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Deportati a Dachau.

Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo


del secondo dopoguerra

Giulio Mario Salzano*

Alla luce dei recenti studi sulla giustizia di transizione, il saggio richiama l’attenzione su-
gli aspetti controversi di un procedimento giudiziario per collaborazionismo istruito presso la
Corte d’Appello dell’Aquila nell’autunno 1945. La ricerca, condotta su fonti archivistiche ine-
dite, ricostruisce gli avvenimenti che determinarono la deportazione di 383 detenuti e nove
civili dal carcere di Sulmona al Konzentrationslager di Dachau. L’analisi della vicenda pro-
cessuale consente di collocare il caso abruzzese, del quale la memoria pubblica non conserva
alcuna traccia, nel più ampio dibattito storiografico che ha indicato i limiti e le contraddizioni
della legislazione speciale per l’epurazione e la punizione dei crimini fascisti. Lo scavo archi-
vistico ha permesso inoltre di approfondire alcuni aspetti cruciali relativi alla mancata libera-
zione, in seguito alla caduta del fascismo, dei detenuti jugoslavi condannati dai tribunali mi-
litari di guerra, vittime della doppia deportazione: prima in Italia e, dopo l’8 settembre 1943,
nei campi di concentramento nazisti.
Parole chiave: Giustizia di transizione, deportazione, detenuti politici, partigiani jugoslavi,
Abruzzo, Konzentrationslager Dachau

Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the
Second World War
In light of recent studies on transitional justice, this article examines the controversial aspects
of a justice procedure of collaborationism, instructed by the Aquila Court of Appeal in
the autumn of 1945. The research, carried out on previously unpublished archival sources,
analyzes the events that brought to the deportation of 383 detainees and nine civilians from
the prison of Sulmona to Dachau’s konzentrationslager. The analysis of the trial allows to
connect this specific case-study, of which there is no trace in public memory, to the wider
historiographical debate that has highlighted the limits and contradictions of the special
legislation aimed at purging and punishing Fascist criminals. This research has also shed new
light on certain crucial aspects concerning the failure, after the fall of the Fascist regime, to
release Yugoslav prisoners condemned by wartime military tribunals, who became victims of
a double deportation: first to Italy, and after September 8, 1943 to Nazi concentration camps.
Key words: Transitional justice, deportation, political prisoners, Yugoslav partisans, Abruz-
zo, Konzentrationslager Dachau

Saggio proposto alla redazione il 28 maggio 2020, accettato per la pubblicazione il 22 luglio
2020.
* Università degli studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara; mariogiuliosalzano@gmail.com

“Italia contemporanea”, dicembre 2020, n. 294 ISSN 0392-1077 - ISSNe 2036-4555


DOI: 10.3280/IC2020-294003
Copyright © FrancoAngeli
N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell’opera con qualsiasi
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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 73

Premessa

La categoria concettuale della “giustizia di transizione” è stata coniata in


tempi relativamente recenti1 per descrivere i provvedimenti legislativi e, più in
generale, le “strategie di punizione” adottate nei confronti di coloro che, nel
corso di un conflitto, o come elementi di un regime politico autoritario, si sono
resi colpevoli di crimini particolarmente gravi2. Si tratta di “un concetto flui-
do che comprende approcci giuridici e non-giuridici”3 riservati a “coloro i quali
hanno gestito una posizione di potere violando sistematicamente diritti umani
fondamentali”4.
L’elemento distintivo della giustizia di transizione è il suo carattere di stra-
ordinarietà che in qualche modo determina una frattura nell’ordinamento giu-
ridico ordinario. Le procedure di giustizia adottate in determinati contesti5,
dunque, rappresentano uno dei tratti più incisivi della complessa e articola-
ta “gamma dei meccanismi” che accompagnano la “transizione di uno stato o
di una società da una forma di governo (solitamente repressiva) a un ordine più
democratico”6.
Pur presente in ogni epoca, tale prassi si affermò, con una maggiore sensibi-
lità rispetto alle soluzioni cruente del passato, solo nella seconda metà del No-
vecento, a partire dalle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale7. Tut-
tavia, in ambito accademico, la diffusione dei transitional justice studies è
relativamente recente e il loro esordio ha coinciso, in buona sostanza, con
“l’ondata di transizioni democratiche” che sul finire del secolo scorso investì
numerosi Paesi, dall’Europa centro-orientale all’America Latina8.

1
Ruti G. Teitel, Transitional justice genealogy, “Harvard Human Rights Journal”, 2003, n. 16,
pp. 69-94; Paige Arthur, How ‘transitions’ reshaped human rights: a conceptual history of transi-
tional justice, “Human Rights Quarterly”, 2009, n. 2, pp. 321-367. L’espressione “transitional jus-
tice”, secondo l’autrice, sarebbe stata formulata per la prima volta da José Zalaquett e ripropos-
ta nell’articolo di Aryeh Neier, José Zalaquett & Adam Michnik, Why deal with the past, in Alex
Boraine, Janet Levy, and Ronel Scheffer Rondebosch (eds), Dealing with the past: truth and rec-
onciliation in South Africa, Institute for a Democratic Alternative for South Africa, 1994.
2
Cecilia Nubola, Paolo Pezzino e Toni Rovatti (a cura di), Giustizia straordinaria tra fasci-
smo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Bologna, il Muli-
no 2019, p. 12.
3
Kim Christian Priemel, Consigning justice to history: transitional trials after the Second
World War, “The historical journal”, 2013, n. 2, pp. 553-581.
4
Gabriele Fornasari, Giustizia di transizione (Diritto Penale), in Enciclopedia del Diritto,
Annali VIII, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 547-570.
5
Andrea Martini, Dopo Mussolini, i processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953),
Roma, Viella, 2019, p. 13. Nella categoria concettuale procedure di giustizia, l’autore racco-
glie tutte quelle “pratiche quali le esecuzioni sommarie, i riti simbolici […] i processi penali e le
concessioni di amnistie, grazie e liberazioni condizionali [che] segnarono la transizione”.
6
Catherine Turner, Deconstructing transitional justice, “Law critique”, 2013, n. 2, pp. 193-
209.
7
Cfr. G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., p. 548.
8
R. G. Teitel, Transitional justice genealogy, cit., p. 70.

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La formulazione e l’applicazione delle legislazioni speciali nei processi di


transizione non furono esenti da severe criticità, come è stato chiarito da una
consolidata letteratura storiografica sulle attività dei tribunali9. Diversi auto-
ri, infatti, hanno più volte richiamato l’attenzione sullo scarto che, nella giu-
stizia di transizione, generalmente sussiste tra le “istanze repressive e riconci-
liative”, cercando di individuare le principali tendenze che si affermarono in
Europa a partire dal secondo dopoguerra10. I poli entro i quali si sono configu-
rate le diverse forme di giustizia straordinaria possono essere rappresentati dai
modelli rieducativi del Belgio e dell’Olanda11 e dalle prassi “giustizialiste” ge-
neralmente adottate dai regimi dittatoriali dell’Europa centro e sud-orientale12.
Appartengono invece a tempi più recenti le “soluzioni pure” della Spagna post-
franchista e della Germania riunificata, la prima “totalmente fondata sulla ri-
nuncia del diritto penale, ma anche di qualunque altro intervento sanzionato-
rio”, la seconda “esclusivamente incentrata sulla leva dello strumento penale”.
Le recentissime esperienze riguardano da un lato le cosiddette “commissioni
per la verità”, che hanno accompagnato i processi di transizione in alcuni Pae-
si dell’America Latina, e l’applicazione del diritto internazionale come nel caso
delle risoluzioni Onu per gli Stati successori della Jugoslavia socialista13.
Ai “modelli puri” sembra contrapporsi, per certi versi, il “modello diacroni-
co” italiano, nel quale si possono rintracciare essenzialmente due fasi: la prima
“che ben poco spazio lasciava alla prospettiva del perdono e della riconciliazio-
ne”, la seconda, che coincise grossomodo con il provvedimento di amnistia del
Guardasigilli Togliatti (1946), teso sostanzialmente a rinsaldare l’unità socia-
le attraverso quello che si sarebbe poi rivelato un lungo e tortuoso percorso di
“pacificazione nazionale”14. Dalle condanne a morte eseguite nei poligoni di ti-

9
C. Turner, Deconstructing transitional justice, cit., p. 193.
Cfr. G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., p. 548.
10
11
Helen Grevers, Re-education in times of transitionale justice: the case of the Dutch and
Belgian collaborators after Second World War, “European Review of History: Revue europeé-
nne d’histoire”, 2015, n. 5, pp. 771-790.
12
Si veda, per esempio, Husnija Kamberović, Smrtne presude Vrhovnog Suda Bosne i Her-
cegovine iz 1945. godine (Condanne a morte dell’Alta Corte della Bosnia-Erzegovina dall’an-
no 1945) “Prilozi”, 2011, n. 40, pp. 157-170; Salih Jalimam, Politički osuđenici u Kazneno-po-
pravnom domu u Zenici 1945.-1954. (Condannati politici nella Casa di correzione di Zenica
1945-1954), “Društvena istraživanja. Časopis Pravnog fakulteta Univerziteta u Zenici», 2008,
n. 2, pp. 13-26.
13
Cfr. Sandra Cvikić, Dražen Živić, Između trancijske pravde i genocidi. Vukovar 1991
i Srebrenica 1995, in Hikmet Karčić (a cura di ) Sjećanje na Bosanski genocid. Pravda,
pamćenje i poricanje, (Tra giustizia di transizione e genocidio. Vukovar 1991 e Srebrenica
1995, in Ricordando il genocidio bosniaco. Giustizia, memoria, negazione), Institut za islamsku
tradiciju Bošnjaka, Sarajevo, 2017, pp. 317-348.
14
G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., pp. 552-553; Cecilia Nubola, Giustizia, perdo-
no, oblio. La grazia in Italia dall’età moderna a oggi, in Karl Härter, Cecilia Nubola, Grazia e
giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea, Bologna, il Mulino,
2011, pp. 11-42.

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ro “luoghi simbolo della resa dei conti con il fascismo” si passò, dopo un tem-
po relativamente breve, a una “sorta di colpo di spugna sui crimini commessi
dai collaborazionisti”15.
La legislazione speciale adottata per giudicare i fascisti, i collaborazionisti
e altre tipologie di reati riconducibili anche alle attività resistenziali, impresse
nell’opinione pubblica italiana, sin dai primi provvedimenti del 1944, la sensa-
zione di un generale fallimento16 . Un fallimento che alcuni autori hanno ricon-
dotto principalmente alle attività dei tribunali, in merito ai cui orientamenti la
recente storiografia ha tratteggiato un orizzonte giuridico nazionale tutt’altro
che omogeneo e non privo di importanti contraddizioni. Nell’Italia del secondo
dopoguerra, la transizione dalla dittatura alla democrazia fu accompagnata da
un contesto sociale estremamente instabile. I principali fattori che determina-
rono il complesso e mutevole orientamento della giurisprudenza sono da ricon-
durre soprattutto alla frequente ingerenza delle forze politiche, dell’amministra-
zione Alleata e, in diversi casi, alle pressioni esercitate da un’attenta opinione
pubblica.
Nell’Italia centro meridionale, l’attività dei tribunali, nella fase di transizio-
ne dal fascismo alla Repubblica, non è stata ancora debitamente indagata17. In
Abruzzo, nella provincia dell’Aquila, i primi procedimenti giudiziari furono
avviati già nell’autunno 1944, contestualmente all’arretramento del fronte verso
Nord. In un primo tempo, la competenza dei reati di “intelligenza o corrispon-
denza o collaborazione col tedesco invasore”, commessi dopo l’8 settembre, fu
demandata ai Tribunali militari e ai giudici ordinari18. All’Aquila, i primi pro-

15
A. Martini, Dopo Mussolini, cit., pp. 179; 259.
16
La letteratura storiografica e giuridica sull’argomento è vasta e non è quindi possibile trac-
ciarne un elenco esauriente in questa sede. Per un primo approccio al tema si rimanda ai lavo-
ri di Ruti G. Teitel, Transitional justice, Oxford University Press, New York, 2000; Jon Elster,
Closing the books. Transitional justice in historical perspective, Cambridge University Press,
New York, 2004. Per il caso italiano, oltre al già citato lavoro di A. Martini (2019), si veda: Ce-
cilia Nubola, Paolo Pezzino e Toni Rovatti, Giustizia straordinaria tra fascismo e democra-
zia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Bologna, il Mulino, 2019; Mar-
co De Paolis, Paolo Pezzino, La difficile Giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in
Italia 1943-2013, Roma, Viella, 2016; G. Focardi, C. Nubola, Nei Tribunali. Pratiche e prota-
gonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, Bologna, il Mulino, 2015; Anto-
nella Meniconi, La Magistratura nella storia costituzionale repubblicana, “Nomos, Le attualità
del diritto. Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituziona-
le”, 2017, n. 1; Luca Baldissara, Sulla categoria di ‘transizione’, “Italia contemporanea”, 2009,
n. 254, pp. 61-74; Toni Rovatti, Politiche giudiziarie per la punizione dei delitti fascisti in Ita-
lia. La definizione per legge di un immaginario normalizzatore, “Italia contemporanea”, 2009,
n. 254, pp. 75-84; Giancarlo Scarpari, I magistrati, il fascismo, la guerra, “Questione giustizia”,
2008, n. 2, pp. 71-118; Giovanni Focardi, Le sfumature del nero: sulla defascistizzazione dei
magistrati, “Passato e presente”, 2005, n. 64, pp. 61-87; Marina Giannetto, Defascistizzazione:
legislazione e prassi della liquidazione del sistema fascista e dei suoi responsabili (1943-1945),
“Ventunesimo Secolo”, 2003, n. 4, pp. 53-90.
17
A. Martini, Dopo Mussolini, cit, p. 251.
18
Cfr. Dll. n. 159, 27 luglio 1944, art. 5.

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nunciamenti su tali reati sono rintracciabili nelle sentenze della Sezione istrut-
toria della Corte d’appello e, dopo l’autunno del 1945, anche in quelle della Se-
zione speciale della Corte d’assise19. In questa fase, la mancata o inefficace
epurazione dei magistrati titolari di tali procedimenti avrebbe compromesso
irrimediabilmente, come ampiamente accertato dalla letteratura storiografica,
l’esito delle inchieste e dei procedimenti a carico dei fascisti e dei collabora-
zionisti. È quanto sembra emergere dall’inchiesta avviata dalla Procura ge-
nerale dell’Aquila per far luce sulla deportazione di 383 detenuti e 9 civili da
Sulmona al campo di concentramento di Dachau, per quello che tuttora rap-
presenta uno degli episodi più gravi e poco noti dell’occupazione nazifascista
nel centro Italia.

Il fascicolo Dejean

Le pagine che seguono sono il frutto di una prima ricognizione sui fondi
inediti della Corte d’appello dell’Aquila e della Sezione speciale della Cor-
te d’assise, relativi agli anni compresi tra il 1944 e il 194720. L’attenzione si
è concentrata sul ruolo della magistratura del capoluogo abruzzese in meri-
to alla definizione di un complesso caso giudiziario, il cui unico imputato,
Corrado Dejean, direttore della Casa penale della Badia di Sulmona, fu ac-
cusato di

aver collaborato col tedesco invasore, trattenendo oltre l’8 settembre 1943 detenuti per rea-
ti politici e i detenuti d’oltre confine […] per aver consegnato, il 7 ottobre 194321, alle autori-
tà militari germaniche, 246 detenuti di oltre confine e i condannati per reati politici, oltre ai
detenuti per reati comuni, per aver cooperato al rastrellamento dei prigionieri alleati sbandati
tra il settembre 1943 e il giugno 194422.

19
Sentenze della Sezione istruttoria presso la Corte di appello L’Aquila, vol. 1943-1946 e
1947, tomo I e II, Archivio di Stato dell’Aquila (ASAQ). La prima importante riforma dell’or-
dinamento giudiziario riguardo ai reati di collaborazionismo si ebbe con l’istituzione delle Cor-
ti d’assise straordinarie (Dll. n. 142, 22 aprile 1945), sostituite, qualche mese dopo, con le Sezio-
ni speciali delle Corti d’assise (Dll. n. 625, 5 ottobre 1945).
20
Il fondo archivistico in questione è denominato “Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzio-
ne” e si trova presso l’Archivio di Stato dell’Aquila. Oltre alla documentazione della Corte d’as-
sise d’Appello, istituita con la legge n. 287 del 10 aprile 1951, il fondo conserva anche i fascicoli
processuali istruiti antecedentemente dalla Corte d’Appello e dalla Sezione speciale della Cor-
te d’assise.
21
Sebbene nell’atto d’accusa si riporti la data del 7 ottobre, i tedeschi, come vedremo negli
atti dell’istruttoria, prelevarono i detenuti la mattina seguente, l’8 ottobre 1943.
22
Procedimento penale contro Dejean Corrado [ndr. Atto di accusa riportato sul frontespizio
del fascicolo processuale], in Archivio di Stato dell’Aquila [d’ora in avanti ASAQ], Corte d’assi-
se d’Appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47. Le accuse nei confronti di Dejean fu-
rono formulate il 6 luglio 1944 da Antonino Salanitro e inoltrate all’Alto commissariato per
le Sanzioni contro il fascismo. L’inchiesta giudiziaria fu formalmente avviata nell’autunno del
1945 dalla Procura generale presso la Corte d’appello dell’Aquila.

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Sulla scorta dell’articolo 5 del Dll. 27 luglio 1944, n. 15923 e dell’articolo 51


del Codice penale militare di guerra, entrambi richiamati nell’atto di accusa, a
Dejean24 furono contestati i reati di collaborazionismo e tradimento, quest’ulti-
mo punito con la pena di morte25.
In questa vicenda convergono diversi elementi, che nelle poche righe dell’ac-
cusa ci introducono nel complesso quadro politico-militare che si delineò tra
l’autunno e l’inverno del 1943 lungo la linea Gustav, quando il fronte tedesco si
attestò per diversi mesi lungo le sponde del fiume Sangro, nel versante orienta-
le dell’appennino abruzzese. Sulmona e il comprensorio peligno furono occu-
pati ininterrottamente dal 12 settembre 1943 all’8 giugno 1944. Per quasi tutto
il periodo dell’occupazione tedesca, l’amministrazione della Procura del Regno
di Sulmona, della Prefettura dell’Aquila e del locale Commissariato di polizia
dipesero formalmente dagli apparati della Repubblica sociale italiana. Nei fat-
ti, però, i poteri cardine del nuovo “Stato”, in quello che era l’ultimo avampo-
sto meridionale in prossimità delle linee Alleate, furono esercitati sotto la stret-
ta vigilanza dei locali comandi tedeschi26.
Quando sopraggiunsero le prime pattuglie tedesche in città, nel locale carce-
re della Badia erano ristretti poco meno di quattrocento detenuti, gran parte dei
quali condannati dai tribunali militari speciali e di guerra italiani per reati con-
tro le forze occupanti27. Di questi: almeno 139 provenienti dalla Croazia, 34 dal

23
Giovanni Bernieri e Michele La Torre, Le sanzioni contro il fascismo, Roma, Mondado-
ri, 1944.
24
Bollettino del ministero di Grazia e giustizia, vol. sessantaduesimo, 1941, pp.125 e 570.
Corrado Dejean nacque a Noto, in provincia di Siracusa, l’11 novembre 1895. Pluridecorato nel-
la Prima guerra mondiale, svolse il suo lavoro nella direzione di vari Istituti di pena. Il 25 no-
vembre 1941 fu trasferito da Caltanissetta a Sulmona per occuparsi, in qualità di “direttore di
prima classe”, del carcere dell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone.
25
Per un primo approccio alla vicenda dei deportati di Sulmona si rimanda alle testimonian-
ze di Giovanni Melodia, La quarantena. Gli italiani nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1971;
G. Melodia,  Di là da quel cancello. I vivi e i morti nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1988;
G. Melodia, Sotto il segno della svastica. Gli italiani nel lager di Dachau, Milano, Mursia, 1979.
26
Riunione del Consiglio dei ministri del 24 novembre 1943-XXII, sotto la Presiden-
za del duce della Repubblica sociale Italiana, capo del Governo e ministro degli Affari este-
ri, in Francesca Romana Scardaccione (a cura di) Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fon-
ti XXXVIII, Archivio Centrale dello Stato, Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica
sociale italiana, settembre 1943-aprile 1945, Roma, p. 77; Mario Missori, Governi, Alte cari-
che dello Stato, Alti magistrati e Prefetti del Regno d’Italia, Roma, ministero per i Beni cultu-
rali e ambientali, 1989, p.496; Marco Borghi, L’amministrazione centrale dello Stato durante la
Repubblica sociale italiana, in Roberto Parisini, Roberta Mira e Toni Rovatti (a cura di), I mol-
ti territori della Repubblica fascista. Amministrazione e società nella Rsi, “E-Review”, Dossier,
2018, n. 6.
27
Cfr. Federico Goddi, La repressione italiana nel Montenegro occupato (1941-1943), “Ita-
lia contemporanea”, n. 279, 2015, pp. 427-449; Toni Rovatti, Diritto di repressione. L’esperienza
del Tribunale militare di Lubiana (1941-1943), in Irene Bolzon, Fabio Verardo (a cura di) Cer-
care giustizia. L’azione giudiziaria in transizione, Trieste, Istituto per la storia della Resistenza
e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, 2018, pp. 23-40.

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Montenegro, 4 dalla Bosnia-Erzegovina, 40 dalla Grecia, 20 dalla Slovenia e


altri 3 rispettivamente dalla Serbia, dalla Bulgaria e dall’Eritrea28. Nell’agosto
del 1943, il ministro di Grazia e giustizia del governo Badoglio, Gaetano Azza-
riti, aveva concesso la grazia ai condannati politici italiani. Dal provvedimento,
però, erano stati esclusi gli allogeni e i sudditi dei territori occupati, i quali fu-
rono trattenuti in carcere anche dopo l’8 settembre 1943. La mattina dell’8 ot-
tobre, i soldati tedeschi di stanza a Sulmona prelevarono i detenuti della Badia
per avviarli alla deportazione assieme a nove civili rastrellati durante una pre-
cedente operazione di polizia.
L’analisi del fascicolo processuale, oltre a richiamare l’attenzione su alcuni
aspetti poco chiari della vicenda giudiziaria, consente di ampliare le prospetti-
ve d’indagine riguardo ad altri due temi centrali del recente dibattito storiogra-
fico: la questione dei detenuti politici dopo il 25 luglio 1943 e il fenomeno della
“doppia deportazione” degli antifascisti jugoslavi condannati dai tribunali mili-
tari italiani nei territori occupati29.

28
Si tratta di dati provvisori ricavati dal “libro matricola condannati” mod. 9a (dal n. 1769 al
n. 1966) e dalla “rubrica detenuti dal 1928 al 1943” mod.9b attualmente conservati presso la Ca-
sa di reclusione di Sulmona; Book of prisoner arrivals of the concentration camp Dachau (11-
12-13-14 Oktober 1943), in ITS Digital Archive, Arolsen Archives, ID. 1.1.6.1 / 9894741; Con-
centration camp Dachau, Entry registers (Zugangsbuecher), 1933-1945, Roll 4 IA/48 entry nos.
48441-58232), in Nara (National archives and records administration) Washington, Dc, 2004,
M1938; DaA 39458, in KZ-Gedenkstätte Dachau. In merito alla nazionalità di appartenenza dei
deportati stranieri si registra un forte discrepanza tra i dati riportati nei libri matricola di Sul-
mona e quelli conservati in altre sedi. Nell’elenco fornito dall’Arolsen Archives risultano in tut-
to 25 jugoslavi e 368 italiani. Nell’elenco del Nara, risultano “Jugoslawien 59; Jugoslawien/Ita-
lien 2; Italien/Jugoslawien 1; Griechenland 3; Griechenland/Italien 1; Kroatien 15; Slowenien 1;
Slowenien/Italien 1 e Italien 309”. Si potrebbe ipotizzare, ma siamo nel campo delle congetture,
che in molti, sia tra gli jugoslavi che tra i greci, abbiano deciso, al loro arrivo a Dachau, di di-
chiararsi di nazionalità italiana, confidando sul fatto che i tedeschi avrebbero riservato un diver-
so e più favorevole trattamento agli ex alleati.
29
Riguardo ai recenti sviluppi storiografici sull’argomento si rimanda ai contributi di Mi-
lovan Pisarri (2016), La deportazione degli sloveni e croati dal campo di Cairo Montenotte
(2016); M. Pisarri, Dal campo di concentramento di Cairo Montenotte ai lavori forzati a Gu-
sen (2016); Francesca Rolandi, La doppia deportazione dal carcere di Sulmona (2018); Marco
Abram, Dal carcere di Capodistria al lavoro forzato a Neungamme (2018); M. Abram, Dal car-
cere di Forlì alla Baviera (2018); Thomas Porena, Deportati montenegrini: dal campo di con-
centramento di Ponza ai lager tedeschi (2018); T. Porena, La deportazione dal carcere di Peru-
gia a Dachau e Buchenwald (2018), Andrea Giuseppini e Francesca Rolandi, La deportazione
dal carcere di Parma; Andrea Giuseppini e Marco Abram, Dal campo di concentramento di
Molat alla Germania (2018). I contributi sono stati pubblicati sulla piattaforma Lavoroforza-
to.topogrfiaperlastoria.org (temi — La doppia deportazione), progetto a cura di Tps con il con-
tributo finanziario di Evz, partner del progetto Apis Institute (Lubiana); Faculty of humanities
and social sciences, University of Rijeka e l’Istituto germanico di Roma (Dhi Roma); cfr. inoltre,
Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-
1943), Einaudi, 2004; Riccardo Lolli, La presenza degli internati slavi nell’Appenino aquilano
1942-44, Ricerca effettuata per l’Istituto Abruzzese per lo studio della Storia della Resistenza e
dell’Età contemporanea, raggiungibile all’all’indirizzo www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_
IN_ITALIA/NOVO/testi_lolliAquilano.pdf (ultima visita 24 maggio 2020).

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 79

Il procedimento giudiziario nei confronti di Dejean fu istruito in segui-


to alla denuncia recapitata il 6 luglio 1944 all’Alto commissariato per la pu-
nizione dei delitti del fascismo, redatta e inviata da Antonino Salanitro, fra-
tello di Carmelo, uno dei detenuti politici di Sulmona deportati a Dachau30.
Carmelo Salanitro, professore di latino e greco al Liceo Cutelli di Catania,
era stato arrestato il 15 novembre 1940 dall’Ovra, poiché sorpreso in posses-
so di alcuni volantini “comunicanti notizie atte a destare allarme, deprimere
lo spirito pubblico e destare nocumento agli interessi nazionali”. Il 25 febbra-
io 1941 fu condannato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (Tsds)
a 18 anni di reclusione31.

La grazia

Il 25 luglio 1943, con l’arresto di Mussolini e la caduta del fascismo, fu so-


spesa ogni attività del Tsds. Pochi giorni dopo l’insediamento, il governo Bado-
glio si trovò ad affrontare la delicata questione dei “detenuti politici”. Una fac-
cenda tutt’altro che secondaria, come dimostrano i fatti accaduti a Bari il 28
luglio. Quel giorno, un gruppo di manifestanti, che chiedeva la liberazione dei
detenuti politici, fu fatto bersaglio di colpi d’arma da fuoco esplosi da un pre-
sidio militare in via dell’Arca, nei pressi della ex sede del Partito nazionale fa-
scista. Alla fine della giornata si contarono 20 vittime e circa 38 feriti, tutti tra
i manifestanti32.
I provvedimenti assunti dal nuovo esecutivo a favore dei “politici” giunse-
ro circa due settimane dopo i tragici fatti del capoluogo pugliese. Il 16 agosto
1943, il ministro Azzariti33 inviò ai procuratori del Regno un telegramma con
indicazioni molto chiare riguardo alle disposizioni da adottare nei confronti dei
detenuti per reati di indole politica:

30
L’Alto commissariato fu istituito con regio decreto legislativo del 26 maggio 1944, n. 134.
31
Tribunale speciale per la difesa dello Stato, Scheda di segnalazione del detenuto condan-
nato [Carmelo Salanitro] dal suddetto Tribunale nella udienza del giorno 25 febbraio 1941 XIX,
in Archivio Centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 4530, fasc. 072992 (1940-1943);
Cfr. Rosario Mangiameli, Misurarsi con il regime. Percorsi di vita nella Sicilia fascista, Acire-
ale-Roma, Bonanno, 2008; R. Mangiameli (a cura di) Carmelo Salanitro, Pagine dal diario 28
ottobre 1931-6 giugno 1932, Catania, Cuecm, 2005; Pietro Scalisi, L’onore e la viltà. In memo-
ria di Carmelo Salanitro. Martire del libero pensiero, Adrano, Edizioni 55, 2016; Mimmo Fran-
zinelli, Il tribunale del duce. La giustizia fascista e le sue vittime (1927-1943), Milano, Mon-
dadori, 2017, pp. 234-240; Stefano Vinci, La politica giudiziaria del fascismo italiano nella
giurisprudenza del Tribunale Speciale per la difesa dello stato (1926-1943), “Historia et jus”,
2016, n. 10, paper 14.
32
Cfr. Antonio Rossano, 1943: “Qui Radio Bari”, Bari, Dedalo, 1993; Vito Antonio Leuzzi
(a cura di), Memoria di una strage. Bari, 28 luglio 1943, Bari, Edizioni dal Sud, 2003.
33
Gaetano Azzariti era stato nominato presidente del Tribunale della razza nel 1939. Lavorò
a stretto contatto con i magistrati Antonio Manca e Giovanni Petraccone.

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80 Giulio Mario Salzano

autorizzo vostra signoria disporre immediata scarcerazione sensi articolo 589 c.p.p. detenu-
ti politici, condannati dal Tribunale Speciale quando Questori propongono grazia e di trasmet-
tere quindi senza indugio relativa proposta. Solamente nel caso che speciale motivi sconsiglias-
sero scarcerazione immediata vossignoria mi riferirà massima urgenza per avere istruzioni34.

La decisione del ministro giunse negli stessi giorni in cui i dirigenti delle ri-
costituite organizzazioni sindacali, tra cui l’antifascista Giovanni Roveda, ap-
pena nominato vice commissario della Confederazione dei lavoratori dell’In-
dustria dal Ministro Piccardi, stavano definendo con il nuovo esecutivo “la
natura dei propri compiti”. Secondo la stampa dell’epoca, tali provvedimenti
furono la diretta conseguenza delle pressioni esercitate proprio dai “commissa-
ri confederali”35.
Il telegramma di Azzariti fu quindi recapitato anche alla Procura del Regno
di Sulmona, in quanto nel locale carcere della Badia si trovavano, già da qual-
che tempo, numerosi condannati per reati di indole politica.
Come richiesto dal ministro, il pomeriggio del 17 agosto, il sostituto Procu-
ratore Salvatore Sambenedetto e il commissario di Pubblica sicurezza Ambro-
gio Gallo, delegato dal questore dell’Aquila Michele Di Guglielmo, si recarono
nel carcere della Badia per vagliare, in presenza del direttore Corrado Dejean,
le posizioni dei singoli detenuti che avrebbero potuto beneficiare del provvedi-
mento di scarcerazione. Prima ancora di procedere con l’esame delle istanze,
Gallo, sulla scorta delle indicazioni ricevute quella stessa mattina dal questore,
informò i presenti che bisognava escludere dal provvedimento di grazia i “re-
sponsabili attività anarchiche, responsabili fatti carattere militare, spionaggio,
intelligenza nemico nonché allogeni Venezia Giulia et territori occupati”36.
Il telegramma che Azzariti inviò alle Procure segnò una svolta cruciale nel-
la spinosa questione dei detenuti politici. Per alcuni versi la decisione rappre-
sentò un chiaro elemento di discontinuità tra il nuovo governo e il precedente
regime fascista. Tuttavia, nelle disposizioni del ministro, erano da subito emer-
si evidenti e importanti limiti che nei fatti rispecchiavano il persistente stato di
ostilità dell’Italia nei confronti della Jugoslavia e degli altri paesi della regione
ancora occupati militarmente. Le disposizioni del ministro, infatti, escludevano

34
Istanze Detenuti, in ASAQ, Procura Generale c/o Corte d’appello, anno 1943-1944, b. 1.
35
I capi delle organizzazioni dei lavoratori precisano la natura dei loro compiti, “La Stam-
pa”, 16 agosto 1943, Anno 77, n. 195, pp. 1-2; La conclusione delle trattative fra il governo e
gli organizzatori operai, “Corriere della Sera”, anno 68, n. 194, 14-15 agosto 1943; I prigionie-
ri politici. Le pratiche di liberazione sono in corso, “La Stampa”, anno 77, n. 194, 14-15 agosto
1943; Immediata liberazione per i fermati per misura di polizia, “Corriere della Sera”, anno 68,
n. 197, 18 agosto 1943; I nuovi provvedimenti del governo Badoglio per la normalizzazione del-
la vita nel Paese, “La Stampa”, Anno 77, n. 196, 17 agosto 1943.
36
Il questore, al quale sarebbe spettato il compito di pronunciarsi sulle istanze, si era dichia-
rato “impossibilitato a partecipare” e affidò, dunque, l’incarico al commissario Gallo. Cfr. Istan-
ze Detenuti, loc. cit. a nota 34; copia dello stesso documento si trova in ASAQ, Corte d’assise
d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, vol. 4°.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 81

dai benefici di legge migliaia di detenuti politici stranieri reclusi nelle carceri
italiane, gran parte dei quali provenienti dai Balcani. In quei mesi, nel carcere
di Sulmona, gli “elementi di origine non nazionale appartenenti ai territori oc-
cupati e ai territori nemici”, condannati dai tribunali militari italiani, erano non
meno di 246. Il riesame dei fascicoli personali condotto dal Procuratore Sam-
benedetto, dal commissario Gallo e dal direttore Dejean si concentrò, quindi,
esclusivamente su 39 istanze di scarcerazione, 37 delle quali relative a cittadi-
ni di nazionalità italiana condannati dal Tsds. Di queste, solo 25 furono ritenu-
te ammissibili al “provvedimento di grazia”. Giancarlo Pajetta, Salvatore Cac-
ciapuoti e molti altri esponenti del Partito comunista italiano, giunti qualche
mese prima dal carcere di Civitavecchia assieme a Carmelo Salanitro e ad al-
tri antifascisti, diversamente da quest’ultimi, furono subito rimessi in libertà37.
Nel provvedimento di scarcerazione di Pajetta, redatto dal sostituto Procurato-
re, si legge:

Il delegato del Questore [Ambrogio Gallo], ritenuto che il detenuto non è allogeno né anar-
chico, lo segnala per la proposta di Grazia sovrana ed esprime parere favorevole per la di lui
scarcerazione […] Noi Procuratore del re Imperatore, in considerazione di quanto sopra, sen-
tito il parere favorevole dell’autorità di P.S. […] ordiniamo l’immediata scarcerazione.

La stessa formula fu applicata sistematicamente, senza variazioni sostanzia-


li, a ognuno degli altri casi considerati meritevoli di grazia. La scarcerazione
fu negata agli altri 14 “condannati per i quali allo stato non è possibile decide-
re sulla proposta di Grazia e sulla sospensione della esecuzione della pena”. Le
motivazioni che impedirono la loro scarcerazione erano da attribuirsi, secondo
il riesame delle autorità locali, alla gravità dei reati o alla particolare condizio-
ne sociale dei detenuti: “intelligenza con il nemico”, “indole anarchica”, “vili-
pendio alla nazione italiana” e “provenienza dai territori occupati”38.

37
Istanze Detenuti, loc. cit. a nota 34. Si trattava di Giancarlo Pajetta, Giuseppe Rossi, Anto-
nio Di Donato, Ercole De Santis, Orlando Bernardi, Pietro Giacchetti, Ettore Borghi, Salvatore
Cacciapuoti, Danilo Dolfi, Sergio Marturano, Alberto Torricini, Alberto Comini, Mario Gianas-
si, Alfonso Cosentino, Mario Granchi, Maurizio Giordo, Fidia Sassano, Busetti Fiorillo, Salva-
tore Scardina, Paolo Fasani, Marco Segota, Luigi Boccalini, Giuseppe Martucci, Raffaele Car-
ravetta e Sabino Scamarcio. Sulle vicende giudiziarie di Giancarlo Pajetta si veda il fascicolo
“Pajetta Gian Carlo di Carlo”, Casellario politico centrale, in Archivio Centrale dello Stato [d’o-
ra in avanti ACS], ministero degli Interni, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione
Affari Generali e Riservati, Casellario politico centrale, b. 3662, fasc. 12123; Giancarlo Pajetta,
La fine del mondo al carcere di Sulmona, “L’Unità”, 25 luglio 1971, p. 8.
38
Istanze Detenuti, loc. cit. a nota 34. Le istanze di Novara Francesco, Paparatti Edoardo e
Ferruccio Fuser, accusati a vario titolo di “spionaggio” furono respinte dopo un ulteriore riesa-
me dei fascicoli processuali. Aldo (Ante) Cinotti, croato, fu condannato a dodici anni di reclu-
sione per attività sovversiva; la sua istanza fu respinta “essendo il Cinotti nato a Trau e residente
a Spalato, territorio occupato”. La stessa sorte toccò a Salvatore Doria, condannato per disfat-
tismo e propaganda antinazionale e per le “offese in pubblico alla figura del Pontefice, al capo
dello Stato Germanico e al prestigio di S.M. il Re Imperatore”. L’istanza di scarcerazione fu ri-
fiutata ad Antonio Abrami di Trieste, Giovanni Postogna e Miljoh Alberto in quanto “allogeni

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82 Giulio Mario Salzano

Le istanze di Carmelo Salanitro e degli altri antifascisti, nessuno dei quali


riconducibile ad alcuna formazione politica specifica, furono respinte. Con essi
rimasero in carcere i numerosi antifascisti jugoslavi e greci. La consapevolez-
za riguardo alla disparità di trattamento riservata agli “allogeni” emerse chia-
ramente dalla lettera che il sostituto Procuratore Sambenedetto inviò il 21 ago-
sto 1943 al ministro di Grazia e Giustizia.

La effettuata escarcerazione dei 25 detenuti ha prodotto nei rimasti 14 apprensioni e risenti-


menti […] Particolarmente debbo far cenno ai sentimenti espressi dagli allogeni e alle loro ri-
chieste. Costoro si mostrano insofferenti alla diminuzione di capacità derivante dalla loro ori-
gine, e considerano le cautele che si adottano nei loro confronti come disparità ingiustificate e
come soppressione di diritti. Sebbene non si sia fatto trapelare a essi che il motivo della man-
cata escarcerazione deriva dal loro stato di allogeni, la ragione tuttavia è stata ugualmente in-
tuita. Essi […] sperano che nell’attuale circostanza sia superata ogni questione, tanto più che
la classificazione è basata su elementi non facilmente determinabili, e non è affidata a sicura e
ben precisata definizione39.

La deportazione

Nelle ore concitate che seguirono alla notizia dell’Armistizio, i destini dei
detenuti si intrecciarono con quelli dei prigionieri di guerra Alleati del vicino
campo di concentramento di Fonte d’Amore40. In attesa di una risposta da parte
del ministero, che però non sarebbe mai giunta, Dejean si recò presso le autori-
tà militari del campo per informarsi sulle disposizioni internazionali da adotta-
re in caso di armistizio. Nel carcere, oltre ai “politici” e ai “comuni”, erano sta-
ti ammassati anche dodici prigionieri inglesi “condannati a morte”. In base alle
istruzioni ricevute, Dejean liberò i prigionieri di guerra ma trattenne sia i poli-

della Venezia Giulia”; a Manoli Pripu Basilio di Asmara, caporal maggiore dell’esercito italia-
no, per “aver vilipeso pubblicamente la nazione italiana […] durante la sua prigionia in territo-
rio nemico comunicando con altri italiani come lui prigionieri”; a Giovanni Melodia, di Livor-
no, per il presunto reato di “procacciamento a scopo di spionaggio politico militare di notizie
di cui era vietata la comunicazione” e di offese “al prestigio di S.E. il Re Imperatore”; a Zer-
vu Costa, greco, per furto di un apparecchio radio in una stazione dei carabinieri nell’isola gre-
ca di Castelrosso; a Bucco Ercole, di Firenze, accusato di vilipendio alla nazione durante la sua
permanenza nel carcere di Regina Coeli, dove si trovava per scontare una condanna per truffa.
Stenberger Mariano di Fiume ottenne il diniego del beneficio di scarcerazione “per l’indole dei
reati”, ovvero “incitazione pubblica e a 1/2 (sic!) della stampa in correità con altri all’insurrezio-
ne armata contro i poteri dello Stato”. Motivi simili, quest’ultimi, a quelli che spinsero le autori-
tà a rigettare anche l’istanza di Carmelo Salanitro.
39
Procura del Re Imperatore di Sulmona a S.E. il Ministro di Grazia e Giustizia, al Procura-
tore Generale del Re Imperatore — L’Aquila, al Sig. Questore, ogg. Detenuti Politici, 21 agosto
1943, prot. 712/64, loc. cit. a nota 34.
40
Situazione campi concentramento P.G. al 31 luglio 1943, in Archivio ufficio storico dello
stato maggiore dell’esercito [d’ora in avanti AUSSME], L-10, b. 32. L’ultima scheda disponibile
redatta dal Regio Esercito risale al 31 luglio 1943 e ci informa che nel Campo di Fonte d’Amore
si trovavano 2749 prigionieri di guerra.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 83

tici che gli allogeni. Da quel momento, i detenuti rimasero a “disposizione del
Comando Supremo Alleato”, rappresentato, in quella circostanza, dal maggio-
re Cochran, ufficiale britannico, ex prigioniero, che nel frattempo aveva assun-
to il comando del campo. La mattina del 12 settembre, Dejean consegnò i dete-
nuti inglesi a Cochran.

Dissi al maggiore — affermò Dejean nelle sue memorie difensive — che ero pure disposto a
consegnare tutti i detenuti di oltre confine. Il maggiore si mostrò lieto della proposta, obiet-
tando che necessitava di ordini da parte del suo Generale, ordini che avrebbe preso la sera
stessa e l’indomani, alle ore 8, sarebbe tornato per prendere i suddetti detenuti in consegna.

Quella stessa sera, però, giunsero i primi reparti tedeschi in città. Il maggio-
re Cochran, i prigionieri Alleati e i soldati italiani a guardia del campo fuggi-
rono sulle montagne circostanti. Alla vista dei tedeschi i detenuti comuni tenta-
rono un’evasione di massa, ma senza successo, a causa dell’intervento repentino
degli agenti e di alcuni soldati del regio esercito ancora presenti nel reclusorio.
“La mattina del 13, il maggiore inglese non comparve”. In assenza di ordini dal
Ministero e senza più notizie del maggiore inglese, Dejean decise di trattenere
tutti i detenuti: i comuni, i politici italiani ai quali era stata negata la grazia, gli
jugoslavi e i greci41.
Quella stessa mattina i tedeschi assunsero il pieno controllo del campo di
concentramento42. Intanto, i detenuti forzarono le porte delle celle, si armaro-
no alla meglio con coltelli, asce e altre armi improprie prelevate dalle cucine.
Raggiunto il cortile principale “al grido viva l’Italia, vogliamo combattere con
i tedeschi” si diressero verso l’uscita43. I tentativi di riportare la calma da parte
degli agenti non valsero a nulla44. Per questa ragione Dejean ordinò alle guar-
die di far fuoco. Tre detenuti furono uccisi45. La rivolta fu quindi stroncata po-
co prima che i rivoltosi riuscissero a guadagnare l’uscita principale.

41
Direzione della Casa di reclusione Badia di Sulmona al ministero di Grazia e Giustizia,
alla Procura generale del regno presso la Corte d’appello di L’Aquila e al Procuratore del Re-
gno presso il Tribunale di Sulmona, 31 luglio 1944 [Memoria difensiva di Corrado Dejean] in
ASAQ, Corte d’assise d’Appello, Ufficio Istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f 93.
42
Testimonianza dell’agente Ciccarelli Pasquale di Nicola di anni 37, da Lucera, rilasciata al
Procuratore del Regno di Sulmona, Carlo Pierantoni, 30 settembre 1944, ASAQ, Corte d’assise
d’Appello, Ufficio Istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, vol. II, f. 5-6.
43
Dejean affermò che i detenuti comuni cercarono di “attirare l’attenzione dei tedeschi nel
vicino campo di Fonte d’Amore onde essere messi da loro in libertà. Unirono anche ingiurie al
mio indirizzo, avendo dato la libertà agli inglesi e promessa ai detenuti d’oltre confine”.
44
Direzione della Casa di reclusione Badia di Sulmona al ministero di Grazia e Giustizia, al-
la Procura generale del regno presso la Corte d’appello di L’Aquila e al Procuratore del regno
presso il Tribunale di Sulmona, 31 luglio 1944 [Memoria difensiva di Corrado Dejean] loc. cit.
a nota 41.
45
Cfr. Denuncia di Giovanni Postogna alla Procura di Stato di Sulmona, inviata da Sajovitz
Umberto, Unione antifascista italo-slava per la Regione Giulia e Trieste, in ASAQ, Corte d’assi-
se d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 72 e sgg.; Atti di morte del Comune di
Sulmona, Ufficio anagrafe del Comune di Sulmona, Registri di morte, 1943, Parte II-Serie B.

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84 Giulio Mario Salzano

La presenza dei primi contingenti tedeschi in prossimità del carcere, secon-


do le memorie difensive consegnate da Dejean alla Procura di Sulmona, sem-
brò destare viva preoccupazione non solo tra i “politici”, ma anche tra il perso-
nale di sorveglianza.

Vistomi quindi impossibilitato a ogni azione, e constatando il ritardo della avanzata alleata,
cercai un’altra via d’uscita, la più idonea, data l’oppressione terroristica tedesca, e cioè alte-
rando i documenti giuridici [dei detenuti] e mettendoli fuori a gruppetti, per fine pena. Di ciò
ne parlai al commissario di P.S. Dott. Gallo, il quale si dichiarò ben lieto di venirmi incontro,
assicurando il rilascio del foglio di via per la destinazione che essi avessero voluto prendere
in Italia. Ma l’autorità giudiziaria di Sulmona presentò gravi difficoltà, per cui anche questo
progetto della mia persistente iniziativa, fallì.

Con questa dichiarazione, raccolta durante la fase istruttoria, Dejean attri-


buì l’impossibilità di liberare i detenuti alla locale autorità giudiziaria, all’epoca
dei fatti presieduta dal Procuratore del re Carlo Pierantoni, sulla cui figura tor-
neremo più avanti. Le affermazioni che Dejean rese alla Procura furono inoltre
confermate dal Tenente dei Carabinieri Francesco Pastore46 e dal Commissario
Gallo. Quest’ultimo dichiarò: “Dejean chiese la mia collaborazione per libera-
re di sua iniziativa tali detenuti facendo firmare sui relativi registri che avevano
scontata la loro pena”, ma ciò non accadde “essendosi espressa negativamente
l’autorità giudiziaria di Sulmona”47.
La mattina dell’8 ottobre 1943 un manipolo di soldati tedeschi irruppe nel
carcere “armi in pugno” e in pochi minuti radunò tutti i reclusi nel cortile prin-
cipale. Secondo i libri matricola della casa di reclusione, quella mattina era-
no presenti non meno di 394 detenuti48. Sotto la minaccia costante delle armi,
i tedeschi scortarono tutti i reclusi fino alla stazione ferroviaria, a eccezione di

46
Comunicazione inviata dal tenente comandante interinale Francesco Pastore della legione
dei Carabinieri reali degli Abruzzi, Compagnia di Sulmona all’Alto commissariato per le san-
zioni contro il fascismo Commissariato per l’epurazione, N. 366/5-1944, Sulmona 5 gennaio
1946, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 50; Dire-
zione della Casa di reclusione Badia di Sulmona al ministero di Grazia e Giustizia, alla Procura
generale del regno presso la Corte d’appello di L’Aquila e al procuratore del regno presso il Tri-
bunale di Sulmona, 31 luglio 1944, loc. cit. a nota 41.
47
Procura del Regno di Avezzano, Verbale di Istruzione sommaria, 2 agosto 1945, ASAQ,
Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, vol. 2°, f. 25.
48
Quattro detenuti, secondo le dichiarazioni di Dejean, confermate dai registri matricola del
carcere, furono lasciati nel reclusorio “poiché impossibilitati a muoversi”. Il giorno successivo
sarebbero stati trasferiti nel carcere giudiziario di Sulmona. I libri matricola del carcere della
Badia, “mod. 9A” e “mod. 9B”, rappresentano una fonte archivistica inedita e meritevole di ul-
teriori approfondimenti. Oltre ai dati biografici personali e familiari, i registri conservano, per
ogni detenuto, informazioni utili a ricostruire le singole vicende processuali. Attualmente, i re-
gistri sono custoditi presso gli uffici della Casa di reclusione. Ringrazio per la segnalazione Ro-
berto Carrozzo, responsabile dell’Archivio di Stato dell’Aquila Sezione di Sulmona, il dott. Ser-
gio Romice, direttore della Casa di reclusione, per aver autorizzato la consultazione dei fondi e
l’Ispettore Alessandro Simone per la preziosa assistenza.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 85

quattro “impossibilitati a muoversi”. Oltre ai detenuti, sui vagoni del treno mer-
ci in partenza per la Germania si trovavano anche nove civili rastrellati qualche
giorno prima49. Dopo sei giorni e cinque notti di viaggio attraverso le stazioni di
Roma, Firenze e Verona, il treno con i deportati, superato il confine, raggiunse
il Konzentrationslager di Dachau. Il 13 ottobre, le autorità del campo registraro-
no l’ingresso di poco più di 400 deportati, dei quali 392 provenienti da Sulmo-
na50. Ognuno dei deportati fu contrassegnato da un triangolo rosso e classificato
Schutzhäftling, ovvero “internato per misure precauzionali o di sicurezza”51.

Il processo

Sulla base delle indagini avviate dalla Procura di Sulmona a carico del di-
rettore Corrado Dejean furono istruiti due distinti procedimenti: l’uno da par-
te della Commissione di epurazione per i dipendenti del ministero di Grazia e
giustizia, l’altro, conseguenza del primo, dalla magistratura ordinaria del capo-
luogo abruzzese.

49
Si trattava di Carlo D’Ascanio, Egidio Casasanta, Carmine Santilli, Ettore De Simone, Mi-
chele Scarpone, Erminio Spadino, Sabino Di Filippo, Mario Colella e Angelo De Simone. Solo i
primi quattro sopravvissero alla deportazione.
50
Book of prisoner arrivals of the concentration camp Dachau (11-12-13-14 Oktober 1943),
ID. 1.1.6.1/9894741, in ITS Digital archive, Arolsen archives; Libri matricola condannati mod.
9a (dal n. 1769 al n. 1966) e “rubrica detenuti dal 1928 al 1943” mod.9b conservati presso la Ca-
sa di reclusione di Sulmona; Legione territoriale dei carabinieri reali degli Abruzzi, Compagnia
di Sulmona all’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, N. 366/5-1944, Sulmona,
5 gennaio 1946, loc. cit. a nota 46. Secondo i libri matricola del carcere, i detenuti prelevati fu-
rono in totale 390. A questo numero bisogna aggiungere i nove civili rastrellati nel villaggio di
Roccacasale. In tutto, quindi, 399 uomini lasciarono Sulmona diretti in Germania. Dai registri
matricola del Memoriale di Dachau risultano assenti sette detenuti, i quali, probabilmente non
giunsero mai a destinazione. Il 13 ottobre, dunque, entrarono a Dachau 392 uomini provenien-
ti da Sulmona (383 detenuti e 9 civili). Questo dato si discosta dalle dichiarazioni di France-
sco Pastore, Tenente del distaccamento dei Carabinieri di Sulmona, il quale affermò che in quei
giorni, nel carcere della Badia, si trovavano 380 detenuti.
51
Non meno di 105 dei 392 deportati furono successivamente eliminati in vari altri campi e
sottocampi di sterminio tedeschi. I sopravvissuti furono almeno 117. Non è stato possibile repe-
rire altre informazioni in merito alla sorte dei rimanenti 170 deportati, gran parte dei quali pro-
venienti dai Balcani. A tal proposito risulterebbe utile un ulteriore approfondimento sulla scorta
degli studi avviati da Francesca Rolandi negli archivi di Stato di Zagabria, Spalato e Fiume. Que-
sti dati provvisori sono stati ricavati dal confronto delle informazioni riportate nei seguenti elen-
chi: Concentration camp Dachau, entry registers (Zugangsbuecher), 1933-1945, Roll 4 IA/48 ent-
ry nos. 48441-58232), in NARA Washington, DC, 2004, M1938; Book of prisoner arrivals of the
concentration camp Dachau (11-12-13-14 Oktober 1943), in ITS Digital Archive, Arolsen Archi-
ves, ID. 1.1.6.1 / 9894741; Libri matricola condannati mod. 9a e rubrica detenuti dal 1928 al 1943,
mod.9b, della Casa di reclusione di Sulmona; “Elenchi nominativi delle domande accolte per gli
indennizzi a cittadini colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste di cui alla legge 6 feb-
braio 1963, n. 404”, in Gazzetta Ufficiale 22 maggio 1968; Brunello Mantelli, Nicola Tranfaglia
(a cura di), Il Libro dei deportati, Vol. 1, I deportati politici 1943-1945, Milano, Mursia, 2009.

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86 Giulio Mario Salzano

Le prime indagini partirono nell’estate 1944, dopo che Raimondo Barba-


gallo, uno “sbandato” dell’esercito regio, per diversi mesi residente a Sulmo-
na, tornò a Catania, sua città natale e qui incontrò Antonino Salanitro al qua-
le riferì che la mattina dell’8 ottobre 1943 aveva visto suo fratello Carmelo e
gli altri reclusi della Badia scortati dai tedeschi e diretti alla stazione ferro-
viaria. Il 5 luglio 1944 Antonino Salanitro, ancora ignaro sulla sorte dei de-
tenuti, denunciò Dejean all’Alto commissariato per la punizione dei delitti del
fascismo, ritenendolo responsabile della “sparizione” di suo fratello. Dopo es-
sere stati trasmessi a varie Procure siciliane, gli atti della denuncia presentata
all’Alto Commissariato furono trasferiti, per competenza territoriale, alla Pro-
cura di Sulmona, i cui uffici avviarono immediatamente le indagini. Il primo
a essere ascoltato sui fatti fu il capitano dei Carabinieri della locale stazione,
Gustavo Meola, il quale, in una nota del 9 ottobre 1944, affermò che le accu-
se a carico del “Dott. Dejean Corrado” erano “destituite di fondamento”. Pochi
giorni dopo, il 14 ottobre, la Procura di Sulmona chiese ai colleghi di Catania
di “assumere in esame il Salanitro [Antonino] su tutti i fatti che formano og-
getto dell’esposto”. Contestualmente, tra il 30 settembre e l’11 dicembre 1944,
il procuratore di Sulmona, Carlo Pierantoni, interrogò numerose persone infor-
mate sui fatti e sulle attività oggetto delle indagini. Oltre agli agenti in servi-
zio nel reclusorio della Badia52, furono ascoltati Roberto Cicerone, partigiano,
Raffaele Del Basso-Orsini, tenente-colonnello a riposo, Carlo Cicone, medi-
co e sanitario del reclusorio, i parroci Vittorio D’Orazio e Francesco Quattroc-
chi, Luigi Santomartino “capo d’arte”, Alfiero Di Girolamo, partigiano e vice
sindaco del comune di Sulmona, Enrico Del Signore, brigadiere dei Carabinie-
ri, Mario Di Cesare, addetto alla Polizia alleata e agente dell’A-Force, Carlo
Giammarco, componente del locale Comitato Nazionale di Liberazione e infi-
ne l’avvocato Guglielmo Mascio. Gli agenti interrogati confermarono l’“ottima
predisposizione” di Dejean nei confronti di Carmelo Salanitro e i suoi numero-
si tentativi di mettere in salvo tutti i reclusi. Anche gli altri testimoni ribadiro-
no le presunte “qualità” dell’indagato e furono concordi nel ritenere il direttore
Dejean “elemento vicino alla locale Resistenza”, avendo coadiuvato — come
sostennero quasi tutti — “la fuga e la protezione dei prigionieri evasi dal vi-
cino campo di concentramento”53. Tuttavia, le dichiarazioni depositate presso
la Procura di Sulmona sarebbero state smentite, dopo qualche mese, dalle me-
morie prodotte da ex detenuti politici rinchiusi alla Badia, tra i quali alcuni so-
pravvissuti ai campi di sterminio tedeschi. Nonostante ciò, le testimonianze a
favore di Dejean, raccolte dal Procuratore di Sulmona Pierantoni, costituirono,
come vedremo, la chiave di volta per la definizione dell’intera vicenda giudi-

52
Si tratta di Gianni Giuseppe, Angelo Caulo, Pasquale Ciccarelli, Mario Zucchero (ex squa-
drista), Calogero Di Carlo, Mario Sacco, Pasquale Monaco e Pasquale Casamassima.
53
Esami testimoniali, in ASAQ, Corte d’assise d’Appello, Ufficio Istruzione, maz. 10b, fasc.
n. 84-47, vol. 2°, ff. 1-23.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 87

ziaria, sia nel procedimento istruito dalla Commissione di epurazione del Mi-
nistero di Grazia e Giustizia, sia nella fase istruttoria coordinata dalla Corte
d’appello dell’Aquila.
Il 12 maggio 1945 Antonino Salanitro apprese la notizia della morte di suo
fratello Carmelo, avvenuta il 24 aprile nel lager di Mauthausen54. Poche settima-
ne dopo, il 23 giugno, giunsero i primi pronunciamenti sul caso Dejean da parte
della Commissione di epurazione per i dipendenti del ministero di Grazia e giu-
stizia55. Pur essendo a conoscenza del coinvolgimento diretto dell’imputato nella
locale centuria della Msvn e del suo ruolo di capo-nucleo del gruppo rionale fa-
scista della Badia, la Commissione ministeriale lasciò cadere tutte le accuse. An-
zi, i funzionari ministeriali elogiarono i presunti meriti di Dejean e giustificarono
tutto il suo operato. “Subito dopo l’8 settembre — si legge nel dispositivo — il
Dejean tentò in tutti i modi di liberare non soltanto Salanitro ma tutti i detenu-
ti politici e d’oltre confino”. Quando la mattina dell’8 ottobre i tedeschi occupa-
rono il reclusorio e prelevarono tutti i detenuti, Dejean, secondo la Commissione,
“non poté opporsi alla violenza sopraffattrice”. Inoltre, si legge più avanti, Deje-
an mantenne “cordiali rapporti con i patrioti che prestavano soccorso ai prigio-
nieri alleati evasi dal campo di concentramento di Fonte d’Amore, e con i patrio-
ti collaborò”. Sulla scorta di queste considerazioni, la Commissione ministeriale
prosciolse Dejean dalle accuse di collaborazionismo. In merito alla sua attiva
partecipazione al fascismo non furono presi provvedimenti, in quanto “chi, dopo
l’8 settembre, si è distinto nella lotta contro i tedeschi, può essere esente dalla di-
spensa e da ogni altra misura disciplinare”56. Contro questa prima importante de-
cisione della Commissione ministeriale, a nulla valse la supplica che il 14 luglio
1945 Antonino Salanitro rivolse ai Ministri Pietro Nenni e Palmiro Togliatti.

Io chiedo agli autentici rappresentanti della nuova democrazia antifascista […] che la Giusti-
zia umana prima di quella Divina, colpisca esemplarmente il Dejean, colpevole di arbitraria
detenzione e collaborazionismo con il nemico nazista.

Le prime e più importanti accuse nei confronti del direttore della Badia sono
successive alla sentenza della Commissione ministeriale e sono contenute nel-

54
Lettera di Antonino Salanitro all’Alto commissariato per le sanzioni contro i delitti del fa-
scismo, 10 ottobre 1945, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc.
n. 84-47, f. 53-55. La notizia della morte di Salanitro fu pubblicata la prima volta sul Corriere
di Sicilia il 5 giugno 1946. Si trattava di una lettera che Antonino Salanitro aveva ricevuto il 12
maggio da Mino Micheli, ex deportato, testimone diretto della “tragedia vissuta”. La notizia fu
inoltre confermata il 14 giugno 1946 dalla “Netherlands war crimes commission”.
55
Dejean era stato convocato dalla Commissione per rispondere alle accuse di violazione de-
gli articoli 12 n. 1 e 14 del Dll. 27 luglio 1944 n. 159.
56
Sentenza della Commissione di epurazione per i dipendenti del ministero di Grazia e giu-
stizia, procedimento di epurazione nei confronti di Dejean Corrado, Roma 23 giugno 1945,
in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f.95. Si tratta
dell’art. 16 del Dll. 27 luglio 1944.

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88 Giulio Mario Salzano

le memorie prodotte da alcuni ex detenuti politici di Sulmona. In un dettaglia-


to esposto recapitato “al compagno Togliatti” e all’Alto commissariato per l’E-
purazione, Giovanni Melodia57, funzionario presso il Ministero per l’Assistenza
postbellica nell’Ufficio distaccato Alta Italia di Milano, scrisse:

Le responsabilità dell’accaduto sono da imputarsi al Dejean, al Procuratore del Re di L’Aqui-


la, al suo sostituto di Sulmona, al capo della polizia, al giudice di sorveglianza: sono essi che
hanno consegnato i detenuti di Sulmona ai tedeschi.

Si trattava chiaramente di accuse molto gravi, già riportate in una lettera che
qualche giorno prima Melodia aveva inviato ad Antonino Salanitro:

Il professor Carmelo avrebbe dovuto essere liberato nel periodo badogliano, non essendovi
a suo carico imputazioni gravi: non fu invece liberato per un mero capriccio del direttore di
quel penitenziario, gerarca fascista Corrado De Jean […] egli è col Procuratore del Re di l’A-
quila il responsabile della nostra deportazione in Germania, delle nostre torture, delle nume-
rosissime morti58

L’esposto fu quindi inviato dal ministero di Grazia e giustizia alla Procura di


Sulmona, che decise, come aveva suggerito lo stesso Melodia, di sentire gli al-
tri ex detenuti politici di Sulmona. Attraverso il coinvolgimento delle Procure
di Bari, Cagliari, Catania, Vercelli, Roma, Trieste e Milano, la Procura di Sul-
mona riuscì a raccogliere le testimonianze dell’avvocato Paolo Fasani, di Gian-
carlo Pajetta, direttore del quotidiano “L’Unità”, Antonio Di Donato, operaio
e futuro deputato comunista al Parlamento, Sergio Marturano, medico-chirur-
go e Giovanni Postogna, ex deportato e ora funzionario della Commissione per
la lotta antifascista dell’Unione Antifascista Italo-Slava per la regione Giulia e
Trieste59. I testimoni descrissero Dejean come “un fascista” disposto ad appli-
care “tutto il rigore consentito” nei confronti degli antifascisti, da egli “con-
siderati criminali”. Fu inoltre accusato di aver messo in atto “trattamenti inu-
mani”, di aver in tutti i modi ostacolato il rilascio di Carmelo Salanitro e degli
altri detenuti politici in seguito al “decreto Badoglio” e di aver consegnato arbi-
trariamente i “politici” greci e jugoslavi “nelle mani dei tedeschi”60.
L’esposto di Melodia a Togliatti spinse la Direzione generale per gli Istitu-
ti di prevenzione e di pena del ministero di Grazia e giustizia a richiedere alla
Procura generale presso la Corte d’appello dell’Aquila, il 12 ottobre 1945, di av-

57
Giovanni Melodia fu deportato da Sulmona a Dachau, dove rimase per 21 mesi.
58
La lettera fu inviata ad Antonino Salanitro il 17 settembre 1945 e da questi riportata in una
nota inviata al Procuratore del Regno di Sulmona, il 18 aprile 1946. Cfr. ASAQ, Corte d’assise
d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 71.
59
Pretura unificata di Milano, Verbale di sommarie informazioni, 6 dicembre 1945, ASAQ,
Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 48 e segg.
60
Esami testimoniali, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc.
n. 84-47, vol. 2°, ff. 26-37.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 89

viare “un’accurata inchiesta [per] l’accertamento dei fatti narrati e accaduti ne-
gli stabilimenti carcerari di Sulmona”61. Anche la Procura di Sulmona, che nel
frattempo aveva definito l’istruzione sommaria, inviò gli atti al Procuratore Ge-
nerale del capoluogo abruzzese. Nonostante l’entrata in vigore del Dll. 22 apri-
le 1945, n. 142, con il quale erano state istituite le Corti d’assise straordinarie, or-
ganismi giudiziari speciali “che disponevano di poteri del tutto eccezionali” per
punire i reati di “collaborazionismo con il tedesco invasore”, l’inchiesta sul diret-
tore Dejean fu affidata alla Procura generale presso la Corte d’appello. Il moti-
vo di tale scelta, che determinerà, come vedremo, la particolare soluzione della
vicenda giudiziaria, è in parte spiegato dal fatto che le Corti d’assise straordina-
rie sarebbero entrate in funzione solo nei “territori in procinto di essere liberati”,
ovvero nel nord del paese. Nelle regioni dell’Italia centro-meridionale restava in
vigore il Dll. n. 159 del luglio 1944, il quale, per alcune tipologie di reati, come
quello in esame, affidava il giudizio del reo ai Tribunali militari e ai giudici or-
dinari62. La coesistenza di due diversi decreti divise di fatto il Paese in due am-
biti giudiziari distinti, legittimando una disparità di trattamento che sarebbe stata
in parte risanata solo dai decreti emanati nel corso dei mesi successivi63.
Nonostante la gravità delle accuse da parte degli ex deportati e dei detenuti
politici liberati con provvedimento di grazia, il quadro accusatorio nei confron-
ti di Dejean iniziò a vacillare anche grazie alle strategie difensive messe in at-
to proprio dallo stesso imputato e dal suo avvocato Gaetano Bellisari del foro
aquilano. Il 6 agosto 1946 Dejean scrisse al procuratore della Repubblica “pre-
gando” il titolare dell’istruttoria “di non voler tener conto, nel procedimento pe-
nale […] a suo carico […] del recente decreto di amnistia”64. La linea difensi-
va di Dejean, seppur rischiosa, considerando i capi d’imputazione, sembrava
tradire piuttosto la consapevolezza che l’assoluzione pronunciata l’anno prima
dalla Commissione ministeriale per l’epurazione avrebbe certamente costitui-
to un precedente molto importante per l’esito del procedimento in corso. Il di-
rettore, inoltre, aveva raccolto e fornito alla Procura numerose testimonianze
con le quali riuscì a far crollare tutte le gravissime accuse mosse a suo carico;
tra queste un “attestato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato ai mem-
bri delle Forze armate degli Alleati”, per il quale ottenne dal comando alleato
2.500 lire di ricompensa65. Il documento che sembrò blindare definitivamente

61
Esposto di Giovanni Postogna al ministro di Grazia e Giustizia, 21 settembre 1945, Racco-
mandata del ministero di Grazia e giustizia, n. 78309/I.2. G. inviata alla Procura generale Cor-
te d’appello dell’Aquila, il 12 ottobre 1945, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione,
maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 33-39.
62
Dll. n. 159, 27 luglio 1944, art.5.
63
Andrea Martini, Dopo Mussolini, cit., pp. 74-75.
64
Si tratta del D.P. 22 giugno 1946, n. 4 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 23 giugno, n. 137
recante la firma del ministro di Grazia e giustizia Palmiro Togliatti.
65
Comunicazione di Dejean alla Procura del Regno di Sulmona del 15.7.1945, in ASAQ, Cor-
te d’assise d’Appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-47, f. 92.

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90 Giulio Mario Salzano

la sua presunzione di innocenza fu l’atto della Commissione Regionale Abruz-


zese per il riconoscimento della qualifica di partigiano (Ricompart). Sulla sua
scheda personale, datata 22 maggio 1946, il Maggiore Aldo Rasero scrisse:

a Dejean Corrado […] appartenente alla formazione Banda Conca di Sulmona, operante nella
località Sulmona e paesi viciniori nel periodo dal 8 settembre 1943 al 10 giugno 1944, è stata
riconosciuta la qualifica di partigiano combattente66.

Ma, la cosiddetta “banda” non fu mai ufficialmente riconosciuta tra le for-


mazioni partigiane del territorio. Inoltre, i primi patrioti combattenti, inquadra-
ti nella Brigata Majella e coordinati dai comandi Alleati, giunsero a Sulmona
solo qualche giorno dopo la ritirata tedesca, avvenuta l’8 giugno 194467.
Si arrivò così alle fasi conclusive dell’iter giudiziario. Il 17 marzo 1947, il
procuratore generale Sangiorgio chiese formalmente

che la sezione istruttoria presso la Corte d’appello dell’Aquila dichiari non doversi procedere
a carico di Dejean Corrado in ordine al reato di collaborazionismo in sentenza per non aver
commesso il fatto68.

Il 31 marzo 1947 gli atti furono trasmessi alla Sezione istruttoria della Cor-
te d’appello “per il corso ulteriore”. Il 30 giugno, la Corte, presieduta dal ma-
gistrato Giovanni Petraccone e dai consiglieri Giacomo Barresi e Bruno De
Marco, accolse integralmente le richieste del Procuratore generale e chiuse de-
finitivamente il caso con la sentenza di “non doversi procedere […] per non
aver commesso il fatto”69.

66
ACS, ministero della Difesa, Direzione generale per il personale militare — III Reparto —
X Divisione ricompense e onorificenze, Ufficio per il riconoscimento qualifiche e per le ricom-
pense ai partigiani, scheda n. 798, 22-5-1946, Corrado Dejean, Sulmona (AQ); Commissione re-
gionale abruzzese per il riconoscimento della qualifica da partigiano L’Aquila, Dichiarazione
integrativa, n. 798, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Ufficio istruzione, maz. 10b, fasc. n. 84-
47, f. 103.
67
Relazione sulle operazioni svolte dalla Brigata Majella, in AUSSME, N1-11, b. 2240.
68
Procuratore Generale Sangiorgi alla Ecc/ma Sezione istruttoria presso la Corte di appello
dell’Aquila, 31 marzo 1947, ASAQ, Corte d’assise d’Appello, Ufficio Istruzione, maz. 10b, fasc.
n. 84-47, f. 105-106.
69
Sentenza n. 84/47, Dejean Corrado, in ASAQ, Corte d’assise d’appello, Sezione istruttoria,
Registro sentenze primo semestre 1947, f. 175. A Dejean non furono attribuite le responsabilità
per la mancata liberazione dei detenuti politici, degli slavi né degli allogeni, in quanto le dispo-
sizioni del Ministro Azzariti furono applicate dal Commissario Gallo e dal Procuratore Salva-
tore Sambenedetto. La Corte d’assise dell’Aquila affermò che Dejean “tentò di liberare non so-
lo il Salanitro, ma tutti i detenuti politici e d’oltre confine per offrirli in consegna a un maggiore
inglese di un vicino campo di concentramento”, azione resa vana, secondo le testimonianze, sia
dall’arrivo dei tedeschi che dal diniego del procuratore Carlo Pierantoni; l’uso delle armi per re-
primere la sommossa del 13 settembre 1943, che causò diversi feriti e la morte di tre detenuti “si
rese necessario”. Quando i tedeschi entrarono nel reclusorio per prelevare i detenuti, secondo i
giudici, Dejean “non poté opporsi alla violenza sopraffattrice”. Inoltre, Dejean “finì con lo svol-
gere egli stesso attività patriottica nella formazione ‘Banda Conca di Sulmona’”.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 91

Nel 1957, Dejean fu promosso ispettore generale presso la Direzione genera-


le per gli Istituti di prevenzione e di pena del ministero di Grazia e giustizia e
trasferito a Roma70. Il 19 novembre 1962, lo stesso Ministero trasmise a Dejean
copia del diploma con il quale il presidente della Repubblica gli aveva da poco
conferito l’onorificenza di “Commendatore dell’ordine al merito della Repubbli-
ca italiana”71.

Transizioni

Per comprendere meglio l’esito del caso Dejean è necessario spostare


l’attenzione su alcune figure chiave dell’intera vicenda, e in particolare sui ti-
tolari del procedimento giudiziario. Come è emerso più volte, l’operato del-
le locali autorità giudiziarie e di polizia fu determinato, in prima istanza, dalle
direttive politiche del ministro Azzariti, sulla cui complessa e discussa figu-
ra “simbolo della continuità istituzionale” tra fascismo e democrazia sono sta-
ti già espressi diversi pareri72. Tuttavia, bisogna rilevare che anche le decisioni
del commissario Gallo e del sostituto procuratore Sambenedetto, in merito alle
istanze di grazia, godettero di un certo margine di autonomia.
Il 16 agosto 1943, Azzariti autorizzò i procuratori del Regno “a disporre im-
mediata scarcerazione” dei detenuti politici, vincolandone però l’efficacia al pa-
rere del questore e all’approvazione del procuratore, alla tipologia di reato e
alle rigide misure restrittive nel caso degli “allogeni della Venezia Giulia et ter-
ritori occupati”. Su tali premesse, il sostituto procuratore Sambenedetto e il
Commissario Gallo, coadiuvati dal direttore Dejean, proposero la scarcerazione
di 25 dei 39 detenuti “politici” condannati dal Tsds. Dal provvedimento di gra-
zia furono esclusi i detenuti “comuni” e, a causa della loro provenienza, tutti i

70
Ministero di Grazia e Giustizia, Ruolo di anzianità della Magistratura e del personale del-
le cancellerie e segreterie giudiziarie, dei dattilografi, degli ufficiali e aiutanti ufficiali giudi-
ziari, dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena e degli archivi notarili, Anno
1960, Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1960, p. 708.
71
Copie dei documenti sono conservate nell’archivio di famiglia degli eredi Dejean.
72
Si rimanda ai già citati lavori di G. Scarpari, I magistrati, il fascismo, la guerra, cit., p. 22,
n. 42. A. Meniconi, La magistratura nella storia costituzionale repubblicana; G. Focardi, Le
sfumature del nero; G. Focardi, Arbitri di una giustizia politica: i magistrati tra la dittatura fa-
scista e la Repubblica democratica, cit., pp. 99-102; Dopo il 25 luglio. La Plutocrazia all’assal-
to dei codici, “Corriere della Sera”, anno 68, n. 253, del 26 ottobre 1943 -XXI. All’apice della
sua lunga carriera, Azzariti fu nominato presidente del Tribunale della razza. Nel governo Bado-
glio ricoprì la carica di primo guardasigilli, e nei primi anni della Repubblica, rivestì, dal 1957
al 1961, il ruolo di presidente della Corte costituzionale. L’ex Sottosegretario alla Giustizia Giu-
seppe Morelli nel 1943, a proposito di Azzariti, “topo di biblioteca, di mediocre ingegno, magi-
strato che non ha mai scritto una sentenza”, scrisse: “L’Azzariti dirigeva l’Ufficio legislativo […]
il che vuol dire che tutte le leggi fasciste, comprese i codici, sono state formate sotto la direzio-
ne di lui, con la collaborazione, ben s’intende, come egli stesso ha detto, di una eletta schiera di
giuristi, molti dei quali non fascisti, anzi antifascisti”.

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92 Giulio Mario Salzano

“politici” jugoslavi e greci. Nonostante le chiare disposizioni del ministro Az-


zariti, Gallo e Sambenedetto poterono vantare un’ampia autonomia decisionale,
se si considera che la scarcerazione dei 25 politici di Sulmona dipese, in ulti-
ma istanza, proprio dal riesame che i due svolsero sulle motivazioni per le qua-
li i detenuti erano stati deferiti e condannati dal Tribunale speciale per la dife-
sa dello Stato73.
I detenuti scarcerati da Gallo e Sambenedetto furono 25, diciotto comunisti
e altri sette antifascisti, tutti condannati per gravi reati nei confronti del pre-
cedente regime. La scarcerazione dei comunisti italiani, giudicati dal Tsds in
quanto elementi di “una associazione sovversiva (comunista) diretta a stabilire
violentemente una dittatura di una classe sociale sulle altre”74, in presenza di
ulteriori elementi, non sufficientemente emersi dalla documentazione consul-
tata, è un dato meritevole di approfondimento. Gallo e Sambenedetto “scon-
sigliarono” la liberazione dei rimanenti quattordici “politici”, tra i quali Car-
melo Salanitro, per la presunta gravità dei reati a loro addebitati. In merito
al rigetto dell’istanza di Salanitro, il Procuratore Sambenedetto addusse i se-
guenti motivi:

venne sorpreso mentre depositava in un orinatoio di Catania manifestini dattilografati, comu-


nicanti notizie atte a destare allarme e a deprimere lo spirito pubblico e a recare nocumento a
li interessi nazionali. Il 15 novembre venne fermato mentre teneva nascosti nella mano destra
altri 3 manifestini del genere e del seguente contenuto […] “siciliani non combattiamo; il vero
nemico dell’Italia è il fascismo”75.

73
Istanze Detenuti, in ASAQ, Procura Generale c/o Corte d’appello, anno 1943-1944, b. 1.
Ciò emerge chiaramente nel caso dell’avvocato Paolo Fasani, condannato a 22 anni di reclusio-
ne per “spionaggio politico e militare” e per aver “menomato il credito e il prestigio dello Sta-
to medesimo all’estero”. Il commissario e il procuratore rimodularono a favore del condanna-
to le conclusioni del Tsds. Sull’istanza di scarcerazione Sambenedetto scrisse: “Il Commissario
di P. S. ritiene che esuli dal fatto, lo scopo di spionaggio politico e militare a detrimento dell’in-
teresse politico e della sicurezza dello Stato e ritiene altresì che le mormorazioni fatte dal Fasa-
ni all’estero non abbiano potuto incidere minimamente sul credito e sul prestigio all’Estero del-
la Nazione Italiana. Comunque, […] la notizia sulla partenza delle personalità fasciste poteva
semmai attentare esclusivamente alla sicurezza delle medesime e non alla sicurezza dello Stato”.
Sulla scorta di tali considerazioni “ritenuti opportuni e giusti i rilievi fatti, ordiniamo la es-car-
cerazione di Fasani Paolo ai sensi dell’art. 589 CPP”.
74
Istanze detenuti, in ASAQ, Procura generale c/o Corte d’appello, anno 1943-1944, b. 1; Cfr.
Codice penale, Testo coordinato e aggiornato del Regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, artt.
270 e 272. Nella fattispecie gli articoli in questione, contestati alla maggior parte dei detenuti
politici comunisti, sanzionavano rispettivamente “chiunque nel territorio dello Stato promuove,
costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordi-
namenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordina-
mento politico e giuridico dello Stato [e] chiunque nel territorio dello Stato fa propaganda per
l’instaurazione violenta della dittatura di una classe sociale sulle altre, o per la soppressione vio-
lenta di una classe sociale o, comunque, per il sovvertimento violento degli ordinamenti econo-
mici o sociali costituiti nello Stato, ovvero fa propaganda per la distruzione di ogni ordinamento
politico e giuridico della società”.
75
Istanze detenuti, in ASAQ, Procura generale c/o Corte d’appello, anno 1943-1944, b. 1.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 93

Le offese al duce e al Führer, riportate nella precedente sentenza del Tri-


bunale speciale per la difesa dello Stato, non furono opportunamente rievoca-
te. Mussolini era stato oramai sostituito da Badoglio e l’alleanza con i tedeschi,
sempre più incerta, si avviava a conclusione.
Un ruolo chiave nella vicenda della deportazione fu svolto dal Procuratore
del re, Carlo Pierantoni. Secondo diverse testimonianze, nei giorni successivi
l’8 settembre 1943, Pierantoni avrebbe respinto la proposta del direttore Deje-
an di rimettere in libertà i detenuti della Badia76. Come altri suoi colleghi del-
la Corte d’appello del capoluogo abruzzese, il Procuratore aveva mostrato una
certa deferenza verso il passato regime. L’11 novembre 1944, dopo aver svol-
to un incarico temporaneo presso la Corte d’appello dell’Aquila, ottenne il tra-
sferimento alla Corte d’appello di Chieti, sua città natale. Il 7 febbraio 1945, il
delegato provinciale dell’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo
per la provincia di Chieti, Giuseppe Marcantonio, espresse importanti riser-
ve riguardo a tale decisione, in quanto la notizia del trasferimento di Pierantoni
provocò “pessima impressione” tra la popolazione del capoluogo teatino, poi-
ché la moglie, Contursi Titina77 “per molti anni è stata segretaria retribuita dei
fasci femminili. La stessa durante l’occupazione tedesca si faceva vedere tutti i
giorni in compagnia di ufficiali tedeschi”78. Nel maggio 1945, Pierantoni fu no-
minato presidente del Tribunale di Chieti. Per il Questore del capoluogo teati-
no, chiamato da Marcantonio a esprimersi sul magistrato,

Pierantoni risulta di buona condotta e incensurato. Era iscritto al p.n.f. ma non ha ricoperto
cariche politiche in seno al cessato regime né risulta che abbia svolto attività in favore dei na-
zi-fascisti durante la loro dominazione79.

Diversi mesi dopo, il primo febbraio 1946, giunse una lettera anonima al mi-
nistro di Grazia e giustizia, nella quale si legge:

Stupisce che si tenga ancora al posto di presidente del tribunale di Chieti […] quel poveruomo
che risponde al nome di Pierantoni Carlo […] che ha militato nel Partito fascista e dato allog-
gio per mercede a ufficiali tedeschi nel periodo dell’occupazione, che ha permesso alla mo-
glie, nota scalmanata fascista, di ricoprire cariche direttive nelle organizzazioni femminili del

76
Comunicazione inviata dal tenente comandante interinale Francesco Pastore della Legione
dei carabinieri reali degli Abruzzi, Compagnia di Sulmona all’Alto commissariato per le sanzio-
ni contro il fascismo Commissariato per l’epurazione, n. 366/5-1944, Sulmona 5 gennaio 1946,
loc. cit. a nota 46.
77
Nello stato di famiglia di Carlo Pierantoni si riporta il nome di Contursi Giacinta.
78
Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, delegato per la Provincia di Chie-
ti, n. 1051, Chieti 7 febbraio 1945, in ACS, Ministero di Grazia e Giustizia, 1851-1983, Uff.
Sup. Pers. e Aff. Gen. (1860-1949), Uff. Sec., Magistrati fascicoli personali 1860-1970, IV Vers.
1950-1970, b. 579 bis, fasc. “Carlo Pierantoni”.
79
Questura di Chieti, risposta al foglio n. 3861 del 19-7-1945 alla Delegazione provinciale
per l’Epurazione, Chieti, in Archivio di Stato di Chieti [d’ora in avanti ASCH], Prefettura, VII
versamento, Gabinetto, b. 77, fasc. 77/211.

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94 Giulio Mario Salzano

regime, percependo finanche un assegno mensile. E guarda ironia è toccato proprio a questo
magistrato di presiedere la commissione per la punizione di coloro che hanno esplicata attivi-
tà fascista80.

L’autore della lettera, evidentemente, seguiva da vicino la carriera del ma-


gistrato, poiché inoltrò la sua denuncia appena due giorni dopo la nomina di
Pierantoni alla presidenza della Commissione di I grado per l’avocazione dei
profitti del regime81. Della stessa Commissione faceva parte anche l’avvoca-
to e antifascista Luigi Orlando. Nella lettera di dimissioni che l’avvocato teati-
no, mai iscritto al Pnf, inviò l’8 agosto 1945 ai presidenti delle commissioni di
epurazione e al Cln di Chieti, deluso dalle farraginose procedure di epurazione
e “dalle gravi deficienze della legge 27 luglio 1944”, si legge:

il ritratto politico-morale di ogni incolpato subisce le più strane e arbitrarie deformazioni: si


è infatti constatato che […] gli ordini di polizia giudiziaria, ai quali si è prevalentemente co-
stretti a rivolgersi per le informazioni, con sistematica monotonia assicurano che ‘il tal dei ta-
li, sottoposto a procedimento di epurazione… è di buona condotta civile, morale e politica…
non ha mai commesso durante il passato regime abusi o soprusi… non ha mai dato prova di
settarietà o di intemperanza… dalla popolazione del suo paese è tenuto in buona considera-
zione. Tutti agnelli questi signori fascisti’. Per queste complesse considerazioni — conclude-
va Orlando — non ritengo più dignitoso continuare a collaborare in un processo di epurazio-
ne che si sta risolvendo in una meschina burletta82.

Le parole dell’avvocato Orlando ci restituiscono una lucida analisi sull’ineffi-


cacia delle procedure epurative che caratterizzarono non solo la provincia teati-
na, ma anche quelle dei territori limitrofi83.

80
Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, delegato per la provincia di Chieti,
n. 1051, Chieti 7 febbraio 1945, loc. cit. a nota 78.
81
Decreto ministeriale 30 gennaio 1945 relativo alla costituzione della Sezione speciale per
l’accertamento, i giudizi e la liquidazione dei profitti da avocarsi allo Stato, derivanti dalla par-
tecipazione o adesione al regime fascista, istituita presso la Commissione provinciale delle im-
poste dirette e indirette sugli affari di Chieti, inviata dal ministero delle Finanze, Div. III-a al-
la Prefettura di Chieti, 21 febbraio 1945, in ASCH, Prefettura, VII versamento, Gabinetto, b. 79,
f. 79/826.
82
Lettera di dimissioni dell’avvocato Lugi Orlando, 30 agosto 1945, in ASCH, Prefettura,
VII versamento, Gabinetto, b. 77, fasc. 77/211.
83
Charge No. UK 1/B 93, in National archives London (NAL), fasc. TS 26/752; doc. 95/1, in
Archivio Storico Camera dei deputati, Atti Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause
dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti; Corte d’appello degli Abruzzi, Pri-
ma presidenza al prefetto dell’Aquila, nomina della Commissione di epurazione presso l’ordine
professionale degli avvocati e procuratori di Sulmona, in ASAQ, Prefettura, Atti di Gabinetto, II
vers., Cat. IV, B. 37. È il caso, per esempio, dell’avvocato Rocco Santacroce, iscritto al Partito
nazionale fascista dal 1933, dopo l’8 settembre Pretore a Pratola Peligna, entrato a far parte, il
13 febbraio 1945, della Commissione di epurazione presso l’ordine professionale degli avvocati
e Procuratori di Sulmona, su designazione dell’Alto commissario per le sanzioni contro il fasci-
smo. Un anno dopo, l’avvocato Santacroce comparve nella lista dei “criminali di guerra” stilata
dai comandi Alleati. Nel suo ruolo di maggiore dell’Esercito Regio e vicecomandante del locale
campo di concentramento di Fonte d’Amore, secondo le accuse dei Procuratori militari inglesi,

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 95

La raccolta di attestati di stima per provare la propria adesione ai valori del


nuovo ordine democratico, o, al contrario, l’occultamento delle prove di even-
tuali coinvolgimenti con il passato regime, fu una pratica molto diffusa tra i
funzionari dello Stato e i magistrati collusi con il fascismo, grazie anche alla
“tradizionale solidarietà corporativa”84. Il 3 marzo 1946, il ministro di Grazia e
Giustizia inviò una nota al presidente della Corte d’appello dell’Aquila per chie-
dere ragione in merito alle accuse anonime sul conto di Pierantoni. Solamente
diversi anni dopo, nel 1951, grazie a un rapporto sulla nomina di Pierantoni a
consigliere della Corte di cassazione (ruolo che ottenne), si seppe che le indagi-
ni sul suo conto non erano state mai avviate85.
L’assoluzione di Dejean fu firmata dal giudice Giovanni Petraccone, all’epo-
ca presidente della Sezione istruttoria della Corte d’appello dell’Aquila. Iscritto
al Pnf dal luglio 1933 e consigliere di Corte di cassazione, Petraccone era sta-
to uno dei firmatari del Manifesto della razza e con Antonio Manca aveva ri-
coperto il ruolo di consigliere del Tribunale della razza presieduto da Gaetano
Azzariti. Il 2 dicembre 1944 Petraccone fu prosciolto dalla Commissione per
l’epurazione del personale del ministero di Grazia e giustizia dall’accusa di

aver partecipato attivamente alla vita politica del fascismo […] quale membro del Tribunale
della razza e della delegazione italiana nel comitato giuridico italo-tedesco; per aver fatto ri-
petutamente apologia del fascismo, mediante conferenze e scritti

Cinque giorni dopo, l’Alto commissario aggiunto per l’epurazione, Mauro


Scoccimarro, sulla base di una più accurata analisi del fascicolo, in cui eviden-
ziava l’indubbia attività apologetica del magistrato nei confronti del fascismo,
chiese formalmente la sua dispensa dal servizio, riaprendo, di fatto, la procedu-
ra di epurazione. Dopo uno scambio di note tra Scoccimarro e la Commissione
ministeriale per l’epurazione, il 28 aprile 1945 la Commissione centrale per l’e-
purazione rigettò il ricorso dell’Alto commissario. Il 30 aprile dello stesso an-
no Petraccone fu nominato primo presidente della Corte d’appello dell’Aquila86.
La posizione del procuratore Salvatore Sambenedetto nei confronti del regi-
me fascista, in attesa del versamento del suo fascicolo personale, resta ancora

non garantì ai prigionieri Alleati le condizioni previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929.
84
Andrea Martini, Dopo Mussolini, cit., p. 113.
85
Il 14 marzo 1946, in risposta alla richiesta del ministro, il primo presidente della Corte
d’appello dell’Aquila scrisse: “Per quanto riguardi i fatti accennati nell’esposto a carico del Pre-
sidente Pierantoni del Tribunale di Chieti non siano gravi, parmi non sia da escludere la conve-
nienza di un’indagine. Non ritengo sia il caso di rivolgermi al Prefetto o al Comando dei RR.
CC. (salvo diverso avviso di cotesto Ministero); e vorrei valermi dell’opera di un magistrato”.
86
Stato Matricolare di Giovanni Petraccone, in ACS, Min. Grazia e Giustizia 1851-1983, Uff.
Sup. Pers. e Aff. Gen. (1860-1949), Uff. Sec., Magistrati fascicoli personali 1860-1970, IV Vers.
1950-1970, b. 427, fasc. “Giovanni Petraccone”; Atti relativi al ricorso proposto da Alto Com-
missario contro Petraccone Giovanni, consigliere di Corte di cassazione, in ACS, ministero di
Grazia e giustizia, Direzione generale dell’organizzazione giudiziaria, Epurazione, b. 12.

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96 Giulio Mario Salzano

da chiarire. Nel 1947 fu promosso al grado VIII della magistratura87. Il sosti-


tuto procuratore, al quale diversi testimoni attribuirono le responsabilità del-
la mancata scarcerazione dei 14 “politici”, continuò a svolgere il suo lavoro nel
tribunale di Sulmona almeno fino ai primi anni Sessanta88.
Il commissario aggiunto Ambrogio Gallo restò a Sulmona sino al mese di
aprile 1944. Il primo marzo era stato affiancato dal “commissario aggiun-
to” Vincenzo Sciuba, proveniente da Genova e inviato a Sulmona dalle autori-
tà della Rsi, su istanza dell’allora prefetto dell’Aquila Vittorio Manti, poiché “il
Commissario [Gallo] non dava alcuna collaborazione con le autorità germani-
che”. Tempo dopo, nella scheda inviata alla Commissione d’epurazione, il que-
store dell’Aquila Balzarano scrisse:

Con l’occupazione di Sulmona da parte dei patrioti e delle truppe inglesi, il Gallo fu allon-
tanato dall’ufficio, ma non si è mai potuto sapere per quali specifici motivi si fosse agito co-
sì contro di lui. La sua azione durante il periodo repubblicano [fu] indubbiamente passiva89.

Conclusioni

L’inevitabile coinvolgimento di quei magistrati già protagonisti della lun-


ga stagione giudiziaria fascista nel processo di transizione alla democrazia,
pose, già tra i contemporanei, non pochi interrogativi sulla reale efficacia dei
processi ai collaboratori dei tedeschi e del passato regime. Molti di essi si oc-
cuparono di casi particolarmente delicati “sebbene non [fosse] stata preven-
tivamente attivata alcuna forma di epurazione professionale”90. L’inchiesta,
partita dalle procure siciliane su istanza dell’Alto commissariato per la puni-
zione dei delitti del fascismo, giunse alla Procura di Sulmona e fu quindi af-
fidata, su specifica richiesta del ministero di Grazia e giustizia, Direzione ge-
nerale per gli istituti di prevenzione e di pena, alla Procura generale presso
la Corte d’appello dell’Aquila91. Il caso Dejean fu istruito e chiuso dai giudi-
ci ordinari della Sezione istruttoria della Corte d’appello dell’Aquila con la

87
Il Mondo giudiziario. Quindicinale di cultura giuridica e di informazioni di vita giudizia-
ria, Bollettino della Giustizia n. 5 del 16 marzo 1947, p. 87.
88
Il suo fascicolo personale non risulta versato all’Archivio Centrale dello Stato. Nel 1960,
Sambenedetto era ancora sostituto procuratore a Sulmona. Cfr. ministero di Grazia e giustizia,
Ruolo di anzianità della Magistratura, cit., p. 95. Nel documento del ministero si riporta, forse
erroneamente, il cognome “Sanbenedetto”.
89
Risposta alla Nota 5279 del 29/5, ogg. Epurazione dell’Amministrazione della P.S., Regia
Questura dell’Aquila al ministero dell’Interno, 6 luglio 1945, in ASAq, Prefettura Atti di Gabi-
netto, II vers. Cat. IV, b. 33, fasc. IV-5.
90
Toni Rovatti, Tra giustizia legale e giustizia sommaria. Forme di punizione del nemico
nell’Italia del dopoguerra, in G. Focardi, C. Nubola (a cura di) Nei tribunali, cit, p. 21.
91
Il giorno successivo fu pubblicato il Dll. 5 ottobre 1945 n. 625, con il quale si istituivano,
in tutti i capoluoghi di provincia del regno, le Sezioni speciali delle Corti d’assise.

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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 97

piena assoluzione dell’imputato. Nonostante i chiari elementi emersi duran-


te le indagini e la fase istruttoria del processo, non fu mai individuato alcun
responsabile né tra le autorità italiane né tra quelle tedesche d’occupazione.
La complessa questione dei condannati dai Tribunali italiani nei territori oc-
cupati, due volte deportati, fu per sempre archiviata senza il doveroso ristoro
della giustizia92.
Il processo Dejean evidenzia tutte le criticità dei provvedimenti governativi
nei mesi che intercorrono tra l’Armistizio e la fine della guerra. Il caso in esa-
me “ha consentito — come in molti altri esempi riportati dalla letteratura sto-
riografica — di infrangere la tradizionale immagine dei magistrati rappresen-
tati come arbitri imparziali” nella transizione dalla dittatura alla democrazia93.
I vincoli di solidarietà che si strinsero attorno al direttore Dejean accomunaro-
no uomini di chiesa, partigiani, rappresentanti della locale autorità giudiziaria,
delle forze dell’ordine, delle autorità civili e militari, molti dei quali rimasti al
servizio degli occupanti e della Repubblica sociale. Tutti furono concordi nel
descrivere “l’umanità e la benevolenza” del direttore e la “fiducia” che i parti-
giani nutrirono nei suoi confronti. L’assoluzione di Dejean può essere solo in
parte ricondotta al corto circuito del sistema giudiziario in vigore nei primi
mesi del dopoguerra. La Sezione istruttoria, nel ridisegnare il profilo di Deje-
an esclusivamente sulla base delle testimonianze raccolte tra i suoi più stret-
ti conoscenti e collaboratori, ricondusse le responsabilità dell’intera vicenda in
parte ai limiti del provvedimento del ministro Azzariti e in parte all’impossi-
bilità dell’imputato di opporsi alle operazioni militari delle truppe tedesche di
occupazione.
Resta da chiarire il lungo e mai interrotto silenzio dei locali testimoni chiave
del processo, e il loro tentativo, ben riuscito, di sottrare alla memoria pubblica
uno dei peggiori crimini commessi durante l’occupazione nazifascista dell’A-
bruzzo94. Del resto, solo due dei circa quattrocento deportati erano abruzzesi.
Si trattava di detenuti comuni; un fattore irrilevante per generare qualsiasi ef-
fetto di protesta spontanea oppure organizzata, come era avvenuto già altrove.
Con l’assoluzione di Dejean in fase istruttoria non si giunse mai a quella “fun-
zione catartica” dei processi per collaborazionismo in cui l’attenzione dell’opi-

92
I tribunali italiani d’occupazione che emanarono le sentenze, citati nei registri matricolari
di Sulmona, sono: il Tribunale speciale di Zara, il Tribunale speciale per la Dalmazia, il Tribu-
nale militare di guerra della II Armata, il Tribunale di guerra del Comando Supremo delle For-
ze Armate Slovenia-Dalmazia, il Tribunale militare di Cettigne (Montenegro), il Tribunale spe-
ciale di Sebenico, il Tribunale militare di Rodi nell’Egeo e i cosiddetti “Tribunali militari PM
10; PM 45; PM 23; PM 110 e PM 142”.
93
Andrea Martini, Dopo Mussolini, cit., p. 15.
94
Molti anni dopo i fatti, la sorte dei deportati era ancora sconosciuta. Il 29 aprile 1968,
l’allora amministrazione del carcere di Sulmona, in una lettera ai congiunti di Michele Citta-
dino, deportato a Dachau, scrisse: “Dai registri matricolari di questo ufficio, risulta che il pre-
detto detenuto, in data 8.10.43, venne prelevato dalle truppe tedesche e deportato per ignota
destinazione”.

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98 Giulio Mario Salzano

nione pubblica e della folla aveva scatenato, in casi simili, “una vera e propria
caccia all’uomo” con esiti talvolta drammatici95.
I protagonisti dell’intera vicenda, se si escludono le vittime, dimostrarono
l’assoluta fedeltà ai ruoli istituzionali che di volta in volta furono chiamati a
rappresentare. Ognuno di essi si contraddistinse per l’abilità mimetica mostra-
ta in tutte le fasi che scandirono il passaggio dal regime fascista all’Italia re-
pubblicana. Nel caso dei magistrati e degli altri funzionari dello Stato, ciò fu
possibile grazie alla scelta, non da tutti condivisa96, di aderire in maniera acri-
tica e indiscussa a una serie di valori tra loro incompatibili e contraddittori. L’i-
nefficacia dei provvedimenti epurativi contribuì, inoltre, alla sopravvivenza di
un apparato in cui ognuno dei protagonisti della vicenda, in linea con quan-
to accadeva nel resto del paese, riuscì a conservare il proprio ruolo, pur aven-
do chiaramente rivestito incarichi in sistemi politici tra loro decisamente anta-
gonisti. “I conservatori filofascisti e filoborghesi ci legano le mani — si poteva
leggere su un manifesto affisso dai partigiani per le vie di Sulmona, subito do-
po la fine della guerra — un tentativo di epurazione è stato stroncato nel nome
dell’illegalità”97.

95
La memoria richiama il caso del direttore di Regina Coeli, Donato Carretta, il quale, sep-
pur in un diverso contesto giudiziario, nell’autunno del 1944 era stato brutalmente linciato dal-
la folla durante il processo per i fatti di via Rasella. Cfr. Andrea Martini, Dopo Mussolini, cit.,
p. 37.
96
Cfr. Maria Elisabetta Tonizzi, Magistrati nella Resistenza: il Distretto giudiziario della Li-
guria, 1943-1945, “Italia contemporanea”, n. 291, 2019, pp. 15-38; G. Scarpari, I magistrati, il
fascismo, la guerra, cit.; Consiglio superiore della magistratura (a cura di), La magistratura nel-
la lotta di liberazione: i caduti, Roma, 1976. I magistrati Giovanni Colli in Veneto, Luigi Bian-
chi D’Espinosa in Toscana, Vincenzo Giusto in Piemonte, Francesco Drago in Liguria, per ci-
tarne alcuni, abbandonarono il posto di lavoro per unirsi ai movimenti di Resistenza e alle forze
Alleate. Il sostituto Procuratore del Re presso il Tribunale dell’Aquila, Mario Tradardi, alla fine
del 1943 si unì ai patrioti della Brigata Majella. Fu ucciso da una mina antiuomo il 16 dicembre
1944 durante un’azione contro gli occupanti tedeschi in Emilia-Romagna.
97
Toni Rovatti, Ansia di giustizia e desiderio di vendetta. Esperienze di punizione nell’Ita-
lia del Centro-nord, 1945-1946, in Enrico Acciai, Guido Panvini, Camilla Poesio, Toni Rovatti
(a cura di), Oltre il 1945 Violenza, conflitto sociale, ordine pubblico nel dopoguerra europeo,
Roma, Viella, 2017, pp. 73-87, p. 81.

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