Sei sulla pagina 1di 1

EPIDEMIE

L’incipit di Gianni Giusto mi ha stimolato a rileggere Camus. Riferimento d’obbligo, magari un po’
scontato. Ma pazienza. Chiaro: quanto lui scrive non è paragonabile per entità a quel che ci
succede oggi: ma può essere una lente che ce lo ingrandisce, rendendolo più leggibile.

Quando Orano sta per essere investita dall’epidemia è una città come tante: i cittadini lavorano,
guadagnano, poi si divertono un po’ per “perdere il tempo che rimane da vivere”. Città “senza
sospetti”: non sospetta che al di là di tutto questo possa esserci qualcosa d’altro. Città senz’anima:
vi impera la falsa coscienza.

La prima risposta all’epidemia in arrivo è la negazione: l’epidemia è una cosa e una città ben
ordinata un’altra, non possono stare insieme: “E’ impossibile: tutti sanno che è scomparsa
dall’Occidente”. Ma quando il morbo prende spazio, alla negazione succede il panico. Tutto
cambia, in quei modi che oggi si rinnovano qui da noi: la circolazione si ferma, chiudono i negozi,
piovono decreti che limitano o annullano le possibilità di incontro, si verificano accaparramenti. Le
strutture sanitarie non reggono allo sforzo. Emergono saccenterie infondate, superstizioni,
profezie, suggerimenti miracolosi, che tuttavia in confronto alle fake news odierne esprimono una
maggiore seppur rozza ricerca di senso. Si chiama in causa Dio nell’eterno confronto con
l’innegabilità del male: Giustiziere che così si manifesta? O invece “sarebbe meglio per lui che non
si credesse alla sua esistenza”?

Cambia il modo di stare, o non stare, insieme. Le preoccupazioni sono le stesse per tutti: ognuno
ha paura, ognuno soffre dell’isolamento, può aver vissuti di separazione e di esilio, ma ciò non
significa condivisione e forse neppure solidarietà: ognuno è solo, e chi si ammala lo è più degli
altri, poichè “ci si stanca della pietà, quando la pietà è inutile … la peste è monotona”. Lo stesso
ammalato può isolarsi, cercando di nascondere la sua condizione.

Si vive una perdita di libertà che fa capire come essa non sia una condizione naturale e acquisita
una volta per tutte: “non si può esser liberi quando ci sono i flagelli”. Essa è delicata, va coltivata
in spazi protetti, come avviene (fino a un certo punto) in quella serra che è il nostro mondo,
l’Occidente (per la consapevolezza che in ciò dimostra Albert Camus, non è senza rilievo la sua
nascita e vita da pied noir, francese d’Algeria).

Vi è collegato il problema del rispetto dell'altro, della preoccupazione per l’altro: anche questi
movimenti della mente sono delicati, possono venir meno soprattutto quando le risorse
scarseggiano. Appare una involontaria, “innocente” dequalificazione e reificazione dell’altro,
quando l’Autore descrive un impiegato intento a statistiche dei malati e dei defunti con le stesse
modalità che impiega per una qualche classe di oggetti. Viene in mente la banalità del male (certo
in ben altri contesti).

Si introduce così il problema della colpa, della perdita di (illusoria?) innocenza. Ne sappiamo
qualcosa oggi, quando si parla della possibilità che qualcuno debba selezionare chi ha accesso alle
cure intensive e chi no; magari poi stilandone una doverosa statistica. Infezione dei polmoni e
delle coscienze o occasione di consapevolezza?

Potrebbero piacerti anche