ACQUE TERRITORIALI

1. Configurazione sovranità
La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là della terraferma e delle acque interne (v.) — e,
nel caso di uno Stato arcipelagico, delle sue acque arcipelagiche (v.) — su una zona di mare adiacente
denominata acque territoriali (Ginevra I,1,1, UNCLOS 2,1). La formula usata da entrambe le Con-
venzioni secondo cui «la sovranità si estende» sta a indicare l’automatica appartenenza delle acque ter-
ritoriali allo Stato costiero, come inseparabile estensione della superficie terrestre, senza che ci sia
bisogno di alcuna proclamazione: il regime della loro appartenenza ab initio e ipso jure è in sostanza
simile a quello vigente per la piattaforma continentale (v.). Questa sovranità si estende anche allo
spazio aereo sovrastante le stesse e al loro fondo e sottofondo marino della piattaforma continentale
(v.), ma non è assoluta, nel senso che si esercita alle condizioni stabilite dall’UNCLOS e delle altre
norme del diritto internazionale.
Limitazioni alla sovranità dello Stato costiero derivano dall’applicazione del regime del passaggio
inoffensivo (v.). In termini generali, essa può comunque dirsi completa ed esclusiva, nel senso che può
esplicarsi in tutte le materie stabilite dall’UNCLOS (art. 21.1) ai fini della regolamentazione del transito
inoffensivo e cioè: 1) sicurezza della navigazione e regolamentazione del traffico marittimo; 2) protezione
delle attrezzature e dei sistemi di ausilio alla navigazione e di altre attrezzature e installazioni; 3) prote-
zione di cavi e condotte; 4) conservazione delle risorse biologiche del mare; 5) prevenzione delle viola-
zioni delle leggi e dei regolamenti dello Stato costiero relativi alla pesca; 6) preservazione dell’ambiente
dello Stato costiero e prevenzione, riduzione e controllo del suo inquinamento; 7) ricerca scientifica ma-
rina e rilievi idrografici; 8) prevenzione di violazioni delle leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari
o di immigrazione dello Stato costiero.
Tutto questo configura una giurisdizione legislativa (prescriptive jurisdiction) cui va associata la po-
testà di sanzionarne la violazione (enforcement jurisdiction). Un particolare caso di enforcement jurisdic-
tion di natura discrezionale legata alla sovranità territoriale è quella penale esercitabile ai sensi dell’art.
27, 1 dell’UNCLOS nei confronti di mercantili in transito per reati commessi a bordo durante il pas-
saggio (normalmente rientranti nella giurisdizione dello Stato di bandiera). Tuttavia tale discrezionalità
viene meno se: 1) se le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero; 2) il reato è di natura
tale da disturbare «la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale»; 3) l’intervento delle autorità

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locali è stato richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico o funzionario consolare
dello Stato di bandiera della nave; 4) tali misure sono necessarie per la repressione del traffico illecito
di stupefacenti (v.).

2. Ampiezza
L’ampiezza massima delle acque territoriali è attualmente stabilita in 12 miglia misurate a partire dalle
linee di base (v.) (UNCLOS 3). In precedenza (Ginevra 1, 24), pur non essendo prefissata una loro am-
piezza, era previsto che quella delle 12 miglia fosse la misura massima dell’ampiezza complessiva di
acque territoriali e zona contigua (v.). La prassi internazionale è oramai consolidata sulla fissazione del
limite delle 12 mn, anche se ogni Stato ha in teoria la facoltà di stabilire limiti inferiori e fermo restando
la necessità di tener conto dei diritti dello Stato frontista in caso di distanza inferiore alle 24 mn tra le ri-
spettive linee di base (v. Delimitazione). Un caso a sé è la questione del limite delle acque territoriali di
Grecia e Turchia come indicato più avanti. Eccezioni erano anche, fino a qualche anno fa, le pretese di
Somalia, Ecuador e Brasile attestate sulle 200 mn, attualmente ridotte alle canoniche 12 mn. Anche Stati
Uniti e Gran Bretagna, fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso hanno derogato ai principi del-
l’UNCLOS: entrambi i paesi avevano, infatti, mantenuto il limite delle 3 mn in nome dei principi di
libertà dei mari (v.).
Un quadro di situazione complessivo delle pretese di tutti gli Stati è riportato nella Table of claims to
maritime jurisdiction elaborata dalle Nazioni unite.

3. Sviluppo storico
Il processo storico che ha portato all’instaurarsi del regime delle 12 mn ora vigente passa attraverso
le seguenti fasi di sviluppo:
— proclama delle King’s Chamber del re inglese Giacomo I (emanato nel 1604 al termine della guerra
con la Spagna) con cui si afferma che «entro i nostri porti, approdi, ancoraggi, baie o altri luoghi di nostro
dominio […] non sarà tollerata forza, violenza, sorpresa o offesa». Tale atto, con cui il Sovrano rivendicava
la sovranità e proprietà su tali zone, si proponeva principalmente di delimitare, tramite una carta an-
nessa, le acque contigue alla costa (narrow seas) sottoposte alla giurisdizione dell’ammiragliato per la
tutela della neutralità britannica. Non secondario era peraltro il fine di contrastare le pretese olandesi
alla libertà dei mari;
— nel XVIII sec. sulla base della teoria che rapportava l’estensione delle acque territoriali a quella che
al tempo era la portata delle artiglierie terrestri («cannon shot rule»), venne consolidandosi, come norma
di Diritto internazionale, il principio del limite delle 3 miglia. L’elaborazione teorica di tale principio si
deve al giurista olandese Bynkershoek che nella De Dominio Maris Dissertatio del 1703 enunciò la formula
secondo cui potestas terrae finitur ubi finitur armorum vis (il dominio terrestre ha termine ove finisce la
forza delle armi);
— nel corso della Conferenza dell’Aja del 1930 per la codificazione del Diritto internazionale, pur non
essendo stato raggiunto il risultato di far approvare un documento relativo all’estensione delle acque
territoriali, si manifestò una comunanza di vedute tra vari Stati, nel cui ambito erano comprese Gran
Bretagna e Stati Uniti, circa il fatto che il limite delle 3 miglia era quello da ritenersi conforme alle norme
consuetudinarie vigenti. L’Italia si dichiarò invece a favore di un limite di 6 miglia;
— con il Territorial Water Jurisdiction Act del 1878 la Gran Bretagna adottò per la prima volta, in forma
ufficiale, il limite delle 3 miglia, stabilendo che fosse sotto la giurisdizione dell’ammiragliato «ogni parte
del mare aperto entro una lega marina [corrispondente appunto a 3 miglia] dalla costa, misurata dal livello
di bassa marea».

ACQUE TERRITORIALI (MEDITERRANEO)

1. Quadro generale
Tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo hanno adottato il limite delle 12 miglia delle acque terri-
toriali. Nel periodo tra il 1976 e il 1990 l’Albania (che attualmente adotta il limite delle 12 miglia) ne

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aveva fissato il limite a 15 miglia. Anche la Siria, nel 2003, ha ridotto a 12 miglia la propria precedente
pretesa di 35 miglia di acque territoriali. La Grecia mantiene tuttora il limite di 6 mn dalla costa sta-
bilito con la legge 17 settembre 1936, n. 230. Il Governo greco, nel ratificare la convenzione del Diritto
del mare del 1982 con la legge n. 2321 del 23 giugno 1995, ha tuttavia stabilito che «la Grecia ha il
diritto inalienabile, in applicazione dell’art. 3 della ratificata convenzione, di estendere in qualsiasi momento
le acque territoriali fino a una distanza di 12 miglia». Come noto, il ricorso a questa opzione avrebbe nel
mar Egeo (v.) conseguenze sulle relazioni greco-turche. Egualmente di 6 miglia è l’estensione delle
acque territoriali della Turchia secondo l’art. 1 della legge n. 2674 del 26 maggio 1982, tranne che sia
stabilito un limite inferiore nel mar Egeo nei casi in cui vi siano isole greche frontiste a meno di 12
mn dal continente. La Turchia (che non ha ancora ratificato la convenzione del Diritto del mare del
1982), con tale legge si è peraltro riservato il diritto di stabilire una maggiore estensione delle proprie
acque territoriali in specifiche situazioni, in conformità a principi di equità: il limite delle 12 miglia
è stato, infatti, previsto nelle zone rivierasche del Mar Nero (V.) e, nel Mediterraneo sudorientale, a
est del meridiano 029°05’E.

Acque territoriali greche di 6 mg (Fonte: Hellenic MFA).

2. Situazione relativa all’Italia


Quanto all’Italia, il limite delle 12 miglia è stato adottato con la legge 14 agosto 1974, n. 359. In prece-
denza, il Codice della navigazione (del 1942) prevedeva una fascia di acque territoriali di 6 miglia. La
delimitazione (v.) delle acque territoriali tra l’Italia e i paesi confinanti, in zone in cui la distanza tra le
rispettive linee di base (v.) è inferiore alle 24 miglia, è stata attuata con:
— Convenzione di Parigi del 28 novembre 1986 tra Italia e Francia relativa alla delimitazione delle
frontiere marittime nell’area delle Bocche di Bonifacio. L’accordo definisce i limiti delle acque territo-

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Glossario di Diritto del Mare

riali poste tra la Sardegna e la Corsica mediante una linea composta di 6 segmenti. Il tratto iniziale
della linea, passante a ovest per i punti 1 e 2 è improntato al principio di equidistanza. Il criterio di
delimitazione muta nella parte centrale delle Bocche: il punto 3, per il quale passano le congiungenti
dei punti 2 e 4, è, infatti, spostato in prossimità delle linee di base italiane in modo da riconoscere allo
scoglio francese di Lavezzi un effetto sulla delimitazione e salvaguardare le esigenze francesi di navi-
gazione. Il principio della soluzione equa è invece stato seguito nella zona a est delle Bocche, laddove
l’allineamento dei punti 4 e 5 e quello dei punti 5 e 6 tiene parzialmente conto delle «circostanze spe-
ciali» rappresentate dagli scogli e isolotti francesi situati al di fuori delle linee di base, prendendo in
considerazione nello stesso tempo l’esigenza di salvaguardare l’operatività militare della base navale
italiana di La Maddalena. La convenzione ha anche a oggetto la tutela delle consuetudini di pesca dei
battelli dei due paesi in una zona comune a ovest dello stretto (v. Pesca (Mediterraneo). La validità di
questo accordo è stata confermata da Italia e Francia nell’ambito dell’Accordo di Caen del 21 marzo
2015 sulla definizione dell’intera frontiera marittima (non ancora ratificato dall’Italia al 2020 e quindi
non ancora in vigore);
— il su citato accordo di Caen, ove entrasse in vigore, disciplinerebbe anche il limite delle acque ter-
ritoriali italo-francesi nella baia di Mentone; attualmente, in mancanza di accordo, lo stesso confine rien-
tra nella disciplina generale dell’art. 15 dell’UNCLOS. In teoria potrebbe ancora ritenersi applicabile, a
questo fine, l’intesa provvisoria e informale tra Italia e Francia del 1892 (oggetto di una Circolare del mi-
nistero Marina pubblicata nella G.U. del 30 settembre 1892, n. 229 riportata a p.108) che, per la pesca da
parte dei battelli di rispettiva bandiera, stabiliva un allineamento a partire da appropriati riferimenti a
terra probabilmente valevole sino al limite delle 3 mn vigente al tempo;

Frontiere marittime Italia-Francia secondo accordo 2015 non ancora Demarcazione acque tra la Sardegna e la Corsica;
ratificato dall'Italia (Fonte: Sovereign Limits). cartina annessa Convenzione di Parigi, 1986.
A ovest delle Bocche di Bonifacio, quadrilatero indicante
la zona di pesca comune ai battelli dei due paesi
(Fonte: Francalanci).

— il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 tra la Iugoslavia e l’Italia, concernente la sistemazione
delle questioni pendenti tra i due paesi la cui validità è stata confermata dalla Slovenia come Stato
successore (v. Successione tra Stati) della ex Iugoslavia. Il trattato fissa all’allegato III i limiti delle
acque territoriali dei due paesi nel golfo di Trieste. A questo fine è stata tracciata una linea di equidi-
stanza corretta da «circostanze speciali», quali la necessità di consentire, nelle acque territoriali ita-
liane, la navigazione a navi di grosso tonnellaggio in fondali adeguati. Di fatto, in relazione alla
situazione dei fondali, permangono limitazioni per l’accesso al porto di Trieste alle navi di grosso

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Glossario di Diritto del Mare

tonnellaggio (150.000 t e 17 m di pescaggio) le quali sono costrette a passare in transito inoffensivo


(v.) attraverso le acque territoriali slovene. In questo contesto si colloca il presunto sconfinamento di
nave Cavour in acque slovene, che sarebbe avvenuto nel 2014 in occasione della navigazione verso
Trieste, lamentato dalla Slovenia. L’episodio va messo in relazione con la pretesa slovena a che il tran-
sito inoffensivo delle navi da guerra straniere sia preventivamente notificato.

Confine acque territoriali italo-slovene-croate nel golfo di Trieste secondo il Trattato di Osimo; al centro la zona di pesca
comune che era prevista dall’Accordo di Roma del 1983, non più̀ in vigore (Fonte: ASIL).

3. Casi particolari altri Stati


Un accordo provvisorio relativo alla delimitazione laterale delle rispettive frontiere marittime, ivi
comprese quelle delle acque territoriali, è stato concluso da Algeria e Tunisia l’11 febbraio 2002. Da
segnalare inoltre l’Accordo del 1984 tra la Francia e il Principato di Monaco che fissa l’ampiezza delle
acque territoriali del Principato prevedendo un corridoio di larghezza pari alla lunghezza della costa
monegasca (1,6 miglia).
Dispute per la delimitazione di acque territoriali sono insorte tra Slovenia e Croazia nella zona della
baia di Pirano (v.), nonché tra Croazia e Montenegro nell’area compresa tra la penisola croata di Prevlaka
e le Bocche di Cattaro (canale di accesso alla baia montenegrina di Cattaro). Un accordo provvisorio di
delimitazione è stato stipulato nel 2002 con il Protocol on the Interim Regime along the Southern Border bet-
ween Croatia and FRY, 10 december 2002, di cui il Montenegro è Stato successore.
Il confine delle acque territoriali tra Montenegro e Albania non è stato definito. In passato, quando le
acque territoriali erano di 3 mn, era in vigore il Protocollo tra l’Albania e la Serbia del 26 luglio 1926 che
prevedeva come confine a mare una «linea dritta perpendicolare alla direzione generale della costa [che] termina
alla foce del principale braccio del (fiume) Boyana».

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Glossario di Diritto del Mare

Frontiera marittima Tunisia-Algeria (Fonte: UN Doalos). Limite acque territoriali Croazia-Montenegro (Fonte: M. Grbec).

Frontiera marittima Albania-Grecia secondo l’Accordo del


Spazi marittimi del Montenegro (Fonte: Montenegro, MTE). 2009 tra i due paesi, non ancora in vigore al 2020
(Fonte: ASIL).

Irrisolta è la questione della delimitazione dei confini delle acque territoriali (ma anche dei rispettivi
spazi extraterritoriali) tra Albania e Grecia decisi con un accordo del 2009 non ancora ratificato dall’Al-
bania perché ritenuto nullo dalla Corte costituzionale di Tirana. Nel 2020 i due paesi hanno deferito il
caso alla Corte internazionale di giustizia. Spagna e Gran Bretagna non hanno ancora concordato una
soluzione al problema delle acque territoriali del possedimento britannico di Gibilterra posto all’im-
boccatura orientale dell’omonimo stretto (v. Stretti e canali internazionali), appartenente all’Inghilterra
dopo essere stato ceduto dal regno di Spagna con il trattato di pace di Utrecht del 13 luglio 1713. La di-
sputa, aggravata dalla Brexit, riguarda la pretesa inglese a uno spazio di acque territoriali di 3 miglia
verso l’alto mare, separato verso terra, nella baia di Algeciras, dalla mediana con la costa spagnola. La
tesi spagnola è che la Gran Bretagna non abbia titolo alla sovranità sulle acque territoriali in quanto
l’articolo X del trattato di Utrecht stabilisce che la Spagna cede alla Corona della Gran Bretagna «la città
e la rocca di Gibilterra, unitamente al suo porto, postazioni difensive e fortezze […] senza alcuna giurisdizione
territoriale […]». La Gran Bretagna sostiene invece — e questa è una posizione consolidata sin dal 1723
— che il divieto di giurisdizione territoriale debba intendersi al di là della portata dei cannoni delle

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Glossario di Diritto del Mare

fortificazioni, la quale al tempo era con-


venzionalmente stabilita in 3 miglia in re-
lazione al principio del «cannon shot rule».
Spagna e Gran Bretagna hanno riaffer-
mato i propri differenti punti di vista con
dichiarazioni depositate al momento della
ratifica della convenzione del Diritto del
mare del 1982.

Vedi anche: Bosnia-Erzegovina;


Palestina.

AEROMOBILE MILITARE
Il termine indica un aeromobile utiliz-
zato da unità delle Forze armate di uno Acque territoriali di Gibilterra e zone adiacenti (Fonte: Gibnet).
Stato che reca i segni distintivi di quel
paese, comandato da un appartenente alle
Forze armate e con un equipaggio soggetto alla disciplina militare. Gli aeromobili militari, al pari delle
navi da guerra (v.), possono esercitare in alto mare (v.) il diritto di visita (v.) e il diritto di inseguimento
(v.). Essi godono dell’immunità di giurisdizione (v.) e sono soggetti al regime del passaggio in transito
per ciò che concerne il sorvolo degli stretti internazionali (v.). Non possono tuttavia esercitare il diritto
di sorvolo sullo spazio aereo nazionale (v.), sovrastante le acque territoriali (v.) di un altro Stato senza
espressa autorizzazione. L’ordinamento italiano (art. 745 CN) prevede che «Sono militari gli aeromobili
considerati tali dalle leggi speciali e comunque quelli, progettati dai costruttori secondo caratteristiche costruttive
di tipo militare, destinati a essere utilizzati dalle Forze armate. Gli aeromobili militari sono ammessi alla naviga-
zione, certificati e immatricolati nei registri degli aeromobili militari dalla competente Direzione generale del mi-
nistero della Difesa».

Vedi anche: Regione per le informazioni di volo (FIR); Spazio aereo internazionale.

ALBANIA Acque territoriali (Mediterraneo);


Vedi: Blocco navale;
Cerimoniale navale;
Mare Adriatico;
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
Transito inoffensivo delle navi da guerra.

ALGERIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Ricerca e soccorso in mare;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
Zona archeologica;
Zona contigua;
ZEE (Mediterraneo).

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Glossario di Diritto del Mare

ALTO MARE

1. Principi generali
Alto mare è, dal punto di vista giuridico, sinonimo di mare libero: luogo in cui tutti gli Stati possono
avvalersi della libertà di navigazione e degli altri usi leciti del mare (v. Libertà dei mari). Nei secoli passati
se ne aveva una concezione generica e metagiuridica. Con il Memorandum on the Regime of High Seas
del 1950 si afferma che l’essenza dell’alto mare sta nel «divieto d’interferenza di tutte le bandiere nei confronti
della navigazione in tempo di pace di tutte le altre bandiere». E con la II convenzione di Ginevra del 1958 se
ne definisce una nozione spaziale residuale stabilendo che «per alto mare s’intendono tutte le porzioni di
mare che non siano territoriali o non appartengano alle acque interne di uno Stato».
L’art. 87 dell’UNCLOS, è chiaro nel prescrivere che l’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia
interni, che possono esercitarvi — con l’unico limite di non intaccare le libertà degli altri Stati e di tenere
nel dovuto conto i diritti connessi allo sfruttamento della sottostante area internazionale dei fondi marini
(v.) — le attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi (v.), costruzione di isole e installazioni artificiali,
pesca (v.), ricerca scientifica (v.) (UNCLOS 87).
In alto mare si realizza perciò compiutamente il principio di eguaglianza tra gli Stati sulla base del
quale ogni Stato, sia costiero sia privo di affaccio al mare (si pensi alla Confederazione Elvetica che ha
una sua flotta mercantile), ha diritto di navigare con navi battenti la propria bandiera (UNCLOS 90),
le quali sono soggette alla sua giurisdizione esclusiva (UNCLOS 92, 1). Fatta eccezione per il caso in
cui sia diversamente stabilito da specifici accordi, ovvero si verta in ipotesi in cui le navi da guerra
(v.) e le navi in servizio governativo (v.) degli altri Stati si avvalgano dei poteri di intervento esercitabili
a titolo di diritto di visita (v.) e di diritto di inseguimento (v.). In aggiunta è anche previsto che ogni
Stato, il quale sia direttamente e gravemente minacciato da inquinamento derivante da sinistro marit-
timo avvenuto in alto mare, abbia il diritto di adottare le misure necessarie a fronteggiare l’evenienza
(UNCLOS 221).
L’alto mare deve essere riservato a scopi pacifici e nessuno Stato può pretendere di assoggettarne
alcuna parte alla sua sovranità (UNCLOS 88 e 89). Le navi da guerra possono tuttavia eseguire in
alto mare attività operative, quali esercitazioni combinate, operazioni di volo con aeromobili imbar-
cati, sorveglianza, raccolta di informazioni, prove di armi, lancio di ordigni esplosivi da aeromobili
in situazioni di necessità, tenendo nel dovuto riguardo i diritti degli altri Stati. A tal fine è però ne-
cessario che la zona in cui si svolge l’esercitazione o in cui è stato sganciato un ordigno rimasto ine-
sploso sia dichiarata zona pericolosa per la navigazione e il sorvolo (v.) con appropriati mezzi di
diffusione internazionali.

2. Alto mare e acque internazionali


L’importanza dell’alto mare è diminuita con l’avvento del nuovo diritto del mare codificato nell’UN-
CLOS, benché la stessa convenzione faccia della cooperazione tra gli Stati il principio basilare della go-
vernance degli oceani in vari settori come la lotta alla pirateria (v.) e la protezione dell’ambiente marino
(v.), per non dire della ricerca e soccorso (v.). Negli ultimi decenni gli spazi di alto mare sono stati, infatti,
erosi dal formarsi di nuove aree di giurisdizione funzionale come le ZEE (v.) al cui interno, per quanto
viga la libertà di navigazione, non si applicano tutte le altre libertà (UNCLOS 86). Di qui la distinzione
tra alto mare e acque internazionali in termini di rapporto tra genere e specie. In sostanza il regime della
ZEE non è pleno jure quello dell’alto mare in quanto mancante di alcune delle libertà relative a cominciare
da quella di pesca. Analoga la situazione giuridica della zona contigua (v.). Per questo motivo si fa ricorso
alla categoria delle acque internazionali per indicare gli spazi che comprendono sia la zona contigua sia
la ZEE, mentre si usa il termine alto mare per l’area che si estende al di là di entrambe. Tuttavia, è da ri-
tenersi corretto parlare genericamente di alto mare con riguardo all’esercizio della libertà di navigazione
in queste due zone di giurisdizione funzionale.

Vedi anche: Demilitarizzazione; Libertà dei mari; Nazionalità della nave; Prevenzione attività peri-
colose in mare; Protezione della biodiversità marina; Spazio aereo internazionale; Zona pericolosa per
la navigazione e il sorvolo.

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Glossario di Diritto del Mare

ANTIMMIGRAZIONE
Vedi: Traffico e trasporto illegale di migranti.

ARABIA SAUDITA
Vedi: Blocco navale;
Golfo Persico;
Isole;
Mar Rosso;
Zona contigua.

AREA INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI

È definita area internazionale dei fondi marini (denominata in forma sintetica come l’«Area») la su-
perficie sommersa situata al di là delle zone di giurisdizione nazionale delle acque territoriali (v.) e della
piattaforma continentale (v.). (UNCLOS 1,1.(1). La colonna d’acqua sovrastante l’Area ha natura di alto
mare (v., sicché al suo interno vige la libertà di navigazione (v.).
Le risorse naturali (v.) localizzate nell’Area (intendendo, per esse, le risorse minerali solide, liquide e
gassose, compresi i noduli polimetallici) sono considerate «patrimonio comune dell’umanità» (UNCLOS
136), in linea con la risoluzione 2749 XXV approvata dall’Assemblea generale delle NU il 17 dicembre
1970, su proposta dell’ambasciatore maltese, Pardo, nella quale è stato affermato per la prima volta il
principio. Nessuno Stato può, perciò, reclamare o esercitare forme di sovranità sull’Area o sulle sue ri-
sorse (UNCLOS 137), né può pretendere di sfruttare senza alcun vincolo la zona facendo ricorso ai prin-
cipi che regolano l’alto mare.
L’Area è, infatti, aperta all’uso di tutti gli Stati (UNCLOS 141) in accordo con la regolamentazione sta-
bilita nella parte XI dell’UNCLOS. Il compito di gestire lo sfruttamento delle risorse nell’Area è riservato
esclusivamente all’Autorità internazionale dei fondi marini (denominata in forma abbreviata come l’«Au-
torità», avente sede a Kingston e strutturata in forma collegiale negli organismi dell’Assemblea e del
Consiglio) che si avvale, come strumento operativo, dell’Impresa internazionale dei fondi marini (UN-
CLOS 153) (denominata in forma abbreviata come l’«Impresa»), seguendo il sistema di sfruttamento pa-
rallelo (cosiddetto «banking system» regolamentato dall’annesso III dell’UNCLOS) che prevede: 1)
l’assegnazione a uno Stato richiedente dell’attività di prospezione, esplorazione e produzione su un sito

Aree internazionali dei fondi marini di Clarion-Clipperton aperte a ricerca noduli polimetallici (Fonte: ISA).

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Glossario di Diritto del Mare

determinato; 2) l’accantonamento in favore dell’Autorità di un secondo sito, equivalente al primo dal


punto di vista commerciale, individuato dallo stesso Stato richiedente al momento di sottoporre all’Au-
torità i suoi progetti di lavoro; 3) lo sfruttamento successivo da parte dell’Autorità di tale sito riservato
alla propria attività mediante l’opera dell’Impresa o mediante joint venture con paesi terzi o cessione dei
diritti di sfruttamento; 4) l’acquisizione da parte dell’Autorità, in vista del trasferimento all’Impresa,
della tecnologia estrattiva utilizzata dai paesi che operano nell’Area.
La posizione degli Stati Uniti nei confronti della normativa sullo sfruttamento dei fondi marini (UN-
CLOS, parte XI) era di non accettazione, ritenendosi che le soluzioni previste dalla convenzione «fossero
contrarie agli interessi e ai principi delle nazioni industrializzate». Tale situazione è cambiata nel momento in
cui Washington ha deciso di aderire all’Accordo del 1994 relativo all’applicazione della Parte XI della
Convenzione del Diritto del Mare, con annessi che, sulla base di un approccio evolutivo di deregulation
e di privatizzazione, riconfigura il regime di sfruttamento dei fondi marini secondo principi di economia
di mercato.

AREA MARINA PARTICOLARMENTE SENSIBILE (PSSA)


Vedi: Protezione dell’ambiente marino.

AREA MARINA SPECIALMENTE PROTETTA (SPAMI)


Vedi: Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo).

ARMED ROBBERY
Vedi: Pirateria.

ASILO MARITTIMO
Vedi: Rifugio temporaneo.

AUSTRALIA
Vedi: Baie Storiche;
Ricerca e soccorso in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
Zona di identificazione marittima.

AUTORITÀ INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI


Vedi: Area internazionale dei fondi marini.

AUTORITÀ MARITTIMA
Secondo l’ordinamento italiano (D.LGS. 19 agosto 2005 n. 196, concernente l’attuazione della direttiva
2002/59/Ce relativa all’istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traf-
fico navale) per «autorità marittima» sono da intendere «gli uffici marittimi di cui all’articolo 16 del codice
della navigazione ovvero i Centri secondari di soccorso marittimo (MRSC) individuati nel D.P.R. 28 settembre
1994, n. 662, quali autorità preposte al coordinamento delle operazioni di ricerca e di salvataggio ovvero i Centri
VTS come definiti con decreto del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti 28 gennaio 2004». Le relative fun-
zioni sono espletate dal personale del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, facente parte
della Marina Militare secondo l’art. 118 del Codice dell’ordinamento militare (D.LGS. 66/2010) ma di-
pendente funzionalmente dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Questo dicastero ha, infatti,
ereditato nel 1994, dal ministero della Marina mercantile, la maggior parte delle funzioni collegate all’uso
del mare per attività connesse con la navigazione commerciale e da diporto; sul suo bilancio gravano le
spese di funzionamento del Corpo.

Vedi anche: Relitto;


Ricerca e soccorso in mare;
Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane.

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Glossario di Diritto del Mare

AZERBAJAN
Vedi: Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Mar Caspio.

BAHRAIN
Vedi: Delimitazione;
Golfo Persico.

BAIA DI PIRANO
La disputa tra la Croazia e la Slovenia per la giurisdizione sulla baia di Pirano (4 miglia di apertura)
e sulle adiacenti aree marittime, inizia dopo la dissoluzione della ex Iugoslavia. La Slovenia avanza la
rivendicazione sulla sovranità delle acque di gran parte della baia con una linea posta a ridosso della
penisola di Punta Salvore, mentre la Croazia ne propone la suddivisione con una linea di equidistanza
(v.). Il problema, alimentato da frequenti incidenti di frontiera, è di grande rilievo per la Slovenia che ha
interesse ad allargare la sua limitatissima zona di giurisdizione marittima nel golfo di Trieste (v. Acque
territoriali - Mediterraneo) antistante le sue coste di 48 km. La stessa Slovenia, essendo circondata inte-
ramente dalle acque territoriali di Italia e Croazia — definite, nel golfo di Trieste, dal trattato di Osimo
del 1975 (v. Acque territoriali - Mediterraneo) — nutre preoccupazioni per essere priva di un accesso di-
retto alle zone di alto mare (v.) del mare Adriatico (v.) e per le conseguenti limitazioni derivanti dalla ne-
cessità di accedere alle proprie coste in regime di transito inoffensivo (v.).
Nel 2011 Slovenia e Croazia hanno incaricato un apposito tribunale arbitrale, costituito nei modi previsti
dalla Corte permanente di arbitrato dell’Aja, di stabilire il tracciato della linea di delimitazione della baia
e risolvere il problema dell’accesso della Slovenia all’alto mare. Il tribunale, con sentenza in data 29 giugno
2017 ha deciso che: 1) la linea di chiusura delle acque interne (v.) della baia è sulla congiungente Cape
Madona e Capo Savudrija; 2) il confine laterale tra Slovenia è Croazia è dato dal collegamento del tratto
del confine terrestre passante per la mediana
del canale di St. Odororic con un punto posto
sulla linea di chiusura della baia, a una distanza
da Cape Madona (Slovenia) pari a tre volte la
distanza da Capo Savudrija (Croazia); 3) la
stessa linea di confine laterale delle acque in-
terne prosegue come frontiera delle acque ter-
ritoriali, con orientamento 299o04’45’’, a
intersecare il confine con l’Italia stabilito dal
trattato di Osimo; 4) l’accesso della Slovenia
all’alto mare avviene tramite un corridoio
ampio 2.5 miglia che inizia dalle acque territo-
riali slovene e, passando attraverso le acque ter-
ritoriali croate, raggiunge la Zona di protezione
ittica ed ecologica (ZERP) proclamata dalla
Croazia nel 2003; 5) lo stato giuridico di tale cor-
ridoio, denominato junction area, è assimilabile
a una porzione di alto mare per quanto riguarda
l’esercizio della libertà di navigazione, della
posa di cavi e condotte e degli altri usi correlati,
come quelli associati alle operazioni delle navi.
La Croazia non ha tuttavia accettato tale de-
cisione e non le ha dato esecuzione ritenendola
inficiata da «gravi irregolarità». La Slovenia ha
denunciato il comportamento omissivo della Delimitazione baia di Pirano secondo decisione arbitrale del 2017;
Croazia alla Corte di giustizia dell’Unione eu- in verde la junction area (Fonte: PCA).
ropea; con decisione del 31 gennaio 2020, que-

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Glossario di Diritto del Mare

sta si è dichiarata incompetente a pronunciarsi per carenza di giurisdizione, affermando che solo le parti
hanno il potere di risolvere questioni riguardanti la demarcazione geografica dei loro confini.

BAIA DI MENTONE
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo).

BAIA STORICA
1. Regime generale
Il concetto di baia storica non è codificato in Diritto internazionale. La normativa vigente (UNCLOS
10,6 che ripete la disciplina di Ginevra I,7,6.) prevede, infatti, che le baie storiche costituiscano una ecce-
zione al principio per cui lo Stato costiero ha il diritto di sottoporre al regime delle acque interne (v.) una
insenatura nel caso in cui:
— rappresenta una baia in senso giuridico, vale a dire una «insenatura ben marcata» avente una super-
ficie almeno eguale a quella del semicerchio il cui diametro sia costituito dalla linea di base dritta (v.),
non eccedente le 24 miglia, tracciata tra i punti di entrata;
— la costa presenti «profonde frastagliature» e lo Stato costiero si avvalga della facoltà di includerle
(anche mediante il tracciamento di linee di chiusura superiori alle 24 miglia) all’interno di un sistema
complessivo di linee di base.
In assenza di una specifica norma positiva, per delineare il concetto di baia storica è dunque necessario ri-
farsi, oltre che alla prassi internazionale, che annovera svariati esempi di baie considerate o proclamate come
storiche, alla giurisprudenza internazionale. Il termine baia storica fu adoperato per la prima volta nel corso
di una riunione dell’Institut de Droit International, nel marzo del 1894, in cui fu riconosciuta come legittima
la pretesa di sovranità su una baia purché fondata su un uso continuo e secolare della zona interessata.
In seguito, la Corte di giustizia dell’America centrale
nel caso del golfo di Fonseca, (19 miglia di apertura), nella
sentenza del 9 marzo 1917, affermò il carattere di baia sto-
rica dell’insenatura, sostenendo che, nel caso, si riscontra-
vano tutte le condizioni necessarie, e cioè il possesso
secolare o immemorabile accompagnato dall’animus do-
mini, il dominio pacifico e continuo accettato dalle altre
nazioni, la configurazione geografica particolare, la ne-
cessità assoluta per gli Stati costieri di possedere le acque
del golfo per le proprie esigenze vitali e di sicurezza.
Rilevante è anche quanto stabilito in merito dalla
Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 18
dicembre 1951 concernente il caso delle pescherie del-
l’Atlantico del nord tra Gran Bretagna e Norvegia. In
questa occasione la Corte sostenne che per acque stori-
che si intendono normalmente acque che sono trattate
come interne ma che non avrebbero quel carattere se
non fosse per l’esistenza di un titolo storico, consolida-
tosi attraverso l’esercizio da parte dello Stato costiero
della necessaria giurisdizione per un lungo periodo,
senza opposizione da parte di altri Stati. Baia in senso giuridico (Fonte: Francalanci).
Un importante testo di riferimento per approfondire la
teoria e la prassi della materia è Memorandum by the Secretariat of the United Nations on the historic bays.

2. Posizione statunitense
Molte delle baie storiche sono contestate dagli Stati Uniti. Tra queste, oltre ai casi del golfo di Taranto
e del golfo della Sirte indicati nella successiva voce relativa al Mediterraneo, si possono ricordare quelli
della baia russa di Pietro il Grande (1957), e delle australiane di Anxious, Rivoli, Encounter, Lacepede

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Glossario di Diritto del Mare

(1987). Gli Stati Uniti non riconoscono nemmeno la pretesa del Canada, risalente al 1906, alla storicità
della baia di Hudson. La posizione statunitense sulla materia è stata espressa in varie occasioni. In par-
ticolare, nell’ambito della sentenza del 1975 concernente la pretesa dell’Alaska sulla baia di Kook (case
US v. Alaska 422 U.S. 184-1975), la Suprema corte degli Stati Uniti ha affermato il principio che, ai fini
dell’esistenza di una baia storica, sono necessari i seguenti requisiti: 1) aperto, notorio ed effettivo eser-
cizio di autorità sull’area da parte dello Stato che proclama il diritto; 2) esercizio continuo di tale autorità;
3) acquiescenza degli Stati terzi nei confronti dell’esercizio di autorità in quanto l’acquiescenza è intesa
non tanto come semplice assenza di proteste, quanto piuttosto come prova che i paesi stranieri sono a
conoscenza della pretesa («The mere failure of any foreign nation to protest the authority asserted by the United
States during the territorial period is inadequate proof of the acquiescence essential to historic title»).

BAIE STORICHE (MEDITERRANEO)


1. Prassi mediterranea
Come esempio paradigmatico di baia storica mediterranea potrebbe essere citato il caso del golfo di
Venezia, termine con cui la Repubblica di Venezia, nei secoli XIV- XVII, indicava l’intero Adriatico su
cui pretendeva di esercitare giurisdizione marittima esclusiva, vietando l’accesso, in nome dei propri in-
teressi vitali, di navi, da guerra e mercantili, straniere non autorizzate. La prassi veneziana fu teorizzata
da Paolo Sarpi nel suo Dominio del mare Adriatico della Serenissima Repubblica di Venezia del 1616 sostenendo
che: «Venezia si è fatta padrona di tutto il Golfo [che] era serrato e limitato, posseduto e custodito con fatica e
spese da tempo immemorabile»: A parte gli aspetti geografici della conformazione dell’Adriatico che non
può evidentemente essere considerato un golfo in senso proprio, la pretesa veneziana appare significativa
perché basata su elementi giuridicamente rilevanti secondo l’attuale teoria delle baie storiche. Peraltro
il de Cussy, nel suo Phases et Causes Célèbres du Droit Maritime des Nations (Lipsia, 1856), cita sì il golfo di
Venezia tra le baie storiche, ma correttamente lo limita geograficamente alla parte nord dell’Adriatico in
prossimità di Venezia tra la foce del Po e l’Istria.
Le prime iniziative moderne assunte da paesi mediterranei in materia di chiusura di baie risalgono
all’Egitto che, con decreto reale del 15 gennaio 1951, provvide a inserire all’interno di un sistema di linee
di base i golfi di Solum, Abu Hashaifa, El Arab, Pelusium ed El Arish aventi, rispettivamente, una aper-
tura di 45, 31, 94, 49 e 65 miglia.
Nessuna di queste insenature è stata però rivendicata dall’Egitto come una zona di «acque storiche»,
anche se il golfo di El Arab è citato nell’apposito Memorandum sulle «Historic Bays» elaborato dal Se-
gretariato delle Nazioni unite per la I Conferenza del Diritto del mare del 1958.
Successivamente è stata la Tunisia, con la legge 4573 del 2 agosto 1973, a chiudere i golfi di Tunisi e di
Gabes la cui apertura è, rispettivamente, di 38 e 46 miglia. Entrambi i golfi erano peraltro già stati com-
presi nella casistica trattata nel suindicato Memorandum delle NU, in quanto la Tunisia aveva esercitato,
sin dal XIX secolo, forme di giurisdizione esclusiva su di essi in materia di sfruttamento delle specie ma-
rine sedentarie (v. pescherie sedentarie) e sul controllo della relativa attività di pesca.
In aggiunta a tali casi ci sono poi le note e controverse chiusure del golfo della Sirte e del golfo di Ta-
ranto la cui situazione può riassumersi come segue.

2. Golfo della Sirte


La chiusura dell’intero golfo della Sirte è stata attuata dalla Libia con decreto del Consiglio della guida
della rivoluzione del 9 ottobre 1973, prevedendo il tracciamento di una linea di base di 306 mn di lun-
ghezza tra le città di Bengasi e Misurata, alla latitudine 32° 30’. Nel comunicato del Governo libico emesso
in concomitanza con l’emanazione del suindicato decreto, si giustifica l’iniziativa con il fatto che «I diritti
di sovranità sul golfo della Sirte sono stati esercitati senza alcun contrasto, durante i lunghi periodi della storia».
In relazione a ciò, il golfo è stato inserito nell’ambito della categoria delle baie storiche. La dichiarazione
libica richiama peraltro l’esistenza di interessi vitali come fondamento della sovranità.
Non sono note, ciononostante, prese di posizione, ufficiali o ufficiose, della Libia volte a documentare
fatti e circostanze su cui si basa il titolo storico acquisitivo della sovranità. Per questo motivo gli Stati
Uniti hanno eccepito sin dal primo momento — per poi passare, nel 1986, alla nota fase di confronto ar-
mato — che l’iniziativa libica doveva considerarsi una «inaccettabile violazione del Diritto internazionale»,

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non riscontrandosi nella fattispecie quel requisito dell’esercizio di autorità sulla zona «remoto, effettivo,
notorio, continuo e con l’acquiescenza dei paesi stranieri» posto a base della teoria delle baie storiche.
Tra l’altro, il dissenso degli Stati Uniti nei
confronti delle pretese marittime eccessive
della Libia è di antica data ed è documentato.
Sin dal 1801 gli Stati Uniti rifiutarono di con-
cludere un accordo con il Pashà di Tripoli per
ottenere la libertà di transito nelle acque co-
stiere della Libia dei mercantili statunitensi og-
getto di attacchi di pirateria (v.) in cambio del
pagamento di un tributo; successivamente ne
nacque un conflitto che portò, nel periodo dal
1803 al 1805, al blocco statunitense di Tripoli,
alla cattura da parte libica della fregata ameri-
cana Philadelphia e a un’azione di forza dei Ma-
rines in territorio libico.
In assenza di concreti riferimenti documen-
tali è stata avanzata la tesi che l’esercizio della
giurisdizione sull’area possa farsi risalire al
periodo della dominazione italiana quando,
con il R.D. 27 marzo 1913 n. 312, sulla pesca
marittima nella Tripolitania e nella Cirenaica,
furono emanate disposizioni intese a regola-
mentare la pesca delle spugne al di là del li-
mite delle 3 miglia delle acque territoriali. Tale
possibilità è stata tuttavia esclusa in conside-
razione del fatto che non è ben chiaro se i ban-
chi spongiferi su cui venivano esercitati diritti
esclusivi di sfruttamento si trovavano proprio
all’interno della Sirte.
È egualmente considerata senza fondamento
l’opinione di chi ritiene che l’appropriazione Baie storiche a confronto: Pietro il Grande, golfo di Taranto e golfo
dell’area (avente una superficie di circa 22.000 della Sirte (Fonte: Francalanci).
miglia quadrate) possa giustificarsi facendo ri-
corso alla teoria, di stampo geopolitico più che giuridico, delle cosiddette «baie vitali» che ammette la terri-
torializzazione di una baia sulla base delle fondamentali esigenze economiche e di difesa di una nazione.
E circa le caratteristiche geografiche va notato che, a fronte di un’apertura di 306 miglia, la Sirte ha
una profondità massima, nel punto di maggiore concavità della costa, di sole 125 miglia. Questa circo-
stanza, cui è correlato il fatto che la superficie dell’area è nettamente inferiore a quella del semicerchio
avente come diametro la linea di chiusura, fa sì che l’insenatura, essendo priva della caratteristica di
marcata indentazione nella terraferma, non possa definirsi una «baia» né dal punto di vista geografico
né da quello giuridico. In relazione a queste premesse è convincimento quasi unanime, in campo inter-
nazionale, che la chiusura del golfo della Sirte, non sia legittima (l’iniziativa libica risulta essere stata ri-
conosciuta esclusivamente da Siria e Sudan). Molti paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Grecia,
Malta e UK) hanno espresso negli anni Settanta del secolo scorso riserve in merito. Una nota di protesta
è stata formulata nel 1985 dall’ambasciata olandese a Tripoli per conto della Comunità europea affer-
mando l’illegalità della «proclamazione, contrariamente al vigente diritto consuetudinario internazionale, della
sovranità libica sulla totalità delle acque del golfo della Sirte».
Nel 2005 la pretesa libica — a seguito del provvedimento di creazione della Zona di protezione della
pesca (v. Pesca (Mediterraneo) — è stata nuovamente contestata dall’Unione europea, con la nota verbale
n. 08/2005, durante la presidenza britannica, riguardo ai suoi limiti esterni spostati verso il largo per ef-
fetto di linee di base non conformi al diritto internazionale.

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3. Golfo di Taranto
È qualificato come «baia storica» dal D.P.R. 26 aprile 1977, n. 816 sulle linee di base del mare territoriale
italiano che ne ha previsto la chiusura con una linea (della lunghezza di 60 miglia) tracciata tra S. Maria
di Leuca e Punta Alice. L’insenatura è una baia in senso giuridico in quanto ha una superficie pari a
quella del semicerchio che ha come diametro la linea di chiusura e presenta, perciò, caratteristiche di
marcata indentazione nella terraferma. Questa circostanza, cui è collegata quella particolare situazione
di sottoposizione al dominio terrestre che è presupposto dell’esercizio di diritti esclusivi di sovranità,
trova anche conferma nel fatto che le fauces terrarum del golfo (penisola salentina e Calabria) sono di no-
tevole lunghezza e modesta larghezza.

Carta nautica dell’Istituto Idrografico della Marina riportante la linea di chiusura del golfo di Taranto (Fonte: IIM).

Gli elementi su cui si basa la storicità non sono stati indicati dal nostro paese né al momento della
emanazione del suindicato provvedimento sulle linee di base né in altre precedenti o successive occasioni.
Il caso del golfo di Taranto è inoltre ignorato dalla letteratura sulle baie storiche a eccezione del già citato
de Cussy (Phases et Causes Célèbres du Droit Maritime des Nations, del 1856) che lo enuncia assieme a quelle
della baia canadese di Hudson, al golfo del Messico e ai golfi italiani di Napoli e Salerno. Per questo mo-
tivo sono state avanzate riserve nei confronti della iniziativa italiana, sia da parte della dottrina interna-
zionalistica sia da parte degli Stati Uniti che, nell’ambito del «Freedom of Navigation Programme»
(FON), il quale prevede l’opposizione alle pretese marittime giudicate non conformi al Diritto interna-

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zionale, hanno manifestato le loro perplessità con una prima nota diplomatica di protesta, nel 1984, e
con successive iniziative di contestazione. Il caso è stato discusso in riunioni bilaterali, nel 1984, nel corso
delle quali gli Stati Uniti hanno esposto il convincimento che al golfo non possa essere legittimamente
attribuito lo status di baia storica, in mancanza dei requisiti necessari. La posizione ufficiale degli Stati
Uniti è che: «a coastal state claiming such status for a body of water must over a long period of time have openly
and continually claimed to exercise sovereignty over the body of water, and its claims must have resulted in an ab-
sence of protest of foreign States, amounting to acquiescence on their part».
Il 24 febbraio 1982, prima della protesta statunitense, si era verificato il caso del transito nel golfo di
Taranto, in immersione, di un sommergibile (v.) di nazionalità sconosciuta (identificato come un som-
mergibile sovietico classe «Victor») in contrasto con il regime del divieto di transito nelle acque interne
(v.): l’intrusione — che l’ex Unione Sovietica non ha comunque mai rivendicato come una propria ini-
ziativa — può essere considerata, per le modalità con cui si è svolta, una forma di contestazione implicita
della sovranità italiana sul golfo.
Anche la Gran Bretagna (dichiarazione del 13 ottobre 1981 alla House of Lords) ha manifestato riserve
sostenendo che: «Italy claims gulf of Taranto as internal waters. This is not consistent with our interpretation of
the 1958 Geneva Convention on the territorial sea».
Di fronte a queste contestazioni, da parte di alcuni studiosi è stata avanzata la tesi che il fondamento
della decisione italiana vada ricercato in quella normativa (Ginevra I,4,1; UNCLOS 7, 1 ) che consente a
uno Stato di chiudere una baia la cui apertura ecceda le 24 mn, quando questa sia inserita in una costa
che contenga «profonde indentazioni» e sia «frastagliata». Secondo questa teoria — che evidentemente ri-
tiene indifendibile la rivendicazione di storicità per l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di adeguati
titoli — la linea di chiusura del golfo di Taranto sarebbe, in sostanza, «un segmento di una linea di base
retta tracciata lungo l’intera costa jonica».
In realtà la storicità del golfo di Taranto è molto meno evanescente di quanto si ritenga. La sua chiu-
sura rappresenta, infatti, il punto di arrivo di un processo lunghissimo di appropriazione dell’area, du-
rato più di duemila anni, nel corso del quale, in diversi periodi della storia, vi è stata una coscienza e
volontà di considerare il golfo di Taranto come area di esclusivo dominio. Il termine di riferimento giu-
ridico cui fare ricorso è la nozione dell’immemorabile, concetto che non richiede il possesso continuo
animus domini di un’area, ma fa invece riferimento a una «situazione di fatto costituita da tempo immemo-
rabile le cui origini si perdono nel passato e contro cui non è dato provare alcuna situazione diversa o contraddit-
toria». Da questo punto di vista il titolo storico principale del nostro paese sta dunque nell’uso esclusivo
della zona, da tempo immemorabile, da parte delle popolazioni locali per i propri interessi di sicurezza
e di pesca che è attestato in varie epoche da fatti e circostanze di varia natura i cui punti salienti sono:
— il trattato tra Roma e Taranto del IV sec. a.C., al tempo della Magna Grecia, che interdiceva ai
Romani l’accesso al golfo vietandone la navigazione oltre Capo Lacinio (l’odierno Capo Colonne). Il
trattato è citato da Appiano (Storia di Roma, De Rebus Samn., VII), storico del II sec. a.C. Da notare che
l’azione dei Romani, nel 282 a.C., intesa a infran-
gere il divieto di navigazione nel golfo (unica ini-
ziativa di protesta di un «paese straniero» nei
confronti del possesso sulla zona da parte dello
Stato del territorio di cui si ha notizia prima della
recente contestazione degli Stati Uniti di cui s’è
detto) fu contrastata con la forza dai Tarentini
originando un lungo periodo di ostilità tra i due
popoli;
— il controllo esclusivo dell’area da parte delle
genti della Magna Grecia (oltre alla colonia di Ta-
ranto, si affacciavano sul golfo quelle di Meta-
ponto, Turi ed Eraclea, la cui fondazione risale
all’VIII sec. a.C.) che è espressamente ricono- Demarcazione del golfo di Taranto tra Romani e Tarantini
sciuto da Strabone (Geografia, VI, 1, 2), storico del secondo «antichi trattati» (Fonte: Nistri-Lazzarini).
I sec. a.C.;

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— i diritti esclusivi di pesca reclamati dai Tarentini sulla zona


più pescosa del golfo (il banco di Amendolara prospiciente Roseto
Capo Spulico) sulla base di provvedimenti emanati dai viceré spa-
gnoli del Regno di Napoli in varie epoche, a partire dal XV sec. (il
primo documento che ne regolamenta l’esercizio è il cosiddetto
«Libro Rosso» di Taranto del 1463);
— il divieto di navigazione all’interno del golfo, a nord della
congiungente Capo Trionto-Torre Madonna dell’Alto, stabilito per
esigenze militari, durante la Prima guerra mondiale, con Decreto
Luogotenenziale 24 agosto 1915, n. 1312.

Vedi anche: Riserve e parchi marini;


Santuario per la protezione dei cetacei.

BANCO DI MEDINA
Vedi: Piattaforma continentale (Mediterraneo).

BANDIERA DI CONVENIENZA
Vedi: Nazionalità della nave.

BANDIERA DI CORTESIA
Legge 1819 del Regno delle Due Sicilie
Vedi: Cerimoniale navale; sulla pesca nei mari di Taranto.
Immunità di giurisdizione (immunità sovrana).

BANDIERA NAVALE
1. Funzione e tipologia della bandiera navale
«Le navi battono la bandiera di un solo Stato» (UNCLOS 92). Questo elementare principio è alla base della
teoria della nazionalità della nave (v.) e dei connessi obblighi e responsabilità che incombono allo Stato
di registrazione. Da esso discende che una nave senza bandiera o con bandiera di convenienza non può
legittimamente navigare essendo priva della protezione di un qualsiasi Stato ed è perciò passibile di mi-
sure di enforcement navale (v. Polizia dell’alto mare).
Corollario di tale principio — il quale vale a garantire l’ordine e la sicurezza dei mari su cui si fonda
la libertà di navigazione (v.) — è l’assunto che «Ogni Stato, sia costiero, sia privo di litorale, ha diritto di far
navigare nell’alto mare, navi battenti la sua bandiera» (UNCLOS 90). Il diritto per gli Stati privi di litorale di
poter registrare sul suo territorio navi mercantili con una propria bandiera è stato esplicitamente affer-
mato per la prima volta dalla Dichiarazione di Barcellona del 20 aprile 1921 (LN, TS, ). L’UNCLOS (art.
125) ha ulteriormente disciplinato la materia prevedendo che tali Stati abbiano il diritto di accedere al
mare per usufruire della libertà dell’alto mare (v.). La Svizzera è, per esempio, uno degli Stati che, pur
sprovvisti di accesso al mare, dispongono di una propria Marina mercantile.
La bandiera navale coincide di solito con la bandiera nazionale. Molti Stati hanno tuttavia istituito
differenti bandiere navali a seconda che siano destinate a identificare proprie navi da guerra (v.), navi in
servizio governativo non commerciale (v.) o navi mercantili. La Gran Bretagna adotta per esempio la
white ensign per le unità della Royal Navy, la blue ensign per quelle di Stato, e la red ensign per il naviglio
mercantile. Questo è anche, come si dirà più avanti, il caso dell’Italia.

2. Bandiera navale nel Diritto bellico


Un particolare tipo di bandiera navale è la Bandiera di combattimento di cui sono dotate le navi da
guerra. Essa è di dimensioni superiori a quella normalmente adoperata e assolve la funzione di identificare
la nave come un legittimo belligerante della guerra marittima. Secondo i principi del Diritto bellico marit-
timo (v.) le navi da guerra possono anche adottare lo stratagemma di camuffare il loro aspetto esteriore,
ma hanno l’obbligo, al momento in cui iniziano un attacco, di inalberare la Bandiera di combattimento.

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Glossario di Diritto del Mare

La bandiera navale è l’elemento principale da cui scaturisce, nella guerra marittima, il carattere nemico
di una nave mercantile che è perciò passibile di cattura e confisca o, a certe condizioni, di affondamento
se coinvolta in atti ostili.
Il «principio della bandiera» costituisce un criterio basato sull’evidenza che tiene conto della specificità
delle operazioni belliche navali. Ciò non toglie che esso può essere derogato caso per caso, nel senso che
una nave da guerra può decidere di verificare ulteriormente la nazionalità di un mercantile prendendo
visione della documentazione di bordo al fine di acquisire ulteriori prove. Peraltro la verifica della na-
zionalità può essere anche effettuata nei confronti di un mercantile che inalbera una bandiera diversa
da quella nemica: il carattere nemico della nave può, infatti, essere la risultante di altri criteri, quali per
esempio, quello della nazionalità dell’armatore.

3. Regolamentazione ordinamento italiano


L’ordinamento giuridico italiano prevede tre tipi di bandiera navale (v. immagine a pag. 9): una per la
Marina Militare, una per le navi in servizio governativo non commerciale (v.) e una per la Marina mercantile.
L’articolo 98 del COM, (Codice dell’Ordinamento Militare (D.LGS. 66-2010), al riguardo così dispone:
«1. La bandiera navale istituita per la Marina Militare e per la Marina mercantile è conforme ai modelli indicati,
rispettivamente, con decreto del ministro della Difesa e con quello delle Infrastrutture e dei trasporti.
2. A ogni nave della Marina Militare, escluse le unità ausiliarie e quelle di uso locale, all’infuori della dotazione
normale di bandiere, sono consegnate una bandiera nazionale, che prende il nome di Bandiera di combattimento, e
uno stendardo.
3. La Bandiera di combattimento deve alzarsi sempre in combattimento e, se le condizioni di tempo e di naviga-
zione lo consiglino, allorquando è presente a bordo il Presidente della Repubblica e nelle grandi solennità; lo sten-
dardo, in combattimento, è posto su apposito sostegno nell’interno della torre, del ponte o della camera di comando».
Il su riportato comma 3 dell’art. 98 del COM riproduce l’art. 138 della Legge di Guerra (R.D. 1415-
1938) nella parte in cui prescrive: «La nave da guerra non può entrare in combattimento senza bandiera o con
bandiera diversa da quella nazionale».
Le bandiera navale militare è anche assegnata, secondo l’articolo 296, 2 TUOM, Testo unico dell’Or-
dinamento Militare (D.P.R. 90-2010), ai mezzi navali in dotazione all’Arma dei Carabinieri, al Corpo della
guardia di finanza e al Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera iscritte nei Ruoli speciali del
naviglio militare dello stato tenuti dal ministero della Difesa.
Il citato TUOM così regolamenta all’articolo 289 l’impiego, da parte del naviglio iscritto nel Registro
delle navi in servizio governativo non commerciale (v.), di un’apposita bandiera navale: «inalberano la
bandiera nazionale costituita dal tricolore italiano, caricato al centro della fascia bianca dell’emblema dello Stato,
di cui al decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 535...».
Quanto alla bandiera della Marina mercantile l’articolo 155 del Codice della navigazione prescrive
che le «navi abilitate alla navigazione a norma dell’articolo 149 inalberano la bandiera italiana».
Le caratteristiche della bandiera navale militare e di quella mercantile furono stabilite per la prima
volta, dopo la nascita della Repubblica, con il seguente testo del decreto legislativo del capo provvisorio
dello Stato n. 1305 del 9 novembre 1947: «È istituita per la Marina Militare e per la Marina mercantile una
bandiera navale conforme ai modelli risultanti dalla tavola annessa al presente decreto, firmata dai ministri per la
Difesa e per la Marina mercantile.
Per la Marina Militare, la bandiera navale è costituita dal Tricolore italiano, caricato, al centro della banda
bianca, dall’emblema araldico della Marina Militare, rappresentante in quattro parti gli stemmi di alcune repub-
bliche marinare (Venezia, Genova, Pisa, Amalfi), e sormontata da una corona turrita e rostrata.
Per la Marina mercantile, la bandiera navale è costituita dal Tricolore italiano, caricato, al centro della banda
bianca, dallo stemma araldico indicato nel precedente comma, senza corona turrita e rostrata, e con il leone di san
Marco con il libro, anziché con spada...».

BANDIERA OMBRA
Vedi: Nazionalità della nave.
BANDIERA (Saluto alla)
Vedi: Cerimoniale marittimo.

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Glossario di Diritto del Mare

BIODIVERSITA’ MARINA
Vedi: Alto mare;
Protezione della biodiversità marina.

BLOCCO NAVALE
1. Regime Diritto conflitti armati
Il blocco navale (naval blockade) è una classica misura contemplata dal Diritto bellico marittimo (v.)
volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante. La prassi del blocco è
disciplinata — se si esclude la Dichiarazione di Parigi del 1856 sui Principi della guerra marittima — da
norme di natura consuetudinaria, non essendo mai entrata in vigore la Dichiarazione di Londra del 1909
sul Diritto della guerra marittima che lo regolamentava. I principi di tale Dichiarazione sono stati recepiti
nell’ordinamento italiano dalla Legge di Guerra (R.D. 1415-1938).
Requisiti del blocco sono, in termini generali, l’effettività e l’imparzialità. Esso deve inoltre essere for-
malmente dichiarato e notificato agli Stati terzi. La sua disciplina, come risultante dalle norme suindicate
e dalla successiva regolamentazione delle Convenzioni di Ginevra sul Diritto umanitario, prevede in
estrema sintesi: 1) la definizione in termini geografici della zona bloccata da notificare ai neutrali; 2) il
mantenimento di una Forza aeronavale, di cui possono far parte anche sommergibili, dedicata stabil-
mente in mare all’applicazione del blocco in modo imparziale nei confronti del naviglio di qualsiasi ban-
diera; 3) la cattura dei mercantili che abbiano violato il blocco e il deferimento al giudizio amministrativo
di un «tribunale delle prede»; 4) l’attacco ai mercantili che tentino di resistere alla cattura; 5) l’esclusione
dal blocco dei traffici relativi ai beni di prima necessità come viveri e medicinali e altri aiuti umanitari,
secondo l’art. 54, n. 1 del I Protocollo di Ginevra del 1977 addizionale alle Convenzioni di Diritto uma-
nitario del 1949.
Dall’applicazione del principio di effettività deriva che sono illegittimi i così detti «blocchi fittizi»
messi in atto in alto mare, a grande distanza dalla costa, con Forze navali non idonee a garantirne la
reale esecuzione. Si discute, a questo riguardo, sulla liceità dei blocchi proclamati dalla Gran Bretagna
nel 1915 e nel 1939 a grande distanza della Germania.

2. Casi recenti
A ragione delle sue caratteristiche lo strumento del blocco navale, dopo la fine della Seconda guerra
mondiale, era ritenuto non più adeguato alla realtà dei conflitti in mare, in relazione all’evoluzione degli
armamenti che rendono vulnerabile una Forza navale dislocata a distanza ravvicinata dalla costa. In anni
recenti la prassi del blocco è stata tuttavia ripresa. Nel 2006 Israele, all’indomani dell’attacco mosso dalle
milizie di Hezbollah operanti in Libano, aveva decretato il blocco delle acque territoriali del Libano (questo
blocco era terminato dopo qualche giorno con il passaggio alla Maritime Task Force a guida italiana del
compito di controllare le acque territoriali libanesi, sino alla costituzione della UNIFIL Task Force). Un ul-
teriore blocco navale è stato attuato da Israele nel 2011 avanti alle coste di Gaza nell’ambito del conflitto
con le milizie palestinesi di Hamas. In questa occasione è accaduto l’episodio della nave Mavi Marmar di
bandiera turca trasportante aiuti alla popolazione palestinese che aveva tentato di forzare il blocco a circa
60 mn dalla costa ed era stata perciò attaccata dalla Marina israeliana. Una commissione d’indagine UN
ha affermato nel 2011 la legalità del blocco pur ritenendolo sproporzionato nelle modalità. Nel 2015 una
coalizione a guida saudita ha imposto il blocco delle coste yemenite avanti al porto di Aden.

3. Casi impropri
Non va confuso con il blocco il contrabbando di guerra (v.). Entrambi sono misure di interferenza con
la navigazione neutrale e, ovviamente, con quella nemica. Il primo è volto a impedire tutte le comunica-
zioni marittime, in ingresso e in uscita dalle coste nemiche nel corso di un conflitto armato e, di regola,
dovrebbe svolgersi in prossimità delle acque territoriali nemiche. Il secondo è invece volto a impedire in
acque internazionali i rifornimenti al nemico, trasportati da navi neutrali, di determinate categorie di
beni destinati allo sforzo bellico.
Differente è anche l’embargo navale (v.), sanzione decisa dalle Nazioni unite, sulla base del capo VII
della Carta, nei confronti di paesi che abbiano commesso gravi violazioni della pace e della legalità in-

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Glossario di Diritto del Mare

ternazionale. Le operazioni di embargo non comportano il blocco navale delle coste del paese nei cui
confronti sono attuate. Esse legittimano invece l’esercizio di misure coercitive da parte delle navi da
guerra dei paesi partecipanti all’operazione nei confronti dei mercantili di qualsiasi bandiera coinvolto
in traffici marittimi commerciali con lo Stato sottoposto a embargo.
Vanno egualmente distinti dal blocco navale:
— i casi di quarantena marittima (maritime quarantine) simili a quella proclamata il 23 ottobre 1962
dagli Stati Uniti per impedire il trasporto a Cuba di missili strategici forniti dall’ex Unione Sovietica me-
diante intercettazione, fermo, visita, ispezione e dirottamento delle navi di qualsiasi bandiera dirette a
Cuba per accertare che non trasportassero carichi vietati: la legittimazione di questa misura venne indi-
viduata nel principio della legittima difesa preventiva, anche se la Dichiarazione presidenziale del 23
ottobre 1962 esplicitamente richiamava anche l’applicazione dell’accordo di difesa collettiva tra le re-
pubbliche del centroamerica;
— le operazioni volte a contenere il traffico via mare di migranti in prossimità delle coste del paese di
origine e in base all’autorizzazione fornita dallo stesso. Un caso è quello del controllo degli espatri clan-
destini dall’Albania messo in atto dall’Italia, nelle acque territoriali albanesi e nelle acque internazionali
del Canale d’Otranto, su richiesta di Tirana sulla base dell’accordo di Roma del 25 marzo 1997 mediante
scambio di lettere relativo alla «collaborazione per la prevenzione degli atti illeciti che ledono l’ordine giuridico
nei due paesi e l’immediato aiuto umanitario quando è messa a rischio la vita di coloro che tentano di lasciare l’Al-
bania»: immediatamente dopo l’entrata in vigore dell’accordo era accaduto il 27 marzo 1997, in alto mare,
il tragico incidente della collisione tra la nostra corvetta Sibilla e la motovedetta albanese Kater I Rades in
cui erano periti 108 cittadini albanesi (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare).

BOCCHE DI BONIFACIO
Vedi: Area marina specialmente protetta (PSSA);
Acque territoriali (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Riserve e parchi marini;
Stretti e canali internazionali.

BOSNIA-ERZEGOVINA
La Bosnia-Erzegovina, essendo provvista di una fascia costiera (sia pur della limitata estensione di
circa 10 km) è a tutti gli effetti uno Stato costiero del mare Adriatico (v.). Gli Accordi di pace di Dayton
del 21 novembre 1995, nel definire l’assetto della regione balcanica al termine del conflitto per la sparti-
zione dell’ex Iugoslavia, hanno, infatti, previsto l’assegnazione di una zona di mare, in prossimità della
città bosniaca di Neum. Il regime delle acque di tale zona è quello delle acque territoriali (v.): esse sono
tuttavia inglobate interamente dentro le acque interne (v.) della Croazia nel canale di Mali Stan sì da co-
stituire una vera e propria enclave. Con Accordo in data 30 luglio 1999, Croazia e Bosnia-Herzegovina
hanno stabilito che il relativo confine marittimo sia costituito dalla mediana tra la penisola bosniaca di
Klek e la penisola croata di Peljesac. Gli Accordi di Dayton, tenendo conto che nella ristretta fascia costiera
della Bosnia-Erzegovina non vi sono porti veri e propri e che il traffico via mare con Neum deve avvenire
attraverso le acque interne croate, hanno garantito l’accesso al porto croato di Ploce di merci e passeggeri
provenienti o diretti in quello Stato: Croazia e Bosnia-Erzegovina hanno assunto i rispettivi impegni con
accordo in data 8 settembre 1998 che, tra l’altro, istituisce in Ploce una «free and foreign trade zone».
La soluzione prevista può considerarsi conforme al principio secondo cui, al fine di facilitare il traffico
in transito relativo agli «Stati senza litorale» (come è in realtà la Bosnia-Erzegovina, viste le caratteristiche
della fascia costiera, priva di porti, che le è stata assegnata), possono essere stabilite delle zone franche
nei porti degli Stati vicini (UNCLOS 128).

BULGARIA
Vedi: Cavi e condotte (Mediterraneo);
Mar Nero;
ZEE (Mediterraneo).

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Glossario di Diritto del Mare

CANADA
Vedi: Baie storiche;
Mare Artico.

CANALE DI CORINTO
Vedi: Stretti e canali internazionali.

CANALE DI CORSICA
Vedi: Stretti e canali internazionali.

CANALE DI KIEL
Vedi: Stretti e canali internazionali.

CANALE DI OTRANTO
Vedi: Mare Adriatico.

CANALE DI PANAMA
Vedi: Stretti e canali internazionali.

CANALE DI SUEZ
Vedi: Stretti e canali internazionali.

CAVI E CONDOTTE SOTTOMARINE


Il diritto di posare cavi elettrici, telegrafici o telefonici e condotte sottomarine sul fondo dell’alto mare
(v.) al di là della piattaforma continentale (v.) è riconosciuto a tutti gli Stati (Ginevra II, 2 e 26; UNCLOS
87, 1, lettera c. 112, 1) con l’obbligo di tenere nel dovuto riguardo i cavi e le condotte già installati da altri
Stati (UNCLOS 112, 2). Tale diritto sussiste anche sul fondo della zona economica esclusiva (UNCLOS
58, 1). Per quanto riguarda la piattaforma continentale (v.) lo Stato costiero, pur non potendo impedire
la posa di cavi e condotte sottomarine da parte di altri Stati, ha il diritto di (UNCLOS 79, 1, 2 e 3) adottare
ragionevoli misure per salvaguardare l’esplorazione e la tutela delle proprie risorse naturali, approvare
il tracciato e stabilire le condizioni per l’ingresso nelle proprie acque territoriali.
Il danneggiamento doloso o derivante da negligenza colposa di cavi e condotte sottomarine è consi-
derato punibile dalla Convenzione di Parigi del 14 marzo 1884 sulla protezione dei cavi telegrafici che
riserva allo stato di bandiera dell’unità incriminata il diritto di applicare la sanzione. Ogni Stato deve
dunque emanare proprie norme per punire la commissione di tali illeciti da parte di mercantili di ban-
diera (UNCLOS 113). Le navi da guerra (v.) degli Stati firmatari di tale convenzione (tra i quali figurano
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia) sono autorizzate a fermare e verificare la nazionalità delle
navi mercantili sospette di aver commesso tale illecito esercitando poteri analoghi a quelli del diritto
di visita (v.). In caso di accertata violazione, l’unico provvedimento adottabile è un rapporto allo Stato
di bandiera.
La convenzione di Parigi del 1884 è stata ratificata con R.D. 1° gennaio 1886, n. 3630. La materia è stata
regolamentata nell’ordinamento italiano con la legge 19 dicembre 1956, n. 1447 il cui testo è stato inserito
negli articoli 219-230 del Testo Unico delle Poste (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156).
La vigilanza sull’integrità delle condotte sottomarine attraverso cui passano i rifornimenti ener-
getici di un paese ha assunto grande rilievo nel quadro del contrasto alle minacce asimmetriche in
mare. Essa si colloca nel quadro della tutela della maritime security (v. sicurezza marittima) demandata
alle Marine negli spazi extraterritoriali. La funzione di protezione della sicurezza energetica (v. Piat-
taforma continentale) italiana è affidata alla Marina Militare dal nostro ordinamento giuridico nel-
l’ambito delle competenze a essa attribuite dall’art. 111 del Codice dell’Ordinamento Militare in
materia di «Vigilanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del
limite esterno del mare territoriale».

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Glossario di Diritto del Mare

CAVI E CONDOTTE SOTTOMARINE (MEDITERRANEO)


Il principale gasdotto sottomarino del Mediterraneo è quello italo-algerino detto TransMed che, par-
tendo dall’oasi del Sahara algerino di Hassi R’ Mel, giunge sino in Italia, attraverso la Tunisia, con una
condotta sottomarina di 156 km da Capo Bon a Mazara del Vallo (il tracciato del gasdotto, relativamente
al tratto nelle acque territoriali e nella piattaforma continentale tunisina, è stato determinato con accordo
tra l’ENI e la Tunisia del 25 ottobre 1977). Un ulteriore tratto di 15 km, posato nello stretto di Messina,
collega il gasdotto alla rete metanifera nazionale.
A questo gasdotto si è aggiunto nel 2005
quello denominato GreenStream che col-
lega il giacimento di gas di Mellitah (ubi-
cato sulla piattaforma continentale libica)
con Gela attraverso una pipeline di 520 km
che si snoda sulla piattaforma continentale
(v.) di Libia e Malta prima di raggiungere
la piattaforma continentale italiana.
Il Trans Adriatic Pipeline (TAP) traspor-
terà invece in Italia, attraversando il Ca-
nale d’Otranto, l’Albania e la Grecia, il gas
del giacimento di Shah Denizz in Azerbai-
jan. A questo fine esso si collegherà con il
gasdotto Trans Anatolian Pipeline (TANAP)
che si snoda su territorio turco per circa
1.000 km dal confine greco-turco sino a
Baku sul mar Caspio (v.) passando per la
Gasdotti del Mediterraneo centro-occidentale (Fonte: SVG).
Georgia. In Turchia arriva anche il gas tra-
sportato dal TurkStream, proveniente dalla
Russia attraverso il Mar Nero (v.). Per il futuro è anche prevista la costruzione dell’ulteriore condotta
EastMed che porterà in Europa, passando per la Grecia, via Creta e Cipro, il gas estratto nel giacimento
israeliano-cipriota Afrodite del Mar di Levante (v.). Sembra invece sospeso il progetto di realizzare una
pipeline di 285 km tra l’Algeria e la Sardegna (il Galsi), che passando per Olbia, dovrebbe poi giungere
sino a Piombino. Nel mar Adriatico (v.) è in esercizio la condotta di 45 km che trasporta a Pola, in Croazia,
il gas estratto dalla piattaforma Ivana K ubicata sull’omonimo giacimento antistante l’Istria.
Alla rete dei gasdotti sottomarini si aggiungerà quella degli elettrodotti, tramite la posa di cavi sotto-
marini tra la Sardegna e la Corsica e tra la Sardegna e l’Italia continentale. Nel 2015 è stata realizzata,
con fondi UE, l’interconnessione elettrica tra l’Italia e Malta tramite un cavo sottomarino di 96 km che si
inabissa a Marina di Ragusa.

Potenziale tracciato del gasdotto EastMed. In alto il percorso Cavi elettrici e telecomunicazioni Italia-Malta
del gasdotto TANAP-TAP (Fonte: Statfor 2018). (Fonte: Malta Gov.).

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Glossario di Diritto del Mare

CERIMONIALE MARITTIMO
Il saluto tra navi si effettua, secondo una consolidata prassi, ammainando la rispettiva bandiera navale
(v.) nazionale nel momento in cui esse s’incrociano. Il saluto tra navi da guerra (v.) di diversa bandiera
è basato, oltre che su regole di etichetta navale, su criteri di reciprocità: esso è, infatti, espressione del
più generale principio di eguaglianza degli Stati che non ammette deroghe nemmeno in mare. Nel caso
una nave da guerra incroci un mercantile nazionale o straniero quest’ultimo è tenuto a salutare per primo
la nave da guerra ammainando la propria bandiera. Il mancato rispetto di questa prassi può costituire
un presupposto per l’adozione da parte della nave da guerra della procedura di verifica della nazionalità,
vale a dire dell’inchiesta di bandiera (v.).
In passato, in alcuni periodi dei secoli XV, XVI e XVII, la pretesa da parte delle navi armate di saluto
alla propria bandiera (che i mercantili effettuavano ammainando la vela maestra), oltre a essere un mezzo
per scoprire navi dedite alla pirateria (v.), assunse il carattere di un omaggio alla potenza di alcuni Stati
come la Gran Bretagna e la Spagna. La Gran Bretagna impose inoltre tale saluto, soprattutto durante il
Regno di Giacomo I ai primi del Seicento, come riconoscimento della propria sovranità sui «mari bri-
tannici» adiacenti le coste (v. acque territoriali).
In teoria, rientra nel cerimoniale navale anche la prassi di issare la bandiera dello Stato del porto in
occasione di soste all’estero. La consuetudine è senz’altro in uso in occasione di scali commerciali di navi
mercantili. Forti riserve sono invece state espresse da vari paesi sulla sua applicazione nei confronti di
navi da guerra con riguardo all’immunità sovrana (v.) di cui esse godono che comporta l’esenzione da
qualsiasi forma di giurisdizione dello Stato costiero, inclusa quella relativa a tale prescrizione. Alcuni
Stati (come Croazia, Albania e Romania) hanno ufficialmente avanzato una simile pretesa includendola
nella propria regolamentazione sulle visite di navi straniere. La normativa militare italiana sugli onori
prevede che la bandiera del paese di sosta venga issata a riva, a titolo di cortesia, sulla nave da guerra
nel momento dell’arrivo in porto o in occasione di festività nazionali locali. La formula della bandiera
di cortesia — adottata da vari Stati caso per caso — consente di considerare come volontaria e unilaterale
un’azione che altrimenti potrebbe essere considerata come riconoscimento di una pretesa illegittima.

CHOKE POINTS
Vedi: Geopolitica del mare;
Stretti e Canali internazionali.

CINA
Vedi: Isole;
Libertà dei mari;
Prevenzione attività pericolose in mare.

CIPRO
Vedi: Cavi e condotte sottomarine;
Zona contigua;
ZEE (Mediterraneo).

CIRCOSTANZE SPECIALI
Vedi: Delimitazione;
Piattaforma continentale.

CONSIGLIO GENERALE DELLE PESCHERIE PER IL MEDITERRANEO


Vedi: Pesca (Mediterraneo).

CONTRABBANDO DOGANALE
Vedi: Diritto d’inseguimento;
Nave in servizio governativo;
Polizia marittima; Zona contigua.

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Glossario di Diritto del Mare

CONTRABBANDO DI ARMI (Arms Smuggling)


Vedi: Sicurezza marittima.

CONTRABBANDO DI GUERRA
Il contrabbando di guerra (war contraband) è una misura del Diritto bellico marittimo (v.) prevista dalla
Dichiarazione di Londra del 1909, testo di natura consuetudinaria non avente natura convenzionale, ma
purtuttavia recepito dall’Italia nella Legge di Guerra (R.D. 1415-1938). Essa è volta a impedire che per-
vengano, al belligerante, rifornimenti di beni essenziali per lo sforzo bellico. Tali beni appartengono a
due categorie e cioè quelli — come armi, navi da guerra e munizioni — destinati per natura a usi militari
esclusivi, costituenti «contrabbando assoluto» e quelli suscettibili di uso duale, pacifico o bellico costituenti
«contrabbando relativo». La disciplina del contrabbando di guerra prevede:
— l’emanazione delle liste di contrabbando, da notificare ai paesi neutrali, indicanti i beni il cui tra-
sporto al «nemico» è vietato da parte dei mercantili neutrali (v. Neutralità marittima);
— l’esercizio del diritto di visita (v.) in alto mare (v.) nei confronti dei mercantili neutrali per controllare
il carico trasportato facendo uso della forza in caso di resistenza, con possibilità di dirottamento in porto
qualora la visita non possa essere eseguita in mare per avverse condimeteo o inaccessibilità del carico;
— la sottoposizione al giudizio del tribunale delle prede (organo amministrativo che ogni paese bel-
ligerante è tenuto a istituire) dei mercantili (siano essi neutrali o nemici) sospetti di violazione al regime
del contrabbando, perché sia decretata la confisca del carico e della nave.
L’applicazione del regime del contrabbando di guerra si è avuta durante il conflitto tra l’Iran e l’Iraq
(1980-88). Il 3 settembre 1987, si verificò l’attacco del mercantile italiano Jolly Rubino, al largo dell’isola
iraniana di All Farisijah, da parte di una imbarcazione di irregolari iraniani (pasdaran). Il fatto indusse
il governo italiano a inviare in zona una Forza navale della Marina Militare con il compito di tutelare la
libera navigazione in alto mare e nello stretto di Hormuz (v.) dei mercantili italiani. A questo fine fu adot-
tata la protezione in convoglio (v.).
Il contrabbando di guerra si fonda su presupposti giuridici diversi da quelli dell’embargo navale (v.)
adottabile a seguito di specifiche risoluzioni autorizzative emanate dal Consiglio di sicurezza delle Na-
zioni unite; la prassi dell’embargo navale ha tuttavia mutuato dal contrabbando di guerra, in via analo-
gica, l’applicazione di specifiche procedure. Esso è inoltre intrinsecamente diverso rispetto alla misura
del blocco navale (v.).

CONVENZIONE DI MONTREUX DEL 1936


Vedi: Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Mar Nero;
Stretti Turchi.

CONVENZIONE DI COSTANTINOPOLI DEL 1888


Vedi: Canale di Suez;
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Mar Rosso.

CONVOGLIO
Secondo il regime del contrabbando di guerra (v.) una nave da guerra (v.) ha il diritto, nel corso delle
ostilità, di fermare e sottoporre a visita in mare un mercantile neutrale per controllare se trasporti beni
destinati a un belligerante suscettibili di essere impiegati nel corso di un conflitto. In deroga a questo re-
gime la Dichiarazione di Londra del 1909 contenente norme di carattere consuetudinario recepite dal-
l’Italia nella Legge di Guerra (R.D. 1415-1938) prevede che le navi neutrali che viaggiano in convoglio
scortate da navi da guerra della loro bandiera sono esenti da visita. Il comandante del convoglio, su ri-
chiesta della nave da guerra belligerante, ha tuttavia l’obbligo di fornire tutte le informazioni sulla natura
e sul carico delle navi scortate che la visita consentirebbe di ottenere. Ciononostante, se il comandante
della nave da guerra belligerante, continua a nutrire sospetti sul carico, il comandante del convoglio pro-
cede direttamente a un controllo il cui esito viene riportato in un verbale. Se i sospetti della nave da

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Glossario di Diritto del Mare

guerra belligerante si rivelano fondati dopo questo accertamento, i mercantili coinvolti sono privati della
protezione del convoglio e possono quindi essere catturate. Secondo la prassi internazionale formatasi
nel corso del conflitto Iran-Iraq del 1991, viene ritenuta ammissibile anche la protezione accordata a mer-
cantili neutrali da un convoglio multinazionale composto da navi da guerra non belligeranti.
La soluzione di proteggere i mercantili dal rischio pirateria (v.) facendoli navigare in convoglio sotto
la scorta di navi da guerra (anche di altra nazionalità) è stata adottata nel corso delle operazioni condotte
al largo del Corno d’Africa — in particolare nel corridoio di traffico istituito nel Golfo di Aden — sulla
base delle specifiche risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.

Vedi anche: Navicert; Neutralità marittima.

CORNO D’AFRICA
Vedi: Geopolitica del mare;
Pirateria;
Somalia;

CORSA (Guerra di)


Vedi: Diritto bellico marittimo;
Pirateria.

CRIMEA
Vedi: Mare di Azov;
Mar Nero.

CROAZIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Baia di Pirano;
Bosnia-Erzegovina;
Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Cerimoniale navale;
Delimitazione;
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Mare Adriatico;
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Ricerca e soccorso in mare;
Successione tra Stati;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
ZEE (Mediterraneo).

DELIMITAZIONE
1. Principi generali
La I Convenzione di Ginevra del 1958 (art. 12, 1) in materia di delimitazione delle acque territoriali
(v.), tra Stati con coste opposte o adiacenti, prevedeva il principio base che, in mancanza di accordo, uno
Stato potesse «to extend its territorial sea beyond the median line every point of which is equidistant from the
nearest points on the baseline from which the breadth of the territorial seas of each of the two States is measured»,
salvo correzioni in caso di «special circumstances». Analoga era la norma relativa a zona contigua (v.) e
piattaforma continentale (v.). Il valore giuridico obbligatorio del criterio dell’equidistanza nei confronti
degli Stati che non erano parti della convenzione di Ginevra è stato negato dalla Corte internazionale di
giustizia (v.) nella sentenza del 1969 relativa alla piattaforma continentale del Mare del Nord (contro-
versia tra Germania, Olanda e Danimarca). In tale occasione, e in successive sentenze, la Corte ha soste-

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Glossario di Diritto del Mare

nuto che la delimitazione deve farsi dalle parti interessate di comune accordo, secondo principi equitativi,
prendendo in considerazione criteri pertinenti, primo fra tutti quello della proporzionalità tra lo sviluppo
costiero di uno Stato (cosiddetta facciata marittima) e le zone di piattaforma attribuite allo stesso Stato.
A questo risultato la Corte era pervenuta considerando che le aree del fondale non appartengono allo
Stato costiero per il solo fatto di ricadere in prossimità del suo territorio, quanto piuttosto perché sono
«a prolongation of its land territory under the sea». A parere della Corte l’applicazione del criterio dell’equi-
distanza può invece portare ad attribuire a uno Stato aree di piattaforma che sono il prolungamento na-
turale della terraferma di un altro Stato in contrasto con il principio per cui «la terra domina il mare»
(land dominates the sea).
Di tale indirizzo ha tenuto conto l’UNCLOS quando ha disciplinato la delimitazione degli spazi marini
extraterritoriali agli articoli 74, 1 e 83, 1 — relativi rispettivamente alla ZEE e alla piattaforma continentale
— stabilendo che «La delimitazione (…) tra Stati con coste opposte o adiacenti viene effettuata per accordo sulla
base del diritto internazionale, come previsto all’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, al
fine di raggiungere una soluzione equitativa». In questo modo al metodo «equidistanza/circostanze speciali»
è stata sostituita la regola dell’«risultato equitativo». Come giustamente viene notato l’UNCLOS non in-
dica la norma sostanziale che regola la materia delle delimitazioni non essendo stato possibile, durante
la conferenza diplomatica di codificazione, raggiungere il consenso sulla definizione di ben precise regole
di delimitazione. Varie decisioni della Corte internazionale di giustizia e del tribunale del Diritto del
mare (v.) danno tuttavia concretezza alla metodologia delle delimitazioni. Nella sentenza del 1985 relativa
al caso della piattaforma continentale Malta-Libia la Corte, non accogliendo le tesi espresse da Malta,
aveva in particolare stabilito che «there was no reason to assign a role to geographical or geophysical factors
when the distance between the two States was less than 400 miles (as in the instant case). It also considered that
the equidistance method did not have to be used and was not the only appropriate delimitation technique». Tra le
tante decisioni possono citarsi quelle del: 1984 tra Canada-Stati Uniti relativa al Golfo del Maine; 1993
tra Danimarca-Norvegia relativa alla Groenlandia e all’isola Jan Majen; 2001 tra Bahrain e Qatar; 2009
tra Romania-Ucraina; 2012 tra Colombia-Nicaragua, 2017 Ghana-Costa d’Avorio. A esse vanno aggiunte
altre importanti sentenze arbitrali rese nel 1985 tra Guinea-Guinea Bissau, nel 1992 tra Canada-Francia
relative alle isole di Saint Pierre e Miquelon e nel 1999 tra Yemen ed Eritrea.

2. Criteri delimitazione
La metodologia indicata in tali sentenze si articola su tre pas-
saggi (c.d. «three steps process» e cioè: 1) tracciamento preliminare
di una linea di equidistanza geometrica tra le coste rilevanti degli
Stati interessati; 2) rettifica successiva se esistono «circostanze rile-
vanti che esigano l’aggiustamento o lo spostamento di tale linea al fine
di ottenere un risultato equitativo», quali la proporzionalità tra la
lunghezza delle coste rilevanti da prendere a base per la delimi-
tazione; 3) esecuzione di un test di proporzionalità mediante com-
parazione tra l’estensione delle aree marine da attribuire a
ciascuna parte e la lunghezza delle rispettive coste rilevanti al fine
di verificare il carattere equitativo del risultato raggiunto.
Le circostanze rilevanti che possono essere considerate caso
per caso come principi equitativi, in aggiunta a quella della pro-
porzionalità, sono state individuate dalla dottrina, tenendo
conto della giurisprudenza internazionale, in fattori quali: la
configurazione generale della costa che possa, per esempio, pe-
nalizzare uno Stato caratterizzato da una conformazione co-
stiera concava (come nel caso della Germania nella già citata
controversia del Mare del Nord del 1969); la presenza di isole;
la struttura geologica del fondale (per esempio presenza di gia-
cimenti di idrocarburi) o la sua conformazione morfologica (per Costruzione confine della piattaforma conti-
esempio canyon o montagne sottomarine); la disparità di lun- nentale Malta-Libia (Fonte: ICJ).

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Glossario di Diritto del Mare

ghezza tra le coste rilevanti, la loro direzione gene-


rale e la distanza tra di esse; l’esistenza di circo-
stanze storiche, politiche ed economiche ovvero
attinenti la navigazione.
Un certo peso nella definizione di un confine
può anche avere gli interessi di difesa e di sicurezza
di uno Stato. Al riguardo, nella citata sentenza del
1985 tra Malta-Libia, la Corte ha precisato segue:
«[Entrambe le Parti] si sono riferite a quando questo
concetto legale [di piattaforma] è emerso per la prima
volta nel Proclama Truman. Comunque nel presente caso
nessuna delle due parti ha sollevato la questione se il di-
Effetto ridotto isole su linea di delimitazione (Fonte: Hellenic ritto attuale attribuisca allo Stato costiero particolari
Naval Academy). competenze nel campo militare sulla sua piattaforma
continentale, incluse quelle relative al collocamento di
apparecchiature militari». Tale utilizzo militare della piattaforma continentale può ipotizzarsi qualora ven-
gano collocate, anche in tempo di pace, mine dormienti, ordigni per la lotta antisommergibile, idrofoni.

3. Confini acque territoriali, zona contigua e zona archeologica


Per ciò che concerne la delimitazione di acque territoriali (v.), zona contigua (v.) e zona archeologica
(v.) i criteri adottati dall’UNCLOS sono diversi da quelli valevoli per ZEE e piattaforma continentale. In
particolare l’UNCLOS ha:
— confermato la regola secondo cui la delimitazione delle acque territoriali, in mancanza di accordo,
è data dalla linea mediana «di cui ciascun punto equidistante dai punti più prossimi delle linee di base dalle
quali si misura la larghezza del mare territoriale di ciascuno dei due Stati» (in questo caso, mediana è quindi
sinonimo di equidistanza), fermo restando la possibilità di apportarvi le correzioni rese necessarie dal-
l’esistenza di circostanze speciali o di titoli storici (UNCLOS 15);
— eliminato ogni regolamentazione della delimitazione della zona contigua (v.) tra Stati con coste op-
poste, nel caso di distanza tra le linee di base dei due Stati inferiore alle 24 miglia, consentendo in tal
modo la sovrapposizione delle rispettive zone contigue (UNCLOS 33, 2). Secondo un’autorevole inter-
pretazione, tra gli Stati parte della I convenzione di Ginevra del 1958 sarebbe tuttavia ancora in vigore
il principio ivi previsto all’art. 24, n. 3 secondo cui nessuno Stato, a meno di diverso accordo, può esten-
dere la sua zona contigua al di là della mediana. Questo approccio è stato seguito dall’Italia nella Legge
23 ottobre 2009, n. 157 di ratifica della convenzione UNESCO sul patrimonio culturale sommerso (v.)
stabilendo all’art. 3 che quando la zona archeologica «... si sovrappone con un’analoga zona di un altro Stato
e non è ancora intervenuto un accordo di delimitazione, le competenze esercitate dall’Italia non si estendono oltre
la linea mediana di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 8 febbraio 2006, n. 61 [relativa alla ZPE]».

4. Confini ZEE e piattaforma continentale


Ci si chiede se i principi e i metodi per la delimitazione della piattaforma continentale siano gli stessi
adottabili per la ZEE. La disciplina dell’UNCLOS è in materia identica, in quanto l’art. 74, 1 relativo alla
ZEE è perfettamente speculare rispetto all’art. 83,1 riguardante la piattaforma. Il principio è sempre lo
stesso: raggiungimento di un risultato equitativo senza obbligo di adottare alcun metodo prefissato. Val-
gono quindi per la ZEE i criteri di delimitazione elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina interna-
zionale per la piattaforma continentale. Solo che alcune «circostanze rilevanti» si attagliano
specificatamente alla ZEE, com’è per quelle biologiche, ecologiche ed economiche riguardanti l’ecosi-
stema complessivo dell’area da spartire o gli interessi di pesca tradizionale delle comunità locali.
Non esiste nessun obbligo di far coincidere ZEE e piattaforma continentale. L’ipotesi normale è da rite-
nersi tuttavia quella della completa sovrapposizione della colonna d’acqua al fondale nell’ambito del limite
delle 200 mn dalle linee di base del mare territoriale adottando un confine monolineare come previsto dagli
accordi di delimitazione tra Cipro e Israele del 2010 e tra Cipro ed Egitto del 2003 (v. ZEE-Mediterraneo).
Analoga soluzione è stata adottata da Francia e Italia nel definire, con l’accordo di Caen del 21 marzo 2015

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Glossario di Diritto del Mare

(non ancora entrato in vigore al 2020), le frontiere ma-


rittime di ZEE e piattaforma continentale oltre che
delle rispettive acque territoriali. Rilevante è anche il
fatto che la Corte internazionale di giustizia (CIG) in
molti casi (come quelli del golfo del Maine, Nicara-
gua/Colombia, Romania/Ucraina, Perù/Cile), abbia
applicato, su richiesta delle parti, il sistema del con-
fine unico. La stessa CIG, nella sentenza del 2001 sul
Caso Qatar v. Bahrain al para 169, ha osservato che
«...the concept of a single maritime boundary does not stem
from multilateral treaty law but from State practice, and
that it finds its explanation in the wish of States to esta-
blish one uninterrupted boundary line delimiting the va-
rious — partially coincident — zones of maritime
jurisdiction appertaining to them».
In teoria è comunque sempre possibile che la de-
limitazione del fondo marino facente parte della
piattaforma continentale di uno Stato diverga da
quella della colonna d’acqua sovrastante di cui lo
stesso Stato ha la titolarità nell’ambito della ZEE. In
risposta alla proclamazione unilaterale croata della
Zona di protezione ecologica e della pesca del 2003
che adotta come limite della nuova zona quello
della sottostante piattaforma continentale, l’Italia, Linea di equidistanza provvisoria ZEE Romania-Ucraina
con nota verbale del 15 marzo 2006 (UN LOS Bulle- (Fonte: ICJ).
tin n. 60, p. 127) ha dichiarato che «there is no legal
foundation for the automatic extension, however provisional, of the seabed line of delimitation agreed upon in 1968
to superjacent waters» (v. Pesca (Mediterraneo).
Le difficoltà di pervenire a un
accordo, nel caso in cui le parti
non riescano a raggiungere
un’intesa sul tracciato della linea
di delimitazione della piatta-
forma continentale o della ZEE
possono essere superate tempo-
raneamente. Gli Stati hanno, in-
fatti, la possibilità di concludere,
in uno spirito di comprensione e
cooperazione, accordi provvisori
di natura pratica (UNCLOS, 74,
3; 83, 3). Un esempio in materia è
costituito dall’accordo tra Algeria
e Tunisia dell’11 febbraio 2002 re-
lativo sia agli spazi di acque ter-
ritoriali sia a quelli di piattaforma
continentale e ZEE (v. Acque ter-
ritoriali-Mediterraneo).

Vedi anche: Baia di Pirano;


Bocche di Bonifacio e Golfo di
Trieste (Acque territoriali Me- Linee separate di giurisdizione ZEE e PC: caso Australia-Indonesia
diterraneo); (Fonte: Australian Gov.).

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Glossario di Diritto del Mare

DEMILITARIZZAZIONE
L’imposizione di vincoli relativi al divieto dell’uso delle armi in determinate zone costiere o in speci-
fiche zone di mare non trova la sua fonte nel principio generale dell’uso pacifico dell’alto mare (UNCLOS
88). Questo principio ha, infatti, un contenuto programmatico e non impone agli Stati obblighi di com-
portamento diversi da quello (UNCLOS 301) di «astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro l’in-
tegrità territoriale o l’indipendenza di qualsiasi Stato, o contraria ai principi di diritto internazionale recepiti nella
Carta delle Nazioni unite».
Se intesa come divieto di installazioni o di attività militari, la demilitarizzazione trova dunque il suo
fondamento esclusivamente in specifici accordi internazionali o in norme consuetudinarie. In particolare:
— la proibizione di effettuare test di armi atomiche in acque internazionali non è stabilita da alcun
trattato di portata generale. È tuttavia opinione della dottrina che un tale divieto abbia natura di regola
consuetudinaria dovendosi ritenere che esso sia preordinato a non intaccare la libertà dei mari (v.) con
un uso che ne limiterebbe altrimenti la portata. La questione è stata affrontata in via incidentale avanti
la Corte internazionale di giustizia nel caso Australia-Nuova Zelanta/Francia per gli esperimenti nucleari
nell’atollo di Mururoa nella Polinesia francese;
— il trattato antartico del 1o dicembre 1959 prevede che l’Antartide «sarà usato esclusivamente per fini
pacifici» e che «qualsiasi misura di carattere militare, quale l’installazione di basi militari e di fortificazioni, l’ese-
cuzione di manovre militari, e la prova di qualsiasi tipo di armi sarà proibita»;
— il trattato di non proliferazione nucleare, firmato a Londra, Mosca e Washington il 1o luglio 1968,
riconosce il diritto di gruppi di Stati di concludere accordi regionali per la creazione di zone marittime
denuclearizzate (nuclear free zones). In tali zone, che sono vincolanti solo per gli Stati aderenti e non pon-
gono quindi limitazioni ai diritti degli Stati terzi, resta impregiudicato il libero uso del mare, ivi compresa
la libertà di navigazione delle navi a propulsione nucleare. Esse sono state istituite nell’area: a) latino-
americana, con il trattato di Tlatelolco del 1967; b) del Sud Pacifico, con il trattato di Rarotonga del 1985;
c) africana, con il trattato di Pelindaba dell’11 aprile 1996. Da anni è in corso il tentativo di istituire anche
una zona denuclearizzata (NWFZ dall’acronimo di Nuclear Weapons Free Zone) in Medio Oriente a suo
tempo auspicata dalla UNGA Resolution 3263 (1974). Il Segretario generale delle NU nel suo Rapporto
del 2019. Il , ha messo in chiaro che «a zone would comprise the national territories of two or more neighboring
States, including their territorial waters and airspace. It would also be possible for States separated from each other
by high-sea areas or otherwise to form a nuclear-weapon-free zone. Furthermore, a nuclear-weapon-free zone might
be extended by agreement into geographical areas not under the jurisdiction of any State, for instance sea areas be-
yond territorial waters»; per poi concludere che «decision not to make [nuclear weapons] will have to be affir-
med and reaffirmed again and again by the Governments and peoples of the region. A nuclear-weapon-free zone
can be the effective framework within which that decision is formulated, carried out, and sustained»;
— il trattato dell’11 febbraio 1971, firmato da Londra, Mosca e Washington, proibisce la posa di armi
nucleari o di altre armi di distruzione di massa sul fondo e sul sottofondo marino.

DEMILITARIZZAZIONE (MEDITERRANEO)
1. Quadro di situazione
L’imposizione di vincoli relativi al divieto dell’uso delle armi e/o di installazioni militari è stata attuata
nel Mediterraneo nelle seguenti aree:
— canale di Suez (v.) ove, secondo la Convenzione di Costantinopoli del 1888 si prevede che: «Il Canale
sarà sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a ogni nave mercantile o da guerra, senza distinzione
di bandiera (...). Esso non sarà mai soggetto all’esercizio del diritto di blocco» e che «nessun atto di ostilità o nessun
atto volto a impedire la libera navigazione nel Canale potrà essere eseguito al suo interno e nei suoi porti d’accesso
sino al raggio di 3 miglia, anche se la Turchia fosse una delle potenze belligeranti»;
— stretto di Gibilterra (v.) ove la demilitarizzazione è stabilita sulla base della dichiarazione di Londra
dell’8 aprile 1904 tra Gran Bretagna e Francia (cui aderì successivamente la Spagna con la dichiarazione
di Parigi del 3 ottobre 1904) che ha per oggetto la smilitarizzazione della costa marocchina dello stretto;
— stretti Turchi ove, secondo la Convenzione di Montreux del 1936 — v. stretti Turchi, para b) —, sono
stabilite limitazioni, per tonnellaggio e tipo di unità, al transito delle navi da guerra dei paesi esterni al
Mar Nero (v.).

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Glossario di Diritto del Mare

LA SMILITARIZZAZIONE DELLE ISOLE GRECHE DELL’EGEO

La situazione degli obblighi di smilitarizzazione che gravano sulla Grecia nell’Egeo può così
sintetizzarsi:
1) Lemno e le isole adiacenti: il vincolo di demilitarizzazione era contenuto nel trattato di Lo-
sanna del 24 luglio 1923. La successiva convenzione di Montreux del 20 luglio 1936, pur menzio-
nando tale trattato non ha confermato espressamente tale obbligo. Attualmente la Turchia ne
reclama il rispetto mentre la Grecia sostiene che il regime previsto dal Trattato di Losanna del 1923
è stato abrogato da quella di Montreux del 1936 (v. Stretti);
2) Isole dell’Egeo centrale: (Lesbo, Chio, Samo e Nikaria). Il regime di queste isole era regola-
mentato dall’art. 13 del suidicato trattato di Losanna nel senso che era proibita l’installazione di
qualsiasi «base navale» o «fortificazione». Attualmente la Grecia non contesta la validità di tale
regime. La Turchia ha più volte assunto iniziative per richiederne la stretta osservanza da parte
della Grecia;
3) Isole del Dodecaneso: (Stampalia, Rodi, Calki, Scarpanto Carso Piscopi, Misiro, Calimno,
Lezo, Patinco, Lipso, Simi, Cos e Castelrosso). L’art. 14 del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947
tra l’Italia e le potenze alleate, nel prevedere il trasferimento delle isole del Dodecaneso sotto la
sovranità della Grecia, stabilisce che «le predette isole saranno e rimarranno smilitarizzate». In merito
all’applicazione di tale obbligo la Turchia sostiene che la smilitarizzazione delle stesse isole è stata
disposta per venire incontro alle proprie esigenze di sicurezza. Da parte di alcuni studiosi si mette
invece in rilievo che la Turchia, non essendo parte del trattato di pace del 1947, non ne può recla-
marne l’applicazione in proprio favore, tenuto anche conto del fatto che lo scopo di tale regime
dovrebbe invece essere ricercato nell’impedire un’utilizzazione del Dodecaneso dalle Forze navali
dell’ex Unione Sovietica.

2. Obblighi riguardanti l’Italia


Analoghi obblighi di demilitarizzazione furono anche imposti all’Italia dagli articoli 49 e 50 del Trattato
di Pace del 1947 per ciò che concerneva sia il divieto di costruire opere militari, navali, e aeronautiche
nella Sicilia e nella Sardegna, sia l’obbligo di mantenere smilitarizzate le isole di Pantelleria, Lampedusa,
Linosa, Lampione e Pianosa. Riguardo a questi vincoli occorre precisare che nessuna delle clausole del
trattato di pace del 1947 riguardante la smilitarizzazione di territori costieri e insulari italiani è ancora
in vigore. Questo è il parere della dottrina e questa è la posizione assunta dagli Stati Uniti, in sede uffi-
ciale, motivata con la considerazione che sarebbero venute meno le iniziali condizioni di diritto e, di
fatto, che imponevano obblighi all’Italia nei confronti delle potenze vincitrici.

3. Obblighi imposti all’ex Iugoslavia


Lo stesso trattato di pace all’art. 11, nel prevedere la cessione all’ex Iugoslavia della piena sovranità
sull’isola di Pelagosa e sulle isolette adiacenti, stabiliva che «l’isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata» e che
i pescatori italiani godranno nelle acque adiacenti degli stessi diritti di cui godevano i pescatori jugoslavi
prima del 1941 (v. Pesca-Mediterraneo). È discorde la valutazione della validità dell’obbligo di mantenere
smilitarizzata Pelagosa (ora sotto sovranità croata). Da parte di alcuni studiosi si sostiene che la smilita-
rizzazione sarebbe stata disposta a garanzia delle esigenze di sicurezza dell’Italia; da parte di altri si ri-
tiene, invece, che il vincolo fu posto per salvaguardare la libertà di transito in Adriatico tenuto conto che
la localizzazione dell’isola in posizione centrale nell’area ha un considerevole valore strategico per il
controllo delle rotte di entrata e uscita dal bacino Adriatico. La questione andrebbe ora considerata alla
luce del fatto che tutti gli Stati rivieraschi dell’Adriatico fanno oramai parte della NATO.

4. Politica russo-sovietica
La smilitarizzazione del Mediterraneo è un tema a più riprese affrontato dall’ex Unione Sovietica negli
anni passati. L’Unione Sovietica, perseguendo un suo disegno di strategia marittima che privilegiava la

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Glossario di Diritto del Mare

riduzione della presenza navale americana in Mediterraneo piuttosto che un rafforzamento della propria,
aveva adottato una peculiare visione della questione mediterranea riassunta nello slogan «fare del Medi-
terraneo un lago di pace». Un precedente in tal senso era rappresentato dalla tradizionale politica sovie-
tico-zarista dei mari chiusi (v. Libertà dei mari).
Gli interventi pubblici dei leader sovietici su questo tema furono non pochi; si può ricordare, al ri-
guardo, che già nel 1967 l’allora segretario generale del PCUS, Breznev, chiese l’allontanamento della VI
Flotta degli Stati Uniti dal Mediterraneo motivandola con un progetto di denuclearizzazione e smilita-
rizzazione dell’area, il cui controllo doveva essere riservato ai paesi costieri. La medesima proposta fu
ripetuta nel 1988 con grande strepito propagandistico da Gorbaciov, a Belgrado quando dichiarò: «Riaf-
fermiamo la nostra volontà di ritirare dal Mediterraneo le flotte sovietica e americana…». In sintonia con simili
iniziative, Malta nel 1979 aveva dichiarato solennemente di essere «a neutral State» impegnandosi a: 1)
perseguire una politica di non allineamento; 2) non partecipare ad alcuna alleanza militare; 3) non am-
mettere nei suoi cantieri navali unità statunitensi o sovietiche.

5. Neutralità maltese
Un caso a sé è quello della neutralità che Malta ha stabilito nella sua Costituzione. Dopo un periodo
di benevola apertura alle esigenze militari della NATO, iniziato nel 1964 con l’acquisizione dell’indipen-
denza dalla Gran Bretagna, nel 1971 — in coincidenza con la vittoria elettorale del partito laburista di
Dom Mintoff — a Malta si verificò un cambiamento politico: il Comando navale NATO del Sud Europa
(COMNAVSOUTH), considerato non più gradito dal nuovo governo, dovette essere spostato a Napoli.
Contemporaneamente Malta si aprì all’ex Unione Sovietica e alla Libia. Questa fase di rischieramento
politico internazionale dell’isola si interruppe quando il governo maltese, per reagire a mire egemoniche
libiche, dovette proclamare la sua neutralità nel 1979, recependola con emendamento approvato nel 1987,
nella sua Costituzione la cui section 1 al riguardo così dispone: «(3) Malta is a neutral state actively pursuing
peace, security and social progress among all nations by adhering to a policy of non-alignment and refusing to par-
ticipate in any military alliance. Such a status will, in particular, imply that:
(a) no foreign military base will be permitted on Maltese territory;
(b) no military facilities in Malta will be allowed to be used by any foreign forces except at the request of the Go-
vernment of Malta, and only in the following cases:
(i) in the exercise of the inherent right of self-defence in the event of any armed violation of the area over which
the Republic of Malta has sovereignty, or in pursuance of measures or actions decided by the Security Council of
the United Nations; or,
(ii) whenever there exists a threat to the sovereignty, independence, neutrality, unity or territorial integrity of
the Republic of Malta; (…)
(e) the shipyards of the Republic of Malta will be used for civil commercial purposes, but may also be used within
reasonable limits of time and quantity, for the repair of military vessels which have been put in a state of non-
combat or for the construction of vessels, and in accordance with the principles of non-alignment the said shipyards
will be denied to the military vessels of the two superpowers».
L’Italia si fece garante di tale status con l’accordo del 15 settembre 1980 mediante scambio di note con-
cernente la dichiarazione relativa alla neutralità di Malta (ancora in vigore), ratificato con Legge 15 aprile
1981, n. 149 cui hanno fatto seguito protocolli relativi all’assistenza finanziaria allo sviluppo e all’invio
di una missione di cooperazione militare dedicata alla protezione dell’integrità territoriale dell’isola. In
questa sede si fa menzione della neutralità maltese per i suoi aspetti marittimi. Anzitutto, per ciò che ri-
guarda l’impegno di Stati Uniti ed ex Unione Sovietica (al tempo, uniche due «super potenze»). Ma,
anche per le implicazioni della garanzia italiana, visto che in certe occasioni, in passato, è stato affermato
da esponenti maltesi che il nostro paese: 1) non potrebbe contestare le pretese di Valletta relativa a
un’estesa piattaforma continentale (v. Piattaforma continentale (Mediterraneo)) perché altrimenti si con-
figurerebbe una violazione dell’integrità territoriale dell’isola di cui noi ci siamo fatti garanti; 2) sarebbe
obbligato a intervenire nella SAR maltese (v. Ricerca e soccorso in mare) proprio in forza dello stesso
principio.

Vedi anche: Disarmo navale.

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Glossario di Diritto del Mare

DENUCLEARIZZAZIONE
Vedi: Demilitarizzazione.

DIRITTI UMANI IN MARE (PROTEZIONE DEI)


A partite dalla fine della Seconda guerra mondiale la tutela dei diritti umani, intesa come protezione
dell’integrità fisica e morale della persona umana, ha assunto rilievo internazionale. La Carta delle NU
del 1945 può considerarsi il primo atto che ne afferma il valore, cui si sono aggiunte dopo qualche anno
la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 e la Convenzione del 1951 sullo stato di rifugiato. Un ul-
teriore impulso — anche se limitato ai paesi aderenti al Consiglio d’Europa — è giunto dalla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) in applicazione della quale, la Corte EDU, con
la sentenza del Caso Hirsi (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare), ha condannato il nostro
paese per i respingimenti collettivi verso la Libia. Altri casi giudicati dalla stessa Corte relativi a situazioni
in cui erano state poste in essere azioni di polizia sulla base dell’UNCLOS, sono Rigopoulos v. Spain e il
Medvedyev v. France: in entrambi è stata affermata la violazione dei principi della CEDU in relazione al
notevole ritardo con cui erano state condotte dinanzi all’autorità giudiziaria persone in custodia su navi
da guerra intervenute contro mercantili impegnati in operazioni antidroga in alto mare (v. Traffico di
stupefacenti in mare). Il tema rimanda peraltro ai problemi palesatisi durante la crisi della pirateria (v.)
del Corno d’Africa quando si creò un vuoto di giurisdizione per la difficoltà di concedere le ordinarie
garanzie ai pirati catturati.
Il problema attiene quindi, in termini generali, alla compatibilità tra quanto prevede l’UNCLOS con
riguardo a diritti e obblighi degli Stati nei vari spazi marittimi e quanto è invece stabilito dalle pertinenti
norme internazionali attinenti i diritti umani delle singole persone. Come detto, la Corte CEDU, ha sin
qui svolto un ruolo rimarchevole nel raccordare i due ambiti giuridici. Ma, ancor più rilevante è stata
l’affermazione da parte dell’ITLOS (Tribunale internazionale per il Diritto del mare) di una interpreta-
zione dell’UNCLOS orientata alla tutela delle persone. Nel caso Saiga 2 (v. Polizia dell’alto mare) lo stesso
tribunale ha per esempio stabilito che, ove sia necessario far uso della forza nei confronti di una nave
impegnata in attività illecita, un principio base è che «the use of force must be avoided as far as possible….
Considerations of humanity must apply in the law of the sea, as they do in other areas of international law». Non
a caso il SUA Protocol (v. Terrorismo marittimo) ha recepito questo orientamento nell’art. 8 bis quando
ha previsto (art. 8 bis, 3 che: «States Parties shall take into account the dangers and difficulties involved in bo-
arding a ship at sea and searching its cargo, and give consideration to whether other appropriate measures agreed
between the States concerned could be more safely taken in the next port of call or elsewhere».
Il fatto è che l’UNCLOS, come è stato detto, non è un «human rights instrument», per sé. In realtà, a
un’attenta lettura, la stessa convenzione contiene norme volte indirettamente a tutelare la persona umana.
Anzitutto il principio del genuin link (v. Nazionalità della nave) è quello che meglio garantisce che le con-
dizioni di vita dei marittimi imbarcati su navi sub standard, magari con bandiera di convenienza, siano
adeguatamente tutelate secondo la regolamentazione internazionale sul lavoro marittimo. Ma, un par-
ticolare risalto va dato, dal punto di vista dei diritti umani agli obblighi di soccorso stabiliti dall’art. 98
e alla discendente regolamentazione sul luogo di sbarco di migranti salvati (v. Ricerca e soccorso in mare),
anche se deve notarsi che non vi sono strumenti internazionali, nemmeno a livello di regolamentazioni
UE, che scoraggino o vietino l’applicazione ai migranti di procedure di respingimento. Devono ricordarsi
infine i rischi, a volte mortali, corsi dai pescatori, soprattutto in Adriatico e nel Canale di Sicilia, per l’ag-
gressività di quei paesi che svolgono una polizia della pesca che preveda l’uso di armi da fuoco. Nulla
può giustificare, anche di fronte a casi di pesca illegale, un simile comportamento violento. E, infatti,
l’UNCLOS è al riguardo chiaro nel disporre all’art. 73, con riguardo alla ZEE (v.) sia il principio del
«pronto rilascio» dei battelli fermati, sia quello secondo cui: «Le sanzioni previste dagli Stati costieri in caso di vio-
lazione delle leggi e dei regolamenti di pesca nella zona economica esclusiva non possono includere misure di re-
strizione della libertaÌ personale salvo accordi diversi tra gli Stati interessati, neì alcuna altra forma di pena fisica».
Questa norma in sé non è tuttavia sufficiente a scongiurare che i pescatori siano coinvolti in azioni vio-
lente: essa va, infatti, letta e applicata alla luce del principio stabilito dagli articoli 21 e 22 della Conven-
zione di New York del 1995 sulle specie ittiche migratorie che, per la sorveglianza della pesca in alto
mare, vieta l’harassment e la forza eccessiva.

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Glossario di Diritto del Mare

DIRITTO BELLICO MARITTIMO


Il tradizionale Diritto bellico marittimo inteso come insieme di norme regolanti la guerra marittima
ha origini antiche basate su fonti non solo consuetudinarie ma anche pattizie. Per esempio, il trattato
franco-spagnolo dei Pirenei del 1659 disciplinava già in modo dettagliato le modalità di svolgimento
della visita a mercantili ai fini del contrabbando di guerra (v.). Una prima definizione in senso moderno
delle regole applicabili si ebbe con la Dichiarazione di Parigi del 16 aprile 1856 — approvata al termine
della Guerra di Crimea da Austria, Francia, Inghilterra, Piemonte, Russia e Turchia — con cui: 1) si abo-
liva la guerra di corsa (v. pirateria); 2) si regolamentavano alcuni aspetti della neutralità marittima (v.)
relativamente al trasporto di merci; 3) si stabilivano le modalità del blocco (v.).
Successivi sviluppi si devono alle otto convenzioni dell’Aja del 1907 dedicate a navi mercantili, mine,
bombardamento navale, diritto di cattura e istituzione del tribunale delle prede. A esse seguì la Dichia-
razione di Londra del 1909 relativa al Diritto della guerra marittima che stabilisce i fondamenti delle
operazioni belliche sul mare in materia di blocco, contrabbando, visita, assistenza ostile e prede. Tale Di-
chiarazione non entrò mai in vigore ma assunse un rango di fonte consuetudinaria generalmente accet-
tata, tant’è che fu tenuta presente dal nostro paese nella redazione della Legge di Guerra (R.D. 1415-1938)
relativamente alla parte dedicata alla guerra marittima. Circa le funzioni esercitabili dalla nave da guerra
(v.) la stessa legge all’art. 132 stabilisce, tra l’altro, il seguente fondamentale principio: «Le navi che possono
compiere operazioni belliche, compresa la visita e la cattura di navi e di aeromobili, sono soltanto quelle da guerra
indicate negli articoli 133 e 134 [navi da guerra e navi mercantili trasformate in navi da guerra]».
A seguito dell’emanazione della Carta delle Nazioni unite che vieta il ricorso alla guerra come metodo
per risolvere le controversie tra Stati, delle convenzioni di Diritto umanitario di Ginevra del 1949 e della
prassi instauratasi nel corso di vari conflitti internazionali come quello delle Falkland\Malvinas e del
Golfo Persico (v.), si è creato un nuovo corpus di norme costituenti il Diritto dei conflitti armati sul mare.
In attesa di pervenire a una nuova convenzione internazionale in materia, su iniziativa dell’Istituto
internazionale di Diritto umanitario di San Remo e del Comitato internazionale della Croce Rossa di Gi-
nevra è stato redatto, da un gruppo di esperti, come compilazione privata non vincolante, il Manual on
International Law applicable to armed Conflicts at Sea. Questo testo, oltre a tener conto delle norme e
della prassi internazionale sui conflitti in mare, considera anche i riflessi sulle operazioni belliche del re-
gime dell’UNCLOS in materia di spazi marittimi, in particolare, piattaforma continentale (v.) e ZEE (v.)
ove lo svolgimento di attività belliche (si pensi alla posa di sensori passivi o di mine dormienti) nelle
acque di un paese neutrale è legittima a condizione che non crei pregiudizio ai diritti funzionali di pro-
tezione e sfruttamento esercitabili dallo Stato costiero.
Circa il regime del transito negli stretti (v.) in situazioni di conflitto armato il citato Manuale di Sanremo,
tenendo conto dell’UNCLOS e della prassi adottata durante alcuni conflitti recenti come quello Iran-
Iraq, adotta una regolamentazione improntata ai seguenti principi: 1) in periodo di conflitto armato con-
tinua ad applicarsi, sia per i belligeranti sia per i neutrali, il diritto di passaggio in transito vigente in
tempo di pace; 2) i paesi rivieraschi neutrali non possono quindi imporre limitazioni al transito anche
perché la loro neutralità non è inficiata dal semplice passaggio di navi belligeranti; 3) queste navi devono
a loro volta astenersi dall’uso della forza nei confronti dello stato costiero, anche se, durante il transito,
possono adottare misure difensive (quali, operazioni aeree, navigazione in formazione, sorveglianza
acustica); 4) i paesi rivieraschi belligeranti possono adottare misure interdittive esclusivamente nei con-
fronti di navi da guerra di altro paese belligerante; 5) essi possono in teoria collocare mine nelle proprie
acque facenti parte di uno stretto, a condizione che in questo modo non si renda pericolosa la navigazione
delle navi neutrali e purché esista una rotta alternativa di convenienza similare; 6) le navi da guerra neu-
trali conservano il diritto di passaggio negli stretti le cui acque sono sotto la sovranità di Stati belligeranti,
provvedendo, in forma precauzionale, a darne preavviso agli stessi.

Vedi anche: Convoglio, Contrabbando di guerra, Disarmo navale, Navicert, Protezione dell’ambiente
marino, Sommergibile.

DIRITTO CONFLITTI ARMATI SUL MARE


Vedi: Diritto bellico marittimo.

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Glossario di Diritto del Mare

DIRITTO DEL MARE (Codificazione)


Terminato il periodo — che va dal XVII al XVIII secolo — dell’elaborazione teorica dei principi della
libertà dei mari (v.) in contrapposizione a quelli del controllo esclusivo degli Stati costieri sulle zone di
interesse commerciale e strategico, nel XIX secolo ha inizio la codificazione vera e propria del moderno
Diritto marittimo internazionale.
Il primo atto normativo può considerarsi, sia pur nella materia affine del Diritto bellico marittimo (v.),
la Dichiarazione di Parigi del 1856 con cui, oltre a disciplinare il contrabbando di guerra (v.), si dispose
il divieto della guerra di corsa (v. Pirateria). La Convenzione di Costantinopoli del 1888 relativa al Canale
di Suez rappresenta invece il primo strumento internazionale dedicato alla libertà di navigazione.
Successivamente, dopo un periodo di codificazione del Diritto bellico marittimo nel corso delle Con-
ferenze dell’Aja, si pervenne sotto l’egida della Società delle nazioni alla firma delle due Convenzioni e
Statuti di Barcellona del 1921 sulla libertà di transito e sul regime dei canali navigabili di interesse inter-
nazionale, A questi accordi fece seguito nel 1923 la convenzione di Ginevra sul regime internazionale
dei porti (LN, TS, vol. 58, p. 285). Al riguardo, circa la questione della chiusura dei porti si rinvia alla
voce Ricerca e soccorso in mare.
Nel 1930, sotto gli auspici della medesima Società delle nazioni, si tenne a l’Aja la 1a «Conferenza della
codificazione progressiva del diritto internazionale». I contrasti insorti tra i paesi partecipanti impedirono
l’adozione di un testo concordato. I punti di divergenza riguardarono principalmente la possibile esten-
sione delle acque territoriali (v.) al di là del limite delle 3 mn ammesso al tempo, e il riconoscimento dei
poteri dello Stato costiero nella zona contigua (v.): queste soluzioni furono avversate da Gran Bretagna
e Stati Uniti. Ciononostante fu possibile redigere una bozza di convenzione sul regime giuridico del mare
territoriale in cui si definiva il principio del transito inoffensivo (v.).
La stasi dello sviluppo del diritto del mare imposta dalla Seconda guerra mondiale fu interrotta dalla
istituzione nel 1947, a iniziativa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, della International Law
Commission la quale iniziò il lavoro di codificazione di varie materie, tra cui vi era il regime dell’alto
mare e delle acque territoriali. Nel frattempo, la Corte internazionale di giustizia, con sentenza del 1949
si pronunciò sull’affare tra Albania e Gran Bretagna del canale di Corfù originato dal danneggiamento,
da parte albanese, di due caccia britannici. La Corte, dopo aver affermato la responsabilità albanese per
non aver notificato le coordinate dei campi minati come previsto dalla VIII convenzione dell’Aja del
1907, stabilì che la Gran Bretagna aveva legittimamente esercitato il diritto di transito inoffensivo nel ca-
nale di Corfù (v. Transito negli stretti) di proprie navi da guerra (v.)
L’opera della Corte, nella definizione dei principi guida del Diritto internazionale marittimo, continuò
con la sentenza del 1951 relativa alla controversia tra Gran Bretagna e Norvegia sulle zone di pesca, nella
quale furono poste le premesse della dottrina delle linee di base (v.) e delle baie storiche (v.).
Su iniziativa delle NU fu successivamente convocata la I Conferenza sul Diritto del mare che, iniziati
i suoi lavori a Ginevra il 24 febbraio 1958, li terminò il 29 aprile dello stesso anno con l’adozione delle
seguenti quattro Convenzioni il cui testo base era stato redatto negli anni precedenti dalla International
Law Commission: I convenzione sul mare territoriale e sulla zona contigua; II convenzione sull’alto mare;
III convenzione sulla pesca e sulla conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare; IV convenzione
sulla piattaforma continentale.
L’accordo raggiunto tra i paesi partecipanti non fu tuttavia totale in quanto rimase aperta la questione
dell’estensione delle acque territoriali. Per risolvere questo problema fu convocata a Ginevra, nell’aprile
1960, una II conferenza del Diritto del mare, nel corso della quale non si riuscì a trovare la necessaria in-
tesa. Le Convenzioni di Ginevra del 1958 mostrarono ben presto i loro limiti. Esse erano, infatti, ricogni-
tive del diritto consuetudinario vigente al tempo e prive di contenuti innovativi, risultando perciò,
inadeguate di fronte ai cambiamenti che si annunciavano nella prassi degli Stati costieri, soprattutto in
materia di sfruttamento delle risorse marine. L’Assemblea generale delle NU emanò perciò la risoluzione
n. 2750/C-XXV del 17 dicembre 1970 che stabiliva la convocazione di una III Conferenza sul Diritto del
mare. Il consesso si riunì per la prima volta a Caracas nel 1973, e proseguì successivamente i suoi lavori
in Jamaica. Dopo 11 sessioni si pervenne alla definizione del testo della United Nation Conventions on
the Law of the Sea (UNCLOS) adottata a Montego Bay il 10 dicembre 1982. Votarono contro la sua ap-
provazione Israele, Turchia, Venezuela e Stati Uniti; questi ultimi erano contrari alle soluzioni adottate

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Glossario di Diritto del Mare

nella parte XI della convenzione in materia di regime internazionale dei fondi marini (v. Area interna-
zionale dei fondi marini). La convenzione è entrata in vigore il 16 dicembre 1994, un anno dopo il depo-
sito della 60a ratifica.
Il valore giuridico delle disposizioni dell’UNCLOS prima della sua entrata in vigore era stato esami-
nato nel 1984 dalla Corte internazionale di giustizia nell’ambito del caso della delimitazione del golfo
del Maine tra Stati Uniti e Canada. Nell’occasione la Corte aveva osservato che, poiché è innegabile che
numerose disposizioni dell’UNCLOS, come quelle concernenti la piattaforma continentale (v.) e la ZEE
(v.), erano state adottate senza obiezioni di alcuno Stato per generale consenso (consensus), doveva rite-
nersi che queste stesse andassero considerate espressione del diritto consuetudinario vigente e, quindi,
fossero di per sé giuridicamente vincolanti.
Numerosi Stati non hanno ancora aderito alla Convenzione. Tra questi, oltre a Eritrea, Iran, Israele e
Libia, vi sono gli Stati Uniti (che tuttavia la applicano nella misura in cui riflette il diritto internazionale
consuetudinario), e la Turchia che la ritiene pregiudizievole ai propri interessi nel mar Egeo (v.). La
ratifica da parte dell’Italia è avvenuta con Legge 2 dicembre 1994, n. 689.

DIRITTO DI ASILO
Vedi: Rifugio temporaneo.

DIRITTO DI INSEGUIMENTO
È il potere attribuito alle navi da guerra (v.) alle navi in servizio governativo (v.) e agli aeromobili mi-
litari (v.) di inseguire una nave straniera quando si hanno fondati sospetti che questa abbia violato leggi
o regolamenti nazionali (Ginevra II, 23; UNCLOS 111).
L’inseguimento deve essere iniziato quando la nave o una delle sue imbarcazioni si trovi nelle acque
interne (v.), nelle acque arcipelagiche (v.), o nel mare territoriale (v.) dello Stato che effettua l’inseguimento
e può continuare in alto mare (v.), al di fuori delle aree di giurisdizione nazionale, soltanto se non sia
stato interrotto. La nave inseguitrice può anche costatare e notificare l’infrazione trovandosi al di fuori
di tali zone. Condizione per l’inizio dell’inseguimento è che venga accertato che la nave inseguita, o sue
imbarcazioni che la usino come «nave madre», si trovi entro i limiti di una delle zone suindicate soggette
alla giurisdizione nazionale. Nel caso che venga inseguita un’imbarcazione che una «nave madre», tro-
vandosi al di fuori di tali zone, impieghi per violare le leggi dello Stato costiero (per esempio per intro-
durre tabacchi di contrabbando o sbarcare migranti illegali), si realizza l’ipotesi della «presenza
costruttiva» (Ginevra II, 23, 3; UNCLOS 111, 4).
Il diritto d’inseguimento può essere esercitato anche con riguardo alle infrazioni commesse nella zona
contigua (v.), nella zona economica esclusiva (v.) o nelle acque sovrastanti la piattaforma continentale
(v.) in relazione alla lesione di particolari diritti funzionali riconosciuti allo Stato costiero in tali zone.
L’inseguimento va preceduto da un ordine di fermo dato con un mezzo radio, ottico o acustico e da di-
stanza tale da poter essere ricevuto. Un inseguimento iniziato da un aereo con le modalità su riportate
può essere continuato da un altro aereo o nave purché non vi sia interruzione. Durante l’inseguimento
la nave inseguitrice può fare uso della forza, secondo criteri di necessità, proporzionalità e gradualità (v.
Polizia dell’alto mare) per costringere la nave inseguita a fermarsi. Questa, quando raggiunta, è catturata
e condotta in un porto nazionale per gli opportuni provvedimenti.
L’intervento in alto mare di una nave da guerra della stessa bandiera del mercantile inseguito per pro-
teggerlo dall’azione coercitiva della nave inseguitrice, può ritenersi consentito se la nave inseguitrice
pretenda di esercitare illegittimamente l’inseguimento in assenza delle condizioni e dei requisiti previsti
dall’UNCLOS e vi sia evidenza di questo, oppure usi la forza in modo eccessivo mettendo in pericolo la
vita delle persone.
L’applicabilità di tali principi in materia di uso della forza da parte di unità in servizio di polizia è
stata affermata dal tribunale del Diritto del mare (v.) nella sentenza del 1o luglio 1999 relativa alla con-
troversia tra Saint Vincent e Grenadines e la Guinea sulla cattura del mercantile Saiga (para 153-159): il
Saiga era una nave battente bandiera di Saint Vincent e Grenadine catturata dalla Guinea in acque inter-
nazionali perché sospetta di aver commesso contrabbando di carburanti nella ZEE dopo un inseguimento
culminato in un’azione a fuoco. In tale sentenza il tribunale ha giudicato eccessiva, sproporzionata e non

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Glossario di Diritto del Mare

giustificata dalle circostanze l’azione delle autorità della Guinea, mettendo in evidenza che in materia
di uso della forza la stessa convenzione non contiene norme specifiche, ma rinvia alle altre norme di di-
ritto internazionale applicabili (UNCLOS 293, 1).
Il diritto di inseguimento cessa non appena la nave inseguita entri nel mare territoriale dello Stato
di cui batte bandiera o di altro Stato (UNCLOS 111, 3). Una deroga a questo principio può aversi qua-
lora vi sia il consenso dello Stato costiero interessato. In ipotesi in cui la nave inseguita abbia com-
messo in alto mare atti di pirateria (v.) e cerchi di sottrarsi alla cattura rifugiandosi nelle acque
territoriali di un altro Stato potrebbe in teoria parlarsi di reverse hot pursuit. L’adozione di una simile
prassi in via unilaterale, benché sostenuta da alcuni paesi, non appare tuttavia conforme alla regola-
mentazione internazionale: essa postula, infatti, l’immediata informazione allo Stato costiero cui po-
trebbe seguire successivamente l’adozione di misure coercitive soltanto se lo stesso Stato non fosse
in grado di intervenire.

DIRITTO DI SORVOLO
Vedi: Spazio aereo internazionale;
Stretti internazionali.

DIRITTO DI VISITA
È la facoltà attribuita alle navi da guerra (v.) di sottoporre a visita in alto mare, in tempo di pace, una
nave mercantile straniera nei soli casi (Ginevra II, 22; UNCLOS 110, 1) in cui vi sia fondato sospetto che
questa sia dedita alla pirateria (v.) o alla tratta degli schiavi (v.), effettui trasmissioni radio o televisive
non autorizzate (v), sia priva di nazionalità ovvero usi più bandiere come bandiere di convenienza (v.
Nazionalità della nave) o, benché batta bandiera straniera o rifiuti di mostrare la propria bandiera abbia
in realtà la stessa nazionalità della nave da guerra.
Nella pratica consuetudinaria vigente, l’esercizio di questo diritto presuppone che la nave da guerra
incontri una nave mercantile che non alzi bandiera e che, sospettando l’esistenza di una delle suindicate
situazioni, decida di effettuare l’inchiesta di bandiera (v.). La nave da guerra che si avvale del diritto di
visita deve improntare la sua azione a cautela, provvedendo a: 1) intimare al mercantile di fermarsi con
mezzi radio o ottici, facendo ricorso, in caso di inadempimento, a un colpo di avvertimento (warning
shot); 2) inviare sulla nave sospetta, con una motobarca, un proprio ufficiale per il controllo dei documenti
di bordo (atto di nazionalità, ruolo equipaggio, giornale nautico, ecc.); 3) eseguire, ove i sospetti per-
mangano dopo il controllo dei documenti, un’ispezione della nave medesima.
La più recente prassi internazionale, recepita da accordi sul contrasto a traffici illeciti in mare (v. Ter-
rorismo marittimo; Traffico e trasporto illegale di migranti in mare), evidenzia, nell’esecuzione in mare
di visite e ispezioni a imbarcazioni, l’esigenza di stringenti misure di salvaguardia per la tutela dell’in-
tegrità fisica, dei diritti umani e della dignità delle persone trasportate e della sicurezza dei mezzi e del
carico, tenendo anche conto che i pericoli connessi alla messa in atto di abbordaggi in mare possono con-
sigliarne la loro esecuzione in porto. Al riguardo, è sintomatico quanto stabilito dall’art. 9 del Protocollo
di Palermo del 2000 sul traffico di migranti via mare.
Se, a seguito della visita, i sospetti si rivelino fondati, la nave mercantile può essere condotta, per gli
opportuni provvedimenti, in un porto nazionale o in un porto estero ove risieda un’autorità consolare.
Una nave da guerra italiana in attività di polizia dell’alto mare (v.) potrebbe intervenire qualora si tratti
di: 1) una nave nazionale che eserciti pirateria o tratta degli schiavi, o che abbia commesso gravi irrego-
larità occultando la propria nazionalità (CN 200 e 202) o falsificando i documenti di bordo; 2) una nave
straniera dedita alla pirateria (UNCLOS 105); 3) una nave priva di nazionalità (stateless); in quest’ultimo
caso il provvedimento è giustificato sia dalla mancanza di giurisdizione di altri Stati sia dall’interesse
dello Stato che interviene a prevenire o reprimere la violazione di proprie leggi: nel far ciò è però neces-
sario tenere, nella dovuta considerazione, i diritti personali dei marittimi imbarcati la cui integrità è tu-
telata penalmente dallo Stato di appartenenza.
Al di fuori di queste ipotesi, alla nave da guerra è solo consentito di raccogliere le prove dell’attività
illecita, trasmettendo un dettagliato rapporto alle autorità superiori nazionali per l’inoltro allo Stato di
cui la nave batte la bandiera: è questo, per esempio, il caso del danneggiamento di cavi e condotte sot-

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Glossario di Diritto del Mare

tomarine (v.). Se l’esito della visita porti a ritenere infondati i sospetti, la nave fermata dovrebbe essere
indennizzata per le perdite e i danni subiti.
L’esercizio dei poteri di visita è peraltro riconosciuto anche agli aeromobili militari (v.) e alle navi e
agli aeromobili in servizio governativo (v.), ove a ciò esplicitamente autorizzati dallo Stato di apparte-
nenza (UNCLOS 110, 5).
Il diritto di visita può trovare il suo fondamento in un trattato bilaterale ed essere svolto, quindi, in
situazioni diverse da quelle di cui s’è detto. Un esempio era offerto dal trattato tra l’Italia e la Spagna
del 23 marzo 1990 per la repressione del traffico illecito della droga in mare.
Nel corso di un conflitto armato il ricorso al diritto di visita è consentito in alto mare alle navi da
guerra dei belligeranti nei confronti dei mercantili di qualsiasi bandiera per accertare nazionalità e natura
del carico trasportato, in applicazione del regime del contrabbando di guerra (v.). La materia è discipli-
nata, nell’ordinamento italiano, dagli articoli 181-191 della Legge di Guerra (R.D. 1415-1938). L’esercizio
del diritto di visita erga omnes può anche trovare fondamento, sulla base della Carta delle NU, in risolu-
zioni ONU che abbiano stabilito l’applicazione di misure di embargo navale (v.) nei confronti di paesi
che abbiano violato la legalità internazionale, ovvero nel diritto di difesa legittima internazionale (v. In-
terdizione marittima).

Vedi anche: Polizia dell’alto mare.

DISARMO NAVALE
1. Riduzione delle flotte
Al termine del Primo conflitto mondiale, quando la potenza navale tedesca era ormai distrutta e la
Gran Bretagna conservava intatto tutto il suo potenziale marittimo, iniziò negli Stati Uniti un massiccio
piano di costruzioni navali ritenendosi dal Governo statunitense che la nazione americana dovesse do-
tarsi di una grande flotta da guerra per tutelare i suoi interessi mondiali.
In parallelo iniziò lo sviluppo della Marina nipponica. La corsa al riarmo navale ingaggiata tra Stati
Uniti e Giappone, condusse nel 1921 a una iniziativa per la riduzione e la limitazione degli armamenti
navali. La proposta di indire una conferenza ad hoc fu lanciata dagli Stati Uniti che invitarono a Washin-
gton, oltre a Gran Bretagna e Giappone, anche Francia e Italia, lo sviluppo delle cui flotte era necessario
vincolare onde permettere alla Gran Bretagna di poter prendere impegni rispetto alle altre due potenze
oceaniche. Il risultato raggiunto fu il trattato di Washington del 6 febbraio 1922, che sanzionò la parità,
in termini qualitativi e quantitativi, tra Stati Uniti e Gran Bretagna da un lato e Francia e Italia dall’altro,
con in mezzo il Giappone.
A tale intesa seguì, nel 1930, una nuova conferenza, tenutasi a Londra, cui parteciparono le potenze
firmatarie del trattato del 1922 e che portò il 22 aprile 1930 a un ulteriore accordo che sanzionò la parità
tra Stati Uniti e Gran Bretagna anche in termini di incrociatori, caccia e sommergibili. Restarono in parte
fuori dall’accordo Italia e Francia che non trovarono un punto d’incontro, a causa della pretesa francese
di ottenere un tonnellaggio superiore a quello del nostro paese.
Con il trattato di Londra del 25 marzo 1936 si abbandonarono infine i criteri di proporzionalità e di li-
mitazioni quantitative tra le flotte (fu però affermato un obbligo di notificare la costruzione di nuove
navi) mantenendo il principio delle limitazioni qualitative. Da ricordare inoltre che nell’ambito di questo
Trattato fu inserito, il Processo Verbale sulla guerra sottomarina (già contenuto nella parte IV del trattato
di Londra del 1930) che parificava il sommergibile (v.) alle navi di superficie ai fini del rispetto delle
regole di Diritto bellico marittimo (v.) per l’attacco alle navi mercantili.

2. Limitazioni alle attività navali operative


I tentativi di imporre limiti allo svolgimento di attività operativa navale risalgono, come s’è visto, alla
linea sostenuta dai sovietici, sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, di proporre per il Mediterraneo
(v.) un regime di demilitarizzazione (v. Demilitarizzazione-Mediterraneo). Essi furono tenacemente con-
trastati dagli Stati Uniti e dagli altri paesi NATO che, garantendo una vigile e massiccia presenza navale
in tutto il bacino, evitarono quel «vuoto di potenza» che i sovietici auspicavano per controllare tutta l’in-
tera regione mediterranea dalle proprie basi del Mar Nero (v.). Altrettanto decisa era stata la posizione

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Glossario di Diritto del Mare

assunta dalla NATO nel contrastare sul piano operativo e politico-diplomatico le pretese di alcuni paesi
mediterranei tendenti a imporre limitazioni all’attività delle Forze navali nelle proprie ZEE (v.), e al loro
transito nelle acque territoriali (v.). In tale quadro va collocato il problema dell’estensione al settore ma-
rittimo, a suo tempo proposto dall’ex Unione Sovietica, delle misure tendenti a rafforzare la sicurezza e
la fiducia reciproca (CSBM - Confidence and Security Building Measures) adottate in campo terrestre sulla
base della conferenza sulla Sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) di Helsinki del 1975.
In definitiva può dirsi come il fatto che la materia sia stata affrontata a più riprese senza mai pervenire
a risultati concreti, dimostri l’atipicità dello strumento navale, cui mal si concilia, in relazione alle esi-
genze di mobilità, sia la notifica preventiva delle esercitazioni da svolgere, sia la presenza a bordo di os-
servatori. Va precisato infine che, benché ascrivibili al genus delle misure navali di confidenza reciproca,
le intese navali per evitare incidenti in mare (v. Prevenzione attività pericolose in mare) hanno una loro
autonomia rispetto a quelle di disarmo navale.

EGITTO
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Isole;
Mar Rosso;
Palestina;
Protezione dell’ambiente marino;
Stretti e canali internazionali;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
Zona contigua;
ZEE (Mediterraneo).

EMBARGO NAVALE
1. Principi generali
Con questo termine si intende l’applicazione di misure di controllo e imposizione coattiva di sanzioni
economiche decise dalle Nazioni Unite, sulla base del Capo VII della Carta del 1945 (art. 43), nei confronti
di Paesi che abbiano commesso gravi violazioni della pace e della legalità internazionale. Le operazioni
di embargo non comportano il blocco navale (v.) delle coste del Paese nei cui confronti sono attuate. Esse
legittimano invece l’esercizio erga omnes di misure coercitive da parte delle navi da guerra dei Paesi par-
tecipanti all’operazione verso il naviglio mercantile di qualsiasi bandiera che si presuma coinvolto in
traffici marittimi commerciali con lo Stato sia sottoposto a embargo. Per quanto legittimata dall’autorità
di specifiche risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU (che, non disponendo di Forze navali sotto
il proprio comando e controllo, deve delegarne l’esecuzione agli Stati membri o a organizzazioni regionali
come la NATO o l’UE), l’applicazione in ambito marittimo di tali misure coercitive non è attualmente
regolata da alcuna disposizione di diritto positivo. I poteri esercitabili durante l’imposizione di un em-
bargo navale non rientrano, infatti, nel quadro dell’UNCLOS che si limita invece a disciplinare l’esercizio
del diritto di visita (v.) in tempo di pace.

2. Prassi internazionale
In assenza di una normativa speciale, la condotta delle Forze navali durante operazioni di embargo
navale è stata improntata alla regolamentazione del Diritto bellico marittimo (v.) applicando in via ana-
logica, ove possibile, la Dichiarazione di Londra del 26 febbraio 1909 sul Diritto della guerra marittima
(mai entrata in vigore e, quindi, rimasta allo stadio di documento privo di forza obbligatoria anche se ri-
flettente principi di natura consuetudinaria). Circa la prassi relativa, dalle risoluzioni emanate per gli em-
barghi contro l’Iraq o l’ex Iugoslavia (svoltesi, rispettivamente nel Golfo Persico, sulla base della
risoluzione 665 (1990) e in Adriatico, in applicazione delle risoluzioni 757, 787 (1992) e 820 (1993) può de-
dursi che le navi da guerra (v.) sono gli unici soggetti (in analogia alla disciplina dei legittimi belligeranti
della guerra marittima) autorizzati a partecipare alle operazioni navali. Esse hanno in particolare il diritto
di: a) visitare e ispezionare (visit and search) il carico sia delle navi mercantili del paese oggetto delle san-
zioni delle NU sia di quelle di qualsiasi altro paese terzo (che, in senso lato, può definirsi come «neutrale»)

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Glossario di Diritto del Mare

al fine di accertare la natura e la destinazione del carico trasportato alla luce di quanto stabilito dalle ap-
posite risoluzioni; b) esercitare la forza, secondo i principi della necessità e proporzionalità, minimizzan-
done l’intensità a evitare qualsiasi danno alle persone imbarcate, nel caso che un mercantile opponga
resistenza alla visita o cerchi di sfuggire; c) dirottare (divert) il mercantile verso un porto di sua scelta,
fuori dell’area in cui le risoluzioni ONU abbiano stabilito il divieto di trasportare rifornimenti, ovvero
verso una diversion area per l’esecuzione della visita qualora le condizioni meteorologiche o l’inaccessibilità
del carico non ne consentano l’esecuzione in mare per l’adozione dei provvedimenti di confisca del carico
e di sequestro della nave nel caso che la violazione sia stata già accertata al momento della visita.

3. Tipologia embarghi
Dall’esame delle risoluzioni emanate più di recente con riguardo alla situazione della Libia e della Ci-
renaica emerge invece una prassi parzialmente diversa. La Risoluzione 1973 (2011) ha, infatti, stabilito
una classica forma di interdizione navale (v.) disponendo la facoltà per le navi da guerra operanti di
adottare misure coercitive di visit and search come si deduce dalla formula di usare «tutte le misure pro-
porzionate alle specifiche circostanze per condurre tali ispezioni», ma ha circoscritto l’embargo al solo traffico
di armi, escludendo invece altri beni di valenza strategica come i carburanti. Questo regime è stato a più
riprese prorogato con successive risoluzioni sino a oggi (2020) con una significativa deroga rispetto al
precedente regime coercitivo: per l’abbordaggio ai mercantili sospetti, la Risoluzione 2292 (2016) stabi-
lisce che lo Stato di bandiera dia il consenso ovvero che i paesi operanti in mare «make good-faith efforts
to first obtain the consent of the vessel’s flag State prior to any inspections pursuant», con ciò legittimando l’ado-
zione di procedure di «silenzio-assenso». Selettivo è stato anche l’embargo relativo al traffico petrolifero
dalla Cirenaica stabilito con la Risoluzione 2146 (2014) volto a salvaguardare l’integrità territoriale ed
energetica della Libia.

ERITREA
Vedi: Delimitazione;
Isole;
Mar Rosso.

FLIGHT INFORMATION REGION (FIR)


Vedi: Regione per le informazioni di volo.

FRANCIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Baia di Mentone;
Bocche di Bonifacio;
Canale di Corsica;
Delimitazione Linee di base (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Prevenzione delle attività pericolose in mare;
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Santuario per la protezione dei mammiferi;
Zona contigua;
ZEE (Mediterraneo).

Freedom of Navigation Programme (FON)


Vedi: Baie storiche;
Libertà dei mari;

GENUIN LINK
Vedi: Nazionalità della nave.

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Glossario di Diritto del Mare

GEOPOLITICA DEL MARE


L’essenza della geopolitica sta nelle relazioni che esistono tra una politica internazionale di potenza e
le caratteristiche dei fattori geografici ed economici che la influenzano. Si pensi alle teorie sugli «spazi
vitali» che, a cavallo delle due guerre mondiali, sono state utilizzate da regimi invasori come la Germania
o il Giappone. Simili le motivazioni della politica coloniale messa in atto in Africa e nel Medio Oriente
da alcune nazioni europee come la Francia o la stessa Italia, per appropriarsi, sulla sponda sud del mar
Mediterraneo (v.), di territori appartenuti all’Impero ottomano. Non a caso, d’altronde, l’Impero spagnolo
era stato costruito, dopo la scoperta dell’America, mediante l’appropriazione violenta di estesi territori
costituenti i punti di approdo della rotta atlantica da sfruttare per acquisire materie prime, manodopera
e mercati per i propri prodotti.
Applicata agli spazi marittimi, la geopolitica mostra con maggior evidenza il suo radicamento in ele-
menti geografici come la conformazione delle coste, la presenza di isole (v.) da utilizzare come basi com-
merciali e militari, l’importanza delle vie di comunicazioni commerciali passanti per stretti e punti di
transito (v. Stretti e canali internazionali), l’esistenza di bassofondi ricchi di risorse ittiche, la necessità di
proteggere l’ambiente marino dai rischi derivanti dal transito di navi con carichi pericolosi.
Il pensiero è rivolto immediatamente al concetto imperiale romano del Mediterraneo come Mare no-
strum, realizzazione in termini geopolitici di una visione di potere basato, sin dagli albori della lotta con-
tro Cartagine, sul dominio dei «mari di casa». In sostanza un’anticipazione della teoria dei mari chiusi
(v.) considerati come un’unità spaziale e politica. In aggiunta, si può ricordare sia la politica marittima
veneziana che quella britannica.
Venezia costruì le fondamenta della sua fortuna durata quasi mille anni sul controllo delle vie di co-
municazione commerciali verso il Levante mediante l’acquisizione di isole come quelle ioniche, di Creta
(al tempo denominata Candia), di Cipro e di porti dalmati, albanesi e greci. Non a caso le fortezze di Mo-
done (Methoni) e Corone (Korone) nel Peloponneso erano dette «gli occhi di Venezia» in quanto punti di
controllo dell’accesso all’Adriatico e approdi sulla rotta verso il Levante e la Terrasanta. In questa pro-
spettiva si deve vedere il ruolo primario e privilegiato assegnato dalla Serenissima al suo Arsenale come
cantiere gestito dallo Stato per la costruzione e manutenzione delle galee. In questa dimensione geopo-
litica orientata principalmente al mare va anche collocata la pretesa veneziana — così bene teorizzata da
Fra Paolo Sarpi — di esercitare il controllo esclusivo sul golfo di Venezia (v. Baie storiche (Mediterraneo),
vale a dire l’intero Adriatico considerato come spazio vitale per gli interessi della Serenissima e perciò vi-
gilato costantemente da un Gruppo navale detto Squadra del golfo.
La Gran Bretagna, altra nazione marit-
tima per eccellenza, si impadronì, a partire
dal Seicento, di una catena di isole in Atlan-
tico, Mediterraneo e Pacifico (si ricordi l’oc-
cupazione di Malta che nel 1800 fu sottratta
ai francesi e ai cavalieri di San Giovanni) che
le consentirono in breve di divenire la prima
potenza economica mondiale. Funzionale
alla politica marittima britannica — che riu-
scì a sopravanzare Spagna, Francia, Olanda
e Portogallo anch’esse impegnate in analoga
competizione — era l’idea di avvalersi della
sorveglianza navale dei principali stretti
come Gibilterra, Bab el-Mandeb, Hormuz e
Malacca (v. Stretti e canali internazionali) in-
tesi come choke points necessari a mantenere
il controllo delle principali rotte commer-
ciali. Parte di questo disegno fu anche il ca-
nale di Suez (v.) che, benché inizialmente
finanziato dalla Francia, entrò successiva- La dominazione marittima veneziana nella sua massima estensione
mente nell’orbita britannica con l’occupa- (Fonte: commons.wikimedia.org).

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Glossario di Diritto del Mare

zione nel 1882 della zona del canale e dell’intero Egitto. Il successo della Gran Bretagna nello sfruttare a
pieno i fattori geopolitici a sé favorevoli si deve alla capacità di mettere in atto un’efficace strategia ma-
rittima. Come questo sia stato possibile è materia che richiede lo studio di vari fattori quali: storia, posi-
zione geografica, conformazione fisica del territorio, estensione territoriale, popolazione, carattere
nazionale, forma di governo. Quando, come nel caso della Gran Bretagna e degli Stati Uniti (il maggior
teorico della strategia marittima è stato nell’Ottocento l’ammiraglio statunitense Alfred Mahan), tutti
questi elementi interagiscono in senso positivo, si ha la creazione di quello che è definito come «potere
marittimo».
In definitiva, la geopolitica marittima è ancora un concetto da utilizzare per comprendere la politica
marittima attuata nell’evo moderno delle potenze europee. Ciò non toglie tuttavia che fattori geopolitici
sono spesso alla base di strategie adottate da Stati apparentemente privi di ambizioni di potenza. La pic-
cola isola di Malta evidenzia, per esempio, ambizioni geopolitiche nello sfruttare la sua collocazione geo-
grafica e nel pretendere sia una vastissima area di piattaforma continentale (v. Piattaforma
continentale-Mediterraneo), sia una altrettanto enorme zona SAR (v. Ricerca e soccorso in mare). Nel
mare Artico (v.), ove è in corso una partita per aggiudicarsi le risorse dei fondali liberate dallo sciogli-
mento dei ghiacci, Norvegia e Danimarca sono attivissime nel trarre vantaggio dalla propria posizione
geografica, agendo in competizione con Canada, Stati Uniti e Russia. In effetti, a prescindere dall’eterno
grande gioco sul mare delle superpotenze in cui è anche entrata con forza la Cina, di recente sono sorte
vecchie dispute regionali perfettamente inquadrabili nella casistica geopolitica. Nel Mediterraneo la sto-
ria e la cronaca contemporanea ci presentano altri esempi significativi. La Tunisia ha portato avanti per
più di cinquant’anni una disputa con l’Italia incentrata sull’esercizio di diritti esclusivi di pesca in una
zona di alto mare a sud-est di Lampedusa denominata Mammellone (v. Pesca (Mediterraneo) da secoli
frequentata da pescatori siciliani e per anni pattugliata da Forze navali della Marina Militare nell’ambito
delle funzioni di Vigilanza Pesca (VIPE). La Libia ha invece utilizzato la pretesa sul golfo della Sirte (v.)
come un’arma diplomatica per sfidare gli Stati Uniti nel campo della libertà di navigazione. La situazione
dei bacini del mar Egeo (v.) e del Mar di Levante (v.) in cui sono coinvolti Grecia, Cipro e Turchia, con-
figura inoltre casi di studio tipicamente geopolitici.
Valenza geopolitica presenta, infine, altre questioni marittime concernenti il regime di alcuni mari
chiusi come il Mar Nero (v.) e il mar Caspio (v.), lo status legale degli stretti e canali internazionali, e fi-
nanche la denominazione del Golfo Persico (v.) in contrapposizione a quella di Mar Arabico, o degli
stretti Turchi (v.) che Grecia e Russia vorrebbero chiamarsi semplicemente «stretti».
Sul concetto geopolitico di Mediterraneo allargato si rinvia alla voce mar Mediterraneo.

Vedi anche: Global common (beni comuni).

GERMANIA
Vedi: Acque territoriali;
Prevenzione delle attività pericolose in mare;
Stretti e canali internazionali;
Tribunale internazionale del Diritto del mare.

GIBILTERRA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Stretti e canali internazionali (Stretto di Gibilterra).

GLOBAL COMMONS (BENI COMUNI)


L’antico concetto romanistico dei beni res communes omnium insuscettibili di appropriazione è divenuto
di attualità nel dibattito di natura accademica e geopolitica sull’accesso alle risorse dell’alto mare (v.) e dello
spazio. Per quanto riguarda il mare è noto che nella compilazione delle Institutiones ( I. 2.1 pr.-1) di Giusti-
niano è affermato che «naturali iure communia sunt omnium haec: aer et aqua profluens et mare et maris». È logico
collegare questo principio — a dimostrazione del suo valore universale — alla dottrina del libero uso del-

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Glossario di Diritto del Mare

l’alto mare (v. Libertà dei mari) sviluppatasi durante i secoli, sino a essere teorizzata da Hugo Grozio nel
suo Mare Liberum con l’assunto che «Other goods …were not divided, because nature ordered that they had to re-
main communia. This was the case expecially with sea…». Certo è che l’alto mare, così come regolamentato oggi
dall’UNCLOS, può considerarsi il paradigma dei moderni beni comuni caratterizzati da un uso incentrato
sulla libertà di navigazione che è sì aperta a tutte le nazioni ma che non è indiscriminata.
Alla libertà dell’alto mare fa riscontro, per quanto riguarda il fondo e il sottofondo del mare, l’area in-
ternazionale dei fondi marini (v.) concetto immaginato in sede NU dall’ambasciatore maltese Arvid
Pardo: questi, nel 1967, in un suo intervento all’Assemblea generale, lanciò l’idea di considerare le risorse
degli oceani al di là delle aree di giurisdizione nazionale come patrimonio comune dell’umanità («common
heritage of mankind»).
Anche l’Antartide è in teoria un’area che, non essendo soggetta alla sovranità di alcun Stato, secondo
il trattato può rientrare a pieno titolo nella categoria, anche se con il Trattato del 1958, le parti non hanno
rinunciato a loro specifiche pretese di sovranità.
Una nuova specie di bene comune protetto in mare è rappresentata dalle risorse genetiche marine (v.
Protezione della biodiversità marina) il cui accesso a beneficio di tutti si avvia a essere regolamentato
nell’ambito di un accordo applicativo dei principi dell’UNCLOS, dedicato alla conservazione delle risorse
marine nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale (ABNJ dall’acronimo inglese). In generale la
biodiversità marina è considerata un «common concern of humankind».
Infine va notato che il concetto di bene comune, declinato come global common nella visione statuni-
tense della libertà dei mari (v.), ha assunto valenza geopolitica (v. Geopolitica del mare) nel senso che è
associato a politiche tese a contrastare — come avviene nel Mar della Cina — l’egemonia marittima di
altri Stati.

GOLFO DI AQABA
Vedi: Mar Rosso.

GOLFO DI EL ARAB
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo).

GOLFO DI GABES
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Linee di base (Mediterraneo).

GOLFO DI GUINEA
Vedi: Pirateria.

GOLFO DELLA SIRTE


Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Libertà dei mari;
Linee di base (Mediterraneo).

GOLFO DI TARANTO
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Linee di base (Mediterraneo).

GOLFO DI TUNISI
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Linee di base (Mediterraneo).

GOLFO DI TRIESTE
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo).

54 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

GOLFO DI VENEZIA
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Libertà dei mari;
Mare Adriatico.

GOLFO PERSICO
Il Golfo Persico, essendo collegato all’oceano Indiano attraverso lo stretto di Hormuz (v.), rientra nella
categoria dei mari chiusi (v.). È circondato dalle coste di Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar,
Bahrain, Kuwait, Iraq e Iran. Le linee di base (v.) istituite dall’Iran nel 1973 non sono riconosciute dagli
Stati Uniti che hanno formalmente protestato nel 1994. Gli Stati Uniti non riconoscono nemmeno la pre-
tesa iraniana a esercitare «security jurisdiction» sulla propria zona contigua (v.). Dispute sussistono inoltre
tra Iraq e Kuwait, e Iran e Arabia Saudita per contrastanti rivendicazioni su varie isole. Bahrain e Qatar
hanno raggiunto un’intesa, sulla base della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 16 marzo
2001, per la delimitazione (v.) delle zone marittime (acque territoriali (v.), piattaforma continentale (v.) e
ZEE (v.) di rispettiva giurisdizione, e
per le questioni di sovranità sulle
isole Hawar. In passato sono stati sti-
pulati accordi di delimitazione della
piattaforma continentale tra Iran e
Arabia Saudita (1969), Qatar (1970)
Bahrain (1972), Dubai (1974) e Oman
(1975). Irrisolta è tuttora la questione
del confine marittimo tra Iran e Iraq
nell’area del Chatt-al-Arab che ha ori-
ginato nel 1981 la guerra tra i due
paesi. In precedenza, nel 1975, era
stata raggiunta un’intesa, con la me-
diazione dell’Algeria, che definiva
questo confine fissandolo alla me-
diana del canale (c.d. thalweg) della
confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate.
Il termine Golfo Arabico non è rico-
nosciuto dalle Nazioni unite come so-
stitutivo di Golfo Persico. Lo Chatt-el-Arab (Fonte: IBRU).

GRAN BRETAGNA
Vedi: Acque territoriali;
Bandiera navale;
Diritto del Mare (codificazione);
Geopolitica del mare;
Libertà dei mari;
Prevenzione delle attività pericolose in mare;
Stretti e canali internazionali (Stretto di Gibilterra).

GRECIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Isole (Regime delle)
Mar Egeo;

Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020 55


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Glossario di Diritto del Mare

Piattaforma continentale (Mediterraneo);


Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Regione per le informazioni di volo;
Ricerca e soccorso in mare;
Spazio aereo nazionale;
Stretti e canali internazionali;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare (Mediterraneo);
ZEE (Mediterraneo)

GUARDIA COSTIERA (Corpo delle capitanerie di porto)


Vedi: Bandiera navale;
Nave da guerra;
Nave in servizio governativo non commerciale;
Pesca;
Piattaforma continentale (sicurezza offshore);
Protezione dell’ambiente marino;
Ricerca e soccorso in mare;
Sicurezza marittima;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

GUARDIA COSTIERA (Funzione della Marina Militare)


Vedi: Pesca;
Polizia dell’alto mare;
Protezione dell’ambiente marino;
Ricerca e soccorso in mare;
Sicurezza marittima;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
Unione europea.

GUARDIA DI FINANZA (Corpo della)


Vedi: Bandiera navale;
Nave da guerra;
Nave in servizio governativo non commerciale;
Ricerca e soccorso in mare;
Sicurezza marittima;
Traffico di stupefacenti in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

HALAIB TRIANGLE
Vedi: Mar Rosso.

IMMIGRAZIONE IRREGOLARE VIA MARE


Vedi: Blocco navale;
Diritti umani in mare (Protezione dei);
Polizia dell’alto mare;
Ricerca e soccorso in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

IMMUNITÀ DI GIURISDIZIONE (Immunità sovrana)


Le navi da guerra (v.) e le navi in servizio governativo (v.) non commerciale hanno, in alto mare (v.),
completa immunità (sovereign immunity) dalla giurisdizione di qualsiasi Stato diverso da quello di ban-
diera (UNCLOS 95 e 96). L’immunità delle navi da guerra e delle navi in servizio governativo non com-

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Glossario di Diritto del Mare

merciale permane durante il transito nelle acque territoriali (v.) o il soggiorno nelle acque interne (v.) di
un altro Stato e riguarda l’esenzione da fermo, ispezione, tasse e applicazione di leggi straniere. L’im-
munità dalla giurisdizione civile e doganale delle navi in servizio governativo non commerciale durante
le soste in porti esteri è regolamentata dalla Convenzione di Bruxelles del 1926 sulle navi di Stato e rela-
tivo Protocollo applicativo.
Il regime di immunità di cui godono le navi da guerra durante la sosta in porti esteri è stato esaminato
dal tribunale arbitrale chiamato a pronunciarsi sulla concessione di misure provvisorie a favore della
fregata Argentina ARA Libertad la quale, durante la visita a Port Tema (Ghana), era stata sottoposta dalle
autorità locali a misure giudiziarie di fermo e sequestro per pretese inadempienze contrattuali e ammi-
nistrative. Con Ordinanza del 15 dicembre 2012 la Corte ha stabilito che il Ghana dovesse consentire
senza condizioni che la nave lasciasse il porto e le acque di giurisdizione nazionale provvedendo anche
al suo rifornimento. È importante notare che nelle premesse del provvedimento si riconosca che: 1)
«any act which prevents by force a warship from discharging its mission and duties is a source of conflict that
may endanger friendly relations among States»; 2) «actions taken by the Ghanaian authorities that prevent the
ARA Libertad…from discharging its mission and duties affect the immunity enjoyed by this warship under ge-
neral international law»; 3) «attempts by the Ghanaian authorities on 7 november 2012 to board the warship
ARA Libertad and to move it by force to another berth without authorization by its Commander and the possibility
that such actions may be repeated, demonstrate the gravity of the situation and underline the urgent need for
measures…».
In conseguenza della condizione di immunità di tali navi pubbliche, i fatti delittuosi avvenuti a bordo
durante il soggiorno in acque sotto sovranità straniera, qualunque sia la loro natura, ricadono sotto la
giurisdizione dello Stato di bandiera; il colpevole resta quindi a bordo in attesa di essere sottoposto a
procedimento al rientro in patria. All’unità navale potrà, tuttavia, essere richiesto di lasciare il porto e
uscire dalle acque territoriali. Lo Stato costiero ha, invece, giurisdizione sui fatti che abbiano ripercussioni
sul suo territorio; qualora si tratti di illeciti di scarso rilievo è consuetudine che il colpevole sia riconse-
gnato alle autorità di bordo. Nessun’altra misura è perciò adottabile dallo Stato costiero nei confronti di
una nave da guerra o una nave in servizio governativo non commerciale.
L’immunità dalla giurisdizione straniera dei membri dell’equipaggio per i fatti accaduti a bordo si
estende sia a quelli avvenuti su imbarcazioni della nave sia a quelli commessi a terra, in divisa, durante
il compimento di un servizio. Circa tali reati connessi al servizio, la rinuncia alla giurisdizione da parte
dello Stato del porto dovrebbe essere prevista da uno specifico accordo appartenente al genus dei SOFA
(Status of Force Agreement) simile a quelli in vigore tra le Forze dei paesi NATO o UE. In assenza di un si-
mile accordo, in teoria può invocarsi la prassi navale (che per il vero non sembra assurta a livello di con-
suetudine internazionale) in forza della quale il paese ospite rinuncia tacitamente alla propria
giurisdizione a vantaggio di quella del paese di bandiera. Elementi in favore di questa prassi si traggono
dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1928 relativa al «Regime delle navi e dei loro equipaggi nei porti
stranieri in tempo di pace» (documento non-binding elaborato dall’Institut de Droit International) nel quale
si afferma (art. 20, 3 e 4) che: «Si des gens du bord, se trouvant à terre en service commandé, soit individuellement,
soit collectivement, sont inculpés de délit ou de crime commis à terre, l’autorité territoriale peut procéder à leur ar-
restation, mais elle doit les livrer au commandant sur la demande de celuici. L’autorité territoriale doit, lors de la
remise des délinquants, faire suivre les procès-verbaux constatant les faits; elle a le droit de demander qu’ils soient
poursuivis devant les autorités compétentes et qu’avis lui soit donné du résultat des poursuites».
Diversa la situazione — secondo quel che risulta dalla citata dichiarazione di Stoccolma del 1928 —
nel caso di reati non inerenti al servizio commessi a terra da membri dell’equipaggio, dal momento che
i medesimi ricadono pienamente sotto la giurisdizione delle autorità locali. Le stesse autorità, sulla base
di una prassi invalsa in alcuni paesi (Italia compresa), possono però rinunciare a perseguire i fatti com-
messi, qualora essi siano di scarsa lesività penale, consegnando i colpevoli al comando di bordo: in questo
modo si attua una sorta di espulsione amministrativa. Qualora il colpevole riesca a salire a bordo egli
gode comunque di immunità: potrà essere consegnato alle autorità locali soltanto a seguito di estradi-
zione, qualora tra i due paesi esista un accordo di cooperazione giudiziaria.
In relazione al regime di immunità sovrana di cui godono, le navi da guerra e le navi in servizio go-
vernativo non commerciale sono esenti dall’applicazione delle disposizioni dell’UNCLOS riguardanti

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Glossario di Diritto del Mare

la protezione dell’ambiente marino (v.), pur dovendo fare in modo di osservarle, per quanto ragionevole
e possibile in relazione alle proprie esigenze operative (UNCLOS 236).
All’immunità è anche connessa la facoltà, di cui godono le navi pubbliche, durante la sosta in un porto
estero, di dare rifugio temporaneo (v.) a connazionali e cittadini dell’Unione europea o anche a persone
di nazionalità straniera la cui integrità personale sia minacciata da pericolo imminente.
Questione dibattuta è se le navi da guerra e le altre navi pubbliche conservino la loro condizione di
immunità dopo essere affondate. Il problema si pone per i relitti giacenti da non lungo tempo (meno di
100 anni) in acque internazionali o nelle acque territoriali di un altro Stato, ma anche per quelle di epoca
più antica per le quali è più difficile provare una continuità di «dominio» da parte dello Stato di bandiera
(v. Protezione patrimonio culturale sommerso).
Esula dal tema dell’immunità sovrana la condizione delle navi mercantili durante il transito in acque
territoriali (v. transito inoffensivo). I mercantili, benché siano territorio dello Stato di bandiera, possono
a certe condizioni essere sottoposte alla giurisdizione dello Stato costiero. Questo ha, infatti, il potere di
intervenire penalmente nell’ipotesi di fatti commessi a bordo di una nave in transito qualora si tratti di
reati che hanno conseguenze sullo Stato stesso o siano tali da disturbarne la pace e il buon ordine, ovvero
l’intervento delle autorità locali sia stato richiesto (UNCLOS 27).
Egualmente inappropriato è il riferimento all’immunità sovrana per i nuclei militari di protezione
imbarcati su navi mercantili a protezione dei rischi da attacchi di pirateria (v.): in questo caso deve,
infatti, parlarsi di immunità funzionale di cui godono all’estero i rappresentanti ufficiali di uno Stato
(nell’ipotesi di specie i militari componenti il team) per fatti commessi per servizio in adempimento di
ordini, istruzioni o ROE.

Vedi anche: Ricerca e soccorso in mare; Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);

IMPERO ROMANO
Vedi: Geopolitica del mare;
Mar Mediterraneo;
Pirateria.

IMPRESA INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI


Vedi: Area internazionale dei fondi marini.

INTERNATIONAL MARITIME ORGANIZATION (IMO)


Vedi: Organizzazione Marittima Internazionale.

INCHIESTA DI BANDIERA
È l’attività di accertamento, inquadrabile nell’ambito della polizia dell’alto mare (v.), della nazionalità
di un mercantile compiuta da una nave da guerra (v.) come atto prodromico all’eventuale esercizio del
diritto di visita (v.). Una nave mercantile, nel caso in cui, incontrando una nave da guerra, non si attenga
alla prassi del cerimoniale marittimo (v.) che le impone di effettuare per prima il saluto mostrando la
propria bandiera, può essere invitata a comunicare la nazionalità ove esista un ragionevole motivo di
sospetto. La richiesta è fatta dalla nave da guerra alzando la bandiera nazionale o con altro segnale ottico.
Se la richiesta non viene soddisfatta, l’unità militare è autorizzata a sparare a proravia o, come estrema
ratio, a far uso della forza. Nell’esercizio dell’inchiesta la nave da guerra può avvicinarsi al mercantile
sospetto (di qui il termine anglosassone «right of approach») il quale non ha tuttavia obbligo di sostare
per facilitare l’azione.
Dopo che la nave mercantile abbia mostrato la bandiera, si può procedere a visita nel caso in cui per-
mangano dubbi sulla nazionalità o vi siano sospetti su attività illecite rientranti nella casistica del diritto
di visita (pirateria, tratta degli schiavi, trasmissioni non autorizzate). A tal fine la nave da guerra, ordinato
al mercantile di fermarsi, può inviare a bordo della nave fermata un ufficiale, accompagnato dal perso-
nale ritenuto necessario, con il compito di esaminare le carte di bordo (atto di nazionalità, ruolo equi-
paggio, giornale nautico, ecc.) o di procedere a ulteriori accertamenti sulla nave.

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Glossario di Diritto del Mare

L’ordinamento italiano prevede che «le navi mercantili nazionali devono obbedire all’intimazione di fermata
delle navi da guerra di potenze amiche, giustificando, se richieste, la propria nazionalità» (CN 201).

INTERDIZIONE MARITTIMA (Marittime Interdiction Operations)


L’elaborazione della nozione di «Maritime Interdiction Operations» (MIO) si deve alla dottrina giuridica
della US Navy. Con questa espressione si indica l’attività di sorveglianza e interdizione del traffico ma-
rittimo commerciale di qualsiasi bandiera posta in essere da navi da guerra (v.) sulla base di un embargo
navale (v.) o nell’ambito dell’esercizio del diritto di legittima difesa internazionale.
Le misure adottabili nelle MIO sono quelle classiche di: 1) richiesta di identificazione (query) e infor-
mazioni circa destinazione, origine, immatricolazione e carico; 2) fermo, visita e ispezione (visit and se-
arch); 3) dirottamento (diversion) in porti diversi da quelli di destinazione anche in vista dell’eventuale
sequestro del carico qualora ciò sia autorizzato da risoluzioni ONU; 4) uso della forza secondo principi
di necessità, proporzionalità e gradualità contro i mercantili che non obbediscono all’intimazione di
fermo (v. Polizia dell’alto mare).
Le MIO costituiscono misure applicative di specifiche risoluzioni ONU che stabiliscano un embargo
coercitivo come nel caso del regime sanzionatorio marittimo verso l’Iraq, la ex Iugoslavia o la Libia.
Quando non si verifichino queste condizioni, la base legale può essere rinvenuta, a seconda delle circo-
stanze, nel principio della legittima difesa internazionale ex art. 51 della Carta o anche nella difesa pre-
ventiva che può assumere la forma dell’anticipatory self-defence nell’imminenza di un attacco armato, o
della pre-emptive self defence qualora si voglia evitare una potenziale minaccia. Quest’ultima giustificazione
è stata posta, dagli Stati Uniti, a fondamento e dell’operazione marittima Enduring Freedom condotta a
partire dal 2002 contro al-Qaeda nel Mar Arabico e del blocco di Cuba messo in atto nel 1962, definito
«Maritime Quarantine» (v. Blocco navale). In casi del genere le navi da guerra impegnate in operazioni di
interdizione adottano, infatti, misure navali di interferenza con la libertà di navigazione dei mercantili
di bandiera straniera che possono trovare una qualche legittimazione, in via analogica, solo se si fa rife-
rimento al regime della neutralità marittima (v.) caratteristico dei conflitti armati sul mare. Le MIO ven-
gono inquadrate nell’ambito più generale delle Maritime Security Operations (MSO).

Vedi anche: Contrabbando di guerra; Libertà dei mari; Proliferation security iniziative (PSI); Terrorismo
marittimo, Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

INTERESSI MARITTIMI NAZIONALI


Vedi: Polizia dell’alto mare.

IRAN
Vedi: Mar Caspio;
Golfo Persico;
Stretti e canali internazionali;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
ZEE.

ISOLE (Regime giuridico delle)


1. Principi generali
Il regime giuridico applicabile alle isole è così regolamentato dall’UNCLOS, art. 121: «1. Un’isola è una
distesa naturale di terra circondata dalle acque, che rimane al di sopra del livello del mare ad alta marea. 2. Fatta
eccezione per il disposto del numero 3, il mare territoriale, la zona contigua, la zona economica esclusiva e la piat-
taforma continentale di un’isola vengono determinate conformemente alle disposizioni della presente convenzione
relative ad altri territori terrestri. 3. Gli scogli che non si prestano all’insediamento umano né hanno una vita eco-
nomica autonoma non possono possedere né la zona economica esclusiva né la piattaforma continentale».
Appare chiaro dalla lettura di tale disposizione che le isole sono sottoposte allo stesso regime della
terra ferma avendo titolo ai medesimi spazi marittimi. L’essenziale è che si tratti di un’isola in senso
stretto e cioè di una terra circondata sempre dal mare. Altrimenti, se si tratta invece di un semplice scoglio

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Glossario di Diritto del Mare

disabitato e inabitabile, tale titolarità non sussiste. Egualmente atipica è la situazione giuridica degli
scogli affioranti a bassa marea e cioè, come recita l’art. 13 dell’UNCLOS, «un rialzamento naturale del
fondale attorniato dalle acque, che emerge a bassa marea ma è sommerso ad alta marea»: esso non ha titolo a pos-
sedere acque territoriali tranne che sia a una distanza dalla terraferma non superiore alla larghezza delle
acque territoriali: in questo caso può essere utilizzato per tracciare linee di base (v.).
Per comprendere il problema bisogna pensare alla miriade di scogli disabitati delle Isole Spratly e Pa-
racels di cui la Cina afferma il possesso costruendovi strutture fisse in modo da poter reclamare spazi di
acque territoriali e ZEE. Oppure all’isolotto di Rockall che, benché affiori solo qualche decina di metri e
abbia ridottissimo perimetro costiero di circa 500 m, è conteso da Gran Bretagna, Islanda, Irlanda e Da-
nimarca interessate a sfruttarne le risorse naturali (v.) di piattaforma continentale e ZEE.
Il tracciamento di linee di base utilizzando isole in senso stretto presuppone, comunque, che esse siano
vicine alla costa e siano legate alla terraferma da interessi economici e forme di dominio terrestre (UN-
CLOS, art. 7).

2. Problemi delimitazione
Altro problema è quello dell’effetto che le isole possono avere nella delimitazione (v.) degli spazi
marittimi tra Stati con coste opposte o adiacenti. La questione è stata più volte oggetto di decisioni
della giurisprudenza internazionale tenendo conto delle particolarità del singolo caso, senza che tut-
tavia possa dedursi l’esistenza di criteri generali (v. fig. pag. 36 e pag. 37). L’unico principio valido
per la delimitazione di ZEE e piattaforma continentale è, infatti, quello del «risultato equitativo». Nel
caso della delimitazione del Mar Nero (v.) la Corte internazionale di giustizia con sentenza del 2009,
ha per esempio affermato l’irrilevanza dell’isola dei Serpenti, ai fini della definizione della frontiera
marittima di ZEE e piattaforma continentale, pur riconoscendo alla stessa isola la titolarità a 12 mn
di acque territoriali.
Eguale indirizzo è stato sostenuto dall’ITLOS nel caso Bangladesh-Mynmar affermando che «…l’effetto
da attribuire a un’isola… dipende dalle realtà geografiche e dalle circostanze del caso. Non esiste una regola gene-
rale…». È chiaro, per esempio, che un conto è la Sardegna cui va riconosciuto, per le sue dimensioni, un
effetto pieno nei confronti dell’Algeria, un’altra è la piccola Kastelorizo cui non potrebbe essere attribuito
lo stesso peso nella delimitazione della ZEE con la Turchia. Quanto alle ipotesi in cui — come avviene
tra Grecia e Turchia — vi siano formazioni insulari tra le rispettive coste continentali che ricadano nella
«parte sbagliata» della mediana, in mancanza di regole si tende a modificare la linea di equidistanza o
a seguire la soluzione della enclave (vedi accordo italo-tunisino a pag. 116).

3. Contese per sovranità territoriale


Connessa all’effetto sui confini marittimi vi è anche, a volte, una questione di titolarità del possesso
di un’isola o di un gruppo di isole. Il problema delle isole contese si inquadra nell’ambito più generale
dei principi per l’acquisizione della sovranità territoriale. La questione è stata esaminata dalla Corte in-
ternazionale di giustizia nel caso riguardante alla disputa relativa alle isole Hawar e Zubarah del Golfo
Persico tra Qatar e Bahrain; la Corte ha concluso che le isole costituiscono terra firma e sono perciò sog-
gette alle regole e ai principi dell’acquisizione territoriale. La giurisprudenza della stessa Corte è conso-
lidata nel richiedere, come prova dell’esistenza di un titolo, la manifestazione di effettività della pretesa,
vale a dire «display of authority on a given territory». Questo principio è stato riaffermato nella sentenza
del 2012 sul caso Nicaragua-Colombia, per stabilire che la Colombia può a buon diritto vantare sovranità
su determinate isole in contestazione, avendo su di esse esercitato per lungo tempo e senza proteste da
parte del Nicaragua, forme di autorità.
La dottrina ha elaborato, in materia, la teoria dei tre modi di acquisto di sovranità territoriale e cioè:
scoperta, occupazione e conquista. Nel primo caso si tratta della prassi diffusasi all’inizio dell’evo mo-
derno dell’annessione di un territorio considerato nullius perché non rivendicato da alcuno Stato. Altri-
menti si verte nell’ipotesi di insediamento di uno Stato su un’isola di un altro Stato o con la forza o
l’acquiescenza del sovrano territoriale. In ogni caso, fermo restando che l’occupazione violenta di un
territorio costituirebbe una forma di aggressione vietata dal diritto internazionale, il titolo di possesso si
consolida solo se vi è esercizio effettivo, continuo e prolungato di sovranità con l’acquiescenza degli Stati

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Glossario di Diritto del Mare

terzi. Se si pensa ai modi in cui si è formata la potenza marittima spagnola sin da quando nel 1492 Co-
lombo sbarcò, nel nome della corona spagnola, su Hispaniola, si ha un’idea di come tale teoria sia stata
sistematicamente applicata durante i secoli passati.
Un caso di studio è quello dell’Isola Ferdinandea che apparve nel 1831, che inabissatasi dopo pochi
mesi di vita effimera, giace ora a pochi metri sotto il mare a poche miglia da Sciacca. La questione sulla
possibile sovranità italiana qualora essa riemergesse si è accesa nel 2001. Di fronte a notizie sull’attività
sismica dell’area, che sembravano far presagire una fuoriuscita di materiale vulcanico in forma di isola,
la stampa inglese reclamò i diritti della corona ricordando che una bandiera britannica era stata piantata
nel 1831 su quella che veniva denominata isola di Graham, ma dimenticando che il Regno delle Due Si-
cilie l’aveva già considerata proprio territorio.
Il titolo derivante da un trattato è un peculiare modo di acquisto di sovranità sulle isole. Quando la
potenza francese era già tramontata, il Congresso di Vienna del 1815 legittimò la presenza sull’isola di
Malta della corona britannica già insediatasi de facto. Simile la situazione delle isole ottomane di Rodi e
del Dodecaneso che passarono de jure al Regno d’Italia con il Trattato di Losanna del 1923 per poi essere
assegnate, alla fine della Seconda guerra mondiale, alla Grecia, dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947
tra l’Italia e le potenze alleate.
La dissoluzione dell’Impero ottomano, che era alla base della sua spartizione operata con il citato trat-
tato di Losanna, continua ad avere una strana appendice nella vicenda di Gavdos. Quest’isola a sud di
Creta — che alcuni identificano nella mitica Ogigia della ninfa Calypso, un tempo veneziana, poi sottratta
dalla Grecia all’Impero ottomano nel 1908 e attualmente abitata e amministrata da cittadini greci — è
stata rivendicata a più riprese dalla Turchia, sostenendo che essa non era compresa tra quelle cedute con
il trattato di Losanna. Simile la contesa che ha opposto con toni violenti Grecia e Turchia per l’isolotto
disabitato di Imia (Kardak, in turco) nel 1996 (v. Mar Egeo).
Nel Mar Rosso (v.) lo Yemen e l’Eritrea hanno risolto nel 1998 la controversia relativa alle isole Hanish,
un tempo sotto sovranità ottomana, poi rimaste nel Novecento prive di nazionalità, ma sostanzialmente
sotto il controllo congiunto di Gran Bretagna e Italia, allora insediata nella colonia Eritrea. L’interesse
concorrente di Yemen ed Eritrea per l’arcipelago, collocato in prossimità dello Stretto di Bab el-Mandeb
e strategicamente importante sia ai fini del controllo del traffico marittimo, che dello sfruttamento di
possibili giacimenti petroliferi, ha generato la disputa. Dopo l’occupazione dell’Isola di Hânîsh al-Kabîr
da parte dell’Eritrea nel 1995, i due paesi hanno deferito la controversia, relativa alla sovranità, a un tri-
bunale arbitrale che, con sentenza del 9 ottobre 1998, ha attribuito allo Yemen la gran parte dell’arcipelago
in considerazione dell’animus possidendi manifestato per un periodo rilevante con l’acquiescenza del-
l’Eritrea.
Non ancora risolta è invece la disputa delle Falkland-Malvinas che contrappone Gran Bretagna ad
Argentina da quando questa, nel 1982 ha cercato di occuparle militarmente. È noto che l’impiego da
parte inglese di un forte dispositivo bellico aeronavale ha evitato che l’Argentina riuscisse nel suo intento,
rafforzando l’amministrazione britannica che, iniziata de facto nel 1833, continua a oggi con il pieno con-
senso della popolazione residente. La scoperta di ingenti giacimenti energetici ha riacceso l’interesse
dell’Argentina; la Gran Bretagna, pur mantenendone il possesso, parrebbe orientata a raggiungere un
accordo. A seguito di un referendum tenutosi nel 2013, gli abitanti di quello che l’Inghilterra considera
un suo territorio oltremare, hanno scelto di rimanere britannici.
Allo stesso modo si trascina da quasi due secoli la contesa, nel Pacifico settentrionale, tra Russia e
Giappone per le isole Kurili e tra Giappone e Corea del Sud per gli isolotti di Dokdo. La Cina si confronta
invece con Brunei, Filippine, Malesia, Giappone, Taiwan e Vietnam, in una partita che riguarda varie
pretese su materie come pesca, ricerca scientifica o prospezioni petrolifere, per il possesso delle già citate
isole Paracels e Spratly del Mar Cinese Meridionale. Le Filippine nel 2013 hanno sottoposto la questione
dei diritti pretesi dalla Cina, relativamente alle isole di proprio interesse, a un tribunale arbitrale (PCA
Case 2013-19). La Corte, pur in assenza della Cina, non costituitasi nel procedimento, ha emanato una
sentenza nel 2016 parzialmente favorevole alle Filippine. Nella decisione si stabilisce, tra l’altro, che: i
diritti pretesi nella c.d. «Nine Dash Line» (linea dei nove tratti) esulano dall’ordinario regime dell’UN-
CLOS e devono perciò trovare fondamento in consolidati titoli storici della Cina, peraltro non dimostrati;
le isole come gli scogli disabitati delle Spratly «non possono generare una zona marittima estesa, o una zona

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Glossario di Diritto del Mare

Delimitazione tra isolotti del Dodecanneso e Turchia, stabilita


dal protocollo italo-turco del 1932; il punto 30 è quello di
equidistanza tra lo scoglio di Kardak (in greco, Imia) e
l’isolotto turco di Kato (Fonte: commons.wikimedia.org).

Formazioni insulari Mar Cinese Meridionale (Fonte: US LIS, 143).

economica esclusiva» che si sovrapponga a quella filippina; l’accesso dei pescatori filippini alle acque della
secca di Scarborough si basa su diritti di pesca tradizionali; il ricorso a manovre pericolose da parte di
unità navali cinesi impegnate in attività di law enforcemente (v. Polizia alto mare) non trova fondamento
nel diritto internazionale.
Nel 2017 si è invece risolta la questione
del possesso delle Isole di Sanafir e Tiran
poste all’imboccatura dello stretto di Tiran
(v.), occupate dall’Egitto sin dagli anni Cin-
quanta del secolo scorso su richiesta del-
l’Arabia Saudita, poi passate sotto
controllo militare israeliano durante il
1967, e infine riconsegnate all’Egitto nel
1982 a seguito degli accordi di pace di
Camp David.
L’Egitto, previa autorizzazione del pro-
prio parlamento, le ha, infatti, definitiva-
mente trasferite all’Arabia Saudita cui
appartenevano per successione all’Im-
pero ottomano. Nel 2016 i due paesi —
che portano avanti un progetto di costru-
zione di un ponte che, passando sulle
isole, unisca le sponde dello stretto —
hanno anche firmato un accordo di deli-
mitazione marittima. Stretto di Tiran, isole Sanafir e Tiran (Fonte: UN LIS, 112).

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Glossario di Diritto del Mare

ISOLA DI PELAGOSA (Palagruca)


Vedi: Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo).

ISRAELE
Vedi: Blocco navale;
Diritto del mare (codificazione);
Palestina;
Stretto di Tiran.

ITALIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Area internazionale dei fondi marini;
Baie storiche (Mediterraneo);
Blocco navale;
Bocche di Bonifacio;
Canale di Corsica;
Canale d’Otranto;
Canale di Suez;
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Linee di base (Mediterraneo);
Mare Adriatico;
Mare Mediterraneo;
Mar Rosso;
Nave da guerra;
Nave in servizio governativo;
Nazionalità della nave;
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Pirateria;
Polizia marittima;
Prevenzione attività pericolose in mare;
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Ricerca e salvataggio marittimo
Ricerca scientifica in mare;
Santuario per la protezione dei mammiferi;
Stretti Turchi;
Stretto di Messina;
Stretto di Sicilia;
Stretto di Tiran;
Stretti e canali internazionali;
Traffico illecito di stupefacenti in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane;
Zona archeologica;
Zona contigua;
Zona economica esclusiva;
Zona economica esclusiva (Mediterraneo);
Zona interdetta alla navigazione.

Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020 63


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Glossario di Diritto del Mare

IUGOSLAVIA (ex REPUBBLICA FEDERALE DI)


Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Contrabbando di guerra;
Embargo navale;
Linee di base (Mediterraneo);
Mare Adriatico;
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Protezione ambiente marino (Mediterraneo);
Successione tra Stati;
Zona interdetta alla navigazione;
Zona pericolosa per la navigazione e il sorvolo.

JETTISON AREA (Area di scarico)


Vedi: Zona pericolosa per la navigazione e il sorvolo.

KAZAKISTAN
Vedi: Mar Caspio.

LIBANO
Vedi: Blocco navale;
Mar di Levante;
ZEE (Mediterraneo).

LIBERTÀ DEI MARI


1. Mare liberum vs Mare clausum
La prima affermazione del principio per cui «ciascuno è libero, per il diritto delle genti, di viaggiare sul mare
in quei luoghi e presso quelle nazioni che a lui piaccia», si deve a Hugo Grotius che nella sua dissertazione Mare
Liberum scritta nel 1601, sostenne la tesi della libertà di navigazione degli olandesi contro le pretese porto-
ghesi di esercitare diritti sovrani nell’oceano Indiano. Le rivendicazioni del Portogallo si basavano sulla
Bolla Inter caetera di papa Alessandro VI del 4 maggio 1493 che aveva attribuito alla Spagna le isole e i ter-
ritori posti di là della linea congiungente i poli, situata a 100 leghe a ovest delle Azzorre e di Capo Verde.
E anche sul successivo trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494 con il quale, mediante una linea congiun-
gente i poli, passante 370 leghe a ovest di Capo Verde, era stata sancita la suddivisione delle sfere di in-
fluenza marittima tra la Spagna e il Portogallo. La stessa Spagna, pur sostenendo propri diritti esclusivi
sugli oceani, si oppose sul finire del Cinquecento alla pretesa della Repubblica di Venezia di possesso esclu-
sivo del mare Adriatico denominato al tempo golfo di Venezia (v. Baie storiche-Mediterraneo).
Alla dottrina del Mare liberum si oppone quindi quella del Mare clausum. Il principio affermato da Grozio,
del mare come bene comune non suscettibile di appropriazione esclusiva e perciò aperto alla libera navi-
gazione, fu contrastato dalla Gran Bretagna, a difesa dei propri interessi commerciali di pesca nel Mare del
Nord, con l’opera di Selden, Mare Clausum seu Dominium Maris del 1635. In seguito, la stessa Inghilterra
mutò indirizzo, facendo della libertà dei mari l’emblema della sua politica di potenza marittima (v. Geo-
politica del mare). La visione britannica della libertà di mare è perfettamente espressa dal giudice Lord
Stowell dell’Alta corte dell’ammiragliato, nell’ambito della decisione sul caso del Le Louise (1817) con il se-
guente dictum: «Essendo tutte le nazioni eguali, esse hanno un eguale diritto di far uso continuo degli spazi liberi
degli oceani…dove non esiste un’autorità locale, dove tutti gli Stati si incontrano su un piede di parità e indipendenza».
Unica deroga ammessa divenne la regola dell’estensione delle acque territoriali (v.) dei singoli Stati sino
alla distanza di 3 miglia, corrispondenti alla massima gittata delle artiglierie dell’epoca.
Agli inizi del Novecento la libertà dei mari ha avuto una sua consacrazione nel secondo dei «Quat-
tordici Punti» con cui il presidente Wilson difese gli interessi marittimi degli Stati Uniti sostenendo «la
libertà assoluta di navigazione su tutti i mari, fuori delle acque territoriali, in pace e in guerra, salvo che i mari
siano totalmente o in parte chiusi da un’azione internazionale per l’applicazione di accordi internazionali». Ma la
politica di Wilson sulla libertà di navigazione, più che una scelta estemporanea, era l’espressione di un

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Glossario di Diritto del Mare

principio impresso nel patrimonio genetico della nazione statunitense sin da quando, agli inizi dell’Ot-
tocento, il presidente Jefferson aveva inviato unità navali contro il pasha di Tripoli per contrastare gli
atti di pirateria (v.) associati alla pretesa d’imporre tributi alla navigazione commerciale. Nel 1825, nel
decidere il caso «Marianna Flora», la US Supreme court aveva affermato che «negli oceani, in tempo di pace,
tutte le nazioni possiedono una completa eguaglianza in quanto il mare è la via di comunicazione comune a tutti,
in cui nessuno può vantare prerogative maggiori o esclusive». La libertà di navigazione tornò alla ribalta dopo
la Seconda guerra mondiale con la sentenza in cui la Corte internazionale di Giustizia del 1949 sul caso
dello stretto di Corfù, dichiarò che la libertà di navigazione delle navi da guerra nelle acque territoriali
degli stretti si configura come un «general and well-recognized principle».
In contrapposizione all’approccio liberista di potenze come Stati Uniti e Gran Bretagna, la Russia, sin
dal periodo zarista ma anche in quello sovietico e post-sovietico, ha sempre sostenuto tesi che le per-
mettessero il controllo esclusivo di ampi spazi di mare. Nel Memorandum del 1950 dell’’International
Law Commission dedicato alla dottrina marittima sovietica, era chiaramente specificato che Mosca, a
fronte della proclamata fedeltà ai principi marittimi liberistici, avanzava da tempo varie rivendicazioni
che li contraddicevano; erano, infatti, considerati «mari chiusi», non solo il bacino lacustre del mar Caspio
(v.), ma anche il Mar Nero (.v.), il Mar di Azov e il mare Artico (v.).

2. Regime giuridico
Il luogo di elezione della libertà dei mari è l’alto mare, come espressamente riconosciuto dalla II Con-
venzione di Ginevra del 1958 il cui art. 2,1 che ha così regolamentato con un linguaggio che riecheggia i
secoli passati: «Essendo l’alto mare aperto a tutte le nazioni, nessuno Stato può validamente sostenere di assog-
gettarne alcuna parte alla propria sovranità». Il principio della libertà dei mari codificato in tal modo è at-
tualmente contenuto nell’art. 87,1 dell’UNCLOS che lo declina nel modo tradizionale («l’alto mare è aperto
a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale»). L’art. 125,1 regolamenta inoltre in modo specifico il diritto
degli Stati privi di litorale di accesso al mare e dal mare per esercitare i diritti riconosciuti nella presente Conven-
zione, inclusi quelli relativi alla libertà dell’alto mare» (v. Bandiera navale; Nazionalità della nave). Al ri-
guardo, si cita il caso Bolivia-Cile deciso dalla ICJ nel 2018, in cui è stato affermato che l’accesso della
Bolivia al mare è questione da risolvere per accordo, anche se è esclusa, da parte cilena, l’esistenza di un
obbligo di negoziare. La valenza generale del principio contenuto nell’art. 87 dell’UNCLOS è stata riaf-
fermata dall’ITLOS in una sentenza del 2019 relativa al caso del M/V Norstar, nave cisterna sequestrata
nel 1998 in Spagna su ordine della magistratura italiana per violazione di norme doganali connesse al
rifornimento in alto mare di un’imbarcazione da diporto rientrata in Italia subito dopo il bunkeraggio.
Il tribunale ha escluso la nostra giurisdizione prescrittiva, osservando che: 1) «article 87 of the Convention,
which concerns the freedom of the high seas, provides that the high seas are open to all States and that the freedom
of the high seas comprises, inter alia, the freedom of navigation»; 2) «Decree of Seizure by the Public Prosecutor at
the Court of Savona against the M/V Norstar with regard to activities conducted by that vessel on the high seas
and the request for its execution…may be viewed as an infringement of the rights of Panama under article 87 as
the flag State of the vessel».
L’art. 87 ha anche una portata ulteriore in quanto va letto in connessione con l’art. 58 che, relativa-
mente alla ZEE, garantisce a tutti gli Stati l’esercizio delle «libertà di navigazione e di sorvolo e di altri usi
del mare, leciti in ambito internazionale, collegati con tali libertà, come quelli associati alle operazioni di navi,
aeromobili, condotte e cavi sottomarini, e compatibili con le altre disposizioni della presente convenzione». Per
comprendere tale regime va considerato che l’importanza dell’alto mare nella governance degli oceani
è in un certo modo diminuita con l’approvazione dell’UNCLOS che ha cercato di conciliare le tradi-
zionali istanze alla libertà di navigazione negli oceani con quelle relative al rafforzamento della giu-
risdizione funzionale nelle aree marittime costiere. Negli anni Settanta del Novecento si sviluppò, in
Sudamerica e Africa centrale, il movimento per la protezione delle risorse di pesca nella fascia delle
200 mn; apparve chiaro così che la posta in gioco era l’erosione della libertà dei mari al di là delle
acque territoriali; il passo ulteriore fu l’istituzione di ZEE (v.). Il conflitto tra paesi territorialisti e paesi
liberisti (tra i quali c’erano ovviamente le potenze marittime come Stati Uniti e Gran Bretagna) fu com-
posto attraverso forme di compromesso da cui scaturì la regolamentazione sui generis e tutto sommato
ambigua del suindicato art. 58 dell’UNCLOS.

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Glossario di Diritto del Mare

Oltre che nell’alto mare e nelle ZEE, la libertà dei mari si esplica anche nelle acque territoriali (v.) con
il diritto di transito inoffensivo (v.) condizionato dall’obbligo di rispettare la sovranità e l’integrità terri-
toriale dello Stato costiero. Analogo il regime di passaggio negli stretti e nei canali internazionali (v.).
Dall’incertezza dell’applicazione alla navigazione militare delle norme generali deriva la questione della
mobilità delle flotte.

3. Mobilità delle flotte


La prassi di alcuni Stati si è in alcuni casi sviluppata secondo criteri non del tutto in linea con lo spirito
e la lettera dell’UNCLOS. Forme di creeping jurisdiction hanno evidenziato una sorta di territorializzazione
delle ZEE mirate principalmente a inficiare la libertà di navigazione limitando determinate attività navali
straniere. Forme di creeping jurisdiction hanno evidenziato una sorta di territorializzazione delle ZEE. Tali
questioni sono state concettualizzate nell’ambito del problema della così detta Mobilità delle flotte che è stato
al centro dell’attenzione politica negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso quando alcuni Stati hanno
preso — in funzione nazionalistica e anti occidentale — ad avanzare pretese di preventiva notifica o auto-
rizzazione dell’attività svolta da navi da guerra straniere nelle loro ZEE. Espressione eloquente di tale ten-
denza a limitare la navigazione militare nelle ZEE è la posizione assunta dal Brasile (uno degli Stati più
attivi nel processo di codificazione del nuovo diritto del mare) quando, nell’aderire all’UNCLOS, ha di-
chiarato che «the Convention do not authorize other States to carry out in the exclusive economic zone military exer-
cises or manoeuvres, in particular those that imply the use of weapons or explosives, without the consent of the coastal
State». Identico, nel considerare il libero transito di unità militari nelle ZEE come pregiudizievole per la si-
curezza nazionale, è l’orientamento dell’India che nel 1995, al momento della ratifica della convenzione,
ha così argomentato: «The Government of the Republic of India understands that the provisions of the Convention
do not authorize other States to carry out in the exclusive economic zone and on the continental shelf military exercises
or manoeuvres, in particular those involving the use of weapons or explosives without the consent of the coastal State».
Da parte della Cina non risulta essere stata emanata una specifica dichiarazione in materia di ZEE. Tuttavia,
di fatto, Pechino ostacola il libero esercizio della navigazione militare straniera nella propria ZEE. Il suo
«Exclusive Economic Zone and Continental Shelf Act» del 1998, stabilisce surrettiziamente un regime au-
torizzativo, sia per la ricerca scientifica e idrografica nella ZEE, sia per il transito delle navi militari straniere.
Del tutto differente è invece la posizione di altri paesi, come la Germania, l’Olanda e l’Italia, che invece
non intravedono limitazioni, in periodo di pace, all’attività di navi da guerra nelle ZEE straniere. Circa le
tesi espresse dall’Italia al momento di firma e ratifica dell’UNCLOS in favore della libertà di movimento
delle Forze navali si rinvia all’apposito riquadro inserito al para 2. della voce ZEE del presente Glossario:
esse sono del tutto in linea con l’orientamento dei paesi aderenti al G7 che in varie riunioni, come quella
di Lucca del 2017, hanno ribadito il loro impegno a mantenere la libertà di navigazione e sorvolo così come
altri diritti, libertà e usi del mare che siano legittimi a livello internazionale.
Il problema non riguarda comunque solo la navigazione militare nelle ZEE, ma anche quella nelle acque
territoriali (v.). Il punto concerne l’applicabilità alle navi da guerra del regime del transito inoffensivo (v.
Transito inoffensivo navi da guerra). A questo riguardo la posizione italiana è stata, come per le ZEE, al-
trettanto netta. Il nostro paese ha depositato alle NU una dichiarazione secondo cui: «Nessuna delle disposi-
zioni della Convenzione, che corrispondono in questa materia al diritto consuetudinario internazionale, può essere
considerata come autorizzante lo Stato costiero a far dipendere il passaggio inoffensivo di particolari categorie di navi
straniere dalla preventiva notifica o consenso». Tale posizione italiana anticipa l’interpretazione adottata da
Stati Uniti e Unione Sovietica nel Joint Statement del 1989. Deve anche dirsi, tuttavia, che in materia per-
mangono posizioni divergenti da parte di paesi che richiedono ancora la previa notifica o autorizzazione
del transito, come Albania, Algeria, Croazia, Egitto, Libia, Malta, Slovenia. Un ulteriore aspetto della navi-
gazione militare è quello delle modalità di esercizio del diritto di passaggio in transito (v.) negli stretti in-
ternazionali, relativamente, per esempio, all’adozione di assetti di autodifesa in acque ristrette.

4. Polizia dell’alto mare


L’ordinamento internazionale attribuisce, in alto mare, alle navi da guerra di tutte le nazioni, poteri
di enforcement per garantire la legalità dei traffici marittimi (v. Sicurezza marittima) contrastando minacce
quali Pirateria (v.), Terrorismo marittimo (v.), Traffico stupefacenti in mare (v.), nell’ambito della più

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Glossario di Diritto del Mare

ampia funzione di polizia dell’alto mare (v.), secondo criteri che tengono conto dell’esigenza di non in-
terferire — se non nei casi previsti (v. Diritto di visita; Diritto di inseguimento) — con la libertà di navi-
gazione di cui godono tutte le navi mercantili (v.) con regolare nazionalità (v.).

5. L’US FON Programme


La visione statunitense sulla libertà dei mari è alla base del Freedom of Navigation (FON Programme)
adottato nel momento in cui gli interessi strategici statunitensi sono stati minacciati da pretese eccessive
basate su erronea applicazione dell’UNCLOS. Nel 1978, di fronte al progressivo estendersi della giuri-
sdizione esclusiva degli Stati costieri su vaste aree di alto mare, gli Stati Uniti hanno, infatti, iniziato at-
tività volte a «non prestare acquiescenza nei confronti di atti unilaterali di altri Stati volti a restringere i diritti e
le libertà della comunità internazionale nella navigazione e nel sorvolo». Nell’ambito del FON sono state messe
in atto, nel 1981 e nel 1986, le note proteste contro la chiusura del golfo della Sirte (v.). In questo quadro
si collocano anche le azioni recenti e passate tese a contrastare la proclamazione italiana del golfo di Ta-
ranto come baia storica (v.). Il Programma ha ricevuto nuovo impulso dal 2015 quando gli Stati Uniti
hanno iniziato a effettuare sistematiche operazioni dimostrative nel Mar Cinese Meridionale per affer-
mare la libertà di passaggio nelle acque circostanti le isole artificiali, installazioni e strutture create dalla
Cina su bassofondi emergenti a bassa marea (v. Isole).
Critiche al FON vengono rivolte da chi ne mette in risalto gli aspetti unilaterali che prescindono dagli
ordinari mezzi di risoluzione delle controversie marittime; al riguardo viene fatto anche notare che gli
Stati Uniti non sono parti dell’UNCLOS. Il FON può considerarsi comunque come un test della legalità
di pretese marittime che in prima approssimazione risultano eccessive e non conformi all’UNCLOS. I
risultati di queste valutazioni sono riportati in apposito Testo del Dipartimento di Stato.

Vedi anche: Bandiera navale; Geopolitica del mare; Interdizione marittima; Ambiente marino; Pro-
tezione biodiversità marina; Zona interdetta alla navigazione;

LIBIA
Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);
Linee di base (Mediterraneo);
Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Embargo navale;
Geopolitica del mare;
Linee di base (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Traffico e trasporto illegale di migranti;
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
Zona economica esclusiva (Mediterraneo).

LINEA DI BASE
Il termine indica genericamente la linea dalla quale è misurata l’ampiezza delle acque territoriali (v.).
La tipologia delle varie ipotesi previste dall’UNCLOS in rapporto alla situazione geografica dell’area in-
teressata è, in particolare, quella sotto indicata.

1. Linea di base normale


È detta linea di base normale (normal baseline) la linea di bassa marea lungo la costa (Ginevra I, 3; UN-
CLOS 5). Essa costituisce il limite interno dal quale è misurata l’ampiezza delle acque territoriali (v.).
Casi particolari che influenzano il tracciamento di linee di base sono costituiti dalle isole (v.), dalla pre-
senza, negli atolli o barriere coralline, di scogli o rocce affioranti, o dalla esistenza di opere portuali per-
manenti come le scogliere, o dalla speciale configurazione geografica di foci o delta di fiumi. Sono invece
esclusi da questo regime i bassifondi o gli scogli che emergono a bassa marea, a meno che su di essi sia
stata costruita una installazione fissa quale, per esempio, un faro (Ginevra, I, 11; UNCLOS 13).

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Glossario di Diritto del Mare

2. Linea di base retta


Ai fini del tracciamento delle linee di base può altresì essere impiegato il metodo delle linee di base
rette (straight baselines) colleganti punti appropriati della costa, nel caso in cui questa presenti profonde
rientranze e sia molto frastagliata o quando, nelle sue immediate vicinanze, esistano delle isole costituenti
una frangia (Ginevra I, 4,1; UNCLOS 7,1). La configurazione di queste linee di base — la cui lunghezza
massima non è di misura predeterminata — non deve tuttavia allontanarsi in modo apprezzabile dalla
direzione della costa; le zone di mare racchiuse da esse, per essere considerate acque interne (v.), devono,
in aggiunta, essere strettamente collegate al dominio terrestre.
È peraltro consentito il tracciamento di particolari linee di base rette che deroghino a tale principio,
qualora lo Stato costiero abbia in loco interessi economici particolari la cui esistenza e importanza sia
chiaramente testimoniata dal lungo uso (Ginevra I, 4, 4; UNCLOS 7,5).
Il tracciamento di linee di base rette tra i punti di entrata di una insenatura è anche ammesso, oltre
che nella citata ipotesi in cui la costa sia molto frastagliata o presenti profonde rientranze, nel caso in cui
si tratti di una baia in senso giuridico, vale a dire di un «incavo ben marcato» avente una superficie al-
meno eguale a quella del semicerchio il cui diametro sia costituito dalla linea di chiusura dell’insenatura.
Questa non può tuttavia eccedere le 24 miglia (Ginevra I, 7,2; UNCLOS 10,2). Il limite delle 24 miglia,
nella determinazione della linea di chiusura di una insenatura, può essere derogato nell’ipotesi in cui
l’area sia rivendicata dallo Stato costiero a titolo di «baia storica» (v.).

3. Linea di base arcipelagica


Sono dette linee di base arcipelagiche (ar-
cipelagich baseline) le linee di base rette con-
giungenti i punti estremi delle isole e degli
scogli più esterni di uno «Stato arcipelagico»
intendendo come tale uno Stato costituito
interamente da uno o più arcipelaghi e,
eventualmente, da altre isole (UNCLOS 46).
Le linee di base arcipelagiche, a partire dalle
quali vengono misurate le acque territoriali
(v.), la zona contigua (v.), la piattaforma con-
tinentale (v.) e la zona economica esclusiva
(v.), racchiudono al loro interno le acque ar-
cipelagiche (v.).
I principali requisiti cui devono rispon- Regime legale linee di base (Fonte: Francalanci).
dere queste linee (UNCLOS 47) sono: 1) lun-
ghezza di ogni linea non superiore a 100
miglia (o 125 miglia per non più del 3% del totale dei segmenti);
2) rapporto tra superfici marine e terre emerse in ragione, al mas-
simo, di 9 a 1; 3) tracciato complessivo che non si discosta in
modo sensibile dalla configurazione dell’arcipelago.

LINEE DI BASE (MEDITERRANEO)


Si sono sinora avvalsi della possibilità di tracciare linee di base
rette (v.), a modifica del regime, seguito in precedenza, che indi-
viduava nella linea di bassa marea lungo la costa la linea di base
normale delle acque territoriali (v.), la gran parte dei paesi del Me-
diterraneo e, cioè, Marocco, Algeria, Tunisia, Malta, Libia, Egitto,
Siria, Turchia, Albania, Iugoslavia, Italia, Francia, Spagna. In par-
ticolare, per ciò che concerne le iniziative adottate in materia dal
nostro paese e da alcuni degli Stati confinanti, c’è da dire che:
— la Tunisia, con il decreto 73-527 ha adottato un sistema che
prevede la chiusura del golfo di Tunisi (38 miglia di apertura) Porzione linee di base tunisine (Fonte: ICJ).

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Glossario di Diritto del Mare

con tre segmenti che uniscono le estremità dell’insenatura con


due isolotti posti al suo ingresso, e del golfo di Gabes (46 miglia
di apertura) che al pari del precedente viene annoverato tra le
baie storiche (v.) con vari segmenti che, partendo da Ras Kapou-
dia e appoggiandosi a punti individuati da boe situate su bassi
fondali, giungono sino all’isola di Djerba;
— la Libia, con la Dichiarazione del 19 ottobre 1973, ha effet-
tuato la chiusura del golfo della Sirte (v.) con una linea di base
della lunghezza di 302 miglia coincidente con il parallelo 32° 30’,
giustificata facendo ricorso ai principi delle baie storiche (v.).
L’organica definizione di un sistema di linee di base lungo le
coste libiche — nel cui ambito è stata confermata la linea di chiu-
sura della Sirte — stata attuata con la Decisione n. 105 del 14 lu-
glio 2015; con lo stesso provvedimento è stato fissato il confine
della Zona di protezione della pesca (v. Pesca (Mediterraneo)
estesa 62 mn dalle linee di base;
— Malta, con provvedimento del 1971, ha definito le linee di
base del proprio mare territoriale tracciando 26 segmenti che uni-
scono i punti estremi delle isole che compongono l’arcipelago mal-
tese, ivi compreso l’isolotto di Filfla;
— l’ex Iugoslavia, con legge del 1965 emendata nel 1979, ha
tracciato un sistema di linee di base rette (della lunghezza com- Linee di base maltesi (Fonte: ICJ).
plessiva di 244 miglia) che racchiude tutte le isole che fronteg-
giano le proprie coste, a eccezione di quelle di
Pelagosa, Cazza, Busi, Lissa e Sant’Andrea;
— l’Albania, con decreto del 1970 modificato nel
1990, ha tracciato 7 segmenti (aventi una lunghezza
complessiva di 87 miglia) che chiudono le imbocca-
ture di tutte le insenature, ivi compresa la baia di
Valona e l’antistante isolotto di Saseno;
— la Francia, con decreto del 2015-958 (le cui co-
ordinate sono state espresse in WGS84 con decreto
2018-681)), ha proclamato le proprie linee di base
tracciando, lungo la costa mediterranea 7 segmenti
che uniscono punti appropriati della costa, se-
guendone l’andamento, e racchiudono le insena-
ture esistenti. Analogo metodo è stato seguito
lungo le coste a sud-est e a ovest della Corsica,
mentre a nord-est dell’isola, nel tratto prospiciente
l’arcipelago toscano, la linea di base quella costiera
di bassa marea;
— l’Italia, con D.P.R. 26 aprile 1973, n. 816, ha
adottato un sistema di linee di base (articolato,
lungo la penisola, in 21 segmenti, e attorno alla Si-
cilia e alla Sardegna, rispettivamente, in 10 e 7 seg-
menti) che ha prodotto una notevole
semplificazione del margine esterno del mare terri-
toriale che è passato, in questo modo, a uno svi-
luppo lineare di meno di 5.000 km, rispetto ai 7.551
km della penisola (3.702 km di coste continentali) e
delle isole (3.849 km di coste insulari di cui 1.500 Linee di base albanesi (Fonte: US LIS).
della Sicilia e 1.850 della Sardegna). La loro rappre-

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Glossario di Diritto del Mare

sentazione d’insieme è nella figura nr. 2 del presente Glossario. A seguito di ciò è stata facilitata l’attività
di polizia e vigilanza nei vitali settori della difesa nazionale, della lotta al contrabbando, della conserva-
zione dell’ambiente marino, della pesca. Punti salienti dell’iniziativa sono la chiusura di:
a. Arcipelago toscano con linee che, partendo dalla foce dell’Arno, in prossimità di Pisa, congiun-
gono le isole Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Scoglio d’Africa, Montecristo, Giglio, Giannutri, per poi
ritornare sulla costa a Civitavecchia;
b. Isole Pontine e golfi di Napoli e Salerno con linee congiungenti Anzio, le isole di Palmarola,
Ponza, Ischia e Capri, l’estremità meridionale del golfo di Salerno;
c. Golfo di Squillace e, a titolo di baia storica (v.), del golfo di Taranto (v.);
d. Golfo di Manfredonia e delle isole Tremiti con linee congiungenti Peschici, le Tremiti, Termoli e
Punta Penna a nord di Vasto;
e. Golfo di Venezia da Punta della Maestra a Ponte di Piave.

LINEA MEDIANA O DI EQUIDISTANZA


È tale la linea — ciascun punto della quale è equidistante dai punti più vicini delle linee di base
dalle quali è misurata — tracciata per la delimitazione (v.) delle zone di rispettiva giurisdizione di
Stati con coste opposte o adiacenti. I termini di linea mediana e di linea di equidistanza sono general-
mente considerati sinonimi per quanto ri-
guarda la delimitazione delle acque
territoriali (UNCLOS 15). In effetti, sembra
più corretto parlare di principio dell’equi-
distanza sulla base del quale è tracciata una
linea mediana. A questa stregua, soprat-
tutto per quanto riguarda il confine della
ZEE (v.), la linea di equidistanza rappre-
senta una costruzione strettamente geome-
trica, mentre la mediana è il frutto di un
aggiustamento della linea di equidistanza
tenendo conto dei criteri di delimitazione
adottati.

Costruzione linea di equidistanza Italia-Malta


Costruzione linea di equidistanza Italia-Spagna (Fonte: Francalanci). (Fonte: Francalanci).

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Glossario di Diritto del Mare

MALTA
Vedi: Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Linee di base (Mediterraneo);
Nazionalità della nave;
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Regione per le informazioni di volo (FIR);
Ricerca e soccorso in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
Transito inoffensivo delle navi da guerra.

MAMMELLONE (zona di pesca a sud-ovest di Lampedusa)


Vedi: Pesca (Mediterraneo).

MARE ADRIATICO
Quello che durante i secoli XIV-XVII, nel periodo di massima espansione della potenza della Repub-
blica di Venezia veniva denominato golfo di Venezia (v. Baie storiche (Mediterraneo) può considerarsi
un classico esempio di mare chiuso (v.) in quanto possiede i requisiti previsti a tal fine dalla normativa
internazionale (UNCLOS 122), e cioè:
— è circondato da più Stati rivieraschi (Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Repubblica Fe-
derale di Iugoslavia, Albania) e da Stati che non hanno accesso al mare («land-locked States»: secondo
UNCLOS, 124) come l’Austria e l’Ungheria che usano per i loro traffici commerciali terminali i porti del
bacino (per esempio Trieste e Capodistria) e che hanno perciò interesse a che sia preservato il loro diritto
di transito e l’uso delle rotte di accesso;
— è collegato con il mar Jonio tramite il passaggio del Canale d’Otranto, la cui ampiezza, nel
tratto più stretto, è di 42 m. Avendo al centro, tra le acque territoriali (v.) italiane e quelle albanesi,
una zona di alto mare (v.) della larghezza di 18 mn, il Canale d’Otranto non è uno stretto interna-
zionale (v.);
— presenta un tratto di acque internazionali di larghezza inferiore a 1 mn nella parte in cui si fronteg-
giano le acque territoriali italiane prospicienti l’isola di Pianosa e quelle croate antistanti l’isola di Pela-
gosa (Pelagruca) (v. Demilitarizzazione (Mediterraneo); Pesca (Mediterraneo);
— è già stato interamente delimitato, relativamente alla piattaforma continentale (v.), dall’ac-
cordo tra l’Italia e l’ex Iugoslavia dell’8 gennaio 1968 e da quello tra l’Italia e l’Albania del 18 di-
cembre 1992.
A partire dal 2003 la situazione degli spazi marittimi dell’Adriatico, caratterizzato da zone di alto
mare al di là delle acque territoriali degli Stati costieri, ha iniziato a cambiare. In sintonia con il nuovo
trend dell’Unione europea che si era espressa a favore della creazione di zone di protezione della
pesca (v.) quale misura per evitare il continuo depauperamento delle risorse ittiche causato dalla
pesca intensiva e indiscriminata, la Croazia ha istituito la ZERP, Zona di protezione ittica ed ecologica.
La protezione dell’ambiente marino (v.) si è così rivelata come un’ulteriore ragione per procedere alla
creazione di zone di giurisdizione nazionale. Successivamente anche la Slovenia ha istituito proprie
zone di protezione ecologica (2005) e della pesca (2006) cui si è aggiunta da ultimo l’Italia che, con la
Legge 8 febbraio 2006, n. 61, si è dotata di una propria ZPE, riservandosi tuttavia di procedere caso
per caso alla sua effettiva creazione. Sinora il nostro paese si è avvalso di tale facoltà sono nel Tirreno,
ma non in Adriatico.
Lo sviluppo della cooperazione nei settori economico, culturale, ambientale e della lotta ai feno-
meni illegali tra i paesi che si affacciano sulla sponda adriatica costituisce oggetto dell’Iniziativa
adriatico-ionica (IAI) cui aderiscono Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro,
Serbia, Slovenia e che si avvale di un segretariato permanente avente sede ad Ancona. Tra le materie
in cui si esplica la cooperazione tra i paesi della IAI vi è il trasporto marittimo, la sicurezza della na-
vigazione e la protezione ambientale. Nel campo della sicurezza marittima l’Italia ha assunto un ruolo

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Glossario di Diritto del Mare

guida pervenendo alla firma, nel corso della Conferenza di Ancona del 2000, di un Memorandum
d’intesa con: 1) la Slovenia, la Croazia, l’Albania e la Grecia per la cooperazione nelle operazioni di
ricerca e salvataggio in mare (v.) mediante la definizione dei limiti delle rispettive zone SAR; 2) la
Slovenia, la Croazia, l’Albania, la Grecia, per l’adozione di un comune sistema di VTS (Vessel Traffic
Service); 3) la Croazia e l’Albania per l’adozione di un sistema comune di rotte e di schemi di separa-
zione del traffico; 4) la Slovenia e la Croazia concernente un sistema di riporto obbligatorio (Ship Re-
porting Mandatory System-ADRIREP) per navi petroliere e quelle trasportanti carichi pericolosi e
inquinanti. A margine dell’IAI è in atto un’iniziativa di cooperazione tra le Marine militari di Italia,
Croazia, Montenegro, Albania e Grecia denominata ADRION, volta a realizzare forme di interopera-
bilità nel campo della sicurezza marittima (v.) e del SAR.
Al 2020 non è ancora risolta la disputa che contrappone Croazia e Slovenia per la titolarità delle acque
della baia di Pirano (v.) e degli spazi marittimi contigui.

Vedi anche: Acque territoriali (Mediterraneo); Pesca (Mediterraneo); Protezione dell’ambiente marino
(Mediterraneo); ZEE (Mediterraneo).

MAR ARABICO
Vedi: Golfo Persico.

MARE ARTICO
1. Regime spazi marittimi

1.1 Aspetti generali


Si indica come Artico la regione a nord del Circolo polare artico su cui si affaccia, intorno al mare Ar-
tico, Canada, Danimarca (con la Groenlandia), Norvegia, Russia e Stati Uniti (con l’Alaska). Nell’Artico
ricade il Polo Nord, vale a dire il punto in cui l’asse di rotazione terrestre interseca la superficie della
terra. Gran parte della sua estensione è coperta per quasi tutto l’anno dallo spesso strato di ghiaccio della
banchisa la cui dimensione è, com’è noto, in via di costante riduzione per via dei cambiamenti climatici.
Quando, probabilmente a metà di questo secolo, per la prima volta il mare Artico non sarà interamente
coperto dai ghiacci, apparirà chiaro che la sua superficie acquea è cinque volte quella del mar Mediter-
raneo (v.): esso è, infatti, un mare semichiuso (v.) circondato dai citati Stati, ma in contatto con gli altri
mari attraverso vari stretti e passaggi. Prevalenti sono dunque nella questione artica gli aspetti marittimi,
ma altrettanto rilevanti sono le implicazioni riguardanti la geopolitica del mare (v.) connesse allo sfrut-
tamento delle risorse marine naturali (v.) e al controllo delle vie di comunicazione.

1.2 Governance
Non esiste al momento un trattato artico simile a quello Antartico () basato sulla protezione del-
l’Antartide tutelandone l’ambiente e l’utilizzazione a scopi pacifici (v. Global commons). Nel 2008 Ca-
nada, Danimarca, Norvegia, Federazione Russa e Stati Uniti hanno invece emesso la dichiarazione
di Ilulissat in cui si afferma che «…the law of the sea provides for important rights and obligations concer-
ning the delineation of the outer limits of the continental shelf, the protection of the marine environment, in-
cluding ice-covered areas, freedom of navigation, marine scientific research, and other uses of the sea». Con
ciò si è espressa la volontà di non regolamentare il regime dell’Artico con un apposito trattato. Vi è
tuttavia un’organizzazione intergovernativa volta a promuovere la cooperazione tra gli Stati artici e
le comunità indigene in materia di tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile: è Arctic Council com-
posto da Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti;
Olanda, Polonia, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Italia e Cina sono osservatori. Il Council
si è fatto promotore nel 2011 di un Agreement on Cooperation on Aeronautical and Maritime Search and
Rescue in the Arctic; l’intesa è improntata alla messa in comune degli assetti di ricerca e soccorso in
mare (v.) e alla creazione di zone comuni di intervento. Circa il regime multilaterale di cooperazione
dell’Artico, si deve anche citare il Polar Code dell’IMO, testo di prescrizioni non obbligatorie dedicato
a incrementare la sicurezza della navigazione.

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Glossario di Diritto del Mare

Spazi marittimi dell’Artico (Fonte: IBRU).

1.3 Piattaforma continentale estesa (ECS)


In futuro, al momento del disgelo, l’area del mare Artico attorno al Polo sarà, dal punto di vista
giuridico, uno spazio di alto mare (v) ricadente al di là delle ZEE (v.) degli Stati rivieraschi. Le giuri-
sdizioni degli Stati costieri non coprono quindi tutta l’area ma si spingono sino ai limiti massimi pre-
visti dall’UNCLOS e cioè, 200 mn per la ZEE, e 350 mn per la extendend continental shelf (ECS) estesa
oltre le 200 mn della ordinaria piattaforma continentale (v.). Sinora hanno presentato all’apposita
commissione delle NU richieste di esame delle proprie pretese, Russia, Norvegia e Danimarca. Gli
Stati Uniti non lo hanno ancora fatto, non essendo parte dell’UNCLOS. Il Canada ha preannunciato
l’intenzione di adire la Commissione. La Russia è stata, nel 2001, il primo paese ad avanzare la propria
submission relativa alla ECS dell’Artico, in esito alla quale la commissione aveva formulato specifiche
raccomandazioni notando come le dorsali di Lomonosov e di Mendeleev (che dalla piattaforma eu-
roasiatica si spingono oltre il Polo) non potessero considerarsi «alture sottomarine» ai fini dell’art. 76
della CNUDM. Questa norma stabilisce, infatti, che nelle dorsali sottomarine il limite della piatta-
forma continentale non può spingersi oltre le 350 mn, a meno che non si tratti appunto di «elevazioni
sottomarine che sono elementi naturali del margine continentale». Tenendo conto di tali raccomandazioni
la Russia, nel 2015, ha presentato una nuova Partial Revised Submission che riduce la configurazione
dell’area adattandola alle zone che, sulla base di più approfondite verifiche scientifiche, sono risultate
facente parte del «Complex of the Central Arctic Submarine Elevations, namely the Lomonosov Ridge, Men-
deleev-Alpha Rise and Chukchi Plateau». Al di là dei limiti della ECS vi è anche una porzione di Area
internazionale dei fondi marini (v.). Va considerato tuttavia che i limiti di ZEE e piattaforma conti-
nentale — e quindi, per conseguenza, di alto mare e Area — potrebbero subire modifiche per effetto
dei cambiamenti alla linea di costa determinati dall’innalzamento del livello dei mari susseguente
alla fine della glaciazione.

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Glossario di Diritto del Mare

1.4 Polo Nord: teoria russa dei «settori»

Rivendicazioni russe oltre le 200 mg basate sulla «teoria dei settori» (Fonte: Arctic Search Com).

Il carattere internazionale dei fondali ricadenti sotto il Polo Nord è divenuto di attualità quando nel
2007 un sottomarino russo a propulsione nucleare vi ha piantato una bandiera nazionale a significare
una possibile rivendicazione di diritti sovrani. La pretesa russa non è ben chiara; fonti accademiche, a
prescindere dai succitati chiarimenti scientifici forniti dal governo alla commissione relativamente alla
ECS, hanno espresso la tesi dei diritti storici sui mari interni; tesi che si inquadra nell’ambito della c.d.
«teoria dei settori di attrazione» elaborata in anni passati. Nei primi anni della Rivoluzione sovietica,
per rimediare a un allentamento del dominio sugli spazi artici insidiato dagli Stati adiacenti, si corse ai
ripari adottando, nel 1926, un decreto secondo cui sarebbero appartenute all’Unione Sovietica «tutte le
terre e le isole, già scoperte o da scoprire, ...collocate nel nord dell’oceano Artico, a settentrione delle coste sovietiche
sino al Polo comprese tra aree identificate da specifici meridiani e linee di costa». Studiosi sovietici cercarono al-
lora di dare una base teorica ai diritti russi ipotizzando, a fini strategici e di ricerca scientifica (non di-
mentichiamo che si era al tempo delle spedizioni polari del generale Umberto Nobile), la natura
territoriale dell’Artico. La tesi si basava sulla considerazione che «... i ghiacci galleggianti debbano essere le-
galmente assimilati al Mare Polare, mentre le formazioni stabili vadano equiparate al territorio polare. I paesi che
si affacciano sul Polo acquisiscono sovranità su di essi entro i limiti dei loro settori di attrazione... Nel prendere in
considerazione le particolarità dell’Artico... si è obbligati a concludere che la dottrina dell’alto mare, se applicata
all’Artico, è del tutto non soddisfacente. La sovranità dovrebbe collegare gli Stati ai Poli, sull’Artico, nell’ambito
dei loro settori di attrazione». Tale teoria, espressione di concezioni geopolitiche riconducibili al principio
di contiguità e continuità geografica, ha continuato a influenzare la politica marittima russa anche dopo
la fine dell’Unione Sovietica, nonostante apparisse sempre più chiara la sua mancanza di fondamento
giuridico e la sua ambiguità di fondo.

1.5 Mare di Barents


Benché non appartenente geograficamente al mare Artico, il mare di Barents va considerato come un
elemento della partita: al suo interno sono stati, infatti, rinvenuti due importanti giacimenti e cioè, lo
Shtokman ricadente sulla piattaforma russa e lo Snohvit, posizionato sulla piattaforma norvegese.
Russia e Norvegia hanno raggiunto un eccellente livello di cooperazione marittima avendo risolto

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Glossario di Diritto del Mare

tutte le loro questioni di delimitazioni nel 2010 con un accordo che ripartisce l’area di ZEE del mare
di Barents.
L’ex Unione Sovietica aveva rivendicato diritti nel mare di Barents sin dal 1928, in un’area che dalle
proprie isole giungeva sino alla già citata linea di settore, confine tracciato per meridiano sino al Polo. La
pretesa era speculare a quella secondo cui la sovranità riconosciuta alla Norvegia sulle isole Svalbard
dal Trattato del 1920 (di cui è parte anche l’Italia), fosse limitata alle sole acque territoriali. La Norvegia
sosteneva invece che alle Svalbard competessero anche aree di piattaforma continentale e di ZEE, e che
queste si estendessero sino alla mediana con i territori russi.
Per rimediare ai continui incidenti
di pesca, nel 1978 i due paesi avevano
stipulato un accordo provvisorio che,
senza pregiudizio delle rispettive
pretese, considerava l’area in conte-
stazione una «zona grigia» in cui
esercitare in modo coordinato giuri-
sdizione verso i battelli nazionali e di
paesi terzi. Negli anni Settanta, in-
fatti, si è scoperto che la zona, oltre a
essere ricca di pesce, lo è anche di
idrocarburi, con riserve stimate di
circa seimila miliardi di metri cubi.
Invece di protrarre per altri de-
cenni un contenzioso che avrebbe
ostacolato ricerca e sfruttamento
degli idrocarburi nella zona contesa,
le due parti hanno stipulato, il 15 set-
tembre 2010, un accordo di delimita-
zione (v.) che ripartisce l’area in
questione. Il confine stabilito, vale- Delimitazione mar di Barents (Fonte: UNEP).
vole sia per la piattaforma continen-
tale sia per la ZEE, è costituito dalla
mediana (v.), e cioè una linea di equidistanza modificata con aggiustamenti volti a tener conto della di-
versa lunghezza delle coste dei due paesi in modo da pervenire a un risultato equitativo. Russia e Nor-
vegia si sono anche impegnate a gestire congiuntamente i giacimenti posti a cavallo del confine.

2. Nuove rotte polari


2.1 Fine glaciazione
Sullo sfondo delle dispute territoriali si agitano ovviamente concreti interessi economici. Secondo
attendibili stime, sotto la piattaforma continentale artica vi sarebbe il 25% delle riserve mondiali di
combustibili fossili. La Russia e la Norvegia appaiono favorite nella partita in corso avendo già indi-
viduato cospicui giacimenti di idrocarburi. La fine della glaciazione che avanza inesorabilmente ha
inoltre indotto gli operatori marittimi a considerare la possibilità di seguire rotte alternative a quelle
attuali — passanti in prevalenza per i canali di Suez (v.) e di Panama (v.) — così da collegare il Pacifico
all’Atlantico provenendo da est o l’Atlantico al Pacifico provenendo da ovest. In questo modo si rea-
lizzerebbero risparmi di tempi e costi di viaggio: si calcola, che utilizzando il Passaggio a nord-ovest
(PNO) attraverso l’arcipelago artico canadese, il percorso tra l’Asia e l’Atlantico si abbrevi di 7.000
mn rispetto alla rotta che utilizza il canale di Panama. La rotta più seguita è al momento il Passaggio
a nord-est (PNE) che costeggia la Siberia fino alla Russia europea e che è più breve di quella attuale
passante attraverso lo stretto di Malacca, l’oceano Indiano, Suez e il Mediterraneo: essa permette di
ridurre sino al 40% i tempi di percorrenza di circa 10 giorni. A tali rotte andrebbe infine aggiunta
quella transpolare: quando in futuro anche la zona centrale del Polo sarà libera dai ghiacci per alcuni
mesi l’anno, si creerà una ulteriore rotta polare che collegherà direttamente l’Europa all’Asia attra-

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Glossario di Diritto del Mare

verso l’alto mare e senza transitare nelle acque sotto sovranità canadese e russa. Anche se non si ha
alcuna evidenza su come questa previsione possa realizzarsi, essa è tuttavia ritenuta possibile e risulta
essere già allo studio da parte del suindicato Arctic Council.

Nuove rotte polari (Fonte: IBRU).

2.2 Northern Sea Route (NSR)


La Northern Sea Route (NSR) è una via di comunicazione internazionale la cui importanza per l’eco-
nomia mondiale si va sempre più delineando, a mano a mano che la Russia sta iniziando a costruire
infrastrutture energetiche dedicate allo sfruttamento delle risorse marine e a disciplinare il transito
nelle acque territoriali e nella ZEE per esigenze di sicurezza e di tutela ambientale. La visione politica
russa è quella del grande Nord come un proprio spazio vitale nel cui ambito si colloca l’iniziativa di
emanazione della legge federale del 28 luglio 2012 che definisce la NSR come «storica via di comunica-
zione nazionale della Federazione Russa» così delimitandola geograficamente: «L’area della NSR si riferisce

Northern Sea Route (Fonte: NSRA).

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Glossario di Diritto del Mare

a un’area che collega la costa russa della Federazione, incluse acque interne e territoriali, zona contigua e ZEE,
e limitata a est dalla linea di delimitazione con gli Stati Uniti e dal parallelo passante per Capo Deznev nello
stretto di Bering, a ovest dal meridiano che va da Capo Zhelanie all’arcipelago della Nuova Zemlja...». Nel 2013
è stata emanata una Regolamentazione che prescrive un sistema di pilotaggio obbligatorio e di assi-
stenza di navi rompighiaccio, un servizio di allerta meteo, di soccorso e di sorveglianza antinquina-
mento. È inoltre stabilita la preventiva notifica del transito. Quest’obbligo — da osservare con 45 giorni
di anticipo — dovrebbe riguardare anche le navi da guerra e le navi in servizio governativo. Vari sono
i rilievi, oltre a quello concernente le prerogative di immunità sovrana di cui godono tali navi nem-
meno sotto la specie della tutela antinquinamento (art. 236 CNUDM), riguardante il fondamento giu-
ridico della regolamentazione emanata dal Cremlino. Per esempio, si osserva che il richiamo fatto
all’art. 234 dell’UNCLOS relativo alla protezione ambientale delle aree coperte dai ghiacci come base
legale della disciplina, riguarda — oltre, come ovvio, acque interne e territoriali — le sole ZEE, mentre,
invece, tratti della NPR ricadono anche in aree di alto mare. In definitiva, potrebbe dirsi che le autorità
russe, nel regolamentare il transito nella NSR, hanno mantenuto una visione territorialistica dei propri
mari adiacenti, ancora ispirata alla teoria dei settori di cui si è detto.

2.3 Passaggio a nord-ovest


Due opposte visioni giuridiche si confrontano nel definire il regime di transito nel Passaggio a nord-
ovest (NWP, dall’acronimo inglese), via d’acqua tra la baia di Baffin e il mare di Beafourt. Da un lato il
Canada lo considera come «historic internal waters», delimitate dal suo sistema di linee di base rette (v.)
tracciate intorno al limite esterno dell’arcipelago artico sulla base dei principi dell’UNCLOS (art. 7, 3),
in cui le navi straniere, siano esse mercantili che da guerra, non godono di libertà di transito inoffensivo
(v.); secondo la legislazione canadese, il passaggio delle navi straniere è, infatti, sottoposto a limitazioni.
Dall’altro gli Stati Uniti che disconoscono tale pretesa e considerano invece il NWP come uno stretto in-
ternazionale (v.) che mette in comunicazione l’Atlantico con il Pacifico in cui tutte le navi straniere pos-
sono esercitare il passaggio in transito (v.) che garantisce loro libertà di transito nel rispetto dei diritti
sovrani dello Stato costiero.
La questione si trascina da
decenni. Nel 1985 gli Stati Uniti
notificarono preventivamente al
Canada il passaggio del loro
rompighiaccio USSCG Polar Sea,
pur precisando che lo facevano
in forma di volontaria coopera-
zione senza tuttavia riconoscere
alcun diritto di concedere per-
messo. Nel 1988 i due paesi sti-
pularono l’Agreement on Arctic
Cooperation, una sorta di ac-
cordo a non essere d’accordo con
cui: 1) entrambi decidevano di
cooperare tra loro sulla prote-
zione dei reciproci interessi
nell’Artico e sulla protezione
delle sue risorse, pur mante-
nendo le reciproche posizioni
sullo status del NWP; 2) gli Stati
Uniti dichiaravano che avreb-
bero richiesto il consenso del
Canada per il transito di proprie
navi rompighiaccio nelle acque
Passaggio a Nord-Ovest (Fonte: University Laval). pretese dal Canada.

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Glossario di Diritto del Mare

2.4 Tutela ambientale


Nel mare Artico, in vicinanza dell’Alaska, si verificò nel 1989 la catastrofe ecologica della petroliera
Exxon Valdez che riversò in mare 40.000 t di idrocarburi. Anche per questo motivo il tema della salvaguardia
ambientale dell’Artico è all’attenzione dell’Unione europea che nel proprio Regolamento offshore indica
agli Stati membri la seguente policy: «Le acque artiche sono un ambiente marino prossimo di particolare importanza
per l’Unione europea e svolgono un ruolo importante nell’attenuare il cambiamento climatico. Le serie preoccupazioni
ambientali relative alle acque artiche richiedono particolare attenzione per garantire la protezione ambientale dell’Artico
in relazione a qualsiasi operazione offshore nel settore degli idrocarburi, compresa l’esplorazione, e tenendo conto del
rischio di gravi incidenti e della necessità di una risposta efficace. Gli Stati membri che sono membri del Consiglio
artico sono incoraggiati a promuovere attivamente i più elevati standard di sicurezza ambientale nell’ambito di questo
ecosistema vulnerabile e peculiare, per esempio attraverso la creazione di strumenti internazionali per la prevenzione,
la preparazione e la risposta all’inquinamento marino da idrocarburi nell’Artico…».
La protezione delle rotte polari della NSR e del Passaggio a nord-ovest è oggetto, come detto, di prov-
vedimenti adottati da Russia e Canada nelle acque di propria giurisdizione. Il Polar Code dell’IMO, rac-
comanda l’adozione di ulteriori misure negli spazi di alto mare basate sull’applicazione della
Convenzione MARPOL per evitare inquinamenti causati da idrocarburi o da navi.

MARE DI AZOV
Il Mare di Azov, bacino di circa 40.000 kilometri quadrati in cui sfocia il Don, comunica con il Mar
Nero (v.) attraverso lo stretto di Kerch, passaggio ampio poche miglia che divide la Crimea a ovest dalla
penisola di Taman a est, al centro del quale vi è l’isola di Tuzla. Prima che nel 1991 la Crimea acquisisse
l’indipendenza dalla Russia, il Mar di Azov era uno spazio di acque interne (v.) sotto sovranità russa,
come tale interdetto all’accesso di navi non dirette verso porti dell’area. Nell’intento di confermare tale
regime, nel 2003 i due paesi adottarono una dichiarazione congiunta in cui affermavano che «Historically
the Sea of Azov and the Kerrch strait are internal waters of the Ukraine and Russia» e che, per conseguenza, le
unità militari battenti bandiera di Stati terzi possono solo entrare nel Mare di Azov e attraversare lo
stretto di Kerch su invito di uno dei due paesi. La delimitazione delle acque nello stretto (con conseguente
attribuzione dell’isola di Tuzla all’Ucraina) e delle altre frontiere marittime del Mare di Azov si era avuta
con l’accordo del 12 luglio 2012, poi decaduto a seguito dell’occupazione della Crimea da parte russa
nel 2014. Di fatto, a seguito della stessa occupazione (condannata con risoluzione non vincolante nel
2014 dall’Assemblea generale delle NU, ma approvata dalla popolazione locale con un referendum), la
Russia ha nuovamente acquisito
una quasi completa sovranità sul
Mare di Azov e sulle acque dello
stretto di Kerch, (tranne lo spazio
antistante al porto di Mariupol).
Come reazione all’annessione
della Crimea, l’Ucraina ha anche
chiuso i propri porti alle navi di
bandiera russa e a quelle che, in
precedenza, avessero fatto scalo in
porti russi.
Nel 2016 l’Ucraina, sulla base
dell’annesso VII all’UNCLOS, ha
istituito un arbitrato citando la
Russia a comparire con riguardo a
una disputa concernente «coastal
state rights in the Black Sea, Sea of
Azov, and Kerch Strait». La Russia,
a differenza da quanto fatto dalla
Ipotetica rappresentazione degli spazi marittimi nel Mare di Azov Cina nel caso del Mar Cinese Me-
(Fonte: voelkerrechtsblog.org). ridionale (v. Isole), si è regolar-

78 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

mente costituita. L’Ucraina ha contestato alla Russia di aver violato propri diritti su: 1) risorse minerali
e risorse viventi; 2) opposizione alla costruzione di un ponte nello stretto di Kerch che limita la libertà
di navigazione e minaccia l’ambiente marino; 3) patrimonio culturale sommerso. A fronte delle eccezioni
preliminari avanzate dalla Russia contro la competenza a pronunciarsi sulla questione della sovranità
sulla Crimea, la Corte ha stabilito nel 2020 che il caso può continuare fino alla pronuncia di merito, in
quanto la decisione finale riguarderà solo le modalità di applicazione dell’UNCLOS ma non l’annessione
della Crimea.
A margine della disputa si è verificato nel 2018 l’episodio del sequestro da parte russa di tre unità mi-
litari in transito nello stretto di Kerch per asserite violazioni di norme sulla sicurezza marittima. Il tribu-
nale del Diritto del mare, chiamato a pronunciarsi, ha ordinato alla Russia, come misura cautelare, il
rilascio dei marinai. Nell’ambito di questo procedimento sono state respinte le eccezioni pregiudiziali
della Russia sull’assenza di giurisdizione relativa alle «attività militari». A giudizio del tribunale, il pat-
tugliamento dello stretto da parte russa, per verificare il rispetto delle condizioni per il passaggio inof-
fensivo è, infatti, attività di Law enforcement di natura non militare in quanto «the distinction between
military and law enforcement activities must be based primarily on an objective evaluation of the nature of the ac-
tivities in question» (v. Polizia alto mare).
Nel 2018 la Russia ha completato la costruzione del ponte sullo stretto, aprendolo al transito viario e
ferroviario tra il proprio territorio e la Crimea.

MARE DI BARENTS
Vedi: Mare Artico.

MAR CASPIO
1. Profilo storico-geografico
Il mar Caspio, essendo interamente circondato
dalle coste di Federazione Russa, Iran, Kazaki-
stan, Azerbaigian e Turkmenistan, senza avere
alcun accesso esterno, non può, dal punto di vista
giuridico, definirsi un mare chiuso (v.). Questo,
benché le sue dimensioni (1.200 km di lunghezza;
400.000 kilometri quadrati di superficie) siano
adeguate a quelle di un mare e nonostante nel
trattato di navigazione russo-iraniano del 25
marzo 1940 esso fosse indicato come «soviet-ira-
nian sea». Non è senza significato, d’altronde, che
in passato, il mar Caspio, in conformità alla si-
tuazione giuridica dei laghi, era considerato una
superficie acquea costituente proprietà indivisa,
res communis di Russia e Persia, unici Stati rivie-
raschi. Questi due paesi, con il trattato di Mosca
del 26 febbraio 1921, avevano peraltro previsto
che le rispettive unità mercantili godessero di
eguali diritti di navigazione (nel secolo prece-
dente la Persia aveva invece attribuito alla Russia
il diritto esclusivo di tenervi delle navi da guerra)
e avevano regolamentato la pesca costiera; nulla
era invece stabilito in ordine allo sfruttamento
delle risorse minerali sottomarine. Con la disso-
luzione dell’Unione Sovietica si è rotto l’equili-
brio geopolitico e giuridico che sino allora aveva
caratterizzato la situazione. La causa principale Spazi acque del mar Caspio soggetti a giurisdizione nazionale
stava nel problema della spartizione delle cospi- (Fonte: ssl.freshfields.com).

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Glossario di Diritto del Mare

cue riserve di petrolio e gas giacenti nel fondo, condizionata dall’applicazione o meno del regime previsto
dall’UNCLOS per le risorse minerarie giacenti nella piattaforma continentale (v.).
L’Iran aveva continuato a sostenere il principio del condominio indiviso, evidentemente a sé favore-
vole, in quanto avrebbe evitato le penalizzazioni derivanti dalla delimitazione (v.) secondo la mediana
(v.) che le avrebbe dato titolo al 12-13% dell’intero bacino. Di qui la tesi iraniana che gli Stati rivieraschi
avessero diritto a possedere le acque e il fondo del Caspio nella misura eguale per tutti del 20%. Questa
posizione era supportata inizialmente dalla Federazione Russa che tuttavia aveva manifestato aperture
verso l’applicabilità del regime delle acque territoriali (v.) della piattaforma continentale e della ZEE (v.)
stabilito dall’UNCLOS. https://ssl.freshfields.com/noindex/.

2. Accordo di spartizione del 2018


Con la Convenzione sullo status legale del Caspio, firmata il 12 agosto 2018 ad Aktau (Kazakistan),
Russia, Iran, Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan hanno definito un regime in cui, oltre alla fissazione
degli spazi di giurisdizione, si stabiliscono specifici principi di governance. Tra questi, come dichiarato uf-
ficialmente vi è la trasformazione del Caspio in una «zona di pace, buon vicinato e amicizia; il suo uso per fini
pacifici, il rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale; l’assenza nel Caspio di forze militari che non appartengano
alle parti …[in cui] ciascuno Stato applica i suoi diritti sovrani di uso del sottofondo entro i limiti della propria area
di fondale…[e può] collocare condotte sottomarine a condizione di osservare i requisiti ecologici».
In sostanza, lo status giuridico del Caspio costituisce un unicum che non ha riscontro in alcun altro stru-
mento internazionale e che si basa su specifici principi elencati all’art. 3 dell’accordo. Vengono previste
acque territoriali di 15 mn dalle linee di base (v.) in deroga alla regola delle 12 mn e una zona riservata di
pesca di 10 mn adiacente alle acque territoriali (che non è quindi una ZEE). Al di là di questa zona di
pesca vi è un common maritime space, sorta di alto mare (v.) aperto agli usi dei soli paesi rivieraschi che
possono esercitarvi, tra l’altro, la navigazione e la pesca, nel rispetto di stringenti parametri di protezione
ambientale. La posa di cavi e condotte è libera, nel senso che non si richiede il consenso di tutti e cinque
gli Stati parte, ma va concordata
con i paesi che esercitano giurisdi-
zione sul fondale interessato.
È evidente, in sostanza, che le
parti hanno dovuto accettare com-
promessi su vari punti, primo fra
tutti quello, preteso dalla Russia,
dell’interdizione del Caspio alle
Forze navali di terzi Stati e ai mer-
cantili di bandiera diversa dagli
Stati rivieraschi. Il temuto ingresso
di Forze NATO è stato sventato con
le clausole che non è ammessa la
presenza di Forze armate diverse
da quelle delle parti (Art. 3,6) e che
il loro territorio non può essere
usato per attività militari contro
qualsiasi altra parte (art. 3, 7). È un
fatto, comunque, che ogni Stato
abbia sue acque territoriali ove
esercita diritti di piena sovranità.
Mosca pare essere tornata la domi-
natrice del Caspio, ora che ne ha
fatto un ennesimo mare chiuso si-
mile, nell’esclusivo controllo degli
Stati costieri, al Mar Nero (v.) in cui Le infrastrutture energetiche del Caspio; si noti l’ipotetica linea di equidistanza
non vige la libertà dei mari (v.). Ti- del fondale (Fonte: EIA).

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Glossario di Diritto del Mare

rando le somme, la nuova governance del Caspio sembra essere un riuscito esperimento di alchimia poli-
tico-giuridica realizzato utilizzando pezzi di antichi accordi russo-iraniani, istanze di emergenti repubbliche
transcaucasiche, istituti del moderno diritto del mare disciplinati dall’UNCLOS. La quale Convenzione,
per quanto a parole non applicabile all’accordo di Aktau del 2018, alla fin fine ne costituisce il termine di
riferimento principale per regime acque territoriali, principi libertà di navigazione degli Stati parti nel com-
mon maritime space, futura proclamazione delle linee di base e, soprattutto, definizione dei confini dei settori
del fondale, cioè a dire delle aree di piattaforma continentale.

MARE CHIUSO O SEMICHIUSO


È definito come tale un golfo, bacino o mare circondato da due o più Stati e collegato a un altro mare
o a un oceano da uno stretto, o costituito, interamente o principalmente, dalle acque territoriali (v.) o
dalle Zone economiche esclusive (v.) di due o più Stati (UNCLOS 122). La regola, nel caso di mari di tal
fatta, è quella stabilità dall’art. 123 dell’UNCLOS secondo cui: «Gli Stati costieri di un mare chiuso o semi-
chiuso dovrebbero cooperare fra loro nell’esercizio dei diritti e nell’adempimento degli obblighi loro derivanti dalla
presente Convenzione», in special modo nello svolgimento di attività relative ai settori della conservazione
e sfruttamento delle risorse viventi inerenti alla pesca (v.), della protezione dell’ambiente marino (v.),
della ricerca scientifica in mare (v.). Per mare chiuso si intende, più in particolare, un mare interamente
circondato da terre e, quindi, senza sbocchi esterni, come, per esempio, il mar Caspio (v.). Sono invece
annoverati tra i mari semichiusi il Mediterraneo (v.), l’Adriatico (v.), il Mar Rosso (v.) il mar Egeo e il
Mar Nero (v.). Per ciò che concerne quest’ultimo bacino va notato che il concetto di mare chiuso è stato
più volte invocato, in passato, dall’ex Unione Sovietica per negare il diritto degli Stati Uniti, in quanto
paese non rivierasco, a esercitare la libertà di transito al suo interno (v. Libertà dei mari). Il concetto di
mare chiuso è quindi spesso condizionato dalla geopolitica del mare (v.).

MAR EGEO
1. Spazi marittimi
Per le sue caratteristiche geografiche e con riguardo agli aspetti giuridici connessi a tutte le questioni
di contenzioso pendenti con la Grecia, prima di tutte quelle relative alla ZEE (v.) e alla piattaforma con-
tinentale (v.), il mar Egeo viene visto dalla Turchia come un mare semichiuso (v.) in cui cooperare per
l’esercizio dei propri diritti. Diversa ovviamente la visione della Grecia che, in relazione alla sua storia
millenaria e a quelle delle comunità di stirpe greca ivi stanziate, considera invece l’Egeo alla stregua di
un Mare nostrum, concedendo alla Turchia ristrettissimi spazi marittimi adiacenti alle coste. Si discute se
le acque dell’Egeo possano considerarsi acque arcipelagiche (v.) in relazione alle migliaia (per la preci-
sione 3.042) di isole greche esistenti al suo interno raggruppate a sud negli arcipelaghi delle Cicladi e
del Dodecaneso, e a nord nelle Sporadi, oltre a singole isole come Samo, Chio, Lesbo, Lemno e Samotra-
cia. La Repubblica di Venezia, al tempo del proprio dominio su alcune isole, denominava, in effetti, l’Egeo
come l’«Arcipelago». Stricto sensu le acque dell’Egeo non possono però considerarsi acque arcipelagiche
in quanto né la Grecia, né la Turchia sono Stati arcipelagici intendendo come tali, degli Stati costituiti in-
teramente da uno o più arcipelaghi ed, eventualmente, da altre isole (UNCLOS 46).
Lo status delle acque territoriali (v.) dell’Egeo è ancora, al 2020, un caso sui generis nell’ambito della
prassi internazionale. Sia la Grecia sia la Turchia continuano, infatti, a fissare il limite delle proprie acque
territoriali (v. Acque territoriali-Mediterraneo) a 6 mn, a meno dei casi in cui le loro coste, per la presenza
di isole greche in prossimità alle coste turche, si fronteggino a una distanza inferiore alle 12 mn. In queste
ipotesi si applica il criterio della mediana (v.), salvo accordi contrari o titoli storici particolari. Da notare
che la mediana costituiva già il confine tra le isole del Dodecaneso e la costa turca al tempo in cui il
Regno d’Italia aveva sovranità sulle stesse isole, secondo quanto previsto Accordo per la delimitazione
del confine marittimo fra le isole italiane dell’Egeo e il territorio turco firmato ad Ankara il 4 gennaio
1932 — vedi immagine a pag. 62 — e dal discendente Processo Verbale del 28 dicembre 1932 (questo
Processo Verbale è stato invocato dalla Grecia, nel 1995, come titolo per la sovranità sull’isolotto di Imia
che è rivendicato dalla Turchia con il nome di Kardak). Atene, nel ratificare l’UNCLOS con la legge n.
2321 del 23 giugno 1995, ha stabilito che «la Grecia ha il diritto inalienabile, in applicazione dell’art. 3 della ra-
tificata Convenzione, di estendere in qualsiasi momento le acque territoriali fino a una distanza di 12 miglia». Nel

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Glossario di Diritto del Mare

corso del 2020 il Governo greco ha previsto di estendere a 12 mn il limite delle acque territoriali delle
Isole Ionie e di Creta. Tale iniziativa può essere considerata una contromisura greca all’accordo Turchia-
Libia. Sta di fatto che la sua realizzazione pregiudicherebbe in modo sostanziale gli interessi vitali della
Turchia (che, anche per questo, non ha ratificato l’UNCLOS sostenendo che il limite delle 12 miglia «non
ha acquisito il carattere di regola di diritto internazionale consuetudinario») in quanto per effetto di ciò:
— la Grecia porrebbe sotto la sua sovranità circa il 70% dell’Egeo;
— verrebbe meno la fascia di acque internazionali attualmente esistente nell’Egeo centrale;
— i porti turchi dell’Anatolia verrebbero a essere «chiusi» (a essi si potrebbe accedere da ovest eser-
citando il transito inoffensivo (v.) attraverso le acque territoriali greche o, da sud, seguendo rotte costiere
lungo le coste turche), a meno di non istituire dei corridoi di transito simili alla Junction Area creata in fa-
vore della Slovenia dalla Corte arbitrale che ha deciso nel 2017 il caso del golfo di Pirano (v.); — lo stretto
di Cerigo (punto di passaggio obbligato per accedere all’Egeo da sud) verrebbe a essere interamente co-
perto dalle acque territoriali greche trasformandosi in uno stretto internazionale soggetto al regime del
passaggio in transito (v.).
Irrisolta è ancora, come detto, la
questione della delimitazione della
piattaforma continentale greco-
turca (v. Piattaforma continentale
(Mediterraneo) che si trascina da
quarant’anni senza alcun positivo
progresso: i due paesi mantengono
ferme le loro posizioni e spesso en-
trano in contenzioso ogni qual volta
vengono avviate prospezioni ener-
getiche in area disputate. La Tur-
chia ha tra l’altro fatto spesso
ricorso al dispiegamento di Forze
aeronavali per proteggere le pro-
prie navi di ricerca. È invece dive-
nuta di attualità la questione della
ZEE del Mar di Levante (v.) che
coinvolge Turchia, Cipro, Grecia ed
Egitto: dopo la stipula del suindi-
cato accordo sulla delimitazione
della ZEE turco-libica, la Grecia po-
trebbe essere indotta a proclamare
la ZEE nell’Egeo e nel Mediterra-
Isole mar Egeo (Fonte: GPIL).
neo orientale, oltre che nello Ionio.

2. Spazi aerei
Le posizioni di Grecia e Turchia divergono in materia di spazio aereo nazionale. Mentre la Turchia, in
linea con l’UNCLOS e la Convenzione di Chicago del 1944, prevede uno spazio aereo coincidente con le
proprie acque territoriali stabilite dalla legge n. 2674 del 29 maggio 1982, la Grecia adotta invece una re-
golamentazione particolare. Il testo base della legislazione greca è il Decreto del 6 settembre 1931 con-
cernente «l’ampiezza delle acque territoriali con riguardo alla materia della navigazione e della difesa aerea» il
quale prevede una zona aerea di 10 mn (peraltro già stabilita come «zona di sicurezza» dalla precedente
legge n. 4141 del 26 marzo 1913) sulla quale la Grecia reclama «sovranità piena e assoluta». Conseguenza
di ciò è l’esistenza di una situazione in cui a una fascia di acque territoriali di 6 mn si sovrappone uno
spazio aereo nazionale di 10 miglia.
Un’altra fonte di disputa fra Grecia e Turchia è il regime del «flight information region» (FIR) (v.), area dello
spazio aereo internazionale (v.) entro la quale, sulla base delle prescrizioni ICAO, gli aeromobili devono co-
municare allo Stato costiero che ne è responsabile, informazioni per la sicurezza del traffico aereo. La Grecia

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Glossario di Diritto del Mare

— la cui Athens FIR, istituita nel 1952, copre gran parte dell’Egeo e confina con la FIR di Ankara che com-
prende invece il solo spazio aereo sovrastante le acque territoriali — sostiene la tesi che all’interno di essa
debba esistere una stretta integrazione tra traffico aereo militare e civile. Di qui la pretesa di sottoporre a
controllo tutti gli aeromobili militari operanti nella FIR anche se non diretti verso lo spazio aereo nazionale.
Nell’agosto 1974 la Turchia, con notam 714 aveva unilateralmente modificato l’estensione della propria FIR
(Istanbul FIR) spostandola verso ovest sino al centro dell’Egeo. Di fronte alla reazione della Grecia che, in
risposta, aveva sospeso il sorvolo dell’Egeo, la Turchia ha successivamente revocato la propria iniziativa.
La FIR di Atene coincide con la zona SAR greca di responsabilità per la ricerca e soccorso in mare (v.).

3. Demilitarizzazione isole greche Egeo


Si rinvia, al riguardo, al riquadro inserito nel presente Glossario alla voce, Demilitarizzazione (Mediterraneo).

MAR DI LEVANTE
Il Mar di Levante è, dal punto di vista
geografico, la parte più orientale del Me-
diterraneo: a nord è circoscritta dal mar
Egeo (v.) e dalle coste turche dell’antica
Cilicia, a est e sud bagna Cipro, Siria, Li-
bano, Israele ed Egitto, mentre a ovest
confina con il Mar Libico lungo la con-
giungente tra Creta e Cirenaica. Dal
punto di vista storico il Mar di Levante,
oltre a essere la culla della talassocrazia
minoica del XV sec. a.C. (v. Geopolitica
del mare), è stato il primo spazio marit-
timo in cui sono state condotte su vasta
scala operazioni contro la pirateria (v.):
Gneo Pompeo fu, infatti, autorizzato dal
senato a condurre attività di contrasto
con un’ingente flotta armata che nel 67
a.C. riuscì a debellare i pirati nella Cilicia.
Mar di Levante (Fonte: Eia).
Venezia fece del Mar di Levante il suo ba-
cino di influenza politico-commerciale
dopo l’acquisizione dell’isola di Creta nel
1204, a seguito della presa di Costantino-
poli durante la IV crociata. Creta (alias
Candia, nella terminologia veneziana) di-
venne così la più importante base della
Serenissima sulla via del Levante per il
commercio con il Mar Rosso e le Indie,
assieme a Cipro di cui acquisì il possesso
nel 1473. Con la conquista di Cipro da
parte degli Ottomani, nel 1573, il Mar di
Levante cadde poi sotto il dominio com-
pleto della Sublime Porta che ne man-
tenne il controllo sino a metà Ottocento
quando, nel 1869, fu aperto il canale di
Suez (v. Stretti e canali internazionali).
L’attuale importanza strategica del ba-
cino è testimoniata dalle recenti crisi in-
ternazionali che hanno interessato tutti i Giacimenti e infrastrutture energetiche nel Mar di Levante
paesi rivieraschi, compresa la sedicente (Fonte: Egypt Independent).

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Glossario di Diritto del Mare

Repubblica Turca di Cipro del Nord (RTCN), nata con l’occupazione militare turca del 1973, che non è rico-
nosciuta in campo internazionale. L’esistenza della RTCN agita da anni le acque del Mar di Levante facendo
sentire i suoi effetti su varie questioni marittime. La Turchia — quale potenza occupante la RTCN — contesta
gli accordi di delimitazione della ZEE (v. ZEE-Mediterraneo) che la Repubblica di Cipro ha stipulato con
l’Egitto (2003), Libano (2007) e Israele (2010) reclamando ritorni economici per la popolazione turco-cipriota
derivanti dallo sfruttamento delle risorse energetiche. Ingenti giacimenti di idrocarburi sono, infatti, stati
scoperti negli ultimi anni, quali il Leviathan le cui riserve, al largo di Israele, sono stimate in 90 miliardi di
metri cubi di gas e in 850 milioni di barili di petrolio. Sino al 2015 la Turchia, per riaffermare i propri interessi
energetici, ha inoltre dislocato navi di ricerca offshore nella ZEE cipriota facendole scortare da proprie navi
da guerra. Ulteriori tensioni tra Nicosia e Ankara sono insorte con riguardo alla giurisdizione cipriota sul-
l’intera zona SAR (v. Ricerca e soccorso in mare) circostante l’isola che la Turchia contesta. La Turchia, per
parte sua, ha delimitato nel 2011 con la RTCN l’area a nord dell’isola. In un certo modo, i problemi di deli-
mitazione del Mar di Levante sono in parte connessi a quelli dell’Egeo (v.): la contestazione turca della ZEE
egiziano-cipriota, riguarda, infatti, le pretese greche nell’area circostante il Dodecaneso.
Va ricordato infine che l’ENI, nella porzione egiziana della ZEE delimitata con Cipro, ha scoperto nel
2015 l’enorme giacimento gasifero di Zohr stimato in 850 miliardi di metri cubi. L’ENI è anche titolare,
assieme alla Total, di concessioni energetiche nella ZEE cipriota, ove nel 2018 è avvenuto l’episodio della
Saipem 12000, nave di ricerca operante per conto dell’ENI cui la Turchia ha intimato di allontanarsi dalla
zona di attività perché interdetta alla navigazione.

MARE LIBERO
Vedi: Alto mare;
Libertà dei mari.

MAR MEDITERRANEO
1. Mediterraneo geografico
Vera e propria via d’acqua internazionale, il Mediterraneo è attraversato da linee di traffico mondiali
che mettono in comunicazione l’Atlantico con il Mar Rosso (v.), il Mar Nero (v.) e il golfo Persico (v.) at-

Aree geografiche del Mediterraneo (Fonte: IIM).

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Glossario di Diritto del Mare

traverso il canale di Suez (v.). Il mar Mediterraneo (che ha una superficie di circa 2.500.000 kilometri qua-
drati, pari allo 0,7% delle acque del globo, e uno sviluppo costiero di circa 46.000 kilometri) presenta
tutte le caratteristiche per essere definito un mare chiuso o semichiuso (v.), poiché, oltre a essere in col-
legamento con altri mari tramite lo stretto di Gibilterra e il canale di Suez (v. Stretti e canali internazio-
nali), è circondato da vari paesi.
Esso bagna 25 Stati di tre continenti ed è composto da 10 bacini interni. Questi, procedendo da Gibil-
terra verso est, sono: il Mare di Alboran, il Mar delle Baleari, il Mar Ligure, il Tirreno, lo Ionio, il Mar Pe-
lagico, il mar Adriatico (v.), il mar Egeo (v.), il Mar di Creta e il Mar di Levante (v.).
Dal punto di vista commerciale, con più di 80 porti di rilevanza internazionale e 2.000 collegamenti
marittimi, è ai primi posti dei traffici mondiali in quanto al suo interno (in ogni momento sono in circo-
lazione non meno di 2.000 navi) transitano merci per un volume che in media è stimato in circa 750 mi-
lioni di t. Cospicua è la percentuale dei prodotti petroliferi: basti dire che lo attraversa il 30% del petrolio
mondiale (circa 400.000.000 t annue) e quasi i due terzi delle risorse energetiche necessarie all’Italia e
agli altri paesi europei, comprese quelle trasportate dai gasdotti sottomarini (v. Cavi e condotte).

2. Mediterraneo allargato
Il concetto di mare chiuso o semichiuso che gli Stati rivieraschi — come avvenuto per il Mar Nero,
cercano si assoggettare a controllo esclusivo — fa parte della geopolitica del mare (v.) in modo non dis-
simile da quello opposto di un mare considerato nella sua dimensione allargata che lo metta a sistema
con altri bacini tra loro connessi da rotte marittime commerciali. Da questo punto di vista, i limiti geo-
politici del Mediterraneo sono, in effetti, molto più ampi di quelli reali. Ragionando in termini di Wider
Mediterranean, il suo limes occidentale può essere identificato, al di là delle Colonne d’Ercole dello stretto
di Gibilterra, nel meridiano passante per le Canarie; il che porta a includere sia l’area strategica del golfo
di Guinea (v. Pirateria), sia le rotte del Nord Europa. A est i confini geopolitici del Mediterraneo sono
ancora più estesi e giungono sino al Mar Nero e al mar Caspio e, verso sud, al Mar Rosso, al Corno
d’Africa, al golfo di Aden e al Golfo Persico.
Nell’ottica dell’Italia che guarda ai mari adiacenti come fulcro dei propri interessi nazionali e come
vie di transito e commercio, i confini del Mediterraneo ricadono sicuramente al di là di quelli geografici.
D’altronde, non è un caso che la nostra Marina sia stata impegnata a più riprese in attività di peace-keeping
navale (v.) a partire dagli anni Ottanta del Novecento in aree extra mediterranee. Questo è avvenuto con
l’operazione di stabilizzazione del Libano del 1982, il pattugliamento dello stretto di Tiran (v.) sotto egida
MFO dello stesso anno, lo sminamento del golfo di Suez del 1984, la protezione del traffico di bandiera
durante il conflitto Iran-Iraq del 1987, la partecipazione all’embargo navale (v.) contro l’Iraq del 1991,

Il Mediterraneo allargato ipotizzato da ISPI.

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Glossario di Diritto del Mare

sino ad arrivare all’operazione Enduring Freedom nel Mar Arabico del 2004 e all’attività di contrasto della
pirateria (v.) al largo del Corno d’Africa iniziata nel 2008.
La visione italiana del Mediterraneo allargato non è come ovvio solo di natura militare. I nostri interessi
strategici si interfacciano difatti con gli altri interessi nazionali di natura prevalentemente economica.
L’approvvigionamento energetico dell’Italia dipende in buona misura dal flusso dei rifornimenti di idro-
carburi che giungono via mare dal Golfo Persico attraverso gli stretti di Hormuz e Bab el- Mandeb, il
Mar Rosso e il canale di Suez. Sulla stessa rotta viaggiano altresì̀ le importazioni italiane di materie prime
e le nostre esportazioni di prodotti finiti.

3. Territorializzazione Mediterraneo
Mare caldo il Mediterraneo è, in senso metaforico oltre che geofisico. Le tensioni geopolitiche tra gli
Stati che vi si affacciano hanno accelerato il processo della sua suddivisione — spesso con iniziative uni-
laterali oggetto di violente contestazioni — in spazi di giurisdizione nazionale. Ecco dunque che lo status
quo degli spazi marittimi del Mediterraneo è in lenta ma inesorabile trasformazione (v. Piattaforma con-
tinentale-Mediterraneo; ZEE-Mediterraneo). Da lungo tempo, quello che come Mare nostrum era stato
sotto il controllo esclusivo dei Romani, godeva di una situazione giuridica improntata ai principi del
Mare liberum (v. Libertà dei mari) teorizzati da Hugo Grozio. A partire dal secolo XIX, terminata l’epoca
in cui la Serenissima interdiceva il transito nell’Adriatico alla Spagna e i «Barbary States» (v. Pirateria)
assoggettavano a tributi il passaggio di navi straniere lungo le coste del Nord Africa, si erano, infatti,
realizzate nel Mediterraneo le condizioni per l’esercizio del libero uso del mare. Anche quando, ai primi
del Novecento, i paesi medi-
terranei avevano cominciato a
istituire acque territoriali (v.) di
3 miglia (poi estese a 6 nel do-
poguerra, e infine a 12 secondo
i criteri attualmente in vigore),
vaste zone di alto mare (v.)
avevano sempre garantito la li-
bertà di navigazione nel ba-
cino. Questa situazione
rispondeva agli interessi di
tutte le Potenze navali del-
l’epoca ed era perciò stata pre-
servata anche negli anni della
Guerra fredda. Un’ulteriore ra-
gione per preservare tale situa-
zione era che, ove gli Stati
rivieraschi avessero istituito
proprie ZEE, non vi sarebbero
più state aree di alto mare, con-
siderato che in nessun punto
del Mediterraneo le coste degli
Stati frontisti distano tra loro
più di 400 miglia.
Dall’inizio del XXI secolo,
per effetto dell’applicazione
dell’UNCLOS, il vento che
spira sul Mediterraneo è però
cambiato. Spinti dall’esigenza
di tutelare le proprie risorse it-
tiche dal continuo depaupera-
mento messo in atto da flotte Distanze inferiori a 400 mg tra coste opposte del Mediterraneo (Fonte: Francalanci).

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Glossario di Diritto del Mare

pescherecce provenienti dall’Estremo Oriente, molti paesi hanno preso in considerazione la possibilità
di istituire zone in cui esercitare parte dei diritti funzionali relativi alla ZEE. Alla base di queste posizioni
c’è, in alcuni casi, l’idea che «non può essere contestato che, quello che per le grandi potenze marittime le quali
si affacciano sul Mediterraneo è considerato soprattutto uno spazio di navigazione internazionale avente una di-
mensione strategica capitale, per tutte le popolazioni degli Stati della riva sud, è invece uno spazio da cui trarre ri-
sorse alimentari» (v. Pesca (Mediterraneo). Egualmente comprensibili e fondati sono i timori di quegli
Stati, primo fra tutti la Francia, che da tempo paventano i rischi ecologici per le proprie coste derivanti
da versamenti accidentali di idrocarburi causati da sinistri marittimi, considerato il gran numero di navi
(stimate in 200) che in ogni momento sono in navigazione.
Se così è, si può ragionevolmente ipotizzare che la peculiarità giuridica del Mediterraneo è destinata
a cambiare nel senso di un generale rafforzamento delle giurisdizioni nazionali negli spazi extraterrito-
riali. La sua «territorializzazione» appare così inevitabile come del resto indica la continua creazione di
estese ZEE come quella istituita dall’Algeria nel 2018 o quella turco-libica del 2019 (v. ZEE- Mediterraneo).
Anche la posizione dell’Italia, sinora contraria alle ZEE per non determinare limitazioni alle libertà di
navigazione, potrebbe di conseguenza mutare. Proposte per la sua istituzione da parte dell’Italia — che
sarebbe costretta a farlo per non creare vuoti di giurisdizione attorno alle proprie coste — sono state for-
mulate in sede parlamentare durante la XVIII legislatura.

4. Cooperazione regionale
Al di là delle spinte nazionalistiche insite nella creazione di spazi di giurisdizione funzionale, è ipo-
tizzabile che in futuro si rafforzerà la cooperazione regionale e/o transfrontaliera in specifiche materie.
Tale cooperazione è già da tempo avviata, nel quadro del regime delineato dall’UNCLOS per i mari
chiusi o semichiusi, in materia di protezione dall’inquinamento (v. Protezione dell’ambiente marino-Me-
diterraneo), con vari strumenti come la Convenzione di Barcellona del 1976 o il Santuario dei Mammiferi
(v.). Il mar Mediterraneo costituisce anche una «special area» (v. Area marina specialmente protetta), in
cui vigono standard restrittivi per la prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi e rifiuti solidi.
Anche i flussi migratori via mare che nel Mediterraneo sono in continua crescita sin dai primi anni
Novanta del secolo scorso hanno fatto emergere l’esigenza di avviare forme di cooperazione per il con-
trollo del traffico e trasporto illegale di migranti (v.). L’Unione europea ha ricoperto un ruolo primario
nel lanciare, nel 2015, l’operazione navale EUNAVFOR-MED Sophia dedicata sia al contrasto di tali traf-
fici, sia al SAR, sia soprattutto all’interdizione del contrabbando di armi con la Libia. Al termine del suo
mandato, nel marzo 2020, questa operazione è stata sostituita da quella denominata «Irini», egualmente
incentrata sulla lotta al contrabbando di armi. Rilevante è anche stato il ruolo dell’Italia nell’assolvere
gli obblighi di salvataggio e accoglienza: basti dire che nel periodo 2013-18 sono sbarcate nel nostro paese
circa 600.000 persone, salvate in mare da nostre unità, da mercantili, da imbarcazioni ONG e da navi
partecipanti alle operazioni di FRONTEX ed EUNAVFOR-MED.

Vedi anche: Acque territoriali (Mediterraneo); Baie storiche (Mediterraneo); Cavi e condotte (Medi-
terraneo); Demilitarizzazione (Mediterraneo); Geopolitica del mare; Linee di base (Mediterraneo); Pesca
(Mediterraneo); Piattaforma continentale (Mediterraneo); Polizia alto mare; Protezione dell’ambiente
marino (Mediterraneo); Ricerca e soccorso in mare; Stretti e canali internazionali; Zona contigua.

MAR NERO
1. La «Questione degli stretti»
È un mare chiuso (v.) sia in senso giuridico che geografico, essendo collegato al mar Mediterraneo (v.)
attraverso l’unico accesso degli stretti Turchi (v.) ed essendo interamente circondato dalle acque territo-
riali (v.) di Turchia, Romania, Bulgaria, Federazione Russa, Ucraina e Georgia. Tali caratteristiche ne
hanno consentito, durante i secoli passati, il controllo da parte di alcuni paesi costieri. In questo contesto
si è sviluppata la pretesa turca basata sul così detto «antico principio dell’Impero ottomano» secondo cui
l’accesso al Mar Nero — che sin dalla conquista di Costantinopoli nel 1453 era diventato un mare sotto-
posto a dominio esclusivo — doveva essere interdetto al transito, anche mercantile, delle potenze stra-
niere, a meno di espressa autorizzazione.

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Glossario di Diritto del Mare

Nel 1809 la Gran Bretagna aveva riconosciuto espressamente all’Impero ottomano tale principio. E
anche la Russia, ai primi dell’Ottocento, con vari trattati, aveva ritenuto conveniente, per la propria po-
litica di potenza, riaffermare la chiusura degli stretti. Fu così che, al termine della guerra di Crimea, il
trattato di Parigi del 1856 provvide a neutralizzare il Mar Nero in modo da mettere al riparo Turchia,
Francia e Gran Bretagna dal riarmo navale zarista. Esso, all’art. 11, stabiliva, infatti, che: «Il Mar Nero è
neutralizzato. Aperto alla Marina mercantile di tutti i paesi, le sue acque e i suoi porti sono…preclusi alle navi da
guerra degli Stati costieri e delle altre potenze». Mal sopportando questa limitazione, la Russia la contestò
nel 1870, al tempo della guerra franco-prussiana. In risposta la convenzione di Londra del 1871 e il trat-
tato di Berlino del 1878, oltre a liberalizzare il traffico commerciale, affermarono il diritto della Turchia,
per salvaguardare la propria sicurezza, di consentire l’ingresso in Mar Nero di navi da guerra straniere.
Crollato l’Impero ottomano nel 1918, le potenze alleate proclamarono la libertà di transito negli stretti in
conformità alla politica dagli Stati Uniti (v. Libertà dei mari) che sin dalla seconda metà dell’Ottocento,
a più riprese, avevano contestato la pretesa ottomana di interdire il transito alle navi da guerra. Per con-
seguenza, prima il trattato di Sèvres del 1920 e poi la convenzione degli stretti, annessa al trattato di Lo-
sanna nel 1923, firmato dalle potenze alleate dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, stabilì un
regime di libertà di passaggio e navigazione in favore delle navi di qualsiasi bandiera. Questi trattati impo-
sero anche alla Turchia onerose clausole di smilitarizzazione delle zone costiere degli stretti (v. Demili-
tarizzazione). Il controllo sulla loro applicazione fu demandato a un’apposita «Commissione
internazionale degli stretti» presieduta da Ankara, di cui facevano parte Francia, Gran Bretagna e Italia.
Qualche anno dopo, la rinata Turchia di Mustafà Kemal Ataturk riuscì tuttavia a rovesciare la partita
riguadagnando a proprio favore un ruolo chiave nel controllo degli stretti. In ciò, favorita dalla politica
isolazionistica della Russia sovietica che approvava le pretese turche alla effettiva sovranità sugli stretti
in funzione antioccidentale; e anche dalle buone relazioni instaurate con la Grecia e dal credito guada-
gnato nei confronti della Gran Bretagna. Quando la Turchia, nel 1936, richiese la revisione della conven-
zione di Losanna del 1923, invocando la clausola rebus sic stantibus per affermare che il cambiamento
della situazione internazionale non giustificava più il regime in essa previsto di libertà di transito e smi-
litarizzazione degli stretti, in pochi mesi si addivenne alla definizione della nuova Convenzione di Mon-
treux del 20 luglio 1936 (v. Stretti turchi), che ha, di fatto, ristabilito, sia pur in chiave più adeguata ai
tempi, l’antico status quo del Mar Nero come mare chiuso.

2. Spazi marittimi
Il Mar Nero presenta un altro carattere che lo connota come mare chiuso: tutti gli Stati rivieraschi
hanno proclamato proprie ZEE (v.) eliminando del tutto gli spazi di alto mare (v.). Lo hanno fatto la Rus-
sia (1977 e 1998), la Turchia (1986) la Romania (1986), la Bulgaria (1987), l’Ucraina (1995) e la Georgia
(1998). Stante la ristrettezza del bacino le cui coste opposte in nessun punto distano più di 400 miglia, le
frontiere di queste ZEE sono state stabilite per accordo nei seguenti casi: Russia-Turchia (scambio di note
del 1986 confermante il limite della piattaforma continentale definito nel 1978); Bulgaria-Turchia (1997);
Georgia-Turchia (1997). Non è invece stato ancora concordato il confine Romania-Turchia né, a motivo
dell’autoproclamata indipendenza dell’Abkhazia, quello laterale Russia-Georgia. Sulle frontiere marit-
time Ucraina-Romania di ZEE e piattaforma continentale si è pronunciata Corte internazionale di giu-
stizia con sentenza del 2009 che ha stabilito una delimitazione (v.) improntata a criteri equitativi tenendo
conto del rapporto di proporzionalità (a favore dell’Ucraina) tra le coste rilevanti dei due paesi. Quanto
all’Ucraina essa è Stato successore (v. Successione tra Stati) della Federazione Russa relativamente alla
frontiera con la Turchia; con la Russia sono insorte criticità dopo l’occupazione e l’annessione della Cri-
mea nel 2014, a seguito della quale la base navale di Sebastopoli (dal 1991 concessa dall’Ucraina alla
Russia in uso) è passata sotto controllo russo. Le Forze navali ucraine si sono per conseguenza spostate
a Odessa. Nel 2016 l’Ucraina ha aperto con la Russia una disputa per la giurisdizione sugli spazi marit-
timi adiacenti alla Crimea e sullo stretto di Kerch (v. Mar di Azov) deferendola a un Tribunale arbitrale.

3. Cooperazione regionale
Le tensioni Russa-Ucraina e Russia-Turchia determinatesi nel 2015 non rallenteranno probabilmente
il processo di cooperazione regionale già avviato. In passato erano state, infatti, intraprese varie iniziative,

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Glossario di Diritto del Mare

quali la convenzione di Bucarest del 1992 sulla protezione del Mar Nero dall’inquinamento (v. Protezione
dell’ambiente marino) o l’accordo di Ankara del 1998 sulla cooperazione nel campo della ricerca e sal-
vataggio (v. Ricerca e soccorso in mare). Gli Stati rivieraschi cooperano inoltre per la gestione delle risorse
ittiche nell’ambito della Commissione generale della Pesca per il Mediterraneo (v. Pesca (Mediterraneo),
organismo regionale costituito nell’ambito della FAO con competenze estese sia al Mediterraneo sia al
Mar Nero.

MAR ROSSO
1. Via d’acqua internazionale
Il Mar Rosso è contornato da otto paesi: Egitto, Sudan, Eritrea, Gibuti, Yemen, Arabia Saudita, Gior-
dania e Israele. Ne fanno parte i golfi di Suez e Aqaba; l’accesso a quest’ultimo è attraverso lo stretto di
Tiran (v.). La sua lunghezza (misurata dalla città di Suez all’imboccatura dell’omonimo canale di Suez
(v.) sino allo stretto di Bab el-Mandeb (v.) è di 1.040 miglia; la larghezza, nella parte di massima ampiezza
prospiciente l’Eritrea, è di 190 miglia.
Dal punto di vista giuridico, il Mar Rosso risponde pienamente alla nozione di mare chiuso (v.). Esso
costituisce inoltre una via di comunicazione marittima in quanto collega il Mediterraneo all’oceano In-
diano attraverso il canale di Suez e lo stretto di Bab el-Mandeb. Rilevante è la sua importanza sul piano
geopolitico: le comunicazioni commerciali dei paesi europei attraverso il Mar Rosso (in media 20.000
transiti annuali di navi mercantili di cui 2.000 di bandiera italiana) sono incentrate sulle direttrici tra il
Mediterraneo da una parte e il Corno d’Africa e il golfo di Aden dall’altra. Nonostante il Mar Rosso ri-
vesta un’indubbia funzione di international waterways, da parte degli Stati costieri è emerso in anni recenti
l’orientamento a gestire in via diretta ed esclusiva la sicurezza del bacino (v. Sicurezza marittima). La
prova si è avuta quando nel 2009, con la Ryad Declaration, tutti i paesi rivieraschi, con l’esclusione della
sola Israele, hanno costituito una Forza marittima regionale per il contrasto alla pirateria (v.).

2. Spazi marittimi
La definizione degli spazi marittimi del bacino può dirsi completato quasi del tutto. Hanno istituito
linee di base rette (v.) l’Arabia Saudita, l’Eritrea, il Sudan e l’Egitto. L’Egitto ha, in particolare, chiuso con
una linea di base di 36 mn il golfo di Suez attribuendogli quindi, in questo modo, lo status di acque in-
terne (v). Per conseguenza, il traffico in entrata e in uscita dal canale di Suez è in regime di transito inof-
fensivo (v). Proteste sono state formulate dagli Stati Uniti per questa situazione che è ritenuta in contrasto
con la libertà di passaggio stabilita dalla Convenzione di Costantinopoli del 1888. Anche la zona Sud
del Mar Rosso, nel tratto che dalle isole Hanish va sino allo stretto di Bab el-Mandeb, è interamente co-
perta dalle acque territoriali di Yemen, Eritrea e Gibuti, Isole Hanish, Zubair e Jebel At Tair.
Circa le altre zone marittime, l’Arabia Saudita ha una zona contigua di 12 miglia. L’Egitto, pur avendo
previsto in teoria la proclamazione di una zona economica esclusiva (v.), non lo ha ancora fatto, mentre
l’Arabia Saudita l’ha istituita nel 2011. Tra i due Stati non esiste nessun accordo di delimitazione (v.),
nemmeno relativo alla piattaforma continentale (v.). Essendo venuta meno, per effetto della guerriglia
del fronte eritreo, la sovranità dell’Etiopia sulla fascia costiera, gli spazi marittimi tra il Sudan e Gibuti
appartengono all’Eritrea che, dopo aver acquisito l’indipendenza nel 1991, ha confermato la validità
della precedente legislazione marittima etiopica, mantenendo le 12 mn delle acque territoriali stabilite
nel 1951. Quanto all’Etiopia, sino al 1998 gli è stato garantito dall’Eritrea l’uso del porto di Assab; suc-
cessivamente ha concordato con Gibuti di avvalersi delle sue infrastrutture portuali nell’ambito dei diritti
di accesso al mare che l’UNCLOS (art. 125) riconosce agli Stati privi di litorale.

3. Dispute
Un particolare problema derivava dalla presenza, tra l’Eritrea e lo Yemen, delle isole Hanish-Zukar,
collocate in prossimità dello stretto di Bab el-Mandeb in posizione strategicamente importante sia ai fini
del controllo del traffico marittimo sia ai fini dello sfruttamento di possibili giacimenti petroliferi. Sulla
sovranità avanzavano pretese entrambi i paesi, come già era avvenuto negli anni Trenta del secolo scorso,
quando Italia e Gran Bretagna, che ne avevano il possesso, avevano definito le questioni di reciproco in-
teresse con l’annesso 3 all’Accordo di Roma del 16 aprile 1938.

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Glossario di Diritto del Mare

Dopo la decisione del governo dello Yemen di costruire un impianto turistico nella Grande Hanish, e
dopo l’occupazione della stessa isola da parte dell’Eritrea, nel 1995, i due paesi hanno deferito la contro-
versia a una Corte arbitrale che ha emanato due distinte decisioni: quella del 1998 attribuisce allo Yemen
le isole di al-Tayr, Zuqar-Hanish e Zubayr e quelle di Mohabbakan e Haycock all’Eritrea; la successiva
del 1999 ha definito la questione del confine marittimo stabilendo un’unica linea valevole per la piatta-
forma continentale e ZEE. Sulla base di questa sentenza i due paesi hanno stipulato, con accordo del
1999, una delimitazione di tutti gli spazi marittimi, costituita da una linea di equidistanza modificata.
Con accordo del 12 giugno 2000, Yemen e Arabia Saudita hanno tracciato la frontiera marittima laterale
delle rispettive acque territoriali. Il golfo di Aqaba è, tranne una piccola porzione nella parte meridionale,
interamente coperto dalle acque terri-
toriali di Arabia Saudita, Egitto e Gior-
dania. Tra Egitto e Giordania è stato
stipulato il 18 gennaio 1996 un ac-
cordo di delimitazione (linea mediana
sino al punto triplo con l’Egitto). Nes-
suna delimitazione è invece stata sta-
bilita tra Egitto e Arabia Saudita.
L’Egitto ha rinunciato alle proprie
pretese sulle isole di Tiran e Senarir
(v. Isole) collocate all’ingresso dello
stretto di Tiran (v.): nel 2017 la sovra-
nità su di esse è stata trasferita al-
l’Arabia Saudita.
Una disputa sussiste tra Egitto e
Sudan per quanto riguarda il c.d.
«Halaib Triangle», zona a nord del 22°
parallelo costituente il confine tra i
due paesi secondo l’accordo anglo-
egiziano del 1899.
La questione è sorta nel 1902
quando la Gran Bretagna decise, uni-
lateralmente, di fissare un diverso
confine amministrativo, a nord di tale
linea, comprendente appunto la zona
adiacente alla città di Halayib. Succes-
sivamente, l’Egitto occupò tempora-
neamente tale zona nel 1958 e, nel
1990, dopo alterne vicende, inserì nel
proprio sistema di linee di base (punti
41-56) la linea di costa antistante.
Come reazione a questa iniziativa il
Sudan nel 1991 concesse permessi pe-
troliferi nella stessa area marina. Confine ZEE Yemen-Eritrea (Fonte: PCA).

MARE TERRITORIALE
Vedi: Acque territoriali.

MARINA MILITARE
Vedi: Nave da guerra;
Nave in servizio governativo non commerciale;
Pesca;
Polizia dell’alto mare;

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Glossario di Diritto del Mare

Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato;


Piattaforma continentale (sicurezza offshore);
Protezione dell’ambiente marino;
Ricerca e soccorso in mare;
Sicurezza marittima;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

MARITIME INTERDICTION OPERATIONS (MIO)


Vedi: Interdizione marittima.

MARITIME LAW ENFORCEMENT (MLE)


Vedi: Polizia dell’alto mare.

MARITIME QUARANTINE
Vedi: Blocco navale.

MISURE NAVALI CONFIDENZA RECIPROCA (Naval CBM)


Vedi: Disarmo navale;
Prevenzione attività pericolose in mare

MAROCCO
Vedi: Stretti e canali internazionali;
Zona contigua;
ZEE (Mediterraneo).

MONACO (PRINCIPATO)
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Santuario per la protezione dei mammiferi.

MONTENEGRO
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Successione tra Stati.

NAVE DA GUERRA
1. Funzione delle navi da guerra
Nel XIX secolo si è definitivamente affermato il principio giuridico secondo cui le navi da guerra, es-
sendo esclusivamente soggette alla giurisdizione dello Stato di bandiera, godono di completa immunità
(v.) in alto mare (v.) e nelle acque territoriali (v.) straniere. Da quando è stata emanata la dichiarazione di
Parigi del 1856 sui principi della guerra marittima (v. Diritto bellico marittimo) che ha proibito la guerra
di corsa (v. Pirateria) intesa come affidamento a navi private armate di funzioni belliche, le navi da guerra
costituiscono inoltre gli unici soggetti che hanno diritto di partecipare alle ostilità, quali legittimi com-
battenti. Contemporaneamente si è consolidato il concetto secondo cui, come è stato efficacemente detto,
le stesse navi da guerra «rappresentano la sovranità e l’indipendenza dello Stato di appartenenza in modo più
perfetto di qualunque altro mezzo sul mare». Connesso a tale situazione giuridica e ai discendenti poteri di
jus imperii è il compito di vigilare sulla sicurezza dei traffici marittimi internazionali che nei secoli si è
imposta quale attività primaria delle navi da guerra in tempo di pace, per garantire la regolarità dei traf-
fici commerciali e, più in generale, la legalità internazionale contrastando fenomeni come la pirateria e
la tratta degli schiavi (v.). Questo ruolo delle navi da guerra può definirsi come polizia dell’alto mare
(v.) o, secondo la terminologia anglosassone, Maritime Law Enforcement (MLE). Funzione correlata è anche
il compito di rappresentare l’autorità dello Stato nei confronti dei mercantili di bandiera per prevenire e
reprimere eventuali illeciti da essi commessi in alto mare o in acque territoriali straniere. L’ordinamento

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Glossario di Diritto del Mare

italiano prevede, a questo fine, che le navi da guerra nazionali esercitino, in questi spazi, funzioni di po-
lizia marittima (CN, art. 200) e funzioni di polizia giudiziaria (CN, art. 1235, n. 4) nei confronti dei mer-
cantili nazionali.
Quale strumento politico-diplomatico dello Stato nelle aree marittime di interesse al di là delle acque
territoriali, le navi da guerra da secoli svolgono il compito di proteggere in alto mare la vita e i beni dei
cittadini i quali siano oggetto di illegittimi atti di violenza posti in essere da paesi stranieri in tempo di
pace. Il diritto di reagire con la forza a tali atti ha trovato col tempo la sua collocazione nell’ambito del
principio giuridico della difesa legittima. Le navi da guerra sono, infatti, i soli organi dello Stato a potersi
confrontare sul mare con autorità di altri paesi. Basti pensare al più che cinquantennale impegno della
Marina Militare nel Canale di Sicilia (v. Pesca (Mediterraneo). Rilevante è, al riguardo, la capacità delle
navi da guerra di esercitare la forza in modo limitato, cioè a dire strettamente commisurato alle esigenze
sulla base dei criteri della necessità, gradualità e proporzionalità. La soggettività di diritto internazionale
delle navi da guerra le abilita quindi, sul piano politico-diplomatico, a rappresentare lo Stato; da ciò de-
riva l’esigenza che la loro azione all’estero sia a un tempo ferma e autorevole, ma anche prudente, per
non creare situazioni che possano sfociare in casus belli. Esclusivo delle navi da guerra, e storicamente
affermato come funzione di diplomazia flessibile ed efficace, è anche il compito di far valere i diritti e gli
interessi della nazione in aree che siano oggetto di pretese contrastanti di altri Stati che intendano eser-
citare giurisdizione territoriale o diritti sovrani di sfruttamento. La storia è ricca di esempi in proposito:
basti pensare alle secolari contese per l’esercizio di diritti di pesca, alle prospezioni petrolifere in aree
disputate o alle operazioni navali per contrastare le pretese di alcuni Stati intese a limitare la libertà di
navigazione (v. Libertà dei mari).
In definitiva, le navi da guerra ricoprono un ruolo flessibile e polivalente nell’ambito del teatro ma-
rittimo la cui essenza può sintetizzarsi, come è stato detto, in Diritto, Forza e Diplomazia.

2. La nave da guerra nel diritto internazionale


Di pari passo con lo sviluppo dei principi regolanti la condizione giuridica di extraterritorialità delle
navi da guerra, e quindi il loro ruolo di unici soggetti aventi diritto a partecipare alle operazioni di
guerra marittima, si è avuto nell’ordinamento internazionale la definizione della nozione giuridica di
nave da guerra, sia essa di superficie sia sommergibile (v.). I principi basilari sono stati posti, ai fini
della condotta delle ostilità in mare, nella VII Convenzione dell’Aja del 1907, concernente la trasfor-
mazione delle navi mercantili in navi da guerra che individua i seguenti elementi caratterizzanti: 1)
sottoposizione al controllo diretto e alla responsabilità dello Stato; 2) segni distintivi esteriori che di-
stinguono le navi da guerra della rispettiva nazionalità; 3) esistenza di un comandante debitamente
autorizzato il cui nome figuri nell’elenco degli ufficiali della Marina; 4) sottoposizione dell’equipaggio
alla disciplina militare.
In modo analogo, la I Convenzione di Ginevra del 1958 (art. 8, 2) prevedeva doversi trattare di una
«nave che appartenga alle Forze navali di uno Stato, porti i segni distintivi esteriori adottati per le navi da guerra
della sua nazionalità, sia posta sotto il comando di un ufficiale debitamente incaricato dal governo e il cui nome è
iscritto nell’elenco degli ufficiali della Marina da guerra, abbia un equipaggio soggetto alla disciplina delle Forze
armate regolari». La situazione è in parte cambiata a seguito dell’entrata in vigore dell’UNCLOS che, pur
confermando la distinzione in precedenza vigente tra navi da guerra e navi di Stato (v. Navi in servizio
governativo non commerciale), ha apportato significativi mutamenti. L’art. 29 della convenzione mede-
sima — benché continui a non richiedere come per il passato che una nave da guerra, per essere tale,
debba essere armata — ha ora previsto, nel suo testo in lingua inglese, che essa «appartenga alle Forze ar-
mate, porti i segni esterni che distinguono tali navi della sua nazionalità, sia posta al comando di un ufficiale de-
bitamente autorizzato dal governo dello Stato e il cui nome appaia nell’appropriato ruolo di servizio o suo
equivalente, abbia un equipaggio soggetto alla disciplina delle Forze armate regolari». Pertanto, non viene più
fatto riferimento né all’appartenenza alle Forze navali (Naval forces) né all’iscrizione del comandante nel-
l’elenco degli ufficiali della Marina da guerra (Navy list). Per converso, il testo francese (facente egual-
mente fede come quello inglese) usa la formula più restrittiva «al comando di un ufficiale di Marina» («qui
est pacè sous le commandement d’oun officier de marine»). Circa il richiamo all’appartenenza della nave da
guerra alle Forze armate che è presente in entrambi i testi, esso sarebbe stato introdotto per tenere conto

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Glossario di Diritto del Mare

dell’integrazione delle differenti branche delle Forze armate dei vari paesi, dell’utilizzazione di imbar-
cazioni da parte dell’Esercito e dell’Aeronautica e dell’esistenza di una Guardia costiera come unità se-
parata delle Forze armate di uno Stato.
Non tutte le unità che fanno parte delle Forze armate e battono quindi bandiera militare possono però
considerarsi di per sé «da guerra» ai fini del possesso delle relative prerogative e dei relativi poteri. È
necessario, infatti, accertare, caso per caso, quella che è la volontà dello Stato di bandiera circa l’attribu-
zione della qualifica a proprie unità navali. La manifestazione di questa volontà assume diverse forme.
All’esterno, nei rapporti con gli altri Stati, vengono anzitutto in rilievo i segni di riconoscimento, primi
tra tutti la bandiera navale e i distintivi ottici di riconoscimento («visual call sign», secondo la fraseologia
NATO, o «pendant» secondo la terminologia anglosassone). Tra questi segni può anche comprendersi
quel particolare appellativo che precede la denominazione dell’unità, come United States Ship (USS) ado-
perato negli Stati Uniti o Her Majesty’s Ship (HMS) in uso in Gran Bretagna. Sta di fatto che, se non sussiste
tale volontà dello Stato di bandiera, non è possibile ipotizzare la partecipazione a operazioni navali mul-
tinazionali di unità che, per quanto astrattamente dotate dei requisiti internazionali per essere considerate
da guerra, non siano integrate nelle «Forze navali armate» di un paese. Il pericolo sta, infatti, nell’assenza
di condivisione, da parte di queste unità, degli standard operativi navali con conseguente rischio di ma-
lintesi e incidenti che potrebbero coinvolgere anche paesi terzi.
Peraltro, anche in situazioni che non si configurino come crisi internazionali, la questione assume ri-
lievo dal punto di vista politico-diplomatico nei confronti degli Stati terzi, in quanto sarebbe estrema-
mente pericoloso affidare, negli spazi extraterritoriali, a navi che non siano sotto il controllo delle Marine,
compiti di difesa dei diritti e degli interessi nazionali: il rischio sarebbe, oltre alla sovrapposizione dei
ruoli e allo spreco di risorse, il frammentare l’azione dello Stato in ambito internazionale in più settori
di intervento che agiscano autonomamente, adottando comportamenti difformi.

3. La nave da guerra nell’ordinamento italiano


3.1 Disciplina normativa
L’ordinamento italiano contiene nel Codice dell’Ordinamento Militare (COM) e nel Codice della
navigazione, disposizioni che configurano la nave da guerra nazionale come soggetto di poteri e pre-
rogative in funzione, come si è detto, dello svolgimento di attività di polizia dell’alto mare. Quanto
alla definizione di nave da guerra, il testo in lingua francese dell’art. 29 dell’UNCLOS (riportato in
traduzione non ufficiale in allegato alla Legge di ratifica 2 dicembre 1994 n. 689) adotta l’espressione
«posta al comando di ufficiale di Marina». Essa è stata così recepita nell’art. 239, 2 del COM: «Per “nave da
guerra” si intende una nave che appartiene alle Forze armate di uno Stato, che porta i segni distintivi esteriori
delle navi militari della sua nazionalità ed è posta sotto il comando di un ufficiale di Marina al servizio dello
Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio è sottoposto alle
regole della disciplina militare».
Il COM ne stabilisce quindi una nozione più restrittiva in quanto prescrive il requisito della sottopo-
sizione al comando di un «ufficiale di Marina», tenendo evidentemente conto della realtà giuridica del-
l’ordinamento del naviglio militare italiano e delle diverse funzioni svolte dalle sue componenti (v. Polizia
alto mare). Per meglio comprendere la questione bisogna considerare che il COM — con una visione
complessiva delle Forze marittime dello Stato — accomuna con l’art. 239, sotto l’unica categoria delle
«navi militari», sia le navi da guerra sia le altre navi su cui sia imbarcato personale a status militare, così
disponendo: «Sono navi militari quelle che hanno i seguenti requisiti:
a) sono iscritte nel ruolo del naviglio militare;
b) sono comandate ed equipaggiate da personale militare, sottoposto alla relativa disciplina;
c) recano i segni distintivi della Marina Militare o di altra Forza armata o di Forza di polizia a ordinamento
militare».
La categoria delle «navi militari» è anche prevista dall’art. 11, 2 del Codice penale militare di pace
che così recita: «Agli effetti della legge penale militare, sono navi militari e aeromobili militari le navi e gli ae-
romobili da guerra, le altre navi o aeromobili regolarmente trasformati in navi o aeromobili da guerra, e ogni
altra nave e ogni altro aeromobile adibiti al servizio delle Forze armate dello Stato alla dipendenza di un coman-
dante militare».

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Glossario di Diritto del Mare

In sostanza, l’ordinamento italiano disciplina in modo unitario il «naviglio militare», tenendo conto
del fatto che il segno distintivo della bandiera navale militare (v. Bandiera navale) è attribuito sia alle
navi da guerra della Marina Militare iscritte nel «Quadro del naviglio militare dello Stato», sia alle
altre specie di navi a status militare iscritte nel «Ruolo speciale del naviglio militare dello Stato di
cui all’art. 243 del COM e all’art. 292 del TUOM, Testo unico dell’Ordinamento Militare (D.P.R. 90-
2010). Le navi da guerra, pur essendo in termini generali delle navi militari, rappresentano quindi
una categoria specifica.

3.2 Status unità Guardia di Finanza e Guardia costiera


Il problema della qualificazione specifica delle «navi da guerra» è stato affrontato e risolto negati-
vamente — con riguardo alle unità navali del Corpo della guardia di finanza — dalla Corte di Cas-
sazione in una pronuncia dedicata alla configurazione del reato di cui all’art. 1100 del CN («Resistenza
o violenza contro nave da guerra»), nell’ambito di un noto caso relativo alla nave ONG Sea Watch 3.
La Suprema corte (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 6626), osserva, nella
premessa della decisione, che: «La Guardia di Finanza è un “Corpo di polizia a ordinamento militare”, parte
integrante delle Forze armate, dipendente dal ministero dell’Economia e delle finanze. Il naviglio a essa asse-
gnato appartiene dunque alle Forze armate. Tale naviglio, inoltre, porta i segni distintivi esteriori delle navi
militari italiane (batte cioè bandiera italiana) e imbarca un equipaggio sottoposto alle regole della disciplina
militare. Per poter essere qualificata come “nave da guerra”, tuttavia, l’unità della Guardia di Finanza deve
altresì essere comandata da “un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell’apposito ruolo degli
ufficiali o in documento equipollente”, il che nel caso in esame non è dimostrato. Non è sufficiente che al co-
mando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il “maresciallo” non è ufficiale»;
precisando inoltre che «la legge 13 dicembre 1956, n. 1409, art. 6, (norme per la vigilanza marittima ai fini
della repressione del contrabbando dei tabacchi) punisce gli atti di resistenza o di violenza contro tale naviglio
con le stesse pene stabilite dall’art. 1100 del codice della navigazione, per la resistenza e violenza contro una
nave da guerra». Per poi concludere che «Proprio per il fatto che, nel 1956, il legislatore ha esplicitamente sta-
bilito che agli atti di resistenza commessi contro navi della Guardia di Finanza si applicassero le medesime
pene previste per la resistenza a nave da guerra, si deve concludere che di per sé tali navi non sono annoverabili
tra le “navi da guerra”. Diversamente ragionando non si comprenderebbe il senso di tale disposizione di legge,
che sarebbe del tutto superfluo». Da notare infine che la Cassazione ha evidenziato che la nuova disci-
plina introdotta dall’art. 239, 2 del COM, confligge sia con il precedente indirizzo giurisprudenziale
che applicava estensivamente alle unità della Guardia di Finanza la tutela penale stabilita per le navi
da guerra, sia con la norma, ora abrogata, dell’art. 133 della Legge di Guerra (R.D. 1415-1938) che
forniva una definizione più ampia di nave da guerra quanto alla possibilità che al comando ci fosse
«personale militare o militarizzato» di qualsiasi grado e Forza armata o Corpo militare.
Le conclusioni raggiunte per le unità della Guardia di Finanza non sono valide per il naviglio del
Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, considerato che quest’ultimo, quando comandato
da ufficiali, potrebbe possedere tutti i requisiti per rientrare a pieno titolo nella qualificazione sta-
bilita dall’art. 239, 2 del COM in quanto il Corpo, secondo lo stesso COM (art. 132) «dipende dalla
Marina Militare» per quanto riguarda lo svolgimento di specifiche funzioni di concorso alla difesa
marittima e dello Stato. Dubbi possono però sorgere se si considera che il ministero di riferimento,
sia per il personale sia per le unità navali, è quello delle Infrastrutture e trasporti. Al riguardo, va
inoltre tenuto conto del fatto che secondo l’art. 297, 2 e 3 del TUOM: « [Il Comando generale delle
Capitanerie di porto] provvede ad assegnare alle sedi le unità navali e i mezzi navali contemplati
dal presente titolo, in funzione delle esigenze dei servizi di Istituto, e sovraintende al loro impiego
e alla loro efficienza».

Vedi anche: Cavi e condotte sottomarine; Diritto di visita; Diritto di inseguimento; Inchiesta di ban-
diera; Immunità di giurisdizione; Interdizione marittima; Nave in servizio governativo; Nave mercantile;
Polizia alto mare; Protezione del patrimonio culturale subacqueo; Ricerca e soccorso in mare; Transito
inoffensivo delle navi da guerra.

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Glossario di Diritto del Mare

NAVE A PROPULSIONE NUCLEARE


Vedi: Demilitarizzazione;
Protezione dell’ambiente marino;
Transito inoffensivo.

NAVE DI STATO
Vedi: Nave in servizio governativo non commerciale.

NAVE IN SERVIZIO GOVERNATIVO NON COMMERCIALE (NAVE DI STATO)


1. Regime giuridico internazionale
1.1 Status giuridico
La categoria delle navi appartenenti a uno Stato e utilizzate esclusivamente per un servizio pubblico
non commerciale (Ginevra I, 22, 1; UNCLOS 32 e 96) gode, al pari delle navi da guerra (v.), di completa
immunità di giurisdizione (v.). Nell’ambito di questa categoria assume particolare rilievo la specie delle
«navi identificabili, con chiari segni distintivi, come unità in servizio governativo e autorizzate a questi effetti» (Gi-
nevra II, 23, 4; UNCLOS 111, 6) le quali, pur non essendo navi da guerra, possono essere attualmente au-
torizzate dallo Stato di bandiera a esercitare poteri autoritativi in alto mare (v.) nei confronti di navi
mercantili straniere nell’ambito del diritto di inseguimento (v.) e del diritto di visita (v.). Nella terminologia
corrente esse sono anche indicate come navi di Stato. La qualifica di nave di Stato spetta allo Stato di ban-
diera; la nave deve essere dotata a bordo di documentazione che comprovi lo status oltre agli appositi
segni distintivi e, eventualmente, a una specifica bandiera navale diversa da quella da guerra. Alle navi
di Stato appartengono, per esempio, quelle — dotate di apparecchiatura elettronica ma apparentemente
strutturate come mercantili — che nella terminologia della NATO sono indicate come navi AGI (Auxiliary
Gathering Intelligence) impiegate dall’ex Unione Sovietica e ora dalla Federazione Russa o dalla Cina per
lo svolgimento di attività di intelligence al di fuori delle acque territoriali (v. transito inoffensivo).

1.2 Differenze funzionali rispetto alle navi da guerra


La differenza sostanziale tra la categoria delle navi da guerra e quella delle navi di Stato, entrambe
appartenenti al genus delle navi pubbliche, sta nella differente funzione e nella differente legittimazione
giuridica dell’una e dell’altra. Le navi da guerra — a prescindere ovviamente dal compito primario di
difesa dello Stato in mare — costituiscono lo strumento politico-militare dello Stato nei rapporti con gli
altri Stati e, come tali, rappresentano la nazione all’estero sia nel corso delle attività militari di loro per-
tinenza, sia durante le visite ufficiali in cui sono loro assegnate funzioni di «diplomazia flessibile» (mo-
strare la bandiera, presenziare in occasione di visite del Capo dello Stato, aprire la strada a intese per
migliorare i rapporti tra i due paesi, tenere i contatti con le comunità nazionali all’estero, ecc.). Sul piano
giuridico le navi da guerra hanno una legittimazione piena in acque internazionali (e, a certe condizioni,
in acque territoriali straniere) per esercitare funzioni di controllo della legalità dei traffici marittimi in-
ternazionali e per vigilare sulle navi mercantili nazionali (v. Polizia dell’alto mare).
Le navi di Stato hanno invece una legittimazione limitata per materia (ratione materiae), nel senso che
al di là delle acque territoriali possono esercitare soltanto quei poteri che sono funzionali allo svolgimento
dei loro compiti d’istituto relativi a specifiche competenze, come la ricerca e soccorso in mare (v.), la vi-
gilanza sul contrabbando doganale (v.), sul traffico di stupefacenti in mare (v.) e sulla protezione del-
l’ambiente marino (v.).

2. Ordinamento italiano
2.1 Distinte tipologie di navi di Stato
L’ordinamento italiano disciplina due distinti tipi di navi di Stato: da un lato le navi iscritte nel Ruolo
del naviglio militare dello Stato di cui all’art. 239, 1 del Codice dell’Ordinamento Militare (COM) che
non abbiano i requisiti per essere classificate come «navi da guerra» ai sensi del comma 2 dello stesso
articolo; dall’altro le «navi in servizio governativo non commerciale» iscritte nell’apposito ruolo previsto
dall’art. 283 del Testo Unico dell’Ordinamento Militare (D.P.R. 90-2010) (TUOM). Secondo l’art. 292 dello
stesso TUOM, tali navi sono quelle destinate a essere impiegate in «attività d’istituto delle amministrazioni

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Glossario di Diritto del Mare

dello Stato, alle quali sono attribuite competenze in materia di: pubblica sicurezza, protezione dagli incendi, prote-
zione dell’ambiente marino, trasporto di mezzi e di personale per la pubblica utilità e per le esigenze dell’ammini-
strazione penitenziaria, intervento in caso di calamiyà; sperimentazione tecnologica e ricerca scientifica
oceanografica o ambientale marina». La distinzione tra le due specie di navi di Stato è evidentemente con-
nessa al possesso o meno dello status militare da parte del personale che le impiega e alla natura dei
compiti svolti dall’amministrazione di appartenenza.

2.2 Navi militari


La Cassazione Penale nella sentenza 6626 del 20 febbraio 2020, già citata in precedenza, ha affermato
che «… le navi della Guardia di Finanza sono certamente navi militari, ma non possono essere automaticamente
ritenute anche da navi da guerra». Sulla base di questo potremmo argomentare che la categoria delle navi
militari abbia valenza giuridica unitaria, connotando un ben preciso gruppo di unità che, pur essendo
iscritte nell’apposito ruolo e dotate della bandiera navale militare ai sensi degli articoli 292 e 296 del
TUOM, non sono navi da guerra. In realtà si deve considerare che l’art. 11, 2 del Codice Penale Militare
di Pace dispone che: «Agli effetti della legge penale militare, sono navi militari e aeromobili militari le navi e
gli aeromobili da guerra…e ogni altra nave e ogni altro aeromobile adibiti al servizio delle Forze armate dello
Stato alla dipendenza di un comandante militare». È vero quindi, secondo l’ordinamento italiano, che non
tutte le navi militari sono da guerra; ma è anche vero, ovviamente, che tutte le «navi da guerra» sono
anche militari.

2.3 Bandiere navali


Come già accennato, la bandiera navale militare è assegnata, secondo il TUOM, ai mezzi navali in do-
tazione all’Arma dei Carabinieri, al Corpo della guardia di finanza e al Corpo delle capitanerie di porto-
Guardia costiera iscritte nei ruoli speciali del naviglio militare dello Stato tenuti dal ministero della Difesa.
Quello della bandiera può quindi considerarsi un ulteriore elemento idoneo a unificare la categoria delle
navi militari, fermo restando la specificità delle «navi da guerra».
Il citato TUOM, all’articolo 289, attribuisce inoltre al naviglio iscritto nel Registro delle navi in servizio
governativo non commerciale (v.), un’apposita ulteriore bandiera navale: esse «inalberano la bandiera na-
zionale costituita dal Tricolore italiano, caricato al centro della fascia bianca dell’emblema dello Stato, di cui al
decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 535...».

NAVE MERCANTILE
La categoria delle navi private — che concettualmente si contrappone a quella delle navi pubbliche
comprendente navi militari, navi da guerra (v.) e navi di Stato (v.) — riguarda le navi mercantili e le unità
da diporto.
L’UNCLOS non fornisce alcuna definizione di esse ma anzi usa indifferentemente l’espressione ship
e quella di vessel senza ulteriore aggettivazione o specificazione. Si vedano per esempio i fondamentali
articoli 91 e 92 della stessa UNCLOS relativi a Nationality of ships e a Status of ships che regolamentano la
nazionalità della nave (v.); oppure il suo art. 211 sull’inquinamento provocato da navi riguardante la
protezione dell’ambiente marino (v.).
Non meno generico è il testo dell’annesso alla SOLAS Convention (v. Sicurezza della navigazione) che
tuttavia distingue tra varie specie di navi private quali: Passenger ships; Cargo ships; Fishing vessels; Ships
not propelled by mechanical means; Wooden ships of primitive build; Pleasure yachts not engaged in trade.
Proprio per questo vi è la tendenza a definire la nave in senso negativo, differenziandola da altre ca-
tegorie. Sintomatico è per esempio il fatto che il Sanremo Manual on International Law applicable to
armed Conflicts at Sea (v. Diritto bellico marittimo) preveda, ai fini della regolamentazione delle ostilità
sul mare, che «Merchant vessel means a vessel, other than a warship, an auxiliary vessel, or a State vessel
such as a customs or police vessel, that is engaged in commercial or private service» (para 13, i).
Un’ulteriore differenziazioni concettuale oramai, generalmente accettata, è quella basata su elementi
funzionali che distingue tra navi con capacità di propulsione e di trasporto di merci e passeggeri, e altri
mezzi che operano in mare, come depositi galleggianti di carburante, piattaforme offshore o turbine flot-
tanti facenti parte di wind farms per la produzione di energia elettrica.

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Glossario di Diritto del Mare

Al riguardo, circa le piattaforme di estrazione di idrocarburi, il discrimine ad aversi nave, sta nella
loro capacità di galleggiare, o liberamente o venendo ancorate al fondale. Il fatto che lo Stato di registra-
zione abbia giurisdizione su di esse come navi — ovunque esse operino — si deduce a contrario dagli ar-
ticoli 60 e 80 dell’UNCLOS: queste norme prevedono, infatti, che lo Stato costiero abbia giurisdizione
sulle «isole artificiali, installazioni e strutture costruite» (il che vuol dire che sono fisse) sulla sua ZEE o
piattaforma continentale. Per le altre tipologie di mezzi galleggianti l’orientamento sembra essere quello
di ricomprenderli comunque nella nozione di nave, anche se la soluzione sembra essere motivata da
questioni assicurative e di responsabilità per danni all’ambiente marino.
Per comprendere i termini della questione è comunque utile l’esame della legislazione italiana. Il no-
stro Codice della navigazione all’art. 136 così dispone: «Per nave s’intende qualsiasi costruzione destinata al
trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo. Le navi si distinguono in
maggiori e minori. Sono maggiori le navi alturiere; sono minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei
porti e le navi addette alla navigazione interna. Le disposizioni che riguardano le navi si applicano, in quanto non
sia diversamente disposto, anche ai galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al
traffico in acque marittime o interne».
Secondo l’ordinamento italiano, requisito della nave è dunque la destinazione al trasporto per acqua,
il che presuppone che la nave sia autopropulsa. L’esistenza a bordo di alloggi per l’equipaggio non è
stabilita come ulteriore requisito, ma la sua rilevanza si deduce dall’art. 164 CN che la indica tra le con-
dizioni di navigabilità. La categoria dei galleggianti iscritti in appositi registri (denominati inventari) è
inoltre quella che meglio si presta a risolvere i problemi che molti paesi incontrano nel disciplinare l’at-
tività di mezzi non autopropulsi.
La normativa stabilita dal Codice della navigazione si riflette sul Codice della nautica da diporto
(D.LGS. 171-2005) che distingue tra: a) unità da diporto (costruzione di qualunque tipo e con qualunque
mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto); b) nave da diporto: (unità con scafo di lun-
ghezza superiore a ventiquattro metri); c) imbarcazione da diporto con scafo di lunghezza superiore a
dieci metri e fino a ventiquattro metri); d) natante da diporto (unità da diporto a remi, o con scafo di
lunghezza pari o inferiore a dieci metri).

NAVE MILITARE
Vedi: Bandiera navale;
Nave da guerra;
Nave in servizio governativo non commerciale.

NAVE SENZA BANDIERA (NAVE STATELESS)


Vedi: Diritto di visita;
Nazionalità della nave;
Polizia dell’alto mare;
Terrorismo marittimo;
Traffico di stupefacenti in mare.
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare

NAZIONALITÀ DELLA NAVE


1. Genuine link
La nazionalità delle navi mercantili risulta dalla bandiera navale (v.) e dai documenti di bordo (atto
di nazionalità per la legislazione italiana). Ogni nave può navigare sotto la bandiera di un unico Stato
ed è soggetta, in alto mare (v.), alla sua giurisdizione esclusiva. Affinché uno Stato possa legittimamente
concedere la sua bandiera deve esistere un legame sostanziale («genuine link» secondo la terminologia
di Ginevra II, 5, 1; UNCLOS 91, 1) tra la nave e l’ordinamento nazionale. Lo stesso Stato, per esercitare
efficacemente la sua giurisdizione è tenuto ad assolvere vari obblighi nei confronti delle navi di propria
bandiera, principalmente ai fini di salvaguardarne la navigabilità e le condizioni di lavoro a bordo da
parte dei marittimi (UNCLOS 94). Di seguito uno specifico focus sulle questioni relative alla giurisdizione
esclusiva e all’effettivo possesso di una nazionalità.

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Glossario di Diritto del Mare

2. Giurisdizione esclusiva Stato di bandiera


La giurisdizione a favore dello Stato di bandiera è disciplinata da UNCLOS 97 che la configura come
esclusiva in caso di «collisione o di altro incidente di navigazione nell’alto mare che coinvolga la responsabilità
penale e disciplinare del comandante o di altre persone in servizio sulla nave».
Il problema delle modalità di esercizio di tale giurisdizione fu esaminato dalla Corte permanente
internazionale di giustizia del 1927 nella controversia che opponeva Francia e Turchia, che è nota come
caso Lotus. La disputa si era sviluppata a seguito di una collisione tra il piroscafo francese Lotus, che si
dirigeva a Costantinopoli, e l’imbarcazione turca BozKurt, che affondò. Il Lotus riuscì a salvare 10 dei
18 passeggeri del BozKurt. I due ufficiali di guardia a bordo della Lotus e del BozKurt vennero arrestati
dalla polizia turca in attesa dell’avvio di un procedimento penale per omicidio colposo. Durante il
processo, la difesa dell’ufficiale francese sostenne che i tribunali turchi non avevano giurisdizione, ma
l’argomento non venne accolto e l’ufficiale fu condannato al pagamento di una multa e al carcere.
Francia e Turchia sottoposero la questione alla Corte permanente di giustizia internazionale. Per la
Francia, il comportamento turco era in contrasto con il diritto internazionale, che non consente la giu-
risdizione statale su uno straniero, quando il reato sia stato commesso al di fuori del territorio nazio-
nale. La Turchia sosteneva, invece, che la propria giurisdizione derivasse dalla nazionalità della vittima
e dal fatto che il reato fosse stato commesso contro una nave battente bandiera turca. Nella sentenza
del 1927 la Corte accettò la tesi turca affermando che al tempo non vi era nessuna norma di diritto in-
ternazionale che proibisse a uno Stato di esercitare giurisdizione sul proprio territorio per fatti aventi
effetto su persone e beni sotto la propria giurisdizione. Il caso Lotus non fu, peraltro, un caso isolato.
Nel 1876 era accaduto l’incidente del Franconia, una nave di bandiera germanica entrata in collisione
con un mercantile inglese mentre era in navigazione al di fuori delle acque territoriali britanniche;
nell’occasione, la Corte inglese incaricata di decidere sul caso, aveva affermato la propria competenza.
Per superare l’interpretazione adottata con queste decisioni, sia la I convenzione di Ginevra del 1958
(art. 11) sia l’UNCLOS, introdussero il principio della giurisdizione esclusiva (penale e disciplinare)
dello Stato di bandiera della nave al cui master o ad altre persone imbarcate venissero mossi addebiti
penali e disciplinari. Questo nuovo regime era stato anticipato dalla convenzione di Bruxelles del 1952
sull’unificazione di certe regole in materia di responsabilità penale in materia di collisioni o altri inci-
denti di navigazione.
Circa il significato dell’espressione «incidente di navigazione» (incident of navigation), a parere di certa
dottrina «la frase chiaramente include una collisione…ma si estende a qualsiasi maritime causalty»: essa appare,
infatti, nell’art. 94.7 dell’UNCLOS con riferimento a incidenti causanti la perdita della vita o altri danni
a cittadini di un altro Stato. La questione della giurisdizione esclusiva esercitabile dallo Stato di bandiera
nell’ipotesi che accadano siffatti incidenti ha assunto rilievo nell’ambito del «Caso Lexie» tra Italia e
India la cui risoluzione è stata affidata a un tribunale arbitrale.

3. Navi Stateless e navi con bandiera di convenienza


3.1 Condizione navi stateless
Secondo l’articolo 91 dell’UNCLOS la nazionalità delle navi è la base su cui il regime marittimo in-
ternazionale è incardinato: ogni Stato ha il potere per fissare le condizioni per l’assegnazione della re-
lativa nazionalità, per la registrazione delle navi nel proprio territorio e per il diritto di battere la
relativa bandiera provata da appropriati documenti; un «genuine link» deve comunque esistere tra lo
Stato e la nave che batte la sua bandiera. Le navi devono battere la bandiera di una singola nazione in
modo da rendere noto alla comunità internazionale quale Stato ha giurisdizione su di esse. Come con-
seguenza di questo obbligo, le navi «senza nazionalità» sono navi non legittimamente registrate in al-
cuno Stato; tali sono anche le navi «che navigano sotto le bandiere di due o più Stati impiegandole secondo
convenienza» (UNCLOS, 92, 2). Le navi prive di nazionalità (stateless), non potendo invocare la prote-
zione di alcuno Stato, sono soggette alla giurisdizione di tutti gli Stati che abbiano motivo per eserci-
tarla. La prassi seguita dall’Italia è indicata nelle Direttive della Direzione Nazionale Antimafia del
2014 dedicate al contrasto in alto mare del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (v. Traffico
e trasporto illegale di migranti in mare).

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Glossario di Diritto del Mare

3.2 Flag of convenience


La categoria delle navi con «flag of convenience» (FOC) — a prescindere dall’ipotesi disciplinata dal-
l’art. 92, 2 dell’UNCLOS di navi che abbiano falsi documenti di plurima nazionalità — è comunque
più ampia di quella delle navi senza nazionalità. L’art. 94 dell’UNCLOS definisce i doveri dello Stato
di bandiera concernenti l’effettivo esercizio della giurisdizione in tutte le materie riguardanti la pro-
tezione dell’equipaggio e della salvaguardia della nave. Conseguentemente, quando una nave batte
una bandiera nazionale diversa da quella del proprio paese (il paese del/dei proprietario/i della nave),
il «genuine link» potrebbe non essere reale a causa della mancanza di una effettiva giurisdizione e con-
trollo dello Stato. Il concetto di nave FOC riguarda quindi stricto sensu il caso di una nave legalmente
battente bandiera di uno Stato diverso da quello di appartenenza: da questo punto di vista, il criterio
più comune per determinare se una nave è iscritta in un open registry (eufemismo utilizzato al posto
di FOC) è basato su facilitazioni finanziarie e basse tutele sindacali dei marittimi imbarcati. Al riguardo
l’International Transport Workers’Federation (ITF), per individuare i paesi rientranti nel concetto di
FOC, usa i seguenti elementi: 1) il paese permette ai non cittadini di avere e controllare una nave; 2)
l’accesso e il trasferimento dal registro è semplificato; 3) le tasse sul reddito dei trasporti sono basse o
inesistenti; 4) l’impiego a bordo di non nazionali è permesso liberamente; 4) il paese non ha il potere
(o la volontà) di imporre regolamenti nazionali o internazionali sui proprietari delle navi.

3.3 Rischi sicurezza marittima


Un elenco dei paesi open registry è stato redatto dalla suindicata ITF: esso comprende Antigua e
Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Bermuda (UK), Bolivia, Burma, Cambogia, Isole Cayman, Co-
moros, Cipro, Guinea Equatoriale, Isole Faroe, Georgia, Gibilterra, Honduras, Jamaica, Libano, Libe-
ria, Malta, Isole Marshall (Stati Uniti), Mauritius, Moldova, Mongolia, Antille Olandesi, Corea del
Nord, Panama, Sao Tome e Príncipe, Saint Vincent e Grenadine, Sri Lanka, Tonga, Vanuatu. Tra questi
paesi, Panama, Liberia e Isole Marshall hanno iscritto nei propri registri circa il 40% dell’intera flotta
mercantile mondiale. Il pericolo che alcune navi FOC siano una minaccia alla sicurezza marittima
(v.) è stato preso in considerazione nell’ambito del Comitato consultivo delle NU sul Diritto del mare.
Nell’occasione è stato evidenziato che la mancanza di controlli e di regolamenti potrebbe costituire
una grave minaccia transnazionale contribuendo a instaurare un ambiente favorevole per il traffico
e trasporto illegale di armi (v.), droghe (v. Traffico stupefacenti), persone (v. Traffico e trasporto illegale
di migranti) e rifiuti tossici (v. Protezione ambiente marino) e pesca illegale (v. Pesca). L’IMO, oltre a
emanare direttive sul Port State Control (v. Sicurezza marittima) volto a evitare l’impiego di mercantili
sub standard relativamente a navigabilità e condizione dei marittimi imbarcati, si è occupata anche
dello specifico caso delle «navi fantasma» (phantom ship). Con la risoluzione A.923(22) del 29 novem-
bre 2001 dedicata alle misure per impedire la registrazione di simili navi, l’IMO — facendo espresso
riferimento al loro coinvolgimento in atti di pirateria (v.) — ha richiesto agli Stati di vigilare attenta-
mente nel registrare mercantili sulla base di informazioni false, controllando in particolare se il mer-
cantile abbia già altra bandiera.

3.4 Misure adottabili


In considerazione della minaccia costituita da tali categorie di navi per l’ordinato svolgimento
delle attività marittime, le navi da guerra (v.) e le navi in servizio governativo non commerciale (v.)
di qualsiasi nazione possono, nell’ambito dell’esercizio dei poteri connessi al diritto di visita (v.), sot-
toporre tali navi a inchiesta di bandiera (v.) e, qualora risulti confermata la mancanza di nazionalità,
catturarle e condurle con la forza in un porto nazionale per gli opportuni provvedimenti. Come af-
fermato dalla Corte di Cassazione italiana in varie decisioni relative al traffico e trasporto illegale di
migranti in mare (v.) l’esercizio in alto mare dei poteri coercitivi ex art. 110, 4 UNCLOS va però di-
stinto da quello del successivo eventuale esercizio della giurisdizione nei confronti di persone coin-
volte in attività illecite in quanto: «L’articolo 110 della convenzione prevede difatti il diritto di visita di una
nave priva di nazionalità, ma solo ai fini di accertamento; nulla dispone invece circa la legittimazione ad adottare
poteri coercitivi reali e personali, che resterebbero di esclusiva giurisdizione dello Stato che su quella nave ha
giurisdizione ai sensi dell’articolo 97 della convenzione stessa, il quale espressamente rimette le eventuali azioni

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Glossario di Diritto del Mare

penali o disciplinari contro le persone a bordo di tale nave allo Stato di bandiera, ovvero — mancando la bandiera
— allo Stato di cui dette persone hanno la nazionalità» (Cassazione penale sezione I, 23 maggio 2014, n.
36052, Arabi, Rv. 260040).

NAVICERT
Al fine di evitare le interferenze con il commercio marittimo dei neutrali, connesso all’esercizio del
diritto di visita per il controllo dei beni costituenti contrabbando di guerra (v.), i belligeranti (v. Diritto
bellico marittimo) possono prevedere il rilascio di appositi certificati denominati navicert.
Con tali documenti i consolati di un belligerante, o altra autorità a ciò designata, certificano che
il mercantile è stato esaminato al momento del carico in un determinato porto ed è stato trovato
privo di merci costituenti contrabbando di guerra. Il possesso di un navicert non è comunque un ti-
tolo per evitare la visita in mare o l’eventuale cattura da parte del belligerante che lo ha rilasciato.
Il sistema dei navicert non ha più avuto applicazione dopo la Seconda guerra mondiale. In occasione
dei recenti embarghi navali (v.) che hanno comportato un esteso ricorso al diritto di visita nei con-
fronti del naviglio mercantile, ne è stato tuttavia ipotizzato un adattamento alle crisi internazionali
in cui le nazioni partecipanti a coalizioni multinazionali (si pensi a Enduring Freedom, lanciata nel
Mar Arabico dopo l’attacco alle Torri Gemelle) esercitino diritti di belligeranza sulla base di risolu-
zioni delle NU.

NEUTRALITÀ MARITTIMA
Il concetto di neutralità marittima implica l’esercizio di diritti di inviolabilità del territorio e delle
acque territoriali (v.) e di libertà di commercio in alto mare (v.) da parte degli Stati che, astenendosi
dalla partecipazione a un conflitto armato sul mare (v. Diritto bellico marittimo), assumano lo status
di neutrali nei confronti dei belligeranti. La libertà di commercio marittimo dei neutrali, sviluppata
a partire dal XVIII secolo con varie «Leghe di neutralità», ha trovato il suo riconoscimento nell’ac-
cordo raggiunto tra Gran Bretagna — che era interessata a ottenere la proibizione della guerra di
corsa (v. Pirateria) — e Francia con la Dichiarazione di Parigi del 1856 su alcuni principi di diritto
marittimo. Questo accordo stabiliva che: 1) la bandiera neutrale garantisce protezione alla merce di
un belligerante presente a bordo, a eccezione di quella costituente contrabbando di guerra (v.); 2) la
merce neutrale, a eccezione del contrabbando di guerra, non può essere sequestrata nel caso sia tra-
sportata da mercantile di bandiera nemica.
Le regole fondamentali che disciplinano la libertà di navigazione dei neutrali in tempo di guerra
sono state poi fissate dalla Dichiarazione di Londra del 1909 sul Diritto della guerra marittima —
testo non avente natura convenzionale, ma purtuttavia contenente norme di carattere consuetudinario
recepite nella Legge di Guerra (R.D. 1415-1938) — secondo cui i mercantili neutrali possono essere
fermati e sottoposti a visita dalle navi da guerra di un belligerante al fine di accertare se trasportino
beni essenziali per lo sforzo bellico del nemico, assoggettabili come tali a confisca.
L’inviolabilità delle acque interne, territoriali e delle acque arcipelagiche (v.) dei neutrali, è stabilita
dalla XIII Convenzione dell’Aja relativa ai diritti e doveri delle potenze neutrali in caso di guerra
marittima (ratificata dall’Italia, entrata in vigore nel 1910 e recepita nella legge di neutralità italiana
del 1938). I belligeranti, pur potendo esercitare il transito inoffensivo (v.) in queste zone di mare (che
non devono tuttavia essere usate come «santuari» per operazioni contro gli avversari), sono obbligati
ad astenersi da atti di ostilità compresa la visita e la cattura di navi neutrali. I belligeranti possono
altresì sostare in porti neutrali, di norma per non più di ventiquattr’ore salvo deroghe giustificate
dalla necessità di riparazioni per il ripristino della navigabilità (sono quindi vietati gli imbarchi di
personale, di armamenti e di altro materiale che accresca la capacità militare e che non sia quindi in-
dispensabile per raggiungere il più vicino porto nazionale). L’osservanza di questi obblighi ha ri-
guardato, nel 1939, all’inizio delle ostilità tra Germania e Regno Unito, il caso della corazzata tedesca
Admiral Graf Spee costretta a riparare nel porto di Montevideo. Sulla base degli stessi criteri, un mer-
cantile catturato da un belligerante può essere condotto in un porto neutrale solo per indifferibili esi-
genze. La violazione di questi obblighi comporta, per lo Stato neutrale, la possibilità di trattenere,
mediante opportune misure, la nave da guerra belligerante per la durata del conflitto e di rilasciare

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Glossario di Diritto del Mare

il mercantile catturato. La sosta in porti neutrali di navi da guerra di opposti belligeranti è consentita,
ma un periodo di ventiquattr’ore deve intercorrere tra la partenza di una nave e l’arrivo di un’altra.
La stessa XIII convenzione dell’Aja pone inoltre limitazioni alla libertà di commercio dei neutrali vie-
tando loro la consegna ai belligeranti, a qualunque titolo, direttamente o indirettamente, di navi da
guerra, munizioni o di altro qualsiasi materiale bellico. Il problema è se tale regime della neutralità
marittima sia ancora applicabile nel corso dell’attuale fase del diritto internazionale in cui la Carta
stabilisce il divieto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, a meno del ricorso al-
l’uso della forza per legittima difesa sulla base dell’art. 51 della Carta. Il ricorso al controllo della na-
vigazione neutrale si è avuto durante il conflitto Iran-Iraq nel periodo 1986-87. Di fronte al ripetuto
esercizio del diritto di visita da parte dell’Iran verso i mercantili stranieri, la posizione assunta dalla
gran parte dei paesi terzi interessati alla protezione dei propri mercantili è stata quella di ritenere
che questo diritto fosse non indiscriminato ma piuttosto avesse carattere di eccezionalità in relazione
a esigenze di legittima difesa.

Vedi anche: Blocco navale; Convoglio, Interdizione marittima; Navicert; Pirateria.

OMAN
Vedi: Golfo Persico;
Stretto di Hormuz.

ORGANIZZAZIONE MARITTIMA INTERNAZIONALE


L’International Maritime Organization (IMO è un’agenzia delle Nazioni unite competente in materia
di sicurezza marittima (v.) e di prevenzione dell’inquinamento del mare (v. Protezione dell’ambiente
marino). Il ruolo dell’Organizzazione è riconosciuto dall’UNCLOS, che invita tutti gli Stati a osservarne
gli standard. Creata nel 1948, l’IMO è divenuta un organismo che, attraverso la sua produzione normativa
(convenzioni internazionali, regolamenti e raccomandazioni) disciplina tutti i settori di attività riguar-
danti la navigazione. I principali trattati approvati nell’ambito dell’IMO sono:
— la Convenzione di Londra del 1974 sulla sicurezza della vita umana in mare (SOLAS 1974) (v. Si-
curezza marittima);
— Convenzione di Londra del 1973 sulla prevenzione dell’inquinamento da navi (MARPOL) (v. Pro-
tezione dell’ambiente marino);
— la Convenzione di Roma del 1988 per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della na-vi-
gazione marittima (SUA Convention). La tradizionale competenza dell’IMO in materia di sicurezza ma-
rittima intesa come maritime safety, sulla spinta delle nuove minacce terroristiche, si è estesa alla sicurezza
internazionale (maritime security). In questo quadro, nel 2005 sono stati approvati due protocolli di mo-
difica alla SUA Convention (v. Terrorismo marittimo).

PAKISTAN
Vedi: Zona economica esclusiva.

PALESTINA
Nell’ambito dell’accordo del 4 maggio 1994 sulla striscia di Gaza tra Israele e l’Organizzazione per la
liberazione della Palestina (Gaza-Jericho Agreement) è stata prevista (annesso I, art. IX) la creazione di
una Maritime Activity Zone (MAZ) lungo la costa della striscia di Gaza, estesa 20 miglia verso il largo, di-
visa in tre zone di cui:
— le zone «K» ed «M» contigue alle acque territoriali (v.) di Israele ed Egitto, della larghezza rispettiva
di 1,5 e 1 miglio, costituiscono «closed areas» in cui la navigazione è riservata alle attività della Marina
israeliana;
— la zona «L», compresa tra le due zone precedenti», è aperta alle attività di pesca (v.) e ricreative ri-
servate ai battelli autorizzati dall’autorità della Palestina.
Nel 2019 Israele ha riconfigurato la MAZ portandola a 15 mn. A sua volta la Palestina, con Dichiara-
zione del 24 settembre 2019 (contestata da Israele in quanto non considera la Palestina un’entità statuale),

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Glossario di Diritto del Mare

ha istituito al largo delle proprie coste zone marit-


time di giurisdizione, tra le quali è compresa la ZEE
(v. ZEE-Mediterraneo) fissandone i limiti.

PARTICULARLY SENSITIVE SEA AREA (PSSA):


Vedi: Area marina particolarmente sensibile;
Protezione dell’ambiente marino.

PASSAGGIO ARCIPELAGO
Vedi: Acque arcipelagiche.

PASSAGGIO INOFFENSIVO
Vedi: Transito inoffensivo.

PASSAGGIO IN TRANSITO
Vedi: Transito inoffensivo.

PATRIMONIO COMUNE DELL’UMANITA’


Vedi: Area internazionale dei fondi marini.

PEACE-KEEPING NAVALE
La categoria delle operazioni per il manteni-
mento della pace e della sicurezza internazionale at-
tuate nel contesto della Carta delle Nazioni Unite si
declina in vari modi che vanno dal semplice capa-
city-building alle missioni di imposizione della pace
(peace-enforcing) durante un conflitto armato, pas-
sando attraverso il vero e proprio peace-keeping in cui
i militari svolgono un ruolo neutrale di interposi- Spazi marittimi Palestina (Fonte: UN Doalos).
zione, potendo usare la forza solo per difendere se
stessi e i propri mezzi. Tale varia tipologia — spesso
caratterizzata da connotazioni ibride — può essere peraltro inquadrata nel contesto più vasto delle peace
support operations (PSOs) che, pur privo di connotazioni giuridiche, rende bene l’idea delle finalità delle
singole missioni.
Un posto a sé, nell’ambito delle PSOs, hanno le operazioni navali di pace (peace-keeping naval opera-
tions). Purtroppo si tende a lasciare in ombra questo settore, confondendolo con tutte le altre attività na-
vali. Eppure, la dimensione marittima delle attività di mantenimento o di imposizione della pace da anni
ha assunto una propria rilevanza che è testimoniata dalle numerose missioni internazionali condotte da
tutte le Marine nel quadro della Carta. Gli esempi sono tanti. È ancora viva la memoria del primo caso
di embargo navale (v.) coercitivo condotto in Adriatico, negli anni Novanta del secolo, sulla base di spe-
cifiche risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle NU contro l’ex Iugoslavia. La missione navale (deno-
minata Sharp Guard) riguardava l’adozione di misure di controllo e imposizione coattiva in mare di
sanzioni economiche decise dalle Nazioni unite, sulla base del capo VII della Carta: l’art. 42 stabilisce,
infatti, che «il Consiglio di Sicurezza… può intraprendere, con Forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia
necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale…». Altri casi di embargo sono, com’è
noto, quello nei confronti dell’Iraq, legittimato dalla UNSCR 665 (1990) e quello relativo alla Libia, ancora
in corso, sulla base della UNSCR 1973 (2011) e di altre successive. Questo tipo di operazioni legittima
l’esercizio di misure coercitive da parte delle navi da guerra dei paesi partecipanti verso il naviglio mer-
cantile di qualsiasi bandiera che si presuma coinvolto in traffici marittimi commerciali con lo Stato sot-
toposto a embargo.
Ma non ci sono solo gli embarghi navali. A partire dal 2002 la nostra Marina partecipò per esempio
alla operation Enduring Freedom (OEF) nel Golfo Persico e nel Mare Arabico, durante la quale la coalition

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Glossario di Diritto del Mare

of willings a guida americana operava, in applicazione dei principi della Carta delle NU, contro i non-
state actors (Talebani e al-Qaeda) che avevano appoggiato in Afghanistan le attività di terrorismo inter-
nazionale. Alle unità navali partecipanti era assegnato il compito — avvalendosi dei diritti di belligeranza
verso il naviglio straniero — di procedere al suo fermo, visita e ispezione (stop, visit and search, secondo
la terminologia anglosassone) nel caso di sospetti di coinvolgimento in attività terroristiche. Tra l’altro,
nel corso dell’operazione, nel gennaio-febbraio 2002, nostri velivoli imbarcati sulla portaeromobili Gari-
baldi, svolsero anche attività aeree in appoggio alle forze operanti in Afghanistan.
Ma c’è di più. Nel 2006 una nostra Forza navale, con componente anfibia, condusse in acque libanesi
l’operazione Leonte, svolgendo vari compiti in applicazione della UNSCR 1701 (2006) che aveva decre-
tato la fine del blocco navale israeliano al Libano, tra cui la creazione di un corridoio umanitario per
l’evacuazione di cittadini stranieri e il trasporto di aiuti sanitari e alimentari alla popolazione, nonché la
sorveglianza volta a impedire rifornimenti di armi alle milizie libanesi.
Anche le attività di contrasto alla pirateria (v.) si inseriscono nel filone delle PSOs navali. La pirateria
del Corno d’Africa è stata, infatti, qualificata come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale
dalle numerose risoluzioni, a decorrere dalla 1816 (2008), che hanno autorizzato gli Stati ad avvalersi di
tutti i mezzi necessari a debellare la minaccia al traffico marittimo.
Infine, bisogna ricordare che la Marina Militare italiana svolge dal 1982 quella che è la più perfetta in-
carnazione dello spirito di neutralità e imparzialità (con il consenso delle parti) che informa il vero e
proprio peace-keeping: la missione di interposizione del contingente navale della Multinational Force
and Observers (MFO), costituito dal gruppo navale italiano (Comgrupnavcost 10) il quale pattuglia lo
stretto di Tiran (v.) per garantire la libertà di navigazione in applicazione degli accordi di Camp David
del 1979 tra Stati Uniti, Israele ed Egitto.

PELAGOSA (Isola di Palagruca)


Vedi: Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo).

PESCA
1. Le «guerre del pesce»
Intuitivo è il concetto di risorse naturali (v.) ittiche riferibile alle varie specie che popolano i singoli
mari e che l’uomo, sin dagli albori della civiltà, ha utilizzato per le proprie esigenze alimentari. Per mil-
lenni la pesca è rimasta attività condotta localmente dalle popolazioni costiere per il proprio sostenta-
mento, non essendovi né alcuna necessità — per l’abbondanza delle risorse — di praticare uno
sfruttamento intensivo dei mari, né capacità tecnica di navigare in acque d’altura.
Bisogna attendere il secolo XVII per assistere alle prime dispute, nel Mare del Nord, tra pescatori di
diversa nazionalità per la pesca delle aringhe che aveva assunto i caratteri di un’industria, grazie alla
fiorente attività di conservarle sotto sale o affumicarle, gestita dagli olandesi. Questi pescavano libera-
mente lungo le coste britanniche e scozzesi sulla base di un privilegio loro rilasciato dai reali inglesi nel
1496. Col tempo la loro avidità e prepotenza spinsero la Gran Bretagna ad adottare una politica prote-
zionistica della pesca: re Giacomo I nel 1609 — proprio nell’anno in cui Ugo Grozio esprimeva le sue ce-
lebri tesi sulla libertà dei mari (v.) — emanò un suo proclama con cui, creando le «Kink’s Chamber» (v.
Acque territoriali), sottoponeva a licenza la pesca nei mari adiacenti l’Inghilterra.
Inglesi e olandesi ingaggiarono nello stesso periodo un’altra disputa per la pesca delle balene nel mare
Artico (v.) tra le isole Svalbard e la Nuova Zemlja. Non si trattava però di un contenzioso relativo a diritti
sovrani come quello condotto da re Giacomo I, piuttosto di un conflitto tra società commerciali di diversa
bandiera che operavano in acque extraterritoriali. In Atlantico simili contenziosi sono ancora ricorrenti,
soprattutto per la pesca del merluzzo nei Banchi di Terranova frequentati dagli spagnoli. Ma anche per
via della Brexit che ha determinato l’impossibilità per i pescatori danesi o francesi di accedere alle acque
britanniche. Per non dire delle interminabili dispute che hanno opposto i nostri pescatori alla Tunisia
nel c.d. «Mammellone» (v.).

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Glossario di Diritto del Mare

2. Regime giuridico internazionale


Lo svolgimento delle attività di pesca nell’ambito delle acque territoriali (v.) rientra, per principio se-
colare oramai consolidato, nei diritti esclusivi dello Stato costiero che, a tale scopo, ha facoltà di emanare
leggi e regolamenti per riservare ai nazionali lo sfruttamento delle relative risorse (Ginevra I, 14, 5; UN-
CLOS 21, 1 (e). Questi diritti non sono esercitabili nella zona contigua (v.), nel caso in cui lo Stato costiero
l’abbia istituita senza tuttavia prevedere, contemporaneamente, una riserva di pesca a proprio favore
mediante istituzione di una specifica zona di giurisdizione nazionale. Complementare rispetto a tale
principio è quello della libertà di pesca spettante a tutte le nazioni in alto mare (v.) (Ginevra II, 2; UN-
CLOS 87, 1. (e).
Con l’affermazione dell’istituto della ZEE (v.) che si incentra sui diritti sovrani dello Stato costiero nello
sfruttamento delle risorse naturali viventi (UNCLOS 56, 1.(a) la situazione è però cambiata. Col passare
del tempo, gran parte degli Stati costieri stanno via via affermando diritti sovrani di pesca su larghe por-
zioni di alto mare, impedendo così l’attività dei cittadini degli Stati che esercitavano tradizionalmente la
pesca in quelle aree: a essi potrebbe tuttavia essere consentito l’accesso per lo sfruttamento di limitati con-
tingenti di cattura ragguagliati al surplus delle proprie capacità di pesca (UNCLOS 61 e 70).
Alto mare e ZEE sono dunque, ai fini della pesca, zone con regimi del tutto separati. Ciononostante
in anni recenti si sono verificati gravi contenziosi in aree per così dire «grigie» aventi caratteristiche sui
generis. Un caso che ha fatto epoca è stato per esempio il sequestro del battello spagnolo Estai abbordato
dal Canada nel 1995 in alto mare ove era impegnato nella pesca dell’halibut. Il peschereccio operava in
un’area dei Banchi di Terranova che ricadeva al di là della ZEE canadese ma che era sottoposta a misure
di conservazione stabilite dalla Northwest Atlantic Fisheries Organization (NAFO), cui aderivano volonta-
riamente, oltre al Canada, gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione europea, Spagna compresa. L’intervento
coercitivo canadese fu ritenuto in sé illegittimo, quale applicazione extraterritoriale di misure di enforce-
ment verso mercantili di altra bandiera non giustificate dall’esercizio del diritto di inseguimento (v.). La
Spagna, da parte sua, avrebbe dovuto prevenire e reprimere l’illecito commesso dal peschereccio nel
violare le misure di conservazione, nell’ambito della giurisdizione di bandiera in applicazione degli im-
pegni assunti con l’adesione al NAFO.
Il tradizionale diritto di tutti gli Stati di far svolgere ai propri cittadini attività di pesca in alto mare è
dunque soggetto alle limitazioni (UNCLOS 116) concernenti: 1) le misure per la conservazione delle ri-
sorse viventi dell’alto mare imposte ai nazionali nel quadro di accordi di cooperazione con altri Stati
(Ginevra III, 3, 4 e 8; UNCLOS 117 e 118); 2) il rispetto dei diritti e degli interessi degli Stati costieri nelle
zone adiacenti le proprie ZEE relativamente agli stock a cavallo di queste aree, mammiferi marini, grandi
migratori, specie anadrome e catadrome (UNCLOS 63-67).
Nel quadro di tale regime di cooperazione tra gli Stati, per la conservazione e gestione delle risorse
dell’alto mare, sono state adottate negli ultimi anni varie iniziative. Anzitutto vi è la Convenzione delle
NU di New York del 4 agosto 1995 sulle specie ittiche sconfinanti (straddling fish stocks) e altamente mi-
gratorie, il cui habitat si colloca a cavallo delle 200 miglia. L’accordo pone il principio dell’«approccio
precauzionale» come criterio guida per la definizione delle politiche degli Stati di conservazione e sfrut-
tamento delle risorse ittiche dell’alto mare. Altri principi cui s’ispira l’accordo sono l’unità biologica degli
stock, la compatibilità delle misure di gestione e conservazioni applicabili, la responsabilità dello Stato
di bandiera verso l’attività dei propri battelli da pesca e la cooperazione internazionale delle organizza-
zioni internazionali, regionali e sub-regionali di pesca. Rilevante è quanto in esso previsto circa l’uso
della forza nell’ambito della polizia della pesca (v. ZEE). Inoltre, va citato il Codice di condotta per la
pesca responsabile della FAO che contiene disposizioni non vincolanti, in linea con i più moderni principi
precauzionali di conservazione delle risorse marine.

Vedi anche: Pescherie sedentarie; Protezione biodiversità marina.

3. Regime comunitario
In base all’art. 38 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE la definizione di una
politica comune della pesca è una competenza esclusiva dell’Unione; agli Stati membri resta invece il
potere di adottare i provvedimenti di applicazione dei provvedimenti comunitari e i poteri di polizia

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Glossario di Diritto del Mare

nei confronti dei battelli da pesca di bandiera, nonché le misure di controllo sui medesimi. La politica
comune stabilisce principi di non discriminazione e di eguaglianza delle condizioni di accesso tra gli
Stati membri. L’UE ha la titolarità esclusiva del potere di emanare misure per la preservazione delle ri-
sorse marine e di concludere accordi di pesca con Stati non aderenti secondo la seguente tipologia:
— accordi basati sul diritto reciproco delle parti contraenti di praticare la pesca nelle rispettive zone
di pesca in modo da realizzare uno sfruttamento in comune delle risorse ittiche (caso degli accordi tra la
Comunità e i paesi scandinavi);
— accordi secondo i quali l’Unione concede alla controparte delle compensazioni finanziarie in cambio
dell’accesso alle risorse di pesca in favore di battelli da pesca comunitari (caso degli accordi con i paesi
dell’Africa centrale);
— accordi in cui, in aggiunta ai tradizionali meccanismi di autorizzazioni alla pesca in favore di battelli
comunitari dietro pagamento di compensazioni finanziarie, si prevedono forme di partenariato com-
merciale volto a incrementare lo sviluppo della pesca dei paesi contraenti (caso dell’accordo stipulato
con il Marocco il 13 novembre 1995).
Principio primario della politica comune della pesca è quello della parità di condizioni di accesso ed
esercizio delle attività di pesca a «tutte le navi che battono bandiera di uno Stato membro e sono immatricolate
nel territorio della Comunità», disciplinato dal Regolamento EU 1380/2013.

PESCA (MEDITERRANEO)
1. Regime regionale
L’esigenza di realizzare la cooperazione in materia di pesca (che per un mare chiuso come il mar Me-
diterraneo (v.) è un bisogno vitale) ha trovato riconoscimento nella costituzione della Commissione ge-
nerale della pesca per il Mediterraneo (GFCM) avvenuta il 24 settembre 1949 sotto l’egida della FAO.
Quest’organismo, composto da tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo e, per ciò che concerne il Mar
Nero (v.), da Bulgaria, Romania e Turchia, ha competenza consultiva. Nel corso nella conferenza mini-
steriale di Venezia del 2003 si è consolidata la policy dell’UE in favore della creazione delle zone di pro-
tezione della pesca come mezzo per contrastare il proliferare della pesca illegale praticata in molti casi
da pescherecci di paesi asiatici. In questa sede è stata emanata la «Dichiarazione sullo sviluppo sostenibile
della pesca in Mediterraneo» che richiama il ruolo del GFCM nella conservazione e gestione razionale
delle risorse marine viventi e invita gli Stati mediterranei a prendere in considerazione la possibilità di
dichiarare proprie zone di protezione della pesca.
Per effetto di ciò il quadro d’insieme delle zone di pesca del Mediterraneo, che in precedenza era al-
quanto frammentario, ha assunto una fisionomia nettamente orientata verso l’istituzione di tali zone
rientranti nel genus delle ZEE (v.). Permangono tuttavia singole zone di pesca, istituite — come nel caso
di Malta — prima dell’entrata in vigore dell’UNCLOS e incentrate sull’esercizio di diritti preferenziali
di pesca e sull’adozione di misure di conservazione al di là delle acque territoriali. L’attuale situazione
può riassumersi nel modo sotto indicato.

Un caso di studio:
il regime dei diritti tradizionali di pesca nelle acque dell’isola croata di Pelagosa (Palagruca)

Il trattato di pace tra l’Italia e le potenze alleate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, nel prevedere
all’art. 11 la cessione all’ex Iugoslavia della piena sovranità sull’isola di Pelagosa e sulle isolette
adiacenti, stabilisce che «l’isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata» (v.) Demilitarizzazione (Mediter-
raneo), e che «i pescatori italiani godranno nelle acque adiacenti degli stessi diritti di cui godevano i pe-
scatori iugoslavi prima del 1941». Benché non vi sia documentazione ufficiale che attesti, dal
dopoguerra sino a oggi, l’applicazione in favore dei pescatori italiani di tale clausola impositiva
di un vero e proprio vincolo reale, se ne fa cenno tenuto conto del fatto che gli interessi di pesca
italiani risultano tuttora attestati da frequentazione di battelli di bandiera italiana. Al riguardo va
ricordato che: 1) i diritti di cui godevano i pescatori iugoslavi prima del 1941 erano quelli stabiliti
dagli accordi di Brioni del 14 settembre 1921 e di Nettuno del 20 luglio 1925 tra l’Italia e lo Stato

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Glossario di Diritto del Mare

serbo-croato-sloveno che autorizzavano la pesca nelle acque dell’isola di un numero prefissato di


barche (non più di 40) di stanza nell’isola iugoslava di Lissa con determinate attrezzature e durante
specifici periodi; 2) è da ritenersi, non essendovi alcuna diversa evidenza, che i pescatori italiani
siano succeduti nella titolarità di tali diritti alle stesse condizioni; 3) non risulta che la Croazia,
quale Stato successore dell’ex Iugoslavia, abbia manifestato volontà contraria all’applicazione
della suindicata clausola; 4) la questione riguarda solo le acque territoriali dell’isola, poiché al di
là di esse, la pesca dei nostri battelli nella Zona di protezione dichiarata dalla Croazia nel 2003, è
ammessa sulla base dei principi comunitari relativi alla parità di accesso alle acque unionali. Pur-
troppo, continuano a verificarsi, invece, episodi coercitivi di sequestro di pescherecci italiani ac-
cusati a volte dalle autorità croate di violazioni della sovranità per presunti sconfinamenti di
qualche metro nelle acque territoriali. Non è ben chiaro se ci sia nelle acque territoriali dell’isola
una zona di ripopolamento. Fatto sta che non risulta mai intavolata alcuna trattativa tesa né a
veder riconosciuti i diritti italiani, né a concordare uno specifico regime di accesso in applicazione
del regolamento UE 1382-2013.

2. Zone riservate di pesca


2.1 Algeria
Con il decreto legislativo n. 94-13 del 28 maggio 1994 l’Algeria aveva istituito una zona riservata di pesca
estesa, oltre il limite delle acque territoriali, per 20 miglia (a ovest di Ras Tenes) e 40 miglia (a est dello stesso
capo). Questa zona ricade attualmente nella ZEE istituita unilateralmente nel 2018 (v. ZEE-Mediterraneo).

2.2 Malta
Al di là delle acque territoriali Malta aveva istituito, con legge 7 dicembre 1971, una zona di pesca ri-
servata, estesa sino alla distanza di 25 miglia dalle linee di base (v.). La decisione maltese era stata con-
testata dall’Italia con nota verbale del 6 luglio 1994 del seguente tenore: «...nello spirito della convenzione
di Montego Bay del 1982 (art. 123), per avere rilevanza internazionale, detta decisione avrebbe dovuto essere pre-
ceduta da un negoziato con l’Italia in qualità di altro Stato rivierasco direttamente coinvolto. Tanto più che il limite
di pesca si estende oltre la linea mediana fra i due Stati». Ignorando le riserve espresse dall’Italia, con legge
del 26 luglio 2005 Malta ha riaffermato tale pretesa per poi darle valenza comunitaria nell’ambito del
Regolamento (CE) 1967/2006 come «Zona di conservazione e gestione della pesca» (ZCGP). L’art. 26 di questo
regolamento dispone che l’accesso dei pescherecci comunitari alle acque e alle risorse della «zona che si
estende fino a 25 miglia nautiche dalle linee di base intorno alle isole maltesi è... limitata ai pescherecci di lunghezza
fuori tutto inferiore ai 12 metri...». A più riprese, anche in tempi non lontani (2013), Malta ha sequestrato
battelli italiani per presunte violazioni di tali divieti di pesca adottando anche, oltre all’uso della forza,
misure carcerarie nei confronti del personale imbarcato anche se l’UNCLOS (art. 73,3), in simili situazioni,
non consente l’adozione di provvedimenti giudiziari di restrizione della libertà personale dei pescatori.

3. Il caso del «Mammellone»


3.1 Pretesa tunisina
La «zona di pesca a sud-ovest di Lampedusa» che in conseguenza della sua forma è detta «Mammel-
lone», rientra nella tipologia delle zone marine in cui lo Stato adiacente poteva adottare misure di con-
servazione delle risorse biologiche secondo l’art. 6 della III Convenzione di Ginevra del 1958. È l’area
delimitata da «una linea che, partendo dal punto di arrivo della linea delle 12 miglia delle acque territoriali tuni-
sine, si ricollega sul parallelo di Ras Kapoudia, con l’isobata dei 50 m e segue tale isobata fino al punto d’incontro
con la linea che parte da Ras Agadir in direzione nord-est ZV = 45». La Tunisia, continua ancora oggi a pre-
vederla nella sua legislazione del 2005 sulla ZEE come zona riservata di pesca ai soli battelli nazionali
delimitata con modalità batimetriche. Il primo atto della pretesa tunisina è stato il decreto del Bey di Tu-
nisi del 26 luglio 1951 contenente la seguente disposizione: «From Ras Kaboudia to the Tripolitanian frontier,
the sea area bounded by a line which, starting from the end of the 3-mile line described above, meets the 50-metre
isobath on the parallel of Ras Kaboudia and follows that isobath as far as its intersection with a line drawn north-
east from Ras Ajdir, ZV 45». La Tunisia pretendeva di vantare titoli di epoca precedente, come la circolare

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Glossario di Diritto del Mare

del 1904 con la quale la reggenza francese aveva istituito una zona di sorveglianza al largo dell’isola di
Kerkennah ai fini della pesca delle spugne. Il problema è che queste istruzioni, come altri provvedimenti
emanati nello stesso periodo, sono stati dichiarati «…unilateral acts, internal legislative measures [concerning]
an area of surveillance in the context of specific fishery regulations» dalla Corte internazionale di giustizia
nella sentenza del 1982 sul caso Tunisia-Libia (Plateau Continental, Arret, CIJ Recueil 1982 para 88-90).

3.2 Posizione italiana


Per anni, fino a quando le norme comunitarie hanno tolto agli Stati la competenza a stipulare accordi nel
settore con i paesi terzi, la Tunisia ha previsto un regime preferenziale di pesca nelle proprie acque territoriali
(ma il «Mammellone» ne era invece escluso), in favore dei battelli italiani, dietro pagamento di cospicue
contropartite finanziarie da parte del nostro governo. Allo scadere di tali accordi l’Italia, con il decreto mi-
nisteriale del 25 settembre 1979,
poi abrogato nel 2010, ha stabi-
lito un vincolo giurisdizionale
su tale zona considerandola
una porzione di alto mare che è
«tradizionalmente riconosciuta
come zona di ripopolamento e in
cui è vietata la pesca ai cittadini ita-
liani e alle navi battenti bandiera
italiana» al fine di assicurare la
tutela delle risorse biologiche.
Nulla autorizza a ritenere, in-
vece, che il nostro paese avesse
accettato in toto, la pretesa tuni-
sina di esercitare diritti esclusivi
di pesca su tutta l’area. Anzi-
tutto perché è stata da noi con-
testata per più di trent’anni con
il suindicato decreto del 1979
che la qualificava come nostra
D.M. 25 settembre 1979.
area di ripopolamento. E poi
perché non può attribuirsi alcun valore al fatto che l’Italia ha riconosciuto il «Mammellone» come zona ri-
servata di pesca tunisina nell’ambito degli accordi di pesca del 1963, del 1971 e del 1976: esso non aveva, in-
fatti, un valore assoluto, ma era piuttosto un atto limitato e provvisorio di natura sinallagmatica,
inscindibilmente legato alle concessioni di pesca in acque territoriali tunisine attribuite ai battelli italiani. Il
problema del contenzioso di pesca italo-tunisino è sempre stato acuito dal fatto che la Tunisia pretende di
assoggettare alla propria giurisdizione, mediante sequestro in mare, i battelli italiani sorpresi a pescare nella
zona. Per proteggere i nostri connazionali da illegittimi atti di uso della forza, la Marina svolge un Servizio
di vigilanza pesca (VIPE). Tale attività (iniziata nel 1957 e da allora mai interrotta) si inquadra nell’ambito
delle funzioni di polizia marittima (v.) spettanti alle navi da guerra (v.) in acque internazionali e trova spe-
cifico fondamento giuridico nell’art. 115 del COM che riserva alla Marina Militare la vigilanza sulle attività
economiche sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là delle acque territoriali italiane.
Questa funzione è ora svolta nell’ambito dell’operazione della Marina Mare sicuro.
Per prevenire il verificarsi di incidenti tra le rispettive unità impegnate al di là delle acque territoriali
in compiti di sorveglianza e protezione di diritti e interessi nazionali la Marina Militare italiana e la Ma-
rina Militare tunisina hanno stipulato un’intesa tecnica riguardante misure pratiche destinate a evitare
gli incidenti in mare e a facilitare la cooperazione operativa, firmato a Roma il 10 novembre 1998 (v. Pre-
venzione delle attività pericolose in mare). Con questo accordo, inquadrabile nel genus delle iniziative
tendenti a rafforzare la confidenza reciproca (misure CSBM), le due Marine si sono tra l’altro impegnate
a favorire la comunicazione, mediante un apposito codice di segnali speciali, di informazioni e intenzioni
tra le rispettive unità impegnate in compiti di pattugliamento.

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Glossario di Diritto del Mare

3.3 ZEE tunisina e «Mammellone»


Il regime di zona riservata di pesca del «Mammellone» è stato fatto salvo dalla Tunisia al momento di pro-
grammare, con la legge n. 60 del 27 luglio 2005 (UN DOALOS Bulletin n. 58, p. 19) l’istituzione della propria
ZEE (v. Zona economica esclusiva (Mediterraneo), nei seguenti termini: «The provisions relating to special fishing
zones, stipulated in article 5 of Act n. 49/1973 dated 2 August 1973 concerning the delimitation of territorial waters,
shall remain in force». È rimasta insoluta la questione dei diritti vantati dall’Italia sul «Mammellone». Il fatto
che la Tunisia ne abbia mantenuto in vigore l’antico regime potrebbe indicare la volontà di concordarne con
l’Italia lo status al momento in cui si addiverrà a un accordo di delimitazione (v.) delle rispettive ZEE. Una
soluzione potrebbe essere quella di includerla nella SPAMI List, «List of specially protected areas of Mediterranean
interest» (v. Protezione ambiente marino). Resta fermo comunque che in un futuro accordo si delimitazione
si dovrebbe definire un confine che attribuisca all’Italia parte dello stesso «Mammellone» in considerazione
del fatto che il limite stabilito nell’accordo del 1971 sulla piattaforma continentale (v. Piattaforma continentale
(Mediterraneo nonché figura a pag. 215) rispondeva a criteri e situazioni contingenti del tempo ma non a
quei principi ora in vigore sulla base dell’UNCLOS (art. 74, 1) basati sul raggiungimento di un’equa soluzione.

4. Zone comuni di pesca


4.1 Bocche di Bonifacio
Italia e Francia, nell’ambito della convenzione di Parigi del 28 novembre 1986 per la delimitazione
della frontiera marittima nell’area delle Bocche di Bonifacio (v.), hanno istituito una zona comune di
pesca (posta a ovest delle Bocche, all’interno delle acque territoriali dei due paesi) in cui è consentita
l’attività dei battelli italiani e francesi che esercitano tradizionalmente la pesca in loco.

4.2 Baia di Mentone


Non è invece mai stato re-
golamentato da alcun ac-
cordo un regime della pesca
promiscua tra Italia e Francia
nella zona della baia di Men-
tone. Con Processo verbale
stipulato nel 1892 le autorità
marittime dei due paesi si li-
mitarono, infatti, a definire
gli allineamenti a terra del
confine — entro le 3 miglia
(al tempo, estensione mas-
sima delle acque territoriali)
— delle aree in cui i rispettivi
pescatori nazionali potevano
praticare la loro attività.
La soluzione adottata in
passato (che dovrebbe cessare
al momento in cui entrerà in vi-
gore il nuovo accordo di deli-
mitazione stipulato dai due
Paesi nel 2015) ha quindi va-
lore di modus vivendi, quale in-
tesa di fatto a carattere parziale.
Resta fermo che tale intesa
provvisoria potrebbe assumere
una nuova veste nell’ambito
del regime della parità di ac-
cesso dei pescatori unionali. Circolare del 1892 relativa alla pesca nella baia di Mentone.

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Glossario di Diritto del Mare

4.3 Golfo di Trieste


Poteva ascriversi al genus delle zone comuni la zona di pesca nel golfo di Trieste, istituita con l’accordo
italo-iugoslavo di Roma del 18 febbraio 1983. Nell’area, posta a cavallo delle acque territoriali dei due
paesi e delimitata da un quadrilatero, era consentita la pesca di un limitato numero di battelli di pescatori
residenti nei comuni del Friuli-Venezia Giulia e della Slovenia. Questo accordo, dopo la dissoluzione
dell’ex Iugoslavia, non risulta essere più in vigore tra l’Italia e gli Stati successori.

5. Zone di protezione della pesca


5.1 ZERP Croazia
Nel 2003 la Croazia ha decretato l’istituzione di una zona di pesca protetta. L’iniziativa, riguardante anche
la protezione ecologica (v. Protezione dell’ambiente marino) è basata sul presupposto che in Adriatico (v.) si
verifica un uso non sostenibile delle specie ittiche e ha per oggetto il «contenuto della zona economica esclusiva
che si riferisce ai diritti sovrani di ricerca e sfruttamento, protezione e gestione dei beni naturali viventi oltre i confini
esterni del mare territoriale». Pur essendo in sé legittimo, quale esercizio parziale dei diritti funzionali rientranti
nella disciplina della ZEE, il provvedimento croato ha il torto di aver stabilito unilateralmente il limite esterno
della nuova zona. Senza alcuna consultazione con l’Italia, la sua frontiera marittima è stata fissata a titolo
provvisorio, in attesa «della stipula degli accordi internazionali di delimitazione», sino al limite della piattaforma
continentale stabilito dall’accordo italo-iugoslavo del 1968 (v. Piattaforma continentale-Mediterraneo), anche
se non vi è alcuna norma internazionale che preveda l’automatica estensione del confine della piattaforma
continentale alla sovrastante colonna d’acqua. Da quando la Croazia nel 2013 ha aderito all’UE i pescatori
unionali (italiani compresi) beneficiano del regime della parità di accesso nella zona croata. L’iniziativa croata
è stata comunque ufficialmente contestata dall’Italia con nota verbale del 15 marzo 2006 (UN LOS Bulletin
n. 60, p. 127) in cui l’Italia dichiara che «...there is no legal foundation for the automatic extension, however provi-
sional, of the seabed line of delimitation agreed upon in 1968 to superjacent waters, since any delimitation must be con-
sidered in close relation to the circumstances of the case that produce it and that change over time…».

5.2 ZPP Libia


La Libia aveva, in passato, avanzato pretese di pesca riservata in alto mare: nel 1974 aveva stabilito che
«la zona marittima prospiciente le acque libiche con fondali inferiori ai 200 m e comunque entro la fascia di 20 mn dalla
costa libica, deve essere considerata zona di pesca riservata ai pescherecci libici». Tale pretesa è stata ampliata con
decreto 37/2005 che ha proclamato una Zona di protezione dalla pesca (ZPP) che si estende per 62 miglia a
partire dal limite esterno delle acque territoriali, in cui si vieta, a meno di autorizzazione delle competenti
autorità, qualsiasi attività di pesca. Annessa al decreto è la Declaration of a Libyan Fisheries Protection Zone
in the Mediterranean (UN LOS Bulletin n. 58, p. 14) che esplicita i presupposti dell’iniziativa. Con successivi
decreti n. 104/2005 e 105/2005 del 20 giugno 2005 la Libia ha poi definito le linee di base delle proprie acque
territoriali confermando la linea di chiusura del golfo della Sirte (v. Baie storiche (Mediterraneo) e, per con-
seguenza, i limiti esterni della zona di pesca. Questi limiti non si estendono (tranne un tratto circoscritto an-
tistante all’isola greca di Gavdos) oltre la mediana con gli Stati frontisti. La pretesa libica è stata oggetto di
proteste dell’UE nel periodo 2005-07 con note verbali in cui si evidenzia la sua illegittimità con riguardo so-
prattutto la fissazione di confini esterni che tengono conto della contestata chiusura della Sirte. Nella la nota
verbale n. 08/2005 l’UE ha in particolare dichiarato che «the outer limit of the Libyan FPZ…trascends the median
line between Greece and Libya in four points — points 27, 28, 29 and 30 — south of the Greek island of Gavdos…The-
refore …request the Libyan authorities to adjust the limits of the FPZ so as to respect the median line».
Con Dichiarazione del 27 maggio 2009 la Libia ha, infine, anche istituito la ZEE (UN LOS Bulletin n. 72,
p. 78) i cui limiti si estendono al di là delle acque territoriali «secondo quanto permesso dal diritto internazionale»,
concordandoli se necessario con i paesi vicini. Sembrerebbe quindi, a questo punto, che la pretesa della ZPP
sia stata assorbita da quella più ampia relativa alla ZEE che non fa più riferimento alla chiusura della Sirte.

5.3 ZPP Slovenia


Con decreto del 5 gennaio 2006 la Slovenia, benché priva di accesso diretto alle acque internazionali,
ha istituito proprie zone di protezione della pesca nelle seguenti aree: «zona A», coincidente con le pro-
prie acque interne; «zona B», comprendente le acque territoriali adiacenti alle frontiere marittime di Italia

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Glossario di Diritto del Mare

e Croazia delimitate dal confine di Osimo fino al punto T5 (v. Acque territoriali - Mediterraneo); «zona
C», in acque internazionali, di identica estensione della zona ecologica protetta (v. Protezione dell’am-
biente marino - Mediterraneo). L’iniziativa slovena ha carattere temporaneo, in attesa di pervenire a una
soluzione concordata con la Croazia. Al momento (2020) questa soluzione non c’è ancora, in quanto Za-
gabria non ha accettato la decisione emessa nel 2017 dall’apposita Corte arbitrale (v. Baia di Pirano).

5.4 ZPP Spagna


Con Decreto Reale del 1° agosto 1997 la Spagna aveva istituito una Zona di protezione della pesca nel
mar Mediterraneo, per tutelare il tonno rosso, applicando misure comunitarie di conservazione e controllo
nei confronti dei battelli unionali. Il limite della zona si spinge sino a quella che la Spagna considera come
linea mediana (v.) con la Francia nel golfo del Leone ma che la Francia contesta in quanto essa non tiene
adeguato conto, a proprio favore, della concavità dello stesso golfo. Per questo motivo la ZEE francese isti-
tuita nel 2012 (v. Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo) si sovrappone con la zona spagnola. La
Spagna ha trasformato in ZEE, con Real Decreto 236-2013, la sua Zona di protezione della pesca lasciandone
inalterati i limiti fissati nel 2000, ma esprimendo le coordinate in WGS 84 (v. ZEE-Mediterraneo).
L’iniziativa spagnola del 1997 era stata contestata sia dall’Italia in relazione al suo carattere unilaterale
in quanto nessun coordinamento era stato condotto in ambito comunitario né era stata consultata l’Italia
quale paese frontista. I punti di divergenza tra Italia e Spagna erano stati composti nel 1998 per mezzo
di un’intesa pratica di natura provvisoria (che tuttavia non risulta essere mai divenuta operativa) con
cui il nostro paese concordava tra le Baleari e la Sardegna un limite in parte diverso da quello definito
per il fondale con l’accordo del 1974 (v. Piattaforma continentale).

Vedi anche: Palestina.

PESCHERIE SEDENTARIE
Con il termine di pescherie sedentarie (sedentary fishery) si intendono gli «organismi che, allo stato adulto,
sono immobili sul fondo o sotto il fondo, oppure sono incapaci di spostarsi se non restando in continuo contatto
fisico con il fondo marino o con il suo sottosuolo» (Ginevra IV, 2,4; UNCLOS 77, 4). Il regime di sfruttamento
di tali specie è quello stabilito per le risorse naturali (v.) della piattaforma continentale (v.): lo Stato co-
stiero esercita pertanto su di esse diritti sovrani di sfruttamento. Sono esempi incontestabili di specie
marine sedentarie, il corallo, le ostriche, i mitili, le spugne (la Tunisia ha per prima affermato, nell’Otto-
cento, il diritto esclusivo di sfruttamento dei banchi di spugne nei golfi di Gabes e di Tunisi (v. Baie sto-
riche (Mediterraneo) al di là delle proprie acque territoriali). Non esiste, per converso, unanimità di
pareri circa la possibilità di comprendere tra tali specie i crostacei e in particolare le aragoste in relazione
al fatto che esse, nei loro spostamenti, non mantengono un contatto continuo con il fondo (come le «stelle
di mare») ma, se disturbate, nuotano all’indietro e compiono balzi. Ciò ha determinato contenziosi in-
ternazionali quali la così detta «guerra delle aragoste» del 1962 tra Francia e Brasile.

PIATTAFORMA CONTINENTALE
1. Aspetti tecnico-giuridici
Per piattaforma continentale si intendevano il fondo e il sottofondo delle zone marine costiere che si
estendono, al di fuori delle acque territoriali (v.), sino all’isobata dei 200 metri o, al di là di questo limite,
sino al punto in cui, in relazione allo sviluppo della tecnologia estrattiva, è possibile lo sfruttamento di
zone situate a profondità maggiori (Ginevra IV, 1). Il punto di partenza per l’affermazione di tale concetto
è rappresentato dal Proclama Truman del 1945 con cui il Presidente degli Stati Uniti del tempo, premesso
che la piattaforma continentale poteva considerarsi come il prolungamento in mare della terraferma, af-
fermò che le risorse naturali (v.) del fondo e del sottofondo marino sottostanti l’alto mare (v.) ma adiacenti
alle coste dovevano ritenersi «come appartenenti agli Stati Uniti e soggetti alla loro giurisdizione e controllo».
La dichiarazione precisava, altresì, che il «carattere di alto mare delle acque sovrastanti la piattaforma conti-
nentale e il conseguente diritto di libera navigazione non era in nessun modo in discussione».
Ulteriori sviluppi della prassi e della giurisprudenza internazionale hanno portato al recepimento nel-
l’UNCLOS di nuovi principi. La definizione di piattaforma continentale attualmente in vigore è quella di

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Glossario di Diritto del Mare

area sottomarina che si estende al di là delle acque territoriali, attraverso il prolungamento naturale del ter-
ritorio emerso, sino al limite esterno del margine continentale, o sino alla distanza di 200 miglia dalle linee
di base (v.), qualora il margine continentale non arrivi a tale distanza (UNCLOS art. 76,1). Quello delle 200
miglia è considerato come il limite minimo che prescinde quindi dall’individuazione del margine continen-
tale. Da questo punto di vista si parla di piattaforma continentale giuridica; dal punto di vista geologico,
s’intende invece la piana sommersa che degrada, a partire dalla linea di costa, verso il largo, sino al punto
in cui l’inclinazione aumenta, per poi sprofondare nella scarpata continentale ai piedi della quale inizia la
zona di sedimenti rocciosi denominata risalita continentale, che discende gradualmente nella piana abissale
fino al limite esterno del margine continentale. Come è stato detto: «Ogni territorio che si affaccia sul mare pos-
siede una piattaforma continentale che ne costituisce il naturale prolungamento sottomarino; questo prolungamento
che termina al limite esterno del margine continentale, definisce anche il limite tra la massa granitica continentale e la
crosta oceanica, più pesante, di tipo basaltico». Il margine continentale non comprende, dunque, il fondo degli
abissi oceanici con le dorsali marine e il relativo sottofondo (UNCLOS 73,3).

2. Piattaforma continentale estesa (ECS)


Lo Stato costiero ha il diritto di definire il margine di quella che è detta extended continental shelf (ECS)
sulla base di uno dei seguenti criteri: 1) linee distanti tra loro non più di 60 miglia e colleganti punti fissi
in ciascuno dei quali lo spessore dei sedimenti rocciosi è almeno l’1% della distanza più breve tra tali
punti e il piede della scarpata continentale («formula Gardiner»); 2) linee distanti tra loro non più di 60
miglia e colleganti punti fissi distanti non più di 60 miglia dal piede della scarpata continentale («formula
Hedberg»): tali punti non dovranno distare più di 350 miglia dalle linee di base del mare territoriale, né
più di 100 miglia dall’isobata dei 2.500 m.
Gli Stati costieri, qualora si avvalgano della facoltà di definire la propria ECS oltre le 200 miglia dalle
linee di base, devono sottoporre alla Commissione delle NU, sul limite della piattaforma continentale,
dati e notizie relativi alla pretesa avanzata (UNCLOS 76, 8). I limiti così stabiliti divengono definitivi e
vincolanti soltanto dopo che la stessa Commissione abbia formulato raccomandazioni e gli Stati interes-
sati le abbiano recepite. All’autorità internazionale dei fondi marini (v.) va una percentuale variabile del
ricavato dell’attività estrattiva. La procedura di riconoscimento è stata avviata da diversi paesi: Francia,
Gran Bretagna, Irlanda e Spagna hanno avanzato congiuntamente una pretesa su una vasta area di ex-
tended piattaforma nel Mar Celtico e nel golfo di Biscaglia, i cui limiti sono stati fissati applicando i criteri
di entrambe le formule indicate in precedenza; la Commissione si è pronunciata nel 2009. Ulteriori sub-
missions sono state presentate, tra le altre, dalla Gran Bretagna per le isole Falkland (2009), dalla Spagna
per le isole Canarie (2014) e dalla Russia (2015) per il mare Artico (v.).

Il confine laterale della piattaforma continentale Somalia-Kenya

Somalia e Kenya avevano adito con-


giuntamente nel 2007, la Commissione,
al fine di definire la propria ECS; la
procedura si è tuttavia interrotta a se-
guito dell’insorgere di una disputa tra
i due paesi relativa al confine laterale
delle rispettive zone di piattaforma
continentale entro il limite delle 200
mn: la Corte internazionale di Giusti-
zia è stata investita del caso nel 2014
per la risoluzione di tutte le questioni
di confine marittimo, ZEE compresa.
Da notare che, mentre la Somalia
propone una delimitazione che si svi- L’area di ZEE contesa da Somalia e Kenya (Fonte: AFP-DW).

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Glossario di Diritto del Mare

luppi, in applicazione dei principi dell’UNCLOS, lungo una linea di equidistanza laterale modi-
ficata secondo criteri di proporzionalità, il Kenya pretende un limite costituito dal parallelo pas-
sante per la città di Lamu al confine terrestre. La posta in gioco è un’area di circa 100.000 km
quadrati.

Lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani esclusivi per l’esplorazione e
lo sfruttamento delle risorse marine naturali (v.), vale a dire le «risorse minerali e altre risorse non viventi
del fondo marino e del sottosuolo come pure negli organismi viventi appartenenti alle specie sedentarie (UNCLOS
77, 4.)». Tali diritti appartengono allo Stato costiero ipso facto e ab initio, nel senso che la loro titolarità
non è la conseguenza di un atto di proclamazione o di un possesso effettivo realizzato mediante occu-
pazione (UNCLOS 77, 3).
Ai paesi terzi spetta invece il diritto di navigazione e sorvolo sulla massa d’acqua sovrastante la piat-
taforma continentale (UNCLOS 78). Egualmente libera è l’attività di pesca (v.) di tutte le specie ittiche
tranne quelle stanziali (v. pescherie sedentarie), a meno che non siano state proclamate in loco zone ri-
servate di pesca o Zone economiche esclusive (v.). La posa di cavi e condotte sottomarine (v.) è soggetta
alle condizioni stabilite dallo Stato costiero, mentre la ricerca scientifica (v.) deve essere da questo espres-
samente autorizzata.

3. Principi delimitazione
Si rinvia, in materia, alla voce Delimitazioni del presente Glossario.

4. Sicurezza energetica
4.1 Compatibilità ambientale
Il problema della compatibilità delle attività di estrazione di idrocarburi in mare con i più generali
obblighi di protezione dell’ambiente marino (v.) è affrontato dall’UNCLOS all’art. 194, par. 3, lett. c), lad-
dove si stabilisce che gli Stati sono tenuti ad adottare specifici provvedimenti volti a limitare al massimo
«l’inquinamento prodotto da installazioni e macchinari utilizzati per l’esplorazione o lo sfruttamento delle risorse
naturali del fondo marino e del sottosuolo, con particolare riferimento ai provvedimenti intesi a prevenire incidenti
e a fronteggiare le emergenze, garantendo la sicurezza delle operazioni in mare, e regolamentando la progettazione,
la costruzione, l’armamento, le operazioni e la conduzione di tali installazioni e macchinari». A tali principi si
conformano anche alcuni accordi di delimitazione della piattaforma continentale stipulati dall’Italia con
i paesi frontisti come quello con l’Albania del 1992: all’art. IV si prevede espressamente che: «Le parti
contraenti adotteranno tutte le misure possibili al fine di evitare che l’esplorazione delle loro rispettive parti della
piattaforma continentale così come la coltivazione delle risorse minerarie di quest’ultima, possa pregiudicare l’equi-
librio ecologico del mare ...».

4.2 Offshore in acque profonde


Le attività offshore esercitabili dagli Stati costieri sul fondo e sottofondo marino della propria piat-
taforma continentale sono in continua espansione grazie alle nuove tecnologie estrattive che consento
di raggiungere anche fondali di 3.000 metri. A questo fine possono utilizzarsi, per fondali sino a 1.500
m piattaforme galleggianti (v. Nave mercantile) ancorate. Ovvero navi dotate di un’attrezzatura di
perforazione costituita da un tubo telescopico in grado di operare sino a circa 3.000 m. Il noto inci-
dente della piattaforma petrolifera galleggiante Deepwater Horizon ha portato alla ribalta dell’opi-
nione pubblica mondiale il problema della sicurezza delle offshore. È bene ricordare che nel disastro,
avvenuto nel 2010 a circa 1.500 m sopra il pozzo Macondo del golfo del Messico, nella ZEE degli Stati
Uniti a 66 mn dalle coste della Louisiana, erano morti 11 tecnici, mentre 5 milioni di barili di petrolio
si riversarono in mare. In anni recenti il problema si è riproposto con maggiore evidenza a causa della
continua crescita delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi condotta in controtendenza ri-
spetto alla diminuita domanda e alla maggiore produzione di energie rinnovabili. Gli Stati Uniti sono
peraltro diventati il primo produttore mondiale di petrolio superando l’Arabia Saudita, grazie al-

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Glossario di Diritto del Mare

l’adozione di nuove tecniche nell’estrazione di gas da argille (shale gas) e di petrolio da giacimenti
marini di grande profondità (max 3.000 m). Dubbi sull’opportunità di continuare a effettuare trivel-
lazioni offshore a grandi profondità sono tuttavia sorti dopo la catastrofe ecologica causata dall’inci-
dente della Deepwater Horizon. Come risposta ai rischi delle trivellazioni a grande profondità gli
Stati Uniti avevano stabilito nel 2010 una moratoria; il provvedimento dell’amministrazione Obama
è stato però revocato prima della scadenza sotto la spinta di una sentenza contraria delle corti interne
e un voto sfavorevole del Congresso.

4.3 Direttiva UE offshore 2013


L’Unione europea ha adottato una strategia basata sulla definizione di stringenti regole di tutela,
in conformità ai principi stabiliti in materia dall’UNCLOS, con la Direttiva 2013/30/UE relativa alla
sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi (direttiva offshore), si propone di de-
finire elevati standard minimi di sicurezza per la prospezione, la ricerca e la produzione di idrocarburi
in mare aperto, riducendo le probabilità che accadano incidenti gravi, limitandone le conseguenze e
aumentando in questo modo la protezione dell’ambiente marino. Principi qualificanti del provvedi-
mento dell’UE sono sia l’indipendenza e obiettività delle autorità nazionali competenti in materia,
sia la responsabilità per danno ambientale degli operatori designati dai licenziatari o dalle autorità
competenti per il rilascio delle licenze. Rilevante è anche il fatto che la direttiva si proponga di ridurre
l’impatto sull’ambiente marino delle operazioni offshore nel quadro delle finalità della politica marit-
tima integrata europea.

4.4 Protocollo offshore UNEP


L’impegno dell’UE nel settore della sicurezza delle attività offshore del Mediterraneo (ove sono installati
circa 200 impianti di estrazione) è anche dimostrato dall’adesione al protocollo relativo alla protezione
del mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piatta-
forma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo (Protocollo Offshore di Madrid del 14 ottobre
1994). Questo strumento, entrato in vigore nel 2011 dopo l’adesione di gran parte degli Stati mediterranei,
e basato sulla convenzione di Barcellona del 1995 (v. Protezione ambiente marino-Mediterraneo), disci-
plina le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni, la rimozione degli impianti abbandonati o in di-
suso, l’uso e lo smaltimento di sostanze nocive, la responsabilità e il risarcimento dei danni, la sicurezza
degli impianti nonché i relativi piani di emergenza e di monitoraggio, non senza stabilire forme di coo-
perazione tra gli Stati aderenti.

5. Normativa italiana di protezione


In linea con il trend europeo l’Italia si è attivata dopo il disastro del golfo del Messico, emendando il
codice dell’ambiente (Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152) in cui è previsto il divieto di svolgere at-
tività estrattive a 12 mn dalle aree costiere e marine protette e, nelle altre zone, a 5 mn dalle linee di base
del mare territoriale. In seguito, il limite di tale divieto è stato portato, con carattere di generalità, a 12
mn dalla costa (non più, quindi, dalle linee di base) con il comma 239 dell’art. 1 della legge 208/2015.
Sulla base di tale regime, le acque interne del golfo di Taranto (v.), potrebbero essere in teoria oggetto di
attività offshore, le aree ricadenti oltre le 12 mn dalla linea di costa.
La suindicata direttiva offshore dell’UE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto Legi-
slativo 18 agosto 2015, n. 145. Questo provvedimento si inserisce, come affermato dal ministero dello
Sviluppo economico «in un quadro normativo già esistente in materia di sicurezza e di protezione del mare dal-
l’inquinamento che ha finora garantito, attraverso una rigorosa applicazione e costanti controlli da parte delle strut-
ture tecniche del ministero, in collaborazione con gli altri enti competenti, il raggiungimento dei più alti livelli
europei di sicurezza per i lavoratori e l’ambiente, con incidenti e infortuni tendenti allo zero e comunque sei volte
inferiori a quelli del complesso industriale produttivo». Da notare che questo stesso provvedimento istituisce
il «Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare», quale autorità competente per l’applicazione della
medesima direttiva, designandone a far parte rappresentanti della Marina Militare e del Corpo delle ca-
pitanerie di porto-Guardia costiera.

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Glossario di Diritto del Mare

PIATTAFORMA CONTINENTALE (MEDITERRANEO)


1. Confini
Pochi sono ancora, rispetto a quelli che sarebbe necessario negoziare, gli accordi di delimitazione (v.) con-
cernenti la piattaforma continentale (v.) dei paesi rivieraschi del Mediterraneo: quasi trenta accordi sarebbero
ancora da stipulare, mentre ne risultano invece già conclusi solo sette, quattro dei quali riguardano l’Italia.
Va considerato tuttavia che il trend in Mediterraneo è oramai quello di far coincidere, con un’unica frontiera
marittima, i confini del fondale e della sovrastante colonna d’acqua. Al riguardo si rinvia alla voce ZEE (Me-
diterraneo). Per la piattaforma continentale dei singoli paesi la situazione è in particolare la seguente.

1.1 Prassi Italia


(a) Zone ricerca ed estrazione
I principi adottati dall’Italia per la regolamentazione della ricerca ed estrazione degli idrocarburi nella
propria piattaforma continentale sono contenuti nella Legge 21 luglio 1967, n. 613. La normativa disci-
plina le condizioni per il rilascio dei permessi di ricerca stabilendo che: «Agli effetti della presente legge si
intende per piattaforma continentale il fondo e il sottofondo marino adiacente al territorio della penisola e delle
isole italiane e situati al di fuori del mare territoriale e, fino al limite corrispondente alla profondità di 200 metri o,
oltre tale limite, fino al punto in cui la profondità delle acque sovrastanti permette lo sfruttamento delle risorse na-
turali di tali zone. La determinazione del limite esterno della piattaforma continentale italiana sarà effettuata me-
diante accordi con gli Stati, le cui coste fronteggiano quello dello Stato italiano e che hanno in comune la stessa
piattaforma continentale. Sino
all’entrata in vigore degli accordi
di cui al comma precedente, non
sono rilasciati permessi di prospe-
zione non esclusiva e di ricerca né
concessioni di coltivazione di idro-
carburi liquidi e gassosi nella piat-
taforma continentale italiana se
non al di qua della linea mediana
tra la costa italiana e quella degli
Stati che la fronteggiano».

Tale norma è stata modifi-


cata dalla legge di ratifica
dell’UNCLOS (legge 2 dicem-
bre 1994, n. 689) sostituendo la
precedente definizione con
quella contenuta nell’art. 76
della stessa convenzione.
Dal 1967, come indicato dal
MISE, sono state aperte alla ri-
cerca le «zone marine» così de-
nominate:
— «A» (mare Adriatico set-
tentrionale dal parallelo 44° al
parallelo 42° è delimitata a est
dalla linea di delimitazione
Italia-Croazia);
— «B» (mare Adriatico cen-
trale dal parallelo 44° al paral-
lelo 42°, è delimitata a est dalla
linea di delimitazione Italia-
Croazia); Zone marine aperte alla ricerca di idrocarburi (Fonte: MISE).

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Glossario di Diritto del Mare

— «C» (Mare Tirreno meridionale, tra la linea di costa siciliana e la linea isobata dei 200 metri, a ovest
nel canale di Sicilia tra la linea di costa siciliana, la linea isobata dei 200 metri e un tratto della linea di
delimitazione Italia-Tunisia, a sud nel canale di Sicilia tra la linea di costa siciliana, la linea isobata dei
200 metri e il modus vivendi Italia-Malta, a est nel mare Ionio meridionale tra la linea di costa siciliana e
la linea isobata dei 200 metri);
— «D» (mare Adriatico meridionale e nel mare Ionio ed è delimitata a ovest dalla linea di costa delle
regioni Puglia, Basilicata e Calabria, fino allo stretto di Messina; a est dalla isobata dei 200 metri);
— «E» (nel Mare Ligure, nel mare Tirreno e nel Mare di Sardegna. È delimitata da un lato dalla linea
di costa delle regioni Sardegna, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata e Calabria fino allo stretto
di Messina, e dall’altro lato dalla isobata dei 200 metri a eccezione dell’area marina delle Bocche di Bo-
nifacio in cui è delimitata dalla linea Italia-Francia);
— «F» (nel mare Adriatico meridionale e nel mare Ionio fino allo stretto di Messina ed è delimitata a
ovest dalla isobata dei 200 metri, a est dalle linee di delimitazione Italia-Croazia, Italia-Albania e Italia-
Grecia e a sud da archi di meridiano e parallelo);
— «G» (nel mare Tirreno meridionale e nel canale di Sicilia, è delimitato a nord da archi di meridiano
e parallelo, a sud ovest dalla linea di delimitazione Italia-Tunisia e a est dalla isobata dei 200 metri. Il
settore sud, che si estende nel canale di Sicilia è delimitato a nord dalla isobata dei 200 metri, a ovest
dalla linea di delimitazione Italia-Tunisia e a est da archi di meridiano e parallelo internamente alla linea
mediana Italia-Malta).
La zona «C» è stata ampliata a sud-est di Malta con decreto ministeriale 27 dicembre 2012 «in una parte
della piattaforma continentale italiana del mare Ionio meridionale tra il meridiano 15°10’ (limite definito dalla sen-
tenza del 1985 della Corte internazionale di giustizia) e da archi di meridiano e parallelo internamente alla linea
di delimitazione Italia-Grecia».
La zona «G», dopo essere
stata «ampliata» con decreto
ministeriale 9 agosto 2013,
comprende anche il «settore
ovest» nel Mare balearico.

(b) Trattati di delimitazione


I trattati di delimitazione
della piattaforma continentale
finora stipulati dall’Italia con i
paesi mediterranei frontisti
sono i seguenti:
— accordo con la Iugoslavia
dell’8 gennaio 1968 (ratificato
con D.P.R. 22 maggio 1969, n.
830): segue il criterio della
mediana tra le coste dei due
paesi, attribuendo un effetto
nullo o minimo, nel traccia-
mento della delimitazione, al-
l’isola iugoslava di Pelagosa e
agli isolotti (disabitati) di
Pomo e S. Andrea; scosta-
menti dal principio di equidi-
stanza sono stati attuati in
favore dell’Italia, nel quadro
di una compensazione di aree
tra le due parti, tenendo conto La piattaforma continentale italiana; le linee colorate indicano le zone delimitate per
dell’effetto delle isole di Ja- accordo (Fonte: IIM-MISE).

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Glossario di Diritto del Mare

buka e Galiola. La Slovenia, la


Croazia e il Montenegro sono
Stati successori rispetto a que-
sto accordo (v. Successione tra
Stati). Italia e Croazia hanno
stipulato nel 2005 un’intesa
tecnica formalizzata con
scambio di lettere (v. Comuni-
cato Ministeriale 30 settembre
2005) che, lasciando inalterato
il contenuto dell’accordo del
1968, per ovviare all’incer-
tezza dei dati cartografici non
univoci, ha trasformato in
datum WGS 84 le coordinate
dei punti da 1 a 42 della linea
di delimitazione della piatta-
forma continentale tracciati
sulle carte nautiche italiane
ed ex iugoslave allegate al-
l’accordo del 1968;

— Accordo con la Tunisia


del 28 agosto 1971 (ratificato
con legge 3 giugno 1978, n. 357):
segue il criterio della mediana Delimitazione della piattaforma continentale Italia-Croazia in base all’accordo del
tra le coste continentali della 1968 (Fonte: IIM-MISE).
Tunisia e quelle della Sicilia
senza dare alcun valore, ai fini
della delimitazione, alle «circo-
stanze speciali» rappresentate
dalle isole italiane di Pantelle-
ria, Lampedusa e Linosa e al-
l’isolotto disabitato di
Lampione. La porzione di piat-
taforma di queste isole è limi-
tata, rispettivamente, ad archi
di cerchio di 13 e 12 miglia di
raggio e coincide quindi,
tranne che per il caso di Pantel-
leria, con l’attuale estensione
delle acque territoriali (v.). Per
effetto dello stesso trattato è
stata concessa alla Tunisia
un’area di quasi 30.000 kilome- Confine Accordo Italia-Tunisia 1971 (Fonte: Sovereign Limits).
tri quadrati, corrispondente a
quella che sarebbe spettata all’Italia ove fosse stata adottata la linea mediana rispetto alle isole Pelagie.
Da notare che la soluzione prescelta comporta che il cosiddetto «Mammellone» (v. Pesca (Mediterraneo)
ricade interamente all’interno della piattaforma tunisina;

— Accordo con la Spagna del 19 febbraio 1974 (ratificato con legge 3 giugno 1978, n. 348): segue il cri-
terio della mediana tra la Sardegna e le Baleari con una linea leggermente concava che attribuisce rilievo

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Glossario di Diritto del Mare

al maggior sviluppo costiero della Sardegna


rispetto all’isola di Minorca. La delimitazione
era stata oggetto di riserve da parte della
Francia che considerava come facente parte
della propria piattaforma continentale una
porzione delle aree spartite tra Italia e Spagna.
In effetti, è successivamente emerso che la
Francia non contesta il punto di incontro italo-
spagnolo del confine settentrionale della de-
limitazione, quanto piuttosto alcune aree
della sovrastante massa d’acqua che la Spa-
gna ha acquisito, nel golfo del Leone, fissando
unilateralmente il limite laterale della sua ZEE
stabilita con decreto reale 236-2013;

— Accordo con la Grecia del 24 maggio


1977 (ratificato con legge 23 marzo 1980, n. 290):
la delimitazione tiene conto interamente delle
isole Strofadi, Zante, Cefalonia, Leucade e
Corfù. Unica eccezione è l’isola di Fano, cui è
attribuito un effetto ridotto. Da notare che la
delimitazione tiene integralmente conto della
linea di chiusura tra Santa Maria di Leuca e
Punta Alice del golfo di Taranto (v.);

— Accordo con l’Albania del 18 dicembre


1992 (ratificato con legge 12 aprile 1995, n. 147):
la delimitazione è stata determinata sulla base Confine accordo Italia-Spagna, 1974 (Fonte: IIM-MISE).
del principio di equidistanza espresso nella
linea mediana dalle coste dei due paesi senza
tener conto delle loro linee di base dritte. La
delimitazione si ferma al di qua dei punti tri-
pli con Grecia ed ex Iugoslavia da definire
successivamente con gli Stati interessati; inol-
tre si stabilisce l’impegno delle due parti ad
adottare tutte le misure possibili a evitare che
le attività di esplorazione e sfruttamento delle
rispettive zone di piattaforma possano pre-
giudicare l’equilibrio ecologico del mare o in-
terferire ingiustificatamente con altri usi
legittimi del mare.

(c) Accordi in fieri


Le delimitazioni non ancora definite sono
relative a:
— Francia: non esiste al momento alcun
valido accordo di delimitazione. La trattativa
condotta nel 1973-74 si interruppe data l’im-
possibilità di raggiungere un accordo per di-
vergenze riguardanti principalmente sia la
zona a ovest della Sardegna ove la Francia Confine accordo Italia-Albania del 1992; in basso, parte del confine
proponeva di definire un’area comune al accordo Italia-Grecia, 1977 (Fonte: IIM-MISE).

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Glossario di Diritto del Mare

centro del Tirreno che avrebbe


impedito un accordo tra Italia
e Spagna, sia la zona a est, per
la quale un compromesso
stava per essere raggiunto:
nella figura di fianco riportata
sono indicate le proposte ita-
liane (in azzurro), quelle fran-
cesi (in verde) e la linea di
compromesso (in rosso). I ne-
goziati sono stati ripresi nel
2006 e sono stati poi conclusi
con l’accordo di Caen del 21
marzo 2015 (nel 2020 non an-
cora entrato in vigore perché
non ratificato dall’Italia) che
stabilisce un confine unico per
piattaforma continentale e
ZEE. Al riguardo si veda
anche la successiva voce ZEE-
Mediterraneo;
— Malta: un modus vivendi è
instaurato, con scambio di
note verbali del 29 aprile 1970,
riguardante la delimitazione
parziale a carattere provviso-
rio, dei soli fondali entro la ba-
timetrica dei 200 m con una
linea di equidistanza tra le
coste settentrionali di Malta e
le prospicienti coste della Sici-
lia; la zona «C» aperta alla ri-
cerca dall’Italia è tuttavia
arretrata di 1.000 metri rispetto
all’equidistanza per realizzare
una buffer zone. Questa intesa si
inquadra nel genus previsto
dall’art. 83, n. 3 dell’UNCLOS;
essa è stata così citata al para
Ipotesi negoziali di delimitazione Italia-Francia formulate durante le trattative del
17 dalla sentenza della Corte 1974 (Fonte: Francalanci).
internazionale di Giustizia del
caso Malta-Libia: «In 1970 agreement was reached between Malta and Italy for provisional exploitation of the
continental shelf in a short section of the channel between Sicily and Malta on each side of the median line, subject
to any adjustments that might be made in subsequent negotiations».
Circa la questione della piattaforma continentale italo-maltese, bisogna aggiungere che la stessa Corte
ha esaminato gli interessi italiani nell’ambito della controversia avviata tra Malta e la Libia nel 1982.
Nell’ottobre 1983 l’Italia presentò, infatti, alla Corte una richiesta di intervento, quale terzo, ai sensi del-
l’art. 62 dello statuto della Corte, nel giudizio instauratosi tra i due paesi, per rivendicare propri interessi
sia a ovest del meridiano 13° 50” (a sud-est delle isole Pelagie), sia a est del punto 34° 30’ N, 15°10” E. In
quest’area, 68 mn a sud-est di Malta, ricade il Banco di Medina (oggetto di pretese italiane, libiche e mal-
tesi), bassofondo in cui sembra essere stato localizzato un vasto giacimento petrolifero e che, nel settem-
bre 1980 fu teatro dell’episodio del sommergibile libico che intimò alla nave da ricerca italiana SAIPEM

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Glossario di Diritto del Mare

2 di cessare le prospezioni condotte


per conto di Malta (v. Demilitarizza-
zione (Mediterraneo). L’Italia, nel suo
intervento, specificò le ragioni per cui
si dovesse adottare, come delimita-
zione, una linea — diversa dall’equi-
distanza pura — atta a garantire un
risultato equitativo. A questo fine,
l’Italia indicò principalmente la ne-
cessità di considerare che, nel valu-
tare la proporzionalità tra le coste
rilevanti dei due paesi e l’area di piat-
taforma da spartire, la proporziona-
lità è nettamente a favore dell’Italia:
le coste rilevanti italiane sono, infatti,
anche la Calabria jonica e la Puglia,
oltre alla Sicilia orientale, con la con-
seguenza che dovrebbe ruotare verso
sud la linea di equidistanza pretesa
da Malta come prolungamento di
Linea (puntiforme) indicante il confine del modus vivendi Italia-Malta quella del modus vivendi. Di seguito
(1970), entro la batimetrica dei 200 m. Si noti la sua limitata estensione sino al si riporta un passo dell’intervento del
meridiano 15°10’ (Fonte: Libya/Malta Case, ICJ, Judgment 1985, 12, para 14). prof. Arangio Ruiz (ICJ, Libya/Malta
Case, II, 497), membro della delega-
zione italiana, il quale, a futura memoria, spiega con chiarezza la nostra posizione: «Starting from a point
to be determined to the south-east of (…) the submarine frontier between Italy and Malta should turn clockwise
leaving maltese areas to its west and italian areas to the east, for both geological and geographical reason. Geogra-
phically, the line must bend in a sotherly direction as a consequence of the comparative lenghts of the respective co-
asts of Malta and Italy (the latter, I mean italian coasts, including, together with the huge island od Sicily, the
southern part of the italian
peninsula) and as a conse-
quence of the comparative
dimensions of the lands of
the two States. Geologi-
cally the region belongs to
what is called by geologists
the “Ragusa-Malta Pla-
teau” (also called Hybla-
ean Plateau) which
constitutes a natural pro-
longation, in a south-ea-
sterly direction, of the
italian landmass. It follows
that in this whole region
there are very extensive
areas where it will be in-
cumbent upon Italy, and
not upon Malta, to pro-
ceed, together with Libya,
to determine by direct
Spazi marittimi Canale Sicilia: si notino le aree di interesse italiano a ovest e a est di Malta
agreement or through any
(Fonte: Limes, Il Mare è l'Italia, 10/2020, 216).
available peaceful proce-

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Glossario di Diritto del Mare

dure the northern boundary of the libyan submarire areas. Roughly speaking, and subject to a more precise definition
to be made in the appropriate phase, I would place the western limit of these extensive areas about here. The deli-
mitation of this areas vis-à-vis Malta in the west — I shall refer to Libya later — is of course be made by taking
due account of all the criteria I mentioned. Among these criteria one should not forget the extensive lenght of Italian
coasts from the Egadi islands, which are at the extreme western end of our huge Sicily, to Santa Maria di Leuca,
which is at the extreme end of the region of Italy which was called Apulia in old times. The exact line should be de-
termined amicably between Italy and Malta again by direct agreement or by any other peaceful procedure agreed
upon by Parties».
La Corte non accolse la richiesta di intervento italiano ma, nella sua sentenza tenne conto degli interessi
del nostro paese a est e a ovest di Malta, affermando che questa e la Libia avevano titolo a delimitare
esclusivamente «l’area in cui non esistono pretese di terzi Stati, vale a dire l’area tra il meridiano 13° 50’ E e
quello 15° 10’». Queste le conclusioni della Corte (ICJ, Libya/Malta Case, Judgment, II, para 22): «The
Court therefore concludes that on the basis of the geographical definition of the claims of Italy it should
limit the area within which it will give a decision by the meridian 15° 10’ E, including also that part of that
meridian which is south of the parallel 34° 30’ N. No question of this kind arises to the West of the meridian 13°
50’ E, since the southward limit of Italian claims is the same as that of the claims of Malta; the area to the south is
thus not in dispute in this case».
Italia e Malta negli anni, dopo tale decisione della Corte, hanno avviato a più riprese trattative per
una delimitazione consensuale, senza mai raggiungere un accordo stante la difficoltà, per Malta, di re-
cedere dalle proprie consolidate posizioni espresse avanti alla Corte.
A partite dal 2012 i due paesi hanno nuovamente iniziato colloqui per realizzare lo sfruttamento con-
giunto di una specifica zona di piattaforma continentale di rispettiva pretesa, senza pregiudizio dei pro-
pri diritti sovrani, sulla base UNCLOS (art. 83,3). Secondo quanto dichiarato dal ministero dello Sviluppo
economico (vedasi Il Mare, ed. 2015, p. 59 e ss.), proprio allo scopo di creare le condizioni per lo sviluppo
di una ricerca congiunta [la competente D.G.] con Decreto Ministeriale 27 dicembre 2012, ha ampliato il
settore sud dell’esistente zona marina «C» a partire dal meridiano 15°10’ indicato nella sentenza della
Corte, in quanto la legislazione ita-
liana prevede che le attività minerarie
siano svolte all’interno di aree marine
preventivamente aperte e istituite
con decreto. In questo modo si è di
fatto creata una sovrapposizione tra
l’area di giurisdizione italiana e
quella pretesa a est da Malta. Al 2020,
il negoziato per lo studio di un’even-
tuale esplorazione e sviluppo con-
giunto in una parte di mare oggetto
di contenzioso, risultava non aver
fatto progressi anche perché «Malta
ha continuato ad assegnare a compagnie
petrolifere delle aree in acque non ancora
definite da un accordo bilaterale». Altro
motivo — secondo quanto riportato
nella succitata pubblicazione del
MISE — per l’interruzione del nego-
ziato è che «l’8 agosto 2014 il governo La zona marina «C» aperta alla ricerca di idrocarburi con D.M. 27.12.2012
maltese ha emanato il Continental Shelf (Fonte: MISE).
Act 2014, una nuova legge sulla delimi-
tazione e definizione della propria piatta-
forma continentale, con disposizioni in merito alla sua esplorazione e sfruttamento. Gli uffici giuridici del MAECI
e del MISE, avendo ravvisato in tale legge forti elementi di criticità, hanno inviato, il 19 dicembre 2014, una nota
verbale di protesta, in quanto alcune delle disposizioni del Continental Shelf Act 2014 non appaiono conformi

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Glossario di Diritto del Mare

alle previsioni di cui alla convenzione delle Nazioni unite sul Diritto del mare (UNCLOS) del 1982, oltre che lesive
degli interessi dell’Italia sui fondali e sul sottosuolo marini nella piattaforma continentale al largo delle sue coste.
In particolare: per il mancato riferimento alle coste adiacenti, per l’estensione della piattaforma continentale maltese
sino alla linea mediana, in mancanza di accordo, per la possibilità di concedere licenze nell’ambito dell’area ricadente
all’interno di tale mediana, incidendo sulla possibilità di arrivare a un accordo di delimitazione con l’Italia».

PIATTAFORMA CONTINENTALE GRECO-TURCA

All’origine della controversia tra Grecia e Turchia, sulla estensione della rispettiva piattaforma
continentale, v’è l’iniziativa assunta unilateralmente dalla Turchia nel 1973 di regolamentare la con-
cessione di permessi di esplorazione mineraria su zone di fondo marino prospicienti le isole greche
di Samotracia, Lemno, Lesbo, Chio, Psarà e Antipsarà, assumendo che le stesse fossero da conside-
rarsi prolungamento sommerso della massa continentale dell’Anatolia. Alla base del dissenso si
pone la tesi turca secondo la quale lo studio geomorfologico del fondo del mar Egeo (v.) proverebbe,
l’esistenza di vasti spazi, al largo della costa turca, che costituiscono il prolungamento naturale
dell’Anatolia: le isole greche situate in vicinanza della costa turca non possederebbero quindi una
specifica piattaforma al di là del limite delle proprie acque territoriali, costituendo al più delle «cir-
costanze speciali». La Turchia, pretende, in definitiva, che la propria piattaforma continentale sia
delimitata dalla mediana tra il continente europeo e quello asiatico, lasciando alle isole greche il
solo spazio delle acque territoriali. Se-
condo la Grecia le proprie isole hanno in-
vece titolo a possedere una piattaforma
al di là delle acque territoriali: la delimi-
tazione sarebbe, da questo punto di vista,
relativa a due Stati, uno dei quali (la
stessa Grecia) sarebbe una sorta di Stato
arcipelagico; la piattaforma continentale
turca dovrebbe essere per conseguenza
limitata al ristrettissimo spazio tra le pro-
prie isole e la costa anatolica.
Il tentativo di risolvere la contesa
avanti la Corte internazionale di Giusti-
zia avviato dalla Grecia nel 1976 non ha
avuto esito per il rifiuto della Turchia di
accettare la giurisdizione della Corte. La
stessa Turchia ritiene, infatti, che la deli-
mitazione della piattaforma continentale
in un mare semichiuso come l’Egeo, es-
sendo una questione di natura politica
prim’ancora che giuridica, possa essere
raggiunta soltanto attraverso accordi di-
retti tra le parti interessate, sulla base
dell’equità. La disputa si è riaccesa in
anni recenti in relazione al contenzioso
del Mar di Levante (v.). Tra l’altro, la Tur-
chia, con riguardo al proprio accordo
con la Libia del 2019 (v. ZEE-Mediterra-
neo), ha negato effetto alle isole di Rodi,
Scarpanto e Creta, continuando a soste-
In tratteggio la piattaforma continentale rivendicata dalla Turchia
nere a proprio favore le tesi espresse nel
a seguito della concessione di permessi offshore nel 1973-74
caso dell’Egeo.
(Fonte: Hellenic MOFA).

Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020 121


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Glossario di Diritto del Mare

1.2 Prassi altri Stati


Oltre agli accordi di cui s’è detto sono stati già conclusi in Mediterraneo i seguenti trattati di delimitazione:
— Francia-Monaco del 16 febbraio 1984;
— Libia-Malta del 10 novembre 1986. Questo accordo, è stato concluso a seguito della già citata sen-
tenza della Corte internazionale di giustizia del 1985 che, ai fini della definizione della controversia: 1)
non ha tenuto conto delle linee di base dritte libiche costituite dalla linea di chiusura del golfo della Sirte
(v.) né dell’isolotto disabitato maltese di Filfla; 2) ha invece considerato, nell’individuare due possibili
linee di equidistanza, le relazioni tra le coste della Sicilia e della Libia, assegnando un effetto ridotto a
Malta, quale isola con uno sviluppo inferiore a quello della terraferma libica;
— Libia-Tunisia dell’8 agosto 1988 con cui, in applicazione della soluzione indicata dalla Corte inter-
nazionale di Giustizia nella sentenza del 26 febbraio 1982, si stabilisce una linea di delimitazione laterale
divisa: 1) in un primo segmento conforme agli esistenti titoli storici del periodo della dominazione fran-
cese e italiana sui due paesi; 2) un secondo segmento, per parallelo, dimezzando l’effetto dell’isola tuni-
sina di Kerkennah;
— Cipro-Egitto del 2003, Cipro-Israele del 2010 e Cipro-Libano del 2007 (ancorché non ratificato dal Li-
bano). Questi accordi adottano una linea unica di confine valevole anche per la sovrastante massa d’ac-
qua; su di essi si veda anche le voci Mar di Levante e ZEE (Mediterraneo).

PIRATERIA
1. Antichi pirati mediterranei
Il Mediterraneo (v.) è stato in passato la culla della pirateria intesa come forma di spoliazione violenta
in mare. Nel mito di Arione cantato da Ovidio (Fasti, 2, 83-118) ce n’è giunta l’eco: il citaredo, provenendo
da Taranto, è catturato dai pirati; lanciatosi in mare e salvato da un delfino vicino la Laconia, riesce poi
a debellare i suoi assalitori rifugiatisi nel golfo di Corinto. Anche Minosse, il mitico re di Creta, è ricordato
da Tucidide (Guerra del Peloponneso, 1, 4-8) per aver eliminato i pirati dal Mar di Levante stabilendo una
forma di dominio marittimo (la c.d. talassocrazia). In epoca greco-romana i pirati erano ancora nel Medi-
terraneo orientale, soprattutto nella Cilicia, lungo le coste dell’Asia Minore, dove «controllavano il mare
con grandi flotte e numero sterminato di navi». Dalla Cilicia provenivano, infatti, i pirati che catturarono il
giovane Giulio Cesare mentre era imbarcato su una nave diretta a Rodi, nel famoso episodio raccontato
da Plutarco (Vita di Cesare, 2) in cui il condottiero fornì anzitempo prova del suo ardire. La reazione di
Roma alla minaccia ai suoi traffici commerciali con l’Oriente non si fece attendere: nel 67 a.C. il senato
approvò la lex gabinia conferendo a Pompeo Magno pieni poteri per debellare alla radice, con centinaia
navi armate, i pericolosi banditi del mare. Il Mediterraneo divenne allora, sotto la scure del dominium
maris romano, un luogo sicuro.
Con la caduta dell’Impero e la fine della pax romana, il Mediterraneo fu nuovamente preda dei pirati.
Covi di pirati erano in Adriatico, dove, secoli dopo, ricomparvero i temibili Uscocchi istriani che insi-
diarono a lungo, soprattutto nel Seicento, i traffici marittimi della Serenissima Repubblica di Venezia. I
Vandali, stanziati nell’Africa settentrionale, ripetettero le scorrerie dei Fenici aprendo un lunghissimo
periodo di anarchia dei mari in cui, sino ai primi del Settecento, le coste italiane furono terrorizzate dai
Saraceni. Tant’è che, nel Regno di Napoli, i viceré spagnoli nel 1563 iniziarono a realizzare un sistema di
torri costiere di avvistamento, poi ammodernato nel 1720. Gli antichi Stati italiani dovettero far fronte
alla minaccia ai propri traffici marittimi condotta dai pirati stanziati lungo le coste occidentali dell’Africa
settentrionale. La Repubblica di Venezia organizzò varie spedizioni navali verso la Tunisia, dal 1784 al
1792, nel corso delle quali l’ammiraglio Angelo Emo bombardò Sfax e pose il blocco al porto di La Goletta.
Il Regno delle Due Sicilie dovette invece confrontarsi con i pirati della reggenza ottomana di Algeri con-
ducendo nel 1784 operazioni antipirateria multinazionali ante litteram cui parteciparono le Marine del
Regno di Sardegna, del Granducato di Toscana e dei Cavalieri di Malta. Ma la più grande impresa fu
quella condotta nel decennio 1805-15 dalla neocostituita Marina degli Stati Uniti che riuscì a sconfiggere
con azioni audaci i pirati barbareschi dei Bey di Tripoli e Algeri: le navi da guerra statunitensi al comando
di Stephan Decatur furono inviate dal Congresso, a iniziativa di Thomas Jefferson, per non sottostare al-
l’imposizione di pagare il tributo annuale di 50.000 dollari chiesto dal Pasha di Tripoli per garantire li-
bertà di transito ai mercantili statunitensi.

122 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

2. Corsari e pirati
Negli stessi secoli dell’evo moderno in cui la pirateria mediterranea ha avuto i suoi ultimi fulgori si è
sviluppata, soprattutto negli oceani, la guerra di corsa. Pirati e corsari sono, tuttavia, espressione di due
fenomeni del tutto differenti: i primi dediti a depredazione violenta per fini esclusivi e privati di lucro;
i secondi impegnati a condurre azioni di violenza in mare, oltre che per arricchirsi, anche per conto dello
Stato di bandiera nell’ambito della guerra al commercio. Alla base del sorgere del fenomeno dei corsari
vi è il fatto che all’inizio dell’era moderna alcuni Stati, non essendo dotati di una vera e propria Marina
da guerra come quella della Repubblica di Venezia (che, infatti, impiegò la propria Squadra del golfo di
stanza a Corfù per combattere nell’Adriatico i pirati Uscocchi), dovettero avvalersi di navi mercantili ar-
mate da privati per difendersi dagli attacchi pirati. Col tempo, queste operazioni, da meramente difensive
che erano assunsero anche carattere di spoliazioni violente a similitudine di quelle dei pirati. Di qui la
denominazione di tali navi private come «naves more piratico navigantes». Successivamente gli Stati inter-
vennero a regolamentare l’attività delle navi destinate a «correre il mare» concedendo loro un’autoriz-
zazione («lettera di marca») per quella che era anche considerata una funzione pubblica: tali navi erano
dette corsare, e i corsari (in inglese, privateers) erano impegnati a combattere sia il commercio esercitato
dalle navi nemiche, che quello delle navi neutrali in favore del nemico. L’utile derivante dalle prede ve-
niva spartito tra i corsari e i governi di appartenenza.
Quando tali eccessi divennero intollerabili anche per il formarsi di una maggiore coscienza della loro
illiceità, la comunità internazionale cercò di limitarli. Stati Uniti e Prussia, in un trattato del 1785 si ob-
bligarono reciprocamente, per esempio, a non avvalersi di navi corsare. Dopo il Congresso di Vienna
del 1815, di fatto, nessun paese fece più ricorso a questo tipo di guerra per combattere nemici e neutrali.
Ma fu solo dopo la Guerra di Crimea, con la Dichiarazione di Parigi del 1856 su alcuni principi di diritto
marittimo, che si stabilì che «la guerra di corsa è e resta abolita». Inghilterra e Francia si accordarono per
motivi opposti: la Francia, che pur in passato aveva combattuto l’Inghilterra con navi corsare, non aveva
più grossi interessi marittimi da difendere; mentre la Gran Bretagna, che con Drake aveva tratto notevoli
utili dalla guerra di corsa, grazie alla propria potente Marina esercitava oramai il completo controllo dei
mari. A partire da questo momento, le navi da guerra (v.) delle Marine divengono gli unici soggetti au-
torizzati a usare la forza in mare. Esse sono, infatti, qualificate come i soli «legittimi belligeranti» della
guerra marittima, a meno che navi mercantili non vengano incorporate nella Marina come navi da guerra
secondo le regole stabilite dalla VII convenzione dell’Aja del 1907 (v. Diritto bellico marittimo).

3. Concetto giuridico
3.1 Principi consuetudinari
Il pragmatico spirito che animava il diritto romano non aveva avuto dubbi nell’affermare che «il
pirata non rientra fra i legittimi nemici di guerra, ma è il comune nemico di tutto il genere umano (communis
hostis omnium)» (Cicerone, De officiis, III, 107). Su queste basi giuridiche si fondò la teoria, ancora oggi
in vita nell’ordinamento internazionale, secondo cui la pirateria è un crimine internazionale (crimen
juris gentium). La relativa nozione di diritto consuetudinario è teorizzata con chiarezza nella seguente
statuizione emanata nel 1927 dalla Corte permanente di giustizia internazionale con riguardo al caso
Lotus: «[il pirata] è privo della protezione della bandiera che egli può mostrare, egli è trattato come un bandito
e come un nemico del genere umano che qualsiasi nazione può catturare e punire nell’interesse di tutti…». Du-
plice è dunque, a questa stregua, la natura del pirata che è a un tempo un bandito, in quanto depreda
le sue vittime come qualsiasi altro predone di terraferma, ma anche «nemico del genere umano», poiché
attenta alla libertà di navigazione.
La libertà dei mari non è però solo minacciata dalla pirateria ma, in certa misura, ne rappresenta essa
stessa la causa. L’alto mare (v.) che era ed è tuttora il luogo di elezione della pirateria è, infatti, uno spazio
non soggetto alla sovranità di alcuno Stato. Si spiega così l’asserzione, apparentemente paradossale, del
giurista cinquecentesco Alberico Gentili che «[il] pirata delinque di meno, poiché agisce nel mare che non è
sottoposto ad alcuna legge». Il contrasto alla pirateria, inteso come diritto-dovere attribuito a tutti gli Stati,
è divenuto nei secoli principio obbligatorio proprio per supplire alla mancanza di una specifica autorità
competente ad agire per porre rimedio all’anarchia dell’alto mare. L’applicazione generalizzata di questo
principio si è consolidata, a metà Ottocento, con la fine della guerra di corsa.

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3.2 Regolamentazione convenzionale


Il concetto consuetudinario di pirateria così formatosi è stato recepito e codificato nella II Convenzione
di Ginevra del 1958.. Esso si basa su tre elementi fondamentali senza i quali non è possibile aversi pira-
teria in senso stretto, e cioè: 1) la commissione del fatto in alto mare; 2) l’uso di una nave a danno di
un’altra (criterio delle due navi); 3) il fine personale di depredazione (private ends secondo la terminologia
anglosassone). In anni recenti, nel corso della crisi della pirateria del Corno d’Africa di cui si dirà più
avanti, si è ipotizzato un suo superamento in modo da comprendere anche la violenza esercitata nelle
acque territoriali (v.) nell’ambito del concetto più generale di «armed robbery at sea» inteso come «any
illegal act of violence or detention or any act of depredation, or threat thereof, other than an act of piracy, committed
for private ends and direct against a ship or against persons or property on board such a ship, within a State’s in-
ternal waters, archipelagic waters and territorial sea». In realtà, tale illecito marittimo — previsto nella IMO
Resolution A.1025(26) related to the Code of Practice for the Investigation of the Crimes of Piracy and Armed
Robbery Against Ships — non trova una base nel diritto internazionale in quanto è solo strumentale a in-
dividuare una fattispecie penale punitiva. L’armed robbery, al di fuori del quadro delle risoluzioni delle
NU sulla pirateria del Corno d’Africa, non è perciò una situazione che autorizza gli Stati a entrare nelle
acque territoriali straniere per il suo contrasto. Resta, infatti, fermo che la competenza è esclusiva dello
Stato costiero, a meno di specifica autorizzazione.
Il concetto tradizionale di pirateria è integralmente confermato dall’UNCLOS (articoli 101 e 102) che
configura appunto un’attività di depredazione o di violenza compiuta in alto mare o in zone non soggette
alla giurisdizione di alcuno Stato (per esempio, coste dell’Antartide), per fini privati, dall’equipaggio da
una nave mercantile o aereo privato ai danni di altra nave o aereo privato (ma non da un aeromobile a
danno di una nave). La nave che è sotto il controllo effettivo di persone che intendono utilizzarla o che
l’hanno utilizzata per commettere uno degli atti sopra indicati è considerata nave pirata. Anche la nave
pirata utilizzata come «nave madre» per assistere operativamente piccole imbarcazioni impegnate in
azioni di pirateria è considerata nave pirata. Sono assimilati agli atti commessi da una nave privata quelli
compiuti da una nave o aeromobile militare il cui equipaggio si sia ammutinato. Il semplice ammutina-
mento non seguito dall’abbordaggio di un’altra unità non rappresenta tuttavia, di per sé, una forma di
pirateria. Inoltre, non costituisce nemmeno pirateria l’uso della forza, condotto con modalità illecite, da
parte di navi da guerra neutrali nei confronti di navi mercantili di altra bandiera. Difatti, durante la I
conferenza del diritto del mare del 1956, non furono accolte le proposte tendenti a recepire i principi
degli articoli 2 e 3 dell’Accordo di Nyon del 1937: in questa intesa, stipulata durante la guerra civile Spa-
gnola, si stabiliva che ogni sommergibile non identificato, il quale avesse attaccato una nave mercantile
non appartenente ad alcuna delle parti in conflitto con la Spagna, fosse equiparato a una nave pirata e
potesse quindi essere attaccato e affondato da qualsiasi altra nave da guerra.

3.3. Pirateria e terrorismo marittimo


Quanto al concorso nella pirateria, l’UNCLOS (art. 101, lett. b), c) fa anche rientrare nella fattispecie
le attività di partecipazione volontaria e di incitamento o favoreggiamento. Si discute se tali possano es-
sere quelle compiute da persone operanti a terra in appoggio logistico ai pirati. Il fine privato può anche
essere diverso dallo scopo di depredazione (c.d. «animus furandi») potendo pensare per esempio a una
vendetta privata. Il fine privato non è quindi in teoria escluso nemmeno se coesiste un fine di altra natura,
quale quello politico. L’importante è che l’azione non abbia in sé una predominante connotazione politica
in quanto, in questo caso, si configura l’altro illecito del terrorismo marittimo (v.) disciplinato dalla con-
venzione di Roma del 1988 per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della navigazione ma-
rittima (denominata SUA Convention dall’acronimo del titolo in inglese) e dal susseguente protocollo
adottato a Londra nel 2005 (SUA Protocol). Diversa è, infatti, la struttura dei due illeciti, sicché non è ac-
cettabile sul piano giuridico formale la tendenza di alcuni Stati a equipararli tra loro, quasi che la loro
repressione e perseguibilità penale sia un’opzione discrezionale. Solo la pirateria, quale crimine di ca-
rattere internazionale, è dunque perseguibile in alto mare da parte delle navi da guerra e dalle navi in
servizio governativo di qualsiasi nazionalità. Nel caso del terrorismo marittimo il regime convenzionale
del protocollo di Londra presuppone invece il consenso dello Stato di bandiera. Va tuttavia notato che
tale approccio, tendente a confondere ed equiparare nella sostanza le due differenti figure di illecito, è

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stato seguito da numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza le quali, nel richiamare l’esigenza per
gli Stati di esercitare giurisdizione penale nei confronti dei pirati, invitavano ad applicare le fattispecie
punitive del terrorismo marittimo qualora, negli ordinamenti nazionali, non fossero state previste quelle
relative alla pirateria.

3.4 Poteri e obblighi degli Stati


Il contrasto della pirateria costituisce comunque una facoltà attribuita esclusivamente agli Stati, quali
titolari del monopolio dell’uso della forza in mare esercitata attraverso le proprie navi da guerra. Le stesse
navi possono normalmente agire in antipirateria — nell’ambito di attività operativa di routine — solo
per proteggere i propri connazionali nell’immediatezza di un attacco, a meno che non agiscano appunto
nell’ambito di uno specifico mandato internazionale come avvenuto per la pirateria del Corno d’Africa.
Oppure, in alternativa, siano incaricate di svolgere una missione nazionale, come avvenne nel 2006
quando la nostra Marina fu incaricata dal Governo di proteggere — con l’operazione Mare sicuro — il
traffico di bandiera nazionale nel golfo di Aden dopo gli attacchi ad alcuni mercantili italiani; un caso
simile è quello della missione di presenza e sorveglianza nel golfo di Guinea svolta dalla Marina Militare
nel mese di marzo 2020 con la fregata Luigi Rizzo. Sono anche ipotizzabili interventi contingenti a favore
di naviglio straniero, qualora si configuri una situazione SAR (v. Ricerca e soccorso) in cui è necessario
operare in aiuto di persone la cui vita sia minacciata.
Gli Stati non hanno quindi un obbligo di reprimere la pirateria ma solo una facoltà in relazione a
propri specifici interessi. Tuttavia essi sono tenuti a collaborare tra loro nella repressione della pirateria
(UNCLOS, art. 100). Questo aspetto è stato invocato dall’Italia nei confronti dell’India, relativamente al
caso Lexie, per evidenziare l’incongruenza della posizione indiana che disconosceva il contesto interna-
zionale di lotta alla pirateria in cui si inseriva l’accaduto. Egualmente discrezionale è, per gli Stati, l’eser-
cizio della giurisdizione nei confronti dei pirati eventualmente catturati. L’UNCLOS, all’art. 105, si limita,
infatti, a far riferimento alla potenziale giurisdizione di ogni Stato nei seguenti termini: «Nell’alto mare o
in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque Stato, ogni Stato può sequestrare una nave o aero-
mobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati; può arrestare
le persone a bordo e requisirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il
potere di decidere la pena da infliggere nonché‚ le misure da adottare nei confronti delle navi, aeromobili o beni, nel
rispetto dei diritti dei terzi in buona fede».
Tale norma configura un’ipotesi di giurisdizione facoltativa nel senso che non stabilisce un obbligo di
giudicare i responsabili di atti di pirateria né precisa quale Stato sia obbligato a farlo. In teoria, il principio
applicabile sarebbe dovuto essere quello secondo cui lo Stato che cattura i pirati nel corso di un’azione
di contrasto ha il dovere di giudicarli, salvo che un altro Stato (quale per esempio quello di bandiera del
mercantile assalito o quello di appartenenza dei marittimi attaccati) ne chieda l’estradizione. In questo
modo si sarebbe data applicazione al principio dell’«aut dedere aut judicare» (o estradare o giudicare) ac-
colto in altre convenzioni come la già citata SUA Convention sul terrorismo marittimo, in modo da non
creare un vuoto giudiziario e quindi un’area di possibile impunità. Condizione per esercitare la giuri-
sdizione è ovviamente l’esistenza, nell’ordinamento interno dello Stato interessato, di norme incrimina-
trici della pirateria. Questo problema, come si dirà più avanti è stato a più riprese affrontato dalle Nazioni
unite nel caso della pirateria somala.

4. Pirateria del Corno d’Africa


4.1 Genesi
Sono note le origini della crisi della pirateria somala che in un crescendo esponenziale è andata via
via espandendosi, durante gli anni del primo decennio del Duemila, sino a coprire un’area di più di
1.000.000 di kilometri quadrati che lambiva le coste indiane a est e a sud toccava le Seychelles. Si suppone
— e questa tesi è anche ufficializzata in risoluzioni delle NU — che i pirati fossero ex pescatori indotti a
delinquere dalla perdita di opportunità di lavoro nelle proprie acque per via della pesca intensiva d’altura
dei paesi occidentali come la Spagna. Oppure che la loro azione fosse una sorta di vendetta verso l’in-
quinamento massiccio dei mari antistanti alla Somalia (v.) messo in atto da attori occulti con l’affonda-
mento di rifiuti tossici. In realtà, la causa principale è forse imputabile alla disgregazione dello Stato

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somalo e alla nascita di bande criminali stanziate in approdi, come quello di Eyl nel Puntland, e dedite
a lucrare dai sequestri di mercantili per conto di gruppi armati.

4.2 Azione delle Nazioni unite


La reazione della comunità internazionale a tali fenomeni può farsi risalire al sequestro nel 2008 dello
yacht francese Le Ponant, quando apparve chiaro che il Consiglio di sicurezza delle NU non poteva che
adottare misure straordinarie. Il che fu fatto con la risoluzione 1816 (2008) la quale, riconoscendo la pi-
rateria somala come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, sulla base del capo VII della
Carta autorizzava gli Stati ad adottare tutte le «necessarie misure» chiedendo loro di dislocare in area
assetti navali. Questa risoluzione, come anche le altre di analogo contenuto emanate successivamente,
ha indicato nell’UNCLOS (e nel diritto consuetudinario in essa recepito) il quadro giuridico applicabile
alle attività di antipirateria con ciò escludendo la possibilità di far ricorso al diritto dei conflitti armati.
Tale impostazione giuridica, perfettamente attagliata alla realtà della pirateria somala, ha avuto due im-
plicazioni. Da un lato l’uso della forza contro i pirati è stato ritenuto configurabile solo entro i limiti della
inevitabilità, ragionevolezza, necessità e proporzionalità proprie delle attività marittime di enforcement
del tempo di pace delineate dalla giurisprudenza del Tribunale del diritto del mare (v.) nel caso Saiga (v.
Polizia dell’alto mare). Dall’altro, i pirati non sono stati considerati «legittimi combattenti» da annientare
o catturare come prigionieri di guerra ma banditi da assicurare, nel pieno rispetto dei diritti umani (ma
non del diritto umanitario), alla giustizia. D’altronde era già stato Cicerone, come già detto, a chiarire
che «il pirata non rientra fra i legittimi nemici di guerra, ma è il comune nemico di tutto il genere umano».
Un’apparente deroga a tale regime generale risiede nella facoltà concessa dalle Nazioni unite alle navi
da guerra in attività antipirateria di operare anche nelle acque territoriali somale. Com’è noto, l’alto mare
e le acque internazionali (v.) della ZEE e della zona contigua sono il teatro del contrasto alla pirateria,
mentre al di fuori di tali zone l’attività repressiva è un’esclusiva attribuzione dello Stato costiero che la
esercita nelle proprie acque interne e territoriali. Non è perciò possibile l’inseguimento di una nave pri-
vata che cerchi di sottrarsi alla cattura rifugiandosi nelle acque territoriali di un altro Stato (prassi del re-
verse hot pursuit), a meno del consenso di questo. Le Nazioni unite hanno quindi permesso in via
eccezionale, su autorizzazione del Transitional Federal Government (TFG) somalo, l’ingresso nelle acque
territoriali di Forze navali straniere. Questo spiega perché nelle varie risoluzioni si parlasse indifferen-
temente di interdizione della pirateria e dell’armed robbery, cioè a dire di quella forma di violenza in
acque interne e territoriali che, come già chiarito, esula dalla nozione di pirateria in senso stretto, ma che
presenta rilievo ai fini penali.

4.3 Problemi di giurisdizione


Il problema della giurisdizione esercitabile nei confronti dei pirati catturati si è rivelato cruciale nel-
l’ambito delle attività svolte al largo della Somalia. Sin dall’inizio delle operazioni antipirateria è stato,
infatti, evidente che il modus operandi di alcuni Stati presenti in area con loro navi da guerra era orientato
al rilascio, in prossimità delle coste somale, dei pirati catturati. Questo, sia per mancanza di volontà di
confrontarsi con le complesse questioni giudiziarie relative alla convalida di arresti eseguiti senza l’ac-
quisizione di validi strumenti di prova, sia per l’incapacità di processare i pirati per mancanza, nell’or-
dinamento giuridico nazionale, di norme punitive della pirateria. Per esempio, la corvetta danese Absalon,
dopo aver catturato 10 pirati e averli tenuti a bordo per sei giorni, li lasciò liberi sulle spiagge somale a
seguito di un provvedimento di chiusura delle indagini, per insufficienza probatoria, assunto dai giudici
del proprio paese.
Tale prassi (detta «catch and release») è stata contrastata dalle Nazioni unite che in varie sedi ha sollecitato
gli Stati che non l’avevano ancora fatto a dotarsi della necessaria legislazione incriminatrice. Peraltro, il
Consiglio di sicurezza delle NU ha cercato di mitigare l’ambigua formula dell’art. 105 dell’UNCLOS che
non impone agli Stati alcun obbligo di perseguire penalmente i pirati, indicando criteri per l’esercizio
della giurisdizione. È stato così che sin dalla prima risoluzione del 1816 (2008) è stato fatto appello a tutti
gli Stati e in particolare «agli Stati di bandiera, dei porti o rivieraschi, gli Stati della nazionalità delle vittime o dei
perpetratori di atti di pirateria o rapina armata, e altri Stati con giurisdizione rilevante in base al diritto internazionale
e alla legislazione nazionale, di cooperare nel determinare la giurisdizione». Di ciò ha tenuto conto l’Unione eu-

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ropea, sulla base del mandato dell’operazione navale antipirateria EUNAFVOR Atalanta approvato con
la Joint Action 2008/851/CFSP del 10 novembre 2008, nello stipulare accordi con Kenya, Seychelles, Mau-
ritius e Tanzania per il trasferimento dei pirati in custodia amministrativa sulle navi dopo la cattura. Da
notare infine che la comunità internazionale, a prescindere da tali accordi aventi natura contingente, ha
privilegiato la giurisdizione territoriale delle corti penali somale, scartando ogni altra ipotesi di affida-
mento della giurisdizione a tribunali internazionali già esistenti o da costituire ad hoc.

5. Pirateria golfo di Guinea


Le minacce alla sicurezza marittima mettono a rischio la stabilità degli spazi marittimi antistanti
Ghana, Togo Benin, Nigeria, Camerun, Guinea Equatoriale, paesi che si affacciano sul golfo di Guinea.
L’area è afflitta da varie forme di crimine organizzato, tra le quali, oltre alla classica pirateria e all’assalto
di impianti petroliferi offshore, un posto principale occupa l’armed robbery, forma di violenza propria delle
acque interne e territoriali. In effetti, se si guarda alla cartina a margine indicante la voluntary reporting
area, elaborata a iniziativa delle Marine di UK e Francia, dal Maritime Domain Awareness for Trade, Gulf of
Guinea (MDAT-GoG), ci si rende conto che la potenziale area di rischio ricade prevalentemente in zone
costiere, comprendendo tutt’al più gran parte della ZEE nigeriana. Nel golfo di Guinea è dunque im-
proprio parlare solo di pirateria dell’alto mare nel senso stretto definito dall’UNCLOS, ed è quindi fuor-
viante assimilare la sua situazione (caratterizzata anche da traffico di armi e droga collegato al crimine
transnazionale) a quella del Corno d’Africa. Ma c’è un altro fondamentale elemento di differenza: i paesi
che vi si affacciano, quali Ghana, Togo Benin, Nigeria, Camerun, Guinea Equatoriale, cooperano tra loro.
Con varie risoluzioni il Consiglio di sicurezza ha incoraggiato l’adozione di una strategia marittima re-
gionale, con il supporto di organizzazioni regionali come l’Economic Community of West African States
(ECOW AS), l’Economic Community of Central African States (ECCAS) e il Gulf of Guinea Commission (GGC).
Tale azione internazionale ha portato
al summit di Yaoundé del 2013, du-
rante il quale è stata approvata una
cooperazione regionale sviluppata
sotto gli auspici dell’IMO, basata su
un Memorandum of Understanding on
maritime safety and security in Central
and West Africa, oltre che un Code of
Conduct. Questa cooperazione regio-
nale — che ha assunto a modello
quella regolamentata, per il Corno
d’Africa, dal Djibouti Code of Con-
duct — ha fatto diminuire le attività
criminali in mare, anche se conti-
nuano a verificarsi episodi di depre-
dazione a mercantili. Per completare
il discorso va infine citato il contri-
buto, in termini di capacity building
marittimo ai paesi dell’area, da parte
del G7 Friends of the Gulf of Guinea
Group (G7++FOGG di cui fa parte
l’Italia) nonché quello fornito dagli
Stati Uniti con il programma Africa Voluntary reporting area del golfo di Guinea (Fonte: UKHS).
Partnership Station (APS).

6. Protezione mercantili
6.1 PCASP e VPD
Specifico rilievo ha infine avuto, nell’ambito delle misure per contrastare la pirateria somala, la que-
stione dell’imbarco sui mercantili di personale armato, per finalità di protezione ma non di contrasto,

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senza che con ciò si modificasse lo status dei mercantili rispetto a quello delle navi da guerra (da ricordare
che durante la Prima e la Seconda guerra mondiale era stata ammesso che i mercantili potessero essere
dotati di armamento limitato all’autodifesa).
Si tratta dell’impiego di personale civile (i così detti PCASP, acronimo di «privately contracted armed
security personnel»). O anche, in alternativa, di personale militare (i così detti VPD, acronimo di «vessel
protection detachment») il cui impiego fu raccomandato dall’IMO, con riguardo alla pirateria del Corno
d’Africa, nelle Best Management Practices Version 4 (BMP4) del 2011.
La possibilità per gli Stati, di autorizzare tali misure aggiuntive, va considerata espressione del loro
monopolio dell’uso della forza in mare da cui discende anche la regolamentazione dell’attività di VPD
e PCASP sui mercantili di bandiera nel quadro dei principi del genuin link (v. Nazionalità della nave)
stabiliti dall’UNCLOS. Esse si inquadrano, oltre che nel generale principio di legittima difesa, nell’auto-
rizzazione a usare all necessary means per prevenire e reprimere la pirateria concessa agli Stati dal Con-
siglio di sicurezza con varie risoluzioni.
La prassi dei PCASP ha avuto applicazione generalizzata da parte di tutti gli Stati, sia pur in assenza
di linee guida IMO che risolvessero i nodi della giurisdizione e dei limiti all’uso della forza nell’attività
di protezione del mercantile. Le soluzioni adottate sono state in ogni caso state improntate al rispetto
del principio — stabilito dalla Convenzione SOLAS 1974 (v. Sicurezza della navigazione) — relativo alle
funzioni prioritarie di comando del master del mercantile nei confronti di tutti i soggetti imbarcati,
PCASP compresi. Non altrettanto è invece avvenuto per i VPD. A partire dall’operazione Atalanta del-
l’Unione europea, il loro imbarco era stato previsto a protezione dei mercantili incaricati di trasportare
in Somalia gli aiuti del programma alimentare mondiale (WFP); successivamente, non ha tuttavia rice-
vuto ulteriore applicazione se si escludono le misure adottate da Francia («Equipes de protection Embar-
quée») operanti su navi da pesca di bandiera al largo delle Seychelles), da Spagna e Olanda.
Attualmente, al 2020, le misure raccomandate per l’autoprotezione dei mercantili sono indicate nelle
BMP5 «Best Management Practices to Deter Piracy and Enhance Maritime Security in the Red Sea, Gulf of Aden,
Indian Ocean and Arabian Sea, 2018».

6.2 Prassi Italia


(a) Nuclei militari di protezione (NMP) e Guardie giurate
Diverso il caso dell’Italia che com’è noto è stato l’unico paese ad aver regolamento in modo organico,
sia l’imbarco su mercantili di bandiera di personale militare dei Nuclei militari di protezione (NMP), sia
l’impiego sugli stessi mercantili di Guardie giurate. L’iniziativa era stata adottata dopo che numerosi
mercantili di bandiera italiana erano stati attaccati e sequestrati dai pirati, come il rimorchiatore Buccaneer
(2009), la M/C Savina Caylyn (2009), la M/N Rosalia D’Amato e la M/N Enrico Ievoli (2011).
Tale progetto fu poi disciplinato nell’articolo 5, commi l e 2, della Legge 2 agosto 2011, n. 130, preve-
dendo che il ministero della Difesa potesse stipulare con l’armatoria privata italiana convenzioni per
l’imbarco, a richiesta e con oneri a carico degli armatori, di NMP composti da personale della Marina.
La normativa disponeva inoltre che il personale dei NMP operasse in conformità alle direttive e alle re-
gole di ingaggio emanate dal ministero della Difesa, presupponendo quindi che esso fosse inserito nella
catena di comando militare senza alcun rapporto di subordinazione con il comando del mercantile. Al
comandante di ciascun nucleo, al quale faceva capo la responsabilità esclusiva dell’attività di contrasto
militare alla pirateria e al personale da esso dipendente, erano inoltre state attribuite, rispettivamente,
le funzioni di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria riguardo ai reati di pirateria di cui agli articoli
1135 e 1136 CN. Nello svolgimento dell’attività assegnatagli, il medesimo personale avrebbe beneficiato
dell’applicazione della causa di giustificazione secondo cui «non è punibile il militare che, nel corso delle
missioni…, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio, ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso
ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni
militari». La protezione delle navi battenti bandiera italiana era stabilita «nell’ambito delle attività interna-
zionali di contrasto alla pirateria... nelle aree di acque internazionali a rischio». Tali spazi denominati piracy
high risk area (HRA) erano stati definiti da un gruppo di coordinamento di associazioni marittime come
la International Chamber of Commerce in relazione a episodi di pirateria avvenuti nei mari tra il Corno
d’Africa e l’India. Al tempo, nel 2011, il loro limite orientale passava per la punta estrema del subconti-

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nente indiano, comprendendo quindi tutti gli spazi marittimi dell’India, incluso quello a 20,5 mn dalle
coste del Kerala dove avvenne il 15 febbraio 2012 l’episodio della Enrica Lexie. Tenendo anche conto dei
rapporti periodici dell’IMO e delle zone di operazione delle missioni anti pirateria EUNAVFOR «Ata-
lanta» e NATO «Ocean Shield», successivamente i limiti della HRA sono stati arretrati rispetto all’India
e al Mar Rosso. Al 2020 sono quelli della mappa sotto riportata.
L’Italia ha disposto la cessazione dell’imbarco dei NMP nel 2015 a seguito di apposita modifica legisla-
tiva, dopo che erano state eseguite circa 300 missioni di protezione dei mercantili di bandiera nazionale.
È invece ancora attiva la misura di autoprotezione delle Guardie giurate — rientrante, come detto,
nella prassi internazionale dei PCASP — che è stata da ultimo disciplinata dal Decreto del ministero del-

Piracy high risk area del Corno d’Africa (Fonte: UKHS).

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Glossario di Diritto del Mare

l’Interno 139-2019. Il provvedimento stabilisce il loro impiego a bordo delle navi mercantili battenti ban-
diera italiana che transitano in acque internazionali a rischio pirateria, le modalità per l’acquisto, l’im-
barco, lo sbarco, il porto, il trasporto e l’utilizzo delle armi (di difesa personale e di protezione della nave)
e del relativo munizionamento, nonché le modalità operative di svolgimento dei servizi a bordo. Da no-
tare che l’uso delle armi è consentito nei casi previsti dal codice penale e dalle leggi speciali in materia.
Sono inoltre fatti salvi poteri e responsabilità esclusive del comandante secondo gli articoli 186 e 295 CN.
L’art. 6, 2, b) del decreto dispone, infatti, che «per ogni nucleo di guardie giurate impiegato a bordo della nave
deve essere nominato un responsabile (team leader), individuato nella guardia avente maggiore esperienza, cui è
affidata l’organizzazione operativa del nucleo stesso, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento di servizio e
secondo le direttive del comandante della nave al quale lo stesso si deve sempre rapportare».

(b) Normativa penale italiana


Il Codice della navigazione del 1942 ha regolamentato il reato di pirateria punendolo con pena edittale
superiore nel minimo a cinque anni. La punibilità è prevista, oltre che per i cittadini italiani, anche per
gli stranieri implicati in atti di pirateria o «sospetta» pirateria. Non è stabilito alcun requisito territoriale
relativamente al locus commissi delicti sicché è punibile, com’è proprio della pirateria juris gentium, il fatto
commesso in alto mare. Da questo punto di vista l’azione penale può essere esercitata sulla base dell’ar-
ticolo 7, n. 5 del Codice penale relativo ai reati commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero per i
quali speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge
penale italiana (nel caso di specie l’art. 105 dell’UNCLOS). Le fattispecie penali contenute nel Codice
della navigazione sono:
— articolo 1135 - pirateria. «Il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di de-
predazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza
in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.
Per gli altri componenti dell’equipaggio la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo; per gli estranei la
pena è ridotta fino alla metà»;
— articolo 1136 - nave sospetta di pirateria. «Il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera,
fornita abusivamente di armi, che naviga senza essere munita delle carte di bordo, è punito con la reclusione da
cinque a dieci anni. Si applica il secondo comma dell’articolo precedente».
Il regime penale del Codice della navigazione è stato in parte integrato e modificato dalle norme spe-
ciali emanate con specifico riguardo alle operazioni navali al largo del Corno d’Africa svolte sotto l’egida
delle Nazioni unite. Il decreto legge 30 dicembre 2008, n. 209 convertito in legge dalla legge 24 febbraio
2009 n. 12, confermò tale regime generale, prevedendo all’art. 5 la competenza del tribunale di Roma.
Una deroga fu poi disposta con il Decreto Legge 15 giugno 2009, n. 61 stabilendo da un lato che la giu-
risdizione italiana era limitata ai soli reati di pirateria commessi a danno dello Stato, dei cittadini e dei
beni italiani, e dall’altro che, al di fuori di tali casi, si applicassero gli accordi per il trasferimento ai paesi
(Kenya, Seychelles, Mauritius e Tanzania) che avessero stipulato accordi con la UE per la consegna di
persone catturate nel corso di operazioni antipirateria. Da notare come la stessa normativa prevedesse
«la detenzione a bordo del vettore militare delle persone che hanno commesso o che sono sospettate di aver commesso
atti di pirateria, per il tempo strettamente necessario al trasferimento».

PLACE OF REFUGE (LUOGO DI RIFUGIO)


Vedi: Ricerca e soccorso in mare.

PLACE OF SAFETY (LUOGO SICURO)


Vedi: Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

POLIZIA DELL’ALTO MARE


1. Concetto e presupposti giuridici
Si definisce polizia dell’alto mare o, secondo la terminologia anglosassone, Maritime Law Enforcement
(MLE), l’esercizio in alto mare (v.), da parte delle navi da guerra (v.) di poteri di imperio (constabulary
powers) mediante inchiesta di bandiera (v.), fermo (stop), esercizio del diritto di visita (v.), assunzione di

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Glossario di Diritto del Mare

controllo (detention), dirottamento (divertion). La base legale della polizia dell’alto mare si rinviene prin-
cipalmente nell’art. 110 dell’UNCLOS che, con riguardo al diritto di visita, autorizza le navi da guerra
di tutte le nazioni a esercitare poteri autoritativi verso le navi mercantili non nazionali in caso di pirateria
(v.), tratta degli schiavi (v.), navigazione senza nazionalità o con bandiera di convenienza (v. Nazionalità
della nave), trasmissioni non autorizzate (v.). In aggiunta la cornice legale della polizia dell’alto mare è
costituita:
— dalla Convenzione di Parigi del 1884 concernente la protezione di cavi e condotte sottomarine (v.);
— dall’art. 17 della Convenzione di Vienna del 1988 contro il traffico illecito di stupefacenti e dall’Ac-
cordo di Strasburgo del 1995 che a esso dà applicazione (v. Traffico di stupefacenti in mare);
— dalla Convenzione di Roma del 1988 e dal Protocollo di Londra del 2005 (SUA Protocol) contro il
terrorismo marittimo (v.);
— dal Protocollo di Palermo del 2000 contro il traffico illegale di migranti in mare (v.);
— dai principi della Carta delle NU che autorizzano l’adozione di misure di embargo navale (v.).

2. Genesi e sviluppo
L’attualità della polizia dell’alto mare va ricercata nei nuovi scenari che caratterizzano l’attività delle
Marine, ovvero la fine dei confronti militari propri della Guerra fredda e l’avvio di una rinnovata fiducia
nella dimensione di sicurezza collettiva. In tale contesto, a una recessione delle minacce di natura militare,
ha fatto riscontro una maggiore preoccupazione per la crescita della criminalità internazionale che, pro-
prio nei mari aperti, ha trovato un terreno fertile e una via preferenziale di diffusione. La questione è
stata avvertita da tempo anche al di fuori dello stretto ambito militare; basti pensare che negli anni Ot-
tanta del secolo scorso a un grande studioso di strategia navale come sir James Cable (autore del celebre
Gunboat Diplomacy) che, nell’osservare come lo sviluppo della pirateria nell’oceano Indiano e lungo le
coste dell’Africa equatoriale avesse assunto proporzioni rilevanti, auspicava un ritorno al passato carat-
terizzato, soprattutto nell’Ottocento, da un’intensa ed efficace attività delle navi da guerra nella repres-
sione del fenomeno. Ben consce di questo loro ruolo, le Marine occidentali hanno avviato una
cooperazione in questo settore in modo da pervenire a una dottrina e una prassi addestrativa comune
tale da portare al Multilateral Maritime Law Enforcement (MMLE). In definitiva, si tratta di far si che le
navi da guerra ritornino a tenere in considerazione l’attività di sorveglianza sulla navigazione interna-
zionale che, sin dai tempi delle Marine a vela, è stata una delle loro funzioni più tipiche. In questa ottica
va vista l’esigenza che le Marine trovino, pur nei differenti vincoli derivanti dalle regolamentazioni na-
zionali, un terreno comune di applicazione delle pertinenti norme internazionali atto a facilitare la ne-
cessaria interoperabilità legale. Un tentativo è stato fatto dalla nostra Marina nel 2011 con l’ltalian Navy
Non-Paper on the Identification of the Current Legal Gaps Preventing the Most Effective Use of Maritime Forces
in Maritime Law Enforcement (MLE), in the Framework of Maritime Security Operations (MSo), denominato
«Policing the High Sea».

3. Limiti all’uso della forza


L’uso della forza nell’ambito dello svolgimento delle funzioni di polizia dell’alto mare è consentito
secondo le modalità e i limiti previsti dal diritto internazionale. La principale norma positiva di riferi-
mento è, come detto, l’art. 110 dell’UNCLOS. Rilevanti sono tuttavia i principi di diritto internazionale
generalmente accettati, applicabili in tempo di pace all’enforcement navale, quali quelli di proporzionalità,
necessità e ragionevolezza. A questo riguardo va ricordato il seguente dictum della sentenza del Tribunale
arbitrale Guyana/Suriname del 2007: «The Tribunal accepts the argument that in international law force may
be used in law enforcement activities provided that such force is unavoidable, reasonable and necessary (para 445)».
In particolare: 1) il concetto di proporzionalità va riferito al bilanciamento tra il bene da proteggere (per
esempio, la sicurezza dei traffici marittimi, e quello che sarebbe danneggiato dall’azione violenta, tenendo
conto del fatto che la protezione dell’integrità fisica della persona è in ogni caso prioritaria e che la deadly
force volta a uccidere l’avversario è ammissibile solo nell’ambito di un conflitto armato e non in situazioni
diverse quali il contrasto della pirateria (v.) ricadenti sotto il regime dell’UNCLOS; dal punto di vista
della proporzionalità vanno anche tenuti presenti gli aspetti relativi alle dimensioni della nave che in-
terviene rispetto a quelle dell’imbarcazione da abbordare; 2) la ragionevolezza è connessa alla propor-

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Glossario di Diritto del Mare

zionalità nel senso che è ragionevole il livello di uso della forza commisurato alle specifiche circostanze
al fine di minimizzare il danno a beni e persone; 3) la necessità implica il rispetto di tutte le salvaguardie
operative previste oltre alla valutazione dell’opportunità di adottare tutte le possibili alternative all’uso
della forza, inclusa la scelta di posporre l’azione.
Circa le modalità dell’abbordaggio, l’art. 110 dell’UNCLOS non contiene alcuna prescrizione all’infuori
di quella dell’«invio di una lancia al comando di un ufficiale» che si riferisce alla fase iniziale dell’attività ispet-
tiva del team di abbordaggio. Quanto ai mezzi per costringere un’imbarcazione a fermarsi per essere sot-
toposta a visita è necessario, in assenza di regole codificate, rifarsi a decisioni di corti internazionali come
quella — già citata a proposito delle modalità di esercizio del diritto di inseguimento (v.) — del caso giu-
dicato dall’ITLOS con sentenza del 1999 relativo a Saint Vincent and Grenadines, M/V «Saiga» (n. 2) in
cui si legge (para 153-159): «[T]he use of force must be avoided as far as possible and, where [...] unaivoídable, it
must go beyond what ís reasonable and necessary in the circumstances [...] The normal practice [...] is first to give
an auditory or visual signal to stop, using internationally recognized signals. Where this does not succeed, a variety
of actions may be taken, including the firing of shots across the bows of the ship. It is only after the appropriate
actions fail that the pursuing vessel may, as a last resort, use force. Even then, appropriate warnings must be issued
[...] and all efforts should be made to ensure that Iife is not endangered (para 155)». Illuminante è in proposito,
nella sua semplicità, il richiamo contenuto nell’art. 8 bis del Protocollo di Londra del 2005 (SUA Protocol)
al fatto che le attività di abbordaggio «must take in due account the necessity nót to endanger the safety of life
at sea». Connessa a tale obbligo di non porre in pericolo, durante lo svolgimento delle funzioni di polizia
dell’alto mare, la sicurezza della vita umana in mare è la questione del rispetto letterale delle COLREGS
72 (v. Prevenzione attività pericolose in mare). Ulteriori limitazioni all’uso della forza in mare possono
derivare dall’osservanza di leggi nazionali, regolamentazioni e direttive di comportamento emanate dalle
competenti autorità della nave da guerra impegnata in compiti di MLE. Anche gli obblighi nel campo dei
diritti umani (v. Diritti dell’uomo in mare) assunti dallo Stato di bandiera della stessa nave presentano
specifico rilievo ai fini del rispetto della persona dei marittimi, di imbarcazioni oggetto di attività coercitive
o di soggetti da essi trasportati (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare).

4. Ruolo delle Marine nell’ambito della funzione di Guardia costiera


Il problema della titolarità a svolgere funzioni di polizia dell’alto mare da parte di navi pubbliche pre-
senta aspetti diversi a seconda della regolamentazione interna dei singoli Stati. In termini generali l’es-
senza della questione sta nel postulato secondo cui le navi da guerra sono titolari di diritti e responsabilità
per la vigilanza sulla legalità dei traffici marittimi in alto mare (blue waters) mentre il naviglio delle Forze
di Guardia costiera e di polizia limita generalmente le sue attività nelle acque territoriali e interne (brown
and green waters). L’UNCLOS, in effetti, ha esteso (sia pur in via eccezionale) al «diritto di visita», il tra-
dizionale potere di «diritto d’inseguimento» spettante in alto mare alle navi in servizio governativo non
commerciale (v.) nel cui ambito vanno classificate parte delle unità che operano sul mare e al di fuori
dell’ordinamento delle Marine da guerra. Un altro elemento da considerare da questo punto di vista, è
che l’UNCLOS, all’articolo 29, ha ampliato la nozione di nave da guerra (v.) consentendo ai singoli Stati
di considerare tali anche altre unità facenti parte delle Forze armate ma non delle Marine in senso stretto.
Sulla base di tali premesse appare evidente come la competenza delle singole Marine in materia di polizia
dell’alto mare, secondo l’ordinamento internazionale e le rispettive leggi nazionali, non escluda il con-
corso, nelle materie di loro competenza, delle Forze di Guardia costiera e di polizia nella vigilanza sulla
legalità dei traffici marittimi internazionali. Per converso le Marine, per fronteggiare le nuove minacce
alla sicurezza (v. Sicurezza marittima) dei mari che si presentano come un continuum dall’alto mare alle
acque territoriali e interne, hanno sviluppato il loro ruolo di attori non militari nello svolgimento di com-
piti attribuiti alle Forze di Guardia costiera e di polizia. Si pensi alla prevenzione, controllo e contrasto
del traffico illegale di migranti, alla protezione dell’ambiente marino (v.) o alla ricerca e soccorso in mare
(v.).Tutto ciò ha trovato collocazione nel concetto di «funzione di guardia costiera» elaborato dall’Unione
europea (v.) nell’ambito della sua Maritime Security Strategy (EUMSS) del 2014. È chiaro, comunque che,
in senso stretto, il concetto di polizia dell’alto mare va riferito solo alle Marine. Per evitare ambiguità è
dunque preferibile circoscrivere le competenze delle Forze di Guardia costiera e/o di polizia nell’ambito
della specifica «polizia marittima» o anche, per usare altra terminologia, alla «sicurezza del mare».

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Glossario di Diritto del Mare

5. Disciplina ordinamento italiano


5.1 Polizia marittima
La polizia marittima è appunto il termine con cui si indica il complesso delle funzioni di prevenzione
e repressione devolute, quale autorità marittima (v.), al Corpo delle capitanerie di porto, per mezzo delle
unità della Guardia costiera istituita con Decreto interministeriale (Marina mercantile-Difesa) dell’8 giu-
gno 1989. Secondo questo decreto, le sue competenze riguardano i settori della sicurezza della naviga-
zione, della ricerca e soccorso in mare (v.), della protezione dell’ambiente marino (v.) e della pesca (v.),
con un campo di azione che può spingersi sino all’alto mare ma che è sostanzialmente limitato alla fascia
costiera delle acque interne e delle acque territoriali oltre che alla zona contigua (v.) e alla Zona di pro-
tezione ecologica (v. la voce ZEE). La disciplina delle attività devolute al Corpo delle capitanerie di porto-
Guardia costiera è stata in anni recenti inserita nel Codice dell’Ordinamento Militare (COM), agli articoli
132-137. Tra di esse vi è il «pattugliamento e la sorveglianza della fascia costiera» (art. 132, 2, a), 2), funzione
che comprende anche il controllo sul rispetto, da parte delle navi (mercantili e da guerra) straniere, delle
condizioni che legittimano l’esercizio del transito inoffensivo (v.) e del soggiorno nelle acque di giuri-
sdizione italiana (v. Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane).

5.2 Sicurezza del mare


Al Corpo della guardia di finanza è invece devoluta la c.d. «sicurezza del mare». Le leggi succedutesi
nel tempo hanno inizialmente stabilito (L. 23 aprile 1959, n. 189) che il Corpo debba «eseguire la vigilanza
in mare per fini di polizia finanziaria e concorrere ai servizi di polizia marittima, di assistenza e di segnalazione»:
il che comporta attribuzioni primarie nei settori del contrasto al contrabbando, e del traffico illecito di
stupefacenti (v.) i quali possono esplicarsi in alto mare, ratione materiae nei casi in cui si verifichino i pre-
supposti per l’esercizio del diritto di inseguimento (v.). Lo svolgimento in mare di questi compiti da
parte del Corpo della guardia di finanza è regolamentato dal D.LGS. 19 marzo 2001, n. 68, che prevede
funzioni esclusive di polizia economica e finanziaria in mare. Con D.LGS. 19 agosto 2016, n. 177, sulla
razionalizzazione delle funzioni di polizia è stato inoltre disposto, all’art. 2, c., che è attribuita al Corpo
della guardia di finanza la «sicurezza del mare»; concetto che va correlato alle specifiche attribuzioni
nella materia dell’ordine e sicurezza pubblica in mare che il Corpo è delegato a svolgere per conto del
ministero dell’Interno.

5.3 Polizia dell’alto mare


La «polizia dell’alto mare» è, come detto, funzione precipua delle navi da guerra della Marina Militare.
Il riconoscimento legislativo di questa attività istituzionale e dei suoi aspetti internazionali è stato attuato
con la seguente regolamentazione dell’art. 111, lett. a) del Codice dell’Ordinamento Militare (COM):
«Rientrano nelle competenze della Marina Militare, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente: a) la vigi-
lanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare
territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi da guerra negli spazi marittimi
internazionali dagli articoli 200 e 1235, primo comma, numero 4, del Codice della navigazione e dalla legge 2 di-
cembre 1994, n. 689, nonché di quelle relative alla salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali,
ivi compreso il contrasto alla pirateria».
Passando ad analizzare nel dettaglio tale articolo ne possiamo specificare le singole funzioni nel modo
che segue:
(a) funzione polizia dell’alto mare demandata alle navi da guerra. La norma delinea in modo compiuto le
attività istituzionali e prioritarie di vigilanza negli spazi acquei extraterritoriali, vale a dire l’alto mare vero
e proprio, nonché le ZEE a esso equiparate ai fini della libertà di navigazione. Le funzioni esercitate, aventi
carattere permanente, sono militari nei mezzi impiegati, ma non militari quanto alle finalità e alle regole
di comportamento (l’uso della forza è l’estrema ratio, ma essa deve essere non letale, a differenza di quella
bellica). La stessa UNCLOS, citata dal COM facendo riferimento alla Legge di ratifica 689-1994, è dunque
la fonte principale di legittimazione delle attività non militari svolte dalla Marina in alto mare compresa la
«salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria». Si tratta,
infatti, dell’esplicazione di un principio di competenza a carattere generale (non quindi per materia) nel-
l’ambito spaziale dell’alto mare, basato appunto sulla fonte primaria dell’UNCLOS. Quanto al contrasto

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Glossario di Diritto del Mare

della pirateria, la norma ne afferma la natura istituzionale, non limitata a singole missioni come avvenuto
nel passato. Seguendo un criterio di disciplina sistematica della materia, il COM, nel medesimo art. 111,
inserisce inoltre due ulteriori funzioni. La prima è la polizia marittima sulle navi mercantili nazionali attribuita
dall’art. 200 CN, in alto mare e nelle acque territoriali straniere, alle navi da guerra italiane, quali organi
dello Stato incaricati di prevenire e reprimere eventuali illeciti sottoposti alla giurisdizione di bandiera. La
seconda, relativa all’attività di polizia giudiziaria in mare, che l’art. 1235, n. 4 CN affida ai comandanti delle
navi da guerra nazionali — qualificandoli appunto come «ufficiali di polizia giudiziaria per gli atti che compiono
su richiesta dell’autorità consolare o, in caso di urgenza, di propria iniziativa». Per immaginare la casistica di ri-
ferimento si può pensare alle attività svolte in alto mare dai nostri comandanti, sotto la direzione funzionale
dell’autorità giudiziaria, nel corso delle operazioni di contrasto della pirateria del Corno d’Africa. Ma anche
all’accertamento delle violazioni alle norme sulla pesca o sulla protezione ambientale;
(b) Vigilanza a tutela degli interessi nazionali. All’UNCLOS sono anche legati altri fondamentali compiti
assegnati alla Marina e cioè quelli che l’art. 111, 1 del COM indica come «vigilanza a tutela degli interessi na-
zionali e delle vie di comunicazione marittime». Si tratta di due distinte funzioni che vanno perciò esaminate
separatamente. Iniziando a trattare della vigilanza a tutela degli interessi nazionali deve osservarsi che non
è semplice valutare la portata degli interessi marittimi italiani, stante la mancanza di una strategia marittima
nazionale che li definisca. Tuttavia, la dimensione economica del cluster marittimo nazionale (circa 3% del
PIL e quasi 500.000 occupati secondo le più recenti statistiche) emerge con forza in modo incontrovertibile.
L’armamento italiano, con circa 17 milioni di tonnellate di naviglio di bandiera (considerando il genuine
link tra società armatoriale/nave/bandiera) è il quarto nel mondo e il secondo in Europa. L’Italia dipende
dal mare perché paese importatore di materie prime ed esportatore di prodotti manifatturieri: di qui l’esi-
genza di disporre di un’adeguata flotta mercantile. Altrettanto rilevante è il settore pesca (al secondo posto
in Europa) con i suoi circa 12.000 pescherecci e 60.000 addetti che praticano parte della loro attività in zone
di alto mare. Ben conosciuta è inoltre l’importanza dell’offshore energetico nelle aree di piattaforma conti-
nentale italiana in cui è autorizzata l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, attività di rilievo strategico
per limitare la dipendenza energetica dall’estero. I nostri fabbisogni energetici viaggiano via mare sia su
petroliere e gasiere, sia tramite gasdotti (v. Cavi e condotte). Quando si parla di protezione degli interessi
marittimi nazionali affidata dal COM alla Marina, è dunque a tutto questo che bisogna pensare e cioè al-
l’integrità dei nostri assetti marittimi e delle infrastrutture energetiche. Un ulteriore aspetto dell’interesse
nazionale attiene alle aree della piattaforma continentale italiana non ancora delimitate da accordo con gli
Stati frontisti su cui questi accampano pretese contrastanti. Basti pensare alla vasta zona del Mediterraneo
che si estende verso est tra l’Italia, Malta, la Libia e la Grecia, oppure a quella tra noi e l’Algeria. Al riguardo,
la convenzione del 2015 tra la Marina e il ministero dello Sviluppo economico prevede già che la Forza ar-
mata collabori relativamente a «sorveglianza e controllo degli impianti e delle aree marittime di possibile sfrutta-
mento del sottosuolo di competenza nazionale, al fine di prevenire e rilevare lo svolgimento di attività non autorizzate».
Proficuo è anche il supporto informativo che, in questo campo, viene fornito al ministero degli Affari esteri
e della cooperazione internazionale, ai fini di eventuali azioni di protesta diplomatica;
(c) Vigilanza vie di comunicazione marittime. Circa la funzione di vigilanza a tutela delle vie di comuni-
cazione marittime che il COM (art. 110.1) esplicitamente indica, va notato preliminarmente che si tratta
di un ruolo storico di primaria importanza svolto dalla nostra Marina al pari delle altre Marine. In Italia
il legame tra Marina Militare e quella che un tempo veniva definita Marina mercantile è stato sempre
ben saldo e cementato da una comunanza di intenti e tradizioni sotto l’unica bandiera navale nazionale.
La libertà di navigazione del naviglio di bandiera italiana è condizione irrinunciabile per assicurare i traffici
marittimi che, come abbiamo visto, sono la linfa vitale della nostra economia. Le minacce che possono
insidiarla attengono sia alla tendenza di alcuni paesi a esercitare forme di giurisdizione esclusive non in
linea con l’UNCLOS (v. Libertà dei mari), sia alla criminalità marittima. Ecco dunque che la navigazione
commerciale lungo le principali vie di comunicazione (le SLOCs dall’acronimo di sea lines of communica-
tions) va costantemente vigilata dalle Forze navali. Le direttrici del traffico marittimo di interesse italiano
si concentrano lungo le vie di transito di Gibilterra, Suez, Bab el-Mandeb e Hormuz. Ed è qui, in quel-
l’area geostrategica che viene definita Mediterraneo allargato (v. Geopolitica del mare), che la nostra Marina
esplica prevalentemente le sue attività di vigilanza;
(d) Sorveglianza prevenzione inquinamenti. Una specifica funzione a connotazione civile attribuita alla

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Glossario di Diritto del Mare

Marina è la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti nell’ambiente marino (cui è associato
l’accertamento delle relative infrazioni) nelle acque della nostra ZPE (v. Protezione ambiente marino-
Mediterraneo). Dalla lettura del combinato-disposto delle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 115 dello
stesso COM si traggono indicazioni per affermare l’attuale vigenza di questo importante compito di pro-
tezione ambientale, inizialmente previsto dalla Legge 31 dicembre 1982 n. 979 sulla Difesa del Mare cui
si deve il finanziamento dei pattugliatori classe «Costellazioni». Le unità di questa classe avrebbero do-
vuto essere impiegate per la vigilanza nelle ZEE. Stante la temporanea rinuncia dell’Italia a istituirle,
può dirsi che la funzione è attualmente limitata alla sorveglianza ambientale nella ZPE creata nel Mar
Ligure e nel Tirreno, o in futuro in quelle potranno essere istituite. Non va dimenticato, peraltro, che il
contrasto dell’inquinamento marino è elemento non secondario della sicurezza marittima (v.);
(e) Vigilanza immigrazione irregolare via mare. Un discorso a parte va fatto per quelle che il Decreto del
ministero dell’Interno 19 luglio 2003 (emanato di concerto con Difesa, Finanze e Trasporti) definisce come
«attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare». Il ruolo della Marina è
disciplinato da questo decreto, sulla base del TU dell’immigrazione (D.LGS. 286-1998) come modificato
dalla legge Fini-Bossi del 2002, in modo duplice: da un lato la Marina esplica funzioni concorsuali alle
Forze di polizia nelle acque territoriali e nella zona contigua; dall’altro, la Forza armata ha competenza
primaria per il contrasto del traffico di migranti negli spazi marittimi extraterritoriali, cui concorrono le
Forze di polizia. Non c’è bisogno di dire, infine, che una cosa sono le attività di vigilanza antimmigra-
zione e un’altra quelle di soccorso di cui la Marina è tributaria, in forma concorsuale, nei confronti del-
l’autorità nazionale SAR competente, secondo il D.P.R. 662-1994.

PORT STATE CONTROL


Vedi: Sicurezza marittima.

PORTI CHIUSI
Vedi: Ricerca e soccorso in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

PRESENZA COSTRUTTIVA
Vedi: Diritto d’inseguimento.

PREVENZIONE DELLE ATTIVITÀ PERICOLOSE IN MARE


1. Regolamentazione generale
La materia rientra nell’ambito più vasto della sicurezza della navigazione (v. Sicurezza marittima) e
in particolare di quello specifico settore disciplinato dal «regolamento internazionale per prevenire gli
abbordi in mare» allegato alla convenzione di Londra del 20 ottobre 1972 (nota come COLREGS 72).
Questa regolamentazione si applica in alto mare (v.), nella ZEE (v.), nella zona contigua (v.) e anche, a
meno che lo Stato costiero abbia stabilito norme differenti, nelle acque territoriali (v.) e nelle acque interne
(v.) «a tutte le navi» e quindi, in teoria, anche alle navi da guerra (v.). In realtà, c’è da chiedersi se l’appli-
cabilità alle navi da guerra sia da intendersi limitata alla normale navigazione delle stesse navi (per tra-
sferimento o esercitazione) e non all’attività di polizia dell’alto mare (v.) con speciale riguardo all’esercizio
del diritto di visita (v.) o del diritto d’inseguimento (v.).

2. Peculiarità attività Maritime Law Enforcement


Il problema è che le COLREGS prevedono particolari regole (articoli 6, 7 e 8) concernenti la velocità
di sicurezza, il pericolo di collisione e le manovre anticollisione che, ove osservate alla lettera dalle navi
da guerra, determinerebbero, di fatto, l’impossibilità di condurre a termine le attività di MLE. Resta
fermo, ovviamente, che i principi regolatori delle stesse attività presuppongono la necessaria perizia ma-
rinaresca, tenendo conto del rispetto della vita umana e dei correlati criteri di necessità e proporzionalità.
In proposito va peraltro considerato che le navi da guerra — ma il discorso vale anche per quelle in ser-
vizio governativo (v.) — sono diverse da quelle mercantili perché possiedono caratteristiche costruttive,
in termini di velocità e capacità di manovra, che consente loro, in virtù dell’addestramento, di operare

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Glossario di Diritto del Mare

in sicurezza in spazi ristretti e a distanze ravvicinate. Il problema va risolto, sulla base dell’analisi del
testo dell’art. 110 UNCLOS condotta alla luce del brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Questo porta
a ritenere che la stretta applicazione delle stesse regole nell’ambito della polizia dell’alto mare non solo
non è formalmente prevista ma in qualche modo potrebbe contraddire gli scopi per cui queste funzioni
vengono riconosciute ed esercitate da unità navali concepite e addestrate per manovrare in sicurezza.
Indicazioni in senso contrario si traggono tuttavia dalla sentenza nel 2016 del tribunale arbitrale inca-
ricato di decidere il caso China-Filippine (v. Isole). La Corte, con riguardo alle manovre di harassment ef-
fettuate da unità navali cinesi per contrastare la vigilanza di motovedette filippine nella pretesa ZEE
cinese della secca di Scarborough, ha affermato che «China has, by virtue of the conduct of Chinese law en-
forcement vessels in the vicinity of Scarborough Shoal, created serious risk of collision and danger to Philippine
vessels and personnel. The Tribunal finds China to have violated Rules 2, 6, 7, 8, 15, and 16 of the COLREGS and,
as a consequence, to be in breach of Article 94 of the Convention» (para 1109 della sentenza).

3. Misure navali confidenza reciproca


Lo specifico settore dei pericoli connessi alla sorveglianza reciproca tra flotte militari in zone marittime
ravvicinate, al di fuori delle acque territoriali o interne, costituisce oggetto di specifici accordi stipulati
dall’ex Unione Sovietica (v. Successione tra Stati) con gli Stati Uniti (è l’accordo di Mosca del 25 marzo
1972 noto come INCSEA 1972), la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, la Spagna. Un accordo di que-
sto tipo è anche quello tra Italia e Russia del 30 novembre 1990. Lo scenario di riferimento di simili intese
è quello del periodo della Guerra fredda, quando le flotte dei paesi NATO e del patto di Varsavia usavano
tallonarsi a vicenda controllando da vicino lo svolgimento delle operazioni navali della parte avversa e
ostacolandole, a volte, con manovre deliberate di harassment, sì da creare effettivo pericolo per la navi-
gazione. Il Memorandum of Understanding Stati Uniti-Cina del 2014 rientra egualmente nel genus delle
confidence security building measures (CSBM) (v. Disarmo navale), in quanto contiene «Rules of behaviour
for safety of military vessels and military aircraft of the two Sides when they encounter». L’intesa s’inquadra
nell’ambito dei principi non vincolanti, sottoscritti nel 2014 tra i paesi partecipanti al Western Pacific Naval
Symposium, delle regole di comportamento previste dal Code for Unplanned Encounters at Sea (CUES).
Un particolare accordo ascrivibile alle stesse CSBM è l’intesa tecnica tra la Marina Militare italiana e
la Marina Militare tunisina (Armèe de Mer Tunisienne) riguardante misure pratiche destinate a evitare gli
incidenti in mare e a facilitare la cooperazione operativa, firmato a Roma il 10 novembre 1998. L’intesa
era finalizzata a evitare i ricorrenti incidenti tra le rispettive unità impiegate in attività di sorveglianza
della pesca nella zona del «Mammellone» (v.). Con esso le due Marine si sono impegnate a far sì che le
rispettive unità di pattugliamento impiegate al di là delle acque territoriali in compiti di sorveglianza e
protezione di diritti e interessi nazionali: 1) svolgano la loro attività, ivi compreso ove possibile, l’uso
delle armi, nel rispetto dei principi e delle norme del diritto internazionale; 2) rispettino, in caso di in-
contro, la misura di sicurezza di adottare una velocità di 10 nodi non avvicinandosi a una distanza infe-
riore a 500 yards e segnalando le proprie intenzioni attraverso un codice di segnali speciali ad hoc; 3) si
scambino informazioni via radio, sulla situazione in atto nell’area sorvegliata anche con riguardo a even-
tuali interventi su navi battenti bandiera dell’altra parte.
In conformità con la prassi internazionale vigente, le esercitazioni al di fuori delle acque territoriali,
le quali possano rappresentare un pericolo per la navigazione marittima o aerea, debbono comunque
essere preannunciate con avviso ai naviganti o avviso agli aeronaviganti (NOTAM) (v. Zone pericolose
per la navigazione e il sorvolo).

PRINCIPIO PRECAUZIONALE
Vedi: Pesca;
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo).

PROLIFERATION SECURITY INITIATIVE (PSI)


L’origine della proliferation security iniziative (PSI) avviata dagli Stati Uniti nel 2003, dopo il caso del
2002 della nave cambogiana So San (noleggiata dalla Corea del Nord per trasportare missili «Scud» de-
stinati allo Yemen e abbordata in acque internazionali da Spagna e Stati Uniti) è da mettersi in relazione

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Glossario di Diritto del Mare

con il pericolo che armi di distruzione di massa, chimiche, batteriologiche o nucleari cadano in mano di
terroristi. L’iniziativa, cui aderiscono vari paesi tra cui Australia, Canada, Danimarca, Francia, Germania,
Giappone, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Singapore e Spagna, ha portato
all’approvazione, il 5 settembre 2003, dello «Statement of Interdiction Principles» con cui, nel quadro
della posizione espressa dalle NU, che considera la proliferazione di «weapons of mass destruction» (WMD)
come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, è stato stabilito l’impegno ad adottare effet-
tive misure per impedire il loro trasporto da/verso Stati interessati a svilupparle o ad acquisirle unita-
mente ai loro sistemi di lancio e ai relativi materiali.
Tali misure, per quanto lo consenta il diritto interno dei paesi aderenti e i loro obblighi internazionali,
dovrebbero consistere: 1) nel consentire l’abbordaggio e la visita, nelle proprie acque territoriali (v.) e in
acque internazionali (v.), di mercantili di bandiera ragionevolmente sospettati di essere coinvolti nel traf-
fico di WMD ovvero anche la loro cattura; 2) nello stabilire che l’ingresso nelle proprie acque territoriali
di mercantili stranieri coinvolti negli stessi traffici sia sottoposto alla condizione che si possa richiedere
il loro fermo o la loro cattura. È inoltre previsto che eguali misure si applichino nei confronti di aeromobili
in transito nello spazio aereo (v.) nazionale.
Il primo caso di applicazione della PSI si è avuto proprio in Italia. Nel settembre 2003 la nave (di ban-
diera Antigua e Barbuda noleggiata da armatore tedesco) BBC China diretta in Libia, trasportante migliaia
di pezzi per centrifughe impiegate nel procedimento di arricchimento dell’uranio, ha ricevuto l’ordine
dalle autorità tedesche, dopo l’uscita dal canale di Suez (v.), di cambiare la propria rotta verso il porto di
Taranto ove è entrata con il consenso delle autorità italiane che hanno poi sequestrato il carico illegal-
mente trasportato.
È evidente come la PSI sia espressione di linee guida di policy adottate dagli Stati aderenti, ma non co-
stituisca di per sé una base giuridica giustificativa di attività di interferenza con la libertà di navigazione.
Allo stato del diritto internazionale vigente la PSI, nel quadro dell’UNCLOS, si fonda unicamente, difatti,
sul consenso dei paesi di bandiera e non può considerarsi rientrante, in senso stretto, nell’ambito delle
misure di interdizione marittima (v.). Di rilievo è tuttavia, sul piano giuridico, il fatto che la Risoluzione
del Consiglio di sicurezza 1540 (2004) apprestasse uno specifico quadro legale per le attività di preven-
zione delle WMD, considerando la proliferazione delle WMD, sulla base del capitolo VII della Carta,
come una minaccia globale per la sicurezza internazionale.

Vedi anche: Terrorismo marittimo; Zona di identificazione marittima.

PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO


1. Principi generali
Gli Stati hanno l’obbligo di proteggere e preservare l’ambiente marino (UNCLOS, 192). A questo fine
possono emanare norme per prevenire i vari tipi di inquinamento marino provenienti da terra, da attività
svolte sui fondi marini soggetti alla giurisdizione nazionale o nell’area internazionale dei fondi marini
(v.), da immersione, dall’atmosfera, o da navi. La competenza in materia di prevenzione e repressione
dell’inquinamento marino derivante da navi spetta allo Stato costiero nell’ambito delle acque territoriali
(v.) o della ZEE (v.). In questo quadro può essere stabilito che il rispetto di particolari requisiti antinqui-
namento sia una condizione per la navigazione di navi straniere nelle acque territoriali e nella ZEE.
L’inosservanza di tali condizioni legittima l’esercizio di poteri di polizia da parte dello Stato costiero
(UNCLOS, 220) che, ove esistano prove dell’illecito commesso, può sottoporre a fermo e sequestro la
nave. Nel caso in cui il rilascio della nave fermata non avvenga prontamente lo Stato di bandiera può
deferire (UNCLOS, 292,1) la questione della revoca del fermo a qualsiasi corte o tribunale designato di
comune accordo con lo Stato costiero, ovvero, in mancanza di accordo, a un tribunale la cui giurisdizione
sia stata preventivamente accettata dallo Stato che ha proceduto al fermo (UNCLOS 287) ovvero al tri-
bunale internazionale per il diritto del mare (v.). Per ciò che concerne le navi a propulsione nucleare o
trasportanti materiale nucleare è appositamente previsto (UNCLOS, 23), ai fini del transito inoffensivo
(v.) nelle acque territoriali, il possesso di una specifica documentazione di sicurezza nonché il rispetto
di particolari misure precauzionali stabilite dalla normativa internazionale, il cui testo fondamentale è
la convenzione di Londra del 1974 sulla sicurezza della navigazione (v. Sicurezza marittima).

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Glossario di Diritto del Mare

Allo Stato costiero spettano poteri di intervento anche al di fuori delle proprie acque territoriali per
evitare che da un sinistro marittimo avvenuto in alto mare (v.) possano derivare danni da inquinamento
di notevoli proporzioni alle proprie coste e alle aree marine adiacenti (UNCLOS 221). Lo Stato del porto
in cui si trovi una nave che abbia causato un inquinamento in alto mare può inoltre instaurare un pro-
cedimento giudiziario nei confronti dell’unità sospettata di aver commesso il fatto (UNCLOS 218). Qua-
lora l’inquinamento sia avvenuto in zone di mare soggette alla giurisdizione di un altro Stato è necessario
che questi autorizzi l’esercizio dell’azione giudiziaria.
L’assistenza reciproca tra gli Stati, per contrastare l’inquinamento marino, costituisce oggetto della In-
ternational Convention on Oil Pollution Preparedness, Response and Cooperation, 1990 (OPRC). Gli Stati,
attraverso le competenti organizzazioni internazionali possono stabilire regole e standard internazionali
per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento proveniente da navi; a questo fine possono anche adot-
tare sistemi di separazione del traffico in modo da minimizzare i pericoli di sinistri che possano causare
danni all’ambiente marino (UNCLOS 221). Un altro provvedimento adottabile a questo fine, secondo UN-
CLOS 211, 6, è la creazione su autorizzazione dell’IMO di un’area marina particolarmente sensibile (v.)
Le navi da guerra (v.) e le navi in servizio governativo (v), essendo dotate di immunità sovrana (v.),
sono del tutto esentate dall’osservanza della normativa internazionale in materia di protezione ambien-
tale (UNCLOS 236). Nessuna limitazione riguardante la materia può dunque essere loro imposta dallo
Stato costiero per condizionarne il transito nelle zone di propria giurisdizione. Lo Stato di bandiera deve
tuttavia fare in modo che sia assicurato egualmente il rispetto della normativa ambientale mediante
l’adozione di appropriate misure che non ne diminuiscano la capacità operativa. Analoga esenzione è
prevista dalla International Convention for the Prevention of Pollution from Ships, 1973 (MARPOL): la
convenzione ha, a oggetto, il divieto di scaricare in mare sostanze inquinanti ed è corredata da allegati
riguardanti la prevenzione dell’inquinamento causato da: idrocarburi (allegato I); sostanze liquide dan-
nose trasportate alla rinfusa (allegato II); sostanze liquide trasportate in colli, contenitori, cisterne mobili
ecc. (allegato III); acqua usata dalle navi (allegato IV) e rifiuti delle navi (allegato V). L’attuazione, nel-
l’ordinamento italiano, del regime di prevenzione stabilito dalla MARPOL è avvenuta con la Legge 31
dicembre 1982 n. 979 sulla Difesa del Mare che vieta a tutte le navi di versare idrocarburi o altre sostanze
nocive nelle acque territoriali o interne del nostro paese. La stessa legge impone anche alle navi nazionali
di non scaricare in mare tali sostanze al di fuori delle acque territoriali italiane.
Si propone finalità di protezione dell’ambiente marino (oltre che della sicurezza della navigazione)
anche la convenzione di Nairobi del 18 maggio 2007 sulla rimozione del relitto (v.) di navi affondate, che
attribuisce poteri di intervento allo Stato costiero nelle acque interne, nelle acque territoriali, nella ZEE
o, se la ZEE non è stata ancora istituita, nella Zona convenzione Nairobi (v.).

2. Zona di protezione ecologica


Si rinvia, in materia, alla trattazione contenuta nella voce, Protezione dell’ambiente marino (Medi-
terraneo).

3. Area marina protetta


In termini generali, per area marina protetta (MPA dall’acronimo di maritime protected area) si intende
una zona di mare circoscritta in cui lo Stato costiero istituisce un particolare regime di protezione idoneo
a prevenire danni all’ambiente naturale e a realizzare obiettivi di gestione relativi alle risorse naturali
viventi, stabilendo speciali prescrizioni sulle attività antropiche vietate. Simili zone possono ovviamente
essere stabilite nelle acque interne (v.) e territoriali (v.) in cui lo Stato esercita sovranità, ma anche, a certe
condizioni, al di là di esse. La prassi italiana in materia è indicata nell’apposito riquadro del presente
Glossario dedicato a parchi e riserve marine.

4. Area marina particolarmente sensibile (PSSA)


Gli Stati costieri possono istituire nella propria ZEE (v.) aree particolari, definite spazialmente, in cui
adottare leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da
navi (UNCLOS 211,6). Condizione per l’istituzione di queste aree marine, denominate dall’IMO come
«particularly sensitive sea area» (PSSA), è che sussistano evidenti ragioni tecniche correlate alle caratteristiche

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Glossario di Diritto del Mare

ecologiche e oceanografiche della zona e/o ai rischi derivanti dalla navigazione internazionale. Spetta al-
l’IMO autorizzarne l’istituzione dopo consultazioni con gli Stati controinteressati. Linee guida in materia
sono contenute nella IMO Resolution A.982 (24) «Revised guidelines for the Identification and Designation of
Particularly Sensitive Sea Areas». Nel 1990, prima al mondo, l’Australia ha dichiarato PSSA la zona della
barriera corallina. Altra iniziativa è stata assunta nel 2004 lungo le coste europee dell’Atlantico, dopo i
noti disastri ecologici avvenuti al largo di Francia e Gran Bretagna. Nel 2011 Italia e Francia hanno istituito
una PSSA nello stretto internazionale delle Bocche di Bonifacio (v.). Misure complementari rispetto alle
PSSA sono le «special areas» che possono essere istituite, anche in alto mare, per la prevenzione dell’inqui-
namento da idrocarburi, in applicazione della Convenzione MARPOL (v. Protezione dell’ambiente ma-
rino). In queste aree sono stabiliti standard restrittivi per la prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi
e rifiuti solidi: esse sono già state create in mar Mediterraneo (v.) Mar Nero (v.) e Mar Rosso (v.).

5. Traffico e trasporto in mare di rifiuti pericolosi


La materia costituisce oggetto della Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei mo-
vimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione, ratificata dall’Italia con legge 18
agosto 1993, n. 340. L’accordo, concluso nell’ambito dello United Nations Enviromental Programme (UNEP),
si propone di porre termine al fenomeno del traffico illecito di rifiuti tossici per terra e per mare. Esso
mira in particolare a evitare il ripetersi dei casi di «navi dei veleni» che sino agli anni Novanta del secolo
scorso versavano il loro carico (o addirittura venivano esse stesse affondate deliberatamente) nelle acque
territoriali o nelle ZEE di Stati in via di sviluppo. Si pensi alla Somalia e alla diffusa contaminazione
delle sue acque commessa illecitamente a danno dell’economia locale della pesca: il fenomeno è stato
considerato dalle NU una concausa dell’insorgere della pirateria (v.) del Corno d’Africa, vista come rea-
zione a tali ingiustizie.
La convenzione stabilisce un sistema di notifiche e autorizzazioni tra Stati di esportazione e Stati di
importazione volto a conseguire una piena tracciabilità dei movimenti di rifiuti tossici e a evitare un loro
smaltimento illegale mediante la commissione di illeciti sanzionati penalmente. Il principio guida è
quello del «consenso informato». Quanto ai diritti degli Stati terzi attraverso le cui acque di giurisdizione
passino le navi trasportanti i rifiuti da smaltire, sussiste una differenza di vedute tra gli Stati aderenti
alla convenzione che attiene ai principi del transito inoffensivo (v.) nelle acque territoriali e alla libertà
di navigazione (v.) nelle ZEE. Nel firmare la convenzione nel 1990, l’Italia ha infatti dichiarato che «con-
siders that no provision of this Convention should be interpreted as restricting navigational rights recognized by
international law. Consequently, a State party is not obliged to notify any other State or obtain authorization from
it for simple passage through the territorial sea or the exercise of freedom of navigation in the exclusive economic
zone by a vessel showing its flag and carrying a cargo of hazardous wastes». Del tutto differente è invece la tesi
espressa dall’Egitto nel 1995 secondo cui «foreign ships carrying hazardous or other wastes will be required to
obtain prior permission from the Egyptian authorities for passage through its territorial sea. 2. Prior notification
must be given of the movement of any hazardous wastes through areas under its national jurisdiction, in accordance
with article 2, paragraph 9, of the Convention».
Per ciò che riguarda in particolare l’applicazione della convenzione di Basilea in Mediterraneo si rinvia
anche alla trattazione contenuta nella voce Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo) del presente
Glossario.

6. Regime applicabile ai conflitti armati sul mare


Il problema della protezione dell’ambiente marino nel corso dei conflitti armati sul mare (v. Diritto bellico
marittimo) si è posto negli ultimi decenni in sede internazionale. La norma fondamentale in materia è con-
tenuta nell’art. 35, n. 3 del I Protocollo di Ginevra del 1977 ratificato dall’Italia e dagli altri paesi NATO ma
non dagli Stati Uniti, né dalla Francia e Turchia); questa disposizione vieta l’impiego di mezzi e metodi di
guerra atti a provocare danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale. Principio analogo è contenuto,
anche se in forma non cogente, nella convenzione delle NU del 10 dicembre 1976 sul divieto di utilizzare
tecniche di modifica dell’ambiente naturale per scopi militari (denominata Enmod Convention), ratificata
sia dall’Italia, con legge 962/80, sia dagli altri paesi NATO. Questa convenzione prevede, infatti, l’impegno
degli Stati aderenti a non utilizzare, per scopi militari, tecniche di modifica dell’ambiente naturale aventi

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Glossario di Diritto del Mare

effetti estesi, durevoli e gravi. Sulla base delle norme suindicate può concludersi che il principio della pro-
tezione dell’ambiente non costituisce di per sé un limite allo svolgimento di operazioni militari. Esso viene,
in rilievo, nell’ambito del più generale principio di proporzionalità, nel caso in cui le attività militari possano
provocare danni di notevole entità all’ambiente naturale.
L’esigenza di rispettare tali principi sembra essere stata alla base della decisione della NATO, nel 1999,
durante l’operazione Allied Forces contro l’ex Repubblica Federale di Iugoslavia (FRY), responsabile della
violazione di diritti umani in Kosovo, di non bombardare il porto montenegrino di Bar per interrompere
il flusso di rifornimenti petroliferi alla stessa FRY. Riserve nei confronti di Israele sono state invece
espresse per il bombardamento nel luglio 2006 della centrale elettrica di Tiro, nel corso del conflitto con
il Libano, che ha causato gravi danni ambientali a seguito di un esteso sversamento di idrocarburi.

PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO (MEDITERRANEO)


1. Cooperazione regionale
1.1 Il «Barcelona system»
La protezione del mar Mediterraneo (v.) dall’inquinamento (v.) è garantita dalla Convenzione di Bar-
cellona del 16 febbraio 1976, adottata sotto l’egida del Consiglio intergovernativo del programma am-
bientale delle NU (UNEP) e allo scopo di fornire uno strumento giuridico per l’attuazione del piano di
azione per il Mediterraneo (MAP), il quale si propone vari obiettivi, non limitati alla sola lotta antinqui-
namento, quali: una gestione durevole delle risorse naturali, marine e terrestri; la protezione dell’am-
biente marino e delle zone costiere; la tutela della natura e la salvaguardia dei siti e dei paesaggi
d’interesse ecologico o culturale.
La convenzione, cui aderiscono tutti gli Stati del Mediterraneo, contiene il quadro programmatico in
materia della lotta all’inquinamento e della protezione dell’ambiente marino della regione. Essa è stata
emendata nel 1995 in relazione all’evoluzione della disciplina internazionale (prima fra tutti la Conven-
zione di Rio sulla diversità biologica del 1992). Le parti contraenti si sono in particolare impegnate a pro-
muovere programmi di sviluppo sostenibile che applichino il principio precauzionale secondo cui,
quando esistano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di certezza scientifica assoluta non
dovrebbe essere invocata per rinviare le misure di prevenzione; altro principio rimarchevole è quello
del «chi inquina paga», per il quale i costi delle misure per prevenire, combattere e ridurre l’inquinamento
devono essere a carico di colui che inquina. Da ricordare infine che l’art. 3 bis (rinumerato 5) della con-
venzione è stato così modificato nel 1995: «Nulla nella presente convenzione e nei suoi protocolli pregiudica
l’immunità di giurisdizione [v.] delle navi da guerra o di altre navi appartenenti a uno Stato, o da esso gestite,
quando sono abilitate a un servizio pubblico non commerciale. Tuttavia ciascuna parte contraente deve accertarsi
che le sue navi e aeromobili che godono dell’immunità sovrana secondo il diritto internazionale agiscano in maniera
compatibile con il presente protocollo».
Disposizioni volte alla sua applicazione sono contenute in protocolli aventi a oggetto materie relative
alla protezione ambientale dall’inquinamento:
— da scarichi provenienti da navi o aeromobili e incenerimento in mare (1978 Dumping Protocol);
— di origine terrestre (1980 LBS Protocol);
— da esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale (1994 Offshore Protocol);
— delle zone specialmente protette dedicate alla conservazione della biodiversità biologica (1995
SPA/BD Protocol, il quale prevede, tra l’altro, la possibilità — come si precisa più avanti — che gli Stati
parte istituiscano un’area marina specialmente protetta, anche al di là delle acque territoriali. Nel quadro
di questo protocollo si colloca l’accordo italo-franco-monegasco RAMOGE (così detto dalle iniziali delle
località di Porto S. Raphael, Monaco e Genova) per la protezione dell’Alto Tirreno nel tratto prospiciente
il litorale da Saint Hayes a Genova;
— da movimenti transfrontalieri di rifiuti tossici e loro smaltimento (1996 Hazardous Wastes Protocol),
applicativo della Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 di cui si è detto in precedenza, basato sul
principio della «notificazione senza autorizzazione»;
— delle zone costiere (2008 ICZM Protocol) il quale appresta gli strumenti per la loro gestione inte-
grata. L’ISPRA ha dedicato alle buone pratiche di governance dei fragili ecosistemi costieri una propria
pubblicazione.

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Glossario di Diritto del Mare

1.2 Area marina specialmente protetta (SPAMI)


Gli Stati costieri, sulla base dello 1995 SPA/BD Protocol, possono istituire un’area marina specialmente
protetta (SPAMI dall’acronimo inglese) per salvaguardare ecosistemi marini, habitat in pericolo di estinzione
o necessari per la sopravvivenza delle specie animali e vegetali minacciate, siti di interesse scientifico, estetico,
culturale o educativo. L’iniziativa si concretizza mediante l’inserimento dell’area nella «List of Specially Pro-
tected Areas of Mediterranean Importance» (SPAMI List). Le SPAMI possono essere istituite in qualsiasi zona di
mare del Mediterraneo soggetta alla «sovranità o alla giurisdizione» degli Stati parte, comprese le ZEE (v.),
e anche le aree adiacenti di «alto mare» (v.). In quest’ultimo caso la proposta deve essere avanzata, previe
consultazioni, da due o più Stati interessati anche se non siano parti del protocollo. La decisione, adottata
dagli Stati parti per consenso, si formalizza con l’inclusione nella SPAMI List. Gli Stati interessati possono
adottare in esse misure quali la proibizione di scaricare in mare rifiuti, la regolazione del passaggio delle
navi (ivi compresi la sosta e l’ancoraggio), il divieto di introdurre specie viventi non indigene, la regolazione
delle attività di esplorazione del fondo o di ricerca scientifica. Particolare importanza, in considerazione
della situazione della pesca nel Mediterraneo (v.), assume la misura di regolazione o proibizione della pesca.
Appartiene alla categoria delle SPAMI il Santuario per la protezione dei mammiferi (v.).
In relazione alla conformazione dei fondali del golfo di Taranto (v.) caratterizzato al centro da un enorme
canyon sottomarino che sprofonda sino ai 2.000 metri collegandosi all’ancora più profonda fossa ellenica e
che proprio per questo rappresenta un habitat ideale per delfini e capodogli, in tempi recenti è stata ipotizzata
l’istituzione di una SPAMI al suo interno. Analoga proposta è stata avanzata per il canale di Sicilia.

SPAMI Mediterraneo (Fonte: UNEP).

2. RISERVE E PARCHI MARINI


In via generale riserve e parchi marini rientrano nel genus delle aree marine.
Secondo la terminologia della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 sulla Difesa del Mare, (art. 25), per riserve
naturali marine si intendono «ambienti marini dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che
presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare
riguardo alla flora e alla fauna marina e costiera e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed
economica che rivestono». Le norme internazionali di riferimento in materia sono costituite da varie fonti
e in particolare dalla convenzione di Ramsar del 1971 sulle zone umide, dalla convenzione 1992 sulla
diversità biologica (1992 CBD) e dal citato . Iniziative in questo campo sono state assunte in Mediterraneo,
tra cui quelle di Francia, con le riserve naturali delle Bocche di Bonifacio e Port Cros (Hyères); Spagna,
con la riserva marina delle isole Columbretes; Grecia, con il Parco marino di Alonissos, nelle Sporadi
settentrionali, composto da sette isole nelle cui acque vive la foca monaca. Sui parchi e le riserve marine
italiane si rinvia all’apposito riquadro.

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Glossario di Diritto del Mare

I PARCHI E LE RISERVE MARINE ISTITUITI IN ITALIA

La normativa quadro in materia di «aree protette» è costituita dalla Legge 6 dicembre 1991, n.
394, legge quadro che disciplina sia i parchi (nazionali e regionali) sia le riserve naturali di tipo
terrestre o marino. Le «riserve marine» sono peraltro oggetto di specifica disciplina nella suindicata
legge 979-1982 sulla difesa del mare. Competenze primarie in materia sono attribuite al ministero
dell’Ambiente. Sono stati istituiti sinora:

Parchi nazionali comprensivi di aree marine


— arcipelago toscano (le aree marine comprendono una limitata fascia di acque attorno alle
isole di Capraia, Giannutri, Montecristo e Gorgonia);
— arcipelago della Maddalena. Nel 2010 è stata avviata, d’intesa con la Francia, la creazione
del parco internazionale marino delle Bocche di Bonifacio (v.);
— Golfo di Orosei e isola dell’Asinara (nel golfo di Orosei è stata anche creata una riserva ma-
rina per la protezione della foca monaca).
Riserve marine
— Isola di Ustica;
— Miramare (Golfo di Trieste);
— Isole Tremiti;
— Isole dei Ciclopi (Aci Castello, Sicilia orientale);
— Torre Guaceto (Brindisi);
— Isola di Capo Rizzuto (Crotone);
— Isole Egadi (Marittimo, Levanzo, Favignana);
— Porto Cesareo;
— Penisola del Sinis-Isola del Mal di Ventre (Ori- Parchi e riserve marine istituiti
stano); dall’Italia (Fonte: Minambiente).
— Isole di Ventotene e di Santo
Stefano;
— Isola di Tavolara-Capo Coda
Cavallo;
— Punta Campanella (Penisola
Sorrentina);
— Cinque Terre (La Spezia);
— Portofino;
— Capo Carbonara;
— Pantelleria;
— Regno di Nettuno (Ischia).
Un caso a parte è il Santuario
per la protezione dei mammiferi
(v.), altresì detto Pelagos, rien-
trante nella tipologia della
SPAMI (v.). Si discute se possano
essere istituite altre SPAMI per
la protezione dei cetacei. Nell’ambito
del Comitato scientifico dell’Agreement on
the Conservation of Cetaceans of the Black Sea, Mediter-
ranean Sea and contiguous Atlantic Area (ACCOBAMS)
ne è stata proposta una per il canale di Sicilia. Episodica-
mente si è anche parlato, vista la rilevante presenza di delfini al
suo interno, di creare una zona marina protetta in forma di SPAMI nel golfo di Taranto (v.).

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Glossario di Diritto del Mare

3. Zone di protezione ecologica


3.1 Inquadramento generale
La giurisdizione in materia di protezione e conservazione dell’ambiente marino (UNCLOS 56, 1, (b)
appartiene allo Stato costiero nell’ambito dei diritti relativi alla ZEE. A prescindere dalla proclamazione
della ZEE l’esercizio di tale giurisdizione può essere attuata a seguito di istituzione di una Zona di pro-
tezione ecologica (ZPE). Benché la ZPE non sia espressamente prevista da norme positive, la prassi in-
ternazionale ne ammette l’istituzione quale zona sui generis derivata dalla ZEE, dedicata alla biodiversità
e alla protezione dell’ambiente marino. In tal modo si ha in sostanza un parziale esercizio dei diritti pro-
pri della ZEE secondo il principio in plus stat minus. In caso di creazione di una ZPE si applica comunque,
in via analogica, il regime della ZEE relativamente a estensione, delimitazione ed esercizio di poteri di
enforcement.
Superate le remore a istituire al di là delle acque territoriali zone di giurisdizione nazionale (v. ZEE
(Mediterraneo) e diffusasi perciò la prassi di esercitare in zone sui generis parte dei diritti rientranti nella
ZEE, senza tuttavia procedere alla loro proclamazione, alcuni Stati mediterranei hanno adottato le ini-
ziative indicate di seguito. Esse costituiscono una scelta insindacabile e discrezionale degli Stati interessati
e come tali non sono state concordate con gli Stati frontisti; tuttavia esse sono inopponibili agli stessi
Stati per ciò che concerne il loro limite esterno stabilito unilateralmente: uno Stato non può, infatti, avan-
zare delle pretese che arrechino pregiudizio alle posizioni dello Stato frontista anche se questo non abbia
ancora istituito una propria zona di giurisdizione. L’unica soluzione al problema sta nel raggiungere un
accordo di delimitazione o, in alternativa, di deferire il caso a un organo di giurisdizione internazionale.

3.2 Prassi mediterranea


(a) ZPE Francia
Prima tra tutti gli Stati mediterranei, la
Francia ha proclamato nel 2003 la «Zone de
protection écologique». Il confine della zona in
Mediterraneo, in attesa di accordi con l’Italia
e la Spagna, era stato definito unilateral-
mente, con il Décret n. 2004-33 dell’8 gen-
naio 2004 il quale stabilisce la linea che si
tiene al di qua dell’equidistanza con l’Italia
nelle aree a occidente della Sardegna e della
Corsica, a oriente delle Bocche di Bonifacio
(v. Stretti e canali - Mediterraneo) e nel golfo
di Genova. Parte della zona, nel golfo del
Leone, è invece sovrapposta alle aree di giu-
risdizione spagnole determinando un con-
tenzioso con Madrid. Il regime della ZPE è
poi mutato in ZEE nel 2012, come si dirà più
avanti. ZPE francese, dal 2012 convertita in ZEE (Fonte: gouv.fr).

(b) ZERP Croazia


La Croazia nel 2013 ha decretato l’istituzione di una zona di protezione ittica (v. Pesca Mediterraneo)
che riguarda anche la tutela ecologica. Nel provvedimento è, infatti, dichiarato: «il contenuto della zona
economica esclusiva che si riferisce (...) alla giurisdizione in merito alla ricerca scientifica nel mare e alla protezione
e conservazione dell’ambiente marino». La decisione di istituire una siffatta Zona di protezione ecologica è
stata motivata con il fatto che il mar Adriatico (v.) è un mare chiuso o semi chiuso (v.) e che per le sue ri-
strette dimensioni, le conseguenze di un eventuale inquinamento sarebbero molto più gravi che in altri
mari. Quella croata è quindi una ZEE minus generis in cui si esercitano non in toto i diritti sovrani teori-
camente spettanti secondo l’UNCLOS. Il confine delle due zone di protezione ittica ed ecologica (indicata
in croato come ZERP, acronimo di Zašticìeni ekološko ribolovni pojas) è stato esteso a titolo provvisorio,
sino alla stipula di apposito accordo di delimitazione con l’Italia, fino al limite della piattaforma conti-

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Glossario di Diritto del Mare

nentale stabilito dall’accordo italo-iugoslavo del 1968 (v. Piattaforma continentale - Mediterraneo). L’ini-
ziativa croata è stata contestata dall’Italia, con nota verbale del 15 marzo 2006 (UN LOS Bulletin n. 60, p.
127) (v. le voci: Delimitazione; Protezione ambiente marino-Mediterraneo); ZEE).

(c) ZPE Italia


La genesi del provvedimento italiano di creazione della Zona di protezione ecologica risale alla ri-
chiesta della Francia, avanzata in un incontro bilaterale del maggio 2003, già prima dell’istituzione della
propria «Zone de protection écologique», di intavolare trattative per una iniziativa parallela e concordata
che portasse a definire il confine delle due zone. Perplessità sull’opportunità di modificare la tradizionale
policy in favore del mantenimento dello status quo delle zone di alto mare del Mediterraneo (v. ZEE -
Mediterraneo), avevano tuttavia impedito al nostro paese di approvare l’iniziativa negli stessi tempi
della Francia. Al momento della presentazione del provvedimento alle camere era stato comunque messo
in chiaro come «particolarmente urgente appare, al largo delle coste italiane la creazione di una Zona di protezione
ecologica, dato il rischio di scarichi involontari di sostanze inquinanti da parte di navi mercantili o di incidenti in
navigazione». Pur avendo rinviato la decisione di istituire al di là delle proprie acque territoriali una ZEE,
l’Italia ha quindi inteso stabilire una zona in cui esercitare soltanto parte delle competenze che spette-
rebbero nella stessa ZEE, relativamente alla protezione e alla preservazione dell’ambiente. Alla base del-
l’iniziativa italiana era anche la considerazione che in mancanza di un provvedimento analogo a quello
francese «tutte le navi pericolose per l’ambiente, in particolare le navi battenti bandiera di comodo, sceglierebbero
di navigare sul versante italiano, dove sarebbero immuni dall’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato co-
stiero, con grave pregiudizio per l’integrità ambientale del nostro paese». Come ulteriore motivo la relazione
illustrativa indicava il fatto che: «I futuri negoziati bilaterali di delimitazione vedrebbero l’Italia in una posizione
di debolezza, se alla misura francese non fosse contrapposta una corrispondente misura italiana. Analoghe consi-
derazioni valgono riguardo ai negoziati di delimitazione che si prospettano con altri paesi le cui coste sono adiacenti
o opposte a quelle italiane».
L’approvazione parlamentare è intervenuta con la con Legge 8 febbraio 2006, n. 61, concernente ap-
punto l’istituzione di ZPE oltre il limite esterno del mare territoriale in cui l’Italia esercita giurisdizione
in materia di protezione: 1) dell’ambiente marino nonché prevenzione e repressione di tutti i tipi di in-
quinamento marino, ivi compresi l’inquinamento da navi e da acque di zavorra, l’inquinamento da im-
mersione di rifiuti, l’inquinamento da attività di esplorazione e di sfruttamento dei fondi marini e
l’inquinamento di origine atmosferica; 2) dei mammiferi (v. Santuario protezione mammiferi) e della
biodiversità; 3) del patrimonio archeologico e storico (v. Protezione patrimonio culturale subacqueo). È
esclusa invece l’applicazione della legge alle attività di pesca.
L’iniziativa ha valore programmatico di legge-quadro in quanto rinvia a successivi provvedimenti
la sua concreta attuazione. È, infatti, previsto che l’istituzione delle singole ZPE italiane sia attuata
mediante decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
da notificare agli Stati interessati. La definizione dei confini di ciascuna ZPE avviene per accordo con
gli Stati frontisti. Al riguardo, l’art. 1, n. 3 della legge, prevede tuttavia che: «Fino alla data di entrata
in vigore di detti accordi, i limiti esterni delle Zone di protezione ecologica seguono il tracciato della linea me-
diana, ciascun punto della quale è equidistante dai punti più vicini delle linee di base del mare territoriale ita-
liano e di quello dello Stato interessato».
Tale procedura è stata adottata in occasione della prima istituzione di una ZPE italiana, attuata con il
D.P.R. 27 ottobre 2011 n. 209, relativa al Mediterraneo nord-occidentale, al Mar Ligure e al mar Tirreno, con
esclusione dello stretto di Sicilia. In attesa di pervenire a un accordo con la Francia, i limiti esterni sono
stati provvisoriamente fissati al di qua della mediana con la Francia e a nord di quella con l’Algeria e
del confine occidentale della piattaforma continentale con la Tunisia. La definizione consensuale di tali
limiti è avvenuta mediante il già citato accordo italo-francese di Caen del 21 marzo 2015 (non ancora en-
trato in vigore al 2020). I controlli all’interno della ZPE italiana e l’applicazione delle sanzioni per la vio-
lazione delle norme ambientali applicabili sono affidati alle autorità competenti in conformità alle norme
del nostro ordinamento. Attribuzioni primarie e concorsuali in materia sono rispettivamente attribuite
dal Codice dell’Ordinamento Militare (COM), al Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, e alla
Marina Militare (v. Polizia dell’alto mare).

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Glossario di Diritto del Mare

ZPE istituita dall’Italia nel 2011 (Fonte: IIM).

(d) ZPE Slovenia


La Slovenia ha assunto un’iniziativa unilaterale istituendo, con legge del 4 ottobre 2005 (UN DOALOS
Bulletin n. 60, una propria ZPE che, a partire dal punto T5 della linea di delimitazione del golfo di Trieste
stabilita dagli accordi di Osimo del 1975 (v. Acque territoriali-Mediterraneo), si estende sino al parallelo
45°10’ sovrapponendosi alla ZPE croata.

PROTEZIONE DELLA BIODIVERSITA’ MARINA


Nel quadro delle azioni per rafforzare la governance dell’alto mare (v.), la comunità internazionale si è
posto il problema del depauperamento delle risorse genetiche derivante dall’eccessivo sfruttamento delle
risorse ittiche indotto dalla libertà di pesca (v.) e degli effetti dell’inquinamento dell’ambiente marino e
dei cambiamenti climatici.
Per rimediare al vuoto normativo esistente in materia è stato avviato, nell’ambito delle NU, un eser-
cizio volto ad approvare una convenzione, applicativa dei principi dell’UNCLOS, dedicata alla conser-
vazione e all’uso sostenibile delle risorse marine. Il testo (a fine 2020 ancora in fase di redazione) ha per
oggetto le «risorse genetiche marine intese come qualsiasi materiale di flora e fauna marina, animale, microbico o
di altra origine, [trovato in, o] proveniente da aree al di fuori della giurisdizione nazionale e contenente unità fun-
zionali ereditarie con valore reale o potenziale delle loro proprietà genetiche e biochimiche». Per la loro protezione
si prevede di regolamentare l’accesso e la ripartizione dei benefici che ne derivano, la valutazione sul-
l’impatto ambientale di attività potenzialmente dannose, la possibilità di istituire aree marine protette
(MPA), nonché il trasferimento di tecnologie e capacity building in favore degli Stati con risorse economi-
che limitate.

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Glossario di Diritto del Mare

Il nuovo accordo, quando entrerà in vigore, sarà vincolante solo tra gli Stati parte che si impegnano a
esercitare giurisdizione verso le navi di bandiera; esso non potrà perciò stabilire obblighi valevoli per
gli Stati terzi. Anche perché non vi sarà alcuna modifica ai principi dell’UNCLOS ma solo un loro com-
pletamento. Il problema riguarda principalmente lo svolgimento delle attività militari connesse all’eser-
cizio della libertà di navigazione (v. Libertà dei mari) in eventuali MPA. Altra questione riguarda
l’ipotetica creeping jurisdiction di determinati Stati costieri in zone adiacenti alle proprie aree di ZEE e
piattaforma continentale proprio al fine di espandere surrettiziamente la propria giurisdizione in aree
di alto mare.

PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE SUBACQUEO


1. Principi generali
Il principio che impone agli Stati l’obbligo di tutelare i beni di carattere storico-archeologico scoperti
in mare e di cooperare a questo scopo è espressamente stabilito da UNCLOS 303, 1; la norma non fa di-
stinzione tra le zone di mare in cui trova applicazione. Dato per scontato che lo Stato costiero abbia pieno
diritto sui beni giacenti nelle sue acque interne (v.) e nelle sue acque territoriali (v.), UNCLOS 303, 2, pre-
vede anzitutto che lo stesso Stato possa sottoporre ad autorizzazione la rimozione di oggetti archeologici
e storici rinvenuti nella zona archeologica (v.).
Una ulteriore regolamentazione è stabilita per i reperti storico-archeologici trovati nell’area interna-
zionale dei fondi marini (v.) da UNCLOS 149. Essi devono essere conservati o ceduti «nell’interesse del-
l’intera umanità» tenendo tuttavia conto dei diritti preferenziali dello Stato di provenienza in senso stretto
o di quello di origine culturale, storica o archeologica. Un’incertezza applicativa esiste invece per i beni
giacenti sul fondo della piattaforma continentale (v.) al di là delle acque territoriali o, ove istituita, della
ZEE (v.). In assenza di previsioni espresse che assimilino gli stessi beni alle «risorse naturali» (v.) per il
cui sfruttamento sono attribuiti diritti sovrani allo Stato costiero, si è ritenuto che sia applicabile il regime
della libertà dell’alto mare (v.). Secondo questa interpretazione lo scopritore di reperti giacenti sulla piat-
taforma continentale potrebbe appropriarsene senza alcuna autorizzazione dello Stato costiero.

2. Convenzione UNESCO 2001


Tale lacuna normativa è stata però parzialmente colmata dal regime convenzionale — valevole, come
tale, soltanto per gli Stati parte — stabilito dalla Convenzione UNESCO di Parigi sulla protezione del
patrimonio culturale sommerso, approvata nel 2001. Punti rilevanti della convenzione sono: 1) nozione
di «patrimonio culturale subacqueo» come qualsiasi traccia di esistenza umana di carattere culturale,
storico o archeologico che sia stata sott’acqua per almeno 100 anni, quale reperti archeologici, navi o im-
barcazioni, oggetti preistorici; 2) fissazione del criterio prioritario della conservazione in situ dei beni
culturali sommersi rispetto a qualsiasi altra attività e del divieto di sfruttarli commercialmente; 3) obbligo
per gli Stati parte di stabilire uno specifico sistema di comunicazione, notifica e autorizzazione per le at-
tività riguardanti il patrimonio subacqueo ubicato nella zona economica esclusiva, sulla piattaforma con-
tinentale o nell’area internazionale dei fondi marini; 4) esenzione per le navi da guerra (v.) e le altre navi
in servizio governativo non commerciale (v.), impegnate in attività operativa, in forza della loro condi-
zione di immunità di giurisdizione (v.) dall’osservanza delle prescrizioni di comunicare l’eventuale sco-
perta di beni archeologici.

3. Navi da guerra affondate


Nella convenzione UNESCO non è stato accolto il principio secondo cui lo Stato di bandiera conserva
indefinitivamente i propri diritti su navi da guerra e navi di Stato affondate in relazione alla loro immu-
nità. Il problema si pone sia per i relitti giacenti da non lungo tempo (meno di 100 anni) in acque inter-
nazionali o nelle acque territoriali di un altro Stato, che per quelli di epoca più antica per i quali è difficile
provare una continuità di dominio da parte dello Stato di bandiera. L’imprescrittibilità dei diritti dello
Stato di bandiera di quella che al momento dell’affondamento era una nave da guerra o una nave usata
per servizio non commerciale è stata comunque affermata, in via di principio, nel 2015 dalla risoluzione,
emanata a Tallin, dell’Institut de Droit International i cui articoli 3 e 4 stabiliscono che: «Without prejudice
to other provisions of this resolution, sunken State ships are immune from the jurisdiction of any State other than

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Glossario di Diritto del Mare

the flag State. Sunken State ships remain the property of the flag State, unless the flag State has clearly stated that
it has abandoned the wreck or relinquished or transferred title to it». Un consenso internazionale sembra per
ora essersi formato sul fatto che le navi da guerra e di Stato sono sacrari militari intangibili. Al riguardo,
l’art. 2, 9 della convenzione si limita a stabilire genericamente che «appropriato rispetto è dovuto a tutti i
resti umani giacenti in acque marittime» senza fare quindi alcuna distinzione tra le spoglie dei marinai di
navi da guerra rispetto a quelle delle navi mercantili. La già citata risoluzione di Tallin riconosce espli-
citamente la natura di war Graves dichiarando, all’art. 12, quanto segue: «Due respect shall be shown for the
remains of any person in a sunken State ship. This obligation may be implemented through the establishment of
the wreck as a war cemetery or other proper treatment of the remains of deceased persons and their burial when the
wreck is recovered. States concerned should provide for the establishment of war cemeteries for wrecks».
In relazione ai principi suindicati, l’Italia ha chiesto a Croazia e Albania di tener conto dei propri diritti
sui relitti delle corazzate Re d’Italia (affondata nella battaglia di Lissa nel 1866) e Regina Margherita (af-
fondata a Valona nel 1916 a seguito di urto con una mina).

4. Normativa italiana
Norme per la tutela del patrimonio culturale subacqueo sono previste, dal D.LGS. 22 gennaio 2004, n.
42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», il quale stabilisce che appartengono allo Stato i beni mobili
e immobili di interesse archeologico rinvenuti sui «fondali marini» delle acque interne e territoriali, e
che gli oggetti archeologici e storici rinvenuti nei fondali della zona di mare estesa 12 mn dal limite
esterno del mare territoriale sono tutelati ai sensi della convenzione UNESCO (v. Zona archeologica.
La Legge 8 febbraio 2006, n. 61 sull’istituzione di zone di protezione ecologica (ZPE) oltre il limite
esterno del mare territoriale (v. Protezione dell’ambiente marino - Mediterraneo) ha stabilito che l’Italia,
al loro interno, esercita anche giurisdizione per la preservazione del patrimonio archeologico e storico
in conformità all’UNCLOS e alla stessa convenzione di Parigi del 2001.
Un ulteriore rafforzamento della tutela giuridica del patrimonio culturale subacqueo si è avuta con
Legge 23 ottobre 2009, 157 di ratifica della Convenzione UNESCO del 2001 che ha definito le competenze
delle Autorità cui indirizzare le notifiche da parte delle navi che abbiano rinvenuto reperti in tutte le
zone di giurisdizione italiana ai sensi della Convenzione UNESCO (per ora limitate, come detto, alla
zona archeologica e alla ZPE).

QUARANTENA MARITTIMA (maritime quarantine)


Vedi: Blocco navale.

QATAR
Vedi: Delimitazione;
Golfo Persico.

REGIONE PER LE INFORMAZIONI DI VOLO (flight information region)


La regione per le informazioni di volo è un’area dello spazio aereo internazionale (v.) in cui, sulla base
delle prescrizioni dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO), è previsto che gli ae-
romobili comunichino allo Stato costiero informazioni sul proprio piano di volo al fine di salvaguardare
la sicurezza del traffico aereo. La terminologia usata dall’ICAO per indicare questo tipo di area è flight
information region (FIR). L’obbligo di fornire informazioni di volo riguarda gli aeromobili civili. L’art. 3
a) della Convenzione di Chicago del 1944 (sulla base della quale sono state istituite le FIR) stabilisce, in-
fatti, la non applicabilità della normativa ICAO agli aeromobili militari (v.). Gli stessi aeromobili non
sono quindi tenuti a seguire queste prescrizioni quando compiono operazioni di volo da navi su cui
siano imbarcati che si trovino in alto mare (v.) e che effettuino autonomamente il controllo dello spazio
aereo. Da questo punto di vista, la non applicabilità del regime FIR agli aeromobili militari (che comun-
que devono tenere nel dovuto conto la sicurezza del traffico aereo civile) riguarda anche il caso in cui
questi, pur provenendo da basi terrestri, si limitino al passaggio laterale nella FIR senza essere diretti
verso il territorio dello Stato costiero. Un contenzioso sussiste tra Grecia e Turchia per la FIR. Si rinvia,
al riguardo, alla trattazione contenuta nella voce relativa al mar Egeo (v.).

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Glossario di Diritto del Mare

La definizione dei confini delle FIR avviene normalmente per accordo tra gli Stati interessati nell’am-
bito dell’ICAO. Eventuali dispute dovrebbero essere sottoposte al voto del Consiglio dell’ICAO e, come
rimedio ulteriore, alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia.
Circa la coincidenza dei limiti di zone FIR e zone SAR si veda la voce, Ricerca e soccorso in mare.

Vedi anche: Zona di identificazione aerea.

Zone FIR del Mediterraneo (Fonte: ICAO).

RELITTO
Secondo la convenzione di Nairobi del 2007 (v. Protezione ambiente marino) costituisce un relitto
(wreck) una nave affondata o arenata a seguito di sinistro marittimo, ovvero una sua parte o un oggetto
che era a bordo di essa, oppure qualsiasi oggetto che si perda in mare da una nave e che è arenato, af-
fondato o alla deriva. I diritti del proprietario di un relitto identificabile come tale sono incondizionati,
fatto salvo il compenso spettante a chi li recupera (UNCLOS 303). Un relitto, qualora sia rimasto in
acqua per più di cent’anni, può assumere carattere culturale, storico o archeologico tale da farlo iden-
tificare come «underqater culturale heritage» soggetto al regime della protezione del patrimonio culturale
sommerso (v.).
L’ordinamento italiano disciplina nel Codice della Navigazione (articoli 501-510) sia il recupero sia il
ritrovamento di relitti, stabilendo la misura del compenso spettante ai soggetti aventi titolo, a condizione
che ne sia informata l’autorità marittima (v.).

RICERCA E SOCCORSO IN MARE


1. Disciplina internazionale
Ogni Stato deve obbligare i comandanti delle navi che battono la sua bandiera — sempre che ciò sia
possibile «senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri» — a prestare assistenza a naufraghi
trovati in mare o a portarsi immediatamente in soccorso di persone in pericolo quando si abbia notizia
del loro bisogno di aiuto (Ginevra II,12,1; UNCLOS 98,1). Tale obbligo prescinde dal regime giuridico
della zona di mare in cui avviene il soccorso nel senso che può esplicarsi, al di fuori dell’alto mare (v.) in

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Glossario di Diritto del Mare

senso stretto, tanto nelle acque internazionali (v.) come nella zona economica esclusiva (v.) o nella zona
contigua (v.) di uno Stato diverso da quello di bandiera. Il soccorso a persone o navi in pericolo è altresì
possibile nelle acque territoriali (v.) straniere (UNCLOS 18, 2) se finalizzato ad assistere, in situazioni di
necessità, persone in difficoltà. Questa attività costituisce una deroga al principio del «passaggio continuo
e rapido» previsto dal regime del transito inoffensivo (v.), ma non intacca la competenza esclusiva dello
Stato costiero sia per il coordinamento dell’operazione sia per l’intervento di mezzi, quali rimorchiatori,
specificatamente adibiti a prestare assistenza a navi in difficoltà.
Tutti gli Stati provvisti di litorale marittimo sono altresì tenuti a creare e mantenere un servizio di ri-
cerca e salvataggio (indicato come SAR dall’acronimo di Search and Rescue). A questo fine essi possono
far ricorso ad accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti (Ginevra II,12,2; UNCLOS
98,2) basati sul principio che le autorità dello Stato costiero responsabili dei servizi di ricerca e salvatag-
gio, qualora vengano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita
nella zona SAR di propria competenza, sono tenute a intervenire «senza tener conto della nazionalità o della
condizione giuridica» di dette persone. La cooperazione tra Stati quindi è uno dei pilastri fondanti del re-
gime internazionale del SAR; l’altro è quello delle responsabilità ricadenti sui singoli paesi costieri al-
l’interno delle aree di propria competenza. Non è tuttavia necessario, in teoria, che i servizi SAR siano
assicurati in proprio dallo Stato che è responsabile della loro organizzazione. È noto, per esempio, che
in certi paesi di tradizione anglosassone sussisteva una dimensione privatistica del soccorso, attività a
scopo di lucro remunerata secondo i criteri stabiliti dalla convenzione Salvage del 1989 (v. successivo
para 6). Quel che è certo è che tutti gli Stati provvisti di litorale marittimo sono tenuti a mantenere un
servizio SAR: l’attuale prassi internazionale è nel senso che vengano impiegate per l’esigenza navi pub-
bliche specificatamente dedicate, senza escludere il concorso — su base occasionale e tenendo conto delle
loro limitazioni funzionali di impiego — delle navi mercantili. In questo ambito si colloca, nel quadro
dell’assistenza in mare ai migranti, il fenomeno delle navi delle ONG impiegate nel SAR in forma sus-
sidiaria. Quelle che possiamo definire come navi umanitarie, da un lato assicurano, ove se ne presenti la
necessità, il c.d. soccorso spontaneo che i paesi di bandiera sono tenuti a imporre ai comandanti delle
proprie navi sulla base del principio del «genuine link» stabilito dall’art. 91 dell’UNCLOS; dall’altro, le
stesse — come fatto dall’Italia negli anni tra il 2015 e il 2018 — possono essere impiegate dai servizi SAR
nazionali competenti per area i quali siano informati della loro posizione in prossimità di un’imbarca-
zione in pericolo. Il ruolo sussidiario svolto dai privati è dunque uno dei pilastri del sistema internazio-
nale del SAR; altro, come detto, è invece quello della cooperazione tra gli Stati.
Prima dell’UNCLOS, la Convenzione sulla sicurezza della vita umana in mare (SOLAS 1974) aveva
previsto che gli Stati parte organizzassero meccanismi di comunicazione e coordinamento in situazione
di distress in mare nelle loro «rispettive aree di responsabilità» e per il salvataggio di persone in pericolo
«intorno alle loro coste». In questo modo si era legittimata l’istituzione delle Zone SAR ora regolamentate
dalla Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimo di cui si tratterà
più avanti.

2. Concetto di «distress»
Presupposto del SAR è il concetto di «distress» che la stessa SOLAS (annex, ch. 1, para. 1.3.11) definisce
come «[a] situation wherein there is a reasonable certaint that a vessel or a person is threatened by grave and im-
minent danger and requires immediate assistance». Al riguardo, va ricordato che sussistono differenti vedute
tra gli Stati sulla possibilità o meno che possa configurarsi distress anche nel caso di imbarcazioni so-
vraccariche che tuttavia appaiano seguire una ben precisa rotta in buone condizioni di navigabilità. Que-
sto è l’approccio operativo seguito da Malta e Grecia in tutti quei casi in cui, in assenza di una richiesta
di soccorso (distress call) da parte di singole imbarcazioni trasportanti migranti, si è scelto di lasciar loro
proseguire il viaggio verso l’Italia. Diverso invece l’orientamento dell’Italia basato su una interpretazione
non restrittiva del concetto di distress che porta a dichiarare una situazione SAR ogni qual volta si con-
figuri una situazione di pericolo per imbarcazioni inadatte a navigare. Simili questioni assumono speciale
valenza se rapportate ai problemi del salvataggio nelle zone SAR delle persone coinvolte nel traffico e
trasporto illegale di migranti (v.). In questo ambito si colloca il concetto di place of safety (POS) che con il
SAR è interfacciato, anche se ha una sua autonomia concettuale e giuridica.

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Glossario di Diritto del Mare

3. Zona di ricerca e soccorso (Zona SAR)


3.1 Regime generale
Le zone extraterritoriali di acque internazionali entro i cui limiti lo Stato costiero fornisce servizi di ri-
cerca e di salvataggio sono le zone SAR (annesso Convenzione Amburgo, para 1,3,1). Si tratta di «aree di
responsabilità» funzionale per il salvataggio di persone in pericolo «intorno alle coste»: al loro interno lo
Stato costiero si impegna a istituire un centro e dei sotto centri di coordinamento, a designare delle unità
costiere di soccorso, a disporre di strutture, mezzi navali e aerei, centri di telecomunicazione di soccorso
e personale commisurato alle esigenze. La convenzione di Amburgo chiarisce, infatti, che un servizio
SAR, per essere efficace, deve essere gestito e sostenuto adeguatamente, oltre che essere integrato in uno
specifico contesto normativo, sulla base del principio che «le parti dovrebbero organizzare i loro servizi di ri-
cerca e di salvataggio in modo da poter far fronte rapidamente agli appelli di soccorso» (annesso, para 2,1,8). I li-
miti delle zone SAR vanno definiti per accordo, anche se resta fermo che non si tratta di confini politici:
la norma è, perciò, che questi limiti non coincidano mai con le frontiere marittime. La creazione di una
zona SAR non è dunque un diritto ma un dovere intrinsecamente subordinato alla circostanza che lo
Stato costiero interessato sia in grado di garantire l’operatività continua ed efficace dei servizi SAR nel-
l’area di propria competenza. Da questo punto di vista destano perplessità le posizioni più volte espresse
da alcuni Stati, come fatto da Malta, in difesa della intangibilità della propria zona SAR, quasi si trattasse
di vero e proprio spazio territoriale. Le zone SAR non dovrebbero sovrapporsi l’una all’altra. Questo
principio ammette deroghe dal momento che le parti, se non raggiungono un accordo sull’esatta deli-
mitazione delle rispettive zone SAR, hanno il dovere di coordinarsi tra loro (annesso, 2, 1, 5). L’esigenza
della certezza dei confini delle zone SAR deriva dal fatto che esse rientrano nella responsabilità dello
Stato costiero e sottostanno quindi al suo controllo e al suo potere di intervento. La prassi internazionale
contempla tuttavia casi di creazione di joint SAR zone, sorta di zone grigie di responsabilità congiunta,
in cui gli Stati possano condurre operazioni cross border con poteri reciproci di intervento. Il principio
che ispira simili iniziative è ovviamente quello della cooperazione per condividere, nell’interesse della
comunità internazionale, oneri e responsabilità di una funzione che ha valore universale. Un caso di stu-
dio è l’Accordo del 2004 tra Australia e Indonesia su una zona di intervento comune che lascia impre-
giudicata la sovrapposizione delle rispettive aree SAR. A prescindere da questa iniziativa altri esempi
di condivisione di responsabilità nel soccorso si hanno nell’accordo SAR per l’Artico tra Canada, Dani-
marca, Finlandia, Islanda, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti. Esiste anche un simile accordo
per il Mar Nero tra Bulgaria, Georgia, Romania, Russia e Ucraina.

3.2. Prassi mediterranea


La convenzione di Amburgo del 1979 pre-
vede la stipula di accordi regionali per la de-
limitazione tra Stati frontisti o contigui delle
zone SAR di competenza nazionale relative
sia alle acque territoriali, sia alle acque inter-
nazionali adiacenti. La delimitazione di que-
ste zone non è legata a quella delle frontiere
marittime esistenti né pregiudica il regime
giuridico delle acque secondo l’UNCLOS.
L’Italia è stata il primo paese del Mediter-
raneo a prendere l’iniziativa di negoziare ac-
cordi di questo tipo con i paesi frontisti. Nel
corso della conferenza di Ancona del 19 mag-
gio 2000 (v. mare Adriatico) sono stati firmati
specifici Memorandum of Understanding sulla
cooperazione nelle operazioni di ricerca e soc-
corso tra l’Italia e la Slovenia, la Croazia, l’Al-
bania e la Grecia. Un ulteriore Memorandum è Zone SAR Mediterraneo centro-orientale (Fonte: Maricogecap).
stato siglato con l’Algeria il 14 novembre 2012.

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Glossario di Diritto del Mare

(a) Accordi SAR Italia


I limiti delle zone SAR di rispettiva pertinenza dell’Italia e degli altri Stati definiti con tali Memorandum
sono del tutto svincolati da quelli degli spazi marittimi di giurisdizione nazionale. Unica eccezione è il
confine della zona SAR italo-slovena che ha dovuto coincidere ipso jure con la delimitazione delle acque
territoriali dei due paesi nel golfo di Trieste stabilita dall’accordo di Osimo del 10 novembre 1975 (v.
Acque territoriali-Mediterraneo).
In assenza di specifici accordi di delimitazione, i limiti delle zone SAR stabiliti unilateralmente sono
comunicati dagli Stati all’IMO che ne prende atto. Per quanto riguarda il mar Mediterraneo (v.) nel corso
della conferenza IMO di Valencia del 1997 si è provveduto ad approvare un «General Agreement on a Pro-
visional SAR Plan» in cui sono fissati consensualmente i limiti delle zone SAR mediterranee.
Un caso di definizione unilaterale di zona SAR è quello di Malta. Secondo quel che risulta dal global
SAR plan elaborato dall’IMO, con l’intento di dare informazioni sulle organizzazioni nazionali dei servizi
responsabili in materia SAR, la SAR maltese ha un’estensione vastissima, pari a circa 250.000 kilometri
quadrati che coincide con la «flight information region» (FIR) (v. Regione per le informazioni di volo) e
che si prolunga dalle isole Pelagie sin sotto
Creta, per non meno di 500 mn.
La zona SAR di Valletta si sovrappone,
nella parte a nord e a ovest con la corrispon-
dente zona SAR italiana definita con il D.P.R.
664-1994, coprendo addirittura le acque ter-
ritoriali di Lampedusa e Lampione. A ovest
lambisce le acque territoriali della Tunisia
impedendo a questo paese di svolgere in au-
tonomia operazioni SAR a poche miglia
dalle proprie coste. Queste anomalie della
zona SAR maltese dovrebbero essere cor- Aree di sovrapposizione tra zona SAR italiana e maltese
rette a seguito di specifico accordo di deli- (Fonte: Avvenire).
mitazione con l’Italia e con la Tunisia.
Va notato peraltro che al 2015 nessun accordo di cooperazione SAR risulta essere stato mai stipulato
tra Malta e Italia, nonostante gli intensissimi rapporti di cooperazione militare e marittima tra i due paesi
siano di lunga data, evidentemente proprio a motivo della questione dell’area di sovrapposizione.
In realtà riserve sull’estensione della zona SAR di Malta, anche in rapporto alla limitata capacità mal-
tese in termine di mezzi adibiti al soccorso, sono più volte state espresse dall’Italia nel corso delle ricor-
renti ondate migratorie (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare). Il fatto è che, in assenza di
interventi di soccorso delle autorità di Malta o su loro richiesta, l’organizzazione SAR italiana si è sempre
attivata nella zona di competenza maltese per dare assistenza a migranti in pericolo. Problemi sono sorti
più volte sul porto di sbarco delle persone salvate (v. place of safety citato in precedenza nella presente
voce) nella SAR maltese che Valletta sostiene essere non il suo territorio ma il posto più vicino al luogo
di soccorso (che spesso è Lampedusa).

(b) Disputa SAR greco-turco-cipriota


Anche tra Grecia e Turchia è aperto da anni un contenzioso in materia di SAR. La Grecia ha, infatti,
istituito una zona SAR di propria giurisdizione che comprende tutte le zone di acque internazionali del-
l’Egeo, oltre ovviamente alle acque territoriali greche. Il criterio seguito dalla Grecia è stato quello di far
coincidere la zona del SAR marittimo con quella del SAR aereo ricadente nella propria FIR (v. Regione
per le informazioni di volo).
La Turchia, per parte sua, ritiene invece che la propria giurisdizione SAR si estenda sino alla metà
dell’Egeo e alla parte di Cipro occupata (c.d. «Repubblica turca Cipro del nord»). Nel 1989 Ankara ha,
infatti, istituito una zona SAR di questa estensione. È evidente che questa posizione è in linea con le altre
pretese riguardanti la piattaforma continentale (v.) e la FIR.
La questione della competenza in materia di SAR è stata all’origine del noto caso dell’isolotto di
Imia/Kardak appartenente al Dodecanneso e rivendicato da Grecia e Turchia (v. mar Egeo). L’incidente

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Glossario di Diritto del Mare

che ha dato origine alla questione è stato, infatti, l’incaglio, avvenuto il 25 dicembre 1995, di un mercantile
turco sulle coste dell’isolotto: l’intervento SAR delle autorità greche venne rifiutato assumendo che la
competenza in materia spettava alla Turchia trattandosi di proprio territorio.
La disputa SAR si è riaccesa nel 2014 quando Cipro ha concluso un accordo di delimitazione SAR con
la Grecia che ignora la pretesa di Ankara a una propria zona SAR tra le coste anatoliche e la RTCN.

4. SAR e place of safety (POS)


La disciplina del POS era stata delineata dall’IMO a seguito del caso, verificatosi nel 2001, del mer-
cantile norvegese Tampa il quale, dopo aver salvato a sud dell’Indonesia centinaia di profughi afgani alla
deriva su un’imbarcazione di fortuna, aveva cercato di trasportarli in Australia ma era stato respinto
dalle autorità locali. Il fatto indusse l’IMO ad approvare Risoluzione A.920(22) sul «Treatment of Persons
Rescued at Sea» che così definisce il POS: «A place of safety (as referred to in the annex to the 1979 SAR con-
vention, paragraph 1.3.2) is a location where rescue operations are considered to terminate. It is also a place where
the survivorsiì safety of life is no longer threatened and where their basic human needs (such as food, shelter and
medical needs) can be met. Further, it is a place from which transportation arrangements can be made for the sur-
vivor’s next or final destinationª. Il contenuto di tale risoluzione è stato recepito nella parte V, reg. 33, della
SOLAS stabilendo, tra l’altro, un obbligo di coordinamento e cooperazione tra gli Stati parte nell’assicu-
rare che il comandante di un mercantile che abbia assistito i migranti raggiunga un POS. La regola af-
ferma la primaria responsabilità dello Stato nella cui zona SAR i migranti siano stati salvati ai fini del
loro sbarco in un POS, nei seguenti termini: «The Contrarcting Government responsible for the SAR region in
which such assistance was rendered shall exercise primary responsibility … that survivors assisted are disembarked
…and delivered to a place of safety». Questa chiara statuizione ha una sua logica alla luce dei principi di
cooperazione che informano il sistema del SAR. Purtroppo essa non ha natura obbligatoria ma vincola
solo gli Stati che hanno ratificato l’emendamento alla SOLAS: è questo il caso di Malta la quale sostiene,
invece, che le persone salvate vadano trasportate nel luogo più vicino a quello ove è avvenuto il soccorso.
La tesi maltese potrebbe avere una sua validità alla luce del criterio di ridurre al minimo — in termini
di durata del viaggio — i disagi della nave che trasporta le persone soccorse e delle persone medesime,
se non fosse che è mirata alla situazione dei salvataggi nel canale di Sicilia ove il POS più vicino, per chi
parte dalla Tripolitania, non è Valletta ma Lampedusa. In realtà, la formula della SOLAS non stabilisce
un criterio avente valore assoluto, ma prevede solo che il paese responsabile della zona SAR si attivi per
individuare un POS sul suo territorio o in quello di un altro paese che, contattato, accetti lo sbarco. I pro-
blemi, per i paesi UE, nascono anche dalla difficoltà di conciliare il sistema del SAR con quello del c.d.
«Regolamento di Dublino 3» che prevede la competenza, per l’esame della domanda di protezione in-
ternazionale presentata da un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente, da parte del paese membro
di primo ingresso. Pur in presenza di incertezze applicative sul regime internazionale del POS, la nostra
Corte di Cassazione con sentenza del 2020, interpretando evolutivamente la normativa internazionale
con riguardo al noto caso Rackete, ha stabilito che l’obbligo di soccorso non possa comunque prescindere
dall’assicurare alle persone salvate un POS in cui siano valutate le loro istanze a protezione.

5. Chiusura dei porti


Allo stato attuale del diritto internazionale non vi è alcuna norma che obblighi un paese costiero a con-
sentire l’ingresso sul suo territorio di persone soccorse al di fuori della sua zona SAR. La questione è in
parte connessa a quella della chiusura dei propri porti nei confronti di tali persone, anche se trasportati
da navi di ONG che agli stessi porti siano dirette. Il caso si è a più riprese presentato in Italia in anni
recenti quando i governi hanno interdetto a queste navi l’ingresso nelle nostre acque territoriali, allegando
illeciti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, e per conseguenza violazione dei principi del-
l’ordine e della sicurezza pubblica e più in particolare, se si fosse trattato di navi di bandiera straniera,
dei principi del transito inoffensivo (v.). Norme in materia sono contenute nella Convenzione di Ginevra
del 1923 sul regime internazionale dei porti marittimi che, pur affermando il principio che l’accesso ai
porti è libero a condizioni di reciprocità, prevede all’art. 8 dello statuto, il diritto per ogni singolo paese
di vietarne l’accesso. Altra questione è la violazione del transito inoffensivo (v.) che una nave non auto-
rizzata a entrare, può compiere nel tragitto lungo le acque territoriali se impegnata in attività illecite come

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Glossario di Diritto del Mare

il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. L’esigenza di prevenire questa forma di violazione è


stata posta a base dall’Italia in alcuni provvedimenti di chiusura adottati nel 2019. Uno specifico provve-
dimento ad hoc è stato il Decreto del 7 aprile 2020 il quale ha disposto il divieto di sbarco delle persone
salvate al di fuori dell’area SAR italiana, motivandolo con l’assenza di garanzie sanitarie per gli stessi mi-
granti, prima ancora che per il rischio di contagio della nostra popolazione. Qualsiasi provvedimento di
chiusura può essere ovviamente derogato, sulla base di considerazioni di umanità e necessità, qualora si
presentino casi di imbarcazioni trasportanti migranti in condizioni sanitarie critiche.

6. Convezione internazionale del 1989 sul salvataggio


La convenzione di Londra del 1989 sul salvataggio (Salvage Convention), ha sostituito la convenzione
di Bruxelles del 1910 in materia di assistenza e salvataggio marittimi. Le innovazioni normative introdotte
mirano principalmente a incentivare l’attività di assistenza e di salvataggio in mare, in particolare quella
svolta dalle navi private destinate a svolgere, per fini di lucro, questa attività. Il suo ambito di applica-
zione comprende le operazioni di soccorso rese «per assistere una nave o ogni altro bene in pericolo». La con-
venzione disciplina da un lato i doveri del soccorritore, dall’altro quelli del comandante e del proprietario
della nave soccorsa. Di particolare interesse sono le previsioni in materia dei diritti del soccorritore nei
confronti dei vari interessati alla spedizione secondo criteri che, per incentivare l’attenzione da parte dei
soccorritori alle esigenze di salvaguardia e tutela dell’ambiente marino, si basano anche sulla «cura e gli
sforzi dei soccorritori nel prevenire o ridurre danni all’ambiente». Il compenso non può superare in ogni caso
il valore dei beni salvati.
Di rilievo, infine, le disposizioni secondo cui: 1) le operazioni di salvataggio che hanno avuto un
risultato utile danno diritto a una remunerazione (un compenso speciale, in deroga al tradizionale
principio no cure no pay è tuttavia stabilito per le operazioni di soccorso che abbiano consentito di
prevenire o ridurre danni all’ambiente); 2) nessuna remunerazione è dovuta dalle persone che sono
state tratte in salvo; 3) nessuna remunerazione possa essere pretesa qualora i servizi di salvataggio
siano stati resi «malgrado il divieto espresso e ragionevole del proprietario e del capitano della nave»; 4) la
disciplina non si applica alle navi da guerra (v.) e alle navi in servizio governativo non commerciale
(v.) impiegate in attività di soccorso (ma esse sono tenute a corrispondere un compenso se soccorse,
a loro volta, da mezzi privati).
Per evitare situazioni verificatesi in anni passati con gli incidenti delle petroliere Erika e Prestige,
l’art. 11 della convenzione stabilisce che gli Stati parte dovrebbero ammettere nei loro porti navi in
difficoltà al fine di salvare vite e mezzi in pericolo e prevenire danni all’ambiente marino (v. Protezione
dell’ambiente marino). Sulla base di questa norma l’IMO ha elaborato la nozione di luoghi rifugio (place
of refuges) facendone oggetto della Risoluzione A.949 (23) Guidelines on places of refuge for ships in
need of assistance approvata nel 2003. Questo documento (costituente semplice raccomandazione non
obbligatoria) riconosce che, quando una nave è in difficoltà e non si profila un’attività SAR di assi-
stenza alla vita umana, il miglior modo per evitare una catastrofe ecologica, è quello di trasferire il
suo carico e il suo carburante, svolgendo l’operazione in un porto o in qualsiasi altro luogo di anco-
raggio o ormeggio protetto appositamente individuati da uno Stato membro. Il recepimento nell’or-
dinamento italiano delle linee guida della risoluzione IMO A.949(23) è stato attuato con il D.LGS. 19
agosto 2005, 196: l’art. 20 di questo provvedimento demanda al capo del Compartimento marittimo le
procedure per accogliere le navi in pericolo tenendo conto degli interessi ambientali e paesaggistici e
delle caratteristiche delle navi coinvolte.

7. Regolamentazione interna italiana


7.1 Competenza primaria delle Capitanerie di porto
L’ordinamento italiano assegna all’autorità marittima (v.) il compito istituzionale di prestare soccorso
a navi in pericolo e a naufraghi, alla ricezione di notizie di sinistri (CN 69); nel caso di sinistri aeronautici
il Codice della navigazione (art. 727, 2) prevede che: «Quando l’autorità aeronautica non può tempestivamente
intervenire, i primi provvedimenti necessari sono presi .... da quella marittima se il sinistro è avvenuto in mare».
Il Comando generale delle Capitanerie di porto (MARICOGECAP) è l’organismo nazionale che, nella
veste di «Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo» assicura l’organizzazione generale

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Glossario di Diritto del Mare

dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio nell’ambito delle zone SAR di giurisdizione italiana, tenendo
i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati. Queste funzioni sono state attribuite
a MARICOGECAP dal D.P.R. 28 settembre 1994, n. 662, «Regolamento di attuazione della legge 3 aprile
1989, n, 147, concernente adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio marittimo,
adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979».

7.2 Concorso della Marina Militare


Il concorso della Marina Militare al servizio SAR, genericamente previsto dagli articoli 92, 2, b e 115, 1,
a) del Codice dell’Ordinamento Militare (D.LGS. 66-2010) è regolamentato dall’art. 5 del succitato D.P.R.
laddove si prevede che i centri nazionali e secondari di soccorso marittimo «richiedono agli alti comandi com-
petenti della Marina Militare..., in caso di necessità, il concorso dei mezzi navali...» secondo le procedure e le mo-
dalità previste dal decreto del ministro della Marina mercantile 1° giugno 1978. Tale decreto del 1978 — il
quale riguarda le «Norme interministeriali per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso della
vita umana in mare tra i vari organi dello Stato che dispongono di mezzi navali, aerei e di telecomunica-
zioni» — contiene una dettagliata disciplina delle modalità di concorso della Marina Militare che fa riferi-
mento a situazioni operative e ordinative in parte superate dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 662/1994.
Tra di esse vi è, per esempio, la previsione che la Marina Militare fosse di massima responsabile del soccorso
nelle zone d’altura a una distanza dalla costa superiore alle 20 miglia: al tempo la Forza armata manteneva,
infatti, presso ogni Alto comando periferico
un turno di unità in SVH (acronimo usato per
indicare il soccorso pubblico).
Imponente e spesso ignorato è stato ed
è l’apporto fornito dalla Marina Militare,
con i propri mezzi aeronavali e senza al-
cuna risorsa aggiuntiva di bilancio, al ser-
vizio di ricerca e soccorso in mare
rientrante nelle competenze del ministero
dei Trasporti e delle infrastrutture che si
avvale del Corpo delle capitanerie di
porto-Guardia costiera. La Forza armata,
per il SAR, opera quindi, per così dire, in
posizione ancillare rispetto alla Guardia co-
stiera che è invece responsabile istituzio-
nale del servizio SAR.
Prescinde da tali obblighi concorsuali il
dovere che ai comandanti delle navi da
guerra incombe — al pari di quelli delle navi
mercantili — di intervenire in assistenza o
salvataggio di un mercantile che sia «in pe-
ricolo di perdersi» qualora ne abbiano noti-
zia in navigazione (articoli 489 e 490 CN).
L’inosservanza di tale obbligo è sanzionata
penalmente dal 1158 CN con la fattispecie
del reato di «omissione di assistenza a navi o
persone in pericolo», la cui configurazione è
generica nel senso che, ad aversi una con-
dotta penalmente sanzionata, non sono sta-
biliti requisiti spaziali. Quindi, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, il
reato può essere commesso anche al di fuori
della zona SAR italiana come definita dal Area SAR prevista dal D.P.R. 662-1994 e MRSC
D.P.R. 662-1994. (Fonte: Maricogecap).

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Glossario di Diritto del Mare

7.3 Concorso della Guardia di Finanza


Non secondario è anche l’apporto al servizio delle unità del Corpo della guardia di finanza che, al
pari di quello della Marina Militare, è ancora prestato sulla base del citato decreto del 1978. L’attività
SAR del Corpo in favore dei migranti è connessa alle attribuzioni a esso conferite dal Decreto intermini-
steriale del 19 giugno 2003.

7.4 Limiti Zona SAR nazionale


Quanto ai limiti della zona SAR italiana stabilita dal D.P.R. 662/1994, deve notarsi come essi siano ra-
gionevolmente vicini alla costa con distanze che oscillano tra qualche decina di miglia da Lampedusa e
da circa un centinaio di miglia dalle coste siciliane. Questa circostanza può ritenersi indice del fatto che
il ministero dei Trasporti, nell’emanare il D.P.R. 662/1994, abbia voluto limitare l’ampiezza della SAR
alle capacità medie di intervento dei mezzi di ricerca e soccorso. In sostanza l’estensione della SAR ita-
liana consente ai mezzi pubblici di soccorso, nel caso pervenga una richiesta di assistenza da parte di
un’imbarcazione trasportante migranti, le cui condizioni di navigabilità non siano conosciute, di inter-
venire in tempo per accertare la situazione. Qualora invece tale richiesta sia avanzata alle autorità italiane
all’interno della SAR di un altro paese (per esempio Malta o Libia) si applicano i principi della conven-
zione di Amburgo secondo i quali scatta l’obbligo di cooperazione che può in teoria portare a intervenire
in sostituzione dello Stato responsabile del SAR.

7.5 Principio «first distress call»


Nel caso che questo non ne abbia le capacità, l’azione delle autorità italiane è stata sin qui orientata a
ritenere sussistente un obbligo di soccorso con i propri mezzi o con mercantili coordinati, sino a che
l’operazione non abbia termine in un place of safety. La base concettuale di un tale approccio fortemente
umanitario indotto dalle lacune delle organizzazioni SAR libiche e, in parte da quelle maltesi, si ritrova
nella IMO Resolution MSC 167 (78) del 2004 contenente le «Guidelines on the Treatment of Persons Rescued
at Sea» che indica, al para 6.7, il seguente principio: «When appropriate, the first RCC contacted should im-
mediately begin efforts to transfer the case to the RCC responsible for the region in which the assistance is being
rendered. When the RCC responsible for the SAR region in which assistance is needed is informed about the situa-
tion, that RCC should immediately accept responsibility for coordinating the rescue efforts, since related responsi-
bilities, including arrangements for a place of safety for survivors, fall primarily on the Government responsible
for that region. The first RCC, however, is responsible for coordinating the case until the responsible RCC or other
competent authority assumes responsibility».

RICERCA SCIENTIFICA IN MARE


Gli Stati costieri hanno il diritto esclusivo di condurre ricerche scientifiche nelle loro acque territoriali
(v.); le navi straniere possono tuttavia essere autorizzate, previo consenso espresso (UNCLOS 21, 1 lett. g.),
a compiere tali attività riguardanti anche le prospezioni idrografiche. Il principio del consenso esplicito
dello Stato costiero è anche la regola per la ricerca che navi straniere intendano effettuare nella ZEE (v.) o
nella piattaforma continentale (v.). Hanno una posizione preferenziale, a questo scopo, le ricerche condotte
«a fini esclusivamente pacifici per accrescere le conoscenze scientifiche sull’ambiente marino a vantaggio dell’umanità
intera» (UNCLOS 246, 3) in settori come la oceanografia, la biologia marina, l’esecuzione di prospezioni
geologiche o geofisiche. La concessione del consenso è subordinata a varie condizioni, quali la partecipa-
zione dello Stato costiero alla campagna di ricerca o la comunicazione dei risultati della stessa.
Quanto alla ricerca scientifica per fini militari (che comprende sia l’esecuzione di prospezioni idro-
cartografiche sia la raccolta di dati oceanografici, chimici, biologici, acustici o di altra natura a fini non
offensivi) vanno distinte le situazioni a seconda che venga condotta nelle acque territoriali straniere o al
di fuori di esse. Tali attività, ove condotte in acque territoriali straniere senza il consenso esplicito dello
Stato costiero, costituiscono indubbiamente una violazione dei principi del transito inoffensivo (v.) e
siano perciò vietate (UNCLOS 19, 2, lett. j.). Eguale il regime per gli stretti internazionali (v.) (UNCLOS
40). Diverso il discorso per la loro esecuzione sulla piattaforma continentale o nella ZEE: in assenza di
norme espresse di diritto positivo è da ritenersi che l’attività sia consentita facendo riferimento al libero
e legittimo uso del mare e alle libertà associate alle attività operative (UNCLOS 58, 1; 78, 2; 87, 1). Tenuto

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Glossario di Diritto del Mare

conto, tuttavia, del fatto che in materia non esiste uniformità di prassi applicativa (alcuni Stati preten-
dono, per esempio, che l’esecuzione di campagne idrografiche sulla loro piattaforma continentale sia
soggetta a preventiva notifica o autorizzazione) va sottolineato che la scelta da parte delle Marine di
svolgere autonomamente ricerche militari o idrografiche in tali zone costituisce materia di rilievo poli-
tico-diplomatico che va preliminarmente definita ad appropriato livello di autorità nazionale, tenendo
conto di possibili eventuali contenziosi.

Vedi anche: Zona archeologica.

RIFUGIO TEMPORANEO
La prassi internazionale del passato riteneva applicabile alle navi da guerra (v.) e alle navi in servizio
governativo (v.) il così detto «asilo marittimo» inteso come possibilità, durante la permanenza in un
porto o in acque territoriali (v.) e interne (v.) estere, di concedere protezione a cittadini stranieri che
fossero saliti a bordo: la casistica riguardava, per esempio, situazioni di tumulti o necessità di sfuggire a
un pericolo grave e imminente alla propria persona perché perseguitati per motivi politici, religiosi o
razziali (tra le persone da proteggere non erano in ogni caso comprese quelle ricercate per reati comuni).
Tale prassi, che si inquadrava nell’ambito del più generale «asilo extraterritoriale», connesso alla condi-
zione di immunità (v.) delle navi da guerra, non ha trovato riconoscimento in alcuna norma pattizia né
ha assunto col tempo valore consuetudinario. Le riserve maggiori al formarsi di un siffatto principio ve-
nivano dalla constatazione che l’ammissione dell’esistenza di un «diritto di asilo» in favore di cittadini
stranieri avrebbe significato una grave violazione della sovranità dello Stato del territorio. Questi, pur
non potendo far ricorso alla forza per costringere la nave da guerra a consegnare le persone accolte a
bordo, avrebbe comunque potuto adottare le tradizionali misure della protesta diplomatica e/o dell’in-
timazione alla nave da guerra di lasciare il porto e uscire dalle acque territoriali (v. transito inoffensivo
delle navi da guerra). Peraltro, con l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
del 1948 secondo cui «ognuno ha il diritto di chiedere e ottenere in un altro paese asilo per sfuggire a una perse-
cuzione» si sono poste le condizioni per la creazione di un diritto che tuttavia non sembra avere carattere
incondizionato, in quanto pur sempre subordinato alle decisioni sovrane dei competenti organi politici
dello Stato concedente. È evidente che il comandante di una nave da guerra non sarebbe in grado di va-
lutare gli elementi socio-politico-religiosi che giustificano l’attribuzione dello status. Attualmente la
prassi internazionale è perciò orientata ad ammettere la concessione da parte di navi pubbliche dotate
di immunità del rifugio temporaneo (sinché non termini la situazione di pericolo venutasi a creare), nei
porti o nelle acque interne e territoriali di uno Stato straniero a: 1) connazionali la cui sicurezza sia mi-
nacciata da pericolo imminente, purché non si tratti di persone che, sulla base di informazioni ricevute
dalle autorità diplomatiche e consolari italiane, risultino ricercate dalle competenti autorità locali per
reati comuni o per crimini internazionali e debbano essere a queste consegnate; eguale protezione è
estesa ai cittadini dell’Unione europea nei porti di paesi non membri della stessa; 2) cittadini stranieri
(ivi compresi quelli dello Stato costiero) la cui vita sia in grave e imminente pericolo, anche in occasione
di gravi sconvolgimenti politici, sempreché la missione della nave e gli ordini ricevuti lo permettano,
valutando d’intesa con le autorità diplomatiche e consolari nazionali che non si tratti di persone ricercate
per reati comuni.

Vedi anche: Traffico e trasporto illegale di migranti in mare.

RISORSE MARINE NATURALI


L’UNCLOS adotta una terminologia generica nell’indicare le «risorse naturali, viventi e non viventi»
della ZEE (v.) (art. 56, 1, a) o le «risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo»
della piattaforma continentale (v.) (art. 77, 4) su cui gli Stati costieri esercitano diritti sovrani. Non sono
viceversa nominati gli idrocarburi liquidi e gassosi, benché il loro sfruttamento si sia storicamente affer-
mato come l’oggetto principale delle pretese degli Stati costieri sulla propria piattaforma continentale
sin dal Proclama Truman del 1945 in cui si richiamava esplicitamente il bisogno, per gli Stati Uniti di
«new sources of petroleum and other minerals». Più esplicito è invece l’art. 133 dell’UNCLOS nell’indicare,

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Glossario di Diritto del Mare

come risorse minerali dell’area internazionale dei fondi marini (v.) «tutte le risorse minerali solide, liquide
o gassose in siti che si trovano nell’area sui fondi marini o nel loro sottosuolo, compresi i noduli polimetallici». In
sostanza, la normativa dell’UNCLOS sull’area è più chiara di quella a carattere generale relativa alla
piattaforma continentale, nel riferirsi alla realtà delle risorse minerarie che è essenzialmente costituita
da petrolio, gas e noduli polimetallici.
Particolare attenzione è riservata a tali noduli dall’autorità internazionale dei fondi marini (v.), i cui
regolamenti li definiscono come «una delle risorse dell’area consistente in qualsiasi deposito o concrezione di
noduli contenenti manganese, nickel, cobalto e rame». Essi hanno un diametro di 5-15 cm e giacciono a pro-
fondità di 4-6.000 m. Il loro sfruttamento, benché sia stato preso in considerazione da tempo, è divenuto
una realtà commerciale e industriale solo di recente. Tra le risorse amministrate dall’autorità rientrano
anche i solfuri polimetallici e le croste di ferromanganese ricche di cobalto. I solfuri polimetallici sono
depositi di solfuri misti a metalli pesanti presenti nella crosta terrestre, creati dalla fuoriuscita a pressione
dai fondali oceanici di acqua calda a profondità di qualche migliaio di metri. Contengono vari metalli
come rame, piombo, zinco, oro e argento nonché le così dette «terre rare» (rare earth metals) composte da
minerali come scandio, ittrio e lantanoidi, utilizzati in applicazioni industriali.
È bene chiarire comunque che sia i noduli polimetallici sia i solfuri, le croste e le terre rare si rinven-
gono anche, al di fuori dell’area, sulla piattaforma continentale e quindi, ove presenti, possono essere
sfruttati liberamente dagli Stati costieri interessati.
Tra le risorse dei fondi marini disponibili in aggiunta ai combustibili fossili come gas e petrolio — la
cui tecnologia estrattiva è in continua evoluzione dato che le trivelle possono svolgere attività sino ad
alcune miglia di metri (v. Sicurezza offshore) — vi sono i c.d. clatrati. Si tratta di gas (in prevalenza metano)
idrogenato, solidificatosi in forma di blocchi di ghiaccio alle basse temperature e alle alte pressioni degli
abissi marini. Periodicamente, come accaduto da ultimo in Giappone, che è intenzionato a impiegarli
per colmare il proprio deficit energetico, se ne parla come di una risorsa enorme, cento volte superiore
alle riserve stimate di metano. Il loro sfruttamento su scala industriale non è tuttavia ancora cominciato
per problemi tecnici e di compatibilità ambientale. La presenza di clatrati è segnalata anche nelle pro-
fondità del Tirreno, oltre i 3.000 m sulla piattaforma continentale di Italia e Francia.
Tra le risorse naturali non viventi vanno infine comprese quelle indicate dall’UNCLOS all’art. 56, ri-
guardanti le attività che lo Stato costiero può svolgere nella propria ZEE nel campo delle energie rinno-
vabili. Si tratta di nuove fonti energetiche, ancora allo stadio sperimentale, come la produzione di
elettricità sfruttando la differenza di temperature tra acque profonde e superficiali, o le correnti sotto-
marine e le maree. Ha invece già raggiunto un sufficiente grado di sviluppo il progetto di impiegare pale
eoliche galleggianti raggruppate congiuntamente in modo da costituire una wind farm. Molto diffuse in
Nord Europa (soprattutto in Gran Bretagna), le wind farm — a parere di taluni esperti — possono tuttavia
avere effetti negativi sull’ecosistema marino.
Tra le risorse naturali può comprendersi il patrimonio culturale sommerso (v. Protezione patrimonio
culturale subacqueo) nonché le risorse marine genetiche (v. Protezione biodiversità marina). Quanto alle
risorse ittiche si rinvia, nell’ambito del presente Glossario, alle voci Pesca e Pescherie sedentarie.

ROMANIA
Vedi: Cerimoniale navale;
Delimitazione.

RUSSIA
Vedi: Disarmo navale;
Mare Artico;
Mare di Azov;
Mar Caspio;
Mari chiusi;
Mar Nero;
Unione Sovietica (ex).

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Glossario di Diritto del Mare

SALVATAGGIO
Vedi: Ricerca e soccorso in mare.

SANTUARIO PER LA PROTEZIONE DEI MAMMIFERI


È una Zona di protezione di tutte le specie dei mammiferi marini viventi tra Punta Escampobariou,
nei pressi di Tolone e Capo Falcone (Sardegna), a ovest, e Capo Ferro (Sardegna) e la Foce del Chiarone
a est, rientrante, quale SPAMI, nel genus delle aree marine specialmente protette (v.).
Il Santuario (detto anche Pelagos o Thetis):
— è stato istituito il 25 novembre 1999 con un accordo firmato da Francia, Monaco e Italia, nell’ambito
del regime giuridico per la protezione dell’ambiente marino del Mediterraneo (v.), in applicazione del-
l’Agreement on the Conservation of Cetaceans of the Black Sea, Mediterranean Sea and contiguous Atlantic Area
(ACCOBAMS);
— comprende le acque interne (v.) e territoriali (v.) degli Stati interessati nonché aree di alto mare;
— si propone di vietare la cattura dei mammiferi e la pesca con reti pelagiche derivanti, adottando
tutte le misure appropriate per la conservazione dei mammiferi marini nel loro habitat ivi compresa la
lotta a tutte le forme di inquinamento;
— è sottoposto alla giuri-
sdizione nazionale di cia-
scuno dei paesi aderenti, che
la esercitano nei confronti
delle navi di bandiera. Tale
giurisdizione è divenuta, erga
omnes, valevole verso le navi
di qualsiasi bandiera, nel mo-
mento in cui sono state isti-
tuite in gran parte del
Santuario sia la ZEE francese
(v. ZEE-Mediterraneo) sia la
ZPE italiana (v. Protezione
dell’ambiente marino-Medi-
terraneo). Qualora entrasse in
vigore l’accordo di Caen del
2015 sulle frontiere marittime
italo-francesi, il Santuario sa-
rebbe integralmente coperto
dalle aree di giurisdizione na- Il Santuario per i mammiferi marini Pelagos (Fonte: Accobams).
zionale dei due Paesi;
— non pone limitazioni al transito delle navi da guerra (v.) e delle navi in servizio governativo non
commerciale (v.) facendo salva la loro immunità di giurisdizione (v.). Ciascuno Stato parte deve tuttavia
adoperarsi perché le stesse navi operino in maniera compatibile con l’accordo.

Vedi anche: Riserve e Parchi marini.

SICUREZZA MARITTIMA
1. Profilo generale
Sicurezza marittima era in passato un’espressione considerata sinonimo di sicurezza della navigazione
(maritime safety nella terminologia anglosassone). La materia si era sviluppata in campo internazionale
per evitare che accadessero altre tragedie come quella del Titanic del 1912. Essa riguardava perciò ben
precise branche, quali: ausili alla navigazione, dotazioni ed equipaggiamento delle navi e del personale,
regole per prevenire le collisioni in mare, procedure e requisiti di sicurezza, informazioni idrografiche,
tenuta dei registri e dei documenti di navigazione, investigazione di incidenti marittimi, salvaguardia
della vita umana in mare (v. Ricerca e soccorso in mare). Il concetto di maritime safety è rimasto immutato,

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Glossario di Diritto del Mare

anche se ha assunto con gli anni, in relazione al crescere delle minacce ai traffici marittimi, una dimen-
sione dinamica evolvendo verso la maritime security. Questo è avvenuto grazie al ruolo svolto dall’Orga-
nizzazione marittima internazionale (v.) riconosciuta dall’UCLOS (annesso VIII, art. 2) come il legittimo
forum internazionale per la sicurezza marittima, le cui regolamentazioni devono essere osservate da
tutti gli Stati.
Il banco di prova dell’IMO, che ha iniziato la sua attività nel 1958, è stata l’International Convention for
the Safety of Life at Sea (SOLAS), Convenzione di Londra del 1974 sulla sicurezza della vita umana in mare
(SOLAS 1974 il cui testo (inizialmente redatto nel 1914 dopo il già ricordato sinistro del Titanic) è entrato
in vigore nel 1965 per poi essere oggetto di successivi emendamenti. L’attività dell’IMO ha avuto ulteriori
sviluppi dopo il caso del disastro causato dalla M/C Torrey Canyon nel 1967 al largo della Cornovaglia,
incidente che ha portato all’emanazione della Convenzione di Londra del 1973 sulla prevenzione del-
l’inquinamento da navi (MARPOL) (v. Protezione dell’ambiente marino). Ulteriori convenzioni, che evi-
denziano l’importantissima funzione svolta dall’IMO nel campo dei traffici marittimi, sono state emanate
nel campo della prevenzione delle attività pericolose in mare (v.) e della Ricerca e soccorso in mare (v.).
L’IMO ha iniziato a occuparsi di maritime security, materia aggiuntiva rispetto a quella tradizionale
della sicurezza della navigazione, dopo l’episodio dell’Achille Lauro del 1988 che ha portato all’emana-
zione di strumenti dedicati al contrasto del terrorismo marittimo (v.).

2. Maritime safety
La SOLAS è ancora il testo convenzionale di riferimento della safety che si applica alle navi che effet-
tuano viaggi internazionali tra porti di diversi paesi, relativamente a caratteristiche costruttive, equipag-
giamenti come mezzi di salvataggio e dotazioni nautiche, radiocomunicazioni, misure da adottare per
effettuare il trasporto di merci pericolose. Materia di rilevante importanza in essa disciplinata è l’automatic
identification system (AIS), sistema di identificazione automatica per il tracciamento delle navi passeggeri
e di quelle da carico superiore a 300 tsl delle quali fornisce posizione, velocità, rotta, destinazione, stato
navigazione, numero identificativo e codice radiotelegrafico.
Nel cap. XI-1 della SOLAS è anche regolamentato il «port state control» (PSC), attività che consente ul-
teriori controlli a bordo dei mercantili — a completamento delle procedure di visita e rilascio di certificati
di navigabilità delle autorità di bandiera (flag State) — durante la sosta in porti esteri qualora vi siano
sospetti di violazione o inosservanza di procedure di sicurezza. Strumenti applicativi della normativa
sul PSC — che in Italia rientra nelle competenze dell’autorità marittima (v.) — sono, a livello europeo, il
1982 Paris Memorandum of Understanding e la direttiva 2009/16/CE — recepita in Italia con il D. LGS.
24 marzo 2011, n. 53, n. 53 che impone agli Stati membri precisi obblighi ispettivi con priorità per quelli
relativi alle navi sub standard che presentano un profilo di rischio più elevato.
Il punto di svolta nel ruolo marittimo dell’IMO è rappresentato dalle misure adottate dopo l’11 set-
tembre volte a introdurre, in aggiunta alle tradizionali norme di safety marittima, standard comuni di
prevenzione della minaccia terroristica valevoli sia per le navi sia per gli impianti portuali. L’innovazione
è stata realizzata nel 2004 con l’aggiunta nella SOLAS del capitolo XI-2 relativo appunto a special measures
to enhance maritime security e al discendente International Ship and Port Facility Security Code (ISPS Code).
In tal modo la maritime safety — che come detto era originariamente concepita in modo statico — ha as-
sunto una dimensione dinamica evolvendo verso la maritime security. Alla tutela della sicurezza della
navigazione in senso stretto — in cui è compresa la salvaguardia della vita umana in mare — si è ag-
giunta, infatti, quella della sicurezza del trasporto marittimo e di lavoratori marittimi, navi e impianti
portuali, nonché dell’ambiente marino e costiero e delle risorse biologiche marine. Il nuovo comprehensive
approach della sicurezza marittima è stato adottato dall’IMO, modificando la SOLAS, tenendo anche
conto del fatto che è necessario proteggere l’ambiente marino, in quanto qualsiasi sinistro marittimo, sia
esso accidentale sia causato da attività terroristica, coinvolge l’intero ecosistema del mare.

3. Maritime security
La maritime security, intesa come attività di prevenzione e contrasto alle minacce intenzionali al libero
uso del mare, è un concetto consolidato da tempo, anche se la sua teorizzazione è avvenuta nella SOLAS
dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001. Basti pensare alla nozione consuetudinaria della pirateria (v.)

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Glossario di Diritto del Mare

come crimine internazionale che si è affermata nei secoli passati proprio per consentire a tutti gli Stati di
combattere i «nemici del genere umano» che attentavano alla libertà di navigazione. D’altronde, già prima
dell’11 settembre, l’IMO si era fatto promotore — a seguito del caso dell’Achille Lauro — della Conven-
zione di Roma del 1988 sul terrorismo marittimo (v.), poi emendata nel 2005. Non a caso la sorveglianza
sulla legalità dei traffici marittimi è una funzione che sin dall’affermarsi nel Seicento dagli Stati-nazione,
è riconosciuta dall’ordinamento internazionale come precipua delle navi da guerra di tutti gli Stati (v.
Polizia dell’alto mare). Riferimenti alla responsabilità degli Stati in materia di mantenimento del buon
ordine dei mari sono contenuti nell’art. 100 dell’UNCLOS relativo alla cooperazione nella repressione
della pirateria, nonché nell’art. 108 riguardante il contrasto del traffico illecito di stupefacenti in mare
(v.) e nell’art. 109 concernente la repressione delle trasmissioni non autorizzate (v.). Ma è l’art. 110 del-
l’UNCLOS (v. Diritto di visita) quello che, nel disciplinare il diritto delle navi da guerra e di Stato di in-
terferire con la navigazione di navi di altra bandiera sospette di essere coinvolti in illeciti marittimi,
meglio rappresenta lo scenario della maritime security.
In definitiva, la maritime security può considerarsi come un concetto più ampio della maritime safety,
la cui protezione è riservata agli Stati in funzione del loro monopolio dell’uso della forza e della loro
eguaglianza negli spazi marittimi extraterritoriali. Tutti gli Stati possono difatti avvalersi, nel loro reci-
proco interesse, dei poteri di enforcement riconosciuti dal diritto internazionale in alto mare a condizione
di rispettare i diritti degli altri Stati. Al di fuori dell’ordinario quadro giuridico disciplinato dall’UNCLOS
e dalle convenzioni IMO, la maritime security presenta comunque aspetti attinenti anche la sicurezza na-
zionale dei singoli Stati: questi, qualora minacciati da un pericolo che attenti alla loro integrità territoriale
e sovranità, potrebbero agire in legittima difesa per prevenire la messa in opera di azioni ostili. La dot-
trina della legittima difesa come diritto di fonte consuetudinaria preesistente alla Carta delle NU non è
universalmente accettata, ma — a parere di chi la sostiene — essa potrebbe legittimare azioni coercitive
contro mercantili impegnati in attività terroristiche.
A tale forma di legittimazione deve necessariamente farsi ricorso per giustificare i casi di intervento
in alto mare contro mercantili che siano coinvolti nel contrabbando di armi (v), trasportando carichi non
riportati nei documenti di bordo. A meno che ciò sia autorizzato da un embargo navale (v.) decretato
dalle NU come quello contro l’ex Jugoslavia del 1993 o la Libia a partire dal 2011, l’UNCLOS non consente
— in caso di sospetto contrabbando di armi — di fermare, abbordare o sequestrare un mercantile di altra
bandiera senza il consenso dello Stato di appartenenza.
Proprio per questo, i casi di adozione unilaterale di misure coercitive verso mercantili sospetti di arms
smuggling posti in atto in anni recenti da paesi come Israele possono trovare sistemazione giuridica solo
nell’ambito della dottrina della legittima difesa. Vanno ricordati in proposito gli episodi della nave por-
tacontainers Francop (2009, Mediterraneo, bandiera Antigua-Barbuda, armatore tedesco, sequestro di 320
t di armi pesanti destinate a milizie Hezbollah), Victoria (2011, Mediterraneo, bandiera Liberia, armatore
tedesco, dirottamento porto israeliano Ashdod, sequestro missili e mortai destinate a milizie Gaza) e
Klos-C (2014, Mar Rosso, bandiera Panama, dirottamento porto israeliano Eilat, sequestro 40 missili «M
302» destinati milizie Gaza).
Attiene anche alla maritime security, relativamente ai suoi aspetti di interdizione marittima, la PSI (pro-
liferation security iniziative) (v.) avviata dagli Stati Uniti nel 2003; il caso del 2002 della nave cambogiana
So San noleggiata dalla Corea del Nord trasportante missili Scud per lo Yemen, abbordata in alto mare
da Spagna e Stati Uniti.

4. Safety e security nell’ordinamento italiano


4.1 Attribuzioni Capitanerie di porto-Guardia costiera
La maritime safety, nella sua accezione allargata che è riferita alla navigazione, ai marittimi e all’ambiente ma-
rino, rientra nella competenza primaria del ministero dei Trasporti e delle infrastrutture che si avvale del Corpo
delle capitanerie di porto-Guardia costiera. La materia, se si escludono la cartografia nautica e il servizio dei
fari e segnalamenti marittimi che il Codice dell’Ordinamento Militare (D.Lgs. 66-2010) affida in via esclu-
siva alla Marina Militare, è così disciplinata dall’art. 134,2, b) dello stesso COM: «[il Corpo]…è competente
per l’esercizio delle funzioni di ricerca e salvataggio in mare, ai sensi degli articoli 69, 70 e 830 del Codice della na-
vigazione, di disciplina, monitoraggio e controllo del traffico navale, di sicurezza della navigazione e del trasporto

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Glossario di Diritto del Mare

marittimo, nonché delle relative attività di vigilanza e controllo, ai sensi del Codice della navigazione, della legge
28 dicembre 1989, n. 422 e di disciplina, monitoraggio e controllo del traffico navale, di sicurezza della navigazione
e del trasporto marittimo, nonché́ delle relative attività di vigilanza e controllo, ai sensi del Codice della navigazione,
della legge 28 dicembre 1989, n. 422 e delle altre leggi speciali». Tali competenze sono state rafforzate dal D.M.
18 giugno 2004 con cui il ministro delle Infrastrutture e trasporti ha indicato il Corpo delle capitanerie
come responsabile della security dei trasporti marittimi commerciali, limitatamente a quanto disposto
dal cap. IX-2 della SOLAS e del regolamento CE 725/2004. Successivamente, con il D.LGS. 19 agosto
2005, n. 196, sull’«Attuazione della direttiva 2002/59/CE relativa all’istituzione di un sistema comuni-
tario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale» (costituito, tra l’altro, dai sistemi denominati
vessel traffic service (VTS) e automatic identification system), è stata affidata al Corpo, nell’ambito delle
proprie funzioni di «autorità marittima» (v.), la gestione degli stessi sistemi. Ulteriori funzioni del Corpo
in materie affini sono, come detto in precedenza, quelle sul Port State control.

4.2 Funzioni Marina Militare


Il corpus normativo sulle attribuzioni del Corpo delle capitanerie di porto, nel settore della vigilanza
e controllo del trasporto marittimo, è integrato dalle disposizioni dello stesso COM sulle funzioni di sor-
veglianza marittima (art. 115, 1 b) affidate alla Marina Militare proprio in uno specifico e basilare settore
della sicurezza marittima secondo il regolamento CE 725/2004, e cioè «la sorveglianza per la prevenzione
degli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accer-
tamento delle infrazioni alle relative norme». Rilevante e assorbente è anche il concorso che la Marina Militare
presta al servizio SAR in applicazione del D.P.R. 662-1994 (v. Ricerca e soccorso in mare). Questo è dimo-
strato dalle decine di migliaia di salvataggi effettuati negli anni, sia in favore del naviglio mercantile o
da diporto, sia a beneficio di imbarcazioni trasportanti migranti. Peraltro, la Marina Militare è stata re-
sponsabile del servizio SAR oltre le 20 mn, sino all’emanazione di tale D.P.R., mantenendo attivo a questo
fine un turno di unità navali pronte a intervenire costantemente in soccorsi d’altura. La Marina esplica
dunque funzioni concorsuali in gran parte delle materie inquadrabili nella maritime safety (ma, come
detto, ha attribuzioni primarie per cartografia nautica e fari e segnalamenti).
Per ciò che concerne la maritime security la Forza armata è invece la referente principale negli spazi marittimi
extraterritoriali sulla base delle proprie competenze istituzionali nella materia della polizia dell’alto mare (v.) di-
sciplinata dall’art. 111, 1, a) del COM.

4.3 Funzioni Guardia di Finanza


Quanto al Corpo della guardia di finanza, il coinvolgimento in funzioni di safety e security marittima
è previsto da varie norme della legislazione vigente. Alla Guardia di Finanza è inoltre affidata la tutela
dell’«ordine e della sicurezza pubblica sul mare» in applicazione della c.d. «direttiva Napolitano» del 25
marzo 1998, il cui testo merita di essere riportato per la sua chiarezza: «L’obiettivo da perseguire è il migliore
impiego delle risorse disponibili per l’azione di polizia sul mare, sia sotto il profilo della razionalizzazione della
spesa sia sotto quello del perfezionamento e potenziamento dei servizi, tenuto conto del rilievo delle condotte illecite
sul mare (contrabbando, traffici di stupefacenti e di armi, emigrazione e immigrazione clandestina, reati finanziari,
inquinamento, ecc.) e dell’accresciuta responsabilità dell’Italia a tutela della frontiera esterna comune dei paesi ade-
renti all’accordo di Schengen. Le esigenze di sicurezza sul mare vanno quindi considerate globalmente e non set-
torialmente, almeno per la parte rimessa all’azione delle Forze di polizia, pur dovendo riconoscere che, accanto ai
compiti e impegni comuni, vanno altrettanto curati i compiti istituzionali specifici (quali, per esempio: la vigilanza
in mare per fini di polizia finanziaria, la traduzione dei detenuti e internati in stabilimenti situati in isole, la con-
seguente vigilanza antievasione, la vigilanza a tutela della pesca e dell’ambiente marino, ecc.), senza trascurare la
proiezione sul mare dei compiti istituzionali e di pubblica sicurezza esercitati sulla terraferma. A tal fine, il concorso
della Guardia di Finanza nei servizi di ordine e sicurezza pubblica sul mare, per l’importante sviluppo aereo-navale
del Corpo, per la natura stessa dei mezzi, idonei a un impiego multifunzionale, e per gli specifici compiti di vigilanza
aereo-navale per fini di polizia assolti dal Corpo stesso».
Le competenze del Corpo in tale settore, già disciplinate dal D.LGS. 19 marzo 2001, n. 68, sono state
di recente riaffermate dalla normativa di delega sulla riorganizzazione delle Forze di polizia di cui all’art.
8, comma 1, lett. a) della legge 124/2015. Con D.LGS. 19 agosto 2016, n. 177, sulla razionalizzazione delle

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Glossario di Diritto del Mare

funzioni di polizia, è stato, infatti, disposto, all’art. 2, c., che è attribuita al Corpo della guardia di finanza
la «sicurezza del mare, in relazione ai compiti di polizia, attribuiti dal presente decreto, e alle altre funzioni già
svolte, ai sensi della legislazione vigente e fatte salve le attribuzioni assegnate dalla legislazione vigente al Corpo
delle capitanerie di porto-Guardia costiera».

Vedi anche: Unione europea (Strategia Sicurezza Marittima).

SICUREZZA OFFSHORE
Vedi: Piattaforma continentale.

SIRIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Transito inoffensivo delle navi da guerra;
Zona contigua;
Zona economica esclusiva (Mediterraneo).

SISTEMA DI IDENTIFICAZIONE AUTOMATICA (Automatic Identification System)


Vedi: Sicurezza marittima;
Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane;
Zona di identificazione marittima.

SISTEMA DI ASSISTENZA AL TRAFFICO MARITTIMO (Vessel Traffic Service)


Vedi: Sicurezza marittima;
T ransito e soggiorno nelle acque territoriali italiane.

SLOVENIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Baia di Pirano;
Mare Adriatico;
Pesca (Mediterraneo);
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Ricerca e soccorso;
Successione tra Stati;
Transito inoffensivo delle navi da guerra.

SMILITARIZZAZIONE
Vedi: Demilitarizzazione;
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Disarmo navale;
Disarmo navale (Mediterraneo).

SOCCORSO
Vedi: Ricerca e soccorso in mare.

SOMALIA
Il problema degli spazi marittimi della Somalia ha giocato un ruolo nella vita del paese, per lo sviluppo
della pirateria (v.) del Corno d’Africa in ragione della scarsa capacità di assicurare la loro sorveglianza.
La governance somala sugli spazi marittimi del Corno d’Africa si è comunque rafforzata secondo gli auspici
della comunità internazionale. La proclamazione di una ZEE, avvenuta nel 2014, rappresenta un rilevante
fattore di stabilità dell’area e condizione imprescindibile per accrescere la sovranità somala ed evitare la
pesca illegale e l’inquinamento. In questo quadro si colloca l’iniziativa della Somalia di deferire alla Corte
internazionale di giustizia il contenzioso che la oppone al Kenya circa il confine laterale delle rispettive

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Glossario di Diritto del Mare

ZEE, incluse le aree di piattaforma continen-


tale oltre le 200 miglia (v. Riquadro alla voce
Piattaforma continentale para 2) Restano in-
vece ancora da definire le frontiera marittime
Somalia-Yemen e Somalia-Gibuti.

SOMMERGIBILE
Per sommergibile s’intende, in senso
stretto, un mezzo subacqueo diverso dal sot-
tomarino (submarine nella terminologia an-
glosassone), avendo essi caratteristiche
tecniche diverse: il primo è destinato preva-
lentemente alla navigazione di superficie,
mentre il secondo a quella in immersione.
Tuttavia, poiché il loro status giuridico è
identico, in questa sede si parla per sempli-
cità solo del sommergibile. Esso è dunque, a
tutti gli effetti, una nave da guerra (v.) il
quale, nell’esercitare il transito inoffensivo
(v.) in acque territoriali straniere (v.) è tenuto
a rispettare la norma (UNCLOS 20) secondo
cui: «In the territorial sea, submarines and other
underwater vehicles are required to navigate on
the surface and to show their flag». In proposito
va notato che, mentre per le navi da guerra
di superficie esistono dubbi da parte di al- Ipotetici spazi marittimi della Somalia (Fonte: FAO).
cuni Stati sulla titolarità del diritto a transi-
tare senza preventiva notifica (v. Transito
inoffensivo delle navi da guerra), non altrettanto è ipotizzabile per i sommergibili. La norma afferma
chiaramente, infatti, la sussistenza di un tale diritto.
Altro problema è quello delle misure adottabili nei confronti di un sommergibile che transiti in im-
mersione nelle acque territoriali violando la prescrizione dell’UNCLOS. A parere di alcuni, la navigazione
sottomarina non è di per sé offensiva potendo essere una semplice scelta di convenienza tecnica ai fini
della navigazione. In relazione a ciò e alla condizione di immunità di giurisdizione (v.) di cui gode il
sommergibile al pari delle altre navi da guerra, si può ipotizzare che l’unica misura adottabile da parte
dello Stato costiero sia quella di richiedere al mezzo di identificarsi attraverso l’emersione, per poi inti-
margli di lasciare le acque territoriali in aderenza al principio stabilito dall’art. 30 dell’UNCLOS. Diverso
il caso qualora il sommergibile violi la sovranità dello Stato costiero navigando in immersione nelle acque
interne (v.). Il problema si presentò il 24 febbraio 1982 quando un sommergibile non identificato — rite-
nuto un classe «Victor» dell’ex Unione Sovietica — entrò nella baia storica del golfo di Taranto (v): l’unità
venne allora intercettata e inseguita da Forze aeronavali italiane sino a che sfuggì al contatto (vedasi VIII
Legislatura - Discussioni - seduta del 5 marzo 1982, p. 42079 ss. intervento del ministro della Difesa pro
tempore). A parere di un’autorevole dottrina, sarebbe stato in teoria possibile, nella circostanza, costringere
il sommergibile a emergere, con un uso graduale della forza, usando anche mezzi bellici per catturarlo.
Quanto alla cattura possono manifestarsi tuttavia perplessità, trattandosi di una violazione dell’immunità
sovrana (v.) del battello, tale poter essere considerato un casus belli.
La storia delle relazioni marittime nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale presenta nu-
merosi casi di intrusioni di sommergibili sovietici in acque interne straniere per evidenti scopi di intelligence
non seguiti tuttavia da cattura. Un episodio accadde nel 1980 in acque svedesi, ma il battello, nonostante
fosse stato bersagliato con bombe di profondità non riemerse. Ancora più grave l’incidente del sommer-
gibile nucleare sovietico U-137 che nel 1981 fu scoperto vicino alla base svedese di Karskrona. La Svezia
ottenne il consenso dall’Unione Sovietica a interrogare l’equipaggio rimorchiando il sommergibile — che

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Glossario di Diritto del Mare

nel frattempo evidenziava avarie — nella base dove fu trattenuto per 10 giorni e poi scortato sino al limite
delle acque territoriali. Simili fatti si sono verificati anche in anni recenti: oltre ai casi di violazioni delle
acque giapponesi da parte di battelli cinesi, nel 2015 un sommergibile non identificato è stato intercettato
in acque interne finlandesi venendo costretto ad allontanarsi dopo il lancio di bombe di profondità.
Circa la prassi internazionale è interessante riportare la seguente decisione assunta dal governo nip-
ponico il 24 dicembre 1996, che appare come la più adeguata all’attuale regime dell’UNCLOS: «The Prime
minister may, when asked by the Director-general of the Defence agency.... for an approval of the issuance of an
order to troops of the self-defence forces to demand that a foreign submarine navigating submerged in the japanese
territorial sea and internal waters navigate on the surface and show its flag and that if the submarine fails to obey
this order, it leave the japanese territorial sea, approve the request ...».
Il problema dell’atipicità del sommergibile nell’osservanza delle regole del diritto internazionale si è
posto anche per i conflitti armati (v. Diritto bellico marittimo). I dubbi esistenti prima della Seconda
guerra mondiale sulle modalità di condotta della guerra sottomarina nei confronti delle navi mercantili
furono risolti con il Processo Verbale del 1936 sulla guerra sottomarina il quale stabilisce che: «Nelle loro
azioni rispetto alle navi mercantili, i sottomarini devono conformarsi alle norme di diritto internazionale a cui sono
soggette le navi da guerra di superficie. 2. In modo particolare, eccettuato in caso di rifiuto reiterato di fermarsi
dopo ingiunzione regolare o di resistenza attiva alla visita, una nave da guerra, sia essa di superficie o sottomarina,
non può affondare o porre fuori navigazione una nave mercantile senza aver prima messo in salvo i passeggeri,
l’equipaggio e i documenti di bordo...».
Sulla prassi anteguerra riguardante i sommergibili che attaccavano le navi neutrali vedi la voce Pirateria.

SPAGNA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Prevenzione attività pericolose in mare;
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Stretti e canali internazionali (stretto di Gibilterra);
Traffico illecito di stupefacenti in mare;
Traffico e trasporto illegale di migranti in mare;
ZEE (Mediterraneo).

SPAMI (Specially Protected Areas of Maditerranean Importance)


Vedi: Mammellone (Zona di pesca a sud-ovest di Lampedusa);
Protezione ambiente marino (Mediterraneo);
Santuario per la protezione dei mammiferi.

SPAZIO AEREO INTERNAZIONALE


È l’area, adiacente allo spazio aereo nazionale (v.) sovrastante la zona contigua (v.), la zona economica
esclusiva (v.), l’alto mare (v.) e gli spazi marini non soggetti alla sovranità di alcuno Stato (come le zone
costiere dell’Antartide) su cui gli aeromobili civili e militari di tutti gli Stati hanno piena libertà di sorvolo.
Gli aeromobili militari (v.) possono, in particolare, svolgervi esercitazioni di qualsiasi genere con l’unico
limite di dover rispettare i diritti corrispondenti delle altre nazioni e la sicurezza del traffico aereo e ma-
rittimo internazionale.
Nello spazio aereo internazionale gli aeromobili militari (v.) non hanno in nessun caso, a differenza di
quanto previsto per le navi da guerra (v), il diritto di interferire con la navigazione degli aeromobili civili
di altra nazionalità, a meno di autorizzazione dello Stato di bandiera. Un’ulteriore eccezione potrebbe tut-
tavia ipotizzarsi nel caso di aeromobile che, a seguito di richiesta di identificazione, risulti privo di nazio-
nalità, qualora lo Stato che interviene abbia interesse a dirottarlo nel proprio spazio aereo o in quello di
altro Stato che a ciò acconsenta. Questi problemi sono stati affrontati nell’ambito della proliferation security
iniziative (v.) per individuare le misure adottabili nei confronti di aeromobili civili sospetti di trasportare
armi di distruzione di massa (WMD). Da ciò consegue che la nozione di intercettazione aerea (air intercep-

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Glossario di Diritto del Mare

tion) è più appropriata, rispetto a quella di interdizione aerea, per indicare le eventuali attività coercitive
che gli aeromobili militari possono mettere in atto nello spazio aereo internazionale. Nello spazio aereo in-
ternazionale ricadono anche le regioni per le informazioni di volo (flight information region) (v.).

Vedi anche: Mar Egeo; Zone pericolose per la navigazione e il sorvolo.

SPAZIO AEREO NAZIONALE


È l’area sovrastante le acque territoriali (v.) in cui lo Stato costiero esercita piena sovranità, analoga-
mente a quanto previsto per il territorio nazionale, le acque interne (v.) e, ove esistenti, le acque arcipe-
lagiche (v.) (UNCLOS 2 e Convenzione di Chicago del 1944, articoli 1 e 2). La giurisdizione relativa si
esplica nel diritto di procedere all’identificazione degli aerei stranieri in volo e di regolamentarne del
sorvolo, nonché nel potere di interdizione degli aeromobili non identificati o non autorizzati al sorvolo.
Nello spazio aereo nazionale non è dunque previsto un regime di passaggio assimilabile al diritto di
transito inoffensivo (v.) che vige nelle acque territoriali.
Del tutto particolare è il regime dello spazio aereo greco che ha ampiezza di 10 mn, a fronte delle 6
mn delle sottostanti acque territoriali (v. mar Egeo).
Al di là dello spazio aereo nazionale si estende lo spazio aereo internazionale (v.) in cui vige la libertà
di sorvolo.

STATI PRIVI DI ACCESSO AL MARE


Vedi: Bandiera navale;
Libertà dei mari;
Nazionalità della nave.

STATI UNITI D’AMERICA


Vedi: Acque territoriali;
Area internazionale dei fondi marini;
Baie storiche;
Baie storiche (Mediterraneo);
Blocco navale;
Diritto del mare (codificazione);
Disarmo navale;
Golfo Persico;
Interdizione marittima;
Libertà dei mari;
Maritime Quarantine;
Piattaforma continentale;
Prevenzione delle attività pericolose in mare;
Proliferation security iniziative (PSI);
Stretti e canali internazionali;
Canale di Panama;
Stretto di Messina;
Transito inoffensivo delle navi da guerra.

STRETTI E CANALI INTERNAZIONALI


1. Concetto geografico
Non si può prescindere, nel trattare del regime legale internazionale degli stretti, dall’individuazione della
loro dimensione geografica che l’International Hydrographic Organitation (IHO) individua in «narrow passage
between two land masses or islands or group of islands connecting two larger sea areas». A essa vengono anche as-
sociate quelle di «channel, passage, bouche» concettualmente simili ma relative a specifiche situazioni geogra-
fiche e maritime. Al riguardo, va ricordato che, a iniziativa della stessa IHO, in tempi recenti il toponimo di
«canale di Sicilia» è stato modificato in quello di «stretto di Sicilia» (v.). Del tutto peculiare è la denominazione

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Glossario di Diritto del Mare

di «Bocche» che la tradizione locale della Corsica e della Sardegna, avendo riguardo alla peculiarità del-
l’estuario della Maddalena, ha assegnato allo stretto che separa le due isole (v. Bocche di Bonifacio).
Sta di fatto che la definizione geografica di stretto è dei relativi sinonimi è imprecisa nel senso che pre-
scinde da parametri univoci e da riferimenti alla tipologia di navigazione che vi si pratica, che può essere
sia internazionale sia di cabotaggio. Oltretutto, come si dirà più avanti, sono «stretti» dal punto di vista
geografico anche quelli al cui interno esiste una porzione di acque internazionali, mentre la nozione giuri-
dica di stretto è relativa solo ai passaggi interamente coperti dalle acque territoriali di uno o più Stati.

2. Stretti e geopolitica: i choke points


Il termine choke points appartiene al vocabolario della geopolitica del mare (v.) e indica i punti di passag-
gio obbligati delle più importanti vie di comunicazioni marittime, canali compresi, quali gli stretti di Dover,
Gibilterra (v.), Bab el-Mandeb (v.), Hormuz (v.), Malacca-Singapore, gli stretti danesi e quelli turchi (v.), i
canali di Suez (v.) e Panama (v.). Se si pensa a come la nascita e l’affermazione dell’Impero britannico nel
XIX secolo sia in parte dovuta a un’accorta politica di controllo dei punti di passaggio delle rotte verso il
Mediterraneo, il Medio e l’Estremo Oriente, si ha una chiara idea della funzione dei choke points. Il relativo
concetto, anche se affine a quello geografico degli stretti, è comunque autonomo nel senso che è basato su
fattori specifici quali: 1) la necessità per la navigazione internazionale di transitarvi in mancanza di rotte
alternative; 2) l’interesse vitale che alcuni Stati a forte connotazione marittima hanno di avvalersene per i
loro traffici commerciali (si pensi all’economia dell’Italia dipendente per la gran parte dai trasporti marit-
timi) e per i movimenti delle loro flotte militari impegnate in funzioni di protezione degli stessi traffici o in
attività collaterali di presenza e sorveglianza; 3) la possibilità per gli Stati costieri che li fronteggiano di sot-
toporli a sorveglianza; 4) il fatto che essi si prestino a essere oggetto di minacce terroristiche nei confronti
di navi mercantili e da guerra in transito come avvenuto nello stretto di Bab el-Mandeb (1973) e di Gibilterra
(2004). Stretti e choke points non sono dunque sinonimi anche perché ci sono importanti punti obbligati di
passaggio costituiti da Sea lines of communications (SLOCs) dell’alto mare, vale a dire rotte marittime che
passano al largo di estremità geografiche come il Capo di Buona Speranza nel Sud Africa o il Capo Guar-
dafui in Somalia. La realtà di questo assunto è dimostrata dalla situazione creata dalla minaccia della pi-
rateria (v.) al largo del Corno d’Africa che ha indotto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite a emanare
numerose risoluzioni volte a garantire l’uso delle commercial maritime routes off the coast of Somalia.

3. Regime legale I convenzione di Ginevra del 1958


Il regime di transito applicabile agli stretti è stato così disciplinato dalla Convenzione di Ginevra del
1958 (art. 16,4) secondo il principio che: «Non vi è sospensione del passaggio inoffensivo di navi straniere at-
traverso gli stretti che sono usati per la navigazione internazionale tra una parte dell’alto mare e un’altra parte
dell’alto mare o del mare territoriale di uno stato straniero» (art. 16, 4).
Tale disposizione riflette il preesistente diritto consuetudinario che garantiva alle navi di qualsiasi
bandiera il transito nelle acque territoriali (v.) — al tempo di tre miglia — che ricoprivano uno stretto
nell’ambito dei principi del passaggio inoffensivo (v.). La sua genesi risale alle tesi espresse dalla Corte
internazionale di giustizia nell’ambito del caso dell’incidente occorso il 22 ottobre 1946 a navi da guerra
britanniche incappate in un campo minato durante la navigazione nelle acque territoriali albanesi dello
stretto di Corfù. Nella sua sentenza la Corte, nel riconoscere la validità delle opinioni britanniche sul-
l’esistenza di un principio di libertà di transito nello stretto, affermò che «is, in the opinion of the Court, ge-
nerally recognized and in accordance with international custom that States in time of peace have a right to send
their warships through straits used for international navigation between two parts of the high seas without the
previous authorization of a coastal State, provided that the passage is innocent». La decisione assurse così a
fonte del principio del passaggio inoffensivo non sospendibile negli stretti internazionali (v. Transito
inoffensivo) individuati secondo un criterio geografico-funzionale.
La codificazione di tale principio fu attuata nella citata norma della convenzione di Ginevra con rife-
rimento non solo agli stretti che sono usati per la navigazione internazionale tra una parte e l’altra del-
l’alto mare, ma anche a quelli colleganti l’alto mare al mare territoriale. Nel far ciò si volle garantire il
libero transito di Israele nello stretto di Tiran (v.) per i collegamenti con il suo porto di Eilat situato nella
parte settentrionale del golfo di Aqaba.

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Glossario di Diritto del Mare

4. Regime legale UNCLOS


4.1 Passaggio in transito
Dopo l’approvazione della I convenzione di Ginevra ci fu, com’è noto, un’evoluzione della prassi sul-
l’estensione delle acque territoriali che cominciò a consolidarsi fino al limite delle 12 mn dalle linee di
base. In questo modo, per effetto del passaggio alle acque territoriali di precedenti porzioni di alto mare,
venne a crearsi la questione del transito negli stretti con ampiezza pari o inferiore alle 24 mn coperte in-
tegralmente dalle acque territoriali degli Stati rivieraschi. I fautori del mantenimento dell’unico regime
di passaggio inoffensivo previsto dall’articolo 16, 4 della I convenzione di Ginevra (tra i quali Indonesia,
Malesia e Singapore) dovettero confrontarsi con quei paesi come Stati Uniti e Unione Sovietica che so-
stenevano l’esigenza della più completa libertà di navigazione delle loro Forze navali. Una mediazione
tra i due opposti schieramenti dei paesi costieri e delle potenze marittime fu svolta dalla Gran Bretagna
che presentò una proposta per introdurre la massima libertà di transito negli stretti usati per la naviga-
zione internazionale mediante l’introduzione di un nuovo regime sui generis, poi definito come «passag-
gio in transito» da applicare anche nei corridoi di traffico destinati alla navigazione internazionale istituiti
nelle acque arcipelagiche (v.). La proposta ottenne il consenso degli Stati partecipanti alla conferenza.
Da parte di alcuni Stati fu tuttavia messo in risalto che tale regime non rispondeva a principi di diritto
consuetudinario, ma era da considerarsi accettato dai soli Stati che, aderendo alla nuova convenzione,
proprio per questo avrebbero acquisito il diritto di avvalersi del diritto del passaggio in transito nelle
acque territoriali dei paesi che si affacciano sugli stretti internazionali. L’Iran sostiene tali tesi a supporto
del proprio contenzioso sul transito attraverso lo stretto nei confronti di Stati Uniti e Israele (quali Stati
che non sono ancora parti dell’UNCLOS).

4.2 Stretti con passaggio inoffensivo non


sospendibile
A fronte della creazione di questa nuova
categoria di stretti, in sede di redazione
dell’UNCLOS, si cercò comunque di circo-
scriverne l’ambito ai soli casi in cui le esi-
genze di navigazione internazionale
giustificano realmente l’affievolimento dei
poteri degli Stati costieri interessati. Su ri-
chiesta dell’ex Jugoslavia, che era intenzio-
nata a non avere intralci nella navigazione
nel canale d’Otranto e in prossimità del-
l’isola di Pelagosa (v.), si esclusero dal con-
cetto giuridico di stretto internazionale
quelli «nei quali esista una rotta, attraverso
l’alto mare o una ZEE, che sia di convenienza
comparabile dal punto di vista della navigazione
e delle sue caratteristiche idrografiche…» (art.
35 UNCLOS), al cui interno vige quindi la
più completa libertà di navigazione.
Il problema di natura politica connesso
al passaggio attraverso lo stretto di Tiran
portò invece alla norma dell’art. 45, 2, b)
dell’UNCLOS in forza della quale il sem-
plice passaggio inoffensivo (ancorché non
sospendibile) si applica agli stretti che «si
trovano tra una parte di alto mare o una ZEE,
e il mare territoriale di un altro Stato». Benché
escluso dalla categoria degli stretti in cui Situazione acque territoriali italiane e croate antistanti le isole Pelagosa e
vige il «passaggio in transito», Tiran rientrò Pianosa; al centro, lo spazio di acque internazionali (Fonte: Francalanci).

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Glossario di Diritto del Mare

tuttavia — in forza degli accordi di Camp


David del 1975 — in quella il cui regime
«totalmente o parzialmente regolamentato da
convenzioni internazionali» (art. 35, lett. c)
UNCLOS). L’esempio paradigmatico di ap-
plicazione di questa norma è dato dagli
stretti dei Dardanelli, del Mar di Marmara
e del Bosforo (v. Stretti turchi) il cui regime
di passaggio è stabilito dalla convenzione
di Montreux del 1936.
Un’ulteriore deroga al regime generale fu
prevista per gli stretti che separano un’isola
di uno Stato dal suo territorio di terraferma
se esiste al largo una rotta alternativa di con-
venienza similare attraverso una parte di
alto mare o di ZEE. Una proposta in questo
senso fu avanzata dalla delegazione italiana
durante i lavori della III Conferenza del Di-
ritto del mare avendo presente la situazione
dello stretto di Messina (v.). Questa via d’ac-
qua, benché sia uno stretto internazionale
quanto a importanza del traffico, ha caratte-
ristiche particolari sia per l’esistenza di una
rotta alternativa al largo della Sicilia sia per
il suo carattere nazionale, essendo intera-
mente coperta dalle acque territoriali ita-
liane. La nuova categoria di stretti (definita
come «Messina Exception») fu così discipli-
nata dall’art. 38, 1 dell’UNCLOS.
Stretto di Bab el-Mandeb (Fonte: Roach-Smith).

PRINCIPALI STRETTI INTERNAZIONALI TRA UNA ZONA DI ALTO MARE O DI ZEE


E UN’ALTRA ZONA DI ALTO MARE O DI ZEE

Stretto di Gibilterra Stretto di Formosa


Stretto di Bab el-Mandeb Stretto di Hormuz
Bocche di Bonifacio Stretto di Juan de Fuca
Canale di Beagle Canale di Kaiwi
Little Belt Stretto di Magellano
Stretto di Bering Stretto di Malacca
Passaggio tra Bahrein e Qatar Stretto di Massaua
Passaggio tra Bahrein e Arabia Saudita Canale di Minorca
Passaggio di Guadalupe Stretto di Ombai
Canale di Bristol Stretto di Rosario
Stretto di Cook Bocche del Serpente
Passaggio di Calais Stretto di Santa Lucia
Stretto di Corsica Stretto della Sonda
Stretto di Cerigo Stretto di San Bernardino
Stretto di Corfù Stretto di Suriago
Stretto di Dover Canale di San Giorgio
Bocche del Dragone Stretto di Scarpanto
Stretto di Dominique Stretto di Singapore

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Glossario di Diritto del Mare

4.3 Posizione ellenica su stretti internazionali


L’UNCLOS, superando la genericità della I convenzione di Ginevra, ha dettagliatamente disciplinato
tutte le possibili situazioni di navigazione negli stretti e nei corridoi di passaggio arcipelagico mediante
la creazione di ben sei distinte categorie. Tale accuratezza di regolamentazione non è tuttavia scevra da
dubbi e ambiguità potendosi chiedere, per esempio, come vengano designati gli stretti internazionali in
cui si applica il regime di passaggio in transito, considerato che non c’è alcuna lista ufficialmente rico-
nosciuta di tali stretti che in teoria ammontano a più di cento. Il problema è stato posto dalla Grecia che,
con riferimento ai numerosi passaggi esistenti tra le proprie isole, ha depositato alle NU la seguente di-
chiarazione interpretiva: «In areas where there are numerous spread out islands that form a great number of al-
ternative straits which serve in fact one and the same route of international navigation, it is the understanding of
Greece, that the coastal state concerned has the responsibility to designate the route or routes, in the said alternative
straits, through which ships and aircrafts of third countries could pass under transit passage régime…». Contraria
a tale assunto è la posizione turca.
Su questo problema esiste peraltro un contenzioso tra Stati Uniti e Canada per le nuove rotte polari
del Passaggio a nord-ovest (v. mare Artico). Al riguardo va notato che, col tempo, uno stretto — per
effetto di fattori climatici e commerciali — può mutare la sua importanza divenendo una via di naviga-
zione internazionale.

4.4 Sintesi differenti categorie degli stretti


Volendo riassumere il regime delineato in precedenza, possiamo dire che sono stabilite le seguenti
quattro categorie di stretti: 1) che collegano una zona di alto mare o di ZEE con un’altra zona di alto
mare o di ZEE, come gli stretti di Gibilterra, di Bab el-Mandeb o di Hormuz in cui si applica il passaggio
in transito; 2) che separano un’isola di uno Stato dal suo territorio di terraferma come lo stretto di Mes-
sina, sempreché esista una rotta alternativa di convenienza comparabile o che «si trovano tra una parte di
alto mare o una ZEE e il mare territoriale di un altro Stato»; in entrambi i casi si applica il passaggio inoffen-
sivo non sospendibile (UNCLOS 38, 1 e 45); 3) nei quali «il passaggio è totalmente o parzialmente regolato da
convenzioni internazionali che siano in vigore da lungo tempo» (UNCLOS 35, c), ed è il caso della convenzione
di Montreux del 1936 relativa agli stretti turchi; 4) per i quali il regime di transito sia stabilito da un par-
ticolare accordo internazionale con regole compatibili con la convenzione sul Diritto del mare del 1982
(UNCLOS 311, 2), come avviene per lo stretto di Tiran.

5. Disciplina conflitti armati sul mare


In caso di conflitto armato (si pensi alla guerra Iran-Iraq poi culminata nella crisi del 1987, durante la
quale l’Italia aveva la posizione di paese neutrale) il regime di passaggio deve tener conto, da un lato
dei diritti dei belligeranti di condurre ostilità negli stretti, dall’altro dei diritti dei neutrali a non subire
limitazioni nel transito negli stessi. Secondo il Diritto internazionale la casistica giuridica dei conflitti ar-
mati sul mare (v. Diritto bellico marittimo) può sintetizzarsi nei seguenti principi: 1) in periodo di conflitto
armato continua ad applicarsi, sia per i belligeranti sia per i neutrali, il diritto di passaggio in transito
vigente in tempo di pace; 2) i paesi rivieraschi neutrali non possono quindi imporre limitazioni al transito
anche perché la loro neutralità non è inficiata dal semplice passaggio di navi belligeranti; 3) queste navi
devono a loro volta astenersi dall’uso della forza nei confronti dello Stato costiero, anche se, durante il
transito, possono adottare misure difensive (quali: operazioni aeree, navigazione in formazione, sorve-
glianza acustica); 4) i paesi rivieraschi belligeranti possono adottare misure interdittive esclusivamente
nei confronti di navi da guerra di altro paese belligerante; 5) essi possono in teoria collocare mine nelle
proprie acque facenti parte di uno stretto, a condizione che in questo modo non si renda pericolosa la
navigazione delle navi neutrali e purché esista una rotta alternativa di convenienza similare; 6) le navi
mercantili e da guerra neutrali conservano il diritto di passaggio negli stretti le cui acque sono sotto la
sovranità di Stati belligeranti, provvedendo, in forma precauzionale, a darne preavviso agli stessi; 7) le
navi mercantili neutrali, durante il transito, possono avvalersi della protezione delle navi da guerra di
bandiera navigando in convoglio (v.). Questo regime è stato adottato dell’Italia quando, a seguito del-
l’attacco del 3 settembre 1987 al mercantile Jolly Rubino, il nostro Governo inviò in zona un Gruppo navale
della Marina Militare per proteggere il naviglio di bandiera. Se un conflitto armato riguardasse lo stretto

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Glossario di Diritto del Mare

di Bab el-Mandeb (la cui area è interessata da anni da forme di conflitto a bassa intensità) la soluzione
andrebbe cercata tenendo conto dei principi — in parte consuetudinari — citati in precedenza contenuti
nel Manuale di Sanremo applicabile ai conflitti armati internazionali sul mare.

6. Situazione specifici stretti e canali


6.1 Bocche di Bonifacio
Lo stretto (o Bocche) di Bonifacio, largo in media 9 mn nei punti di entrata occidentale e orientale, mi-
sura appena 2,2 mn nella parte centrale. Quale stretto che mette in comunicazione due parti di alto mare,
rientra nella categoria degli stretti internazionali. Come tale è sottoposto al regime del passaggio in tran-
sito (v. Transito negli stretti). Esso è interamente ricoperto dalle acque territoriali italiane e francesi deli-
mitate dalla Convenzione di Parigi del 28 novembre 1986 tra Italia e Francia relativa alla delimitazione
delle frontiere marittime nell’area (v. Acque territoriali (Mediterraneo). In considerazione della perico-
losità della navigazione nello stretto, l’Organizzazione marittima internazionale, con la risoluzione IMO
MSC 73 (69) approvata a Londra il 20 maggio 1998, ha adottato un sistema di istradamento del traffico
e la procedura di rapportazione navale obbligatoria da parte delle navi in transito per prevenire il rischio
di sinistri marittimi che possono coinvolgere navi petroliere, gasiere, chimichiere. Tale risoluzione —
non applicabile alle navi da guerra — è stata recepita dall’Italia con Decreto del ministro dei Trasporti
del 27 novembre 1998 che: 1) stabilisce un sistema di controllo (c.d. «rapportazione obbligatoria») del
traffico denominato Bonifacio Traffic la cui gestione è affidata alla Capitaneria di porto di La Maddalena
nella veste di autorità VTS delle Bocche di Bonifacio. La sua esecuzione da parte della Francia è avvenuta
con Arrête Prefectoral n. 84/98.

Bocche di Bonifacio e arcipelago della Maddalena (Fonte: UN).

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Glossario di Diritto del Mare

Italia e Francia non hanno dunque, sinora, posto limiti alla libertà di navigazione pur avendo richiesto
all’IMO (e ottenuto nel 2011) che lo stretto, in considerazione della sua pericolosità e vulnerabilità am-
bientale, sia designato «particularly sensitive sea area» (PSSA) e che al suo interno siano quindi adottate
misure valevoli erga omnes di: 1) canalizzazioni obbligatorie mediante «traffic separation scheme» (TSS); 2)
individuazione di aree da evitare; 3) istituzione di un «vessel traffic system» (VTS); 4) introduzione del pi-
lotaggio obbligatorio per particolari categorie di navi trasportanti carichi pericolosi e tossici.
Italia e Francia appaiono decisi a continuare a seguire il consolidato approccio improntato sia a una
stretta cooperazione bilaterale «cross border», sia al coinvolgimento dell’IMO in tutti i provvedimenti di
rilievo internazionale attinenti la sicurezza della navigazione e la protezione dell’ambiente. L’obiettivo
comune è quello della creazione del Parco internazionale delle Bocche — la cui realizzazione è stata av-
viata nel 2010 da Italia e Francia a seguito di accordo — che dovrà evitare il passaggio di navi con so-
stanze a rischio nel fragile ecosistema dello stretto per la cui tutela e valorizzazione è stata anche
presentata all’UNESCO la proposta di designarlo come patrimonio dell’umanità.

Area delle Bocche di Bonifacio interessata dalla proposta di parco internazionale (Fonte: OEC).

In tale contesto si colloca la proposta più volte avanzata di escludere dalle Bocche il traffico interna-
zionale che tuttavia non ha sinora trovato accoglimento per le difficoltà giuridiche di disapplicare il re-
gime previsto per gli stretti internazionali. Una riflessione in materia potrebbe essere condotta
congiuntamente da Italia e Francia previo esame delle opzioni offerte dall’interpretazione del concetto
di «stretto usato per la navigazione internazionale» (art. 34 UNCLOS) il quale presuppone l’accertamento
tecnico della sua idoneità dal punto di vista della sicurezza della navigazione. O anche dall’applicazione
di strumenti come il protocollo di Smirne sui traffici transfrontalieri di carichi pericolosi (v. Traffico e
trasporto rifiuti pericolosi in mare) che consentirebbe a Italia e Francia di ottenere una notifica preventiva,
da parte delle navi rientranti nella specifica disciplina, in modo da porre in essere adeguate misure di
prevenzione.

6.2 Canale di Corsica


È compreso tra Capo Corso e l’isola della Capraia e ha un’ampiezza, misurata dalle linee di base di
Francia e Italia dalla linea di costa, inferiore alle 24 mn. In particolare, a nord (tra Capo Corso e l’isola di
Capraia) le acque territoriali italo-francesi misurano circa 16 mn; mentre a sud mantengono una esten-
sione inferiore alle 24 mn sino al punto di coordinate 42°11’42’’N - 009°54’30’’E in cui iniziano le acque

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Glossario di Diritto del Mare

internazionali. In mancanza di un accordo di delimitazione, finché non entrerà in vigore l’accordo di


Caen del 2015 sulle frontiere marittime tra Italia e Francia, si applica il principio dell’art. 15 dell’UNCLOS
(v. Delimitazione) secondo cui «…nessuno dei due Stati ha il diritto, in assenza di accordi contrari, di estendere
il proprio mare territoriale al di là della linea mediana di cui ciascun punto è equidistante dai punti più prossimi
delle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale di ciascuno dei due Stati…». Al pari delle
Bocche di Bonifacio, il canale di Corsica è interamente ricoperto dalle acque territoriali italiane e francesi
e quindi, quale stretto che mette in comunicazione due parti di alto mare, rientra nella categoria degli
stretti internazionali. Come tale è sottoposto al regime del passaggio in transito (v.). Esso è, infatti, per-
corso da cospicui flussi di traffico di qualsiasi bandiera (circa 20.000 transiti di navi l’anno) che ne fa
escludere il carattere di semplice via marittima di cabotaggio.

Canale di Corsica, dispositivo di separazione del traffico (Fonte: omi.delegfrance).

6.3 Canale di Corinto


Inaugurato nel 1893, questo canale — che mette in comunicazione le acque territoriali del golfo di Co-
rinto con quelle del golfo di Salamina — risponde unicamente alla esigenza commerciale di ridurre i
tempi di navigazione. In relazione a questa caratteristica deve essere considerato un canale interno, sot-
toposto quindi interamente alla sovranità della Grecia, e non uno stretto in cui vige il passaggio inoffen-
sivo, né, a maggior ragione, una via d’acqua internazionale aperta al libero transito di tutti gli Stati.

6.4 Canale di Kiel


Costruito nel 1896 per l’esigenza strategica di mettere in comunicazione il Mare del Nord con il mar
Baltico, questo canale fu inizialmente sottoposto alla sovranità esclusiva della Germania. Successiva-
mente, al termine della Prima guerra mondiale, con l’art. 380 del trattato di pace di Versailles del 28 giu-
gno 1919, fu stabilito che il canale «e le sue vicinanze dovessero essere lasciate libere e aperte alle navi mercantili
e da guerra di tutte le nazioni in pace con la Germania, a condizioni di completa parità». Tale regime di libertà
di transito in tempo di pace fu riaffermato dalla Corte permanente di giustizia internazionale in relazione
al caso, avvenuto nel 1921, di un mercantile britannico il cui transito era stato impedito dalla Germania,
sulla base del principio per cui il canale aveva cessato di essere un canale navigabile interno per divenire
una via d’acqua internazionale, aperta, in tempo di pace, a tutte le nazioni per l’accesso al mar Baltico.

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Glossario di Diritto del Mare

6.5 Canale di Panama


Aperto al traffico il 14 agosto 1914, il canale di Panama era stato costruito sulla base del trattato di
Hay-Bunau-Varilla del 18 novembre 1903 con cui Panama accordava la sovranità agli Stati Uniti sulla
costruendo via d’acqua. Lungo complessivamente circa 80 km, il canale riduce di circa 8.000 mn la di-
stanza tra New York e San Francisco via Capo Horn. Le dimensioni delle navi che possono transitarvi
(tempo medio 9 ore) sono in funzione delle chiuse in cui devono essere immesse per superare i salti di
quota.
Il Trattato di Washington del 7 settembre 1977 tra Stati Uniti e Panama, formato da due distinti accordi,
ha in parte modificato il regime del canale previsto dal precedente trattato del 1903. L’accordo iniziale,
noto come Neutrality Treaty, riconosceva lo status di via d’acqua internazionale a carattere neutrale del
canale di Panama prevedendo che esso, sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, «rimanga sicuro e
aperto al pacifico transito da parte delle navi di tutte le nazioni in termini di completa eguaglianza», in modo che
«... le navi da guerra di tutte le nazioni avranno diritto in ogni momento di transitare per il canale... senza essere
assoggettate a condizioni per il transito, a ispezioni, perquisizioni o sorveglianza». Agli Stati Uniti veniva rico-
nosciuto il ruolo di garanti della libertà di transito nel canale e del suo status di neutralità. Con il secondo
accordo è stato invece previsto il passaggio dagli Stati Uniti alla Panama Canal Authority del controllo sul
canale, a decorrere dal 1° gennaio 2000.
È stato completato nel 2016 il progetto di ampliamento del canale mediante la costruzione di nuove
chiuse e allargamento della via d’acqua, in modo da permettere il passaggio di navi di maggiori dimen-
sioni (le Post-Panamax: lunghezza circa 350 m, larghezza 50 m, immersione 15 m).

6.6 Canale di Suez


(a) Inaugurazione
Il corteo di navi che il 17 novembre 1869 celebrò l’inaugurazione del canale di Suez trasportava, oltre
al chedivè d’Egitto Ismail, molte teste coronate, a cominciare dall’imperatrice Eugenia, moglie di Napo-
leone III, imbarcata sul panfilo Aigle, all’imperatore Francesco Giuseppe e al Principe di Galles. L’Italia,
benché non rappresentata da membri della famiglia reale, aveva inviato ad Alessandria una nutrita for-
mazione navale. Sul panfilo dell’imperatrice Eugenia vi era anche il progettista del canale, Ferdinand
de Lesseps, a testimoniare l’orgoglio della Francia per la realizzazione di un’impresa fortemente voluta.
In realtà, i meriti non erano solo di Lesseps, ma anche di tutti quelli, compresi alcuni italiani, che avevano
creduto nella possibilità di realizzare il canale di Suez, non solo per motivi commerciali e politici, ma
anche in nome di ideali universalistici.

(b) La via d’acqua universale


Il collegamento del Mediterraneo al Mar Rosso rappresenta, com’è noto, il punto di arrivo di un lungo
processo che affonda le sue radici nella storia più antica dell’Egitto e nei progetti elaborati e/o realizzati
nelle varie epoche dai faraoni, dai Persiani, dall’imperatore Traiano, dai califfi Abassidi. Si pensò allora
a canali trasversali tra il ramo orientale del Nilo e i Laghi Amari, collegando questi con il Mar Rosso. Al-
l’inizio del Cinquecento, Venezia — per rimediare ai danni al suo commercio con Levante, derivanti
della scoperta portoghese della Via delle Indie — immaginò di scavare un vero e proprio canale tra i due
mari. L’idea veneziana, dopo che la spedizione di Napoleone in Egitto la riportò all’attenzione interna-
zionale, divenne realtà grazie alla determinazione del diplomatico francese Ferdinand de Lesseps. Questi,
ottenuta la necessaria concessione, nel 1859 dette avvio all’impresa avvalendosi delle capacità tecniche
di Luigi Negrelli, ingegnere ferroviario di origine trentina e di nazionalità austriaca.
Le finalità economico-politiche che animavano Lesseps non devono tuttavia far dimenticare che tra i
paladini del canale vi era Prosper Enfantin, interprete del sansimonismo, movimento facente capo a
Henri de Saint-Simon, il quale aveva inserito il taglio dell’istmo di Suez in un vasto programma di ”ri-
generazione sociale” del mondo. Enfantin partecipò alla costituzione della Société d’études pour le canal
de Suez, spinto, sulla scia del suo maestro, da una visione universale: l’opera venne immaginata come
mezzo per realizzare un nuovo ordine internazionale in cui la vitalità dell’Oriente si sarebbe saldata con
il razionalismo dell’Occidente, il mondo musulmano e quello cristiano. Così, quando nel 1854 Said Pashià
rilasciò a Lesseps un firmano (decreto) per realizzare il canale, stabilì come condizione che l’opera sarebbe

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stata gestita da una compagnia a carattere «universale», e che il transito fosse aperto a tutti gli Stati, su
una base di completa eguaglianza. Questa clausola fu ampliata nel secondo decreto del 1856 il quale sta-
bilì che il canale dovesse essere un «passaggio neutrale». La successiva convenzione del 1866 tra il governo
egiziano e la compagnia chiarì inoltre che il transito dovesse essere aperto ai bastimenti di tutte le nazioni,
senza escludere le navi da guerra. Un ulteriore fatto che accelerò l’internazionalizzazione del canale fu,
nel 1882, l’occupazione britannica della zona del canale (cui l’Italia, benché invitata, non volle parteci-
pare), dopo la rivolta nazionalistica del colonnello egiziano Arabi. Il nostro paese aveva comunque as-
sunto un ruolo attivo nel corso della conferenza internazionale convocata a Costantinopoli per concertare
misure contro i rivoltosi, prima dell’occupazione britannica. Il rappresentante italiano propose che fosse
riconosciuta l’urgente necessitaÌ di creare un’organizzazione internazionale, con il concorso della Turchia,
a garanzia della libertaÌ di passaggio nel canale. L’iniziativa italiana, nonostante fosse stata giudicata fa-
vorevolmente, non ebbe seguito per le riserve manifestate da vari paesi. A riprova del ruolo ricoperto
nell’affermazione della libertaÌ di transito nel canale, l’Italia fu invitata dal premier britannico Granville,
nel 1885, a far parte della commissione incaricata di predisporre uno statuto internazionale. In questo
modo, dopo che le Gran Bretagna ottenne garanzie sulla sua occupazione della zona del canale, si giunse
alla sigla della Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 firmata da Italia, Austria-Ungheria,
Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Russia, Spagna e Turchia.

(c) La convenzione di Costantinopoli


La convenzione, in linea con la genesi politica del progetto, si propone di stabilire — com’è detto nel
suo preambolo — un «sistema definitivo destinato a garantire, in ogni tempo e a qualsiasi paese, il libero uso del
canale». Fondamentale è il suo art. 1, il quale afferma un regime di transito improntato alla garanzia di
libertà di navigazione ed eguaglianza di trattamento per le navi di qualsiasi bandiera, prevedendo che:
«Il canale sarà sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a ogni nave mercantile o da guerra, senza
distinzione di bandiera». Connesso al diritto di transito delle navi da guerra straniere è il regime di demi-
litarizzazione (v.) del canale stabilito dall’art. 4 secondo cui il canale deve restare aperto anche in tempo
di guerra alle navi militari dei belligeranti, ma nessun atto di ostilità volto a ostruirlo, può essere com-
piuto al suo interno. Tale regime potrebbe essere anche definito come neutralizzazione se non fosse che il
termine rischia di creare equivoci. Il canale è sì neutralizzato nel senso che nessun atto di ostilità può es-
sere compiuto al suo interno (compreso il movimento di truppe e armamenti o lo stazionamento di navi
al suo interno), ma non lo è se si considera che nessuna limitazione è fissata per il caso in cui il transito
di navi da guerra di belligeranti sia preordinato a compiere atti di ostilità all’esterno del canale. La de-
militarizzazione fu in generale osservata nel corso delle due guerre mondiali, tranne che in alcuni episodi:
navi tedesche che non avevano osservato le regole di transito rapido furono internate dalla Gran Bretagna
e Forze turche tentarono nel 1915 di bloccarlo. Durante la crisi anglo-italiana del 1936, all’epoca dell’oc-
cupazione italiana dell’Etiopia, la Gran Bretagna rinunciò, inoltre, al progetto di inibire il transito delle
navi italiane quale misura da adottare in applicazione delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni
contro il nostro paese. Nel corso della Seconda guerra mondiale le acque del canale vennero bombardate
dalle Forze dell’Asse e mine acustiche e magnetiche vennero lanciate al suo interno.

(d) Il canale, l’Egitto e Israele


Il controllo del canale da parte del Regno Unito ebbe fine gradualmente: prima, nel 1922, con la conces-
sione dell’indipendenza all’Egitto e il termine del protettorato; poi, nel 1947 e nel 1954, con la partenza dal-
l’Egitto e l’abbandono della zona del canale. Gli avvenimenti precipitarono, com’è noto, a seguito della
nazionalizzazione della compagnia, operata il 26 luglio 1956 dal presidente Nasser, cui seguì il fallimento
politico-diplomatico dell’occupazione della zona del canale tentata nell’ottobre 1956 da una Forza di in-
tervento franco-inglese con il pretesto di interporsi nel conflitto tra Israele ed Egitto. Nel frattempo, il Con-
siglio di sicurezza delle NU aveva emanato la Risoluzione 118 (1956) che fissava le condizioni per la
soluzione della crisi, indicando come precondizioni il mantenimento della libertà di transito (politica e tec-
nica) nel canale nonché il rispetto dell’indipendenza dell’Egitto. La compagnia del canale, per effetto del
provvedimento di nazionalizzazione, venne sostituita dalla Suez Canal Authority, la quale è tuttora «a
public and an independent authority of a juristic personality; SCA shall report to the Prime minister».

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Il canale, dopo la rimozione di alcuni relitti di navi affondate, venne riaperto il 10 aprile 1957. L’Egitto,
al termine della crisi, s’impegnò con la dichiarazione del 24 aprile 1957 a «mantenere libero il canale e non
interrompere la navigazione a favore di tutte le nazioni entro i limiti e in accordo con le previsioni della convenzione
di Costantinopoli del 1888». L’impegno unilaterale dell’Egitto a rispettare lo status quo ante non impedì
tuttavia di applicare il divieto di transito nei confronti delle navi di bandiera israeliana stabilito nel 1948.
Il divieto fu successivamente esteso a qualsiasi carico diretto in Israele, a prescindere dalla bandiera della
nave utilizzata per il trasporto con motivazioni di vario genere riconducibili — come dichiarato dal
Primo ministro israeliano all’Assemblea generale delle NU nel 1959 — alla tesi che il Governo egiziano
avesse il diritto, in ragione delle ostilità in atto, di adottare misure difensive nel canale. La situazione di
ostilità tra i due paesi sfociò, come si ricorderà, nella «Guerra dei 6 giorni» del giugno 1967, durante la
quale Israele occupò la penisola del Sinai sino alle rive del canale, mentre l’Egitto bloccò il transito della
via d’acqua mediante l’affondamento di quindici navi. La chiusura del canale si prolungò per otto anni
determinando gravissime conseguenze per l’economia dei paesi mediterranei. Si ebbe per conseguenza
la spinta a sviluppare la navigazione lungo la rotta di Buona Speranza utilizzando superpetroliere di gi-
gantesche dimensioni (sino a 400.000 t) e si ebbero elementi a favore della tesi, già espressa in passato al
momento dell’avvio dell’impresa della compagnia, di chi considerava il canale un’entità di significato
regionale, obsoleto dal punto di vista economico e strategico. Ciononostante, grazie all’impegno della
comunità internazionale e in concomitanza con il miglioramento delle relazioni tra Egitto e Israele, il ca-
nale fu riaperto il 5 giugno 1975. Nell’art. V del Trattato di pace tra Israele ed Egitto del 26 marzo 1979
(v. stretto di Tiran) fu infatti richiamata l’applicazione della convenzione di Costantinopoli nei seguenti
termini: «Ships of Israel, and cargoes destined for or coming
from Israel, shall enjoy the right of free passage through the Suez
canal and its approaches through the gulf of Suez and the Medi-
terranean sea on the basis of the Constantinople convention of
1888, applying to all nations, Israeli nationals, vessels and car-
goes, as well as persons, vessels and cargoes destined for or co-
ming from Israel, shall be accorded non-discriminatory
treatment in all matters connected with usage of the canal».

(e) La nuova vita del canale


Dopo aver superato indenne numerose rivalità e crisi
internazionali il canale è giunto, nel 2019, in piena salute,
ai suoi centocinquant’anni. Certo, non è più la fondamen-
tale via di comunicazione dell’Impero britannico come gli
inglesi andavano ripetendo con fierezza, a sottolineare che
il canale era sì una via d’acqua internazionale, ma pur
sempre un’infrastruttura funzionale all’interesse di man-
tenere i collegamenti con i loro possedimenti. Alla scom-
parsa della Via delle Indie, concetto geopolitico che
rimanda alla teoria dei choke points, si è tuttavia sostituito
oggi qualcos’altro: il dominante imperialismo commerciale
della Cina ha, difatti, elaborato la strategia della Via della
Seta Marittima (Maritime Silk Road) che ha nel canale il suo
punto di forza. Pechino ha quindi da tempo iniziato a in-
teressarsi alle vie di accesso a Suez, Gibuti, Massaua e, so-
prattutto, alla Suez economic zone.
Sta di fatto che il canale è risorto a nuova vita il l6 agosto
2015: al termine dei lavori di ampliamento (la profondità
dello scavo è stata portata a 24 m) è stata inaugurata la
nuova via d’acqua di 35 km, parallela al precedente tratto,
Grandi Laghi Amari-Ismailia. In questo modo si sono ri- Canale di Suez, nuovo tracciato
dotti i tempi di percorrenza (11 ore) e si è raddoppiato il (Fonte: ENI, Oil, n. 31).

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numero delle navi da ammettere al transito (97 navi al giorno). Ma soprattutto si è eliminato ogni limite
di dimensione (in precedenza 240.000 tsl) delle stesse navi, rendendo nuovamente competitiva la rotta
del canale a beneficio dei porti mediterranei e dello stesso Egitto, che ha nei diritti di transito la fonte
principale della sua economia. Nel 2018 i transiti sono aumentati, raggiungendo il record di 18.000 navi.
Si è così scongiurato il rischio, corso dal Mediterraneo, di ridurre i suoi traffici durante il periodo più
acuto della crisi della pirateria (v.) del Corno d’Africa, tra il 2008 e il 2014. Al tempo, le associazioni degli
armatori e la stessa IMO raccomandarono, infatti, allo shipping di tenersi lontano dal Corno d’Africa e
dal golfo di Aden seguendo la rotta, più lunga ma anche più sicura, del Capo di Buona Speranza. E si
sono anche poste le condizioni per evitare che nel medio periodo le nuove rotte polari (v. mare Artico),
risultando più competitive economicamente, possano marginalizzare ulteriormente il Mediterraneo.

6.7 Stretto di Bab el-Mandeb


(a) Importanza strategica
Lo Stretto di Bab el-Mandeb, avente un’ampiezza massima di 16 km nella parte centrale, mette in co-
municazione l’oceano Indiano con il Mar Rosso (v.) e, attraverso il canale di Suez (v.), con il mar Medi-
terraneo (v.). Esso è qualificabile, dal punto di vista della rilevanza per la navigazione, come una via
d’acqua internazionale; è coperto integralmente dalle acque territoriali di Gibuti e Yemen e appartiene,
sulla base di quanto previsto dall’art. 37 dell’UNCLOS, alla categoria degli stretti che, mettendo in co-
municazione una parte di alto mare o ZEE con altra parte di alto mare o ZEE, sono sottoposti al regime
del «passaggio in transito» (v.). Notevole è l’importanza strategica di questo stretto, in quanto, come può
facilmente intuirsi, un suo blocco determinerebbe l’interruzione dei collegamenti marittimi che transitano
per il canale di Suez. Non va dimenticato, al riguardo, che nel 1972 un cacciatorpediniere francese fu
bombardato dall’isola yemenita di Perim (posta al centro dello stretto) e che nel 1971 la petroliera libe-
riana Coral Sea, noleggiata da Israele per tra-
sportare petrolio da Eilat, fu colpita da due
missili. Nel quadro di questa situazione, ,
Stati Uniti e Israele stipularono nel 1975 un
Memorandum dedicato all’impegno statu-
nitense nella difesa della libertà di transito
nello stretto, nei seguenti termini: «In accor-
dance with the principle of freedom of navigation
on the high seas and free and unimpeded passage
through and over straits connecting internatio-
nal waters, the United States Government re-
gards the straits of Bab el- Mandeb and the strait
of Gibraltar as international waterways. It will
support Israel's right to free and unimpeded pas-
sage through such straits…». Stretto di Bab el-Mandeb (Fonte: US LIS, 112).

(b) Regime passaggio


Il regime dello stretto stabilito dall’UNCLOS è come detto di ampia portata e tale da mettere al riparo
da qualsiasi illegittima limitazione al transito attuata in tempo di pace dagli Stati rivieraschi. Nel firmare
l’UNCLOS nel 1982 lo Yemen ha tuttavia espresso un orientamento restrittivo sul transito delle unità
militari con la seguente dichiarazione: «The Yemen Arab Republic adheres to the concept of general international
law concerning free passage as applying exclusively to merchant ships and aircraft; nuclear-powered craft, as well
as warships and warplanes in general, must obtain the prior agreement of the Yemen Arab Republic before passing
through its territorial waters, in accordance with the established norm of general international law relating to na-
tional sovereignty». La posizione yemenità è stata contestata dagli Stati Uniti nel 1986 sostenendo che:
«Transit passages is a right that may be exercised by ships of all nations, regardless of type or means of propulsion,
as well as by aircraft, both state and civil». A più riprese il Governo di Sanaa, in anni non lontani, ha conti-
nuato a mantenere un simile approccio richiedendo alle navi da guerra in transito di non adottare misure
di autodifesa, compreso il sorvolo da parte degli aeromobili imbarcati. I rischi del passaggio attraverso

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lo stretto sono tornati di attualità nell’ambito del conflitto che oppone Sanaa a Ryad. Nel 2016, barchini
veloci presumibilmente condotti da ribelli yemeniti Houthi, hanno lanciato granate contro due mercantili
sauditi. Nel febbraio 2017, per contrastare il possibile minamento dello stretto da parte di gruppi terro-
ristici, gli Stati Uniti hanno dislocato in area proprie Forze navali: al 2020 ne è in atto il pattugliamento
nell’ambito della Operation Sentinel cui partecipano unità di Emirati, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar,
Australia e UK, missione che sorveglia anche lo stretto di Hormuz. La minaccia ai due stretti è, infatti,
vista come espressione di un unico disegno. Da aggiungere infine che Bab el-Mandeb fa parte della Piracy
HRA, area ad alto rischio pirateria del Corno d’Africa e del golfo di Aden.

6.8 Stretto di Hormuz


(a) Caratteristiche geografiche
Via d’acqua di accesso al golfo Persico che prende nome dall’isola iraniana di Hormuz e che, prima
ancora che stretto in senso geografico e giuridico, è un importantissimo choke point mondiale. Il mante-
nimento della libertà di navigazione al suo interno è, infatti, vitale per l’approvvigionamento energetico
dei paesi occidentali: si calcola che circa il 25 % delle esportazioni mondiali di petrolio vi passi attraverso
e che il Giappone riceva il 75% del proprio fabbisogno. Il transito giornaliero è stimato in 15 milioni di
barili. Vie alternative di trasporto degli idrocarburi via mare sono tuttavia rappresentate dall’oleodotto
che attraversa l’Arabia Saudita da Abqaiq a Yanbu in Mar Rosso (v.) o da quello che passando per l’Iraq
raggiunge il Mar Nero (v.) a Ceyhan in Turchia.
La sua ampiezza, nel punto più stretto che è interamente ricoperto dalle acque territoriali di Iran e
Oman, è di 21 mn: al suo interno vi è uno schema di separazione del traffico costituito da due canali di
traffico larghi ciascuno 1 miglio, ricadenti rispettivamente nelle acque territoriali dei due paesi, separati
da una buffer zone di 2 mn posta a cavallo della mediana. In vicinanza della penisola omanita di Musan-
dam, dove vi sono gli isolotti di Quain, i corridoi di entrata e di uscita sono posti integralmente nelle
acque territoriali dell’Oman; dal lato iraniano la presenza delle isole di Hormuz, Qeshm e Larak rende
i fondali non del tutto idonei alla navigazione; questi sono invece più profondi sul versante omanita.
In prossimità dello stretto, all’interno del golfo Persico, vi è l’isola di Abu Musa che, pur essendo ri-
vendicata dagli Emirati Arabi Uniti, è in possesso dell’Iran assieme ai vicini isolotti della Grande e della
Piccola Tunb. In questa parte delle acque territoriali iraniane transita il traffico con direttrice nord-ovest.
A seconda delle rotte seguite dallo shipping e per effetto degli schemi di separazione approvati dall’IMO,
può dirsi, in sostanza, che il traffico marittimo dell’area è equamente distribuito nelle acque territoriali
di Iran e Oman.

(b) Libertà di transito


Allo stretto di Hormuz si applica il regime del passaggio in transito (v. Transito negli stretti), quale
stretto internazionale interamente coperto dalle acque territoriali di Iran e Oman (21 miglia di ampiezza
minima tra le isole di Larak e Quain, separate da una linea di equidistanza stabilita nel 1974) che collega
aree di alto mare e di ZEE. Il che vuol dire che sia le navi mercantili sia quelle da guerra di qualsiasi
paese possono transitarvi senza preavviso a condizione di rispettare gli obblighi stabiliti dall’articolo 39
dell’UNCLOS. Esse devono quindi «refrain from any threat or use of force against the sovereignty, territorial
integrity or political independence of States bordering the strait [and] from any activities other than those incident
to their normal modes of continuous and expeditious transit». Il problema riguarda le modalità di passaggio
in transito, contestandosi da parte iraniana (ma a volte anche omanita) che le navi da guerra, nel navigare
nello stretto, possano adottare misure militari di self protection da rischi potenziali, tenendo in volo eli-
cotteri vicino all’unità o adoperando dispositivi per la sorveglianza subacquea. Durante il passaggio le
navi sono inoltre tenute a rispettare, in conformità con l’articolo 41 dell’UNCLOS, gli schemi di separa-
zione del traffico prescritti da Iran e Oman e approvati dall’IMO.

(c) Incidenti navali


Incidenti sono più volte occorsi tra unità statunitensi in transito e imbarcazioni iraniane in pattuglia-
mento. Nell’area di acque internazionali, che è all’imboccatura orientale dello stretto, il 6 gennaio 2008,
tre navi da guerra statunitensi sfiorarono lo scontro armato con cinque motoscafi veloci dei pasdaran

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iraniani. Incontri ravvicinati, ripetutisi a più riprese, hanno coinvolto nel 2020 il USCGC Maui ed altre
Unità statunitensi della VI Flotta fatte oggetto di manovre di harassing da parte di motoscafi veloci in
violazione delle COLREGS 72. Il contenzioso latente tra Stati Uniti e Iran si incentra sul fatto che l’Iran
nega agli Stati Uniti — quale Stato che non è parte dell’UNCLOS — la titolarità dei diritti di libero transito
garantiti dalla stessa UNCLOS; gli Stati Uniti affermano invece che la fonte di questi diritti prescinde
dall’UNCLOS, in quanto è consuetudinaria. Altro problema è che gli Stati Uniti ritengono che il sistema
di linee di base iraniane non sia conforme al diritto internazionale, considerando perciò acque interna-
zionali quelle che per Teheran sono acque territoriali.
Il mantenimento della libertà di transito nello stretto è l’obiettivo della European Maritime Awareness
in the Strait of Hormuz (EMASOH), operazione multinazionale a guida francese cui aderisce l’Italia, lan-
ciata nel 2020 con l’intento di proteggere il libero transito ed evitare possibili rischi a navi ed equipaggi
in transito. La missione ha preso il via dopo che nel 2019 il mercantile britannico Stena Impero era stato
sequestrato nello stretto dagli iraniani. La Gran Bretagna partecipa alla Operation Sentinel, di cui gli
Stati Uniti sono leader, dedicata a fini analoghi a quelli di EMASOH, nell’area più vasta che include oltre
al golfo e a Hormuz, il golfo di Oman e lo stretto di Bab el-Mandeb (v.), area che è ritenuta un unico se-
curity complex.

(d) Scenari del passato


È utile lo scenario in cui negli anni Ottanta del Novecento tutto il golfo Persico e Hormuz divennero
teatro di eventi di grande rilevanza giuridico-strategica. Le modalità aggressive con cui le imbarcazioni
di Pasdaran iraniani conducevano, nell’ambito dei diritti di belligeranza contro l’Iraq, la visita ai mer-
cantili neutrali (v. Contrabbando di guerra), portarono allora i paesi occidentali a impiegare nell’area
proprie navi da guerra, comprese unità cacciamine, la cui attività fu coordinata dall’allora Unione euro-
pea occidentale (UEO). L’Italia inviò un Gruppo navale della Marina Militare con il compito di proteggere
i mercantili di bandiera dopo l’attacco alla portacontainer Jolly Rubino con colpi di bazooka avvenuto il
2 settembre 1987 al largo dell’isola di Farsi, ma mai rivendicato dall’Iran. Lo stesso fecero altri paesi quali
la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che si assunse anche la protezione di mercantili stranieri attribuendo
loro la propria bandiera mediante reflagging. In questo contesto si colloca il provvedimento adottato dalla
Marina italiana di scortare in convoglio (v.) i mercantili di bandiera durante il transito nello stretto. L’Iran
aveva, infatti, disposto la sospensione del libero transito nella parte dello stretto rientrante nelle proprie
acque territoriali dichiarandole «war zone» per la necessità di dover svolgere esercitazioni militari.

(e) Illegittimità limitazioni passaggio


La chiusura alla navigazione dello stretto, minacciata in anni passati a più riprese dall’Iran, sarebbe
un provvedimento illegittimo sia in tempo di pace sia nel corso di un conflitto armato (v. Diritto bellico
marittimo). Una tale chiusura non potrebbe nemmeno essere giustificata dalla necessità per l’Iran di di-
fendere la propria sicurezza nazionale o di reagire ad attacchi al proprio territorio. Qualsiasi azione mi-
litare che avesse per effetto l’interdizione, anche parziale — come avverrebbe se restasse libero il solo
passaggio attraverso le acque territoriali dell’Oman — del traffico attraverso Hormuz sarebbe perciò
contraria al diritto internazionale e potrebbe essere contrastata con ogni mezzo, nel rispetto della Carta
delle NU. D’altronde un attacco a navi mercantili e/o da guerra in transito nello stretto in tempo di pace
— condotto con qualsiasi arma, mine comprese, per interdire il passaggio — configurerebbe un’aggres-
sione verso lo Stato di bandiera, in accordo con la Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni
unite 3314 (XXIX); il Consiglio di sicurezza avrebbe così titolo a intervenire per ristabilire la pace e la si-
curezza internazionale e le nazioni aggredite potrebbero, nel frattempo, usare la forza in legittima difesa
ex articolo 51 della Carta delle Nazioni unite.
Detto che non è possibile ipotizzare alcun provvedimento che abbia a oggetto, in modo diretto o in-
diretto, l’interdizione del traffico nello stretto di Hormuz, resta il problema dell’esercizio da parte del-
l’Iran di poteri di interferenza con la libertà di navigazione di mercantili in transito. In premessa va
chiarito che la questione non riguarda il diritto di visita di cui all’articolo 110 dell’UNCLOS nei casi ivi
previsti in quanto questi poteri possono essere usati in alto mare o nelle acque internazionali. Durante
il transito in uno stretto internazionale non è dunque ipotizzabile un esercizio di poteri coercitivi da

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Glossario di Diritto del Mare

parte dello Stato costiero nei confronti dei


mercantili di altra bandiera analoghi a quelli
esercitabili dalle navi da guerra in alto mare
(v. Polizia dell’alto mare). Il punto in esame
concerne invece l’esercizio della giurisdi-
zione da parte dello Stato costiero nei con-
fronti di un mercantile che abbia violato le
norme emanate dallo stesso Stato ai sensi
dell’articolo 42 dell’UNCLOS. Norme, che
le navi in transito sono tenute a osservare a
condizione che esse abbiano avuto debita
pubblicità. Riguardo alle misure applicabili
in simili casi nulla è previsto dall’UNCLOS,
tranne che la nave in transito abbia causato
un inquinamento e lo Stato costiero intenda
avvalersi della possibilità di ricorrere a mi-
sure appropriate (tra le quali potrebbe es-
Stretto di Hormuz (Fonte: Roach-Smith).
sere previsto anche il sequestro della nave)
ai sensi dell’articolo 233 dell’UNCLOS. Sta
di fatto che, per il sequestro della citata petroliera britannica Stena Impero, l’Iran ha formulato accuse di
violazione di non ben precisate «international maritime rules».

6.9 Stretto di Gibilterra


(a) Libertà di passaggio e sorvolo
Largo 7,5 mn nella sua parte più stretta e interamente coperto dalle acque territoriali di Marocco e
Spagna, rientra nella categoria degli stretti internazionali ove, secondo l’UNCLOS, vige il regime del
passaggio in transito (v.) che prevede il diritto di navigazione (in immersione per le unità subacquee) e
di sorvolo in favore di tutti gli Stati. Lo stretto prende il nome dalla rocca di Gibilterra che è ancora «ter-
ritorio d’oltremare» della corona britannica. Il regime di libertà di transito è sancito anche dalla Dichia-
razione di Londra dell’8 aprile 1904 tra Gran Bretagna e Francia (cui aderì successivamente la Spagna
con la dichiarazione di Parigi del 3 ottobre 1904) che ha per oggetto la demilitarizzazione (v.) della costa
marocchina dello stretto.
La Spagna, nell’aderire all’UNCLOS, ha tuttavia espresso riserve interpretative dichiarando che: a) il
regime di passaggio in transito stabilito nella parte III dell’UNCLOS è compatibile con il diritto della
Stato costiero di stabilire in uno stretto in-
ternazionale le sue regolamentazioni; b) nel-
l’art 39, 3 della stessa UNCLOS la parola
«normalmente» (riferita all’obbligo per gli ae-
romobili di Stato in transito sullo stretto di
rispettare le Regole dell’aria dell’ICAO e di
tener conto della sicurezza della naviga-
zione) va interpretata come «salvo forza mag-
giore o pericolo grave». Il punto di vista
spagnolo è stato contestato dagli Stati Uniti
i quali hanno sostenuto che la pretesa spa-
gnola non è conforme al Diritto internazio-
nale, soprattutto per ciò che riguarda la
possibilità di porre vincoli al diritto di sor-
volo degli aeromobili militari. Le differenti
vedute sul sorvolo dello stretto hanno co-
stretto gli Stati Uniti a pianificare il raid con- Stretto di Gibilterra (Fonte: Francalanci-Scovazzi).
tro la Libia del 1986 con rotte alternative.

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Glossario di Diritto del Mare

(b) Disputa territoriale


Il dominio britannico su Gibilterra risale al Settecento, quando la rocca, dopo essere stata occupata
dalla Gran Bretagna nel 1704, fu ceduta, al termine della Guerra di successione spagnola, con il Trattato
di pace di Utrecht del 13 luglio 1713 la cui clausola X attribuisce a Londra «la piena e integrale proprietà
della città e della rocca di Gibilterra, assieme al porto, alle fortificazioni e ai forti a essi relativi, da mantenere e uti-
lizzare senza limitazioni con ogni genere di diritti, per sempre, senza giurisdizione territoriale e senza aperta co-
municazione via terra con il territorio circostante…», salvo la prelazione della Spagna in caso di alienazione
del possedimento.
Un contenzioso esiste tuttora tra i due paesi sia per quanto riguarda la restituzione del possedimento
sia per la pretesa britannica di attribuire a esso uno spazio di acque territoriali (v. Acque territoriali (Me-
diterraneo). Al riguardo la Spagna, nella citata adesione all’UNCLOS, ha dichiarato che «this act cannot
be interpreted as recognition of any rights or situations relating to the maritime spaces of Gibraltar which are not
included in article 10 of the treaty of Utrecht of 13 July 1713 between the Spanish and British Crowns». Più volte
si sono verificati incidenti diplomatici tra unità navali per via della pretesa spagnola di interferire con
l’attività di navi inglesi; tra di essi vi sono incontri ravvicinati messi in atto con finalità provocatorie che
hanno anche riguardato sommergibili nucleari. A margine di questi fatti la Spagna ha proposto una co-
gestione degli spazi marittimi antistanti la rocca. Con la Brexit sono sorti ulteriori problemi riguardanti
sia i movimenti transfrontalieri, sia il dominio britannico sulla penisola della linea che circonda la baia,
sia l’operatività dell’aeroporto ivi esistente.

STRETTO DI KERCH
Vedi: Mare di Azov.

6.10 Stretto di Messina


(a) Regolamentazione italiana
Quale stretto che mette in collegamento
due parti di alto mare, che è formato da
un’isola e dalla costa del continente (l’am-
piezza minima è di 3,1 km) e il cui transito
può essere sostituito da una rotta alterna-
tiva di convenienza similare, è sottoposto
al regime del transito inoffensivo non so-
spendibile (v.).
Il passaggio nello stretto di Messina, a
seguito del sinistro tra due petroliere av-
venuto nella zona il 21 marzo 1985, è stato
specificatamente regolamentato con il
D.M. 8 maggio 1985 che ha interdetto, ai
fini della salvaguardia dell’ambiente, il
transito alle petroliere e alle navi con cari-
chi nocivi di stazza lorda pari o superiore
alle 50.000 t, stabilendo nel contempo, per Sistema VTS dello stretto di Messina (Fonte: Guardia costiera).
la sicurezza della navigazione, il pilotag-
gio obbligatorio per particolari categorie
di navi.
L’Italia, per fronteggiare i pericoli derivanti dal crescente traffico attraverso lo stretto, con l’articolo 8,
comma 7, del D.LGS. 1° ottobre 2007, n. 159 (convertito nella legge 222-2007) ha istituto «l’Area di sicu-
rezza della navigazione dello stretto di Messina» affidandone la gestione a una specifica autorità le cui
funzioni sono state disciplinate dal D.M. 23 giugno 2008, n. 128, provvedimento che ha anche regola-
mentato un nuovo schema di separazione del traffico. Il D.M. 760/2017, per garantire una gestione uni-
taria della navigazione nell’area dello stretto, ha poi affidato le competenze alla «Capitaneria di porto di
Messina-Autorità marittima dello stretto».

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Glossario di Diritto del Mare

(b) Riserve Stati Uniti


Gli Stati Uniti hanno espresso riserve nei confronti dell’iniziativa italiana basate sulla considerazione
che lo stretto abbia carattere internazionale (gli Stati Uniti non sono parte dell’UNCLOS che disciplina
invece, come eccezione al regime generale, gli stretti geograficamente simili a Messina) con la seguente
Nota Verbale del 5 aprile 1985: «As the Government of the United States understands it, this decree is not in-
tended to apply to warships or other governmental ships on non-commercial service exercising the right of innocent
passage. It is the understanding... that this prohibition on navigation through the strait of Messina by specified
vessels, and this requirement of pilotage for others, is intended to give the Government of Italy time in which to
formulate proposals for the regulation of maritime traffic in the strait. ...The strait of Messina is a strait used for
international navigation, to which... the regime of non-suspendable innocent passage applies. The regime of innocent
passage is one that may be exercised by vessels of all States, re-gardless of type of cargo. By purporting to prohibit
navigation through the strait of Messina by vessels of specified size carrying specified cargo, the Government of
Italy appears to be attempting to suspend the right of innocent passage for such vessels, in contravention of long-
settled customary and conventional international law...
Furthermore, the Government of the United States must express its objection to the requirement, in the decree,
that certain other vessels require pilots in order to exercise the right of innocent passage...[t]his requirement is in-
consistent with the regime of non suspendable innocent passage that applies in the strait of Messina».

6.11 Stretto di Sicilia


La denominazione di stretto di Sicilia è stata introdotta dall’autorità cartografica nazionale, in adem-
pimento di una raccomandazione del Bureau Hydrographic International (BHI) volta a uniformare i topo-
nimi marini. Il termine indica il tratto di mare tra la Tunisia e la Sicilia, in passato genericamente definito
come canale di Sicilia, compreso tra Capo Bon e Capo Lilibeo.
Dal punto di vista giuridico quello di Messina non è uno stretto internazionale, in quanto esiste, nella
sua parte centrale, una zona di acque internazionali (v.) compresa tra le acque territoriali di Italia e Tunisia
(v. acque territoriali (Mediterraneo), larga circa 50 miglia, nella quale è pacifica l’esistenza della libertà
di transito e di sorvolo.

6.12 Stretto di Tiran


(a) Status internazionale
Il regime di tale stretto, collocato all’imboccatura del golfo di Aqaba (v. Mar Rosso) in cui ci sono le
isolette saudite di Tiran e Sanafir (v. Isole), è sancito dall’art. V del Trattato di Pace tra Israele ed Egitto
del 26 marzo 1979 (con gli Stati Uniti nel ruolo di garanti) che così stabilisce: «The parties consider the strait
of Tiran and the gulf of Aqaba to be international waterways open to all nations for unimpeded and non-suspendable
freedom of navigation and overflight. The parties will respect each other’s right to navigation and overflight for ac-
cess to either country through the strait of Tiran and the gulf of Aqaba». Sulla base dell’UNCLOS (art. 311, 2)
lo stretto di Tiran è dunque uno stretto per il quale il regime di transito è stabilito da un particolare ac-
cordo internazionale con regole compatibili con la stessa convenzione. Questo è avvenuto per impedire
limitazioni all’accesso al porto israeliano di Eilat nel golfo di Aqaba.
La Multinational Force and Observers (MFO) è l’organizzazione internazionale — che ha sede a Roma
— creata da Israele, Egitto e Stati Uniti con l’accordo di pace suindicato per vigilare sulla libertà di pas-
saggio. La MFO è l’unica organizzazione che, al di fuori delle NU, è incaricata di una missione interna-
zionale: al tempo, difficoltà politiche, impedirono, infatti, l’intervento delle NU.

(b Ruolo dell’Italia
L’Italia è il quarto paese contributore della MFO, in termini di personale. La Marina Militare fornisce
il proprio supporto, con tre pattugliatori classe «Esploratore» che costituiscono la Coastal Patrol Unit della
MFO, sulla base di uno specifico accordo mediante scambio di note più volte rinnovato dopo la prima
ratifica con legge 29 dicembre 1982, n. 967 . L’annesso II a tale accordo stabilisce, in particolare, che: «Il
Governo italiano fornirà alla MFO un Contingente navale che avrà una responsabilità primaria nell’effettuare pat-
tugliamenti navali nello stretto di Tiran e nelle sue vicinanze, come parte della missione della MFO per assicurare
la libertà di navigazione attraverso tale stretto, conformemente all’articolo V del trattato di pace. Tale compito sarà

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Glossario di Diritto del Mare

svolto effettuando pattugliamenti navali intermittenti attraverso tale via d’acqua internazionale e nelle immediate
vicinanze, osservando e riferendo palesi interferenze nella navigazione». La semplice formulazione di questo
testo spiega meglio di qualsiasi altro l’essenza della missione di peace-keeping navale (v.) svolta in modo
impeccabile dalla nostra Marina a beneficio di Egitto e Israele per garantire il libero transito internazio-
nale nello stretto di Tiran e per consentire a Israele i collegamenti marittimi con il proprio porto di Eilat,
posto alla sommità del golfo di Aqaba. Direttamente interessata è anche la Giordania, il cui porto di
Aqaba è contiguo a Eilat, e l’Arabia Saudita quale paese rivierasco dello stretto sul versante orientale. In
aggiunta, le unità italiane cooperano con l’Egitto per le attività SAR nelle acque di giurisdizione.

6.13 Stretti (turchi)


(a) Status giuridico-politico
Il regime applicabile al passaggio e alla navigazione nello stretto dei Dardanelli, nel Mar di Marmara
e nel Bosforo è previsto dalla Convenzione adottata a Montreux il 20 luglio 1936. Il problema del transito
di tali Stretti presenta rilevanti aspetti di natura storico-diplomatica sì da essere comunemente indicato
come «Questione degli Stretti»: al riguardo si rinvia alla trattazione contenuta nella voce Mar Nero del
presente Glossario. Paesi firmatari furono Turchia, Francia, Grecia, Bulgaria, Giappone e Unione Sovietica
(l’Italia, pur non avendo preso parte alla conferenza preparatoria, aderì successivamente, nel 1938).
Il principio guida in essa sta-
bilito è quello fissato nell’art. 23
del Trattato di Pace di Losanna
del 1923 stipulato tra la Turchia
e le potenze alleate al termine
della Prima guerra mondiale,
secondo cui: «The High Contrac-
ting Parties are agreed to recognise
and declare the principle of freedom
of transit and of navigation, by sea
and by air, in time of peace as in
time of war, in the strait of the Dar-
danelles, the Sea of Marmora and
the Bosphorus, as prescribed in the
separate Convention signed this
day, regarding the regime of the Stretti turchi (Fonte: Eia).
Straits».
Preliminarmente va notato che la parola «stretti» viene adoperata sia dal trattato di Losanna sia dalla
convenzione di Montreux per indicare complessivamente Dardanelli, Mar di Marmmara e Bosforo. Il
termine viene adottato generalmente sotto la forma «stretti turchi». Questa espressione presenta tuttavia
una valenza di geopolitica del mare (v.) in quanto è contestata a seconda del punto di vista con cui alcuni
paesi guardano al Mar Nero e al ruolo che la convenzione di Montreux assegna alla Turchia. Ecco quindi
che da parte di alcuni si preferisce riferirsi a «stretti del Mar Nero» o anche a «stretti dei Dardanelli e del
Bosforo», mentre altri usano il solo termine «stretti». Sta di fatto che la questione è divenuta a volte oc-
casione di dispute lessicali nell’ambito delle attività navali tra i paesi aderenti alla NATO.
(b) Convenzione Montreux
La Convenzione, nel quadro della sicurezza della Turchia e degli Stati rivieraschi del Mar Nero, pre-
vede che:
— in tempo di pace, sia di giorno sia di notte, senza alcuna formalità, a meno di disposizioni sanitarie,
la completa libertà di transito in favore delle navi mercantili di qualsiasi bandiera;
— in tempo di guerra, qualora la Turchia non sia belligerante, il medesimo regime di transito alle navi
mercantili di qualsiasi bandiera;
— in tempo di guerra, qualora la Turchia sia belligerante, la libertà di passaggio e navigazione in
favore dei mercantili appartenenti a paesi non in conflitto con la Turchia, a condizione che essi non as-
sistano il nemico, e transitino di giorno rispettando rotte obbligate.

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Glossario di Diritto del Mare

Il diritto di passaggio è altresì riconosciuto alle navi da guerra sia pure con particolari restrizioni e
con l’obbligo di informare il Governo turco, otto giorni prima del transito, per le:
— navi di dislocamento superiore alle 15.000 t (il diritto di passaggio è previsto per le sole navi delle
potenze rivierasche del Mar Nero, purché esse passino singolarmente);
— navi di dislocamento inferiore alle 15.000 t (il diritto di transito è riconosciuto alle unità di qualsiasi
bandiera a condizione che il passaggio avvenga di giorno, che il tonnellaggio globale di una Forza in
transito non superi le 15.000 t e che la stessa non sia composta da più di 9 unità);
— unità subacquee a condizione che si tratti di battelli di potenze rivierasche del Mar Nero costruiti
e acquistati all’estero (al di fuori di questa ipotesi il passaggio delle unità subacquee è proibito).

(c) Problema portaerei


La convenzione non contiene alcuna disposizione che autorizzi espressamente il transito delle navi por-
taerei pur dando, nell’annesso II, una loro definizione come «bastimenti da guerra di superficie che, quale che sia
il loro dislocamento, sono costruiti o predisposti principalmente per trasportare e far operare aeromobili in mare». All’art.
15 viene inoltre stabilito che «le unità da guerra in transito non possono in nessun caso utilizzare gli aerei imbarcati».
Questa formula viene generalmente intesa come indice del fatto che, se è proibito il transito delle navi por-
taerei in senso stretto corrispondenti alla suindicata definizione dell’annesso II, è da ritenersi invece con-
sentito quello delle navi portaelicotteri. Tale interpretazione è stata adottata per superare il problema dell’ex
Unione Sovietica di costruire una portaerei in Mar Nero e di farla transitare attraverso gli stretti. Nel 1967
fu trovato un accomodamento tra Turchia e Unione Sovietica nell’ammettere il transito della nuova classe
di unità «Moskva» designate come «aviation cruisers» (con un largo ponte di volo poppiero e 18 elicotteri
pesanti) e, dieci anni dopo, dei due «large antisubmarine cruiser» classe «Kiev» trasportanti 12 aerei a decollo
verticale Yak-38 STOL, aventi caratteristiche simili a una «aircraft carrier». Quando poi nel 1985 l’ex Unione
Sovietica si decise a costruire una vera e propria portaerei di 60.000 t e lunga 300 m, l’iniziativa non fu mai
portata a termine. D’altronde non è un caso che l’Unione Sovietica avrebbe potuto denunciare la convenzione
nel 1956, allo scadere del periodo di venti anni dalla sua entrata in vigore, avvalendosi della facoltà concessa
alle parti contraenti dall’articolo 28 della convenzione, e tuttavia non lo ha fatto. Né ha mai spinto Romania
e Bulgaria, quando erano suoi alleati, a richiederne la modifica.

(d) Posizione statunitense


All’estremo opposto rispetto alla Russia si colloca la posizione degli Stati Uniti che com’è noto sono
stati fautori, sin dalla loro nascita, della più completa libertà dei mari (v.). La contrarietà di principio di
Washington al regime vincolato degli stretti è provata dal fatto che durante la conferenza di pace del
1919, il presidente Wilson, nell’ambito dei suoi famosi «quattordici punti», sostenne la completa libera-
lizzazione del transito. Gli Stati Uniti non sono perciò parte della convenzione di Montreux. Tuttavia,
nei suoi ottant’anni di applicazione, non ne hanno messo in discussione la regolamentazione. Nessuna
portaerei dell’US Navy ha comunque mai preteso di entrare in Mar Nero. L’unico episodio controverso
di cui si ha notizia è quanto accaduto nel 2008: durante la crisi georgiana; la Turchia non autorizzò l’ac-
ceso al Mar Nero di due unità statunitensi, le navi ospedale Mercy e Comfort, che avrebbero dovuto tra-
sportare aiuti umanitari in Georgia (oggetto di blocco navale (v.) da parte russa): il loro tonnellaggio
globale (circa 140.000 t) avrebbe, infatti, ecceduto i limiti stabiliti dalla convenzione di Montreux per le
navi da guerra straniere operanti in Mar Nero (al massimo 45.000 t complessive). Al riguardo va notato
che la convenzione di Montreux pare comunque ammettere, all’articolo 18, una procedura derogatoria
nel caso di Forze navali dislocate per scopi umanitari.

(e) Regolamentazione tutela ambientale


Il regime generale di transito stabilito nella convenzione, anche se non è cambiato nei suoi fondamentali
aspetti politico-militari, ha subito modifiche per effetto di emergenze ambientali causate da sinistri di navi
trasportanti carichi inquinanti. Al fine di limitare il transito negli stretti di grosse petroliere, la Turchia ha
emanato nel 1994, a seguito di approvazione dell’IMO (v.), le «Maritime Traffic Regulations for the Turkish
Straits and the Marmara Region» che prevedono forme di preventiva comunicazione del transito e suo tem-
poraneo fermo in varie situazioni operative. È stato anche installato un sistema di controllo del traffico (VTS).

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Glossario di Diritto del Mare

Come base giuridica del proprio provvedimento, da parte della Turchia è stata espressa la tesi che il
regime del transito negli stretti è un tipo sui generis di passaggio inoffensivo (v.); di qui la conseguenza
che sarebbe lecito adottare misure per la sicurezza della navigazione e la protezione dell’ambiente ma-
rino. La Russia espresse forti riserve eccependo la contrarietà delle regulations alla convenzione di Mon-
treux, soprattutto per la mancanza di consultazione con gli Stati parte. Il punto è che la Turchia sostiene
di avere piena autorità per la regolazione e gestione del transito per aver ereditato le funzioni della pree-
sistente Commissione internazionale per gli stretti. A seguito delle riserve russe, la Turchia, ha modificato
il provvedimento eliminando le parti delle precedenti disposizioni relative alla sospensione e autoriz-
zazione del transito che più erano risultate controverse.
Per evitare rischi ambientali e decongestionare il traffico, la Turchia ha elaborato un progetto di costruzione
di un canale di transito artificiale a nord-ovest di Istanbul (lungo 50 km, largo 150 m, profondo 25 m). L’opera,
che sarebbe denominata «Kanal Istanbul», consentirebbe il passaggio di navi e petroliere di grosso tonnel-
laggio. Il transito sarebbe tuttavia a pagamento, a differenza di quanto oggi avviene negli stretti.

SUCCESSIONE TRA STATI


La disciplina della successione tra Stati nei diritti sovrani su un territorio, nel caso in cui uno o più
Stati subentrino a un altro nel loro esercizio, è contenuta nella Convenzione di Vienna del 23 agosto 1978
a ciò dedicata.
La convenzione, entrata in vigore nel 1996, è basata sul principio, considerato corrispondente al diritto
internazionale consuetudinario, secondo cui lo Stato successore è vincolato ipso iure al rispetto dei trattati
riguardanti il possesso del territorio e la definizione delle frontiere conclusi dal predecessore. Gli accordi
di tal natura continuano dunque a essere vincolanti per lo Stato successore, alla data della successione,
a meno di dichiarazione contraria. Tale principio è perciò da ritenersi in particolare applicabile per ciò
che concerne l’osservanza dei trattati relativi alla delimitazione (v.) delle frontiere marittime da parte
delle repubbliche componenti la Federazione Russa, succeduta all’Unione Sovietica a seguito della sua
dissoluzione nel dicembre 1991 (v. Mar Nero).
Quanto ai paesi che hanno proclamato la loro indipendenza dall’ex Iugoslavia, in Adriatico (v.) sono
suoi Stati successori:
— la Slovenia e la Croazia, per quel che concerne la delimitazione del golfo di Trieste (v. Acque terri-
toriali (Mediterraneo) stabilita dagli accordi di Osimo del 10 novembre 1975: la Slovenia ha notificato
all’Italia di essere subentrata all’ex Iugoslavia in tali accordi con nota del 31 luglio 1992; la questione
della loro titolarità dei rispettivi tratti di frontiera marittima è ancora incerta, stante, al 2020, la mancata
soluzione della disputa sulla baia di Pirano (v.);
— la Croazia, riguardo al trattato di Roma dell’8 gennaio 1968 sulla delimitazione della piattaforma
continentale (v. Piattaforma continentale (Mediterraneo), relativamente al tratto di sua competenza. Il
Montenegro — che a seguito di referendum del 15 maggio 2006 ha acquisito l’indipendenza dalla Re-
pubblica di Serbia — non si è dichiarato successore rispetto al medesimo trattato di delimitazione della
piattaforma continentale. La certezza dei confini si avrebbe se Italia, Croazia e Montenegro definissero
congiuntamente un punto triplo.

SVIZZERA
Vedi: Bandiera navale.

THALWEG
Vedi: Delimitazione;
Golfo di Trieste (Acque territoriali-Mediterraneo);Golfo Persico.

TERRORISMO MARITTIMO
1. Convenzione di Roma del 1988
Rientrano in questo concetto tutti i casi di violenza commessi per finalità politiche o terroristiche a
bordo di una nave privata i quali, difettando dei requisiti dell’aggressione di una nave ai danni dell’altra
e del fine privato, non possono essere considerati come pirateria (v.). La materia costituisce oggetto della

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Glossario di Diritto del Mare

Convenzione di Roma del 1988 per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della navigazione
marittima (SUA Convention) la quale è stata conclusa sotto gli auspici dell’IMO (v.) per porre rimedio
alle lacune della normativa internazionale messe in evidenza nel caso dell’Achille Lauro (v. Pirateria).
Le ipotesi criminose previste sono: 1) atti di violenza e minaccia per impadronirsi di una nave o causare
danno a una persona imbarcata; 2) distruzione di una nave o danni al carico o installazioni di bordo; 3)
comunicazione dolosa di informazioni marittime erronee.
La convenzione si applica nel caso in cui le azioni suindicate — che debbono essere commesse con il
fine di mettere in pericolo la maritime safety (v. Sicurezza marittima) — vengano compiute quando la
nave è in acque site «al di là dei limiti esterni del mare territoriale di un solo Stato» o, in base alla sua rotta,
stia per navigare in tali acque o provenga dalle stesse. Le parti contraenti nel cui territorio si trovi l’autore
del reato hanno l’obbligo di perseguirlo penalmente e di estradarlo. Il comandante di una nave di uno
Stato parte, a bordo della quale siano avvenuti fatti di terrorismo marittimo ha altresì la facoltà di con-
segnare il colpevole alle autorità di ogni altro Stato parte (cosiddetto «Stato destinatario») perché agisca
nei modi previsti dalla Convenzione. La convenzione si applica anche, in base a uno specifico protocollo
aggiuntivo, alle attività criminose commesse sulle piattaforme fisse in permanenza sul fondo del mare
ai fini dell’esplorazione e dello sfruttamento della piattaforma continentale (v.).
Non è disciplinato l’esercizio di poteri di intervento in alto mare da parte di una nave da guerra (v.)
di un paese che abbia interesse a reprimere fatti di terrorismo marittimo: perciò vi sono dubbi sulla pos-
sibilità di usare la forza verso mercantili di bandiera straniera controllati da terroristi. In proposito, vanno
distinte le ipotesi in cui l’intervento avvenga con il consenso o quanto meno l’acquiescenza dello Stato
di bandiera, da quelle in cui lo Stato di bandiera lo neghi perché connivente con i terroristi. In questo
caso l’intervento della nave da guerra potrebbe costituire una forma di autotutela inquadrabile nell’am-
bito delle misure di interdizione marittima (v.).

2. Il protocollo di Londra del 2005


Per fronteggiare le nuove minacce alla sicurezza marittima (intesa come security), l’IMO si è attivata,
all’indomani dell’11 settembre 2001, con l’obiettivo di rendere la convenzione di Roma più adeguata alle
nuove realtà del terrorismo marittimo. A questo fine è stato redatto un protocollo di modifica che, uni-
tamente a un ulteriore protocollo dedicato agli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse, è
stato approvato a Londra il 14 ottobre 2005 (London SUA Protocol). Punti rilevanti dello strumento sono:
— richiamo nel preambolo alla UNSCR 1540 (2004) che stabilisce la necessità di adottare misure per
contrastare la proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche di distruzione di massa (WMD),
nonché al vigente diritto del mare;
— fattispecie di illecito quali: a) usare una nave in modo da causare massicce distruzioni di luoghi
pubblici; b) trasportare su una nave armi di distruzioni di massa e materiali relativi con finalità di terro-
rismo; c) scaricare da una nave sostanze pericolose o nocive in quantità tale che possa causare lesioni
mortali o estesi danni ambientali;
— responsabilità per la commissione dolosa di tali illeciti o per il trasporto intenzionale di persone
implicate nella loro commissione;
— procedure per la cooperazione tra le parti contraenti nell’esecuzione in acque internazionali, da
parte di proprie navi da guerra (v.) o navi in servizio governativo non commerciale (v.), di controlli nei
confronti di mercantili sospetti di essere implicati nelle attività vietate, secondo i seguenti criteri disci-
plinati nell’art. 8 bis: a) obbligo di acquisire l’autorizzazione dello Stato di bandiera, a seguito di espressa
richiesta, come condizione per l’esecuzione di misure di «stopping, boarding and searching the ship, its cargo
and persons on board»; b) clausola di «opting in» con cui le parti dichiarano che è da considerare concessa
l’autorizzazione ad abbordare e ispezionare una nave di propria bandiera se non vi è stata risposta entro
quattro ore dalla richiesta di autorizzazione; c) stringenti misure di salvaguardia per la tutela dell’inte-
grità fisica, dei diritti umani e della dignità delle persone trasportate e della sicurezza dei mezzi e del
carico, tenendo conto che i pericoli connessi all’esecuzione di abbordaggi in mare possono consigliarne
la loro esecuzione in porto; d) responsabilità dello Stato che interviene per eventuali danni patrimoniali;
e) giurisdizione preferenziale dello Stato di bandiera.
In definitiva il SUA Protocol non ha modificato il regime della precedente convenzione di Roma del

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Glossario di Diritto del Mare

1988 che non identifica il terrorismo marittimo come un crimine internazionale equiparato alla pirateria,
tale quindi da autorizzare il ricorso a misure di enforcement erga omnes. Il nuovo strumento stabilisce ul-
teriori forme di cooperazione operativa tra gli Stati per facilitare l’abbordaggio di navi sospette, ma nello
stesso tempo prevede all’art. 8 bis, 3 un caveat volto ad ammonire sui pericoli per la vita umana connessi
ai boarding coercitivi (v. Diritti umani in mare). Comunque, va valutato positivamente il risultato di aver
accresciuto l’attenzione della comunità internazionale sui nuovi rischi che attentano al libero uso del
mare, consentendo agli Stati e alle loro Marine di collaborare assieme per contrastare il fenomeno. Tra i
risultati più significativi dell’iniziativa va segnalato anche quello di aver dato veste giuridica pattizia ai
principi della Proliferation security iniziative (PSI) (v.).

TRAFFICO E TRASPORTO RIFIUTI PERICOLOSI IN MARE


Vedi: Protezione dell’ambiente marino.

TRAFFICO DI STUPEFACENTI IN MARE


1. Regime internazionale
L’illecito consiste nel detenere a bordo di una nave mercantile (tra cui rientrano ovviamente le imbar-
cazioni da diporto) sostanze stupefacenti o psicotrope al fine di fabbricarle, distribuirle, trasportarle, tra-
sbordarle o venderle. Esso è, come naturale, perseguibile nelle acque interne (v.), nelle acque territoriali
(v.) e nella zona contigua (v.) secondo la legislazione nazionale dello Stato costiero; la sua commissione
in queste zone giustifica anche l’esercizio del diritto di inseguimento (v.).
In alto mare (v.) tale illecito non costituisce viceversa, allo stato attuale del diritto internazionale, un
illecito internazionale (crimen juris gentium) con la conseguenza che non è perseguibile né dalle navi da
guerra (v.), né dalle navi in servizio governativo (v.), né dagli aeromobili militari (v.) aventi bandiera di-
versa della nave che effettua il traffico di droga. Poteri di intervento in alto mare, in presenza di casi del
genere, sono invece riconosciuti alle unità militari, soltanto ove ciò:
— sia previsto da un apposito accordo bilaterale;
— sia stato autorizzato dallo Stato di bandiera della nave dedita all’attività illecita, nell’ambito di una
richiesta di collaborazione rivolta agli altri Stati (UNCLOS 108);
— sia stato concesso dallo Stato di bandiera della nave incriminata, su esplicita richiesta dello Stato che
intende far intervenire proprie unità militari per stroncare il traffico illecito. La normativa di riferimento per
questo caso è costituita dall’art. 17 Convenzione di Vienna del 1988 contro il traffico illecito di stupefacenti;
— derivi dal fatto che la nave sospetta di attività illecite, a seguito di accertamenti svolti presso lo
Stato cui dichiara di appartenere, risulti non autorizzata a battere bandiera e, quindi, debba considerarsi
priva di nazionalità.
Un’iniziativa concreta intesa a rafforzare gli sforzi della comunità internazionale per contrastare il
traffico di droga in mare è stata assunta dal Consiglio d’Europa (organizzazione garante della sicurezza
democratica basata sul primato del diritto, che è distinto dall’Unione europea ma di cui fanno tuttavia
parte tutti i paesi che compongono l’Unione) con l’Accordo di Strasburgo del 1995 «… on illicit traffic by
sea, implementing article 17 of the United Nations Convention against illicit traffic in narcotic drugs and psycho-
tropic bubstances». Questa intesa, applica la convenzione di Vienna del 1988, senza introdurre sostanziali
varianti al regime consensuale del diritto di visita (v.) codificato nell’UNCLOS, limitandosi a introdurre
misure per facilitare la cooperazione tra i paesi aderenti al Consiglio d’Europa. Tra queste misure vi è la
possibilità per gli Stati parte di: 1) intervenire in alto mare nei confronti di mercantili senza bandiera (v.
Nazionalità della nave) sospetti di essere coinvolti nel traffico di droga; 2) esercitare giurisdizione verso
tali navi «stateless»; 3) usare la forza «minima necessaria» durante le azioni di fermo e abbordaggio tenendo
conto che: «The use of firearms against, or on, the vessel shall be reported as soon as possible to the flag State» (v.
Polizia dell’alto mare); 4) richiedere l’assistenza di altri Stati parte, con il consenso dello Stato di bandiera,
per il dirottamento di navi che, a seguito di visita in mare, risultino implicate nell’illecito.
Un ulteriore esempio di cooperazione regionale è quello adottato dai paesi caraibici (Stati Uniti, Fran-
cia, Gran Bretagna e Olanda compresi) con l’«Agreement concernine cooperation in suppressing illicit maritime
and air trafficking in narcotic drugs and psychotropic substances in the caribbean area of 10 april 2003» (così
detto Aruba Agreement).

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Glossario di Diritto del Mare

2. Normativa italiana
La legislazione italiana sulla disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 99) stabilisce
in materia, nel quadro dei suindicati principi di diritto internazionale, che:
— la nave italiana da guerra o in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o in alto mare
una nave nazionale, anche da diporto, che si sospetta essere adibita al trasporto di sostanze stupefacenti
o psicotrope, può fermarla, sottoporla a visita e a perquisizioni del carico, catturarla e condurla in un
porto dello Stato o nel porto estero più vicino, in cui risieda un’autorità consolare;
— gli stessi poteri possono esplicarsi su navi non nazionali nelle acque territoriali e, al di fuori di que-
ste, nei limiti previsti dalle norme dell’ordinamento internazionale quando ricorrano i presupposti per
l’esercizio del diritto di inseguimento;
— le disposizioni su menzionate si applicano, in quanto compatibili, anche agli aeromobili militari.
Competenze primarie sono attribuite, nel settore, al Corpo della guardia di finanza quale referente
dell’«Ordine e della sicurezza pubblica in mare» (v. Polizia dell’alto mare). Secondo l’art. 111, 1, c) del
Codice dell’Ordinamento Militare (D.LGS. 66-2010) rientra tra le attribuzioni istituzionali della Marina
Militare «il concorso al contrasto al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’articolo 99 del decreto del Presi-
dente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309».

Vedi anche: Diritto d’inseguimento.

TRAFFICO E TRASPORTO ILLEGALE DI MIGRANTI IN MARE


1. Principi generali
È contraria ai principi del transito inoffensivo (v.), ed è perciò vietata, la presenza nelle acque territoriali
(v.) di una nave straniera che trasporti clandestinamente persone per favorirne l’ingresso sul territorio
in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione. È egualmente vietata tale attività quando sia svolta
nell’ambito della zona contigua (v.) dello Stato costiero. Le navi da guerra (v.) e le navi di Stato (v.) sono
autorizzate a esercitare il diritto di inseguimento (v.), in alto mare (v.), nei confronti di una nave che sia
sospetta di agevolare l’immigrazione illegale.
Altro problema è quello se lo Stato costiero possa o debba intervenire nei confronti di una nave o
un’imbarcazione in transito nelle proprie acque territoriali che trasporti migranti clandestini e che sia
tuttavia diretta verso un altro Stato. La prassi non evidenzia, al di fuori di vere e proprie ipotesi di peri-
colo alla vita umana (v. Ricerca e soccorso in mare), azioni dello Stato costiero. In alcuni casi le imbarca-
zioni in transito sono state anzi rifornite di viveri e combustibile sì da far sorgere dubbi su un possibile
«favoreggiamento». Nel caso di Malta, riserve sono state espresse più volte dall’Italia per il fatto che
questo paese, adottando un’interpretazione restrittiva del concetto di «distress», omettesse di intervenire
nella propria zona SAR nei confronti di natanti in navigazione verso l’Italia. Il presupposto di una tal
posizione sta anche, secondo l’opinione maltese, nell’applicazione del principio stabilito dalla Risolu-
zione MSC.167 (78) secondo cui dovrebbe essere agevolato il raggiungimento, da parte delle persone
salvate, della destinazione che si proponevano di raggiungere (cioè, nella gran parte dei casi, l’Italia).
Nessuna norma di diritto internazionale, né consuetudinaria né pattizia, qualifica come illecito inter-
nazionale (crimen juris gentium) il traffico e trasporto illegale di migranti da uno Stato a un altro. In via
teorica potrebbe ipotizzarsi l’inquadramento di tale attività nell’ambito della tratta degli schiavi (v.). In
realtà questa interpretazione non è corretta in quanto la nozione di schiavitù secondo la Convenzione di
Ginevra del 1956 (stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano le prerogative del diritto di
proprietà) postula una condizione nella quale il soggetto passivo sia privato della sua capacità giuridica
e del suo stato di libertà. Queste condizioni non si rinvengono in sostanza nell’attuale fenomeno del traf-
fico e trasporto di migranti che è invece caratterizzato da situazioni di disagio, di inferiorità e di sfrutta-
mento delle condizioni di bisogno di soggetti trasportati che scelgono volontariamente la via
dell’immigrazione illegale per cercare condizioni di vita migliori di quelle del paese d’origine.
Diverso il caso qualora venga adibita al traffico dei clandestini una nave priva di nazionalità o con
bandiera di convenienza (v. Nazionalità della nave), ovvero un’imbarcazione di fortuna priva, oltre che
di bandiera, dei requisiti di navigabilità e di sicurezza. In ipotesi del genere una nave da guerra che
voglia compiere accertamenti preliminari può avvalersi del diritto di visita (v.) procedendo, ove il mer-

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Glossario di Diritto del Mare

cantile risulti effettivamente privo di nazionalità (stateless) a seguito di esame delle carte di bordo, al suo
accompagnamento in un porto nazionale per ulteriori accertamenti, qualora sussista un interesse ad
adottare eventuali provvedimenti giudiziari.
Strettamente connesso al fenomeno del traffico e trasporto di migranti illegali in mare è il problema
della sicurezza della vita umana in mare e della navigazione. Questo aspetto della questione è stato af-
frontato dall’IMO MSC/Circ.896/Rev.1 12 June 2001 Interim Measures for Combating Unsafe Practices
Associated with the trafficking or Transport of Migrants by Sea che: 1) individua uno degli aspetti più
rilevanti del fenomeno migratorio nel fatto che i migranti sono spesso trasportati su navi che non sono
adeguatamente gestite o equipaggiate per trasportare passeggeri in viaggi internazionali; 2) precisa il
fondamentale principio — recepito nel sotto indicato protocollo di Palermo — che «se è adottata una
misura contro una nave sospetta di trasporto illegale di migranti, lo Stato che interviene dovrebbe prendere in con-
siderazione la necessità di non porre in pericolo la sicurezza della vita umana in mare e la sicurezza della nave e
del carico e di non pregiudicare gli interessi legali o commerciali dello Stato di bandiera o di qualsiasi altro Stato
interessato».

2. Il protocollo di Palermo del 2000


Il problema del carattere non vincolante (giuridicamente, una semplice raccomandazione) della cir-
colare IMO 896 è stato superato nel momento in cui è stato firmato a Palermo, il 15 dicembre 2000, il
Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations
Convention against Transnational Organized Crime. Lo strumento è entrato in vigore il 28 gennaio 2004
ed è stato ratificato dall’Italia con legge 16 marzo 2006, n. 146. L’iniziativa della sua emanazione era stata
assunta da Italia e Austria. Il testo inizialmente proposto provvedeva a qualificare l’illecito come crimine
internazionale (crimen juris gentium) al pari della pirateria, prefigurando per gli Stati parte la possibilità
di mettere in atto, nei confronti delle navi dedite al trasporto illegale di migranti, provvedimenti coercitivi
di tipo particolare come il dirottamento verso il porto di partenza.
Esclusa ogni modifica al vigente regime dell’art. 110 dell’UNCLOS, la soluzione adottata è stata quella
di prendere a modello il principio di cooperazione stabilito dall’art. 17, n. 1 della convenzione di Vienna
delle NU del 1988 contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti (v. traffico di stupefacenti in mare).
In esso non è stata quindi prevista la qualificazione dell’illecito come crimine internazionale.
Punti rilevanti dell’accordo sono:
— concetto di smuggling of migrants come l’azione di procurare l’ingresso clandestino in uno Stato
parte di una persona che non ne sia cittadino o residente al fine di ottenere, direttamente o indirettamente,
un beneficio finanziario o di altro genere;
— definizione di «nave» (v.) come imbarcazione di qualsiasi tipo, incluse quelle plananti sull’acqua,
usate come mezzi di trasporto sull’acqua, eccettuati navi da guerra, navi militari ausiliarie e altre navi
governative adibite a servizio non commerciale;
— cooperazione tra gli Stati parte per prevenire e reprimere, in accordo con il diritto internazionale
del mare, il traffico di migranti anche a mezzo della conclusione di accordi regionali;
— introduzione negli ordinamenti nazionali di adeguate figure di reato relative al trasporto di migranti
(è però espressamente stabilito che i migranti, come tali, non possano essere penalmente responsabili);
— possibilità per uno Stato parte che abbia sospetti nei confronti di una nave di propria bandiera,
senza bandiera o con falsa bandiera straniera (ma in realtà di propria nazionalità) di richiedere l’assi-
stenza degli altri Stati per impedire l’attività illecita di questa nave;
— facoltà per uno Stato parte che abbia sospetti nei confronti di una nave di bandiera straniera che
eserciti la libertà di navigazione secondo il diritto internazionale di chiedere allo Stato di bandiera con-
ferma della nazionalità ovvero autorizzazione ad adottare, tramite proprie navi da guerra, aeromobili
militari o navi in servizio governativo non commerciale, le misure di abbordaggio, visita e ispezione o,
nel caso in cui i sospetti si rivelino fondati, altri provvedimenti da concordare con lo Stato interessato
(anche senza tale autorizzazione è però possibile prendere le misure necessarie a salvare persone in im-
minente pericolo di vita);
— designazione da parte dei paesi aderenti di una o più autorità competenti a ricevere da altri Stati
richieste di assistenza o di autorizzazione anzidette;

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Glossario di Diritto del Mare

— obbligo, per lo Stato che adotti le misure suindicate, di assicurare la sicurezza e il rispetto dei diritti
umani delle persone trasportate, tenendo nel dovuto conto, nello stesso tempo, delle esigenze di tutela
ambientale e della necessità di non mettere in pericolo la sicurezza della nave e del suo carico e di non
pregiudicare gli interessi commerciali dello Stato di bandiera o di altri Stati interessati;
— non interferenza del protocollo con le altre fonti di diritto internazionale compreso il diritto uma-
nitario internazionale, i diritti umani e la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati che prevedono
diritti e obblighi per gli Stati parte.

3. Principio di «non respingimento» (non refoulement)


Il principio cardine in materia di trattamento delle persone aventi titolo a protezione internazionale è
stabilito dall’art. 33 della succitata convenzione di Ginevra secondo cui: «Nessuno Stato contraente espellerà
o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero
minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo
sociale o delle sue opinioni politiche».
La valenza marittima di tale principio di «non respingimento» è stata affermata dalla Corte europea
dei Diritti dell’uomo, organo giurisdizionale competente in materia di applicazione della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950 cui ade-
riscono 47 membri del Consiglio d’Europa, Italia inclusa. La Corte EDU si è pronunciata con la decisione
della Grand Chamber nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012. Questa sentenza ha con-
dannato l’Italia per le attività di respingimento in mare verso la Libia considerata dalla Corte come non
sicuro ai fini del rispetto dei diritti umani, anche se in realtà abbiamo formalmente escluso Tripoli da
una lista di «paesi di origine sicuri», soltanto con il 4 ottobre 2019; al tempo dell’episodio giudicato dalla
Corte cooperavamo, infatti, con Tripoli nella «lotta all’immigrazione clandestina» in applicazione dell’art.
19 del Trattato di amicizia di Bengasi del 2008 ratificato con Legge 7-2009. Il caso riguardava il salvataggio
di un gruppo di migranti intercettati in alto mare, il loro imbarco su nostre unità della Guardia costiera
e del Corpo della guardia di finanza, e il successivo riaccompagnamento a Tripoli, pur in assenza di una
valutazione sulla titolarità di diritti di protezione internazionale e di una preventiva informazione sulla
destinazione. A parere della Corte, «in virtù delle disposizioni pertinenti del diritto del mare, una nave che na-
vighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui batte bandiera». Questo principio di
diritto internazionale ha portato la Corte a riconoscere, nelle cause riguardanti azioni compiute a bordo
di navi battenti bandiera di uno Stato, casi di esercizio extraterritoriale della giurisdizione di quello Stato:
dal momento che vi è controllo su altri, si tratta di un controllo de jure, esercitato dallo Stato in questione
sugli individui imbarcati. Di qui la conseguenza che il nostro paese, esercitando giurisdizione sulle per-
sone salvate, avrebbe dovuto osservare i principi della CEDU relativamente al divieto di trattamenti inu-
mani (sostanziatisi nei coattivi dalle navi militari) (art. 3) o di «espulsioni collettive» derivanti da
indiscriminati riaccompagnamenti. La Corte, rilevato che «l’Italia non può sottrarsi alla sua giurisdizione ai
sensi della convenzione definendo i fatti controversi un’operazione di salvataggio in alto mare» (§ 72), ha inoltre
stabilito che «... gli allontanamenti di stranieri eseguiti nell’ambito di intercettazioni in alto mare da parte delle
autorità di uno Stato e nell’esercizio dei pubblici poteri, e che producono l’effetto di impedire ai migranti di rag-
giungere le frontiere dello Stato, o addirittura di respingerli verso un altro Stato, costituiscono un esercizio della
loro giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della convenzione, che impegna la responsabilità dello Stato in questione
sul piano dell’articolo 4 del Protocollo n. 4». Tale articolo stabilisce che: «Le espulsioni collettive di stranieri
sono vietate» (§ 159). La decisione della Corte CEDU è criticata da chi fa notare come essa ha messo in re-
lazione norme aventi diversa efficacia e diversa funzione.

4. Normativa italiana
La Legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. legge «Fini-Bossi») ha disciplinato le competenze delle Forze ope-
ranti in mare per il controllo del traffico dei migranti secondo un modello di cooperazione interagenzia
che è oramai consolidato e sperimentato, anche se il modus operandi non prevede più forme di respingi-
mento verso i porti di partenza, ma al limite interventi per l’arresto degli scafisti in base alle Direttive
della Direzione nazionale antimafia del 2014. Nello stabilire le attribuzioni delle «navi in servizio di po-
lizia» (v. Navi in servizio governativo non commerciale) e di quelle della Marina Militare, il provvedi-

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Glossario di Diritto del Mare

mento si è ispirato a criteri spaziali e funzionali riconoscendo: a) alle navi in servizio di polizia all’interno
delle acque territoriali e della zona contigua, poteri di fermo, ispezione e sequestro di natanti sospetti di
essere coinvolti nel traffico di migranti; b) alle navi della Marina Militare analoghi poteri, in forma con-
corsuale, nelle acque territoriali e nella zona contigua; c) a entrambe le categorie di navi, in forma pari-
tetica, negli spazi extraterritoriali poteri similari «nei limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o
da accordi bilaterali o multilaterali, se la nave batte la bandiera nazionale o anche quella di altro Stato, ovvero si
tratti di una nave senza bandiera o con bandiera di convenienza».
Il raccordo tra le attività svolte dai due dispositivi è stato demandato al Decreto interministeriale del
19 giugno 2003 contenente misure sull’attività di contrasto dell’immigrazione illegale via mare che indi-
vidua nel ministero dell’Interno l’autorità responsabile degli interventi operativi in mare tra i mezzi della
Marina Militare, delle Forze di Polizia (Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Carabinieri) e delle Capita-
nerie di porto, attribuendo alle unità navali in servizio di polizia la responsabilità del controllo dell’im-
migrazione clandestina nelle acque territoriali italiane. Le unità della Marina Militare esplicano nelle
stesse acque territoriali funzioni di concorso, mentre al di là delle 24 mn la Forza armata assume il coor-
dinamento di tutti i mezzi aeronavali presenti sulla scena d’azione «per le specifiche caratteristiche e capacità
dei mezzi di comunicazione di cui dispongono».
La «Direzione centrale dell’immigrazione» del ministero degli Interni è l’organo competente a dare
direttive ai mezzi di tutte le amministrazioni operanti, per esercitare il diritto di visita in acque interna-
zionali nei confronti di navi sospette di essere coinvolte nel traffico dei migranti, previa acquisizione del
consenso dello Stato di bandiera ovvero nel caso in cui si tratti di natanti privi di bandiera (v. Nazionalità
della nave). È inoltre previsto che «ove si renda necessario l’uso della forza, l’intensità, la durata e l’estensione
della risposta devono essere proporzionate all’intensità dell’offesa, all’attualità e all’effettività della minaccia».
L’eventuale concessione dello status di rifugiato ai migranti non rientra nelle competenze delle navi
militari operanti in mare. L’attribuzione della protezione internazionale spetta alla «Commissione cen-
trale per il riconoscimento dello status di rifugiato». Nell’ambito di tale protezione rientra anche la con-
cessione dell’asilo territoriale (politico) previsto dall’art. 10, n. 3 della Costituzione italiana che ha una
portata più ampia rispetto allo status di rifugiato, poiché attiene all’esercizio delle libertà democratiche
garantite dall’ordinamento della Repubblica Italiana.

5. Operazioni marittime UE
La sentenza relativa al caso Hirsi è stata tenuta presente dall’UE nell’emanare il Regolamento 656/2014
sulla sorveglianza delle frontiere esterne coordinata da FRONTEX; a differenza del passato, il provvedi-
mento considera, infatti, le azioni di respingimento dei migranti verso i porti di origine come una delle
opzioni possibili dando per la prima volta rilievo, nell’ambito della missione assegnata a FRONTEX,
alle funzioni SAR, valutata anche l’applicabilità dei principi dell’UNCLOS sulla libertà di navigazione
in alto mare (v.). Tale regolamentazione è stata posta a base della FRONTEX Joint Operation Triton lanciata
nel 2015 dall’UE a sud dell’Italia, nel momento in cui è terminata l’operazione umanitaria Mare nostrum
della Marina Militare condotta in via unilaterale dall’Italia avanti alle coste libiche dopo che un naufragio
avvenuto il 3 ottobre 2013 in prossimità di Lampedusa aveva causato la morte di 366 migranti. Nel pe-
riodo di attività della stessa Mare nostrum — svolta in prevalenza nella SAR libica e in parte nella SAR
maltese — vennero salvate e accompagnate in Italia circa 150.000 persone; per questo l’operazione è stata
definita da politici inglesi come un «pull factor».
Per ovviare a parte dei problemi palesatisi durante lo svolgimento di Triton, nel 2018 FRONTEX (nel
frattempo divenuta «European Border and Coast Guard Agency»), sostituì Triton con l’operazione che, pur
includendo il SAR tra le sue funzioni, era concentrata sul contrasto del traffico illecito di persone, e sulla
protezione ravvicinata della frontiera marittima italiana. Da notare che l’Italia, durante lo svolgimento
di Themis aveva richiesto senza successo forme di condivisione, tra gli altri paesi europei, dell’onere di
essere Place of safety (v.). La crisi migratoria di allora aveva già evidenziato i limiti delle nostre capacità
ricettive, facendo balenare la chiusura dei porti e condizionando la collaborazione con le ONG al Codice
di condotta dell’Interno. Il fatto è che il nostro MRCC di Roma continuava a rispondere alle chiamate di
soccorso e, di fronte al rifiuto o all’impossibilità di far intervenire Malta o la Libia, esercitava il coordi-
namento disponendo, di concerto con l’Interno, lo sbarco in Italia. Questo è avvenuto fino a che, nel giu-

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Glossario di Diritto del Mare

gno 2018, il ministero dei Trasporti dispose l’arretramento del dispositivo della nostra Guardia costiera
verso la zona SAR italiana.
In parallelo con le missioni di FRONTEX, nel 2015 l’UE — nel quadro della propria politica europea
di sicurezza comune (PESC) lanciò, con la Decisione del Consiglio 2015/472 l’operazione Eunavfor Med
Sophia dedicata a smantellare le reti del traffico di migranti e della tratta di esseri umani provvedendo a
individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati da scafisti o trafficanti, in conformità
al diritto internazionale applicabile, inclusa l’UNCLOS e le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicu-
rezza delle Nazioni unite. L’operazione, dopo l’avvio della «fase 1» di sorveglianza in acque internazio-
nali, avrebbe dovuto articolarsi in ulteriori fasi «2» e «3» nelle acque territoriali e sul suolo libico per
interdire la logistica del traffico di migranti. Di fatto questo non è mai avvenuto in mancanza del consenso
delle autorità Libiche. Rilevante è stato comunque il ruolo di Sophia nel salvare circa 50.000 persone (sbar-
cate sempre in Italia), nell’addestrare la Guardia costiera libica, nell’assicurare il fermo di scafisti da met-
tere a disposizione della nostra magistratura. La missione EUNAVFOR-MED tra l’altro, fu legittimata,
sul piano internazionale, dalla UNSC Resolution 2240 (2015).
Al termine di Sophia, nel marzo 2020 l’UE ha approvato, con la decisione del Consiglio 2020/472, l’ope-
razione EUNAVFOR-MED Irini, il cui compito principale è «il contributo all’attuazione dell’embargo sulle
armi imposto dall’ONU nei confronti della Libia con mezzi aerei, satellitari e marittimi»; esso è basato sulle per-
tinenti risoluzioni delle NU: tra queste è rilevante la 2292 (2016) discendente dalla 1970 (2011) a suo
tempo emanata per far cessare le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Gheddafi. Sulle mo-
dalità di questa specifica missione v. la voce Embargo navale. Il mandato prevede ulteriori funzioni quali
la sorveglianza sulle esportazioni illecite di petrolio dalla Libia nonché il contributo alla formazione della
Guardia costiera e della Marina libica e allo smantellamento del modello di attività delle reti di traffico
e tratta di esseri umani. Nulla si dice circa il SAR, nel presupposto che si tratti di un obbligo ineludibile
e non di un compito secondario e nulla si prevede quindi circa l’eventuale porto di sbarco dei migranti
salvati nell’area di operazioni antistante la Cirenaica. Al riguardo, l’Alto rappresentante, Josep Borrell,
rispondendo al quesito concernente l’assenso della Grecia a sbarcare in propri porti i migranti salvati
dalle unità partecipanti all’operazione, ha precisato che «This is also something that is part of the confidential
documentation of the mission. But this agreement exists and we know how to proceed and the navy commander
will know what to do in this case, if this happens. Because the mission is not devoted to look for people and to rescue
them, but if this happens we will know how to proceed». Da aggiungere, infine, che nella suindicata decisione
del Consiglio si dice, a riprova di come il SAR sia un’attività politicamente sensibile che: «L’autorizzazione
dell’operazione dovrebbe essere riconfermata ogni quattro mesi …a meno che lo schieramento dei mezzi marittimi
dell’operazione non produca sulla migrazione un effetto di attrazione sulla base di prove fondate raccolte confor-
memente ai criteri stabiliti nel piano operativo».

Vedi anche: Blocco navale.

TRANSITO INOFFENSIVO
1. Principi generali
È il diritto di passaggio di cui godono le navi di tutti gli Stati attraverso il mare territoriale (v.) straniero
per attraversarlo senza entrare nelle acque interne (v.) o per proseguire verso una rada (v.) o un porto si-
tuati nelle acque interne. Il passaggio deve essere continuo e rapido. È ammessa la sosta e l’ancoraggio
nei casi di forza maggiore o pericolo, o per fornire assistenza a persone, imbarcazioni o aerei in difficoltà
(Ginevra I, 14; UNCLOS 17 e 18). Il transito è qualificato inoffensivo se «non è pregiudizievole alla pace, al
buon ordine o alla sicurezza dello Stato costiero» (Ginevra I, 14, 4; UNCLOS 19, 1). A prescindere dai principi
di carattere generale contenuti nell’anzidetta formula, per qualificare come offensivo il transito di una
nave è sufficiente che questa sia impegnata in una qualsiasi attività non avente rapporto diretto con il
passaggio, oppure, più specificatamente, in una delle seguenti attività (UNCLOS 19, 2):
— minaccia o uso della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dello
Stato costiero, nonché esercitazioni con armi di qualsiasi tipo e operazioni di volo;
— propaganda ostile volta a pregiudicare la difesa o la sicurezza dello Stato costiero ovvero attività
di disturbo delle comunicazioni;

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Glossario di Diritto del Mare

— svolgimento di attività di ricerca scientifica (v.) o di rilevamento idrografico;


— esercizio della pesca (v.) o grave inquinamento doloso;
— imbarco e sbarco di persone o merci in violazione di norme interne dello Stato.
Restrizioni al diritto di passaggio inoffensivo possono stabilirsi dallo Stato costiero, per la sicurezza
della navigazione o per la protezione dell’ambiente marino (v.) purché non si tratti di misure che risultino
chiaramente discriminatorie verso le navi di una determinata bandiera. In questo ambito rientra l’ado-
zione di rotte marine e di schemi di separazione del traffico. In linea con questi principi le navi a pro-
pulsione nucleare o che trasportano materiale nucleare possono essere obbligate a transitare in tali spazi.
Eguali misure potrebbero essere stabilite per le navi che trasportano rifiuti pericolosi in accordo con il
regime stabilito dalla Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 (v. Protezione ambiente marino). Il tran-
sito è in ogni caso condizionato al rispetto delle speciali misure precauzionali stabilite dalla normativa
che regola la loro attività (UNCLOS 22, 2 e 3). Temporanee restrizioni possono inoltre essere decretate in
specifiche aree del mare territoriale quando ciò sia necessario per la sicurezza dello Stato costiero o per
lo svolgimento di esercitazioni con armi. Si tratta delle zone interdette alla navigazione (v.) che devono
essere adeguatamente pubblicizzate.

Vedi anche: Acque arcipelagiche; Acque interne; Ricerca e soccorso in mare.

2. Transito inoffensivo delle navi da guerra


2.1 Principi generali
La regolamentazione prevista in generale per il transito inoffensivo si applica integralmente alle navi
da guerra e a quelle in servizio governativo non commerciale. Condizione perché tali navi esercitino il
diritto di passaggio inoffensivo è che si conformino alle norme internazionali o alla regolamentazione
dello Stato costiero astenendosi dal compiere ogni genere di attività non avente diretta attinenza con la
semplice navigazione di trasferimento. Da questo punto di vista sono espressamente considerate «of-
fensive», e perciò vietate (UNCLOS, 19, 2):
— qualsiasi esercitazione o pratica con armi di ogni genere, ivi compreso il dragaggio e l’uso del radar
del tiro (è invece da ritenersi consentito l’impiego del radar nautico);
— la raccolta di informazioni in pregiudizio della difesa o della sicurezza dello Stato costiero, come
l’esecuzione di rilievi fotografici o elettronici;
— il decollo o l’appontaggio di aeromobili e, quindi, il sorvolo del mare territoriale, il lancio, lo sbarco
o l’imbarco di congegni militare quali missili, siluri, o boe idrofoniche.
L’esecuzione da parte di una nave da guerra di una attività vietata del tipo suindicato comporta che
lo Stato costiero può intimarle di lasciare immediatamente le acque territoriali (Ginevra I, 23; UNCLOS
30). Tra le attività vietate non sembra che possano includersi i casi di inquinamento grave (UNCLOS 19,
2, (h), in quanto le navi da guerra, pur dovendo fare ogni sforzo per rispettare la normativa antinquina-
mento, sono espressamente dispensate dall’osservanza delle disposizioni in materia di protezione e con-
servazione dell’ambiente marino (UNCLOS 236). Qualora accada accidentalmente un simile
inquinamento, lo Stato costiero potrebbe in ogni caso chiedere chiarimenti, per via diplomatica, allo Stato
di bandiera.
Alle stesse condizioni previste per le navi da guerra è soggetto il transito dei sommergibili (v). Unico
requisito particolare è che essi devono navigare in emersione mostrando la bandiera (nel caso di transito
negli stretti ove vige il «passaggio in transito» (v.) è però ammessa la navigazione in immersione).

2.2 Interpretazione russo-statunitense


Le unità militari, qualunque sia il loro armamento o il loro mezzo di propulsione (e questo vale quindi
anche per le navi a propulsione nucleare (v.), hanno perciò il diritto di navigare nelle acque territoriali
straniere senza dover notificare il passaggio o essere autorizzate dallo Stato costiero. Tale principio è
stato riaffermato nell’ambito della 1989 Usa-Ussr Joint Statement On The Uniform Interpretation Of
Rules Of International Law Governing Innocent Passage, la quale ha posto fine a una pluriennale disputa
esistente in materia tra i due paesi. Punti chiave affermati nel documento — inquadrabile nell’ambito
delle misure di confidenza reciproca navali — sono: 1) tutte le navi, incluse quelle da guerra, a prescin-

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Glossario di Diritto del Mare

dere da carico, armamenti o mezzi di propulsione, godono del diritto di transito inoffensivo, senza pre-
ventiva notifica o autorizzazione; 2) uno Stato costiero che addebiti a una nave la violazione dei principi
del transito inoffensivo deve invitarla preliminarmente a chiarire le sue intenzioni; 3) a tale nave, in caso
di violazione, può essere solo richiesto di allontanarsi: essa deve adempiere immediatamente secondo
l’art. 30 dell’UNCLOS.
Durante la Guerra fredda l’ex Unione Sovietica aveva ostacolato il transito nelle proprie acque terri-
toriali da parte di navi da guerra statunitensi, ammettendo unicamente il passaggio di unità militari stra-
niere in limitate zone del Baltico, del Mare di Okhotsk e del Mar del Giappone. Per riaffermare la libertà
di passaggio, gli Stati Uniti avevano dato corso — nell’ambito del Freedom of Navigation programme (V.
Libertà dei mari), — ad azioni navali di protesta in acque territoriali sovietiche, l’ultima delle quali era
stata la missione delle navi Caron e Yorktown, messa in atto il 12 febbraio 1988, le quali, nel transitare in
Mar Nero (v.) a circa 10 miglia dalla penisola di Crimea, a sud-est di Sebastopoli, furono speronate da
unità sovietiche.

2.3 Prassi internazionale


Nella prassi internazionale, nonostante il mutamento dell’approccio russo, permangono tuttavia po-
sizioni divergenti da parte di quei paesi che continuano a prevedere nella loro legislazione la previa no-
tifica del transito di navi da guerra (come Albania, Croazia, Egitto, India, Libia, Malta e Siria) o la
preventiva autorizzazione al transito (come Albania, Algeria, Croazia Iran, Polonia, Romania, Somalia,
Slovenia, Sudan e Yemen e, per le navi a pro-pulsione nucleare, l’Egitto). La prassi di questi Stati non è
accettata dall’Italia. L’Italia, al momento di depositare, il 13 gennaio 1995, l’atto di ratifica della conven-
zione del Diritto del mare del 1982, ha, infatti, formulato la seguente dichiarazione già fatta in occasione
della firma della stessa convenzione: «Nessuna delle disposizioni della convenzione, che corrispondono in questa
materia al diritto consuetudinario internazionale, può essere considerata come autorizzante lo Stato costiero a far
dipendere il passaggio inoffensivo di particolari categorie di navi straniere dalla preventiva notifica o consenso».
A prescindere da tali questioni di principio, resta fermo tuttavia che la comunicazione del transito di
una nave da guerra in acque territoriali straniere può rappresentare, se attuata in modo occasionale, non
tanto un adempimento di un obbligo quanto una semplice forma di cortesia navale o una sorta di misura
di confidenza reciproca.

3. Transito negli stretti


3.1 Passaggio in transito negli «stretti internazionali»
Per effetto della creazione della nuova categoria di stretti internazionali previsti dall’UNCLOS (v.
Stretti e canali internazionali), all’unico regime del transito inoffensivo non sospendibile si è ora affiancato
quello del «passaggio in transito» (transit passage). In questo modo, nel bilanciamento degli interessi na-
zionali degli Stati rivieraschi dei più importanti stretti coperti da acque territoriali, si è data prevalenza
alla libertà di navigazione esercitata dalle navi di qualsiasi bandiera senza alcuna preventiva autorizza-
zione o notifica. L’art. 38 dell’UNCLOS è chiaro nel definire il nuovo regime come «…l’esercizio della
libertà di navigazione e di sorvolo, ai soli fini del passaggio continuo e rapido attraverso lo stretto, tra una parte di
alto mare o zona economica esclusiva e un’altra parte di alto mare o zona economica esclusiva…». A fronte di un
così ampio riconoscimento del diritto di transito degli Stati terzi, l’UNCLOS all’art. 39 provvede tuttavia
a prescrivere agli stessi — oltre che di attenersi ai corridoi di traffico e alle leggi e regolamenti emanati
in specifiche materie dallo Stato costiero — stringenti obblighi di astenersi «da qualsiasi minaccia o uso
della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica degli Stati rivieraschi…» oltre che
«da qualsiasi attività che non sia inerente alle loro normali modalità di transito continuo e rapido…». Ulteriori li-
mitazioni possono venire da una interpretazione restrittiva della nozione di normali modalità di transito
(normal mode of transit) prevista dall’UNCLOS ma non adeguatamente definita. Il problema riguarda
l’orientamento espresso da alcuni Stati rivieraschi nell’interpretare restrittivamente tale nozione con ri-
guardo sia alle modalità di transito di navi da guerra straniere durante operazioni multinazionali, sia
all’adozione da parte di singole navi di misure di self protection. A questa stregua le navi da guerra, pur
potendo passare in formazione, dovrebbero transitare come se fossero dei mercantili per quegli stretti e
in cui maggiore è la loro vulnerabilità; inoltre, non potrebbero esercitare né l’autodifesa di fronte a un

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attacco o una minaccia di attacco, né mettere in volo (ancorché in hovering) gli aeromobili imbarcati, né
attivare sensori radar, sonar o remotely operated vehicles (ROVs). Tali questioni si sono poste per lo stretto
di Bab el-Mandeb (v.); esse sono alla base di alcuni incidenti occorsi in passato nello stretto di Hormuz
(v.) in cui sono state coinvolte unità statunitensi e iraniane.
È evidente che alla base di simili riserve vi è un’esigenza di protezione dell’integrità territoriale dello
Stato costiero. Tuttavia l’UNCLOS provvede già a imporre alle navi in transito di rispettare la sovranità
e l’integrità territoriale dello Stato costiero al quale non è consentito imporre ulteriori restrizioni, nem-
meno qualora sia in corso un conflitto armato (v. Diritto bellico marittimo).

3.2 Passaggio inoffensivo non sospendibile negli «stretti nazionali».


Il semplice transito inoffensivo (v.), sia pur non sospendibile, è invece stato mantenuto negli stretti
rientranti nella «Messina Exception» (v. Stretto di Messina) per i quali esiste una rotta alternativa di con-
venienza similare e in quelli che — come in teoria sarebbe per lo stretto di Tiran (v.) — mettono in co-
municazione una parte di alto mare o ZEE e il mare territoriale di un altro Stato (art. 45, 1. b
dell’UNCLOS). Il termine di riferimento giuridico per questo regime è dunque da rinvenirsi nella disci-
plina più generale del transito inoffensivo che è improntato al principio di salvaguardia della «pace, buon
ordine e sicurezza dello Stato costiero» e che non consente né il sorvolo degli aeromobili né la navigazione
in immersione dei sommergibili. Come dimostra il caso dello stretto di Messina, lo Stato rivierasco di
uno stretto di carattere nazionale ha maggiori possibilità di fissare limitazioni volte a proteggere i suoi
interessi rispetto a quello che fronteggia uno stretto internazionale: quest’ultimo, oltre a dover garantire
sia diritto di sorvolo degli aeromobili che il passaggio in immersione da parte dei sommergibili, è vin-
colato al rispetto dei diritti di transito degli Stati terzi avendo solo la possibilità di stabilire corridoi di
traffico nonché regolamentazioni relative a specifiche materie; esso può inoltre protestare per via diplo-
matica nel caso che le navi in transito contravvengano agli obblighi previsti dall’art. 39 dell’UNCLOS.

4. Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane


Il passaggio e la sosta di navi straniere nelle acque territoriali italiane è improntato al regime vigente
per il transito inoffensivo (v.). Il nostro paese ha, infatti, ratificato l’UNCLOS con la Legge del 2 dicembre
1994, n. 689 recependone integralmente la normativa nel proprio ordinamento, salvo specifici adatta-
menti. Vale quindi per le acque territoriali italiane, il principio secondo cui le «navi di tutti gli Stati», siano
esse mercantili che da guerra, «godono del diritto di transito inoffensivo» (UNCLOS, 17) a condizione di ri-
spettare le condizioni fissate dalla stessa UNCLOS perché il passaggio sia considerato inoffensivo.
In passato la Legge 16 giugno 1912, n. 612 (abrogata nel 2010) sul transito e soggiorno delle navi mer-
cantili, prevedeva che limitazioni al passaggio e alla sosta in determinate zone del mare territoriale po-
tessero essere stabilite, nell’interesse della difesa nazionale con decreto: questo era stato fatto, con Regio
Decreto in data 16 settembre 1939, per le acque adiacenti l’isola di Pantelleria, la base di Augusta e l’Ar-
cipelago della Maddalena. L’adozione di simili misure in tempo di pace ora trova la sua base normativa
nell’art. 25, 3 dell’UNCLOS. D’altronde l’art. 83 del CN attribuisce al ministro dei Trasporti il potere di
«limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di si-
curezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell’Ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino,
determinando le zone alle quali il divieto si estende». Quella che è venuta meno è la previsione degli articoli
6 e 7 della citata legge 612-1912 secondo cui: «Qualora una nave mercantile si accinga a transitare in uno spec-
chio d’acqua escluso dal libero transito... la nave da guerra più vicina deve intimare a essa di allontanarsi. L’inti-
mazione è fatta mediante un colpo di cannone a polvere…nel caso che la nave mercantile, pur dopo la seconda
intimazione, non si arresti, può essere usata la forza contro di essa, facendo anche uso delle artiglierie».
Tali misure sono qui citate solo a fini esemplificativi essendo evidente che esse andrebbero ora
reinterpretate alla luce dell’attuale stadio del Diritto internazionale che impone un uso limitato e pro-
porzionale della forza commisurato alla minaccia, tenendo conto che secondo l’art. 25, 1 dell’UN-
CLOS: «Ogni Stato può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio
che non sia inoffensivo».
Quanto al transito inoffensivo delle navi da guerra straniere esso è ammesso nelle acque territoriali
italiane. Ciò può dedursi dal fatto che l’Italia si è pronunciata a suo favore quando, al momento della

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firma dell’UNCLOS, ha formulato la dichiarazione in precedenza richiamata. Stante l’integrale recepi-


mento dell’UNCLOS nell’ordinamento italiano, il nostro paese è vincolato al rispetto della regola dell’art.
30 dell’UNCLOS, peraltro rispondente a un principio consuetudinario. Secondo questa norma, in caso
di violazione del transito inoffensivo da parte di una nave da guerra straniera, con riguardo alla sua con-
dizione di immunità sovrana (v.), «lo Stato costiero può solo pretendere che essa abbandoni immediatamente il
mare territoriale». Analoghi principi si applicano anche a navi da guerra straniere in sosta in porti italiani.
Anche se non è più in vigore, essendo stato abrogato, va ricordato che il R.D. 24 agosto 1933, n. 2423 per
l’accesso e soggiorno di navi da guerra straniere in tempo di pace, stabiliva limitazioni alla sosta nei
porti italiani sia per ciò che riguardava il numero delle navi autorizzate al soggiorno, sia per la durata
della sosta, prevedendo il divieto di eseguire specifiche attività militari incompatibili con il carattere
inoffensivo della loro presenza.

5. Controllo degli spazi marittimi di interesse nazionale (VTS)


L’Italia si è dotata della tecnologia per il controllo della navigazione nelle proprie acque territoriali
con il «sistema di assistenza al traffico marittimo» (vessel traffic service - VTS), la cui gestione è stata affi-
data dal ministero delle Infrastrutture e trasporti al Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera,
con il D.LGS. 19 agosto 2005, n. 196 attinente all’«Attuazione della direttiva 2002/59/CE relativa all’isti-
tuzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale». Il VTS è un si-
stema, previsto dalla Legge 7 marzo 2001, n. 51 dedicato al «controllo degli spazi marittimi di interesse
nazionale». Esso si propone di incrementare il livello di sicurezza (v. Sicurezza marittima) della naviga-
zione marittima ed evitare il rischio di collisioni attraverso una rete di sensori e sistemi di comunicazione
(radar, radiogoniometri, apparati satellitari, ricetrasmettitori radio, telecamere a circuito chiuso) oppor-
tunamente dislocati lungo le coste e collegati con le strutture delle Capitanerie di porto. In effetti, le po-
tenzialità del VTS vanno oltre la tutela della safety. Il sistema è, infatti, del tutto adeguato a verificare,
attraverso il controllo del traffico marittimo, che il transito nelle acque territoriali italiane sia realmente
inoffensivo. Tale funzione potrà essere espletata anche nella Zona di protezione ecologica italiana (v.
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo).
Un ulteriore strumento per il monitoraggio dei mercantili in navigazione in acque italiane è costituito
dall’«automatic identification sistem» (AIS) — in gestione operativa al Comando generale del Corpo delle
capitanerie di porto — che, mediante un ricetrasmettitore automatico in grado di «dialogare» con le sta-
zioni a terra, consente la trasmissione di tutti i dati relativi alla nave e al viaggio in corso. Tali dati, se-
condo quanto previsto dall’art. 9, n. 3 del suindicato D.LGS. 196/2005 sono resi disponibili, rationae
materiae, «(…) agli organi preposti alla difesa nazionale, alla sicurezza pubblica, alla difesa civile e al soccorso pub-
blico (…)» assieme a quelli derivati dagli altri sistemi di rapportazione navale. Da notare che il medesimo
provvedimento stabilisce l’obbligo, per tutti i mercantili diretti in un porto italiano, di comunicare con
almeno 24 ore di anticipo, i propri dati identificativi e quelli relativi al viaggio.

TRASMISSIONI NON AUTORIZZATE


Le trasmissioni radio o televisive non autorizzate effettuate da una nave o installazione fissa in alto
mare (v.) e destinate alla ricezione del pubblico sono vietate (UNCLOS 109, 2). Hanno giurisdizione nei
confronti di queste attività illecite lo Stato di bandiera della nave o dell’installazione e qualsiasi Stato in
cui le trasmissioni possano essere ricevute o causare interferenze alle comunicazioni. Le navi da guerra
(v.) dello Stato avente giurisdizione nel modo suindicato possono esercitare il diritto di visita (v.) verso
la nave sospetta di essere dedita a trasmissioni non autorizzate, adottando, in caso di comprovato illecito,
provvedimenti coercitivi (UNCLOS 109, 4).

TRATTA DEGLI SCHIAVI


Benché quasi certamente estinta, l’attività criminosa della tratta degli schiavi continua a essere prevista
(Ginevra II, 22; UNCLOS 110) come situazione in cui è lecito l’esercizio del diritto di visita (v.) da parte
di una nave da guerra (v.). Nel caso in cui, a seguito del fermo e della visita, venga accertata la commis-
sione dell’illecito, la nave da guerra può procedere a cattura del mercantile qualora abbia la propria ban-
diera (CN 202). Nell’ipotesi di mercantile straniero dedito alla tratta, la nave da guerra può soltanto

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raccogliere le prove dell’attività criminosa trasmettendo un dettagliato rapporto alle autorità nazionali
per l’inoltro allo Stato di bandiera della nave. Qualora uno schiavo, nel corso del fermo e della visita,
riesca a trovare rifugio sull’unità militare, è ipso facto libero (Ginevra II,14; UNCLOS 99).
La nozione di schiavitù è prevista dalla Convenzione di Ginevra del 7 settembre 1956 sull’abolizione
della schiavitù e della tratta degli schiavi come uno stato o condizione di un individuo sul quale si eser-
citano le prerogative del diritto di proprietà o alcune di esse. Tale nozione postula evidentemente una
condizione nella quale il soggetto passivo sia privato della sua capacità giuridica e del suo stato di libertà.
Queste condizioni ben difficilmente si rinvengono nell’attuale fenomeno del traffico e trasporto di mi-
granti (v.) che è sì caratterizzato da situazioni di disagio, di inferiorità e di sfruttamento delle condizioni
di bisogno di soggetti trasportati, ma che rappresenta anche la scelta volontaria di individui che scelgono
la via dell’immigrazione illegale per cercare condizioni di vita migliori di quelle del paese d’origine.

TRIBUNALE INTERNAZIONALE DEL DIRITTO DEL MARE


Il Tribunale internazionale per il Diritto del mare (ITLOS, dall’acronimo inglese) è uno dei mezzi per
la soluzione delle controversie relative all’applicazione dell’UNCLOS che ogni Stato parte della conven-
zione può scegliere secondo il suo art. 287; gli altri sono: 1) la Corte internazionale di giustizia; 2) un tri-
bunale arbitrale ad hoc; 3) un tribunale arbitrale speciale costituito da esperti, iscritti in appositi elenchi
tenuti da organismi internazionali competenti, nelle materie della pesca (v.), della protezione e conser-
vazione dell’ambiente marino (v.), della ricerca scientifica in mare (v.), della navigazione, incluso inqui-
namento da navi e da immissioni.
L’ITLOS è stato costituito nel 1996 ad Amburgo. Esso è composto da 21 membri, di riconosciuta e in-
discussa imparzialità e competenza nel diritto del mare, eletti per un periodo di nove anni dagli Stati
parte della convenzione (UNCLOS, allegato VI) che giudicano applicando le disposizioni della conven-
zione e «le altre norme del diritto internazionale non incompatibili» con la convenzione medesima o, se le
parti concordano, ex aequo et bono (UNCLOS 293). La competenza dell’ITLOS, subordinatamente all’ac-
cettazione preventiva della sua giurisdizione da parte degli Stati aderenti alla convenzione (UNCLOS
287, 1), verte su:
— qualsiasi controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione della convenzione;
— dispute relative alle attività condotte nell’area internazionale dei fondi marini (v.) la cui soluzione
è demandata a una speciale Camera (UNCLOS 187; allegato VI, 14);
— procedura di immediato rilascio, trascorsi 10 giorni dal momento del fermo (o prima se v’è uno
specifico accordo delle parti sulla competenza del tribunale) di una nave sottoposta a procedure coattive
(UNCLOS 73, 2; 220, 6) perché accusata di aver pescato nella zona economica esclusiva (v.) o di aver vio-
lato, nella medesima ZEE o nelle acque territoriali norme in materia di protezione dell’ambiente marino
(v.). Questa procedura non può tuttavia essere esperita per le navi fermate per violazioni alle regole del
passaggio inoffensivo (v.), al regime della zona contigua (v.), o perché sospette di pirateria (v.).
Il ricorso alla giurisdizione dell’ITLOS viene auspicato dall’Unione europea (v.) come clausola di ca-
rattere generale da inserire in specifici accordi marittimi.

TUNISIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Baie storiche (Mediterraneo);
Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);
Geopolitica del mare;
Linee di base (Mediterraneo);
Pesca (Mediterraneo);
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo);
Prevenzione delle attività pericolose in mare;
Zona archeologica;
Zona contigua;
Zona economica esclusiva (Mediterraneo).

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Glossario di Diritto del Mare

TURCHIA
Vedi: Acque territoriali (Mediterraneo);
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Diritto del mare (codificazione);
Geopolitica del Mare;
Isole (Regime delle);
Mar Egeo;
Mar Nero;
Piattaforma continentale (Mediterraneo);
Regione per le informazione di volo;
Ricerca e Soccorso in mare;
Stretti e canali internazionali;
Zone Economiche Esclusive.

TURKMENISTAN
Vedi: Mar Caspio.

UCRAINA
Vedi: Mare di Azov;
Mar Nero.

UNIONE EUROPEA
1. Competenza in materie marittime
L’Unione europea (al tempo Comunità europea) è divenuta parte dell’UNCLOS con firma in data 7
dicembre 1984 e successiva conferma formale in data 1° aprile 1998. Al momento della firma la Comunità
ha dichiarato che «la convenzione costituisce, nell’ambito del Diritto del mare, il maggior sforzo nella codificazione
e progressivo sviluppo del diritto internazionale» nelle materie in cui la competenza è stata trasferita alla Co-
munità dagli Stati membri. Queste materie sono esclusive nei settori della conservazione e della gestione
delle risorse di pesca (v. Pesca (Regime comunitario) e concorrenti con gli Stati membri in quelli della
protezione dell’ambiente marino (v.) e della sicurezza (safety) della navigazione. Le relative attribuzioni
sono conferite, nell’ambito della Commissione, alla Direzione generale affari marittimi e pesca (DG
Mare). Nessuna competenza è stata viceversa trasferita alla Comunità in materia di delimitazione (v.)
dei confini degli spazi marittimi degli Stati membri, sia che essi riguardino Stati extra comunitari, sia
che definiscano frontiere all’interno dello «spazio marittimo comune dell’Unione europea».
Quale aderente all’UNCLOS l’UE partecipa ai meeting degli Stati parte effettuando un preventivo coor-
dinamento con gli Stati membri nell’ambito del Committee on maritime affairs (COMAR). Le valutazioni ef-
fettuate dai paesi partecipanti al COMAR sono alla base delle proteste avanzate nel periodo 2005-07
dall’Unione nei confronti della Libia per la creazione della zona di protezione della pesca (v. Pesca Mediter-
raneo) dopo che nel 1985 l’allora Comunità europea aveva contestato la chiusura del golfo della Sirte (v.).
Ulteriori organismi unionali responsabili di funzioni marittime sono l’Agenzia europea per la sicu-
rezza marittima (EMSA) competente per la maritime safety (v. Sicurezza marittima) e l’Agenzia europea
per la difesa (EDA) che ha attribuzioni nella sorveglianza marittima (v. Polizia alto mare).

2. Pianificazione marittima spaziale


Il Maritime Spatial Planning (MSP) è un esercizio condotto dalla DG Mare nel quadro della politica
marittima integrata. Suo scopo è — tenuto conto del fatto che la gestione degli spazi marittimi sotto giu-
risdizione nazionale rientra nelle competenze dei singoli Stati — unicamente quello di indicare criteri
perché i paesi membri armonizzino le loro scelte nella gestione degli spazi marittimi in modo da: 1) ri-
durre i conflitti tra i settori e creare sinergie tra i vari usi economici del mare come la pesca, la naviga-
zione, il turismo nautico e l’acquacultura sì da sviluppare l’economia del mare; 2) rafforzare lo sviluppo
delle fonti energetiche rinnovabili e reti, stabilire Aree marine protette (v.), e agevolare gli investimenti
in petrolio e gas; 3) accresce il coordinamento tra le amministrazioni in ogni paese, attraverso l’utilizzo

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Glossario di Diritto del Mare

di un unico strumento per bilanciare lo sviluppo di una serie di attività marittime; 4) intensificare la coo-
perazione transfrontaliera — tra i paesi UE — su cavi, condutture, rotte di navigazione, impianti eolici,
ecc.; 5) proteggere l’ambiente valutando l’impatto sugli ecosistemi delle singole attività marittime.
Il MSP può considerarsi privo di valenza giuridica essendo uno strumento di soft law. Come recita la
Direttiva 2014/89/UE: «Al fine di garantire coerenza e chiarezza giuridica, è opportuno che l’ambito geografico
della pianificazione dello spazio marittimo sia definito in conformità degli strumenti legislativi dell’Unione già esi-
stenti e del diritto marittimo internazionale, in particolare dell’UNCLOS». Il MSP non inficia quindi i diritti
sovrani e la giurisdizione degli Stati membri sulle acque marine che derivano dal pertinente diritto in-
ternazionale, in particolare dall’UNCLOS, e non interferisce con la definizione delle frontiere marittime
che rientra nella loro esclusiva competenza. Inoltre, il MSP non si applica alle attività il cui unico fine è
la difesa o la sicurezza nazionale.
L’Italia ha recepito il MSP con il D.LGS. 17 ottobre 2016, n. 201 il cui art. 5 stabilisce che essa è «attuata
attraverso l’elaborazione di piani di gestione, che…possono includere: a) zone di acquacoltura; b) zone di pesca; c)
impianti e infrastrutture per la prospezione, lo sfruttamento e l’estrazione di petrolio, gas e altre risorse energetiche,
di minerali e aggregati e la produzione di energia da fonti rinnovabili; d) rotte di trasporto marittimo e flussi di
traffico; e) zone di addestramento militare; f) siti di conservazione della natura e di specie naturali e zone protette;
g) zone di estrazione di materie prime; h) ricerca scientifica; i) tracciati per cavi e condutture sottomarine; l) turismo;
m) patrimonio culturale sottomarino». Da sottolineare come nelle linee guida allegate al provvedimento si
dica che: «La pianificazione dello spazio marittimo deve presupporre il concetto di “Sistema mare” quale organico
governo delle istanze e delle esigenze, in un’ottica di sviluppo sostenibile, derivanti dalle molteplici attività umane
che interessano gli spazi marini e del loro riverbero nelle relazioni dell’Italia con il Mediterraneo e nelle relazioni
dell’Italia, come attore leader del Mediterraneo, con il resto del mondo».

3. Strategia sicurezza marittima (EUMSS)


Con una metafora potrebbe dirsi che l’Europa ha finalmente scoperto il mare nella sua più vasta dimen-
sione geopolitica (v. Geopolitica del mare) adottando la Strategia europea per la sicurezza marittima (EUMSS)
del 24 giugno 2014. Il documento, approvato dal Consiglio, delinea un quadro comune che garantisca ai
paesi membri uno sviluppo delle loro politiche marittime e una risposta alle minacce e ai rischi in campo
marittimo secondo principi di approccio intersettoriale, integrità funzionale, multilateralismo marittimo e
rispetto del diritto internazionale. L’EUMSS individua come fondamentali interessi marittimi strategici del-
l’UE, nei mari che la bagnano e in quelli adiacenti, la prevenzione dei conflitti, il mantenimento della pace
e della sicurezza internazionale, la protezione delle infrastrutture marittime primarie come porti e installa-
zioni offshore (v. Cavi e condotte sottomarine; Piattaforma continentale), il controllo delle frontiere marittime
esterne (v. Acque territoriali; Zona contigua) per prevenire attività illegali, la sicurezza energetica (v. Risorse
naturali) e la libertà di navigazione, il contrasto delle attività di pesca illegale, non dichiarata e non regola-
mentata (Pesca IUU dall’acronimo inglese di Illegal, unreported and unregulated). L’interesse prioritario è con-
siderato la protezione dell’UE dai rischi marittimi che la minacciano tra i quali vi sono le controversie
marittime territoriali riguardanti la delimitazione degli spazi marittimi secondo i principi dell’UNCLOS (v.
Delimitazione), la proliferazione delle armi di distruzione di massa (WMD) (v. Proliferation security initiative),
la pirateria (v.), il terrorismo marittimo (v.), il traffico in mare di armi (v.) e di stupefacenti (v.), il traffico e
trasporto illegale di migranti (v.), l’inquinamento marino (v. Protezione dell’ambiente marino).
Rilevante è il fatto che l’EUMSS individui come attore marittimo il cluster funzione Guardia costiera
(v.) nel quale vi sono sia gli organismi civili sia militari dei paesi membri che svolgono compiti di polizia
marittima (v.) come strumento interagenzia per la tutela dei propri interessi e per la protezione dai rischi.
Evidente quindi che la Marina Militare italiana, all’interno di questo cluster, ricopra un ruolo per lo meno
paritario rispetto alle altre componenti marittime della Guardia costiera e della Guardia di Finanza.
L’EUMSS è corredata da un Action Plan approvato il 16 dicembre 2014.

UNIONE SOVIETICA (EX)


Vedi: Baie storiche;
Demilitarizzazione (Mediterraneo);
Disarmo navale;

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Glossario di Diritto del Mare

Mare chiuso;
Prevenzione attività pericolose in mare;
Sommergibile;
Successione tra Stati;
Transito inoffensivo.

ZONA ARCHEOLOGICA
In aggiunta ai poteri di prevenzione e repressione spettanti allo Stato costiero nell’ambito della zona
contigua (v.) è a esso riconosciuto il diritto di vietare la rimozione dal fondo del mare di oggetti di valore
archeologico e storico rinvenuti in aree adiacenti le proprie acque territoriali (v.). La zona in cui può
essere esercitata questa forma di giurisdizione finalizzata al controllo del traffico di tali oggetti è detta
zona archeologica. Essa coincide con la zona contigua (v.), la cui estensione massima può essere di 24
mn dalle linee di base, e non può essere proclamata se non dopo che sia stata istituita la zona contigua
medesima. L’asportazione di reperti storico-archeologici senza il consenso dello Stato costiero costituisce
una violazione delle leggi e regolamenti vigenti sul proprio territorio e nelle proprie acque territoriali
(v.) (UNCLOS 303, 2) e, quindi, può essere oggetto di sanzioni.
La legislazione italiana di riferimento per la protezione dei beni archeologici in mare è costituita dal
D.LGS. 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio» Questa normativa, oltre a sta-
bilire che appartengono allo Stato i beni mobili e immobili di interesse archeologico rinvenuti sui «fondali
marini» delle acque interne e territoriali, all’art. 94 prevede che: «Gli oggetti archeologici e storici rinvenuti
nei fondali della zona di mare estesa dodici miglia marine a partire dal limite esterno del mare territoriale sono tu-
telati ai sensi delle regole relative agli interventi sul patrimonio culturale subacqueo allegate alla convenzione
UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo adottata a Parigi il 2 novembre 2001» (v. Protezione
del patrimonio culturale subacqueo).
In aggiunta, l’art. 3 della Legge 23 ottobre 2009, n. 157 di ratifica della Convenzione UNESCO stabilisce,
in materia di estensione e delimitazione (v.) della zona archeologica, che: «Quando la zona ... si sovrappone con
un’analoga zona di un altro Stato e non è ancora intervenuto un accordo di delimitazione, le competenze esercitate dal-
l’Italia non si estendono oltre la linea mediana di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 8 febbraio 2006, n. 61».
I ministeri Difesa e Beni culturali hanno stipulato nel 1998, una convenzione per ricerca archeologica
in mare che prevede la collaborazione della Marina Militare nella ricerca, localizzazione ed eventuale
recupero in fondali superiori ai 40 m, di beni storico-archeologici, mediante l’impiego di unità navali
munite di idonee attrezzature; nonché vigilanza per la prevenzione e la repressione degli illeciti concer-
nenti i beni di interesse archeologico rinvenuti sul fondo marino. Periodicamente, Marina e Beni culturali
svolgono attività congiunte per la protezione del patrimonio archeologico sommerso.

ZONA COMUNE DI PESCA


Vedi: Pesca (Mediterraneo).

ZONA CONTIGUA
1. Profili generali
Al di là delle acque territoriali (v.) può essere istituita la zona contigua che è la zona a esse adiacente
in cui uno Stato può esercitare i controlli necessari a prevenire e reprimere le violazioni alle leggi di po-
lizia doganale, fiscale, sanitaria o d’immigrazione, vigenti sul suo territorio o nelle sue acque territoriali
(UNCLOS art. 33,1). Non è in linea con l’UNCLOS ed è perciò contestata, la pretesa di alcuni paesi di
esercitare anche, nella zona contigua, giurisdizione ai fini della sicurezza nazionale.
L’istituto della zona contigua, come regolamentato dall’UNCLOS e come oramai consolidato nel diritto
consuetudinario, rappresenta il punto di arrivo di un processo evolutivo sviluppatosi a partire dal Set-
tecento quando la Gran Bretagna emanò una serie di provvedimenti (i c.d. Hovering Acts del 1718) per
estendere la propria giurisdizione domestica in materia doganale e fiscale entro una zona di 5 mn adia-
cente alle coste. La Gran Bretagna mutò poi il suo orientamento sostenendo che tale estensione di giuri-
sdizione non fosse legittima in mancanza del consenso degli Stati di bandiera dei mercantili fermati.
Tuttavia la prassi inglese continuò a essere adottata negli Stati Uniti che nel 1922 crearono una zona do-

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Glossario di Diritto del Mare

ganale di 12 mn in cui applicavano il divieto di trasportare alcolici in analogia alla normativa proibizio-
nista vigente sul territorio. Tale legislazione fu poi abrogata nel 1933 ma, nel frattempo, alcuni paesi eu-
ropei come la stessa Italia emanarono norme per il controllo doganale extraterritoriale.
Fu così che nella I convenzione di Ginevra del 1958, anche grazie alle proposte formulate dall’Italia, si
adottò una disciplina che prevedeva misure preventive e repressive nelle materie doganali, fiscali, sanitarie
e di immigrazione entro le 12 mn dalle linee di base. Di fatto ogni Stato poteva fissare l’estensione massima
della sua zona contigua in rapporto a quella delle acque territoriali il cui limite non era definito dalla con-
venzione: l’estensione complessiva di acque territoriali e zona contigua sarebbe dovuta essere di 12 mn.
La questione della zona contigua si ripropose durante i lavori preparatori dell’UNCLOS essendosi espresse
riserve da parte di alcuni paesi sulla sua utilità in relazione all’istituzione di ZEE (v.). Alla fine prevalse
l’orientamento di quei paesi come l’India che, al di là delle effettive esigenze di contrasto e prevenzione di
specifiche materie, vedevano nella zona contigua un’area di potere marittimo. Tanto è vero che nella legi-
slazione indiana (act 80-1976) è ancora stabilito che la zona contigua vale anche per la «security of India».
La zona contigua, che per esistere deve essere formalmente proclamata, costituisce una porzione delle
acque internazionali (v.). Da ciò deriva che, all’interno di essa le navi e gli aeromobili di tutte le nazioni,
godano delle libertà dell’alto mare (v.) in analogia a quanto espressamente stabilito per la zona economica
esclusiva (v.) (UNCLOS 58). I battelli stranieri vi possono esercitare la pesca a meno che lo Stato costiero
non abbia proclamato la zona economica esclusiva o la zona riservata di pesca. Le navi da guerra (v.)
possono, in particolare, svolgere attività operative e addestrative, ivi compreso il contrasto alla pirateria,
che prevedano anche l’uso di armi, senza che lo Stato costiero possa pretendere di imporre limitazioni.
Resta fermo tuttavia che lo stesso Stato ha il diritto di applicare la propria legislazione in materia doga-
nale, fiscale, sanitaria o d’immigrazione, nei confronti dei mercantili di qualsiasi bandiera, pur in pre-
senza di navi da guerra della stessa nazionalità. Queste potrebbero comunque intervenire a protezione
dei propri connazionali in presenza di un uso sproporzionato della forza.

2. Limiti spaziali
L’estensione massima della zona contigua è stabilita dall’art. 33,2 dell’UNCLOS in 12 mn dal limite
esterno delle acque territoriali (24 mn dalle linee di base) (UNCLOS art. 33,2). Nel caso in cui due Stati
si fronteggino a una distanza inferiore alle 48 mn, ciascuno di essi, secondo la I convenzione di Ginevra
del 1958, non ha il diritto di estendere la propria zona contigua al di là della linea mediana. L’UNCLOS
non ha riprodotto questa disposizione. A parere di alcuni, da ciò deriverebbe che le zone contigue di
due Stati frontisti, il cui limite esterno delle acque territoriali disti meno di 24 mn, potrebbero in teoria
sovrapporsi; questo comporterebbe però problemi di interferenza reciproca tra Stati confinanti ai fini
dell’esercizio di giurisdizione e di poteri di polizia. Per evitare simili complicazioni può ritenersi plau-
sibile l’interpretazione di chi ritiene che, in casi analoghi, il principio della mediana sia ancora applicabile
quale regola consuetudinaria (v. Delimitazione). Hanno istituito zone contigue di 24 mn, in Mediterraneo,
Algeria, Cipro, Egitto, Francia, Marocco, Malta, Spagna, Siria e Tunisia. Del tutto peculiare è la zona con-
tigua dell’Italia che risulta esistente nella legislazione pur mancando di normativa attuativa.

3. Prassi italiana
L’Italia ha decretato l’esistenza della zona contigua con l’art. 11 sexies della legge 30 luglio 2002, n. 189
(v. Traffico e trasporto illegale di migranti) che ha modificato l’art. 12 del D.LGS. 286/1998 nel seguente
modo: «La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o nella zona contigua, una nave,
di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla,
sottoporla a ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico
di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato».
Sembrerebbe dunque che il nostro ordinamento contempli la zona contigua ratione materiae nel senso che
la preveda ai soli fini dell’immigrazione e non anche a quelli di polizia doganale, fiscale e sanitaria, come
invece era stabilito dalla legge 25 settembre 1940, n. 1424 che aveva a suo tipo fissato in 12 mn il limite della
zona di vigilanza doganale. Peraltro la zona contigua è citata indirettamente anche dal D.LGS. 22 gennaio
2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio» la cui sezione II si intitola «Ricerche e rinvenimenti
fortuiti nella zona contigua al mare territoriale» (v. Zona archeologica). Il problema dell’indeterminatezza

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Glossario di Diritto del Mare

normativa della zona contigua italiana è stato posto dalla Corte di Cassazione (Sez. I penale, 5 maggio 2010
n. 32960) in un procedimento a carico di scafisti turchi fermati a 23 mn dalla costa calabrese su un gommone
battente bandiera turca. Nell’occasione la Cassazione, pur confermando la teorica giurisdizione italiana sulla
fascia di mare tra le 12 e le 24 mn, ha affermato il difetto di giurisdizione. La tesi sostenuta dalla Cassazione
è stata che il provvedimento italiano di istituzione della zona contigua (individuato nell’art. 12, comma 9
bis del TU sull’immigrazione) non sia opponibile alla Turchia quale paese che non ha ratificato l’UNCLOS.
In merito a questa pronuncia è stato acutamente osservato come la Cassazione abbia dimenticato che «la
zona contigua e la sua estensione hanno oramai acquisito lo status di diritto consuetudinario».
Per porre termine a tale situazione di incertezza normativa sarebbe necessaria l’emanazione di un de-
creto interministeriale che dia attuazione alla legge di ratifica dell’UNCLOS e alle altre norme citate e
fissi i suoi limiti spaziali lungo le acque territoriali italiane nelle zone in cui non ci sia spazio per un’esten-
sione sino alla distanza massima consentita (si pensi alla situazione delle isole Pelagie). Utile sarebbe
anche che siano specificati i poteri esercitabili e le Forze — tra cui non potrebbe non esserci la Marina —
cui essi sono attribuiti. Ovviamente, l’interesse a un simile provvedimento è prioritariamente del Corpo
della guardia di finanza nell’ambito delle sue attribuzioni d’istituto.

ZONA «CONVENZIONE NAIROBI»


È un’area esterna e adiacente al mare territoriale (v.) di uno Stato, determinata in conformità del diritto
internazionale e tale da estendersi non oltre le 200 miglia nautiche dalle linee di base dalle quali si misura
l’ampiezza del mare territoriale in cui si applica la Convenzione di Nairobi del 2007 sulla rimozione dei
relitti. Essa è prevista, nel caso in cui non sia stata ancora istituita la ZEE (v.), come zona di giurisdizione
ai fini della rimozione del relitto di navi affondate, ai fini della sicurezza marittima (v.) e della protezione
dell’ambiente marino (v.). L’art. 9, 7 della stessa convenzione (entrata in vigore nel 2015) stabilisce in
particolare che se l’armatore della nave affondata «non rimuove il relitto entro il termine fissato... lo Stato in-
teressato può rimuovere il relitto con il mezzo più pratico e rapido disponibile, coerentemente con le considerazioni
di sicurezza e di protezione dell’ambiente marino. Lo Stato interessato può esercitare tali poteri nei confronti dei
relitti delle navi, anche se registrate in Stati che non siano parti della convenzione».

ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA (ZEE)


1. Genesi storica
Negli anni Settanta del Novecento si sviluppò nel Sud America e nel Centro Africa il movimento per
la protezione delle risorse di pesca (v.) nella fascia delle 200 mn.
Le premesse erano state poste dalla Dichiarazione di Santiago del 18 agosto 1952 in cui si affermava che:
« ...the Governments of Chile, Ecuador and Peru proclaim as a norm of their international maritime policy that they
each possess exclusive sovereignty and jurisdiction over the sea along the coasts of their respective countries to a mi-
nimum distance of 200 nautical miles from these coasts. The exclusive jurisdiction and sovereignty over this maritime
zone shall also encompass exclusive sovereignty and jurisdiction over the seabed and the subsoil thereof... ».
Apparve allora chiaro che la posta in gioco era l’erosione della libertà dei mari (v.) al di là delle acque
territoriali. A quegli anni risalgono anche alcune iniziative di estensione delle acque territoriali sino al limite
delle 200 mn adottate da Stati come Brasile, Argentina e Somalia. Il conflitto tra paesi «territorialisti» e paesi
«liberisti» (tra i quali c’erano ovviamente le potenze marittime come Stati Uniti, Gran Bretagna e l’allora
Unione Sovietica) fu risolto dalle Nazioni unite nel corso dei lavori della III conferenza del Diritto del mare
(v. Diritto del mare-Codificazione). Nel frattempo il regime della ZEE aveva raggiunto un sufficiente grado
di accettazione nella comunità internazionale tanto da assumere valore consuetudinario come riconosciuto
dalla Corte internazionale di giustizia nei casi Tunisia/Libia (1982) e del Golfo del Maine (1984).

2. Regime generale
Sulla base di tale situazione fu concordato l’attuale regime dell’UNCLOS che rappresenta il quadro
legale per risolvere i conflitti di interesse tra Stati sviluppati e non: il risultato è un bilanciamento tra i
diritti degli Stati costieri allo sfruttamento delle loro risorse e alla tutela dell’ambiente marino e quelli
dei paesi terzi aventi titolo al tradizionale libero uso del mare. Insomma un regime sui generis, la cui am-
biguità (volutamente improntata a un approccio costruttivo) si riflette nell’UNCLOS (art. 58): nelle ZEE

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Glossario di Diritto del Mare

straniere gli Stati terzi possono esercitare specifici usi legittimi del mare come «quelli correlati con le ope-
razioni delle navi» o la posa di cavi e condotte sottomarine (UNCLOS 58,1), a condizione di non intaccare
i diritti dello Stato costiero e di osservare le norme da questi emanate nelle materie di propria compe-
tenza. È tuttavia esclusa (UNCLOS, 86) la fruizione di tutte le libertà dell’alto mare (v.)
Per questo motivo si fa ricorso alla categoria più generale delle acque internazionali (v.) che comprende
la zona contigua (v.) e, appunto, la ZEE, mentre si usa il termine alto mare (v.) per indicare gli spazi
marini al di là della ZEE.

IL PROBLEMA DEL TRANSITO DELLE FORZE NAVALI NELLE ZEE:


LA POSIZIONE ITALIANA

1. Al di fuori dei poteri, esplicitamente previsti e regolati dall’UNCLOS, lo Stato costiero non
ha il diritto di sottoporre a vincoli, all’interno della propria ZEE, né il traffico marittimo interna-
zionale, né il sorvolo, né «altri usi legittimi del mare come quelli correlati con le operazioni delle navi o
la posa di cavi e condotte sottomarine» (UNCLOS 58,1).
Per quanto il testo della convenzione non contenga alcuna norma che legittimi l’adozione di
misure che limitino l’uso delle acque della ZEE da parte di navi da guerra di Stati terzi, da più
parti è stato avanzato il dubbio che gli Stati costieri, estendendo in modo strisciante la propria
giurisdizione sulla ZEE (fenomeno della creeping jurisdiction), finiscano per dare carattere territo-
rialistico ai propri poteri assimilando, di fatto, la ZEE alle acque territoriali. Da questo punto di
vista potrebbero essere ipotizzabili le seguenti restrizioni agli usi militari delle acque delle ZEE:
— interdire la ZEE a Forze navali operanti;
— consentire lo svolgimento di esercitazioni militari previa notifica o autorizzazione;
— introdurre, sotto la specie di provvedimenti a difesa della fauna ittica, limitazioni all’adde-
stramento delle Forze navali con armi attive;
— vietare il transito delle navi da guerra in aree ove sono poste isole artificiali, istallazioni o
strutture destinate all’esplorazione, sfruttamento e gestione delle risorse naturali.

2. Tali questioni sono state concettualizzate nell’ambito del problema della così detta Mobilità
delle flotte che è stato al centro dell’attenzione politica negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso
quando alcuni Stati hanno preso — in funzione nazionalistica e anti-occidentale — ad avanzare
pretese di preventive notifiche o autorizzazione dell’attività svolta da navi da guerra straniere nelle
loro ZEE. Espressione eloquente di tale tendenza è la posizione assunta dal Brasile (uno degli Stati
più attivi nel processo di codificazione del nuovo diritto del mare) quando, nell’aderire all’UN-
CLOS, ha dichiarato che: «the convention do not authorize other States to carry out in the exclusive eco-
nomic zone military exercises or manoeuvres, in particular those that imply the use of weapons or explosives,
without the consent of the coastal State». Identico, nel considerare il libero transito di unità militari
nelle ZEE come pregiudizievole per la sicurezza nazionale, è l’orientamento dell’India che nel 1995,
al momento della ratifica della convenzione, ha così argomentato: «The Government of the Republic
of India understands that the provisions of the convention do not authorize other States to carry out in the
exclusive economic zone and on the continental shelf military exercises or manoeuvres, in particular those
involving the use of weapons or explosives without the consent of the coastal State». Sostanzialmente alli-
neate con tali posizioni restrittive sono le Guidelines for Navigation and Overflight in the Exclusive Eco-
nomic Zone (EEZ Group 21), studio non-binding elaborato dalla Nippon Foudation nel 2005.
3. L’Italia è invece uno dei pochi paesi, assieme a Germania e Olanda, ad aver preso ufficial-
mente posizione su tale illegittimo regime di limitazioni al transito delle Forze navali operanti
nelle ZEE, avendo depositato alle NU in sede di firma e ratifica dell’UNCLOS la seguente dichia-
razione: «Lo Stato costiero non gode, secondo la convenzione, di diritti residuali nella zona economica esclu-
siva. In particolare, i diritti e la giurisdizione dello Stato costiero in tale zona non includono il diritto di
ottenere la notifica di esercitazioni o manovre militari o di autorizzarle».

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Glossario di Diritto del Mare

La ZEE è in definitiva un’area esterna e adiacente alle acque territoriali (v.) in cui lo Stato costiero ha
la titolarità di diritti sovrani (UNCLOS 56, 1, (a) sulla massa d’acqua sovrastante il fondo marino ai fini
dell’esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, viventi o non viventi,
compresa la produzione di energia dalle acque, dalle correnti o dai venti. Esso ha anche giurisdizione
(UNCLOS 56, 1, (b) in materia di installazione e uso di isole artificiali o strutture fisse, ricerca scientifica
in mare (v.) e, soprattutto, di «protezione e conservazione dell’ambiente marino» (v.). La ZEE costituisce
inoltre la zona in cui lo Stato costiero gode di diritti per la rimozione dei relitti (v.) sommersi costituenti
pericolo per la navigazione e l’ambiente marino (v. Zona «Convenzione Nairobi»).
I diritti sovrani di esplorazione, sfruttamento e conservazione delle risorse naturali spettanti a uno
Stato nella propria ZEE si esplicano principalmente nel diritto esclusivo di pesca. Le uniche limitazioni
a questa incondizionata posizione di preminenza riguardano l’onere di ammettere altri Stati alla cattura
della quantità di pesce disponibile in eccedenza rispetto alle proprie capacità di pesca, dando preferenza,
su basi eque, agli Stati senza litorale o «geograficamente svantaggiati» (UNCLOS 62, 69 e 70). Lo Stato co-
stiero, nel concedere a Stati terzi l’accesso alla propria ZEE, deve inoltre prendere in considerazione la
possibilità che cittadini di questi Stati abbiano esercitato abitualmente la pesca in aree della ZEE, prima
della sua istituzione (UNCLOS 62, 3).
Come precisato nelle voci relative a Pesca e Protezione dell’ambiente marino del presente Glossario,
lo Stato costiero può decidere di avvalersi solo in parte dei diritti esercitabili a titolo di ZEE: di qui il fe-
nomeno delle zone minus generis di protezione ittica o di protezione ecologica.

3. Pronto rilascio battelli


Per preservare i propri diritti sovrani sulle risorse naturali della ZEE, il paese che ne è titolare ha
facoltà di adottare misure preventive e repressive, quali il fermo, l’ispezione e il sequestro di navi stra-
niere in transito (UNCLOS 73). Le sanzioni per la violazione delle norme sulla pesca non possono tuttavia
prevedere la carcerazione o altre forme di pene corporali (UNCLOS 73, 2). Lo Stato che procede al fermo
o al sequestro di navi straniere deve prontamente notificare allo Stato di bandiera le azioni intraprese
(UNCLOS 73,4). Il rilascio è previsto dietro pagamento di cauzione o prestazione di garanzia.
Nel caso in cui il rilascio della nave fermata non avvenga prontamente, lo Stato di bandiera può de-
ferire (UNCLOS 292,1) la questione della revoca del fermo: a) a qualsiasi corte o tribunale designato di
comune accordo con lo Stato costiero; b) in mancanza di accordo, a una corte o un tribunale la cui giuri-
sdizione sia stata preventivamente accettata dallo Stato che ha proceduto al fermo (UNCLOS 287) ovvero
al tribunale internazionale per il diritto del mare (v.).
È bene ricordare che in ogni caso non è legittimo, nell’ambito delle attività di polizia che lo Stato co-
stiero può svolgere nella sua ZEE, un uso della forza sproporzionato e non necessario nei confronti di
pescatori stranieri. Per quanto riguarda specificatamente la polizia della pesca, oltre ai principi generali
elaborati dalla giurisprudenza internazionale (v. Polizia del mare), va tenuto anche conto dei seguenti
due principi stabiliti dagli articoli 21 e 22 della Convenzione di New York del 1995 sulle specie ittiche
migratorie, relativamente alle attività di sorveglianza della pesca: 1) «boarding and inspection is not con-
ducted in a manner that would constitute harassment of any fishing vessel»; 2) «The degree of force used shall not
exceed that reasonably required in the circumstances».

4. Limiti spaziali e delimitazione


UNCLOS 74,1 stabilisce che la delimitazione (v.) delle ZEE tra Stati con coste adiacenti o opposte deve
farsi per accordo in modo da raggiungere una soluzione equitativa. Lo stesso articolo, al para 3, prevede
che gli Stati interessati, in attesa di tale accordo, possano addivenire a «intese provvisorie di natura pratica»
(provisional understandings). Un esempio in materia è costituito dall’Accordo tra Algeria e Tunisia dell’11
febbraio 2002, di delimitazione laterale relativa sia agli spazi di acque territoriali che a quelli di piatta-
forma continentale e ZEE (v. Acque territoriali (Mediterraneo).
Non esiste nessun obbligo di far coincidere ZEE e piattaforma continentale: gli Stati, nel corso di un
negoziato solo liberi di stabilire frontiere diverse per spazi marittimi distinti. È comunque sempre pos-
sibile che la delimitazione del fondo marino diverga da quella della colonna d’acqua sovrastante di cui
lo stesso Stato ha la titolarità nell’ambito della ZEE. Tra l’altro, tale divergenza può essere connessa alla

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Glossario di Diritto del Mare

sfasatura temporale tra un accordo di delimitazione e il successivo, nel senso che le condizioni di fatto
e di diritto, poste a base della delimitazione della piattaforma continentale (stipulata, quando l’istituto
della ZEE non era ancora contemplato dal diritto internazionale), possono non valere successivamente
per quello della ZEE. Al riguardo, un problema di divergenza si pone per il confine della ZERP croata;
la questione, come già detto in altre parti del presente Glossario (v. Delimitazione; Pesca-Mediterraneo),
è stata sollevata dall’Italia con nota di protesta inviata alla Croazia (in UN LOS Bulletin n. 60, p. 127). La
prassi internazionale presenta tuttavia numerosi casi di confine unico (single maritime boundary) adottato
dagli Stati: nel mar Mediterraneo, Cipro ha stipulato accordi di questo tipo con Egitto (2003), Libano
(2007) e Israele (2010); anche l’Italia ha adottato lo stesso metodo nell’accordo sulle frontiere marittime
con la Francia del 2015 (al 2020 non ancora ratificato dall’Italia).

ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA (MEDITERRANEO)


1. Avvio territorializzazione
Il mar Mediterraneo (v.) era caratterizzato, sino a qualche decina di anni fa, da estese aree di alto mare
(v.). Nessun paese aveva, infatti, proclamato zone economiche esclusive, pur avendone il diritto, mentre
esistevano limitate zone riservate di pesca come il «Mammellone» e quella maltese di 25 miglia (v. Pesca
(Mediterraneo). La ragione di ciò stava indubbiamente nella sua configurazione geografica, dato che le
coste non distano in nessun punto 400 o più miglia dalle coste opposte di un altro Stato. Di qui l’impos-
sibilità, connessa anche al particolare regime giuridico di «mare chiuso» (v.), che qualche Stato potesse
proclamare unilateralmente una ZEE dell’ampiezza di 200 miglia.
Ma il motivo principale andava ricercato nella necessità di preservare le esigenze di libertà di navi-
gazione delle Forze navali NATO che sarebbero state altrimenti minacciate dalla possibile territorializ-
zazione di proprie ZEE da parte di paesi non facenti parte dell’Alleanza. Proprio per questo l’Italia aveva
assunto una precisa posizione formulando uno statement cautelativo al momento della firma della con-
venzione del 1982 (v. riquadro al para 2. della voce dedicata al problema del transito delle Forze navali
nelle ZEE). Non secondaria era inoltre la preoccupazione che si innescassero dinamiche che potessero
turbare lo status quo del mar Egeo (v.) caratterizzato da varie dispute tra Grecia e Turchia su estensione
delle acque territoriali, delimitazione della piattaforma continentale e regime dello spazio aereo sovra-
stante l’alto mare.
Il fronte contrario all’istituzione di ZEE in Mediterraneo cominciò a incrinarsi con la creazione di zone
sui generis in cui gli Stati costieri si avvalevano di parte dei diritti esercitabili nella ZEE relativamente
alla protezione della pesca e dell’ambiente marino (v.). Le iniziative in questo senso, come specificato
nelle pertinenti voci del presente Glossario (v. Protezione della pesca-Mediterraneo; Protezione dell’am-
biente marino-Mediterraneo), sono iniziate con la ZRP dell’Algeria (1994) e la ZPP della Spagna (1997)
per poi proseguire con la ZPE della Francia (2003), la ZERP Croazia (2003), la ZPP libica (2005), e infine
la ZPE italiana (2006).
Un impulso al processo di creazione di zone di giurisdizione funzionale è venuto dalla politica di ge-
stione delle risorse marine dell’Unione europea (v.) volta a contrastare il proliferare della pesca illegale
(IUU Fishing) praticata in molti casi da pescherecci di paesi asiatici, che trovò riconoscimento nella Con-
ferenza ministeriale di Venezia del 2003 seguente a quella di Creta del 2002, durante le quali gli Stati me-
diterranei si confrontarono sulla necessità di dichiarare specifiche zone di giurisdizione. Di qui, il passo
successivo furono ulteriori ZPP come quella libica del 2005 e l’avvio di proclamazioni di ZEE come si indica
di seguito.

2. ZEE già istituite


2.1 Algeria
Con un’improvvisa decisione assunta con Decreto Presidenziale del 20 marzo 2018, l’Algeria ha pro-
clamato una ZEE che si estende sino nord-ovest del golfo di Oristano, lambendo le acque territoriali di
Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa e Alghero, con una cuspide (punto di coordinate
40°21’31’’N - 06°50’35’’E) distante circa 60 miglia dalla costa della Sardegna e almeno 195 miglia da quella
algerina. Essa si sovrappone in parte anche alla ZEE della Spagna. Il suo confine riguarda anche la sot-
tostante piattaforma continentale.

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Glossario di Diritto del Mare

Pretesa ZEE Algeria a confronto con ZEE Spagna e Francia e con Piattaforma continentale italiana
(Fonte: Limes, Il Mare è l'Italia, 10/2020, 216).

Le acque di giurisdizione di Algeria e Italia si fronteggiavano in passato senza entrare in contatto,


essendo separate da una larga fascia di alto mare: da un lato la ZRP algerina del 1994 (v. Pesca-Me-
diterraneo); dall’altro la ZPE italiana del 2011 che si tiene ben al di qua dell’ipotetica linea di equidi-
stanza tra Sardegna e Algeria. Non risulta che i due paesi fossero mai entrati in trattative, anche se
in qualche occasione entrambi avevano convenuto sulla necessità di definire la propria frontiera ma-
rittima comune, non foss’altro per gli eccellenti rapporti politico-commerciali, risalenti al tempo del-
l’indipendenza algerina e cementati dal gasdotto TransMed terminato nel 1994 (v. Cavi e
condotte-Mediterraneo).
L’iniziativa algerina è stata contestata dall’Italia con NV del 28 novembre 2018 in cui si afferma che
«[...] il Governo italiano esprime la sua opposizione alla delimitazione della ZEE Algerina [...] poiché essa si so-
vrappone indebitamente a zone di legittimo ed esclusivo interesse italiano». Anche la Spagna nel 2018 ha ec-
cepito che la pretesa algerina è «sproporzionata». In risposta alla presa di posizione italiana, l’Algeria
con NV del 20 giugno 2019, si è dichiarata disponibile a ricercare «une solution équitable et mutuellement
acceptable sur les limites extérieures de la zone économique exclusive de l’Algérie et de l’espace maritime de
l’Italie, conformément, l’article 74 de la convention des Nations unies sur le droit de la mer». Da notare che in
questa NV, oltre a rivendicare il carattere equitativo della delimitazione, si fa riferimento al fatto che
alla ZEE algerina si contrappongono non ben precisati «spazi marittimi dell’Italia». Al riguardo, è bene
invece precisare che tali spazi marittimi italiani sono ben definiti, essendo costituiti sia dalla piatta-
forma continentale delimitata con la Spagna nel 1974, sia dalla succitata ZPE. Al limite, può dirsi che
la scelta italiana di autolimitarsi nel fissare il limite sud della stessa ZPE, non è stata apprezzata dal-
l’Algeria nel suo corretto valore cautelativo. In futuro sarebbe perciò opportuno estenderlo — in attesa
di un confine fissato per accordo — fino all’ipotetica linea di equidistanza. Una presa di posizione uf-
ficiale italiana è anche quella espressa nel corso di un question time in risposta a un’interrogazione: il
5 febbraio il rappresentante del Governo ha dichiarato che l’Algeria «ha disatteso l’articolo 74 della con-
venzione ONU sul Diritto del mare che richiede agli Stati, nelle more di un accordo di delimitazione, di cooperare

Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020 205


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Glossario di Diritto del Mare

in buona fede con gli Stati vicini e di non compromettere o ostacolare il raggiungimento dell’accordo finale con
comportamenti lesivi degli interessi degli altri Stati». In definitiva, in attesa che si pervenga a un tale ac-
cordo (o, in alternativa, ci si avvalga) devono comunque notarsi vari aspetti, e cioè: 1) l’asserito carat-
tere equitativo del confine stabilito dall’Algeria è una valutazione di merito che non può avere carattere
unilaterale, ma deve essere condiviso dalle parti; 2) l’inefficacia verso i terzi delle proclamazioni uni-
laterali, in quanto, come affermato dalla CIG nel Fisheries Case (United Kingdom v. Norway) del 1951
(p. 20): «Although it is true that the act of delimitation is necessarily a unilateral act, because only the coastal
State is competent to undertake it, the validity of the delimitation with regard to other States depends upon in-
ternational law»; 3) la scelta di fissare unilateralmente il punto estremo settentrionale della ZEE a così
grande distanza dalla costa algerina può essere interpretata come una provocazione, ma riflette anche
le tesi espresse dalla Francia nel 1974 sull’esigenza che si avviasse un negoziato di delimitazione tra
Italia, Francia, Spagna e Algeria incentrato sulla definizione di un punto quadruplo al centro del Tir-
reno cui corrispondesse una «zona di cooperazione comune»; 4) la Sardegna, essendo la più grande isola
del Mediterraneo, con uno sviluppo costiero non inferiore a quello algerino, deve avere pieno effetto
nella definizione della mediana con l’Italia.
Oltre all’Italia, l’iniziativa, come si dirà più avanti, è oggetto di proteste avanzate dalla Spagna.
Da aggiungere infine che la nuova ZEE algerina ingloba la precedente ZRP del 1994 (v. Pesca-Medi-
terraneo).

2.2 Cipro
Circa la Repubblica di Cipro va notato che:
— ha stipulato un Accordo nel 2003 con l’Egitto per la delimitazione delle rispettive ZEE il cui confine
è anche valevole per la piattaforma continentale (v.) e che, come si dirà più avanti, è perciò contestato
dalla Turchia che reclama di essere lo Stato frontista dell’Egitto;
— analoga iniziativa è stata adottata con il Libano nel 2007: come si dirà più avanti l’accordo non è
stato tuttavia ratificato dal Parlamento libanese per questioni attinenti il punto triplo con Israele;
— nel 2010 ha concordato un confine unico per ZEE e piattaforma continentale con Israele;
— rivendica come propria la ZEE che circonda l’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord
(RTCN) cui nega ogni soggettività internazionale;
— l’attivismo nelle delimitazioni delle ZEE si è accompagnato a una dinamica politica commerciale
di concessione di licenze di esplorazione dei ricchi giacimenti di idrocarburi, anche se ricadenti a occi-
dente, in zone pretese dalla Turchia, o a sud, in zone per le quali la stessa Turchia reclama ritorni econo-
mici in favore della popolazione della RTCN. Nei blocks offshore istituiti da Cipro al largo delle proprie
coste — spesso teatro di azioni dimostrative turche condotte nel 2018 anche contro la nave di ricerca
SAIPEM 12000 — è compreso il ricco giacimento Aphrodite.

2.3 Egitto
L’Egitto, al momento della firma dell’UNCLOS, si era già detto favorevole all’istituzione della ZEE
dichiarando che era sua intenzione farlo in futuro. Con il già citato accordo del 2003 ha poi proceduto
alla delimitazione delle rispettive ZEE con Cipro, costituita dalla «linea mediana ciascun punto della quale
è equidistante dal punto più vicino delle linee di base». Tale linea delimita anche il sottostante fondale della
piattaforma continentale; come anticipato e come si dirà più avanti, essa non è riconosciuta dalla Turchia
la quale ritiene di aver un proprio diritto a definire un differente confine con l’Egitto che dia effetto allo
sviluppo costiero dell’Anatolia. Da parte sua l’Egitto contesta sia l’accordo turco-libico sulla ZEE del
2019 ritenuto invalido sia, quanto ai confini, la proclamazione palestinese di proprie zone di giurisdizione
marittima, contestata da Israele (contestata da Israele in quanto non considera la Palestina un’entità sta-
tuale). Il grande giacimento Zohr scoperto dall’ENI nel 2015 è compreso interamente nella ZEE egiziana
e non è reclamato da altri Stati.
Grecia ed Egitto hanno stabilito il confine delle rispettive ZEE con accordo del 4 agosto 2020, mediante
una delimitazione che riconosce pieno effetto alle isole di Rodi, Karpatos (Scarpanto) e Creta sovrappo-
nendosi alla ZEE turco-libica. Tale delimitazione è parziale, nel senso che si ferma al meridiano 28, senza
continuare — come la Grecia auspicava — al punto triplo con Cipro.

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Glossario di Diritto del Mare

ZEE Cipro (Fonte: UN Doalos).

2.4 Francia
La legge n. 346-2003 aveva istituito la ZPE (v. Protezione ambiente marino-Mediterraneo) avanti
alle coste del golfo del Leone e della Corsica. Il confine della zona è stato definito unilateralmente
con decreto del 2004 secondo un tracciato che si sovrappone alla ZPP spagnola nella parte antistante
Capo Creus nel golfo del Leone, mantenendosi invece al di qua dell’ipotetica linea di equidistanza
con l’Italia.
Tale confine è stato successivamente confermato quando la ZPE è stata trasformata in ZEE istituita
mediante il Décret n. 2012-1148 du 12 octobre 2012 portant création d’une zone économique exclusive
au large des côtes du territoire de la République en Méditerranée.
Con nota verbale n. 31661 (2012) la Spagna ha espresso riserve verso i limiti della ZEE nella parte che
si sovrappone alla sua ZEE, sostenendo che la linea di equidistanza geometrica «would be the most just
and equitable solution». La Francia sostiene invece (v. DOALOS Bulletin n. 38, p. 54) che una soluzione
equitativa non possa essere definita unilateralmente, in quanto un tal risultato può essere solo raggiunto
per accordo.
Come già anticipato in altre voci del presente Glossario, nel 2015 Italia e Francia hanno concluso a
Caen nel 2015 un Accordo di delimitazione delle frontiere marittime relativo ad acque territoriali,
piattaforma continentale e ZEE, adottando un confine unico valevole per fondale e massa d’acqua.
Nel preambolo dell’intesa si dice che si è seguito — per gli spazi marittimi diversi dalle acque terri-
toriali — il principio equitativo, a significare il superamento dell’equidistanza geometrica che è stata
evidentemente corretta da circostanze rilevanti come la presenza delle isole dell’Elba e della Gorgona
cui è stato attribuito un effetto parziale sulla delimitazione. Come noto l’intesa non è stata ancora ra-
tificata dall’Italia, al 2020, per varie questioni venutesi a creare nel nostro paese. A futura memoria è
bene comunque ricordare che il 12 febbraio 2016, in sede di risposta a interpellanze parlamentari pre-
sentate alla Camera, il Governo ha fornito chiarimenti sulla genesi dell’accordo e sui criteri giuridici
cui esso è improntato.

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Glossario di Diritto del Mare

Frontiere marittime accordo di Caen del 2015, non ancora ratificato dall’Italia (Fonte: France Gov).

2.5 Grecia
La Grecia non prevede ancora nella propria legislazione la possibilità di istituire ZEE: Atene ha tuttavia
ratificato l’UNCLOS a differenza della Turchia che non ne è ancora parte, sicché può a pieno titolo avva-
lersi dei diritti relativi. Sino a qualche tempo fa poteva pensarsi che Atene, per non turbare lo status quo,
apparisse cauta nell’ipotizzare la creazione di ZEE, anche se a più riprese venivano affermate posizioni
tese a considerare la piccola isola di Kastelorizo (altrimenti denominata Castelrosso o Megisti) distante
meno di 1 miglio dalla costa turca come un punto di riferimento cui dare pieno effetto per il tracciamento
di confini nel Mediterraneo orientale. Si è già detto della prudenza greca relativa alla questione della piat-
taforma continentale dell’Egeo (v. apposito riquadro al para 2.b della voce Piattaforma continentale (Me-
diterraneo)) cui fa riscontro un analogo atteggiamento turco. Al contrario, si sono intensificate le prese di
posizione greche in favore della proclamazione della ZEE nello Ionio, a sud di Creta, a nord dell’Egitto e
a est di Cipro. L’attivismo greco ha portato alla stipula di un accordo di delimitazione delle rispettive ZEE
con l’Italia siglato il 9 giugno 2020. Dato che ne la Grecia ne l’Italia hanno, al momento, istituito ZEE (noi,
come noto, abbiamo solo una ZPE) l’accordo ha una valenza pro futuro nel senso che, quando entrambi i
paesi vi provvederanno, il confine sarà quello già stabilito, che coincide con la delimitazione concordata
per la Piattaforma continentale nel 1977 (v. Piattaforma continetale Mediterraneo). Valenza futura ha anche
l’impegno di Atene, assunto a margine dell’intesa, a concedere a 68 nostre barche da pesca, sulla base del
regolamento UE 1380/2013, l’accesso alle proprie acque territoriali nella fascia tra le 6 e le 12 mn (al mo-
mento in cui la loro ampiezza sarà estesa); il beneficio costituisce un riconoscimento della tradizionale
presenza italiana in antiche aree di pesca prospicenti la Grecia.
Nella cartina che segue è riportata l’ipotetica ZEE greca: si noti come la ZEE turca risulti interclusa a
nord in un ristretto spazio adiacente la costa e come quella greca dovrebbe invece confinare con le ZEE
cipriote ed egiziane, oltre che, a ovest, con l’Italia e la Libia. Per quanto riguarda il confine con la Libia
si rinvia a quanto detto alla voce Pesca-Mediterraneo con riguardo alla ZPP libica. Precisazioni sono
anche contenute più avanti relativamente alla ZEE libica.

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Glossario di Diritto del Mare

Ipotetica ZEE Grecia (Fonte: ICG).

Delimitazione ZEE Grecia-Egitto; sulla sinistra la delimitazione della ZEE Libia-Turchia. La cartina riporta anche le coste
rilevanti prese a base dei due accordi (Fonte: skai.gr/sites).

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Glossario di Diritto del Mare

2.6 Israele
Con il già citato Accordo del 2010 Israele ha delimitato la sua ZEE con Cipro fissandolo mediante una
linea mediana valevole anche per il fondo e sottofondo della piattaforma continentale all’interno della
quale vi sono gli estesi giacimenti di gas denominati Leviathan e Tamar.

Blocks offshore ZEE Israele (Fonte: UN Doalos).

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Glossario di Diritto del Mare

A margine di questo accordo, Tel Aviv potrebbe stipulare con Nicosia un unitization agreement dedicato
allo sfruttamento congiunto dei giacimenti ricadenti a cavallo del confine in prossimità di quello cipriota
di Aphrodite.
I problemi di delimitazione laterale con il Libano (v.) hanno generato un contenzioso tra i due paesi
che, al novembre 2020, pare in via di risoluzione. Il problema riguarda il confine laterale delle rispettive
ZEE nel quale è compresa un’area di circa 850 km2: Israele ha fissato un limite perpendicolare alla costa,
mentre il Libano identifica il confine nel prolungamento a mare della Blue line del 2000. Da tempo, inoltre,
è noto che al largo della striscia di Gaza vi sono riserve di gas nel giacimento Gaza Marine il cui sfrutta-
mento pare fosse stato concesso nel 1999, dall’autorità nazionale palestinese (ANP), a una compagnia
britannica. Con Dichiarazione del 24 settembre 2019 la Palestina ha proclamato, al largo delle coste, vari
spazi marittimi tra cui una ZEE con l’evidente intenzione di legittimare i propri diritti di sfruttamento.
Da parte di Israele, potenza occupante della striscia, è stata negata ogni validità alla proclamazione, af-
fermando che solo gli Stati sovrani hanno diritto a zone marittime. Israele riconosce invece la maritime
activity zone (MAZ) creata al largo di Gaza dagli accordi di Oslo (v. Palestina).

2.7 Libano
Vi è disaccordo tra il Libano e Cipro per il confine — definito da sei punti — stabilito nel 2007, circa
la collocazione del punto 1 della linea di delimitazione. Questo ricade a 9 mn a nord-est del punto ter-
minale (il 23) della frontiera marittima tra Cipro e Israele. La circostanza è emersa quando nel 2011 il Li-
bano ha depositato alle NU una lettera in cui si afferma che lo stesso punto 1 non è vincolante per il
Libano, non avendo valore di punto triplo con Israele e Cipro. L’area in contestazione è di circa 850 ki-
lometri quadrati.

ZEE Libano (Fonte: UN).

Per ovviare a quella che considera una situazione per sé pregiudizievole, il Libano ha ridefinito uni-
lateralmente i limiti della propria ZEE con decreto 6433-2011. Questo decreto è stato tuttavia contestato
dalla Siria nel 2014.

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Glossario di Diritto del Mare

2.8 Libia
Dopo aver proclamato nel 2005 una Zona di protezione dalla pesca che si estende per 62 mn a partire
dal limite esterno delle acque territoriali, inclusa la linea di chiusura del golfo della Sirte (v. Pesca-Me-
diterraneo), la Libia ha anche istituito la ZEE con dichiarazione del 27 maggio 2009 (in UN DOALOS
Bulletin n. 72, p. 78) nella quale: «To declare an exclusive economic zone of the great socialist people’s libyan
arab jamahiriya adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international
law. If necessary, the outer limits of this zone shall be established together with neighbouring States in accordance
with instruments concluded on the basis of international law».
La successiva general people’s committee decision n. 260 of 31 May 2009 ha confermato tale dichiarazione,
usando gli stessi termini lessicali.
Sull’accordo di delimitazione della ZEE stipulato nel 2019 con la Turchia si rinvia alla trattazione re-
lativa a questo paese. Al riguardo, circa le posizioni libiche, va considerato con attenzione quanto di-
chiarato da Tripoli nella Explanatory Note depositata alle NU circa la genesi dell’iniziativa, il suo
fondamento legale e le trattative condotte infruttuosamente con la Grecia dal 2004 mirate a negoziare
un confine della ZEE a sud di Creta.

2.9 Siria
La Siria, con la Legge n. 28 del 19 novembre 2003, nel ridurre l’estensione delle acque territoriali da
35 a 12 miglia (v. Acque territoriali-Mediterraneo), ha egualmente istituito la ZEE che si estende «al di là
delle acque territoriali e include l’intera zona contigua, in direzione dell’alto mare per una distanza di non più di
200 miglia misurata dalle linee di base, secondo le norme del diritto internazionale».

2.10 Spagna
La Spagna, con decreto reale del 1o agosto 1997, emanato senza alcuna preventiva concertazione con
gli altri Stati membri dell’Unione, aveva istituito una Zona di protezione della pesca (ZPP) nel mar Me-
diterraneo.
L’iniziativa spagnola era stata contestata dalla Francia con NV del 1998 (in UN DOALOS Bulletin n.
38, p. 54) del seguente tenore: «The french Government wishes to protest against the part of this declaration
that relates to the line delimiting the edge of the spanish fisheries zone facing the french coasts… The french Go-
vernment recalls on this occasion that under international public law, the delimitation of a boundary must take
place by agreement moreover, in this specific case of a maritime boundary, such delimitation must result in an equi-
table solution, thus ruling out in this instance use of the equidistant line employed by the spanish side».
L’area della ZPP spagnola eÌ stata
convertita in ZEE nel 2013 con decreto
reale 236/2013, de 5 de abril, por el que
se establece la Zona Econoìmica Exclu-
siva de España en el Mediterraìneo nor-
doccidental. I confini esterni sono
eguali a quelli in precedenza stabiliti
per la ZPP nel 2000 (Nota Verbale n.
256 del 13 aprile 2000), sicché la pre-
cedente posizione contraria della
Francia deve ritenersi riferibile anche
alla ZEE.
La ZEE dichiarata dall’Algeria nel
2018 si sovrappone a quella spagnola
ed è perciò contestata da Madrid as-
sumendo che i suoi limiti siano «…
clearly disproportionate in relation to the
equidistant median line between the Al-
Aree di sovrapposizione ZEE di Francia e Spagna (Fonte: UE). gerian and Spanish coasts».

212 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

2.11 Turchia
La Turchia non aveva mai istituito
in Mediterraneo alcuna ZEE a diffe-
renza del Mar Nero ove i relativi con-
fini erano stati definiti per accordo con
Georgia (1986), Russia (1987) e Ucraina
(1987), giustificando l’incoerenza della
sua mancata adesione all’UNCLOS
con il fatto che l’istituto della ZEE fa
parte del diritto internazionale consue-
tudinario. D’altronde, la disputa con la
Grecia nell’Egeo (v. apposito riquadro
al para 2.b della voce Piattaforma con-
tinentale (Mediterraneo)) ha sempre ri-
guardato sinora la sola piattaforma
continentale. E un accordo relativo alla
piattaforma continentale è quello tra
Ankara e l’autoproclamata RTCN che
Cipro considera invalido per man-
canza di soggettività internazionale Delimitazione ZEE Turchia-RTCN (Fonte: UN Doalos).
della stessa Repubblica.
L’esistenza di una ZEE turca nel Mediterraneo pare ora essere il presupposto del Memorandum di de-
limitazione del 27 novembre 2019 con cui si stabilisce, sulla base dell’equidistanza, il confine con Tripoli
di una zona che dalla costa turca prospiciente le isole greche di Kastelorizo e Rodi va sino a quella della
Cirenaica tra Derna e il confine egiziano.

Delimitazione ZEE Turchia-Libia (Fonte: UN Doalos).

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Glossario di Diritto del Mare

L’accordo non tiene adeguato


conto delle isole greche suindi-
cate (oltre a Scarpanto), né dà ef-
fetto alle coste orientali di Creta.
Esso è stato contestato dura-
mente, quali Stati terzi controin-
teressati, da Grecia, Cipro ed
Egitto, che lo considerano nullo e
privo di effetti.
La posizione di Tripoli in di-
fesa dello stesso accordo è stata
ufficializzata nella Explanatory
Note depositata alle NU. Ankara
ha fornito ulteriori precisazioni
in una Lettera alle NU in cui, nel-
l’indicare le coordinate dei punti
«F» ed «E» del confine con la
Libia, precisa che il Memorandum Confine tra Kastelorizo e Turchia stabilito con accordo italo-turco del 1932
è basato sui seguenti principi: (Fonte: SVG Maps).
«(a) islands cannot have a cut-off ef-
fect on the coastal projection of Turkey, the country with the longest continental coastline in Eastern Mediterranean;
(b) the islands which lie on the wrong side of the median line between two mainlands cannot create maritime juri-
sdiction areas beyond their territorial waters; and (c) the length and direction of the coasts should be taken into ac-
count in delineating maritime jurisdiction areas». Da notare che l’Egitto si era opposto alla pubblicazione del
Memorandum da parte delle NU e alla diffusione delle coordinate della linea di confine.
L’intesa turco-libica si inserisce comunque in un quadro più vasto di rivendicazioni relative a tutti
gli spazi marittimi del Mediterraneo orientale e del Mar di Levante. In estrema sintesi Ankara, come
risulta da vari documenti depositati alle NU ritiene — in rapporto all’estensione delle coste dell’Ana-
tolia meridionale — di essere
lo Stato frontista dell’Egitto e
della Libia: si nega così vali-
dità all’accordo di delimita-
zione cipro-egiziano del 2003
e si ignorano le pretese gre-
che basate sulla rigida appli-
cazione dell’equidistanza tra
le proprie isole e le coste di
Libia, Egitto e Cipro. Le pre-
tese turche, come si legge in
vari documenti diplomatici
iniziano a occidente del me-
ridiano 32°16’18’’E: esse do-
vrebbero formalizzarsi per
accordo tra gli Stati interes-
sati in modo da raggiungere
risultati equitativi. L’ac-
cordo greco-egiziano del 4
agosto 2020 costituisce, in
ogni caso, un nuovo ele-
mento di cui la Turchia
dovrà tener conto nel defi-
Ipotetica ZEE Turchia (Fonte: UN Doalos). nire le proprie pretese.

214 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

2.12 Tunisia
Con la legge n. 2005-50 del 27
giugno 2005 (UN DOALOS Bul-
letin n. 58, p. 19) la Tunisia ha isti-
tuito la ZEE nella quale esercita
«diritti sovrani ai fini dello sfrutta-
mento, esplorazione, conservazione,
gestione e protezione delle risorse na-
turali biologiche o non biologiche
delle acque sovrastanti, del fondo e
del sottofondo del mare». È prevista
l’emanazione di successivi de-
creti di applicazione i quali, a
questo fine, potranno creare zone
di pesca protetta o riservata o
zone di protezione ecologica,
fatto salvo tuttavia l’attuale re-
gime di zona riservata di pesca
del «Mammellone» (v.), secondo Confronto tra le ipotetiche ZEE di Grecia, Turchia, Cipro ed Egitto (Fonte: ICG).
una strategia, non ancora attuata,
di frazionamento in singole zone sui generis dei diritti teoricamente esercitabili a titolo di ZEE.

Ipotetica equidistanza Italia-Tunisia non accolta nell’accordo del 1971 ma rilevante ai fini del futuro confine delle rispettive
ZEE (Fonte: Francalanci).

Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020 215


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Glossario di Diritto del Mare

Quanto ai limiti esterni si stabilisce che la ZEE «may extend to the boundaries provided for in international
law», salvo accordi di delimitazione con gli Stati interessati «where necessary», con una formula che lascia
perplessi: sembrerebbe, infatti, che, sia pur provvisoriamente, la Tunisia consideri come confine esterno
della sua ZEE quello concordato con l’Italia per la piattaforma continentale nel 1971 (v. Piattaforma con-
tinentale-Mediterraneo). Una tal soluzione — su cui non vi sono tuttavia riscontri ufficiali — è chiara-
mente in contrasto col diritto internazionale ed è, infatti, stata oggetto di proteste dell’Italia verso la
Croazia che l’ha adottata nel 2003 per la sua ZERP (v. Delimitazione). Per il futuro, se venissero portati
avanti negoziati di delimitazione per la ZEE, sarà perciò necessario che l’Italia proponga un confine di-
verso da quello della piattaforma continentale visto che: 1) questo è frutto di un negoziato politico con-
dotto al tempo senza considerare i principi ora applicabili; 2) è necessario tener conto degli interessi
dell’Italia sul «Mammellone» — magari anche a una gestione comune come area SPAMI (v.) — attestati
da lungo uso e da notorie forme di giurisdizione nazionale. Degno di nota è che la Tunisia, nella legge
suindicata garantisce agli Stati terzi, nella sua ZEE, la libertà di transito e l’esercizio degli altri diritti pre-
visti dall’UNCLOS, secondo un giusto approccio contrario alla c.d. territorializzazione.

ZONA IDENTIFICAZIONE AEREA


È la zona di spazio aereo internazionale (v.) adiacente lo spazio aereo nazionale (v.) sovrastante le
acque territoriali in cui alcuni Stati (Stati Uniti, Canada, Francia) prescrivono agli aeromobili diretti verso
il proprio territorio di fornire alle autorità nazionali informazioni sul volo. Tali disposizioni sono stabilite,
al di fuori delle procedure ICAO delle regioni per le informazioni di volo (FIR) (v.), per esigenze di sicu-
rezza militare.
È stata contestata, perché applicabile anche agli aeromobili militari in semplice transito laterale, la air
defence identification zone (ADIZ) istituita nel novembre 2013 dalla Cina al largo delle proprie coste orien-
tali nella parte sovrastante le isole Senkaku controllate dal Giappone. Gli Stati Uniti hanno analizzato la
prassi internazionale delle ADIZ formulando il seguente Statement nel 2013: «Freedom of overflight and
other internationally lawful uses of sea and airspace are essential to prosperity, stability, and security in the Pacific.
We don’t support efforts by any State to apply its ADIZ procedures to foreign aircraft not intending to enter its
national airspace. The United States does not apply its ADIZ procedures to foreign aircraft not intending to enter
U.S. national airspace. We urge China not to implement its threat to take action against aircraft that do not identify
themselves or obey orders from Beijing».
In periodo di crisi internazionale o di conflitto armato (v. Diritto bellico marittimo) una zona di iden-
tificazione aerea potrebbe essere legittimamente istituita come misura di difesa legittima preventiva
fermo restando l’esigenza che non sia penalizzata la libera navigazione aerea internazionale. Da questo
punto di vista, la legittimità di una zona di identificazione aerea va verificata anche dal punto di vista
della proporzionalità, nel senso che la sua estensione non deve essere irragionevole.

ZONA IDENTIFICAZIONE MARITTIMA


Nel 2005 l’Australia aveva preannunciato l’intenzione di creare una sorta di frontiera marittima avan-
zata, in alto mare (v.), per scongiurare l’esecuzione di attacchi terroristici contro il proprio territorio, pre-
vedendo che i mercantili comunicassero informazioni su dati identificativi, equipaggio, carico,
destinazione, velocità ecc.: 1) a 1.000 mn (o a 48 ore di navigazione) dalle coste se diretti verso un porto
australiano; 2) a 500 miglia (o a 24 ore di navigazione) dalle coste, su base volontaria, se non diretti verso
un porto australiano ma intenzionati a transitare nella zona economica esclusiva (v.) o nelle acque terri-
toriali (v.) australiane; 3) all’interno della ZEE (v.), come obbligo. Il progetto australiano di una maritime
identification zone (MIZ) si inseriva nell’ambito delle attività per contrastare il terrorismo marittimo (v.)
o adottate dai paesi aderenti alla Proliferation security iniziative (v.), ma la sua attuazione fu ritenuta ille-
gittima dall’IMO perché contraria alla libertà di navigazione.
A seguito della posizione assunta dall’IMO, l’Australia modificò l’iniziale regime dalla MIZ riformu-
landola sotto la specie di Australian Maritime Idendentification System (AMIS) caratterizzata da adesione
volontaria della regolamentazione da parte di singole navi in transito o da specifici paesi firmatari di
accordi regionali. In merito alla notifica preventiva per l’ingresso nei porti nazionali, regolamentazioni
sono state stabilite da vari paesi: gli Stati Uniti, per esigenze di homeland security, hanno previsto sino al

216 Supplemento alla Rivista Marittima - Novembre 2020


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Glossario di Diritto del Mare

2006 un sistema di informazioni di arrivi e partenze con anticipo di 96 ore. Per i mercantili diretti verso
porti italiani prescrizioni sono contenute nel D.LGS. 19 agosto 2005, n. 196 (v. Transito inoffensivo).

ZONA INTERDETTA ALLA NAVIGAZIONE


1. Regime generale
Temporanee restrizioni al transito inoffensivo (v.) delle navi straniere nelle acque territoriali (v.) pos-
sono essere stabilite in via eccezionale dallo Stato costiero per esigenze di sicurezza o per consentire lo
svolgimento di esercitazioni con armi (UNCLOS, 25, 3). L’interdizione può riguardare a fortiori il pas-
saggio nelle acque interne (v.). Il divieto di navigazione in queste zone deve essere adeguatamente pub-
blicizzato in anticipo. Esso non deve inoltre essere discriminatorio verso specifici paesi di bandiera delle
navi in transito. Non vanno confuse con le zone interdette alla navigazione le zone pericolose per la na-
vigazione e il sorvolo (v.): queste ultime ricadono, infatti, in alto mare (v.) e non comportano la sospen-
sione della navigazione.

2. Disciplina ordinamento italiano


Il transito può essere interdetto per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e di pro-
tezione dell’ambiente marino come correttamente stabilisce l’art. 83 del nostro CN che affida il potere
relativo al ministro dei Trasporti e della navigazione. Temporanee limitazioni possono essere stabilite in
particolari aree (già designate a questo scopo) per esercitazioni navali o aeree.
Al riguardo, negli Avvisi ai Naviganti di carattere generale editi dall’Istituto Idrografico della Marina
Militare si dispone che: «Lungo le coste italiane esistono alcune zone di mare nelle quali sono saltuariamente
eseguite esercitazioni navali di unità di superficie e di sommergibili, di tiro, di bombardamento, di dragaggio e an-
fibie. Dette zone sono pertanto soggette a particolari tipi di regolamentazioni dei quali viene data notizia a mezzo
di apposito avviso ai naviganti… I tipi di regolamentazione che possono essere istituiti sono: interdizione alla na-
vigazione o avvisi di pericolosità all’interno delle acque territoriali; avvisi di pericolosità nelle acque extraterrito-
riali… Le navi che si trovano a transitare in prossimità delle zone suddette dovranno attenersi alle disposizioni
contenute nell’avviso ai naviganti che dà notizia di una esercitazione in corso o in programma…». L’interdizione
a navigazione, sosta, pesca e «qualsiasi altra attività marinara, anche subacquea, estranea alle esercitazioni pre-
senti in zona» è resa esecutiva con ordinanza della competente Capitaneria di porto.
Il problema più generale del divieto di ingresso nelle nostre acque territoriali, relativamente alle norme
sull’immigrazione si è posto in anni recenti. Un caso è rappresentato dal D.L. 14 giugno 2019 contenente
disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica che affida al ministro dell’Interno, di con-
certo con quello dei Trasporti, il potere di emanare i relativi provvedimenti (v. anche Porti chiusi).

ZONA MARITTIMA DENUCLEARIZZATA


Vedi: Demilitarizzazione.

ZONA PERICOLOSA PER LA NAVIGAZIONE E IL SORVOLO


1. Regime generale
Limitazioni alla libertà di navigazione e di sorvolo dell’alto mare (v.) non possono essere poste da al-
cuna nazione (UNCLOS 89). Ogni Stato può tuttavia eseguire esercitazioni con navi da guerra (v.) e ae-
romobili militari (v.) che prevedano l’esecuzione di tiri di artiglieria, lancio di missili o altri ordigni
esplosivi e impediscano, quindi, gli usi pacifici dell’alto mare e dello spazio aereo internazionale (v.).
Anche l’utilizzo delle ZEE (v.) per lo svolgimento di esercitazioni militari è implicitamente ammesso
dall’art. 58, 1 dell’UNCLOS che ammette gli usi «…legittimi del mare come quelli correlati con le operazioni
delle navi…». Queste attività devono essere effettuate in zone predeterminate la cui pericolosità, ai fini
della sicurezza della navigazione, sia stata annunciata in anticipo con avviso ai naviganti o avviso agli
aeronaviganti (NOTAM e NOTMAR dall’acronimo inglese di notice to airmen e notice to mariners). Navi
o aerei di altre nazioni hanno naturalmente la facoltà di accedere, a loro rischio e pericolo nelle zone, a
condizione che si astengano dal turbare lo svolgimento delle esercitazioni (UNCLOS 58,1). Anche se
egualmente rientrante nella sicurezza marittima (v.), la materia della prevenzione delle attività pericolose
in mare (v.) ha una sua autonomia concettuale, potendo essere inquadrata nel campo delle misure navali

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Glossario di Diritto del Mare

di confidenza reciproca. Per quanto riguarda l’Italia, indicazioni specifiche sulla diffusione delle infor-
mazioni relative alla sicurezza della navigazione nell’area mediterranea mediante le stazioni costiere e i
servizi NAVAREA e NAVTEX (il Comando generale delle Capitanerie di porto-Guardia costiera è re-
sponsabile nazionale e coordinatore di quest’ultimo servizio) sono contenute negli Avvisi ai Naviganti
di carattere generale editi dall’Istituto Idrografico della Marina.

2. Jettison areas
Va collocato nell’ambito degli usi militari dell’alto mare il problema delle jettison areas vale a dire delle
zone di alto mare destinate ad aree di sgancio di ordigni da parte di aeromobili militari in caso di neces-
sità. La questione si pose nel 1999 in occasione del conflitto della NATO con l’ex Repubblica Federale di
Iugoslavia (FRY) quando, di ritorno da operazioni aeree contro la FRY, i velivoli partecipanti all’opera-
zione Allied Force, erano autorizzati a sganciare materiale esplosivo in aree di alto mare del mar Adriatico
ricadenti sulla piattaforma continentale (v.) italiana.
In merito alla liceità di tali misure operative va considerato che lo sgancio di ordigni esplosivi in mare
in situazioni di emergenza è un fatto che può trovare la sua giustificazione nelle tradizionali cause di
esclusione dell’illecito dello «stato di necessità» (state of necessity), della «forza maggiore e del caso for-
tuito» (force majore and fortuitous event) o della situazione di pericolo (distress) previste nel progetto di re-
sponsibility of States for internationally wrongful acts. Precondizione per il ricorso a tali misure è ovviamente
la loro pubblicità sia mediante la definizione preventiva come aree potenzialmente pericolose, sia la loro
effettiva attivazione con idonei avvisi internazionali. Qualora jettison areas fossero poste nella ZEE di
uno Stato, con il suo consenso, si porrebbe il problema, da valutare preventivamente magari nel quadro
della Pianificazione marittima spaziale (v. Unione europea), della loro compatibilità con la protezione
delle risorse naturali della stessa ZEE.

Vedi anche: Zone interdette alla navigazione.

ZONA DI PESCA A SUD OVEST DI LAMPEDUSA «MAMMELLONE»


Vedi: Pesca (Mediterraneo);
Zona economica esclusiva (Mediterraneo).

ZONA DI PROTEZIONE DELLA PESCA (ZPP)


Vedi: Pesca (Mediterraneo).

ZONA DI PROTEZIONE ECOLOGICA (ZPE)


Vedi: Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo).

ZONA DI RICERCA E SOCCORSO (ZONA SAR)


Vedi: Ricerca e soccorso in mare.

ZONA RISERVATA DI PESCA (ZRP)


Vedi: Pesca (Mediterraneo).

YEMEN
Vedi: Delimitazione;
Isole;
Mar Rosso;
Stretto di Bab el-Mandeb.

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Glossario di Diritto del Mare

NOTA CONCLUSIVA

1. Il presente Glossario è frutto di un lavoro di ricerca iniziato in anni lontani, a metà degli anni Ottanta
del secolo scorso, nell’ambito e in parallelo con la propria attività lavorativa svolta nell’Ufficio affari giu-
ridici internazionali dello Stato Maggiore della Marina. Al tempo, l’attenzione per i temi marittimi era nel
nostro paese più spiccata di ora, sia per il quotidiano confronto in mare con Libia, Tunisia e Unione Sovietica
(per sorveglianza della pesca e operazioni navali), sia per l’esistenza del ministero della Marina mercantile
come punto di riferimento unitario di tutto il cluster marittimo civile, sia, infine, per l’eco suscitata dalla
conclusione della III conferenza del Diritto del mare e dall’apertura alla firma dell’UNCLOS nel 1982. L’idea
di esporre i principi del diritto del mare in forma di Glossario composto da «voci» fu mutuata, sin dalla
prima edizione nel 1993, dai testi di P. Verri (Dizionario di Diritto dei Conflitti Armati, Roma, 1984) e A. Ma-
resca, (Dizionario Giuridico Diplomatico, Milano, 1991) impostati secondo criteri didascalici. Rilevante anche
l’influsso del testo The Commander’s Handbook on the Law of Naval Operations, August 2017 (United States
Government US Navy).

2. Spunti per l’approfondimento di molte questioni qui trattate sono giunti sia, come detto, dagli
avvenimenti della cronaca quotidiana che interessavano la Marina, che dallo studio di determinate opere
a carattere generale sul diritto marittimo, anche «antiche», disponibili con gli anni. Tra queste, si vogliono
ricordare alcuni articoli, monografie e manuali che maggiormente hanno contribuito a tale formazione:
G. Andreone, Immigrazione clandestina, zona contigua e Cassazione italiana: il mistero si infittisce, in Diritti
umani e diritto internazionale, 2011, 183; G. Andreone and oth., Insecurity at Sea: Piracy and other risks to Na-
vigation, Napoli, 2013; D. Attard, The Exclusive Economic Zone in International Law, OUP, 1990; G. Bernardi,
Il Disarmo Navale fra le due Guerre Mondiali, Roma, 1975; I. Caracciolo, F. Graziani, Il caso dell’Enrica Lexie
alla luce del diritto internazionale, Napoli, 2013; L. Caracciolo, Il mare non bagna l’Italia, Mediterranei, Limes
6/2017, 10; Cataldi, G., Il passaggio delle navi straniere nel mare territoriale, Milano, 1990; R. R. Churchill-A.
Lowe, The Law of the Sea, Manchester, 2009; C.J. Colombos, Diritto Internazionale Marittimo, Edizioni del-
l’Ateneo, Roma, 1953; B. Conforti, Il regime giuridico dei mari, Napoli, 1957; A. de Guttry, Lo status delle
navi da guerra italiane in tempo di pace ed in situazione di crisi, Roma, 1994; A. Del Vecchio, Pesca, Enciclopedia
Giuridica Treccani, 1991; M. Fornari, Il regime giuridico degli stretti utilizzati per la navigazione internazionale,
Milano, 2010; M. Gestri, La gestione delle risorse naturali d’interesse generale per la comunità internazionale,
Torino, 1996; F. Graziani, Il contrasto alla pirateria marittima nel diritto internazionale, Napoli, 2011; D. Guil-
foyle, Shipping Interdiction and the Law of the Sea, Cambridge, 2012; D.P. O’ Connell, The International Law
of the Sea, Oxford, 1984; I. Papanicolopulu, Il Confine marino: unitaÌ o pluralità, Milano, 2005; I. Irini Papa-
nicolopulu-E. Milano, State Responsibility in Disputed Areas on Land and at Sea, HJIL, 2011, 71,587; J.P. Pie-
rini-V. Eboli, The Enrica Lexie Case and the limits of the extraterritorial Jurisdiction of India, in I Quaderni
europei, 2012; D.P. Prescott, Confini Politici del mare, Milano, 1990; A. Roasch-R. Smith, Excessive Maritime
Claims, The Hague, 2012; H.B. Robertson (ed.), Law of Naval Operation, NXC, 1991; R. Rothwell & oth.
(eds.), The Oxford Handbook of the Law of the Sea, Oxford, 2015; San Remo Manual on International Law Ap-
plicable to Armed Conflicts at Sea, IIHL, Cambridge, 1995; T. Scovazzi, La pesca nell’evoluzione del Diritto del
Mare, Giuffrè, Milano, 1979; Id. voce «Pesca (diritto internazionale)», Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Mi-
lano, 1983, vol. XXXIII, 589; Id. La linea di base del mare territoriale, Milano, 1986; Id. Marine Specially Protecte
Area: The General Aspects and the Mediterranean Regional System, The Hague, 1999; Elementi di diritto inter-
nazionale del mare, III ed., Milano, 2002; Id. La protezione del patrimonio culturale sottomarino nel Mar Medi-
terraneo, Milano, 2004; T. Treves, Il diritto del mare e l’Italia, Milano, 1995; S. Trevisanut, Immigrazione
irregolare via mare: diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Napoli, 2012; B. Vukas, Essays on the
New Law of the sea 2, Zagreb, 1990.

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Glossario di Diritto del Mare

3. Una citazione a parte viene fatta per i seguenti autori le cui opere hanno lasciato traccia indelebile
nel presente Glossario: a) prof. R. Sandiford (prima ufficiale della Regia Marina del Corpo di commissa-
riato e poi professore di Storia e politica navale all’Università di Roma): Diritto Marittimo di Guerra, Roma,
1940; Id. Lezioni di Storia e Politica Navale, Roma, 1953; Id. Diritto Marittimo, Milano, 1960; b) dr. G.P. Fran-
calanci (geologo, esperto cartografico, collaboratore IIM): Storia dei trattati e dei negoziati per la delimitazione
della piattaforma continentale e del mare territoriale tra l’Italia e i paesi del Mediterraneo 1966-1992, IIM, 2000;
Id.-T. Scovazzi, Lines in the Sea, Dordrecht, 1994; c) prof. U. Leanza (docente emerito di Diritto interna-
zionale, a lungo capo del Servizio per gli affari giuridici, del contenzioso diplomatico e dei trattati del
MAECI): Il nuovo Diritto del Mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino, 1993; Id., L’Italia e la scelta
di rafforzare la tutela dell’ambiente marino: l’istituzione delle Zone di protezione ecologica, RDI, 2006, 309; Id.-F.
Graziani, Poteri di enforcement e di jurisdiction in materia di traffico di migranti via mare: aspetti operativi nel-
l’attività di contrasto, La Comunità Internazionale, 2, 2014, 163; Id-I. Caracciolo, Il diritto internazionale. Diritto
per gli Stati e diritto per gli individui, parte generale, Torino, 2012; d) prof. N. Ronzitti (docente emerito di
Diritto internazionale): Pirateria (diritto vigente), in Enc. dir., XXXIII, 1983, 912 ss; Id., Sommergibili non
identificati, pretese baie storiche e contromisure dello stato costiero, Rivista di Diritto Internazionale, I, 1983, 10;
Id. Is the Gulf of Taranto an Historic bay?, SJILC, II, 1984, 275; Id (ed.), The Law of Naval Warfare. A Collection
of Agreement and Documents with Commentaries, Dordrecht, 1988; Id., Diritto Internazionale per Ufficiali della
Marina Militare, Supplemento Rivista Marittima, 7, 1996; Id., Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela
degli interessi italiani, Supplemento Rivista Marittima, 6, 1999; Id (a cura di), I rapporti di vicinato dell’Italia
con Croazia, Serbia-Montenegro e Slovenia, Roma, 2005; Id., The Law of the Sea and Mediterranean Security,
GMF-IAI, 2010; Id, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Torino, V ed., 2014; Id., Introduzione al diritto
internazionale, VI ed., Torino, 2018.

4. Oltre al presente Glossario, chi scrive ha anche redatto Immigrazione clandestina via mare, supple-
mento Rivista Marittima, 10, 2003 e ha curato con M. Annati, Pirati di ieri e di oggi, supplemento Rivista
Marittima, 12, 2009; ha contribuito con propri lavori a studi collettanei e ha scritto numerosi articoli (in
gran parte pubblicati sulla Rivista Marittima) riguardanti temi trattati nel presente Glossario, oltre a con-
tributi per la rivista online Affarinternazionali.

5. Principali siti web consultati:


http://www.un.org/Depts/los/index.htm;
http://www.un.org/law/ilc;
http://treaties.un.org;
http://www.unoceans.org;
http://www.imo.org;
http://www.unep.org;
http://www.icj-cij.org;
http://www.itlos.org;
https://pca-cpa.org/en/cases;
http://www.fao.org/fishery/en;
http://www.gfcm.org/gfcm/en.

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Glossario di Diritto del Mare

POST-FAZIONE

Chi, come noi e non solo in estate, ama il mare e desidera — per lavoro o per passione — approfondire
le tante sfaccettature del diritto internazionale marittimo ha da tempo a disposizione una preziosa «cas-
setta degli attrezzi», un vocabolario vivo, a tratti … un’ancora di salvataggio. È il Glossario di Diritto del
mare — da anni curato con amore e competenza dall’ammiraglio Fabio Caffio — che oggi giunge alla
sua V edizione.
Un’attesa e rinnovata stesura non tanto di un volume da aggiungere alla nostra biblioteca quanto
piuttosto di un compagno della nostra scrivania, di uno strumento e un ausilio indispensabile ogni qual
volta si voglia o si debba approfondire una qualsiasi questione legata al mare e agli spazi marittimi.
Il Glossario di Diritto del mare — collettore delle riflessioni mercantili e militari, geopolitiche ed econo-
miche, nazionali e internazionali — è certamente destinato a una VI edizione, se non a un futuro edito-
riale ancor più «formale», soprattutto se il nostro paese saprà tornare a considerarsi marittimo
valorizzando la sua naturale — e più importante — risorsa per il nostro comune futuro. Ma anche per il
presente: basti pensare all’attesa istituzione della Zona Economica Esclusiva (ZEE) italiana, proprio men-
tre scriviamo finalmente in discussione in Parlamento.
Uno strumento quindi che si presta a quello che potremmo definire un «dual use»: puntuale volume
per dettagliare correttamente le questioni e gli spazi marittimi e, al tempo stesso, fonte di ispirazione
per il risveglio della cultura e della specialità marittima del paese.

Luca Sisto

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RIVISTA
MARITTIMA
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Ambasciatore Paolo CASARDI
Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI
Prof. Massimo DE LEONARDIS
Prof. Mariano GABRIELE
Prof. Marco GEMIGNANI
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Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI
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Copertina completa.qxp 16/12/20 22:35 Pagina 3

Fabio CAFFIO

GLOSSARIO

GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE


DI DIRITTO DEL MARE
Diritto e Geopolitica del Mediterraneo allargato

V Edizione
Supplemento alla Rivista Marittima V RIVISTA MARITTIMA 2020
Novembre 2020

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