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Giovanni Girolamo Arconati Lamberti

Quattro lettere sull’estrazione dei metalli dalle


miniere, sul mercurio e la fabbricazione della pietra
(pseudo Giuseppe Francesco Borri)
1681

ROBERTO ZILETTI EDITORE


MMXX
Da La Chiave del Gabinetto del cavagliere G. F. Borri Colonia
(Ginevra) 1681

Come estrarre il metallo dalle miniere.

Al signor N. Turino.

Dalla sua vedo, come nel vicinato della Savoia, V. S. ha trovato alcune
miniere il cui valore V. S. non sa per non avere il segreto di estrarre il
metallo dalla terra, e come desidera che io glielo dia. Cosa che gli dirò.

Che molti s’appongono verso le le Alpi a cercare miniere, ma io stimo


che non vi sia profitto di rilievo, perché mi sembra che non vi sia tanto
calore che sia sufficiente per cuocere la terra disposta. Pure perché
potrei ingannarmi, la soddisferò in quanto mi domanda.

In ogni miniera vi è qualche sorta di mercurio volatilissimo, e gran


quantità di solfo, pure volatile al maggior grado. Ora questi sono come
gli uccelli rapaci, che pigliano sovente il migliore, e se ne volano colla
bocca piena, sì che alle fiate se non si trova metallo fino nelle miniere,
non è già che non ve ne sia, ma perché il solfo lo porta seco, quando
viene scacciato dall’ardore del fuoco.

Che bisogna dunque fare  ? Bisogna fare in modo di pasturare questo


solfo, questo uccello rapace, affinché avendo il becco pieno, non possa
pigliare il metallo fino, e così possa rimanere in fondo al crucciuolo,
quando coll’ardore del fuoco e del flusso si fa separare dalla terra
impura, e si fa staccare da quelle parti terrestri, cole quali è
conglutinato dal mercurio.

Ora per fare tutto questo, il più bello e migliore espediente, è di


polverizzare la miniera sottilmente e poi metterla in un crucciuolo, e poi
metter sovra la miniera un po’ di candela di sevo, che serve per far
resistere il crociuolo all’ardore del fuoco, e poi mettervi due parti del
flusso la cui composizione si fa così. Si pigliano due parti di Tartaro,
due parti di Borace, una parte di salnitro ed un carbone polverizzato e
si polverizza e mischia tutto assieme. Di poi si mette nel fuoco il
crociuolo, nel quale si è posta la miniera ed il flusso composto come
sovra, e se le dà gran calore, e fra tanto si mette un ferro per roventare
nel fuoco, dopo di che si piglia il detto ferro rovente, si getta un poco di
flusso nel crucciuolo, e si mescola col detto ferro reiterando questo per
cinque o sei volte in tempi differenti, non temprando mai l’ardore del
fuoco, al contrario aumentandolo. Si vede poi se la materia è
squagliata, e per conoscer ciò, si guarda col ferro rovente, se la miniera
fa un filo nel levarla in alto col detto ferro rovente, e se fa il filo è
squagliata .

Quando avrà fatto il detto filo allora si getta nel crociuolo due pizzichi
grossi di flusso, che si deve mischiare colla materia squagliata, e ciò col
ferro rovente, e poi si deve cuoprire bene di fuoco il cruciuolo, e far in
modo di dargli un calore eccessivo, fin che si possa stimare che il
metallo è separato dalla terra, allora si leva il crocciuolo, si lascia
raffreddare, e, raffreddato so fragne e si pista cola materia, che si sarà
congelata, e poi con una coppa si lava la polvere facendola dissolvere
coll’acqua, e rimarrà il solo metallo.

Che se si vuol vedere che cosa sia il metallo, lo può toccare alla pietra
del paragone, e poi sulla linea lasciata impressa sulla pietra mettervi
una goccia d’acquaforte, la quale leverà ogn’altro metallo, cioè il
vestigio d’ogn’altro metallo, e lascerà solamente vestigio dell’oro.

E se si vuol fare colla separazione si metterà questo metallo in un vaso


di vetro col collo lungo, e si metterà sopra qualch’oncia d’acqua forte, e
poi sulle ceneri calde l’acqua forte fa volare, e dissipa, ogn’altro
metallo., e se vi è oro lo polverizza sottilmente, facendolo precipitare al
fondo. Che se si vuol vedere che vi sia argento nell’acqua forte
dissoluto, si getta l’acqua forte in un vaso dove vi sia molt’ acqua di
pozzo, e mischiatale bene, si mette al fondo un pezzetto di rame di
miniera, e tutto l’argento si ragunerà, come una schiuma, intorno al
rame.

Vi sono alcuni che invece di rame, gettano sull’acqua qualche goccia


d’oglio di Tartaro, il quale fa precipitar al fondo tutto l’argento dissoluto
dall’acqua forte, e così pesando l’oro e l’argento, si sa a proporzione il
valore della miniera, la quale deve pesarsi giusta prima di metterla nel
crociuolo.

Che se vuole solamente vedere se una miniera contiene oro si può fare
un’altro flusso, che consumerà ogn’altro metallo, eziam Dio d’argento e
non rimarrà che l’oro solo.

Questo flusso si fa così.

Si piglia Tartaro e Salnitro parti uguali, e si fanno bruciare in una


scodella di terra, e della materia che rimane e che si polverizza se ne
mette il doppio colla miniera già pesata e polverizzata, e vi si aggiunge
la quarta parte di sublimato con un poco di borace, e se le dà fuoco
grande, poi si mette il ferro rovente dentro per vedere se la miniera è
squagliata e quando sarà squagliata, vi si getta ancora un poco di
borace, con un poco del detto flusso, e si fa il rimanente come ho
detto. Queste materie di flusso fanno che il solfo volatile fugge, e lascia
il metallo fino.

Gius. Francesco Borri

Tre lettere sul mercurio e la fabbricazione della pietra

1) Mando a V. E. la meditazione che feci a Roma sovra la produzione


de’ metalli naturalmente ed in modo artificiale della Pietra Filosofale ; la
quale vostra E. mi chiede. L’assicuro che è molto ch’io l’abbia ancora
conservata fra pochi papelli, che meco ho portato nelle mie
preseenzioni.

Eccola tale quale la feci.

La natura invia continuamente dal centro della terra un vapore caldo ed


umido, qual’è il principio di ogni produzione vegetale e minerale.
quando questo si giugne alle parti terrestri, ne accumula alcune che
unisce e compone, così li misti che non sono diversi che per la diversità
della materia, ma che sono tutti animati da un sol mercurio, di cui i
metalli sono formati così.

Quando passa à traverso d’una terra secca, sottile e sulfurea, vi si


giugne facilmente, e ne è attratto, perché tutto il suo secco vuol essere
inumidito, e come questo mercurio è spinto dal calore centrale che lo
inalza continuamente, passa oltre carico però di qualche porzioncella di
terra. Finché trova la volta delle caverne de’ monti, donde cade su
questa terra, già inumidita nel passare, donde viene di nuovo rispinto in
alto dal calore più caricato di terra  ; il che lo fa ricadere più presto e
dopo varie sublimazioni e precipitazioni, in fine tutto questo Mercurio
vien sorbito dalla siccità della Terra, e cotto indi con essa  : col calore
interno se ne forma il misto chiamato metallo, la cui materia come
altresì la forma sostanziale, è la stessa in ogni metallo, che non è
differente tra se che accidentalmente, cioè per il peso e colore.

Questo peso che è ne’ più perfetti proviene per la mescolanza di parti
materiali ed eterogenee, che impediscono il perfezionarsi delle
omogenee.

Il colore diverso proviene dalla stessa causa.

Si che se si volesse fare quanto fa la natura circa i metalli,


bisognerebbe pigliare questa terra secca sottile e sulfurea, e questo
Mercurio o vapore umido e caldo, poi chiudendoli assieme, sublimarli e
circolarli, finché si fissassero in sostanza metallica, la quale si farebbe
infine Oro, e tanto più agevolmente quanto si potrebbe impiegare un
calore maggiore del centrale. Ma il disegno del Filosofo non è che di
fare una polvere sottile, squaglievole, penetrante, fissa e tingente,
affinché si possa squagliare al minimo calore, colla sua sottigliezza
possa insinuarsi ne’ pori del metallo, e colla sua penetrazione
mischiarsi in tutte le parti fino al centro per unirle, scacciandone le
eterogenee che impedivano quest’effetto, e colla tintura secchi l’
imperfetto e metti il perfetto. Ora, non vi è polvere più propria per
questo che quella che ha servito alla natura per tal effetto, perché
quando sarà perfezionato dall’arte, non solamente fisserà quanto
fissava prima, ma anche lo stesso vapore condensato in metallo, come
si può vedere nell’esempio della farina, che avendo la virtù di fermar
l’acqua, e di condensarla in pasta tenera e mole, indurisce e secca la
pasta se vi si mette altra farina  ; ma se invece di farina cruda si
mettesse nella pasta del biscotto macinato, la disseccazione si farebbe
più pronta, più forte e più eccellente.

Ora bisognerebbe cercare questa materia, ma come viene celata dalla


natura, si può pigliare quella che ci dà già cotta e molto preparata, e
senza mistione di parti eterogenee, come è quella dell’oro, la quale è
come il detto biscotto, che potrebbe senz’arte disseccare le altre paste
più che non sono, perché si sottigliasse e che si potesse mischiare con
esse. E tutta l’arte consiste di assottigliare perfettamente il sale, e ciò
non si può fare che con l’aprirlo, e dissolverlo, e come non è coagulato
che dalla unione del Mercurio à tutte le sue parti materiali, che tiene
unite colla sua qualità vischiosa, non si ponno disunire che col separare
coll’arte quest’umore col suo simile, nel quale, avendo gettato l’oro lo
dissolve incontinente, perché ha il mezzo, colla sua sottigliezza ,
d’entrare ne’ pori dell’oro, dove introdotto, si giunge col suo simile, ed
abbandonando le parti materiali che unisce, lo dissolve perfetto e
radicalmente.

Ora tutta la difficoltà consiste ad avere questo Mercurio che sia


indeterminato, perché quello che è ne’ metalli è specifico. Ora questo,
che è dissolvente, si deve trarre dalla Magnesia, dove è inviluppato
dalla natura, d’onde si trae puro ed indeterminato, ed in quantità dopo
di che avendo eccitato un poco la sua virtù dissolvente ed avendolo
preparato con qualche concozione, nella quale consiste la prima
operazione, ed avendolo posto in stato di dissolvente perfetto, gli si fa
divorare il corpo, cioè vi si fa dissolvere l’oro imitando nel rimanente la
natura, come si è detto, e come dirò a V. E. per altra mia, non avendo
adesso il tempo di poter scrivere di vantaggio, essendo l’ora tarda, e la
posta sul punto di partire. Mi riserbo dunque ad un’altro ordinario, e fra
tanto la supplico di credere che sono con rispetto

di V. E.

da Amstelodamo lì 15 febbraio 1662

Umilissimo ed Ubb.mo Serv. Re

G. Francesco Borri

2) - Eccellentissimo Signore

L’onore che V.E. mi fa colla sua di chiedermi intenzioni per la decantata


Pietra Filosofale, come le prometto in altra mia, mi spinge a
compiacerla, quantunque avessi determinato di non comunicar il
segreto a chi si sia. Tanto più che conformando forsi V. E. il più liquido
del suo alla traccia di questa, gli potrà servire di fanale per evitare gli
scogli ne’ quali senza dubbio V. E. scassinerà col lasciarsi portare senza
maturità a frutti d’una speranza vana per suggestione di qualche
chimerico Alchimista.

So che vi sono molti che avendo udito parlare della scienza de’ sapienti
(ecc.) ò letto in qualche libro gli effetti mirabili di quella, il minimo de’
quali è di far oro ed argenti in finito, lasciandosi trasportare dal desio
naturale dell’uomo di esser ricco, si persuadono agevolmente della
verità di tali effetti. A tal segno che lasciano tutto per gir in traccia di
questo Vello Amfrisio, prefiggendosi che per arrivarvi non si ha che à
fabbricar fornelli, abbracciar carboni e fragnere vetri, lusingandosi con
tal falso discorso che se altri vi è pervenuto, eglino lo potranno
conseguire, sì che per ogni mezzo la tracciano colla lettura, col
continuo lavoro, con iscaltrezza da stimati Alchimisti, ed avendo
acquistato quattro Recipe chimici, li conservano con tanta cura, e
leggono e rileggono ogni giorno con tanto piacere quanto ne ha un
Ricco avaro nel numerare i suoi ori, ma pretendendo poi di metter in
esecuzione i loro segreti, si trovano fuori di stato di apporvisi, ò per
mancanza di comodità o di danaro, difetto più ordinario di tali persone
sì che per porvi rimedio hanno ricorso alla borsa altrui dopo aver
vuotata la propria, e per allettare e spingere quelli che credono averla
piena, ad aprirla loro tanto più liberamente, non promettono loro cosa
minore che di farli più ricchi che gli stessi Re, eglino che sono i più
poveri e meschini del mondo, e per dominar meglio tali animi creduli,
dopo aver esagerato tre o quattro delle loro operazioni, il minimo delle
quali vale tesori, e che chiamano infallibili, ed esperimentare, dopo
l’enunciazione di qualche storia , che non manca mai in simil’
occasione, protestano, anche con giuramenti, che dopo ciò faranno
ben vedere cose maggiori che non vogliono dire perché vogliono prima
vedere se sene dà loro motivo, allettando e lusingando così gli occhi di
questi creduli, ed empiendo il cuore di speranze sì sode, che
s’immaginano di già di divenir Cresi, non badando che tali speranze
ingannatrici li precipitano in uno stato deplorabile, se non si
disingannano à buon’ ora con un dolore immortale, che rimarrà loro
d’un’ applicazione della quale invece di trarre il prefisso contento, non
riportano che miseria e confusione, non avendo altro di Creso che le
apparenze d’un giumento.

Dopo la mia partenza d’Italia ho incontrato vari di questi creduli, e molti


ne ho disabusati con preste operazioni, quantunque non abbi fatto
comune il vero segreto. Incontrai sovra tutto prima di ritirarmi sotto
questa Maestà, la Regina Cristina di Svezia nella città di Amborgo, che
preoccupata da tai desideri, ha voluto da me qualche istruzione, ma
non ero portato dall’inclinazione à scoprirle il midollo, essendomi
accontentato di dare il succo à qualche operazione, per la quale,
avendo speso grosso contante, si saziò di farmi più oltre procedere.
Trovai dopo questo Rè molto inclinato à tal ricerca, ed invero mi vi porto
con sincerità per rendergli comune la mia scienza.

Avendolo disingannato di varie cose , che simili detti ingannatori posto


gli avevano in capo per trarne denaro, in vece d’insegnargli a farne.

Stimo V. E. troppo prudente ed accorta per essersi mai lasciata


illabirintare dalle ciarlatanerie di tali Calcanti, ma come il desio naturale
che V. E. ha di sapere potrebbe farla sdrucciolare nel galappio, facendo
io riflesso alle ubbligazioni che le ho, ho voluto bene dargliene
l’istruzione per mostrarle la strada che si deve tenere per non essere
ingannato e di non lasciarsi preoccupare dalle false proposizioni di tali
ingannatrici sirene, ma di far le cose alla lieve ma con fondamento, per
riuscire nella giusta fatica. E’ ben vero che la supplico umilmente di
tener celata questa mia in un ripostiglio più segreto del suo più caro
scrigno, affinché non cada in altra mano, che potrebbe rendere troppo
usuale questo tesoro, che deve tenersi in pregio per la sua rarità.

Afferri bene V. E. ch’io gli discorrerò di tutto come si deve.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E., sa che in ogni imitazione vi vuole la causa efficiente e la materiale,


perché di niente non si può fare qualche cosa, si che è d’uopo che vi
sia qualche soggetto che precede. Dio solo ha fatto per la creazione
qualche cosa di niente, e dopo che ebbe creato il mondo, ha voluto che
tutto fosse supposto ad una perenne mutazione. Quanto è, comprende
tutti li corpi naturali, e ciò è la materia.

Ogni corpo ha la sua forma sostanziale naturale, e partecipa delle


quattro prime qualità, ed oltre ciò che ha la sua consistenza, alle qualità
secondarie. Questa forma dà l’essenza al corpo, e da tal forma si
distinguono gli spiriti da’ corpi naturali, gli uni dagli altri per le qualità,
talmente che uno si chiama di temperamento caldo, l’altro umido, l’altro
secco, l’altro temperato di queste qualità ; così la consistenza non dà la
forma, perché bisogna distinguere l’uno dall’altro per le qualità
secondarie che sono molte come durezza e mollezza , rarità o
spongiosità, gravità o leggerezza, aridità o viscosità ed altre affezioni
corporali. Ora tali corpi non hanno avuto la forma, il temperamento e la
consistenza da se stessi, ma da qualche esteriore, così non ponno
perdere queste loro prime cose, se non per qualche causa efficiente
che muova la materia per levarle la sua prima forma, temperamento e
consistenza, e dargliene altre che siano nuove.

Ciò non solo de’ corpi naturali, ma altresì artificiali s’intende. A’ quali
vien mutata figura, perché un chiavaro non potrebbe fare una chiave, né
il ferro potrebbe da se divenir chiave e mutare la sua figura primiera
senza il chiavaro, il ferro è la materia della chiave, e la maestria del
chiavaro la causa efficiente  ; la materia che può mutar forma , od è
aliena, cioè lontana, o prossima.

La prima è quella che deve mutar molte forme prima di pervenire a


quella che si desidera. La prossima è quella che con poca mutazione
piglia immantinente la forma che si vuole. La materia della quale si fa
l’oro artificiale, non è quella di cui si fa l’oro nelle miniere della terra,
perché è impossibile  ; ma la materia prossima è il mercurio volgare, e
quello che è ne’ metalli, cioè nell’Argento, nello stagno, nel piombo, nel
Rame, nel ferro, posciachè l’oro, secondo la sua materia, non è che
mercurio puro, cotto in ultimo grado di concozione metallica  ; ed il
Mercurio volgare non è che un’oro puro, crudo ed indigesto  ; ed i
metalli, quanto alla materia loro, non sono che mercurio impuro un
poco più digerito nel volgare, ma non tanto quanto l’oro. Perciò,
affinché il mercurio volgare diventi oro, non gli manca che d’essere
cotto, ed affinché i metalli imperfetti si convertano in oro, è necessario
che si spoglino delle loro impurità e sostanze esteriori della natura del
mercurio, e che il loro mercurio che rimane sia finito di cuocere. La
causa efficiente è quella che può cuocere, digerire e tingere il mercurio
volgare in oro, e che può nettare e purgare gli altri metalli dalle loro
impurità, talmente che non vi rimanga che la materia pura del loro
mercurio, e di digerirli e tingerli.

Con tutto quanto ha tal virtù fa l’oro, e per me per quanto riguarda
l’argento massime che è molto puro e digesto ed assai simile alla
natura dell’oro, ho sovente con cemento de’ sali ed altre cose che
purgano e digeriscono, estratto oro dall’argento.

Quanto agli altri metalli è difficile, anzi, nel cimentare l’argento, le spese
superano l’utile ed il guadagno per il calo e la fatica che richiede. Alcuni
stimano che bisogna estrarre il mercurio de’ metalli, e cuocerlo con
calce d’oro, e con ciò dicono che l’estraente è in parte la causa
efficiente coll’aiuto del fuoco  : sovra di che stimo che se i Mercuri di
metalli ponno essere estratti potranno essere più tosto cotti dalla calce
dell’Oro, che il mercurio ordinario per la sua gran frigidità, umidità ed
indigestione, e che tal mezzo particolare è vero, ma l’artifizio di estrarre
i detti mercurj è malagevolissimo e faticoso, e di molti, che millantano di
saperne l’estrazione, non ne vedo uno che consegua l’intento.

Vi è un’altra causa efficiente e tracciata dagl’ingegnosi all’esempio de’


sali che purgano e digeriscono e che chiamano pietra o polvere d’oro,
che in un momento, per progezione sul mercurio comune, lo digerisce e
tigne in vero oro, e quanto à metalli imperfetti li purga, digerisce e tigne
in un momento.

Io la chiamo Pietra Filosofale d’oro, posciachè come la pietra filosofale


si squaglia e risolve in tutti li liquori ne’ quali vien posta, tal pietra o
polvere fa il simile, e come la prima purga digerisce e dissecca colla
sua virtù dissecutiva l’umidità superflua d’ogni cosa, così questa fa lo
stesso verso l’impurità de’ metalli coll’aiuto del fuoco, si che non
rimane che il mercurio puro di quelli, il quale collo stesso mezzo
digerisce e riduce alla sua qualità, come altresì nel consumare l’umidità
superflua del mercurio comune, lo forma e lo fissa ; e come ogni corpo
che si liquefà in acqua la tigne del suo colore, come il zafferano, così
questa tigne il mercurio comune e quello de’ metalli nel suo colore, e
come ogni cosa cotta è soda, così i Mercurj, tanto comuni che de’
metalli , cotti in questa pietra, sono sodi. Ed il vocabolo di Alchimia
denota che si deve fare una pietra filosofale squaglievole, La Pietra
Filosofale d’oro dunque è quella che informa la materia, cioè il mercurio
comune, ò quello de’ corpi imperfetti in vero oro. Come la natura non
hà fatto questa pietra filosofale d’oro, è d’uopo farla coll’arte, aiutando
con questa la natura per estrarla dalle cose nelle quali si trova
naturalmente. Ed io stimo che si debba estrarre dall’oro, perché ogni
simile fa il suo simile: Di più, come l’oro non è che un mercurio più cotto
e digesto che il comune e quello degli altri metalli, come questo lapis
non è altro che più cotto dell’oro, l’arte comincia dove la natura finisce,
cioè lo scopo della natura è l’oro, ed in esso comincia l’arte per
generare le tinture che sono nel lapis. Di più in ogni cosa vi è la causa
efficiente, ed il paziente non è come la materia. Nelle generazioni de’
metalli che constano d’umido e secco proprio alla natura metallica, il
mercuri è l’umido , che patisce d’esser congelato ed è freddo ed
umido, ed il secco terrestre è quello che opera e congela l’umido. Ora, i
Mercurj de’ metalli ed il comune sono tutti simili, e non sono differenti
che nelle qualità ed accidenti, essendo gli uni più o men cotti degli altri
e sono materia comune di tutti li metalli. Ma i loro secchi terrestri che li
congela, sono diversi di specie tra essi, e bisogna estrarli per rendere
puro il mercurio. Non niego però che per estrarre il lapis dall’oro non vi
possono servire i Mercuri comuni e degli altri metalli, ma da chi dipende
la virtù, come causa efficiente, è l’oro, che è come il maschio, ed il
mercurio, come la femmina. Ora questo lapis d’oro è di due sorti per i
due effetti che fa, uno minore dell’altro  ; il minore ha solo la virtù di
digerire il mercurio, o quello de’ corpi imperfetti (dopo che è estratto) e
l’argento e tingere i detti Mercurj in vero Oro, ma non ha la virtù di
separarne l’impuro delli quattro metalli imperfetti, e quanto non è
naturale de’ loro mercurj. Questo lapis si chiama la medicina della
seconda serie, perché colla sola progezione di questa si separa da’
corpi imperfetti quanto non è loro naturale, ed il rimanente vien dal lapis
digerito e tinto collo stesso mezzo, il che non fa il primo lapis, che
solamente digerisce e tigne senza separazione alcuna .

Per trasformare l’argento ed i Mercurj comuni ed estratti da’ metalli si


richiede solamente il primo, perché nel comune, ed estratti non vi è
altro di diverso, perché tutto è Mercurio, come l’argento è quasi tutto
mercurio, e se ha qualche impurità viene levata facilmente dal suo
semplice Amalgama che passerà per una tela grossa, e che sarà lavato
esattamente, e dopo ciò il detto argento non deve più a ch’esser
digerito e tinto, il che si fa dal primo lapis squaglievole, per la sua
progezione.

E la materia di queste due lapis è sempre la stessa, cioè l’oro, e la sola


differenza consiste nella maggior o minor preparazione, ma la proprietà
e qualità d’ambedue sono tali che si concominano. Prima la natura di
questo lapis deve essere della natura dell’oro, e ciò procede dalla
proprietà dell’oro, e questa proprietà procede dalla forma ed essenza
dell’oro e non dalla sua materia considerata al suo spirito, né dal suo
temperamento, o prime qualità o seconde. Sì che si potrebbe trarre un
lapis dal rame e dal ferro che sarebbe più rosso del lapis d’oro, e che
darà una tintura rossa citrina, ma tal tintura è sofistica che non resiste
alla prova, sì che la vera tintura si trae dall’oro e non si può fare
dall’artifizio.

Le altre qualità di questo lapis s’acquistano coll’arte, cioè per la


seconda, che sia squaglievole come la cera, perché dallo
squagliamento si fa la mistione, altrimenti sarebbe fatta. Ora tale
squagliamento si acquista nell’oro, quando è fatto lapis, perché ogni
lapis dà squagliamento. La terza qualità che tale squagliamento sia
sottile come l’acqua, affinché penetri, e tal tenuezza si aumenta per le
reiterazioni di dissoluzioni come dirò. La quarta, ed una delle principali,
è che questo lapis sia di qualità calda, e secca, e di virtù ignea al fine di
far consumare l’umidità de’ mercurj e consolidare la lor fluridezza.
Digerire e fissare la crudità loro, come anche quella dell’argento.

Tal qualità non è nell’oro, e però colla sua mistione non si muta, né
altera, né li trasmuta come fa il suo lapis attesoché una delle regole
della sua mistione è che quello che opra come questo lapis, sia di
qualità contraria al paziente, come i metalli, perché con tal contrarietà si
fa un temperamento dal quale risulta una nuova specie e forma
sostanziale, poiché tal purità il lapis l’aumenta colla decozione continua,
perché ogni cosa decotta è più calda che la terra. La quinta qualità è la
purità e la trasparenza del lapis affinché penetri meglio, e si acquista
come dirò più abasso. La sesta è la fissazione del lapis che non

deve in alcun modo evaporarsi, ma deve rimaner fermo e stabile, e fisso


nel fuoco senza svaporarli.

Molti fanno questi due lapis diversamene: Si deve per adesso


accontentarsi di ridurre l’oro in natura di lapis fondibile  ; posciaché
senza dubbio trasformerà l’argento in oro per progezione ed il Mercurio
per concozione, siasi il comune o quello de’ metalli imperfetti,
posciaché il lapis comune, fatto squaglievole colle frequenti calcinazioni
e dissoluzioni hà ben questa virtù di fermare e congelare il mercurio
comune in metallo per concozione e ciò per la gran siccità e tenuezza,
che consuma per penetrare l’umidità indefinita del detto mercurio, il che
hò sperimentato io stesso.

Che se ciò riesce col lapis comune, tanto più si farà con quello dell’oro
per la gran similitudine dell’essenza che ha col mercurio, per essere
usati d’una stessa radice, e che l’oro non è che mercurio cotto, ed il
mercurio comune oro crudo, nondimeno il lapis d’oro non si estrae
facilmente per la gran difficoltà ed industria che si cerca a calcinarlo,
perché è impossibile ridurlo a lapis senza calcinarlo bene. Ora, la
calcinazione, è una riduzione col fuoco d’un corpo sodo in polvere
sottile per la privazione della sua umidità che teneva le parti in sodezza.
E questa si fa col fuoco per differenza del solo trituramento col quale le
parti del corpo soggetto ad essere triturato, ponno esser , col tal
trituramento, poste in tenuissime parti  ; ma con ciò l’umidità non è
levata, ned alterata. Egli è ben vero che serve tal trituramento alla
calcinazione per la maggior facilità che il fuoco ha di operare sulle parti
minute che grosse. La privazione dell’umidità si fa in due modi. Una
deve intendersi quando tutta l’umidità che pareva parte della sostanza
del corpo ne è separata, come quando è triturato e ridotto in cenere ;
ed in questa calcinazione ogni accidente squaglievole e visibile perisce,
perché nella cenere non si nota alcun accidente o qualità di legno.
L’altra è quando l’umidità radicale non si distrugge punto, ma è
animata ; ma solo la qualità umido è alterata per la siccità del fuoco, e
l’umidità convertita in siccità, ed in questa tutti li accidenti sensibili non
si distruggono. Posciaché i metalli calcinati ritornano col fuoco ardente
in corpo, come prima, ed ho visto per esperienza che dalle ceneri dello
stagno volte in lapis , ne è stato estratto mercurio col mercurio volgare
o comune. E la flussibilità de’ metalli squagliati, ò del mercurio estratto,
è una qualità ed accidente sensibile che non si perde colla detta
calcinazione  ; nella perfetta calcinazione, però, la calce non deve
volgersi in Mercurio.

L’oro, come ha un’umidità vischiosa unita con la sua siccità terrestre


non puol’essere calcinato dal fuoco solo, come si può fare degli altri
metalli. Ora, per pervenire à tal calcinazione, si è trovato un mezzo, che
è di tritarlo e ciò col mercurio, perché non si corrompe niente, e senza
desso tal trituramento non si può fare agevolmente. Si piglia perciò Oro
fino col quale si imischia mercurio comune, poi si aggiunge dodici volte
più di mercurio, si tritura minuto in un mortaro per lungo tempo,
aggiungendovi aceto distillato per lavarlo bene, poi si passa con una
tela densa e si continua a mettervi mercurio tanto che l’oro sia passato
come in mercurio per sottigliar meglio le parti dell’oro. Allora si pigliano
tutti li mercurj, che si mettono in un alambicco col suo cappello sulle
ceneri calde, per 24 ore a fuoco lento, affinché l’oro si purifichi col
mercurio, poi si versa tutto in una pelle di camozza, se ne spreme il
mercurio, e rimarrà un globicello nella pelle che conterrà tutto il corpo, e
tre parti di più di mercurj  : ma se nel finire si spreme colla tela, si
spreme tutto dalla tela senza ricuocerlo, tutto potrebbe passare col
mercurio. Si piglia il globo e si mette nel fuoco di lambicco col suo
cappello sul fornello di cenere a fuoco lento, per due o tre ore, finché il
globo sia secco ; si leva poi dal fornello e, se è salita qualche parte di
mercurio, si fa scendere con una penna. Dopo che sarà scesa la massa
si polverizza sottilmente e si rimette tal polvere a cuocere adagio col
suo mercurio estratto, poi si leva, si tritura, facendo ciò finché la polvere
sia sottilissima, e che non si tenghi più in corpo, o massa : la polvere si
mette in un fondo di lambicco e poi si distilla a fuoco ardente tutto il
mercurio, poi si leva ciò che è al fondo, e se si trova massa si risolve col
mercurio uscito, e si reiterano le operazioni finché sia polvere sottile che
non si tenga in massa. Si piglia poi la polvere e si macina sottilmente
sul marmo, e non nel mortaio, poi si setaccia in un setaccio finissimo e
se vi rimane qualche parte grassa si rimacina finché passò tutta, e così
si avrà la polvere disposta ad essere calcinata col fuoco, il che si fa
mettendo la polvere in una scatola di terra ò di vetro a fuoco proprio di
calcinazione per due giorni, dopo che si leverà la scatola, si aprirà, e si
leverà il più sottile con una penna, e si conserverà, e si reiteri lo stesso
finché si levi tutto colla detta penna.

Il lapis che si fa secondo gli antichi, è altresì un lapis ed una polvere


rossa come questa, ma richiede un anno di tempo per perfezionarsi.

L’oro congelato così non sarà squagliabile, e perciò si deve fare così. Si
piglia questa calce e si mette in un vaso di vetro che abbia un collo
lungo, e vi si getta sopra due volte più del nostro mercurio, s’ottura il
buco del vaso con cera gommata e si mette al bagno Maria per 24 ore,
e si rovescia il dissoluto, si continua l’operazione finché il mestruo si
colori, e poi si ricalcinano le fecce e si dissolvono in un nuovo mestruo,
e se rimane qualche cosa sarà una polvere morta ed inutile. Si pigliano
poi i mestrui e si mettono in un lambicco col suo cappello, e si distilla a
fuoco lento, ed al fondo rimane un lapis preziosissimo, di cui se ne
mette un poco sopra una lama d’argento e si roventa al fuoco  ; se si
squagli così presto che la cera, senza fumare né far rumore, e che si
stendi per tutto e che entri nella lama e la tinga in color oro, si fissi ed
imischi con essa e non se ne separi mai è assai, perché è il vero segno
di perfezione ; ciò però non succede così presto e per arrivarvi si fa in
due maniere  : una è di recalcinare il lapis à fuoco lentissimo in una
scatola di vetro e non di terra finché abbia il detto segno. L’altra che si
distilli al bagno Maria, finché non si coaguli più al fuoco, ma che
rimanga un olio denso, e allora è il vero oro potabile, fatto senza
mistione d’altra cosa, che si liquefarà in ogni liquore e servirà molto alla
sanità e per la trasmutazione dell’argento in oro col far progezione del
detto oro sull’argento, mettendovene in molte occasioni, finché si
conosce il peso della calce che richiede un tal peso d’argento per
essere ben colorato.

E per il Mercurio comune e de’ metalli, se ne metteranno cento parti in


un vaso piano di vetro col collo lungo, e vi si metti sopra una parte del
lapis che si cuoceranno à fuoco lento per otto giorni, aumentando in
fine il fuoco fino all’ignizione inclusivamente, e si avrà una polve rossa
che si squaglierà colla borace, e si avrà oro buono, e se si vuol far
progezione sul mercurio comune ò di metalli, come anche sull’argento.

E come questo lapis si puol aumentare si mischia con altrettanto di


mercurio d’oro, e si mette in un oro filosofico turato con un turaccio di
vetro per dodici giorni coll’aumentar del fuoco di tre in tre giorni, e gli
ultimi tre giorni si fa un fuoco d’ignizione e si avrà una polvere simile ala
prima, che farò lo stesso effetto, e così si può moltiplicar in infinito, col
porvi il peso uguale del mercurio di sole e cuocendolo per dodici giorni.
Ora, per estrarre il mercurio dall’uno d’ogni altro metallo, bisogna
incorporarlo con Mercurio comune, poi calcinarlo nel modo suddetto,
ma non all’estremo, bastando che rimanga in polvere impalpabile, nella
quale il loro mercurio sarà contenuto ; all’ora si mette in aceto distillato
al bagno Maria e se ne trarrà tutto il colore e la dolcezza della calce, si
versa poi dolcemente e se ne mette di nuovo, e quando ne avrà fatta
tutta la dolcezza, e che non sarà più rosso come prima sarà d’uopo
filtrarlo e svaporarlo, e rimarrà al fondo un lapis bianco che si dissolverà
di nuovo e si farà come prima per averlo più puro, il che è mercurio
morto il quale si vivifica così. Si pigliano due dramma del detto lapis e
s’incorporano sovra un marmo con una dramma di mercurio comune, e
tutto poi si mette in un lambicco col suo cappello, poi si secca, e fatto
secco si rimacinerà sul marmo ed il mercurio avrà vivificato a sé tutto il
mercurio che era morto nella detta polvere, o lapis, e noti V.S. che la
calce che sarà rimasta nel fondo del vaso, nel quale si sarà versato
l’aceto distillato, dev’essere ricalcinato di nuovo a fuoco graduato in un
vaso ben cimentato, finché non si trova più che una terra inutile. Il fiore
che salirà dall’oro ed argento è un, mercurio puro, quando si purifica
bene.

Sin adesso ho parlato della materia, e non mi rimane che à parlare della
causa efficiente, la quale è una forza e virtù che è in una sostanza
sottile, colla quale muove la materia prossima in quest’arte, che è il
mercurio, per informarlo e dargli una forma sostanziale d’oro o
d’argento.

L’oro non ha tal virtù attuale, ma in potenza perché deve depurarsi colla
materia impura, colla quale è sempre congiunta tal virtù, la quale,
essendo varia ne’ corpi, le une impediscono gli effetti delle altre. Tal
virtù deve aversi col far aiutare la natura dall’arte, quale consiste nel
fuoco per esser quello che dissolve i corpi e ci fa conoscere le parti
componenti  : con che si viene alle operazioni suddette di estrarre coi
modi suddetti ed aiuto del fuoco, il vero lapis.

Questo è l’unico e più perfetto mezzo che sia mai stato trovato nel
mondo, approvato dagli antichi e più penetrativi filosofi ed investigatori
di questa scienza ed arte occulta. Vi sono altri mezzi per fare questo
lapis, e varie altre operazioni bellissime  : ma questo segreto che io gli
scrivo è il diamante tra altre pietre preziose di comune valore. E’ questo
che adesso io metto in esecuzione. Mà come è malagevole di far
esattamente le calcinazioni, lo faccio adagio per riuscire. Sono altresì
occupato a fare Altre operazioni mirabili, nelle quali questo Ré piglia
piacere non ordinario, ed io non ne pigli meno, perché oltre che le
operazioni non mi costano niente, e che da queste imparo, come V. E.
sa che nella chimica s’impara ogni dalle operazioni, vi trovo un profitto
grandissimo. Sono amato dal re, stimato dai Grandi, riverito da’ piccoli,
e mi trovo in autorità, e quello che è meglio, con molti contanti in
saccoccia.

Se V. E. mi conosce capace di poterla ubbidire in cosa di maggior


rilievo, la supplico umilmente degnarsi di non rattenersi d’impormi  :
vedrà V. E. dagli effetti, se veramente dico di cuore, che ambirò in ogni
luogo, tempo ed occasione di qualificarmi con umile rispetto del
carattere glorioso di

Copenage , li 9 agosto 1667 Di V. E.

Umil.mo ed ubb.mo Servitore

Francesco Borri

3) - LETTERA AL SIGNOR N.

Firenze

Amico Carissimo,

Non posso esprimere il piacer che V. S. mi hò fatto di farmi pervenire


sue nuove. Vedo bene che non sono totalmente sfortunato, e che, se
l’inquisizione mi perseguita come il più perverso di tutti gli uomini, trovo
però che vi sono persone che non badano alle ciarle de’ Frati
Inquisitori, e che non per questo mi ànno scancellato dal numero de’
loro Amici.

In verità questo è uno de’ maggiori soglievi ch’io possi avere in tante
disgrazie ch’io provo ed ho provato. E vedo bene che vi è rimedio a
tutto fuorché alla morte. Non mi stendo, Amico caro, à dargli nuove del
mio stato, pecché non saprei dirgli cosa prefissa, pecché un uomo
perseguitato dalla fortuna e che erra vagabondo derelitto quasi tutti non
deve far festa se trova qualche umanità fra i meno umani. E
s’accontenti solo che io mi porto bene, e che sono lo stesso che sono
stato per il passato, cioè suo vero amico.

Ed è in tal qualità che m’appongo a dirle il modo di congelare il


mercurio. I modi sono varj, e chi lo fa in un modo e chi in un altro, ma
egli è vero che varie di queste congelazioni non sono ben disposte per
lo fissamento, che è forsi quello per lo quale V. S. cerca la
congelazione. Vi sono molti che lo congelano col succo di limone in
un’ampolla di vetro e dibattuto assieme per qualche spazio.

Altri traono da certe erbe succhi co’ quali lo congelano, ma quando si


viene al fissamento, di nuovo si squaglia. Vi è una cert’erba chiamata
Lunaria, il cui succo gettato freddo sopra il mercurio e poi dibattuto e
riscaldato, lo congela, se si getta in un ferro incavato; e molti
appruovano tal congelazione, per essere stata trovata buona.

La migliore che io abbia provata è stata quella di fare scaldare in un


crocciuolo pieno di lapis bianco il mercurio, poi, avendolo lasciato quasi
divenir freddo, gettarlo nel suco di tabacco e reiterarlo una seconda
fiata  ; poi, avendo fatto squagliare del piombo, e fatto una concavità
dentro, com’è quasi freddo, gettarvi dentro il Mercurio che vi si
congela : ma la difficoltà è di trarlo e separarlo dal Piombo, il che però
riesce pigliando una mezz’oncia di Vetriolo Romano polverizzato,
mezz’oncia di Verde rame, due dramma di Salnitro, due dramma
d’Alume di Rocca, quattro drama di Mercurio e borace che si mischia
ed incorpora con oglio, mettendo tutto in un crocciuolo molto ben
chiuso e lutato.

Ho voluto compiacerla quantunque lo possi assicurare che ciò serve


poco o nulla se non si sa purificare e dargli una concozione maggiore,
pecché in tal caso si ponno far tesori : ma a congelarlo semplicemente
è una bagattella che riesce in mille maniere, ed alle volte a caso, senza
che si sappi la causa di questo effetto. Del resto V. S. mi farà favore
particolare di darmi qualche nuova della nostra Italia. Se ne vedono
bene sulle Gazzette che corrono, ma alle fiate non osano i gazettieri
mettere le cose come passano, il che io desidero di sapere.

Se V. E. vuole altra cosa di me, deve disporre della mia poca capacità à
suo arbitrio. Se non avessi avuto altro dalla natura, mi vi confesso
tenuto per avermi dato un’inclinazione totale per servire gli amici di
cuore, e con zelo.

Sono tutto giocoso quando vedo che sono impegnato e che vengono
esercitati i miei deboli talenti a pro degli amici, tra quali suppongo e mi
lusingo che V.S. sij, e non credo di presumer tanto, quando penso alla
innata bontà di V.S. colla quale cattiva tutto il mondo, ed ha cattivato
me, che mi pregio di essere con sincero affetto di V.S.

Amstelodamo li 9 marzo 1665

Aff.mo Serv.re ed amico sviscerato

G. Francesco Borri

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